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All’interno del tempio, regnava un’oscurità quasi totale.
L’unica fonte di
luce in quell’immenso androne, la cui volta, stupendamente affrescata, era
sorretta da dodici, possenti colonne, incise fino a sembrare dei giganteschi
papiri, era fornita da grandi bracieri che, appesi a delle aste d’oro sporgenti
dai muri, anch’essi pieni di dipinti e geroglifici, ardevano incessantemente.
Un gran numero di
persone, tutti uomini, tutti coperti quasi completamente da lunghe tuniche
marroni e voluminosi copricapo simili a cappucci, restava in piedi a sguardo
basso, pronunciando senza sosta una strana litania, molto probabilmente
un’antica preghiera risalente agli albori della storia.
Quella massa
vociante formava una specie di corridoio naturale che, dal grande portone di
bronzo decorato, ora chiuso, conduceva sino alla statua di Nepthys, la dea
alata guardiana del mondo dei morti, divinità protettrice della tribù; ai piedi
di questa vi era un grande altare di pietra, al cui centro era conficcata, fino
a metà della lama, leggermente ricurva, una spada bellissima, fatta interamente
d’oro, con l’elsa tempestata di pietre preziose e un’incisione finemente
decorata raffigurante l’Occhio di Ujat.
Accanto
all’altare, alto, imponente, stava un uomo, un uomo anziano, a giudicare dalla
folta barba grigio perla che spuntava dal cappuccio; la sua tunica, a
differenza di quelle degli altri sacerdoti, era di un colore bianco
sfavillante, in netto contrasto con la sua pelle scura.
Ad un cenno
solenne dell’anziano, i battenti della porta cominciarono lentamente ad
aprirsi, emettendo un forte cigolio, solo in parte represso dal continuo
salmodiare. Passarono alcuni secondi, poi, dall’oscurità della stanza attigua,
uscì un giovane, un ragazzo di forse diciassette anni; vestiva come un soldato
dell’antico Egitto, con una sorta di gonnellino bianco di lino ricamato d’oro,
una veste leggera che gli copriva il busto, il torace e le spalle, due strisce
di tessuto blu che si intersecavano all’altezza del torace, un paio di
raffinati sandali in cuoio e, per finire, un lungo mantello bianco.
La sua pelle era
scura, ma non quanto quella degli altri presenti, che tendeva quasi ad un color
terra; i capelli, piuttosto lunghi, e leggermente scompigliati, erano più neri
dell’ala di un corvo. Neri erano anche i suoi occhi; aveva un’espressione
fiera, austera, che lasciava trasparire sicurezza e coraggio.
Appena le porte si
richiusero alle sue spalle, il ragazzo prese a camminare lentamente verso
l’altare, fermandosi subito prima dei due gradini che permettevano di
raggiungere il punto in questione, situato sopra una terrazzetta.
«Giovane
guerriero!» disse il vecchio con voce roca, affaticata, ma anche profonda e
autoritaria «Dimmi il tuo nome!»
«Mi chiamo
Toshio.» rispose lui dopo qualche secondo «Principe Ereditario della Tribù di
Nepthys.»
«Questa spada sarà
il tuo giudice. Se sei davvero degno di impugnala, e di assolvere al compito
che il cielo ha voluto affidarti, non rifiuterà di essere estratta da te».
Il ragazzo allora
salì gli ultimi gradini, fermandosi davanti all’altare, e nel tempio calò il
più assoluto silenzio; l’unico rumore percettibile era il crepitare del fuoco
sui bracieri. Attese qualche istante, poi, apparentemente senza traccia alcuna
di dubbio o insicurezza, afferrò saldamente l’impugnatura della spada,
tirandola verso l’alto; l’arma scivolò via dalla fessura senza alcuna
difficoltà, e quando fu completamente estratta la sua lama, illuminata dal
fuoco, brillava più del sole.
«Gli dèi hanno
deciso.» proseguì il vecchio «Tu sarai il nostro difensore al prossimo torneo.»
«Onorerò fino alla
morte l’incarico che mi è stato affidato.»
«Terrò alto il
nome della mia gente, assolvendo a questo sacro compito con fede e dedizione.»
«Il nome
dell’autorità conferitami dal cielo, io ti nomino Difensore di Nepthys. Il
nostro popolo ti saluta e ti onora. Tu sei il nostro guerriero. In te riposano
le nostre speranze.»
«Sono onorato
dalle vostre parole.» rispose Toshio con un leggero inchino
«Ascoltami con
attenzione, figlio mio. La spada che ora stringi con forza nella tua mano per
secoli ha vegliato sui tuoi predecessori. Essa, come saprai, può essere
impugnata solo per una giusta causa, e solo da un cuore forte. Semmai un giorno
il tuo spirito dovesse vacillare, i tuoi ideali crollare, il tuo spirito
convertirsi all’oscurità, la spada ti abbandonerebbe.
Non permettere mai
al seme del dubbio di germogliare nella tua anima. Tu e i tuoi compagni siete i
custodi di questo mondo, è vostro dovere confrontarvi nel nome della giustizia
e dell’onore.»
«Lo terrò sempre a
mente, padre. Le Vostre parole mi accompagneranno da qui alla fine dei miei
giorni.»
«Vai allora,
figlio mio. Il tuo viaggio è appena iniziato».
Domenica 27 Luglio
Città di Uminari
Ore 08:03
Keita Ichinosuke si era svegliato quella mattina con il
morale alle stelle; era talmente euforico che, una volta ogni tanto, non fu
necessario alcun richiamo da parte della madre o della sorellina Sayuri per
riuscire a farlo alzare.
Del resto, ormai
era quasi fatta.
Ancora un giorno,
e finalmente sarebbero cominciate le vacanze estive.
Canticchiando e
fischiettando come un bambino al suo primo giorno d’asilo, il ragazzo saltò giù
dal letto e corse immediatamente in bagno, tirandosi a lucido da capo a piedi.
Il suo era un viso
gentile, amichevole, arricchito da una folta capigliatura castano scura e
ingentilito da due grandi occhi di un marrone tendente quasi al rosso.
Non era mai stato
uno scansafatiche, anzi aveva fama di essere un gran lavoratore, ma da sempre
aveva trovato la vita scolastica alquanto stretta. Non che fosse uno spirito
libero o uno scatenato di prim’ordine; semplicemente, non si trovava a suo agio
a scuola, forse a causa del suo ottimo rendimento, che gli era valso numerosi
nemici, invidiosi dei privilegi che potevano venire dall’essere il secondo
studente col più alto livello d’intelligenza.
Indossata la
divisa scolastica, limitata naturalmente, causa un caldo asfissiante, ai
calzoni neri e alla camicia bianca a maniche corte, Keita scese velocemente in
cucina; sua madre Kimiko, come al solito, si prodigava al fornelli, la
sorellina invece era già uscita; quel pomeriggio, alla sua scuola elementare,
si sarebbe tenuto l’annuale festival della cultura, quindi era necessario
andare via prima per ultimare i preparativi.
Il ragazzo aveva
fatto così in fretta a prepararsi che poté concedersi il lusso di sedersi e
fare colazione in tutta calma, quando invece di solito, proprio a causa della
sua proverbiale pigrizia, finiva sempre per mangiare una fetta di pane tostato
mentre correva come un pazzo per le strade della sua città.
«Oggi vi
consegneranno le pagelline, vero?» domandò la madre passandogli una ciotola di
riso
«Sì, esatto. Ce le
consegnerà alla quinta ora il professor Fujitaka.»
«Hai dei programmi
per il pomeriggio?»
«Pensavo di andare
a fare un giro con Shinji e Nadeshiko.»
«Ricordati di
essere alla scuola di Sayuri entro le sette. Sì è impegnata tanto per il suo
concerto.»
«Sta tranquilla, ci
sarò. Promesso».
A colazione
conclusa Keita recuperò la sua cartella, riposta sulla sedia accanto
all’ingresso già la sera prima, quindi uscì.
La città di
Uminari, situata sulla costa orientale del Giappone, un centinaio di chilometri
a nord di Tokyo, si presentava quella mattina in pieno fermento; i lavori per
l’allestimento della festa dell’estate erano ormai quasi ultimati, e la
domenica successiva le strade si sarebbero colorate della luce di decine di
lampade.
Keita era
abbastanza in anticipo da potersi permettere di camminare in tutta calma,
guardandosi piacevolmente attorno mentre percorreva la strada pedonale
acciottolata che tagliando in due il vecchio centro cittadino arrivava fino al
suo liceo.
Persino il
professore addetto al controllo degli studenti al cancello della scuola, il
burbero professor Kogure, rimase senza parole nel vederlo arrivare così di
buon’ora, tanto che per un attimo pensò di stare sognando; era una situazione
decisamente troppo anormale.
Keita aveva appena
passato il cancello, quando, distrattosi per salutare un gruppo di amici che
giocavano a calcio, urtò inavvertitamente uno studente che stava fermo davanti
a lui, cadendo a terra.
«Scusa, mi
dispiace.» disse immediatamente.
Rialzato lo
sguardo, si trovò a tu per tu con Takeru Minamoto, la leggenda del Club di
Kendo, pluridecorato campione studentesco.
Fra tutti gli
studenti, era certamente quello che poteva vantare uno dei più folti gruppi di
ammiratrici, questo per via sia del suo aspetto per nulla trascurabile sia per
la sua incorruttibile fama da “duro”.
Alto quasi un
metro e ottanta, vestiva sempre e comunque con la divisa intera, completa anche
di giacca, e più di una volta Keita si era domandato come facesse a resistere
al caldo asfissiante. A dispetto della stragrande maggioranza dei suoi compagni
aveva una pigmentazione della pelle piuttosto scura, ma non c’era da restarne
sorpresi, visto che era originario di Okinawa, dove aveva sede la famosa
compagnia del padre, specializzata nel trasporto marittimo.
Quando Keita, pur
assoggettato da quel gigante, gli rivolse un secondo ringraziamento, lui non
rispose, limitandosi a fissarlo coi suoi occhi neri più taglienti di una spada;
anche i capelli erano neri, portati a spazzola.
«Fa più
attenzione.» disse tornando sui suoi passi.
Keita restò un
momento ad osservarlo, poi, riavutosi dal senso di gelo lasciatogli da quello
sguardo, si rialzò da terra, raggiungendo rapidamente l’atrio della scuola.
La stessa,
identica reazione del professor Kogure la ebbero i pochi studenti presenti
nella sua classe nel momento in cui il ragazzo aprì una delle due porte
d’ingresso augurando il buongiorno.
Fra coloro che
risposero al suo saluto c’era una ragazza, la cui sola espressione sorridente
fu che sufficiente per far arrossire Keita come un anguria.
I capelli, di un
castano chiaro, arrivavano fino alla base del collo, con lunghe frange che
coprivano quasi interamente la fronte e le orecchie.
Gli occhi erano di
un verde smeraldo che lasciava abbagliati, e il suo sorriso gentile avrebbe
sciolto qualunque cuore.
Indossava la
regolare uniforme scolastica, e al collo portava un pendente circolare, forse
di legno, su cui erano raffigurate otto lunghe linee rosse, quattro per lato,
simili alle ali spiegate di un angelo.
«Buongiorno,
Keita.»
«B… buongiorno,
Nadeshiko…».
Si sedettero ai
propri posti, uno di fronte all’altra, e dopo poco venne loro incontro un altro
ragazzo; aveva un’aria molto sbarazzina, capelli biondi corti e arruffati che
andavano in tutte le direzioni e occhi azzurri, nascosti dietro ad un curioso
paio di occhiali da vista rettangolari.
«Ehilà, gente.
Come butta?»
«Salve, Shinji.»
«Keita. È raro
vederti qui a quest’ora. Devo presupporre che il mondo stia finendo».
Nadeshiko, che
forse era l’unica a trovare divertenti le battute di Shinji, rise leggermente,
approvando la sua idea.
Quei tre avevano
un grado di affiatamento che aveva del prodigioso; si conoscevano da diversi
anni, Keita e Shinji addirittura dalla prima elementare, e in tutto quel tempo
erano rimasti sempre insieme.
Nessuno sapeva
bene quale fosse il collante che li teneva uniti; forse il loro carattere
gentile e spontaneo, che pur risultando un’ottima qualità veniva talvolta
considerato da alcuni semplice ingenuità.
Di certo, non
avevano interessi in comune; Nadeshiko era iscritta da due anni al club di
letteratura, e aveva già avuto modo di farsi conoscere pubblicando alcuni
racconti di argomentazione fantasy che tanto si rifacevano a quella cultura
favolistica europea che tanto amava, Shinji invece da un anno faceva parte
della squadra di karate ed era conosciuto soprattutto per i suoi micidiali
calci, tanto da guadagnarsi il soprannome di “gamba d’acciaio”.
E Keita… beh,
Keita non aveva interessi in particolare, anche se già da qualche tempo aveva
cominciato ad interessarsi al mondo della scherma, questo forse grazie anche a
suo padre, un famoso archeologo specializzato nella raccolta e nella
catalogazione di armi antiche.
D’un tratto, pochi
minuti prima che suonasse la campanella, la porta si aprì nuovamente, e in
classe entrò un ragazzo dall’aria tenebrosa coi capelli argentei, occhi blu
profondi come l’oceano e un’espressione seri,a composta; la sua sola vista fu
più che sufficiente a mandare in visibilio tutte le ragazze, tranne Nadeshiko,
che si limitò semplicemente a rivolgergli un cenno di saluto.
Il suo nome era
Johan Von Karma, il solo studente in grado di superare Keita in fatto di
rendimento; considerato la punta di diamante della scuola, aveva un quoziente
intellettivo pari a duecento, oltre ad una straordinaria predisposizione a
qualunque tipo di attività fisica.
Ciò nonostante,
era considerato unanimemente una persona del tutto inavvicinabile, con un
carattere freddo come il ghiaccio che nulla sembrava in grado di scalfire.
Parlava
pochissimo, stando sempre per conto suo, e non intrecciava rapporti con
nessuno.
Come suggeriva il
suo cognome era straniero, per la precisione era il secondogenito
dell’illustrissima famiglia tedesca dei Von Karma, che annoverava tra i suoi
antenati uomini e donne di grande rilevanza per la storia europea e che anche
dopo più di sette secoli di storia ancora riusciva ad imporsi sul panorama
politico ed economico del vecchio continente.
Appena entrato
Johan andò a sedersi al proprio posto, ignorando totalmente gli sguardi
sognanti e le moine di tutte le ragazze della classe, che svenivano ogni
qualvolta lui le guardava anche solo per caso.
Dopo poco suonò la
campanella della prima ora, e da quel momento Keita cominciò a contare
febbrilmente i minuti che lo separavano dalle tanto agognate vacanze; solo
sette ore, poi tutto sarebbe finalmente finito.
Alle cinque precise, alla chiusura delle attività
extrascolastiche, presero finalmente il via le vacanze estive; gli studenti cominciarono
a lasciare in massa la scuola, augurandosi rispettivamente buone vacanze e
promettendo di tenersi in contatto per organizzare serate al karaoke o allegre
giornate in spiaggia.
La maggior parte
degli studenti sapeva che in ogni caso si sarebbero quasi sicuramente
rincontrati nella festa d’estate che ci sarebbe stata di lì a qualche giorno,
altri invece, coloro che potevano permetterselo, sarebbero invece
immediatamente partiti per le località di villeggiatura.
Keita, Nadeshiko e
Shinji uscirono tutti insieme, come facevano sempre, dirigendosi al bar gestito
dalla famiglia della ragazza per concedersi un tè freddo prima di separarsi;
Nadeshiko sarebbe rimasta al locale per dare una mano, Shinji aveva la lezione
di arti marziali e Keita lo spettacolo della sorella.
Passando davanti
all’ingresso per la famosa strada pedonale, lungo la quale stava il bar
obiettivo della loro passeggiata, i tre amici videro che proprio lì accanto era
stato allestito il banchetto di una lotteria promossa proprio dall’associazione
dei commercianti che avevano i loro negozi lungo quella via.
A giudicare dalla
gran folla che si era riunita tutto intorno il premio in palio doveva essere
davvero appetibile.
«Che sta
succedendo laggiù?» domandò Keita
«Sembra una
lotteria.» rispose Shinji «Che ne dite, tentiamo la sorte? Dopotutto» disse
poggiando amichevolmente la mano sulla testa di Nadeshiko «Abbiamo qui la
grande dea della fortuna».
Eh già.
Perché, fra le
altre cose, Nadeshiko si era guadagnata la fama di persona incredibilmente
fortunata; più di una volta aveva dato prova del suo “dono”, se così lo si
voleva chiamare, indovinando le pagine dei compiti a sorpresa semplicemente
aprendo a caso il libro o riuscendo a prevedere anzitempo i risultati delle
partite di calcio o baseball più in bilico.
Non appena
riuscirono, a forza di sudori e spintoni, a farsi largo tra la marea di gente, non
ebbero problemi a poter guadagnare per primi il diritto di girare l’urna;
infatti, era usanza molto comune in quel tipo di lotterie di mandare avanti a sé
quante più persone possibile, in modo da far esaurire velocemente il numero di
biglie di ferro ed avere così più possibilità di imbroccare quella giusta.
«Venite, venite!»
diceva uno dei quattro addetti «Tentate la fortuna alla nostra lotteria!».
Ogni giocata
costava trecento yen, così Keita e gli altri decisero in comune accordo di
metterne cento ciascuno e poi lasciare tutto nelle mani di Nadeshiko.
«Scusate, che cosa
si vince?» chiese Shinji
«All’interno dell’urna
ci sono quattro biglie d’oro. Ognuna di esse permette di vincere un biglietto
per un fantastico viaggio di due settimane attraverso l’Europa».
Nel sentir
pronunciare il nome Europa Nadeshiko sembrò cadere dalle nuvole, e i suoi occhi
già brillanti si fecero più luminosi di due pietre preziose.
L’Europa: fin da
bambina non aveva mai desiderato altro che poter vedere quella terra
straordinaria, ricca di storia e di tradizioni; molte volte aveva cercato coi
suoi genitori, che condividevano il suo stesso sogno, di provare ad organizzare
un viaggio, anche di piccola portata, ma con un bar da mandare avanti e due
figlie da mantenere era dura riuscire a mettere da parte i soldi per una simile
impresa.
Ora le si
prospettava l’occasione per realizzare il suo sogno, e mai come in quel momento
pregò di essere davvero, almeno un po’, quella dea della fortuna che molti
ritenevano che fosse.
Avvicinatasi all’urna,
afferrò leggermente la manovella, e un istante prima che iniziasse a farla
girare Keita ebbe come l’impressione di vedere il monile della ragazza
illuminarsi leggermente di una luce rosata.
Tutto intorno calò
il più assoluto silenzio, con il rumore delle biglie che giravano
vorticosamente nell’urna a fare da contorno a quella situazione carica di
tensione.
Nadeshiko girò
molto a lungo, poi, quando sentì che era giunto il momento, si fermò, lasciando
che il fato facesse il suo corso.
Una, due, tre,
quattro; e nella zona sembrò essere passato un vento glaciale.
I dipendenti della
lotteria erano forse i primi a non credere ai loro occhi; che scusa avrebbero
inventato con gli sponsor per giustificare il fatto di essere stati costretti a
chiudere baracca e burattini prima ancora di poter rientrare nelle spese?
Tutte e quattro le
biglie d’oro erano lì, sul piatto, in bella mostra.
«Non…» disse Keita
«Non ci credo… Ma…»
«Hai…» disse
Shinji
«Ho…».
Poi, un boato
assordante scosse l’intera strada; tutti esultavano, anche chi non aveva vinto.
Come si poteva non essere felici, o quantomeno allibiti, davanti ad una simile
manifestazione di buona sorte?
Nadeshiko corse
immediatamente al bar per mostrare i biglietti alla sua famiglia, ma nel tempo
che lei e gli altri impiegarono ad arrivare lì la notizia si era già sparsa a
macchia d’olio.
Tuttavia, prima
ancora che potesse cercare di fare un qualche progetto su come spendere al
meglio quell’incredibile colpo di fortuna, i suoi genitori misero
immediatamente i puntini sulle i; erano stati loro tre a mettere insieme i
soldi per la lotteria, quindi era giusto che fossero loro a godere di quel
premio.
Shinji e Keita
protestarono, dissero che era più giusto che in Europa ci andassero Nadeshiko e
la sua famiglia, ma alla fine vennero convinti, così, sedutisi ad uno dei
tavolini all’esterno del locale, presero a fantasticare sull’incredibile
viaggio che li attendeva.
«Sarà una vacanza
magnifica.» disse Keita «Tu sognavi da anni di vedere l’Europa, o sbaglio?»
«Sì, hai ragione. Coltivo
questo sogno da quando era bambina. I miei genitori ci sono stati in luna di
miele, e io ho sempre desiderato di poterci andare, un giorno.»
«Beh, dea della
fortuna.» disse Shinji sorseggiando il suo tè «A quanto pare i tuoi sogni si
sono avverati.»
«Però, ora che ci
penso.» intervenne nuovamente Keita «Noi siamo in tre, e i biglietti sono
quattro. Chi portiamo con noi?»
«Questa è una
bella domanda. Che ne dici di Sakamoto? O Matsuida?».
Sfortunatamente,
qualcuno aveva in mente ben altri progetti.
Non tutti quelli
che avevano assistito alla vittoria dei tre ragazzi avevano erano stati
contenti per loro; fra questi c’era un povero studente universitario che per
poter fare colpo sulla ragazza dei suoi sogni regalandole quel viaggio da
favola non aveva esitato a spendere una vera fortuna in biglietti della
lotteria, biglietti che di colpo erano diventati completamente inutili.
Tuttavia, questo
non era bastato a farlo arrendere; in un modo o nell’altro avrebbe ottenuto
quel premio. Proprio per questo aveva seguito Keita e gli altri fino al bar,
senza mai perdere di vista la cartella di Nadeshiko, all’interno della quale c’erano
i biglietti di viaggio e tutti i documenti necessari.
La cartella in
questione era ora appoggiata su una sedia, e loro erano distratti; se fosse
stato rapido e preciso non si sarebbero neanche accorti di nulla e lui l’avrebbe
fatta franca sotto al loro naso.
Alzatosi dalla
panchina al quale era seduto, e cercando di essere il più disinvolto possibile,
si avvicinò con estrema cautela al tavolo, poi, quando fu proprio accanto alla
sedia, nell’istante in cui tutti e tre i ragazzi avevano lo sguardo rivolto
altrove, afferrò saldamente la maniglia della cartella.
La foga del
momento purtroppo finì per tradirlo, e quando fece per allontanarsi colpì accidentalmente
la gamba della sedia, facendola cadere; subito Nadeshiko e i suoi amici si
accorsero della sua presenza, e lui, che tutto voleva fare fuorché rinunciare a
qualcosa che considerava suo, partì a razzo, portandosi via il suo tesoro.
«Ehi tu, fermo!»
gridò Keita andandogli dietro, seguito in breve anche da Nadeshiko e Shinji.
Ne nacque un
inseguimento furioso, ostacolato e reso ancor più faticoso dalla marea di
persone che a quell’ora cominciavano a riversarsi nella strada pedonale per
fare un po’ di shopping o per concedersi semplicemente un po’ di riposo dopo le
fatiche del lavoro.
I tre ragazzi
correvano a più non posso, gridando con tutto il fiato che avevano per attirare
l’attenzione.
«Fermatelo! Mi ha
rubato la cartella!».
Il ladro però si
faceva sempre più lontano, e se fosse riuscito ad uscire dalla zona pedonale si
sarebbe disperso nel traffico serale, diventando imprendibile.
Mancavano solo
cento metri alla fine dell’acciottolato, quando quel poveraccio ebbe la
sfortuna di capitare sulla strada di Takeru, che tornava in quel momento dall’allenamento
serale.
Il ragazzo,
attirato dalle urla di Nadeshiko, si girò, e con una forza a dir poco erculea
colpì il ladro allo stomaco con la sua spada da kendo, facendogli tanto di quel
male che, abbandonato il suo bottino, dovette allontanarsi da lì gattonando.
Keita, Nadeshiko e
Shinji arrivarono dopo pochi secondi, trovando Takeru con in mano la cartella
della ragazza.
«Takeru!?» disse Nadeshiko
cercando di riprendere fiato
Lui aggrottò
leggermente le sopracciglia, quindi restituì il maltolto alla proprietaria.
«Gra… grazie.»
«Stai attenta la
prossima volta.»
«Lo… lo faro…» rispose
lei con vocina da formica; dopotutto, quel bestione era alto almeno trenta
centimetri più di lei
«Ehi.» disse
sottovoce Shinji all’orecchio di Keita «Ma quello non è Minamoto della quarta
sezione?»
«È proprio lui».
Takeru, conclusi i
propri obblighi, fece per andarsene, ma appena ebbe mosso il secondo passo
Nadeshiko lo richiamò.
«Takeru, aspetta».
La ragazza esitò a
lungo, poi, messa una mano nella cartella, ne prese fuori uno dei quattro
biglietti.
«Ecco… per
ringraziarti… vorresti accettare questo?»
«Che cos’è?»
«È un biglietto
per un viaggio in Europa.» disse con il suo solito, innocente sorriso «Se a te
fa piacere, vorrei invitarti a venire con noi».
Shinji e Keita
erano visibilmente sorpresi; certamente non si aspettavano che la situazione
potesse prendere una piega simile, ma cercarono di tornare sobri quando la loro
amica si rivolse a loro.
«Per voi non è un
problema, vero?»
«No, no.»
risposero insieme «Nessun problema. Anzi, sarebbe un piacere».
Lui non rispose, né
commentò, lasciando come al solito che fosse il silenzio a parlare per lui;
poi, proprio quando Nadeshiko stava per ritirare la mano, lui afferrò il
biglietto, mettendoselo in tasca.
«Sono con voi.»
«Ne sono felice.»
disse la ragazza riacquistando il sorriso «E grazie ancora».
Takeru fece un
cenno, forse addirittura accennò un sorriso, poi girò i tacchi e se ne andò,
stavolta definitivamente.
Così, in un modo
del tutto imprevisto, la squadra era creata.
Quella sera,
ognuno dei tre amici si addormentò pensando con ansia e gioia crescenti a tutte
le incredibili meraviglie che li attendevano dall’altra parte del mondo, in
quella terra verdeggiante chiamata Europa, coi suoi castelli, le sue chiese, le
sue piazze, e i suoi misteri.
Nota dell’Autore.
Salve a tutti!
Eccomi qua con un’altra
delle mie storie strampalate.
Questa storia, come i
miei lettori più appassionati avranno notato, costituisce una rielaborazione
del primo episodio della saga Millennium War, iniziata come fan fiction ispirata
ad un anime/manga e ora rivisitata in chiave completamente fantasy, con nuovi
personaggi, nuove vicende e nuove ambientazioni.
Inoltre, giusto per
togliermi uno sfizio che coltivavo da tempo, ho deciso di trasformare questo
episodio, ma anche tutti i successivi, in un grande Crossover in cui
appariranno personaggi provenienti dai contesti più svariati (anime e manga, ma
anche libri celebri e videogiochi), inseriti però in un contesto completamente
diverso, e nella maggior parte dei casi anche con un carattere diverso.
Non si tratta
solamente, per la verità, di un semplice sfizio, ma i motivi reali di questa
scelta verranno chiariti più avanti.
Qualcuno forse avrà
già notato delle somiglianze o dei nomi alquanto famigliari.
Bene, ho parlato
anche troppo.
Spero di aver
catturato il vostro interesse, e mi raccomando, fatemi sapere!
L’esperienza più bella della loro vita stava dunque per
cominciare.
Non appena l’aereo
atterrò all’aeroporto internazionale di Venezia, denominato Marco Polo, in
onore di un grande esploratore, i ragazzi scesero in tutta fretta; Nadeshiko
sembrava una bambina in un negozio di bambole, e gettata al vento la sua
proverbiale tranquillità fin da quando la hostess,
durante la notte, aveva annunciato l’ingresso nello spazio aereo dell’Unione
Europea, non era più stata in grado di chiudere occhio, e di conseguenza aveva
tenuto svegli anche tutti i suoi compagni di viaggio.
Ovviamente, ognuno
di loro aveva rinunciato al rigore dell’uniforme scolastica per indossare
qualcosa di più adatto a dei turisti.
Keita portava un
paio di jeans e una maglietta azzurra a maniche corte, Shinji dei calzoni
leggeri verde pino, una camicia corta e un gilè giallo opaco senza maniche;
Nadeshiko aveva optato per dei calzoncini giallo
scuro, scarpe da tennis bianche, camicetta sempre bianca con il colletto
bordato di rosso, una coppia di bracciali al polso sinistro e zainetto a
tracolla.
E poi c’era
Takeru, decisamente l’ultima persona che Shinji e
Keita si sarebbero aspettati di ritrovarsi come compagno di viaggio; malgrado
tutto, non aveva voluto rinunciare al suo fare tenebroso e glaciale, vestendosi
interamente di nero: calzoni, maglietta leggermente attillata, scarponi e
cinturone borchiato; come se non bastasse, per qualche ragione inspiegabile si
era voluto portare dietro la spada di famiglia, che gli era costata tra l’altro
un mucchio di scartoffie da compilare, e per quanto in Giappone veder girare
qualcuno con un fagotto di tessuto lungo e stretto come quello fosse cosa
comune, di certo non si poteva dire lo stesso per l’Italia del nord; mentre i
quattro ragazzi si incamminavano nei corridoi dell’aeroporto seguendo la
propria comitiva, tutti rimanevano con gli sguardi un po’ perplessi nel vedere
quel fusto tutto in nero con in mano un bagaglio tanto insolito.
Appena fuori Keita
e gli altri salirono sull’autobus che li avrebbe condotti a destinazione
assieme al resto del gruppo, composto per la maggior parte di uomini di mezza
età con mogli al seguito; la loro guida era una ragazza italiana di nome
Monica, la cui presenza era però puramente simbolica.
Quella vinta dai
ragazzi era una cosiddetta Vacanza Libera; una volta arrivati nell’albergo
della città da visitare sarebbero stati completamente liberi di andare dove
volevano. La sola cosa da tenere a mente era il giorno in cui sarebbero dovuti
ripartire per raggiungere la tappa successiva, per il resto non c’era nessun
tipo di costrizione.
L’autobus cominciò
dunque il suo breve viaggio lungo la campagna italiana, un luogo molto diverso
da qualsiasi altro che Nadeshiko e i suoi amici avessero
mai visto in vita loro. Tutto appariva così semplice, così quieto: distese
interminabili di campi coltivati, intervallati qua e là da casupole isolate,
solcati da un dedalo di sentieri sterrati percorsi talvolta da qualche
trattore.
Attraversarono
anche alcuni paeselli, realtà minuscole nella loro estensione ma brulicanti di
vita, una vita semplice e spensierata, ma anche frenetica; in fin dei conti,
era agosto avanzato, e in quella zona durante l’estate il flusso di turisti
desiderosi di assaporarne le bellezze era praticamente
ininterrotto.
Quando, ad un certo punto, si accorsero di stare attraversando con
una certa frequenza grandi ponti che transitavano sopra canali di acqua
salmastra, né di mare né di fiume, capirono di essere ormai prossimi alla loro
destinazione; infatti, dopo una mezz’ora di viaggio, al termine di una larga
curva, l’autobus raggiunse un ponte lunghissimo, che correva a pochi metri dal
pelo dell’acqua; oltre alle quattro corsie riservate alle macchine, la parte
sinistra del ponte era occupata da un gran numero di binari, sui quali proprio
in quel momento stava transitando un lunghissimo treno bianco.
Lo spettacolo
offerto dalla laguna distolse per un attimo gli sguardi dei ragazzi, ma quando,
alzati gli occhi, videro quello che si stagliava dinnanzi
a loro, tutto divenne secondario.
Venezia era lì,
maestosa; emergeva dall’acqua come un miraggio, combattuta fra il cielo e il
mare.
Le sue guglie, i
suoi campanili, sembravano fili d’erba di un gigantesco prato, il bianco dei
suoi monumenti illuminato dal sole brillava come il diamante; c’era un tempo
stupendo, malgrado fosse estate soffiava una leggera brezzolina che leniva un po’ il caldo asfissiante, dettato
in larga misura dalla forte umidità.
Nadeshiko sembrava
al settimo cielo, e rimaneva con la fronte appoggiata al finestrino, sorridendo
come al suo primo giorno di scuola; anche Keita e Shinji erano
comprensibilmente meravigliati da un tale spettacolo, altrettanto
però non si poteva dire per Takeru, che seguitava a restarsene seduto in
silenzio con la mano appoggiata sul mento, gettando solo raramente lo sguardo
al di là del vetro.
Dopo aver
attraversato il ponte l’autobus si fermò in una grande
piazza stracolma di veicoli e persone; c’erano molti italiani, soprattutto
veneziani, facilmente riconoscibili per quel loro accento così strano, ma
c’erano anche innumerevoli persone provenienti da ogni angolo del mondo, tutti
venuti lì per vedere coi propri occhi lo splendore senza fine della città
sull’acqua.
«Meraviglioso!»
disse Nadeshiko spalancando le braccia «Ancora non mi sembra vero, siamo a
Venezia!»
«Anche a me sembra
incredibile.» disse Keita mettendosi una mano sulla fronte «Accidenti,
guardate che sole. Sembra di stare in spiaggia.»
«Sarà una vacanza
eccezionale, ne sono sicuro.» disse Shinji.
Nello stesso
momento, allo scalo marittimo poco distante dalla piazza, un ragazzo dall’aria
misteriosa scendeva da un taxi acquatico; con sé aveva una coppia di gatti, due
splendidi esemplari tigrati di un colore marrone chiaro con striature un po’
più scure e le punte delle orecchie tendenti quasi al bianco, che pur non
essendo né legati né chiusi in una gabbia lo seguivano stando pochi passi
dietro di lui.
Vestiva in modo insolito
per quella stagione, con scarpe da ginnastica, un paio di jeans blu, una maglia
bianca, probabilmente a maniche corte, e una sorta di giacca rossa e nera con
il collo piuttosto pronunciato.
Qualche istante
dopo essere sceso, il ragazzo ebbe l’impressione di sentire una voce nella sua
testa; era una voce femminile, da ragazzina,
squillante e carica di vigore.
«È
inaudito! I prezzi di questa città uccidono! Da quando in qua un taxi si paga così tanto?»
«Non è questo il
momento di pensare a simili banalità.» rispose un’altra voce, anch’essa da
giovane ragazza, ma più pacata e riflessiva
«Piuttosto, lo percepite anche voi?»
«Perfettamente.»
disse il ragazzo «È qui, e il suo potere è a dir poco eccezionale.»
«Meglio così.»
disse la voce energetica «Ci sarà da divertirsi.»
«Lotte, questo non
è un allenamento, né tanto meno un gioco.» replicò la voce riflessiva con tono
di rimprovero «Sarà meglio localizzarlo in fretta, non sei d’accordo Toshio?»
«Assolutamente.
Ma sarà necessario occuparsi anche del suo famiglio.
Avverto la sua presenza qui vicino, e anche lui non
scherza in quanto a potenzialità».
Perennemente
seguito dai due gatti il ragazzo si incamminò verso la
piazza, e mentre saliva lungo una piccola scalinata incrociò Nadeshiko; questa,
passandogli accanto, inciampò su un gradino, rischiando di cadere, ma lui
prontamente la afferrò per un braccio.
Nel momento esatto
in cui la toccò, una sensazione stranissima gli attraversò il corpo da una
parte all’altra, come un leggero torpore, che però scomparve subito nel momento
in cui Nadeshiko alzò lo sguardo verso di lui; se la ragazza avesse guardato il
suo pendente, si sarebbe accorta che questo aveva, nuovamente, brillato per
qualche istante.
«Signorina.
Si è fatta male?»
«Io…» balbettò
lei, come cadendo dalle nuvole «No, tutto a posto.»
«Ehi, Nadeshiko!»
gridò Keita facendole dei segni dall’ingresso dell’imbarcadero «Sbrigati, il
traghetto sta partendo!»
«Sì, arrivo!»
rispose lei, che poi si girò nuovamente verso l’altro ragazzo «La ringrazio
dell’aiuto.»
«Di nulla».
Toshio la seguì
con lo sguardo fino a che non la vide scomparire all’interno del vaporetto, e
anche quando il battello si mise in moto stette
immobile a fissarlo.
«Ehi, che ti
prende?» domandò la voce chiamata Lotte «Qualcosa non va’?»
«Cosa!? No, niente. È tutto a posto.»
«Hai già visto
quella ragazza?» chiese l’altra
«No,
non mi pare. Comunque, non è questo il momento per pensarci. Voi due,
dividetevi e cercate di localizzare il famiglio. Non credo sia molto lontano.»
«Agli ordini capo.»
rispose Lotte «E se lo troviamo, come dobbiamo comportarci?»
«Non
fate nulla. Limitatevi a tenerlo d’occhio. Io intanto mi concentrerò sul mio
avversario.»
«D’accordo.
Andiamo, Lotte!»
«Ehi, aspettami!».
I due gatti a quel
punto scattarono in avanti uno dietro l’altro, separandosi subito dopo un ponte
e dirigendosi in opposte direzioni. Toshio si girò nuovamente verso il
vaporetto, ormai completamente scomparso, chiedendosi per un attimo cosa fosse
stata la sensazione che lo aveva attraversato quando aveva sfiorato quella
strana ragazza, poi però, cacciato via quel pensiero, prese a camminare senza
meta per i calli della città, come alla ricerca di qualcosa.
Il battello condusse i ragazzi direttamente davanti al
loro albergo, un hotel a tre stelle senza grandi pretese situato lungo quella
che i veneziani chiamavano Riva degli Schiavoni.
Recuperate rapidamente le proprie valigie che un apposito
battello da carico aveva portato lì direttamente dall’aeroporto i quattro salirono
nelle rispettive camere; per esigenze di privacy Nadeshiko si era vista
assegnare una stanza tutta sua, e così sarebbe stato per tutte le altre
destinazioni da lì alla fine del viaggio. Anche Takeru però aveva insistito per
starsene in disparte, mentre Shinji e Keita non si erano fatti problemi a
dividere la stessa camera, cosa che avevano già fatto durante il viaggio
scolastico a Kyoto di qualche mese prima.
Disfate
le valigie, e al termine di un bagno ristoratore, i tre inseparabili compagni
si prepararono per la loro prima uscita; passarono anche a chiamare Takeru, ma
aperta la porta della sua stanza lo trovarono disteso sopra il letto ancora
fatto con le mani dietro la testa e gli occhi chiusi.
«Ehi Takeru, noi
andiamo a visitare la città.» disse Nadeshiko «Vuoi venire anche tu?»
«Oggi non mi va’.» rispose lui girandosi di lato e dando loro le spalle
«Un’altra volta magari».
Keita cercò di
parlargli nuovamente, ma Nadeshiko gli fece segno di lasciarlo in pace, quindi
i tre lasciarono la camera, scendendo nella hall.
«Perché venire a
fare un viaggio dall’altra parte del mondo per poi starsene chiusi in albergo?»
domandò Shinji mentre uscivano all’esterno
«E dai, lascialo
stare.» disse Nadeshiko «Lo conoscete, lui è fatto
così. Vedrete che domani cambierà idea.»
«Per
ora non pensiamoci più e andiamo a divertirci. Abbiamo tante cose da vedere, e
solo due giorni per poterlo fare».
La prima tappa del
loro giro turistico fu, ovviamente, la leggendaria Piazza San Marco; avrebbero
potuto raggiungerla tranquillamente a piedi, ma perché rinunciare ad un nuovo giro in battello, una cosa così insolita per la
loro terra di origine?
Il viaggio durò
solo pochi minuti, e appena posarono nuovamente i piedi sul selciato
i tre ragazzi rimasero con gli occhi all’insù e le bocche spalancate in
un’espressione di indicibile meraviglia: quella piazza era immensa, e di una
bellezza incomparabile.
Trasudava storia e
misticismo da ogni suo anfratto, e anche se il continuo andirivieni di turisti
le toglieva molto del suo fascino la maestosità che era stata pensata
probabilmente per lei non ne aveva minimamente
risentito.
La prima meta del
giro turistico fu, senza ombra di dubbio, il
famosissimo campanile, non molto alto rispetto ai molti di cui l’Italia era piena,
ma di sicuro uno dei più spettacolari; poiché la scala a chioccia che saliva
lungo la parete era ormai troppo vecchia e danneggiata l’unico modo per salire
era l’ascensore, ma a causa sia del numero limitato di posti sia della
necessità di pagare la salita c’era sempre una gran coda, e quel giorno non era
diverso.
Keita e i suoi
amici dovettero aspettare quasi un’ora per riuscire finalmente a prendere
l’ascensore, ma la vista che trovarono una volta
raggiunta la cima valeva bene la fatica fatta; complice il tempo stupendo, Venezia
appariva in tutto in tutto il suo incommensurabile splendore.
Alle case semplici
della gente comune facevano eco le ville fastose e lussureggianti dei nobili,
concentrate soprattutto nei luoghi più aperti e appetibili, come il famoso
Canal Grande, che tagliava in due la città e l’intricato insieme di isole sulle quali essa sorgeva, collegate tra loro da
centinaia di ponti, alcuni piccoli e quasi invisibili altri di bellezza
disarmante, come il famoso Ponte di Rialto.
Lontano, oltre il
mare, erano visibili le altre isole famose che costituivano l’arcipelago della
laguna veneta, soprattutto la
Giudecca, Murano e Burano, famose
rispettivamente per la chiesa del Redentore, la lavorazione del vetro e i
merletti.
Nadeshiko era
meravigliata: neppure nei suoi sogni più lussureggianti e fantasiosi aveva mai
immaginato di vedere un simile spettacolo, e con la sua fotocamera scattava
valanghe di fotografie; anche Shinji e Keita, affacciati dalla parte opposta,
facevano altrettanto, ma lei, a differenza di loro, aveva anche qualcos’altro
per la testa. Per qualche strana ragione, infatti, non le riusciva di non
ripensare al misterioso ragazzo incontrato all’imbarcadero, e alla strana
sensazione che l’aveva attraversata nel momento in cui si erano toccati; era
certa di non averlo mai visto, ma, non sapeva perché, il suo volto aveva un che
di famigliare, come se in un modo o nell’altro lo avesse già incontrato.
Anche la sua voce,
così profonda, così gentile, ma carica di una strana
malinconia, le era suonata famigliare, quasi l’avesse sempre sentita.
Lo spettacolo
offerto da Venezia era troppo grande per poter essere
ignorato, e così Nadeshiko, accantonati momentaneamente quei pensieri, riprese
a scattare foto di qualsiasi cosa le capitasse a tiro.
Conclusa la visita
al campanile, la tappa successiva fu il Palazzo Ducale, situato proprio di
fronte, e anche lì fu necessario fare una lunga fila
prima di poter entrare, ma come era accaduto la prima volta il frutto di più di
mezz’ora di attesa sotto il sole cocente si rivelò ben spesa.
L’antica residenza
del doge, sede del potere politico, istituzionale e giuridico dell’antica
Repubblica, era un trionfo di affreschi, grandi scalinate in
marmo, volte d’oro massiccio, lampadari pregiati e stanze così grandi che
guardare il soffitto faceva venire il mal di testa.
Tutto lì dentro
era così sfarzoso, così maestoso, che Keita e gli altri non riuscivano a
credere ai loro occhi, e si domandavano come sarebbe stato visitare quei luoghi
lussureggianti all’epoca in cui la Serenissima risplendeva in tutto il suo potere.
Furono necessarie
diverse ore per poter visitare l’intero edificio, e
quando i tre ragazzi uscirono dalla loro terza meta, la sfavillante Basilica di
San Marco, ormai era pomeriggio inoltrato.
«Questa città è
davvero stupenda.» disse Keita facendo scorrere le immagini della sua
fotocamera «Mai visto niente del genere.»
«E questo non è che l’inizio.» disse Shinji «Venezia è solo la prima
delle tante tappe che questo viaggio ci offre. Poi verranno Vienna, Parigi,
Madrid e infine Roma.»
«Nadeshiko, non ti
ringrazieremo mai abbastanza per aver voluto dividere
la tua vincita con noi.»
«Figuratevi,
per così poco. Siamo amici, no? E poi, onestamente, venire con mamma e papà non
sarebbe stato lo stesso.»
«Sentite, ora dove andiamo?» domandò Shinji «Ormai qui abbiamo visto
tutto.»
«Che
ne dite delle gallerie dell’Accademia? O di Villa Contarini?».
Nadeshiko prese la
guida di Venezia comprata all’aeroporto e l’aprì;
c’era davvero l’imbarazzo della scelta.
«Ci
sono così tante possibilità. Ci vorrebbe almeno una settimana per vedere tutto.»
«È la parte
spiacevole di questo tipo di viaggi.» disse Keita «Avendo
poco tempo a propria disposizione, bisogna scegliere con cura i luoghi da
visitare.
Ad
ogni modo Nadeshiko, hai vinto tu la vacanza, quindi è giusto che sia tu a
decidere.»
«Beh,
se proprio insistente… in tal caso, vada per il Museo Correr. È subito fuori
della piazza, e dicono che sia pieno di opere meravigliose.»
«E allora forza,
in marcia.» disse Shinji alzando il pugno «Verso la prossima meta!»
«Sì!» gli fecero
eco i suoi amici.
Non appena il sole scomparve oltre l’orizzonte, lasciando
il posto ad una splendida notte, Venezia si illuminò
come un immenso albero di natale; l’estate e il bel tempo permettevano ai
negozi di rimanere aperti fino ad ora tarda, e le calli, malgrado fossero quasi
le undici, brulicavano ancora di turisti in cerca di qualche souvenir o magari
intenti a cenare in uno degli innumerevoli ristoranti affacciati sui canali.
Malgrado ciò,
tuttavia, alcune zone della città rimanevano immerse nel buio e nel silenzio
più assoluto, degni della più lugubre delle città fantasma.
Per una di queste
zone si muoveva Toshio, silenzioso e quasi invisibile nel suo procedere lento,
a testa bassa, simile a sua volta ad un fantasma.
Camminando
nell’indifferenza più assoluta, raggiunse ad un certo
punto, tramite una stretta stradicciola, una piazza non molto grande, con un
pozzo al centro circondato da tre aiuole e qualche panchina sparsa qui e lì, circondata
su tre lati da alti edifici e sul quarto dalla facciata di un’imponente chiesa
seicentesca.
Come fulminato, il
ragazzo spalancò gli occhi e li alzò verso l’alto, scorgendo, in cima alla
suddetta chiesa, una figura oscula e longilinea che, all’apparenza, poteva
sembrare una statua, ma che egli identificò subito come l’oggetto della sua
ricerca.
Sembrava avere
qualcosa in mano, o dietro la schiena, una specie di asta, lunga e sottile.
«Era ora che arrivassi.»
disse con voce fortemente malevola e ironica «Mi
domandavo quanto ancora ci avresti messo.»
«Fossi in te non avrei tutta questa fretta di cominciare.» rispose
Toshio ostentando sicurezza
«Guarda
un po’, abbiamo qui un aspirante eroe. Non fare il passo più lungo della gamba,
non ti conviene.»
«Tu invece sembri
un po’ troppo sicuro di te.»
«Come
preferisci. Quando avrò finito con te rimpiangerai il
momento in cui mi hai parlato così.
Che inizi il
divertimento».
Quello in cima
alla chiesa schioccò le dita, e immediatamente, parecchi metri al di sopra della piazza, si accese una grande luce color
lilla che incominciò quasi subito ad assumere le fattezze di una cupola
colossale, ingigantendosi sempre più.
Keita, Shinji e
Nadeshiko in quel momento erano seduti attorno al
tavolino di un bar e stavano cercando di smaltire con delle bibite digestive la
cena colossale che si erano concessi in un ristorantino nei pressi
dell’università, parlando tra di loro di tutte le meraviglie viste quel giorno,
quando, senza rendersene conto, si ritrovarono all’interno della cupola, che
crebbe fino a raggiungere un diametro di circa seicento metri, inglobando al
suo interno tutta la zona tra Piazza San Marco e le porte dell’Arsenale, oltre
ad una buona fetta di spazio marino.
Nessuno,
all’esterno, sembrò accorgersi della sua improvvisa comparsa, e tutti
continuavano a svolgere le proprie occupazioni come se nulla fosse successo.
Keita e gli altri,
già attoniti per ciò che stava succedendo, si accorsero ben presto che tutto,
attorno a loro, sembrava essersi come cristallizzato, fissandosi nello scorrere
del tempo come una gigantesca fotografia; persone, animali, persino le bibite
nei bicchieri: tutto era perfettamente immobile, non soffiava neppure il vento
e persino la temperatura sembrava diversa. Solo i tre ragazzi sembravano essere
immuni alla paralisi.
«Che sta
succedendo?» domandò Shinji balzando in piedi
«Non ne ho idea.»
rispose Keita «Ma che cos’è questa strana luce viola?».
Loro non lo
sapevano, ma anche l’albergo nel quale alloggiavano era stato raggiunto da
quella luce; ancora chiuso nella sua stanza, fino a pochi attimi prima Takeru
sembrava stare dormendo, ma nell’istante in cui la cupola lo richiamò dentro di
sé lui subito spalancò gli occhi, sedendosi sulle
coperte e mettendosi sul chi vive.
«È cominciata.»
disse tra sé, quindi, alzatosi, recuperò la spada da sotto il letto.
Intanto Keita e i
suoi amici, alla ricerca di un modo per uscire da quella situazione, avevano
preso a camminare senza meta tra i vicoli di Venezia, constatando
che tutto intorno a loro la scena era sempre la stessa; qua e là, fra le gente
immobilizzata, si vedevano strani anelli fluttuanti che girando lentamente su
sé stessi sembravano fatti di evanescenti simboli simili a delle rune; c’erano
anche delle fiammelle, che ricordavano molto i fuochi fatui.
Il loro girare
freneticamente e senza meta li condusse dopo poco in una callettastretta dove sentirono, molto vicini, una serie di
rumori concitati.
«Che cos’è?» domandò
Nadeshiko cercando di aguzzare l’udito.
Era come se due
oggetti metallici cozzassero violentemente tra di loro, ma si sentivano anche il tipico rumore prodotto da degli
spostamenti d’aria particolarmente forti.
Indipendentemente
da cosa potesse trattarsi, quella era comunque la prova sicura che c’era
qualcun altro oltre a loro immune al blocco del tempo, qualcuno che magari
poteva aiutarli ad uscire, quindi i ragazzi, senza
esitazione, cominciarono a correre in direzione dei rumori.
Corsero per un
paio di minuti, poi, al termine di quello che sembrava un tunnel senza fine,
formato dalla sovrapposizione di un edificio con la stradina sottostante, raggiunsero una piazza dominata da una vecchia chiesa
palladiana, e subito le loro bocche si spalancarono per lo stupore.
Al centro, poco
distante dal pozzo, due giovani, probabilmente loro coetanei, si stavano
battendo furiosamente tra di loro impugnando delle armi molto strane; uno dei
due, che Nadeshiko riconobbe subito come il ragazzo incontrato quella mattina
all’imbarcadero, impugnava una spada interamente d’oro, una kopesh egizia per l’esattezza, l’altro invece una lunga lancia rosso sangue
che pareva fatta interamente di metallo, con una lama lunga e stretta,
seghettata alla base su entrambi i lati.
Quest’ultimo era leggermente più alto, aveva
lunghi capelli color blu oltremare raccolti con un anello d’oro alla base della
nuca in una lunga coda che scendeva fino a metà della schiena e occhi rossi;
anche la sua veste era blu, una sorta di abito da battaglia piuttosto aderente
sormontato da una coppia di spalline e da una cintura, entrambe d’argento.
«Chi sono quei due?» domandò Keita.
Senza pensare minimamente all’idea di
scappare, forse perché estasiati dall’agilità e dalla potenza di quei due guerrieri,
i cui colpi erano così potenti da far rimbombare l’aria come solo un colpo di
cannone avrebbe saputo fare, i tre amici corsero a nascondersi dietro una delle
panchine più lontane, da dove avrebbero potuto seguire lo scontro in relativa
sicurezza.
Agli attacchi agili e ripetitivi del lanciere
il giovane spadaccino rispondeva con la propria solida difesa, facendo guizzare
di tanto in tanto in avanti la sua lama e costringendo così l’avversario ad interrompere la catena di assalti per mettersi sulla
difensiva.
Qualche minuto dopo che Keita e gli altri
erano arrivati i contendenti si allontanarono l’uno
dall’altro per concedersi una tregua; malgrado il caldo torrido e il grande
sforzo sostenuto nessuno dei due sembrava accusare sintomi di stanchezza, e
anzi continuavano a scrutarsi vicendevolmente senza abbassare la guardia.
“Il moccioso ci sa fare.”
“Questo tipo non scherza.”
«Lo ammetto, ti avevo sottovalutato!» disse
il lanciere con una certa soddisfazione «Il tuo
temperamento merita la mia presentazione. Il mio nome è Atarus, dei McLoan!»
«Il codice d’onore
del torneo mi obbliga a risponderti. Io sono Toshio di Nepthis.»
«La tua
presentazione è del tutto fuori luogo. Avevo capito chi eri nel momento stesso
in cui hai materializzato la tua spada.»
«Lo stesso vale per
te. Solo i McLoan sanno maneggiare una lancia con
tanta maestria.»
«Lo prendo come un complimento».
Atarus a quel punto assunse una posizione
molto strana, divaricando molto le gambe e rivolgendo la punta della sua lancia
verso terra; questa, dopo poco, cominciò a circondarsi di una sinistra luce
rossa.
«Visto che questo è
il primo incontro del torneo, ti andrebbe di chiuderla in parità?»
«Mi spiace, non mi piace lasciare le cose a
metà.»
«Il mio scopo era
solo quello di portare allo scoperto il mio avversario e saggiare le sue
capacità. Ma visto che mi sembri tanto sicuro di te,
non mi pare il caso di tirarla per le lunghe».
Toshio era nervoso, e si manteneva a
distanza, pronto a respingere un qualsiasi attacco; a giudicare dalla grande
quantità di energia che stava riversando sulla punta della sua lancia, Atarus
era più che determinato a mettere fine all’incontro con quell’ultimo colpo,
quindi, se fosse riuscito a respingerlo, sicuramente si sarebbe portato in vantaggio.
Il lanciere, improvvisamente, scattò in avanti,
veloce come un proiettile; il suo attacco fu talmente fulmineo che tutto quello
che Toshio poté fare per evitarlo fu spostarsi
lateralmente, una manovra che comunque si rivelò sufficiente. Purtroppo però,
l’attacco non era ancora finito; arrivato alle spalle dell’avversario, Atarus
si fermò, si girò nuovamente verso di lui e riassunse la stessa posizione di
prima, ma la luce attorno alla lancia divenne di colpo ancor più luminosa, e
sotto i suoi piedi si generò, in un istante, un simbolo simile ad un circolo magico, le cui linee erano composte, a loro
volta, da una luce rosso sangue.
Al suo interno era raffigurata una stella a
otto punte, circondata da alcuni simboli arcani simili a quelli che Keita e i
suoi amici avevano visto fluttuare per le strade di Venezia.
STORMBRINGER
Toshio rispose a questo nuovo
colpo saltando all’indietro, ma ciò nonostante la lama della lancia sembrò
quasi inseguirlo, e alla fine, malgrado il suo
spostamento repentino, il ragazzo venne colpito al fianco destro e trapassato
da parte a parte.
Il dolore fu tanto forte da farlo gridare,
questo malgrado fosse visibilmente abituato a situazioni di quel tipo; la sua
spada, per il forte contraccolpo, gli scivolò via di mano, e lui cadde in
ginocchio tenendosi la ferita.
«Co… com’è
possibile? Ero certo… di averlo schivato…».
Malgrado il suo
colpo fosse andato a segno, il sorriso ironico di Atarus lasciava intendere che
neppure lui era tanto soddisfatto.
«Ritieniti fortunato.» disse mentre il
circolo attorno a lui si stringeva fino a scomparire «A
questo colpo di solito non si sopravvive. Stormbringer
è in assoluto la tecnica più veloce fra tutte quelle usate dalle sette tribù.»
«Stormbringer…»
balbettò Toshio, che subito dopo sgranò gli occhi per lo stupore «Non sarà che…»
«Dalla tua
espressione, deduco che tu abbia capito. Questa lancia è Valkyria,
l’arma divina forgiata direttamente da Odino. Al momento della sua nascita è
stata bagnata nel sangue di un drago, e questo le ha conferito, oltre che una
straordinaria durezza, anche la velocità del vento.»
«Valkyria… un’arma
divina… come la mia spada.»
«Tutto sommato ti
sei dimostrato un degno avversario, per quanto questo combattimento sia stato
anche troppo breve. Per dimostrarti che riconosco la tua bravura, ti
risparmierò inutili sofferenze trafiggendoti il cuore».
Atarus alzò dunque la sua lancia per vibrare
il colpo fatale, seguito dagli sguardi preoccupati e spaventati dei tre
spettatori, ancora nascosti dietro alla panchina.
«E adesso che sta facendo?» domandò Keita
«Temo stia per dargli il
colpo di grazia.» rispose Shinji.
Nadeshiko, spinta da
qualcosa che neppure lei forse riusciva a spiegarsi, cercò di balzare fuori dal
suo nascondiglio, forse per cercare di fermarli; subito i suoi compagni la
tirarono verso il basso, ma lei, inavvertitamente, colpì una lattina vuota
accanto a lei, che col suo rotolare metallico interruppe il silenzio irreale
che si era venuto a creare.
«Incredibile.» disse Atarus girandosi, non
senza una certa sorpresa, in direzione del rumore «A quanto pare c’è qualcuno
in grado di muoversi all’interno del Fuuzetsu».
Toshio, che da inginocchiato era ora riverso
a terra quasi svenuto, sembrava colpito quanto lui, ma
vedendo il sorriso malevolo sul volto del suo avversario si spaventò a morte.
«Resta qui e mettiti comodo.» gli disse il
lanciere «A te penserò dopo».
I tre ragazzi non avevano il coraggio di
guardare di fuori, e si facevano vicendevolmente segno di rimanere in silenzio,
domandandosi, forse, cosa mai li avesse spinti a cacciarsi in una situazione
così dannatamente pericolosa.
«Pensate che ci abbiano sentiti?»
chiese Keita a voce così bassa da risultare impercettibile persino per lui.
La risposta alla sua domanda venne nel
momento in cui la panchina, un esemplare in pietra ricavato da un unico blocco
di granito, venne tagliata a metà in verticale da un
colpo di lancia di Atarus per poi sgretolarsi in mille pezzi.
«Guarda, guarda.»
disse il lanciere osservando i loro sguardi terrorizzati «Abbiamo qui tre bei
curiosoni».
Keita e gli altri, nell’istinto di evitare la
lancia, balzarono in piedi, rimanendo però bloccati per la paura subito dopo.
«Non avrei mai
immaginato di incontrare qualcuno capace di eludere gli effetti del Fuuzetsu.
Dovete essere dotati di un circolo magico particolarmente sviluppato per essere
in grado di fare una cosa del genere».
Nessuno dei tre aveva la minima idea di che
cosa quel tipo stesse parlando, ma il suo sorriso malefico, accompagnato da un
ridacchiare sommesso, non lasciare presagire nulla di buono.
«Non vi dispiace se me li prendo io, vero?».
Il fatto che stesse rivolgendo la sua lancia
verso di loro non lasciava dubbi sulle sue intenzioni, e i ragazzi avevano
conservato abbastanza autocontrollo per sapere che una fuga sarebbe stata del
tutto inutile.
Shinji fu il primo ad accennare una reazione,
e scattato in avanti girò su sé stesso; il calcio in
rotazione che assestò ad Atarus era uno dei suoi cavalli di battaglia nei tornei,
e nonostante ciò il lanciere lo parò senza alcuna difficoltà, afferrando
saldamente la caviglia del ragazzo quando era a pochi centimetri dal suo viso.
«Ma cosa…» disse
Shinji sgomento
«Mi dispiace» rispose Atarus sorridendo
leggermente «Ma ti occorrerà qualcosa di più che un misero
calcio per confrontarti con me.» quindi, con una forza a dir poco
impressionante, sollevò Shinji da terra come fosse stato una piuma,
scaraventandolo con forza contro la parete di una casa vicina.
Un simile colpo sarebbe risultato
più che sufficiente per spezzare la colonna vertebrale, ma per chissà quale
miracolo il ragazzo se la cavò con un semplice svenimento.
«Shinji!» disse Nadeshiko
«Chi è il prossimo?».
Keita, istintivamente, si parò in difesa
dell’amica, e dopo averle intimato di fuggire si lanciò a sua volta addosso al
nemico cercando di colpirlo; Atarus, rimanendo addirittura ad
occhi chiusi, afferrò il pugno nella propria mano, stringendolo con una forza
tale che Keita quasi pianse per il dolore.
«Terribilmente… patetico.» disse il lanciere,
che assestatagli una ginocchiata allo stomaco lo spedì a sua volta a sputare
sangue sul selciato.
Rimase così solo Nadeshiko, che terrorizzata
come non mai rimase immobile ad osservare quella
specie di mostro mentre si avvicinava a lei; solo quando gli fu praticamente
addosso accennò una fuga, ma lui, afferratala per il polso destro, la sollevò
di peso per parecchi centimetri, quindi, appoggiatale la punta della lancia
alla spalla sinistra, incise un minuscolo solco.
«Avanti. Fammi dare un’occhiata al tuo circolo magico».
Dalla ferita sgorgò una riga di sangue, che
come un serpente sinuoso percorse lentamente il braccio, raggiunse la mano
quindi lasciò cadere a terra alcune gocce dal dito indice. Dopo poco, sul terreno
sopra Nadeshiko, andò formandosi rapidamente un circolo magico di colore rosa
intenso formato da due cerchi concentrici con al
centro due stelle a cinque punte una sotto l’altra con le punte l’una opposta
all’altra all’interno inscritte all’interno di una specie di grande rosa dei
venti con una runa sulla sommità di ogni punta; infine, due figure, un sole e
una falce di luna, stavano l’uno di fronte all’altra a destra e a sinistra
delle due stelle.
Atarus guardò quel disegno con una punta di
stupore.
«Davvero notevole.
Era da un pezzo che non vedevo un circolo magico talmente complesso. Posso solo
immaginare che razza di potere debba racchiudere».
Guardò quindi Nadeshiko con occhi iniettati
di sadismo.
«Deve essere mio!».
Il lanciere alzò l’arma per infliggere il
colpo fatale, ma prima che potesse riuscirci una
presenza alle sue spalle lo costrinse a mollare la ragazza e a girarsi di
scatto per parare un colpo di spada.
Ad attaccarlo era stato Toshio, ripresosi
improvvisamente.
«Non ti è ancora bastato?» domandò Atarus
ingaggiando con lui uno scontro di forza.
Il ragazzo non rispose, e allontanatosi
momentaneamente ripartì all’attacco quasi subito, costringendo Atarus a restare
in difesa.
La ferita che il lanciere aveva inflitto a
Toshio sembrava scomparsa, e malgrado i vestiti del
ragazzo fossero sporchi di sangue tutto ciò che appariva sotto di essi era una
semplice cicatrice.
“Bastardo.” pensò Atarus “Possiede la
capacità di rigenerarsi”.
Malgrado ciò, tuttavia, la forza di Toshio
risentiva comunque di un colpo potente come lo Stormbringer,
e il suo attaccare continuo finì per fargli consumare rapidamente le sue ultime
energie; a quel punto Atarus non dovette fare altro che colpirlo violentemente
al mento con l’asta della lancia, sparandolo in aria per poi farlo precipitare
a terra con una forza tale da provocare un solco nelle mattonelle.
Il nemico aveva così tanti bersagli attorno a
sé da non sapere neppure su quale concentrarsi per primo, poi decise di cominciare
da Keita, quindi cominciò a camminare lentamente verso di lui, ma proprio
quando era ad un passo avvertì nuovamente la
sgradevole sensazione di avere qualcuno dietro le spalle che minacciava la sua
persona; giratosi, mise la lancia in orizzontale, parando, non senza qualche
difficoltà, un poderoso colpo di spada, così forte da fargli scricchiolare le
ossa delle dita.
«Takeru!» esclamò Nadeshiko riconoscendo nel
volto del nuovo arrivato quello del suo compagno di viaggio
«E tu chi diavolo
saresti?» domandò Atarus.
Invece di rispondere Takeru mise ancor più
forza nel suo colpo, tanto che alla fine Atarus si vide costretto a saltare
all’indietro dopo aver respinto violentemente la katana del nemico con uno
scatto rabbioso; questo, tuttavia, non gli impedì di tornare a combattere dopo
poco.
Takeru si stava rivelando un combattente
davvero eccezionale, ma quello, a giudicare dall’espressione accigliata che gli comparì sul viso dopo qualche minuto, rischiava di
essere un avversario al di là delle sue attuali possibilità, o comunque contro
il quale i sistemi convenzionali sarebbero stati del tutto inutili.
«Ora basta!» si sentì urlare all’improvviso,
un urlo così forte e intimidatorio che i due contendenti smisero all’istante di
azzuffarsi, girandosi assieme a tutti gli altri presenti, compresi Keita e
Shinji, ripresisi in quel momento, nella direzione da cui era venuto.
Dal nulla, in un angolo della piazza, accanto
alla stradina d’ingresso, era comparso un bestione di sacerdote grosso come un
toro, alto forse più di due metri e con una massa muscolare degna di un
campione di boxe. La veste sacerdotale che indossava era un po’ insolita,
composta non da una semplice tonaca ma da giacca e calzoni, oltre al classico
colletto bianco; portava anche una lunga giacca a due livree che scendeva fin
quasi alle caviglie, un paio di guanti bianchi, scarpe nere di fattura
piuttosto pregiata e il classico crocifisso, un
bell’esemplare in oro massiccio legato da una lunga catenina dello stesso
materiale.
Ciò che incuteva maggior paura, però, era il
suo viso, che tutto poteva sembrare fuorché quello di un sacerdote; i capelli,
biondo paglierino, erano corti e dritti, un taglio più adatto ad un soldato che ad un uomo di chiesa; gli occhi, azzurri,
scintillavano come quelli di un gatto, seguitando ad osservare carichi di
rimprovero e di ammonimento, da dietro un paio di occhiali rotondi da vista,
tutto ciò che si parava dinnanzi ad essi.
Poteva avere tra i quarantacinque e i
cinquant’anni, ma anche se fosse stato più anziano
questo non avrebbe minimamente sminuito il senso di soggezione che incuteva la
sua figura.
«Questo combattimento è durato anche troppo.»
disse non appena fu certo di avere tutti gli occhi addosso «Smettetela subito!»
«Ma non dire idiozie!» replicò Atarus; tutti però non faticarono a scorgere una certa scarsità di
convinzione in quel suo tono spavaldo «Il combattimento è appena iniziato!».
Il sacerdote guardò il lanciere con occhi
ancor più severi, quindi indicò verso l’alto con la punta dell’indice.
«Il tuo Fuuzetsu
ormai si sta esaurendo. Se continuerai a combattere anche dopo che il Fuuzetsu
sarà svanito andrai incontro ad una violazione del
regolamento, e di conseguenza alla squalifica.»
«Parlando di
violazioni, i combattimenti non dovrebbero essere uno contro uno? Avrei
ammazzato quello spadaccino da quattro soldi secoli fa, se questi mocciosi non
si fossero intromessi.»
«Tu avresti potuto infliggere il colpo
mortale al tuo avversario in qualsiasi momento, e di occasioni per farlo ne hai
avute parecchie. Se non le hai sfruttate, è solo colpa
tua. Per quel che riguarda questi ragazzi, essi sono estranei al torneo, e non
hanno fatto altro che difendersi dai tuoi attacchi. Di conseguenza, non c’è
stata alcuna violazione».
Atarus digrignò i denti, manifestando uno
sguardo di odio puro, poi però, incredibilmente, abbandonò la posizione da
battaglia.
«E va’ bene, per
questa volta vi è andata bene».
Ad un suo secondo
schiocco di dita la cupola che avvolgeva Venezia prese a scomparire con la
stessa velocità con la quale si era materializzata, ed il tempo nello spazio
che aveva occupato fino ad un attimo prima ricominciò a seguire il suo corso
come se nulla fosse accaduto.
Dall’alto di un campanile, una figura
misteriosa assistette all’evento seduta sul cornicione, con le gambe
allegramente distese su di uno strapiombo di decine di
metri; la fitta oscurità nascondeva quasi del tutto i suoi lineamenti, ma
appariva abbastanza chiaro che fosse un uomo e che portasse un paio di
occhiali.
«A quanto pare» disse tra sé e sé con voce da
adolescente «Il primo incontro di questo torneo è già finito».
Non appena la cupola fu completamente
scomparsa Atarus voltò le spalle a Takeru e mosse un paio di passi.
«Fermo!» gli intimò Toshio, rimessosi
nuovamente in piedi «La nostra sfida non è ancora finita».
Il lanciere allora si fermò, girandosi
leggermente verso di lui.
«Ringrazia il cielo
che lo sia. Se non fosse stato per questi quattro rompiscatole, a quest’ora
saresti già morto. Ma non preoccuparti, tornerò molto presto.
E anche voi mocciosi, fareste meglio a guardarvi le spalle d’ora in avanti».
A quel punto, con un solo salto, Atarus
raggiunse il tetto di uno dei palazzi, scomparendo inghiottito dal buio.
«Ci rivedremo!».
Quando se ne fu andato Toshio, che in realtà
di forza per combattere ne aveva ben poca, cadde in ginocchio, e la spada che
aveva tra le mani scomparve nel nulla, tramutandosi in un pulviscolo dorato che
dopo poco scomparve a sua volta.
«Keita, Shinji!» disse Nadeshiko correndo ad
aiutare i suoi compagni, che a stendo riuscivano a
stare in piedi «State bene?»
«Sopravvivrò.» rispose Shinji col suo solito
spirito «E tu, Keita?»
«Sì, niente di rotto».
Appena Toshio alzò gli occhi
vide quel sacerdote gigantesco che lo sovrastava come una montagna, osservandolo
dall’alto della sua gigantesca figura. Il suo sguardo era, se possibile, ancor
più minaccioso di prima.
«Avresti dovuto fare
maggior attenzione. I lancieri di McLoan non sono
avversari da prendere sottogamba.»
«Io… mi dispiace…»
«Non pensare neppure
per un istante che lo abbia fatto per te. Se il Fuuzetsu non fosse stato sul
punto di esaurirsi, non credo che sarei intervenuto.»
«Ne sono consapevole.»
«D’ora in avanti cerca di essere meno
impulsivo».
Takeru, rinfoderata la spada, rimaneva per
conto suo, poi venne raggiunto a sua volta dal
sacerdote; i due si osservarono in silenzio per lunghi secondi, senza lasciar
trapelare alcuna missione.
«Come guerriero sei
estremamente capace.» disse ad un certo punto il religioso «Riuscire a
tenere testa ad uno dei sette partecipanti al grande torneo non è cosa da
tutti.»
«Faccio quello che posso.»
«Ti devo
ringraziare. Se non fosse stato per te, le conseguenze di questo scontro
avrebbero potuto essere tragiche.»
«Non serve che mi ringrazi.» rispose
bruscamente Takeru «Ciò che ho fatto non l’ho fatto
per aiutare qualcuno».
Il sacerdote non sembrò trovare quel commento
offensivo, o comunque in qualche modo irrispettoso, quindi, congedatosi anche
da Takeru, si avvicinò ai tre amici, che fra tutti erano sicuramente quelli più
confusi e spaventati. Forse voleva essere amichevole, ma il suo solo aspetto,
così massiccio e minaccioso, era più che sufficiente per mettere loro ancor più
soggezione.
«Mi dispiace che
siate rimasti coinvolti in tutto questo.
Venite con me. Ci sono molte cose delle quali
dobbiamo parlare».
Nota dell’Autore.
Salve a tutti!
Mi scuso per i tempi
madornali di aggiornamento, ma come avevo detto nel prologo prima di continuare
questa storia ho voluto portarmi un po’ avanti con un’altra; da adesso in poi però gli aggiornamenti saranno più frequenti, e i
capitoli, se possibile, un po’ più lunghi (devo dire che questo non mi è
particolarmente piaciuto, in quanto a stesura).
Ringrazio Selly, Akita, Cleo92 e Lewsky per le loro recensioni
Il gigantesco sacerdote
condusse i quattro amici e Toshio, quest’ultimo ancora claudicante,
in una piccola chiesa non molto distante dal luogo in cui era avvenuto il
combattimento, quindi, avendoli fatti accomodare nel salottino della canonica,
servì a Keita, Shinji e Nadeshiko, seduti tutti insieme su di un divanetto, una
tazza di tè.
Takeru stava in piedi accanto ad una finestra
poco distante, Toshio invece rimaneva seduto su una delle sedie della cucina,
separata dal salottino solamente da un piccolo arco.
«Prego, servitevi pure.» disse il religioso
sedendosi alla sua poltrona dopo aver preso in mano il pregario
che vi era appoggiato sopra «Non è di prima qualità,
ma è il meglio che posso permettervi.»
«Si figuri, non c’è problema.» rispose Keita,
che poi ne sorseggiò un goccio «È davvero buonissimo.»
«Mi fa piacere.» rispose il prete con un
sorriso gentile, che stranamente non sembrava stonare più di tanto su quel suo
volto da mercenario «Purtroppo non ricevo molte visite.»
«Aveva detto di avere molte cose da dirci.» intervenne Shinji «Potrebbe spiegarci che cosa sta
succedendo?».
A quella domanda il religioso si incupì, e dopo aver guardato per un attimo di sottecchi i
quattro ragazzi ripose la sua tazza sul piattino appoggiato sul tavolo.
«Avete ragione.
Dopotutto, avete il diritto di sapere.
Prima di cominciare però, vorrei farvela io
una domanda. Posso sapere i vostri nomi?»
«Io mi chiamo Nadeshiko.
Questi sono i miei migliori amici, Keita e Shinji. Lui invece è Takeru.»
«Piacere di
conoscermi. Io sono Padre Alexand Andersen; ufficialmente
sono il curato di questa parrocchia, in realtà sono un giudice che sovrintende
allo svolgimento del grande torneo.»
«Il grande torneo?» ripeté Keita
«Quello a cui avete
assistito poco fa era il primo atto di una sorta di gioco. Noi lo chiamiamo Grande Torneo, altri invece gli hanno dato il nome
di Millennium War.»
«Millennium… War?»
disse Nadeshiko.
Takeru fece una strana espressione nel sentir
pronunciare quel termine, aggrottando leggermente le sopracciglia; un gesto che
non sfuggì né a padre Andersen né a Toshio.
«E di che cosa si tratta esattamente?»
domandò Shinji
«Potete immaginarlo
come una sorta di grande gioco, o come una competizione. Vi prendono parte
sette guerrieri, il cui scopo è combattersi fra di
loro fino alla proclamazione del vincitore.»
«E quel lanciere era uno dei sette?» domandò Keita
«Esatto. E anche il
qui presente Toshio.
Il grande torneo ha origini molto antiche. La
sua istituzione risale a migliaia di anni indietro nel tempo, all’epoca in cui
la razza umana conosceva il suo primo, significativo
momento di sviluppo.»
«Ma per quale motivo
è stato istituito?».
Nuovamente, lo sguardo di Padre Andersen si
fece più buio della notte, ed una vena di paura sembrò
trasparire da dietro i suoi occhiali.
«Per salvare questo mondo e i suoi abitanti
dallo sterminio».
I tre ragazzi saltarono sul posto ad una simile affermazione, e se non fosse stato per
l’espressione terribilmente seria del religioso e per gli incredibili eventi ai
quali avevano assistito lo avrebbero preso per matto.
«Gli eventi che
hanno comportato la nascita del grande torneo risalgono agli albori della vita,
quando la razza umana era ancora giovane, e gli dèi camminavano su questa
Terra.
A quel tempo il nostro mondo era il giardino
celeste, il luogo dove le divinità trascorrevano nella
pace e nell’abbondanza la loro esistenza.
Un giorno, constatando
i grandi progressi evolutivi della nostra specie, decisero di lasciare la Terra, e l’universo fisico
in sé stesso, agli esseri umani, e alle altre creature mortali, in modo che
potessero scegliere liberamente la strada da percorrere.
Il dio Seth, signore della distruzione, si
oppose fermamente a questa decisione, a radunato
attorno a sé un gruppo di divinità che la pensavano come lui tentò di
rovesciare la gerarchia celeste per prendere il potere.
La sua ribellione si concluse
con una tragica disfatta, e il prezzo che dovette pagare per il suo tradimento
fu molto alto: egli fu relegato in una dimensione oscura al confine
dell’universo, dal quale non sarebbe mai potuto fuggire; tutti coloro che lo
avevano seguito, invece, vennero confinati tra le pagine di un libro,
ribattezzato Libro dell’Oscurità, che venne nascosto sulla Terra.»
«Quindi Seth è stato sconfitto.» disse Shinji
«Purtroppo no.» rispose padre Andersen
guardando in basso «A dispetto di quanto le divinità avevano immagino,
all’interno della sua prigione il Dio della Distruzione aumentò a dismisura i
suoi poteri, che crebbero al punto tale da infrangere la barriera che separava
la sua dimensione dalla nostra, permettendogli così di tornare a minacciare
questo mondo.»
«Seth è riuscito a tornare in questo mondo!?» esclamò Nadeshiko «Ma perché gli dèi non l’hanno fermato
nuovamente?»
«Perché non
potevano. Nel momento in cui hanno rinunciato al mondo fisico per lasciarlo ai
mortali, le divinità sono state indissolubilmente legate ad
un patto ancestrale che proibiva loro di interferire in alcun modo con gli
eventi ad esso legati. Essendo stato imprigionato prima che tale rinuncia
avesse luogo, Seth pensava di poter agire indisturbato nell’universo senza
temere l’intervento degli dèi, e aveva ragione.
Quello che non aveva calcolato, però, era il
livello di progresso spirituale e cognitivo della nostra specie, nonché la ferrea determinazione degli esseri umani di
difendere fino all’ultimo la propria sopravvivenza.
In quell’occasione il mondo minacciò di
sprofondare nell’oscurità, ma sette guerrieri, provenienti da altrettanti
villaggi sparsi in tutto il mondo, invece che scappare scelsero di affrontarlo,
ingaggiando con lui uno scontro mortale.»
«E chi vinse questo scontro?» domandò Keita
con ansia crescente
«Non vi fu un vero
vincitore. Malgrado non fosse mai entrato in possesso del potere che veniva dal
rinunciare ai propri vincoli fisici, facendosi puro spirito, Seth rimaneva
comunque un dio, e la sua forza era davvero troppo grande per
poter essere contrastata da dei comuni mortali.
Sei dei sette guerrieri caddero nel tentativo
di sconfiggerlo, e quando anche il settimo stava per andare incontro allo
stesso destino gli dèi decisero, finalmente, di
intervenire, ma dal momento che non potevano agire in prima persona tutto
quello che furono in grado di fare fu conferire all’unico guerriero rimasto una
parte del loro potere, la Luce
di Amon-Ra.»
«La
Luce di Amon-Ra?» ripeté Takeru, che per la prima volta
dall’inizio della discussione sembrava esserne anche partecipe
«Pur rappresentando solo una quantità
infinitesimale del potere degli dèi, la
Luce di Amon-Ra si rivelò capace di aumentare a dismisura le
potenzialità dell’ultimo guerriero, che riuscì infine ad avere
la meglio su Seth, ricacciandolo nella sua prigione.»
«Ma chi era questo guerriero?» domandò Shinji
«Conoscete il suo nome?»
«Purtroppo no. Egli
si spense subito dopo il combattimento a causa del tremendo sforzo da lui
compiuto nel padroneggiare la Luce. Tutto
di lui è rimasto avvolto nel mistero, incluso il villaggio dal quale proveniva.
Il suo sacrificio, e quello degli altri sei
guerrieri, salvò questo mondo dall’oblio».
A quel punto l’espressione di Padre Andersen
si fece terribilmente fosca.
«Purtroppo però, neppure questo si rivelò
sufficiente?»
«Che intende dire?» chiese Keita
«Seth era stato
esiliato nuovamente, questo era vero, ma ormai era fin troppo chiaro che i suoi
poteri erano cresciuti a tal punto che non c’era vincolo o sigillo in grado di
mantenerlo imprigionato per l’eternità.
Nella migliore delle ipotesi, il varco che
collegava le nostre due dimensioni avrebbe potuto resistere per duecento anni,
al termine dei quali il Dio della Distruzione si sarebbe nuovamente liberato.»
«Volete dire che non può essere fermato!?»
«Non in modo
definitivo.
Ogni due secoli il sigillo che lo mantiene
segregato nella sua dimensione si spezza, e lui ha nuovamente la strada
spianata verso il nostro mondo.
Per questo, i sette villaggi che si erano
opposti a lui decisero l’istituzione di un grande torneo da tenersi alla
vigilia del suo ritorno sulla Terra che vedesse la partecipazione dei loro
guerrieri più forti.
Colui che fosse
stato in grado di elevarsi su tutti gli altri avrebbe dato prova di possedere
dentro di sé la forza necessaria ad ospitare e padroneggiare la Luce di Amon-Ra, che
scendendo dal cielo gli avrebbe permesso di affrontare e sconfiggere Seth,
rinchiudendolo nuovamente nella sua prigione per altri duecento anni.»
«Allora è questo lo scopo del Grande Torneo.»
disse Nadeshiko
«Negli ultimi quattro
millenni Seth è stato sconfitto diverse volte, ma ormai la situazione
va’ precipitando.
Ad ogni suo ritorno
si presenta più forte e pericoloso di prima, e sigillarlo diventa ogni volta
più difficile.
Di
certo è che la sua capacità di esercitare la sua influenza su questo mondo si è
notevolmente ridimensionata nel momento in cui è stato toccato dal potere della
Luce. Per questo, prima di essere imprigionato per la prima volta, aveva
lasciato una parte della sua essenza in un corpo umano; con l’andare del tempo
aveva compreso le grandi potenzialità degli esseri umani, e i discendenti del
prescelto avrebbero costituito per lui dei corpi nei quali reincarnarsi ad ogni suo ritorno.
Anche adesso, da qualche parte sulla Terra,
vi è una persona che custodisce dentro di sé questa piccola parte del Dio, e
che molto presto diverrà il suo contenitore in questo
universo.»
«E non avete idea di chi possa essere?»
chiese Keita
«No purtroppo.
Questo è un segreto che Seth custodisce fin troppo bene.
Come se non bastasse, nel corso dell’ultima
competizione, si è verificato un fatto estremamente
grave. Dopo aver scoperto l’ubicazione del Libro dell’Oscurità Seth lo ha trafugato, liberando gli spiriti dei suoi antichi
alleati dalla prigione in cui erano stati costretti.
In quell’occasione l’ultimo vincitore del
torneo riuscì a fermarlo prima che potessero giungere in suo aiuto, ma non vi
sono dubbi sul fatto che questa volta dovremo confrontarsi che con loro, che dalla
loro liberazione hanno continuato a reincarnarsi in nuovi corpi nell’attesa
proprio di questo torneo.»
«Mi sembra un incubo.» disse Shinji
«E non è ancora finita.» riprese Padre
Andersen «Quando Seth è entrato in possesso del Libro
si è ripreso anche un’altra cosa, una cosa che per nulla al mondo avrebbe
dovuto riottenere.»
«Ovvero?» chiese Keita
«La sua spada.»
«La sua spada!?»
ripeté Nadeshiko
«La spada che
impugnava all’alba dei tempi, e che costituisce la fonte primaria di tutto il
suo potere. Quando la sua ribellione era stata stroncata, e lui castigato con
l’esilio, la spada gli fu sottratta, e nascosta sulla Terra insieme al libro.
Dopo esserne rientrato in possesso nel corso
dell’ultimo torneo la sua forza è aumentata a
dismisura, e l’ultimo vincitore ha dovuto faticare molto per riuscire a
sconfiggerlo.»
«E dove si trova ora questa spada?» chiese Shinji
«Nessuno lo sa. Di
certo c’è solo che l’ha nascosta in un luogo da cui potrà recuperarla dopo il
suo prossimo ritorno.»
«Esattamente, quanto tempo manca al momento
in cui Seth tornerà sulla Terra?» domandò Keita
«Questo è
impossibile da stabilire. Ma dopo ogni sua rinascita
ha sempre cercato di ostacolare lo svolgimento del torneo. Di conseguenza, non
appena i suoi servitori cominceranno a fare la loro comparsa, sarà la
dimostrazione che è ritornato.»
«Prima dicevate che Seth si manifesta in
questo mondo reincarnandosi in un corpo umano.» disse Nadeshiko «Cosa succede al corpo quando Seth viene sconfitto?»
«Nulla di buono. Se
si trattasse solo di un’occupazione forzata non
sarebbe difficile costringerlo ad abbandonarlo, ma per il fatto di portare
dentro di sé una parte del suo potere fin dalla sua nascita il corpo in
questione è come se fosse il suo, e pertanto la sola cosa che si possa fare è
distruggerlo.»
Tutti e tre i ragazzi restarono sconcertati ad una simile rivelazione; Nadeshiko in particolare non
poteva fare a meno di provare compassione per quei poveretti che pur non avendo
alcuna colpa finivano per essere uccisi solo a causa del demone che li
possedeva.
«Lo so cosa state
pensando, e vi posso assicurare che a nessuno di noi piace l’idea di fare del
male a persone innocenti. Del resto, lo stesso torneo è governato da una serie
di regole volte ad evitare inutili spargimenti di
sangue.»
«E dunque il combattimento di prima…» disse Nadeshiko
«È stato il primo di
questo nuovo torneo. Sono trascorsi esattamente 243 anni dall’ultima Millennium War. Ringraziando gli dèi, abbiamo avuto maggior
tempo per prepararci.»
«Chi era il lanciere contro il quale Toshio
stava combattendo?»
«Il suo nome, come
avrete già avuto modo di sapere, è Atarus. Appartiene al clan dei McLoan, e se come immagino ne è
anche il principe ereditario discende dal leggendario William Wallace.»
«William Wallace?!»
disse Keita «Il famoso eroe scozzese?»
«Proprio lui. Quasi
tutti i villaggi che partecipano a questo torneo annoverano tra i propri
abitanti figure divenute leggendarie nella storia di questo mondo.
I lancieri di McLoan
in particolare sono sempre stati fra i combattenti più ostici e pericolosi
dell’intera competizione. Guerrieri forti, addestrati alla perfezione.»
«Mi scusi se lo dico.» intervenne Shinji con
un tono più serio del solito «Ma il suo modo di fare non
richiamava affatto quello del paladino della giustizia destinato a
proteggere il mondo che dovrebbe essere.»
«Sfortunatamente,
esiste anche quel tipo di eletti. La maggior parte dei partecipanti al torneo
considera questa una missione sacra, da compiersi nel rispetto dei valori che
da sempre hanno guidato i rispettivi popoli; ma c’è anche chi, come Atarus,
vede nel grande torneo nulla più che uno strumento attraverso il quale dare prova della propria forza; per gente come lui
combattere Seth non è un dovere, ma un’ostentazione di forza. Inoltre, la Luce di Amon-Ra lascia a chi
ne ha fatto uso un residuo del proprio potere magico, un potere
immenso e quasi irraggiungibile per un essere umano, anche con anni di
allenamento.
Nel corso dei secoli è
capitato altre volte che alcuni partecipanti abbiano finito per sfruttare ciò
che restava della Luce per fini personali, e le conseguenza di tale
comportamento non sono mai state felici.
Per questo non si può permettere a gente come
Atarus di vincere il torneo; anche se sconfiggesse Seth, poi sarebbe lui stesso
a rappresentare una minaccia per il nostro mondo.»
«Avete parlato di un regolamento.» disse
Keita «Di preciso, in che cosa consiste?»
«È piuttosto
difficile da spiegare nella sua interezza, perciò cercherò di spiegarvi solo
l’essenziale.
I combattimenti del torneo sono vincolati da
una serie di regole e limitazioni volte a favorire combattimenti onesti, con
rischi minimi per la popolazione civile.
Il teatro di scontro è l’Europa, dalle coste
del Portogallo al Mar Nero, e dalla Sicilia alla Finlandia.
I partecipanti hanno l’obbligo di spostarsi
da un luogo all’altro in continuazione, e non possono sostare in un'unica zona
per più di una settimana; questo espediente è stato adottato per rendere
difficile ai servitori di Seth, qualora dovessero comparire, ostacolare il
torneo, e anche per evitare danni pesanti ad una
singola località.
Nel caso i combattimenti si svolgano in zone
densamente popolate, come ad esempio Venezia, o qualsiasi altra grande città,
essi devono essere sostenuti obbligatoriamente all’interno di uno speciale
campo di gara, il Fuuzetsu.»
«Intende forse dire quella specie di cupola
che abbiamo visto comparire prima?» domandò Nadeshiko
«Esattamente. È in
grado di estrarre la zona al suo interno dallo spazio e dal tempo,
cristallizzandone l’esistenza. In questo modo si evita il panico, e in ogni
caso i contendenti sono obbligati ad evitare il più
possibile che le persone rimaste all’interno della barriera vengano ferite o
uccise.
Il Fuuzetsu viene
tracciato da chi propone il combattimento, e la sua durata è limitata alla
quantità di potere magico impiegato per costruirlo. Una volta che l’incantesimo
si esaurisce la sfida deve cessare immediatamente, e
nel caso in cui non vi sia stato un vincitore i due avversari non possono più
combattere tra di loro per le successive quarantotto ore.»
«Ma è davvero necessario uccidere l’avversario
per vincere l’incontro?»
«A dire il vero no.
Uno dei due contendenti viene considerato sconfitto
nel momento in cui viene privato di tutti e tre i mezzi che gli è consentito di
usare: la sua arma, la magia, e il famiglio.»
«Il famiglio!?»
ripeté Keita
«Sono creature
magiche, create partendo il più delle volte da una base animale. Sono soggette alla volontà del loro padrone, dal quale
assorbono contemporaneamente il potere magico necessario alla propria
sopravvivenza.
Ovviamente, uccidere il proprio rivale è il
metodo più veloce per aggiudicarsi l’incontro, e visto che
il regolamento non lo vieta alcuni, come Atarus, tendono a preferire questa
alternativa.»
«Quando abbiamo incontrato Atarus» disse
Nadeshiko «Lui ha parlato dei circoli magici. Ma cosa sono esattamente?»
«I circoli magici
sono lo strumento attraverso il quale è possibile utilizzare la magia.
Sono una specie di codice genetico del potere
magico; ogni essere umano ne possiede uno fin dalla nascita, e ognuno ha in sé
qualcosa di unico. Il disegno che essi raffigurano è come la mappa del DNA; più
il disegno è complesso, più sviluppata ed efficace è la magia del suo padrone.
La maggior parte delle persone possiede dei
circoli piccoli e poco sviluppati, anche se è possibile aumentarne la potenza
con l’allenamento e la meditazione, ma vi sono dei casi particolari di esseri
umani che vengono al mondo con un circolo magico molto già di per sé molto
sviluppato, e questo sembra essere il vostro caso.»
«È per questo che il Fuuzetsu non ha avuto
effetto su di noi?» domandò Shinji
«Proprio per questo.
Il potere magico ha funzionato come una barriera proteggendovi
dall’incantesimo. Devo dire che sono rimasto colpito nel vedere così tante
eccezioni in una volta sola.
Si direbbe quasi un segno del destino.»
«Ma com’è possibile che nessuno di noi, pur
possedendo circoli magici così potenti, se ne sia mai accorto?» chiese Keita
«Perché con questi
circoli voi ci siete nati. Essi erano presenti in voi ben prima della nascita,
ma la vostra mente, forse nell’inconscio tentativo di difendere sé stessa da qualcosa che non sapeva gestire, ne ha limitato
il potenziale, impedendovi sia di percepirlo sia di sfruttarlo
volontariamente.»
«Ma se noi imparassimo a padroneggiare la
nostra magia i circoli diventerebbero inoffensivi,
giusto?»
«Beh, teoricamente
sì. Sarà necessario un lungo addestramento, ma purtroppo, in questo momento,
c’è un problema ben più grande del quale dovete tenere conto».
Il tono serio e preoccupato con cui Padre
Andersen aveva formulato quell’ultima frase lasciava intendere ai quattro
ragazzi che definire quel problema grande voleva dire sminuirlo.
«Di… di che si tratta?» domandò Keita
«Il regolamento non
specifica il comportamento da tenere nei confronti di persone come voi, dotate
di una magia tale da eludere i meccanismi posti a difesa delle persone
innocenti; al contrario purtroppo, dice testualmente che chiunque si muova
all’interno del Fuuzetsu, ad eccezione dei giudici chiamati a verificare il
corretto svolgimento dei combattimenti, è direttamente coinvolto nel torneo.
Questo, di conseguenza, vi esonera dai diritti riservati ai civili, e legittima
Atarus, come qualsiasi altro partecipante, ad aggredirvi, se lo ritiene
opportuno».
Keita, Shinji e Nadeshiko sentirono un
brivido corrergli lungo la schiena, e capirono finalmente il perché di uno
sguardo tanto truce da parte di Padre Andersen; la loro vita, da quel momento
in avanti, sarebbe stata costantemente in pericolo.
«Quando una persona muore» disse il sacerdote
«Solitamente la sua magia scompare insieme alla sua anima; i partecipanti al
torneo però, tra i quali Atarus, sanno come assorbire il cerchio magico della
vittima e farlo proprio assieme a tutta la sua magia».
Era chiaro, dunque, che Atarus non si sarebbe
dato pace fino a quando non fosse riuscito a fare
propri quei circoli magici che gli stavano tanto a cuore.
I tre ragazzi si sentivano confusi e
spaventati: per quale dannatissimo motivo la loro spensierata vacanza doveva
aver preso una simile piega?
Ma, più importante
ancora, cosa fare adesso? Sicuramente Atarus li teneva ancora d’occhio, di
conseguenza cercare di raggiungere l’aeroporto per tornare a casa equivaleva a
suicidarsi.
Toshio, che per tutto quel tempo non aveva
dato alcun segno della sua presenza, rimanendo immobile come una statua, si
alzò d’improvviso dalla sua sedia, dirigendosi a passo veloce verso l’uscita.
I tre amici gli andarono dietro,
raggiungendolo subito fuori del portone della chiesa.
«Se volete sopravvivere
non uscite mai da questa chiesa.»
«Per quale motivo?» domandò Shinji.
Lui allora si fermò, voltandosi verso di
loro.
«Le residenze dei
giudici sono luogo off-limits. Nessuno può essere attaccato al loro interno, e
Atarus lo sa. Tra cinque giorni sia io che lui saremo
obbligati ad andarcene, e voi potrete ripartire.»
«Ma…» disse
Nadeshiko «Ma noi…»
«Questo non è un gioco.» rispose secco Toshio
guardandoli molto seriamente «Qui si rischia la vita,
come avete già avuto modo di vedere. Atarus potrebbe non essere l’unico
determinato a vincere il torneo a qualsiasi prezzo, e se così dovesse essere né
voi né io potremmo sperare in un nuovo colpo di
fortuna. Addio».
Detto questo il
ragazzo se ne andò come se ne era andato Atarus, spiccando un salto enorme che
lo condusse fin sul tetto della casa davanti a lui per poi scomparire dietro di
essa.
Nota dell’Autore
Premetto subito che
non sono per niente soddisfatto di questo capitolo.
Il motivo non è tanto
il contenuto, quanto piuttosto la lunghezza in sé; mi ero ripromesso, incominciando
questa storia, che avrei scritto capitoli molto lunghi, in modo da ridurne al
minimo il numero, rimanendo entro i 26 capitoli, dal
momento che 26 è anche il numero di episodi di cui si compone mediamente un
anime.
A parte questo, spero
di aver fugato i dubbi che qualcuno aveva manifestato, e prometto solennemente
che già dal prossimo capitolo cercherò di dilungarmi un po’ di più, nel
rispetto del limite che mi sono proposto di rispettare.
Ringrazio come sempre
Selly, Akita, Cleo92 e Levski per le loro recensioni
La residenza estiva della
famiglia Von Karma sorgeva fra le montagne della Baviera; un castello antico,
di bellezza straordinaria, dalle mura bianche che risplendevano al sole,
arroccato sulla cima di una collinetta che dominava la foresta circostante.
Separato da tutto e da tutti, per secoli
aveva costituito il rifugio ideale per i grandi capi della famiglia, che
stanchi talvolta dell’uggiosa Monaco, dove da sempre risiedeva il fulcro del
loro potere politico, sociale ed economico, vi si ritiravano per concedersi
lunghi riposi, lontani dai doveri e dalle responsabilità che venivano
dall’essere i depositari di un potere che abbracciava tutta l’Europa, dalla
Russia alla Spagna, dalle coste dell’Africa ai fiordi della Norvegia.
I Von Karma erano una famiglia antichissima e
nobilissima; la loro presenza, così come la loro grandezza, era citata in carte
imperiali e documenti papali risalenti a prima dell’anno 1000. Secondo un
documento gelosamente conservato nella biblioteca di famiglia, la zona in cui
sorgeva il castello era stata donata alla famiglia Von Karma dall’Imperatore
Federico I di Svevia nel 1160 come ricompensa per il supporto fornito alle
truppe imperiali durante le Campagne d’Italia.
Nessuna stirpe era riuscita a mantenere
integro e florido il proprio potere così a lungo come i Von Karma, e le voci
secondo cui tale potere venisse da vincoli e legami con entità occulte non si
erano mai spente: se nel medioevo e durante buona parte del periodo imperiale
si vociferava che i Von Karma dovessero la propria grandezza ad un accordo col
Maligno, in epoca moderna c’era chi sosteneva che la famiglia manovrasse da
dietro le quinte tutti i maggiori stati europei, come la Germania, la Francia, l’Inghilterra e
l’Italia.
Senza dubbio il loro potere nel vecchio
continente rasentava il dominio assoluto, ma era altrettanto vero che mai una
volta avevano dato motivo di sospettare della limpidezza del loro operato; in
particolare l’ultimo capo della famiglia, tale Manfred Von Karma, si era sempre
battuto per un’attività onesta, alla luce del sole, senza agganci poco chiari e
connubi con elementi disdicevoli, questo fino a quando un misterioso tumore al
cuore non lo aveva condotto ad una morte prematura.
Effettivamente, i capi della famiglia Von
Karma non erano mai stati molto longevi; nessuno di loro infatti non era mai
arrivato oltre i sessant’anni, e da che il progresso scientifico aveva permesso
di effettuare delle diagnosi precise si era scoperto che gli ultimi cinque uomini
ad aver ereditato la guida della dinastia erano stati uccisi tutti dallo stesso
male: tumore cardiaco.
Qualcuno la chiamava la “Maledizione dei Von
Karma”, e fino a quel momento nessuno era stato in grado di stabilire quale
fosse l’origine di un fenomeno tanto singolare.
Secondo alcuni l’origine della cattiva stella
che affliggeva la famiglia da generazioni era da ricercarsi proprio in quel
castello, un luogo a cui nessuno che non fosse un parente strettissimo o un
membro della servitù aveva il permesso di accedere.
Di forma massiccia ma slanciata, con otto
torri, sei quadrangolari e due cilindriche, queste ultime sormontate da tetti
conici di colore blu scuro, sui quali la neve che cadeva abbondante in inverno
difficilmente si posava, era disabitato per buona parte dell’anno, ma tra gli
abitanti del luogo circolava la voce che di notte si potessero vedere luci che
si accendevano e si spegnevano in circolazione, e chi era passato poco
distante, soprattutto cacciatori, raccontava di aver sentito rumori
agghiaccianti, degni della peggiore delle case stregate.
Dopo la morte del Barone Manfred Von Karma,
avvenuta due anni prima, le visite al castello da parte degli altri membri
della famiglia si erano fatte molto più brevi e saltuarie. La moglie del
barone, di origine giapponese, era morta anni prima, subito dopo aver dato alla
luce il suo secondo figlio, Johan, che per qualche motivo rimasto ignoto era
stato allontanato dalla Germania subito dopo aver compiuto il suo nono anno di
età e trasferito nella patria natale della madre.
Per molti anni il solo membro dei Von Karma a
risiedere nel castello nel periodo estivo era stata la figlia primogenita della
famiglia, Franziska; essendo stata la famiglia Von Karma da sempre di
istituzione patriarcale, pur essendo la primogenita Franziska non avrebbe mai
potuto ereditare le redini della società, un privilegio questo destinato a
Johan, ma questo non le impediva di essere eccezionalmente premurosa e
bendisposta nei confronti di quel suo fratellino così introverso e misterioso.
Forse a causa dell’atteggiamento freddo e
distaccato che il padre aveva sempre tenuto nei suoi confronti, Johan aveva
sviluppato una certa tendenza all’introversione, ed erano pochi coloro che
erano stati in grado di provocare una piccola breccia in quel suo cuore
glaciale, avvezzo all’apparenza a qualsiasi tipo di emozione.
Franziska era forse l’unica persona con cui
Johan si comportava, per così dire, normalmente, come un qualsiasi adolescente;
lei era la sorella maggiore sempre pronta ad ascoltarlo e a dargli conforto,
per quanto fugaci e brevi fossero stati i momenti che avevano trascorso
insieme.
Erano ormai nove anni che Johan viveva
stabilmente in Giappone, dal quale era rientrato per non più di qualche mese
ogni anno.
L’ultima volta che Franziska, ora
diciottenne, lo aveva incontrato, era stato per l’ultimo addio al loro padre,
spentosi proprio in quel castello; Manfred per la verità aveva tenuto un
atteggiamento alquanto freddo nei confronti del figlio, che tra le altre cose
non era neppure stato mandato a chiamare, ma che al contrario era voluto
tornare spontaneamente, e nessuno aveva mai capito la ragione di un tale
comportamento verso un ragazzo che, in quanto a maturità e intelligenza,
sarebbe stato il vanto di qualunque genitore.
Come se non bastasse, poco prima di spirare
il barone aveva proibito tassativamente a Johan di rimettere piede nel castello
per i prossimi dieci anni; Franziska però non poteva stare lontana da lui per
tutto quel tempo, e quindi, in aperta violazione del decreto, aveva invitato il
fratello a passare le vacanze estive assieme a lei al castello.
Era la mattina del dieci agosto.
Affacciatosi da una delle grandi finestre del
salone dei ricevimenti, il vecchio Wei Wang, maggiordomo di fiducia della
famiglia Von Karma, poté scorgere in lontananza una macchina che saliva
lentamente lungo lo stretto sentiero sterrato che dal villaggio più vicino
conduceva direttamente al castello.
La famiglia di Wang serviva i Von Karma da
quasi due secoli, e per molti anni Wei era stato il confidente del barone, che
oltre ad affidargli la cura dei suoi due figli gli aveva rivelato alcuni dei
segreti più reconditi e meglio custoditi della famiglia.
Di origini cinesi, ma cresciuto per anni fra
la nobiltà inglese di Hong Kong, aveva da poco superato i sessant’anni, e
dimostrava il selfcontrol e il carattere di un vero gentleman. Amava vestirsi
all’occidentale, con calzoni marrone scuro, camicia bianca, papillon, un gilè verde
pino senza maniche e un curioso paio di lenti rotonde da vista collegate al
taschino del gilè da una catenina d’argento.
La sua espressione era perennemente allegra,
che metteva buonumore, ma il suo contegno e la sua gentilezza erano a dir poco
disarmanti.
A quel viso gentile, segnato da qualche ruga,
come era naturale per un uomo di più di sessant’anni, facevano da contorno una
capigliatura di un color grigio scuro, grosse sopracciglia ed un paio di baffi
abbastanza folti dello stesso colore.
Non appena riconobbe nel veicolo che si stava
avvicinando la sfarzosa limousine nera dei Von Karma di ritorno dall’aeroporto
di Monaco il maggiordomo lasciò velocemente la sala, incamminandosi nei
lussureggianti corridoi ricolmi di affreschi e quadri straordinari con una
cert’ansia in corpo.
Nello stesso momento, in uno dei tanti
salottini del castello, Franziska Von Karma faceva trascorrere le ore leggendo
uno degli innumerevoli libri della grande biblioteca di famiglia, un’attività
per la quale provava un piacere e una passione sconfinate, sorseggiando di
tanto in tanto una tazza di tè.
Era una ragazza davvero molto bella, con
capelli di un colore verde acqua e occhi dello stesso colore; fiera delle
proprie origini, e orgogliosa di fare parte dell’illustre dinastia dei Von
Karma, amava vestirsi con gli indumenti femminili tipici della Baviera, e il
vestito che stava indossando in quel momento, un completo nero sopra ad un
camiciotto bianco dalle spalle grosse sormontato da un fiocco sempre bianco,
era certamente uno dei suoi preferiti.
Il fiocco al collo era chiuso da un grande
monile d’oro massiccio di forma triangolare all’interno del quale era
incastonato uno stupendo smeraldo, eredità della famiglia Von Karma da tempi
immemorabili.
Qualcuno diceva che sembrava la copia
identica di una sua illustre antenata, Klarisse, vissuta nella seconda metà del
‘700, che casualmente era stata a sua volta la sorella maggiore dell’allora
capo della famiglia, Klaus Von Karma.
Il suo leggere fu interrotto da Wei nel
momento in cui questi si fece annunciare col suo inconfondibile bussare alla
porta.
«Avanti.»
«Mi scusi, signorina. Il signorino Johan è
arrivato.»
«Davvero!?» esclamò lei balzando in piedi e
lasciando cadere il libro «Dov’è?»
«La limousine ha appena imboccato l’ultimo
tratto del sentiero. Sarà qui fra qualche minuto.»
«Sbrighiamoci ad andare allora! Non vedo
l’ora di riabbracciarlo!».
Come predetto da Wei, cinque minuti dopo la
sfarzosa automobile nera si fermò proprio davanti all’ingresso del castello,
davanti al quale già stavano Franziska e il maggiordomo.
L’autista scese, girò tutto intorno quindi
aprì la portiera, e il giovane Johan si palesò in un attimo dinnanzi a loro;
non appena lo vide, Franziska corse a buttargli immediatamente le braccia al
collo.
«Johan, come sono felice di rivederti!»
«Ciao, sorellina.» rispose lui con un tono
molto malinconico, che mai nessuno gli avrebbe attribuito.
Dopo un lungo abbraccio si avvicinò a loro
Wei.
«Bentornato a casa, signorino.» disse facendo
la riverenza
«Ti ringrazio, Wei».
Il resto della giornata
trascorse velocemente.
Per Johan era stata una grande emozione
rivedere la sua vecchia camera, nella quale non entrava dai tempi della morte
del padre, e dopo essersi liberato degli abiti da viaggio, dietro invito
pressante di Franziska, i due fratelli erano usciti insieme per una passeggiata
a cavallo, dalla quale erano rientrati solo sul far della sera.
Alle otto e trenta precise, come imponeva il
rigido protocollo di famiglia, entrambi raggiunsero la sala da pranzo per la
loro prima cena insieme dopo due lunghi anni trascorsi lontano l’uno
dall’altra.
La stanza, di forma rettangolare, era
provvista di un tavolo lungo e stretto, al quale potevano trovare posto almeno
una ventina di persone, e un grande camino in pietra del diciottesimo secolo,
due statue neoclassiche di eroi antichi a fare da colonne portanti.
Lungo la parete interna, a destra e a
sinistra del camino, capeggiavano i ritratti di quasi tutti i precedenti baroni
Von Karma, tutti accomunati da un curioso particolare: i capelli bianchi.
Malgrado alcuni di essi non dovessero avere più di venti o trent’anni,
presentavano comunque una chioma color bianco sporco, tendente quasi
all’argento, che i vari artisti avevano saputo rendere alla perfezione in tutta
la sua lucentezza.
Johan non era stato da meno, ma nel suo caso
il colore dell’argento risplendeva di viva luce, capace quasi di ipnotizzare
chiunque vi posasse gli occhi sopra.
Il posto al centro, proprio sopra al camino,
era riservato all’attuale capo della famiglia, e dal momento che tale ruolo
poteva essere ereditato da Johan solo al compimento del suo diciottesimo anno
di età, a dominare su tutto e su tutti c’era ancora il ritratto di suo padre,
Manfred Von Karma.
Raffigurato dalla cintola in su, in posizione
leggermente di tre-quarti, indossava abiti di foggia quasi ottocentesca, una
giacca blu oltremare dai risvolti bianchi ricamati d’oro e dal collo nero
piuttosto pronunciato, un gilè nero con bottoni dorati con un collo di camicia
che sporgeva da sotto di esso e una fascia affusolata di seta bianca a fare da
cravattino.
Il quadro risaliva alla nascita di Johan, e
quel volto serio, quasi minaccioso, era proprio quello che il ragazzo ricordava
di aver guardato col terrore in corpo fin da bambino; gli occhi erano piuttosto
grandi, il naso sottile e ben proporzionato, le labbra piuttosto lunghe,
piegate in un’espressione enigmatica, come di ammonimento. I capelli,
naturalmente argentei, erano lunghi, ma pettinati all’indietro, lasciando
scoperta una fronte alta e spaziosa che contribuiva a dare a Manfred Von Karma
l’aspetto tipico del severo capofamiglia.
Johan, durante la cena, cercava di guardare
quel ritratto il meno possibile, perché ogni volta che vi posava gli occhi
sopra un brivido freddo gli saliva lungo la schiena, accompagnato da una
sensazione di soggezione che decisamente non gli piaceva.
La cena di quella sera si componeva di tutti
quei piatti che il ragazzo da piccolo adorava tanto; temendo che il ritorno a
casa del fratello dopo tanto tempo portasse con sé tristi ricordi, Franziska
aveva ordinato al cuoco, unico membro della servitù a parte Wei a risiedere in
quel momento nel castello, di dare il meglio di sé preparando le pietanze che
il ragazzo aveva sempre insistito per assaggiare ad ogni suo ritorno dal
Giappone.
Per quello che ricordava Franziska Johan non
sapeva resistere ai weisswurst e all’haxen con le patate, ma tanto i wurstel
quanto il cosciotto di maiale seguitavano a rimanere nel piatto, sfiorati solo
di tanto in tanto dalla forchetta e mangiati ancor più raramente.
Franziska era sempre più preoccupata, e si
domandava come mai il suo adorato fratellino, che di solito riacquistava un po’
di vitalità durante i suoi periodi di vacanza, si comportasse in modo tanto
strano; anche la cavalcata nel bosco non era andata bene, e Johan se ne era
rimasto in silenzio per tutto il tempo, rischiando anche di cadere quando il
suo cavallo, spaventato dallo sbucare improvviso di un coniglio da un cespuglio,
aveva sobbalzato leggermente.
«Johan, che ti prende?» domandò ad un certo
punto «Non ti piace?»
«Cosa!?» rispose lui come risvegliandosi da
un sogno «No, è che non ho molta fame.
La cucina giapponese è così leggera e
dietetica. Non sono più abituato al cibo tedesco.»
«In effetti hai ragione.» disse sorridendo
Franziska «Forse non è molto salutare ingurgitare in un sol colpo tutti questi
grassi».
Finalmente, sul viso di Johan sembrò
comparire un leggero sorriso, e la ragazza cercò di sfruttare l’occasione.
«La mamma lo diceva sempre, quando ti abitui
a mangiare giapponese tutto il resto risulta indigesto.»
«Già, hai ragione.»
«Se non ti va’, lascialo pure lì. A Uther di
sicuro non farà dispiacere».
Non appena Franziska pronunciò il nome Uther
uno splendido pastore tedesco entrò scodinzolando nella sala, correndo subito a
fare le feste a Johan.
Quel cane era stato il regalo di uno zio per
il decimo compleanno di Johan, ed era affezionato al giovane Von Karma più che
a chiunque altro.
«Uther. Smettila, dai.»
«Anche lui è felice di rivederti, a quanto
pare.
Perché non lo porti con te quando
ripartirai?»
«Portarlo con me!? Intendi… in Giappone?»
«A settembre io dovrò cominciare
l’università, e tu sai meglio di me che a Uther non piace stare lontano da uno
di noi due. Anche Wei è pronto a venire con te.»
«Dici… dici sul serio!?»
«Avevi detto di sentirti solo a Uminari. Wei
non sarà il massimo della vitalità, ma se non altro ti farà compagnia».
Johan guardò la sorella coi suoi occhi
innocenti, uno sguardo che Franziska aveva ormai dimenticato.
«Grazie… sorellina».
A cena finita, Johan si ritirò
come al solito nelle proprie stanze, e obbedendo alla sua proverbiale
disciplina si mise immediatamente a svolgere le lezioni assegnate per le
vacanze.
Fin da quando era piccolo aveva dimostrato di
possedere un’intelligenza fuori dal comune, una cosa di cui il barone non
perdeva mai occasione per vantarsi, presentandolo pubblicamente come il più
straordinario esempio di precisione e disciplina che i Von Karma avessero mai
potuto desiderare, salvo poi trattarlo in privato con il solito atteggiamento
freddo e acido, come se quel bambino non fosse mai stato veramente suo figlio.
In un paio di occasioni Johan era arrivato a
pensare che il comportamento del padre nei suoi confronti derivasse proprio dal
fatto di non essere veramente suo figlio, cosa che, teoricamente, legittimava
il suo modo di fare così arcigno, quando invece con Franziska si era sempre
dimostrato gentile e premuroso.
Una volta, quando aveva otto anni, la nonna
materna, una vecchia di oltre ottant’anni altezzosa e malevola che da sempre
gli metteva in corpo una paura tremenda, durante un ricevimento a cui
partecipavano tutti i membri della famiglia, lo aveva definito pubblicamente un
“bastardo”, un reietto, una maledizione che non sarebbe mai dovuta esistere, e
tutti a quel punto lo avevano guardato in modo severo e giudicatore, come a
volerle dare ragione, gettandolo in uno stato di depressione che impiegò molti
mesi a svanire, lasciandogli però un senso di emarginazione che, era certo, lo
avrebbe perseguitato per tutta la vita.
La sola persona a rimanergli vicino,
nonostante tutto, era sua sorella Franziska, che in occasioni come quella
arrivava, con le sue parole dolci e il suo istinto protettivo, a fare quasi le
veci della madre, della quale probabilmente Johan avrebbe avuto un gran bisogno
in situazioni come quella.
Franziska difendeva Johan da tutto e da
tutti, anche dalla sua stessa famiglia, e a nulla erano valsi i tentativi, da
parte della medesima nonna, di allontanarli, adducendo al pretesto che se lei
gli fosse rimasta vicino sarebbe potuta andare incontro ad un orribile destino.
Col tempo era apparso chiaro che le intenzioni di quella vecchia malefica erano
di isolare il ragazzo dal resto del mondo, e dentro di sé Franziska si sentiva
rassicurata dal fatto che una simile serpe fosse diventata cibo per vermi.
Le circostanze in cui era morta la nonna,
però, erano state alquanto macabre, e il fatto era accaduto proprio all’interno
di quel castello. Una mattina i servitori, non vedendo la signora scendere per
la colazione, e memori della sua leggendaria puntualità, erano andati a
cercarla nelle sue stanze, ma aperta la porta si erano trovati davanti ad uno
spettacolo agghiacciante: la poveretta era riversa a terra sulla schiena in un
lago di sangue con gli occhi fuori dalle orbite, la veste da notte ridotta a
brandelli e il corpo coperto di spaventose ferite che parevano segni di graffi
e di morsi; poco distante da lei, sotto ad una poltrona, venne ritrovato un
pugnale, a sua volta coperto di sangue, che la donna aveva usato forse in un
disperato tentativo di difendersi.
Subito si pensò che il responsabile fosse
Uther, al quale la vecchia non era mai andata a genio, ma l’idea venne
immediatamente scartata per due motivi: il primo era che il cane non aveva mai
lasciato la stanza di Franziska, come testimoniarono sia la ragazza sia i
servitori che la mattina erano andati a svegliarla; il secondo, molto più
importante, era che la porta della camera della donna era chiusa dall’interno,
ed era stato necessario un passepartout per poter entrare.
Il fatto aveva gettato un’angoscia opprimente
sia sui membri della famiglia che tra i membri della servitù, e da quel giorno
il castello divenne quasi un luogo maledetto, al quale nessuno, neppure la
servitù, si avvicinava, se non durante i famosi periodi di vacanza.
Una volta al mese veniva eseguita una pulizia
sommaria, giusto per tenerlo in ordine, e il giardino della corte interna
veniva curato, il tutto sotto la supervisione di Wei, ma i servitori che si
occupavano dei lavori, durante i tre giorni necessari per sbrigare tutto, non
dormivano nel castello, ma in un albergo del vicino villaggio.
Le circostanze della morte di Igraine Von
Karma non furono, ovviamente, mai rese pubbliche; la versione ufficiale parlò
di un attacco di cuore, e la vicenda cadde velocemente nel dimenticatoio, ma lo
spettro di quella vecchia non smise mai di aleggiare fra le sale del castello.
Fu proprio dopo quel fatto che Manfred Von
Karma allontanò il figlio Johan dalla Germania, spedendolo nella città natale
della moglie assieme ad un paio di servitori che si sarebbero dovuti occupare
del suo mantenimento.
Il ragazzo, sentendosi sempre più messo in
disparte, privato dell’affetto di coloro che avrebbero dovuto stargli più
vicino, e tormentato costantemente dalle parole terribili della nonna, aveva
deciso, per dar prova delle proprie qualità, di impegnarsi anima e corpo nello
studio, e sotto questo frangente il rigore e la severità della scuola
giapponese contribuirono a mettere ancor più in luce la straordinarietà del suo
cervello.
A dieci anni Johan aveva sviluppato il suo
primo software per computer, a dodici aveva risolto alcuni dei più famosi
teoremi rimasti a lungo senza una soluzione, a quindici aveva dimostrato
scientificamente la veridicità della teoria dello spaziotempo, e a diciassette
aveva sviluppato il software che proteggeva da qualsiasi tentativo di invasione
alcuni dei server più sicuri e importanti del mondo.
Eppure, anche questo non sembrava
sufficiente; qualsiasi cosa facesse, qualsiasi traguardo raggiungesse, il muro
di diffidenza eretto da tutti i suoi parenti attorno a lui non sembrava
determinato a cadere, e più il tempo passava più Johan credeva che le cose non
sarebbero mai potute cambiare.
A dire la verità, e pensandoci seriamente,
ciò che gli premeva davvero era essere accettato; sentirsi parte del casato dei
Von Karma, e divenirne un giorno la guida, non gli era mai importato molto. Al
contrario, di tanto in tanto arrivava a detestare il cognome che pesava come un
macigno sulla sua testa, questo perché, malgrado la sbandierata onestà e
trasparenza, la famiglia Von Karma nuotava in un passato fatto di intrighi, complotti
e barbarie.
Ciò che maggiormente lo disgustava era
l’atteggiamento tenuto da suo nonno, tale Victor Von Karma, che durante gli
anni del nazionalsocialismo era stato un fervente sostenitore dell’ideologia
nazista, appoggiato, e in taluni casi sostenendo personalmente, la campagna per
l’egemonia della razza ariana.
Il barone Victor era stato un membro attivo
del partito fin da quando, nel ’33, Hitler aveva preso il potere, ma era stato
anche un alto ufficiale della Wermacht, e aveva le mani sporche del sangue di
migliaia di innocenti.
La grande importanza della famiglia Von Karma
a livello mondiale, ciò che essa avrebbe potuto significare per la ripresa
dell’Europa dopo la fine della guerra e le sue molte amicizie fra i vincitori avevano
permesso al barone di uscire dal conflitto praticamente immacolato, e tutti i
crimini dei quali si era macchiato nel corso di quegli anni vennero rapidamente
dimenticati, o addossati ad altri.
Johan detestava profondamente alcuni aspetti
degli esseri umani, soprattutto questa loro insana passione per la guerra, la
distruzione, la morte. Il suo più grande sogno era di portare ordine nel mondo,
e questo era forse l’unico motivo per il quale sentiva di voler diventare,
malgrado tutto, il nuovo capostipite della famiglia Von Karma.
Un Von Karma è destinato ad essere perfetto.
Questo era il motto di famiglia, il dogma che
nessun membro era tenuto a violare, pena il disconoscimento e l’allontanamento.
Tutto ciò che un Von Karma faceva doveva
essere sempre e comunque finalizzato a raggiungere la perfezione; e quale
miglior perfezione, si diceva Johan, di un mondo dove non vi fosse più la
malvagità?
Un giorno, ne era certo, avrebbe portato un
nuovo ordine, avrebbe creato le basi per la nascita di un mondo migliore, e
così facendo avrebbe lavato via, una volta per tutte, le numerose macchie che
adombravano la storia del suo casato.
Erano da poco passate le undici, e Johan
stava svolgendo alcuni esercizi di trigonometria alla luce di una lampada da
lavoro appoggiata sulla sua scrivania, quando qualcuno bussò alla porta della
stanza.
«Avanti.» disse lui senza staccare gli occhi
dal suo lavoro.
L’uscio si aprì lentamente, cigolando per
l’età avanzata, e il vecchio Wei entrò nella stanza con in mano un vassoio
rotondo sul quale erano appoggiate una tazza e una teiera, entrambe di
finissima ceramica bianca, più un piattino contenente alcuni spicchi di limone
e una piccola caraffa d’argento piena di latte.
«Scusi per l’interruzione, signorino. Le ho
portato il suo tè.»
«Ti ringrazio Wei. Versamene un po’, per
favore.»
«Come desidera».
Il maggiordomo mise il vassoio sul tavolino
circolare al centro della camera e riempì la tazza con una buona dose di ottimo
tè inglese di prima qualità.
«Latte o limone, signorino?»
«Limone, grazie».
Wei ubbidì, quindi, ultimati i preparativi,
poggiò sulla scrivania la tazza di tè con accanto uno spicchio di limone,
quest’ultimo già all’interno della pinzetta col quale poteva essere strizzato
senza per questo sporcarsi le mani.
«Ecco a Lei.»
«Grazie. Puoi andare ora.»
«La ringrazio».
Il vecchio servitore fece per andarsene, ma
appena cercò di muovere un passo la voce di Johan lo richiamò.
«Wei, posso farti una domanda?».
Il suo tono di voce era estremamente gentile,
quasi sconsolato, come quello di un bambino in cerca di un po’ d’attenzione, o
di qualcuno che potesse ascoltarlo.
«Naturalmente, signorino.»
«Dimmi, che tipo di persona era mio padre?».
Wei restò a dir poco sorpreso da una simile
domanda; che Johan parlasse di suo padre era un evento più unico che raro,
soprattutto dopo che questi era morto due anni prima, e comunque se lo faceva
non era certo per chiedere qualcosa sul suo conto. Johan, come era facile intuire,
aveva da sempre provato una sorta di malcelato disprezzo verso la figura
paterna, un atteggiamento ulteriormente accentuato dopo che questi lo aveva
costretto a trasferirsi in Giappone.
«Ho pochi ricordi legati direttamente a lui»
disse senza smettere di scrivere «E non ho mai avuto modo di conoscerlo
davvero. Quando gli altri parlano di lui lo descrivono come un uomo gentile, ma
le memorie che ho io sono ben diverse».
Il maggiordomo volse allora il suo sguardo
verso il grande dipinto a olio affisso alla parete sopra ad una grande
cassettiera, in cui erano ritratti tutti i membri della famiglia Von Karma
ancora in vita all’epoca della sua realizzazione, e che aveva come sfondo i
lussuosi giardini della residenza di Monaco.
Il barone Manfred Von Karma era raffigurato
seduto su di una elegante poltrona dal legno laminato in oro e foderata con una
pregiata stoffa rossa, con le gambe accavallate e le mani incrociate
all’altezza del torace; accanto a lui, in piedi, la nonna, Igraine, con indosso
il tradizionale abito bavarese, fiera e arcigna come Johan ricordava di averla
sempre vista.
Infine, ovviamente, c’erano lo stesso Johan e
sua sorella Franziska, all’epoca in cui avevano rispettivamente sette e cinque
anni; lei, vestita con un completo rosato, sorrideva, protendendosi verso la
poltrona, come a voler cercare l’abbraccio del padre; lui, invece, chiuso in un
completo nero provvisto di guanti e frustino da cavallerizzo, rimaneva immobile
ai margini del dipinto con la sua solita espressione seria, e gli occhi quasi
completamente nascosti dalle lunghe frange.
Il volto del barone era serio, ma non così
minaccioso come poteva essere quello del dipinto affisso in sala da pranzo; il
suo sguardo, piuttosto che verso il pittore, sembrava leggermente orientato
proprio in direzione del figlio, come se lo stesse silenziosamente
rimproverando.
«Riconosco che il Signore aveva un modo di
fare tutto suo; era una persona dai mille volti, ma questa è sempre stata una
caratteristica dei grandi capi del casato. D’altronde, immagino occorra una
cert’arte nel trasformismo per saper governare una delle più potenti famiglie
di tutta Europa.»
«Capisco.» rispose Johan con voce tremante
«Però signorino, se posso permettermi, ho
sempre nutrito in lui la massima fiducia. Anche se il suo modo di fare poteva
far intendere il contrario, egli teneva molto alla sua famiglia, e soprattutto
a Lei. Sono profondamente convinto che avesse delle buone ragioni per tenere
con Lei un atteggiamento così poco consono a quello che ci si aspetterebbe da
un genitore, e malgrado questo non basti a giustificarlo, dentro di me nutro la
certezza che egli si sia comportato così al solo scopo di farle del bene, e che
lui sia stato il primo a soffrirne».
Wei non poteva vederla, ma la mano di Johan
che stringeva la matita aveva preso a tremare, incapace di proseguire nella
scrittura.
«Tu… ne sei sicuro?»
«Con tutto il cuore.» rispose il maggiordomo
girandosi a guardarlo.
Il ragazzo non rispose, ma il tremore si
diffuse rapidamente a tutto il corpo; sembrava sul punto di piangere, e si mordeva
le labbra.
«Gra… grazie. Puoi… puoi andare adesso».
Wei restò in silenzio, e senza aggiungere una
parola lasciò la camera dopo aver fatto un leggero inchino.
Mentre percorreva i meandri bui del castello
diretto verso la propria stanza, per concedersi finalmente un meritato riposo,
il vecchio maggiordomo si trovò a transitare per un grande corridoio che aveva
tra i suoi arredi anche una grande armatura posizionata esattamente al centro
della parete di destra.
Di sicuro, quello era uno dei pezzi di
maggior vanto dell’intera collezione della famiglia Von Karma.
Nessuno era mai riuscito a comprendere di che
materiale fosse fatta, uno strano metallo nero lucido e liscio a cui qualcuno
attribuiva una provenienza extraterrestre, ricavato forse da un meteorite.
Il primo a possederla era stato uno dei più
antichi membri della famiglia, vissuto attorno al 1300, ma non vi era alcuna
prova che documentasse il fatto che qualcuno l’avesse mai indossata.
Non si trattava di un’armatura come le altre,
e dal momento che quasi tutte le parti di cui era divisa erano staccate l’una
dall’altra era necessario, perché potesse venire esposta, che fosse fatta
indossare ad un fantoccio di legno.
Vi abbondavano sinuose curve, punte acuminate
e lunghe protuberanze, e si componeva di corazza, spallacci, bracciali, gambali
in forma di stivale e, per finire, di un grande e voluminoso elmo, per la
verità più simile ad una maschera, la cui forma rievocava la testa di un drago.
Anche i bracciali, lunghi fino al gomito, erano
molto strani, soprattutto il destro, che presentava, nella parte terminale, una
grossa protuberanza molto simile, per forma, alla chela di uno scorpione, con
tanto di due lunghe cesoie ricurve.
Wei aveva sempre provato un certo senso di
paura verso quell’oggetto, i cui numerosi fori sembravano brillare, durante la
notte, di una sinistra luce rossa, ma non ci aveva mai fatto troppo caso.
Stava per riprendere a camminare quando,
girato casualmente lo sguardo verso uno dei grandi finestroni posti sulla
parete opposta, gli capitò di vedere, nella vastità di un cielo senza nubi, una
maestosa luna piena, leggermente oscurata però da uno strano disco rosso, come
durante un’eclisse.
Alla vista di quel fenomeno l’anziano
servitore rimase come inebetito, e pur non lasciando trasparire, almeno in
apparenza, alcuna emozione, strinse con forza i pugni.
«È giunto il momento.» disse con misto di
ansia e rassegnazione.
Johan era indubbiamente un
ragazzo-prodigio, ma anche lui aveva i suoi limiti; pertanto, attorno a
mezzanotte, era caduto senza volerlo in un sonno profondo, addormentandosi
placidamente sopra il suo libro di letteratura giapponese con la luce ancora
acceso.
Era così abituato ad addormentarsi sui libri
che ormai era diventata per lui quasi la quotidianità, e spesso non si
risvegliava che il mattino dopo.
Quella volta, però, riaprì gli occhi dopo
solo un paio d’ore, ma non perché si fosse svegliato da sé; nel sonno, infatti,
gli era parso di sentire una voce, una voce roca e profonda che sembrava
chiamare il suo nome.
Ritrovatosi nella sua camera, pensò,
ovviamente, ad un brutto sogno, ma quando, vinto dalla stanchezza, fece per
chiudere il libro e andarsene a letto, ecco giungere di nuovo quella voce.
«Johan…».
Il ragazzo stavolta balzò in piedi con il
cuore in gola per lo spavento, dimenticandosi forse di tutte quelle volte in
cui si era fatto beffe delle storie di fantasmi delle sue compagne di liceo,
spiegandole con criteri scientifici inconfutabili.
Tremante, con il fiato corto e gli occhi
spalancati sula stanza semibuia, gli venne da ritenere che si fosse trattato
solamente di un’impressione, se non che, proprio quando stava per convincere
anche sé stesso, nuovamente si sentì chiamare.
«Johan…».
Questa volta, però, per qualche strano
motivo, non provò alcuna paura; quella voce, quello strano gorgoglio simile al
lamento di un vecchio, di colpo gli era parso famigliare, e per nulla
spaventoso.
Di colpo, Johan cominciò ad avvertire
qualcosa, una strana sensazione mai provata fino a quel momento, accompagnato
da un irrefrenabile desiderio di scoprire chi fosse a parlargli, e da dove
quella voce provenisse.
Come ipnotizzato, il ragazzo si diresse verso
la porta, uscì dalla stanza e si incamminò lungo il corridoio, incurante
dell’eclissi di luna, divenuta totale, che appariva oltre le finestre del
corridoio.
La voce non smetteva un istante di chiamarlo,
e più lui camminava più la sentiva vicina, a dimostrazione del fatto che si
stava avvicinando alla meta.
Nel silenzio più assoluto, e in un’oscurità
quasi totale, Johan percorse androni, scese scale, attraversò stanze, fino a
giungere, dopo diversi minuti di peregrinare, ad una doppia porta di grandi
dimensioni posta alla fine di un lunghissimo corridoio, al quinto piano del
castello.
La riconobbe subito; era la biblioteca
personale del barone Von Karma, un luogo al quale l’accesso, sia a lui che a
sua sorella, era stato vietato nel modo più assoluto, pena una punizione che
definire tremenda era poco.
Il freno morale che aveva sempre trattenuto
Johan dallo scoprire che cosa suo padre avesse avuto da nascondere di così
prezioso in quella stanza entrò in funzione nel momento in cui il ragazzo si
rese conto che la voce sembrava venire proprio da lì dentro, ma il pensiero che
le due cose potessero essere collegate non lo sfiorò minimamente, troppo
incredibile e terrificante era quella situazione.
Alla fine, però, la curiosità ebbe il
sopravvento, e il giovane Von Karma, sfiorato uno dei due pomi dorati quel
tanto che bastava per esercitare una leggera pressione, lo girò lentamente, e
dopo che la serratura, per chissà quale miracolo, si fu aperta da sola, Johan
entrò, chiudendosi la porta alle spalle.
A giudicare dalla forma circolare, quella
stanza doveva trovarsi all’interno della torre maestra che sorgeva a nord-ovest
del castello, realizzata nel diciottesimo secolo da un suo antenato per fungere
da osservatorio.
Del diametro di almeno dodici metri, aveva un
solo, grande finestrone, posto proprio di fronte alla porta, ma di scaffali
ricolmi di libri o di poltrone su cui leggere neanche l’ombra.
L’unico arredo in quella stanza completamente
spoglia era una specie di altare a tronco di piramide poco più di un metro posto
esattamente al centro della stanza e circondato da due statue di angeli dalle
ali spiegate che guardavano nella sua direzione, puntandovi contro le proprie
lance.
Guardando quel curioso monumento Johan non
riuscì a non provare di nuovo quella sensazione, e per lunghissimi minuti restò
immobile a fissarlo, senza riuscire a comprendere cosa fosse e cercando di
capire come mai suo padre avesse fatto di tutto per mantenerlo nascosto.
All’improvviso, come se una bomba fosse
esplosa al suo interno, la parte superiore dell’altare andò in frantumi, e una
colonna di luce rosso sangue si sollevò da esso, diradandosi come il bagliore
di un faro.
Johan, istintivamente, si mise una mano
davanti al volto, poi, guardando meglio, gli riuscì di scorgere qualcosa
all’interno di quel bagliore; era un libro, un bel libro dalla copertina
marrone dall’aria molto antica, serrato con una coppia di catene.
Subito dopo il ragazzo avvertì una nuova
voce, molto diversa da quella che aveva sentito fino a quel momento; era
femminile, per non dire androgina, aveva un tono quasi robotico, e sembrava
provenire quasi dal libro.
ENTFERNUNG
SIEGEL
Un istante dopo le catene
andarono in pezzi ed il volume si spalancò da solo, facendo scorrere una
miriade di pagine piene di strani simboli simili a rune prima di fermarsi circa
a metà. Passò qualche secondo, poi dal suo interno schizzarono fuori sette
fasci di luce, che oltrepassata la finestra senza per questo mandarla in pezzi
scomparvero rapidamente nel cielo notturno puntando in varie direzioni.
A quel punto vi fu un bagliore fortissimo,
che costrinse Johan a chiudere gli occhi, e quando il ragazzo li riaprì tutto
era scomparso.
Il libro, ora richiuso, giaceva a terra ai
piedi dell’altare. Johan, confuso, lo raccolse; al centro della copertina
capeggiava una croce gotica in oro massiccio, circondata da un cerchio.
«Ma cosa…»
«Bene arrivato, Johan.» disse, d’un tratto,
quella voce.
Il giovane Von Karma alzò gli occhi,
trovandosi a tu per tu con un ammasso informe di vapore nero che aleggiava
davanti a lui stando a qualche metro da terra; dapprima, spaventato, saltò
istintivamente all’indietro, ma poi, sentendo provenire da quella cosa un
nonsoche di famigliare, si rimise in piedi.
«Chi… che cosa sei tu?».
La voce, dapprima, tacque.
«Io… sono te».
Immersa nella tranquillità
della sua stanza, Franziska stava facendo le ore piccole leggendo il libro
lasciato a metà quella mattina, comodamente seduta alla sua solita poltrona.
Ai suoi piedi il suo fedele Uther, che
sonnecchiava tranquillamente con la testa poggiata sulle zampe.
D’improvviso però, il cane si riscosse, come
se avesse avvertito un pericolo.
«Uther, che ti prende?».
Malgrado il richiamo della sua padrona Uther
divenne sempre più nervoso, i peli della schiena gli si rizzarono e lui prese a
ringhiare sempre più forte.
Franziska non riusciva a comprendere la
natura di un tale comportamento, ma poi, di colpo, anche lei venne colta da una
sensazione di minaccia incombente, accompagnata da un senso di angoscia.
Suo fratello! Suo fratello era in pericolo!
Non sapeva spiegarsi il perché, ma aveva la
netta sensazione che il suo adorato fratellino stesse correndo un pericolo
mortale.
«Johan!».
Scattata in piedi, la ragazza corse come un
fulmine fuori dalla stanza, correndo a perdifiato fra i corridoi del castello
come guidata da una sorta di filo invisibile che la legava indissolubilmente a
Johan. Uther la seguiva standole un passo indietro, ed era sempre più nervoso.
Quel filo condusse Franziska nell’ultimo
posto dove si sarebbe mai immaginata di dover cercare il fratello, ma nel
momento in cui giunse infondo al corridoio trovò la strada tra lei e la
biblioteca sbarrata nientemeno che da Wei; il vecchio maggiordomo stava in
piedi davanti alla porta, fermo e immobile come una statua, e quando Franziska
gli si avvicinò la ragazza poté notare subito quanto diverso fosse divenuto il
suo sguardo, al punto che quasi ne ebbe paura; persino Uther gli ringhiò
contro, una cosa che in sette anni non aveva mai fatto.
«Wei, che sta succedendo? Johan è lì dentro?»
«Il rituale è cominciato.» disse Wei con un
tono che non gli era mai appartenuto «Questa notte, l’eredità dei Von Karma
otterrà un nuovo custode.»
«Che stai dicendo? Wei, fammi passare!»
«Mi dispiace, signorina. Non posso.»
«Che cosa!?» replicò Franziska, stupita e infuriata
per una così palese insubordinazione.
Nel frattempo, all’interno della stanza,
Johan rimaneva immobile ad osservare la nuvola nera davanti a lui, con lo
sconcerto più totale dipinto sul viso.
La risposta alla domanda su cosa fosse quella
massa informe di aria lo aveva lasciato attonito, e non gli riusciva di capire
cosa essa volesse dire.
«Come… come sarebbe a dire… che tu sei me?»
«Io sono l’eredità dei Von Karma. Per secoli
la mia essenza è passata di padre in figlio all’interno del tuo casato, e ora
vive dentro di te.
Io sono Seth, Dio della Distruzione, e tu sei
la mia reincarnazione in questo mondo».
Johan rimase paralizzato per lo sgomento,
tanto che persino respirare gli risultò difficile.
«Io… la tua reincarnazione!?»
«Dall’alba della storia, quella parte del mio
spirito rimasta in questo mondo ha risieduto all’interno dei capi della
famiglia Von Karma. Per la maggior parte del tempo esso è rimasto inerte, ma
all’incirca ogni due secoli le due parti della mia essenza hanno la possibilità
di ricongiungersi, e a colui che ospita la metà di questo mondo viene fatto il
grande privilegio di accogliere tutti i loro poteri all’interno del suo corpo.»
«Tutti… i tuoi poteri!?»
«Io ti conosco bene, Johan. So cosa alberga
nella tua anima. I tuoi sentimenti, le tue emozioni. Tu vuoi cambiare questo
mondo, vuoi renderlo un posto migliore.
Io ti offro la possibilità per farlo. Per
riuscirci, però, dovrai affrontare un viaggio lungo e difficile, e numerosi
avversari.»
«Di che… di che stai parlando?»
«Non è necessario che io ti spieghi. Lascia
che i ricordi e le esperienze insite nella metà del mio spirito che vive dentro
di te scorrano nella tua mente, assieme al loro grande, incommensurabile
potere».
Johan improvvisamente si sentì dilaniare da
un indicibile dolore, come se tutto il suo corpo fosse stato immerso nel fuoco;
prese ad urlare, contorcendosi furiosamente, fino a che quella terribile
sensazione non prese lentamente a scomparire, concentrandosi tutta in un solo
punto.
Il ragazzo, confuso e spaventato, quasi si
strappò il bell’abito nero e la camicia bianca che indossava, mettendo a nudo
il suo torace sottile ma ben sviluppato, al centro del quale era comparso uno
strano simbolo color rosso sangue la cui forma ricordava, vagamente, un
pipistrello con le ali spiegate.
«Che… che cos’è questo?»
«Il marchio che simboleggia il nostro legame.
La sua comparsa è la prova intangibile che sei destinato a portare dentro di me
tutta la mia essenza».
Johan posò nuovamente gli occhi sulla nuvola,
che ora sembrava quasi aver assunto le fattezze, piuttosto sfumate, di una
persona.
«Tu vuoi un mondo migliore.
Disprezzi gli uomini per la loro inclinazione
alla violenza, e sei consapevole che solo portando nuovo ordine questo
splendido pianeta e tutte le sue creature potranno continuare a vivere.
I miei poteri, uniti alla grande magia che
scorre da secoli nelle vene dei Von Karma, renderanno possibile questo tuo
sogno. Dovrai confrontarti con nemici insidiosi, che difendono questo mondo
corrotto, ma a differenza dei tuoi predecessori, che hanno tutti miseramente
fallito, potrai contare su un gran numero di alleati.»
«Ma perché lo stai facendo? Che cosa ci
guadagni tu?»
«A suo tempo, ho avuto il tuo stesso
desiderio. Quando ancora questo mondo non era stato insozzato dall’ipocrisia e
dall’avidità degli uomini, mi sono battuto per difenderlo, ma coloro che si
ritengono difensori della giustizia mi hanno accusato di essere un malvagio, e
mi hanno punito con una reclusione che perdura dall’alba dei tempi.
Ora dimmi. Che divinità è una che favorisce
una sola specie a danno di tutte le altre, oltre che dello stesso mondo nel
quale vivono? Come può definirsi una divinità?
Io sono convinto che questo mondo e la sua
preservazione abbiano la precedenza su tutto, anche gli esseri umani e sulle
loro misere vite, e so che lo pensi anche tu.
È giunta l’ora di cambiare le cose, Johan. E
sarai tu il fautore del cambiamento, se solo accetterai questo compito».
Johan restò in silenzio, col capo chino e lo
sguardo a terra; alcune gocce di sudore gli scendevano lungo il viso, e i
capelli ne erano leggermente zuppi.
«Io… accetto.»
«Così sia».
La nuvola allora si dissolse, trasformandosi
in una specie di vortice che prese a girare vorticosamente attorno a Johan, e
contemporaneamente ai piedi del ragazzo si materializzò un grande circolo
magico di colore viola formato da una stella a sei punte, ognuna delle quali
terminante in un cerchio con all’interno un simbolo nero, e raffigurante al
centro la stessa croce che capeggiava sul libro.
Johan sentì qualcosa montare dentro di lui, e
non ricordò di aver mai provato sensazione più bella.
«Per l’ultima volta, Wei!»
gridò Franziska fuori di sé «Fammi passare ora!»
«Mi dispiace enormemente signorina, ma questa
è una richiesta che non posso esaudire».
La ragazza cercò allora di girargli intorno,
ma appena cercò di muovere un passo Wei le si piantò nuovamente davanti,
impedendole di passare.
«Wei, giuro che se non mi fai passare ora non
risponderò più delle mie azioni.»
«Signorina, comprendo perfettamente come si
sente in questo momento, ma la prego di capire. Suo padre mi aveva avvertito
che questo giorno sarebbe potuto arrivare, e si è raccomandato che nulla
potesse interferire con il normale scorrere degli eventi.»
«Di che diavolo stai parlando!? Che c’entra
nostro padre?»
«Il signorino è stato scelto.»
«Che vuol dire è stato scelto!? È stato
scelto per cosa!?»
«Egli ospiterà dentro di sé il potere che la
famiglia Von Karma si tramanda da generazioni. Per secoli i suoi antenati hanno
custodito gelosamente questo segreto, un segreto del quale Johan è tenuto a
farsi carico.»
«Ma di che segreto si tratta?» domandò
Franziska con voce meno minacciosa e più preoccupata.
Anche Wei a quel punto smise di mostrarsi
così terrificante, e non appena la ragazza fece per scoppiare a piangere lui le
mise le mani sulle spalle, rivolgendole uno dei suoi sorrisi gentili.
«Mi creda signorina, anch’io sono molto
preoccupato. Purtroppo temo che, in questo momento, cercare di intervenire non
farebbe altro che mettere in pericolo la vita del signorino.»
«Sono d’accordo!».
Quella voce roca e profonda, come se
giungesse da dentro un imbuto, fece sobbalzare sia Wei che Franziska, e quando
la ragazza si girò alle proprie spalle vide che, dal nulla, era comparso un
misterioso quanto terrificante individuo, completamente nascosto dentro un
mantello nero, con un paio di guanti a nascondergli le mani ed un cappuccio
sollevato sulla testa.
«Chi…» balbettò Franziska «Chi sei tu!?»
«Io sono quello che vi ha salvato la vita
molti anni fa.» rispose il tipo.
Qualche attimo dopo, l’uscio si aprì
leggermente, e non appena Franziska posò gli occhi su suo fratello per un
attimo pensò di avere davanti un’altra persona.
Il suo sguardo, un tempo così innocente,
almeno per chi sapeva leggerlo, aveva fatto posto all’espressione più seria e
risoluta che si potesse immaginare, al punto da mettere paura persino alla
sorella, che non riuscì a correre da lui per abbracciarlo come avrebbe voluto;
persino i suoi begli occhi erano cambiati, passando dal blu oltremare ad un
viola intenso.
Uther, addirittura, si allontanò leggermente,
mugolando spaventato; Wei, invece, fece al ragazzo il suo solito inchino, ma
molto più reverente del solito.
«Jo… Johan…» disse Franziska «Sei… davvero
tu?»
«Sì, sorellina.» rispose lui, apparentemente
con la sua solita voce, ma che la ragazza stentò a riconoscere «Sono sempre
Johan. Ora però, sono anche qualcosa di più».
Il giovane si girò dunque verso il misterioso
individuo incappucciato, facendo qualche passo nella sua direzione, quindi
accennò un enigmatico sorriso.
«È un piacere rivederti, Anubis.»
«Il piacere è mio, fratello.» rispose quello
con un cenno del capo
«Siamo stati separati per tanto tempo.
Spero che i tuoi servitori non si siano
rammolliti.»
«Non c’è nulla di cui tu debba preoccuparti.
Attendono solamente i tuoi ordini.»
«Molto bene. Presto anche gli altri
giungeranno qui, appena i loro spiriti si saranno riuniti, e allora potremo
dare il via al nostro progetto.
Nel frattempo, però, direi di annunciare come
si deve a quei rammolliti che partecipano al grande torneo il mio ritorno in
questo mondo.»
«Come desideri, mio signore».
L’eclissi lunare non
caratterizzò solo i cieli della Baviera; mezzo mondo poté assistevi, e da
qualunque angolazione la si guardasse la luna era sempre e comunque oscurata
nella sua interezza, brillando di una sinistra luce rossastra.
Nessuno riuscì a comprendere la natura di un
fenomeno tanto singolare, e ben pochi erano coloro che sapevano che non si
trattava affatto di una normale eclissi; quella era una porta, la porta verso
un altro mondo, una porta che nessuno che conoscesse la sua esistenza avrebbe
voluto vedere aprirsi.
Quello era un presagio: il presagio di grandi
sventure.
Dall’alto del campanile di San Marco, Toshio
osservava con grande preoccupazione l’evento che si stava compiendo dinnanzi ai
suoi occhi.
Non era solo; accanto a lui c’erano due
ragazze alquanto singolari.
Quasi
identiche nell’aspetto, tranne che per la lunghezza dei capelli, vestivano con
lo stesso abito nero, caratterizzato da maniche lunghe e gonne corte; entrambe
portavano calze lunghe per nascondere le gambe e un paio di stivaletti,
entrambe avevano occhi azzurri e capelli di un marrone pastello piuttosto
chiaro.
Ciò che le rendeva singolari, però, era che
tutte e due presentavano una lunga coda e un paio di orecchie feline di colore
marrone scuro, con le punte leggermente più chiare.
Anche loro sembravano molto preoccupate, e il
fatto che ormai quella che tutti credevano essere un’insolita eclissi fosse
ormai prossima a finire non servì a tranquillizzarle.
«Lui è qui.» disse Toshio «È ritornato».
Nota dell’Autore
Eccomi qui di nuovo!
Questa volta il
capitolo soddisfa appieno le mie aspettative, e ammetto di esserne piuttosto
fiero.
Tralasciando le
solite frasi di rito, voglio fare una precisazione: come si sarà facilmente
intuito da alcuni particolari (nomi, ambientazioni, colori di occhi e capelli)
questa storia si propone di rassomigliare il più possibile ad una serie anime,
tanto negli argomenti quanto nello stile in sé.
Come al solito
ringrazio i miei recensori, Selly, Akita, Cleo92 e Levski.
«Scusate un attimo.» disse
Shinji girandosi a guardare i suoi amici, quasi invisibili tra la folla
sterminata che di primo mattino affollava le calli più vicine a Piazza San
Marco «Non sarà pericoloso muoversi così in pieno giorno? Dico, quel pazzo di
Atarus è ancora in giro.»
«Padre Andersen ha detto che i partecipanti
al torneo tendono ad evitare di combattere di giorno, e in luoghi molto
affollati.» rispose Nadeshiko «Finché stiamo dove c’è tanta gente dovremmo
essere al sicuro.»
«Ma noi di preciso cosa dovremmo fare
adesso?» domandò Keita
«Non è ovvio? Dobbiamo trovare Toshio e
parlargli».
Già, parlare con Toshio.
Durante la notte i tre compagni di viaggio,
ospitati per l’occasione nella chiesa di Padre Andersen, che si era offerto di
tenerli con sé fino al giorno in cui non fosse stato prudente raggiungere
l’aeroporto per tornare a casa, avevano parlato tra di loro, e alla fine
avevano preso una decisione.
Visto e considerato che loro erano “speciali”
volevano fare qualcosa per aiutare chi stava impegnando tutte le sue forze
tanto nel torneo quanto nella battaglia contro Seth che sarebbe seguita subito
dopo.
Keita aveva detto che poteva essere
pericoloso, che loro non possedevano al momento le conoscenze necessarie per
difendersi da soli, e che avrebbero rischiato di essere solamente d’intralcio,
tanto per Toshio quanto per chiunque altro.
Inaspettatamente, però, era stato nientemeno
che Takeru a risollevarli da quella convinzione.
«Non si diventa forti da un giorno
all’altro.» aveva detto senza alzare la testa dal cuscino della sua branda «E
rimanere fermi ad osservare gli eventi che ci scorrono accanto, specie se di
tale portata, è la cosa più stupida che si possa fare.
Vi è stato concesso il grande onore di
assistere ad un evento che accade una volta ogni duecento anni, e anche di
prendervi parte. Non sprecatelo».
Nadeshiko, poi, aveva messo ulteriormente il
dito nella piaga, ricordando di come loro tre, negli anni che erano stati
insieme, non avessero fatto altro che scansare i pericoli, chiusi nel piccolo
eremo che si erano costruiti per evitare il giudizio del resto del mondo.
Tanto lei quanto i suoi amici, a pensarci
bene, avevano un motivo per sentirsi isolati, estranei alla realtà in cui
vivevano, e forse era proprio per questo che la loro amicizia nel corso degli
anni si era rafforzata al punto da non poter più fare a meno l’uno degli altri.
Forse il destino aveva voluto immergerli in
quella nuova, sconvolgente realtà, proprio per spingerli ad abbandonare questa
loro condizione di isolamento, perché imparassero a conoscere un po’ di quel
mondo di cui tanto avevano paura, in mondo in cui, forse, avrebbero trovato
quelle risposte che avevano sempre avuto paura di cercare.
Che dire poi del potere che avevano scoperto
di avere dentro?
Considerata la minaccia che Seth e Atarus
rappresentavano per il futuro della Terra, se davvero possedevano una magia
così grande avevano il dovere di metterla al servizio della causa che aveva
come fine ultimo la sopravvivenza degli esseri umani.
Certamente non potevano imbarcarsi in una simile
impresa da soli, quindi la cosa migliore da fare, anche su suggerimento dello
stesso Andersen, era di affiancare Toshio nel suo viaggio, aiutandolo ogni
qualvolta ne avesse avuto bisogno prima a vincere il torneo e poi a
confrontarsi con Seth, che a giudicare dalla straordinaria quanto anomala
eclissi verificatasi la notte prima era già risorto nel mondo fisico, più
pericoloso e potente che mai.
Anche Takeru era con loro, e continuava,
nonostante tutto, a portarsi dietro la sua spada, ben nascosta come sempre
all’interno del suo involucro di velluto per evitare di terrorizzare i passanti
o per non dover dare spiegazioni a qualche agente di polizia.
«Ma come faremo a trovare Toshio in mezzo a
tutta questa folla?» domandò Keita «Venezia è grande, e lui potrebbe essersene
già andato.»
«No, io non credo.» rispose Nadeshiko «Sono
anzi convinta che prima di lasciare questa città voglia confrontarsi nuovamente
con Atarus, e dal momento che non può farlo per i successivi due giorni è
probabile che li trascorrerà cercando di recuperare le forze, magari in qualche
albergo.
Dovremo chiedere un po’ in giro, ma sono
sicura che alla fine lo troveremo.»
«Sempre che non sia Atarus a trovare noi. Mi
sento sempre come se dovesse comparire da un momento all’altro».
Proprio in quella Keita, che camminava stando
girato, andò a sbattere contro qualcuno, e sia lui che l’urtato caddero a
terra.
«Mi scusi.» si affrettò a dire il ragazzo
«Non l’avevo vista».
Quella, che gli dava le spalle, nel sentire
la voce di Keita sembrò colpita da un fulmine.
«Keita!?» disse prima ancora di girarsi, e
non appena si tolse il capello da baseball che le nascondeva il volto i tre
amici rimasero con le bocche spalancate.
Doveva avere pressappoco la loro età, aveva
capelli castani e occhi di un bel marrone risplendente; le sue dimensioni
piuttosto minute, unite a quella sua espressione innocente, da bambola di
porcellana, la rendevano estremamente graziosa.
«Yo…» disse Nadeshiko «Yoshida!?»
«Nadeshiko!?».
Era proprio lei, Kazumi Yoshida, seconda
sezione dell’ultimo anno, vincitrice del concorso per la ragazza più carina del
liceo e prima della lista per numero di lettere d’amore trovate nella
scarpiera.
Fino a pochi mesi prima lei e gli altri erano
stati compagni di classe, poi, con l’inizio del nuovo anno e il rimpasto delle
classi, erano stati separati.
Yoshida era una ragazza gentile, dall’aria a
volte un po’ svampita, ma chi la conosceva bene sapeva bene che all’occorrenza
poteva diventare energica e combattiva. Lei e Nadeshiko erano state molto
amiche fin dalle elementari, ma a causa sia del rimpasto sia dei quasi otto
anni che Yoshida aveva trascorso a Sapporo, dove si erano trasferiti a causa
del lavoro del padre, le ragazze si erano un po’ perse di vista, anche se da
due anni a quella parte avevano ricominciato a vedersi abitualmente.
Anche Shinji e Keita la conoscevano, seppur
non bene come la loro compagna, e in più di un’occasione lei era uscita insieme
a loro dopo la scuola.
«Sto sognando, siete davvero voi?»
«In carne ed ossa.» rispose Shinji «Tu guarda
a volte cosa non combina la sorte».
Per valorizzare al meglio
quella insolita quanto inaspettata sorpresa i ragazzi abbandonarono
momentaneamente la loro ricerca di Toshio, concedendosi una sosta al famosissimo
caffè Florian, in Piazza San Marco. Nadeshiko e i suoi amici avrebbero voluto
andarci la sera prima, ma era talmente affollato che alla fine avevano
preferito la tranquillità di un localino senza tante pretese situato poco
lontano, lo stesso in cui si trovavano quando era cominciato lo scontro tra
Toshio e Atarus.
Per un’assurda coincidenza, se avessero avuto
la pazienza di aspettare nulla di quello sarebbe mai accaduto, e chissà in quel
momento dove si sarebbero trovati.
«È davvero incredibile.» disse Yoshida quando
si furono tutti seduti attorno ad un tavolino all’aperto «L’ultima cosa che
immaginavo possibile era incontrarvi.»
«Direi che vale lo stesso per noi.» rispose
Keita «Ora che ci penso però, avevi accennato al fatto che saresti venuta qui
in Europa.»
«Era una cosa programmata da diverso tempo.»
«Avrei voluto chiamarti per invitarti» disse
Nadeshiko «Ma quando quella sera ho telefonato a casa tua i tuoi genitori mi
hanno detto che eri già partita.»
«Sono andata in aeroporto subito dopo essere
uscita da scuola. Avevo l’aereo la sera stessa.»
«Capisco.»
«Comunque, che cosa ci fate qui a Venezia?»
«Dobbiamo ringraziare la qui presente dèa
della fortuna.» disse Shinji mettendo la mano in testa a Nadeshiko «Ha vinto in
un colpo solo quattro biglietti per un viaggio premio qui in Europa.»
«Davvero!? Incredibile.»
«E tu Takeru, non fare il solito associale.
Presentati come si deve».
Takeru, che era seduto per conto suo, girò
leggermente la testa verso di lei.
«Ciao».
Quel semplice ciao fu per Yoshida come una
cannonata, una cannonata al cuore, e la ragazza divenne in un istante rossa
come un melograno. Nadeshiko se ne avvide, e sapendo quanto fosse difficile per
un qualsiasi ragazzo fare breccia nell’animo dell’amica, alla quale le
attenzioni maschili non avevano mai fatto grande effetto, non poté fare a meno
di sorridere.
Keita e gli altri avevano sentito parlare del
Florian e si aspettavano di dover pagare qualcosa più del solito, ma quando
videro i prezzi sui menù portati dal cameriere per poco non si sentirono
prendere un colpo.
«Ma… ma è inaudito!» disse Keita «Come si può
chiedere così tanto?»
«Se i miei genitori facessero simili prezzi
al nostro bar, avremmo già chiuso da tempo.»
«Dopotutto, questa è Venezia.» rispose
Yoshida con suo sorriso gentile «Siamo in Piazza San Marco, e questo è il
Florian, uno dei caffè più famosi d’Europa. È naturale che i prezzi siano
elevati.»
«Sì, ma qui anche solo un caffè ci manderebbe
in rovina.» disse Shinji
«Per questo non preoccupatevi. Ordinate pure
tutto quello che volete. Oggi offro io».
La ragazza, sotto gli sguardi perplessi dei
suoi amici, mostrò loro il proprio borsellino, pieno fino all’orlo di banconote
di grosso taglio.
«Accidenti, quanti soldi!» esclamò Keita «Dove
ti sei procurata tanto denaro?»
«Beh, non sono proprio miei. Sono un regalo
di papà.»
«Dovevo immaginarmelo.» disse Nadeshiko «Del
resto, tuo padre è il proprietario di una grande casa editoriale.»
«Già. Vorrei guadagnarmi dei soldi per conto
mio, ma quando ha scoperto che lavoravo part-time mi ha confinata in camera per
una settimana. A volte è decisamente troppo protettivo».
In quella Yoshida si sentì chiamare, e un
istante dopo un giovane ragazzo si avvicinò al tavolo dove i cinque amici erano
seduti.
Doveva avere sui vent’anni, e anche a colpo
d’occhio si notava subito una forte somiglianza fra lui e Yoshida; aveva i
capelli dello stesso colore castano, solo leggermente più scuri, gli stessi
lineamenti del viso e gli stessi occhi marroni; aveva un’espressione seria,
composta, degna di un professore, messa ancor più in risalto dal curioso paio
di occhiali rettangolari che indossava ma ingentilita dal suo enigmatico
sorriso.
«Kazumi. Eccoti finalmente. Stavo per
chiamarti.»
«Tempismo perfetto. Faccio le presentazioni.
Lui è Tadaki, mio fratello maggiore.»
«Davvero, lui è tuo fratello?» domandò
Nadeshiko «Kazumi mi ha parlato spesso di te.»
«Non che ci sia molto da dire.» rispose lui
sorridendo
«Tadaki, questi sono gli amici di cui ti
avevo parlato. Nadeshiko, Shinji e Keita. Lui invece è Takeru.»
«Piacere.»
«Piacere nostro.» rispose Keita
«Sapete, Tadaki studia qui a Venezia,
all’Accademia.»
«Sul serio!?» disse Shinji «Ho sentito che è
una delle accademie d’arte più prestigiose del mondo.»
«In effetti è così.»
«Avrai dovuto studiare molto per riuscire ad
essere ammesso.»
«Abbastanza. Il livello dei corsi è
particolarmente adatto, ma fortunatamente per me riesco a stare al passo.»
«Tadaki attualmente fa parte del comitato di
restauro per alcuni dei più importanti monumenti di Venezia. Inoltre,
saltuariamente, tiene lezioni private di giapponese, soprattutto per gli
studenti dell’università.»
«Accidenti, sei davvero un tipo dalle mille
risorse, Tadaki-san.» disse Nadeshiko
«Diciamo che so badare a me stesso. In una
città come questa far quadrare i conti è sempre un problema, per quanto uno
cerchi di fare economia.»
«Ce ne siamo accorti.» puntualizzò Shinji
indicando il menù del Florian
«Kazumi, io oggi ho una lezione privata
dietro l’altra, e temo che starò via tutto il giorno.
Mi dispiace molto.»
«Non preoccuparti. Ormai sono capace di
orientarmi.»
«E non preoccuparti.» disse Nadeshiko «Noi le
faremo compagnia. Giusto ragazzi?»
«Eccome.» risposero Shinji e Keita «Anche noi
infondo avevamo in programma di girare un po’ per la città.»
«D’accordo, allora io ti lascio. Ci vediamo
stasera.»
«Ok, a stasera».
Così, per amore o per forza,
Nadeshiko e i suoi compagni proseguirono il loro giro per Venezia accompagnati
da Yoshida, che faceva loro da Cicerone accompagnandoli nei posti più famosi e
interessanti della città.
Il proposito di cercare Toshio ormai era
andato in malora, anche se di tanto in tanto qualcuno dei tre si intrufolava
non visto in qualche albergo per scoprire se magari lo spadaccino alloggiava
lì, ricevendo però sempre e comunque una risposta negativa.
Takeru era visibilmente nervoso, e sembrava
non vedesse l’ora di levarsi di torno, ma Yoshida gli stava perennemente
addosso, girandosi continuamente a guardo e arrossendo ogni volta che lui
ricambiava lo sguardo.
Chi tuttavia sembrava maggiormente estraneo a
quanto stava accadendo, però, era Keita, che ancora non riusciva a comprendere
appieno la marea di eventi nel quale gli altri si erano trovati coinvolti.
Per quanto si sforzasse di non pensarci, per
tutta la notte aveva avuto davanti agli occhi il ghigno malefico di Atarus, e
il suo breve sonno era stato funestato di incubi spaventosi. A spaventarlo,
però, non era il pensiero di poterci rimettere la vita; nei suoi sogni non
aveva visto morire sé stesso, ma i suoi amici, e questa era una cosa che lo
spaventava a morte.
Keita aveva sempre considerato l’amicizia e
il legame coi suoi due inseparabili compagni come la cosa di maggior valore, e
il pensiero che potessero essere in pericolo, perché coinvolti in qualcosa più
grande di loro, gli faceva tremare i polsi.
Non che non avesse paura anche per la sua
stessa sorte, tutt’altro, ma faceva parte del suo carattere anteporre sempre le
altre persone a sé stesso, una cosa che molti, soprattutto Nadeshiko, gli
avevano sempre rimproverato, esortandolo ad essere un po’ più egoista piuttosto
che a preoccuparsi sempre e solo degli altri.
Proprio pensando alla sicurezza di Shinji e
Nadeshiko aveva insistito tanto per cercare di far capire loro la gravità e la
pericolosità di quella situazione, ma poi le parole di Takeru, pesanti come il
piombo, lo avevano fatto riflettere.
Dopotutto anche lui, nella sua vita, non
aveva mai fatto altro che cercare un’esistenza il più possibile normale, e
sotto questo aspetto era molto diverso dagli altri membri della sua famiglia.
Sua madre, ai tempi del liceo, era stata una
modella, e anche se aveva rinunciato alle passerelle per dedicarsi alla casa e
ai figli di tanto in tanto capitava che accettasse qualche offerta fra le tante
che le venivano proposte dalla sua vecchia agenzia.
Suo padre, Rokuro, era un professore e un
archeologo di fama internazionale, che aveva viaggiato in tutto il mondo e che
in un paio di occasioni si era messo in situazioni degne di Indiana Jones,
dalle quali era uscito sempre e comunque vincitore.
La sua sorellina era piccola, ma sognava di
poter intraprendere un giorno la strada della televisione, e chi l’aveva
sentita cantare giurava che sarebbe stata una strada lastricata di successo.
E poi c’era lui.
Lui, in verità, di sogni non ne aveva mai
avuti. La sua vita era regolata da un orologio invisibile che col suo
inesorabile ticchettio scandiva ogni secondo della sua giornata e che si
ripeteva ogni giorno nella sua spaventosa monotonia. La vita emozionante dei
liceali che riempivano le pagine dei fumetti di Sayuri, fra amori struggenti e
avventure a non finire, gli sembravano così irreali e fantasiosi; e dire che
quando aveva l’età di sua sorella e leggeva quegli stessi fumetti non vedeva
l’ora di arrivare al liceo per poter scoprire se era davvero così avvincente
come veniva descritto, ma una volta riuscitoci si era dovuto ricredere.
Forse quello che era loro successo era
davvero un segno del cielo, un invito per lui e per tutti gli altri a liberarsi
dalla monotonia delle loro vite per realizzare finalmente qualcosa degno di
nota, e in tal caso, come diceva Takeru, non potevano permettersi di sprecare
quell’occasione.
Keita era così immerso nei suoi pensieri da
camminare a testa bassa, rallentando sempre di più il passo, e quando alla fine
si decise a rialzare lo sguardo i suoi compagni erano scomparsi, inghiottiti
dalla folla.
«Accidenti, li ho persi!».
Provò a cercarli, ma dopo aver camminato
lungo quella calle per alcuni metri non gli riuscì di trovarli; evidentemente
avevano svoltato in una via laterale, e in quel labirinto di cunicoli
orientarsi era quasi impossibile; anche i loro cellulari erano isolati,
probabilmente perché si trovavano in una zona senza segnale.
“Non va’ bene. Da solo rischio di essere un
bersaglio facile. Sarà meglio tornare alla chiesa. Sicuramente torneranno lì
anche loro”.
Il ragazzo stava appunto per tornare
indietro, quando, per un motivo che non riusciva a capire, una stradina
laterale attirò la sua attenzione. Aveva avuto per un istante l’impressione di
scorgere una figura che vi si infilava furtivamente, e sapeva bene che poteva
trattarsi di una trappola, ma nonostante ciò scelse comunque di ascoltare quel
richiamo misterioso.
Incamminatosi per quel viottolo, camminò
lentamente e in silenzio per alcuni minuti, senza avere bene in mente che cosa
stesse facendo, fino a che non giunse in una piazzetta molto simile a quella in
cui si erano scontrati Atarus e Toshio, con un solo ingresso, stretta su tre
lati da alte palazzine e sul quarto dal muro di cinta di una villa, con qualche
panchina e una colonna al centro sopra la quale svettava una piccola madonna in
preghiera.
Keita restò un attimo immobile a guardarla,
domandandosi se non fosse stata proprio quella statua ad emettere quel richiamo
irresistibile, ma poi, di nuovo senza capire come o perché, avvertì
distintamente l’approssimarsi di un pericolo, e giratosi di scatto ebbe appena
il tempo di buttarsi a terra lateralmente per evitare una coppia di
affilatissimi boomerang metallici a forma di mezzaluna, che andarono a
conficcarsi nel terreno.
Un istante dopo, sbucando dall’alto, comparve
davanti a lui una giovane ragazza che indossava una sorta di abito cinese di
colore bianco sfavillante, arricchito da un paio di lunghi guanti neri, scarpe
leggere da combattimento e una cintura alla vita.
La pelle leggermente scura, i tratti del
viso, gli occhi marroni e i capelli neri a caschetto con lunghe frange che
ricadevano sulla fronte lasciavano intendere la sua origine orientale; veniva
forse dal medio oriente, o magari dalla zona dell’India, un’ipotesi questa
avvalorata dall’arma che brandiva, una specie di spada ricurva dalla lama
grossa portata alla cintura, dietro la schiena.
Keita, che negli anni trascorsi con il padre
aveva a sua volta imparato qualcosa sulle armi antiche, non faticò a
riconoscere nelle lame che gli erano piovute addosso una micidiale arma omicida
usata fin dal quindicesimo secolo dalle spie al servizio dei rashà, il che non
lasciava praticamente alcun dubbio sull’origine indiana della donna che aveva
di fronte.
Malgrado avesse un’espressione seria e
determinata non sembrava una cattiva persona, ma il modo in cui si era presentata
certo non lasciava presagire nulla di buono.
«Salve, tesorino.» disse la ragazza
accennando quasi un occhiolino «Tu sei uno di quelli che riuscivano a muoversi
all’interno del Fuuzetzu, o sbaglio?»
«Chi… chi sei tu?» domandò Keita alzandosi in
piedi «Anche tu partecipi al torneo?»
«Ah, allora sai già tutto. Questo eviterà
lungaggini noiose.»
«Che cosa vuoi da me? Anche a te interessa il
mio circolo magico?»
«Perché, ti sorprende? Non è da tutti
possedere al proprio interno un circolo così potente da permettere di eludere
un incantesimo potente come il Fuuzetzu.
A pensarci bene, non credo che sia mai
successo nulla del genere in tre millenni di competizioni, e il comportamento
che state tenendo tu e i tuoi amici al momento è tutt’altro che ammirabile.»
«Il nostro comportamento!?»
«Insomma, qualcuno in possesso di un circolo
magico di tale forza che se ne va’ tranquillamente in giro per le strade come
se niente fosse nel bel mezzo del torneo è come se andasse chiedendo di essere
ammazzato».
La ragazza eseguì a quel punto una specie di
gioco di prestigio, e fra le dita le comparvero altre quattro lame a mezzaluna,
due per ogni mano, questo mentre la sua espressione si faceva maliziosamente
aggressiva.
«E sai, c’è chi a questo richiamo è ben
felice di rispondere».
Keita rimase un momento immobile, poi,
nell’istante in cui la ragazza accennò un movimento, lui cominciò a correre
come un pazzo, e dopo essere riuscito ad evitare miracolosamente quelle lame
infernali cercò di guadagnare l’uscita, ma appena fece per imboccarla andò a
sbattere contro una barriera invisibile che per poco non gli sfracellò il naso.
«Ma cosa…»
«Mi spiace tesoro, ma la fuga non è
un’opzione».
Spaventato, il ragazzo si girò.
«Non sei un po’ grandicello per scappare di
fronte al pericolo?».
In realtà, a differenza di come
Keita si aspettava, Nadeshiko e gli altri non si erano ancora accorti della sua
assenza; solo quando, ad un certo punto, Yoshida si fermò per rispondere al
cellulare Shinji, guardandosi indietro, si avvide che mancava un membro del
gruppo.
«Ehi ragazzi, avete visto Keita? È
scomparso.»
«Scomparso?» disse Yoshida «Com’è possibile?»
«Non lo so, l’ultima volta che mi sono girato
era dietro di me. Probabilmente si è perso in mezzo a tutta questa folla».
Nuovamente, il ciondolo che Nadeshiko portava
al collo prese ad emettere un tenue chiarore rosato, ma stavolta il fenomeno
non passò inosservato; la ragazza infatti si sentì per un istante come
paralizzata, mentre uno strano formicolio le saliva lungo la schiena, e subito
una sensazione terribile prese a scorrerle in tutto il corpo.
«Keita! È in pericolo!» esclamò, e subito
dopo si mise a correre veloce come un fulmine nella direzione dalla quale
sentiva venire un che di indecifrabile, come una presenza minacciosa
«Nadeshiko, aspetta!» disse Shinji andandole
dietro assieme a tutti gli altri.
Nel frattempo Keita era sempre più in
difficoltà.
Non potendo fuggire, si limitava a correre da
una parte all’altra della piazzetta, e ogni volta le lame rotanti che gli
venivano lanciate contro si facevano sempre più vicine.
La ragazza che lo stava attaccando ci
prendeva sempre più gusto, ed era chiaro che stava giocando con lui come il
gatto con il topo, evitando di proposito di prendere bene la mira.
«Per quanto tempo hai intenzione di
scappare?».
Alla fine, forse involontariamente, un colpo
andò quasi a segno, ferendo di striscio Keita alla gamba destra; il ragazzo,
che stava correndo, perse l’equilibrio, scivolando a lungo sul selciato, e
quando si rimise in ginocchio l’avversaria aveva già una nuova lama pronta
all’uso.
«Ci sono battaglie che vanno combattute per
forza.
Lo so, non l’avete chiesto voi di essere
coinvolti a tutto questo, ma è successo, e non potete farci niente. I vostri
circoli magici sono un richiamo troppo appetibile perché non venirne attratti
in modo irresistibile. Come partecipante a questo torneo, non mi vergogno a
dire che farei di tutto pur di entrare in possesso di un simile potere».
Keita non sapeva cosa fare, e vedendo quella
ragazza che si preparava ad infliggere il colpo finale sentiva dentro di sé un
misto di frustrazione e rabbia; rabbia per non essere in grado di difendersi,
rabbia per non essere mai stato in grado di fare nulla degno di nota, per essere
sempre stato un osservatore passivo degli eventi che scorrevano davanti ai suoi
occhi, e questo, inevitabilmente, portava con sé anche tanta frustrazione,
perché una vita trascorsa nell’anonimato non avrebbe lasciato dietro di sé
nulla per il quale venire ricordati.
Non voleva che finisse così; non poteva
permettere che finisse così.
Doveva fare qualcosa, non importava cosa;
qualsiasi risposta era migliore rispetto al non fare niente, restandosene
immobili ad attendere la fine.
D’improvviso, mentre tutti questi pensieri
gli riempivano la mente, cominciò a sentire una strana energia montargli nel
petto; non aveva la minima idea di che cosa fosse, ma una cosa era certa: era
una sensazione bellissima.
L’avversaria, che stava quasi per attaccarlo,
si fermò di colpo come inebetita, e quando lo vide alzarsi in piedi fece un
passo indietro.
Un istante dopo, sotto i piedi del ragazzo si
generò un circolo magico che brillava di luce azzurra molto forte, e il cui
disegno era talmente contorto e complicato che sarebbe impossibile descriverlo.
“In nome del cielo.” pensò la ragazza “Non ho
mai visto un circolo tanto complesso”.
Keita sembrava diventato un’altra persona;
alzatosi, guardò l’avversaria con occhi di sfida, quindi, lanciato un urlo
liberatore, distese violentemente il braccio destro, e tutto d’un tratto gli
comparve in quella mano una magnifica spada di fattura medievale
dall’impugnatura d’oro con una testa di drago all’estremità superiore; la lama,
lunga una cinquantina di centimetri, era lucida come uno specchio.
La ragazza restò ancora più sconvolta.
“Un’arma spirituale!?”.
La spada cominciò dopo poco a circondarsi di
fuoco; Keita la fece roteare per un po’, poi, gridando a pieni polmoni, la
abbassò come a voler menare un fendente, ed un vero e proprio oceano di fiamme
azzurre si diresse verso l’avversaria, che inebetita per qualche istante restò
immobile.
Poi però anche lei si decise a reagire, e
dopo la comparsa del suo circolo magico, di colore arancio brillante e a forma
di stella a dieci punte con vari simboli vedici disegnati tutto intorno,
materializzò davanti a sé una barriera che potesse difenderla.
L’urto fu terribilmente violento, e la
ragazza, che aveva il braccio disteso in avanti, per poco non se lo sentì
andare in pezzi; servirono solo pochi secondi perché lo scudo si sgretolasse
sotto la tremenda potenza delle fiamme, e lei, colpita in pieno, venne
scaraventata in aria, ma visto che ormai il colpo aveva perso gran parte della
sua potenza riuscì a tornare a terra senza troppi danni dopo aver eseguito una
spettacolare capriola.
Subito dopo che l’attacco si fu esaurito
Keita prese a respirare affannosamente, ma era ovvio: un incantesimo del genere
richiedeva uno sforzo non indifferente, e per qualcuno che usava la sua magia
per la prima volta era da ritenersi un miracolo che non fosse svenuto prima
ancora di eseguirlo.
La ragazza sorrise compiaciuta.
“È davvero incredibile. Mai vista una simile
determinazione. Questo ragazzo è da ammirare”.
Lui la guardò nuovamente, sempre con occhi di
sfida, ma molto meno aggressivi e dall’aria decisamente più esausta; sembravano
quelli di un lupo ferito, morente, ma che ancora si ostina a voler combattere.
«Complimenti, ragazzo. Per la prima volta in
vita tua, hai deciso di affrontare il pericolo.
Non illuderti però che in futuro andrà ancora
così bene. Ci sono altri guerrieri là fuori, e posso assicurarti che quel
lanciere non sarà il solo a voler mettere le mani sulla tua magia, soprattutto
dopo quello che hai fatto oggi.
Impara a controllarla. Imparate tutti, e
allora forse avrete una speranza di uscirne vivi.
A presto!».
Detto questo la ragazza spiccò un salto
altissimo raggiungendo il tetto alle sue spalle, scomparendo dietro di esso
dopo aver rivolto un cenno di saluto.
Subito dopo essere rimasto solo Keita fu
colto da un tremendo senso di spossatezza; il circolo magico sotto i suoi piedi
si spense di colpo, la spada che aveva in mano scomparve e lui si ritrovò
inginocchiato a terra ansimante e grondante di sudore.
Cosa
gli era successo!?
Non lo sapeva. Non era neppure sicuro che ciò
che aveva fatto negli ultimi cinque minuti fosse reale, o che fosse stato
davvero lui a farlo. Dunque era quella la sensazione che si provava usando la
magia.
Keita per un attimo si era sentito un gradino
sopra gli altri, una cosa mai successa prima d’ora, e dentro di sé, convintosi
che tutto ciò era successo per davvero, sentiva di aver fatto qualcosa di
veramente utile, soprattutto per sé stesso.
Mentre cercava ancora di recuperare le forze
udì uno scalpiccio concitato che si avvicinava sempre più, sentendosi poi
chiamare da una voce famigliare.
«Keita!».
Un secondo dopo Nadeshiko e i suoi compagni
raggiunsero la piazzetta senza che la barriera, apparentemente scomparsa, bloccasse
loro il cammino, e appena videro il loro amico inginocchiato a terra corsero
subito da lui, aiutandolo a sedersi su una panchina.
«Keita, che è successo?» domandò Shinji,
seduto accanto a lui
«Ne ho… ne ho incontrato un altro.»
«Un altro!? Intendi forse un altro
partecipante al torneo?»
«Era… era una ragazza.»
«Scusate, di che torneo state parlando?»
domandò Yoshida.
Keita si accorse solo in quel momento della
sua presenza, e non volendo coinvolgere anche lei in una situazione così
pericolosa decise di fermarsi lì con le spiegazioni, rimandando il tutto ad un
momento più tranquillo.
«Un’altra volta» proseguì Shinji «Cerca di
starci dietro piuttosto che rimanere sempre con la testa fra le nuvole.»
«Avete ragione, vi chiedo scusa. Ma come avete
fatto a trovarmi?»
«È stata Nadeshiko a portarci qui.» rispose
Takeru con la sua voce seria «Era certa che tu fossi in pericolo e sapeva
esattamente dove avremmo potuto trovarti.»
«Davvero!? Beh, è strano».
I due si guardarono, e Nadeshiko dopo poco
abbassò gli occhi, come spaventata da ciò che era stata in grado di fare.
«Ad ogni modo, grazie per essere venuti a
cercarmi.»
«Fi… figurati.» rispose la ragazza con voce
sommessa.
Dall’alto del muro di cinta della villa, una
coppia di gatti osservava la scena non senza una certa curiosità.
«Sai Aria, ora comincio a capire perché
Toshio ci ha ordinato di tenerli d’occhio.»
«Quel ragazzo ha dimostrato di possedere un
grande potenziale, e credo che i suoi compagni non siano da meno.»
«Questa situazione diventa ogni giorno più
interessante. Secondo te può esserci una correlazione fra questi ragazzi e lo
svolgersi del torneo?»
«Beh, come dice il maestro Akunator, in
questo mondo le coincidenze sono una cosa rara. Forse col passare del tempo si
chiarirà tutto.»
«Lo spero. Io comincio ad avere le idee
sempre più confuse, e come se non bastasse mi sta venendo fame.»
«Lotte, tu pensi solo a riempirti la pancia.»
«Vuoi farmene una colpa? Dopotutto siamo pur
sempre dei gatti, e sì sa i gatti hanno sempre fame.»
«D’accordo, torniamo da Toshio e
raccontiamogli quanto accaduto.»
«E vai, si mangia!» disse Lotte mentre
assieme ad Aria saltava prima sul ramo di un albero poi tetto della villa
«Pancia mia, fatti capanna!»
«Lotte, ti ho detto di darci un taglio!»
Nota dell’Autore
Salve a tutti!
Chiedo scusa per l’abominevole
ritardo nell’aggiornamento, ma in questo periodo d’esame trovare il tempo per
scrivere sta diventando una vera impresa.
Grazie a Dio lunedì
darò l’ultimo esame, poi fino al 10 febbraio non dovrò più preoccuparmi
eccessivamente.
Ringrazio
naturalmente Selly, Akita e Cleo92 per le loro recensioni, oltre alla nuova arrivata, Mystofthestars.
Verso le sette, quando il sole
cominciava la sua discesa oltre l’orizzonte, i quattro ragazzi fecero
rapidamente ritorno alla chiesa dopo essersi congedati da Yoshida,
e una volta lì Keita spiegò dettagliatamente quanto gli era accaduto quella
mattina.
La parte che destò maggior scalpore,
ovviamente, fu quella riguardo al risveglio del
circolo magico del ragazzo, e a racconto finito Padre Andersen non ebbe
difficoltà a trarre le proprie conclusioni.
«È tutto molto
chiaro.
Il tuo circolo magico ha reagito di fronte ad
un pericolo, risvegliandosi di propria volontà.»
«Davvero può fare una cosa del genere?»
domandò Shinji «Può scegliere quando risvegliarsi?»
«Anima e corpo sono
come due entità che condividono un’unica dimora. Solitamente vivono e pensano
in completa simbiosi, ma può capitare che l’anima, da cui si genera anche la
magia, prenda momentaneamente il sopravvento, usando il suo potere per
sopperire a situazioni che il corpo da solo non sarebbe in grado di gestire.»
«E quella spada che mi è comparsa in mano?»
«È quella che gli
stregoni chiamano un’arma spirituale.
È un incantesimo particolarmente potente, che
consente di materializzare una parte del proprio potere magico in forma di una
qualsiasi arma.
Confesso di essere sorpreso. Anche il mago
più abile impiega del tempo per padroneggiare un incantesimo che tu hai usato
d’istinto.
Sono sempre più convinto che fra i tuoi
antenati ci fossero degli stregoni dotati di grandi potenzialità. Anzi, sono
convinto che tutti voi abbiate dei precedenti di magia, altrimenti non si
spiegherebbe la presenza di circoli magici così potenti, ma allo stesso tempo
così perfettamente in sintonia col corpo in cui dimorano.»
«E potrebbe accadere ancora?»
«Dipende da te. Se
non se ne ha il completo controllo, la magia è come un cane che non si lascia
comandare, ma che al momento del bisogno può intervenire
in difesa del padrone.
Se dovessero verificarsi nuovamente
condizioni simili a quelle di stamattina, allora sì, succederà, ma ormai è
chiaro che i vostri circoli magici, forse per effetto del Fuuzetzu,
scalpitano per risvegliarsi. Quando questa storia sarà finita, sarà necessario
che impariate a dominarli, o presto potrebbero sfuggire al vostro controllo».
Al termine di una cena frugale
Keita si mise a letto con la testa piena di domande alle quali non riusciva a
dare una risposta.
Ogni volta che chiudeva gli occhi ripensava a quello che era successo, alle fantastiche
sensazioni che aveva provato, e continuava a chiedersi se ci fosse un modo per avere
il controllo di quel potere.
Aveva passato tanto di quel tempo a criticare
la vita ai confini dell’irrealtà dei protagonisti dei
manga, e ora ci era stato catapultato dentro.
Di una cosa era convinto; imbarcarsi
nell’impresa che anche lui, alla fine, si era deciso a voler fare parte avrebbe
portato con sé qualcosa di sconvolgente, che avrebbe cambiato la sua vita in
modo ancor più radicale e rivoluzionario di quanto non stesse già facendo,
contribuendo a farlo divenire parte di una realtà che
altrimenti gli sarebbe stato impossibile sondare.
Quella misteriosa ragazza, dopotutto, gli
aveva detto delle cose giuste: doveva smetterla di fare lo spettatore e di
scansare i pericoli, e guardare per la prima volta in faccia la verità delle
cose senza per questo provare paura, o desiderio di scappare.
Padre Andersen sosteneva che non bisognava
aver paura della magia, ma che anzi era giusto onorare
il raro dono che era stato loro concesso imparando ad utilizzarla, magari per
fare del bene; dopotutto la magia era una parte di loro, era come un braccio o
una gamba, averne paura significava avere paura di sé stessi, e questo non era
un comportamento degno di un uomo.
Keita, placati in parte i propri tormenti
d’animo, stava quasi per addormentarsi, quando il trillare improvviso del
cellulare di Nadeshiko, rimasto acceso sopra il comodino, per poco non lo fece
cadere dalla branda, svegliando oltretutto anche i suoi compagni, che
condividevano con lui la stanzetta della canonica
messa a loro disposizione da Padre Andersen.
«Nadeshiko!» disse Shinji nascondendo la
testa sotto il cuscino «Spegni quel dannato affare!
Stiamo cercando di dormire!»
«Scusate, l’avevo dimenticato acceso.»
«Scuse accettate, ora sbrigati!».
La ragazza allungò la mano per spegnere il
telefono, ma poi si avvide che all’altro capo della linea c’era Yoshida, e la cosa la lasciò un po’ interdetta; non era
certo nello stile della sua amica mettersi a telefonare a ore simili.
Alla fine, incuriosita, decise di rispondere,
fra le proteste vigorose di Keita, e appena sentì la voce di Kazumi capì subito come mai avesse
chiamato a un’ora così tarda; la ragazza sembrava in preda alla disperazione,
gridava e a stento tratteneva il pianto.
«Nadeshiko, meno male che ti ho trovata!»
«Yoshida, cos’è successo? Sembri sconvolta.»
«È per mio fratello!
È sparito dalla sua stanza!»
«Che cosa!? Sparito!?».
Sempre più sconvolta e spaventata, Yoshida spiegò che qualche minuto prima aveva sentito un
gran baccano provenire dalla camera d’appartamento di Tadaki, dove lei
alloggiava durante la sua vacanza lì a Venezia, e aperta la porta aveva trovato
la finestra spalancata e tutto a soqquadro.
Nadeshiko le disse di non preoccuparsi e di
non muoversi, che sarebbero venuti subito da lei per aiutarla nella ricerca,
quindi, chiusa la conversazione, buttò giù dal letto i suoi compagni senza
tanti complimenti.
Anche se si trattava di andare ad aiutare
un’amica era pur sempre mezzanotte, l’ora dei combattimenti, e Atarus era
sicuramente ancora in giro, pronto a saltare addosso ai ragazzi appena ne
avesse avuto l’occasione; Padre Andersen consegnò quindi ai quattro ragazzi
altrettanti talismani simili a o-fuda che avrebbero
mascherato le loro emanazioni magiche, rendendo difficile ad Atarus avvertire
la loro presenza.
Non senza timore, e consci del fatto che
quello avrebbe potuto non essere sufficiente per considerarsi al sicuro, Keita
e gli altri lasciarono la chiesa, domandandosi cosa potesse essere successo a
Tadaki, e se quanto era accaduto potesse avere o meno
a che fare con lo svolgimento del torneo.
Servirono solo quindici minuti di passo
spedito per raggiungere l’appartamento di Tadaki, situato in una
calle interna poco lontana dall’Accademia, una zona poco frequentata dai
turisti e dagli abitanti del luogo che facevano le ore piccole. Yoshida li attendeva davanti al portone, e appena li vide
arrivare corse loro incontro.
«Che cosa sarà successo a Tadaki?» domandò
stringendosi alla sua amica
«Non preoccuparti,
vedrai che lo ritroveremo. Abbi fiducia».
Prima ancora che Nadeshiko potesse finire di
parlare tutti e cinque si ritrovarono all’interno di un nuovo Fuuzetzu, e quel che era più incredibile era che anche Yoshida sembrava esserne immune.
«Un Fuuzetzu?!» disse Shinji
«Ma cosa sta succedendo?» domandò Yoshida guardandosi attorno spaventata
«Forse è opera di Atarus.» disse Keita «O
forse è stata quella donna che ho incontrato stamattina».
Per l’ennesima volta, il ciondolo di
Nadeshiko prese a emanare il suo bagliore rosato, e lei, avvertendo nuovamente
quella sensazione di pericolo imminente, cominciò a correre in una direzione,
seguita dai suoi compagni.
Dopo pochi minuti raggiunsero una grande
piazza al di là di un ponte non molto grande dominata
da una chiesa medievale, e come previsto quando vi arrivarono era già in corso
un furioso combattimento, ma quando, raggiunta l’altra sponda del ponte, videro
chi erano i due sfidanti, rimasero tutti con la bocca spalancata.
Uno dei due era Toshio, l’altro invece era
nientemeno che Tadaki.
Il fratello di Yoshika
impugnava una coppia di pugnali giapponesi con la lama rivolta verso il basso,
dimostrando un’agilità e una forza eccezionali, abbastanza da mettere in
difficoltà un combattente esperto come Toshio, che stava visibilmente
combattendo al meglio delle sue potenzialità.
Prima che Yoshida
potesse chiamare a gran voce il nome di suo fratello
gli altri ragazzi le tapparono la bocca e la portarono insieme a loro al riparo
di una barca ormeggiata sulla sponda del canale.
«Non ci
posso credere.» disse Shinji «Allora anche Tadaki partecipa al torneo».
La sfida tra i due giovani intanto aveva
subito una battuta d’arresto, e ora entrambi rimanevano a distanza l’uno
dall’altro con la guardia alzata.
«Niente male, devo riconoscerlo.» disse
Tadaki «La tribù di Nepthys addestra bene i suoi
spadaccini.»
«Anche voi Spie Clan Yoshida
non scherzate.» rispose Toshio «Mai vista una tale
agilità.»
«Ti ringrazio del complimento.»
«Prego, figurati.»
«Ad essere sinceri
non ce l’avevo con te, ma con quella ragazza che ha pensato bene di venirmi a
fare un salutino direttamente in camera da letto.
Era lei che cercavo, ma sfortunatamente pare
proprio che io l’abbia persa di vista.»
«Se proprio vuoi saperlo
la stavo inseguendo anch’io. Ora che è sparita, però, non credo valga la pena
di sprecare l’occasione.»
«Sono d’accordo. Quindi diamoci da fare.
Fai del tuo meglio!»
«Non aspetto altro!».
Di nuovo corsero l’uno contro l’altro, e
l’urto fra le loro armi produsse una vera tempesta di scintille, oltre ad un
poderoso spostamento d’aria.
Tadaki dimostrava la grazia
e l’agilità tipici di un vero ninja, e non sembrava avere problemi a
tenere testa a Toshio, che malgrado il grande impegno che ci metteva pareva
avere qualcosa che non andava.
“Maledizione.” pensò in un momento di pausa
toccandosi il fianco destro “Questa maledetta ferita si sta riaprendo”.
Il gesto non sfuggì a Tadaki, che vedendo
confermati i sospetti avuti fin dall’inizio sullo stato di salute del suo
avversario abbandonò la propria posizione di guardia.
«Basta così. La
sfida finisce qui.»
«Che cosa!?»
«Devi perdonarmi, ma non è mia abitudine
battermi contro un avversario che non è in grado di battersi al meglio delle
sue potenzialità.»
«E chi ti dice che io non sia capace di
farlo?»
«Ho visto come ti
muovi. Sei rimasto ferito nel combattimento di ieri sera, e anche se le tue
abilità rigenerative hanno rimarginato la ferita è
evidente che questo non è stato sufficiente per sanarla del tutto.
Io combatto solo con guerrieri che possono
dare il meglio di sé stessi. È la mia regola».
Tadaki a quel punto rinfoderò i pugnali e
schioccò le dita, e il Fuuzetzu che lui stesso aveva
costruito iniziò a dissolversi; tuttavia, prima che potesse sparire del tutto,
Toshio fece un cenno con la mano, e la cupola istantaneamente si ricostruì.
«Ma cosa…»
«Ora sono io ad
averti sfidato, e secondo il regolamento sei obbligato ad accettare la sfida. Quindi fatti sotto.»
«Perché? Perché lo
stai facendo? Tu sei ferito, potresti anche morire!»
«Ero pronto a morire
dal primo momento in cui ho impugnato questa spada!
Ora combatti!».
L’assalto di Toshio fu così rapido che
inizialmente Tadaki fu costretto a difendersi con un solo pugnale, ma poi,
allontanatosi a sufficienza, estrasse nuovamente anche il secondo, e la sfida
riprese a ritmo serrato.
«Quand’è così» disse Tadaki «Non sarò io
responsabile di quello che potrebbe succederti.»
«Invece che alla mia sorte, dovresti pensare
alla tua!».
Toshio cercò di muovere un nuovo attacco
correndo incontro al suo avversario, ma all’ultimo momento Tadaki, incrociate
le mani davanti al busto, scomparve nel nulla nel più puro stile ninja.
«Che diavolo…».
Lo spadaccino impiegò solo qualche istante a
percepire una presenza ostile sopra di sé, spostandosi giusto in tempo per
evitare una tempesta di shuriken che prese a
piovergli addosso dall’alto; erano shuriken
particolari, fatti non di metallo ma di semplice energia, e difatti, subito
dopo essersi conficcati a terra, scomparvero nel nulla, lasciando solo il solco
sul selciato.
Tadaki ricomparve in un angolo della piazza,
guardato da Toshio con occhi di sfida.
«Non male.» disse sorridendo «Per essere
ferito ti muovi piuttosto agilmente.» quindi unì i due pugnali davanti a sé,
formando una croce «Ma riuscirai a schivare questo?».
Sotto i suoi piedi comparve a quel punto un
circolo magico di colore bianco luccicante con al suo
interno un kanji all’apparenza senza significato, e
dopo un attimo Tadaki scomparve nuovamente.
SONIC
MOVE!
Toshio non vide niente, non
capì cosa stava succedendo, ma d’improvviso rimase paralizzato come una statua,
con tutti i muscoli tesi allo spasimo, la bocca spalancata e gli occhi sbarrati;
Tadaki ricomparve di colpo alle sue spalle, inginocchiato, con un’espressione
soddisfatta.
Alla paralisi, per il giovane spadaccino fece
seguito un dolore a dir poco insopportabile, e mentre la parte bassa della sua
maglietta bianca si colorava di rosso lui cadde in
ginocchio con il fiato corto.
«Ma che cosa…»
«Non temere, non ho
colpito organi vitali. Ma la ferita dovrebbe essere
più che sufficiente a stenderti».
Toshio, tremante, si mise la mano sulla
pancia, poi, seppur con molta fatica, si rimise nuovamente in piedi, e i due
avversari furono nuovamente faccia a faccia. Tadaki
era sicuro che un colpo del genere avrebbe rappresentato
una sconfitta sicura per il suo avversario, invece, con sua grande sorpresa,
anche quella ferita si rimarginò, esattamente come l’altra, e la cosa lo
impressionò notevolmente.
“È incredibile. Malgrado sia così malridotto,
riesce ancora a far ricorso ai suoi poteri curativi. Come ci riesce!?”.
Per un istante, Tadaki ebbe l’impressione di
scorgere degli strani segni sul volto del nemico, come
una coppia di fiamme che dalle guance gli arrivavano fin sulla fronte, ma prima
che potesse scorgerle con precisione Toshio sembrava già in grado di combattere
di nuovo.
«Ora tocca a me».
Toshio scattò in avanti con una velocità
inaudita, e anche se Tadaki riuscì a parare il suo attacco l’urto
fu così violento che per poco le ossa dei polsi non gli andarono in pezzi, e in
meno di un minuto la situazione sembrò completamente ribaltata; lo spadaccino
colpiva come una belva infuriata e con una forza inaudita, per nulla
attribuibile ad una persona ferita o comunque non al top delle proprie
potenzialità.
Per lunghissimo tempo Tadaki fu costretto a
restare sulla difensiva, ma ormai era solo questione di secondi prima che la
sua guardia crollasse definitivamente, lasciandolo scoperto, e alla fine quel
momento arrivò; subito dopo aver parato l’ennesimo attacco il
giovane studioso cercò di rispondere con un affondo, ma Toshio prima gli
afferrò il braccio poi gli diede un calcio violento, facendolo volare come una
piuma.
Tadaki riuscì ad evitare di cadere eseguendo
una spettacolare capriola, ma appena tornò coi piedi
per terra vide Toshio andargli contro a spada tratta.
“Non finirà così!”.
Tutto sembrò svolgersi al rallentatore;
dapprima vi fu una luce fortissima, poi, prima di poter colpire, Toshio vide la
propria arma cozzare contro la lunga katana impugnata da una ragazza
comparsa dal nulla che si era frapposta tra di loro.
Indossava un kimono da combattimento completamente
nero, e sopra di esso una sorta di lunga sopravveste beje
aperta sul davanti, con le maniche lunghe e larghe e un collo bianco molto
pronunciato; i capelli, di un colore violaceo, erano raccolti sulla nuca in una
lunga coda di cavallo, al modo delle donne-guerriere, e gli occhi erano di un
blu molto scuro; la cosa più curiosa della sua figura, però, erano le sue
orecchie, che avevano la forma di un paio di ali marroncine lunghe una
quindicina di centimetri e in quel momento richiuse in sé
stesse.
Un particolare tanto insolito non poteva che
rendere palese la natura di quella ragazza: era sicuramente un famiglio, e la
sua reazione fu così rabbiosa che Toshio si vide costretto ad abbandonare lo
scontro di forza e ad indietreggiare.
«Tieni le tue sudice mani lontane da
Tadaki-sama!»
«Ti ringrazio,Touka. Questa volta mi hai davvero salvato.»
«Tadaki-sama, voi
rimanete in disparte. Di lui mi occupo io.»
«D’accordo, ma non ucciderlo».
Touka partì alla
carica urlando a squarciagola, e Toshio si trovò da subito in grave difficoltà;
non solo era un famiglio di classe superiore, ma era anche eccezionalmente
abile, tanto da riuscire ad infliggergli, nel corso
del duello di spada, due ferite di striscio di una certa rilevanza, una al
braccio sinistro e una alla guancia.
Tadaki assisteva allo scontro senza
interferire; il regolamento del torneo infatti vietava
scontri impari, e doveva esserci lo stesso numero di guerrieri da ambo le
parti, di conseguenza, se il famiglio si intrometteva nel combattimento, il suo
padrone, a meno che l’avversario non facesse altrettanto, doveva per forza
farsi da parte. Il giovane studioso si domandava come mai anche Toshio non
evocasse il suo famiglio, e a questa domanda potevano esserci solo due rispose:
o lo spadaccino non disponeva di un famiglio, o le sue
condizioni fisiche erano tali da non permetterglielo, visto e considerato che
invocare il proprio famiglio, facendolo passare in forma umana da quella
animale, richiedeva una quantità di potere magico non indifferente.
In breve la situazione si ribaltò per la
seconda volta, portando le sorti del combattimento decisamente
in favore di Tadaki; Touka colpiva con precisione e
determinazione, mentre Toshio, sempre più stanco, perdeva concentrazione ogni
secondo di più, ritrovandosi sempre più spesso scoperto e vulnerabile agli
attacchi.
Addirittura, entrambe le ferite riportate in
precedenza cominciarono a riaprirsi, e la sanguinazione
non fece altro che indebolirlo ulteriormente; ormai era
solo questione di secondi prima che cedesse del tutto.
E infatti, ad un
certo punto, Touka riuscì ad oltrepassare la sua
difesa, sferrandogli un calcio proprio nel punto dove Tadaki lo aveva ferito,
aggiungendo dolore al dolore. Toshio sputò sangue, e tutto il suo corpo riprese
a tremare, ma non sembrava ancora intenzionato a cedere.
«Un consiglio, fermati adesso prima che sia
tardi.» disse Tadaki «Touka come hai visto non ci va’ troppo per il sottile, e ormai tu sei allo
stremo. Se non facciamo qualcosa subito per quelle
ferite finirai per morire dissanguato.»
«Pensa… pensa a farti gli affari tuoi.»
rispose Toshio togliendosi con la mano un rivolo di sangue che gli usciva dalla
bocca «Decido io… quando fermarmi.»
«Voi di Nepthys non sapete mai quando è il momento di arrendersi.
Tutti i
tuoi antenati, a quanto ne so, sono usciti dal torneo in due soli modi, o da
vincitori o da morti. Non pensi sia ora di interrompere questa triste
consuetudine?».
Toshio non rispose, forse per il fiato corto,
forse perché troppo provato dal dolore; il suo sguardo, però, non era certo
quello di una persona che si era arresa. Il suo avversario sospirò, sfiorandosi
la fronte con le dita.
«Io non voglio
ucciderti, come avrai capito. D’altra parte però, non possiamo neanche portare
avanti questa storia all’infinito. Perdonami se mi vedo costretto a ricorrere a
sistemi un po’ drastici, ma se è l’unico modo che ho
per farti ragionare…
Touka. Sii
persuasiva.»
«Sì, maestro».
Il famiglio riprese dunque ad
infierire, e da quel momento in avanti la sfida fu tutta a senso unico; Toshio
era così malridotto da non riuscire a contrastare in nessun modo gli attacchi
dell’avversaria, che seguitava a colpire in modo da procurargli dolore senza
ferirlo gravemente.
Lo spadaccino subì incessantemente, per un paio
di minuti, poi, stremato, cadde in ginocchio; la mano che stringeva la spada
resisteva a fatica, i capelli erano imperlati di sudore e il sangue gocciolava
senza sosta delle numerose ferite disseminate su tutto il corpo.
Touka cercò di
colpire ancora, ma Tadaki la fermò.
«Basta così.»
«Ma, mio signore…»
«Ormai è tanto
malconcio che a stento si mantiene cosciente. Non ha scelta,
deve arrendersi».
Nonostante tutto, però, Toshio di arrendersi
non voleva saperne, e continuava a stringere l’impugnatura della spada
digrignando i denti.
«Ti… ti ho già detto… che non mi arrenderò…
se vuoi vincere… devi uccidermi.»
“Non credo ai miei occhi.”
pensò Tadaki “È in fin di vita, eppure continua a rialzarsi. Cosa può spingere un essere umano a battersi fino a questo
punto?
Non posso ucciderlo. Non me
lo perdonerei mai”.
Era una decisione difficile da prendere, ma
ormai il Fuuzetzu, a causa anche delle pessime
condizioni di Toshio, si stava esaurendo, quindi non c’era più tempo a
disposizione.
«Ti prego amico, non
volermene male, ma non posso permettere a uomini come te di morire giovani.
Questo mondo in futuro avrà bisogno di gente
come te.
Touka, metti fine
all’incontro.»
«Come ordinate».
La ragazza, obbedendo al comando, alzò la
spada, decisa a vibrare un colpo abbastanza grave da mettere l’avversario
definitivamente KO ma non da ucciderlo.
Toshio non si oppose, quasi si fosse ormai
rassegnato, fissando con sguardo perso la katana che si levava altra sopra la
testa di Touka. Poi, all’improvviso, con uno scatto
rabbioso, sollevò la spada, piantandola con forza fino all’elsa nel petto
dell’avversaria proprio un istante prima che il suo attacco partisse.
Touka restò come
pietrificata, con tutti i muscoli tesi allo spasimo, la bocca socchiusa e gli
occhi che quasi uscivano dalle orbite; le sue orecchie alate, forse proprio per
la tensione muscolare, si aprirono violentemente, e dalla bocca le uscì un
fiotto di sangue.
Nel momento in cui veniva
colpita anche Tadaki sembrò accusare un indicibile dolore, stringendosi
violentemente il cuore; il circolo magico comparve sotto di lui senza che egli
l’avesse chiamato, poi la sua intera struttura andò in pezzi come fosse stata
di vetro, scomparendo definitivamente. Anche Touka,
un istante dopo, scomparve, trasformandosi in un pulviscolo luminescente e
lasciando al suo posto uno splendido esemplare di falchetto riverso a terra
apparentemente privo di sensi.
“No… non posso crederci. È riuscito… a
sconfiggere Touka… pur nelle sue condizioni. Ma chi è questo ragazzo?”.
Subito dopo aver colpito, però, Toshio cadde
su di un fianco senza più un briciolo di forze in
corpo, e assieme a lui scomparve anche il suo Fuuzetzu;
anche la sua spada d’oro, dopo essere caduta tintinnando, svanì nel nulla dopo
essere stata avvolta da un tenue bagliore.
Keita e gli altri, che per tutto il tempo
erano rimasti nascosti, solo in quel momento si riebbero dalla specie di trance
ipnotica che l’infervorare dello scontro aveva suscitato su di loro.
«Toshio!»
«Nadeshiko, aspetta!» disse Keita cercando di
andarle dietro con tutti gli altri.
Vedendo avvicinarsi anche sua sorella Yoshida Tadaki sentì un colpo al cuore che lo fece stare
ancor più male di quanto l’incontro non lo avesse ridotto.
«Kazumi… no… tu no…»
«Fratello, che sta
succedendo? Perché hai ferito quel ragazzo?».
Lui rispose, ma dopo qualche istante cadde in
ginocchio battendo i pugni sul terreno.
«Perché, perché doveva
succede? Perché sei rimasta coinvolta anche tu?
Avevo promesso a nostra madre di lasciarti
fuori da questa storia!»
«Nostra madre!? Di
cosa stai parlando?».
Keita e i suoi compagni intanto si erano
accalcati attorno a Toshio, e fu un sollievo per tutti constatare
che le sue non erano poi così gravi, e che lui era semplicemente privo di
sensi; lo squarcio infertogli da Tadaki si stava già richiudendo, e le altre
ferite non erano infondo nulla di veramente serio, almeno per uno come lui.
«Tadaki.» disse Keita girandosi verso di lui
«Quindi anche tu partecipi al torneo?».
Il giovane studioso si rialzò in piedi, e
riacquistata almeno in apparenza la propria compostezza
ripose i propri pugnali nei foderi che aveva dietro la schiena.
«Il mio nome è Tadaki Yoshida,
e rappresento il Clan Yoshida, di cui mio padre è
principe reggente, in questo Grande Torneo.»
«Il Clan Yoshida?»
disse Takeru «Esiste ancora oggi?»
«Non è mai
scomparso.
Ci siamo solo adattati ai tempi. Benché
l’antico villaggio abbia ormai perso parte del suo antico splendore, i membri
del nostro clan non hanno mai dimenticato le proprie radici. Molti di noi, come
mio padre e mia madre, conducono una vita normale nel mondo di tutti i giorni,
ma quando ce n’è bisogno torniamo ad essere i
guerrieri di sempre.»
«Io non sapevo niente di tutta questa
storia.» disse Yoshida
«I nostri genitori
avevano deciso di non dirti niente fino a che non fosse stato necessario che tu
sapessi. In periodi come questi, è molto meglio che le
persone a conoscenza della verità sul grande torneo e sulla vita segreta del
Clan Yoshida siano il meno possibile».
La discussione venne
bruscamente interrotta nel momento in cui tutto intorno al gruppo di amici
cominciarono a comparire degli strani ed inquietanti cumuli di vapore nero;
quando si diradarono, al loro posto erano comparsi degli inquietanti individui
in nero che sembravano indossare delle armature.
I polsi erano muniti di una sorta di
marchingegno dai quali spuntavano tre artigli
metallici lunghi un’ottantina di centimetri, mentre gli elmi, che nascondevano
completamente i loro volti, avevano un solo foro, che però brillava di una
strana luce gialla piuttosto che lasciar intravedere l’occhio sotto di esso.
«Ehm, signori?» disse Shinji con incredibile
tranquillità «Non vorrei fare la parte del pessimista del gruppo, ma abbiamo
visite».
I ragazzi si portarono istintivamente schiena
contro schiena, Tadaki mise nuovamente mano ai suoi
pugnali e Takeru sfoderò la sua spada.
«Chi diavolo sono
questi?» domandò quest’ultimo
«I servitori di Seth.» rispose Tadaki «O
meglio, i servitori dei servitori.»
«E immagino non siano qui per fare amicizia.»
commentò Shinji col solito tono scherzoso «Va’ bene,
in tal caso…».
La noncuranza con cui sia lui che Takeru
materializzarono i rispettivi circoli magici fu a dir poco disarmante, e lasciò
sia Keita che Nadeshiko completamente senza fiato.
Il circolo di Takeru brillava di color lilla
e vi erano raffigurati i kanji della parola Spada; quello di Shinji, invece, più che un cerchio era un
triangolo verde scuro con sfumature nerastre, simboli arcani riportati un po’
ovunque e tre grandi circoli sulla sommità di ogni angolo.
“Hanno invocato il loro circolo senza alcuna
difficoltà!” pensò Keita, memore della fatica che invece aveva dovuto fare lui
per riuscirci, oltretutto senza volerlo.
Gli venne da domandarsi come fosse stato
possibile; forse era merito del duro allenamento al quale entrambi si
sottoponevano quotidianamente in Giappone, uno nel kendo l’altro nel karate, o
forse semplicemente non avevano paura della loro
magia, e per questo non esitavano a tentare di usarla.
Al comando di Tadaki i tre ragazzi partirono
all’attacco in tre diverse direzioni, formando una barriera impenetrabile
attorno alle ragazze, a Toshio e a Touka, entrambi
ancora privi di sensi.
Mentre Takeru sembrava aver acquistato una
forza straordinaria, schivando e colpendo con terrificante prencisione,
Shinji invece si spostava ad una velocità
considerevole, sferrando calci così potenti da spaccare gli artigli di metallo
degli aggressori come fossero stati di marzapane.
I corpi dei nemici erano davvero strani; se venivano colpiti in superficie non parevano accusare nessun
danno, ma se invece si tranciava l’armatura che li proteggeva dall’interno
giungevano come delle scariche elettriche, e loro dopo, poco, esplodevano, come
fossero stati dei robot.
Keita avrebbe voluto partecipare a sua volta
allo scontro, ma per quanto si sforzasse non gli
riusciva in alcun modo né di materializzare il proprio circolo magico né di far
comparire nuovamente la spada impugnata quella mattina.
“Perché? Perché non ci
riesco?”.
Era così assorto dal pensiero di voler fare
qualcosa per proteggere Yoshida e Nadeshiko da
dimenticare di guardarsi le spalle, e uno degli assalitori immediatamente ne
approfittò, correndogli contro.
«Keita, attento!» gridò Nadeshiko.
Lui si girò, e altrettanto fecero gli altri,
ma nella foga dello scontro nessuno sembrava in grado di portargli soccorso; il
ragazzino era così terrorizzato che non gli riuscì neppure di chiudere gli occhi,
ma un secondo prima che l’aggressore lo colpisse una figura nera comparve da
sinistra e colpì lui in pieno con un calcio micidiale che lo sparò
letteralmente contro la parete della chiesa.
Sbigottito, Keita alzò lo sguardo,
incrociando quello di Lotte, che gli fece un sorriso infantile.
«Gra… grazie.»
«Ci sei andato vicino, ammettilo».
Subito dietro di lei arrivò anche Aria, che
paratasi in difesa di Nadeshiko e Yoshida alzò il
braccio davanti a sé, generando un piccolo circolo magico dal quale partirono
una piccola quantità di sfere bianche che disintegrarono un nemico che aveva
cercato a sua volta di aggredire le due ragazze.
«Lasciateli a me, ci penso io!».
La nuova arrivata distese a
quel punto entrambe le braccia creando un secondo circolo magico, questa volta
sotto i suoi piedi e di dimensioni colossali, grande abbastanza da poter
ricoprire l’intera piazza. Tutti gli assalitori si ritrovarono come
intrappolati al suo interno, e prima che potessero tentare la fuga delle
colonne di luce sprigionatesi dal basso li avvolsero,
distruggendoli tutti senza possibilità di scampo.
Tornata la calma, venne il momento delle
presentazioni.
«E voi chi sareste?» domandò Tadaki
«Non lo immagini?» rispose Aria «Noi siamo i
famigli gemelli di Toshio.»
«I suoi famigli!? Ma
come fate a restare in forma umana se lui è privo di sensi?»
«Noi siamo speciali,
se così si può dire. Abbiamo dentro di noi una piccola quantità di energia che
ci permette di vivere autonomamente per brevi periodi di
tempo.»
«Ehi
Aria, Toshi-kun è messo piuttosto male.» disse Lotte,
inginocchiata accanto a Toshio
«Non è prudente rimanere qui.» disse Shinji «Portiamolo da Padre Andersen. Lì sarà al sicuro».
Keita e tutti gli altri non
potevano sapere che, mentre loro parlavano, qualcuno seguiva per filo e per
segno ogni loro parola e ogni loro azione.
Attraverso gli occhi scintillanti di rosso di
una civetta, appollaiata sulla cima della chiesa, Johan osservava tutto ciò che
accadeva nella piazza di Venezia da un circolo magico tracciato sul pavimento
della sfarzosa sala da ballo, comodamente seduto alla poltrona d’oro e velluto pregiato posta sopra un piano rialzato e
destinata da sempre al capo della famiglia Von Karma.
Malgrado tutte le luci fossero spente la
maestosità della stanza risplendeva in tutta la sua grandezza, e anzi la luce
della luna che filtrava dai grandi finestroni gotici contribuiva a rendere
ancor più magica la sua atmosfera.
Gli affreschi di cui le pareti e il soffitto
erano rivestiti, illuminati da quel tenue chiarore, sembravano acquistare una
vita propria, a dimostrazione della bravura con la quale erano stati eseguiti;
sulle pareti capeggiavano immagini di eroi e divinità del periodo classico, sul
soffitto invece torreggiava una splendida raffigurazione di un paesaggio
paradisiaco, con un fittissimo stormo di nuvole e di angeli a fare da contorno
al carro d’oro tirato da due cavalli e guidato da quella che aveva tutta l’aria
di essere una valkyria.
Johan non era solo.
Assieme a lui, oltre a Franziska
e Anubis, c’era anche una giovane donna di carnagione
piuttosto scura che indossava un abito bianco lungo e leggero; aveva lunghi capelli neri, occhi ambrati e un paio di orecchie di
natura probabilmente canina, chiara testimonianza della sua natura di famiglio.
«Peccato sia già finito.» disse Johan
strofinando con due dita una ciocca di capelli «Cominciava quasi a divertirmi.»
«Mio signore. Ti
chiedo umilmente perdono per questo fallimento.»
«Non hai alcun
motivo per scusarti, Anubis. Non mi aspettavo certo
che quel manipolo di soldati risultasse sufficiente a
rappresentare una minaccia per guerrieri di tale calibro.
Ma sono rimasto
sorpreso dal vedere Keita e gli altri. L’ultima cosa che mi sarei aspettato era
di veder comparire loro.»
«Mio signore, voi conoscete quegli esseri
umani?» domandò la ragazza scura
«Credevo di sì, ma a
quanto pare hanno dimostrato di possedere delle potenzialità nascoste.
Ammetto che la cosa mi incuriosisce
non poco.»
«Volete che prendiamo provvedimenti?» chiese Anubis
«Al tempo, amico
mio. Non c’è fretta, per ora. Quando sarà il momento
ci occuperemo anche di loro.»
«Come tu desideri.»
«Ah, e mi
raccomando. Non fate del male a Nadeshiko. Lei è… speciale».
L’immagine nel cerchio allora cambiò,
mostrando Nadeshiko che aiutava Keita a trasportare un Toshio ancora svenuto
sorreggendolo da un lato.
«Bellissima.» disse Johan accennando un
sorriso, che divenne ancor più palese quando una sensazione famigliare gli
attraversò il corpo.
«Eccoli, finalmente.
Si sono fatti attendere».
In quella, al centro della sala, si formarono
sette colonne di luce di differente colore dalle quali
uscirono altrettante persone, sei donne e un uomo, tutti di età apparente fra i
tredici e i venticinque anni.
Vi erano tra ragazze vestite
in modo strano, alla maniera della Polinesia folkloristica, con gonne strette e
lunghe, fasce pettorali e dei gilè senza maniche, oltre ad una certa quantità
di gioielli. Tanto l’uguaglianza nel vestire quanto la somiglianza dei tratti
somatici lasciavano intendere che fossero tre sorelle,
anche se la loro carnagione chiara di certo gettava dei dubbi sul fatto che le
loro origini fossero da ricercarsi realmente nel sud Pacifico.
La più piccola, che doveva avere sui tredici
anni, aveva capelli neri piuttosto lunghi, occhi dorati e l’espressione
leggermente malevola; la mezzana, sulla quindicina, i capelli li aveva corti, di un colore rosso acceso, e dal suo sguardo
zaffiro traspirava determinazione; la più grande invece, che di anni doveva
averne almeno ventuno, portava una lunga chioma castana e stupendi occhi rossi
in cui si poteva intravedere uno spirito saggio e severo.
Accanto a loro c’erano altre due persone dai
tratti somatici piuttosto simili, un ragazzo e una ragazza, entrambi coi capelli marrone scuro e gli occhi rossi. Lui vestiva di bianco, fatta eccezione per le scarpe e la
camicia, entrambi neri; la chioma corta leggermente protesa in avanti e
l’espressione enigmatica rendevano il suo viso estremamente attraente, ma velato
da una cert’aria di minaccia. Lei invece, al contrario, vestiva con un abito
interamente nero, molto simile ad una divisa
scolastica che lasciava scoperte le gambe poco sopra il ginocchio; i suoi
capelli erano lunghi, e raggiungevano la base della schiena, nascondendo anche
parte del viso fra le lunghe frange; c’era qualcosa di raggelante, qualcosa di
oscuro nei suoi occhi, che scintillavano di malignità, e il suo viso
all’apparenza così carino era piegato in una sorta di sadico sorriso.
C’era poi una giovane ragazza sui vent’anni
dal portamento nobile, vestita interamente con un abito blu sormontato da
alcune parti di armatura, una corazza, un paio di guanti e degli stivali
d’argento, questi ultimi parzialmente nascosti sotto le pieghe della gonna. Gli
occhi, blu, brillavano come pietre preziose, e i capelli biondi erano
elegantemente raccolti dietro la nuca alla maniera delle nobildonne medievali.
Infine, davanti a questi sei, che stavano
l’uno accanto all’altro di fronte alla poltrona, vi era una donna abbigliata
come una maga, con un abito lungo viola, un mantello nero con il cappuccio, in
quel momento abbassato, e due ampi risvolti sul
davanti, scarpe con un tacco leggero e guanti neri che arrivavano poco oltre il
gomito. Aveva lunghi capelli color lilla che ricadevano
sia all’indietro che sulle spalle, coprendo quasi interamente la parte sinistra
del viso, e occhi dello stesso colore. In mano stingeva un lungo scettro,
apparentemente di legno, sormontato da un effige
dorata a forma di mezzaluna.
«Bene arrivati.»
disse Johan guardandoli e sorridendo «Vi stavo aspettando».
La donna dai capelli viola si
inginocchiò, e subito tutti gli altri la imitarono.
«Nobile Seth. I tuoi
servitori si dispongono ai tuoi ordini».
Ognuno dei nuovi arrivati a quel punto si
presentò, enunciando sia il proprio nome sia quello della persona che costituiva la sua nuova incarnazione, e che avevano
usato fino al momento in cui le due metà dei loro spiriti si erano ricongiunte,
permettendogli di ricordare la verità sulle loro vere origini; la prima fu la
più piccola delle tre sorelle.
«Yuuhi di Atropo.»
«Ushio di Cloto.» disse la mezzana
«Minami di Lachesi».
Poi fu il turno degli altri due fratelli.
«Kaname di Hypnos.»
«Yuuki di Thanatos».
Dopo di loro si presentò la donna in blu.
«Selveria di Sigfrida.»
«E io» disse la
donna dai capelli viola «Lainay di Nepthys.»
«Vi do il bentornato in questo mondo, miei
compagni di un tempo.» disse Johan «Dopo millenni di
attesa e di sofferenza, è giunto per tutti noi il momento di portare a termine
l’opera intrapresa all’alba della storia.
Noi epureremo questo mondo da tutti i suoi
mali, riportandolo fra le braccia della giustizia.
Tutti coloro che
sceglieranno di seguirci saranno trattati da amici e premiati con la promessa
di un futuro radioso; coloro che si opporranno, invece, saranno spazzati via,
cosicché l’ingordigia e l’ipocrisia che da sempre regnano sovrane tra gli
esseri umani siano epurate per sempre!».
Nota dell’Autore
Salve Salve!
Credevo che mi ci
sarebbe voluto molto più tempo per aggiornare ancora, ma fortunatamente mi sono
ritrovato con un inaspettato periodo di riposo e ho deciso di sfruttarlo al
meglio.
Questo capitolo, che
ho scritto praticamente di getto, è il penultimo della
prima parte della storia, che a partire dal numero 7 comincerà ad andare un po’
più a briglia sciolta.
Ah, e un’altra cosa.
Con questo capitolo ho realizzato ormai quasi tutti i
cross-over che avevo in mente di inserire all’interno della storia, e da
questo momento parte ufficialmente la gara per cercare di indovinare quali
siano e da dove provengano; ovviamente, chi li ha saputi da me (qualcuno a
caso^_^) non può prendervi parte (non vogliatemene male). Per cercare di uscire
un po’ dalla quotidianità sono andato a spulciare da
fonti di ispirazione secondarie, difficili da riconoscere per chi non sia un
vero appassionato, ma non si sa mai.
Ringrazio i miei
recensori, Selly,
Akita, Cleo92 e Lewsky.
Toshio era davvero convinto di
essere morto, e mai avrebbe immaginato, riaprendo gli occhi, di vedere ancora
una volta il mondo dei vivi.
Al suo risveglio, la prima cosa che vide fu
il crocefisso che pendeva dalla parete della camera da letto
di Padre Andersen.
“Ma allora… sono
ancora vivo…”.
Il giovane spadaccino era disteso sul letto
del parroco, e prima ancora di potersi rendere conto delle
sue condizione un dolore molto forte lo attraversò da parte a parte; lo
scontro della notte prima lo aveva molto provato, e aveva varie fasciature
disseminate su tutto il corpo.
A giudicare dai raggi di sole che filtravano
dalla finestra socchiusa doveva essere già giorno
fatto, e giratosi per cercare di scorgere la sveglia Toshio si accorse di non
essere solo; a poca distanza da lui, addormentata su una sedia, c’era
Nadeshiko, e sul comodino accanto a lei erano ammucchiati tutta una serie di
bendaggi e medicinali usati probabilmente da Padre Andersen e da lei stessa per
curare le sue ferite.
Non appena Toshio incrociò il suo volto, ogni
cosa, ogni proposito, ogni pensiero venne
immediatamente cancellato; nuovamente, vedendole, la stessa sensazione che
aveva provato dopo averla incontrata all’imbarcadero due giorni prima tornò a
farsi sentire, più forte e insistente di prima, sottoforma di uno strano calore
al petto.
Non sapeva perché, ma in quel momento, quando
l’aveva toccata così, per puro caso, aveva avuto fin da subito la sensazione di
averla già vista, di conoscerla da sempre. Eppure, era sicuro di non averla mai
vista prima di quel momento.
Forse il motivo era dovuto alla sua unicità,
la stessa che la accomunava ai suoi compagni di
viaggio.
Suo padre lo diceva sempre, le coincidenze
sono un evento raro: forse c’era un motivo preciso se quei quattro ragazzi
erano rimasti coinvolti nel grande torneo; forse il fato aveva riservato loro
un compito speciale da portare a termine.
Guardandola in volto, vedendo quei suoi
lineamenti così aggraziati e gentili, non riuscì a non pensare che fosse una
ragazza bellissima, e l’altruismo che aveva dimostrato in più di un’occasione
era ammirevole; una come lei dalla vita meritava di
avere tutto, e Toshio si domandava di cosa sarebbe stata capace se un giorno
qualcuno le avesse insegnato ad avere il controllo della sua magia.
Malgrado in quel
momento fosse stato allo stremo delle forze, in bilico tra il raziocinio e la
perdita dei sensi, anche lui aveva visto il circolo magico della ragazza che
Atarus aveva fatto comparire la sera del suo primo scontro.
Un fatto risaputo tra i maghi e gli stregoni
era che vi erano dei simboli universali fra quelli che si materializzavano
all’interno di un circolo magico, e l’eventuale presenza di uno di questi
lasciava intendere quale tipo di magia una persona era maggiormente portata a
padroneggiare. Come raccontato in molte storie fantasy e romanzi d’avventura
esistevano tre tipi di potere magico: la magia d’attacco, quella da difesa e
quella da supporto.
La falce lunare comparsa nel circolo magico
di Nadeshiko faceva rientrare la sua magia nella terza categoria, la magia di
supporto, che pur non essendo fondata né sull’attacco né sulla difesa
permetteva l’uso di un vasto arsenale di incantesimi
che, se ben utilizzati, potevano risultare devastanti su entrambi i fronti.
D’un tratto, proprio
mentre la stava osservando, la ragazza si svegliò, aprendo i suoi bellissimi
occhi verdi.
«Toshio.» gli disse appena riuscì a fare
mente locale «Sei sveglio. Non me ne ero accorta.»
«Per quanto ho perso i sensi?»
«Hai dormito per
almeno dodici ore. Avevi bisogno di riposo.»
«Ma… che ore sono?».
Nadeshiko diede allora uno sguardo al suo
orologio.
«Quasi le quattro del pomeriggio».
Di nuovo tacquero, poi Toshio tornò ad
assumere la sua espressione fosca.
«Perché siete rimasti?
Vi avevo detto di andarvene.»
«Bel ringraziamento per averti salvato la
vita!» replicò Nadeshiko fingendosi offesa «Hai idea
di quello che è successo dopo che sei svenuto?
I servitori di Seth ci hanno attaccati subito dopo che il tuo Fuuzetzu
si è sciolto.»
«Come hai detto!?»
esclamò il ragazzo balzando a sedere sul letto.
Il suo movimento però fu troppo brusco, ed
ebbe come risultato un dolore lancinante allo stomaco che lo fece tremare e
mugugnare.
«Maledizione…»
«Non sforzarti.» gli disse Nadeshiko cercando
invano di farlo distendere nuovamente «Sei ancora molto
debole, e le ferite potrebbero riaprirsi.»
«I servitori di Seth… vi hanno attaccato?»
«Sì, è così.
Fortunatamente siamo riusciti a respingerli, grazie anche all’aiuto di Tadaki e
dei tuoi famigli.»
«Tadaki!?».
Solo allora Toshio si ricordò del suo
avversario, quello che per poco non gli aveva fatto la pelle, e che a quanto
pare non aveva fatto in tempo ad infliggergli il colpo
di grazia, sbattendolo fuori dal torneo.
«Dov’è Tadaki adesso?»
«Sta tenendo una lezione privata.» rispose
Padre Andersen entrando nella camera «Tornerà fra qualche ora.»
«Padre Andersen.» disse Nadeshiko.
Il religioso si avvicinò al letto, guardando
Toshio con espressione di severo rimprovero; il ragazzo abbassò lo sguardo.
«Cosa ti avevo detto
riguardo ai colpi di testa? Voler combattere nelle tue condizioni è stato un
azzardo imperdonabile, che avrebbe anche potuto
costarti la vita.»
«Io… mi dispiace…»
«Ringrazia il cielo di esserti confrontato
con un avversario per il quale l’onore e il rispetto vengono prima di tutto. Se al suo posto ci fosse stato Atarus, a quest’ora
saresti già all’altro mondo».
Toshio ne era consapevole, e si vergognava
profondamente di sé stesso.
Già il suo esordio nel torneo non era stato
dei più brillanti, ma subire due sconfitte consecutive ed
uscirne quasi indenne e ancora in gara solo grazie all’intervento della buona
sorte lo faceva sentire un vero incompetente, indegno di proseguire la strada
tracciata dai suoi valorosi antenati, che si erano sempre distinti per il loro
valore e la ferrea volontà di continuare a combattere fino alla fine.
«Per i prossimi due giorni dovrai astenerti
da qualunque combattimento.» proseguì Padre Andersen, che poi assunse
un’espressione più gentile ed amichevole «Quando
tornerai a combattere dovrai dimostrare una volta per tutte la forza della tua
tribù».
Toshio lo fissò stranito e, per la prima
volta in via sua, commosso.
«È una grande responsabilità, e mi aspetto
che tu la porti a termine.»
«G… grazie».
Il parroco a quel punto li lasciò nuovamente
soli pregando Nadeshiko di tenere d’occhio Toshio ancora un altro po’, almeno
fino a quando le ferite più superficiali non si fossero completamente
rimarginate.
Per lungo tempo i due restarono in silenzio,
immersi ognuno nei propri pensieri, poi Nadeshiko, stringendo i pugni, decise
di fare la prima mossa, probabilmente perché dentro di sé era convinta che
quella fosse l’occasione migliore per avanzare una simile richiesta.
«Toshio, senti. C’è
una cosa… di cui volevo parlarti».
Lui, che aveva gli occhi piantati sulla
coperta, si girò verso di lei.
«Ovvero?»
«Ecco… a dire il
vero. Io e gli altri abbiamo parlato tra di noi la notte scorsa.
Noi, ecco… avremmo deciso che…» poi disse,
tutto d’un fiato, e con maggior decisione «Se per te
non è un problema, vorremmo accompagnarti nel tuo viaggio».
Di nuovo, Toshio restò in silenzio,
osservandola coi suoi occhi severi, senza però dar
segno di voler rispondere in qualche modo. Nadeshiko, subito dopo aver parlato,
cominciò a pentirsi di ciò che aveva appena fatto, e si aspettava un secco
rifiuto.
In fin dei conti, che diritto avevano di
immischiarsi nei suoi affari, imbarcandosi in un’impresa che almeno in quel
momento andava ben al di là delle loro possibilità?
«Per quale motivo vorreste fare una cosa del
genere?» domandò il ragazzo tornando a fissare il letto.
Non lo si poteva
certo definire un sì, ma tanto la domanda che il tono con la quale era stata posta
lasciarono Nadeshiko inizialmente interdetta; dopo qualche istante, però,
decise di dire le cose come stavano, senza inutili giri di parole. Per qualche
motivo che non si sapeva spiegare nutriva profonda fiducia in quel ragazzo che
conosceva solo da pochi giorni, e sentiva di poter essere sincera.
«Fino ad oggi tutti
noi abbiamo sempre vissuto le nostre vite nell’anonimato.
Per tutto il tempo che siamo stati insieme,
non abbiamo mai fatto nulla di veramente importante. Anche se ci siamo sforzati
a lungo di sembrare uguali agli altri, io, Shinji e Keita abbiamo sempre avuto
qualcosa che ci rendeva diversi, e nella nostra città eravamo quasi sempre trattati con sospetto. Passavamo così tanto tempo a cercare di sembrare come gli altri che
abbiamo finito per sprecare il tempo trascorso finora.
Dopo aver incontrato te e Atarus, aver saputo
del torneo, e dei circoli magici che a quanto pare possediamo, per la prima in
vita nostra ci siamo sentiti parte di qualcosa di importante.
Questo torneo, questa guerra che voi combattete, ha come fine ultimo la salvezza di questo mondo.
Se è così, noi abbiamo il dovere di fare la
nostra parte. Nessuno di noi vuole più fare la parte del semplice spettatore».
Toshio chiuse gli occhi, all’apparenza
indifferente al discorso della ragazza, poi, con aria di concentrazione,
distese il braccio destro, e dopo pochi istanti la sua spada d’oro gli comparve in mano allo stesso modo in cui era sparita la
notte prima.
«Potreste anche
perdere la vita. Questa non è la vostra guerra.»
«Seth è tornato in
questo mondo per sottometterlo. Direi che questa è la guerra di tutti».
Il ragazzo, di fronte alla determinazione di
Nadeshiko, per la prima volta in volta sua si sentì
interdetto, e incapace di controbattere. Bastava guardarla negl’occhi
per capire che parlava sul serio, e che quella decisione lei e i suoi compagni
non l’avevano presa alla leggera.
Avevano visto coi
loro occhi quanto poteva essere pericoloso il torneo, e se Padre Andersen aveva
spiegato loro cosa realmente fosse l’eclisse dell’altra notte sapevano che la
situazione da lì in avanti avrebbe potuto solamente peggiorare; eppure,
malgrado tutto, volevano ugualmente combattere.
Qualcuno l’avrebbe chiamata follia, lui
invece sentiva di volerla chiamare determinazione; ciò nonostante, non riuscì a
trovare il coraggio per una qualsiasi risposta, anche se per Nadeshiko lasciare
la stanza senza aver ricevuto un rifiuto fu almeno sufficiente per farla
sperare.
Quando Tadaki fece ritorno alla
chiesa, qualche ora dopo, Toshio chiese e ottenne di poter restare da solo con
lui.
I due per i primi minuti non si parlarono,
limitandosi a scambiarsi degli sguardi.
«Confesso di essere rimasto sorpreso.» disse ad un certo punto Tadaki «Non avrei mai immaginato che tu
possedessi una simile resistenza. Molti altri nelle tue condizioni avrebbero
gettato la spugna.»
«Te l’ho detto, non sono tipo da arrendermi
facilmente.»
«Me ne sono accorto.
L’ultima cosa che mi aspettavo era che nelle tue condizioni riuscissi a
sconfiggere una come Touka».
Toshio tornò con la mente a quel momento,
rievocando l’attimo esatto in cui aveva usato quanto
restava della sua forza per trafiggere il famiglio dell’avversario e farlo ritornare
alla sua forma animale.
«Come sta?»
«Sopravvivrà. Quella
ragazza è dura a morire.»
«Il tuo legame con
lei era particolarmente forte. Sconfiggendola, sono riuscito a rompere il tuo
circolo magico.»
«Già, infatti. Noi
del Clan Yoshida non abbiamo mai dato grande
importanza alla magia. Il potere magico ci serve unicamente a evocare e
controllare i nostri famigli, e visto che non
disponiamo di circoli magici molto potenti l’unico modo per mantenerli in forma
umana è avere con loro un contatto costante.
Piuttosto, sono rimasto molto colpito da
quelle due gemelle. Non avrei mai creduto possibile che un famiglio potesse
mantenersi in forma umana anche quando il suo padrone è privo di sensi.»
«Mio padre ha sempre nutrito particolare
interesse per i famigli, e sono ormai più di cinquant’anni che studia e
perfeziona le arti di invocazione.
Aria e Lotte sono state una sua creazione. Le
ha plasmate poco prima che avesse inizio il torneo.»
«È anche merito loro se siamo riusciti a
cavarcela senza troppi problemi contro quei soldati al
sevizio di Seth».
La rievocazione di quanto accaduto poco prima
fece inevitabilmente venire alla luce un’atmosfera più
cupa e pesante di prima.
«Ha fatto la sua mossa molto prima di quanto
il consiglio si aspettasse.» disse Toshio
«Così pare.
Probabilmente il fatto che fosse già in possesso del Libro dell’Oscurità ha
facilitato il suo risveglio.»
«La situazione al
momento è veramente difficile. Al momento Seth può contare su tutto ciò di cui
disponeva all’epoca della sua prima venuta. Ha il libro, la sua spada e un
esercito di servitori che la pensano come lui».
Toshio si girò quindi verso Tadaki.
«Perché hai portato tua sorella in mezzo ad
un simile caos?».
Tadaki si morse il labbro, mettendosi apposto
gli occhiali, poi distolse lo sguardo.
«Non ho avuto altra
scelta. Purtroppo, in questo momento, Seth e il torneo rischiano di non essere
i soli problemi ai quali dobbiamo pensare.
Forse l’hai saputo anche tu, ma da tempo si respira una strana aria fra i sette popoli
guardiani. C’è chi parla di un complotto segreto volto a sovvertire il potere
all’interno di tutti i nostri villaggi.»
«Sì, è giunta anche
a me questa voce.
Mio padre è molto preoccupato, e a giorni se
non sbaglio dovrebbe incontrarsi con alcuni degli altri capi.»
«Al momento vi è
grande agitazione nel Clan Yoshida. Il nostro capo
sta andando incontro ad un rapido declino fisico che
potrebbe ucciderlo in qualunque momento, e non avendo figli a cui passare il
comando il posto di leader sarebbe preso da mio padre.
Se le voci sull’esistenza del complotto
fossero vere la mia famiglia potrebbe essere in grave
pericolo, quindi, per tenere Kazumi al sicuro, mio
padre ha deciso di mandarla qui, dove si svolge il torneo, e dove sarebbe stato
difficile per chiunque tramare contro di lei.»
«Ma anche questo non
è certamente un posto sicuro. A meno di non porre subito un freno al potere di
Seth, entro breve tempo l’Europa potrebbe trasformarsi in uno sterminato campo
di battaglia.»
«Conosco bene i pericoli
che corre. È stato difficile prendere una decisione, ma se mio padre diventasse il nuovo capo del Clan YoshidaKazumi sarebbe circondata di nemici invisibili e
pericolosi.»
«Anche questo è vero».
Vi fu un nuovo silenzio, poi fu Toshio a parlare.
«Ora che farai?».
Tadaki guardò fuori dalla finestra.
«Ormai qui non ho
più nulla da fare. Gli altri due guerrieri che sostavano in questa città se ne
sono già andati. In questo momento Touka sta tenendo
d’occhio la ragazza che mi ha aggredito la scorsa notte; sembra sia diretta a
Parigi, quindi penso che andrò lì.»
«Porterai anche tua sorella?»
«Naturalmente.
Averla vicino è il modo migliore per tenerla d’occhio. Tu invece che progetti
hai?».
Lo spadaccino non rispose, fissando il vuoto
con aria pensierosa.
«Quei ragazzi… hanno chiesto di venire con
me».
Tadaki non sembrò eccessivamente sorpreso, e
di nuovo si sistemò gli occhiali, sorridendo
leggermente.
«Non vedo perché no.
Come hai detto tu questa sarà una guerra
all’ultimo sangue, e avremo bisogno di tutto l’aiuto possibile per sperare di
uscirne vincitori.
Indubbiamente la loro magia potrebbe tornare
utile, ma avrà bisogno di essere affinata.
Che ne dici di portarli da Izumi?»
«Izumi?
Credevo che fosse in missione.»
«È ritornata».
Toshio ci pensò un momento; forse anche a lui
non avrebbe fatto male prendere qualche lezione, visto come erano
andati i suoi primi due incontri. Mettersi nelle mani di un bravo maestro
poteva essere la cosa migliore da fare in quella situazione.
«Forse hai ragione tu.»
«Dammi retta amico
mio, quei ragazzi rischiano di essere più determinati di quanto tu possa
immaginare.
Io non prenderei la loro alleanza troppo alla
leggera».
Due giorni dopo, alla stazione
ferroviaria di Venezia, era il momento dei saluti.
Da una parte, Tadaki Yoshida
e sua sorella Kazumi, dall’altra Toshio, con al seguito, oltre ad Aria e Lotte, nuovamente in forma
felina, quattro inattesi compagni di viaggio.
«Beh, qui le nostre strade si dividono,
almeno per un po’.» disse Tadaki
«Così sembrerebbe.»
«Ho contattatoIzumi ieri sera, e l’ho informata del vostro arrivo. Vi
aspetta nel suo negozio.»
«Grazie dell’aiuto.»
«Figurati, non c’è
di che. Ricordati solo che semmai ci incontreremo ancora, sarà da avversari.»
«Non lo
dimenticherò, sta tranquillo. E ti conviene prepararti, perché la prossima
volta sarò al massimo delle mie potenzialità.»
«Vale lo stesso per me».
Entrambi sorrisero, quindi si strinsero
vigorosamente le mani.
«È stato un piacere conoscerti,
Toshio.»
«Anche per me. Alla
prossima».
Kazumi nel
frattempo salutava calorosamente i suoi amici, soprattutto Nadeshiko.
«Mi raccomando, abbiate cura di voi.»
«Grazie, anche tu.» rispose Keita «E tieni
d’occhio tuo fratello.»
«Lo farò».
La ragazza si girò verso Takeru, che solo in
quel momento pensò di degnarla di uno sguardo, uno sguardo
che naturalmente la fece immediatamente arrossire.
«Ecco… buona fortuna anche a te… spero di
rivederti un giorno.»
«Grazie.» fu la sua sola risposta,
pronunciata con un filo di voce e un tono parecchio disinteressato.
In quella l’altoparlante della stazione
annunciò l’imminente partenza di un treno.
«Si avvisano i passeggeri che l’Eurostar 2319 diretto a Parigi partirà tra cinque minuti.»
«Beh… è ora di andare.» disse Yoshida raccogliendo il suo bagaglio.
Lei e Nadeshiko si guardarono, poi Kazumi andò da lei e la abbracciò.
«Ti prego amica mia, fa attenzione.»
«Grazie, Kazumi.
Non temere, ci rivedremo presto. Vai ora».
Calmate un po’ le proprie insicurezze
la ragazza recuperò nuovamente la valigia e seguì il fratello dall’altro
capo della stazione, dove li attendeva il treno che li avrebbe condotti alla
loro destinazione successiva. Anche Keita e gli altri, dopo poco, furono messi
in allerta da un annuncio dell’altoparlante.
«Il treno Eurostar 9012 diretto a Zurigo partirà fra cinque minuti. I
passeggeri sono pregati di salire a bordo.»
«Ci siamo ragazzi.»
disse Shinji «Inizia l’avventura».
Ognuno, con in spalla
il proprio bagaglio, salì dunque sul treno che li avrebbe condotti alla prima
tappa del loro inaspettato viaggio attraverso l’Europa; mentre percorrevano
nuovamente il ponte che collegava Venezia alla terraferma, stavolta nella
direzione opposta, qualcuno di loro si domandava come avesse potuto finire
così, ripensando magari a quando avevano fatto quel tragitto per la prima
volta, con la testa piena di sogni e di aspettative per un’avventura che già
dai suoi esordi si era rivelata molto più grande di quanto chiunque avesse
potuto immaginare.
Nepthys, la
città capitale dell’omonima tribù, sorgeva nel bel mezzo del nulla, da qualche
parte nello sterminato deserto del Sahara, al confine tra la Libia e il Ciad.
Da migliaia di anni le sue mura bianchissime
su cui ardevano, durante la notte, decine di bracieri, erano un faro che
illuminava la strada delle carovane che dall’Africa Nera si spostavano fino
alle coste del Mediterraneo cariche di ogni sorta di ricchezza.
La fertilità della grande oasi nella quale
sorgeva, unita al fatto di costituire un crocevia conosciutissimo e
importantissimo per le rotte carovaniere, avevano reso Nepthys
una città ricchissima, traboccante di splendore, ma ancora saldamente ancorata
alle proprie, antichissime origini.
Fondata dagli antichi faraoni, da cinquemila
anni si stagliava fra le dune in tutta la sua grandezza, incutendo timore e
rispetto in chiunque varcasse i suoi cancelli.
Malgrado sorgesse all’interno di uno stato
riconosciuto Nepthys era praticamente una realtà a sé
stante, con una propria economia e un proprio sistema politico. In cima alla
piramide sociale svettava il nobile Akunator, ultimo
discendente degli antichi edificatori della città; subito dietro di lui veniva
il suo parente più prossimo, suo cugino Zervan, il
Gran Visir; vi era poi il Gran Consiglio, formato dai capi delle cinque
famiglie nobili, ognuna delle quali amministrava uno degli altrettanti
quartieri in cui era suddivisa Nepthys, che contava
al suo interno più di 150 mila abitanti.
Fin dall’istituzione del grande torneo gli
spadaccini di Nepthys si erano distinti per il loro
valore, vincendo la competizione più di una volta e riuscendo sempre a
sconfiggere Seth ad ogni sua resurrezione. Per loro non esistevano non
conoscevano vie di mezzo: o vincevano o morivano. Tornare da sconfitti non era
un’opzione.
Nessuno conosceva bene le circostanze con cui
veniva scelto il rappresentante della città nel grande torneo, ma una cosa era
certa; apparteneva sempre e comune alla nobiltà. Veniva selezionato già al
momento della nascita, e fino al momento fatidico conduceva una vita da
recluso, venendo presentato ufficialmente al popolo due o tre anni prima
dell’inizio della competizione.
Il partecipante di quell’anno era nientemeno che
il figlio adottivo del re Akunator, Toshio, scelto
fra tanti possibili eletti in virtù del suo valore e delle sue straordinarie
capacità di guerriero.
Fino a quel momento che l’eletto fosse un
membro della famiglia reale era stato un evento molto raro, e da quando il
torneo aveva avuto inizio Akunator trascorreva un
sacco di tempo nel grande tempio del palazzo reale, lo stesso in cui aveva
consegnato a suo figlio la spada simbolo della tribù, seduto in meditazione
davanti alla statua di Nepthys.
Era così anche quel giorno, ma ciò che pochi
in città sapevano che per quella mattina era in programma un evento molto
importante, destinato a stravolgere per sempre il rapporto di Nepthys con i suoi alleati sparsi in tutto ilmondo.
D’un tratto, mentre Akunator
era immerso nel silenzio, una guardia reale entrò nel tempio.
«Mio signore. Gli ospiti che attendevate sono
arrivati.»
«Falli accomodare nella sala delle udienze.
Sarò da loro fra cinque minuti.»
«Ai vostri ordini».
Dopo poco che il soldato se ne fu andato il
sovrano si rimise in piedi, fece un ultimo inchino alla dèa quindi lasciò a sua
volta la stanza; ad attenderlo oltre l’uscio vi era Zervan,
il suo gran visir.
A differenza di Akunator,
che malgrado l’età avanzata dimostrava di possedere ancora il vigore e la forza
d’animo degni di un vero guerriero, Zervan era un
uomo in cui il peso degli anni emergeva in tutta la sua drammaticità.
Il suo volto pallido era devastato dalle
rughe, la barba grigia e protendente era ruvida e stopposa, e probabilmente
sotto il vistoso copricapo a turbante che portava perennemente in testa non vi
erano quasi più capelli, tranne quei pochi che ancora contornavano le orecchie.
Gli occhi, neri, erano quelli di un leone
ferito, che però cerca ancora di farsi valere, ma il cui ruggito somiglia più
ad un rantolo di agonia.
Vestiva con una sfarzosa tunica nera dai
risvolti pronunciati e con un collo ampio, ripiegato su sé stesso, e camminava
sorreggendosi al suo lungo bastone d’argento terminante in una curva larga e
piatta che ricordava il collo aperto di un cobra.
«Sei sicuro di quello che fai, Akunator?» domandò il visir con la sua voce roca
«Credimi, Zervan.
Questa è la cosa migliore da farsi.»
«Spero che tu non stia facendo un errore,
cugino.»
«Lo spero anch’io. In questa situazione,
sbagliare è un lusso che non ci possiamo permettere».
Lasciato il visir, Akunator
percorse in solitudine gli sfarzosi corridoi del palazzo fino a raggiungere una
grande sala rettangolare nell’ala sud; il pavimento, di marmo pregiato, era
distribuito su due livelli, uno più alto lungo i bordi e uno più basso al
centro, all’interno del quale era posto un grande tavolo dipinto con motivi
arabeggianti blu e gialli e molte sedie disposte accuratamente a uguale
distanza l’una dall’altra.
Tutta la parete alla sinistra dell’entrata
era costellata di archi sorretti da belle colonne bianchissime, oltre i quali
si stagliava una grande terrazza da cui si poteva avere una visuale magnifica
non solo della città, ma anche di tutto il deserto circostante.
Akunator uscì in
terrazza, e appena oltrepassati i soffici e leggeri veli bianchi agitati
leggermente dal vento africano incontrò le due figure che aveva scorto al suo
arrivo, un uomo e una donna; entrambi presentavano i tratti somatici tipici del
lontano Oriente, e anche gli abiti che indossavano non rendevano difficile
capire quali fossero le loro origini.
Lei, sui quarant’anni, conservava ancora
tutta la sua bellezza, una bellezza sconfinata.
Gli occhi, piccoli, erano pieni di mistero, i
capelli lunghi, raccolti in cima alla nuca con un fermaglio d’oro, formavano
una coda lunghissima.
Indossava una tunica lunga color panna che
copriva i piedi e dalla maniche molto larghe, stretta in vita da una fascia
azzurra di seta e da una cintura da cui pendevano tre grandi anelli d’oro.
Lui invece di anni doveva averne molti di
più, ma nonostante i capelli bianchi, la barba un po’ folta e le rughe sul viso
aveva impresso nello sguardo lo stesso ardore del re Akunator.
Il suo abbigliamento ricordava quello di un antico guerriero cinese, ma con
sprazzi di una vitalità quasi selvaggia: pantaloni da combattimento, stivali
non eccessivamente pesanti, una maglia leggera bianco sporco con le maniche
lunghe e una sopravveste azzurra senza maniche chiusa con una fascia e
appoggiata unicamente sulla spalla sinistra, come un mantello.
I tratti del viso, leggermente più duri di
quelli della donna, nonché la sua pelle piuttosto scura, facevano risalire le
sue origini alle steppe della Mongolia piuttosto che alla fertile Cina, o
magari alle regioni più orientali della Russia.
Come lo sentirono arrivare, entrambi gli
ospiti si voltarono verso Akunator.
«Yelan. Ranva. Benvenuti.»
«È un piacere rivederti, Akunator.»
disse Yelan
«Il piacere è tutto mio.
Prego, accomodiamoci. Abbiamo molto di cui
parlare».
Si sedettero, e un servitore offrì ad ognuno
di loro una coppa di ottimo vino prima di lasciarli nuovamente soli; sembrava
esserci una grande affinità fra i tre, ma fin da subito apparve chiaro che vi
era una sorta di malcelata tensione ad aleggiare come uno spettro maligno su
quella riunione.
Era già capitato che i capi dei vari villaggi
si ritrovassero per discutere tra di loro, ma quella era la prima volta che
veniva indetta una riunione in cui solo alcuni di essi erano stati convocati, e
la cosa non poteva certo essere considerata positiva, perché poteva significare
solo la presenza di attrito o sospetti tra i regnanti.
Un preoccupante silenzio dominò i primi
minuti d’incontro, poi fu Ranva il primo a prendere
la parola.
«Allora, Akunatur.
Di cosa volevi parlarci?».
Il sovrano di Nepthys
posò il suo calice sul tavolo, quindi, seppur con qualche incertezza,
incominciò il suo discorso.
«Vi ho convocati qui per parlare di una
questione di cui sicuramente siete già al corrente.
Negli ultimi anni ha cominciato a circolare
una voce fra i nostri rispettivi popoli, una voce che parla di un esistenza di
un complotto deciso a rovesciare interamente l’equilibrio non solo dei nostri
villaggi, ma del mondo intero.»
«Sì, lo abbiamo saputo.» rispose Yelan «Anche Xi-Siang circola
questa voce, ma fino ad ora non siamo riusciti a raccogliere nessun elemento in
grado di comprovarne la fondatezza.»
«Forse» ipotizzò Ranva
«Si tratta solo di una chiacchiera, di un falso allarme. Non sarebbe la prima
volta.»
«Anch’io la pensavo così, amico mio. Almeno,
fino a qualche tempo fa.
Il mese scorso, proprio qui a Nepthys, abbiamo arrestato uno dei membri del complotto».
Ranva e Yelan rimasero con la bocca socchiusa e gli occhi
spalancati, e per poco non saltarono sulle sedie.
«Akunator, starai
scherzando spero!»
«Purtroppo no, amico mio. I miei soldati
tenevano d’occhio quell’uomo da diverso tempo a causa di alcuni suoi
comportamenti sospetti, e perquisendo la sua casa abbiamo provato documenti che
provano l’esistenza di un complotto che sarebbe già giunto alle sue fasi
conclusive.»
«In nome del cielo» disse Yelan
«Ne sei davvero sicuro?»
«Sono sempre stato contrario alla brutalità,
voi lo sapete, ma questa volta non mi sono risparmiato pur di far parlare
quell’uomo. Lo ha detto chiaramente, il complotto c’è, è a buon punto, e i
documenti trovati a casa sua lo confermano.»
«Ma che cosa contengono questi documenti?»
«È una lista. Una lista di nomi.»
«Una lista di nomi?» ripeté Ranva «Non sarà…»
«Sì. I nomi di tutte le persone coinvolte nel
complotto.»
«Non posso crederci.» disse Yelan «Ma… chi sono! Che nomi avete trovato su quella
lista?»
«Mi dispiace, ma questo purtroppo non lo
sappiamo. Quei testi sono scritti in codice.
Ci ha detto lui che si trattava di nomi, ma
prima che potessimo costringerlo a rivelarci come decifrarli si è suicidato
ingerendo del veleno che nascondeva in un anello.»
«E allora che facciamo?
Questa è la prova che il complotto esiste, e
noi non sappiamo chi ne siano i partecipanti.»
«Appunto. È per questo che vi ho convocati
qui. Per mettervi al corrente di un piano che ho organizzato.»
«Parla allora.» disse Ranva
«Che cos’hai in mente?».
Adunato fece una pausa, chiuse gli occhi e
respirò profondamente. Era chiaramente nervoso, e i suoi interlocutori ne
approfittarono per prepararsi al meglio a qualcosa che sicuramente li avrebbe
sconvolti.
«Ho intenzione di infiltrare delle spie
all’interno di tutti gli altri villaggi, inclusi i vostri».
Nessun tipo di preparazione psicologica
poteva far trovare Ranva e Yelan
pronti abbastanza da reggere una simile rivelazione.
«Akunator, è
semplicemente folle!»
«Ranva ha ragione.
Se la cosa dovesse venire alla luce gli autori del complotto potrebbero
approfittare per seminare zizzania tra di noi e rendere le cose per loro ancora
più facili.»
«Lo so. Credetemi, non ho preso questa
decisione alla leggera.
Purtroppo, è l’unica soluzione possibile. Se
non scopriamo in fretta chi sono le menti dietro a questa vicenda la situazione
potrebbe sfuggirci di mano.
Seth non è mai stato tanto pericoloso. I
partecipanti al torneo dovranno confrontarsi sia con lui che con il suo
esercito di alleati. Non possono esserci dissensi e discrepanze tra di noi in
un periodo tanto fosco come quello che ci prepariamo ad affrontare».
Ranva e Yelan, attoniti e confusi, abbassarono entrambi lo sguardo,
trovandosi costretti ad ammettere, malgrado tutto, che Akunator
aveva ragione; il complotto, se davvero esisteva, avrebbe potuto portare eventi
disastrosi per le sette tribù se lasciato libero di proliferare. Di
conseguenza, la sola cosa fattibile era giocare d’astuzia, muovendosi in
sordina e all’insaputa di tutti, nella speranza di riuscire a sbrogliare la
matassa e poter arrivare alle menti ideatrici.
«C’è una cosa però che vorrei che tu mi
spiegassi.» disse Ranva risollevando gli occhi, con
voce severa e quasi ammonitoria «Perché stai dicendo queste cose proprio a noi?
Dopotutto, chi ti assicura che non ci siano
anche i nostri nomi su quella lista?».
Yelan lo guardò
come fosse un fantasma, poi si girò verso Akunator,
che inizialmente non proferì parola, limitandosi a fissare il suo amico con lo
stesso sguardo di ghiaccio.
«Per un motivo molto semplice.» disse ad un
certo punto «Vi conosco tutti e due molto bene.
Abbiamo combattuto insieme, in passato, e
posso contare sulla vostra buona fede. Siete persone giuste, di carattere, che
non hanno paura di fare la cosa giusta.
La verità è che io non mi fido di nessuna
delle persone vicine agli altri sovrani. Come hai puntualizzato tu stesso, per
quello che ne sappiamo anche gli stessi re potrebbero essere coinvolti nel complotto.
È probabile che anche nella vostra cerchia vi siano dei cospiratori, quindi non
c’è bisogno che io vi dica di fare attenzioni.
Questo complotto, qualunque sia il suo fine,
passa inevitabilmente per la morte di tutti i sovrani che non lo appoggiano,
quindi da questo momento in poi la nostra vita sarà in costante pericolo.
Ciò che vi chiedo, è di darmi il vostro
sostegno, infiltrando anche voi le vostre spie negli altri villaggi. Insieme
avremo maggiori possibilità di sventale il piano dei cospiratori prima che
riescano a portarlo a termine».
Di nuovo i due ospiti non parlarono,
scambiandosi tra di loro sguardi fugaci e carichi di dubbio, poi però entrambi
si girarono verso Akunator e gli rivolsero leggeri
sorrisi di complicità.
«D’accordo.» disse Yelan
«Così sia.»
«Faremo come dici. Abbiamo in te la massima
fiducia.»
«Vi ringrazio. Posso garantirvi che farò
quanto è in mio potere per far sì che la pace e la giustizia continuino a
governare la vita dei nostri popoli.
Gli dèi ci hanno affidato il compito di
vegliare sulla continuità e sulla preservazione di questo mondo e di ogni
creatura che lo abita, e per assolvere tale compito dobbiamo essere uniti.»
«Ben detto.» disse Ranva
«Naturalmente, ciò che ci siamo detti oggi
non dovrà mai uscire da questa stanza.
Muovetevi con cautela, e scegliete per questo
incarico solo persone di massima fiducia. Se il complotto è davvero giunto alle
sue fasi finali, abbiamo nemici ovunque».
Nota dell’Autore
Eccomi di nuovo!
Certo che questi autori di EFP sono
diventati davvero delle saette ad aggiornare; ho aggiornato
solo pochi giorni fa e già sono stato schiaffato in terza pagina!
Va beh, vorrà dire che cercherò di
essere il più rapido possibile, anche perché ormai la storia l’ho già ben
scritta in testa, si tratta solo di trasferirla sulla carta.
Ringrazio come al
solito Selly,
Akita, Cleo92 e Levsky per le loro recensioni.
Il treno in viaggio da Venezia
a Zurigo, sul quale stavano viaggiando Keita e i suoi compagni, era un modello
sperimentale sviluppato da una società tedesca per i viaggi a lunga
percorrenza, destinato ad offrire ai propri passeggeri
il comfort più assoluto.
La prima e la seconda classe erano divise non
più di vagone in vagone, ma erano bensì distribuite su due piani.
La seconda classe, al pianterreno, non
differiva molto da quella degli altri treni, fatta eccezione per i sedili più
larghi e bagni più confortevoli, la prima classe invece, situata al primo
piano, era un vero e proprio trionfo del lusso; niente
sedili appaiati l’uno all’altro, ma comode poltrone girevoli che, pur vicine
tra loro, garantivano una certa privacy, con un largo corridoio al centro
coperto da eleganti tappeti blu.
Nella terza carrozza c’erano il bar e il
ristorante, mentre nelle cuccette dei due vagoni di coda si potevano trovare
alloggi degni di un treno presidenziale, o del leggendario Orient
Express.
Un altro particolare degno di nota erano i
grandi vetri panoramici che offrivano agli ospiti della prima classe una
visuale molto più ampia dei comuni finestrini, e non era un caso se come rotta
provvisoria in attesa del trasferimento del convoglio sulla Transiberiana, per
la quale era stato originariamente progettato, fosse
stata scelta la linea che dall’Italia conduceva fino a Parigi, passando per la Svizzera.
La vista che si stagliava
oltre i vetri era assolutamente stupenda: alte montagne con le cime ancora
innevate, nonostante l’estate avanzata, valli erbose traboccanti di foreste,
piccoli villaggi persi nel niente e un cielo azzurro come pochi e nuvole così belle
da sembrare quasi realizzate a pastello dalla mano di un pittore invisibile.
Nadeshiko era letteralmente senza fiato, ed osservava il grandioso spettacolo che le si palesava
davanti come una bambina al suo primo viaggio fuori casa.
«È bellissimo.»
«Mai visto niente di simile.» disse Keita
«Sembra in paradiso».
Davanti ad una vista simile i ragazzi forse
si erano dimenticati del motivo per il quale stavano
viaggiando, ma certo non si poteva dire lo stesso per Toshio e Takeru; entrambi
rimanevano immobili sui loro sedili, con le braccia incrociate e gli occhi
chiusi, come se stessero dormendo.
Toshio non era certamente una persona con
problemi economici; aveva pagato lui quel lussuosissimo viaggio verso la Svizzera, ma essendo
figlio di un re non c’era da stupirsi che potesse permettersi di tirar fuori
tanti soldi. Avrebbero potuto benissimo prendere il treno successivo, che
avrebbe richiesto solo qualche ora di attesa in più, ma lui aveva detto che il
tempo era denaro, e senza pensarci aveva preso quattro
posti sul primo convoglio disponibile, oltretutto in prima classe.
«Grazie… per aver accettato di portarci con
te.» disse ad un certo punto Keita.
Toshio li guardò di sottecchi, con
circospezione, poi richiuse gli occhi.
«Mettiamo subito in
chiaro una cosa, io non faccio il babysitter.
Il luogo dove siamo diretti è nascosto al
mondo, e Seth non ne conosce l’esistenza, quindi dovremmo essere al sicuro. Lì
imparerete a combattere e a usare la magia, ma da quel momento in poi dovrete
badare a voi stessi.
Non prendetevela a male, ma io ho già
abbastanza cose a cui pensare.»
«Sì, naturalmente.» rispose Nadeshiko
«Tranquillo, non ti saremo d’intralcio.»
disse Keita.
Nel primo pomeriggio il treno varcò il
Confine di Stato, lasciando l’Italia e facendo il suo ingresso in Svizzera. I
biglietti della prima classe comprendevano anche la possibilità di sfruttare il
vagone ristorante, quindi Keita e Shinji non si fecero certo pregare quando fu
annunciato l’inizio dell’ora dei pasti.
«Voi non venite?» domandò Shinji rivolto ai
suoi compagni e allo stesso Toshio
«Non ho fame.» fu la risposta di Takeru, che
dopo poco se ne andò per i fatti suoi.
Altrettanto disse Toshio, Nadeshiko invece disse che li avrebbe raggiunti più tardi; anche Lotte e
Aria, ancora in forma felina, seguirono Keita e Shinji.
Per i minuti successivi, a causa anche dello
svuotamento del vagone proprio per l’apertura del ristorante, regnò uno strano
silenzio; Toshio se ne restava immobile e in silenzio, e Nadeshiko alternava lo
sguardo tra il panorama oltre il finestrino e il suo compagno di viaggio.
Malgrado si fossero imbarcati in un’impresa così importante e rischiosa insieme, sapeva così
poco di lui.
Padre Andersen era stato molto vago in
merito, e aveva tenuto a precisare che a Toshio non piaceva che si parlasse del
suo passato; ciò nonostante, la ragazza era stranamente curiosa, per non
parlare del fatto che quel silenzio angosciante la metteva in agitazione.
Pur avendo vissuto quasi in solitudine gran
parte della sua vita Nadeshiko non aveva mai
apprezzato di essere immersa nel silenzio, soprattutto se si era in presenza di
altre persone, ma qualcosa dentro di lei, come un freno della coscienza, le
impediva di parlare con Toshio per dare inizio ad una qualche conversazione.
Sentiva di voler dare una spiegazione a quel
senso di familiarità che aveva provato fin da quando si erano visti per la
prima volta, ma quel freno interiore non voleva saperne di lasciarla in pace.
Alla fine, lottando con esso, riuscì a spiccicare
alcune parole.
«Dunque, tu sei il
principe del tuo villaggio?».
Fin da subito disse a sé
stessa che non poteva scegliere discorso più stupido o più ovvio, ma nel
momento in aveva aperto bocca era stato come se la sua volontà si fosse
annullata, facendole dire cose che lei non voleva minimamente dire.
Toshio nuovamente sollevò lo sguardo,
riabbassandolo subito dopo.
«Sì, è così. Sono
principe, ma è mio fratello Sanak il legittimo erede
al trono.»
«Hai un fratello?»
«Fratellastro. Io
non sono originario di Nepthys. Il re mi ha adottato.
Abbiamo la stessa età.»
«Devi volergli molto bene».
Il ragazzo sembrò incupirsi a
quell’affermazione, strinse leggermente i pugni e aggrottò un po’ le
sopracciglia; Nadeshiko si morsicò immediatamente la lingua, rimproverando la
propria curiosità.
«Mi dispiace. Questi
dopotutto non sono affari miei.»
«È più di due anni
che non lo vedo. Nostro padre lo ha mandato a studiare
negli Stati Uniti.
È tornato subito prima che io partissi per
partecipare al torneo, ma non ho avuto il coraggio di incontrarlo».
Toshio fece una pausa, mordendosi il labbro.
«A dire la verità, non ci siamo lasciati nel modo migliore.»
«Come mai?» domandò Nadeshiko, dimenticandosi
completamente il rimprovero che si era fatta da sé
solo pochi istanti prima
«Sanak
aveva sempre dimostrato di essere un vero guerriero, e sognava di poter essere
lui a rappresentare la nostra tribù in questo grande torneo.
Nostro padre però non voleva correre il
rischio che morisse, privando il nostro villaggio del suo futuro re, e così io
ho finito per prendere il suo posto.
Da persona orgogliosa e determinata qual’era, mio fratello non ha mai potuto sopportare l’idea
di essere stato scavalcato, e poco prima che partisse per l’America abbiamo avuto
una violenta litigata».
Il tono di voce di Toshio si era molto
ammorbidito rispetto a poco prima, una cosa che sorprese non poco Nadeshiko,
dispiaciuta per aver costretto il suo nuovo amico a rievocare un così triste
ricordo ma felice di essere riuscita finalmente a incrinare un po’ la scorza
dura che lo circondava.
«È normale che tra
fratelli ogni tanto si litighi.
Succede anche a me. Mia sorella frequenta
l’università, e quando ero più piccola litigavamo in
continuazione, anche per i motivi più futili. Poi però, alla fine, ci
riappacificavamo sempre.»
«Vorrei tanto che
fosse così facile.
Sanak non ha mai
dimenticato quello che gli ho fatto, e dubito che accetterebbe
di perdonarmi.»
«Forse devi solo
dargli un po’ di tempo. È comprensibile che tu fossi spaventato all’idea di
incontrarlo dopo il vostro ultimo diverbio, ma fuggire serve solo ad aumentare
la sofferenza.
Bisogna correre dei rischi per ottenere i
risultati più ambiti, o almeno questo è quello che penso.»
«Vorrei tanto che fosse così semplice».
Qualche ora dopo il treno stava
attraversando un’ampia vallata immersa tra le montagne svizzere, diretto a
tutta velocità verso la propria meta.
Nella cabina di guida, i due guidatori
supervisionavano pigramente l’innovativo apparato informatico che permetteva al
veicolo di pilotarsi praticamente da solo; gli
interventi da eseguire manualmente erano minimi, ma in determinate condizioni
climatiche o in casi particolari era comunque indispensabile l’operato di un
essere umano, anche se probabilmente nel corso di tutto quel viaggio non si
sarebbe verificata nessuna delle due condizioni.
Uno dei due conducenti ammazzava il tempo
leggendo il suo giornale, e sembrava quasi sul punto di addormentarsi, l’altro
invece teneva d’occhio la strumentazione elettronica per essere sicuro che non
vi fossero intoppi.
D’un tratto quest’ultimo, alzando gli occhi
oltre il parabrezza, vide, ad una distanza di circa
mille metri e a qualche centinaio di metri da terra, un grande ammasso scuro
simile ad una gigantesca nuvola che si muoveva descrivendo movimenti sinuosi e
imprevedibili.
«Ehi Fabio. Guarda
lì».
Anche il suo compagno, posato il giornale,
portò il suo sguardo su quell’insolito quanto incredibile spettacolo,
rimanendone ugualmente meravigliato.
«Che cosa saranno secondo te?»
«Non saprei. Forse
uno stormo di uccelli.»
«Tu dici? Io non ho
mai visto uno stormo così grande. Devono essere centinaia».
Nello stesso momento, quattro carrozze più
indietro, i ragazzi, ora riunitisi, stavano approfittando dell’ultima ora di
viaggio per concedersi un po’ di riposo; anche Toshio si era appisolato, ma di
colpo una terribile sensazione lo fece scattare in allarme.
«Toshio, che succede?» domandò Shinji
«Abbiamo compagnia».
D’improvviso quella massa nera, invece che
spostarsi da una parte all’altra, proprio come farebbe un grande stormo, prese
a volare a grandissima velocità proprio in direzione del treno, aprendosi man
mano che si avvicinava come una gigantesca mano.
«Ma cosa…».
Prima che il conducente potesse finire la frase una spaventosa onda d’aria fece esplodere i
finestrini, e quello che potevano sembrare tutto meno che uccelli fece
irruzione in sala comandi, investendo in pieno i due uomini con la forza di un
tornado.
Pochi istanti dopo la nube avviluppò tutto il
treno, mandando in frantumi tutti i vetri e diffondendosi all’interno sospinta
da un vento fortissimo. Di qualsiasi cosa fosse fatta non si trattava
certamente di aria; era ruvida, pesante, e ti si attaccava addosso.
Tutte le altre persone presenti nel balcone
presero a gridare e a dimenarsi furiosamente nel tentativo di proteggersi e di
liberarsi di quella roba, ma più ne gettavi via più te ne veniva contro.
«Che cos’è questa roba?» gridò Keita
agitandosi come gli altri «Mi si appiccica addosso!».
Toshio, che cercava di mantenersi calmo, se
ne strappò un pugnetto, guardandolo; erano piume,
piume nere, e dal loro interno sentiva giungere un
potere famigliare.
“Maledizione!” pensò, e subito incrociò le
mani davanti al petto in posizione shinto.
KEKKAI!
Tutto attorno ai ragazzi si
generò una cupola rossa che respinse efficacemente la tempesta di piume, mentre
quelle rimaste intrappolate all’interno divennero ben
presto cenere.
Dopo più di un minuto il vento finalmente cessò
di soffiare, e non appena Toshio disperse la barriera lui e gli altri erano le
sole persone rimaste in piedi; tutti gli altri occupanti del treno erano
riversi a terra privi di sensi, coperti qua e là da
grumi di quelle piume.
«Ma che cosa è
successo?» domandò Nadeshiko.
Dopo qualche istante di spaventoso silenzio i
passeggeri cominciarono a riprendersi, ma i loro movimenti erano estremamente lenti, quasi meccanici, e dopo essersi rimessi
in piedi si girarono tutti in direzione dei cinque ragazzi; i loro occhi
scintillavano di rosso, e fin da subito sia Toshio che Takeru si misero in
posizione di guardia.
«Ma che…» cercò di
dire Keita, ma prima che potesse finire la frase quell’esercito di zombi gli si
scagliò addosso.
Toshio, fulmineo, ne stese due con un calcio,
e subito dopo si frappose fra i suoi compagni e una delle due porte d’uscita.
Aria e Lotte, messesi accanto a lui, si circondarono di luce, acquisendo in
pochi secondi la loro forma umana.
«Presto, andate via di qui!»
«Che cos’hanno queste persone?» domandò Nadeshiko
«Le piume che li coprono sono imbevute di
potere magico, e vengono usate per controllarli.»
«Ma chi può essere
stato?» chiese Keita
«Ora non c’è tempo
per parlare! A questi ci penso io, voi cercate di scendere dal treno!»
«E tu cosa farai?»
«Non preoccupatevi di questo, me la caverò!».
In quella un gruppo di zombi si mosse
nuovamente alla carica, e allora Toshio generò una nuova barriera che li
tenesse indietro.
«Andate!».
I ragazzi, a quel punto, obbedirono, ma Keita
dovette faticare non poco per convincere Nadeshiko ad abbandonare Toshio, che
rimasto solo si lanciò in avanti assieme alle sue due inseparabili compagne;
insieme, impiegarono solo pochi secondi a fare piazza
pulita e a lasciare tutti gli zombi a terra svenuti.
«Vieni fuori, Atarus!» disse Toshio a scontro
finito «Tanto lo so che ci sei tu dietro a tutto
questo!».
Una risatina divertita annunciò l’arrivo del
lanciere, che comparve all’improvviso alle spalle dei tre ostentando il suo
solito sorrisetto.
«Ci rincontriamo, finalmente».
I due avversari si fissarono l’un l’altro,
poi la spada d’oro comparve tra le mani di Toshio.
«Aria, Lotte. Andate
ad aiutare gli altri.»
«Sei sicuro di voler combattere da solo?»
domandò Aria
«Io e lui abbiamo
ancora un conto in sospeso. Non temete, vi lascerà andare».
Le due ragazze, pur riluttanti, obbedirono
all’ordine del loro padrone, e come gli era stato detto quando passarono
accanto a Atarus questi non fece alcun tentativo di
fermarle, lasciando che prendessero la porta lasciandoli soli.
«La prima volta sei stato
fortunato.» disse il lanciere mettendosi in posizione «Ma non sperare di essere
ancora così fortunato.»
«La fortuna non c’entra.»
«Questa volta… morirai!».
Atarus partì all’attacco,
ma Toshio riuscì facilmente a respingere. Dopo qualche altro scambio,
però, venne alla luce il reale motivo per il quale
Atarus aveva cercato il combattimento in un posto simile: il vagone, anche se
spazioso, era comunque angusto, pieno di ostacoli, e muoversi era difficile.
Lo stile di combattimento dei McLoan prevedeva di tenere il nemico a distanza,
costringendolo ad interminabili quanto sfiancanti
assalti per poi rispondere con un affondo letale al momento più opportuno, e la
combinazione tra la versatilità della lancia di Atarus e lo spazio angusto del
terreno di scontro sembrava far pendere l’ago della bilancia decisamente in
favore del lanciere.
Toshio cercò più volte di eludere la sua difesa, ma ogni che provava ad avvicinarsi la difficoltà nei
movimenti e la risposta pronta di Atarus lo ricacciavano sempre indietro, e più
passava il tempo più la stanchezza aumentava.
Dopo essere stato respinto per la terza volta
il ragazzo si ritrovò inginocchiato a terra con un
grosso livido sul fianco sinistro. McLoan lo guardò
sprezzante.
«Non puoi sfuggire alla mia lancia in questo
spazio ristretto».
Toshio però, come al
solito, non sembrava intenzionato a gettare la spugna, e rimessosi in piedi
ingaggiò un nuovo scontro di forza; Atarus dal canto suo era pronto a
rispondere ad ogni affondo, ma ad un tratto, cercando di far mulinare la sua
lancia per respingere un fendente, l’estremità di quest’ultima andò a sbattere
violentemente contro una poltrona, rimanendo incastrata per un millesimo di
secondo, un tempo più che sufficiente per Toshio per infliggere al nemico un
colpo che solo grazie alla prontezza di riflessi di Atarus non risultò fatale.
Per la prima volta in vita sua il lanciere venne ferito; era poco più di un graffio alla spalla, ma era
niente in confronto allo squarcio sul suo orgoglio di guerriero perfetto, e
quando rialzò lo sguardo i suoi occhi erano iniettati di rabbia.
«E tu non puoi maneggiarla agilmente per lo
stesso motivo.»
«Bastardo!» urlò gettandosi nuovamente alla
carica.
Nel frattempo Keita e gli altri
erano tornati indietro fino al vagone ristorante incontrando una resistenza
minima della quale Shinji e Takeru si erano occupati senza troppi problemi.
Dopo aver chiuso a chiave la porta da cui
erano entrati i ragazzi si misero a cercare un modo
per uscire da quella pericolosa situazione; il primo impulso fu di tirare il
freno di emergenza, ma per quanto Keita ci provasse il treno non voleva saperne
di fermarsi.
«È inutile, non funziona!»
«Devono averlo manomesso per impedirci di
scendere.» disse Nadeshiko «Dobbiamo trovare un’altra soluzione.»
«E sarà meglio trovarla in fretta.» disse
Shinji, affacciato dal finestrino, con voce insolitamente da funerale «Perché
non credo ci resti molto tempo».
I suoi compagni, spaventati, si sporsero a
loro volta; in lontananza, ad una distanza di circa
trenta chilometri, c’era un ponte sospeso che viaggiava sopra un altissimo
dirupo, e malgrado la distanza si vedeva perfettamente che era crollato.
«Maledizione!» disse Keita «Quel ponte è
stato distrutto!»
«Quanto tempo ci resta prima di arrivare
laggiù?» domandò Nadeshiko
«A questa velocità, non più di dieci minuti.»
disse Takeru
«Dobbiamo trovare il
modo per fermare questo treno. Queste persone sono innocenti, non possiamo permettere
che vengano uccisi.»
«Ma come possiamo fare?» chiese Keita «Il
freno di emergenza è rotto.»
«Questo è un treno di ultima generazione.»
disse Shinji, che nutriva da sempre una grande passione per la meccanica e i
computer «Deve essere dotato di un sistema computerizzato per il controllo dei
freni che corre su una linea indipendente.»
«È possibile azionarlo?»
domandò Takeru
«Solo dalla cabina di comando.»
«E allora andiamoci.» rispose Keita «Ogni
secondo che perdiamo a discutere è un secondo perso».
D’un tratto dalla porta lì accanto, che
immetteva nello stanzino interno al vagone che fungeva da seconda cucina,
uscirono altri due zombi, armati ognuno di un grosso coltellaccio, e
avventatisi sui ragazzi li separarono: Shinji e
Nadeshiko da una parte, Keita e Takeru dall’altra. Contemporaneamente, dalla
porta da cui Nadeshiko e gli altri erano entrati
cominciarono a giungere rumori preoccupanti, chiaro segno dell’arrivo imminente
di altri potenziali nemici.
«A questi ci pensiamo noi!» disse Takeru «Voi
raggiungete la cabina di comando!»
«Siete sicuri di potercela fare da soli?»
chiese Shinji
«Non ha importanza,
comunque vada non c’è tempo da perdere! Fermate questo maledetto treno!».
Shinji e Nadeshiko non ebbero altra scelta
che fare come gli veniva detto, e presa la porta sul
lato opposto lasciarono il ristorante dirigendosi verso la cabina di guida,
situata solo due vagoni più avanti.
I due zombi armati cercarono di corrergli
dietro, ma Takeru non gliene diede il tempo, colpendoli alla nuca con la spada,
rimasta nel fodero, e lasciandoli privi di sensi. Dopo pochi istanti però
l’ingresso venne sfondato e numerosi altri nemici
fecero irruzione nel vagone; il kendoka si mise
subito in difesa del suo compagno, e a dargli manforte arrivarono anche Aria e
Lotte.
Keita, come l’ultima volta, avrebbe voluto
fare la sua parte, ma proprio come accaduto all’arrivo dei servitori di Seth
non riusciva a invocare né la sua magia né la spada, per quanto disperatamente
cercasse di concentrarsi.
«Perché?» diceva a sé
stesso, mentre attorno a lui infuriava la battaglia «Perché non riesco a usare
la mia magia?».
Intanto, due vagoni più indietro, lo scontro
fra Toshio e Atarus proseguiva senza esclusione di colpi; ora che aveva capito
il punto debole nella strategia del suo avversario, Toshio costringeva Atarus a
manovrare la sua lancia in continuazione, e ogni volta che questa andava ad incastrarsi in uno dei numerosi ostacoli lui puntualmente
rispondeva con un affondo, e anche se solo in un paio di occasioni era riuscito
a colpirlo era chiaro che il lanciere non sarebbe durato a lungo in quelle
condizioni.
«Sembra proprio che il tuo brillante piano ti
si sia rivoltato contro.» disse Toshio imitando il tono sarcastico del suo
nemico.
Atarus dal canto suo stava perdendo le
staffe, e non vedeva l’ora di tappargli la bocca; nell’assalto successivo il
lanciere, cercando di respingere un assalto, incastrò accidentalmente la lancia
sotto il bracciolo di una poltrona, e immediatamente Toshio ne approfittò,
spiccando un salto e cercando di colpirlo dall’alto.
«Sei mio!»
«Non è ancora finita!» urlò Atarus, che con
un urlo liberatorio sollevò violentemente l’arma, sradicando la poltrona da
terra e colpendo il ragazzo in pieno petto con l’asta della lancia.
Per Toshio fu come venire
colpito da una cannonata, e venne letteralmente sparato via, sfondando con la
schiena il soffitto e ritrovandosi sul tetto del treno in corsa, dove Atarus lo
raggiunse pochi secondi dopo. Prima ancora di trovare la forza di mettersi in
piedi Toshio cominciò a sputare sangue.
«A quanto pare la situazione si è capovolta
di nuovo.» disse Atarus facendo girare la sua lancia a grande velocità, anche
controvento «Quassù io posso muovermi come voglio, e tu invece non puoi
fuggire.»
“Ma… maledizione.”
pensò Toshio rimettendosi faticosamente in piedi “Ha ragione lui. E adesso che cosa m’invento?”.
Nello stesso momento, Shinji e Nadeshiko
erano quasi arrivati nel vagone di testa, da dove avrebbero potuto fermare il
treno, e visto che esso, a causa della presenza dei
numerosi sistemi informatici e meccanici necessari per far muovere quel veicolo
avveniristico, non era un vagone adibito al trasporto passeggeri, quindi non
avrebbero neanche dovuto preoccuparsi di coinvolgere eventuali innocenti nel
piano che avevano in mente di realizzare. Inoltre, come ulteriore
assicurazione, Shinji era riuscito, tramite una delle postazioni di controllo
riservate al personale, ad attivare i portelli che chiudevano le scale a
chiocciola disseminate su tutto il treno, impedendo così ai nemici che
intasavano la classe economica, sicuramente molto maggiori delle poche decine
presenti in prima classe, di salire.
«Ci siamo quasi.» disse il ragazzo avvicinandosi
alla porta che immetteva nella carrozza di testa.
A differenza degli altri vagoni, collegati
l’uno all’altro da dei tunnel elastici, la carrozza di testa era completamente
separata dal resto del treno, fatta eccezione per l’aggancio magnetico;
anch’essa inoltre era suddivisa in due livelli, e mentre quello basso,
corrispondente alla classe economica degli altri vagoni, era occupato dalle
apparecchiature, quello alto si componeva di un unico, lungo corridoio che
conduceva direttamente alla sala comandi.
«Speriamo solo che funzioni.» disse Nadeshiko.
Di colpo una donna distesa lì accanto, precedentemente stesa da Shinji e apparentemente priva di
sensi, si riprese, afferrando violentemente la gamba del ragazzo e buttandolo a
terra; la caduta fu molto brutta, e a causa della forte stretta la caviglia si
piegò in una posa innaturale, emettendo un preoccupante rumore sordo; Shinji
digrignò i denti per il dolore, e prima che la situazione potesse degenerare
colpì la donna al collo con la gamba libera, spedendola definitivamente nel
mondo dei sogni.
«Shinji! Stai bene?»
«Sì… sta tranquilla».
La sua affermazione fu smentita quando,
cercando di appoggiare a terra il piede sinistro, a stento riuscì a trattenere
i gemiti di dolore.
«Shinji!» disse Nadeshiko facendolo
appoggiare su di sé
«N… non è niente. Va’… va’ tutto bene.»
«Non va’ bene per
niente. Hai la caviglia slogata.»
«Ora non il momento
di pensarci. Non ci rimane molto tempo. Andiamo».
Con molta fatica, facendo attenzione e
sorreggendosi l’un l’altro, i due ragazzi saltarono il vuoto sotto i loro piedi
ed entrarono finalmente nella carrozza di testa, ma una brutta sorpresa li
attendeva in cabina di comando. Appena entrarono infatti
si accorsero, con loro grande sconcerto, che la postazione di controllo
principale era stata fracassata, e sprizzava fumo e scintille da ogni anfratto.
«Dannazione!» gridò Shinji «Non possiamo
fermare il treno senza quel computer!».
Nadeshiko, all’affannosa ricerca di una
soluzione, cominciò a guardarsi vorticosamente attorno, scoprendo alla propria
sinistra un monitor con touchsistem
ancora intatto.
«Ehi, puoi fare qualcosa con questo?»
«Non lo so, ora vediamo».
Shinji raggiunse il computer, cominciando a
lavorarci, e dopo poco un’espressione di esultanza gli comparve sul viso.
«Sì! Questo è il sistema
che controlla gli agganci dei vagoni!»
«Potrebbe esserci utile?»
«Non capisci,
possiamo staccare la locomotiva! Il resto del treno dovrebbe avere a
disposizione lo spazio sufficiente per rallentare e fermarsi!»
«Dici sul serio!?»
«Sì, credo sia fattibile».
L’euforia di Shinji venne però spenta nel
momento in cui Nadeshiko pose una giusta domanda.
«Ma noi come faremo
a scendere?»
«Per questo non c’è
problema. Il gancio impiegherà qualche secondo a staccarsi, e il rallentamento
del resto del treno sarà graduale. Se corriamo, dovremmo farcela senza problemi».
In quel momento Shinji poggiò
inavvertitamente il piede a terra, e una smorfia dolorante gli si dipinse sul
viso.
«Shinji, tu non puoi correre con la caviglia
in quelle condizioni.»
«Non… non
preoccuparti. Ce la posso fare».
La ragazza però non era chiaramente convinta
delle parole del suo amico, e quindi, sfoggiando uno sguardo più deciso che
mai, prese la propria decisione.
«Lo faccio io».
Shinji la guardò ad
occhi sbarrati.
«Nadeshiko, ma
cosa…»
«Tu dimmi cosa devo
fare, poi raggiungi la prima carrozza. Io resto, aziono
il distacco e ti raggiungo prima che la locomotiva si allontani troppo.»
«Ti rendi conto di
quello che stai dicendo? È troppo pericoloso. Se qualcosa dovesse andare
storto…»
«Comunque vada tu
non potresti correre nello stato in cui ti trovi. Questa è l’unica soluzione
per salvare entrambi.»
«Ma… ma io…».
Nadeshiko mostrò un sorriso gentile e
rassicurante.
«Tu e Keita mi avete sempre protetta in tutti questi anni. È giunto per me il momento di
ricambiare il favore».
Shinji era visibilmente poco sicuro di stare
facendo la cosa giusta, ma alla fine decise di dare fiducia alla sua amica e
prese a preparare tutto in modo da dover destinare a lei solo il tocco finale.
Il lavoro durò meno di un minuto, e intanto il baratro si faceva sempre più
vicino.
«Ecco fatto.
Tutto quello che dovrai fare
è pigiare il dito su questo led luminoso, e la locomotiva si staccherà.»
«Quanto tempo avrò per tornare indietro?»
«Il distacco avverrà
in non più di tre secondi. Oltretutto siamo leggermente in salita, quindi il
resto del treno comincerà subito ad allontanarsi. Direi sui sette secondi.»
«D’accordo».
Il ragazzo lo guardò in modo severo e
determinato.
«Nadeshiko, puoi ancora ripensarci.»
«Non devi
preoccuparti. Te lo ricordi vero? Ho vinto il campionato studentesco di salto
in lungo per due anni consecutivi. Questo salto non sarà un problema.»
«Sei più testarda di Keita.» disse Shinji
sospirando rassegnato «D’accordo. Aspetta il mio
segnale».
Shinji uscì dunque dalla cabina, badando bene
di lasciare la porta aperta, e zoppicando il più velocemente possibile
raggiunse la prima carrozza, affacciandosi dall’ingresso; malgrado
la distanza, i due potevano ancora vedersi.
«Sei pronta?» gridò
«Pronta!»
«Ok! Conto fino a
tre!
Uno…
Due… Tre!».
Prima ancora che la parola tre
fosse pronunciata per intero Nadeshiko toccò il monitor, e come il led si
illuminò cominciò a correre il più veloce possibile in direzione dell’uscita.
Contemporaneamente, il gancio che legava la
locomotiva al resto del treno si staccò, e i vagoni, benché ancora spinti dalla
forza d’inerzia, cominciarono ad allontanarsi, molto più velocemente di quanto
Shinji avesse previsto.
«Presto Nadeshiko! Presto!».
La ragazza corse, corse a più non posso,
mentre vedeva il suo amico allontanarsi sempre più; i secondi parevano secoli,
e quel lungo corridoio sembrava non finire mai. Nadeshiko, come faceva sempre,
correva a testa bassa, poi, rialzato lo sguardo, vide Shinji completamente
proteso dalla cabina, col braccio disteso verso di lei; c’erano già più di tre
metri a dividerli, e la ragazza, con la poca consapevolezza che il momento le
aveva lasciato, sapeva che stavolta avrebbe dovuto superare sé
stessa.
«Forza! Salta!».
Come poggiò il piede sul bordo della carrozza
Nadeshiko saltò, un salto lungo e ben bilanciato, di sicuro il migliore che le
fosse mai riuscito; vedendola così, coi capelli e i
vestiti che ondeggiavano furiosamente, mossi dal vento, Shinji ebbe
l’impressione di vedere un angelo di fronte a sé, e lottando col dolore si
sporse il più possibile per prenderle la mano.
Alla fine il salto risultò
anche troppo lungo, e Nadeshiko per poco non andò a sbattere contro il tetto,
ma riuscì ad evitare la brutta esperienza aggrappandosi all’ultimo ad una
maniglia d’acciaio, usata probabilmente dai tecnici della manutenzione per
facilitarsi la salita.
«Nadeshiko!» disse Shinji vedendo le gambe
dell’amica che penzolavano da sopra l’ingresso «Tutto bene?»
«Sì, tranquillo! Sto
bene!»
«Lasciati andare, ti prendo io!».
La ragazza fece quasi per ubbidire, quando,
alzando casualmente gli occhi, si accorse della presenza di Atarus e Toshio che
si battevano furiosamente l’un l’altro pochi vagoni più in là.
“Toshio!”
«Nadeshiko, che
aspetti? Lasciati andare!».
Lei però, invece che fare come le veniva detto, cominciò a fare forza sulle braccia per poter
salire a sua volta.
«Che stai facendo?»
«Devo… devo fare
qualcosa! Devo aiutarlo!»
«Aiutare chi?
Aspetta!» ma ormai era troppo tardi.
L’unione tra il vento contrario
e la pendenza contribuì a facilitare il rallentamento del treno, che fatte
poche centinaia di metri si fermò quasi completamente. La locomotiva invece,
veloce come non mai, raggiunse in meno di un minuto il ponte crollato,
precipitando nel baratro e fracassandosi come un guscio d’uovo contro sul
torrente sottostante prima di esplodere.
Atarus, che ancora combatteva, accolse con un
misto di sarcasmo e perplessità il fallimento del suo piano.
«Quei mocciosi sono più in gamba di quanto
immaginassi».
Anche Toshio era sorpreso, ma per il motivo
opposto, e forse a causa della sua situazione non esattamente favorevole non
aveva nessuna voglia di esultare; dopo che il combattimento si era spostato sul
tetto del treno Atarus era sempre stato in vantaggio,
e anche se ormai Toshio aveva memorizzato alla perfezione il suo stile di
combattimento rimaneva comunque un avversario pericoloso.
«Toshio, non
volermene male, ma ho bisogno di chiudere l’incontro con te il più velocemente
possibile. Non vorrei mai che quei ragazzi mi scappassero ancora di mano».
Il lanciere si mise quindi nella posizione
che preannunciava l’arrivo della sua tecnica più
potente, Stormbringer.
«Non sperare che te la darò vinta così
facilmente.» rispose Toshio mettendosi sulla difensiva
«Mi piace il tuo
temperamento. Ma puoi star certo che questa volta non
sbaglierò mira».
Nello stesso momento, all’interno del vagone
ristorante, Takeru, Aria e Lotte avevano fatto
completamente piazza pulita.
«Nice job!» esclamò
Lotte facendo il segno della vittoria «È stato anche più facile del previsto.»
«Keita.» domandò Takeru «Va’
tutto bene?».
Il ragazzino però aveva il morale sotto i
piedi e rimase a lungo come spaesato prima di rispondere di sì; il senso di inutilità che lo aveva tormentato dopo l’arrivo dei
soldati di Seth era ritornato, e stavolta faceva un male ancora maggiore.
Perché Takeru e Shinji riuscivano a evocare
il loro circolo magico senza problemi e lui no? Certo, anche la loro magia era
rudimentale e inesperta, se paragonata a quella dei partecipanti al torneo, ma
se non altro potevano farvi ricorso quando volevano.
In quella la porta da cui i loro amici erano
usciti alcuni minuti prima si riaprì ed entrò Shinji; si reggeva ad un bastone, sottratto probabilmente a qualche zombi
svenuto, e sembrava terribilmente agitato.
«Bel lavoro.» disse Lotte «Ce
l’avete fatta.»
«Non c’è tempo per
questo! Nadeshiko è sul tetto del treno!»
«Che cosa!?» esclamò
Takeru.
Senza riflettere Keita si buttò sul
finestrino più vicino, e prima che qualcuno potesse fermarlo lui
era già salito sul tetto; Atarus e Toshio erano un paio di carrozze più avanti,
uno di fronte all’altro, Nadeshiko invece era poco più indietro, e Keita capì
il motivo del terrore dipinto sul viso dell’amica guardando verso Atarus.
«Sta per lanciare lo Stormbringer!».
Toshio dal canto suo era pronto a ricevere il
colpo, e in sé era consapevole che respingerlo sarebbe stato difficile, se non
impossibile, ma anche la ritirata non era un’opzione,
perché dare la schiena a un lanciere voleva dire suicidarsi.
«Il tuo cuore è mio!».
Nel momento in cui Atarus saltò per eseguire
il suo attacco Nadeshiko avvertì una sensazione terribile, come se quel colpo
fosse diretto contro di lei; contemporaneamente, lava fusa sembrò scorrerle
nelle vene.
«Lascialo stare!» urlò con tutta la voce che
aveva.
Il suo corpo si circondò improvvisamente di
una fortissima voce rosata, e il suo circolo magico, grande come non mai,
comparve sotto di lei.
Toshio alzò la spada nel tentativo di parare,
ma un istante prima che la lancia si abbattesse su di lui
una grande cupola di luce lo circondò interamente, fermando il colpo con la
forza di un muro d’acciaio.
«Ma cosa…» disse attonito Atarus «Una
barriera!?».
Purtroppo per Atarus non si trattava di una
semplice barriera, bensì di una barriera rifrangente, e la forza che il
lanciere aveva messo sul suo Stormbringer gli si
rivoltò contro sottoforma di una poderosa scarica di fulmini che dopo avergli fatto un male indicibile lo sparò in aria come un fuscello.
Roteando su sé
stesso riuscì a ritornare in assetto, ma atterrato in ginocchio sul tetto del
treno dovette puntellarsi alla lancia per non stramazzare.
Subito dopo il cerchio di Nadeshiko e la luce
che la circondava scomparvero velocemente, lasciando alla ragazza una tremenda
sensazione di stanchezza. Solo allora Toshio riprese coscienza di sé dopo quello che aveva visto, ma pur desiderando andare da lei per
aiutarla a stare in piedi non ne era in grado, e questo perché la cupola che lo
aveva protetto era ancora lì.
Provò a infrangerla, ma era più resistente di qualunque incantesimo protettivo gli fosse mai capitato
di vedere; le molecole magiche presenti nell’atmosfera, usate dagli stregoni
per incantesimi di quel tipo, erano state combinate alla perfezione, e legate
tra di loro da un’energia che piuttosto che esaurirsi pareva guadagnare forza
con il passare del tempo.
«Nadeshiko!» gridò battendo i pugni su quello
scudo, che aveva la consistenza e la durezza del diamante «Sciogli questa
barriera!»
«Non… non posso.» rispose lei mezza
addormentata «Non so come fare…».
Anche Atarus era completamente senza parole,
e guardava la ragazza con un misto di paura ed eccitazione.
“Mai vista una magia simile. Il suo circolo magico doveva avere come minimo una potenza doppia
rispetto a quella che ho avvertito solo pochi giorni fa”.
Il pensiero di poter mettere le mani su un
potere di tale portata accese gli occhi del lanciere come quelli di un gatto, e
in quel vortice di eventi la fortuna aveva voluto comunque essere dalla sua
parte; Toshio era in trappola, imprigionato all’interno della stessa barriera
che lo aveva protetto, destinata comunque a cadere se chi l’aveva eretta fosse
morto, e Nadeshiko era ai suoi piedi quasi svenuta, pronta per essere uccisa.
Senza pensarci Atarus lasciò
perdere Toshio e spiccò un salto così lungo da arrivare subito a
sovrastare Nadeshiko.
«Attenta!» gridò Toshio.
La ragazza, con la forza della disperazione,
riuscì a spostarsi di lato e ad evitare il colpo di
lancia, perdendo però l’equilibrio e scivolando giù dal tetto; il treno correva
in quel tratto su di un terrapieno artificiale, e un volo den genere forse, grazie
all’erba sottostante, non sarebbe risultato mortale, ma sicuramente avrebbe
spezzato qualche osso.
Vedendola cadere, Keita si sentì del tutto
impotente, e quel senso di impotenza accese in lui un
misto di rabbia e frustrazione.
«Nadeshiko!».
Voleva fare qualcosa, lo voleva
con tutte le sue forze; mai come in quel momento voleva poterlo fare.
Il suo cerchio comparve per una frazione di
secondo, e come quello di Nadeshiko dall’ultima volta aveva più che raddoppiato
le sue dimensioni, il ragazzo fu circondato di luce e subito dopo scattò in
avanti veloce come un proiettile, planando in aria e intercettando Nadeshiko a
mezz’aria per poi rotolare sull’erba.
Appena entrambi furono al sicuro la luce
attorno a Keita svanì, e lui, con la ragazza tra le braccia, la guardò in volto
per accertarsi che non si fosse fatta niente; aveva gli occhi stanchi e
l’espressione assonnata, ma per il resto sembrava stare bene.
«Nadeshiko.»
«Ke… keita…»
«Stai bene?»
«Sì. È… tutto a
posto.»
«Tranquilla, è tutto finito».
Lei, sorridendo, chiuse gli occhi.
«Grazie… Keita…».
Come si addormentò la barriera che circondava
Toshio scomparve, liberando il ragazzo, che subito si
portò davanti ad Atarus per vanificare sul nascere un suo tentativo di
attaccare i ragazzi.
Atarus però, dopo aver preso in pieno la forza del suo stesso colpo, era decisamente troppo
debilitato per poter proseguire il combattimento; quindi, anche se ridondante
di rabbia, dovette ammettere che l’unica cosa da fare era abbandonare il campo.
«Ti garantisco che non finisce qui.» disse
prima di venire inghiottito da un vortice di quelle
piume nere, scomparendo assieme a loro nel cielo estivo.
Appena se ne fu
andato gli zombi che ancora infestavano il treno caddero a terra svenuti, le
piume che li ricoprivano bruciarono senza ferirli e dopo poco, tornati in sé,
cominciarono a riprendersi.
Takeru, Shinji e le due gemelle uscirono
dalla carrozza correndo incontro a Keita, che tenendo Nadeshiko addormentata
tra le braccia cercava di risalire il terrapieno.
Toshio li osservava dal tetto, attonito e
senza parole.
«Quei due ragazzi hanno un potenziale
incredibile.» disse tra sé e sé facendo scomparire la sua spada «Forse Tadaki aveva ragione. Con loro, questo mondo avrà
sicuramente una speranza in più».
Nota dell’Autore
Eccomi qua!
Ci è voluto qualche giorno, ma come
potete vedere questo capitolo si è rivelato eccezionalmente lungo, tanto che ho
dovuto interrompere la narrazione prima del previsto.
Il capitolo in
questione è fino ad una uno di quelli che mi soddisfa
maggiormente, e una volta tanto mi sento soddisfatto del mio lavoro.
Ringrazio i miei
recensori, Selly,
Cleo, Levsky e Akita
Più passavano i giorni, più
Franziska cominciava a sentirsi sempre più a disagio chiusa nel castello di
famiglia.
I generali di Seth avevano per lei lo stesso
rispetto che avevano verso Johan, si facevano da parte al suo passaggio e la chiamavano
Franziska-sama, ma nonostante ciò lei non poteva fare a meno di averne paura.
Che dire poi del suo adorato fratello, quello
che aveva visto così di rado negli ultimi anni, e con il quale aveva sognato di
poter trascorrere una splendida vacanza che avrebbe ripagato il tempo infinito
che erano stati costretti a trascorrere lontani l’uno dall’altra.
Johan, da che era divenuto Seth, passava la
quasi totalità del suo tempo nella sala da ballo, trasformata in una sorta di
sala del trono, impegnato in lunghe discussioni coi suoi generali che
spaziavano dalle strategie da adottare contro il nemico ai racconti dei tempi
antichi, quando gli dèi camminavano sulla Terra e gli umani erano i loro servi.
Pur continuando a comportarsi, almeno in
parte, come il ragazzo di sempre, alternando il resto della giornata tra lo
studio, i pasti e le passeggiate nel bosco, Franziska faticava sempre di più a
riconoscere nel ragazzo che le stava di fronte suo fratello Johan.
L’unica persona che considerava ancora vicino
a sé in quel castello popolato di estranei era il vecchio Wei, lo stesso Wei
che poco tempo prima le aveva impedito di fare qualcosa per evitare il
risveglio di Seth nell’animo di Johan, sostenendo che si trattava di un evento
inevitabile.
Un pomeriggio, come da prassi, Wei era andato
in camera della ragazza a portarle il tè, e mentre lui preparava il necessario
sul tavolino lei rimaneva seduta alla sua solita poltrona con Il Rosso e Il
Nero appoggiato sulle ginocchia e l’aria estremamente preoccupata.
Per quanto cercasse di evitarlo, l’occhio le
cadeva sempre su una delle foto appoggiate sulla grande cassettiera accanto
alla finestra; scattata pochi mesi prima della porte del padre ritraeva i due
fratelli al termine di una delle loro gite a cavallo, ed era forse l’unica
fotografia in cui si vedeva Johan sorridere.
«Perché è successo, Wei?».
Il maggiordomo non si voltò, e per un attimo
interruppe il suo lavoro.
«L’eredità della famiglia Von Karma viene
tramandata di padre in figlio. Nel momento in cui è venuto al mondo, il
signorino è diventato depositario del potere che fino a quel momento aveva
vissuto all’interno di suo padre.»
«Ovvero Seth?»
«Per quanto ne sappiamo, la sua famiglia ha
goduto dei favori di Seth fin dal giorno in cui venne fondata. Il suo spirito
ha accompagnato tutti i capifamiglia che si sono succeduti nel corso dei
secoli, e ora vive dentro il signorino Johan.»
«Ma come mai si è risvegliato solo adesso?»
«Il potere di Seth è limitato dal fatto
dell’avere la propria anima divisa in due parti. Una di esse risiede
perennemente nel corpo dei baroni Von Karma, l’altra invece fu rinchiusa molto
tempo fa in una dimensione parallela creata appositamente per imprigionarlo.
Tuttavia, più o meno ogni duecento anni, i nostri due mondi entrano in
contatto, e l’anima di Seth si ricompone all’interno del corpo che ospita la
sua metà terrestre.
La sua venuta coincide con l’inizio di un
torneo segreto che si svolge qui in Europa, a cui prendono parte sette
guerrieri provenienti da altrettante tribù sparse per il mondo.
È una sorta di guerra sacra; da una parte c’è
Seth, dall’altra il vincitore del torneo, che gode della protezione degli dèi,
gli stessi che esiliarono il dio all’alba dei tempi.»
«Ma perché noi Von Karma?»
«La dinastia dei Von Karma custodisce più
segreti di quanti Lei possa immaginare.
Gli esseri umani, come forse avrà capito,
possono usare la magia, ma sono davvero pochi coloro che possiedono al proprio
interno un potere magico in grado di fare la differenza.
Prima di diventare i padroni dell’Europa i
Von Karma erano degli stregoni, e molto potenti. Se l’anima di Seth si fosse
incarnata in un comune essere umano il suo corpo non sarebbe stato in grado di
sopportarne l’essenza, ma la grande energia che scorre nelle vene dei Von Karma
poteva costituire il mezzo ideale per contenerla.
Per questo, il capostipite della dinastia
strinse un patto con Seth, offrendogli il proprio corpo come dimora in cambio
della promessa di gloria e potere.»
«Allora quello che dicevano di noi era vero.»
disse Franziska con un certo disprezzo abbassando lo sguardo «Ci siamo davvero
venduti al diavolo.»
«Io credo sia una questione di punti di
vista.» replicò Wei voltandosi finalmente verso la ragazza
Lei lo guardò stranita.
«La definizione di giusto e sbagliato è
estremamente soggettiva, e dipende dai punti di vista dei singoli. Ciò che per
alcuni può essere giusto per altri è eresia, e alla fine a stabilire il confine
tra bene e male è chi si è dimostrato forte abbastanza per far trionfare le
proprie idee.
È vero che è stato accusato di malvagità ed è
stato esiliato, ma non è detto che gli ideali e i propositi di Seth no fossero
nobili; forse egli asseriva il vero quando sosteneva che questo mondo non
doveva essere ceduto agli esseri umani con tanta facilità.»
«Quindi tu appoggi le sue idee?»
«Io appoggio il signorino Johan. Malgrado in
lui si sia risvegliata l’anima di Seth, egli è ancora sé stesso, e sono
convinto che farà uso dei poteri di cui è entrato in possesso per realizzare
quello che è sempre stato il suo più grande sogno.
Il signorino aspirava a creare un mondo privo
di sofferenza, in cui vi fosse la libertà ma anche la consapevolezza di essere
parte di un equilibrio estremamente fragile. Sono convinto che lo voglia
ancora, e ora che ha attorno a sé i generali che un tempo lo hanno seguito ha
tutto ciò che gli serve per portare a termine la sua opera».
Seguì un lungo silenzio, poi gli occhi di
Franziska cominciarono a piangere lacrime di dolore.
«È stata colpa mia.
Ora capisco perché nostro padre voleva
tenerlo lontano dal castello. Se non avessi insistito tanto per farlo venire
qui a passare le vacanze nulla di tutto questo sarebbe mai accaduto».
Wei le si avvicinò, inginocchiandosi.
«Signorina. Mi creda, non è stata colpa sua.
Sarebbe accaduto in ogni caso. Che il signorino Johan fosse stato o meno al
castello, lo spirito di Seth si sarebbe comunque ridestato in lui, e tornato
qui avrebbe liberato il libro che i suoi antenati avevano rinchiuso in quel
simulacro».
Franziska, ancora piangente, si volse verso
di lui guardandolo con una certa sorpresa.
«Lei non ha fatto nulla, signorina. Non ha
niente per cui biasimarsi. Questo evento, come Le ho detto, era destinato a
succedere, e nulla avrebbe potuto impedirlo.
Ciò che dobbiamo fare adesso è avere fiducia
nel signorino.»
«Quindi tu… continuerai ad appoggiarlo?»
«Vostro padre mi ha incaricato di vegliare su
di lui, qualsiasi cosa fosse accaduta.
Da parte mia, io sono convinto che il
signorino continuerà a fare la cosa giusta, e fino a che non mi darà prova del
contrario io non smetterò di rimanergli accanto».
Conclusi i propri obblighi Wei lasciò la
stanza, ma appena fuori dalla stanza incontrò qualcuno, forse Anubis, e subito
si proferì in un reverenziale inchino; Franziska se ne accorse, girandosi in
quella direzione, poi, girandosi verso la porta ancora aperta, vide entrare
nientemeno che Johan, il quale chiese e ottenne dal maggiordomo di chiudere la
porta lasciandoli soli.
I due fratelli rimasero a lungo immobili a
guardarsi, e a differenza di come accadeva un tempo Franziska non avvertì alcun
desiderio di correre da lui, ma anzi aveva quasi paura a guardarlo in volto.
«Ti ho fatto qualcosa di male, sorella?»
domandò ad un certo punto Johan «Ho come l’impressione che tu ultimamente stia
cercando di evitarmi».
Lei si ritrasse, come spaventata, e fu il suo
sguardo a rispondere per lei.
«Franziska, non hai alcun motivo per aver
paura di me.
Sono sempre lo stesso Johan che tu hai
conosciuto. Semplicemente, una parte di me che fino ad ora era rimasta sopita
si è risvegliata, ma a parte questo non è cambiato nulla».
Il ragazzo a quel punto si avvicinò,
inginocchiandosi davanti a lei; Franziska avrebbe voluto volgere lo sguardo
altrove, ma ora che li aveva così vicini non riusciva a staccarsi da quegli
occhi, così simili a quelli che aveva visto per tanti anni, ma allo stesso
tempo così diversi.
«Io voglio creare un mondo migliore, sorella.
L’ho sempre voluto.
Io non sono cattivo.
Tutto quello che voglio è far capire agli
uomini che non possono continuare a fare quello che vogliono, incuranti del
grande dono che gli è stato concesso dal cielo. Per secoli e millenni gli
esseri umani sono andati avanti a sfruttare la Terra come se nulla fosse, e mai sazi di avidità
alla distruzione del mondo hanno unito la distruzione di sé stessi.
Lo sai vero, che dalla comparsa delle prime
civiltà non è trascorso un solo anno senza una guerra?
Quanto credi che questa Terra così fragile
possa ancora sopportare una simile condizione?
In molti sono andati dicendo che bisogna
cambiare le cose, ma gli umani sono troppo egoisti per privarsi dei loro
piaceri, e l’unico modo per farli vivere in armonia con il creato è imporgli
una diversa condotta di vita, finalizzata alla creazione piuttosto che alla
distruzione.»
«E tu… sarai l’artefice di tutto questo?»
«Non posso farcela da solo.
Combattere non avrebbe senso se non sapessi
che le persone a me più vicine mi danno il loro sostegno. Quindi, sorella, io ti
chiedo… ti fidi di me?».
Quegli occhi.
Per quanto ci provasse, Franziska non
riusciva a resistervi; avevano un effetto quasi ipnotico, e a guardarli bene vi
si potevano leggere, in un modo o nell’altro, le stesse emozioni che Johan
aveva sempre avuto. Avrebbe voluto controbattere, dire che non sapeva, ma non
ci riusciva, e non riusciva a non guardarli, e più passavano i secondi più si
sentiva rapita, incapace di reagire.
Era quello dunque il potere di Seth? Il
potere di spingere una persona a credere in lui a qualsiasi costo?
«Io… mi fido di te… fratello».
Johan accennò uno di quei sorrisi appena
percettibili che da sempre lo avevano caratterizzato, e questo se non altro
spinse Franziska ad auto-convincersi che quello di fronte a lui era ancora,
malgrado tutto, il suo adorato fratellino.
«Ti ringrazio. È importante per me sentirtelo
dire».
A quel punto il ragazzo, mentre Franziska
ancora seguitava a fissare il pavimento, uscì dalla stanza, e appena chiusosi
la porta alle spalle rimase un attimo appoggiato all’uscio con gli occhi
chiusi, poi distese leggermente il braccio destro.
Seguì una tenue luce rossa, e subito dopo in
mano gli comparve una spada di colore rosso ruggine molto grande, che doveva
pesare una decina di chili, ma che lui riusciva a sorreggere apparentemente
senza alcuna fatica.
L’impugnatura aveva una forma strana, somigliante
ad un grande drago che dispiegava le ali, ed al centro capeggiava una grossa
sfera color sangue simile ad un occhio aperto; la lama, di forma triangolare,
aveva una specie di cuneo all’altezza dell’elsa tondeggiante verso l’interno,
simile a quello delle antiche armi in bronzo usate dai greci.
Appena la spada si fu materializzata
completamente l’occhio brillò leggermente di rosso, e dal suo interno giunse
una voce robotica molto simile a quella che era uscita dal Libro dell’Oscurità.
«Freigabe Energie.»
«È bello riaverti al mio fianco.» disse Johan
guardando verso la sfera «Mi sei mancato, Naqada.»
«Danke».
Era servito più tempo del
previsto, ma alla fine, pur se con un gran ritardo sulla tabella di marcia,
Toshio e il resto del gruppo erano finalmente giunti in vista di Zurigo, casa
della leggendaria cacciatrice Izumi.
Toshio non l’aveva mai conosciuta, pur avendo
sentito parlare di lei molto spesso; nel suo campo, dove era conosciuta col
soprannome di Bloody Rose, era una vera leggenda, e in molti erano giunti da
lei per apprendere le arti della magia e del combattimento, ma era risaputo che
Izumi non dispensava a chiunque le sue conoscenze.
L’autobus sul quale lui e gli altri stavano
viaggiando, e che avevano preso dopo essersi lasciati alle spalle i resti del
treno su cui si era svolto lo scontro con Atarus, stava entrando nel centro
abitato in quel preciso momento; Zurigo era una città dalle mille
caratteristiche, né piccola né grande, caotica ma con molti luoghi in cui
trovare un’assoluta tranquillità; adagiata placidamente sul suo lago, e
percorsa in tutta la sua lunghezza dal fiume Limmat, regalava ai turisti scorci
di incredibile bellezza, e malgrado l’estate avanzata le cime tutto intorno
erano ancora bianche di neve.
«Che bella città.» disse Keita guardando dal
finestrino «Sembra uscita di una favola.»
«Ora capisco perché l’Europa affascina tanto
i giapponesi.» disse Shinji.
Dopo aver attraverso un po’ le affollate
strade cittadine l’autobus fece scendere i propri passeggeri nella
centralissima Bahnhofplatz,
proprio davanti alla stessa stazione ferroviaria che i ragazzi avrebbero
raggiunto se quello spiacevole incidente non avesse rovinato il loro viaggio in
treno.
«Molto bene.»
disse Shinji appena sceso «E adesso dove si va’?»
«Mi sembra ovvio,
dalla maestra Izumi.» rispose Keita, che da dopo lo scontro con Atarus aveva
più che triplicato il suo desiderio di raggiungere la misteriosa insegnante
«Ma tu sai almeno
dove abita?» domandò Takeru.
A quella domanda
Keita rispose con un’espressione imbarazzata e anche un po’ ebete.
«Ecco…»
«Il suo negozio si
trova qui vicino.» rispose Toshio «Al numero venticinque di Sonnestrasse.»
«Come lo sai?»
chiese Nadeshiko
«È il recapito
dove la cercano tutti coloro che vogliono incontrarla.»
«E allora
andiamo.» disse Shinji.
La camminata per
le vie di Zurigo si rivelò rilassante e persino divertente; lasciatisi alle
spalle Venezia, coi suoi canali e le sue calli strette, Keita e i suoi compagni
provarono un grande piacere a passeggiare per una città così simile in fondo
alla loro Uminari, con le sue strade larghe e i grandi viali pedonali
costeggiati da grandi vivai circolari che oltre a regalare stupendi spettacoli
floreali costituivano anche un ottimo posto in su cui sedersi per assaporare
una temperatura fresca e ristoratrice che nell’estate mediterranea era
praticamente un sogno.
Sonnestrasse, in
cui si trovava il negozio di Izumi, era una grande strada acciottolata piena di
vivai, fontane e panchine disposte ad uguale distanza, e come diceva il suo
stesso nome era costruita in modo da poter essere illuminata dal sole tutto il
giorno, lungo un’asse rettilinea che andava da est a ovest.
A destra e a
sinistra c’erano decine di negozi, alcuni dei quali avevano esposte all’esterno
stupende insegne di metallo battuto vecchie di secoli; le vetrine poi erano un
trionfo del bello, e vi si poteva vedere di tutto, dai dolci alle marionette,
dai trenini ai famosi orologi.
Dopo circa venti
minuti di camminata ininterrotta i cinque raggiunsero la loro destinazione, un
piccolo negozietto senza troppe pretese con una bella porta dipinta di verde e
due vetrine a cui erano esposte decine di orologi, tutti rigorosamente di
legno.
«Di certo non è
una persona a cui piace differenziarsi dalla folla.» sottolineò Lotte, che
assieme alla sorella seguiva il gruppo in forma di gatto «Un negozio di orologi
a Zurigo. Ce ne saranno una trentina solo in questa strada».
Entrarono, e
subito poterono sentire l’inconfondibile tic-tac degli orologi a pendolo. Oltre
a quelli c’erano un’infinità di altri modelli per tutti i gusti, dai classici
modelli da tavolo a stupendi cucù a forma di casetta da cui uscivano due buffi
personaggi coi tipici abiti di montagna.
Come al solito
Nadeshiko si lasciò immediatamente conquistare da oggetti tanto belli, i suoi
compagni invece, pur comprensibilmente colpiti da uno spettacolo tanto
singolare, davano ancora la precedenza al ritrovamento di Izumi, quindi
cominciarono a guardarsi attorno alla sua ricerca.
In quel momento
nel negozio c’erano anche altri clienti, una coppia di turisti, probabilmente
americani, intenta a farsi confezionare un pacco regalo dalla persona che stava
al bancone; Keita e gli altri si avvicinarono, incontrando il volto di una
giovane ragazza molto carina con capelli paglierini non eccessivamente lunghi,
di un taglio simile a quello di Nadeshiko, fatta eccezione per due lunghissime
frange ai lati del viso che coprivano le orecchie e occhi marroni; vestiva in
modo semplice, pulito, con una maglietta a maniche corte, una minigonna e un
paio di scarpe da donna.
Toshio avvertì
immediatamente un’emanazione particolare provenire da quella ragazza; si trattava
sicuramente di un famiglio, ma si domandava come facesse a celare la sua natura
animale rassomigliando in tutto e per tutto ad un essere umano.
Non appena i due
turisti se ne andarono i ragazzi si avvicinarono al bancone; la commessa li
guardò in modo quasi severo, scrutandoli da capo a piedi uno per uno.
«Benvenuti.» disse
con gentilezza di ghiaccio «Posso esservi utile?»
«Cerchiamo la
maestra Izumi.» rispose Toshio «Tu sei il suo famiglio, giusto?».
Quella lo guardò
in modo ancor più intimidatorio, ma il ragazzo non si scompose minimamente; era
abituato a vedersi piantare addosso delle occhiatacce.
Ad un certo punto
deviò la sua attenzione sui due gatti che accompagnavano la comitiva, e Lotte,
sapendo che non c’era motivo di nascondersi, le fece un sorrisetto dei suoi,
che mutò drasticamente non appena la ragazza se ne uscì con un commento poco
piacevole.
«Deboli.»
«Che cosa!?»
domandò lei spiazzata
«Siete deboli.»
«Tu, piccola…».
In un secondo
Lotte assunse la sua forma umana, e i ragazzi immediatamente si misero
sull’attenti; se qualcuno fosse entrato in quel momento nel negozio come
avrebbero spiegato la presenza di una ragazzina con orecchie e coda feline in
un momento dell’anno così distante da carnevale?
«Ripetilo se hai
il coraggio!»
«Lotte, sta
calma!» le disse la sorella, rimanendo però in forma animale «Sta solo cercando
di provocarti!»
«Siete costrette
ad assumere la forma animale per passare inosservate.»
«Che c’è, vuoi
attaccar briga per caso? Così vedremo chi delle due è la debole.»
«Non posso darle
torto!» disse d’improvviso una voce autoritaria.
Pochi istanti dopo
dalla porta che conduceva probabilmente nel retrobottega, coperta da una
tendina, uscì una giovane donna che Toshio identificò subito come la vera
Izumi, sia per il tatuaggio a forma di croce che portava sulla spalla destra
sia per l’atteggiamento reverenziale che la commessa tenne nei suoi confronti,
scostandosi rispettosamente per permetterle di passare.
Doveva avere tra i
trentacinque e i quarant’anni, e unendo il nome alla tonalità un po’ scura
della pelle si capiva che doveva essere originaria dell’arcipelago di Okinawa,
ma almeno per Toshio non era difficile immaginare come mai una donna giapponese
possedesse un’attività in Svizzera.
I capelli, di un
nero un po’ opaco, lo stesso colore degli occhi, erano raccolti in grandi
trecce, alcune delle quali ricadevano sulla fronte, ma la maggior parte erano
raccolte da un elastico dietro la nuca e formavano una coda di cavallo.
Come il suo famiglio
vestiva in modo semplice, con un paio di pantaloni lunghi e leggeri marrone
scuro, una maglietta bianca leggera e un gilè corto a maniche lunghe aperto sul
davanti che arrivava a metà del busto. Al collo però portava un bellissimo
pendente triangolare che sembrava un rubino, e appena Nadeshiko vi pose gli
occhi sopra il suo ciondolo, di nuovo, brillò per qualche istante.
“Dunque è questa
la maestra Izumi.” pensò Keita.
La donna, come il
suo famiglio, fissò attentamente tutti i presenti, soffermandosi in particolare
su Toshio e i suoi famigli.
«Nagisa avrà un
modo di esprimersi tutto suo, ma quello che ha detto è vero.» disse
rivolgendosi a Lotte «Passare dalla forma animale a quella umana richiede tempo
e un certo dispendio di energie, e in casi di emergenza bisogna saper
rispondere ad una minaccia con estrema prontezza.
Un bravo famiglio
sa nascondersi anche rimanendo in forma umana».
In quella, a
testimonianza delle parole di Izumi, dai capelli di Nagisa emersero due grandi
orecchie feline dello stesso colore degli occhi, e da sotto la minigonna spuntò
l’estremità di una lunga coda.
«Incredibile.»
commentò Aria «Ha nascosto la sua natura alla perfezione.»
«Ovviamente» disse
Izumi guardando Toshio «L’inesperienza di un famiglio è dettata in larga misura
da quella del suo padrone».
Il ragazzo non
fece una piega, e a differenza di Lotte sembrò non voler raccogliere la
preoccupazione; la donna, dopo un attimo di silenzio, riprese a parlare.
«Tu devi essere
Toshio. Il figlio di Akunator.»
«Sono io.»
«Voi invece siete
i ragazzi che sono riusciti a eludere i poteri del Fuuzetzu.»
«Sì, esatto.»
rispose Nadeshiko
«Tadaki mi ha
avvertito del vostro arrivo. Seguitemi.
Nagisa, bada tu al
negozio.»
«Come desiderate,
Master».
Izumi si fece
seguire dai ragazzi nel retrobottega, un piccolo localino ben ordinato pieno
del materiale necessario alla realizzazione degli orologi, quindi aprì un’altra
porta situata sul fondo della stanza, oltre la quale comparve una scalinata
lunga e stretta che scendeva verso il basso, illuminata debolmente da alcune
luci al neon.
La discesa durò
parecchi minuti, e quando finalmente ebbe fine Toshio e gli altri si
ritrovarono di colpo in una stanza di enormi dimensioni, all’apparenza
completamente spoglia, ma che illuminatasi a giorno rivelò la presenza, al
centro, di una sorta di grande ring circolare alto una cinquantina di
centimetri e con un diametro di otto o dieci metri.
All’illuminazione
provvedevano diverse decine di lanterne magiche, delle fere di vetro
all’interno del quale era accumulato un grande potere spirituale che assumeva
la forma di una forte luce non appena il suo proprietario, in questo caso la
stessa Izumi, vi passava vicino.
«È questo il luogo
dell’addestramento?»
«Niente affatto.»
rispose Izumi «Questo è il luogo dove dovrete dimostrare di meritarlo,
l’addestramtento».
La donna salì
dunque sul ring, portandosi sul lato opposto all’ingresso, quindi si girò
nuovamente verso i ragazzi, guardandoli con aria di sfida.
«Ecco la prova.
Uno di voi a scelta si confronterà con me. Se il prescelto riuscirà a resistere
per cinque minuti, allora si potrà cominciare a parlare di addestramento, in
caso contrario ve ne ritornerete da dove siete venuti. Non perdo tempo coi
buoni a niente».
Keita e gli altri,
Toshio incluso, sembrarono cadere dalle nuvole: cinque minuti!
Se Izumi poteva
permettersi di proporre una sfida del genere, ostentando oltretutto una simile
sicurezza, doveva essere sicuramente dotata di capacità che andavano al di là
di chiunque, persino degli stessi partecipanti al torneo.
Del resto però, se
la consideravano una luminare nel campo della magia e delle arti del
combattimento, fosse a mani nude o all’arma bianca, un motivo doveva esserci; sarebbe
stata senza dubbio una delle sfide più difficili mai sostenute, e per chiunque
avesse accettato di salire su quel ring sarebbero stati i cinque minuti più
lunghi di tutta la vita.
I ragazzi presero
a guardarsi l’un l’altro perplessi, e sia Keita che Nadeshiko pensarono che
sicuramente l’unico in grado di superare una simile prova poteva essere solo
Toshio; improvvisamente, però, un’ombra passò sopra di loro, e una figura
dapprima senza nome si palesò sul terreno di scontro con una katana ben stretta
fra le mani.
«Takeru!?» esclamò
Shinji
«Lo faccio io.»
rispose lui senza distogliere lo sguardo da Izumi
«Che cosa!?»
«Aspetta, potrebbe
essere pericoloso!» disse Aria acquisendo forma umana «Lei è una guerriera di
professione.»
«Non ha
importanza. Questa sfida è mia».
Izumi lo guardò
con un misto di incredulità e interesse.
“Il tipo non si
tira indietro. Sarà una sfida interessante”.
A quel punto
l’insegnante schioccò le dita, e il ring venne immediatamente circondato da una
cupola protettiva.
«Molto bene.»
disse strappandosi via il pendente dal collo. «Quand’è così, possiamo
cominciare. Rose!»
«Release Power.»
disse una voce robotica proveniente da dentro il monile, che prese di colpo a
brillare di una luce fortissima, fino a trasformarsi in un lungo scettro nero
con all’estremità una sorta di becco ripiegato su sé stesso in posizione
verticale.
Il pendente, ora
trasformato in una sfera, era ancora visibile, incastonato all’interno di una
sorta di montatura che faceva da punto di contatto fra l’asta e il becco.
Toshio guardò
l’arma pieno di supore; aveva visto molte volte degli scettri magici, ma quella
era la prima volta che ne vedeva uno fatto in quel modo. Non sembrava né di
legno né di pietra, ma piuttosto di metallo, e trasudava potere magico da ogni
suo anfratto.
«Lascio a te il
conteggio, d’accordo? E tieniti pronta, perché ci divertiremo.»
«Allright».
Come se si fosse
trattato di un monitor, al centro del monile comparve un timer fermo sui cinque
minuti, e nell’istante in cui questo cominciò a scorrere all’indietro Izumi si
lanciò immediatamente all’attacco. Takeru si fece trovare pronto e parò il
colpo di scettro con la parte interna della katana, ma la pressione esercitata
dalla donna non assomigliava a nulla che il kendoka avesse mai sperimentato
sulla sua pelle, e per la prima volta dopo tanto tempo si sentì scricchiolare i
polsi.
Fallito il primo
assalto Izumi si ritirò, ma Takeru non volle concederle il tempo di riordinare
le idee e ricambiò il favore attaccando a sua volta; ne nacque un violento scontro
fisico in Takeru impegnò fin da subito ogni fibra del suo essere, e anche Izumi
dal canto suo fu sorpresa dal doversi veder costretta a far ricorso ad una
parte di quel suo leggendario talento.
Il ragazzo attaccò
senza tregua, dando prova della sua inarrivabile abilità.
«Mai visto nulla
di simile.» commentò Shinji «Ora capisco perché è così temuto nei tornei.»
«I suoi attacchi
sono velocissimi.» disse Keita «Non mi sorprende che abbia vinto il campionato
nazionale studentesco per tre anni consecutivi.»
«Ho sentito dire
che la famiglia di Takeru vanta un’antichissima tradizione militare.» disse
Nadeshiko «E che suo padre sia stato uno dei più grandi kendoka di tutti i
tempi».
Izumi si trovò ben
presto costretta sulla difensiva, ma alla fine riuscì a guadagnare qualche
istante di tregua quando anche Takeru, sfinito dai continui assalti, dovette
fermarsi per riprendere fiato.
“È davvero in
gamba. A questo punto credo proprio che dovrò essere più drastica.”
«Master.» disse in
quella il pendente «I’m ready to fight.»
«Molto bene, amica
mia. È il momento di darci dentro.»
«Order, please».
La maestra
sorrise, poi puntò lo scettro verso Takeru.
«Rose!
Halberd Mode!»
«Turning Mode!».
Il becco dell’asta si sollevò improvvisamente, e ruotando
su sé stesso attorno al punto di convergenza si direzionò verso l’alto,
rivelandosi cavo al suo interno. La sfera rossa brillò molto forte, poi lungo
tutta la superficie del becco si formò una lama di luce e l’asta si allungò
nella parte inferiore, trasformando lo scettro in una specie di alabarda.
«Halberd Mode.»
disse il monile.
Quello spettacolo
lasciò tutti con la bocca spalancata.
«Non credo ai miei
occhi.» disse Toshio «Ha trasformato lo scettro in un’arma da combattimento. Ma
cosa diavolo è quel pendente?»
«Ragazzo, ti
consiglio di prepararti, perché adesso la musica cambierà!».
Takeru, almeno
apparentemente, non si lasciò spaventare, ma non appena le loro armi si
scontrarono la pressione esercitata dalla maestra fu incredibilmente più forte
di prima, e dalla lama lucente della sua alabarda sprizzavano scintille che
bruciavano più del fuoco. In qualche modo il ragazzo riuscì a respingerla, ma
ora sapere quanto tempo mancasse allo scadere dei cinque minuti cominciava ad
importargli un po’ di più.
«Dovrai fare più
di così per riuscire a sconfiggermi!».
In pochi secondi
Takeru venne completamente messo sotto, e quella che era cominciata come una
serie ininterrotta di attacchi si trasformò in una resistenza disperata, che
pur risultando efficace faceva ribollire il sangue nelle vene ad uno come lui,
abituato ad orientarsi sempre e comunque all’attacco.
Il suo sconforto
era tale che la sua leggendaria difesa, alla fine, venne infranta, e Izumi
riuscì a ferirlo leggermente al fianco sinistro; per Takeru fu come venire
colpito da una lama rovente, quella parte di maglietta andò in cenere e la
ferita si cauterizzò quasi subito, lasciandogli però un dolore immenso che
quasi lo fece cadere in ginocchio.
«Takeru!» gridò
Nadeshiko
«Le cose non si
mettono bene.» disse Shinji «Finora quella donna ha solo scherzato, ora invece
sta facendo sul serio.»
«Ti sei stancato
troppo, con tutti quegli assalti.» disse Izumi «E ora ne paghi le conseguenze.»
«Non… non è ancora
finita.» rispose Takeru rimettendosi in posizione, e materializzando il proprio
circolo magico
“Niente male.”
pensò la donna “Ha un discreto controllo della sua magia.”
«Master. One
minute left.»
«Solo un minuto,
eh? Sfruttiamolo appieno».
Lo sguardo di
Takeru nel frattempo si era caricato di ardore come mai nella vita, e una
strana corrente d’aria aveva cominciato a girare lentamente tutto attorno a
lui. D’un tratto, la lama della sua spada venne avvolta da un vero e proprio
vortice di vento misto ad energia, che generatasi dal cerchio sottoforma di
pulviscolo si trasformò ben presto in un tornado.
Takeru non sapeva
bene quello che stava facendo; negli ultimi giorni si era allenato segretamente
per imparare a controllare la sua magia, e data la sua naturale affinità per il
combattimento l’impresa gli era riuscita piuttosto in fretta e anche abbastanza
spontanea, ma quello che gli stava succedendo in quel momento era senza un
perché; faceva ciò che sentiva dentro, niente di più.
Il vortice d’aria
attorno alla spada crebbe sempre di più, e Izumi, piuttosto che tentare di
reagire, rimaneva immobile ad osservare.
“Sta concentrando
tutto il suo potere sulla spada. Ha del talento questo ragazzo”.
Alla fine,
sentendo che era giunto il momento, Takeru si decise ad agire, abbassando
violentemente la katana e urlando le parole che gli venivano direttamente dal
cuore.
TENMA SHOURYUUSEN!
Un incredibile, poderoso vortice di energia si sprigionò
dalla spada, e la parte in cima, assunta la forma della testa di un drago,
puntò diritta verso Izumi, che la guardò interdetta.
Era così incredula
nel trovarsi di fronte ad una simile manifestazione di potere da dimenticarsi
di difendersi, ma per sua fortuna fu il suo monile a ricordarselo per lei.
«Diamond Wall!».
Tutto attorno alla
donna si materializzò una barriera che sembrava fatta di vetro, contro la quale
l’attacco di Takeru si scatenò in tutta la sua spaventosa potenza; poiché
quello scudo veniva generato direttamente dal suo potere spirituale Izumi
avvertì subito una dolorosa stretta al petto, e malgrado confidasse pienamente
nel suo incantesimo protettivo più efficace dopo qualche secondo, sulla parete,
cominciarono a comparire delle piccole crepe.
«Ma cosa…».
In realtà non si
trattava di un danno così rilevante, ma se a provocarlo era un novellino che
usava un attacco magico per la prima volta in vita sua allora la cosa
acquistava tutt’altro significato.
«È… è
incredibile.» disse Nadeshiko
«Come ci sarà
riuscito?» domandò Shinji cercando di proteggersi dalle raffiche di vento, che
travalicando la barriera attorno al ring colpivano in pieno lui e gli altri.
Comunque,
l’attacco di Takeru si esaurì prima di poter sortire un qualche effetto, e
subito dopo che il suo cerchio fu scomparso il ragazzo, privato di tutte le sue
energie, cadde in ginocchio, riuscendo però a mantenersi cosciente.
Si vedeva dai suoi
occhi che era chiaramente deluso dalle sue prestazioni, e la rabbia che provava
verso sé stesso non si poteva descrivere; Izumi, cessato il pericolo, uscì allo
scoperto, e contemporaneamente il suo monile si illuminò lievemente.
«Time over».
L’insegnante fissò
un momento il suo avversario, poi sembrò accigliarsi.
«Devo ammetterlo,
un po’ mi hai sorpreso. Se i tuoi amici sono come te, allora sarà interessante
vedere fin dove le vostre capacità vi potranno portare.»
«Sta dicendo…»
disse Keita «Che accetta di farci da insegnante?».
Izumi alzò lo
sguardo e fece un sorriso di complicità, quindi, ad un suo cenno, la barriera
attorno al ring si sciolse.
«Vedrò quello che
riuscirò a fare.»
«La ringraziamo
infinitamente.» disse Nadeshiko
Keita e gli altri,
ad eccezione di Toshio, salirono immediatamente sul terreno di scontro e si
avvicinarono a Takeru, che seguitava a rimanere in ginocchio sorreggendosi alla
sua spada.
«Takeru, va’ tutto
bene?» domandò Keita.
Lui, come al
solito, non rispose, e alzatosi in piedi ripose la katana nel fodero che aveva
lasciato da una parte, rimettendo velocemente il tutto nel fodero di tessuto.
«Sei stato
fantastico, un vero portento.» disse Shinji «Mai visto nulla di simile».
Takeru per un
attimo sembrò quasi smettere di respirare, e un attimo dopo si girò verso i
ragazzi, guardandoli malissimo.
«Che cosa c’è da
festeggiare?» domandò con voce di ghiaccio «Io ho perso».
Nota dell’Autore
Ecco fatto!
Con questo capitolo
posso dire con assoluta certezza che siamo giunti alla fine della prima parte
della storia.
Da questo momento in
poi sarà un susseguirsi di rivelazioni, battaglie e momenti incalzanti che si
protrarranno quasi senza sosta fino alla fine.
Ringrazio i miei
recensori, Akita, Selly, Levsky e Cleo
A esame finito Izumi, dopo aver
fatto scomparire il suo scettro e aver rindossato il pendente, tornato al suo
aspetto originario, contattò telepaticamente Nagisa,
che ancora attendeva di sopra nel negozio.
«Hanno superato la prova. Raggiungici al
castello dopo aver chiuso il negozio.»
«Sì, maester».
Detto questo
invitò Keita e gli altri, che attendevano in un angolo, a salire sul ring, e
solo camminandoci sopra Toshio si avvide del disegno riportato sul campo di
gara.
«Un pentacolo.»
disse sorpreso «L’avete realizzato voi?»
«Esatto.» rispose
l’insegnante
«Che cos’è un
pentacolo?» domandò Nadeshiko
«È una specie di
meccanismo di teletrasporto. Ce ne sono molti sparsi sulla Terra, e tracciando
un collegamento energetico tra due di questi è possibile sposarsi
istantaneamente tra uno e l’altro.»
«Aspettatevi un
certo mal di stomaco.» disse Izumi «La prima volta è
sempre un po’ sconvolgente».
Quando furono
tutti al centro del cerchio la maestra agitò un braccio, e istantaneamente i
disegni del cerchio si illuminarono, formando in pochi istanti un cilindro di
luce all’apparenza così alto da non poterne scorgere la fine.
Nadeshiko, un
attimo spaventata, istintivamente strinse la mano a Keita, la persona che le
stava più vicino in quel momento, e il ragazzo, al solo contatto, arrossì
vistosamente.
La sensazione fu
molto simile a quella che si provava salendo in ascensore, e come predetto da Izumi i ragazzi avvertirono un leggerò senso di nausea che
però scomparve nel giro di pochi secondi, e quando il cilindro di luce
scomparve tutti loro si ritrovarono in un luogo completamente diverso.
Se un attimo prima
erano in una specie di seminterrato ora si trovavano in una grande biblioteca
con scaffali e scaffali pieni di libri antichi, alcuni dei quali raggiungibili
solo da una balconata; il soffitto della stanza, di forma rettangolare, era
affrescato con scene mitologiche e con un bellissimo cielo. Il pavimento invece
era di puro legno, ed esattamente al centro vi era un altro pentacolo, identico
a quello che Keita e gli altri avevano visto nella stanza sotto il negozio.
«Eccoci arrivati.»
disse Izumi guardandosi intorno «Da oggi e per due
settimane, voi vivrete qui.»
«Ma dove ci
troviamo?» domandò Shinji.
Lui, Keita e
Nadeshiko si diressero dunque verso una delle tante finestre poste lungo una
delle due pareti lunghe della stanza, e come gettarono gli sguardi di fuori
rimasero con le bocche spalancate.
Oltre i vetri si
stagliava una splendida vallata, dominata quasi esclusivamente da vasti prati e
dove spuntavano qua e là piccoli avvallamenti non eccessivamente alti; lungo i
fianchi, dove il terreno si faceva un po’ più ripido, si concentravano fitte
foreste di pini e di abeti che salivano sempre più fino a quando al verde non
si sostituiva la roccia viva delle montagne, sulle cime delle quali dominava
ancora la neve.
Verso sud, quasi
al limitare della valle, c’era anche un grande lago, alimentato da un torrente
che arrivava da nord attraversando la distesa erbosa sul fondo di una gola, ma
del quale, almeno da quell’angolazione, non si poteva scorgere l’emissario.
Il punto di
osservazione da cui i ragazzi stavano osservando quel grandioso spettacolo era
un maestoso castello arroccato su un fianco della valle, un maniero databile
attorno al diciassettesimo secolo dalle torri circolari, senza mura e con uno
stretto sentiero di sassi che dalla spianata davanti all’ingresso permetteva di
scendere più in basso.
«Che posto è
questo?» chiese Nadeshiko «È… bellissimo.»
«Vi basti sapere
che per due settimane sarà la vostra casa».
Casualmente Izumi, girando lo sguardo, incrociò quello di Takeru, che
da parecchi minuti non smetteva di fissarla con occhi di sfida, come a voler
cercare a tutti i costi una rivincita, e allora la maestra tornò con la mente
allo scontro di poco prima.
Era rimasta
incredibilmente sorpresa dalla sua forza, ed era consapevole del fatto che se
avesse lanciato quella tecnica con un po’ più di consapevolezza e al massimo
delle sue potenzialità quasi sicuramente il DiamondWall sarebbe andato in pezzi come un cristallo.
Tadaki, e ora se
ne rendeva conto, non aveva per niente esagerato quando le aveva descritto le
potenzialità di quei ragazzi, e d’improvviso le era venuta una voglia
irresistibile di scoprire fin dove queste capacità potevano arrivare, quindi,
vestendo per la prima volta i panni dell’inflessibile insegnante, chiamò tutti
vicino a sé.
«Ora, prima di
cominciare, sarà meglio fissare subito dei paletti. Io non faccio sconti per
nessuno, e come vi ho già detto non ho tempo da perdere.
Io esigo sempre il
massimo, e visti i tempi ristretti a disposizione non ci sarà tempo per dormire
sugli allori. Chi non riuscirà a tenere il passo verrà messo da parte, così che
non sia d’intralcio agli altri.
L’addestramento
inizierà oggi stesso. Nei prossimi giorni sveglia all’alba, mattinata di
esercizio e pomeriggio di studio qui in biblioteca.»
«Studio?» domandò
Keita
«La magia non la
si impara semplicemente con l’allenamento. Ci sono cose che solo i libri e le
parole possono spiegare, cose che poi devono essere trasformate in azioni
concrete. In questa biblioteca sono custoditi venti secoli di conoscenza sulle
arti magiche.
Alcuni maghi sono
bravi a recitare incantesimi e basta, altri abbinano magia e combattimento,
altri ancora usano la magia come semplice strumento per potenziare le proprie
abilità. Presto scopriremo per quale di questi campi siete maggiormente
portati, e a quel punto potremo cominciare a differenziare i programmi d’allenamento.
Tutto chiaro?»
«Sì.» risposero
all’unisono Keita, Shinji e Nadeshiko.
Takeru limitò la
sua risposta ad un cenno del capo, Toshio invece non fece una piega, ma
ascoltava comunque con grande attenzione.
«Vi avverto,
saranno i quindici giorni più lunghi della vostra vita».
La donna si
avvicinò ad una scrivania, prendendone fuori cinque vecchie chiavi di bronzo,
ognuna delle quali aveva un piccolo simbolo personale inciso sull’asta, e
consegnandone una ad ogni componente del gruppo.
«Queste sono le
chiavi delle stanze da letto. Sono al piano superiore, alla fine del corridoio
ovest, e i simboli sui battenti vi aiuteranno a localizzare quella di ognuno di
voi. Andateci, lasciate tutto quello che non vi serve e poi raggiungetemi
nell’atrio».
I ragazzi e le due
gemelle fecero per ubbidire, ma quando furono tutti usciti meno uno
quest’ultimo venne richiamato.
«Toshio. Tu
aspetterai in camera.»
«Che cosa?»
domandò lui girando lo sguardo «Perché?»
«Per te ho in
mente qualcosa di diverso.
Domani ne
riparleremo, ma per oggi rimani in panchina».
Toshio la guardò
aggrottando le sopracciglia, e mostrando palesemente il proprio disappunto per
quella decisione; uno come lui certamente non poteva sopportare l’idea di
venire messo da parte, soprattutto se a farlo era una come Izumi,
ma del resto che cosa poteva fare se non obbedire?
Avrebbe voluto
protestare, dire che era contrario, e invece se ne andò con una calma e una
rassegnazione quasi sovrumani, e appena rimasta sola la maestra sembrò sorridere
di rassegnazione.
«Sarà più
difficile del previsto, a quanto pare».
Dopo neanche mezz’ora Keita, Nadeshiko, Shinji e Takeru
erano riuniti nel grande atrio del castello, davanti alla maestosa scalinata a
ventaglio che permetteva di raggiungere i piani superiori.
Appena furono
tutti arrivati Izumi li fece disporre tutto intorno a
sé, facendo formare loro un ideale quadrato che avesse lei come centro.
Per parecchi
minuti regnò un silenzio preoccupante, poi la maestra iniziò a parlare.
«Molto bene.
Cominciamo dalle basi.
La magia è basata
innanzitutto su di una cosa. La consapevolezza.
Per poterla
sfruttare è necessario comprenderla; chi possiede un cerchio debole non sarà
mai in grado di usarla, chi invece, come voi, ha la fortuna di averne in sé uno
altamente sviluppato il più delle volte la usa senza rendersene conto, a
livello puramente istintivo.
Come qualcuno di
voi ha già avuto modo di sperimentare, il primo passo nella comprensione della
magia è l’essere in grado di materializzare il proprio circolo magico; ciò è
possibile solo disponendo di un certo autocontrollo, nonché di una discreta
padronanza delle proprie energie.
Ora, per iniziare,
vi chiedo di fare una cosa molto semplice. Materializzate i vostri circoli».
Tutti i ragazzi, obbedendo
all’ordine, chiusero gli occhi e si concentrarono, ma dalle loro movenze Izumi capì subito che alcuni erano più tesi e preoccupati
di altri. Il primo a riuscire nell’impresa fu Takeru, dopo neanche dieci
secondi; Shinji lo imitò dopo poco, ed entrambi dimostrarono di esserci
riusciti senza apparente difficoltà, proprio come le altre volte.
Invece, dopo più
di un minuto, Keita e Nadeshiko sembravano ancora in alto mare; il loro
continuo accigliarsi e il digrignare di denti era un chiaro segno della loro
difficoltà, e per quanto ci provassero la situazione non sembrava destinata a
migliorare.
«Basta così.»
sentenziò Izumi, e allora entrambi, rassegnati, si
arresero.
La donna si
avvicinò quindi a Nadeshiko, guardandola fissa negl’occhi e mettendole addosso
un’agitazione indicibile; continuò così per un po’, poi, sfilato il grosso
coltello da caccia che portava alla cintura, le prese con forza il polso
destro.
Keita e Shinji,
istintivamente, cercarono di intervenire, ma Takeru li richiamò.
«Fermi. Sa quello
che fa».
Nadeshiko non si
oppose, e non fece niente per tentare di ribellarsi, neppure quando Izumi le provocò un piccolo taglio sull’indice, facendole
rivolgere subito il dito verso il basso; come le prime gocce caddero sul pavimento,
il circolo magico della ragazza istantaneamente si materializzò sotto di lei.
Keita e gli altri
avevano già assistito ad un simile evento, ma nonostante ciò rimasero comunque
molto colpiti.
«Il tuo circolo
magico reagisce al sangue.» disse Izumi senza
smettere di fissarla «È stato così anche a Venezia, giusto?»
«Beh… sì.»
«E prima di
allora? Ti era mai successo?».
Solo allora,
cercando di pensarci, ragazza ricollegò quanto stava accadendo in quei giorni
così inverosimili ad un evento particolare accadutole in passato.
Tutto risaliva a
quando aveva più o meno cinque anni.
Il giorno in cui
per la prima volta era uscita in bicicletta senza ruote era incespicata dopo
pochi metri, sbucciandosi un gomito, e come era prevedibile si era messa a piangere.
D’un tratto, però,
aveva avuto come l’impressione che una luce calda l’avvolgesse, e quando, a
sensazione passata, aveva guardato il gomito, la ferita era scomparsa.
A Izumi bastò guardare la sua espressione stupita per capire
che un precedente c’era già stato, e immediatamente ne trasse le proprie
conclusioni.
«Il sangue è il
canale attraverso il quale scorre l’energia necessaria all’uso della magia. Il
fatto che una semplice emorragia basti a provocare in te il risveglio delle tue
capacità magiche è indice di due cose.
La prima è che la
tua magia è molto radicata, la seconda che è estremamente potente.
Controllarla non
sarà facile. Dovrai dimostrare un grande autocontrollo.
Il tuo circolo
magico ti permette l’utilizzò di un arsenale di incantesimi praticamente
illimitato, e più ne apprenderai più riuscirai a dominarlo. Mi sono spiegata?»
«Sì.» rispose lei
senza esitazioni.
Venne poi il turno
di Keita, il quale sentiva, a differenza della sua amica, di non avere alcuna
giustificazione per la sua scarsa partecipazione, e Izumi
non sembrava intenzionata a fornirgliene una.
«Nel tuo caso,
invece, credo che l’unico problema sia la paura.»
«La… paura?»
«Hai visto coi
tuoi stessi occhi ciò di cui sei capace. Sei consapevole di possedere dentro di
te una magia diversa e potentissima, e questo ti spaventa oltre ogni limite.
Per questo non sei in grado di usarla a piacimento.
È come avere una
macchina sportiva e volerla guidare senza essere mai saliti neanche su un
triciclo. Il tuo potere magico è ancora separato dalla tua coscienza, come due
entità che vivono in un solo corpo. La tua magia si scatena a livello puramente
istintivo, e solo in casi di estrema necessità.
Per avere il
controllo della magia, dovrai imparare a non temerla, ma non posso insegnarti a
non avere paura. È una cosa di cui devi liberarti da solo».
Keita si sentiva
molto sconfortato dalle parole di Izumi, e se da una
parte era costretto ad ammettere che si trattava della verità dall’altra si
domandava come fare per riuscire a compiere qualche progresso.
Se davvero aveva
paura della sua magia, non se ne era mai accorto; forse, però, era proprio per
questo che per quanto si sforzasse non gli riusciva di usarla; forse senza
volerlo si era imposto un freno interiore dettato dalla paura che provava
inconsciamente, ma se era così come poteva fare per rimuoverlo?
Nello stesso
momento, tre piani più in alto, Toshio sedeva sul letto della sua stanza nel
più completo silenzio, con gli occhi a terra e l’espressione accigliata.
Aria e Lotte, in
forma animale, lo osservavano stando a distanza, perché sapevano che in quei
momenti il loro compagno e padrone poteva diventare assolutamente intrattabile.
Essere stato messo
da parte era una cosa che per nulla al mondo avrebbe potuto tollerare, ma c’era
da dire che quando Izumi, senza troppi complimenti,
lo aveva escluso dal gruppo di allenamento, lui non aveva sollevato nessuna
protesta.
D’altronde però, questo
era un aspetto che, per quanto ricordava, aveva sempre fatto parte del suo
carattere: per qualche ragione, forse per via del severo addestramento al quale
era stato sottoposto fin da bambino, almeno così gli era stato detto,
disobbedire a chi riteneva un suo superiore era una cosa che proprio non gli
riusciva di fare.
Per tutta la vita
la sua principale occupazione era stata eseguire gli ordini; non importava da
chi venissero, se si trattava di una persona che riconosceva come di un livello
più elevato lui ubbidiva senza fiatare, a meno che naturalmente tali ordini non
andassero contro i suoi principi o contro la salvaguardia delle persone che era
chiamato a proteggere.
Fino a quel
momento, soltanto il re Akunator e padre Andersen
avevano avuto questo privilegio, perché erano le sole persone che egli
considerava come propri maestri, ma adesso nella lista era entrata anche Izumi, e la cosa, per qualche motivo, non gli piaceva.
Parigi
Erano passati già quasi due giorni da quando Tadaki e sua
sorella Kazumi erano arrivati nella Ville Lumiere, ma
del guerriero che a Venezia aveva quasi fatto la pelle a Tadaki non vi era
ancora traccia.
Il ragazzo però
era certo di essere sulla strada giusta, e sapeva che quel tipo, dopo aver
fallito in Italia, non avrebbe rinunciato a fare un secondo tentativo;
probabilmente stava semplicemente aspettando il momento migliore, e Tadaki dal
canto suo, pur facendo apparentemente finta di niente, era in realtà più che
preparato ad affrontarlo appena si fosse fatto vivo.
Quella mattina lui
e sua sorella stavano facendo colazione seduti ad un tavolino all’aperto del
lussuoso albergo in cui alloggiavano, non lontano da Place
de La Concorde;
Tadaki, come faceva sempre ogni mattina, leggeva il giornale, un’impresa non
difficile dal momento che il francese lo sapeva leggere molto bene, come pure
l’italiano, lo spagnolo e l’inglese, e sorseggiando di tanto in tanto il suo
caffè; Kazumi, seduta di fronte a lui, si deliziava
il palato con una fetta di torta al limone, accompagnata da una spremuta
ghiacciata, l’ideale per allontanare il caldo opprimente che da diverse
settimane imperversava senza pietà sulla bella Parigi.
«Ehi, Tadaki.
Secondo te come se la staranno cavando Nadeshiko e gli altri?»
«Non preoccuparti
per loro, sono in buone mani.
Izumi è l’insegnante più preparata che si possa incontrare.
Ha dei metodi tutti suoi, questo è vero, ma sa fare il suo lavoro molto bene.»
«Ne sei sicuro?»
«Sono stato anche
io suo allievo subito dopo essere venuto in Europa. Se hai una qualità lei te
la tira fuori, in un modo o nell’altro».
Il ragazzo sollevò
allora lo sguardo dal giornale.
«Piuttosto, tu che
programmi hai per oggi?»
«Beh, ecco… mi
sarebbe piaciuto andare a visitare Versailles. Se devo essere onesta sarei stata
molto più felice ad accompagnarti, ma come mi hai già detto non è prudente che
io stia con te.»
«Hai ragione.
Nostro padre ti ha mandata qui in Europa per tenerti lontana da possibili
pericoli, e almeno per il momento non c’è nulla di cui ti debba preoccuparti.
Comunque, per ogni
evenienza, Touka ti terrà costantemente d’occhio, e
se sarà necessario accorrerà in tuo aiuto.»
«Mi dispiace
molto, fratello.» disse Kazumi abbassando lo sguardo
«Da quando sono qui, non ho fatto altro che causarti problemi.»
«Non dirlo neanche
per scherzo. Anzi, averti vicina mi fa sentire molto più tranquillo. Da tempo
giravano brutte voci attorno alla nostra famiglia, saperti laggiù senza nessuno
che ti protegga mi avrebbe fatto stare molto in pensiero».
Lei, arrossendo,
distolse lo sguardo, e lui, alzatosi, le mise una mano sulla testa.
«Sei la mia
sorellina. È mio dovere proteggerti.»
«Gra… grazie».
In quella, Tadaki
ebbe la netta impressione di venire osservato insistentemente da qualcuno, e si
mise immediatamente sull’attenti, cercando di percepire la benché minima
presenza sospetta fra la miriade di persone che affollavano la strada pedonale
davanti a lui.
«Tadaki, che
succede?» domandò Kazumi vedendo i suoi occhi
sbarrati.
Il ragazzo non
voleva assolutamente coinvolgere sua sorella in un eventuale scontro, quindi la
cosa migliore da fare era allontanarsi da lei il più possibile in modo che non
venisse catturata all’interno del Fuuzetzu, mettendo
così in allarme il possibile avversario con la sua capacità di muoversi
all’interno del campo.
«Aspettami qui, io
torno subito.»
«Cosa!? Ma io…»
«Non preoccuparti,
non succederà nulla. Devo solo controllare alcune cose.
Mi raccomando, non
muoverti».
Senza dire altro Tadaki
lasciò il porticato dell’albergo e si mescolò immediatamente alla folla,
facendo l’impossibile per attirare su di sé l’attenzione del misterioso
osservatore così da condurlo in una zona poco affollata.
Dopo qualche
minuto, però, divenne chiaro che qualcosa non sembrava andare secondo gli
standard convenzionali; Tadaki era sicuro di essere riuscito nel suo intento,
eppure il nemico, chiunque fosse, non sembrava determinato a fare la sua mossa,
limitandosi invece a rimanere ad una considerevole distanza.
Alla fine il
giovane studioso decise di fare la sua mossa e si infilò nel primo vicolo
laterale capitatogli sotto mano, una stradina stretta e lunga soffocata fra due
alti palazzi del primo ‘900; a quel punto gli bastò fare una decina di passi in
avanti per avvertire quella presenza che si materializzava alle sue spalle, e
immediatamente si girò, scagliando una coppia shuriken
che teneva nascosti nel gilè senza maniche.
Le due lame
volarono nell’aria emettendo un fischio sommesso, ma vennero entrambe respinte
dal furioso roteare su sé stessa dell’arma del nemico e andarono a conficcarsi
nel muro.
«Accidenti, che
accoglienza calorosa.» disse il nuovo arrivato con voce sprezzante e
sarcastica.
Tadaki, voltatosi
completamente, lo guardò dritto in volto.
«Direi di fare le
presentazioni. Io sono…»
«Lo so chi sei.
Sei Atarus dei McLoan.»
«Ok, come non
detto. Tu invece devi essere Tadaki, del Clan Yoshida.»
«Che cosa vuoi da
me? Sei venuto per combattere?»
«Combattere!?»
rispose Atarus sogghignando e sfoggiando il suo sguardo sadico «Se avessi
voluto combattere, a quest’ora saresti già morto.»
«E allora che cosa
vuoi? Di certo non sei qui a Parigi per visitare il Louvre.»
«Quanto sei
spiritoso. Se proprio vuoi saperlo, sono venuto fin qui per proporti un
accordo.»
«Un accordo?».
Atarus a quel
punto rivolse a terra la punta della sua lancia, un chiaro segnale del fatto
che, almeno per il momento, non intendeva combattere; Tadaki, cercando di
mostrarsi sicuro di sé, a sua volta assunse un atteggiamento meno guardingo, ma
comunque pronto all’azione.
«Ti sarai accorto
anche tu che questo torneo si sta rivelando alquanto anomalo. È già passata una
settimana da che abbiamo cominciato, eppure siamo ancora tutti e sette in gara.
È ormai ovvio che
la questione è destinata a protrarsi a lungo, e in momenti simili avere meno
pensieri per la testa certamente aiuta. A tal proposito, che ne dici di
stabilire una tregua?»
«Una tregua?»
«Al momento io ho
già parecchie cose a cui pensare, e non mi pare che tu sia messo tanto meglio.
Quello che ti propongo, è un momentaneo cessate il fuoco. Io non cercherò di
attaccarti, e tu farai altrettanto. In questo modo, potremo concentrarci sugli
altri avversari, almeno fino a quando il loro numero si sarà un po’ sfoltito».
Tadaki non
rispose, abbassò lo sguardo e per qualche istante sembrò quasi rifletterci
sopra.
«Insomma, stai
cercando un’alleanza con me.»
«Devi ammettere
che sarebbe vantaggioso per entrambi.»
«Sì, forse è come
dici tu».
Atarus sembrò
soddisfatto di quell’affermazione, ma poi Tadaki distese entrambe le braccia.
«Però…» disse con
voce profonda; da dentro le maniche della sua camicia sbucarono fuori le sue
due spade corte, e lui, rialzato lo sguardo, si preparò alla battaglia.
«Non è mia
abitudine stringere alleanze con qualcuno di così poco affidabile. E poi,
lasciatelo dire, tu sei quel tipo di partecipante che fremo dal desiderio di
sbattere fuori dal torneo».
Malgrado la sua
proposta fosse stata rigettata il lanciere non modificò di una virgola la
propria espressione sorridente, ma per chi sapeva leggerlo era evidente che il
suo sorriso, da ironico, era diventato malevolo.
«Allora…» disse in
modo sommesso, per poi scattare improvvisamente all’attacco «Questa conversazione
non ha motivo di proseguire!».
Tadaki non si fece
prendere alla sprovvista e schivò il colpo, rispondendo subito con un tentativo
di affondo che fu a sua volta schivato, e in breve divenne chiaro che la
situazione non era favorevole per nessuno dei due; il vicolo stretto e il muro
alto limitavano di molto i movimenti e la libertà d’azione di entrambi i
guerrieri, togliendo ad uno la sua agilità di ninja e all’altro la possibilità
di maneggiare agilmente la propria lancia.
Come se non bastasse,
mentre erano impegnati in uno scontro di forza, l’arrivo inaspettato di due
membri della gendarmeria, attirati probabilmente dai rumori dello scontro, rese
necessaria una momentanea ritirata.
«Ehi, voi due!»
«Sei hai il
coraggio di affrontarmi» sussurrò Atarus «Ti aspetto fra le rovine dell’antica
fortezza di Luigi XI sulle colline a nord, fra tre giorni a mezzanotte.»
«Puoi star certo
che ci sarò».
A quel punto
Tadaki lasciò cadere una granata fumogena, e quando la spessa coltre grigia si
diradò i due avversari avevano già tagliato la corda, sotto il naso degli
sbigottiti tutori dell’ordine.
Era da poco passata la mezzanotte, ma ormai da diversi
giorni la vita quotidiana nel castello dei Von Karma si era spostata
soprattutto nelle ore di tenebra; forse per via dell’aver vissuto migliaia di
anni rinchiusi dentro un vecchio libro polveroso, i generali di Seth si
trovavano a loro agio nell’oscurità, ed era proprio durante la notte che i loro
poteri di divinità emergevano in tutta la loro sconfinata potenza, rendendoli
molto pericolosi.
Questo era
particolarmente vero nel caso di Hypnos e Thanatos, che più passava il tempo
più sembravano manifestare un comportamento quasi vampiresco, mentre Anubis, per qualche strano motivo, si faceva vivo solo dopo
il tramonto, perché per tutto il resto della giornata diventava praticamente
introvabile, senza neanche presenziare alle numerose riunioni.
Wei e Franziska al contrario non erano riusciti ad
abituarsi a quel nuovo stile di vita, ma cercavano comunque, per quanto
possibile, di essere presenti, se non altro per stare vicini a Johan, che da
qualche giorno aveva preso l’abitudine di portare al collo un pendente di
colore rosso a forma di spada.
Quella sera erano
tutti radunati nella sala da ballo; Johan teneva tra le mani una splendida rosa
rossa recisa quella stessa mattina nel giardino del castello, e girandola in
continuazione ne assaporava la bellezza in ogni suo anfratto.
«Davvero stupenda.
Questo pianeta ha
in sé una bellezza che non avevo mai visto da nessun’altra parte. È naturale
che i nostri antenati lo avessero eletto a loro dimora eterna».
Poi, di colpo, la
sua espressione si accigliò.
«Gli umani abusano
di questo mondo come se fosse di loro proprietà, senza un briciolo di
rispetto.»
«Queste creature
sono come i parassiti.» disse Anubis «Il solo modo
che hanno per vivere è sfruttare qualsiasi fonte di approvvigionamento fino a
farla morire.»
«E noi sappiamo
bene cosa bisogna fare coi parassiti.» disse Thanatos con espressione malevola
e gli occhi che scintillavano di sangue «Bisogna eliminarli.»
«Non c’è bisogno
di essere così drastici.» intervenne Minami, guadagnandosi le occhiate
perplesse delle sue due sorelle
«Sorella…» disse
Ushio
«È vero, gli umani
sono malvagi e approfittatori. Ma alcuni di loro sono diversi, e hanno un animo
buono. Non possiamo punire anche quei pochi per i quali la salvezza di questo
mondo ha ancora valore.»
«Ti ricordo che
sono stati proprio gli umani che tu difendi a rinchiuderci in quel libro in cui
abbiamo marcito per migliaia di anni!» disse Yuuhi rossa in volto
«Lachesi ha
ragione.» intervenne Seth senza staccare gli occhi dalla rosa che aveva in mano
«Io non voglio distruggere l’umanità. Ciò che voglio è cambiarla, renderla
consapevole della fragilità del creato, e di quanto sia importante preservarlo
dalla distruzione.
Gli esseri umani
sono gli eredi di questo universo, che ci piaccia o no, e la nostra gente non
potrà mai tornare a godere del prestigio che aveva in passato».
A sentire quell’affermazione,
qualcuno dei presenti abbassò la testa, mostrando palesemente il proprio
disgusto.
«Noi abbiamo fatto
il nostro tempo, questa è la verità. Ma ciò non significa che non possiamo
adoperarci per garantire un destino migliore a questo universo. Noi guideremo
gli umani ad un futuro di giustizia e potenza, saremo gli artefici della loro
grandezza, e sarà un po’ come la prosecuzione della nostra civiltà.»
«Sono d’accordo
con voi, nobile Seth.» disse Hypnos accettando con un cenno del capo la tazza
di tè che Wei gli stava offrendo su di un vassoio
d’argento «Dopotutto, c’è un motivo se siamo stati in grado di incarnarci in
degli esseri umani. Loro, per molti versi, sono simili a noi. Di conseguenza,
potrebbero andare incontro al nostro stesso destino, se lasciati a sé stessi, e
mi sembra che lo stiano ampiamente dimostrando.
Solo se avranno
qualcuno a comandarli, e a suggerire loro la strada più giusta da percorrere,
riusciranno a sopravvivere».
In quella, la
ragazza scura che restava appoggiata alla parete come addormentata si riscosse,
drizzando le sue orecchie canine come se avesse percepito un pericolo.
«Seline, che succede?» domandò Franziska «C’è qualcosa che
non va’?»
«Si sta
avvicinando qualcuno. Percepisco un’emanazione magica di proporzioni
colossali».
Pochi istanti dopo
anche gli altri presenti avvertirono la stessa presenza, mettendosi subito in
posizione di guardia; Johan, invece, accennò uno dei suoi sorrisi.
«Immaginavo che
sarebbe venuta».
Appena finì di
parlare un fascio di luce scese dal cielo perforando il tetto, e dalla luce che
andava affievolendosi uscì un’elegante figura femminile.
Vestiva in modo
sontuoso, da principessa, con un abito rosato in stile vagamente arabeggiante;
un gilè maniche corte che lasciava scoperto l’ombelico, pantaloni larghi
sormontati da una sorta di gonna lunga aperta interamente sul davanti che si
fermava all’altezza delle caviglie, scarpe leggermente affusolate e un lungo mantello
provvisto di un cappuccio molto largo che nascondeva quasi completamente il
volto, lasciando intravedere solo il naso e la bocca.
Portava anche dei
bracciali decorati, e nella mano destra stringeva un lunghissimo bastone d’oro
massiccio appoggiato a terra con in cima una grossa sfera rosa apparentemente
di vetro circondata da un paio di ali spiegate sempre in oro.
Appena riconobbero
chi avevano di fronte, tutti i generali rimasero con la bocca spalancata, chi
per lo stupore chi per la paura.
«È bello
rivederti.» disse Johan con la testa poggiata placidamente su una mano «Devo
ammettere che mi sei mancata.»
«Questa tua follia
deve finire al più presto.» rispose la ragazza con voce profonda ed echeggiante
«Sei sempre il
solito spirito ribelle. Ho sempre sperato di poterti rivedere.»
«Fermati adesso,
Seth. Non costringermi a ripetere ciò che feci milioni di anni fa.»
«Fermarmi? Ormai
non è più possibile, e tu lo sai.
Ti hanno forse
mandata i nostri amici di lassù? Ti hanno mandata a fare il lavoro sporco? O
forse speravano di farmi cedere alle tue lusinghe? Beh, se devo essere sincero,
la tua presenza mi fa palpitare.»
«Sono venuta qui
di mia spontanea volontà. Ma ti avverto, il consiglio non è più disposto a
tollerare le tue azioni. Se non smetterai di arrecare minaccia a questo mondo,
prenderanno misure drastiche.»
«Il consiglio? Ma
non farmi ridere. Sono troppo attaccati ai loro privilegi per privarsene.
Vedere quello che sei diventata è un motivo più che sufficiente per cancellare
in loro qualsiasi proposito nei miei confronti».
La ragazza non
rispose, ma la sua espressione seria non lasciava adito a dubbi su quali
fossero le sue intenzioni.
«In tal caso, non
mi lasci scelta. Non posso permettere che siano gli umani a pagare il prezzo
della tua follia».
Nella situazione
tesa che si era venuta a creare irruppe ferocemente la giovane e irruente
Yuuhi, alias Atropo, che vendendo quella ragazza era stata colta da una rabbia
irrefrenabile.
«Tu maledetta!»
gridò mentre in mano le compariva una grossa falce dall’asta ricurva e con una
lama lunga più di un metro «Aspettavo da tanto l’occasione di fartela pagare!».
Rossa di rabbia si
scagliò quindi alla carica, ma nonostante ciò la ragazza non si mosse.
«Sabatiel.» disse lievemente, e subito la sfera sul suo
scettro prese a brillare
«Jail Ring».
Dal nulla
sbucarono fuori quattro grossi anelli che, avvinghiandosi ai polsi e alle
caviglie di Atropo, immobilizzandola e lasciandola sospesa a mezz’aria.
«Ma cosa…»
«Wind Rush».
La ragazzina venne
colpita in pieno da un poderoso spostamento d’aria sprigionatosi dallo scettro,
volando all’indietro come un proiettile e finendo a terra poco lontano.
«Yuuhi!» esclamò
sua sorella Ushio correndo ad aiutarla
«Maledetta…»
ringhiò Atropo cercando di rimettersi in piedi
«Lascia perdere,
Atropo.» disse Seth alzandosi in piedi «Non è il genere di avversario che
possiate affrontare».
Il ragazzo
cominciò dunque a camminare lentamente verso la nuova arrivata, e appena si
strappò il pendente dal collo questo assunse subito la forma della sua spada.
«Aktiviert».
Appena i fermò, i
due rimasero a lungo a guardarsi l’un l’altro, e anche se Johan non riusciva a
vedere gli occhi del nemico immaginava quale fosse la sua espressione.
«Mi è sempre dispiaciuto averti come
avversaria. Quante cose avremmo potuto fare se fossimo stati dalla stessa
parte.»
«Non tradirò i
miei principi, e non abbandonerò la mia missione. Anche se questo significa
combattere contro di te.»
«Immaginavo che
avresti detto qualcosa del genere. Quand’è così… Naqada!»
«SchlitzenBliz!».
Uno dei fili della
spada si caricò di elettricità, e come Johan menò un fendente una tempesta di
fulmini si diresse verso l’avversaria.
«Protection.» disse la sfera sullo scettro con voce
femminile, e davanti alla ragazza si formò uno scudo di luce rosata e
trasparente che respinse l’attacco, disperdendolo
«Seth, i tuoi
poteri sono cresciuti dal nostro ultimo incontro.»
«Non puoi
immaginare quanto. Non illuderti, non finirà come l’ultima volta».
Nuovamente, il
monile sullo scettro prese a scintillare, e attorno alla ragazza comparvero
centinaia di piccole sfere luminose.
«Starlightbuster.»
«Io ho preso la
mia decisione, e farò tutto il possibile per fermarti».
Ad un cenno della
ragazza i globi puntarono tutti insieme in direzione di Johan, che con uno
sforzo apparentemente minimo sollevò la sua spada fin sopra la spalla.
«SturmFlamme!».
Stavolta, la lama
venne circondata di fuoco, e con un solo colpo Johan respinse violentemente
tutte le sfere, spedendole in varie direzioni; l’attacco, però, non era ancora
finito, infatti prima di andarsi a schiantare sulle pareti e sul soffitto i
globi si fermarono.
«Conversion!» disse il monile, e di nuovo, con velocità doppia
rispetto a prima, le sfere puntarono verso Johan.
Il ragazzo parve
impressionato, ma non per questo sorpreso; dopotutto, visto l’avversario che
aveva di fronte, si aspettava qualcosa del genere.
«PantzerGeist!».
Attorno a Johan si
andò a formare una specie di cristallo rosso sangue, che funzionando come uno
scudo prese a respingere tutti i globi, e malgrado questi continuassero a
colpire nulla sembrava in grado di scalfire quella barriera impenetrabile.
«Explosion!» disse la spada, e subito dopo la barriera parve
esplodere, producendo una luce fortissima e una forte corrente d’aria.
«Johan!» gridò sua
sorella con le lacrime agli occhi
«Seth-Sama!» disse Lainay.
Quando la
situazione si acquietò, però, Johan era ancora in piedi e senza un graffio,
fiero come sempre; della ragazza, però, neanche l’ombra.
«È… sparita.»
disse Wei
«Io gliel’avevo
detto. Non sono più quello che ha conosciuto».
Franziska,
preoccupata, si avvicinò a lui, accorgendosi che aveva una leggera bruciatura
ad una spalla, dovuta probabilmente alla deflagrazione della barriera.
«Johan. Sei
ferito.»
«Non è niente.
Puoi stare tranquilla.»
«Ma…»
«Per adesso si è
ritirata, ma tornerà. Per quanto io sia diventato potente lei non è il genere
di avversario che si possa sottovalutare, e se oggi si è arresa così facilmente
è solo perché i suoi poteri si stanno ancora stabilizzando.
Quando ritornerà,
sconfiggerla sarà molto più difficile».
Nota dell’Autore
Rieccomi!
L’ultimo capitolo
prima di riprendere i corsi all’università. Mi ero ripromesso di riuscirci, e
alla fine eccolo qui.
Come è facile
immaginare, da adesso in poi è probabile che gli aggiornamenti si faranno più
radi, anche perché dal lunedì al mercoledì non tornerò a casa prima delle 18
(il lunedì addirittura alle 20!).
Nadeshiko sbadigliò vistosamente,
poggiando subito dopo la testa sullo zainetto e lasciandosi cullare dalla
morbidezza del manto erboso.
«Stanca?» domandò
Shinji, seduto accanto a lei
«Un
pochino. Stanotte non sono riuscita a chiudere occhio.»
«Davvero?
Io invece ho dormito come un sasso. Con tutto quello che ci alleniamo, la sera ho a malapena la forza per trascinarmi fino al letto».
Poco distante, in
cima ad una collinetta, Takeru e Keita, armati di
bastoni, erano impegnati in un corpo a corpo di prova con Izumi,
che evitava tutti i loro attacchi con una facilità disarmante, a volte tenendo
persino gli occhi chiusi.
Era passata quasi
una settimana dall’arrivo dei ragazzi nel castello, e già due giorni
l’allenamento mattutino si era spostato dall’atrio del castello alla valle
sottostante, raggiungibile tramite uno stretto sentiero.
Tutti loro avevano
fatto alcuni progressi nell’apprendimento delle arti magiche e nel controllo
dei propri circoli magici, e fra tutti quello che aveva dato i maggiori segni
di miglioramento era sicuramente Keita, il quale
risultava ora in grado, anche se con qualche difficoltà, di materializzare e
mantenere stabile il suo circolo, senza riuscire però a chiamare a sé quella
famosa spada che lo aveva assistito in passato.
Come predetto da Izumi, dopo i primi due giorni il programma di allenamento,
da collettivo, era divenuto individuale; Shinji e Takeru stavano imparando a
controllare la loro magia, usandola per aumentare le proprie capacità fisiche e
avvantaggiarsi nei combattimenti; Keita era ancora in fase di riscaldamento, ma
era molto probabile che di lì a breve avrebbe seguito
il destino dei suoi due compagni; Nadeshiko invece passava la gran parte del
suo tempo a migliorarsi nel controllo del suo circolo, indubbiamente il più
sviluppato fra quelli di tutti i suoi compagni, e cercando di tanto in tanto di
apprendere qualche incantesimo, ma come diceva Izumi
più avesse imparato a dominarsi più l’arsenale di magie insite all’interno del
cerchio, una sorta di codice genetico dello spirito, sarebbe stato alla sua
portata.
Anche Aria e Lotte
avevano cominciato ad addestrarsi, sotto la supervisione di Nagisa,
un addestramento volto soprattutto a far progredire le loro abilità di famigli,
e saltuariamente aiutavano la loro maestra nella cura del castello, dividendosi
tra le pulizie domestiche e la preparazione dei pasti.
Toshio, invece,
continuava a rimanere il grande escluso, e più i giorni passavano più Izumi sembrava determinata a non renderlo partecipe degli
allenamenti, al punto da dare quasi l’idea di non tenere neppure in
considerazione la sua presenza.
Indubbiamente il
giovane guerriero aveva preso molto male questo
atteggiamento, e ormai da tre giorni non usciva più dalla sua camera.
Nadeshiko e Keita,
preoccupati per lui, avevano cercato di fargli visita, ma
Aria e Lotte glielo avevano caldamente sconsigliato, facendogli presente che in
simili situazioni Toshio diventava intrattabile.
Tornando all’allenamento,
Izumi non sembrava intenzionata a rispondere agli
attacchi di Takeru e Keita, ma piuttosto si limitava a schivarli muovendosi di
continuo, e i suoi spostamenti erano così rapidi che i due ragazzi di tanto in
tanto finivano per ostacolarsi a vicenda.
«Quei due si
stanno stancando troppo.» disse Shinji «Se vanno avanti di questo passo, tra
non molto saranno completamente esausti».
E difatti, pochi
istanti dopo, Keita per la stanchezza poggiò male il piede, incespicando e
rischiando di cadere addosso a Takeru, che si distrasse; a quel punto Izumi riaprì gli occhi, e con un solo calcio orizzontale
spedì entrambi al tappeto.
«Siete ancora troppo lenti. Dovete imparare a muovervi
all’unisono, o non sarete mai in grado di combattere come una vera squadra. Ci
sono situazioni in cui il sostegno reciproco è l’unica cosa in grado di
salvarvi, ricordatelo bene!».
Sia Keita che Takeru fecero un cenno con la testa, come a dire che
avevano capito.
«Va’ bene, per adesso basta così. Continueremo nel pomeriggio,
ora rientriamo».
Pochi minuti dopo
Keita e gli altri erano seduti attorno al tavolo da pranzo assieme alla loro
maestra, degustando con piacere le prelibatezze tipicamente svizzere preparate
da Nagisa con la collaborazione benaccetta di Aria e
disastrosa di Lotte, capace di confondere lo zucchero con il sale.
Nagisa non voleva proprio saperne di ostentare
un’espressione che non fosse quel suo sguardo perennemente serio e accigliato,
e anche quando Shinji gli rivolse i complimenti per la raffinatezza e la bontà
del pasto lei si limitò a fare un cenno con la testa.
«Mangiate, vi
conviene.» disse Izumi«Dopo
pranzo riprendiamo gli allenamenti. Tu Nadeshiko, invece, andrai in biblioteca
a studiare.»
«D’accordo.»
rispose la ragazza, che subito dopo incrociò, forse volontariamente, il posto
sul grande tavolo circolare che da tre giorni continuava a rimanere vuoto, e
allora non riuscì a fare a meno di mostrarsi triste e preoccupata.
Izumi se ne accorse, e anche gli altri.
«Perché continua ad escluderlo?» domandò Nadeshiko «Non ha fatto niente di
male, e ha molta voglia di apprendere.»
«Ci sono delle
cose che Toshio deve decidersi ad imparare. Quando ci
sarà riuscito, allora si potrà cominciare a prendere in considerazione un
eventuale allenamento.»
«Ma di che si tratta?» chiese Keita «Che cosa dovrebbe
imparare?».
L’insegnante, che
in quel momento si stava portando una patata alla bocca, posò la forchetta,
guardandolo severamente.
«Tanto
per cominciare, Toshio non ha mai imparato a perdere. Tutte queste sconfitte
che ha subito da che ha avuto inizio il torneo gli
hanno devastato lo spirito, e questo perché non ha mai accettato l’idea di
perdere.»
«Ma questo
potrebbe non essere un difetto.» disse Shinji «Dopotutto, volersi riscattare
rende una persona più determinata, lo ha detto anche
Lei.»
«Per
lui è diverso. Quando combatte mette tutto sé stesso,
perché sente di non avere nulla da perdere. Per lui conta solo la vittoria,
quindi, se venisse sconfitto, il suo solo pensiero
sarebbe di riscattarsi, ma proprio per il non essere capace di accettare la
sconfitta nella battaglia successiva si spingerebbe sempre oltre il proprio
limite, e questo metterebbe in pericolo anche lui.
Un guerriero il
cui solo pensiero è riscattare l’onore perduto nella sconfitta è una macchina
da guerra senza emozioni, che ucciderebbe senza remore
il suo avversario solo per essere sicuro di non essere nuovamente surclassato.
E il mondo non può avere come propri custodi persone che ragionano in questi
termini.»
«Ma Toshio non è così!» esclamò Nadeshiko scattando in piedi
e ribaltando la sedia.
La sua fu una
reazione decisamente spropositata, soprattutto per la
sua personalità, e tutti ne rimasero molto sorpresi, soprattutto Keita, che mai
l’aveva vista inviperirsi in quel modo. Anche Izumi
parve colpita, ma il suo viso marmoreo non lasciò trasparire alcuna emozione.
«Adesso
forse, ma chi ti dice che in futuro la situazione non cambierà? Toshio è
orgoglioso e rassegnato al tempo stesso; basta guardarlo in volto per capire
che combatte per qualcosa che non sente come suo, e fino a che permarrà in
questa sua condizione non vi sarà spazio per un cambiamento».
Qui Izumi fece una pausa, chinando il capo e chiudendo gli
occhi.
«Lui la forza ce l’ha, ed è grande. Allenarlo sarebbe una perdita di
tempo, perché non c’è niente che io possa insegnargli. Ciò che gli serve
davvero, che può fare la differenza, è un motivo per volerla usare.
Uno scopo.
Qualcosa che non
sia il semplice dovere, o gli obblighi che gravano su di lui come partecipante
a questo torneo. Avere un motivo per voler combattere sarebbe più che
sufficiente ad annullare tutto ciò che ancora lo tiene a freno; gli
insegnerebbe ad accettare la sconfitta e ad usarla per
migliorarsi, e metterebbe fine a quella sua condizione di umiltà e
rassegnazione che non gli riesce di abbandonare di fronte a certe persone.
È questo il suo
addestramento, e non potrebbero essercene di più difficili».
Qualche minuto dopo, qualcuno bussò sommessamente alla porta
della stanza di Toshio.
«Toshio?» disse la
voce gentile di Nadeshiko «Ti disturbo?».
Dall’altro lato,
però, non giunse alcuna risposta.
«Ti
ho portato qualcosa da mangiare. Sono giorni che non tocchi cibo».
Nuovamente,
nessuno rispose, e allora la ragazza si decise a mettere la mano sulla pregiata
maniglia d’ottone; la serratura scattò, l’uscio si aprì lentamente e Nadeshiko
si presentò nella stanza con in mano un vassoio
contenente piccole porzioni del pranzo di quel giorno.
«Sto entrando».
Toshio era
semi-disteso sul letto, con la testa appoggiata alla parete, le braccia
incrociate sul petto le gambe distese e lo sguardo
rivolto alla finestra opposta all’ingresso; sembrava non essersi neppure
accorto dell’arrivo della ragazza, immerso com’era nei propri pensieri, o forse
più semplicemente l’aveva del tutto ignorata.
Al secondo
richiamo, finalmente, Toshio si decise a girare la testa, e allora Nadeshiko,
nel vedersi puntare contro quegli occhi così enigmatici e profondi, per un
istante si sentì a disagio.
«Ah, sei tu.»
disse come se si fosse appena svegliato da un lungo sonno
«Io… ho pensato
che avessi fame.» rispose Nadeshiko mostrando il vassoio che aveva in mano «Non
è molto, ma è tutto quello che sono riuscita a salvare dalle grinfie di Lotte.»
«Al momento non ho
fame.» fu la risposta secca e disinteressata del ragazzo
«Ma…
sono più di tre giorni che non mangi. Di questo passo rischi di sentirti male.»
«Non
è un problema. Posso stare giorni senza mangiare».
Forse l’odore delle
fettine di carne gli passò sotto il naso, fatto sta che di colpo il silenzio
nella stanza venne squarciato da un gorgheggio
famigliare che non aveva nulla da invidiare a quelli di Keita dopo l’ora di
Educazione Fisica.
Nadeshiko a stento
riuscì a trattenersi dal ridere, coprendosi la bocca con una mano e chiudendo
gli occhi, lui invece divenne visibilmente rosso, forse per la prima volta
nella sua vita.
«Che stavi dicendo
in proposito?» disse la ragazza poggiando il vassoio sulla scrivania «Il tuo stomaco
si accartoccerà su sé stesso se non ci metterai subito
qualcosa dentro. Forza, vieni a mangiare».
Toshio esitò,
diventando ancora più rosso; sembrava stare cercando in tutti i modi un modo per controbattere, ma il suo nervosismo e il
suo imbarazzo erano più che palesi. Nadeshiko lo guardò come una madre che si
accinge a rimproverare un bambino capriccioso.
«Mangia».
Alla fine il
guerriero, sbuffante e visibilmente scocciato, si alzò dal letto e si sedette
al tavolo, e sotto lo sguardo severo di Nadeshiko che, non sapeva perché, gli
incuteva più soggezione e senso di impotenza persino
di quello di Padre Andersen, si portò un pezzo di pane alla bocca.
«Visto?» disse la
ragazza tornando a sorridere, più radiosa di prima «Non
era poi così difficile. Allora, com’è?»
«È… buono…»
«Mi fa piacere».
Pochi minuti prima
Aria e Lotte, in forma umana, erano risalite per tornare in camera e cercare di
convincere Toshio a mangiare qualcosa, ma quando avevano sentito rumori e la
voce di Nadeshiko provenire dall’interno si erano
immediatamente appostate dietro la porta, dandosi il cambio per sbirciare
attraverso la serratura.
«Ci avresti mai
creduto?» disse Lotte «Toshio che si fa mettere il guinzaglio da una ragazzina.»
«Se
lo venisse a sapere il maestro, probabilmente piangerebbe di gioia. Era così
preoccupato che Toshio non riuscisse a creare legami con qualcuno.»
«Beh, sembra che
finalmente qualcuno che non siamo noi sia riuscito a scalfire quella sua scorza
dura.»
«Non
facciamo di ogni erba un fascio. Potrebbe essere solo un faro nella tempesta».
Toshio mangiò,
lentamente e in silenzio, buona parte del suo pranzo, e solo quando i piatti
erano ormai quasi vuoti decise, malgrado le
sollecitazioni di Nadeshiko, che lo esortava a finire tutto, di essere sazio.
«Sei così strano.»
disse la ragazza mentre lui, senza riuscire a placare il proprio rossore,
tornava a distendersi a letto.
«Non avverto più
la presenza di Izumi e Nagisa.»
«Sono
andate al negozio per sbrigare alcune faccende. Hanno detto che torneranno
domattina, e nel frattempo ci hanno detto di continuare ad addestrarci.»
«Capisco».
Nadeshiko si morse
la lingua subito dopo essersi resa conto di quello che aveva detto; dopotutto,
se Toshio si comportava così, era perché Izumi,
almeno apparentemente, lo aveva messo da parte, forse perché non lo riteneva
forte abbastanza per essere degno di venire
addestrato.
Avrebbe voluto
parlargli, dirgli che non era così, ma sapeva che se lo avesse fatto il vero
addestramento a cui la maestra stava sottoponendo
Toshio sarebbe andato in fumo; quindi, anche se a malincuore, era costretta a
restare in silenzio, lasciando che il ragazzo comprendesse da solo gli
obiettivi che Izumi si aspettava da lui, e sperando
in sé stessa che ci riuscisse presto.
Venne dunque la sera, e le luci del castello, accesesi
quasi all’unisono grazie ad un ingegnoso sistema di ricettori magici, che
iniziavano a brillare appena la luce naturale si abbassava
fino ad un certo punto, rischiararono con la loro luce la vallata deserta,
sulla quale soffiava un vento leggero.
Keita, Shinji e
Takeru, anche senza lo sguardo severo di Izumi a
tenerli sotto tiro, si stavano esercitando per proprio conto nella palestra dei
sotterranei, una stanza grande e spaziosa provvista di tutto il necessario per
svolgere un duro addestramento, dai sacchi di sabbia ad
un ring circolare.
Mentre Shinji
metteva alla prova i suoi micidiali calci colpendo un fantoccio di legno, Keita
e Takeru, al centro del ring, si misuravano tra di loro in un combattimento di
scherma; Takeru era indubbiamente più forte del suo avversario, e difatti, a
differenza di quest’ultimo, che dopo solo un minuto già ansimava per la fatica,
sembrava ancora fresco come una rosa, rimanendo fermo immobile in attesa del
prossimo attacco.
«La tua forza è
limitata.» disse dopo averlo messo al tappeto «Sei solo un decimo di quello che
potresti realmente essere.»
«Lo… lo so…»
rispose Keita cercando di rialzarsi «Ma… per quanto io
ci provi… non riesco ad andare oltre.
Forse… forse non
mi sono allenato a sufficienza.»
«Non è questione
di allenamento.» disse Takeru quasi parlando tra sé «Hai paura».
Keita, sorpreso,
si girò a guardarlo, senza riuscire a trovare però un argomento con cui
rispondere.
«Hai
superato alcune delle tue ansie, ma la paura c’è ancora, anche se ti sforzi di
pensare di essertene liberato. Fino a che avrai paura, non sarai mai forte.
Questa è la verità.
E se non riesci a
liberarti della paura, allora è meglio che lasci perdere. Una spada non si
lascia impugnare da un codardo».
Erano parole
durissime, cariche di rimprovero, ma Keita non
riusciva a non pensare che dopotutto Takeru aveva ragione; andando avanti di
questo passo non sarebbe giunto a nulla, era necessario liberarsi delle paure
una volta per sempre e sfoderare gli artigli.
Contemporaneamente, alcuni piani più in alto, Toshio si rigirava
nervosamente nel letto, incapace ormai di contenere quel senso di frustrazione
dettato da un così lungo periodo di forzata inattività.
Alla fine, per non
scoppiare, decise, per la prima volta, di infrangere un ordine, quello che Izumi aveva lasciato prima di andarsene, e aperta la porta
uscì all’esterno, cominciando a camminare senza meta per i corridoi del
castello.
D’un tratto, mentre
stava transitando per il secondo piano dell’ala ovest, alle sue orecchie giunse
il suono di un pianoforte, così armonioso e così suadente che non riuscì a fare
a meno di rimanere per molti minuti immobile ad
ascoltarlo.
Aveva sentito
molte volte il re Akunator suonare il pianoforte che
custodiva nella sua stanza da letto, in assoluto il suo passatempo preferito,
ma le esibizioni del padre non erano neppure da paragonare all’apoteosi
musicale che una mano misteriosa stava eseguendo in quel momento.
Era una melodia assolutamente stupenda, carica
di sentimenti positivi, quali la vitalità, la spensieratezza e la purezza, ma
leggermente velata da un sottile alone di mistero, di cose non dette, di realtà
difficili da esternare.
Seguendo
l’invisibile sentiero tracciato dalle note Toshio
raggiunse quella che doveva essere una sala da tè, e aperta la porta trovò
Nadeshiko seduta davanti ad un bel pianoforte a coda; teneva gli occhi chiusi,
sorrideva, e le sue dita scorrevano sui tasti con una scioltezza e un’armonia
senza pari, degne di una grande artista.
Il ragazzo non fu
in grado di spiccicare neanche una parola, e rimase immobile come una statua
davanti all’ingresso; per nulla al mondo voleva turbare la magia di quel
momento. E poi, guardando Nadeshiko, non riusciva a non pensare quanto fosse
bella, candida e sfuggente come una ninfa ma, sotto quel suo viso così dolce,
determinata e combattiva come una tigre.
Sentiva che quella
ragazza gli ricordava qualcuno, ma per quanto si sforzasse di pensarci non riusciva proprio a capire di chi poteva
trattarsi.
Quando la musica
finì Toshio provò quasi un senso di rabbia e fastidio nel sentirsi privato di
un suono tanto armonioso, e appena Nadeshiko alzò gli occhi verso di lui il
cuore prese a battergli a mille.
«Toshio!?» esclamò come se non si aspettasse di vederlo
«S… scusami…»
rispose lui balbettando e sudando freddo «Io… ho sentito la musica, e…»
«Sì, beh… cercavo
un posto dove studiare, e sono capitata qui. Vedendo
il pianoforte non ho resistito.»
«Sì… ca… capisco.»
«Ti prego.» disse
la ragazza giungendo le mani e facendogli l’occhiolino «Non
dirlo agli altri. Se la maestra scopre che invece di studiare mi sono messa a
suonare, sai che ramanzina».
Toshio si avvicinò
al piano, a cui Nadeshiko era ancora seduta.
«Tu… suoni molto
bene.»
«Davvero?
Ti ringrazio.»
«Dove hai imparato
a suonare così?»
«Mi
ha insegnato mia madre. Sognava di frequentare un conservatorio qui in Europa,
ma le sue condizioni economiche non glielo permettevano.
Ha trasmesso la
sua abilità sia a me che a mia sorella, e ci ha
insegnato a suonare fin da quando eravamo piccole.»
«E questa musica?»
«L’ho
creata io. Mamma dice che ogni persona ha una melodia tutta sua racchiusa nel
cuore, e che questa è come uno specchio che riflette la nostra anima.»
«Anche
mio padre diceva qualcosa di simile. Secondo lui la musica che si porta dentro
può essere esternata da chiunque, anche da chi non si è mai seduto ad un pianoforte o non ha mai accarezzato una corda.»
«E
tu Toshio? Sei capace di suonare?»
«Io?
Certo che no. Mio padre ha cercato di insegnarmi qualcosa, ma non ha
attecchito. Evidentemente non sono tagliato per queste cose».
Nadeshiko lo
guardò un momento, sorridendogli, poi si spostò sul lato sinistro del divanetto,
lasciandone libera una buona parte.
«Non ti dispiace
se mi fai sentire qualcosa?».
Toshio sgranò gli
occhi, incredulo.
«Cosa!? Io!?»
«Mi
piacerebbe ascoltare la melodia che porti nell’anima. Sono sicura che è davvero bellissima.»
«Ma… ma io… non so suonare…»
«Tuo
padre non diceva che la musica dell’anima può essere esternata da chiunque?
Vedrai, una volta che le dita cominceranno a muoversi, il resto verrà da sé.
L’esperienza e il talento, in questo caso, non contano nulla».
Toshio era nervoso
come non ricordava di essere mai stato.
Perché? Perché la
sola vicinanza di quella ragazza conosciuta da pochissimo tempo era più che
sufficiente a devastargli l’anima?
Quando le era vicino non riusciva a pensare, né ad agire
razionalmente, come invece era solito fare di fronte a situazioni nuove e
impreviste. Senza sapere come né perché si ritrovò seduto accanto a lei, con il
cuore che ormai minacciava di uscirgli dal petto, il fiato corto e la fronte
sudata.
Le sue dita,
poggiate sui tasti, tremavano, e non sembrava per niente in grado di comporre
una musica di qualunque tipo. Poi, d’un tratto, vide le mani di Nadeshiko
sovrapposte alle sue, ma invece che agitarlo ancora di
più quel tocco ebbe per lui l’effetto di un tranquillante.
«Non essere teso.»
gli disse sussurrando «Rilassati, e spegni la mente.
Deve essere l’anima ad agire per te».
L’anima;
una parola così banale, secondo il suo metro di giudizio. Una cosa
impossibile da vedere e da studiare, ma nella quale molti credevano cecamente.
Lui non sapeva se
crederci o meno, e anche se suo padre e Andersen
chiamavano anima la fonte di potere che permetteva agli uomini di usare la
magia non era mai riuscito ad attribuirle quella parvenza di spiritualità e
misticismo propria di quasi tutte le religioni del mondo.
Ciò nonostante,
obbedendo al suggerimento di Nadeshiko, Toshio cercò di annullare il più
possibile l’influenza che la sua mente esercitava su
di lui, fino a che questa non parve spegnersi completamente, lasciandosi dietro
nulla più che un corpo vuoto.
Eppure, dopo poco,
le dita di questo corpo presumibilmente vuoto, liberate
di ogni tremore, cominciarono a danzare armoniosamente sui tasti del
pianoforte, che Toshio oltretutto non poteva vedere, avendo gli occhi chiusi, e
quello che dapprima era cominciato come un insieme confuso di suoni divenne a
sua volta una piacevole melodia.
http://www.youtube.com/watch?v=Zkxw1XW6Zdg
Per lungo tempo Nadeshiko non riuscì a fare altro che
ascoltare quelle note così profonde; mai si sarebbe detto che una simile
melodia provenisse da un dilettante.
La musica che veniva prodotta da quel pianoforte, come le parole
silenziose di una poesia, era completamente diversa dalla sua, ma non per
questo meno affascinante.
Chiunque, ascoltandola,
avrebbe potuto sentile i mormorii sommessi di un animo fiero, pieno di ardore,
ma tormentato da un senso di angoscia e di smarrimento, come un uomo solo che
cammina per la foresta in una notte senza luna. La malinconia era il sentimento
predominante, ma c’era anche tanto orgoglio, tanta voglia di emergere.
Nadeshiko aveva
imparato da sua madre ad interpretare la musica
dell’anima, e per lei le note non avevano segreti, quindi non le fu difficile
immaginare lo spirito del suo nuovo amico come un’intricata distesa di fronde
insondabili, ma dal cui profondo si vedeva giungere una scintilla di luce
splendente come il sole.
Quel momento
magico sembrava destinato a durare tutta la notte, se non che,
nell’istante esatto in cui la musica ebbe fine Toshio, tornato completamente in
sé, balzò in piedi come colpito da un fulmine.
«Toshio.
Che succede?» domandò Nadeshiko, il cui ciondolo aveva brillato leggermente un
attimo prima che Toshio si alzasse
«Sta arrivando
qualcosa.» disse, e senza pensarci ulteriormente prese la porta, seguito in
breve dalla ragazza.
Insieme, i due
raggiunsero la porta d’ingresso del castello, dove furono raggiunti quasi
subito da Keita, Shinji e Takeru; dopo poco arrivarono anche Aria e Lotte, che
presero subito forma umana.
«L’avete percepito
anche voi?» domandò Aria
«Impossibile non
riuscirci.» rispose Shinji «Questa energia è fetida
come poche».
Uno strano e
inquietante rumore di passi proveniente dall’esterno, unito ad
una serie di lamenti agghiaccianti, degni di un film dell’orrore, lasciò
presagire l’avvicinarsi non di uno, ma di numerosi nuovi nemici.
«Lì fuori c’è
qualcosa.» disse Takeru sollevando il fodero contenente la sua spada
«E allora che si
fa?» domandò Shinji con l’aria di chi sa già la risposta.
Lui e gli altri si scambiarono una rapida
occhiata, quindi, tutti insieme, aprirono i battenti,
uscendo nella grande spianata antistante al castello dalla quale si dominava
tutta la valle e trovandosi immediatamente di fronte ad uno spettacolo da
voltastomaco.
L’intera zona
traboccava di creature mostruose, uomini e donne orrendamente mutilati che
camminavano trascinando i piedi ed emettendo quei lamenti sinistri; i vestiti
che indossavano eranocompletamente
lacerati, e in più punti dei loro corpi pallidi apparivano spaventose ferite,
come se intere parti fossero state mangiate via a forza, soprattutto nella zona
del collo e delle spalle.
«E questi che cosa
sono?» chiese Nadeshiko mentre tutti facevano cerchio attorno a lei
«Sembrano zombi.»
rispose Keita
«Non sembrano, lo
sono.» disse Lotte
«Zombi!?».
Uno di loro,
quello più vicino, tentò di aggredire Takeru, ma questi senza alcun problema sguainò la spada e gli mozzò la testa, lasciandolo morto una
volta per tutte.
«Temo sia un altro
regalino da parte di Seth.» disse Aria
«Quel maledetto!»
imprecò Toshio mentre in mano gli compariva la sua spada d’oro «Come ha
scoperto l’esistenza di questo posto?».
Gli zombi, che
arrivavano senza sosta dal sentiero che portava a fondovalle, cominciarono ad
avvicinarsi, e allora tutti si misero in posizione di guardia.
«Come si può
uccidere qualcosa che è già morto?» domandò Keita
«Devi fare come
nei film.» rispose Aria «Staccagli la testa o
distruggigli il cervello. Questo li fermerà. Tutto il resto è una perdita di
tempo. E state attenti, le ferite che provocano sono velenose.»
«Nadeshiko, tu
resta dietro di noi.» disse Keita
«Ma… voglio
combattere anch’io.» protestò la ragazza «Ho imparato un po’ di magia, e…»
«Avrai
la tua occasione, ma non adesso. Non posso permettere che ti succeda qualcosa.»
«Keita…».
I mostri intanto
continuavano ad avvicinarsi, e al comando di Toshio i ragazzi partirono
all’attacco in tutte le direzioni, mentre Aria e Lotte rimanevano a proteggere
Nadeshiko. Il primo assalto ebbe esito positivo, contribuendo a far allontanare
gli zombi, ma come aveva detto Aria quegli esseri erano estremamente
coriacei; a meno di non decapitarli o fracassargli la testa, ogni attacco si
rivelava completamente inutile.
Toshio e Takeru
non avevano problemi, potendo contare sulle loro spade, Shinji invece faceva
affidamento sull’agilità e sulla potenza dei suoi calci, forti abbastanza da
frantumare la colonna vertebrale alla base del collo, il che era comunque
sufficiente per uccidere gli aggressori.
Keita, invece,
incontrava le solite difficoltà, e tutto quello che poteva fare
era lanciare delle piccole sfere magiche che però, troppo deboli per perforare
o frantumare le teste, non sortivano alcun effetto, e la cosa, naturalmente, lo
avviliva in modo indicibile.
Nello stesso
momento Aria e Lotte, ancora impegnate nel loro ruolo di difensori, vennero distratte da un improvviso attacco di massa nella
loro direzione, lasciando Nadeshiko pericolosamente scoperta; improvvisamente
la ragazza, giratasi per cercare Toshio, si ritrovò faccia a faccia con uno
zombi, e per la paura saltò all’indietro, trovandosi seduta per terra con quel
mostro che la sovrastava, pronto ad assalirla.
Terrorizzata
gridò, coprendosi gli occhi con un braccio, ma all’ultimo istante Toshio arrivò
addosso al nemico e lo decapitò di netto, rendendolo inoffensivo.
«Stai bene?»
«Io…» disse lei
con le gote rosse d’imbarazzo «Sì… grazie…».
Keita, assistendo
alla scena, sentì un colpo al cuore; da una parte era contento che la sua amica
fosse in salvo, dall’altra però avvertiva un senso di rabbia
e di frustrazione sconfinati, ben maggiori alle altre volte. Se non
fosse stato per Toshio, Nadeshiko molto probabilmente non avrebbe avuto scampo:
sarebbe morta davanti ai suoi occhi, senza che lui avesse potuto fare nulla per
cercare di salvarla, e questo, per la prima volta, lo faceva infuriare.
Basta!
Non voleva più
esitare. Non voleva più avere paura.
Aveva conosciuto
Nadeshiko alle elementari, e dal giorno in cui lei lo aveva difeso da un gruppo di bulletti aveva giurato a sé stesso che avrebbe
fatto l’impossibile per ricambiarle il favore, proteggendola in qualunque
circostanza con tutte le sue forze.
Forse la loro
amicizia col tempo era divenuta qualcosa di più profondo, almeno per lui, ma se
davvero era così proteggerla e vegliare su di lei smetteva di essere una scelta
e diventava un obbligo.
Keita, ora lo
sentiva veramente, voleva fare la differenza, e non avrebbe mai più avuto
paura.
Mai più!
Determinato e senza più nulla a tenerlo a freno, il ragazzino diede libero
sfogo al suo potere, il circolo magico gli comparve sotto i piedi e la spada
che aveva impugnato per la prima e unica volta in quella piazzetta a Venezia si
materializzò nuovamente tra le sue mani, ma a differenza di una volta ciò era
accaduto perché era stato lui a volerlo, e ora sentiva di averne il controllo.
Shinji e gli altri
assistettero sorpresi a questa sua trasformazione, e quando lo vide scagliarsi
contro un manipolo di zombi facendone scempio Toshio non riuscì a fare a meno
di pensare che davvero quel ragazzo aveva un potere
immenso dentro di sé, un potere che ora era finalmente nelle sue mani.
“Lo sento.” pensò
Keita dopo essersi liberato dei nemici che lo intralciavano “Ora lo controllo. Ora ne sono padrone”.
Purtroppo la
venuta provvidenziale del ritrovato Keita non fu sufficiente a far prevalere
lui e gli altri, perché gli zombi non sembravano determinati a calare di
numero; come se non bastasse, i nemici che arrivavano a sostituire quelli morti
sembravano dotati di un intelletto superiore, abbastanza da potersi spostare ad una velocità un po’ maggiore e ad agire con maggiore
collaborazione, come tanti pezzi degli scacchi mossi dalla mano invisibile di
un ottimo stratega.
«Così non va’.» disse Aria trovandosi schiena a schiena con tutti i
suoi compagni «Continuano ad arrivarne altri.»
«Non abbiamo scelta.» disse Toshio «Forza, torniamo dentro».
Prima che lui e
gli altri potessero riuscire a rientrare, però, il portone si chiuse da solo,
come animato da una forza sconosciuta, intrappolando i ragazzi all’esterno,
alla mercé dei nemici, che cominciarono a stringere sempre più il cerchio
attorno a loro.
Poi,
all’improvviso, quando uno di loro stava per scagliarsi su Keita, sì udì il
rumore di uno sparo, e il corpo dello zombi, trafitto alla schiena, divenne un
mucchietto di cenere, in mezzo alla quale si intravvedeva
quello che sembrava un bossolo dorato.
«Ma cosa…» disse Lotte.
Increduli, i sette
amici alzarono lo sguardo, scorgendo, in piedi davanti al parapetto che dava
sulla valle, la maestra Izumi; stringeva in mano una
pistola automatica di grandi dimensioni, apparentemente d’argento, dalla quale
usciva un rivolo di fumo; l’impugnatura era foderata d’avorio, e quasi al
centro vi era un’incisione rosso sangue a forma di rosa.
«Izumi!?» disse Shinji.
Lei aggrottò ancor
più le sopracciglia, facendosi serissima, mentre gli zombi lasciavano
perdere i ragazzi per concentrarsi su di lei.
«Non permetterò a
voi immonde creature di infangare questo suolo sacro!».
La donna a quel
punto sparò un nuovo colpo che, brillando come una meteora di una forte luce
rossa, passò in mezzo ai nemici, e tutti quelli che si trovavano nelle
vicinanze della sua traiettoria vennero
istantaneamente inceneriti senza venire neppure sfiorati.
“Munizioni magiche!?” pensò Toshio
«Proiettili di
argento a punta cava rivestiti di silicio, riempiti
con l’essenza dei fiori sacri che crescono sulle montagne dell’Himalaya e
imbottiti di energia magica compressa. Questa è Bloody
Rose, e io sono Izumi, l’ammazza-demoni!».
Il potere di
quella pistola era tale che in pochi secondi tutti gli zombi finirono
in cenere, e al termine della battaglia anche i resti putrescenti dei nemici
uccisi da Keita e gli altri subirono la stessa sorte, probabilmente perché il
loro ignoto creatore aveva cessato di infondere loro la propria energia.
Nella valle tornò
così a regnare il silenzio.
Izumi si avvicinò a Keita, che assieme a tutti gli altri si
aspettava una lavata di capo per non essere stato in grado di tenere testa al
nemico; invece, dopo qualche secondo, la donna gli
sorrise compiaciuta.
«Alla fine, hai
smesso di avere paura».
Il ragazzo,
dapprima incredulo, fece un cenno di assenso, e per suo stesso volere la spada
che stringeva ancora in mano scomparve in un
pulviscolo dorato.
«I
miei complimenti. Hai dimostrato di saperci fare.»
«Ad ogni modo,
come ha fatto Seth a scoprire l’esistenza di questo posto?» domandò Toshio «Neppure
i re delle sette tribù sanno esattamente dove si
trovi».
In quell’istante
una maestosa lince comparve dall’alto dinnanzi al
gruppo dopo essere saltata giù dal tetto e aver seguito una serie di balzi
impressionanti da un appoggio all’altro per attutire la caduta; fra le zanne
teneva il corpo ormai morto da una civetta, e unendo il colore marroncino del
suo mantello allo sguardo ambrato penetrante come un coltello i ragazzi
capirono subito che si trattava di Nagisa.
Izumi, senza paura, si avvicinò al suo famiglio e recuperò
il volatile, prendendo ad ispezionarlo e mostrando
agli altri dopo poco lo stesso simbolo che avevano i soldati di Seth comparsi a
Venezia, impresso a fuoco sotto l’ala sinistra.
«Ecco come ci è
riuscito.» disse Takeru
«Ha usato questa
civetta come sua spia, e da che avete lasciato Venezia scommetto che non ha mai
smesso di tenervi d’occhio.»
«Allora, è stata
colpa nostra.» disse sconsolata Nadeshiko
«Ne parleremo
dopo, ora rientriamo».
Non appena tutti
furono rientrati nel castello Izumi
lo circondò immediatamente con una barriera abbastanza resistente da poter
respingere, almeno per un po’, qualsiasi ulteriore tentativo di assalto, quindi
lei e gli altri si concedettero una tazza di tè davanti al fuoco del camino del
grande salone al pianterreno.
«La tua arma è
davvero potente.» disse Shinji volgendo il suo sguardo verso la pistola di Izumi, appoggiata sul tavolino
«Avevo sentito
dire da mio padre che fra i Cacciatori ce n’era uno che faceva uso di una
pistola caricata con munizioni magiche.» disse Toshio «Di certo
però non mi aspettavo che questo misterioso cacciatore fossi proprio tu.
Ora capisco perché ti chiamano l’ammazza-demoni.»
«Che cosa sono i
cacciatori?» chiese Keita.
Toshio preferì
lasciare la risposta a Izumi, che rinfoderata la
pistola nella cintura ascellare iniziò a parlare.
«Difendere questo
mondo da Seth e far svolgere il torneo non sono i soli compiti di cui le sette
tribù e altri sono state chiamate a farsi carico.
Come vi ho già
detto parecchie volte, gli spiriti non solo degli uomini, ma di tutti gli
esseri viventi poggiano su un delicato equilibrio di forze contrapposte. In
circostanze normali l’equilibrio si mantiene da sé, ma quando esso viene meno,
portando al prevalere di una forza su tutte le altre, la vittima subisce una
trasformazione sia nel corpo che nello spirito,
trasformandosi in un demone.»
«Un demone!?» ripeté Nadeshiko
«Privati
di qualsiasi capacità di ragionamento, i demoni agiscono a livello puramente
istintivo; guidati unicamente dalla fame sia di carne sia di potere magico,
attaccano e uccidono qualsiasi cosa viva gli si pari davanti.
Fin dai tempi più
antichi i demoni hanno rappresentato una costante minaccia alla vita di questo
mondo, perciò le sette tribù, in accordo fra di loro,
hanno istituito molto tempo fa una speciale forza di sacerdoti-guerrieri che si
assumesse il compito di dar loro la caccia in tutti gli angoli del globo. I
Cacciatori.»
«Ora capisco.»
disse Shinji «E quanti siete esattamente?»
«Più o meno ventimila. I Cacciatori agiscono in modo
indipendente dalle tribù. Questo evita che il nostro ordine si trasformi in un
esercito di sicari da usare a piacimento nel caso di una guerra intestina.
Questo castello è
solo una delle tante sedi che il nostro ordine possiede in giro per il mondo.»
«Ma cosa porta
alla nascita di un demone?» domandò Nadeshiko
«L’equilibrio su
cui poggiano gli spiriti dei viventi è precario, e i fattori che possono
portarlo a dissolversi sono molteplici; incidenti, gravi traumi, dolori ancestrali che covano dentro fino ad esplodere. A volte non
c’è una spiegazione precisa, succede e basta.
Altre volte,
invece, gli squilibri vengono provocati
deliberatamente da qualcuno, e se questo qualcuno è dotato di un potere magico
particolarmente forte può usarlo per nutrire i demoni da lui stesso creati, che
da bestie scatenate si trasformano in schiavi fedeli, completamente asserviti
alla volontà di chi permette loro di vivere.»
«Un po’ come i
famigli, insomma.» disse Takeru
«Non osare
paragonarci a quei mostri!» esclamò Lotte con falso risentimento «Noi non siamo
così.»
«I famigli
mantengono un certo livello di indipendenza.» rispose
Toshio «Hanno bisogno di qualcuno che trasmetta loro energia per vivere, è
vero, ma se il loro padrone possiede il giusto livello di conoscenza può
recidere il filo che li lega insieme e rendere completi i loro spiriti,
permettendogli di vivere autonomamente. E comunque il procedimento per dar loro
un corpo e una mentalità umani è molto diverso, e ben
più complicato.»
«Gli
esseri che avete visto prima, gli zombi, sono i demoni più facili da creare.
Per crearli è sufficiente che una qualsiasi persona dotata di poteri magici
instilli parte del suo potere in un corpo morto o morente, e questi riprenderà
subito vita.»
«Sembra un
incubo.» disse Keita
«Noi Cacciatori
combattiamo queste creature da tempo immemorabile.»
disse Izumi «E grazie agli agganci che tanto noi
quanto le sette tribù possediamo nei governi e nei vertici militari dei maggiori
Paesi del mondo possiamo compiere la nostra missione rimanendo nell’ombra.»
«E la tua
pistola?» chiese Shinji
«Me
la sono fatta costruire su misura da un mio amico ingegnere. Non è molto
diversa da una pistola comune, ma è stata modificata per
poter sopportare la potenza e la capacità distruttiva delle pallottole
magiche.»
«A proposito.»
intervenne nuovamente Toshio «Ora che mi viene in
mente, anche il tuo pendente è curioso. Non ho mai visto nulla di simile».
Izumi prese in mano il monile che aveva al collo,
stringendolo forte.
«Non
so molto su questo. Appartiene alla mia famiglia da generazioni. Quello che so
è che possiede un potere magico di vaste proporzioni, ma proprio per via della
sua grande potenza evito di servirmene se non in casi di estrema necessità.»
«Sembra
intelligente.» disse Nadeshiko
«Non
so se la sua si possa realmente definire intelligenza. Onestamente anche a me
piacerebbe sapere qualcosa di più sul suo conto, ma finora non sono riuscita a
scoprire granché.»
«Capisco.» disse
Toshio
«Ora
però basta parlare. È già tardi, e dopo quello che è
accaduto stasera aspettatevi allenamenti ancora più ardui. A letto, subito».
Nonostante la rinomata reputazione di nobili autoritari ma
giusti, avvezzi a premiare piuttosto che a punire, i Von Karma nei tempi
passati non certo stati esenti da alcune pratiche che per la mentalità moderna
potevano essere considerate “discutibili”, e fra le altre cose il castello in
Baviera disponeva di un angusto sotterraneo con due
celle e una camera di tortura in cui erano ancora conservati i ferri del
mestiere, alcuni dei quali vecchi di quasi mille anni.
Chi nel corso dei
secoli era finito lì sotto raramente ne era uscito, e visto lo spessore delle
pareti e l’ottimo isolamento acustico era praticamente
impossibile per qualcuno che veniva rinchiuso in quell’intricato sistema di
corridoi semibui far sentire la propria voce, per quanto forte potesse gridare.
Da molto tempo non
ci scendeva più nessuno, anche perché tra la servitù correva spesso la voce che
quei sotterranei pullulassero di fantasmi, ma da qualche tempo, da quando il
lucchetto dell’unica porta che permetteva di scendere di sotto era stato
rimosso, le urla strazianti avevano ricominciato ad
echeggiare, più forti e terrificanti che mai.
Seduto per terra in una delle celle, con le
mani legate dietro la schiena e un bastone di legno infilato in bocca per
impedirgli di parlare, un poveraccio vestito da impiegato osservava pieno di
terrore il demonio dal capelli lunghi che lo osservava
con gli occhi che scintillavano di rosso dopo aver dilaniato come un leone gli
altri prigionieri, mangiandone intere parti e riempiendo il pavimento di
sangue, interiora e cadaveri mezzi squartati.
Erano tutte
persone semplici, uomini e donne dei villaggi vicini, rapiti in strada poco
dopo il tramonto e risvegliatisi in quella specie di inferno
dove, uno dopo l’altro, erano andati incontro ad una morte prematura.
Alcuni di loro,
dopo essere stati uccisi e mezzi mangiati, si erano addirittura rialzati in
piedi, animati da una nuova vita e resi simili a degli zombi, e che ad un comando di quel mostro erano scomparsi nel nulla,
inghiottiti da strani vortici neri.
Thanatos,
con la bocca ancora sporca di sangue, osservava sadicamente l’ultimo della
lista leccandosi le labbra, quando d’un tratto la porta alle sue spalle si aprì
cigolando e nella stanza entrò suo fratello, Hypnos, il quale, pur camminando
senza riserve in mezzo a tutto quell’orrore, sembrava provare un certo ribrezzo
nel trovarselo di fronte.
«La spedizione al
castello non era stata autorizzata.» disse con la severità propria di un
fratello maggiore.
Lei, però, invece
che mostrarsi dispiaciuta, sorrise quasi con divertimento.
«Quanto
sei fiscale. Ho voluto prendere l’iniziativa.» disse,
e subito saltò letteralmente addosso al prigioniero, azzannandogli il collo.
Lo sventurato
quasi si ruppe i denti per tentare di gridare, ma i suoi lamenti e i violenti
spasmi non durarono che pochi secondi, e allora Thanatos
poté proseguire senza problemi col proprio pasto.
«Hai agito senza
il permesso di Seth-Sama.» disse Hypnos
apparentemente impassibile «Aspettati una severa punizione da parte sua».
In pochi secondi
l’umano venne consumato di tutto il suo sangue, e
allora Thanatos, rialzatasi in piedi, finalmente si girò a guardare il
fratello, con le zanne e le labbra ancora sporche di rosso.
«L’attacco in fin
dei conti è stato un fallimento.» si giustificò pulendosi con una mano «Nessuno
è morto, nessuno è rimasto ferito, perciò nulla è cambiato.»
«È cambiato il fatto che hanno scoperto di essere spiati. Da
adesso in poi sarà molto più difficile seguire le loro mosse.»
«Se
devo essere franca, questo non è un mio problema. Prima ci sbarazziamo di quei
mocciosi e degli altri concorrenti meglio è, e in
tutta onestà trovo questo continuo temporeggiare di Seth alquanto seccante.»
«Stai
attenta a come parli. Ricordati che è sempre il nostro capo.»
«Tranquillo,
non l’ho dimenticato. Ma ho atteso migliaia di anni chiusa in quel libro, non
puoi rimproverarmi se dopo tanto tempo io voglia dare libero sfogo alla mia
voglia di vendetta.»
«Non se questo va’ contro gli ordini».
All’improvviso,
Johan comparve quasi per magia davanti all’ingresso della cella, accompagnato
da Seline, e tra i due fratelli calò il più assoluto
silenzio; il ragazzo gettò lo sguardo sullo spettacolo di morte che regnava lì
dentro, quindi, fatto qualche passo avanti, rimase un attimo immobile a fissare
Yuuki.
Lei distolse lo
sguardo, incapace di reggere il suo, ma appena Johan sollevò il braccio lei
sentì come una mano invisibile serrarle la gola, togliendole il respiro e
sollevandola in aria di parecchi centimetri.
Thanatos
cercò di gridare, di divincolarsi, ma riusciva solo a ferirsi il collo con le
proprie unghie, e intanto Hypnos non faceva alcun tentativo per difenderla,
rimanendo immobile e senza espressione ad osservare la scena; quando le sue
labbra cominciarono a diventarle blu venne finalmente lasciata libera, e caduta
in ginocchio prese a respirare furiosamente per cercare di recuperare un po’
d’aria.
«Da ora in poi non sarò più disposto a tollerare iniziative
personali.
Spero di essermi
spiegato».
La ragazza, con la
voce roca di una vecchia, rispose che il messaggio era stato recepito,
ma non ci pensò neppure a fulminare Johan con l’occhiata di sangue che avrebbe
riservato a chiunque altro avesse tenuto con lei un simile comportamento.
«Seline.»
«Sì, mio signore.»
«Raggiungi
Parigi, e metti alla prova quel ragazzo del Clan Yoshida.
Voglio scoprire le sue reali potenzialità.»
«Fino a che punto
posso spingermi?»
«Se non sarà
all’altezza della prova, uccidilo pure.»
«Come desideri.»
rispose il famiglio, che subito scomparve all’interno del proprio circolo
magico, di colore giallo brillante.
Nota dell’Autore
Eccomi qua!
Chiedo scusa per il
ritardo, ma come ho detto l’ultima volta con l’inizio dell’università
il tempo a mia disposizione è drasticamente diminuito, e dovendo anche studiare
ho dovuto organizzare al meglio le poche ore a mia disposizione per fare tutto.
Ad ogni modo questo
capitolo mi è piaciuto, e ne sono molto soddisfatto.
Grazie come al solito a Selly, Beat, Cleo e Levsky
Ormai mancava
davvero poco al momento della partenza.
In quegli ultimi
tre giorni Tadaki aveva cercato di stancarsi il meno possibile, in modo da
essere preparato al meglio per affrontare quello che sarebbe stato senza ombra
di dubbio uno degli incontri più impegnativi di tutto il torneo.
Atarus non era un
avversario da sottovalutare, e non vi erano dubbi sul fatto che sarebbe ricorso
a qualsiasi tipo di gioco sporco pur di assicurarsi la vittoria; per lui
contava solamente essere il numero uno, e come otteneva questo scopo non aveva
la minima importanza.
Non volendo far
preoccupare sua sorella non aveva detto niente a Kazumi dello sfida che lo
attendeva, e quella sera a cena, giusto per stare tranquillo, non visto aveva
sciolto nel suo bicchiere un potente sonnifero che l’aveva fatta cadere
addormentata nel giro di un’ora.
Tadaki si vestì e
si preparò come se stesse recandosi a combattere la sua ultima sfida, ma non
gliene si poteva fare un torto; appena Kazumi fu completamente assopita, nella
stanza buia comparve anche Touka.
«Master. Ti prego,
portami con te.»
«Non posso farti
combattere, Touka. Sei già stata sconfitta in un incontro regolare, se ti
facessi scendere ancora in campo sarebbe una violazione del regolamento.»
«Ti prometto sul
mio onore che non cercherò in alcun modo di intromettermi. Voglio essere al tuo
fianco fino alla fine del torneo».
Il ragazzo si
fermò, indeciso sul da farsi; sembrava quasi che stesse prendendo la cosa in
considerazione, quando una strana sensazione, come un presagio di pericolo,
fece scattare in allarme sia lui che il suo famiglio.
«Lo hai sentito
anche tu?»
«Sì, Master.
Questa energia può appartenere solamente a Seth.»
«Mi sembra strano
che Seth agisca di persona. I suoi poteri si stanno ancora stabilizzando, per
lui sarebbe troppo rischioso muoversi così presto.»
«Che cosa
facciamo?»
«C’è bisogno di
chiederlo?» domandò Tadaki infilando uno dei suoi due pugnali nel fodero alla
base della schiena.
Pochi secondi
dopo, Tadaki, sfruttando la sua grande agilità di ninja, saltava fra un tetto e
l’altro sui cieli di Parigi, seguendo l’emanazione spirituale che era certo
appartenere al nemico che, in caso di vittoria nel torneo, sarebbe stato
chiamato ad affrontare e a sconfiggere.
Touka lo seguiva
in forma di falco volando pochi metri più in alto, e appena il ragazzo si fermò
sulla sommità di un tetto aguzzo aggrappandosi al parafulmine per cercare di individuare
meglio la posizione del nemico immediatamente gli si posò su di una spalla.
«Non lo percepisco
più. Forse se n’è andato.»
«No, Touka. È
ancora qui. Si nasconde».
E infatti, come un
fulmine a ciel sereno, Tadaki avvertì l’inconfondibile presenza della magia, e
dal cielo cadde una specie di meteora infuocata dritta sul tetto, mandandolo in
pezzi; il guerriero fece appena in tempo a saltare verso il basso, nella
piazzetta deserta antistante il palazzo, e subito dinnanzi a lui comparve una ragazza
con lunghi capelli neri, un abito bianco leggero e un paio di orecchie canine.
Appena scesa a
terra la ragazza gli si scagliò subito contro brandendo un bracciale di cuoio
al polso sinistro a cui erano assicurati due lunghi artigli ricurvi, ma Tadaki
si difese egregiamente intrappolando l’arma nemica fra i suoi due pugnali.
Ne seguì un breve
scontro di forza, al termine del quale i due avversari si separarono, e subito
dopo Touka si affiancò al suo padrone sfoderando la propria katana.
I tre si fissarono
di sottecchi per diversi secondi, sempre con la guardia alzata, poi la ragazza
abbassò la propria arma.
«Avverto il potere
di Seth dentro di te.» disse Tadaki «Chi sei? Sei forse il suo famiglio?»
«E se anche
fosse?»
«I famigli che già
in passato hanno servito Seth avevano tutt’altro aspetto. Il Minotauro della
mitologia greca e il lupo Fenrir delle leggende nordiche erano giocattoli
suoi.»
«Chi siano stati i
miei predecessori non ha importanza. Lui mi ha dato la possibilità di
combattere in suo nome, ed io lo farò senza esitazione?»
«Dimmi il tuo
nome!» sentenziò Touka con tono di ordine.
La ragazza la
guardò un momento.
«Ho due nomi.
Prima di assumere queste sembianze, mi chiamavano Uther.»
«Uther?» ripeté
Tadaki comprensibilmente sorpreso
«Quando sono stata
regalata al mio padrone ero appena nata; egli, credendo che fossi un maschio,
mi ha chiamata così, e quando hanno scoperto che in realtà ero una femmina io
mi ero affezionata a quel nome, così me lo ha lasciato.
Ma non potevo
certo combattere per il nobile Seth con un nome simile, così, dopo avermi
creata, me ne ha dato un altro. Seline.»
«Seline, eh?»
disse Tadaki «Molto bene, Seline. Immagino che tu sia qui per combattere.
Resterei
volentieri a misurarmi con te, ma sfortunatamente sono atteso altrove, quindi
sono costretto a rimandare la questione ad un altro momento.»
«Tu non andrai da
nessuna parte senza prima avermi affrontata!».
Seline fece per
aggredire nuovamente Tadaki ma Touka si mise in mezzo, e con un fendente
orizzontale obbligò l’avversaria a retrocedere.
«Master, mi occupo
io di lei! Voi andate!»
«Ma… Touka…»
«Questa ragazza ha
molto da imparare su cosa significhi essere un famiglio. Voglio insegnarglielo
io.»
«Amica mia....».
Lei allora si girò
a guardarlo; sembrava sorridere.
«E poi, ho
ricevuto l’incarico di proteggervi. Non temete, me la caverò.»
«Ma… dovrò
trasmetterti la mia energia per permetterti di combattere, e io…»
«Cercherò di fare
il prima possibile e di risparmiare le forze. Vi prego, ora andate».
Tadaki era
indeciso, non sapeva cosa fare, ma quando i rintocchi di un orologio in
lontananza scandirono le ore undici si decise a dare piena fiducia al suo famiglio,
e giratosi raggiunse con un salto il tetto dinnanzi a sé, scomparendo verso
nord.
«Restiamo solo
noi.» disse Touka appena i due famigli furono rimasti soli «Fatti avanti.»
«Ti pentirai di
esserti messa sulla mia strada.»
«Hai molto da
imparare, ragazzina. E ti avverto, la lezione non sarà piacevole!».
Detto questo,
Touka si lanciò all’attacco.
Il vecchio castello di Luigi XI sorgeva sulla sommità di
una collina rocciosa; ai tempi del sovrano era considerata quasi una residenza
di campagna, raggiungibile con due giorni di viaggio, ora invece si trovava a
non più di quindici chilometri dalla periferia di Parigi. Nonostante ciò non
era un luogo molto conosciuto, ed erano pochi gli itinerari turistici a
prenderlo in considerazione.
Dell’intera
struttura, infatti, non rimanevano che poche rovine, soprattutto quelle del
muro di cinta esterno, e su quell’ammasso di pietre e rocce dismesse svettava,
quasi intatta, la grande torre circolare centrale adibita ad alloggio del
sovrano.
Non vi erano né
recinti né sorveglianza né illuminazione, e durante la notte, alla luce delle
stelle, il castello assumeva un’aria molto spettrale, degna della più
terrificante delle storie di fantasmi.
E lo scenario che
trovò Tadaki al suo arrivo era, se possibile, ancor più terrificante; le rovine
intere, ma anche le rocce e i pochi alberi presenti, erano piene di corvi, che
coi loro sguardi terrifici non lo lasciavano un secondo, seguendolo senza sosta
mentre saliva il sentiero sassoso che raggiungeva la sommità della collina.
Dovevano essere
diverse centinaia, e in ognuno di essi Tadaki percepiva una parte del potere di
Atarus; si trattava di una tecnica antica, molto difficile da padroneggiare,
che permetteva di infondere una parte della propria magia in creature animali
da poter usare in battaglia a proprio piacimento; questi animali, privi della
coscienza e della complessità evolutiva dei famigli, potevano però trasformarsi
in armi micidiali, e Tadaki sapeva che probabilmente, nel corso del prossimo
incontro, avrebbe dovuto misurarsi anche con loro.
Il ragazzo
percorse, in silenzio e a testa bassa, per evitare di dover incrociare tutti
quegli sguardi malevoli, tutto il sentiero, e appena varcò quanto restava
dell’arco d’ingresso, ritrovandosi nel cortile interno, lo accolse una risata
sommessa e malevola.
«Un’ora di
ritardo.» disse Atarus, in piedi sopra la torre «Cominciavo a pensare che non
saresti più venuto.»
«Chiedo scusa, ho
avuto un po’ daffare.»
«Dovevi dire le
preghiere? Beh, in tal caso non te ne faccio una colpa, visto che probabilmente
non arriverai a domani.»
«Non esserne tanto
sicuro.» rispose Tadaki sfoderando i suoi pugnali.
Atarus allora
saltò giù dalla torre, e i due furono faccia a faccia.
«Allora, ti piace
l’ambientazione che ho scelto per la nostra sfida? Spero di sì, visto che
diventerà la tua tomba!».
Gli avversari
corsero gridando l’uno verso l’altro, e l’urto delle loro armi produsse un
baccano assordante che tuttavia non fu sufficiente per far scappare i corvi, i
quali rimanevano immobili ad osservare lo scontro come un esercito di giudici.
La tecnica di
Atarus, in uno spazio aperto come quello, poteva esprimere al massimo la
propria pericolosità, ma anche Tadaki si trovava a suo agio in un simile
ambiente, spostandosi in continuazione e lanciando di tanto in tanto tre o
quattro shuriken per volta, giusto per distrarre l’avversario e farlo
innervosire.
«Hai finito o no
di saltare come una cavalletta, codardo?» disse Atarus dopo che al suo ennesimo
affondo Tadaki aveva risposto scomparendo nel nulla
«L’impazienza non
è mai la compagna migliore se il tuo avversario è un ninja!» rispose il ragazzo
ricomparendo alle sue spalle.
Nonostante ciò,
tuttavia, Atarus non sembrava intenzionato ad inviperirsi o a perdere le
staffe; anzi, chiuse gli occhi e sorrise.
«E va’ bene, vorrà
dire che dovrò fare sul serio.» disse, e appena schioccò le dita tutti i corvi
si lanciarono in volo nello stesso momento, prendendo a volare in modo
disordinato in tutte le direzioni.
Tadaki se li vide
venire contro da ogni parte, e per qualche secondo cercò di disperderli
agitando il bastone, ma poi, appena commise l’errore di fermarsi, subito gli
piombarono addosso in grandissimo numero, ricoprendolo come un impenetrabile
barriera di piume taglienti, becchi appuntiti e artigli affilati.
Atarus, che tutto
sentiva meno il bisogno di intervenire, rimase immobile a godersi la scena,
sicuro che le sue bestiole avrebbero avuto ragione di Tadaki in pochissimo
tempo; invece, dopo pochi secondi, si udirono una serie di sibili in rapida
successione, accompagnati da strani lampi di luce provenienti dall’interno
della nuvola nera, e subito dopo i corvi furono come sparati via dal loro
obiettivo prima di cadere morti al suolo.
Tadaki ricomparve
da quel nugolo di piume quasi illeso, fatta eccezione per alcuni tagli sui
vestiti e qualche ferita superficiale, e allora i superstiti, spaventati,
tornarono ad appollaiarsi sulle rovine.
«Devo
riconoscerlo, ci sai fare.» disse Atarus senza eccessiva sorpresa
«Non sai batterti
senza un esercito di servetti a guardarti le spalle?» domandò Tadaki
togliendosi un po’ di piume di dosso
«Devi ammettere
che sono comodi. Non essendo classificabili come famigli, facendoli combattere al
mio fianco non commetto nessuna scorrettezza.»
«Tipico dei
McLoan, agire ai limiti dell’etica.»
«Sei un tipo
davvero irritante. Solo quel presuntuoso di uno spadaccino è stato capace di
farmi innervosire più di te.»
«Ho sentito che
Toshio è stato attaccato sulla strada per Zurigo. Per caso c’entri qualcosa?»
«Può darsi.»
«Lo immaginavo.
Sai quante persone hanno rischiato di perdere la vita per quel tuo giochetto?»
«E tu sai quanto
me ne importa?
Che siano dieci,
cento, o anche mille vite, sono nulla in confronto a quelle che Seth
distruggerebbe se si risvegliasse.»
«E sacrificando
persone innocenti credi forse di essere migliore di lui?»
«Tu pensa quello
che vuoi. Ma se vogliamo difendere questo mondo e i suoi ottusi abitanti non
possiamo permetterci il lusso di essere moralisti. Le uniche cose che contano
sono la forza e il potere che possiamo sfoggiare, ed è una realtà
incontestabile che più circoli magici si possiede, per quanto miseri e
insignificanti nel loro piccolo, più si diventa potenti.
Seth non si lascia
rabbonire tanto facilmente, tutti quelli che nei tornei passati sono prevalsi
sono stati quelli che avevano più innocenti sulla coscienza, lo sai tu e lo so
io.»
«I tempi
cambiano.»
«Ma non i costumi,
a dispetto di quanto si crede.
La verità è che
gli esseri umani sono degli ipocriti. Benché se vadano in giro a sbandierare
tolleranza e pace non possono rinunciare a farsi la guerra. Sono certo che se
venissero a sapere per cosa combattiamo non ci penserebbero due volte a scannarsi
l’un l’altro per dare a noi ciò di cui abbiamo bisogno per accrescere la nostra
forza».
Tadaki ascoltò
l’intero discorso senza battere ciglio, poi, con movenze lente e rassegnate,
come un automa, azionò un congegno segreto dei suoi pugnali che aumentò a
dismisura la lunghezza delle impugnature, fino a renderla il doppio di quella
delle lame.
«Forse hai ragione
tu.» disse unendo le impugnature alle estremità e formando un lunghissimo
bastone a doppia lama «Forse gli umani sono davvero degli ipocriti che non
meritano di essere difesi.
Ma se c’è una cosa
che la selezione naturale ci ha insegnato è che tutte le creature, prima o
dopo, migliorano con l’evoluzione, e l’essere umano non fa eccezione. Un giorno
o l’altro anche gli uomini impareranno a vivere secondo leggi più giuste, e se
pensi che l’obiettivo di noi partecipanti al torneo sia solo permettere loro di
continuare ad esistere allora ti sbagli di grosso.
Ciò che noi
facciamo, e ne sono profondamente convinto, è sì proteggerli, ma per dar loro
la possibilità di diventare migliori. Per questo io combatto.
E per questo non
accetterò mai di perdere contro uno come te!».
Il suo attacco
improvviso venne respinto da Atarus, che dopo un paio di scambi si allontanò,
materializzando il suo circolo magico.
«Sei uno stupido
idealista, proprio come Toshio. Adesso ti dimostrerò che gli ideali e i buoni
principi sono ben poca cosa in confronto al potere che si possiede».
Tadaki, sapendo
cosa il suo avversario aveva in mente, si mise in guardia, e non appena la
lancia di Atarus cominciò a risplendere lui prese a far girare vorticosamente
dinnanzi a sé la propria nuova arma.
STORMBRINGER
L’attacco si
rivelò molto più potente rispetto a quello che era stato usato contro Toshio;
infatti al primo affondo ne seguirono decine di altri, lanciati a velocità
incredibile, ognuno dei quali generava una scia di luce rossastra tagliente
come una lama affilata. Ciò nonostante, nessuno di essi risultò in grado di
eludere la solita difesa di Tadaki, che riuscì, seppur con qualche difficoltà,
ad avere la meglio, obbligando Atarus a desistere per mancanza di energie.
«Maledizione…».
Tadaki, passata la
minaccia, cessò di far roteare il suo bastone e tornò a fissare Atarus,
stavolta in modo sarcastico.
«Allora, Atarus? È
tutta qui la tua forza?» disse, e un istante dopo Atarus si ritrovò uno
shuriken conficcato nella spalla; il lanciere gridò per un attimo, un grido che
divenne prima un ringhio poi un ruggito rabbioso, e quando risollevò gli occhi
dopo essersi levato la lama dal corpo erano rossi di collera.
«Questa me la
paghi».
Nello stesso momento, a diversi chilometri di distanza,
Touka e Seline si stavano ancora battendo furiosamente tra di loro nella piazza
dove si erano incontrate.
Entrambe erano
guerriere di grande levatura, che facevano affidamento rispettivamente sulla
velocità e sull’agilità, e per questo nessuna delle due era ancora riuscita a
ferire l’altra.
Il livello dello
scontro era molto alto, e ad un certo punto si rese necessaria una pausa per
poter riprendere fiato.
«Sei brava, te lo
riconosco.» disse Touka sfiorando con le dita uno strappo nel suo abito da
lotta all’altezza del fianco destro «Si vede che ti ha generato qualcuno dotato
di grandi poteri.»
Seline quasi
sorrise al complimento, ma lo sguardo che si vide piantare addosso subito dopo
le tolse subito questo proposito.
«Tuttavia, non hai
la benché minima idea di cosa voglia dire essere un famiglio.»
«Di che stai
parlando? Noi famigli siamo creature create dagli uomini. Se non fosse stato
per loro saremmo ancora dei volgarissimi animali, dominati dall’istinto. Il mio
master mi ha dato la vita, e per questo io lo servirò in ogni suo desiderio.»
«È davvero questo
quello che pensi?» domandò Touka quasi con tristezza
«Cosa?»
«Essere un
famiglio significa molto di più che obbedire alla volontà della persona che ti
ha generato. Un famiglio porta dentro di sé una parte dello spirito del suo
creatore. Condivide con lui gioie e dolori; se noi subiamo una ferita, anche i
nostri master sentono dolore, e se loro muoiono moriamo anche noi.
Hai ragione quando
dici che un famiglio deve obbedire al suo master, ma ciò non è da considerarsi
un obbligo, bensì una scelta.»
«Una… scelta?»
«Come suo
famiglio, io posso avvertire distintamente la nobiltà e la generosità che
contraddistingue il mio master. Egli è una persona dal grande cuore, e io ho
piena fiducia in lui e nella missione che ha giurato di portare a termine, e
proprio per questo combattere per lui è per me motivo di grande gioia e onore.
Io non combatto al
fianco di Tadaki perché è il mio master, ma perché ho fiducia in lui, e se sarà
necessario sono pronta a dare la vita per permettergli di perseguire gli
obiettivi che si è prefissato.
Ora, rispondimi
sinceramente. Sei davvero convinta che i propositi di Seth siano tali da
meritare che tu sacrifichi la tua esistenza in loro nome?».
Seline, a quella
domanda, rimase completamente muta e completamente spiazzata; incapace di
rispondere, strinse i pugni e rivolse gli occhi a terra, e sembrava quasi che
stesse per scoppiare a piangere.
«Noi famigli non
saremmo mai in grado di aiutare e assistere i nostri master se prima non
dimostriamo di credere in loro. Tu combatti per Seth perché è il tuo padrone,
non perché condividi le sue idee. Non devi avere paura di rivoltarti contro di
lui, perché anche se dovesse privarti della sua energia ci sarebbe sicuramente
qualcun altro, qualcuno dall’animo nobile, al quale potresti legarti, e nel
servire il quale ti sentiresti davvero felice.»
«Sta zitta!».
Seline partì
all’attacco senza preavviso e con una furia incontrollabile, e Touka, che per
la prima volta in vita sua si era rilassata durante un combattimento, venne
colta in parte alla sprovvista, ricevendo una ferita alla spalla sinistra di
una certa gravità; contemporaneamente, anche Tadaki avvertì un dolore
lancinante in quello stesso punto, distraendosi e ritrovandosi esposto ad un
attacco di Atarus, che riuscì ad assestargli un colpo con l’asta della lancia
forte abbastanza da buttarlo a terra.
«Non tradirò mai
il mio master, per nessun motivo al mondo! Quelli come te, che sono cresciuti
nell’ozio e nella felicità, non possono capire quello che provano le altre
persone. Il mio master fin dalla nascita non ha conosciuto altro che dolore e
sofferenza. Se lo abbandonassi anche io, che cosa gli rimarrebbe?».
Touka, seppur a
malincuore, si preparò a riprendere lo scontro, ma inaspettatamente fu la
stessa Seline ad esitare quando, con suo evidente stupore, avvertì un richiamo
telepatico nella propria testa.
«Seline, basta così. Ritirati subito.»
«Ma… my master.»
«Non è necessario che tu rimanga lì. La tua
missione è conclusa. Torna al castello.»
«Come desiderate, my master».
A quel punto un
circolo magico si materializzò ai piedi di Seline, e lei prese gradualmente a
scomparire.
«Considerati
fortunata. Per oggi la nostra sfida termina qui.
Ma non sperare che
sia finita; la prossima volta non ti andrà così bene».
Touka la lasciò andare,
non sentendosi nelle condizioni di poterle tenere agilmente testa, e appena
rimase sola una sensazione terribile minacciò di farle scoppiare il cuore.
“Tadaki è in
pericolo!” pensò, e trasformatasi in falco prese subito il volo.
Infatti, anche a
causa dell’energia che era costretto a passare costantemente al suo famiglio
per permettergli di rimanere in forma umana, Tadaki si stava stancando più
velocemente del previsto, e per ogni istante che passava faceva sempre più
fatica a tenere testa ad un nemico agile e insidioso come Atarus.
Questi, dopo poco,
si accorse delle sue cattive condizioni, e non faticando ad immaginarne la
ragione decise di premere ancor più a fondo, nella speranza di assestare
all’avversario il colpo decisivo.
«Allora, ragazzino.»
disse vedendolo ansimante e dolorante «Prima sei riuscito a schivare il mio
stormbringer. Chissà se l’impresa ti riuscirà una seconda volta».
Tadaki non pensò
neppure di provare ad evitare in qualche modo quell’attacco, perché sapeva
perfettamente di non averne la forza, di conseguenza la sola cosa da fare era
provare a pararlo come fatto in precedenza, quindi si preparò a far ruotare
nuovamente il suo bastone.
«Sto arrivando! È
meglio che ti prepari al peggio!».
STORMBRINGER
La difesa turbinante di Tadaki inizialmente sembrò in
grado di rispondere nuovamente all’assalto, ma poi, quando la velocità di
rotazione cominciò a decrescere, alcuni colpi della lancia riuscirono a passare
oltre, ferendo il giovane ninja in più parti, anche se in modo non gravissimo.
Ancora una volta
Atarus si vide costretto a fermare i suoi affondi, ma a differenza di poco
prima stavolta sul corpo di Tadaki erano ben visibili i segni lasciati da
alcuni colpi; uno di questi lo aveva colpito alla guancia, mancando di pochissimo
l’occhio destro.
«Dimmi, dove sono finiti ora i tuoi preziosi
ideali?».
Atarus avrebbe
voluto continuare ad oltranza fino a vedere il suo nemico svenire per la
fatica, ma una parte di lui riconosceva a Tadaki il merito di essere stato un
avversario valoroso, degno quindi di essere finito nel modo più nobile.
«Ti sei dimostrato
un valido avversario, questo te lo concedo.
Per dimostrarti
che apprezzo il tuo valore, ti riserverò il privilegio assoluto di osservare
coi tuoi occhi il mio asso nella manica.»
“Il suo asso nella
manica?” pensò il ninja.
Il lanciere
assunse una posa diversa rispetto a quella che preannunciava l’utilizzo dello
Stormbringer, e l’energia magica che andava accumulandosi sulla lancia, invece
che su tutta la lama, si stava concentrando tutta sulla punta.
«Ritieniti fortunato.
Avevo deciso di usarlo solamente contro Seth.
Non credo
sopravvivrai, quindi ti dico già addio.»
«Fatti avanti! Ti
aspetto!»
«Come vuoi!
Muori!».
STORMBREAKER!
Tadaki vide una specie di enorme fascio di energia rossa
venirgli contro, disintegrando il terreno al suo passaggio e provocando uno
spostamento d’aria colossale, e istintivamente usò quel poco di magia che
possedeva per generare una barriera che lo difendesse, mettendo anche la
propria arma davanti a sé come ulteriore rinforzo.
Quando la barriera
venne colpita Tadaki sentì una pressione colossale su di sé, come se lo avesse
colpito un transatlantico, e appena lo scudo cedette le ossa delle braccia gli
uscirono dalle articolazioni sulle spalle e sui gomiti, facendolo urlare dal
dolore.
Investito in pieno, poté avvertire la forza
del colpo aumentare a dismisura.
“Che… che mi
succede…” pensò sentendo il suo corpo pesante come il piombo.
Scagliato in aria,
precipitò verso terra quasi svenuto, e l’urto col suolo fu tanto violento da
provocare una piccola voragine nel terreno argilloso; la sua spada, ormai
ridotta in pezzi, lo seguì di lì a poco, e vedendola in quello stato Tadaki,
con le poche forze che gli erano rimaste, riuscì a rendersi conto di quello che
era successo, e sentì il desiderio di piangere.
Atarus questa
volta fu visibilmente sorpreso nel vedere qualcuno sopravvivere al suo colpo
più distruttivo, e non poté fare a meno di provare una certa ammirazione per
quel ragazzo che, anche nella sconfitta, trovava comunque la forza per cercare
di rimettersi in piedi.
Gli si avvicinò,
incrociando il suo sguardo, sofferente ma ancora determinato.
«Le tue armi si
sono spezzate.» disse con voce greve, stranamente priva del suo solito tono
sadico «Avevi già perso il tuo famiglio e la tua magia nell’incontro con
Toshio, e con la distruzione di quei pugnali tutti i tuoi strumenti di lotta
sono stati neutralizzati.
Il che significa…
che hai perso».
Quelle poche
parole minacciarono di far andare il cuore di Tadaki in mille pezzi, e le sue
emozioni furono messe ulteriormente alla prova quando, nel cielo, vide
comparire un grande circolo magico simile al quadrante di un orologio;
raffigurava una stella a sette punte inscritta in due quadrati, uno dei quali
in posizione romboidale, e con ogni punta rivolta verso uno dei sette simboli
tracciati lungo la circonferenza, ognuno dei quali richiamava, vagamente, le
rune assegnate ad alcuni segni zodiacali.
Non furono solo
Tadaki e Atarus a vederlo; lo stesso simbolo comparve anche in molte altre
parti del mondo, ovunque vi fosse qualcuno che avesse motivo di doverlo vedere,
compresa la valle in cui sorgeva il castello dei Cacciatori.
«Quello che
cos’è?» domandò Shinji, affacciato da una finestra assieme a tutti gli altri
«È la Meridiana Celeste.»
disse Toshio «Ad ognuna di quelle sette rune è associato uno di noi. Quando una
di esse si spegne, significa che il guerriero corrispondente è stato
eliminato.»
Uno dei simboli,
simile a quello dell’acquario, brillò leggermente prima di spegnersi, e subito
dopo l’intero disegno scomparve nel buio.
«Il simbolo del
Clan Yoshida.» disse Izumi
«Il Clan
Yoshida!?» esclamò Keita «Toshio, allora Tadaki…».
Tadaki sentì il
mondo crollargli addosso, e per un istante il suo onore di guerriero gli suggerì
di usare le sue poche forze per piantarsi quanto restava di una delle sue lame
dritta nel cuore, ma anche volendo non poteva riuscirci sicuramente con
entrambe le braccia slogate.
«Fine dei giochi,
ragazzo.» disse Atarus «Vuoi morire?».
Il ninja non sapeva
cosa rispondere, e si limitava a guardare colui che lo aveva sconfitto
digrignando i denti; avrebbe voluto dire di sì, ma se solo questa idea lo
sfiorava si ritrovava davanti il volto preoccupato di sua sorella, che forse si
era già svegliata e attendeva il suo ritorno in quella stanza di Parigi.
L’onore
dell’essere l’ultimo discendente di una gloriosa stirpe di guerrieri e il
desiderio di rimanere accanto a Kazumi lottavano furiosamente per decidere il
suo destino, e avrebbero continuato a farlo a lungo se all’improvviso una
meteora di fuoco non fosse scesa del cielo illuminando la notte e puntando
diritta su Atarus.
Il lanciere,
vedendola, saltò all’indietro, e quando l’oceano di fuoco prodotto dal globo
incandescente al contatto con il suolo si dissolse fra lui e Tadaki era
comparsa una giovane ragazza che vestiva con una minigonna bianca a pieghe e
una maglia color panna senza maniche; aveva stupendi occhi rossi e lunghi
capelli verde smeraldo stretti quasi in punta da un nastro a cui era legata una
coppia di campanelle. Anche senza scorgere la lunga coda canina che sbucava da
sotto la gonna era chiaro che si trattava di un famiglio, e il suo padrone non
tardò a mostrarsi di lì a poco, inginocchiato accanto a Tadaki come a volerlo
proteggere.
«Souma!?» esclamò
Atarus riconoscendo il volto della ragazza che aveva aggredito Keita a Venezia,
e con la quale aveva avuto una scaramuccia di poco conto nella stessa città.
Lei non ricambiò
il saluto né fece alcun cenno, ma ad un suo schiocco di dita il suo famiglio
alzò il dito indice, generando una piccola fiammella che, lanciata verso
Atarus, divenne invece un vortice infuocato.
Il lanciere si
difese usando una tecnica uguale a quella di Tadaki, ruotando velocemente la
sua arma, ma quando la situazione si acquietò sia il suo avversario sia i nuovi
arrivati erano scomparsi, ma invece che adirarsi per non aver potuto infliggere
il colpo di grazia Atarus si sentì soddisfatto per aver conquistato la sua
prima vittoria.
Appena tornata al castello Seline trovò Nepthys e Seth ad
attenderla nella sala da ballo, dove isegni dello scontro con la misteriosa ragazza comparsa qualche tempo
prima erano ormai quasi completamente scomparsi
Subito la ragazza
si inginocchiò davanti al trono, guardata da Klaus con apparente indifferenza.
«Sono disonorata,
my master. Ho fallito nella missione che mi avevate affidato, e non merito il
vostro perdono».
Il giovane,
all’inizio, non rispose, e vedendo la sua mano destra allungarsi verso di lei
Seline chiuse gli occhi spaventata, ma quando la sentì posarsi dolcemente sulla
sua testa per un istante le si rizzarono le orecchie.
«Ti sbagli, amica
mia. Tu hai compiuto la tua missione nel migliore dei modi.»
«Come!? Ma io…»
«Impegnando in combattimento
il famiglio di quel ragazzo hai indebolito anche lui, e la conseguenza è stata
la sua sconfitta nell’incontro che stava disputando.
È stato eliminato,
e il merito è in gran parte tuo.»
«Dunque… era
questo il vostro piano?»
«Sono fiero di te.
Ti sei dimostrata all’altezza dell’incarico che ti avevo affidato.»
«Io… grazie, my
master.» disse la ragazza scoppiando a piangere
«Ora vai a
riposare. Te lo sei meritato».
Seline, obbedendo
all’ordine, lasciò velocemente la stanza, e allora Klaus e Lainay rimasero da
soli.
«Era davvero
questo il tuo piano?» domandò la donna, la sola tra i servitori del sovrano che
potesse permettersi di parlargli con un tono tanto reverenziale
«Se devo essere
sincero, no.» fu la risposta di Seth «L’esito di quell’incontro era stabilito
fin dall’inizio. Anche se Seline non ci avesse messo del suo, il risultato
sarebbe stato comunque lo stesso.»
«E allora perché
lo hai fatto?»
«Ho sempre
ritenuto che i famigli in forma umana fossero deboli e inaffidabili, ma ho
voluto comunque fare un tentativo. Se devo essere sincero ero convinto che
Seline non sarebbe uscita viva da questa prova, ma con mia gradita sorpresa si
è dimostrata ben superiore alle mie più rosee aspettative.»
«Ma in tal caso
perché attribuirle dei meriti che non ha?»
«Ho imparato, nel
corso dei secoli, che a volte la magnanimità può essere molto più efficace del
pugno di ferro. E poi, i famigli in forma umana possono essere così
imprevedibili. È sempre meglio essere certi della loro lealtà.»
«Ora ti riconosco.
Calcolatore e razionale. Questo è il Seth che ho sempre amato».
Klaus si alzò
dunque dal trono e si avvicinò a Lainay, che rimase quasi ipnotizzata dal suo
sguardo profondo, non riuscendo a staccarci gli occhi di dosso.
«Davvero mi hai
sempre amato?».
Lei, finalmente,
riuscì a staccarsi da quegl’occhi, girandosi dall’altra parte.
«Ho cominciato a
sentire le voci quando avevo dodici anni.
Ogni volta che ne
parlavo coi miei genitori o con le mie amiche venivo presa per pazza, e quando
la voce si è diffusa ho perso velocemente tutti coloro che mi erano sempre
stati vicino.
Eppure, in quella
solitudine, riuscivo comunque a sentire una presenza vicino a me, una presenza
calda e gentile che mi proteggeva con il suo calore.
Più gli anni
passavano più le memorie sulla mia esistenza passata si ricomponevano, fino a
che non ho ricordato il suo nome; il solo pensare a te, a quanto ti avevo
amato, era più che sufficiente a riscaldarmi l’anima, e aspettavo con ansia il
giorno in cui avrei nuovamente potuto tornare al tuo fianco.»
«Ancora non riesco
a credere che tu provi questo per me. Dopo tutto quello che è successo fra le
nostre due famiglie».
Lainay si girò
nuovamente a guardarlo, e dimenticandosi del rapporto di inferiorità che solitamente
li teneva distanti gli passò una mano sulla sua guancia di ragazzo.
«Quella è storia
passata ormai. Io ti amo, e ti amerò per sempre, con tutta me stessa».
Anche lui allora
le poggiò la mano sulla guancia per poi andarle ad accarezzare i lunghi
capelli, morbidi e lisci come seta.
«Sei così bella».
I loro volti si
avvicinarono, gli occhi si chiusero e le labbra si sfiorarono; Klaus tirò a sé
quella ragazza di otto anni più vecchia e la baciò con tutto l’amore possibile;
lei, lasciato cadere lo scettro e avvinghiate le braccia attorno al suo collo,
fece altrettanto, e i due rimasero a lungo così, come cristallizzati nel tempo.
Alla scena
assisteva, da oltre il portone, Franziska, che per qualche motivo non riusciva
a non sentire un tremendo peso sul cuore, e il desiderio di piangere.
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Lo so, sono in un
ritardo osceno, ma con cinque corsi da seguire il tempo sta diventando un
lusso; come se non bastasse, questa mia mente bacata ha deciso di uscirsene con
una nuova fanfic, che però essendo nel netbook viene scritta quasi
esclusivamente nelle tre ore di buca che ho tra una lezione e l’altra dal
lunedì al mercoledì.
Questo capitolo mi ha
abbastanza soddisfatto, sarà perché mi trovo a mio agio nel descrivere i
combattimenti.
Ringrazio come sempre
i miei recensori, Selly, Cleo, Levsky e Akita; a
quest’ultima, se non dovessi riuscire ad aggiornare ancora, auguro in anticipo
un favoloso viaggio! Salutami la cara vecchia Londra!
Ok, basta così. A
presto!^_^
Carlos Olivera
Ps. Se volete,
passate a dare un’occhiata alla nuova fic: è nella sezione crossover ed è
ispirata ad un anime poco conosciuto, ma di cui è facile trovare gli episodi in
fansub sia su youtube che su molti siti.
Per quella sera Klaus aveva chiamato a raccolta tutti i
suoi servitori subito dopo il tramonto, cosa rara dopo quanto era accaduto nei
sotterranei; negli ultimi giorni Thanatos era stata piuttosto evasiva, e non si
era mai presentata al cospetto del suo signore se non espressamente convocata.
Appena furono
tutti riuniti, però, fu proprio Thanatos a venire chiamata, con grande stupore
di molti dei presenti.
«Thanatos. Vieni
avanti».
La ragazza,
visibilmente sorpresa, uscì dalle righe e si portò davanti al trono,
inginocchiandosi; si poteva notare un certo sudore freddo che le rigava la
fronte: forse temeva di ricevere una nuova punizione per aver agito senza
autorizzazione contro Toshio e i suoi compagni.
Invece, piuttosto
che accigliarsi, Seth parve quasi sorridere.
«Sai, ho
riflettuto su quanto accaduto l’altro giorno.
Non posso
perdonarti per aver fatto di testa tua, questo lo comprenderai, però devo
ammettere di essere rimasto molto colpito dalla tua risolutezza».
Alcuni degli altri
servitori, soprattutto Hypnos, il fratello della ragazza, restarono con la
bocca spalancata; non Lainay, sul volto della quale comparve un’espressione
enigmatica; difficile invece scorgere la reazione di Anubis, perennemente
nascosto dentro il suo mantello.
«Mio signore, voi
dite sul serio?!»
«Certamente. Ed è
proprio per questo che ho deciso di concederti una doppia possibilità. In un
colpo solo potrai riscattare il fallimento dell’ultima volta e veder perdonata
la tua colpa di superbia.»
«Volete dire… che
mi date il permesso di attaccare il castello!?»
«Su quanti uomini
puoi contare?»
«Maestà.» rispose
sogghignando la ragazza «Voi datemi l’ordine, e mi metterò io stessa alla guida
del mio esercito di non-morti.»
«Molto bene. Ti
darò anche alcuni dei miei soldati, giusto per sicurezza, e ti concedo carta
bianca. Potrai agire come meglio preferisci. Il solo ordine che ti do è di non
fare del male a Nadeshiko, ma anzi di portarmela sana e incolume. Degli altri
potrai fare ciò che vorrai.»
«Come desiderate,
mio signore.»
«Vai dunque, e
dimostra a tutti il tuo valore.»
«Vi giuro sulla
mia vita che entro l’alba vi porterò le teste di quel gruppo di mortali su un
piatto d’argento.»
«Ho fiducia in te,
amica mia, e mi aspetto grandi cose. Vai ora».
Appena Thanatos
lasciò il castello gli altri generali di dispersero nel castello, ognuno per
conto proprio. Solo Ushio di Cloto e sua sorella Yuuhi di Atropo rimasero
insieme.
«Secondo te cos’ha
in mente Seth?» domandò la sorella maggiore mentre camminavano per i corridoi
bui dei castello
«Non è ovvio?
Thanatos è una macchina da guerra, mandarla in battaglia è l’unico modo per
tenerla sotto controllo. Berrà tanto di quel sangue da sentirsi sazia per un
bel po’, e così il maestro non dovrà più temere altri suoi colpi di testa.»
«Dunque è per
questo che ha scelto lei.»
«Seth non si fida
di lei, questo mi sembra più che evidente. Che Thanatos vinca questa battaglia
è praticamente certo, ma nel caso qualcosa dovesse andare storto si sarà
liberato dell’unica mela marcia del nostro esercito.»
«C’è una cosa che
non capisco, però. Perché il maestro è così interessato a quella ragazza di
nome Nadeshiko?»
«Non lo so e non
m’interessa. Forse è solo l’amore segreto della sua metà umana che vuole tenere
per sé.»
«Sì, forse hai
ragione.»
«Ad ogni modo, ho
il sentore che prima del prossimo sole cambieranno molte cose».
In quella
Franziska giunse dalla direzione opposta accompagnata dalla sorella maggiore
delle due ragazze, Minami di Lachesi, che da un po’ di tempo era diventata
quasi la sua confidente; Ushio e Yuuhi si scostarono per farle strada e
piegarono la testa al suo passaggio, ma Franziska era chiaramente distratta dai
propri pensieri e continuò a procedere dritta con lo sguardo piantato davanti a
sé.
«Non ti sembra che
Franziska-sama sia un po’ strana in questi giorni?» domando Ushio
«Secondo me è in
contrasto con Nepthys. Finora Franziska-sama era stata l’unica vera donna nella
vita di Seth-sama, ora invece ha una concorrente.»
«Hai ragione. Del
resto Seth-sama e Nepthys-sama sono molto uniti fin dai tempi antichi. Ho come
il presentimento che la cosa solleverà non pochi problemi.»
«Allora siamo in
due a pensarlo».
Non appena Tadaki riaprì gli occhi la prima cosa che vide
fu il volto spaventato e preoccupato della sorella che rimaneva seduta accanto
al letto tenendogli una mano.
«Ka… Kazumi…»
«Tadaki!» disse la
ragazza gettandogli le braccia al collo «Grazie al cielo! Avevo paura che non
ti saresti più svegliato!»
«Che… che cosa è
successo? Dove mi trovo?»
«Sei nell’albergo
a Parigi.»
«Nell’albergo?! Ma
cosa…».
Solo allora il
guerriero riuscì a far mente locale su quello che era successo durante la
notte, e prima ancora di farsi prendere dallo sconforto per essere stato
sconfitto volle capire come era stato possibile per lui perdere i sensi sul
campo di battaglia convinto di morire per poi ritrovarsi invece disteso nel suo
letto.
Dalle tende che
coprivano le finestre della stanza, tirate probabilmente per permettergli di
dormire, entravano tenui raggi di sole.
«Che ore sono?»
domandò
«Sono quasi le tre
del pomeriggio.»
«Ma… come sono
arrivato qui?»
«Ti ci ha portato
lei.» rispose Kazumi indicando una figura nascosta dietro lo schienale della
poltrona a cui sedeva e che, alzatasi, si rivelò essere Souma
«Tu!?» esclamò
Tadaki.
Quella infatti non
era una faccia nuova; anche se l’aveva vista solo per una frazione di secondo,
il ragazzo aveva ben in mente la faccia della persona che aveva tentato di
assalirlo nella sua stanza di Venezia.
«Come è piccolo il
mondo, vero?»
«Che… che cosa ci
fai tu qui?»
«Sarebbe il tuo
modo di dire grazie questo? Se non vado errata ti ho salvato la vita».
Tadaki,
sconfortato, abbassò lo sguardo, e qualche secondo dopo Touka entrò dalla finestra,
acquistando subito le sue fattezze umane.
«Master.» disse
mentre lui si metteva a sedere sul letto brontolando per il dolore «Vi prego di
perdonarmi. Sono stata un’incapace. Non sono riuscita ad arrivare in tempo.»
«Non… non hai
niente per cui dover chiedere scusa.»
«Se non fosse
stato per la nobile Souma quel mostro di Atarus vi avrebbe ucciso. Sono coperta
di disonore. Non merito di essere il vostro famiglio.»
«Ti sbagli, Touka.
Sono io che non merito di avere un famiglio come te.»
«Onii-chan…» disse
Kazumi
«Tu almeno, la tua
sfida l’hai vinta. Io, invece, ho perso. Se c’è qualcuno qui che è coperto di
disonore, quello sono io.»
«Adesso non farne
un dramma.» rispose secca Souma «Quell’attacco avrebbe steso comunque. Inoltre,
dovendo dare energia al tuo famiglio, non si può certo dire che steste
combattendo ad armi pari.»
«Che importa? Io
ho perso. Ho deluso le aspettative del mio clan e di tutta la mia gente.»
«E con ciò? Ti sei
comunque battuto al massimo delle tue potenzialità, o mi sto sbagliando? Per
questo, non hai motivo di essere deluso. Quindi dacci un taglio con la tragedia
e ringrazia piuttosto di essere ancora vivo.
Finché c’è vita
c’è speranza, e questo vale per noi più che per chiunque altro».
Souma ottenne che
Touka e Kazumi uscissero dalla stanza, lasciandola sola con il suo ex
avversario; Tadaki, ancora visibilmente sconfortato, recuperò quanto restava
delle sue spade, che pur spezzate e logore continuavano a splendere come
specchi, fulgide di bellezza.
«È una cosa
grave?» domandò Souma
«Non così grave.
Tutte le armi di rappresentanza dei partecipanti al torneo si riparano da sé
con il tempo, questo è un fatto risaputo.»
«Meglio così.
Perché se pensi che la battaglia sia finita, ti sbagli di grosso. Anche se veniamo
eliminati dal torneo rimaniamo pur sempre i guerrieri più forti di questo
mondo, e Seth non si darà pace fino a quando non ci avrà eliminati tutti. Puoi
star certo che da ora in avanti gli scontri non solo non diminuiranno, ma anzi
aumenteranno.»
«Aspetta, non è detto che le mie spade si
riparino. Bisogna che qui ci siano tutti i pezzi.»
«Ho mandato il mio
famiglio a ispezionare il campo di battaglia alle prime luci dell’alba. Li ha
recuperati tutti.»
«Ne sei sicura?»
«È stata creata
partendo da un cane. Vista e olfatto non le fanno difetto, quindi puoi stare
tranquillo».
Seguì un lungo
silenzio, di difficile interpretazione; ognuno dei due teneva per sé le proprie
emozioni, poi fu Tadaki il primo a scegliere di esternarle.
«Perché mi hai
aiutato?».
Souma, appoggiata
al muro, sorrise leggermente.
«È stato per puro
caso. Ho origliato la vostra conversazione dell’altro giorno e ho deciso di
seguirvi. La mia idea era di sfidare il vincitore dello scontro e ottenere così
una vittoria facile, ma la sua condotta è stata deplorevole, eccezion fatta
forse per le battute conclusive, e il mio onore di guerriera mi impedisce di
misurarmi con gente come lui, a meno che non sia assolutamente necessario.
In ogni caso, come
ti ho detto, ci sarà bisogno di tutta la forza possibile per portare a termine
questa guerra, e tenendo conto del valore che avevi dimostrato ho deciso di
tirarti fuori dai guai.»
«Capisco.»
«Ma non
fraintendere.» disse subito Souma con tono più serio e risoluto «L’ho fatto solo
in nome della nostra causa. Se non ti fossi dimostrato un guerriero onorevole,
probabilmente non sarei intervenuta.»
«Immagino tu abbia
ragione. In ogni caso, grazie.»
«Non c’è di che».
Le due settimane fissate da Izumi per portare a termine il
suo programma di addestramento erano ormai quasi scadute, e i progressi fatti
dai suoi quattro allievi erano a dir poco straordinari.
Anche Keita,
l’unico ancora incapace, per certi versi, di dare libero sfogo al suo potere,
alla fine lo aveva accettato, e in pochissimo tempo era diventato capace di
controllarlo a tal punto da rimanerne egli stesso sorpreso, diventando nel
contempo un eccellente stregone e un abile spadaccino.
Nadeshiko aveva
fatto molta pratica nell’uso della magia, acquisendo esperienza soprattutto in
incantesimi che includevano l’invocazione di barriere, il ritrovamento di
determinati bersagli e il supporto in generale dei compagni di squadra; le
magie di combattimento vere e proprie non erano fatte per lei, così Izumi aveva
scelto di non insegnargliele, rimandando eventualmente la cosa a quando i tempi
fossero stati maturi.
Shinji aveva
affinato al massimo le sue abilità di combattente marziale, e ormai il titolo
di gamba d’acciaio non era più da considerarsi esagerato, perché combinando
magia e forza bruta risultava in grado di disintegrare un muro di mattoni con
uno solo dei suoi colpi, colpi potenti resi ancor più efficaci dall’agilità e
dalla grazia con cui si muoveva.
Takeru, se
possibile, era diventato uno spadaccino di talento ancora superiore, e
imparando a sua volta a combinare il potere magico con la sua esperienza di
guerriero poteva considerarsi a tutti gli effetti un combattente completo, pur
continuando a contare quasi esclusivamente sulla forza della katana per vincere
le sue sfide.
Il solo che pareva
non aver fatto alcun tipo di progresso e, inevitabilmente, Toshio; malgrado
l’atteggiamento di Izumi nei suoi confronti si fosse fatto meno restrittivo il
ragazzo sembrava non essere ancora riuscito né a superare i freni interiori che
per troppo tempo avevano incatenato la sua mente né a scoprire qualcosa per la
quale voler davvero combattere, qualcosa che lui stesso sentisse il desiderio
di proteggere.
Eppure, qualcosa
stava sembrare cambiando dentro di lui: il rapporto con Nadeshiko sembrava
stare diventando sempre più saldo; parlavano spesso, e ogni tanto la sera,
quando credevano di essere soli, tornavano nella sala del pianoforte, dove lei
gli insegnava a suonare.
In cambio Toshio,
incredibilmente, accettava di aprirsi, raccontandogli piccoli particolari della
sua vita, una cosa che lui stesso reputava impossibile da riuscire a fare.
«Capisco.» disse
Nadeshiko durante una pausa «Dunque, sei stato adottato.»
«È così. I miei
veri genitori erano dei dottori. Lavoravano per un’organizzazione umanitaria,
ma furono uccisi da dei ribelli quando avevo dieci anni. Gli abitanti del
villaggio mi hanno salvato e mi hanno portato a Nepthys, dove sono stato
adottato dal re Akunator, che al tempo non aveva figli. Ho detto io stesso di
chiamarmi Toshio, o meglio, questo è questo che mi hanno raccontato.»
«In che senso?».
Toshio abbassò lo
sguardo, fissando i tasti bianchi del pianoforte.
«Vedi, il fatto è
che io non ricordo nulla che risalga a prima degli ultimi tre anni. La colpa è
di una caduta da cavallo. La prima cosa di cui ho memoria sono io che mi
sveglio nel mio letto con la testa fasciata e un braccio ingessato.
Doveva essere
stato un urto molto violento, perché non ricordavo nulla. È stato mio padre a
spiegarmi cosa fosse successo.»
«Deve essere
terribile, non ricordare il proprio passato.»
«Ormai me lo sono
lasciato alle spalle. Non ha senso piangersi addosso. Ciò che conta adesso è il
presente, e niente altro».
Poco dopo, verso
le due, la lezione ebbe termine, e i due ragazzi fecero per tornare ognuno
nella propria stanza; a metà del corridoio però, sia Toshio che Nadeshiko si
bloccarono, avvertendo l’approssimarsi di un pericolo di grande portata.
«L’hai sentito
anche tu?» domandò il ragazzo
«Sì. È la stessa
energia dell’altro giorno».
Entrambi si
girarono verso la grande finestra alla loro destra, dalla quale videro una
grande luce violacea sollevarsi tra gli alberi dall’altro lato della vallata.
«È laggiù!».
Come l’ultima
volta, quando raggiunsero l’ingresso del castello incontrarono i loro tre
compagni con Aria e Lotte, e come l’ultima volta Keita rimase per un istante
col fiato fermo in gola vedendo Toshio e Nadeshiko arrivare insieme.
«Eccovi
finalmente.» disse Shinji «Sembra proprio che stiano tornando alla carica.»
«Non poteva
capitare in un momento peggiore.» commentò Nadeshiko «Anche stavolta la maestra
e Nagisa sono assenti.»
«Tornerà.» rispose
Toshio «Intanto noi ce la sbrigheremo da soli.»
«Questa volta però
non aspetteremo il loro arrivo.» disse Takeru «Saremo noi ad andargli
incontro.»
«Sono d’accordo.»
disse Keita «Andiamo a dargli il benvenuto».
Uscirono, e
scendendo lungo il sentiero raggiunsero il fondo della valle, dove furono
presto attaccati da un nuovo e più nutrito esercito di zombi emersi dallo
stesso bosco da cui avevano visto giungere quel sinistro bagliore.
«Siete pronti?»
disse Toshio materializzando la sua spada
«Prontissimi.»
rispose Keita facendo altrettanto
«E allora forza.»
disse Shinji «Rispediamoli sottoterra!».
Malgrado il
maggior numero di nemici questa seconda battaglia si rivelò per i ragazzi una
vera passeggiata, e i progressi che avevano fatto apparvero in tutta la loro
devastante efficacia.
Keita e Takeru
erano migliorati molto come spadaccini, colpivano col massimo dell’efficacia
minimizzando il tempo e l’affaticamento; Shinji, circondate le proprie gambe di
una strana aura verdastra e brillante dalle ginocchia in giù, menava calci così
potenti che quei mucchi di carne e ossa venivano segati a metà come dalla lama
di un bisturi, per non parlare della sua agilità, degna di un acrobata;
Nadeshiko si impegnava soprattutto nel dare aiuto ai suoi compagni, evocando
barriere che li proteggessero da attacchi a sorpresa o delle catene luminose
che immobilizzassero i nemici quel tanto che bastava per permettere a qualcun
altro di eliminarli.
Quell’armata di
cadaveri venne completamente annientata nel giro di due minuti, e come la prima
volta i loro resti divennero rapidamente polvere, ma una sinistra risata
lasciava intendere che lo scontro vero doveva ancora cominciare.
«Chi sei?» domandò
Toshio «Fatti vedere!»
«Ne sei davvero
sicuro? Ti avverto, poi potresti pentirtene».
Passarono alcuni
secondi, poi Thanatos uscì dagli alberi camminando lentamente e con il suo
perfido sorriso stampato sulla faccia; in mano stringeva una falce, fatta
apparentemente di metallo, con un manico lungo e stretto e una lama abnorme,
grande quasi quanto la ragazza e terminante da una parte in una punta affilata,
dall’altra in una cresta voluminosa di lame più piccole.
«Dunque,
finalmente ci incontriamo.» disse fermandosi davanti a loro
«E tu chi saresti,
se posso chiedere?» domandò Shinji
«Non osare
rivolgerti a me con questo tono, mortale, se non vuoi che infierisca su di te
prima di ucciderti.»
«Mortale?» replicò
Takeru «Perché tu che cosa saresti?»
«Io? Io sono una
dèa. Sono una creatura superiore, controllo la vita e la morte di tutti i
viventi.
I mortali come voi
mi adorano e mi temono, perché posso disporre delle vostre esistenze come più
mi aggrada.
Io sono Thanatos,
la dèa della morte.»
«Thanatos!?»
ripeté Nadeshiko
«Ho sentito
parlare di te.» disse Toshio «Nella guerra leggendaria hai combattuto al fianco
di Seth, e per questo sei stata punita.
È strano, però.
Dici di essere una divinità, eppure ai miei occhi sembri un normalissimo essere
umano.»
«Frena la lingua,
lo dico per il tuo bene.» rispose Thanatos, stavolta senza sarcasmo «Questo
corpo non è altro che un involucro, uno stupido contenitore. La differenza che
c’è tra noi è abissale, e ora ve lo dimostrerò».
Con velocità a dir
poco sconvolgente Thanatos scomparve nel nulla per poi ricomparire davanti alle
spalle di Toshio, il quale non parve accorgersi di nulla.
«Toshio, attento!»
gridò Keita.
Lui, attonito, si
girò, riuscendo appena in tempo a bloccare il colpo di falce con la sua spada,
ma l’urto fra le due armi fu più che sufficiente a farlo volare a terra
parecchi metri più in là.
Takeru, il più
vicino, cercò di contrattaccare, ma Thanatos prima intrappolò la sua katana tra
la lama e l’impugnatura della falce, e seguitamente lo colpì al petto con un
colpo a mano aperta che spedì anche lui in mezzo all’erba.
Dopo Takeru fu la
volta di Shinji; Yuuki si abbassò nel momento in cui lui tentò di colpirla con
un calcio, poi, ancora accucciata, gli appoggiò la mano sul torace, generando
un vento nero che sparò il ragazzo in aria con la potenza di un cannone per poi
farlo precipitare a terra.
Aria usò allora la
sua magia per evocare cinque luminosi che immobilizzarono all’apparenza
Thanatos agganciandosi a polsi e caviglie, e sua sorella Lotte, convinta che
non vi fosse pericolo, ne approfittò per muovere un attacco diretto.
«È tutto qui?»
disse malevola la ragazza, la quale aspettò che Lotte fosse vicinissima per
liberarsi, mandando in frantumi gli anelli.
«Ma cosa…».
Lotte ricevette un
colpo micidiale con l’asta della falce e fu sparata all’indietro, cadendo
addosso alla sorella; entrambe riassunsero subito la loro forma felina,
rimanendo immobili prive di sensi.
«Assolutamente
patetico».
L’attacco, però,
non era ancora finito; approfittando della distrazione dell’avversaria Keita
tentò di colpirla alle spalle, ma lei, tutt’altro che distratta, parò il
fendente di spada con la falce, sollevandola poi violentemente verso l’alto in
modo tale da destabilizzare Keita, che si ritrovò scoperto; a quel punto fu
sufficiente un calcio per spedire il ragazzo lontano, ma stavolta Thanatos era
decisa ad andare fino infondo e spiccò un grande salto, volando verso Keita.
«Il tuo cuore è
mio!» gridò abbassando la punta della falce mentre era ancora in aria.
All’ultimo
momento, però, il suo attacco venne respinto da una solidissima barriera che,
respingendo efficacemente l’arma, fece volare Thanatos in aria.
«Maledizione».
La ragazza riuscì
però a rimanere in equilibrio; giratasi su sé stessa tornò a terra sulle
proprie gambe, accorgendosi solo in quel momento di aver dimenticato qualcuno.
«Ragazzina
impudente.» disse guardando verso Nadeshiko.
Ad un cenno di
Yuuki una catena composta di luce nera emerse dal terreno, avvinghiandosi al
polso della ragazza e trasmettendole una sensazione terribile, molto simile ad
una folgorazione.
«Nadeshiko!» gridò
Keita vedendola gridare dal dolore per poi inginocchiarsi stremata.
Così, in meno di
trenta secondi, tutti e sette i guerrieri erano stati messi al tappeto da una
sola persona che ora stava in mezzo a loro sorridendo di soddisfazione.
«Avete capito
adesso, la differenza che c’è tra di noi? Voi non siete altro che dei
volgarissimi esseri umani, e in quanto tali dovete imparare a stare al vostro
posto, ovvero un gradino in basso a noi».
In quella, un
rumore metallico indusse Thanatos a girarsi alle sue spalle; Toshio si era
rimesso in piedi, sorreggendosi alla spada, e sembrava determinato a proseguire
nel combattimento. Vedendolo, la ragazza sorrise.
«Lo immaginavo.
Era chiaro che non saresti stato sconfitto con così poco. In fin dei conti,
partecipi al torneo.
Vorrà dire che con
te dovrò usare maniere un po’ più forti».
Incurante della
minaccia Toshio si lanciò all’attacco, impegnando Yuuki in un violento scontro
corpo a corpo al quale però la ragazza si opponeva senza troppa difficoltà;
tuttavia, dopo poco, la velocità e la potenza del guerriero cominciarono
sensibilmente ad aumentare.
“Che sta
succedendo?” pensò Thanatos “Invece di diminuire, il suo spirito sta crescendo
di intensità.”
«Come osi opporti
così ad un dio!» gridò poi, rossa di collera «Questo dimostra quanto siate
arroganti voi esseri umani!».
Malgrado tutto
però Toshio risultò perdente, ricevendo una brutta ferita alla spalla che lo
fece indietreggiare; subito dopo, la lama della falce di Thanatos si circondò
di un inquietante bagliore violaceo.
DARKNESS WAVE!
Come Yuuki abbassò la lama ne nacque un vortice oscuro che
investì in pieno Toshio, sollevandolo in aria per poi girargli attorno e
spararlo al suolo con forza tale da provocare una piccola voragine.
Thanatos però non
ebbe tempo di gratificare sé stessa per il colpo andato a segno perché Keita,
riavutosi, tentò un nuovo attacco alle spalle, riuscendo ad impegnare
l’avversaria in modo considerevole.
«Che speri di
fare, ragazzino!» disse allontanandolo con un calcio.
Keita accusò molto
male il colpo e rimase immobile, reggendosi in piedi a fatica e tenendosi lo
stomaco; come se non bastasse il fiato corto stava cominciando a diventare un
peso eccessivo.
«Ecco il vostro
problema. Voi umani non capite mai quando è il momento di smettere».
Il ragazzino però,
malgrado tutto, continuava a fissarla con aria di sfida, e altrettanto facevano
tutti gli altri, che però, a causa dei tremendi colpi già ricevuti, faticavano
persino a restare in piedi.
«Ancora rifiuti di
piegare la testa davanti a me? Ci penserò io a farti comprendere che sei solo
un sudicio essere umano».
Detto questo
Thanatos puntò contro di lui l’indice della mano destra.
DARKNESS BIND!
Dalla punta del dito scaturì un sottile fascio di luce
nera che colpì Keita alla velocità di un proiettile, senza però arrecargli,
all’apparenza, alcun dolore; invece, pochi istanti dopo, il ragazzino avvertì
un terrificante dolore che presto, dal punto in cui era stato colpito, si
diffuse in tutto il corpo, facendolo barcollare all’indietro con la faccia
piegata in una smorfia di indicibile sofferenza.
Era come se nelle
vene, al posto del sangue, gli stesse scorrendo acido puro, che lentamente lo
liquefaceva.
«Che cosa… mi
succede…»
«È molto
semplice.» rispose soddisfatta Thanatos «Ho instillato dentro di te una parte
del mio potere. Un potere divino, decisamente troppo grande perché un patetico
corpo umano che non sia stato concepito proprio a tale scopo possa sopportarlo.
È come un veleno che ti consuma dall’interno, e molto presto ti priverà della
vita».
Keita fece tutto
quello che poteva per combattere gli effetti dell’attacco, ma in breve il
dolore divenne tale che cadde in ginocchio quasi svenuto.
«Ecco. Questa è la
posizione che dovete tenere al nostro cospetto. Gli esseri umani devono piegare
la testa di fronte agli dèi, e questa è una verità incontestabile.»
«Tu… tu stai
delirando.» rispose una voce ringhiante e sommessa.
Yuuki, colpita, si
girò in quella direzione, e anche gli altri fecero altrettanto: incurante delle
proprie ferite, Toshio era di nuovo in piedi, e guardava l’avversaria pieno di
ammonimento.
«Dove è scritto
che gli uomini debbano prostrarsi davanti agli dèi?
Forse hai
dimenticato che se voi esistete è grazie a noi, che vi veneriamo. Se noi
smettessimo di rivolgervi preghiere, sparireste come nuvole di fumo, quindi non
venirmi a dire che siete superiori.»
«Che cosa!?»
ringhiò Thanatos furibonda
«Io personalmente
ho giurato di non inginocchiarmi mai di fronte a nessuno che non fosse degno di
essere servito. E se proprio vuoi saperlo, di divinità come te questo mondo non
sa che farsene.»
«Tu, sudicio
mortale. Ora scoprirai cosa succede a far arrabbiare un dio!».
Yuuki si avventò
su di lui con rabbia sconfinata; Toshio cercò di reagire, ma si trovò quasi
subito in grossa difficoltà; Nadeshiko, ancora gravemente debilitata per
l’attacco subito, assisteva senza poter intervenire, e dentro di sé era
convinta che il suo amico avesse deliberatamente provocato Thanatos per dar
tempo a lei e agli altri di riprendersi.
Sfortunatamente la resistenza di Toshio
risultò di breve durata, e dopo poco il guerriero si ritrovò con la schiena
appoggiata al tronco di un albero, senza più via di fuga; Thanatos, pregustando
la vittoria, fece roteare un paio di volte la sua falce.
«Cosa preferisci?
La testa mozzata o il cuore trafitto?».
Il ragazzo non
rispose, limitandosi a digrignare i denti, Thanatos invece sorrise ancor più
vistosamente.
«Fa buon viaggio.»
disse, quindi scattò improvvisamente in avanti.
Toshio,
istintivamente, cercò di parare, ma con un micidiale fendente dal basso verso
l’alto scardinò la sua difesa, poi rivolse rapidamente la lama verso l’alto e
colpì di nuovo, stavolta in senso opposto; nulla si frappose fra lei e il suo
obiettivo, nulla ostacolò la sua strada.
La punta della
falce penetrò con forza nel petto Toshio, trapassandolo da parte a parte per
poi inchiodarlo all’albero; per il contraccolpo, il suo corpo si piegò
violentemente in avanti, gli occhi si spalancarono fin quasi ad uscire dalle
orbite e dalla bocca, spalancata in un grido fermo nella gola, uscirono fiumi
di sangue.
Keita, Nadeshiko e
gli altri osservarono, pieni di incredulità e terrore, il corpo del loro nuovo
amico emettere alcuni deboli spasmi prima di immobilizzarsi del tutto; testa e
braccia rimasero inermi, la spada d’oro divenne pulviscolo e la pelle cominciò
subito ad assumere il pallore della morte.
«No… non può
essere.» balbettò Shinji, mai così terrorizzato e sconvolto come in quel
momento
«Toshio…» disse
Keita.
Accertatasi
dell’effettiva morte del suo nemico Thanatos scoppiò in una risata sadica,
sguaiata e oltremodo violenta.
«E questi
sarebbero i leggendari partecipanti al torneo! Coloro che dovrebbero
sconfiggere Seth! È stato anche troppo facile! Che assurdità! Non fa neppure
ridere!».
A quel punto la
ragazza recuperò la sua arma ed il corpo di Toshio, svuotato di vita, si
accasciò sull’erba, tingendola di rosso.
Nadeshiko,
incurante del dolore, si mise a fatica in piedi, e mantenendosi in un
equilibrio precario riuscì a raggiungerlo, inginocchiandosi davanti a lui.
«Toshio.» disse
osservando il suo volto spento con gli occhi pieni di un pianto che non le
riusciva di esternare «Ti prego, svegliati».
Poi, di colpo, un
lampo le attraversò la mente, e per un solo istante ebbe come l’impressione di
assistere alla stessa scena, ma in un contesto completamente diverso.
Vedeva un’oasi,
nel bel mezzo del deserto, e un uomo, di cui era impossibile scorgere il viso,
senza vita, tenuto fra le braccia da una ragazza che, pur se di spalle,
sembrava somigliarle, fatta eccezione per i suoi stranissimi vestiti, simili a
quelli del medioevo giapponese.
“Che cos’è
questo?” pensò.
Nello spazio di un
batter di ciglia si ritrovò nuovamente immersa nella prateria davanti al corpo
inerme di Toshio, e allora ogni possibile domanda scomparve come neve al sole,
lasciando spazio solo al dolore.
«Toshio. Non puoi
andartene così! Apri gli occhi!»
«È perfettamente
inutile che tu gli parli.» disse Thanatos appoggiandole la lama della falce al
collo e costringendola ad alzarsi.
Le due si
osservarono a lungo, e Nadeshiko, pur se con gli occhi umidi, sembrava non
avere paura, guardando Thanatos non con rabbia, ma con semplice determinazione;
Yuuki sorrise malevolmente.
«Speri di muovermi
a compassione coi tuoi occhi da cucciolo?» disse inizialmente, ma guardandoli
meglio poté scorgere al loro interno una purezza che nulla pareva in grado di
distruggere «Ora capisco perché ogni tanto certi mortali riescano a sciogliere
il cuore delle divinità. Quel bel visino farebbe prostrare qualunque uomo.
Sfortunatamente,
su di me non attacca. E lasciatelo dire, se non avessi degli ordini ai quali
dover obbedire mi divertirei a sfregiarlo».
Improvvisamente,
vi fu come uno spostamento d’aria, e Keita, che a causa del colpo subito aveva
visto la sua spada scomparire nel nulla, corse verso Thanatos con gli occhi
iniettati di rabbia.
«Lasciala stare!»
urlò con tutto il fiato che aveva
«Ma che…».
Il pugno che il
ragazzino scaraventò sul volto di Yuuki sarebbe stato forte abbastanza da
disintegrare un muro di acciaio, e la ragazza, colpita in pieno, venne lanciata
via come sparata da un cannone, perdendo la sua arma. Caduta a terra, produsse
un lunghissimo solco nel terreno prima di riuscire a fermarsi, ricoprendosi di
terra e fango; ai piedi di Keita intanto era apparso il suo circolo magico, che
brillava ora di una luce fortissima.
“Com’è possibile?
Era quasi morto! Come ha fatto a liberarsi dal mio sortilegio?”.
Anche Shinji e
Takeru si erano rimessi in piedi, ed erano pronti a proseguire nel
combattimento.
«Toshio…» disse
Keita guardando in basso «Era nostro amico. Avevamo appena cominciato a
conoscerci… e tu lo hai ucciso. Lo hai ucciso senza pietà!
Come osi definirti
un dio!»
«Tu…» mugugnò
Thanatos cercando di rialzarsi «Maledetto moccioso…».
Animato da nuova
forza, Keita tornò ad impugnare la sua spada, ma non ebbe bisogno di usarla;
Shinji, scomparso nel nulla, ricomparve in un attimo alle spalle
dell’avversaria, che fece appena in tempo ad accorgersi di lui prima di
ricevere un poderoso calcio alla schiena che di nuovo la fece rotolare
sull’erba.
Purtroppo per lei,
però, non era ancora finita; prima ancora di potersi rialzare infatti vide
Takeru girato nella sua direzione mentre un vento impetuoso circondava la lama
della sua katana.
TENMA SOURYUUSEN!
L’attacco prodotto fu dieci volte più potente di quello
usato contro Izumi, e la sua forza fu tale che Thanatos, fagocitata dalla testa
di drago che costituiva la parte avanzata del tornado, fu scagliata a parecchie
centinaia di metri da terra per poi cadere come una meteora.
Un urto simile
avrebbe ucciso chiunque, ma lei se la cavò con qualche graffio, un paio di
strappi sul vestito e i capelli ancor più spettinati.
Per un attimo
Keita e gli altri pensarono di essere riusciti a metterla alle strette, ma
quando la videro emergere dal polverone sollevatosi per un attimo ebbero paura;
il suo volto da ragazzina era contorto in un’espressione di odio puro, dalla
bocca spalancata emergevano due lunghi canini sulla parte superiori e gli occhi
erano iniettati di sangue.
«Voi… come avete
osato… luridi umani… questa… questa me la pagherete!».
Dietro la schiena
le comparvero d’improvviso quattro grandi ali membranose simili a quelle dei
pipistrelli, grazie alle quali poté librarsi in volo; giunta ad una decina di
metri alzò in aria l’indice destro, sul quale cominciò rapidamente a convergere
una quantità esorbitante di potere magico di natura puramente oscura.
«Andate a far
compagnia al vostro amico all’inferno!».
DARKNESS TOUCH!
L’energia accumulata nel dito venne rilasciata tutta in
una volta nella forma di una vera tempesta di fulmini oscuri che presero a
disperdersi in tutte le direzioni perforando il terreno, sradicando alberi e
disintegrando rocce.
Keita, Shinji e
Takeru vennero colpiti più e più volte, anche se riuscirono fortunosamente a
respingere o ad evitare alcune saette, il che se non altro servì a salvargli la
vita.
Nadeshiko, che
ancora era inginocchiata accanto a Toshio, era abbastanza lontana dal teatro di
scontro da considerarsi al sicuro, e alla vista di un simile spettacolo di
distruzione si protese sul corpo senza vita dell’amico come a volerlo
proteggere.
La tempesta durò
una ventina di secondi, e quando finalmente passò i tre ragazzi erano riversi a
terra, privi di forze e quasi svenuti.
Thanatos aveva
infuso tutta sé stessa in quell’attacco, tanto che subito dopo dovette fermarsi
un momento a riprendere fiato, ma nonostante ciò l’ira e la superbia ancora
dominavano incontrastate sul suo volto.
«Voi non siete
altro che volgarissimi esseri umani! Creature che esistono solo per nostra
decisione!
Siete come vermi
che strisciano su questo mondo; possiamo schiacciarvi quando vogliamo! Ciò che
vi è concesso è di piegarvi al vostro destino, e di accettare ciò che gli dèi
stabiliscono per voi! Noi siamo esseri superiori, siamo più forti, e voi siete
nostri!»
«Ti sbagli!»
rispose Nadeshiko, guadagnandosi lo sguardo perplesso dell’avversaria.
La ragazza piangeva,
ma ciò nonostante conservava ancora in sé una nobiltà e una determinazione che
lasciarono Thanatos senza parole.
«Noi esseri umani
non siamo burattini che potete muovere a vostro piacimento. È vero, voi siete
molto più potenti, e volendo potreste distruggerci tutti».
Nadeshiko guardò
quindi il volto spento, ma ugualmente affascinante, di Toshio.
«Però… noi
possediamo qualcosa che da tempo voi avete smarrito.
I sentimenti!
E non c’è forza
più grande di questa! Perché il desiderio degli uomini di proteggere ciò che
hanno di più prezioso al mondo può generare un potere senza confini, al quale
neppure gli dèi possono opporsi!».
Il ciondolo della
ragazza riprese di colpo a brillare, e per un attimo Thanatos ebbe
l’impressione di scorgere un volto famigliare nell’umana che aveva di fronte.
“Quello sguardo…”
pensò con la bocca spalancata per lo stupore “No… non può essere… mi rifiuto di
crederlo… non può essere lei!”.
La combinazione
tra le parole così cariche di coraggio e l’idea inaccettabile che le era venuta
alla mente osservando gli occhi di Nadeshiko fecero dimenticare per un attimo a
Thanatos gli ordini ricevuti, tanto che, urlando di rabbia, lanciò una sfera
nera nella sua direzione.
«Nadeshiko!» gridò
Keita.
Lei, terrorizzata,
chiuse gli occhi.
«Protection».
All’ultimo
secondo attorno alla ragazza e al corpo di Toshio si alzò una cupola protettiva
che respinse facilmente l’attacco prima di scomparire così come era venuta.
«Che cosa!?»
esclamò Yuuki.
I ragazzi,
riconoscendo sia l’incantesimo sia la voce che lo aveva preannunciato, si
girarono in una sola direzione, scorgendo Izumi poco lontano con in mano la sua
misteriosa staffa nera sormontata dalla lama lucente.
«Maestra Izumi!»
esclamò Keita
«La leggendaria
ammazza-demoni?» disse Thanatos
«Dove starebbe
scritto che gli uomini devono piegare la testa davanti agli dèi?» domandò la
donna avvicinandosi lentamente «Se come dici tu sono i più forti a poter
dettare legge, allora dovreste essere voi strisciare ai nostri piedi.»
«Come hai detto!?»
domandò ringhiando Yuuki
«Noi abbiamo
dimostrato già da tempo di essere superiori, riuscendo nell’impresa in cui gli
dèi avevano avete fallito. Quando la situazione per loro si è fatta difficile
hanno pensato bene di scappare, lasciando a noi esseri inferiori l’onere di
difenderci.
Gli esseri umani,
a differenza dei cosiddetti dèi, non si sono però rassegnati al loro destino, e
hanno scelto di combattere, anche se era una battaglia persa. Se ci hanno
concesso la Luce
di Amon-Ra non è stato certo per misericordia divina, ma solo per mettere a
tacere i rimorsi di coscienza che altrimenti li avrebbero devastati.
Ora tu, che hai
impugnato le armi contro i tuoi stessi simili, che hai venduto la tua dignità e
la tua presunta superiorità a un essere abbietto e privo di sentimenti come
Seth, vieni qui a blaterare di una giustizia divina di cui te e i tuoi simili
vi fareste portatori. Una giustizia tutta vostra.
Quindi dimmi… un
dio così, merita forse di essere adorato? Io credo che meriti solo di essere
distrutto.»
«E tu pensi di
poter distruggere me, sudicia umana?»
«Tu dai per
scontate troppe cose, ragazzina che si finge divinità. In primo luogo, come ha
detto la mia allieva, mi pare che tu stia decisamente sottovalutando le potenzialità
intrinseche degli esseri umani, in secondo non tieni conto del fatto che fra i
tuoi avversari vi è qualcuno dotato di capacità che superano di gran lunga le
tue, capacità che tu stessa hai risvegliato.»
«E chi sarebbe
questa persona? Te? O magari quel guerriero da quattro soldi che partecipava al
torneo?
Forse non te ne
sei accorta, ma l’ho ucciso! L’ho ucciso con queste mie mani, trafiggendogli il
cuore!».
Izumi, a
quell’affermazione, sorrise provocatoriamente, un’espressione che preoccupò non
poco Thanatos.
«Gli hai trafitto
il cuore? Fossi in te comincerei a correre, prima che si rialzi.»
«Che cosa!?».
Nessuno fu capace
di trattenere lo stupore dopo una simile affermazione.
Rialzarsi?
Toshio era morto,
era sotto gli occhi di tutti. Come avrebbe potuto rialzarsi dopo essere stato
passato da parte a parte e aver perso tutto quel sangue?
Nadeshiko, ancora
accanto a lui, lo guardò allibita, così fu la prima ad accorgersi della
comparsa, sul suo viso, di due strani segni che assumevano lentamente tinte
color rosso sangue man mano che la pelle riacquistava colore; sembravano due
fiamme, che partendo dal collo attraversavano le guance e gli occhi per
terminare sulla fronte.
Il sangue sul
terreno scomparve, la terribile ferita lentamente si richiuse e il cuore, in
pezzi fino a pochi secondi prima, riprese a battere; era un battito accelerato,
quasi spasmodico, e più aumentava più attorno al ragazzo andava formandosi una
sinistra aura rossa.
«Non è possibile!»
disse Shinji «Il suo circolo magico si sta ripristinando.»
«Non solo si sta
ripristinando.» commentò Takeru «Sta anche aumentando di intensità.»
«Impossibile!»
urlò Thanatos «Non può essere! Un uomo non può resuscitare dalla morte!»
“Toshio.” pensò
Nadeshiko allontanandosi leggermente dopo che quell’aura rossa aveva preso a
diventare molto calda “Cos’è questa sensazione? È quasi… oscura…”.
Una semplice
patina luminosa si trasformò in seguito in un fuoco ondeggiante; il corpo di
Toshio si sollevò in aria di circa un metro, e come una marionetta mossa da
fili invisibili prese a riacquistare a poco a poco movenze umane, sotto lo
sguardo terrorizzato di Thanatos.
«No! No! Questo è
inammissibile! Solo gli dèi possono resuscitare! Solo gli dèi non devono temere
la morte!»
«È questo il
potere di cui ti parlavo.» disse Izumi «Un potere che hai inconsapevolmente
risvegliato, e che ti condurrà alla distruzione.
La forza che
giunge direttamente dalle immensità dell’universo. La forza che permette ad un
uomo di scampare persino alla morte. Ciò che, per una sola volta, lo rende
simile ad un dio.
Il potere per
eccellenza!
Il Μένος
Aδηλος!».
Come la donna
pronunciò l’ultima parola Toshio, tornato a sorreggersi sulle sue gambe,
spalancò gli occhi, risorti a nuova vita; l’aura rossa si affievolì fino a
scomparire, e altrettanto accadde ai simboli sul viso.
Contemporaneamente
Aria a Lotte, ancora prive di sensi in mezzo all’erba, ripresero conoscenza, e
subito assunsero forma umana, all’apparenza molto più forti e determinate di
prima.
«Non… non ci posso
credere.» disse Keita
«Il…
Μένος Aδηλος!?» balbettò
Yuuki terrorizzata.
In quel momento
Shinji capì che la cosa era, tutto sommato da prevedersi; anche quando Toshio
fosse morto i suoi due famigli avrebbero dovuto seguire lo stesso destino, e la
meridiana sarebbe dovuta comparire in cielo per annunciare la sconfitta di un altro
partecipante al torneo. Invece, nessuna di queste due cose era avvenuta.
Nella vallata
cadde per un secondo il più assoluto silenzio, e quanto Toshio alzò lo sguardo
verso Thanatos questa stentò a riconoscerlo.
«È ora di
concludere ciò che abbiamo cominciato.»
«No… tu non puoi
essere vivo! Un umano non può permettersi di fare ciò che solo a un dio è
concesso!
Questo è
inammissibile!».
La ragazza volò
quindi contro di lui e cercò di colpirlo con un fendente come aveva fatto poco
prima, ma stavolta il suo tentativo si concluse con un penosissimo fiasco; il
suo attacco venne parato, poi Toshio, girando su sé stesso, le assestò un
calcio che dopo averla sbattuta in aria la scaraventò al suolo; le ali
membranose scomparvero, forse per via del brusco calo di concentrazione subito
da Yuuki nell’accusare il colpo.
«Dannatissimo…
mortale…».
Prima di
rendersene conto Thanatos si ritrovò circondata, oltre che da Toshio, dalla
maestra Izumi, Aria, Lotte e Nagisa, sbucata dal nulla poco dopo la sua padrona.
«No…»
«Credevi di essere
una divinità.» disse Izumi «Ora ti dimostreremo che sei solo una ragazzina
presuntuosa».
Nagisa attaccò per
prima, sfoderando nella mano destra cinque unghie lunghe ed affilate, proprie
della sua natura di lince.
RAPID LUNGE!
Muovendosi a grandissima velocità e passandole più volte
vicino Nagisa inferse a Thanatos numerosi colpi in varie parti del corpo, con
una cadenza così rapida che quando l’avversaria fu sollevata leggermente in
alto dopo il primo colpo non cadde fino a che l’attacco non ebbe fine.
Dopo Nagisa fu il
turno di Aria e Lotte; la prima, generato dinnanzi a sé un circolo magico,
lanciò tre fasci di luce che unitisi in un unico grande bagliore andarono a
colpire il nemico, sparandolo contro una roccia, dove venne raggiunta dalla
seconda, mossasi come Nagisa ad una velocità incredibile.
«Cosa…»
«Evita questo, se
ci riesci!»
GREAT SMASH!
Thanatos ricevette un calcio al mento tanto forte da
lanciarla via come una piuma, e a quel punto venne il turno di Izumi, che usò
quattro ali luminose apparse dietro la sua schiena per volare molto più in alto
della sua avversaria.
«Rose!»
«Spark Tornado».
Tutto intorno alla
donna comparvero diversi fasci di luce rossa simili a punte di freccia che ad
un suo cenno partirono all’attacco puntando diritte su Thanatos; questa,
determinata a non lasciarsi sconfiggere, girò su sé stessa, riportandosi in
assetto, e con un rabbioso colpo di falce vanificò l’attacco, spedendo i globi
in diverse direzioni.
Izumi, per nulla
impressionata, fece un cenno con la mano, e subito tutti i colpi si fermarono,
ruotarono su sé stessi quindi tornarono a puntare Thanatos.
«Ma che diavolo…».
Stavolta non ci fu
niente che la ragazza poté fare per impedire l’inevitabile, venendo colpita
inesorabilmente più e più volte prima di ricadere verso il basso.
Quando tornò a
terra era esausta, e il sentirsi così debole non fece altro che aumentare
ancora di più la sua furia.
«No… non lo
accetto.» disse cercando di rialzarsi «Io… sono una dèa… non posso perdere…
contro un umano…».
In quella, una
luce fortissima minacciò di accecarla; Toshio stava in piedi ad una ventina di
metri da lei, e sia lui che la sua spada erano circondati da una grande aura
dorata.
«Maledetto umano!»
ringhiò Thanatos rialzandosi
«Ti sei arrogata
il diritto di giocare con la vita di persone innocenti. Hai preso loro hai
vita, e hai sfruttato i loro corpi senza un minimo di rimorso.
Il male che hai
fatto ricadrà sulle tue spalle».
Sotto i piedi di
Toshio si materializzò allora un circolo immenso, con all’interno un disegno
che per complessità e vastità era paragonabile solo a quello di Keita; appena
il guerriero alzò la spada sopra la testa questa cominciò a splendere ancor più
forte, alimentata da diverse correnti di potere magico che sgorgavano
direttamente dal cerchio.
«No!» urlò Yuuki
mettendo la falce davanti a sé a correndogli contro.
Ciò nonostante,
Toshio non parve intenzionato a fermarsi.
TAICHI…
«Mi rifiuto di
farmi battere da un mortale!»
RYUMAJIN!
Il risultato fu un uragano di energia di proporzioni
colossali, capace di disintegrare la terra al suo passaggio e di far agitare
furiosamente alberi che stavano a decine di metri, sradicandone i rami
controvento.
Thanatos fece
appena in tempo a piegare la bocca in un’espressione di stupore prima di venire
centrata in pieno da quel vortice, e quella che doveva essere un’esclamazione
di sorpresa divenne un urlo agghiacciante da far gelare il sangue nelle vene.
Keita, Shinji e
tutti gli altri si coprirono gli occhi, sconvolti da una simile manifestazione
di potere, e quando, finalmente, la situazione parve acquietarsi, l’ultima cosa
che si aspettavano fu di vedere la loro avversaria ancora in vita.
Yuuki di Thanatos,
dèa della morte, giaceva sulla schiena con il corpo devastato dalle ferite,
dalle quali però non uscivano che poche gocce di sangue; la sua adorata falce
era in frantumi, ed entrambe le gambe dovevano essersi rotte, perché erano
piegate in pose innaturali.
Rantolava e
respirava a fatica, continuando a mugugnare che era impossibile, per lei,
venire sconfitta da un essere umano.
Il circolo magico
di Toshio, terminato l’attacco, scomparve, e contemporaneamente Izumi, tornata
coi piedi per terra, si avvicinò a Thanatos mettendo mano alla sua Bloody Rose,
riposta in un’apposita fondina alla base della schiena.
Vedendosi puntare
l’arma contro Yuuki, per la prima volta, pianse di paura.
«No…» balbettò «Vi
prego… non fatelo…»
«Deve essermi
sfuggito qualcosa.» disse impassibile Izumi «Sbaglio o avevi detto che sono gli
uomini a dover pregare gli dèi, e non il contrario?».
Completamente
terrorizzata, Thanatos prese a gattonare all’indietro, ma la sua breve fuga si
concluse a ridosso di una roccia.
«Vi… vi prego. Non
uccidetemi…»
«Continui a
contraddirti. Non dicevi che gli dèi non hanno motivo di temere la morte?»
«Maestra,
aspettate!» intervenne Nadeshiko «Ormai è del tutto inoffensiva! Non c’è alcun
motivo per ucciderla.»
«Detesto
ammetterlo, ma non ha tutti i torti.» disse Shinji «Anche se è una creatura
abbietta e senza coscienza non la si può uccidere così a sangue freddo».
Tuttavia, nessuno
che poteva fare seriamente qualcosa per fermare Izumi sembrava intenzionato ad
intervenire; Nagisa, Toshio e i suoi due famigli non staccavano per un istante
gli occhi da Thanatos, fissandola come dei giurati che si apprestano ad
emettere una sentenza di condanna.
Nadeshiko, alla
ricerca di una soluzione, guardò prima Takeru, che però, pur non mostrando di
condividere appieno la scelta di Izumi, non pareva neanche intenzionato ad
ostacolarla, quindi Toshio, che seguitava a guardare Yuuki dandole le spalle e
che non aveva alcuna intenzione di intervenire.
«Keita.» disse
allora, in lacrime «Ti prego, fa qualcosa».
Il ragazzino
tuttavia era visibilmente combattuto; non poteva perdonare ciò che Thanatos
aveva fatto, ma quella parte di lui che abbracciava ideali quali l’onestà e
l’onore non poteva accettare che si compisse quello che era a tutti gli effetti
un omicidio.
«Aspettate! Se la
uccidete in questo modo vi abbasserete al suo livello!»
«Il torneo esiste
per proteggere questo mondo e le persone che lo abitano!» disse Nadeshiko «Noi
umani siamo diversi da loro perché possiamo provare sentimenti. Se chiudiamo ai
nostri cuori non siamo migliori di loro».
Vi fu un silenzio
lunghissimo, rotto solo dal frusciare del vento.
«Vi prego…» tornò
a dire Thanatos «Vi… prego…»
«Quest’essere
abominevole ha le mani macchiate del sangue di milioni di innocenti.» disse
Izumi «Creature come lei non meritano di vivere.»
«No!».
L’aria venne
improvvisamente saturata dal fragore dello sparo, e per un istante il tempo
parve fermarsi.
Thanatos, colpita
in mezzo alla fronte, morì all’istante, e pochi secondi dopo essere rovinata a
terra tingendo la roccia di sangue il suo corpo scomparve allo stesso modo di
quelli dei suoi servitori.
Keita, Shinji e
Nadeshiko non riuscirono a credere ai loro occhi, e anche Takeru, per quanto
impassibile, aggrottò leggermente le sopracciglia.
Tutti gli altri,
invece, non mossero un muscolo, e anche dopo che il corpo della ragazza si fu
dissolto rimasero immobili ad osservare la cenere in cui si era tramutato che
rapidamente veniva dispersa dal vento.
Nadeshiko aveva
gli occhi pieni di pianto; e pensare che, appena aveva visto Toshio tornare in
vita davanti a lei, aveva detto a sé stessa che a fine battaglia sarebbe corsa
ad abbracciarlo, dicendogli quanta paura aveva avuto di averlo perso. Ora,
invece, sentiva di non conoscerlo, e per lui non provava altro che un misto di
repulsione e paura, così come per tutte le persone lì presenti che aveva
conosciuto dal suo arrivo in Europa.
«Voi… voi siete
dei mostri!»
Nota dell’Autore
Eccomi qua!
Anzitutto, una
precisazione. Due giorni fa Akita è partita per una gita scolastica, e
inizialmente mi ero detto di non pubblicare un nuovo cap prima del suo ritorno;
tuttavia, in questo lasso di tempo, ho avuto casualmente molto tempo libero, e
ne ho approfittato per scrivere. Anche se lungo il capitolo è stato molto veloce
da portare a termine, quindi, avendo un’altra settimana a disposizione, mi sono
detto che non valeva la pena aspettare così tanto per inserirlo, quindi ho
anticipato i tempi.
Ad ogni modo da
domani inizia una settimana veramente coi fiocchi, quindi potete star certi che
sicuramente non ci saranno altri cap almeno per 5-6 giorni
Come sempre
ringraziamenti a Selly, Lewsky, Cleo e alla stessa Akita
per le recensioni
Il sorgere del nuovo giorno portò con sé lo scoppio di un
violento, impetuoso acquazzone estivo; sembrava che le cateratte del cielo si
fossero aperte, fiumi e fiumi di acqua si abbattevano senza sosta sulla vallata
portandosi via i resti della battaglia.
La sede dei
cacciatori emanava ora un’atmosfera tetra, e quella presente fra i suoi ospiti
non era certo migliore.
Al rientro nel
castello la comitiva si era spaccata in due tronconi; da una parte, Izumi e
Toshio coi rispettivi famigli nella biblioteca, dall’altra Nadeshiko e gli
altri ragazzi in camera di quest’ultima.
Nadeshiko in
particolare sembrava scossa e risentita, e da che era tornata si era seduta sul
suo letto senza pronunciare parola, tenendo lo sguardo ben piantato a terra.
I suoi compagni,
soprattutto Keita, avrebbero voluto dirle qualcosa, giusto per risollevarle un
po’ il morale, ma non sapevano proprio da quale parte cominciare; dopotutto
comprendevano perfettamente il suo stato d’animo. Per una persona abituata a
vedere il buono in ogni cosa e in ogni persona, per quanto impossibile possa
essere, doveva essere stato un colpo terribile veder uccidere qualcuno a sangue
freddo e senza un minimo di pietà.
Tuttavia, coloro
che si erano resi responsabile di questo cosiddetto crimine non sembravano
esserne minimamente pentiti, e anzi discutevano tra di loro sulle conseguenze
che la morte di un generale di Seth avrebbe potuto comportare.
«Non c’è dubbio
che Seth ora affretterà i piani.» disse Toshio
«Poco ma sicuro.»
rispose Izumi, seduta alla poltrona di fronte alla sua «Questo posto non è più
sicuro per voi. Dovete andarvene immediatamente.
Il torneo deve
giungere a compimento quanto prima.»
«A tal proposito»
intervenne Lotte «Io e Aria abbiamo percepito distintamente la presenza di un
altro concorrente non lontano da qui. Crediamo si tratti di Atarus.»
«Credete che stia
venendo al castello?» domandò Toshio
«No, è da
escludere.» rispose Nagisa «Questa valle maschera piuttosto bene le emanazioni
energetiche di chi si trova al suo interno. Probabilmente sta solo transitando
nelle vicinanze per raggiungere la sua prossima destinazione.»
«Se partissimo
subito» ipotizzò Aria «Potremmo intercettarlo, e visto che non sospetta
minimamente della nostra presenza lo troveremmo quasi sicuramente con la
guardia abbassata.
Sarebbe un’ottima
possibilità per eliminare un concorrente e un avversario pericoloso.»
«Su questo non c’è
dubbio.» disse Izumi «Ma in tal caso, bisogna che vi mettiate subito in
cammino».
Vi fu un momento
di pausa, poi Toshio sollevò lo sguardo.
«Quando te ne sei
accorta?»
«Il primo momento
che ti ho visto.» rispose lei guardandolo a sua volta «Il Μένος
Aδηλος è facile da identificare. Immagino volessi
conservare la tua unica possibilità di risorgere dalla morte per lo scontro con
Seth.»
«È così. I maghi
di Nepthys avevano fatto un incantesimo in modo che il Μένος
Aδηλος si sprigionasse solo nel caso che fossi morto
in combattimento. Questo mi avrebbe dato un notevole vantaggio nel caso il mio
avversario fosse stato lo stesso Seth.»
«E invece, questa
possibilità te la sei giocata. Comunque sia, il Μένος Aδηλος
può essere sia un valido alleato che un pericoloso nemico, ma immagino che
questo tu già lo sappia».
Shinji, che stava
transitando accanto alla stanza, udì casualmente la prima parte della
conversazione, e tornato in camera di Nadeshiko Takeru, notando subito la sua
espressione preoccupata, lo invitò a vuotare il sacco.
«E così.» disse
Nadeshiko con un misto di rabbia e rassegnazione «Moriranno altre persone».
Keita, non
riuscendo più a vederla in quello stato, decise di intervenire.
«Nadeshiko,
capisco come tu ti senta. Non si può perdonare quello che hanno fatto, ma c’è
anche da dire che se non l’avessero uccisa quella perfida creatura avrebbe
continuato ad uccidere a sua volta.»
«Comunque sia, è
ingiusto. Le hanno sparato come se niente fosse. Perché gli uomini devono
essere sempre così meschini e violenti con sé stessi?»
«Questa è una
guerra.» rispose Takeru senza mezzi termini «Non c’è spazio per i buoni
sentimenti.
Avresti dovuto
capirlo quando hai accettato di imbarcarti in quest’impresa.»
«Lo sapevo
benissimo che sarebbero potuti esserci dei morti!» gridò Nadeshiko per tentare
di sfogarsi «Ma non accetto l’idea che si possa uccidere una persona che ti
implora piangendo di risparmiarla!»
«Voi siete vissuti
negli agi e nelle comodità per tutti questi anni.» continuò Takeru «Non siete
mai stati costretti a vedere la realtà che si estende al di fuori delle gabbie
dorate che vi siete costruiti. Questo mondo è maledetto, pieno di gente
disposta a tutto pur di ottenere ciò che vuole.
Quante persone credete che abbia ammazzato
quella ragazzina egocentrica, e quante ancora ne avrebbe uccise se l’avessero
risparmiata?»
«Takeru, ora
basta!» intervenne Shinji
«Pensare che tutto
possa essere risolto coi buoni sentimenti e ostinarsi ad avere sempre fiducia
nel prossimo è pura utopia» disse Takeru guardando Nadeshiko, che però
continuava a rimanere a capo chino «Specialmente in una situazione come quella
in cui avete scelto volontariamente di immergervi. Se non riesci a capire
questo allora faresti meglio a lasciar perdere.»
«Tu, maledetto…»
ringhiò Shinji prendendolo per il bavero
«Basta, finitela
voi due!» disse Keita «Ci manca solo che cominciamo a litigare tra di noi!».
Improvvisamente,
proprio mentre Shinji e Takeru sembravano sul punto di azzuffarsi, Nadeshiko,
che da qualche istante sembrava essere quasi svanita nel nulla, tanto si era
fatta silenziosa, cadde in avanti come una bambola a cui è stato tolto il suo
appoggio, e appena i ragazzi si decisero a guardarla rimasero di sasso.
Respirava a
fatica, il suo volto era pallido e sudato, e la pelle al tatto bruciava più del
fuoco.
«Nadeshiko!» disse
Keita «Che ti succede? Rispondimi!».
Shinji e Takeru,
sorreggendola, la adagiarono immediatamente sul letto e per qualche minuto
cercarono di cavarsela da soli, ma poi, visto che la situazione peggiorava a
vista d’occhio, Keita raggiunse velocemente la biblioteca.
«Che succede?»
domandò Izumi vedendolo così agitato
«Nadeshiko!
Nadeshiko sta male!»
«Che hai detto!?»
gridò Toshio balzando in piedi con gli occhi pieni di angoscia.
Come se avesse
avuto il diavolo in corpo il ragazzo corse fuori dalla stanza ad una velocità
tale che Izumi e gli altri non riuscirono a tenergli il passo, e quando, aperta
la porta, vide il volto sofferente di Nadeshiko emergere dalle coperte sembrò
quasi sul punto di lanciare un grido di dolore.
Questo suo
atteggiamento colpì profondamente un po’ tutti, soprattutto i suoi famigli, ma
non servì certo a migliorare la situazione della ragazza.
Nel giro di un’ora
la temperatura aumentò terribilmente, e per quanto Aria continuasse a ripeterle
di rimanere sveglia Nadeshiko continuava a perdurare in uno stato di
dormiveglia, alternando momenti di sofferenza ad altri che rasentavano il
delirio.
Sia Keita che
Toshio erano palesemente nervosi, e si guardavano continuamente l’un l’altro
come a cercare una soluzione che non arrivava mai.
«La… la gamba…»
disse d’un tratto Nadeshiko in uno dei pochi momenti di coscienza.
Allarmati da
quella frase subito i suoi compagni le tolsero di dosso le coperte, e appena
Izumi le sollevò leggermente i pantaloncini, mettendo a nudo la parte superiore
della coscia destra, lei e gli altri dovettero sforzarsi per non vomitare: una
grande, orrenda ferita semiaperta dominava un’intera porzione della gamba,
facendo marcire la pelle circostante ed emanando un odore irrespirabile, simile
a quello della carne in putrefazione.
«Ma che cosa
diavolo è quello?» domandò sconvolto Keita
«È stata
avvelenata.» rispose Izumi con voce da funerale «È opera di uno di quegli
zombi. Deve essere riuscito a graffiarla.»
«Ma come ha fatto
a non accorgersene?» chiese Shinji «Quella cosa deve fare un male tremendo.»
«Probabilmente si
trattava di un segno appena visibile. Questo tipo di infezioni è infido e
pericoloso; non provoca né sintomi né dolore fino a quando non ha raggiunto
dimensioni colossali, per questo non si è accorta di niente.»
«Noi cosa possiamo
fare?» domandò Takeru.
Izumi rispose a
quella domanda con un silenzio raggelante, che lasciò tutti i presenti
nell’angoscia più pura.
«Non c’è niente
che possiamo fare».
Keita e Toshio
sentirono entrambi un terribile colpo al cuore, un dolore così forte da fargli
credere che stesse per scoppiare da un momento all’altro; nei loro occhi
comparvero il terrore e lo sgomento più puri. Anche Shinji, Takeru e tutti gli
altri rimasero comprensibilmente sconvolti, ma nulla era paragonabile alle
sensazioni provate da quei due ragazzi.
«Non scherziamo!»
gridò Keita saltando in piedi «Tu sei una cacciatrice! Voi distruggete quei
mostri di professione da migliaia di anni! Possibile che non conosciate un modo
per fermare le loro infezioni?»
«Sappiamo come
combatterli.» rispose la donna a capo chino «Ma non siamo mai riusciti a
sviluppare una cura contro le loro infezione. È un veleno che colpisce sia il
corpo che lo spirito. Chi viene contaminato subisce una lenta agonia, e nel
giro di quarantotto ore…».
Izumi dovette
fermarsi, ma il senso del suo discorso era fin troppo chiaro. Keita a quel
punto non ci vide più, e slanciatosi in avanti afferrò la donna per le spalle.
«Non lo accetto!
Non possiamo lasciarla morire così! Vorreste lasciar morire una ragazzina,
magari per poi essere liberi di pensare a come attaccare meglio Atarus?»
«Keita…» gli disse
Shinji cercando di calmarlo, ma Aria, accanto a lui, gli fece subito un cenno,
come a dirgli di stare in silenzio.
In certi casi,
sfogarsi era la cosa migliore da fare, e forse proprio per questo anche Izumi
subiva senza reagire.
«Ha ragione a dire
che siete dei mostri! Non siete altro che automi senza cuore! Vi preme di più
il torneo della sua vita!»
«Qualcosa si può
fare.» disse in quella Toshio con un filo di voce, portando nuovamente il
silenzio
«Di che parli?»
chiese Takeru «Esiste davvero una soluzione?»
«Sì. Probabilmente
sì. Ma non in questo mondo.»
«Che vuol dire,
non in questo mondo?!» domandò Shinji.
Izumi e i tre
famigli impiegarono molto poco a capire di cosa Toshio stava parlando, e allora
persino Izumi non riuscì a trattenere un’esclamazione di stupore.
«Non starai
pensando di…»
«Sì.» rispose lui
guardandola severamente «Portiamola dalla Strega delle Dimensioni.»
«Chi è la strega
delle dimensioni?» chiese Shinji
«Si dice che sia
la maga più potente che sia mai esistita.» rispose Lotte
«La chiamano
così.» proseguì sua sorella «Perché pare abbia il potere di far viaggiare le
persone attraverso gli innumerevoli universi che scorrono paralleli al nostro.»
«E dove si trova
questa strega?» domandò Keita sentendo tornare la speranza
«In uno di questi
universi. Ma se non sbaglio» disse il ragazzo guardando Izumi «I Cacciatori conoscono
il circolo magico che permette di viaggiare fino a lei».
Tutti allora
volsero lo sguardo verso Izumi, che invece, abbandonata la sua proverbiale
freddezza, guardò a terra in preda al nervosismo.
«Allora?» chiese
Aria «Davvero sai come arrivare dalla strega?»
«Prima che te lo
dica.» disse guardando Toshio nel modo più severo e giudicatore possibile
«Voglio che tu mi risponda sinceramente.
Lo stai facendo
per lei, o solo per la tua coscienza?».
Gli sguardi
tornarono nuovamente a posarsi su Toshio; questi, rimasto inizialmente in
silenzio, dopo aver guardato un attimo Nadeshiko le posò delicatamente una mano
sulla fronte, un gesto che sembrò quasi tranquillizzarla, tanto che per un
momento smise di respirare a fatica distendendo leggermente i lineamenti.
«Io credevo di non
avercela, una coscienza. Questa ragazza mi ha fatto capire che forse mi
sbagliavo.
Ciò nonostante, la
mia coscienza, se davvero ce l’ho, non vale quanto la sua vita.» disse, quindi,
avvoltala nelle coperte, la prese tra le braccia «Andiamo».
Izumi ascoltò
senza battere ciglio, poi chiuse gli occhi e sorrise.
«Alla fine, l’hai
trovato.» disse quasi tra sé «Seguitemi».
La donna, dopo
aver congedato Nagisa e i due famigli di Toshio, condusse i ragazzi nei
sotterranei del castello, in una grande stanza in pietra di forma semisferica
solo debolmente illuminata da qualche candela e caratterizzata dalla presenza
di un grande pentacolo.
«Forza, mettetevi
al centro.» disse, e appena tutti ebbero obbedito cinse le mani in posizione
shinto, materializzando un circolo magico di grandi proporzioni sovrapposto al
pentacolo da cui subito si generò una forte corrente d’aria.
Come l’ultima
volta la sensazione iniziale fu di venire sbalzati verso l’alto, ma invece che
pochi secondi la cosa durò quasi un minuto, e appena la colonna di luce si
spense Keita e gli altri si ritrovarono nell’ultimo posto dove immaginavano di
dover incontrare una strega.
Si aspettavano un
castello perso in una foresta senza sentieri, o arroccato sulla cima di una
montagna, invece erano finiti nel giardinetto di una bella casa, schiacciata in
tutte le direzioni dagli alti grattacieli di una città molto simile a Tokyo.
E che dire poi
della strega in questione, che già al momento del loro arrivo li osservava
stando ai piedi della piccola gradinata che immetteva nel porticato d’ingresso
della casa, quasi avesse previsto la loro venuta?
Non era certo la
vecchia gobba piegata in due dalla lombaggine, chiusa dentro una sdrucita veste
color fumo, con le mani ossute e la faccia rugosa, dominata da un nasone a
becco d’aquila, ma una donna bellissima, dell’età apparente di venticinque
anni, alta e magra, con la pelle candida che sembrava seta, lunghi capelli
corvini acconciati alla maniera delle regine dell’epoca Edo e occhi rosso
brillante; indossava un lungo e antico abito nero con sprazzi bianchi, vistose
spalliere, risvolti delle maniche molto pronunciati e un ampio spacco sul
davanti che lasciava scoperte le gambe, nascoste però da lunghe calze sempre
nere e da un paio di scarpe con un tacco piuttosto pronunciato. A rendere la
sua figura ancora più aggraziata erano alcuni gioielli di pregiata fattura, fra
i quali un pendente a forma di mezzaluna che ricadeva elegantemente sull’incavo
dei seni.
Non era da sola;
assieme a lei c’erano due bambine, anch’esse vestite di nero, quasi identiche
d’aspetto. Solo i capelli, di taglio e colore diverso, un bianco azzurrino con
due lunghe trecce e un caschetto rosato, permettevano di distinguerle. Vi era
però qualcosa e inquietante in loro: i loro occhi, dello stesso colore dei
capelli, erano vuoti, i loro volti senza espressione, ed entrambe stavano immobili
senza quasi respirare, come le statue che, a prima vista, potevano sembrare.
Toshio, che teneva
ancora Nadeshiko tra le braccia, si guadagnò la prima occhiata enigmatica e
misteriosa di quella donna dalla quale sentiva provenire un potere magico
inconcepibile per qualunque essere umano.
«Ti prego!» disse
andando subito al sodo «Salva Nadeshiko!».
Lei non rispose,
continuando incessantemente a guardare ora i due ragazzi ora il resto del
gruppo.
«Ve ne prego!»
disse allora Keita «Aiutatela!»
«Quella ragazza è
stata infettata con il sangue malefico di un demone.» sentenziò la donna «Anche
mettendo insieme tutto il mio potere magico, epurare quell’infezione è qualcosa
che va’ al di là delle possibilità mortali.»
«Ti prego!» gridò
ancora Toshio con le lacrime agli occhi «Deve esserci qualcosa che tu possa
fare! Sei la più grande maga di tutti i tempi! Sono pronto a fare qualsiasi
cosa tu vorrai! Ti darò anche la mia vita se sarà necessario, ma salvala, ti
supplico!»
«Lo faremo anche
noi.» disse Shinji «Nadeshiko è nostra amica, siamo tutti pronti a dare la vita
per salvarla.»
«Ha ragione.»
intervenne Keita «Se c’è qualcosa che può essere fatto, anche la più piccola
speranza che Nadeshiko possa essere salvata, faremo tutto ciò che sarà
necessario per aiutarla».
Di nuovo la strega
rimase semplicemente a guardare lui e tutti gli altri, poi, fatto qualche passo
avanti, abbassò lo sguardo fino ad incrociare quello di Toshio, inginocchiato a
terra.
«Dimmi. Quanto sei
disposto a rischiare per salvare questa ragazza?».
Toshio esitò,
mordendosi le labbra, poi strinse ancor più forte Nadeshiko a sé.
«Accetterei di
scomparire pur di saperla salva.»
«È il dolore a
farti parlare così, o sei davvero convinto di ciò che dici?»
«Io…» rispose Toshio guardando a terra «Io ho sempre creduto di non
avere niente per cui vivere. Per tutta la vita, non ho fatto altro che eseguire
gli ordini. Il torneo era la mia unica ragione di vita, attorno ad esso si
concentrava tutto il mio esistere.
Incontrando queste persone, però, ho capito che c’è dell’altro. Ho
capito che posso trovare nuove ragione per cui vivere, per cui voler andare
avanti. E chi me l’ha insegnato… è stata lei.
Io… non posso permettere che muoia».
La strega e il resto dei presenti ascoltarono quella confessione in
religioso silenzio, e apparentemente impassibili; solo Keita pareva incredulo,
incredulo e sconvolto.
«Hai mai sentito parlare del Sangue Divino?» domandò d’improvviso la
donna.
Toshio, che non sapeva di cosa stesse parlando, sollevò comunque lo
sguardo, in cui tornò di colpo a brillare un velo di speranza, e altrettanto
fecero i suoi compagni.
«Il mondo da cui provieni non è il solo nel quale gli dèi hanno
camminato. Ce n’è uno, in una delle innumerevoli realtà che scorrono parallele
alla vostra, in cui è custodito un vaso nel quale è contenuto un elisir
miracoloso.
Una sola goccia di quell’elisir potrebbe sanare la ferita».
Lo spettro di una possibile soluzione fece tornare il sorriso sul volto
di molti dei presenti, ma lo sguardo cupo che seguitava a perdurare sul volto
della strega lasciava intendere che la cosa non fosse così facile come poteva
sembrare.
«Aspettate a festeggiare. Il mondo in questione fu scelto dagli dèi come
dimora nei tempi antichi, similmente al vostro, e quando essi abbandonarono per
sempre la dimensione fisica lo elessero a eterno custode dei loro tesori.
Di conseguenza, quel mondo è caratterizzato da una realtà ostile, piena
di pericoli, e tutto attorno ad esso gravita una maledizione che impedisce a
qualunque essere umano di usare la magia.»
«Non potremo usare la magia!?» disse Shinji
«Non ha importanza!» rispose sicuro Toshio «Fammi arrivare laggiù e ti
porterò quel vaso!»
«E c’è dell’altro. Come sicuramente saprete, in questo mondo nulla può
essere ottenuto senza pagare un prezzo. Tutto ciò che facciamo e che otteniamo
ci costa sempre qualcosa di uguale valore, e questo vale anche per i miei
servigi.
Il fatto che voi andiate personalmente a recuperare l’elisir sarà il
prezzo da pagare perché io possa guarire questa ragazza, ma perché io possa
mandarvi in quel mondo dovrete pagare con qualcosa a voi molto prezioso».
I ragazzi, attoniti, si guardarono tra di loro, indecisi sul da farsi;
cosa potevano offrire di così grande valore per compensare la possibilità di
raggiungere un altro mondo?
La maestra Izumi, che stava alcuni passi indietro, si sentì chiamare.
«Master.» disse Rose.
Lei guardò il pendente.
«Please, do it.»
«Rose. Ne sei davvero sicura?»
«Yes».
La donna chiuse gli occhi, annuendo, quindi si sfilò il monile e lo mise
in bella vista.
«Questo può bastare?»
«Maestra Izumi!?» disse Keita.
Le due si guardarono, poi, appena la strega fece un cenno di assenso, il
pendente venne circondato da un tenue bagliore viola e fluttuò tra le mani di
una delle due bambine.
«Izumi.» disse Toshio «Quell’oggetto era importante per te. Non ce n’era
bisogno che te ne privassi.»
«Quando ti ho visto per la prima volta, ho pensato tra me e me che non
sarei mai riuscita a distruggere le catene che legavano la tua personalità.»
rispose la maestra, guadagnandosi un’occhiata di stupire «Questa ragazza è
stata capace di fare qualcosa che io reputavo impossibile. Pertanto non posso
permettere a lei di morire e a te di perdere ciò per cui hai finalmente trovato
una ragione di vita.
Se riuscirò ad ottenere entrambi questi scopi, Rose sarà stato un
piccolo prezzo da pagare, e sono sicura che anche lei la pensa così.»
«Izumi…»
«Ora non c’è tempo per parlare.» intervenne la strega «Più passa il
tempo più quella ragazza rischia la vita.»
«In tal caso, basta parlare.» disse Toshio «Forza, spediscimi laggiù.»
«Non avere troppa fretta. Non potrai portare a termine questo incarico
da solo. È necessario che qualcuno venga con te.»
«Per quale motivo?»
«Ce n’è più di uno. Una volta a destinazione ti sarà tutto chiaro.»
«Lo faccio io!» irruppe improvvisamente Keita, come un fulmine a ciel
sereno.
Tutti si girarono nella sua direzione, e per un istante il ragazzo
sembrò quasi non rendersi conto di ciò che aveva appena fatto.
«Keita…» disse Toshio «Potrebbe essere pericoloso.»
«Nadeshiko è la mia migliore amica. Ho giurato a me stesso di
proteggerla da tutto e da tutti, e non ho alcuna intenzione di tornare indietro
su questo proposito.»
«Ma non potremo usare la magia, te ne sei scordato? Io so cavarmela nel
corpo a corpo, ma tu…».
Keita allora fu costretto a ritornare un momento sulla sua decisione,
ammettendo a sé stesso che Toshio non aveva tutti i torti; negli ultimi
quindici giorni aveva molto migliorato le sue abilità di spadaccino, ma se si
trattava di combattimenti a mani nude era poco più di un principiante.
La strega, scorgendo il suo sconforto, si rivolse ad una delle due
bambine sue assistenti.
«Vai a prendere l’articolo 214 dal magazzino».
Quella, chinando il capo, corse dentro la casa, tornandone poco dopo con
uno splendido esemplare di jian cinese; il fodero, laminato d’oro, era decorato
con motivi floreali, e alla base dell’impugnatura, anch’essa dorata e
sormontata da una sfera verde smeraldo, era legata una sottile corta di seta
rossa.
L’arma venne quindi consegnata a Keita.
«Portala con te. Me la restituirai al ritorno.»
«È bellissima. A chi appartiene?»
«A una persona alla quale somigli molto. Per questo credo ti sarà
utile».
Toshio affidò Nadeshiko alle braccia vigorose di Takeru prima di
ricevere dalla strega un ofuda con disegnati alcuni caratteri cinesi.
«Il vaso contenente l’elisir si trova in un tempio sulla sommità si una
rocca; userò i miei poteri per trasferirvi il più vicino possibile alla vostra
meta, ma da lì in poi dovrete andare avanti da soli.
Fate molta attenzione. Una volta arrivati, avrete a disposizione
solamente quattro ore prima che i potenti incantesimi a guardia di quel mondo
distruggano i vostri corpi. Quando avrete portato a termine la missione
strappate questo talismano e ritornerete subito indietro, ma fate molta
attenzione ad essere a stretto contatto o uno di voi due sarà lasciato
indietro.»
«D’accordo.» disse Toshio
«Un’ultima cosa. Il sortilegio che protegge quel mondo aumenta di forza
ogni volta che qualcuno riesce a violarlo. Se fallirete, non sarà possibile
fare un secondo tentativo.»
«Lo terremo bene a mente.» rispose Keita
«Molto bene. Preparatevi.»
«Aspetta!» disse in quella Izumi, facendo voltare i ragazzi verso di
lei.
La donna, sfilatasi la cintura, contenente la sua Bloody Rose e un buon
numero di caricatori pronti all’uso, la lanciò a Toshio, che la prese al volo.
«Non penserai di affrontare una simile prova senza un’arma, voglio
sperare. Questa ti sarà utile.»
«Io…» balbettò inizialmente il guerriero per poi attorno alla vita
tornando ad essere quello di sempre «Grazie. Ne farò buon uso».
Conclusi i preparativi i due ragazzi vennero invitati a mettersi al
centro del giardino, e appena la strega mosse un braccio un forte vento
iridescente prese a soffiargli tutto intorno, avvolgendoli sempre più.
«Buona fortuna!» disse Shinji poco prima che il vortice scomparisse
«Grazie.» rispose Toshio «Ne servirà tanta».
Chiuso nel tempio della divina
Nepthys, il re Akunator era inginocchiato come tutti i pomeriggi dinnanzi alla
statua della dèa, immerso nel silenzio e nella meditazione.
D’un tratto, il suo pregare venne scosso da uno strano presentimento, e
spalancati i suoi grandi occhi neri, ancora carici di un’indomabile indole
guerriera, si volsero per un istante verso il cielo azzurro che si stagliava
oltre il colonnato alla sua destra, solo in parte velato dal tendaggio leggero.
Forse avendo percepito una variazione nell’umore del cugino, il gran
visir lo raggiunse dopo poco; prima ancora che potesse aprire bocca, però,
Akunator manifestò sul nascere i propri pensieri.
«Non avverto più la presenza di mio figlio.»
«Che intendi dire?» domandò Zervan comprensibilmente sorpreso «Intendi
dire che… è stato ucciso?!»
«No, impossibile. La meridiana sarebbe comparsa nel cielo per annunciare
la sua sconfitta.
È come scomparso nel nulla, e anche l’energia dei quattro ragazzi che lo
accompagnano è svanita insieme alla sua. Mi domando se tutto ciò non abbia
qualcosa a che fare con Seth».
Seguì un momento di silenzio, poi Akunator riprese a parlare.
«Il Μένος Aδηλος si è
risvegliato.»
«Che cosa!?» esclamò Zervan con gli occhi sbarrati «Ne sei sicuro?»
«L’ho percepito distintamente. Non avrei mai immaginato che sarebbe
accaduto così presto.»
«E pensare che doveva essere la nostra arma segreta da sfoderare contro
Seth.» disse il visir stringendo con forza inaspettata la sua mano scarna
«Ho sempre creduto
che il Μένος Aδηλος fosse
l’unica cosa che potesse permettere a Toshio di sfidare Seth ad armi pari.»
disse Akunator come tra sé «Ma forse, mi sono sbagliato.»
«Che stai
dicendo?»
«Il potere di mio
figlio è mutato in questi ultimi giorni. Una forza misteriosa sta crescendo
dentro di lui, una forza che pochi minuti fa ha minacciato quasi di accecarmi
col suo potere. Non so di che si tratti con esattezza, ma una cosa è certa. È
qualcosa che persino Seth dovrà temere».
Zervan fece
un’espressione strana nel sentire le parole del cugino, e dopo aver preso
congedo da lui si diresse, lentamente e con un cert’astio dipinto sul volto,
verso l’ala orientale del palazzo, e raggiunte le proprie stanze guardò bene di
non avere occhi addosso prima di chiudere la porta.
Ad attenderlo,
seduto su di un pregiato tavolo in legno d’ebano, c’era un ragazzo di forse
sedici anni vestito come un qualsiasi adolescente, con un paio di jeans leggeri
e una maglia color giallo opaco senza maniche ma provvista di cappuccio; dietro
la schiena, assicurata con una cintura di cuoio, portava una sciabola simile a
un dao, ma leggermente più ricurva.
Aveva splendidi
occhi blu che trasudavano regalità e capelli d’argento che arrivavano alla base
del collo, leggermente scompigliati, ed entrambe queste cose rendevano il suo
un volto abbagliante, degno di un dio.
L’espressione era
fiera, ma enigmatica, di chi sa celare le proprie emozioni e ciò che sta
realmente pensando.
«È successo ciò
che temevamo.» disse il visir «Toshio ha risvegliato il suo Μένος
Aδηλος.»
«E allora?»
domandò il ragazzo con fredda indifferenza «È positivo. Ora se morirà non potrà
più sperare in un nuovo intervento della buona sorte.»
«Io non sarei così
ottimista se fossi in te. Ora che quel potere maledetto è di nuovo in circolazione
Toshio è più pericoloso che mai. Deve essere fermato il prima possibile. Non
possiamo permettergli di costituire un ostacolo alla realizzazione dei nostri
piani.»
«Prendere il posto
di mio padre ti sta così tanto a cuore?» domandò il ragazzo con tono
provocatorio.
Servan si
accigliò, strinse i denti, ma non rispose.
«Questa città è
marcia. Sono d’accordo sul fatto che occorre un cambiamento.
Ma io sono pur
sempre l’erede designato al trono. Chi mi assicura che una volta spodestato mio
padre non tenterai di farmi fuori?»
«Ti ho già
risposto una volta. Non ho alcun interesse a diventare re. Tuo padre, come
tutti i sovrani che lo hanno preceduto, non ha fatto altro che perpetrare il
crimine che macchia l’onore della nostra gente da migliaia di anni.
E non solo, ha
compiuto un’ulteriore eresia cercando di imbrigliare un potere antico come il
tempo, un potere che non può e non deve essere manipolato e del quale solo gli
dèi hanno il diritto di decidere il custode.
Io voglio mettere
fine a questo abominio almeno quanto te, ma non possiamo farcela se non
eliminiamo la minaccia principale.»
«Toshio potrebbe
sconfiggere Seth. Privare il torneo di uno dei suoi partecipanti ora che il
nostro nemico si è fatto tanto pericoloso non credo sia una buona idea.»
«Pensi forse che
Toshio saprà controllare il Μένος
Aδηλος? È solo una questione di tempo, presto o tardi
si trasformerà in un demone assetato di sangue, una creatura ben più pericolosa
e mortale di Seth o di qualsiasi altro nemico. In quanto al torneo, le sue
prestazioni fino ad ora sono state alquanto deludenti.
La vittoria contro
Thanatos è stato un caso fortuito».
Zervan fece una
pausa, poi sul viso gli comparve una strana espressione.
«E poi, voi due
siete fratelli, anche se non di sangue. Nel caso tu dovessi ucciderlo, potrei
usare la mia influenza per fare di te il nostro nuovo rappresentante.
Così facendo,
libereresti il mondo da due minacce potenzialmente letali. Il tuo nome vivrebbe
in eterno, diventeresti il più grande degli eroi».
Il ragazzo non
ebbe alcuna reazione di fronte ad un’aspettativa tanto allettante, e sceso dal
tavolo si diresse lentamente verso l’uscita.
«Ti avverto.»
disse con tono serio e sguardo cupo prima di prendere la porta «Quello che fate
voi non mi riguarda. Ma se per un momento, per un solo momento, dovessi accorgermi
che i tuoi propositi sono diversi da quelli che vai sbandierando, mio padre e
mio fratello non saranno più i soli dai quali ti dovrai guardare.» quindi se ne
andò.
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Come promesso, per
inserire questo nuovo cap ho aspettato il ritorno di Akita. Spero di non avervi
fatto attendere troppo.
Per compensare la
lunghezza anormale del capitolo precedente mi sono un po’ trattenuta con
questo, anche perché se avessi proseguito fin dove avevo in mente avrei finito
per fare il bis, o anche peggio.
Ringrazio per le
recensioni Selly, Lewsky e Akita, a cui dico bentornata!
Come predetto dalla strega, il paesaggio nel quale Toshio
e Keita si ritrovarono non appena la luce che li avvolgeva si spense sembrava
uno scenario post-atomico.
La terra era
secca, bastava camminarci sopra perché si sgretolasse, la sola erba presente
era secca e stopposa, gli alberi erano ridotti a carbonelle fumanti, grosse palle
di rovi e di polvere correvano in tutte le direzioni mosse da un vento rovente,
che faceva anche sollevare la sabbia. Il cielo plumbeo era coperto di nubi,
dalle quali emergeva una luce apocalittica, accompagnata dal rombo di tuoni
lontani, e dappertutto si potevano vedere enormi costruzioni simili a
futuristici grattacieli completamente in rovina e mezzi affondati nel terreno.
«In nome del
cielo.» disse sconcertato Keita «Che cosa è successo qui?»
«Qualcosa mi dice
che gli dèi non hanno abbandonato questo posto di loro spontanea volontà.»
rispose Toshio
«Stai dicendo che
tutto questo è opera loro?»
«Ora pensiamo a
trovare quell’elisir. Ricorda, abbiamo solo quattro ore.»
«Ma dove lo
cerchiamo?».
Toshio si guardò
un momento intorno, poi, sicuro di sé, indicò una collina alta e ripida che
emergeva dalle nuvole di sabbia; impossibile stabilire quanto lontano fosse, ma
doveva trovarsi ad almeno un paio di chilometri di distanza.
«Laggiù.»
«Ne sei sicuro?»
«La strega ha
detto che il tempio si trova sulla sommità di una rupe; ha detto anche che ci
avrebbe trasportati il più vicino possibile, e io qui non ne vedo altre.»
«Hai ragione.
Allora forza, in marcia. Ogni secondo è prezioso».
Lentamente,
contrastando il vento che sembrava quasi volerli ostacolare, i due ragazzi
cominciarono a camminare verso la loro meta in religioso silenzio.
Non si parlavano,
e sembrava quasi che trovassero in qualche modo d’intralcio la presenza l’uno
dell’altro, tanto parevano determinati a fare da soli.
Keita rimaneva un
paio di passi indietro, con il capo chino, gli occhi a terra e la testa piena
di domande; in una mano, stringeva forte la spada avuta dalla strega, dalla
quale sentiva provenire una strana energia, un che di famigliare.
Era così preso dai
suoi pensieri da non accorgersi che Toshio si era improvvisamente fermato, e
difatti non poté evitare di andargli addosso.
«Che succede?»
«Non siamo soli.»
«Cosa!?».
Neppure il tempo
di potersi guardare attorno, e all’improvviso un essere mostruoso sbucò da
sottoterra dopo aver provocato un piccolo terremoto.
Sembrava un
incrocio tra un volatile e un insetto; la testa e le ali erano quelle di un
pipistrello, sei zampe di un ragno e l’addome di una formica, terminante in una
sorta di seconda bocca, e a proteggerlo aveva il carapace di un granchio. Si
manteneva in piedi sulle zampe, che sporgevano dalla parte di corpo vicino alla
testa, l’addome invece era sollevato verso l’alto e in parte richiuso su sé
stesso, come la coda di uno scorpione.
«Ma che bestia è
questa?» domandò Keita attonito e spaventato
«Non ne ho idea,
ma non mi sembra abbia buone intenzioni».
E infatti, dopo
qualche secondo, quel mostro prese a muoversi nella loro direzione; correva
molto velocemente, malgrado la sua enorme mole, emettendo il classico stridio
che i pipistrelli usano per orientarsi.
Keita e Toshio si
misero in salvo buttandosi di lato in opposte direzioni, e dopo essersi
rialzati entrambi sfoderarono le rispettive armi; Keita, che era il più vicino,
cercò di attaccare, mettendo tutta la sua forza nel colpo, ma quando la spada
si infranse contro il corpo del mostro mancò poco che le braccia gli si
spezzassero, tanto resistente era la sua corazza.
La creatura,
accortasi di lui, agitò violentemente la sua coda, colpendo il ragazzo e
spedendolo lontano, e allora Toshio, per attirare la sua attenzione, le sparò
contro un paio di pallottole magiche, ma anche queste non ebbero altro effetto
se non rimbalzare sul carapace.
«È inutile! La sua
corazza è troppo dura!» disse camminando all’indietro dopo essere stato puntato
«Dobbiamo
inventarci subito qualcosa!».
Poiché il mostro
gli stava dando le spalle Keita cercò di approfittarne per attaccarlo, ma di
colpo, come se quello avesse avuto gli occhi anche dietro, da un foro sulla
sommità dell’addome venne sparata fuori una sostanza verdastra e maleodorante
che colpì in pieno il ragazzo, rivelandosi più appiccicosa e resistente di
qualsiasi collante.
«Ma cosa… Toshio,
non riesco a muovermi!».
Purtroppo Toshio
non poteva intervenire per aiutarlo, anche se lo avrebbe voluto, infatti il
mostro non voleva saperne di mollarlo, e lo fissava come se fosse pronto a
balzargli addosso da un momento all’altro; il guerriero, piuttosto che
aspettare un attacco che poteva arrivare in qualunque momento, decise di
giocare d’anticipo, mettendosi a correre in direzione del nemico.
Questi, aperta
l’ala sinistra, menò una sorta di fendente come a volerlo colpire, ma Toshio,
saltando, riuscì a superare la difesa, e arrivato faccia a faccia con il mostro
gli sparò un colpo dritto in mezzo agli occhi. Stavolta, il risultato fu
soddisfacente, e quello cominciò a dimenarsi furiosamente gridando per il
dolore; contemporaneamente, lavorando con la spada, Keita riuscì a liberarsi,
portandosi fianco a fianco con il suo compagno.
«Ce l’hai fatta!»
«Aspetta, temo sia
presto per festeggiare».
E infatti, dopo
neanche dieci secondi, quell’essere era nuovamente pronto per combattere.
«Da non credere,
sembra che non si sia fatto niente.» disse Keita
«Non lo
sconfiggeremo combattendo singolarmente. Dobbiamo lavorare in squadra.»
«Che cosa
proponi?»
«Io cerco di
attirare la sua attenzione, tu intanto cerca di trovare il suo punto debole.
Dovrà pure averne uno.»
«D’accordo. Fa
attenzione.»
«Anche tu».
Toshio si lanciò
nuovamente all’attacco, e come previsto il mostro si concentrò su di lui, dando
la schiena a Keita, che mantenendosi a distanza per evitare un nuovo getto
appiccicoso cercava per quanto possibile di concentrarsi per trovare una
qualche falla nella difesa apparentemente perfetta del nemico.
L’unico problema
era riuscire a capire come fosse possibile avere la meglio su quella specie di
corazza naturale altamente resistente, capace di deviare colpi di spada e
persino pallottole magiche altamente distruttive. Cercare di colpire tra una
scaglia e l’altra del carapace poteva essere una soluzione, ma erano fori
piccolissimi, impossibili da penetrare per un colpo di pistola e difficilissimi
da centrare con un affondo, per non parlare del fatto che la lama della spada
ricevuta dalla strega era molto facile da rompere, vista la linea sottile e la
forma stretta.
Intanto Toshio
continuava incessantemente a sparare, camminando all’indietro e correndo in
continuazione, ma i caricatori infilati alla cintura stavano pericolosamente
diminuendo.
«Keita, sto
esaurendo le munizioni!».
Tutta quella
tensione non faceva altro che metterlo ancor più in agitazione, ma poi,
cercando di fare appello a quel sangue freddo e a quel suo acume che molti gli
attribuivano si sforzò di fare il vuoto attorno a sé e di concentrarsi
solamente sul suo problema.
Poi, finalmente,
ecco giungere l’illuminazione; analizzando l’addome del mostro, Keita notò che
esso rimaneva curvato su sé stesso verso l’esterno c’era un motivo molto
semplice, ovvero quella parte rossa e carnosa che pulsava nella zona interna,
ben protetta dal carapace.
“Eccolo il suo
punto debole.” pensò.
Il suo primo
impulso fu quello di tentare un attacco approfittando della distrazione del
nemico, ma proprio quando stava per partire alla carica si ricordò che Toshio
aveva tenuto a precisare che per vincere avrebbero dovuto lavorare in squadra.
Dopotutto, non
c’era nessuna garanzia di riuscire nell’impresa; da che era cominciato il
combattimento quel mostro non aveva mai esposto il suo presunto punto debole
neppure una volta, e mettersi nelle condizioni di poterlo colpire non sarebbe
stato facile.
Di conseguenza, la
cosa migliore da fare era collaborare.
«Toshio, credo di
aver capito!» gridò agitando un braccio, per essere certo di attirare
l’attenzione «È la parte inferiore dell’addome!»
«E come la
colpiamo?».
Keita ci rifletté
in momento, poi, presa la sua decisione, raccolse da terra una grossa pietra, e
pregando che andasse come previsto la lanciò con tutta la forza che aveva; il
sasso centrò in pieno il mostro alla testa, forse gli fece anche un po’ male, e
quello, come previsto, cambiò di nuovo il proprio bersaglio, esponendo a Toshio
il suo punto vulnerabile.
«Sei mio!» disse
il guerriero mettendosi a correre.
Dal foro sulla
sommità furono sparate diverse colate di liquido appiccicoso che Toshio evitò
spostandosi lateralmente, quindi, schivata anche una frustata della cosa arrivò
proprio sotto il mostro, piantandogli la sommità della pistola dritta
nell’addome, che come previsto da Keita era morbido come il cuore di un
carciofo.
«Beccati questo,
bestione!» urlò sparandogli dentro tre proiettili in successione.
Metà dell’addome
esplose sotto la forza dei colpi, e la creatura gridò ancor più forte di prima,
un vero e proprio urlo agonizzante; i due ragazzi immediatamente si
allontanarono, per evitare di venire colpiti dai classici spasmi violenti di un
nemico morente, poi, dopo una decina di secondi, quel mostro rovinò al suolo
sollevando un gran polverone.
Keita e Toshio
aspettarono un po’ prima di avvicinarsi, poi Toshio diede un paio di calci al
corpo del nemico, constatando che effettivamente sembrava proprio morto.
«È fatta.»
«Meno male. Ci è
voluto più del previsto, ma fortunatamente non è successo nulla.»
«Devo
riconoscerlo, sei stato davvero scaltro. Io ero così preso dallo scontro da non
notare quella sua particolarità.»
«Dici… dici
davvero?» domandò Keita arrossendo e grattandosi la nuca
«Intuito e spirito
d’iniziativa non ti fanno difetto, e questo è un bene. Ora però sbrighiamoci a
proseguire. Abbiamo già perso troppo tempo.»
«Hai ragione.
Ormai mancano solo tre ore».
Subito dopo che Keita e Toshio erano partiti la strega,
che aveva detto di chiamarsi Yuko, aveva fatto portare Nadeshiko dentro la
casa, adagiandola su di un letto soffice e di ottima fattura dove le aveva
fasciato la ferita con delle bende ricoperte di un decotto che avrebbe
ritardato quanto più possibile gli effetti dell’infezione.
La ragazza,
malgrado tutto, peggiorava a velocità preoccupante, e quando non era
incosciente a stento si tratteneva dal piangere; lei, come al solito,
continuava a dire che andava tutto bene, che non c’era di che preoccuparsi, ma
bastava guardarla per capire che il dolore la stava divorando.
Shinji e Takeru
erano sempre più preoccupati, e naturalmente anche Izumi, che abbandonava la
sua proverbiale freddezza camminava incessantemente su e giù per la stanza
guardando continuamente l’orologio e domandandosi quanto ancora avrebbero
impiegato i suoi allievi a tornare indietro.
Ad un certo punto
Yuko, che da qualche minuto si era allontanata, rientrò nella stanza
accompagnata da uno dei due bambini suoi servitori; questi recava un vassoio
con sopra una tazza piena di uno strano liquido violaceo che sapeva di erbe
aromatiche.
«Fatele bere
questo.» disse la strega mentre la bambina porgeva a Izumi il contenuto del
vassoio.
Lei, senza fare
domande, obbedì, e sollevata leggermente la testa a Nadeshiko la fece bere a
piccoli sorsi; lei si piegava senza opporsi, probabilmente perché ormai a
stento aveva ancora coscienza di sé e del fatto di avere un corpo.
«Di che si
tratta?» domandò Shinji vedendo che, a fine trattamento, la sua amica riuscì ad
addormentarsi
«Chi viene
infettato dal veleno di uno zombi può morire in due modi.» rispose Yuko «Per
l’infezione o per il dolore, e quest’ultimo è decisamente più rapido.
Il suo corpo esile
rende più rapido il propagarsi del veleno, e più esso entra in circolo più il
dolore si fa insopportabile. Questo anestetico le farà guadagnare un altro po’
di tempo».
Dopo poco tutti
quanti vennero invitati ad uscire dalla stanza, in modo che i servitori della
strega potessero praticare una nuova medicazione, e appena tutti se ne furono
andati Yuko si inginocchiò davanti al letto, contemplando per un attimo il
volto addormentato di Nadeshiko prima di sfiorarle la fronte con un dito.
Nello stesso
momento Nadeshiko, senza sapere come né perché, si era ritrovata di colpo in
una stanza di discrete dimensioni che ricordava per certi versi la sua camera
da letto.
Il pavimento in
assi di legno era pulito come appena lavato, le pareti giallo opaco splendevano
in tutta la loro bellezza e dal soffitto pendeva una bella lampada di cristallo.
Nell’angolo a
sinistra c’era un bel letto con sopra una coperta rosa scuro, e subito lì
accanto una finestra aperta su quello che sembrava un paesello di campagna
dall’aria estremamente pacifica; splendeva un bel sole, in cielo c’era solo
qualche nuvola, i colori della primavera dominavano incontrastati e in
lontananza si sentiva il canto di uccelli primaverili.
Un po’
dappertutto, sugli scaffali, sopra la scrivania ottocentesca e sul letto vi
erano vari giocattoli, soprattutto bambole e peluche, che contribuivano a dare
a quell’ambiente un aspetto ancor più confortevole e spensierato; nell’angolo
opposto al letto faceva bella mostra di sé uno splendido violino appoggiato su
di un treppiedi subito sopra ad uno spartito ancora aperto.
Nadeshiko era
seduta su di una sedia lignea molto confortevole, imbottita di piume e dagli
intarsi preziosi, ed osservava, a metà tra l’incuriosita e la rilassata, la
bambola di ceramica che aveva in mano e che vestiva con un classico abito
vittoriano di colore rosso acceso.
Non sapeva perché,
ma in quel luogo si sentiva in pace, con tutto e tutti; sentiva ogni cosa come
fosse una parte di lei, e avvertiva una quiete senza pari, che neppure i suoi
momenti più sereni avevano potuto darle; benché non capisse la natura di quel
posto che, pur non avendolo mai visto, le pareva così famigliare, percepiva
distintamente il desiderio di rimanervi, e quasi le metteva paura guardare la
porta chiusa alla sua sinistra, oltre la quale invece percepiva un’aura
terrificante.
«Era da tempo che
non vedevo qualcosa di simile.» disse in quella una voce gentile.
Nadeshiko, non
troppo colpita, si girò nella direzione dalla quale proveniva, scorgendo vicino
allo spartito la figura di una donna che finora aveva solo intravisto, in quei
rari momenti di lucidità tra un’agonia e l’altra.
«Lei deve essere
Yuko.» disse alzandosi
«Indovinato».
La strega prese a
guardarsi intorno, quindi raccolse a sua volta una bambola di quelle che erano
appoggiate sulla mensola della scrivania.
«Quindi è così che
tu sei dentro.»
«In che senso?»
«Ogni persona, nel
proprio animo, cela una parte di sé in cui racchiude tutto sé stessa. Ricordi,
emozioni, pensieri, la stessa personalità. È come una stanza segreta, una
stanza di cui la maggior parte delle persone ignora l’esistenza.
Vi si può accedere
solo in determinate circostanze, ad esempio quando il filo che unisce corpo,
mente e spirito è molto debole, come nel tuo caso.»
«Quindi…» disse
Nadeshiko guardandosi intorno «Siamo… all’interno della mia mente?»
«Il veleno che hai
dentro non dovrebbe rendere possibile una tale eventualità, ma a quanto pare la
mia tisana ha avuto effetto».
Yuko tornò a
posare lo sguardo sulle varie caratteristiche della stanza, e nessuno più di
lei sapeva interpretare ciò che vedeva.
“È una persona
sincera, dall’animo puro. La finestra aperta indica che non ha paura di
confidarsi con gli altri, e che allo stesso tempo cerca per quanto possibile di
comprendere i sentimenti che muovono chi le sta vicino.
Tutti questi pupazzi
indicano il suo essere gentile e affabile, le bambole invece sono la
personificazione del sua purezza e della sua fragilità. La sua anima è fragile
come una bambola di ceramica, ma la luce di cui questa stanza è inondata è
simbolo di un ardore e di una forza che nulla potrà mai spegnere.”
«Sai» disse ad un
certo punto, continuando però a dare le spalle a Nadeshiko «Un po’ di tempo fa
è venuta da me una giovane donna.
Io solitamente non
do grande importanza a chi si rivolge a me. Secondo il mio metro di giudizio,
basta che una persona sia disposta a pagare il prezzo le io le chiedo per
ottenere i miei servigi per dimostrarsi degna di fiducia.
Quella volta,
però, qualcosa mi colpì; al momento non capii cosa, ma poi vidi qualcosa nei
suoi occhi.»
«E… cosa ha visto?» domandò Nadeshiko sentendo
montare una inspiegabile curiosità.
La strega allora
si girò, guardandola con un misto di serietà e ammirazione.
«Esattamente ciò
che vedo ora nei tuoi.»
«Nei… nei miei?»
ripeté lei colpita
«Tu se lei siete
molto simili. Tutte e due cercate con ogni mezzo di trovare il buono in tutto
ciò che vi sta intorno. Ciò è molto nobile, vi fa onore, ed prova della vostra
grande purezza.
Io posso
comprendere che per una persona come te, che pone la speranza in qualcosa di
migliore e la sicurezza degli altri al di sopra di tutto, sia difficile
accettare l’idea di veder morire qualcuno.
Non pensare che i
partecipanti al torneo siano felici all’idea di spargere sangue; hai visto con
i tuoi occhi quanto molti di loro siano pronti a dare la vita per gli ideali in
cui credono, e questi ideali sono gli stessi che hai tu; essi mettono in gioco
tutto per dare a questo mondo e ai suoi abitanti la possibilità di cambiare.
Non mi aspetto che
tu riesca ad accettare il loro operato, ma vorrei almeno che tu cercassi di
comprenderlo. Thanatos aveva l’anima lorda di sangue innocente; forse altri
servitori di Seth hanno personalità diverse, più nobili, ma lei non era altro
che una macchina da guerra senz’anima. Creature come lei non possono essere
lasciate libere di continuare a fare del male».
Nadeshiko a quel
punto abbassò lo sguardo, facendosi triste.
«Questa donna che
venne da voi… che persona era?»
«Una persona che,
come te, non riusciva a concepire il male fine a sé stesso.
Nella sua vita ha
dovuto affrontare numerosissime prove, che l’hanno resa più forte. Ma ciò che
più le ha dato la forza per superare ogni difficoltà è stata la vicinanza della
persona a lei più cara.»
«Della persona… a
lei più cara?»
«Un essere umano
non può dirsi completo se non si lega anima e corpo a colui che è stato
destinato a rimanergli vicino. E se davvero tu sei uguale a lei la persona a
cui sei legata a doppio filo è qualcuno che, pur essendo all’esterno del tutto
diverso da te, custodisce nell’animo i tuoi stessi pensieri».
Nadeshiko non
sapeva che cosa pensare, poi però, ad un certo punto, non appena l’immagine di
una persona le passò davanti agli occhi, sentì una strana sensazione
attraversarle il corpo, e il cuore cominciò a batterle più forte di prima.
«Stai attenta
però.» disse la strega con aria più cupa e pessimista «Se tu e quella donna
condividete la stessa sorte, allora il destino presto potrebbe metterti di
fronte ad una durissima prova.»
«Che genere di
prova?»
«Quella volta,
quando lei venne da me, non fu per ottenere qualcosa per sé stessa.
Al contrario. Se io avessi esaudito il suo
desiderio, cosa che ho fatto, avrebbe perso qualcuno di molto importante.»
«Perse qualcuno!?»
«Lei non voleva
darlo a vedere, ma soffriva enormemente al pensiero di ciò che l’attendeva, e
non poteva sapere se e quando quella persona sarebbe tornata da lei.
È solo legandoti a
qualcuno di importante che potrai esprimere la tua vera forza, ma fin dal
momento in cui vi legherete indissolubilmente assieme dovrai essere preparata
all’eventualità che lui si allontani».
Quella rivelazione
non ebbe altro effetto che di far crescere in Nadeshiko un sentimento di paura;
che senso aveva affezionarsi a qualcuno se in qualsiasi momento il destino
avrebbe potuto dividerli?
Ormai non poteva
più nascondere a sé stessa la verità che negli ultimi giorni aveva cominciato a
comprendere: forse, diceva a sé stessa, era quello il motivo principale per il
quale si era arrabbiata tanto, e adesso che lo capiva non poteva fare a meno di
provare un certo rimorso per il modo in cui lo aveva trattato.
Yuko notò quasi
subito la strana espressione della ragazza, e non faticò certo a comprenderne
la ragione, poi, circondata da una luce tenue, la sua figura aggraziata
incominciò a scomparire.
«Yuko…»
«Qualsiasi cosa
succeda, rimani in questa stanza. Fino a che resti qui dentro sarai al sicuro,
e in te rimarrà sempre una scintilla di vita. Non uscire da qui, non aprire
quella porta per nessun motivo.
E abbi fiducia.
Nessuno dei due ti deluderà. Non ne sarebbero capaci».
Detto questo la
strega svanì, lasciando Nadeshiko sola coi suoi dubbi.
Keita non era mai stato un tipo combattivo, neanche da
piccolo, e non aveva mai imparato a farsi rispettare.
Il carattere mite
e la natura arrendevole che aveva sempre dimostrato ne avevano fatto uno dei
bersagli preferiti dei bambini più grandi, che non perdevano occasione per
punzecchiarlo e prenderlo in giro.
Con una madre
perennemente sommersa di lavoro e un padre che, se andava bene, si faceva
vedere in casa una volta ogni due mesi, al termine di uno dei suoi viaggi in
giro per il mondo, e una sorellina piccola che portava via anche quel poco di
attenzione che gli rimaneva, Keita era solito trascorrere gran parte del suo
tempo nel parco giochi dietro la scuola, ed era proprio lì che il solito trio
di bulli, capitanati da un certo Matsuda, avevano l’abitudine di andarlo a
cercare.
Quel giorno, come
molte altre volte, i tre avevano aspettato che il numero di bambini presenti si
sfoltisse un po’ prima di mettere Keita all’angolo e cominciare a tempestarlo
di sassolini, sfidandolo a reagire.
Il poverino subiva
senza reagire, anche perché quei bulli, oltre ad essere più grandi di lui,
erano anche conosciuti per il loro modo di fare aggressivo e per la loro
abitudine ad infierire con crudeltà ancora maggiore su chiunque cercasse di
ribellarsi. La sola cosa che potesse fare era subire in silenzio, come tutte le
altre volte, sperando che presto finisse.
C’era ancora qualcuno
nel parco, ma nessuno degli altri bambini presenti sembrava intenzionato ad
intervenire, e se qualcuno si limitava a rimanere ad osservare stando in
disparte qualcun altro ignorava totalmente ciò che stava accadendo, continuando
a giocare come se niente fosse.
Poi, d’un tratto,
qualcuno uscì dalla piccola folla che si era radunata lì attorno, sfidando
apertamente Matsuda e i suoi.
«Ehi, voi!
Lasciatelo stare!».
I tre bulli,
visibilmente scocciati per quell’interruzione, si girarono, e Keita, che teneva
le braccia sopra la testa per proteggersi dalla pioggia di sassi, alzò
timidamente lo sguardo, incrociando quello di una bambina dal portamento tanto
nobile e fiero quanto la voce con la quale aveva, forse solo momentaneamente,
messo fine alla tortura.
«E tu che vuoi?»
domandò il capo
«Vi diverte tanto
prendervela con chi non ha cuore di difendersi? Vi fa sentire grandi?»
«Questi non sono
fatti tuoi. Vattene se non vuoi unirti a lui.»
«È davvero così
bello accanirsi in tre contro una sola persona? Se volete davvero sentirvi
forti, perché non fate qualcosa di più costruttivo?»
«Ma sentitela.
Parla come un’adulta».
Keita rimase
subito molto colpito, e fu come se una freccia gli avesse trafitto il cuore;
quella bambina, all’apparenza così gracile e debole, ostentava uno sguardo da
vera regina, e malgrado la situazione non sembrava esserci odio o rancore nei
suoi occhi, ma semplicemente tanta tenerezza e compassione.
«Se ostentare
forza è il vostro di dimostrare il vostro valore, allora non fatelo con i più
deboli, perché questo non vi rende più forti, ma solo più codardi.»
«Sta a sentire,
ragazzina, tu non sei certo nella posizione di poterci fare la predica. Nel
caso tu non l’avessi notato noi siamo in tre, siamo più grandi di te e sicuramente
più forti. Potremmo farti male fino a farti piangere, se solo lo volessimo.»
«Fatelo, se vi può
far sentire soddisfatti. Non sarò io a cercare di oppormi. Vi chiedo solo di
lasciar stare quel bambino. Niente altro».
Matsuda, furente
per una così palese mancanza di paura da parte di una bambina che doveva avere
almeno due anni meno di lui, raccolse da terra un sasso molto più grande degli
altri, ma prima di poterlo lanciare lo sguardo di quella bambina lo paralizzò;
benché fosse sul punto di essere colpita rimaneva immobile come una statua,
seguitando ad ostentare quel suo sguardo del tutto privo di malvagità.
Il ragazzino non
sapeva cosa fare; per due volte ripeté il gesto nel tentativo di scagliare la
pietra, e puntualmente, senza sapere perché, finiva per fermarsi, poi, a denti
stretti, lasciò cadere il sasso.
«Basta così.
Che gusto ci
sarebbe a colpire una mocciosetta? E poi anche questo rifiuto mi ha stancato.»
e se ne andò coi suoi due amici, risparmiando a Keita molti minuti di agonia e
la quotidiana sabbia negli occhi che segnava la fine della tortura.
Appena se ne
furono andati la bambina si avvicinò a Keita, e sorridendo gli porse la mano
per aiutarlo ad alzarsi.
«Stai bene?».
Ringraziando il cielo, dopo il mostro che li aveva assaliti
e quasi sconfitti poco dopo il loro arrivo Keita e Toshio non incontrarono
altri ostacoli a sbarrargli la strada; la situazione pareva così tranquilla che
i due, consapevoli del fatto che avere troppa fretta avrebbe potuto costituire
un pericolo, avevano preso a camminare l’uno affianco all’altro parlando tra di
loro.
Keita, man mano
che passava il tempo, sentiva con Toshio un’affinità sempre maggiore; e pensare
che fino a poco tempo prima era arrivato quasi ad odiarlo, ma forse per la sua
natura mite e pacifica non era stato capace di esternare questo sentimento,
celandolo dietro ad un sorriso di circostanza.
A dispetto del suo
ormai noto acume Toshio non sembrava essersi accorto dei sentimenti che Keita
aveva nutrito per lui negli ultimi tempi, e proprio come aveva fatto con
Nadeshiko finì per raccontare anche a lui gli eventi legati al suo passato.
In segno di
ringraziamento Keita aveva fatto altrettanto, parlando al suo nuovo amico di
come lui, Shinji e Nadeshiko si fossero incontrati.
«Quindi tu e
Nadeshiko vi conoscete fin dalle elementari.»
«Già. La sua
famiglia è originaria di Uminari, ma i suoi genitori si sono trasferiti a Tokyo
dopo essersi sposati e sono tornati solo molti anni dopo, quando lei aveva
ormai sette anni.
Anche se eravamo
tutti e due al secondo anno ci misero in classi diverse; mi capitava di vederla
di tanto in tanto, nei corridoi la mattina o a ricreazione, ma non dimenticherò
mai il momento in cui ci incontrammo veramente.»
«È stata
un’esperienza davvero singolare, questo è sicuro.»
«In quel momento,
ho promesso a me stesso che avrei fatto tutto il possibile per ricambiare il
favore che Nadeshiko mi aveva fatto difendendomi da quei tre aguzzini.
Per la prima volta
in vita mia ho sentito di non essere solo, e la cosa mi ha procurato una gioia
immensa.
Non so bene come
lei vedesse il nostro rapporto, ma penso l’abbia sempre considerato come quello
tra un fratello e una sorella; poi, quando eravamo alle medie, al nostro gruppo
si è unito anche Shinji, e da quel giorno diventammo inseparabili.
Bene o male,
avevamo qualcosa che ci accomunava. Tutti e tre tendevamo a venire evitati per
il fatto di possedere qualcosa che ci rendeva diversi; il fatto di essere
timido, o di dimostrare una maturità insolita per la propria età. Tutte queste
cose hanno finito per emarginarci, ma rimanendo insieme riuscivamo a rendere la
cosa più sopportabile.»
«Posso
comprenderti. Anche io, per quello che ricordo, sono sempre vissuto da solo. Ho
sempre pensato che ciò mi andasse bene, ma dopo avervi conosciuti comincio a
pensare che forse mi sbagliavo».
In quella il
cammino dei due ragazzi si interruppe davanti ad un altissimo costone di
roccia, in cima al quale era visibile il tempio che costituiva la loro meta,
simile per certi versi ad una costruzione ellenica e almeno apparentemente in
ottimo stato di conservazione e, dal centro del quale si sprigionava una strana
colonna di luce rosata che scompariva oltre le nuvole.
«Ho idea che siamo
arrivati alla tappa conclusiva.» disse Toshio
«Tu che dici, ci
sarà un sentiero per arrivare lassù?»
«Ne dubito. È come
se il terreno tutto intorno al tempio fosse letteralmente esploso, e anche se
ci fosse non abbiamo il tempo di cercarlo.»
«Hai ragione. E
poi non mi sembra troppo ripido. Possiamo scalarlo facilmente.»
«Come te la cavi
nell’arrampicata?»
«Vai pure
tranquillo. Se c’è una disciplina in cui non difetto, è il free-climbing.»
«Buono a sapersi.
In marcia allora».
Ebbe dunque inizio
la scalata, che sorprendentemente non si rivelò né difficile né troppo
faticosa; speroni e appigli non mancavano, ed erano tutti piuttosto solidi, e
questo servì a facilitare di molto la salita.
Dopo circa
mezz’ora avevano percorso un buon tratto di strada, e ormai se guardavano in
basso a stento riuscivano a vedere il terreno, seminascosto dalla sabbia
sollevata dal vento.
«Ehi, Toshio?»
domandò Keita, alcuni passi più indietro «Quanta strada pensi che abbiamo
fatto?»
«Circa metà, forse
qualcosa di più. Procedendo con quest’andatura dovremmo fare in tempo.»
«Allora forza,
ormai non manca molto.»
«E ci resta una
sola ora».
Improvvisamente,
il loro procedere piuttosto spedito venne interrotto da un assordante quanto
famigliare fischio prolungato; i due, riconoscendolo, si guardarono allibiti
per poi volgere i loro occhi verso il cielo.
Il mostro che
credevano di aver ucciso era ancora vivo, vegeto e più infuriato che mai, e
stava volando nella loro direzione a tutta velocità per proseguire lo scontro
lasciato in sospeso; si manteneva in aria sfruttando le sue grandi ali, e
l’addome, invece che in alto, era ora rivolto verso il basso a forma di C.
«Non è possibile,
è ancora vivo!» disse Keita
«Mi sembrava che
fosse stato un po’ troppo facile».
Quale segno di
benvenuto il mostro sparò sulle sue vittime una dose massiccia della sua
sostanza appiccicosa.
«Attento!».
Keita riuscì ad
evitare il getto lasciando l’appiglio e recuperandolo poco dopo, Toshio invece,
trovandosi a dover soppesare varie eventualità, si arrampicò su di una lunga
sporgenza di roccia, mettendosi in piedi sulla sommità, e recuperata la pistola
sparò sul nemico per attirare la sua attenzione; nuovamente il mostro ci cascò,
concentrandosi su di lui, e appena gli passò accanto Toshio senza riflettere
gli saltò in groppa, dando vita ad uno spettacolare quanto pericoloso rodeo in
aria.
Il mostro si
dimenava furiosamente e cambiava traiettoria in continuazione per riuscire a
sbarazzarsi del suo cavaliere, ma Toshio rimaneva saldamente ancorato ai bordi
delle scaglie, non riuscendo però a trovare un buco sufficientemente ampio per
infilare la pistola; provò a sparare verso il basso, sperando di colpire il
ventre ancora una volta, ma quella creatura si era fatta furba e lo teneva
arrotolato su sé stesso, rendendo vano qualsiasi tentativo di penetrazione.
Keita nel
frattempo era salito a sua volta sulla sporgenza, ma non sapeva bene che cosa
fare; il suo amico e il bersaglio erano troppo lontani, davvero impossibile
saltare per tentare di raggiungerli.
D’un tratto, notando
ciò che Toshio stava cercando di fare, gli venne l’idea, e sfilatosi la spada
da dietro la schiena la lanciò con tutta la sua forza.
«Toshio! Prendi!».
L’arma volò
nell’aria, e seguendo il filo invisibile che sembrava legare i due ragazzi
raggiunse Toshio, che affidatosi unicamente alla presa delle gambe strette sul
collo del mostro la afferrò, sguainandola, quindi, stretta l’elsa con tutte e
due le mani, rivolse la lama verso il basso.
«Brutto figlio
di…» disse, quindi, con tutta la sua forza, infilò la lama fino all’elsa nel
bordo fra due scaglie proprio sopra la testa, facendo sgorgare fiumi di sangue.
Il mostro urlò
come mai aveva fatto, perdendo il controllo e cominciando a precipitare come
una meteora dritto verso la roccia.
Toshio, che non
voleva sacrificare la spada, ben sapendo che sarebbe dovuta tornare per forza
alla sua proprietaria, impiegò alcuni secondi ad estrarla, poi, all’ultimo
secondo, saltò, riuscendo ad aggrapparsi con una mano proprio sulla sommità
della sporgenza su cui Keita lo stava attendendo.
La creatura
invece, infrantasi con forza incredibile sul costone, precipito verso terra
finalmente morta, scomparendo sotto le nuvole di sabbia.
Toshio e Keita la
seguirono con lo sguardo, come a volersi sincerare che questa volta fosse
davvero finita, e appena furono certi che tutto era passato tirarono entrambi
un sospiro di sollievo.
Poi, d’un tratto,
accadde l’imprevedibile.
Forse a causa
dell’urto poderoso che aveva provocato delle crepe e delle fenditure,
all’improvviso, proprio mentre Keita si inginocchiava per aiutare Toshio a
risalire dopo aver recuperato la spada, il pezzo di roccia al quale il
guerriero era aggrappato cedette, e lui, provato del suo unico appiglio,
cominciò inesorabilmente a precipitare.
Il terrore si
dipinse sugli occhi di entrambi i ragazzi, su quelli di Toshio in particolare.
Nello spazio di un
istante, il giovane guerriero rifletté sulla sua vita, su quanto poco aveva
fatto e su quanto poteva ancora esserci da fare.
Pensò alla sua
casa, la sua città nel deserto, a suo padre, che chissà quanto a lungo lo
avrebbe aspettato affacciato al balcone della sua stanza, nella vana speranza
di vederlo tornare; pensò ai suoi antenati, quegli antenati che avrebbe
disonorato con la sua morte prematura.
Ma, soprattutto,
pensò a Nadeshiko; il pensiero che forse Keita sarebbe riuscito a portare a
termine l’impresa da solo lo rincuorava almeno un po’, ma all’idea che non
l’avrebbe più rivista il cuore cominciava a battere sempre più forte.
Non aveva mai
conosciuto nessuno come lei; proprio come Keita gli aveva raccontato, quella
ragazza aveva il potere di tirare fuori il buono di ogni persona, cosa che,
forse, era riuscita a fare anche con lui.
Come Keita, aveva
cominciato a sentire il desiderio di proteggerla, vegliare su di lei con ogni
mezzo.
Combattere per
vincere il torneo non gli sembrava più la priorità; ciò che gli doleva in
quell’istante prima di morire era il pensiero di non poter mettere la sua forza
al servizio di qualcosa di veramente nobile, qualcosa che proprio Nadeshiko,
forse, gli aveva fatto conoscere.
Il torneo per lui
era sempre stato un dovere, un compito da espletare per poter permettere agli
umani di continuare a disporre del libero arbitrio, ora invece si diceva che
forse esso poteva rappresentare qualcosa di più grande di questo; non solo
combattere per salvare gli umani, ma per dar loro la possibilità di diventare
migliori, e sarebbero state proprio le persone come Nadeshiko le artefici di
tale miglioramento.
Questo, in definitiva,
gli dispiaceva di più: non potersi più adoperare affianco a lei nella
realizzazione di un mondo migliore; di non poterle più stare accanto.
Stava quasi per
chiudere gli occhi, rassegnandosi all’inevitabile, quando uno strappo violento
ritardò il suo appuntamento con la morte, arrestando la caduta prima ancora che
potesse cominciare.
Keita, nel
disperato tentativo di salvare il suo compagno, si era gettato a sua volta, e
ora con una mano si manteneva ancorato alla roccia, con l’altra stringeva quella
di Toshio, che attonito sollevò lo sguardo.
Non era certo
quella che si poteva definire una bella situazione; pur non essendo un peso
massimo Toshio non aveva certo una corporatura trascurabile, e Keita, malgrado
tutto il suo impegno, probabilmente non disponeva della forza necessaria a
sorreggere entrambi, e difatti, dopo pochi secondi, la presa sulla roccia prese
minacciosamente a diminuire d’intensità.
«Tranquillo!»
disse nonostante tutto «Ti tengo!»
«Keita, non fare
stupidaggini!» gli rispose Toshio quasi arrabbiato «Mollami subito!»
«Sei impazzito!?
Io non ti lascio!»
«Non essere
stupido! Se non mi lasci precipiterai anche tu!»
«Invece di
parlare, cerca di stringerti forte!»
«Ti ho detto di
lasciarmi! Chi salverà Nadeshiko se moriamo entrambi?»
«E chi le starà
vicino se morirai tu!» rispose Keita ad occhi chiusi con aria di sfogo.
Toshio, a
quell’affermazione, rimase a bocc’aperta.
«Guarda che l’ho
capito! Ho visto come vi guardate!
Non nascondo che
per un momento ti ho odiato quando mi sono accorto di quello che lei provava
per te. Le sono stato vicino per dieci anni, e non sono mai riuscito a dirle la
verità, tu in due settimane le hai portato via il cuore senza alcuna difficoltà
e senza muovere un dito.
Vuoi la verità? Se
questo fosse successo solo pochi giorni fa ti avrei lasciato precipitare, solo
per sanare almeno un po’ la rabbia che provavo per te. Ma ora mi rendo conto
che questo farebbe di me un mostro non diverso da quelli che abbiamo scelto di
combattere.»
«Keita…»
«Io…» disse il
ragazzo con gli occhi pieni di lacrime «Io non sono mai stato altro che un
fratello per lei… è per questo che ero così in collera, così desideroso di
fartela pagare.
Ma poi ho capito
che se davvero le voglio bene non devo essere arrabbiato perché non ha scelto
me, ma devo essere felice del fatto che abbia scelto te!»
«Keita…»
«Se tu non dovessi
tornare, lei che motivò avrebbe per voler essere salvata?
Lei tiene alla tua
salvezza almeno quanto tu tieni alla sua.
Per questo… per
questo… se morirai, non te lo perdonerò mai!».
Di fronte ad una
simile confessione, Toshio non poteva più continuare a nascondere a sé stesso
la verità.
Keita aveva
ragione; lui… si era innamorato di Nadeshiko.
Finora non se ne
era reso conto perché non aveva mai capito cosa volesse dire amare qualcuno, e
benché ignorasse ciò che i suoi sentimenti avevano prodotto nel cuore del suo
nuovo amico ormai aveva capito di non poter fare a meno di stare con lei.
Per questo
lasciarla gli così male, questo era il motivo primo che lo aveva fatto soffrire
quando era stato ad un passo dalla morte; allora era quella la sensazione che
si provava quando si stava per perdere per sempre la persona amata.
Mai più avrebbe
voluto passarci un’altra volta. Mai.
Riacquistato il
suo vigore, Toshio sollevò l’altra mano, stringendo forte quella di Keita, che
con uno sforzo non indifferente gli permise di riguadagnare la roccia, e appena
tornato coi piedi per terra subito lo aiutò a tornare su.
Appena furono
entrambi al sicuro, per lungo tempo i due rimasero seduti sulla fredda pietra
senza guardarsi né parlarsi.
«Keita. Ti devo la
vita.
E… mi dispiace».
Lui non diede
apparentemente segno di aver sentito, poi raccolse un sasso e lo gettò di
sotto.
«No. Sono io che devo
chiederti scusa. Ho nascosto quello che provavo perché avevo paura delle
conseguenze. Avevo paura di essere respinto.
Se l’ho persa, è
stata solo colpa mia. Non avevo il diritto di prendermela con te.»
«Tu l’amavi, ma
non sei mai riuscito a dirglielo? Devo ammettere che questo mi fa sentire in
colpa.»
«Non ci pensare.»
rispose Keita alzandosi in piedi «Se lei è felice, lo sono anch’io, e questo mi
basta.» poi, giratosi verso Toshio, gli porse la mano, e per un attimo gli
sembrò di rivivere la scena di molti anni prima, solo da un altro punto di
vista «E ora forza. Portiamo a termine quest’impresa».
Toshio dapprima lo
fissò perplesso, poi, sorridendo a sua volta, afferrò la mano, rimettendosi in
piedi.
Senza null’altro
ad ostacolare loro la marcia i due ragazzi guadagnarono la cima, e appena
entrati nel tempio, all’interno del quale, a differenza che all’esterno,
regnava un totale stato di abbandono, con muschi, ragnatele e rovine a farla da
padroni, capirono l’origine della luce che avevano visto levarsi dalla
costruzione.
Al centro esatto
dell’unica, grande sala del tempio era tracciato un circolo magico di
grandissime dimensioni con un raggio di almeno sei metri e dal quale prendeva
forma la colonna di luce che oltrepassando il foro nel soffitto raggiungeva il
cielo.
«Credo si tratti
di una specie di barriera.» disse Toshio «Mi domando come abbia fatto a
rimanere in piedi per tutto questo tempo.»
«Toshio, guarda!»
disse Keita indicando un vaso di fattura pregiatissima che si trovava nel mezzo
del cerchio.
Di colore blu
oltremare, presentava due stupende maniglie d’oro, intarsi decorati ed era
tempestato di pietre preziose; il coperchio, anch’esso d’oro, era serrato da
una sorta di talismano.
«Deve essere
quello.» disse Toshio «Il sangue divino.»
«E allora forza,
prendiamolo!»
«Keita, aspetta!».
Senza pensarci
troppo su Keita si avventò sulla barriera a spada tratta nel tentativo di
sfondarla, ma appena ci provò venne ricacciato indietro dopo che una scossa di
enorme intensità lo aveva quasi ucciso.
«Keita!» disse
Toshio aiutandolo a rialzarsi «Tutto a posto?»
«Ma cosa… non sono
riuscito neanche a scalfirla!»
«È una barriera di
qualità superiore.» rispose il guerriero, che poi ebbe a che pensare “Dove ho
già visto una simile difesa?”
«Non importa
quanto sia solida. Dobbiamo distruggerla ad ogni costo!»
«No, Keita!».
Il ragazzo però
non voleva sentire ragioni, e continuò imperterrito a infierire su quello scudo
apparentemente perfetto venendo respinto ogni volta, ma quando, giunto ormai al
limite della resistenza, stava nuovamente per scagliarcisi contro, Toshio lo
afferrò per il bavero e gli mollò un pugno poderoso.
«Vuoi smetterla di
essere così impulsivo? Devi forse rimanere ucciso per capire che è tutto
inutile?»
«Ma allora…»
rispose Keita piangendo e digrignando i denti «Che cosa possiamo fare. Se non
prendiamo quel vaso Nadeshiko… Nadeshiko…» poi, urlando, batté con forza i
pugni sul pavimento tanto forte da far schizzare sangue dalle nocche.
Toshio lasciò che
si sfogasse, poi, con espressione seria e determinata, camminò fin sul bordo
della barriera.
«C’è una sola cosa
che può avere la meglio su questo tipo di difesa. La magia.»
«Ma… non la
possiamo usare…»
«Non nella sua
forma comune.» rispose Toshio assumendo una strana posa, con le gambe
divaricate e la mano destra aperta in forma di taglio «Ma anche se non possiamo
esternarla, essa è sempre presente dentro di noi.»
«In che senso?»
«La magia è come
un secondo flusso sanguigno. Scorre attraverso canali invisibili in tutto il
corpo, ma chi ne possiede una grande padronanza è in grado di convogliare
questo flusso in un solo punto.»
«In un solo
punto?»
«È la stessa cosa
che ha fatto Thanatos concentrando tutto il suo potere sull’indice prima di
sprigionarlo. La maledizione che alberga su questo mondo dilapida il potere
magico appena questo viene espulso dal nostro corpo, ma se lo manteniamo
all’interno allora possiamo sfruttarlo, usandolo per scavalcare questa
barriera.»
«Tu… credi sia
possibile?»
«Non lo so. Ma se
dovessi riuscire, il resto spetterà a te».
Nella stanza calò
il più assoluto silenzio; Keita, inconsciamente, si mise in posizione,
tenendosi pronto a scattare qualora il piano avesse avuto successo.
Toshio, invece,
chiuse gli occhi, e per circa un minuto parve diventare una statua di sale;
teneva gli occhi chiusi, il suo respiro, assolutamente regolare, era quasi
impercettibile e tutte le sue membra sembravano paralizzate, poi, nel momento
di massima concentrazione, il guerriero spalancò nuovamente gli occhi, e
urlando con tutta la sua voce colpì la barriera con il taglio della mano.
Ancora una volta
il contatto produsse una tempesta di fulmini, ma piantandosi coi piedi a terra
Toshio riuscì a resistere al contraccolpo, quindi, lottando col dolore, che si
faceva via via sempre più insopportabile, prese ad avvicinare sempre più la
mano.
Alla fine, dopo
quasi trenta secondi di lotta incessante, nello scudo cominciò ad apparire un
buco, un buco che divenne un vero e proprio squarcio appena Toshio, infilataci
la mano, la girò in posizione orizzontale; non era molto largo, ma abbastanza
per farci passare una persona.
«Ora! Vai,
Keita!».
Il ragazzo non si
fece pregare, e gridando a sua volta corse come un fulmine dentro il cerchio,
avventandosi sul vaso e afferrandolo con forza prima di gettarsi nuovamente
fuori, giusto in tempo per non rimanere intrappolato.
Appena Toshio
ritirò la mano il contraccolpo si fece sentire in tutta la sua potenza e il
guerriero fu scaraventato a terra apparentemente svenuto; Keita gli corse
incontro.
«Toshio! Toshio,
va’ tutto bene?».
Lui, mugugnando,
aprì gli occhi; era molto provato, ma vivo.
«Ci… ci siamo
riusciti?»
«Sì.» rispose
Keita sorridendo e mostrando il vaso «Ci siamo riusciti.»
«E allora forza.
Andiamocene da questo posto maledetto».
Anche se confidava nella riuscita della loro missione Yuko
si mostrò un po’ sorpresa nel veder tornare i due ragazzi con in mano
l’agognato trofeo.
La strega non
perse tempo, e raccolta in una tazza una dose del liquido contenuto nel vaso,
di uno strano colore azzurro luminescente, la fece bere a Nadeshiko, ancora
addormentata, e gli effetti non tardarono a farsi vedere; la ferita alla gamba,
che aveva ormai raggiunto dimensioni allarmanti, scomparve nel giro di pochi
minuti, lasciandosi dietro nulla più che una minuscola cicatrice.
Appena la ragazza
riaprì gli occhi, la prima cosa che vide furono i volti dei suoi compagni,
protesi sopra il letto.
«Ra… ragazzi…»
«Bentornata tra
noi.» disse Shinji col suo sorriso ironico, scacciando in sul colpo tutta
l’inquietudine.
Izumi la aiutò ad
alzarsi, e lei, un po’ barcollante, si portò di fronte alla strega, alla quale
rivolse il proprio ringraziamento.
«Non devi
ringraziare me.» rispose indicando Keita e Toshio «Ringrazia loro. Hanno
rischiato la vita per portarti quell’elisir».
Nadeshiko si
avvicinò dunque ai due ragazzi, ringraziando entrambi con un sorriso commosso e
un caloroso abbraccio.
«Ahi, aspetta.»
disse Toshio, che ancora risentiva degli effetti del confronto con la barriera
«Scusami.» rispose
lei allontanandosi «Ti fa male?»
«Nulla di
insopportabile».
Cercarono di
guardarsi, ma il rossore costrinse entrambi a distogliere lo sguardo.
«Ora è giunto per
voi il tempo di tornare nel vostro mondo.» disse Yuko.
I cinque ragazzi e
la loro maestra fecero quindi ritorno nel cortile della casa, e qui Toshio
riconsegnò a Izumi la sua pistola; anche Keita fece altrettanto, restituendo
alla strega la spada che aveva ricevuto.
«Mi è stata molto
utile. Grazie.»
«Avrai altre
occasioni per usarla, stanne certo.» rispose Yuko recuperandola.
Appena il gruppo
se ne fu andato, scomparendo allo stesso modo in cui era venuto, una presenza
sconosciuta si palesò alle spalle della strega; impossibile capire chi fosse,
dal momento che rimaneva nascosta nella penombra del portico, ma a giudicare
dalla corporatura doveva essere un uomo.
Il solo tratto
visibile del suo vestiario erano un lungo mantello rosso porpora, un paio di
sandali di cuoio, schinieri da guerra e la parte superiore di una tunica che
lasciava scoperte le gambe.
«Allora?» disse il
nuovo arrivato con voce da cinquantenne, un po’ roca ma comunque carica di
fermezza e vigore «Che ne pensi?»
«Il suo futuro è
così oscuro che neppure io riesco a scorgerlo. Una cosa però è certa. Un
destino grandioso e pieno di difficoltà attende quel ragazzo, un destino grande
almeno quanto il potere che si porta dentro.
Ben altre sono le
prove che lo aspettano.»
«Puoi stare
tranquilla. Per quanto possano essere ardui gli ostacoli che troverà sul suo
cammino, in un modo o nell’altro riuscirà a superarli.
Perché quel
ragazzo, e lo dico per esperienza, non sa fallire».
Dopo il ritorno al castello, Izumi chiamò a sé i suoi
cinque allievi, riunendosi con loro nel piazzale davanti all’ingresso che a
lungo aveva costituito il loro campo di allenamento.
«Siete degli
allievi testardi e imprudenti.» fu il suo esordio, certamente non dei migliori
«Ma vi siete dimostrati anche guerrieri di indubbio valore e talento.
Spero vivamente
che queste due settimane siano state costruttive per voi. Allo stato attuale,
non c’è più niente che io possa insegnarvi.
So che
probabilmente alcuni di voi sono ancora alla ricerca di risposte, ma, mi
dispiace dirlo, io non possiedo i mezzi per fornirvele. Dovrete trovarle da
soli».
A quel punto, al
tono severo e quasi di rimprovero se ne sostituì uno più amichevole,
accompagnato da un’espressione soddisfatta.
«Era da molto
tempo che non provavo delle emozioni così belle allenando qualcuno.
Se c’è una cosa
per la quale vi sono debitrice, è l’avermi fatto riscoprire la bellezza
dell’essere un insegnante. Quando siete venuti da me, ero convinta che questo
mondo fosse così corrotto da non avere più un solo abitante mosso da nobili
ideali.
Voi siete la prova
vivente che mi sbagliavo.
Non dimenticate
mai per cosa state combattendo, e gli obiettivi che vi siete prefissati. E non
sciogliete mai il legame che vi unisce. E il vostro tesoro più prezioso.»
«Sì!» risposero in
coro i cinque ragazzi e i due famigli
«Mi dispiace solo
di non poter trascorrere altro tempo con voi. Ma chissà che in futuro non
avremo occasione di recuperare.
Ora andate a
riposare. Questa sarà la vostra ultima notte in questa valle.
Il vostro viaggio
sta per ricominciare».
Quella notte Keita, Shinji e Takeru dormirono molto meglio
del solito.
La fatica
accumulata negli ultimi giorni aveva finalmente occasione di venire scaricata,
e appena poggiata la testa sul cuscino i tre amici erano crollati.
Chi non riusciva a
dormire, invece, era Nadeshiko. Nel buio della sua stanza, la ragazza si girava
continuamente sotto le coperte senza riuscire a darsi tregua.
Le misteriose
parole pronunciate dalla strega la inquietavano quanto e più di prima,
lasciandole dentro un senso di paura e incertezza. Non sapeva cosa fare, come
comportarsi, e si sentiva terribilmente triste.
Che senso aveva
affezionarsi e legarsi a qualcuno se il loro destino era quello di separarsi?
Nonostante ciò, la
tempesta che imperversava dentro di lei continuava incessantemente a scatenarsi
in tutta la sua forza; molteplici sentimenti di opposta natura la alimentavano,
rendendole impossibile prendere sonno. Malgrado la minaccia profetizzata da
Yuko, però, Nadeshiko sentiva di non poter più ignorare i sentimenti che
provava, ma ogni qualvolta che tale pensiero si faceva strada nella sua mente
quello ben più spaventoso di un probabile distacco ricacciava tutto indietro.
Alla fine, per non
scoppiare, la ragazza si alzò dal letto, e, come faceva abitualmente da che
aveva cominciato a percepire quelle sensazioni, dopo essersi rivestita prese a
camminare su e giù per il castello come un fantasma senza pace, alla disperata
ricerca di un modo per sfuggire alla sua triste condizione.
Giunta davanti al
finestrone che immetteva nel balcone del secondo piano, però, il destino decise
di giocarle un brutto scherzo, mettendole davanti agli occhi la ragione del suo
soffrire.
Toshio, appoggiato
alla balaustra, osservava l’immensità della volta celeste nel più completo
silenzio e con un’espressione enigmatica, quasi dolce.
Appena lo vide,
Nadeshiko sentì i battiti del cuore aumentare prepotentemente di intensità, e
anche se voleva fare il contrario i suoi occhi non riuscivano a staccarsi da
lui; la luce della luna e delle stelle si rifletteva sui suoi lineamenti con
grazia e audacia, donandogli un aspetto di grande fascino, ancora maggiore di
quello che lo caratterizzava in momenti concitati quali il mezzo della
battaglia.
A vederlo così
sembrava così diverso da come appariva di solito, e forse era proprio questa
sua diversità a renderlo così misterioso, così apparentemente fugace.
Senza poter
controllare il proprio agire Nadeshiko prese ad avvicinarsi un passo alla
volta, nel più completo silenzio, come a volerlo osservare meglio senza però
catturarne l’attenzione; fu una mattonella malmessa a tradirla, e come lui si
girò quei due occhi neri la trafissero, lasciandola senza fiato.
«Nadeshiko!?»
disse lui arrossendo come non mai
«Io…» disse balbettando
«Ecco… passavo di qua, e…»
«Qua… qualcosa non
va’?»
«No… non c’è
niente che non va’. È solo che… come dire…».
Toshio, forse
perché divertito dall’evidente imbarazzo della ragazza, sorrise leggermente, e
Nadeshiko, senza sapere perché, si sentì molto più tranquilla vedendo quel
sorriso; il cuore smise di rimbombare, il corpo di tremare, e la sua voce si
liberò di quel tono balbettante; stranamente, il sorriso della ragazza parve
avere su Toshio lo stesso effetto che il suo aveva avuto su di lei.
«Scusa se ti ho
disturbato. Immagino che vorrai restare solo.»
«No, tranquilla.
Nessun disturbo».
Così, in un modo
del tutto imprevisto, i due si ritrovarono l’uno vicino all’altra, con il naso
all’insù e l’espressione sognante.
«Non riesci a
dormire?» domandò lei ad un certo punto.
Lui fece cenno di
no con la testa.
«Nemmeno io.»
«Sei preoccupata
per quello che ci aspetta?»
«Un pochino. E
tu?»
«Stessa cosa».
Era come se
entrambi stessero deliberatamente cercando di evitare un determinato argomento,
sforzandosi di trovarne altre per compensare un silenzio che non faceva altro
che alimentare il nascere di nuova tensione.
«È una notte
stupenda, non trovi?» disse Nadeshiko
«Sì, infatti.»
«Anche tu ti senti
più tranquillo guardando il cielo stellato?»
«È così. Nel
deserto, dove non c’è luce, le stelle brillano con tutta la loro forza. Molto
spesso la notte, quando non riesco a dormire, rimango sveglio ad osservarle
fino all’alba.»
«Per quale
motivo?»
«Non c’è un motivo
preciso. Lo faccio e basta.»
«Vale lo stesso
per me.»
«Le cose belle
attirano l’attenzione. E di bellezza le stelle ne hanno da offrire a volontà».
Seguì un nuovo
silenzio, poi Nadeshiko arrossì leggermente.
«Volevo
ringraziarti ancora per quello che avete fatto. Se sono qui, lo devo a voi.»
«Ringrazia Keita.
Gran parte del merito è suo. Gli dobbiamo entrambi la vita».
Nadeshiko col
passare dei minuti pareva diventare sempre più assente, e di tanto in tanto
portava la mano alla tasca dei calzoncini, salvò poi ritirarla quasi
spaventata. Ad un certo punto, però, si decise ad agire, memore del fatto che
quella poteva essere la migliore delle occasioni.
«Senti, Toshio. Se
tu sei d’accordo, vorrei che accettassi questo.» disse, e aperta la mano mostrò
al ragazzo un bellissimo pendente nero legato ad una catenina d’argento
raffigurante un serpente che si mordeva la coda con una stella a cinque punte
inscritta al suo interno.
Lui lo prese,
guardandolo.
«Che cos’è?»
«È un uroboros.»
«Un uroboros?»
«Nella mitologia
egizia e in alcune dottrine filosofiche rappresenta l’eterno ciclo di morte e
rinascita».
Toshio quasi
sorrise; sapeva bene che cos’era un oroboros, ma sentire la voce di Nadeshiko
gli procurava sempre una grande gioia, e anche se ormai sapeva perché non
poteva fare a meno di provare un senso di stranezza per un comportamento tanto
bizzarro.
«È un oggetto
molto bello. Come lo hai avuto?»
«I miei genitori.
Lo hanno trovato in un mercato di Venezia quando erano in luna di miele. Io
sono nata esattamente cinque anni dopo quel giorno, così decisero di regalarlo
a me come portafortuna.»
«Ma se è così, è
un oggetto molto prezioso. Non posso accettarlo.»
«Non c’è problema.
Io dalla vita ho avuto tutto ciò che desideravo. E poi, un portafortuna al
momento serve più a te che a me».
Il ragazzo esitò,
indeciso sul da farsi, poi, ringraziando, lo indossò; era caldo, malgrado fosse
di metallo, ed emanava uno strano senso di tepore.
«Non dovrai più
avere paura di sentirti solo.» disse Nadeshiko guardandolo negl’occhi «Ora ci
siamo noi, e sul nostro appoggio potrai sempre contare.»
«Grazie.» rispose
lui rapito da quello sguardo.
Appena Nadeshiko
se ne fu andata Toshio si sedette su di una poltrona di vimini con l’animo
decisamente più rilassato, e prima di rendersene conto cadde in un sonno
profondo.
Nota dell’Autore.
Salve a tutti!
Ancora una volta devo
scusarmi per la lunga assenza, ma ora che i corsi sono finiti e con l’approssimarsi
delle vacanze di pasqua forse avrò a disposizione un po’ più di tempo per
scrivere.
Questo capitolo mi è
costato molta fatica, ma ne sono molto soddisfatto.
Se volete scoprire
chi è la ragazza a cui allude Yuko nel suo dialogo con Nadeshiko vi invito a
leggere i primi volumi di xxxHolic (non
mi ricordo se è il primo o il secondo ^_^).
Ringrazio come sempre
Selly, Akita, Lewsky e Cleo per le loro recensioni.
Da un po’ di tempo, Atarus sentiva di non essere più lo
stesso.
Qualcosa di nuovo
e sconosciuto aveva cominciato a crescere dentro di
lui, qualcosa che non gli riusciva di spiegare ma che gli dava una sensazione
terribile, come un misto di rabbia e fastidio del quale si sarebbe volentieri
liberato.
Quella sensazione
lo aveva colto per la prima volta subito dopo lo scontro con Tadaki, nel
momento in cui stava per infliggere il colpo mortale al nemico sconfitto, e per
la prima volta in vita sua aveva vacillato, dimenticando per qualche minuto i
principi attorno ai quali aveva sempre soppesato tutto il suo modo d’essere.
Qualcosa di ciò
che stava facendo, e soprattutto di ciò che aveva fatto finora, di colpo gli
pareva strano, per non dire sbagliato; quando era stato ad un passo
dall’uccidere Tadaki, qualcosa lo aveva trattenuto, facendolo esitare.
Da allora, non gli
era riuscito di fare altro che pensare al suo passato,
una cosa che mai aveva fatto prima di quel momento, e frugando nei recessi
della memoria aveva finito per riscoprire verità e ricordi a lungo oscurati.
Fin dalla nascita,
la vita di Atarus era stata un inferno costante; suo padre, il capo di quel
piccolo villaggio perso fra le highlands scozzesi e
arroccato attorno ad un castello dall’emblematico nome
di Crows Rock, era un uomo rude e violento, che
vedeva nella forza il solo metro di giudizio per valutare un guerriero.
Sua madre era
morta mettendolo al mondo, e come imponeva la legge del clan, ancora saldamente
ancorato alle tradizioni del passato, a soli sei anni
Atarus aveva iniziato l’addestramento che lo avrebbe portato a diventare un
guerriero senza pietà e senza coscienza; un allenamento duro, fatto di corse sfiancanti,
duelli sempre più pericolosi, vergate e notti all’addiaccio a lottare con gli
animali per procurarsi la cena. Il fatto di essere sia l’erede al trono sia il
guerriero destinato a prendere parte al prossimo grande torneo rendevano la sua istruzione ancor più inumana.
«Mio figlio deve
diventare un uomo prima di tutti gli altri.» diceva sempre suo padre.
All’età di tredici
anni, tre anni prima del periodo convenzionale, Atarus
era stato spedito a Gellerswy, una remota isola persa
da qualche parte nel Mare del Nord e tradizionalmente terra d’origine dei
McLoan, un vero e proprio carcere naturale in cui tutti i futuri guerrieri
dovevano rimanere per la durata di cinque anni.
Vista la scarsità
di cibo e le condizioni climatiche estreme,
soprattutto d’inverno, la concorrenza tra i ragazzi era spietata, e in passato
si erano verificati anche casi di cannibalismo, inoltre a Gellerswy
la posizione che si occupava nel clan non aveva alcuna importanza: il più forte
comandava.
Malgrado
la giovane età e il fisico sostanzialmente poco possente rispetto a quello di
molti altri ragazzi Atarus era riuscito facilmente ad imporsi su tutto il
gruppo dopo aver ucciso il precedente leader ed aveva imposto su tutti la legge
della spada, trasformando una massa di spiantati raccoglitori di uova e sbranatori di carogne in un esercito composto e servile di
spietate macchine da guerra che si sfidavano costantemente fra di loro per
conquistarsi un posto d’onore.
Al suo ritorno
dall’isola Atarus era diventato l’esatta copia del padre, ma c’era ancora una
cosa che gli restava da fare prima che avesse inizio il torneo; avendo
raggiunto i diciotto anni il principe era tenuto a prendere moglie e a mettere
al mondo un figlio che avesse potuto dare al clan un nuovo capo nel caso fosse
morto combattendo nella competizione.
Contemporaneamente
al ritorno di Atarus, però, i tentativi dello zio di usurpare il trono si erano
fatti più audaci, pertanto il re, per proteggere il suo prediletto, lo aveva
mandato a Londra da persone fidate, ed era stato proprio a Londra che Atarus
aveva conosciuto Helen, una ragazza destinata a cambiargli la vita.
Anche lei, come il
principe, era passata per una vita terribile, segnata dal dolore; rimasta
orfana a tredici anni e con nessuno che potesse sostenerla aveva dovuto
lavorare per mantenere una sorella minore, morta a sua volta dopo pochi anni, e
quando non era più riuscita a pagarsi l’alloggio in
cui viveva si era ridotta a vivere per strada e a mangiare alle mense dei
poveri.
Atarus, che mal tollerava
la vita restrittiva impostagli dai suoi protettori,
l’aveva incontrata quando lui, una notte, stava ammazzando il tempo saltando
fra gli alberi di Green Park; vestiva con pochi miseri stracci e dormiva su una
panchina, ma nonostante ciò rimaneva comunque bellissima. Il ragazzo non
riusciva a capire cosa l’avesse colpito in particolare, fatto sta che se ne
innamorò a prima vista, portandola a casa con sé e offrendole un posto in cui
dormire.
Quando finalmente
il principe poté rientrare al villaggio il loro amore era diventato profondo e la
portò con sé, pur sapendo che sarebbe stato molto difficile per il clan
accettare come propria regina una ragazza che oltre ad essere stata un’accattona non faceva parte della ristretta cerchia di
stranieri a conoscenza della verità sotto quel villaggio di pastori e
cacciatori molto chiuso in sé stesso e poco tollerante nei confronti degli
stranieri.
Invece, a
sorpresa, era stato proprio il re ad appoggiare il matrimonio, sostenendo che
una donna passata attraverso tante sventure non poteva che mettere al mondo
figli forti, ma solo dopo le nozze il sovrano cominciò
forse a comprendere la vera natura della potenziale minaccia che si era messo
in casa.
Nonostante avesse
passato le pene dell’inferno, infatti, Helen non aveva perso la sua purezza, e
più tempo passava con Atarus più gli insegnava il valore dei sentimenti,
domando la bestia furente e combattiva che fino a quel momento aveva albergato
dentro di lui.
A complicare
ulteriormente le cose ci si era messo la nascita di un
bambino che, per quanto di corporatura piuttosto gracile e visibilmente poco
adatto a percorrere la strada del guerriero, aveva destato nel principe
sentimenti paterni.
Atarus stava quasi
per placare del tutto il mostro sanguinario che aveva dentro quando Helen, che
probabilmente portava da tempo dentro di sé i postumi
di una lunga vita tra sporcizia e malnutrizione, venne improvvisamente a
mancare, e allora la bestia non solo non si era placata, ma anzi aveva
sprigionato ancor di più il suo potere, ulteriormente accentuato dopo che il
piccolo William, così era stato chiamato il principino, come il suo illustre
antenato Wallace, era stato allontanato dal villaggio dopo pochi mesi di vita,
si era detto per motivi di sicurezza.
Negli ultimi
giorni, le immagini della sua amata Helen e del suo unico figlio, che ormai
doveva avere quasi due anni, non smettevano un attimo di tormentare Atarus, che
per quanti tentativi facesse non riusciva proprio a
lasciarsele alle spalle.
Dal giorno del
combattimento contro Tadaki non aveva più alzato la lancia contro nessuno, e
anche in quel momento rimaneva immobile sul tetto di un alto palazzo ad osservare le migliaia di persone, soprattutto turisti,
che affollavano le strade di Vienna dopo il tramonto. Volendo avrebbe potuto
piombare su quella massa inerme e compiere una strage per poi assorbire un gran
numero di circoli magici, ma non lo faceva.
Il suo pensare a
cosa potesse aver provocato in lui un simile cambiamento fu bruscamente
interrotto dall’improvvisa comparsa di un fuuzetzu e
dall’altrettanto improvvisa pioggia di fasci luminosi che presero a cadergli
addosso da un punto imprecisato del cielo.
«Ma cosa…».
Il lanciere riuscì
a mettersi in salvo spostandosi velocemente per evitarne alcuni e roteando la
sua arma per respingerne altri, e appena la tempesta fu passata davanti a lui
comparve, scendendo dall’alto, quello che molto probabilmente sarebbe stato il
suo prossimo avversario.
Vestiva in modo
insolito, in una sorta di simbiosi fra l’abbigliamento della fredda e
inospitale steppa mongolica, con una mantellina di pelliccia e stivali pesanti,
e quello un po’ più occidentale della Russia, con pantaloni leggeri e giacca di
cotone.
I capelli, corti,
erano blu, in parte nascosti da un cappello di pelo, e gli occhi dello stesso
colore, freddi ma determinati; come arma aveva una coppia di faretre piene di
frecce, una alla cintura e una dietro la schiena, e uno splendido arco fatto a scaglie fatto di un materiale sconosciuto, forse diamante
grezzo, coi bordi affilatissimi ma privo della corda.
«Finalmente ti ho
trovato.» disse l’arciere «Atarus dei McLoan.»
«Chi sei?»
«Il mio nome è
Tomite, e appartengo al clan Borjigin.»
«I discendenti di Gengis Kahn.»
«Ti
ho osservato in questi ultimi giorni. La tua condotta è stata deprecabile. Hai
le mani macchiate del sangue di decine di innocenti.
La tua stessa persona disonora questo grande torneo.»
«Se sei venuto qui solo per farmi la predica stai sprecando il tuo tempo, e
comunque non sono affari tuoi.»
«Ti
sbagli, invece. Noi partecipanti al torneo abbiamo l’obbligo di impegnarci in
difesa di questo mondo, di mettere le nostre vite al servizio della causa che i
nostri popoli sono stati chiamati a difendere.
Quelli come te,
che aspirano solo alla gloria personale, non servono la causa, ma piuttosto la
mortificano.
È uno scempio che
deve finire».
Senza aggiungere
altro Tomite si lanciò alla carica impugnando il suo arco al centro e usando i
bordi affilati come la doppia lama di una falce.
Atarus si difese
dal primo attacco saltando all’indietro, ma a dispetto del suo stile abituale
all’attacco preferì quasi subito la difesa, limitandosi a parare gli assalti
del nemico e sferrando solo di tanto in tanto qualche affondo facilmente
schivabile.
«Che
ti succede, McLoan? Hai dimenticato come si combatte?»
Anche lui in
realtà avrebbe tanto voluto sapere che cosa gli stava succedendo. Una cosa,
però, la sapeva per certo: in quelle condizioni non poteva combattere.
Continuare sarebbe stato un suicidio, ma d’altro canto era evidente che Tomite
non aveva alcuna intenzione di lasciarlo fuggire.
Il suo livello di
concentrazione era talmente basso che alla fine l’arciere riuscì nell’intento
di colpirlo, procurandogli una ferita non troppo grave ad
un braccio che però lo fece cadere in ginocchio sul bordo del tetto.
«Fine della corsa,
Atarus.» disse Tomite mentre dal nulla compariva una corda di luce ad unire le due estremità del suo arco «Non so cosa ti sia
preso questa sera per giustificare una prestazione tanto deludente, ma non ho
alcuna intenzione di trascendere dai miei obiettivi».
Detto questo il
ragazzo prese una delle sue frecce, la incoccò e tese l’arco, prendendo bene la
mira.
«Perisci per le
tue colpe!» gridò scagliando il dardo.
Atarus, con la
fronte sudata per quella che forse avrebbe chiamato paura, non fece alcun
tentativo per evitarlo, malgrado forse la sua prontezza di riflessi avrebbe potuto permettergli di salvarsi, e rimase immobile
ad osservare la freccia che, appena scagliata, si era circondata di un forte
bagliore argenteo, mentre puntava diritta verso di lui.
Poi, come
d’incanto, un circolo magico dal disegno inconfondibile si frappose tra i due
contendenti sprigionando una colonna di luce che respinse la freccia con assoluta
facilità, e appena il bagliore si dissolse da esso
comparve, in tutta la sua fierezza, la giovane ragazza con lo scettro d’oro.
Ancora una volta
il largo cappuccio della veste copriva quasi interamente il suo viso, ma
nonostante ciò entrambi i guerrieri capirono subito chi avevano di fronte,
rimanendo di sasso per lo stupore.
«Vo… voi qui!?» disse balbettando Tomite, verso cui la
ragazza era girata
«Posate le vostre
armi.» sentenziò lei con gentilezza e fermezza «Non è questo il momento di
combattere.» quindi si girò verso Atarus «Vai pure».
Il lanciere
digrignò i denti, combattuto fra necessità e onore, quell’onore
sanguinario che sembrava stare riscoprendo, ma alla fine, forse anche a causa
del dolore, decise di accogliere quell’opportunità inattesa, e saltato giù dal
palazzo scomparve rapidamente tra i vicoli della città.
Tomite, forse non
ricordando le conseguenze di una sua eventuale insubordinazione, fece per
mettere mano ad un’altra freccia, ma bastò che la
ragazza si voltasse nuovamente a guardarlo per bruciare sul nascere tutti i
suoi bollori.
«Ho detto che
questo scontro è finito».
A quel punto
l’arciere non riuscì più a rimanere impassibile, e cessato il suo fuuzetzusi inginocchiò con
riverenza, posando a terra la sua arma e piegando la testa.
«Io…
non intendo disobbedire, se questo è il vostro volere.
Ma,
se posso permettermi… perché lo avete lasciato andare? Quell’uomo è un disonore
per noi tutti».
La ragazza allora,
abbandonando quell’espressione severa e accigliata, parve sorridere con
dolcezza.
«Come
hai detto tu, ogni vita è importante. Vostro compito di guerrieri è proteggere
tutte le persone di questo mondo, e mai come in questo momento è necessario che
vi proteggiate anche tra di voi.
Atarus si è
incamminato sulla strada della redenzione, e voglio che gli sia data la
possibilità di percorrerla fino alla fine. Se deciderà o meno
di riscoprire l’umanità che sembrava aver perduto, questo sarà lui a
deciderlo.»
«Come…
come desiderate. La vostra parola è legge».
La morte di Thanatos aveva
sollevato molto scalpore nell’esercito di Seth; era uno dei migliori fra i suoi
generali, e come se questo non fosse sufficiente il suo scontro aveva rivelato
a Johan che i suoi nemici avevano dalla loro parte il ΜένοςAδηλος, un potere altamente
distruttivo e per questo molto pericoloso.
Le riunioni nella
sala di ballo si erano fatte più frequenti, e contrariamente al passato anche Anubis vi partecipava con regolarità; il grande assente
aveva cominciato ad essere Kaname di Hypnos, che pur
conservando la sua fama di persona fredda e apparentemente immune ai sentimenti
doveva essere rimasto molto provato dalla morte della sorella.
Quella sera, a
sorpresa, Selveria aveva chiesto di poter prendere la
parola, e ricevuto il consenso si era inginocchiata ai
piedi del trono del sovrano.
«Allora,
Sigfrida. Di cosa volevi parlarmi?»
«Mio
signore. Tutti qui sono rimasti molto colpiti dall’esito che ha avuto lo
scontro con Thanatos.
È ormai evidente
che i nostri nemici sono più potenti e pericolosi di quanto avessimo previsto.»
«Sono
d’accordo con te. Si stanno rivelando degli ossi molto duri. Sbarazzarsene non
sarà per niente facile, e sarà meglio occuparsene il
prima possibile.»
«A tal proposito,
mio signore, con il tuo permesso vorrei offrirmi
volontaria per portare a termine questa missione.»
«Per quale motivo
mi fai questa richiesta?» domandò Johan come se, in realtà, se l’aspettasse
«Ho
notato un individuo interessante in quel gruppo di esseri umani. Vorrei
misurarmi con lui in duello, se questo non vi crea disturbo. Dopo, mi occuperò
anche degli altri».
Il ragazzo rimase
un po’ in silenzio, come a voler riflettere, poi sorrise compiaciuto.
«Amica
mia, come ti riconosco. Sei rimasta esattamente la stessa
determinata guerriera di un tempo, piena di onore e di spirito combattivo.
Molto bene. Ti do
licenza di andare. Agisci come meglio desideri.»
«Vi
ringrazio con tutto il cuore.
Farò del mio
meglio».
Amsterdam
Erano passati due giorni da quando Toshio e gli altri avevano
raggiunto la capitale olandese, ma del misterioso nuovo partecipante al torneo
la cui emanazione magica li aveva condotti fin lì neanche l’ombra.
«Ma sei sicuro che
questo fantomatico avversario sia proprio qui in Olanda?» domandò Keita
affacciato dalla finestra della loro lussuosissima stanza d’albergo al centro
della città
«Non saprei.»
disse Toshio «Subito dopo il nostro arrivo ho smesso
di percepire la sua presenza. È probabile che si stia nascondendo, in attesa
del momento migliore.»
«Allora, forse
dovremmo farlo anche noi.»
«Lo stiamo già
facendo.» rispose Shinji «L’intero albergo è circondato da una barriera
invisibile che funge da schermo.»
«Ma…
Nadeshiko è uscita. Sarà prudente lasciarla andare da sola?»
«Ho cercato di
convincerla a non andarsene in giro da sola, ma lei non ha voluto sentire
ragioni.»
«È testarda.»
disse Takeru, dapprima fra sé e sé, per poi volgere segretamente il suo sguardo
verso lo stesso Toshio «Quasi quanto una persona di mia conoscenza.»
«Comunque, possiamo
stare tranquilli.» disse Shinji «Aria e Lotte la
stanno seguendo di nascosto. Ci penseranno loro a tenerla d’occhio».
Nadeshiko infatti qualche ora prima aveva lasciato l’albergo e si era
incamminata per le strade di Amsterdam.
Dopotutto, anche
se ora perseguivano altri obiettivi, lei e i suoi amici erano venuti in Europa
per divertirsi e fare i turisti, e voleva almeno portare indietro qualcosa dal
suo viaggio, quindi ora era alla ricerca di qualche oggetto carino da poter
regalare ai suoi genitori e a sua sorella una volta tornata in Giappone.
Vista la sua
elevata cultura in materia di Europa e la sua discreta preparazione scolastica
sapeva che Amsterdam non era una città troppo sicura, soprattutto dopo il
tramonto, ma sapeva altrettanto bene che rimanendo sulle strade pedonali
principali, dove il via vai era qualcosa di addirittura spaventoso, non le
sarebbe potuto accadere nulla.
Era così presa
dall’ammirare le luci e gli assortimenti dei negozi di souvenir da non
accorgersi che, seppur con molta fatica, ostacolate da un’enorme folla, due
gatti la stavano seguendo senza sosta da che aveva lasciato i suoi compagni.
«Accidenti a tutta
questa gente.» disse Aria entrando di soppiatto nel negozio dove avevano visto
entrare Nadeshiko, una gioielleria «Con tutta la confusione che c’è è difficile starle dietro. Meno male che si ferma
continuamente per entrare nei negozi, o l’avremmo persa da
tempo.»
«Si è fatta
prendere di colpo dalla smania dello shopping.» disse Lotte «Ha girato
Amsterdam per tutto il giorno senza comprare neppure un pendaglio e adesso
improvvisamente non riesce a stare senza comprare.»
«Non
sta a noi giudicare queste cose. Toshio ci ha solo ordinato di tenerla
d’occhio, e credo sia anche la cosa migliore da fare».
In quella Nadeshiko
uscì dal negozio, e chiuso il cofanetto contenente il regalo per la madre nel
suo zainetto si era nuovamente rimessa in marcia.
«Sta
ripartendo. Andiamo Lotte.
Lotte?».
La sorella però
non poteva sentirla; pur essendo dei famigli, dotate
cioè di una coscienza umana, Aria e Lotte in passato erano pur sempre state dei
gatti, e qualcosa della loro indole rimaneva immutato, soprattutto nella
gemella minore, la quale rimaneva totalmente rapita da oggetti piccoli, tondi e
luminescenti, nel caso in questione un pendente d’oro che il gioielliere stava
mostrando ad una coppia di clienti.
In un secondo
Lotte, ammaliata e decisa, saltò sul bancone e, con un balzo, passò in mezzo
agli sbigottiti umani, agguantando il tesoro con la bocca per poi scappare; subito,
il gioielliere derubato prese ad inseguire lei e la
sorella urlando tutte le imprecazioni che conosceva.
«Maledizione a te
e alle tue manie!» gridò Aria mentre scappavano tra una selva di gambe «Finisce
sempre che ci cacci nei guai!»
«Non ho potuto
farci nulla, è stato più forte di me.» rispose la sorella con
in bocca il pendaglio rubato.
Fortunatamente il
rivenditore si arrese presto, molto prima che Aria potesse convincere Lotte a
mollare il maltolto, ma le due gatte avevano corso talmente tanto che dovettero
fermarsi a riprendere fiato.
«Quante volte ti
ho detto di non fare cose simili?»
«Che cosa vuoi
farci?» rispose Lotte con un sorrisino innocente e mostrando fiera il proprio
trofeo «Non so resistere davanti a certe cose.»
«Un
giorno o l’altro rischierai di farti male per queste tue bravate. E comunque, a
causa tua, ora abbiamo perso Nadeshiko.»
«Non
c’è problema. La ritroveremo.»
«Lo spero, o
Toshio andrà su tutte le furie, e a ragion veduta».
All’improvviso un fuuzetsu di dimensioni colossali comparve sopra le loro
teste; era talmente grande da inglobare al suo interno non solo l’intera città,
ma anche una grande porzione di oceano.
«Un fuuzetsu.» disse Aria spaventata
«Accidenti,
è enorme. Chiunque l’abbia creato deve possedere poteri stratosferici.»
«Dobbiamo
trovare subito Nadeshiko, potrebbe essere in pericolo.
Io continuo a
cercarla, tu torna indietro e raggiungi Toshio.»
«D’accordo, fai
attenzione.» e le due a quel punto si separarono.
Nadeshiko, al momento della comparsa del fuuzetsu, era quasi arrivata alla fine della strada
pedonale, e il suo primo pensiero vedendo tutte le persone attorno a sé non
solo fermarsi, ma sparire del tutto, fu di guardarsi attorno per cercare di
capire se dietro a tutto vi fosse la mano del
concorrente che Toshio stava cercando, e soprattutto se questi stesse puntando
a lei; dopotutto, anche se non poteva sicuramente trattarsi di Atarus, visto
che l’energia percepita non era la sua, poteva benissimo essere qualcun altro
dotato di cattive intenzioni.
Stava cercando di
capire se vi fosse una qualche minaccia vicino a sé quando, con la coda
dell’occhio, le parve di vedere qualcuno, forse un bambino, scomparire dietro
all’angolo di una stradina stretta incastrata fra due alti edifici.
Poteva trattarsi
di qualcuno come lei, in possesso di un circolo magico abbastanza potente da
permettergli di essere immune all’incantesimo, e in questo caso non gli si
poteva permettere di rimanere da solo, o avrebbe finito per essere preso di
mira, quindi Nadeshiko, senza pensarci troppo su, gli corse dietro.
La ragazza impiegò
solo pochi secondi a raggiungere l’angolo dietro al quale lo aveva visto
fuggire, ma di lui neanche l’ombra; stava quasi per convincersi di aver visto
male quando, sempre per un soffio, lo intravide di nuovo, sempre mentre spariva
dall’altra parte del vicolo.
«Ehi, aspetta!»
disse riprendendo a correre «Tranquillo, non voglio farti del male!».
Uscita nuovamente
all’esterno Nadeshiko si ritrovò in una piazza immensa di forma circolare
protesa per una buona metà sull’oceano; non vi era traccia neanche lì di gente
immobile per via dell’incantesimo, né del bambino in questione.
«Piccolo,
dove sei? Non temere, voglio solo aiutarti!».
Dopo poco, una
sommessa quanto sinistra risatina infantile preannunciò
la comparsa, da dietro una siepe, di una bambina di forse undici anni, ma
probabilmente anche più giovane.
Vestiva in modo
eccentrico, e decisamente fuori stagione, con un
cappotto piuttosto pesante che lasciava scoperte le gambe, nude, sopra il
ginocchio, una sciarpa bianca e una specie di colbacco. Aveva capelli lunghi
bianchi e occhi rossi che scintillavano di un misto di ingenuità
infantile e malevola determinazione.
All’inizio non
voleva crederci, ma quasi subito Nadeshiko capì di essersi andata a cacciare in
una trappola, e rimproverò la propria ingenuità.
«Buonasera,
signorina.» disse la bambinasorridendo e facendo un
lieve inchino nobiliare
«Tu… sei stata tu
a creare questo fuuzetsu?!»
«Il mio nome è Ilya, e vengo dall’isola di Kotel’nyj.»
«Quindi anche tu partecipi al torneo».
Un circolo magico
di grandi dimensioni ed estremamente luminoso comparve
sotto i piedi della piccola, che alzò l’indice in direzione di Nadeshiko.
«È
già da un po’ che osservo te e i tuoi amici. I vostri circoli saranno un
prelibato bocconcino per il mio piccolo amico».
Dal dito si
sprigionò un fascio luminoso di potenza e velocità quasi impensabili, ma
fortunatamente Nadeshiko non si fece trovare impreparata ed eresse una barriera
in grado di difenderla, anche se l’urto risultò più
difficile del previsto da contrastare.
“Che potenza
spaventosa. Non avrei mai immaginato che una bambina così piccola potesse
esprimere un simile potenziale.”
«Sei
bravina, lo riconosco. Non è da tutti erigere uno
scudo abbastanza solido da respingere un attacco di questo tipo.
Ma
non illuderti. Il prossimo risulterà definitivo.»
«Non ce ne sarà un
prossimo!» disse in quella una voce famigliare, e dal cielo piovvero
un’infinità di meteore lucenti dirette verso Ilya.
La bambina si
difese senza grosse difficoltà, e appena il polverone attorno a lei si dissolse
trovò qualcuno a sbarrarle la strada verso Nadeshiko.
«Aria!?»
«Per fortuna sono
arrivata in tempo.»
«Tu devi essere il
famiglio di Toshio.» disse Ilya per nulla spaventata
«E se anche
fosse?»
«Vorrà dire che mi
divertirò un po’ con te prima del suo arrivo.»
«Fa attenzione, Aria. È molto forte.»
«Sì,
lo so. Del resto, per aver creato un simile fuuzetsu,
deve essere dotata di un potere magico davvero immenso».
Ilya, con la tranquillità di una bambina e la freddezza di
una guerriera senz’anima distese nuovamente l’indice, ma il fascio di luce che
ne nacque, invece che in orizzontale, si infilò sotto
le mattonelle del selciato, puntando verso le due ragazze passando sottoterra e
fendendola al suo passaggio.
Aria capì subito
quali erano le intenzioni del nemico, e il suo primo pensiero fu di salvare la
vita che le era stata affidata.
«Nadeshiko,
attenta!» gridò girandosi e spingendola via.
La ragazza riuscì
a mettersi in salvo, Aria invece fu colpita in pieno da una colonna di luce
sbucata dal terreno; fu un vero miracolo se, oltre a non rimanere uccisa,
riuscì anche a mantenere il suo aspetto mano non appena l’attacco ebbe finalmente
fine, lasciandola riversa a terra sulla pancia apparentemente morta.
«Aria!» disse
Nadeshiko inginocchiandosi davanti a lei
«Sca… scappa…».
Troppo tardi.
Ilya aveva infatti già lanciato un
nuovo attacco, che si proponeva di essere davvero risolutivo, ma all’ultimo
secondo un cerchio magico facilmente distinguibile apparve davanti alle due
ragazze, e funzionando come una barriera le protesse entrambe energicamente
fino a che non furono al sicuro.
Nadeshiko,
incredula, si girò alle sue spalle, e dallo stesso vicolo da cui era entrata vide arrivare tutti i suoi amici, con Toshio in
testa.
«Sorella!» disse
Lotte correndo a soccorrere Aria.
Anche Toshio si
avvicinò a lei, dopo aver guardato per un momento quella che sarebbe stata la
sua prossima avversaria.
«Ben
fatto Aria. Sono fiero di te.
Ora, se non ti
spiace, subentro io. Tu riposati».
Lei sorrise, poi
si consegnò alla sorella e Toshio tornò a fissare Ilya.
«Voi
statene fuori. Questo è solo fra me e lei.»
«Va’ bene.» disse Keita «Siamo tutti con te».
Il ragazzo fece un
passo, poi però Nadeshiko gli corse incontro,
appoggiandosi a lui.
«Ti
prego. Fai attenzione.»
«Non
preoccuparti.» le rispose rassicurandola con lo sguardo «Tornerò.» quindi fece
alcuni passi avanti, portandosi a tu per tu con Ilya
«Finalmente
sei arrivato. Hai fatto prima del previsto.»
«Non sapevo che al
torneo potessero partecipare guerrieri così giovani, anche se devo ammettere
che la sua forza è considerevole.»
«Il potere non si
misura dall’età, dovresti saperlo.»
«E
tu ne sei la dimostrazione. Non credo siano molte le persone capaci di
costruire un fuuzetsu di queste dimensioni e di
tenerlo in piedi così a lungo.»
«E questo non è che l’inizio».
Questa volta Ilya, invece che alzare un dito, rivolse la mano destra
verso il cielo, e dal cerchio magico apparso sotto di lei presero ad uscire una moltitudine di piccole sfere bianche che
sembravano quasi grandi fiocchi di neve.
Toshio, dal canto
suo, non aveva alcuna intenzione di difendersi e basta, e appena l’attacco gli venne mosso contro corse subito verso il suo nemico,
schivando alcuni globi e parandone altri, o tagliandoli a metà con la sua
spada.
Ilya, compreso che l’attacco era andato a vuoto, saltò all’indietro
giusto in tempo per evitare il fendente del guerriero, che andò a distruggere
una buona porzione di selciato, e dopo essere planata
dolcemente per alcuni metri ripeté l’operazione, stavolta però con sfere molto
più grosse, capaci di provocare grossi buchi nel pavimento e nei muri degli
edifici circostanti. Toshio si difendeva bene, ma ogni volta che provava ad
attaccare la sua avversaria si spostava da un'altra
parte per poi rispondere con incantesimi sempre più efficaci.
Era ormai evidente
che non possedeva un’arma, ma che i combattenti dell’isola di Kotel’nyj facessero affidamento quasi esclusivamente
sull’uso della magia era un fatto risaputo.
«Sei più bravo di
quanto pensassi.» disse Ilya quando, evitando
l’ennesimo fendente, era atterrata pressappoco al centro della piazza «Ammetto
che la cosa inizia a farsi divertente.»
«Mi sembri un po’
troppo sicura di te.»
«E
ho ragione d’esserlo. Questa sfida era finita ancor prima di iniziare.»
«Davvero?
Dimostralo.»
«Come
preferisci. Ma sappi che non sarà affatto piacevole».
Quanto era vero.
All’improvviso la
terra iniziò a tremare e alle spalle della bambina si formò un circolo magico
grande come non si era mai visto, un vero e proprio mastodonte dal quale uscì,
lentamente, una creatura altrettanto gigantesca, che lasciò tutti, Toshio
compreso, con la bocca spalancata per lo sgomento.
Era un drago, un
drago di proporzioni colossali, lungo almeno venti metri, quaranta contando
anche le coda, la pelle nera come la pece, ali
membranose ampie da sole più di tutto il corpo, quattro zampe provviste ognuna
di cinque lunghi artigli ricurvi, un collo lungo e longilineo e un muso
protendente provvisto di due lunghe corna affusolate e un paio di occhi quasi
felini.
Ilya quasi rise vedendo le espressioni attonite dei
ragazzi.
«Vi
presento Frederich. Il mio famiglio.»
«Il tuo famiglio…
è questo drago?» domandò Keita
«È enorme.» disse
Takeru «Mai visto niente del genere.»
«Non è possibile!»
sbottò Aria, che nel frattempo si era un po’ ripresa «I draghi non si lasciano
governare dagli esseri umani!»
«Ti sbagli.»
rispose Toshio «Secondo le leggende, accettano di servire chiunque considerino superiore ad essi.»
«Però… il maestro Akunator diceva che sono estinti da almeno settecento anni.»
«Forse non è del
tutto vero.»
«Che intendi
dire?» chiese Shinji
«Ho
sentito qualche storia a riguardo. Pare che molti secoli fa l’isola di Kotel’nyj divenne la patria di adozione di tutti i draghi
che riuscirono a scampare alla caccia spregiudicata dell’uomo.
I nativi
dell’isola erano gente pacifica che offrì loro di vivere nelle grandi caverne
di cui la loro terra era piena; con l’andare del tempo gli isolani presero a
rispettarli e onorarli come divinità, e i draghi, per ricambiarli della
gentilezza che avevano dimostrato, promisero di proteggere l’isola e i suoi
abitanti da chiunque li avesse minacciati.»
«Questo è ciò che
accadde allora.» disse Ilya «La nostra isola è
l’unico luogo al mondo in cui i draghi possano ancora sentirsi liberi, e sarà
così per sempre.»
«Ma
non ho mai sentito che i tuoi antenati abbiano usato dei draghi come famigli.
Infatti, è
risaputo che sono pochi gli esseri umani in possesso di un potere magico tanto
grande da meritare il rispetto e la devozione di un drago.»
«Frederich è al mio fianco da quando sono nata. Un patto
inscindibile ci tiene uniti, e se siamo insieme non
c’è nulla in grado di fermarci.
Frederich, mostragli la tua forza!».
Il drago,
obbedendo come il più docile dei cagnolini, ruggì così forte da far tremare
l’aria; la sua bocca si illuminò di un bagliore
bluastro, e una vera tempesta di fiamme azzurre si diresse verso Toshio, che
solo per un vero miracolo riuscì ad evitare di venire incenerito, gettandosi a
terra.
La fiammata,
proseguendo nel suo tragitto, fu così potente da distruggere non solo il
palazzo che colpì, ma anche tutto ciò che si trovava dietro di esso per un
raggio di almeno una decina di metri, riducendo un gran numero di edifici a
cumuli di macerie e provocando uno squarcio enorme sul terreno.
Qua e la si erano accesi dei roghi, e di un intero quartiere non
restavano che rovine annerite dal calore.
«È… è spaventoso…»
disse sconvolta Nadeshiko
“Non ho mai visto
niente di simile.” pensò Toshio rimettendosi in piedi.
Nuovamente, Ilya sorrise.
«Ora capisci fin dove può arrivare il potere di Frederich?
E ti assicuro che questo non era niente.
Cosa
pensi di poter fare tu, semplice umano, per opporti alla potenza
devastante di un drago?»
“Ha
ragione. Un drago è un avversario di classe superiore, ben diverso da
quelli che ho affrontato finora.
Sarò
davvero in grado di aver ragione di una simile bestia?”.
CONTINUA…
Nota dell’Autore
Sono tornato.
Alla fine ci ho messo anche meno
del previsto, forse grazie all’aumento del tempo a mia disposizione,
ma visto che lunedì ho già i primi due esami non so quanto riuscirò a
scrivere da qui a pasqua.
Spero che questo capitolo sia stato
di vostro gradimento, e prometto di concludere la
vicenda il prima possibile.
Ringrazio come sempre Selly, Akita, Lewsky e Cleo per le recensioni
Lo sguardo sul volto di Toshio lasciava intendere il suo
sconcerto, e tutti i timori che potevano venire ad un
semplice uomo costretto a confrontarsi con un essere a lui superiore.
Ilya ne era
consapevole, e se ne compiaceva.
«Frederich. Lui è in grado di rigenerare le proprie ferite,
quindi fallo fuori con un colpo solo».
Obbedendo
all’ordine, il drago dispiegò le proprie ali membranose e, sollevando un vento
poderoso, così forte da mandare in frantumi i vetri delle finestre, si alzò in
aria con un’agilità inimmaginabile per la sua mole, quindi, arrivato ad una trentina di metri, spalancò la bocca, lanciando una
nuova lingua di fuoco.
Era evidente che
lo scopo di Ilya era sbarazzarsi in un sol colpo sia di Toshio che dei suoi compagni.
KEKKAI!
Concentrando tutte le sue forze Toshio evocò una barriera
a cupola grande abbastanza da proteggere sé stesso e
gli altri, ma appena il fuoco ci si infranse sopra la pressione minacciò di
schiacciarlo.
Fortunatamente lo
scudo si rivelò forte abbastanza da assorbire il colpo, e le fiamme,
rimbalzando sulla barriera come su una superficie viscida, presero a schizzare
in ogni direzione, distruggendo tutto quello che trovavano sulla loro strada.
«Se continua così distruggerà l’intera città!» disse Keita
«Questa ragazzina
non ha alcuna intenzione di trattenersi, e tanto meno il suo drago.»
«Dobbiamo fare
qualcosa, non possiamo lasciare che riduca Amsterdam ad
un cumulo di rovine».
Quando finalmente
l’attacco ebbe fine e Toshio fu in grado di sciogliere la barriera
il guerriero cercò di pensare ad un modo per proteggere sia la città sia
i suoi amici da quelle due furie selvagge, e alla fine la soluzione possibile
gli parve solo una.
«C’è una sola cosa
da fare.» disse guardando Ilya che sorrideva di soddisfazione «Bisogna cambiare
campo di battaglia.»
«Che cos’hai in
mente?»
“Se
mi sposto da un’altra parte per combattere e lei, nonostante tutto, continua a
prendersela con Keita e gli altri, per regolamento saranno autorizzati a
difendersi. Sarà anche fiduciosa, ma non credo si arrischierà a
combattere contro tutti noi messi insieme.
Beh,
a questo punto non credo di avere molta scelta”.
Conscio di ciò che
stava per fare il ragazzo piantò a terra la punta
della spada, impugnando l’elsa con entrambe le mani, abbassò la testa e chiuse
gli occhi, e dopo poco una strana aura rossa lo circondò interamente.
Ilya, abbandonata
la sua espressione sarcastica, osservò la scena un po’ stupita, e la sua
sorpresa fu ancora più grande quando, ai piedi del ragazzo, vide
materializzarsi un circolo magico color rosso sangue pieno di simboli arcani e
inquietanti.
“Ma quello è…” pensò non eccessivamente preoccupata.
Anche i suoi amici
a quel punto capirono, e allora Nadeshiko non poté fare a meno di sentire una
sensazione quasi di dolore oltre ad un opprimente senso di preoccupazione.
Sul volto di
Toshio comparvero i due tatuaggi a forma di fiamma, ma non solo; la giacca che
indossava infatti cominciò quasi a ribollire, e
improvvisamente, squarciando una parte dei vestiti, due grandi ali angeliche,
nere e scintillanti come quelle di un corvo, comparvero dietro la sua schiena,
dispiegandosi con forza fino a raggiungere un’apertura di almeno quattro metri.
«Il ΜένοςAδηλος.»
disse Ilya con un misto di sorpresa e soddisfazione.
Quando Toshio
riaprì gli occhi al loro interno scintillava una strana luce rossastra, ben
diversa da quella che compariva solitamente quando lui combatteva.
«Questa sfida è
tutt’altro che conclusa, Ilya.»
«Lo riconosco, un
po’ mi hai sorpreso. Mai avrei immaginato che proprio uno dei partecipanti al
torneo fosse il custode del ΜένοςAδηλος.
Sarà una sfida
interessante, non c’è dubbio».
Avendo la certezza
di aver stuzzicato l’attenzione della bambina, distogliendola dal prendere a
bersaglio qualcun altro a parte lui, Toshio si sollevò in aria, volando dritto
verso il drago e intraprendendo con lui uno spettacolare duello aereo.
I due avversari si
spostavano continuamente, scambiandosi di tanto in tanto alcuni colpi per poi
tornare a muoversi; Toshio, per quanto possibile, cercava di colpire solo
quando dava la schiena alla città, in modo che i suoi attacchi, se lanciati a
vuoto, andassero ad infrangersi in mare, mentre Frederich
non aveva alcuno scrupolo a sparare enormi palle di fuoco che il più delle
volte finivano per disintegrare interi edifici.
Eppure, più lo
scontro proseguiva, più Toshio sembrava notare qualcosa di strano nel suo
nemico; i suoi attacchi erano potenti, quasi furiosi, del tutto inadatti a una
creatura notoriamente bilanciata e poco avvezza all’esagerazione.
“Che cos’è questa
furia che lo guida?” pensò “I draghi non dovrebbero essere creature pacifiche e
moderate?”.
I draghi, era
risaputo, erano molto sensibili alle emozioni umane, soprattutto su quelle dei
loro padroni, che potevano influire in modo massiccio sul loro comportamento;
quindi, si disse Toshio, era Ilya a trasmettergli tutta quella furia.
Un tempo avrebbe
sfruttato i benefici della sua intuizione senza farsi troppe domande, ora
invece era curioso di conoscere i motivi che avevano spinto una bambina
dall’aria dolce e ingenua a trasformarsi in una spietata macchina per uccidere,
coinvolgendo in questa follia anche il suo drago.
La gente della sua
isola non era mai stata violenta, né tantomeno aveva fatto pesare gli obblighi
della propria rappresentanza ad una bambina così piccola, quindi doveva esserci
per forza qualcosa sotto, e Toshio era ansioso di scoprire di che si trattava.
Ilya intanto,
usando un cerchio magico come una piattaforma volante, era salita in aria fino
ad accostarsi al suo drago, che rimaneva immobile in attesa di nuovi ordini
ringhiando e sbuffando.
«Per essere il
possessore del ΜένοςAδηλος ti stai dimostrando
alquanto deludente.»
La bambina allora
parve avere un attimo di esitazione, e spalancò leggermente la bocca come
sorpresa.
«Cos’è che ti
spinge a fare cose del genere?» domandò il guerriero mentre lei abbassava lo
sguardo e stringeva i pugni «Non credo che tutta questa sete di guerra sia
dettata solo dal torneo.»
«Io… io…» balbettò
lei prima di rialzare gli occhi, ora pieni di lacrime «Io lo faccio per i
draghi!»
«Per i draghi!?»
«Hai idea di
quanto soffrano i draghi per il modo in cui sono stati trattati dagli uomini
per tutto questo tempo?
Cacciati come
volgari animali dagli stessi esseri che avevano protetto e sorvegliato per
secoli, sono arrivati molto vicini ad estinguersi. La loro indole pacifica gli
ha sempre impedito di ribellarsi, ma infondo al cuore covano una rabbia senza
fine.
Sono state
l’ipocrisia e la malvagità degli uomini a fare incontrare me e Frederich».
Sei anni prima
La remota e sperduta Isola di Kotel’nyj, situata al largo delle coste della Siberia,
nell’estremo nord, era una terra remota e inospitale, uno degli ultimi posti al
mondo in cui ci si sarebbe aspettato di trovare la vita.
Caratterizzata da
un panorama impervio, in cui dominavano montagne basse ma ripide e foreste di
alberi sempreverdi, i soli capaci di resistere a quelle latitudini estreme, era
sferzata per buona parte dell’anno da venti gelidi e bufere di neve.
A lungo era stata
ritenuta disabitata, si era invece scoperto, nel corso di un’esplorazione
condotta ancora agli inizi del diciannovesimo secolo, che vi risiedeva da tempo
immemorabile una piccola comunità di autoctoni; in tutto erano circa ottomila,
raggruppati attorno a pochi villaggi che facevano tutti capo ad una famiglia
reale.
Pubblicamente gli
abitanti di Kotel’nyj erano
quasi esclusivamente dei pescatori, che usavano il mare come fonte di cibo e i
numerosissimi piccoli fiumi che scorrevano in tutta l’isola come riserva
inesauribile di acqua, ma in realtà nascondevano molti più segreti di quanti
nessuno avesse mai potuto sospettare.
Infatti, nelle
profonde e impervie caverne generate da intere ere di scavo da parte dei
ghiacci, trovavano rifugio gli ultimi superstiti dell’antica e gloriosa stirpe
dei draghi; provenienti da tutte le regioni del mondo, si erano rifugiati a Kotel’nyj per sfuggire alla
caccia spregiudicata degli esseri umani, trovando negli abitanti di quella
terra sperduta degli alleati che avevano offerto loro di continuare lì la loro
pacifica esistenza in tutta tranquillità.
Quale segno di
riconoscenza per la generosità dimostrata i draghi accettarono di proteggere Kotel’nyj da tutto e tutti, e con
il tempo il rapporto tra le creature alate e gli abitanti dell’isola divenne
così stretto che a distanza di trecento anni ogni abitante dell’isola poteva
contare sull’appoggio di un drago, che potevano andare dai piccoli esemplari di
neanche un metro ai mastodontici draghi bianchi delle Alpi Europee fino ai
draghi neri dell’estremo nord dell’Inghilterra.
Punto d’incontro
fra la civiltà umana e quella dei draghi era la famiglia reale di Kotel’nyj, il saggio re Sigthor e sua moglie, la regina Nalya.
Per molti anni re
e regina avevano desiderato avere un figlio, ma quando finalmente era venuta
alla luce una bambina i sovrani, invece che esserne felici, ne erano rimasti
atterriti; la piccola infatti, a cui era stato dato il nome di Ilya, possedeva
un tale potere magico e una tale affinità con quello dei draghi da poterne
comandare non uno, ma un intero esercito.
Per timore di
veder crescere qualcosa che sarebbe potuto andare fuori controllo la piccola
Ilya non era stata sottoposta al cosiddetto Giuramento del Drago, la cerimonia
durante la quale i bambini della famiglia reale si legavano ad uno dei draghi
privi di una guida, ma la nascita di un bambino dotato di un simile potere
aveva generato del malcontento fra gli isolani, poiché vedevano in essa un
segno di sventura, e uno degli uomini di fiducia del re, il generale Vermer, ne aveva immediatamente approfittato per mettere in
atto quel colpo di stato che andava progettando ormai da quasi vent’anni.
In una notte di
giugno, affiancato dai suoi fedelissimi, aveva ucciso il re nelle sue stanze,
ma prima che potesse fare lo stesso con la regina questa, assieme la sua
bambina, aveva lasciato in tutta fretta il castello, arroccato sulla guglia
rocciosa che dominava il villaggio più grande dell’isola, e si era inoltrata
nella foresta.
La cosa, però, non
aveva né allarmato né irritato Vermer, che anzi
eccitato come non mai si era messo sulle loro tracce come durante una caccia al
lupo.
Al sorgere del
sole madre e figlia stavano ancora correndo lungo un sentiero che si inerpicava
lungo la montagna nel folto degli alberi, braccate come animali; l’intento
della regina era di raggiungere il territorio dei draghi, ben sapendo che un
traditore come Vermer non avrebbe mai avuto il
coraggio di seguirle fin lì, ma la strada era ancora tanta e gli inseguitori
sempre più vicini.
Faceva freddo,
nonostante non nevicasse e vi fosse persino un pallido sole, e questo non
faceva altro che rallentare la loro corsa disperata verso la salvezza.
Ilya, che allora
aveva poco più di quattro anni, correva a sua volta tenendo stretta la mano
della mamma; non sapeva cosa stesse succedendo, ma vedeva il terrore negli
occhi di sua madre.
«Mamma.» disse
quando, sfinita dalla fatica, fu costretta a rallentare «Non ce la faccio più.»
«Resisti piccola.
Siamo quasi arrivate».
La regina si vide
costretta a prenderla in braccio per poter proseguire, ma anche lei era
visibilmente stanca e unendo la stanchezza al dover sopportare un peso extra
sulle spalle la sua andatura si fece via via sempre
più incerta e affaticata.
Alla, fine,
inevitabilmente, la donna crollò sotto il peso della fatica, accasciandosi
senza forza sulla neve fresca, e poco dopo si udì sempre più vicino il passo
veloce degli inseguitori.
«Mamma!» disse
Ilya cercando di rialzarla
«Ilya… scappa…».
Il resto accadde
in pochi istanti; quasi avesse previsto l’approssimarsi del pericolo la regina,
con le sue ultime forze, si gettò sulla figlia, abbracciandola stretta, e
subito dopo una freccia le si conficcò nella schiena.
Ilya, che aveva
gli occhi chiusi per la paura, la vide spalancare gli occhi per poi rovinare
nuovamente a terra tingendo di rosso la neve circostante; contemporaneamente,
un manipolo di uomini guidati dallo stesso Vermer, un
uomo basso e tarchiato con il volto quasi interamente coperto da un grosso paio
di baffi scuri, giungeva dal fondo del sentiero con le balestre in mano.
«Mamma…» disse la
piccola con voce tremante e lo sguardo di chi non comprende la vera portata di
ciò che sta accadendo
«Ilya… raggiungi i
draghi. Loro… ti proteggeranno…»
«Io… non posso…»
«Mi… mi dispiace.
Mi dispiace… di averti coinvolta… in tutto questo…» e con queste parola Nalya morì sotto gli occhi della figlia, alla quale non
rimase altro da fare che piangere.
Pochi istanti dopo
gli inseguitori la raggiunsero, e lei, terrorizzata, non riuscì neppure a
trovare la forza per rialzarsi e tentate una qualche fuga.
«Fine della corsa,
principessina.» disse Vermer infilando una nuova
freccia nella balestra e puntandogliela contro «Non volermene male, piccola.
Hai solo avuto la sfortuna di nascere nella famiglia sbagliata.
E poi, il popolo
mi sarà riconoscente per aver eliminato un potenziale mostro come te».
L’ultima cosa che
Ilya ricordava era il ghigno malevolo sul volto di quel demonio e l’urlo di
paura che lei lanciò d’istinto vedendolo mettere il dito sul grilletto dell’arma,
e subito vi fu un rumore fortissimo, come una cannonata, che le fece perdere i
sensi.
Appena la bambina
riaprì gli occhi gli uomini che l’avevano inseguita giacevano a terra in un
groviglio inestricabile di sangue e interiora, completamente squartati, ma lei,
nonostante tutto, non ne rimase minimamente turbata; tutti i suoi pensieri
infatti erano concentrati non sull’orrendo spettacolo di morte che dominava
incontrastato intorno a lei, ma bensì sullo stupendo drago che aveva di fronte,
e che a giudicare dai rivoli di sangue che spuntavano dalla sua bocca doveva
essere stato l’artefice della sua salvezza.
Immediatamente
Ilya sentì qualcosa, come un doppio filo che la legava indissolubilmente a
quella superba creatura dei cieli, in assoluto il drago più grande e potente
che mai le fosse capitato di vedere.
Senza paura gli si
avvicinò, e lui, quasi con riverenza, abbassò la testa, lasciandosi sfiorare la
fronte e guardando nel contempo la bambina dritta negl’occhi; da quel momento,
il patto era suggellato.
«E da quello è nato il legame che ci unisce.» disse Ilya
finito il racconto.
Toshio ascoltò in
silenzio, apparentemente senza battere ciglio.
«Capisci ora?
Capisci quello che ho dovuto subire? In quel momento mi sono sentita come i
draghi che la mia gente protegge da secoli. Sola, cacciata come un animale. E
ho capito finalmente la loro rabbia.»
«Quindi questa… è
una vendetta?»
«È giustizia!»
gridò furente la ragazzina «Gli umani sono vili e presuntuosi! Si credono i
padroni del mondo, guardano tutto ciò che li circonda dall’alto in basso, e
hanno dimenticato quanto i draghi siano stati importanti per la loro
sopravvivenza!
Hai idea di quante
sofferenze e quante umiliazioni abbiano patito i draghi, cacciati senza pietà
dagli stessi uomini che avevano scelto di proteggere?
La verità è che
gli umani non meritano di vivere! Io e Frederich
insegneremo loro una volta per tutte che questo mondo e tutti i suoi abitanti
non sono una loro proprietà!».
Nuovamente Toshio
parve restare impassibile, anche quando, abbandonata quell’espressione di
bambina arrabbiata e spaventata, Ilya riacquistò la freddezza di sempre.
«Ora però non è il
momento delle parole. Facciamola finita».
Il drago a quel
punto lanciò un fortissimo ruggito, e la sua bocca prese a caricarsi nuovamente
di fuoco.
«Frederich! Annientalo!».
Un nuovo vortice
incandescente si diresse verso Toshio, a cui però bastò agitare le ali per
disperderlo, e allora neppure Ilya riuscì a trattenere un’espressione stupita.
«Non è così facile
sconfiggermi, nemmeno per un drago!» disse mentre la sua spada si circondava di
luce «Adesso tocca a me!»
TAICHI RYUMAJIN!
Dalle dimensioni dell’uragano appariva evidente che Toshio
aveva messo tutto sé stesso in quell’attacco, intenzionato probabilmente a
mettere una volta per tutte la parola fine allo scontro sconfiggendo in un sol
colpo Ilya e il suo famiglio, che infatti vennero colpiti insieme.
Il drago, nel
tentativo di proteggere la sua padrona, le fece scudo con una delle sue ali, ma
l’esplosione fu abbastanza potente da far scomparire entrambi in un’esplosione
di luce.
Fu un colpo così
devastante che tutti pensarono che neppure per un drago sarebbe stato possibile
uscirne vivo, e invece, quando la luce si spense, lo sgomento apparve sui volti
dei presenti, soprattutto su quello dello stesso Toshio.
Ilya e il suo
drago erano ancora lì, immobili e al sicuro, ben protetti da una barriera
trasparente eretta, con ogni probabilità, dallo stesso Frederich,
a giudicare dai suoi occhi che scintillavano del loro colore giallo oro.
«No… non è
possibile…» balbettò il guerriero
«Ci hai provato,
ne convengo.»
«Ha respinto il TaichiRyumajin… come se nulla
fosse.»
«Ammetto che era
un colpo piuttosto potente.
Ma ci vuole ben
altro per aver ragione della possente difesa offerta da un drago».
«È stato
divertente, davvero, ma adesso è finita».
Frederich prima schizzò verso l’alto, poi caricò per la
terza volta la sua fiamma, ma questa volta la grandezza del colpo era a dir
poco spaventosa, e non appena si scagliò contro Toshio il ragazzo si vide
venire contro un oceano infuocato, con un raggio d’azione tale che tentare di
evitarlo era del tutto inutile.
Toshio non ebbe
altra scelta che tentare di difendersi, ma la barriera che eresse attorno a sé
si infranse come un fragile cristallo dopo neanche cinque secondi, e lui,
investito come da un’intera batteria di cannoni, venne letteralmente sparato
verso il basso apparentemente morto, precipitando in mare e sollevando
un’altissima colonna d’acqua.
Keita e gli altri
osservarono terrorizzati il loro amico scomparire inghiottito dal mare;
speravano di vederlo risalire presto, ma passato il fragore iniziale la
superficie tornò liscia come una tavola.
«Sarà anche il
possessore del ΜένοςAδηλος» disse Ilya «Ma non esiste
essere vivente al mondo in grado di sopravvivere dopo aver preso in pieno
l’attacco di un drago.»
«No, Toshio!»
gridò Nadeshiko cadendo in ginocchio tra le lacrime.
Ciò nonostante, la
meridiana che regolava l’andamento del torneo non apparve a segnalare la
sconfitta di un altro concorrente, ma ciò non parve arrecare alcuna
preoccupazione alla ragazzina.
«Ormai è solo
questione di tempo. Se non lo ha ucciso la fiamma di Frederich
ci penserà l’oceano a dargli il colpo di grazia».
Il primo impulso
di Keita e Takeru fu di correre verso il parapetto per tuffarsi e andare a
salvare il loro compagno, ma fatti pochi passi trovarono Ilya e Frederich a sbarrar loro la strada.
«E adesso, veniamo
a voi.
Frederich ha molta fame dopo essersi impegnato così tanto.
I vostri circoli magici saranno un ottimo pasto».
Toshio intanto,
privato di tutta la sua forza, stava affondando inesorabilmente nell’oscurità
senza fine dell’oceano; era ancora cosciente, e usava inconsapevolmente quanto
restava del suo potere magico per sopravvivere anche sott’acqua, ma
quell’attacco lo aveva distrutto a tal punto che non riusciva quasi ad avere
consapevolezza del proprio corpo.
Aveva gli occhi
chiusi e stringeva con forza la spada d’oro che, nonostante tutto, aveva
resistito, ma molto probabilmente si trattava di un riflesso involontario.
“È… è dunque
finita?” pensò “È destino che debba finire così? Tutta la mia forza non è
servita. Il mio colpo più potente si è rivelato inutile. Persino il ΜένοςAδηλος
non mi è stato di aiuto.
Che cosa mi
resta?”
«Ragazzo! Non ti arrendere!».
Quella voce,
possente e imperiosa, rimbombò nella sua testa come un tuono, ridestandolo in
un sol colpo da tutti i suoi cattivi pensieri; riaperti debolmente gli occhi,
gli parve di scorgere una luce accanto a sé, e per un istante ebbe quasi
l’impressione di riconoscere la sagoma indistinta che intravedeva al suo
interno, per quanto opaca e appena percettibile, tanto che gli venne quasi da
pronunciare un nome che però non gli riusciva di ricordare.
«Chi… chi sei?»
«Ragazzo. Non è da te gettare la spugna in
questo modo.
Questa battaglia non è ancora finita.»
«Ma… che altro posso fare? Ho usato tutto
quello che avevo… e ho fallito.»
«Non tutto, ragazzo.»
«Co… cosa!?»
«C’è qualcosa dentro di te di cui ancora
ignori l’esistenza. Un potere antico, molto più grande e distruttivo del ΜένοςAδηλος.
Un potere che viene direttamente dalle stelle.»
«Dalle… stelle?»
«Io non so da dove questo potere ti sia
giunto. So solo che ancora non lo possedevi la prima volta che ci siamo
incontrati. Ma ora ce l’hai, ed è giunto il momento di usarlo.»
«La… prima volta!? Ma tu… tu chi sei?»
«Le risposte verranno con il tempo. Dovrai
cercarle, e quando le avrai trovate ti aspetterà la prova assai più ardua di
accettarle. Ora però, la tua priorità è un’altra.
Hai scoperto un motivo per il quale voler
combattere, e hai trovato qualcosa da voler difendere a tutti i costi. Rimani
saldo in queste convinzioni, e potrai sfruttare il potere delle stelle che
dimora nel tuo corpo. Non dimenticare mai per cosa lo stai usando, o ne verrai
sopraffatto».
Ed infatti,
proprio nel momento in cui Toshio si sentiva ad un passo dalla morte, un’energia
sconosciuta prese a crescergli dentro; la riconobbe subito come magia, ma era
un qualcosa di nuovo, di diverso rispetto al passato. Solitamente la magia la
si percepisce come propria, ora invece aveva la sensazione che quella nuovo
energia gli venisse ma da dentro il corpo, ma dall’esterno, prendendo
gradualmente le fattezze di un’aura azzurra scintillante di potere magico.
“Che cos’è…
questo… questo potere. È… immenso…”
«E ora… in piedi!».
Nell’attesa che Toshio si decidesse a passare all’altro
mondo Ilya aveva preso di mira tutti i suoi compagni, che contro quella furia
scatenata di drago si difendevano come possibile.
Dopo aver visto il
loro amico precipitare in mare avevano il morale sotto i piedi; Nadeshiko in
particola sembrava completamente fuori dal mondo, inginocchiata a terra con le
mani sulla testa e lo sguardo perso, quasi assente; Shinji cercava inutilmente
di farle coraggio, e intanto Keita e Aria facevano l’impossibile per tenere in
piedi una barriera che potesse difendere tutti.
Takeru e Lotte
avevano cercato di opporsi contrastando il nemico, ma tutto quello che erano
riusciti a produrre non era nulla più di qualche graffio superficiale; persino
il TenmaShouryusen di
Takeru si era rivelato quasi del tutto inefficace, e più passavano i secondi
più la situazione si faceva critica.
Purtroppo, come
detto da Ilya, nessuna difesa era forte abbastanza da poter resistere a lungo
all’assalto di un drago, e così alla fine la cupola cedette, lasciando i sei
amici in balia della furia distruttiva della creatura.
«Fine dei giochi,
belli.» disse Ilya dopo che una forte corrente d’aria prodotta da uno sbatter
d’ali aveva spedito tutti contro un muro «Siete giunti al capolinea».
All’improvviso,
proprio mentre Frederich si preparava a vibrare il
colpo di grazia, una forte luce azzurra si accese al di sotto del mare, e
subito dopo la superficie parve esplodere, squarciata da una colonna di luce
che, raggiunta una certa altezza, si rivelò essere Toshio.
Le ali nere, prima
danneggiate, erano di nuovo fiere ed imponenti, e i tatuaggi sul volto
risplendevano nuovamente del loro colore rosso brillante. Il circolo magico
sotto i suoi piedi era cambiato nuovamente, e brillava della stessa luce di cui
il guerriero era circondato, una luce che ricordava tanto quella di milioni e
milioni di stelle.
«Ma cosa…» disse
Ilya visibilmente stupita
«Toshio!» esclamò
Nadeshiko al culmine della gioia vedendolo sano e salvo «Lo sapevo, sei salvo!»
«Guardate il suo
cerchio» disse Shinji «È cambiato ancora».
Oltre al colore e
al disegno anche le scritte riportate all’interno del simbolo erano diverse, ma
stavolta nessuno, neppure Aria e Lotte, fu in grado di interpretarle;
sembravano un misto di caratteri orientali e simboli runici, una grafia mai
vista prima d’ora.
«È… incredibile.»
disse Aria «Mai visto niente del genere.»
«Non posso
crederci.» balbettò Ilya «È sopravvissuto alla fiamma di un drago».
Poi però,
nonostante tutto, cercò di ostentare sicurezza, anche perché, a conti fatti,
era ancora sicura di essere in una posizione di vantaggio.
«Sei più
fastidioso di una mosca, lo sai vero?»
«Ilya.» rispose
lui guardandola severamente «Perché lo stai facendo?»
«Cosa!?» replicò
lei perplessa
«Io capisco che tu ti senta infuriata col
mondo. Hai ragione quando dici che alcuni uomini sono meschini e malvagi, però
questo non ti autorizza a fare del male a chi non ha nessuna colpa.»
«Gli umani hanno
sempre colpa!» rispose la ragazzina «Te l’ho detto, per quello che hanno fatto
ai draghi non meritano pietà!»
«Questa è
esattamente la stessa concezione che ha Seth!» gridò Lotte «E tu ti consideri
una partecipante al torneo? Non sei diversa da lui!».
A quel punto però
la sorella la interruppe prima che potesse andare oltre, peggiorando la
situazione.
«Ma, Aria…»
«Riesci ad
immaginartelo?» proseguì Ilya con le lacrime agli occhi «Il dolore di tutti i
draghi, che sono stati traditi da quegli esseri umani che tanto avrebbero
dovuto essergli riconoscenti.
Mi sembra quasi di
sentirlo. Io… non posso perdonare gli umani per quello che hanno fatto!»
«Per quello che
hanno fatto ai draghi… o a te?»
«Cosa!?».
Toshio assunse
un’espressione, se possibile, ancor più ammonitoria di prima, ma non per questo
malvagia o cruenta.
«Non è forse che
quello di vendicare la sorte che i draghi sono stati costretti a subire in
tutti questi secoli sia solo un pretesto?
Non è forse vero
che chi si sta vendicando… sei tu?».
Ilya parve colpita
da un fulmine, e rimase con la bocca spalancata.
«Io capisco i tuoi
sentimenti. Non è facile per una bambina così piccola accettare la morte dei
genitori, soprattutto se avviene davanti ai suoi occhi.
Malgrado i loro
assassini siano morti, questo non ti è bastato, e la rabbia ha cominciato a
montare senza sosta dentro di te. Hai cominciato a odiare il mondo, e tutto il
dolore che ti portavi dentro ha finito per consumarti. È lui che parla per te,
e agisce per te. È il dolore che ti muove in questo assurdo gioco al massacro,
un dolore così grande da trasformare una bambina in un mostro.»
«Smettila! Queste
non sono altro che fandonie! Il dolore non c’entra!»
«Ne sei sicura?»
«Sicurissima! E
anche se fosse, ricorda che sono stati la rabbia e il dolore a condurre Frederich da me!»
«Questo è falso, e
lo sai anche tu.»
«Co… cosa!?»
«Un drago che si
lega ad un umano non lo fa certo con l’intenzione di combattere senza requie
conto chiunque gli si pari davanti. Ciò che lega le nostre due razze non è il
proposito della battaglia, ma l’ideale di giustizia.»
«L’ideale… di
giustizia?»
«Draghi e umani
hanno combattuto fianco a fianco per lungo tempo per portare la giustizia. È
per questo che esistevano i cavalieri dei draghi. E anche se un giorno l’uomo,
nel suo egoismo, ha dimenticato questo proposito, i draghi lo hanno fatto.
Avrebbero potuto spazzarci via tutti se solo lo avessero voluto, e invece hanno
scelto di subire in silenzio, nella speranza che un giorno saremmo diventati
migliori.
La gente della tua
isola ha dimostrato che ciò è possibile, e avresti potuto farlo anche tu, se
non avessi smarrito la tua strada accecata dall’odio.»
«Ma di che stai
parlando?»
«Frederich quando ha stretto il patto con te ha scelto di
stare al fianco della bambina indifesa e pura che aveva salvato da quei mostri
dei suoi aguzzini, non della spietata macchina di morte che sei diventata!»
«Basta!» urlò Ilya
con il tono piangente e irato tipico di una bambina «Sono bugie, solo bugie!»
«Se non mi credi,
guarda tu stessa!» replicò Toshio indicando verso l’alto.
Ilya guardò in
quella direzione, e allora il suo stupore fu grande; gli occhi di Frederich, quegli stupendi occhi dorati, erano inondati di
lacrime, e dalla sua bocca pareva giungere un lamento sommesso, una sorta di
pianto.
«Frederich… sta piangendo…»
«Piange per te.
Piange al pensiero di quello che sei diventata.
Ormai tu per lui
sei un’estranea, ma in fondo al cuore è sicuro che una parte di te sia rimasta
quella di un tempo, per questo ha continuato a starti vicino tutto questo
tempo. Ed è quello che credo anch’io.»
«E tu… come lo
sai?»
«Il fuuzetsu che hai tracciato ha escluso dal corso del tempo
solo gli oggetti fisici e le piante, non le persone. Forse, inconsciamente, non
volevi che degli innocenti potessero rimanere coinvolti dalla furia distruttiva
del tuo drago».
Ormai Ilya non
sapeva più cosa pensare, ma una cosa era certa: sentiva una gran voglia di
piangere, e un sentimento di disgusto verso sé stessa che diventava sempre più
forte.
«Frederich…»
«Non farlo
soffrire ancora, Ilya.
Io credo che il
tuo amore per i draghi sia sincero, ma se è così non calpestare i suoi
sentimenti».
A quel punto, il
desiderio di Ilya si trasformò in un pianto liberatorio, e caduta in ginocchio
sulla superficie trasparente del suo circolo magico si avvinghiò con forza alla
pelle squamosa del drago.
«Frederich! Perdonami! Mi dispiace per quello che ti ho
fatto! Ti prego, perdonami!».
Il drago, che
seguitava a guardare Toshio, si girò verso di lei, avvicinandosi abbastanza da
poterle sfiorare i capelli con il muso, e allora lei, accarezzandolo, vi si
appoggiò sopra, come se volesse addormentarsi.
«Prometto…» disse
singhiozzando «Prometto che non ti farò soffrire mai più».
Toshio non volle intervenire;
sapeva di aver raggiunto il suo scopo. Quando Ilya lo guardò di nuovo nei suoi
occhi c’era la solita determinazione, ma l’inquietante luce maligna che vi
aveva dimorato fino a quel momento era completamente svanita.
«Ad ogni modo,
questo è ancora un combattimento del torneo, ed è giunto il momento di porvi
fine.»
«Sono d’accordo.»
«Attento però. Non
credere di essere ancora così fortunato.»
«Fatti avanti. Ti
sto aspettando».
Frederich lanciò una nuvola di fuoco al massimo della sua
potenza, ma questa volta a Toshio fu sufficiente un colpo d’ala per
disperderla, e subito dopo sia Ilya che il duo drago si ritrovarono
intrappolati ai polsi e alle caviglie da degli anelli luminosi che impedivano
loro qualunque movimento.
«Ma cosa… un incantesimo
di costrizione!? La tribù di Nepthis non dovrebbe
possedere questo tipo di conoscenze».
Anche Aria, Lotte
e tutti gli altri erano stupiti, ma lo furono ancora di più quando Toshio,
fatta scomparire la sua spada, alzò sopra la testa entrambe le braccia formando
con le mani una sorta di calice verso il quale cominciarono a convergere una
miriade di piccolissimi fasci luminosi che, fendendo la cupola del fuuzetsu, andavano gradualmente a formare una sfera di
discrete dimensioni che si muoveva e si agitava come una nuvola di luce.
«Che cosa sta
cercando di fare?» domandò Keita
«Non lo so.»
rispose Aria «Ma l’energia magica che si sta accumulando tutto attorno a lui è
immensa».
Poi, lo sguardo
del famiglio divenne perplesso.
«Ma quello che
percepisco non è il suo potere magico. Non è la sua magia quella che si sta
concentrando attorno alle sue mani.»
«Ma allora di che
magia si tratta?» chiese Shinji
«Le stelle.»
bisbigliò Nadeshiko come in trance
“Guarda Nadeshiko.
Anche se solo per un solo istante, farò risplendere in questo posto la luce
delle stelle!”.
STARLIGHT EXECUTION!
Come Toshio abbassò le braccia un
ciclone luminoso di forza inaudita si diresse verso i due avversari, colpendo
entrambi in pieno senza lasciar loro alcuno scampo.
I ragazzi dovettero
coprirsi gli occhi, perché la luce prodotta da quella specie di enorme nuvolone
luminoso fu sufficiente per rischiarare a giorno l’intera città; sia Ilya cheFrederich questa volta
urlarono dal dolore, e quando l’attacco ebbe fine il drago scomparve, la
bambina invece, stanca e quasi priva di sensi, prese a precipitare.
Era convinta di
morire, ma un istante prima di finire in acqua, con sua enorme sorpresa, venne prontamente afferrata da Toshio, che la trasportò fin
sulla terraferma.
Proprio come una
bimba spaventata tenne gli occhi chiusi fino a che Toshio
non le disse per la terza volta che era tutto finito, e appena li riaprì vide
sopra di sé non solo lui, ma anche tutti gli altri.
«Va’ tutto bene?» domandò Toshio
«Io… sì…».
Nadeshiko, messasi
in ginocchio, le passò delicatamente il suo fazzoletto su una piccola ferita
che Ilya si era procurata sulla guancia, probabilmente nel momento in cui era
stata colpita.
«Perché…
perché lo fai? Io ho cercato di ucciderti.»
«Non
hai nulla per cui mortificarti. La rabbia che provavi era del tutto legittima».
Guardando lo
sguardo amorevole della ragazza Ilya non riuscì a non rivedere quello di sua
madre, e dimenticatasi di tutto quello che era successo
la abbracciò stretta piangendo a dirotto, e anche quando la meridiana comparve
per annunciare la sua sconfitta seguitò a piangere senza sosta stretta in un
abbraccio che non aveva nulla da invidiare a quello di una vera madre.
«Rilassati.
Ora è tutto finito. Vedrai che andrà tutto bene».
Qualche minuto dopo, dopo aver riparato tutti i danni
causati alla città grazie ad una modifica all’incantesimo del fuuzetsu che aveva permesso di far tornare indietro nel
tempo tutta la zona al suo interno Ilya, a cavallo del suo drago, si sollevò in
aria.
«Ora dove andrai?»
domandò Keita
«Tornerò
sulla mia isola. Ci sono ancora molte cose da fare affinché draghi e umani
possano tornare a vivere in pace. Comunque non preoccupatevi, per la battaglia
finale sarò al vostro fianco.»
«Allora ti
aspetteremo.»
«Toshio,
non adagiarti troppo. Prima o poi io e Frederich ci prenderemo la nostra rivincita.»
«Attenderò quel
momento con ansia.» rispose il guerriero, che al termine della battaglia aveva
cessato l’utilizzo del ΜένοςAδηλος, facendo scomparire
sia le ali che i tatuaggi
«Fino
a quel momento, però, faccio il tifo per te. Mi raccomando, vinci il torneo.»
«Lo farò, sta
tranquilla».
I ragazzi
seguirono Ilya e Frederich con lo sguardo fino a
quando non li videro scomparire oltre la cupola, ma appena il fuuzetsu cessò la sua efficacia Toshio cadde
improvvisamente in avanti come un frutto maturo.
«Toshio, che ti
prende?» domandò preoccupata Nadeshiko
«Tranquilla, è
solo svenuto.» rispose Aria «Fra la battaglia impegnativa
e l’incantesimo con cui se l’è aggiudicata deve aver consumato tutte le sue
energie.
Basterà che si
riposi per un po’ e sarà di nuovo in forma.»
«Ah,
capisco. Meno male.»
«Certo, però.»
intervenne Lotte «Che se non avesse voluto essere così preciso forse non si
sarebbe ridotto in questo stato.»
«Di che state
parlando?»
«Quando Toshio ha
lanciato quell’incantesimo luminoso non ha mirato direttamente a Ilya e al
drago, ma alla corda spirituale.»
«La corda
spirituale?» ripeté Shinji «Che cos’è?»
«Il
filo di energia che lega un famiglio al suo creatore. Recidendolo entrambi
ricevono uno shock magico abbastanza forte da metterli fuori combattimento
senza ucciderli o provocare loro alcun tipo di danno fisico. È una garanzia per
assicurarsi la vittoria, ma ci vogliono precisione e grande dispendio di
energie, per non parlare del fatto che la percentuale di successo è minima.»
«Quindi, Toshio lo ha fatto di proposito!?» disse Keita
«Se avesse mirato direttamente a loro li avrebbe uccisi facilmente
senza ridursi in questo stato.» disse Takeru «Invece ha scelto di correre il
rischio.»
«Non c’è dubbio.»
disse sorridendo Aria «Toshio è davvero cambiato».
Al combattimento
fra Toshio e Ilya avevano assistito, grazie ad una nuova spia, anche Johan e i
suoi fedelissimi, i quali erano rimasti visibilmente sorpresi; in particolare,
quando il guerriero di Nepthis aveva rivelato il suo
nuovo circolo magico, tutti erano rimasti con la bocca spalancata per lo
stupore, e persino Anubis aveva leggermente
sussultato.
«L’avete visto
anche voi?» domandò Cloto
«Eccome se
l’abbiamo visto.» rispose sua sorella Atropo «Ma allora lui è…»
«La cosa si fa
sempre più interessante.» commentò Seth sorridendo malevolmente.
Nota dell’Autore
Salve salve!
Eccomi qua! È periodo
di esami, ma io riesco sempre e comunque ad aggiornare. Non è tanto facile
liberarsi di me!^_^
Comunque, per fortuna
non devo più preoccuparmi almeno fino a martedì, poi
sarà il caso di rimettersi sotto per l’ultimo esame, e poi, che dio me la mandi
buona per i risultati.
Questo capitolo mi è
abbastanza piaciuto, e da qui in avanti le battaglie si susseguiranno a ritmo
incessante. Facendo qualche calcolo, direi che siamo circa a metà, forse anche
qualcosa di più.
Ringrazio come sempre
Akita, Selly, Cleo e Lewsky.
Il dojo del maestro Tenka Daihen, situato sulla sommità di una collina che dominava
la parte sud orientale di Uminari, era uno dei più
conosciuti e stimati di tutto il Giappone.
Fondato
dall’illustre e leggendario DaimonYoshichika in epoca Sengoku
vantava una tradizione di cinquecento anni, durante i quali era passato
costantemente di maestro in allievo contribuendo alla nascita di alcuni dei
guerrieri più famosi e temibili della storia.
Il kendo era
l’attività maggiormente praticata, insegnata dallo stesso maestro Tenka, vi si
potevano apprendere anche molte altre arti marziali insegnate da maestri
minori, in accordo con la filosofia di DaimonYoshichika il quale sosteneva che la completezza del
guerriero potesse venire solo dal padroneggiare quante più discipline
possibili.
Riuscire ad
accedervi era molto difficile, e il livello degli insegnamenti impartiti era
così alto che a volte persino i più promettenti finivano per desistere, ma
negli ultimi nove anni nessuno era riuscito ad
eguagliare il talento e le prestazioni di Takeru Minamoto,
figlio primogenito di uno degli uomini più potenti della città e ultimo
discendente della dinastia feudale che per secoli aveva dominato nella regione.
Entrato nel dojo all’età di otto anni aveva
dimostrato di possedere doti straordinarie, degne dei suoi antenati, al punto
da essere risultato in grado di battere tutti i maestri minori a soli tredici
anni.
Da quel momento
era stato sotto la custodia del maestro Tenka, che ne aveva fatto il suo unico
discepolo, insegnandogli tutti quei segreti che solo la futura guida del dojo avrebbe potuto ottenere, e grazie ad
essi le sue abilità erano aumentate ancora di più.
Raggiunti i
diciassette anni Takeru era ormai considerato il guerriero più forte della
storia della palestra, e anche se i due non avevano mai avuto modo di battersi
erano in molti a sostenere che lo stesso Tenka Daihen
fosse ormai stato abbondantemente superato.
Queste voci
dovevano essere arrivate anche all’orecchio del maestro, che nulla aveva fatto
per metterle a tacere, ma si avvertiva nell’aria che
qualcosa di nuovo stava per accadere.
La svolta si ebbe
in un tranquillo quanto freddo pomeriggio di gennaio.
Takeru aveva
raggiunto il dojo subito dopo la fine della scuola,
un’ora prima dell’inizio canonico degli allenamenti, per allenarsi in vista del
prossimo torneo; malgrado non avesse ancora compiuto i ventuno anni già da due partecipava regolarmente alle massime competizioni di
kendo che si tenevano su tutto il territorio nazionale, questo perché ormai i
semplici campionati studenteschi ormai non avevano più nulla da offrire in
termini di trofei in palio e livello di competitività.
Prima ancora che
potesse indossare l’hakama, però, il maestro Tenka lo
aveva invitato nella sua residenza situata dietro la palestra, un privilegio al
quale lui solo aveva potuto aspirare, per potergli
fare un discorso, a suo dire della massima importanza.
Pertanto maestro e
allievo si erano appartati nella sala del tè, e seduti l’uno di fronte all’altro rimasero a lungo immobili a guardarsi vicendevolmente;
il maestro era un uomo che, per quanto piegato dal peso di una vecchiaia
piuttosto avanzata, conservava ancora tutta la fierezza e la forza spirituale
che contraddistinguono un vero sensei, e sua la
katana che portava sempre alla cintura durante gli allenamenti sia
quell’acconciatura che tanto richiamava quella degli antichi samurai ne erano
un fulgido esempio.
Takeru conosceva
il suo maestro abbastanza bene da sapere che il suo silenzio aveva più
significato di un’orazione pubblica, e in quel particolare caso non faticò a
capire quale fosse l’oggetto della discussione, tanto che quando finalmente il
maestro Tenka incominciò a parlare il ragazzo era già
preparato a ciò che si aspettava di sentire.
«Dimmi, Takeru. Che cosa significa essere un guerriero?»
«Dedicarsi
interamente al raggiungimento della perfezione e dell’assoluta padronanza di sé stessi.»
«E che cosa intendi
per assoluta padronanza di sé stessi?»
«Non lasciare che
le emozioni intralcino la via dell’apprendimento e della ragione».
Il maestro di
nuovo lo squadrò severamente, poi bevette un goccio del suo tè.
«In
questi anni hai dimostrato il tuo valore in ogni modo possibile. Come guerriero
sei migliorato enormemente.»
«Eppure maestro, sento di non essere ancora completo.»
«La completezza è
qualcosa a cui solo il Buddha può aspirare. Il fine
ultimo di chi pratica le arti marziali deve essere sempre e comunque il
raggiungimento della virtù completa, dell’illuminazione spirituale.
Affrontare e
sconfiggere avversari sempre più forti è la strada che
conduce a questo traguardo, ma a volte anche il falco più determinato, per
quanto si sforzi, non riesce a raggiungere la sommità del cielo.»
«Che cosa
intendete dire, maestro?»
«La padronanza di sé stessi è una grande virtù, ma la strada
che conduce all’illuminazione e all’assoluto controllo del proprio spirito è
diversa per ognuno di voi.
È evidente che il
tuo cammino come guerriero non è ancora completo, ma in tutta onestà io credo
che in questo nessuno non vi sia più nessuno capace di
sostenere uno scontro con te.»
«E allora cosa
posso fare?».
Il vecchio maestro
posò la sua tazza sul tavolo, quindi si girò a guardare per un istante il
ritratto del nobile Tenka Daihen, raffigurato in posa
meditativa ai piedi di un albero di ciliegio con attorno un
nugolo di fedeli.
«L’unica
cosa che tu possa fare è cercare altrove. Quando ti sarai confrontato con
l’avversario che il destino ha scelto per te e lo avrai sconfitto, allora sarai
certo di aver raggiunto la piena consapevolezza.»
«Ma dove lo posso
trovare questo avversario?».
Il rumore della porta della stanza che si apriva fece
ridestare Takeru dai suoi pensieri.
«Eccomi.» disse
Shinji entrando in salotto con in mano tre vassoi
riscaldati dell’albergo impilati l’uno sopra l’altro «Ho portato la cena.»
«Meno male.» disse
Lotte «Ho una fame che non mi reggo in piedi».
Appena i vassoi vennero scoperchiati, rivelando un vasto assortimento di
vivande di ottima qualità, Keita si alzò dalla sedia e, in silenzio, andò a
chiamare Nadeshiko, ancora seduta in una delle tre camere accanto al letto in
cui, ormai da quasi un giorno, dormiva Toshio.
Subito dopo aver
perso i sensi al termine dello scontro con Ilya il
ragazzo era piombato in un sonno profondo dal quale, forse per la stanchezza,
non si era più ridestato.
Vedendolo così,
addormentato e tranquillo, Nadeshiko pensò che al di sotto
delle apparenze Toshio era, in fin dei conti, un ragazzo come tanti
altri, al quale probabilmente erano state negate le felicità dell’infanzia nel
nome della causa che gli era stata messa sulle spalle.
Forse, al punto in
cui era arrivato, Toshio non poteva più concepire un’esistenza lontana da
viaggi e battaglie, ma un tale pensiero non faceva che intristire Nadeshiko, la quale si immaginava per lui un futuro ben diverso da
quello che gli si prospettava.
Anche quando il
torneo fosse finito Toshio sarebbe tornato al suo villaggio, dove quasi
certamente avrebbe speso la sua esistenza prima ad attendere e poi a preparare
il guerriero che lo avrebbe succeduto; era un circolo
vizioso, un ciclo senza fine di eventi irrinunciabili.
Fino alla fine dei
tempi avrebbe sempre dovuto esserci un guerriero di Nepthis
che si facesse carico di arrestare la minaccia di Seth. Ma
perché una tale responsabilità doveva essere affidata proprio a lui, che già
stava soffrendo per la propria condizione, e che certamente avrebbe sofferto
molte altre volte prima che la battaglia potesse avere fine?
Questo pensiero
quasi la faceva piangere.
Dopotutto, perché
negare proprio a lui la possibilità di vivere una vita felice?
«Ehi,
Nadeshiko? La cena è pronta.»
«Sì, arrivo».
Tutti a quel punto
si radunarono attorno al tavolo e cominciarono a mangiare quello che Shinji era
riuscito a farsi cucinare ad un’ora così tarda;
avevano aspettato fino all’ultimo per ordinare la cena nella speranza che
Toshio si risvegliasse, ma ormai erano quasi le undici di sera e se avessero
tardato ancora si sarebbero visti costretti ad andare in qualche takeaway di
bassa lega.
«Che possiamo
fare?» domandò ad un certo punto Keita «Ormai dorme da
quasi ventiquattro ore.»
«Solo lasciarlo in
pace.» rispose Aria «Già riuscire a gestire il ΜένοςAδηλος richiede il dispendio
di una grande quantità di energie, ma se ad esso
aggiungi la difficoltà dello scontro e quel misterioso potere magico che ha
sfruttato per garantirsi la vittoria è più che naturale che gli occorra
moltissimo riposo per riuscire a rimettersi.»
«Ma quando si
sveglierà?» chiese Nadeshiko
«Non
appena le forze glielo consentiranno. Anche nella più pessimistica delle
previsioni, per domattina dovrebbe essere in piedi.»
«A proposito del ΜένοςAδηλος.»
disse Shinji «Di preciso, di che cosa si tratta?»
«Questo
è sostanzialmente un mistero. Nessuno sa con esattezza che cosa sia. Quello che
è certo è che si tratta di un potere magico di proporzioni epocali,
ben più grande di quello che qualunque essere umano possa aspirare a possedere
anche con l’allenamento di una vita intera.
Una cosa è sicura.
La sua natura è oscura, e per questo difficile da controllare. Gli studi
condotti fino a questo momento hanno provato che altre persone in passato ne
sono state portatrici, e alcune di queste, abusandone, hanno finito per venirne consumate, trasformandosi in demoni assetati di
sangue. Di conseguenza Toshio deve scegliere con attenzione quando e come
servirsene.»
«Ma se è davvero
così pericoloso, perché non toglierglielo?» chiese Keita
«Impossibile.
Il ΜένοςAδηλος
è come un’anima a sé stante che si radica in un corpo umano al momento della
nascita, adattandosi ad esso. Tentare di estrarlo
comporterebbe quasi sicuramente la morte dell’ospite.»
«E comunque» disse
Lotte infilandosi una patatina in bocca «Toshio non è
uno sprovveduto, come avete visto voi stessi. Se c’è una cosa che
l’addestramento di Izumi gli ha insegnato è di
riconoscere i propri limiti. Non farà niente che possa andare al di là delle sue possibilità, quindi potete stare
tranquilli».
Nadeshiko per la
verità tranquilla non lo sembrava per niente, ma d’altro canto cosa si poteva
fare se non aver fiducia in Toshio?
Anche Takeru, come
al solito, pareva del tutto estraneo alla
conversazione, poi, d’un tratto, come se un lampo gli avesse attraversato la
mente, risollevò di colpo lo sguardo, fattosi pensieroso e determinato, e
subito dopo, alzatosi dalla sedia, si diresse verso la porta.
«Takeru, dove stai
andando?»
«Vado a fare un
giro di perlustrazione.» rispose quasi meccanicamente prima di uscire.
Abbandonato
l’albergo, il ragazzo si incamminò lungo una strada
poco frequentata, destando non poco interesse nei passanti per via della katana
che teneva in mano; sembrava quasi che stesse seguendo qualcuno, e i suoi
occhi, puntati dritti dinnanzi a sé, parevano quelli di un cacciatore che ha
fiutato la preda, dimenticandosi di tutto il resto.
La sua camminata
apparentemente senza meta proseguì per parecchi minuti lungo
strade, stradine e viottoli, fermandosi infine al centro di un grande
parco isolato di alberi e aiuole delimitato da un muretto di mattoni. Per lungo
tempo rimase immobile come una statua, con il capo chino e gli
occhi chiusi, poi, veloce come un fulmine, sguainò la sua spada, che
negli ultimi secondi aveva stretto ancora più forte, girandosi e respingendo
l’attacco che un ignoto nemico aveva cercato di muovergli contro saltando giù
dal tetto di un palazzo vicino; contemporaneamente, quasi a voler segnare
l’inizio della sfida, un fuuzetsu si generò tutto
intorno al parco, ingrandendosi fino a comprendere al suo interno anche
l’albergo dove stavano tutti gli altri.
«Che succede?»
domandò Keita appena la luce verdina si impadronì
della stanza.
La comparsa del fuuzetsu ebbe anche l’effetto di svegliare Toshio, che
spalancò di colpo gli occhi e balzò a sedere come se avesse avvertito un
pericolo; Nadeshiko, che era di nuovo accanto a lui, quasi si spaventò nel
vederlo scattare in modo tanto improvviso.
«Toshio!? Ti sei ripreso.»
«Ne sta arrivando
un altro.» disse ansimando
«Di
chi parli? Un altro partecipante al torneo?»
«Non
lo so. Ma chiunque sia, è dotato di un potenziale
magico spaventoso».
Respinto il primo assalto Takeru
scagliò l’aggressore lontano, in modo da poterlo finalmente vedere in faccia.
Era una giovane
donna pressappoco della sua età in tenuta da guerriera, con lunghi capelli
biondi raccolti alla maniera delle nobildonne medievali.
Indossava un ricco
abito blu dalla gonna larga e abbastanza lunga che arrivava sotto le ginocchia
sormontato da un pettorale d’acciaio decorato e lavorato; portava anche guanti
e stivali metallici, questi ultimi quasi interamente nascosti dal vestito, e
come arma aveva una lunga spada a doppio filo.
Gli occhi del
colore dell’oceano più profondo erano quelli di uno spirito fiero ed indomabile, nonché di una guerriera dalle potenzialità
quasi inimmaginabili.
«Niente
male. Riflessi e velocità non ti fanno difetto».
Takeru non rispose
al complimento, ed impugnò la spada con entrambe le
mani.
«Tu devi essere
Takeru, giusto?»
«E tu chi sei?»
«Il mio nome in
questa epoca è Selveria, ma per molti secoli il mio
nome è stato Sigfrida.»
«Sei al servizio
di Seth.»
«E se così fosse?»
domandò provocatoriamente la ragazza.
La risposta di
Takeru fu il suo assumere una posizione che preannunciava
un’imminente assalto; Selveria sorrise soddisfatta.
«Diciamo che oggi
sono qui solo come una guerriera ansiosa di incrociare le armi con qualcuno
alla sua altezza.»
«Se è così, allora
sarai accontentata.»
«Non avevo dubbi».
Il ragazzo si mosse fulmineo, rispettando la
sua massima secondo cui l’attacco è molto più semplice della difesa,
maSelveria fu altrettanto rapida nel parare;
malgrado la sua enorme spada dovesse pesare parecchi chili la maneggiava con
incredibile scioltezza, degna di una vera professionista.
Certamente la
forza fisica non le mancava, ma anche in quanto a velocità e agilità si
dimostrava incredibilmente capace.
Malgrado
le difficoltà dello scontro, però, Takeru si sentiva soddisfatto e realizzato
come mai in vita sua; quella era la prima volta dopo tanto tempo che uno
scontro risultava abbastanza impegnativo e serrato da suscitare in lui un tale
desiderio di spingersi al limite; Selveria non
sarebbe stato un avversario da poco, con lei avrebbe dovuto impegnarsi al
massimo, e la cosa gli procurava un’incredibile soddisfazione.
«Velocità e
scioltezza non ti fanno difetto.» disse la ragazza in un momento di tregua
«D’altronde sono le caratteristiche fondamentali dei samurai.»
«Com’è che conosci
tanto bene i samurai?»
«Sarò
anche rimasta chiusa in un libro polveroso per migliaia di anni, ma questo non
mi ha impedito di vedere il mondo. Il mio spirito era libero di vagabondare in
lungo e in largo come un fantasma, così come quello dei miei compagni, e ho
frequentato tutti i campi di battaglia più famosi della storia. Ero a Carre quando i romani subirono la loro più terribile
disfatta, sorvolavo Orléans quando Giovanna d’Arco la fece capitolare ed ero a Sekigahara quando Tokugawa
sconfisse le truppe di Mitsunari».
Takeru aggrottò
leggermente le sopracciglia, e di nuovo Selveria
sorrise.
«Il
tuo stile di combattimento è aggressivo, ma non per questo imprudente.
Bilanci alla
perfezione attacco e difesa, e raramente ti fai trovare scoperto. In definitiva,
sei decisamente un guerriero di classe superiore.
Però…».
Quel però fu come
un fulmine a ciel sereno per Takeru, che istintivamente si mise in posizione di
guardia, pronto a rispondere a qualsiasi mossa falsa.
«Il tuo difetto è
palese tanto quanto la tua bravura, e ti rende estremamente
debole e prevedibile.»
«Davvero?
Allora mostramelo.»
«Come
vuoi. Ma sappi che non sarà piacevole».
Il nuovo attacco
di Selveria fu tanto fulmineo quanto incredibilmente
prevedibile; per un samurai non vi era attacco più facile da respingere di un
banalissimo assalto frontale, e difatti Takeru non ebbe problemi a sollevare la
spada, spostarsi leggermente all’indietro e poi colpire con un micidiale
fendente dall’alto verso il basso, certo del buon esitò
del contrattacco.
Invece, contro
ogni previsione, Selveria schivò con incredibile
facilità, spostandosi lateralmente in quell’infinitesimale lasso
di tempo che intercorre tra l’attacco e la concezione dell’insuccesso;
Takeru, del tutto impreparato, ebbe dalla sua il fatto che la spada nemica si
trovasse in una brutta posizione, ma prima ancora di potersi rendere
completamente conto di aver fallito ricevette un colpo al torace con il pomo
dorato alla sommità dell’impugnatura così forte da scagliarlo lontano.
Il ragazzo si
salvò all’ultimo secondo puntandosi a terra e strisciando per alcuni metri sui
ciottoli, ma quando riuscì a fermarsi il dolore fu
tale da fargli digrignare i denti mentre si teneva con una mano la parte lesa;
il dolore e lo sconforto per lui furono ancor più grandi vedendo l’espressione
soddisfatta della sua avversaria.
«Forse, a pensarci
bene, non hai un solo difetto, ma certamente questo è il più grande».
Essendosi
esercitato per anni a mascherare le proprie emozioni Takeru era in grado di mantenere
un’espressione il più possibile pacata e neutra, che
non lasciasse mai intendere ciò che stava pensando in modo da non favorire il
nemico, ma era chiaro che dentro di sé si stava domandando come avesse fatto Sigfrida a schivare il suo colpo, e se ciò fosse davvero
attribuibile a questo fantomatico difetto che lei diceva di aver scoperto in
lui.
“Ha
schivato un affondo diretto senza nessuna difficoltà. Ma
del resto, se ha davvero frequentato i campi di battaglia del passato, non vi è
poi molto da stupirsi».
La sola cosa che
Takeru potesse fare per prendere di sprovvista l’avversaria era ricorrere
all’intuizione e all’improvvisazione, oltre naturalmente a tutta
quell’esperienza segreta appannaggio esclusivamente
del miglior allievo del dojo di DaimonYoshichika.
Selveria dal canto suo sembrava oltremodo ansiosa di
testare ulteriormente le sue capacità, e appena lo scontro riprese il ritmo
generale aumentò enormemente; entrambi si muovevano ad
una velocità incredibile, tanto da rendere difficile distinguerne i movimenti,
e ad ogni urto delle loro armi si generavano scintille di luce.
Takeru aveva
chiaramente deciso di fare sul serio, e stava sfoderando uno dopo l’altro tutti
i suoi assi nella manica, ma con sua grande sorpresa anche questo parve non essere sufficiente; Selveria
per qualche oscuro motivo era sempre un passo avanti a lui, e nulla sembrava
esserci di abbastanza efficace da riuscire ad aver ragione della sua strategia
apparentemente perfetta.
Alla fine, per
amore o per forza, Takeru si vide costretto a prendersi un momento di tregua, ed allontanatosi quel tanto che bastava per considerarsi al
sicuro, per la prima volta da che ne aveva memoria, prese a respirare con un
certo affanno.
“È incredibile.
Sembra che sia in grado di prevedere tutte le mie mosse. Per quanto io mi impegni, non riesco a portare a segno neppure un
attacco.”
«Che
ti succede samurai, hai già esaurito tutto il tuo repertorio?
Sono indubbiamente
delle tecniche interessanti. E dal modo in cui le hai usate
sono quasi convinta che io sia il primo avversario con il quale sei costretto a
ricorrere a simili espedienti. Purtroppo, il difetto che continui a dimostrare
in modo tanto appariscente le rende del tutto inefficaci».
Takeru non sapeva
proprio che cosa pensare, e per quanto si sforzasse
non gli riusciva di capire quale fosse questa maledettissima debolezza che
rendeva vano qualsiasi suo attacco.
Alla fine,
confidando sempre e comunque nelle sue abilità, decise di tentare il tutto per
tutto, e mossosi in avanti menò un fendente orizzontale; Selveria
schivò senza problemi saltando all’indietro, ma era esattamente quello che il
ragazzo voleva, e approfittando dell’unico momento in cui il nemico aveva la
guardia abbassata caricò tutto il proprio potere
magico il più velocemente possibile.
TENMA SHOURYUSEN!
Proprio nel momento in cui Selveria
tornava a terra venne investita in pieno dal colpo di
Takeru, lanciato alla massima potenza, e a giudicare dall’esplosione luminosa
che seguì l’impatto a terra della testa di drago sembrava proprio che neppure
per una come lei potessero esserci speranze di salvezza.
Invece, quando la
luce si spense e la polvere si posò, Selveria era
ancora lì, in piedi e apparentemente illesa; aveva usato la sua spada come uno
scudo, piantandola a terra ed inginocchiandosi dietro
di essa.
«Mai
visto niente di simile. Ha parato il mio colpo senza neanche muoversi.»
«E
questa che cosa sarebbe? Non è altro che mera forza bruta condensata in forma
di attacco magico. Permettimi di mostrarti una vera tecnica fondata su un
connubio perfetto tra scherma e magia».
Una luce accecante
circondò la spada, e contemporaneamente Takeru si ritrovò intrappolato da un
incantesimo di costrizione molto simile a quello usato da Toshio contro Ilya.
«Ma che…».
VALKYRIAN CROSS!
Takeru ebbe l’impressione di venire
prima trafitto da mille lame invisibili, una per ogni affondo orizzontale che Selveria menava nell’aria, e subito dopo di essere
circondato da una colonna di fuoco generata da un fendente dal basso verso
l’alto, e per la prima volta il dolore fu tale da farlo urlare.
Terminato il supplizio il ragazzo era così malconcio che dovette
appoggiarsi alla katana per non stramazzare a terra.
«Hai capito
adesso?» chiese Selveria «Hai capito
qual è la tua debolezza?».
Takeru non
rispose; non perché non volesse ammettere di non averlo capito, ma piuttosto
perché non aveva la forza per farlo.
«Prova
a rifletterci. Hai usato tutta la tua esperienza nella nostra sfida, eppure
nessuno dei tuoi attacchi è andato a segno.
Se un guerriero
infonde tutto sé stesso negli attacchi che lancia non
c’è nulla che possa fermarlo, ma nessun attacco sarà efficace se lo si lancia
con troppa sicurezza».
Quel discorso fece
aprire gli occhi al ragazzo, che riuscendo finalmente a capire di che cosa Selveria stesse parlando maledisse la propria ingenuità e
la propria spavalderia.
«Ci
sei arrivato, vero? Tu nutri fin troppa fiducia nelle tue capacità, ed è questa
la tua debolezza. La tua bravura è tale da farti ritenere un gradino sopra
qualunque avversario ti si pari davanti, ma così facendo parti svantaggiato fin
dall’inizio.
Il guerriero più
grande è quello che si mostra umile, che sa che c’è sempre qualcosa da
imparare.
Un precetto che
sono sicura ti sia stato insegnato, essendo parte del codice morale dei
samurai, ma che tu sembri aver dimenticato».
Takeru abbassò lo
sguardo digrignando i denti, e anche se gli faceva schifo ammetterlo era
costretto a riconoscere che Selveria aveva ragione.
Quando era stata
l’ultima volta che aveva provato un po’ di umiltà? Probabilmente subito prima
di convincersi che al mondo non vi fosse nessuno in grado di reggere il
confronto con lui.
La sua convinzione
in verità non era dettata dalla presunzione o dalla vanagloria; in tutti quegli
anni aveva infuso tutto l’impegno possibile in ogni incontro nel quale si era misurato, e ogni volta ne era uscito vincitore.
In
quanto erede del prestigioso casato dei Minamoto
era suo dovere aspirare sempre alla perfezione, e quando si era convinto di
averla raggiunta la cosa gli aveva provocato un misto di gioia e frustrazione;
gioia perché sentiva di aver realizzato i suoi obiettivi, frustrazione perché
l’aver raggiunto la sommità della montagna aveva reso ben presto effimero
qualunque tentativo di migliorare ulteriormente, togliendogli ogni stimolo.
Alla luce dei
fatti, in sostanza Takeru aveva inconsciamente perso la voglia di continuare a
migliorarsi, poiché sentiva di non averne motivo.
Forse, gli venne
da pensare in quel momento, il maestro se n’era accorto, come
era naturale che fosse, e improvvisamente parte dei discorsi che gli
erano stati fatti quel giorno fatidico cominciarono a divenire più chiari.
«La sola cosa che tu possa fare» disse il maestro «È
cercare altrove qualcuno dotato di esperienza tale da rivaleggiare con te.»
«Ma dove lo posso trovare?».
Il maestro Tenka
temporeggiò, chiudendo gli occhi come soprapensiero, poi si alzò e si avvicinò
alla libreria, prendendone un vecchio diario con la copertina marrone tutta
consumata che consegnò a Takeru; lui non l’aveva mai visto, ma a giudicare dal
nome scritto su una striscia di carta lungo il bordo sinistro
poteva immaginare che cosa fosse.
«Questo diario fu
scritto dal maestro Yoshichika oltre quattro secoli
fa, e viene tramandato di maestro in maestro
all’interno di questo dojo.
Leggilo».
Pur se con qualche
esitazione Takeru raccolse il volume, aprendolo con delicatezza per evitare di
rovinarne ulteriormente le pagine, e intanto il maestro Tenka proseguiva nel
suo racconto.
«Nel 1582, dopo la
morte di Oda Nobunaga, che era stato suo signore, il maestro Yoshichika, alla ricerca di nuovi orizzonti, si imbarcò su di una nave portoghese alla volta
dell’occidente in un viaggio che lo tenne lontano dal Giappone per quasi un decennio.
Nel diario in cui
trascrisse questi dieci anni di peregrinazioni egli
parla di una competizione che da migliaia di anni si svolge in Europa. Vi
prendono parte i guerrieri più forti e valorosi del mondo, capaci di
sconfiggere da soli interi eserciti.
Il fine ultimo di
questa competizione è la preservazione di questo stesso mondo dalle brame di
conquista di una creatura oscura che ogni due secoli minaccia la nostra
sopravvivenza.»
«Crede che la
storia sia vera?» domandò Takeru non senza una punta di scetticismo
«Il
maestro Yoshichika considerava la verità e l’onestà
come le virtù massime per un uomo. Non avrebbe mai mentito scrivendo cose non
vere.
Alla sua morte
consegnò il diario al suo discepolo, nonché secondo
maestro di questo dojo, e da allora la sua
consultazione è un privilegio riservato a pochi.
Forse, sono questi
sette guerrieri i soli coi quali tu possa misurarti ad
armi pari.»
«Ne è sicuro?»
«Forse
lo sai già, ma ho alcune conoscenze in Europa. Ho fatto un po’ di domande.
Pare che l’inizio
del nuovo torneo sia alle porte. Dovrebbe avere inizio questa stessa estate».
Gli occhi di
Takeru a quel punto si accesero come fari nel buio: se davvero la storia del
torneo era vera, coloro che vi prendevano parte dovevano essere davvero i
potenti fra i potenti; misurarsi con loro voleva dire
raggiungere la sommità della montagna.
«Voglio che tu
sappia una cosa, Takeru.» disse improvvisamente il maestro con voce e sguardo molto più seri di prima «Non ti sto raccontando
queste cose perché voglio che tu vada a combattere contro questi sette
guerrieri.
Se davvero
deciderai di imbarcarti in una simile impresa, è necessario che tu riscopra i
motivi che ti hanno condotto qui.»
«Che intendete
dire?»
«Quando
sei entrato qui, eri una persona diversa. Con il passare degli
anni sei molto migliorato, diventando un guerriero più grande di quanto
io sia mai stato in tutta la mia vita. Tuttavia, nella foga dell’apprendimento,
hai finito per smarrire la strada che avevi scelto di percorrere, e se non
riuscirai a riscoprirla, mi dispiace dirtelo, temo che avrai ben poche speranze
di prevalere su questi guerrieri, indipendentemente dalla tua bravura».
Ora aveva capito.
Ecco a che cosa si
riferiva il maestro Tenka quando gli aveva rivolto quelle frasi sibilline.
In tutti quegli
anni Takeru aveva messo tanto di quell’impegno per poter
diventare il migliore da dimenticare la bellezza e la soddisfazione che veniva
dall’imparare qualcosa di nuovo, nonché l’ebbrezza suscitata da ogni scontro
nel quale ci si cimentava, e del quale bene o male non si poteva mai prevedere
con esattezza l’esito finale.
Senza rendersene
conto aveva preso a guardare la gente dall’alto in basso, convinto di non avere
più nulla da imparare, ma la verità era che per quanto uno potesse migliorare
c’era sempre la possibilità di apprendere qualcosa di nuovo, per il semplice
motivo che la perfezione non esiste; aveva cominciato a rendersene conto dopo
essere quasi andato incontro alla sconfitta nel combattimento con la maestra Izumi,
ma allora era ancora troppo spavaldo, orgoglioso e sicuro di sé per volerlo
ammettere.
Ma
l’umiltà non era la sola cosa che il ragazzo aveva lasciato dietro di sé nel
cammino verso la perfezione dell’arte del combattimento.
Uno dei principi
fondamentali della filosofia del maestro Yoshichika
diceva che il saggio guerriero è colui che riesce a
controllare le proprie emozioni in modo che esse non ostacolino il
raggiungimento della piena comprensione del Bushido.
Takeru non aveva
imparato a controllare le emozioni, le aveva eliminate e basta.
Non si era fatto
alcuno scrupolo ad accettare l’invito di Nadeshiko semplicemente per poter raggiungere l’Europa senza dover chiedere
l’appoggio di suo padre, una cosa che aveva sempre evitato di fare, in quanto
lo faceva sentire ancora legato ad una famiglia dalla quale, bene o male,
sognava di separarsi presto, pur sentendosi orgoglioso delle proprie origini, e
quando Atarus aveva attaccato i suoi compagni di viaggio lui aveva ingaggiato
battaglia col lanciere non per proteggerli, ma semplicemente per soddisfare le
ambizioni per le quali era partito.
Tuttavia, stando
al loro fianco, e anche al fianco di Toshio, le parole del suo maestro avevano
cominciato pian piano ad essergli chiare.
Era quello il
motivo per il quale per lui sarebbe stato impossibile vincere: i partecipanti
al torneo, o la maggior parte di essi, combattono in difesa di ciò che hanno
scelto di proteggere, e questi sentimenti sono ciò che conferisce
loro un potere molto superiore a quello del semplice apprendimento, un potere
contro il quale la mera forza bruta non vale nulla.
Combinando questi
due difetti a dir poco sconfinati Takeru di colpi si sentiva un vero incapace,
indegno di essere considerato sia un Minamotoche un samurai.
Ma
c’era ancora una possibilità.
Non ne era sicuro,
ma aveva come l’impressione che lo scopo di Selveria
fosse proprio di fargli capire quanto fosse stato ingenuo, anche perché fino a
quel momento la disparità tra i due era stata abissale, e lei avrebbe potuto
finirlo in qualunque momento.
Quella donna era
una vera guerriera, che andava fiera del proprio nome, di conseguenza non
avrebbe mai accettato di infliggere il colpo di grazia a qualcuno che non
reputava alla sua altezza.
Takeru poteva
ancora farcela; bastava che riscoprisse tutto ciò che aveva perduto, che
permettesse di nuovo alle emozioni di guidarlo senza dominarlo e mitigasse quel
tanto che bastava il suo orgoglio per poter essere il
guerriero che aveva sempre sognato di diventare.
Selveria, vedendolo
alzarsi con un nuovo vigore riflesso nello sguardo, sorrise compiaciuta.
«Molto
bene. La vera battaglia sta per cominciare».
Il ragazzo partì
di nuovo alla carica, e questa volta lo scontro si rivelò sostanzialmente pari;
nessuno dei due era in grado di prevalere, e ad ogni
attacco seguiva sempre una pronta difesa.
Per parecchi
minuti vi fu un equilibrio precario, sempre pronto a far pendere l’ago della
bilancia dall’una o dall’altra parte, ma con il passare del tempo il desiderio
di Takeru di tornare ad essere il guerriero
determinato e idealista di un tempo cominciò a farsi sentire, e così Selveria si ritrovò sempre più in difficoltà.
La donna ad un certo punto, capendo di non avere altra alternativa,
approfittò di un attacco un po’ maldestro per scagliare lontano il nemico, e
immediatamente concentrò al massimo tutta la sua magia.
VALKYRIAN CROSS!
Takeru questa volta si trovò nella condizione di poter
rispondere, e allungato il braccio sinistro generò davanti a sé una barriera
che lo difese dai colpi di spada, poi, veloce come una tigre, evitò la colonna
di fuoco generatasi dal terreno spiccando un salto altissimo, e
contemporaneamente prese a sua volta ad infondere
nella spada tutta il suo nuovo, ritrovato spirito di guerriero.
«Ma che…» disse Selveria comprensibilmente attonita
TENMA SHOURYUSEN!
La testa di drago che faceva da spartiacque per la
corrente di vento e magia era immensamente più grande di
prima, e si infranse su una Selveria completamente
indifesa con una forza tale da far agitare tutti gli alberi vicini,
spogliandoli di tutte le loro foglie.
Questa volta, malgrado il suo disperato tentativo di difendersi, la
guerriera non poté fare assolutamente nulla per opporsi ad una così devastante
furia distruttrice, e appena la situazione si acquietò Takeru la vide distesa a
terra sulla schiena, sfinita e morente.
Il ragazzo le si avvicinò, sempre tenendo il suo sguardo glaciale, e
lei, sollevata debolmente la testa, sorrise.
«Mi…
mi sta bene così.
Ti… ti sei battuto
con grande valore. Sei un guerriero straordinario. Hai il mio rispetto.»
«Anche
tu hai dimostrato una grande forza.
Impossibile che
una persona dotata di un simile potenziale sia animata da sentimenti malvagi».
Selveria parve stupita, e per un attimo parve
già morta, poi dai suoi occhi scesero alcune lacrime.
«Perché ti sei
schierata con Seth?»
«Io…
ho sempre creduto che gli esseri umani fossero troppo abbietti ed egoisti per
meritare il libero arbitrio.
Per migliaia di
anni… non hanno saputo far altro… che farsi la guerra
l’un l’altro. Questo mondo ha conosciuto dolore e sofferenza come… nessun altro
in tutto l’universo.
Anche noi… però…
abbiamo la nostra parte di colpe. Io… nel profondo del cuore…
avevo paura che avreste finito per ripetere… i nostri stessi errori. E dentro
di me, sentivo che non sarei stata capace di sopportarlo ancora. Per questo… ho
cercato di cambiare le cose.
Ma
ora…» disse sfoggiando uno dei suoi ultimi sorrisi «Ho capito di essermi
sbagliata. Fino a che… ci saranno al mondo… guerrieri come te, gli esseri umani
avranno a disposizione la possibilità… di cambiare. Promettimi che non
dimenticherai mai più quello che hai imparato oggi.»
«Lo prometto».
Di nuovo Selveria sorrise, poi, chinata la testa, esalò l’ultimo
respiro, morendo serena.
Toshio e gli
altri, quando arrivarono nel luogo del combattimento, trovarono Takeru con il
corpo della sua avversaria tra le braccia; nessuno volle fare domande, nessuno chiese spiegazioni, ma tutti videro qualcosa di
nuovo e diverso nel loro amico, e fu preservato un rispettoso silenzio.
Il fuuzetsu, con la morte del suo costruttore, cominciò a
perdere di efficacia, minacciando di scomparire.
«Toshio.» disse
Takeru «Potresti per favore tenere in piedi questo fuuzetsu
ancora per un po’?».
Toshio fece cenno
di sì, infondendo nella barriera energia sufficiente a resistere almeno per
un’altra mezz’ora, quindi lui e gli altri presero a seguire Takeru come un
composto e commosso corteo funebre.
In pochi minuti
raggiunsero una banchina del molo, e appena trovarono un vecchio barchino di
legno destinato quasi sicuramente alla distruzione
Takeru vi pose delicatamente dentro il corpo di Selveria,
incrociandole le braccia sul petto e mettendole tra le mani l’elsa della spada.
Anche nella morte
quella giovane donna conservava tutto il suo fascino, quello splendore
guerriero che da sempre contraddistingueva le leggendarie valkyrie,
e non era un caso se lei portava il nome di una di esse, Sigfrida.
Nadeshiko, quale
segno di rispetto, le mise fra i capelli un fiore raccolto lungo il tragitto,
quindi, quando si fu allontanata, Takeru circondò la
sua katana di una debole fiamma, dando fuoco al telo vecchio e logoro su cui
era adagiato il corpo, e subito dopo Toshio spinse la barca alla deriva.
In pochi secondi,
grazie anche al marciume e al vecchiume del legno, l’imbarcazione divenne una
torcia nel buio, e i ragazzi continuarono a guardarla fino a che il bagliore,
divenuto ormai un puntino luminoso nella notte, non si spense del tutto.
Takeru non pianse,
a differenza di molti suoi compagni, ma non era per questo meno triste.
Dopotutto, Selveria non era stata altro che una vittima della follia
di Seth, uccisa per un ideale tutto sommato nobile e
degno di rispetto.
Vendetta: quella
sarebbe stata la nuova emozione che avrebbe segnato tutte le sue azioni da lì
in avanti.
Nota dell’Autore
Eccomi qui!
Innanzitutto voglio
fare a tutti i miei lettori, anche se con ventiquattro ore di ritardo, i
migliori auguri di buona pasqua.
Spero che vi siate
divertiti in questi giorni di vacanza, l’ideale per riposarsi un po’ prima del
rush finale.
Questo capitolo lo
avevo in testa già da un bel po’, e onestamente non vedevo l’ora di arrivarci,
di conseguenza ne sono pienamente soddisfatto.
Ringrazio Cleo, Selly e Akita per le
loro recensioni.
«Prima Thanatos, adesso Selveria.» disse Seth durante l’ennesima riunione.
Come al solito aveva la testa placidamente appoggiata su di una
mano, e dal suo sorriso a metà tra il divertito e l’annoiato non sembrava che
la morte di un altro dei suoi generali lo avesse turbato più di tanto.
«Non c’è dubbio,
abbiamo decisamente sottovalutato i nostri avversari.»
«Due generali
uccisi nel giro di pochi giorni.» disse Nepthys «È
evidente che quei ragazzi possiedono un potenziale inimmaginabile.»
«Era
dai tempi della guerra sacra che non mi capitava di incontrare una simile
resistenza, e la cosa si fa ogni giorno più divertente.
La nostra comune
amica ha scelto molto bene la sua squadra, questo glielo devo
riconoscere.»
«E adesso che si fa, mio signore?» domandò Cloto
«Per il momento
direi di lasciar perdere loro e concentrarci sugli
altri potenziali avversari. A tal proposito, che notizie hai da riferirmi, Lachesi?»
«La
nostra spia ci ha fornito tutte le informazioni. Due partecipanti ancora in
gara si trovano in questo momento a Madrid. Con loro c’è anche il ragazzo del
Clan Yoshida.»
«E del lanciere
dei McLoan avete notizie?»
«No signore, da
quando ha abbandonato Vienna abbiamo perso le sue
tracce. Ma è probabile che si metterà alle costole di Toshio e dei suoi
compagni.»
«Madrid,
eh? Se non sbaglio è proprio lì che ho messo a nanna
uno dei miei ultimi famigli.
Potrei mandare avanti lui, per evitare di perdere qualcun altro dei miei
preziosissimi generali.»
«Mio signore.»
disse Anubis «Non vi starete riferendo a Nebegi.»
«Esattamente.
Mi è stato molto utile nel corso della guerra sacra, e anche dopo averlo
risvegliato qualche secolo fa ha fatto la sua bella figura
eliminando quasi tutti i partecipanti al torneo.
Proprio per questo
ho preferito metterlo da parte, in previsione di un’eventualità come questa.»
«Ma, Seth-sama…» disse Hypnos
«Quella creatura è una bestia distruttrice. Una volta che si è messa in movimento niente può fermarla, neppure la vostra volontà.»
«Il nobile Hypnos
ha ragione.» disse Nepthys «Quel mostro è del tutto
privo di controllo.»
«Basterà
sigillarlo nuovamente ad incarico concluso. Mi basta
solo che uccida quanti più partecipanti possibile, e
visto che al momento ce ne sono due proprio sopra la sua testa è un’occasione
decisamente troppo allettante per lasciarla passare».
Venerdì 24 agosto
Madrid
Ore 22.43
Dopo essersi uniti in un’unica
squadra Tadaki, Kazumi e Souma avevano lasciato Parigi, dove ormai non c’era
più niente da fare, e si erano diretti a Madrid, da dove avevano sentito
provenire la presenza di un altro partecipante al torneo.
Una volta arrivati
nella capitale spagnola, però, lo sconosciuto nemico aveva fatto perdere le sue
tracce, come era naturale quando si voleva preparare
una trappola, e tre giorni di ricerche in interrotte non avevano permesso di
fare alcun passo avanti.
La sera del terzo
giorno, al termine dell’ennesima ronda inconcludente, Souma e Tadaki decisero
di concedersi un drink in un piccolo bar senza troppe pretese gestito dal
sovrintendente locale al torneo, un uomo di nome Miguel, i cui trascorsi da
legionario erano quantomeno evidenti sia dalla pettinatura militare sia dal suo
fisico possente.
Kazumi invece era rimasta in albergo, protetta
a vista da Touka e Shaina, il famiglio di Souma che
aveva salvato Tadaki all’ultimo secondo al termine del suo scontro con Atarus.
In occasione del
torneo Miguel aveva chiuso al pubblico il suo locale in modo da rendere più
facile la sua attività di osservatore, questo grazie anche ai sovrani dei clan
che avrebbero provveduto a rimborsargli il guadagno
mancato, di conseguenza quella sera gli unici clienti erano loro due, seduti al
bancone.
A tenere loro compagnia
c’era anche Sarah, il famiglio di Miguel, che quando il locale era aperto
lavorava anche come barman e dj, riscuotendo un certo
successo tra i ragazzi; a giudicare dalla coda curva che sbucava dai
pantaloncini doveva essere stata creata partendo da una scimmia, e nel puro
rispetto delle proprie origini preferiva giocare e ballare al ritmo della
musica proveniente dalla radio piuttosto che spazzare i pavimenti come le era
stato ordinato.
«Sarah!» gridò ad un certo punto Miguel tirandole uno straccio «Smettila di
ciondolare e datti da fare!»
«Ok, capo.»
rispose lei avvilita
«E
non fare quel muso da bimba innocente, perché non ci casco.
A volte mi chiedo
cosa mi passava per la testa quando l’ho creata.» disse poi rivolto ai suoi ospiti
«Certo però che tu
e Sarah mi fate un po’ di invidia.» disse Tadaki
sorseggiando un po’ del suo analcolico «Sembrate andare così d’accordo.»
«Se vuoi facciamo a cambio. Potessi averlo io un famiglio
obbediente e affidabile come Touka, non mi toccherebbe redarguirla ogni tre
secondi.»
«Non
crederci. Anche Touka diventa intrattabile quando si punta coi
piedi.
A proposito,
grazie per quello che stai facendo.»
«Non
dirlo nemmeno. Ho un debito a vita con la famiglia Yoshida.
Quando sono stato
spedito nel Golfo e ci ho quasi rimesso la pelle, è stato tuo padre a tirarmi
fuori da quell’inferno. Per qualsiasi cosa non esitare a chiedere.»
«Ti manca la vita
del legionario?»
«Qualche volta.»
«Ho sentito una
storia sul tuo conto da mio zio.» intervenne Souma «Pare che saltuariamente Lei
lavori per i servizi segreti spagnoli.»
«Me la so ancora
cavare, e quando serve prendo a calci qualche culo
ETA.
È un modo come un
altro per tenersi in esercizio».
Seguì un attimo di
silenzio, poi Tadaki si rivolse a Souma.
«E pensare che avevo promesso a Toshio che ci saremmo sfidati nuovamente.
Lo stavo quasi per sconfiggere.
Invece, eccoci
qui. Io eliminato, lui trionfatore sul temutissimo villaggio di Kotel’nyj.»
«Quella
vittoria mi ha molto sorpreso, lo confesso. Quando l’ho incontrato a Venezia,
anche se non ci ho combattuto, non credevo che sarebbe arrivato così lontano.
Izumi è davvero
una grande maestra.»
«Non credo sia
solo per questo.»
«Che intendi
dire?»
«Non
saprei come spiegartelo. Prova ad immaginarlo come una
tigre inseguita dai cacciatori. Più volte lo colpisci, più violenta e
determinata è la sua reazione.»
«Mi
piace questo paragone. In tal caso, posso capire come mai tu cercassi la
rivincita.
Ma
comunque, non è mica obbligatorio che la vostra sfida dovesse avvenire per
forza nell’ambito del torneo. Potrai sfidarlo quando sarà tutto finito.»
«Sì,
forse. Ma non credo avrebbe lo stesso significato».
In quella, la
campanella che pendeva sopra la porta d’ingresso tintinnò, facendo girare i due
avventori; nel locale era arrivato un ragazzino che doveva avere al massimo
sedici o diciassette anni.
Non molto alto,
aveva capelli castani un po’ lunghi, occhi giallo ambra
e un’aria a metà tra lo sbarazzino e lo spaccone; vestiva con abiti cinesi, con
una fascia bianca annodata sulla fronte, e dietro la schiena portava un grosso
esemplare di dao, piuttosto grande rispetto ai
canoni, riposto nel suo fodero.
Appena entrato si guardò un momento intorno, come se stesse
assaporando le occhiate perplesse dei presenti; persino Sarah aveva smesso per
un attimo di giocare e si era concentrata su di lui.
«Scusate il
disturbo.» disse con un sorriso forse un po’ provocatorio,
carico di sfida «Per caso qui c’è qualcuno che risponde al nome di Tadaki
Yoshida?».
Tadaki e Souma si interrogarono con lo sguardo, un po’ indecisi sul da
farsi, poi l’interpellato si alzò dal proprio sgabello e fece qualche passo
nella sua direzione.
«Sono
io Tadaki.
Posso fare
qualcosa per te?»
«Certo che puoi.»
rispose quello sorridendo ancor più vistosamente.
Un istante dopo il
ragazzo schizzò in avanti e sfoderò il suo dao,
menando un fendente che per fortuna andò a vuoto; Tadaki riuscì a schivare
senza troppi problemi sia quel colpo che tutti i
successivi, ma evitò di mettere mano alle due spade che aveva con sé, e che in
quei giorni si erano ormai completamente ristabilite.
«Che stai
facendo?» domandò dopo essere atterrato su un tavolo schivando l’ennesimo
attacco «Io ormai sono stato eliminato dal torneo.»
«Il
torneo non c’entra. Devi sapere che il tuo antenato ha sconfitto il mio
nell’ultima competizione, e io sono qui per vendicare
quell’offesa.
Inoltre ho saputo
che te la sei cavata egregiamente contro McLoan, e a me piace sfidare chi
dimostra di essere in gamba».
Il ragazzo attaccò
di nuovo ma l’unica cosa che affettò fu il tavolo perché Tadaki, con un nuovo
salto, raggiunse direttamente il bancone; Souma assisteva senza interferire, e
anzi pareva godersi la scena, come pure Sarah; Miguel invece stava andando fuori
dai gangheri, e continuava a urlare di non distruggerli il locale.
«Lo riconosco, sei bravino. Vorrà dire
che farò sul serio».
Detto
questo il ragazzo assunse una posa insolita, simile alla posizione della tigre,
e il suo dao prese a caricarsi di una tenue fiamma
azzurra.Tadaki dal canto suo aveva già
messo le mani sull’impugnatura delle sue spade, pronto a sfoderarle in caso di
necessità.
Poi, tutto d’un tratto, qualcuno arrivò alle spalle dell’aggressore e
gli mollò un poderoso pugno in testa, distruggendo in un istante l’atmosfera
tesa e spasmodica che si era venuta a creare; responsabile di
quell’interruzione era una ragazza alta e magra molto carina e dall’aria
sbarazzina, con capelli di un colore nero tendente al blu che arrivavano a metà
della schiena raccolti in una treccia e occhi ambrati.
Vestiva con il
classico abito da lotta cinese attillato e senza maniche con sopra la giacca
rossa di un kimono aperta e lasciata cadere in parte sulle spalle.
Si trattava senza
dubbio di un famiglio, e a giudicare da quella coda sottile e dalle orecchie
rivolte verso il basso, queste ultime caratterizzate
da striature nere e aranciate, doveva essere stata creata partendo da una
tigre.
«Adesso dacci un
taglio, Ryu-o.» disse in modo scherzoso «Non ci fai una bella figura.»
«Ka… Kagura!» protestò lui tenendosi la testa «Che ti salta
in mente?»
«Questo non è né
il momento né il luogo per combattere.»
«Però… però io…»
«Vogliate
perdonare il mio irruente padrone.» disse poi rivolgendosi ai ragazzi «È un
bravo guerriero, ma anche una vera testa calda.»
«Ce ne siamo
accorti.» rispose Souma accennando una risatina
«Scusate,
non ci siamo presentati. Io sono Kagura, e lui è Ryu-o.»
«Venite da Xi-Siang, giusto?» domandò Tadaki
«Esatto.
Voi invece dovete essere i rappresentanti del Clan di Veda e del Clan Yoshida.»
«Hai indovinato.»
rispose Souma.
Per farsi
perdonare del disastro combinato Ryu-o accettò di rimettere tutto a posto, e
mentre lui lavorava Kagura, seduta accanto ai due ragazzi, si scolava una
bottiglia di sakè dietro l’altra.
«Ah, ci voleva.»
disse tracannando l’ennesimo bicchiere «Sua madre mi ha incaricato di tenerlo
d’occhio, ma a volte è così difficile.»
«Ehi, non parlare
di me come se fossi un bambino!» protestò Ryu-o
«Perché, che cosa
saresti!? Uno che attacca briga col primo che vede
campando le scuse più assurde come lo si potrebbe
definire?»
«Dannato
gattaccio…» ringhiò il ragazzo a denti stretti «Uno di questi giorni ti
strapperò la coda!»
«Dovete
sapere che Ryu-o ha preso tutto da suo padre. Non perde occasione per mettersi
alla prova.»
«Il che non può
essere definito un male.» commentò Tadaki
«Forse, ma la
moderazione non è mai troppa.»
«Proprio tu mi
parli di moderazione!» tuonò Ryu-o, procurandosi una bottiglietta di sakè
dritta in faccia
«Che intende
dire?»
«Oh,
niente di che. Non fateci caso. Ama dar fiato alla bocca».
D’improvviso,
tutti gli ospiti del locale vennero messi in allarme
da una sensazione molto sgradevole, e pochi istanti dopo il terreno prese a
tremare come durante un violento terremoto; i lampadari oscillavano, bottiglie
e bicchieri cadevano dai ripiani, sedie e tavoli si ribaltavano.
«Ma cosa…» disse
Tadaki cercando di stare in piedi «Che sta succedendo!?».
Mentre la scossa
era ancora in corso un fuuzetsu avvolse il locale e
l’aria venne letteralmente squarciata da un ruggito simile a quello di un
leone, ma di una forza e di una violenza impensabili per un semplice animale.
«Che diavolo era
quello?» domandò Ryu-o.
Lui e gli altri
presero di corsa la porta ed uscirono all’esterno,
trovandosi di fronte ad uno spettacolo agghiacciante.
A poche centinaia
di metri da loro, nei pressi di Plaza
de Castilla, era apparsa una creatura mostruosa, così
alta ed imponente da sovrastare i palazzi per quasi metà del suo corpo.
La postura era quella di una scimmia, ma la pelle, verde e squamosa,
ricordava quella dei rettili; le braccia erano sproporzionatamente lunghe,
piegate ad angolo retto, e poggiandosi a terra fornivano un’ulteriore base di
appoggio oltre alle gambe, che invece erano di misura piuttosto ridotta
rispetto alla dimensioni del corpo.
La testa
ricordava, con molta fantasia, quella di un uomo, ma la bocca era armata di due
file di denti sporgenti e affilatissimi, gli occhi invece erano due semisfere
rosso sangue che emergevano subito sopra di essa.
Aveva anche una
lunga coda da coccodrillo e la postura, dovendo tenere le braccia a terra, era
un po’ gobba, il che gli conferiva una parvenza ancor più imponente e
minacciosa.
«Dio santo, che
roba è?» domandò Miguel
«Quello è Nebegi.» disse attonito Tadaki
«Nebegi!?» ripeté Ryu-o
«È
stato il famiglio di Seth nella guerra sacra. Pare che in uno degli ultimi
tornei abbia fatto strage dei concorrenti.»
«Scherzi, è davvero
così forte!?».
In quella
sopraggiunsero anche Touka e Shaina, che appena
arrivate presero subito la loro forma umana.
«Master!» disse
Touka
«Dov’è Kazumi!?» fu la prima domanda di Tadaki
«Non c’è da
preoccuparsi.» rispose Shaina «L’albergo è rimasto
fuori dal fuuzetsu.»
«Meglio
così. Dobbiamo fermare questo mostro prima che distrugga tutta la città.»
«Ma ne saremo capaci?» chiese Souma «Se è così forte come
dici, non sarà una sfida da poco».
Ryu-o, al
contrario, invece di preoccuparsi fece scricchiolare le ossa delle dita.
«Non avrei potuto
chiedere di meglio.» disse soddisfatto «Questa sì che sarà una bella sfida.»
«Per una volta
sono d’accordo con te.» commentò il suo famiglio.
Tadaki e Souma si
guardarono un momento tra di loro per poi interpellare con lo sguardo i
rispettivi famigli, che fecero entrambi un cenno di assenso.
«D’accordo,
proviamoci.» disse Tadaki «Ma dobbiamo essere cauti.
La prima cosa da fare è avere un quadro preciso delle sue capacità.
Ryu-o, io e Souma
andremo in avanscoperta assieme ai nostri famigli. Tu e Kagura rimanete
indietro e attendete istruzioni.»
«Ehi, che storia è
questa!? Ci stai sbattendo in panchina!?»
«D’accordo, come
vuoi tu.» rispose Kagura mollando un nuovo pugno in testa al suo master per
zittirlo «Ma mi raccomando, lasciate qualcosa anche per noi.»
«Puoi giurarci.»
«Miguel.» disse
Souma «Tu avverti il maestro Akunator
a Nepthys di quanto sta succedendo. Vorrà saperlo.»
«Lasciate
fare a me. Io e Sarah verremo ad aiutarvi appena possibile.
Andiamo
Sarah!»
«Ok, boss.»
rispose lei seguendo nuovamente Miguel dentro il locale.
Appena Souma e Tadaki raggiunsero il mostro
questi cessò subito di dimenarsi furiosamente da tutte le parti, distruggendo
ogni cosa trovasse sul suo cammino, e si concentrò immediatamente su di loro.
«Ormai è chiaro
che stava cercando proprio noi.» disse Souma sguainando la spada
«Facciamo
attenzione, non conosciamo con esattezza le sue capacità».
Nebegi lanciò nuovamente il suo urlo assordante, e subito
dopo dalla sua schiena spuntarono una coppia di tentacoli che, come micidiali
fruste, presero a fendere l’aria muovendosi a grandissima velocità; i due
ragazzi evitarono di venire colpiti saltando
lateralmente, ma l’urto delle fruste contro il terreno fu così forte da
provocare una coppia di voragini parallele lunghe diversi metri.
Mentre era ancora in aria Souma prese due lame a mezzaluna dalla
cintura e le lanciò con precisione chirurgica, recidendo entrambi i tentacoli,
mai monchi così prodotti subito ne emersero altri due, uno dei quali riuscì
purtroppo a colpirla, scaraventandola con forza sul tetto di un palazzo.
«Souma!».
Tadaki cercò di
correre ad aiutarla, ma il mostro non aveva intenzione di lasciarlo scappare e
sollevata una delle sue enormi mani a quattro dita
gliela scaraventò sopra come a volerlo schiacciare come una volgarissima
formica.
Il ragazzo riuscì
a mettersi in salvo spostandosi all’indietro, e mentre la mano del nemico era
ancora a tiro vi conficcò dentro una coppia di shuriken, ma questo parve avere come unico effetto quello
di far infuriare Nebegi ancora di più.
Altri due
tentacoli si generarono da sopra la schiena e si diressero verso Tadaki; il
ragazzo riuscì a schivarne uno, saltando e recidendolo subito dopo con un
preciso colpo di spada, ma l’altro riuscì ad avvinghiarsi attorno al suo collo
e prese a stringere con una forza inaudita.
Tadaki cercava di
liberarsi, ma la forza della stretta era tale che non riusciva praticamente a respirare; fortunatamente dopo poco Touka
arrivò in suo soccorso, affettando anche il secondo tentacolo e liberando il
suo padrone.
«Master, state
bene?»
«Sì, grazie».
Contemporaneamente
anche Shaina giunse in soccorso di Souma, che ancora
un po’ debilitata dal colpo ricevuto si manteneva in ginocchio, e generate
delle fiamme tutto intorno a sé lanciò contro Nebegi
un poderoso vortice di fuoco.
Ancora una volta
l’attacco parve non sortire alcun effetto, ma se non altro distrasse Nebegi quel tanto che bastava da
permettere a Touka di avvicinarsi e di menare un fendente che gli ferì una
gamba, procurando al nemico una nuova distrazione oltre ad un certo
quantitativo di dolore.
«È forte.» disse
Tadaki appena lui e Souma si furono riuniti
«Anche
troppo forte. Più lo colpiamo più sembra diventarlo».
Il mostro, che da
qualche secondo si teneva a distanza, ringhiò per la terza volta, e spalancata
la bocca sputò una sorta di vortice nero dalla terribile potenza distruttiva,
capace di sradicare alberi e far volare persino un autobus.
Shaina evocò una barriera che difese tutti quanti, ma la
forza del vento fu tale che alla fine lo scudo cedette e
i ragazzi vennero violentemente sbalzati all’indietro assieme ai loro famigli.
Souma e Shaina riuscirono ad aggrapparsi alla parete di un
edificio, Touka invece piantò con forza la sua spada a terra e, tenendola con
una mano, con l’altra afferrò il suo padrone, ed entrambi i gruppi riuscirono a
resistere fino a che l’attacco ebbe fine.
«Souma, Shaina!» gridò Tadaki cercandole fra il fumo e le fiamme
dei piccoli incendi generati dalla rottura di alcune tubature «State bene?»
«Sì, tutto a
posto!» rispose Souma rimettendosi in piedi «Ma un altro attacco del genere e
finiamo dritti all’altro mondo.»
«D’accordo.
Dobbiamo cercare di stancarlo il più possibile. Lanciamo degli attacchi
sporadici e poi ritiriamoci. Questo se non altro ci farà guadagnare un po’ di
tempo.»
«Va’ bene, proviamo a fare come dici tu. Anche perché io,
sinceramente, non ho idee».
La tattica di Tadaki
non si poteva certo definire coraggiosa, ma se non altro ebbe l’effetto, come preannunciato, di far guadagnare tempo.
Formata una solida
linea d’attacco i due guerrieri e i loro famigli si davano il cambio
nell’attacco, avvicinandosi e colpendo per poi arretrare; Nebegi
dal canto suo sembrava non essersi accorto che si trattava di uno stratagemma,
e un passo alla volta prese a star dietro alle sue prede, senza rendersi conto
che più li inseguiva più si inoltrava nel fitto della
città, lontano da quella piazza larga e spaziosa dove invece avrebbe avuto
gioco facile.
Sfortunatamente,
per quanti attacchi riuscissero a muovergli contro, nessuno di questi risultava abbastanza incisivo da potergli infliggere dei
danni degni di nota, e intanto i ragazzi stavano cominciando seriamente a
stancarsi, per non parlare del fatto che quelle due o tre volte in cui erano
stati colpiti facevano sentire sempre più i loro effetti.
Ad
un certo punto, nella loro corsa all’indietro che ormai si era quasi
trasformata in una fuga mascherata, Souma e Tadaki trovarono la loro via
sbarrata da Kagura; la ragazza aveva in mano una spada gigantesca, una vera e
propria mazza metallica con un bordo smussato ed un altro affilato. Doveva
pesare diverse decine di chili, eppure lei riusciva a maneggiarla con una sola
mano senza apparente difficoltà.
«Ehi voi!» gridò
«Fatevi da parte!».
Appena videro
l’arma della loro nuova amica circondarsi di un gigantesco alone azzurro e un
circolo magico comparirle sotto i piedi capirono
subito quali fossero le sue intenzioni e immediatamente si fecero da parte.
«Prendi questo,
bestione!».
SOUL BREAKER!
L’incantesimo prese la forma di una gigantesca falce
luminosa, a cuiNebegi
oppose il vortice nero emesso dal suo ruggito; ne nacque uno scontro di forze
così potente da far crollare i palazzi circostanti, ma fra i due avversari
sembrava esserci perfetto equilibrio.
A rompere quel
gioco delicato di forze contrapposte ci pensò Ryu-o, che apparso dal nulla sul
tetto di un edificio si lanciò senza timore sopra il mostro mentre anche la sua
spada veniva avvolta dallo stesso alone azzurro.
KAIOUJIN!
Questa volta il colpo inflitto a Nebegi
fu davvero incisivo, tanto da provocargli un grosso squarcio sulla schiena;
inoltre la creatura, incassando il colpo di Ryu-o, si ritrovò a prendere su di
sé anche quello di Kagura, che distrutto il muro di vento si abbatté sul nemico
provocando una grande esplosione di luce.
«Caspita, che
potenza.» commentò Souma.
Lei e gli altri
raggiunsero rapidamente Kagura e Ryu-o, e per un attimo sembrò quasi che il
mostro fosse davvero stato sconfitto.
«Siete stati
incredibili.» disse Shaina «Mai visto niente del
genere.»
«Speriamo solo che
sia bastato a stenderlo.» disse Ryu-o «Per lanciare quell’attacco mi sono quasi
spompato».
Invece, dal fumo,
sbucò di colpo una coppia di tentacoli che investì
l’intero gruppo uno ad uno, e subito dopo Nebegi
riapparve in tutta la sua imponenza, più agitato e infuriato che mai.
«Maledizione.»
mugugnò Ryu-o cercando di rialzarsi «Quel coso non vuole proprio morire.»
«E adesso… e
adesso che facciamo?» chiese spaventata Shaina.
Nebegi fece per sferrare ai suoi avversari il colpo di
grazia, ma prima che potesse riuscirci qualcosa lo
colpì ad un fianco, provocando una grande esplosione e facendogli un gran bel
danno.
«Ma che…» disse sorpresa Touka.
Tutti alzarono gli
occhi in una direzione, e su di un tetto lì vicino videro Sarah con in mano un enorme fucile anticarro più grosso di lei ma
che la ragazza riusciva a maneggiare senza difficoltà, probabilmente grazie
alla grande forza propria delle scimmie.
«E vai, centrato!» disse espellendo la cartuccia vuota ed
infilandone subito un’altra
«Sarah!» esclamò
Tadaki.
Un istante dopo un
razzo lanciato con un RPG da Miguel, a sua volta appostato su di un tetto
vicino, andò a rincarare la dose, fiaccando ulteriormente il mostro.
«Ragazzi, è
arrivata la cavalleria!».
«A buon rendere, Miguel!» disse Souma
Nebegi, infuriato per i colpi ricevuti, concentrò la sua
attenzione su Sarah, che vedendo quel mostro venirle contro camminando in mezzo
ai palazzi per un attimo ebbe seriamente paura; per inseguire lei, però, il
mostro diede la schiena a tutti i suoi avversari, che immediatamente ne
approfittarono.
Il nemico venne colpito più e più volte, grazie anche ad una
collaborazione perfetta tra i membri del gruppo, capaci di eseguire ottimi
attacchi combinati.
«Forza, ragazzi!»
disse Tadaki «Abbattiamo questo mostro maledetto!».
Souma, Ryu-o e
Tadaki circondarono rapidamente Nebegi, e altrettanto
fecero i loro famigli, quindi, contemporaneamente, partirono tutti all’attacco.
Per prima colpì
Kagura, infliggendo un taglio profondo subito sotto l’ascella sinistra, poi fu
il turno di Touka, che colpì invece il petto; Nebegi,
urlante, barcollò vistosamente, ma fu violentemente
ricacciato in avanti dall’attacco di Souma, che gli piantò nella schiena un
dedalo di lame a mezzaluna, quindi Touka si arrampicò sul corpo del mostro e gli
piantò la spada nel collo fino all’elsa prima di ritirarla e saltare giù.
Shaina fece cadere dal cielo un esercito di meteore roventi
che colpirono ripetutamente Nebegi, arrivando anche
ad accecarlo, ed infine Ryu-o, spiccato un salto
altissimo, caricò di nuovo il suo colpo più potente.
KAIOUJIN!
L’energia sprigionata dall’attacco si rivelò molto più potente
e micidiale della prima volta, tanto che Nebegivenne letteralmente schiacciato sotto di essa, ed essendo
già enormemente debilitato per tutti i colpi subiti l’attacco di Ryu-o si
rivelò per lui fatale, riducendolo in polvere.
I ragazzi
aspettarono che il polverone si fosse diradato un po’ prima di diradarsi, e quando finalmente furono in grado di vedere
abbastanza bene al posto di Nebegi c’era solo un’immensa
voragine.
«Ce… ce l’abbiamo fatta…» disse Souma
«Così pare.»
«Beh.» disse Ryu-o
con aria spavalda «Non è stato poi così difficile».
Grazie agli effetti regressivi del fuuzetsu la città venne completamente riedificata, e una volta che il tempo
ebbe ripreso a scorrere i ragazzi si ritrovarono nuovamente al bar di Miguel.
«E va’ bene, per questa volta è andata così.» disse Ryu-o
rinfoderando il dao «Ero venuto qui nella speranza di
aggiungere una tacca sull’impugnatura, ma a quanto pare tornerò indietro a mani
vuote.»
«Se vuoi
combattere, per me va’ più che bene.» rispose Souma,
anche se nessuno dei due pareva seriamente intenzionato a prendere questa
strada
«Non
scherziamo. Per stasera direi che basta e avanza. E poi non posso certo
combattere con la stessa persona con cui ho collaborato fino a un attimo fa. Non
sarebbe etico.»
«Senti, senti.»
disse Kagura «E da quando in qua ti importa qualcosa
dell’etica?»
«Tu taci, gattaccio».
Quel gattaccio gli
costò l’ennesimo pugno in testa.
«Poi facciamo i
conti, tigre dei miei stivali!»
«Beh, è stato un
piacere conoscerti.» disse Tadaki porgendogli la mano
«Anche per me.»
rispose lui stringendola con forza «E non illuderti, la prossima volta andrò
fino infondo.»
«Ci conto».
Souma e Tadaki
aspettarono fino a che il loro nuovo amico non se ne fu andato, poi tornarono a
sedersi agli stessi sgabelli che stavano occupando un attimo prima che avesse
inizio quella serata tanto movimentata.
«Strano tipo, non trovi?»
«Strano e
interessante.» replicò Souma
«Non c’è dubbio,
questo torneo si sta rivelando molto più interessante e particolare di tutti
quelli disputati finora.»
«Su questo non
posso che darti ragione.»
«Allora ragazzi.»
disse Miguel uscendo dal retrobottega «Che vi porto?»
«Martini.» rispose
Tadaki «Liscio.»
«Lo stesso.»
«Arrivano».
Nota dell’Autore
Salve a tutti!
Ancora una volta mi
sono fatto attendere, ma a complicare le cose ci si è messa un’influenza fuori
stagione che per qualche giorno mi ha tolto del tutto la voglia di scrivere.
Avverto subito che
non sono molto soddisfatto di questo cap, che
considero come di semplice evasione dalla normale linea narrativa.
Col prossimo invece
torneremo a concentrarci sulle vicende di Toshio e del suo gruppo, e ora posso
affermare con sicurezza che alla fine di questa storia mancano, incluso l’epilogo,
esattamente 13 capitoli.
Ringrazio Selly, Akita, Cleo e Lewski per le
loro recensioni.
Con la sconfitta di Ilya e il completo ristabilisti delle
condizioni di Toshio non c’era più alcun motivo per rimanere in Olanda, di
conseguenza Keita e gli altri, recuperate le proprie cose, avevano deciso di
mettersi nuovamente in marcia.
Questa volta però
non si sarebbero messi sulle tracce di qualche altro partecipante, bensì si
sarebbero spostati per primi e avrebbero fatto in modo che fossero gli altri a
venire da loro, e la scelta era ricaduta su Londra.
Per questo, il
giovedì mattina, avevano lasciato il loro albergo di Amsterdam e si erano
diretti al Luchthaven
Amsterdam-Schiphol, e visto che la loro destinazione era la capitale inglese
trovare un volo in partenza in tempo utile non sarebbe stato certamente un
problema.
Dopo solo un’ora i cinque ragazzi più Aria e
Lotte, che ormai avevano acquisito abbastanza esperienza da acquisire una forma
totalmente umana, avevano già sette posti prenotati su un aereo in partenza per
il primo pomeriggio, quindi l’unica cosa da fare a quel punto era mettersi in
attesa.
«Ora che ci penso.» disse ad un certo punto
Keita «Shinji, tu hai vissuto per molti anni in Inghilterra, giusto?»
«Esatto.» rispose lui dopo aver fatto una
strana espressione, una specie di smorfia appena percettibile sotto quel suo
permanente sorriso, gesto che tuttavia non sfuggì a Toshio «Mia madre era
inglese, e fino agli otto anni ho vissuto nel Galles.»
«Dicci allora.
Com’è Londra?»
«Beh, di Londra
non è che ne sappia molto. Ci sono stato solo un paio di volte. Comunque posso
dire con certezza che è una città molto frenetica, ma per certi versi anche
molto suggestiva.»
«I miei genitori
ci sono stati durante il loro tour dell’Europa.» disse Nadeshiko «Ho visto una
loro foto che si sono fatti davanti a Buckingham Palace.»
«Resteremo lì almeno
una settimana.» disse Toshio «Il tempo per girovagare fra parchi e musei non vi
mancherà di certo.»
«Ma non potresti
cercare di essere un po’ meno freddo?» domandò Lotte «Alle volte fai invidia ad
un cubetto di ghiaccio.»
«Ho detto qualcosa
di sbagliato?» domandò il ragazzo come se non si fosse reso conto del modo
distaccato e disinteressato con cui aveva parlato
«Lasciamo perdere,
è meglio.» rispose Aria passandosi una mano sulla fronte e provocando una
risata collettiva
«Fatevi un’altra
risata.» sbuffò Toshio arrossendo leggermente, ma subito dopo il senso di
tranquillità che, tutto sommato, gli aveva permesso di rilassarsi almeno un po’
scomparve di colpo, soffocato da una sensazione molto famigliare.
«Che succede?»
domandò Keita vedendolo scattare in piedi, ma la risposta alla sua domanda
venne quando l’intero aeroporto venne avvolto in un grande fuuzetsu
«Ma è mai
possibile che non si possa avere un attimo di tregua?» disse Shinji
Toshio avvertì
subito qualcosa di strano in quel fuuzetsu, qualcosa di famigliare.
“Che cos’è questa
sensazione?”
«Credete che sia
qualche altro partecipante al torneo?» domandò Keita
«Non credo.»
rispose Nadeshiko «Lo sapete, loro evitano di combattere di giorno e in luoghi
molto affollati.»
«A meno che non si
tratti di Atarus.» commentò Takeru mettendo mano alla sua spada.
No, certamente il
responsabile di quel nuovo imprevisto non era Atarus; ormai Toshio conosceva
bene la sua emanazione magica e poteva dire con assoluta certezza che il
lanciere dei McLoan non c’entrava nulla in quella faccenda, ma si trattava
comunque di un potere molto famigliare.
Poi, come un
lampo, un pensiero gli attraversò la mente.
Quell’energia,
quell’emanazione: era inevitabile che la conoscesse!
Eppure, non voleva
crederci. Che motivo poteva esserci per un evento simile? Era inconcepibile!
“Non può essere!”
pensò atterrito, e come se avesse avuto il diavolo in corpo cominciò a correre
in direzione della fonte del potere
«Toshio, dove stai
andando!?» domandò Nadeshiko andandogli dietro assieme agli altri.
Il ragazzo però
non sembrava sentirla, e procedeva imperterrito senza neanche curarsi delle
persone che incontrava lungo la sua strada, immobilizzate dall’incantesimo, che
scostava a spallate buttandole a terra.
La sua corsa si concluse nel grande atrio
situato al centro della struttura, dalla cui immensa parete a vetri si aveva
una spettacolare panoramica delle piste di decollo; un aereo della Lufthansa,
per effetto del fuuzetsu, era fermo a mezz’aria, con il muso sollevato e le
ruote posteriori ancora appoggiate a terra, un altro invece dalla parte opposta
era stato congelato in fase di atterraggio.
Fino all’ultimo
aveva sperato di sbagliarsi, ma non appena vide la figura che si stagliava
dinnanzi a lui, osservandolo dall’alto della balconata superiore a braccia
conserte con il suo sguardo di ghiaccio, fu costretto ad ammettere che la sua
impressione si era rivelata esatta.
«Ne è passato di
tempo, Toshio.»
«Allora è vero.»
disse guardandolo «Questo è opera tua».
I suoi compagni lo
raggiunsero in quello stesso momento, proprio mentre lui pronunciava il nome
del misterioso individuo.
«Sanak!»
«Che cosa!?» disse
Nadeshiko, la sola a conoscere quel nome «Quello è Sanak!?»
«Ma chi è quel
tipo?» domandò Shinji
«È Sanak, il
fratello minore di Toshio.»
«Che cosa, suo
fratello!?».
Il ragazzo saltò
giù dal balcone, atterrando proprio davanti a loro, e subito mise mano alla sua
spada.
«Sanak, che
significa tutto questo?» domandò Toshio
«Non lo immagini?»
rispose lui facendo qualche passo avanti.
Toshio avvertiva
distintamente l’aura minacciosa che circondava il fratello, ma ciò nonostante
non fu capace di fare qualunque cosa per tentare di contrastare ciò che era
certo stesse per succedere, così, quando alla fine Sanak lo attaccò, l’unica
cosa che poté fare fu saltare lateralmente per evitare il colpo.
«Che ti prende,
fratello?»
«Quante volta
dovrò ripetertelo?» replicò Sanak fissandolo con ostilità «Tu e io non siamo
fratelli!».
Al secondo attacco,
stavolta molto più pericoloso e potenzialmente mortale, Toshio si vide
costretto a reagire, e materializzata la spada la usò per fermare un secondo
fendente.
«Perché stai
facendo questo?» chiese intraprendendo un violento scontro di forza
«Siamo solo
all’inizio!».
Istintivamente
Keita e Nadeshiko cercarono di intervenire, ma Takeru fermò entrambi.
«Aspettate. Non è
il caso.»
«Ma, Takeru…»
disse Keita
«Questo è il suo
scontro. Noi dobbiamo restarne fuori.»
«Però…» balbettò
Nadeshiko.
Lo scontro fra i
due fratelli si fece in pochi minuti estremamente violento, ma a differenza di
Sanak Toshio non sembrava avere alcuna intenzione di attaccare, limitandosi a
rimanere sulla difensiva lanciando solo occasionalmente qualche attacco che
però risultava facilmente schivabile.
«Che ti succede,
Toshio?» domandò Sanak intraprendendo un nuovo scontro di forza «Non sai fare
meglio di così?»
«Sanak… non
posso…»
«Non puoi cosa?
Combattere con me? A tal punto mi ritieni inferiore?».
Allontanato con rabbia,
Toshio ricevette un calcio così potente da farlo volare via come una foglia
secca, e sfondato il vetro panoramico precipitò sopra un piccolo aereo
turistico prima di cadere definitivamente sull’asfalto; la sua forza e la sua
esperienza gli salvarono le ossa, ma fu comunque un colpo durissimo.
Con un nuovo salto
Sanak lo raggiunse proprio mentre cercava, a fatica, di rimettersi in piedi.
«Sanak…
ascoltami…»
«Il tempo delle
parole è finito da un pezzo per noi due».
Il fratello minore
attaccò per l’ennesima volta, e stavolta sembrava seriamente intenzionato a
chiudere la partita, ma inaspettatamente questa volta la reazione di Toshio fu
determinata e massiccia di prima, tanto che, dopo aver parato il fendente, mise
tanta di quella forza nel respingere l’arma del nemico che Sanak per poco non
cadde all’indietro.
«Mi costringi a
difendermi.»
«Era ora che
facessi sul serio».
Da quel momento in
avanti la reazione di Toshio fu più determinata e organizzata, anche se
continuava insistentemente a difendersi, impegnando il fratello in alcuni
scambi per poi allontanarsi improvvisamente, forse nel tentativo di stancarlo.
La loro corsa
senza fine da una parte all’altra li condusse ad un certo punto prima sull’ala
e poi sul tetto di un enorme jumbo, e nel frattempo Keita e gli altri avevano
raggiunto a loro volta le piste, continuando però a rimanere in disparte.
«Sono davvero
colpito.» disse Sanak in un momento di tregua «L’ultima cosa che mi aspettavo
da te era che rimanessi così ostinatamente sulla difensiva. Cosa è mai successo
in questi anni per farti cambiare fino a tal punto?»
«Sanak. Ti ho
detto che non voglio combattere con te.»
«Questa tua
compassione ha sempre avuto un unico effetto, quello di farmi irritare oltre
ogni limite. Se è l’istinto fraterno a trattenerti, allora faresti meglio a
ricordarti che tu e io fratelli non lo siamo mai stati.»
«Forse non di
sangue. Ma dal punto di vista del legame, io ti ho sempre considerato come un
fratello.»
«Ma davvero?»
replicò Sanak con marcato sarcasmo «E come fai ad esserne così sicuro, visto
che i tuoi ricordi si fermano a tre anni fa?»
«Ricordo quello
che basta. So bene di non possedere il tuo stesso sangue, e di non discendere
come te dalla gloriosa dinastia dei sovrani di Nepthys. Questo però non cambia
nulla fra noi due. Sei mio fratello, e nessuno mi convincerà mai del
contrario.»
«Se davvero
ritieni di essere mio fratello, allora dovresti capire il motivo del mio odio
verso di te. Come hai detto tu, io sono l’ultimo discendente della stirpe reale
di Nepthys. Fin da quando sono stato in grado di camminare mi sono dedicato
anima e corpo al raggiungimento della perfezione. Poter partecipare a questo
torneo è il sogno di ogni abitante della nostra città. Era anche il mio, ma poi
sei arrivato tu e me l’hai portato via!»
«Io capisco quello
che provi, e capisco che tu ti senta offeso oltre ogni limite, ma se vuoi
credere alle mie parole sappi che mi dispiace molto per quello che hai dovuto
passare quando nostro padre ha deciso di farmi partecipare a questo torneo al
posto tuo.
Io ho cercato in
tutti i modi di convincerlo che eri tu la persona più degna a ricoprire questo
ruolo, ma lui non ha voluto sentire ragioni.»
«Sei patetico. Non
avrei mai pensato che potessero esercitare su di te un simile controllo.»
«Non ti sei mai
soffermato a pensare quanto ci sia di incomprensibile e di irrazionale negli
eventi che si sono mossi attorno a te negli ultimi tre anni?»
«Di che stai
parlando?»
«Come hai
puntualizzato così diligentemente, tu non sei figlio di nostro padre, e la
gente di Nepthys va’ oltremodo fiera della propria identità culturale, oltre
che delle proprie tradizioni. A tal proposito, non ti pare strano che tu, uno
straniero, una persona senza una sola goccia di sangue reale nelle vene, sia
stata scelta per rappresentare la nostra città al grande torneo?».
Toshio a quel
punto si ritrovò del tutto spiazzato, e per la prima volta da che ne aveva
memoria si trovò a riflettere su questo piccolo quanto problematico
particolare.
Suo fratello aveva
fin troppo ragione, e se ne rendeva conto solo in quel momento: come mai un
popolo così attaccato al suo nome e alle sue usanze aveva scelto lui, che come
unico legame con il villaggio aveva il fatto di esserne stato adottato.
Non era nessuno:
persino il suo nome non era locale. Suo padre gli aveva lasciato il nome
originale, che stando al suo racconto era cucito sui vestiti che indossava
quando, da piccolo, fu salvato da quella banda di predoni.
Inutile dire che
questo lo aveva fatto sempre sentire un diverso, impedendogli di intrecciare un
rapporto vero con qualunque persona al di fuori della sua famiglia, il che
aveva finito per far germogliare in lui un carattere freddo ed introverso.
Forse era in
questo che sentiva di essere maggiormente cambiato da che aveva avuto inizio il
nuovo torneo; dopo aver conosciuto Keita e gli altri aveva cominciato a
sentirsi parte di un gruppo, con tutte le gioie e i dolori che da esso potevano
derivare. Per la prima volta si era preoccupato seriamente per la sorte di chi
gli stava vicino, aveva sentito di non essere solo e, come ultimo, si era anche
innamorato.
Tutte cose che
aveva ritenuto impossibili, ma che si erano verificate.
Perché allora non
poteva andare d’accordo con suo fratello?
Il desiderio di
riappacificarsi con Sanak era in gran parte offuscato dalla miriade di quesiti
e misteri irrisolvibili che lo stesso Sanak gli stava mettendo in testa, e mai
come in una simile occasione distrarsi poteva risultare una pessima mossa.
Sanak approfittò
al volo dell’occasione, e scagliatosi sull’avversario superò senza problemi la
sua debole difesa per poi assestargli un nuovo calcio che lo sbalzò con forza
giù dall’aereo per poi farlo rotolare malamente sull’asfalto.
Questa volta la
caduta, forse a causa della perdita di concentrazione, risultò più dolorosa,
anche se non vi furono conseguenze di rilievo, ma Toshio fece non poca fatica
per trovare la forza anche solo per mettersi in ginocchio, e appena fu in grado
di alzare lo sguardo vide Sanak ad una decina di metri da lui.
«Sanak…»
«Laverò via la
macchia che infanga l’onore del nostro popolo da migliaia di anni.» disse il
ragazzo preparandosi a scattare «E lo farò… proprio ora!»
«Adesso basta!»
gridò una voce impossibile da ignorare, e subito dopo Nadeshiko si piazzò come
un muro in difesa di Toshio con braccia e gambe allargate e uno sguardo più
determinato che mai.
Sanak, vedendola,
esitò, non tanto per l’essersi trovato improvvisamente a tu per tu con qualcuno
che stava imprudentemente mettendosi in mezzo nei suoi affari, quanto piuttosto
perché aveva la sensazione che quella ragazza gli ricordasse qualcuno.
«Na… Nadeshiko…»
«Questo è troppo.
Due fratelli non dovrebbero provare un simile risentimento l’uno verso l’altro,
né tantomeno litigare fra di loro in modo tanto violento.»
«Come!?»
«Forse non potrò
mai capire quello che tu stai provando, ma avendo anch’io una sorella so
benissimo che a volte si può essere in disaccordo, ma alla litigata deve
seguire sempre la riappacificazione.
E non importa se
Toshio non è tuo fratello di sangue, perché questo non cancella minimamente il
legame che vi unisce.»
“Chi diavolo è
questa ragazzina?” pensò Sanak vedendo la sua determinazione “Non sembra avere
paura. Al contrario. Nei suoi occhi c’è la speranza.”
«Toshio forse ti
ha ferito, e tu sicuramente hai ferito lui con il tuo comportamento, ma per
quanto grave sia la colpa che tu gli attribuisci non hai il diritto di
prendertela con lui! Non ha chiesto lui di prendere il tuo posto e di
partecipare a questo torneo!».
Ad un tratto, non
potendo fare a meno di perdersi al loro interno, furono proprio quegli occhi a
far gelare il sangue nelle vene del ragazzo, lasciandolo per un istante senza
fiato.
“Quello… quello
sguardo…”.
Lo riconosceva! Lo
avrebbe riconosciuto anche a distanza di millenni!
Non potevano certo
essere i suoi, ma quegli occhi, così carichi di purezza e di determinazioni,
rassomigliavano tanto a quelli di una persona a lui molto cara, la sola, forse,
a cui lui fosse mai stato realmente affezionato, e della quale sentiva
enormemente la mancanza.
“Ma… madre…”.
Quante volte aveva
visto quello sguardo, quanto lo aveva cercato.
Da piccolo Sanak,
nel puro rispetto della tradizione di famiglia, era stato una testa calda,
sempre pronto ad attaccar briga con chiunque fosse disposto a dimenticare il
suo ruolo di principe per intavolare con lui un’accesa discussione a suon di
pugni.
E ogni volta che
tornava a casa coperto di ferite e lividi era sua madre, la regina, che si
faceva carico di rimetterlo insieme, ma per quanto, durante la medicazione, non
smettesse di fargli presente quanto fosse sbagliato combattere solo per il
gusto di farlo, in realtà il suo non era mai un rimprovero.
Sua madre era
severa, ma alle sgridate e alle punizioni preferiva sempre la compressione e la
compassione, ed esse, combinate a quei suoi occhi di smeraldo, risultavano
disarmati, capaci di soggiogare Sanak fino a reprimere il suo spirito battagliero
almeno per un po’, quel tanto che bastava per tornare in piena forma.
Anche Keita e gli
altri si pararono a quel punto in difesa del loro compagno, ma ormai Sanak
sembrava aver abbandonato ogni proposito di attaccare, pur sforzandosi di
mascherare quelle che erano le loro vere emozioni.
Toshio, che non
voleva in nessun modo mettere in pericolo la sicurezza dei suoi amici,
rimessosi in piedi si portò a sua volta davanti a loro, ma suo fratello, invece
che muovere un nuovo assalto, rinfoderò la spada e gli diede le spalle.
«Ne ho
abbastanza.» disse allontanandosi «Ci rivedremo.» e con un salto scomparve sul
tetto dell’aeroporto.
I danni
all’edificio e agli aerei si ripararono a tempo di record, il fuuzetsu si
sciolse e il tempo riprese a scorrere come se nulla fosse accaduto.
Keita e i suoi
compagni stettero a lungo immobili come statue, guardandosi ora attorno ora tra
di loro alla ricerca di risposte; Toshio era visibilmente scosso, e rimaneva in
silenzio con lo sguardo basso e lo sguardo segnato dall’amarezza.
Nadeshiko avrebbe
voluto andare da lui per consolarlo, ma Keita, presala delicatamente per un
polso, le fece cenno di no.
«Adesso è troppo
scosso. Parlargli sarebbe inutile. Aspettiamo che si calmi».
Qualche ora dopo, finalmente, i ragazzi furono in grado di
prendere il volo alla volta di Londra, un viaggio segnato dal silenzio
piuttosto che dall’attesa e dall’ottimismo, come si era inizialmente sperato.
Takeru e Shinji
sedevano alla fila B, l’uno accanto all’altro, Keita e Nadeshiko subito davanti
e Toshio qualche posto più indietro, accanto ad un posto vuoto.
Seguendo il
consiglio di Keita Nadeshiko evitò di intavolare una qualsiasi discussione con
Toshio, ma ogni volta che si girava a guardarlo non intravedeva il benché minimo
miglioramento in lui: se ne restava insistentemente seduto al suo posto, con le
braccia conserte e la testa placidamente appoggiata sul finestrino.
La comparsa di suo
fratello doveva averlo molto colpito, ma a turbarlo ancora di più dovevano
essere state sia la sua violenta reazione sia le parole oscure che gli aveva
rivolto prima di andarsene.
Ormai non poteva
più sopportare di vederlo in quello stato, e considerato che, poco dopo i
pasti, Keita si era addormentato, mentre Shinji e Takeru sembravano farsi i
fatti loro, la ragazza lasciò il proprio sedile e raggiunse quello su Toshio;
lui era così sovrappensiero che non si accorse della sua presenza fino a quando
non fu seduta al suo fianco.
«Nadeshiko. Mi hai
fatto paura, non ti avevo vista.»
«Vuoi parlare? In
casi simili confidarsi è il modo migliore per risollevarsi un po’».
Toshio
temporeggiò, indeciso sul da farsi, poi guardò fuori dal finestrino.
«Sapevo che i
rapporti fra me e Sanak non erano dei migliori, ma non avrei mai immaginato che
si sarebbe spinto a tanto.»
«Mi domando perché
tuo padre gli abbia permesso di venire qui in Europa, visto tutte le difficoltà
che stai già affrontando nel partecipare al torneo.»
«Lui e nostro
padre non si parlano quasi più dal giorno in cui è stata ufficializzata la mia
nomina a rappresentante del nostro clan in questo torneo. Probabilmente lui non
sa che Sanak adesso si trova qui».
Seguì un nuovo
silenzio, poi Nadeshiko guardò a sua volta le nuvole dense e compatte che si
stagliavano al di sotto dell’aereo.
«Come ti ho già
detto un po’ di tempo fa, i rapporti tra fratelli possono essere difficili, ma
se c’è una cosa bella dell’essere fratelli è che il diverbio, per quanto acceso
possa essere, prima o poi è destinato a finire. Sanak è pieno di rancore, ma
non devi sentirti in colpa per questo. Tu non hai fatto niente per meritarti il
suo odio, e anzi è ammirevole il tuo voler cercare la riappacificazione.
Vedrai che, prima
o poi, anche Sanak lo capirà, e allora sentirà quanto e più di te il bisogno di
fare la pace. Devi solo avere pazienza, e confidare nel tempo».
Toshio parve
convincersi, ma il rapporto burrascoso con il fratello era solo uno dei
problemi che non smettevano di tormentarlo da che Sanak se n’era andato.
«Quello che ha
detto… è in parte vero.
Mi è capitato di
domandarmi perché mai nostro padre abbia preferito me a lui. Ho sempre pensato
che fosse una questione di età, ma ora che me l’ha fatto notare mi rendo conto
che ci sono troppe incognite in questa vicenda.»
«A cosa ti riferisci?»
«Da generazioni il
clan di Nepthys viene rappresentato al grande torneo da guerrieri appartenenti
ai ceti più nobili dell’alta aristocrazia.
È stato così fin
dal tempo dei faraoni, da quando il torneo venne istituito.
I miei
predecessori erano tutti di alto lignaggio, legati in un modo o nell’altro da
vincoli di sangue con la famiglia reale.
Io invece non
posseggo niente di tutto ciò.
Sono solo un
orfano, cresciuto da una famiglia che non era la mia e fra genti che non sono
le mie.
E allora perché
sono stato scelto? Perché ad una persona come me, che non ha nulla da spartire
con il clan di Nepthys, è stato fatto un tale onore?».
Il ragazzo si
guardò le mani, stringendole poi con forza.
«Ho sempre avuto
la sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato negli eventi che da anni mi
ruotano attorno, ma questa è la prima volta che il pensiero di essere coinvolto
in qualcosa di cui non comprendo il disegno mi fa sentire così a disagio, per
non dire in collera.»
«Queste purtroppo
sono domande a cui trovare una risposta potrebbe essere molto difficile.»
replicò gentile Nadeshiko prendendo uno dei due pugni fra le sue mani e
provocando in Toshio un imbarazzo più che visibile «E l’unica persona in grado
di farlo sei tu.
Forse, e spero
tanto che sia così, il proposito di Sanak era solo quello di confonderti, di
farti vedere un problema molto più grande di come sia in realtà. I tempi
cambiano, e gli animi maturano; forse tuo padre ha voluto premiare il tuo
valore e la tua dedizione, forse non era sicuro che Sanak potesse essere un
buon candidato. Le ipotesi per giustificare una tale decisione sono molteplici.
Ma se come
sostieni tu si tratta di qualcosa che va’ oltre la tua comprensione, allora
dovrai sforzarti di trovare quelle risposte.»
«E se quelle
risposte non mi piacessero?»
«Passare la vita a
rimuginarci sopra sarebbe peggio. Quando le avrai trovate deciderai. E se
davvero saranno terribili, difficili da accettare, non pensare mai neanche per
un secondo di essere solo.
Io, Keita e gli
altri saremo sempre pronti ad offrirti il nostro sostegno, di questo puoi
essere sicuro».
Non c’era niente
da fare, quella ragazza aveva un talento naturale per risollevare e rinfrancare
gli animi altrui: era come una luce calda portatrice di benessere alla quale
anche gli animi più oscuri e piegati dal dolore finivano per soccombere.
A Toshio, inoltre,
quello sguardo gentile aveva l’effetto di risollevarlo almeno per un po’ da
tutti i suoi dubbi e le sue pene, per quanto gravi e opprimenti potessero
essere, tanto che, alla fine, riuscì a trovare persino la forza per ostentare
un po’ di ottimismo.
«Hai ragione. E
poi, al momento, ho ben altre cose a cui pensare.
Quando questo
torneo sarà finito affronterò Sanak una volta per tutte e convincerò mio padre
a dirmi tutta la verità. Forse non sarà una verità piacevole, ma almeno l’avrò
saputa.»
«Bravo. È questo
lo spirito giusto.»
«Grazie,
Nadeshiko.»
«Figurati.»
rispose lei sorridendo «È sempre un piacere».
Da quel momento in
poi Toshio si sentì molto più rilassato, abbastanza da riuscire, dopo pochi
minuti, ad addormentarsi; e non solo lui, ma tutti gli occupanti dell’aereo,
uno dopo l’altro, caddero in un sonno profondo e piacevole, come cullati da
mani invisibili e gentili. Le hostess che in quel momento stavano ritirando i
vassoi si accasciarono lungo il corridoio, e anche i piloti furono colti dal
sonno senza neanche rendersene conto, lasciando il controllo dell’aereo nelle
mani di una forza sconosciuta.
Londra
Erano passati tanti anni dall’ultima volta che Atarus
aveva sostato in quel luogo.
Già altre volte
aveva fatto ritorno a Londra, se non altro semplicemente per fare visita a suo
figlio William, che lontano dagli intrighi e dai pericoli del suo villaggio
natio cresceva come un bambino qualsiasi, accudito da una famiglia fedele al
sovrano e guardato a vista da un esercito di soldati pronti a morire per
difenderlo, ma mai aveva avuto il coraggio di andare proprio lì, dove tutto
aveva avuto inizio.
Vestito ora come
un qualsiasi giovane uomo della capitale inglese, rimaneva immobile e in
silenzio ad osservare quella vecchia panchina in legno e ferro, una delle tante
che si trovavano lungo il viale principale del parco, ai piedi di un lampione.
Era primo pomeriggio, e c’erano solo poche
persone, soprattutto turisti e abitanti in cerca di un po’ di refrigerio dopo
giorni e giorni di caldo insolitamente opprimente; soffiava una bella arietta
fresca, qualche nuvola innocua sostava sulla città e il cielo era tinto di uno
splendido colore azzurro, preludio ad una notte che sarebbe stata sicuramente
altrettanto straordinaria.
Quanti anni erano
passati dall’ultima volta che Atarus si era per lo meno sforzato di godersi
quei piccoli piaceri che la gente comune, al di fuori della frenesia e della
corsa sfrenata che caratterizzavano abitualmente la società moderna, riusciva
ogni tanto a godersi?
Ma, soprattutto,
quando era stata l’ultima volta che aveva pensato veramente alla sua amata Helen,
la ragazza che per un attimo, per un solo attimo, lo aveva fatto sentire una
persona migliore di quella che era diventato?
Helen era come una
rosa, una rosa capace di far nascere fiori anche dalle sterpi che aveva
intorno, proprio come aveva fatto con lui.
Quel fiore, però,
aveva finito per appassire, ma forse, per qualche motivo misterioso, negli
ultimi giorni sembrava stare timidamente tornando a vivere.
Atarus non sapeva
cosa pensare, cosa fare. Negli ultimi tempi nella sua mente c’erano solo Helen,
oltre al suo unico e, aveva finito per scoprire, adorato figlio William.
Qualche giorno
prima, subito dopo essere tornato a Londra, guidato lì da una forza sconosciuta
che lo aveva spinto a tornare, era andato a trovarlo, pregando i suoi guardiani
di non informare il re della sua visita, e appena aveva posato gli occhi sul
bambino il cuore aveva minacciato di uscirgli dal petto.
Il piccolo William
aveva i capelli neri del padre, ma il volto e lo sguardo, color zaffiro, erano
quelli della madre, che sembrava quasi vivere attraverso di lui.
William non aveva
mai veramente visto suo padre, essendo stato separato da lui dopo pochi mesi di
vita, eppure, appena il guerriero aveva raggiunto il salotto dove il piccolo
stava giocando, questi guardandolo gli aveva sorriso, e allungatosi timidamente
verso di lui aveva manifestato il suo desiderio di essere preso in braccio, una
cosa che però Atarus non era riuscito a fare, troppo atterrito e scosso da quel
viso così famigliare e carico di rimpianti.
Eppure,
incontrando William, Atarus aveva ricominciato dopo molto, troppo tempo, a
provare i sentimenti che mai avrebbe pensato di possedere ancora: quel bambino
era così innocente, mai si sarebbe detto che suo padre avesse così tante anime
innocenti sulla coscienza, anime innocenti la cui forza era andata a ritemprare
la sua.
Quelle anime, che
a lungo erano state messe a tacere, avevano improvvisamente ripreso ad urlare
con forza, e le loro grida erano cariche non solo di rabbia, ma anche di
ammonimento e rimprovero.
Era come un
assordante rumore in sottofondo che non gli dava tregua e che minacciava di
farlo impazzire.
D’un tratto Atarus
avvertì distintamente il manifestarsi di una presenza alle sue spalle, una
presenza famigliare, e riconoscendola non osò voltarsi.
«È questo il luogo
in cui vi siete conosciuti?»
«Sei di nuovo
qui.»
«Avevo voglia di
rivederti. Il nostro ultimo incontro è stato troppo fugace. Inoltre, avevo la
sensazione che tu avessi bisogno di una luce che rischiarasse le tenebre che al
momento attanagliano la tua mente».
Vi fu un istante
di silenzio, poi Atarus parve sfoggiare uno dei suoi sorrisi sarcastici, ma
decisamente meno sinistri di quelli che aveva riservato in passato ai suoi
nemici.
«Questa tua vocina
così pacata e autoritaria al tempo stesso è alquanto irritante, te l’hanno mai
detto.»
«La voce della
coscienza risulta spesso irritante, soprattutto se la si è ignorata per molto
tempo.»
«Cosa ti fa
credere che io abbia una coscienza?»
«Il fatto che tu
sia venuto proprio qui».
Il lanciere
stavolta si ritrovò del tutto spiazzato, strinse i pugni e digrignò leggermente
i denti.
«Io comprendo ciò
che si agita in questo momento dentro di te.
Sei combattuto fra
passato e presente, fra ciò che credevi e ciò che credi. Guardandoti indietro,
ti rendi conto di giudicare le tue passate azioni con sentimenti nuovi, e ti
domandi come sia stato possibile per te commettere atti tanto orribili.
In pochi sono
coloro che accettano di confrontarsi con un simile fardello, e ancor meno sono
coloro che riescono a superarlo».
Per la prima volta
da quando aveva visto Helen spegnersi dinnanzi a lui, gli occhi di Atarus
furono bagnati da delle lacrime che, scorrendo lungo le guance, si infransero
sul selciato.
«Perché? Perché è dovuto
succedere tutto questo?
La vita di prima
mi andava più che bene! Perché ora mi faccio schifo da solo!»
«Se è il perdono
che cerchi, mi dispiace, ma credo sia qualcosa al di là della portata non solo
tua, ma di chiunque si sia trovato nella tua situazione.
Tutto il tuo
rammarico e il tuo odio per la vita passata non potranno mai compensare i
crimini di cui ti sei reso responsabile.
L’unica strada che
tu possa percorrere, la sola che si dipana dinnanzi a te, e che può permetterti
di riguadagnare la luce, è quella della redenzione.
Vai avanti. Il dolore
e il rimorso per ciò che sei stato saranno la tua penitenza da qui e per tutto
il tempo a venire, ma sarà grazie a loro che tu diventerai il più strenuo ed
incrollabile sostenitore della causa che tu e gli altri partecipanti al torneo
incarnate da migliaia di anni.
Combattendo in difesa
di quella razza umana che fino ad oggi hai sempre odiato troverai nuova vita, e
forse un giorno, quando sarai stato capace di perdonarti per il male commesso, anche
le anime di coloro che hai condotto alla morte riusciranno a fare altrettanto.»
«Perché sei così
convinta che cambierò?» domandò Atarus con una voce a metà fra la commozione e
la rabbia repressa
«Te l’ho già
detto. Perché hai accettato di ascoltare la voce della coscienza».
Questa volta fu la
misteriosa ragazza a fare una pausa, ma pur non potendola vedere in volto
Atarus era certo che su di esso si stessero dipingendo malinconia e rimpianti.
«Ad ogni modo, io
forse non sono la persona più qualificata per parlare di redenzione.
In fin dei conti
ogni lacrima versata, ogni vita spezzata a causa di questo torneo è la
conseguenza delle scelte sbagliate che feci allora.
Ma io ti prometto
e ti giuro solennemente che questa guerra logorante giungerà presto alla fine.
Gli esseri umani
hanno sofferto anche troppo a lungo le conseguenze della mia ingenuità».
Seguì un nuovo,
lungo silenzio, durante il quale entrambi i ragazzi rimasero immersi nei propri
pensieri.
«Toshio e i suoi
amici stanno venendo qui, a Londra.»
«Perché me lo stai
dicendo?» domandò Atarus dopo un momento di incredulità
«Perché voglio che
tu faccia la tua scelta. Ormai non c’è più molto tempo».
Atarus strinse
nuovamente i pugni, combattuto fra molteplici sentimenti.
«Hai ascoltato la
voce della coscienza, e hai accettato di aprirle la porta. Ora… non lasciarla
fuori».
Detto questo la
ragazza scomparve, lasciando il lanciere solo e con la testa piena di pensieri.
Negli ultimi giorni la giovane Yuuhi passava molto del suo
tempo rinchiusa nella propria stanza, situata in un’ala appartata del castello
dei Von Karma, del tutto inavvicinabile per chiunque.
Anche prima che si
risvegliassero in lei le memorie di Atropo era solita
attraversare momenti di rabbia e di ribellione assoluti durante i quali era
solita isolarsi dal mondo anche per diversi giorni, vittima di una rabbia
incontrollata che la portava ad accanirsi senza remore su tutto quello che le
capitava a tiro.
Tutto ciò accadeva
soprattutto quando, per una ragione o per l’altra, le tornavano alla mente le
condizioni non proprio felici in cui era stata costretta a vivere.
Ultima di tre
sorelle, era nata in una famiglia del ceto medio, ma non si può dire che
ricordasse qualcosa dei suoi genitori.
Il padre era un
membro di medio rilievo della yakuza
che per un breve periodo aveva potuto contare su una discreta rendita ma che
quando il suo clan era stato sconfitto in una faida sanguinosa non ci aveva
pensato due volte a fare i bagagli e ad emigrare negli Stati Uniti dove, nel
corso di un nuovo scontro, si era ritrovato con una palla in fronte.
La madre invece
era tutto sommato una brava persona, figlia di un altro boss della malavita
che, poco dopo la partenza del marito, impostole dalla famiglia per ragioni di
alleanza, aveva pagato a caro prezzo il sangue che le scorreva nelle vene, venendo uccisa per ritorsione dalla stessa banda che dì lì a
poco avrebbe portato alla scomparsa del clan paterno.
Yuuhi si era
ritrovata così orfana a soli sei mesi, e di colpo tutte le responsabilità erano
passate alla sorella maggiore, Minami, che allora aveva diciannove anni.
Senza pensarci
troppo su la ragazza aveva lasciato l’università e, rimboccatasi le maniche,
aveva per prima cosa venduto la casa di famiglia, ricavandone quanto necessario
a comprare un appartamentino a Tokyo nella zona di Shinjuku, dove occasioni di
lavoro part-time certamente non ne mancavano.
Spaccandosi la
schiena nei lavori più disparati Minami era riuscita a
garantire alle sue sorelle, rispettivamente di quindici e quasi venti anni più
piccole di lei, un’istruzione decorosa, ma lo spettro delle loro origini
gravava come un macigno su chiunque le conoscenze, e a pagarne le conseguenze
maggiori era stata proprio Yuuhi, la sola a non conoscere la verità sui suoi
genitori e sul modo in cui erano morti.
Un giorno, in
sesta elementare, un ragazzino invidioso del genio della sorella minore, che
aveva dimostrato di possedere un eccezionale quoziente intellettivo, le aveva
sbattuto ogni cosa in faccia davanti a tutta la classe, e le conseguenze di una
così shockante rivelazione si erano immediatamente manifestate: Yuuhi, che fino
ad allora era stata una ragazzina introversa ma
gentile, divenne di colpo fredda e spietata, disposta a tutto per ottenere ciò
che voleva, pessimista e malevola nei confronti di ogni cosa e, soprattutto,
infuriata con un mondo che, a suo modo di vedere, aveva trattato lei e le sue
sorelle nel peggior modo possibile, incolpandole di qualcosa che non avevano
fatto e mettendole in disparte per questioni che non le avevano mai riguardate.
Quando poi la sua
coscienza come Atropo si era risvegliata, nel momento in cui le due metà del
suo spirito erano state riunite dall’apertura del Libro dell’Oscurità, il suo
odio era aumentato a dismisura, poiché alla rabbia per la vita che era stata
costretta a sopportare si aggiungevano quella delle
migliaia e migliaia di anni che aveva trascorso rinchiusa nelle pagine del
libro e quella, ben più grande, verso l’intero genere umano, responsabile
secondo lei di tutte le sue sventure.
La serie
preoccupante di sconfitte che avevano caratterizzato i suoi compagni non avevano fatto altro che accrescere ancor di più la sua
furia, ma un elemento in particolare del gruppo che ormai costituiva una vera
spina nel fianco dei piani di Seth catalizzava su di sé tutto l’odio della
ragazza, desiderosa più che mai di combatterlo e farlo a pezzi.
Avrebbe tanto
voluto ottenere l’autorizzazione a procedere, ma nell’ultima riunione Seth era
stato categorico: salvo sua delibera, qualsiasi atto di aggressione verso i
partecipanti al torneo era tassativamente vietato, pena una severa punizione.
Eppure, malgrado
Atropo non avesse mai disubbidito ad un ordine del suo
signore, almeno per quello che riusciva a ricordare distintamente della sua
vita di milioni di anni prima, per la prima volta sentiva di voler trasgredire,
perché il solo pensare a quella persona bastava a farla uscire dai gangheri.
Forse sua sorella
Minami aveva intuito le sue intenzioni, perché quella sera capitò in camera di
Yuuhi proprio quando questa era sul punto di prendere l’iniziativa e mettere in
atto il suo piano.
«Il maestro è
stato chiaro.» disse ferma sull’uscio della porta «Hai già dimenticato cosa è
successo a Thanatos?»
«Lui ha detto di
non toccare i partecipanti al torneo.» rispose Yuuhi senza neanche voltarsi e
col suo solito tono freddo «E il mio obiettivo non è quel rompiscatole di
Toshio.»
«Potresti andare
incontro a conseguenze molto serie, a questo non ci hai pensato?»
«Non
ho paura di rischiare, Lachesi, e non mi tiro indietro. Non sono come te».
Era
un’affermazione molto cruda, e per certi versi estremamente
crudele, che lasciò Minami per un attimo interdetta; probabilmente Yuuhi
faceva riferimento all’atteggiamento passivo e arrendevole che era costretta a
tenere verso datori di lavoro e superiori in generale per riuscire a conservare
il lavoro.
Non a caso era
stata costretta a fare ricorso al suo charme e al suo indubbio fascino per scongiurare un licenziamento o poter ottenere qualche soldo
in più in modo da garantire se non altro qualche svago alle sue sorelle.
Recentemente era
riuscita a sfruttare i pochi esami di economia aziendale sostenuti
all’università per farsi assumere come impiegata di banca, un lavoro tutto
sommato discreto, ma per poter convincere il direttore
ad assumerla con le sue poche referenze aveva dovuto faticare non poco, e per
un attimo aveva avuto paura di doverci finire a letto.
Ciò nonostante,
Yuuhi non era mai stata così sarcastica e malevola; le sue sorelle erano le
uniche con le quali si comportava almeno con
normalità, ma ormai anche quel muro sembrava essersi infranto.
«Quand’è che la
ragazzina gentile e riservata si è trasformata in una calcolatrice fredda e
senza sentimenti?».
Yuuhi inizialmente
rimase immobile e in silenzio, poi, giratasi, guardò Minami con una freddezza e
un risentimento inconcepibili se rivolti alla propria sorella.
«Forse il giorno
in cui ho scoperto la verità che tu hai voluto tenermi nascosta.» disse, e
materializzato il proprio circolo magico scomparve al
suo interno, lasciando Minami sull’orlo delle lacrime.
Di tutte le città che Keita e gli altri avevano visitato
dall’inizio del loro incredibile viaggio per l’Europa, Londra era sicuramente
la più frenetica.
La capitale
inglese, per quanto bella e affascinante, era caratterizzata da una frenesia e
da un traffico a dir poco spaventoso, che i mezzi pubblici solo in parte
riuscivano a smaltire.
Servirsi della
metropolitana permetteva di passare al di sotto di
quelle strade spesso intasate, ma dopo essersi rinchiusi in un hotel,
naturalmente di gran lusso, nei pressi di Trafalgar Square
i ragazzi per due giorni avevano evitato di uscire, preferendo guadagnare tempo
per radunare le forze e farsi trovare pronti qualora il nemico si fosse
presentato.
La mattina del
terzo giorno Toshio si svegliò piuttosto tardi, avendo speso gran parte
dell’ultima notte ad allenarsi sul tetto dell’edificio, ed
uscito in salotto aveva trovato solo Keita e Takeru, intenti a fare colazione.
«Buongiorno.»
disse con aria ancora assonnata
«Ah, buongiorno
Toshio.» disse Keita «Dormito bene?»
«Più o meno. Sono un po’ intontito, ma niente di serio.»
«Dovresti cercare
di dormire in più.» disse Takeru sollevando lo sguardo dal libro che stava leggendo
«Sì, forse hai
ragione.» replicò Toshio infilandosi un pezzo di pane in bocca e versandosi un
po’ di succo d’arancia appena spremuto «E gli altri dove sono?»
«Shinji è uscito prima
che ci svegliassimo per andare a fare due passi, o almeno così ha scritto nel
biglietto.» rispose Keita «Aria e Lotte sono in perlustrazione, Nadeshiko
invece credo che dorma ancora.»
«Capito.
Beh, se non avete bisogno del bagno, credo che mi farò
una doccia. Ne ho proprio bisogno.»
«D’accordo,
vai pure. Tanto non dovrebbe esserci nessuno».
Con ancora in mano
il bicchiere pieno di succo Toshio si avviò verso il bagno, ma non appena aprì
la porta, venendo investito dall’umidità e da un vapore caldo, restò
paralizzato come una statua di sale, con gli occhi spalancati e la bocca
socchiusa in un’esclamazione di stupore.
Nadeshiko doveva
essere appena uscita dalla vasca da bagno e in quel momento si stava annodando
l’asciugamano sul petto, ma immobilizzata a sua volta dall’improvviso aprirsi
della porta aveva la parte sinistra del corpo quasi completamente scoperta.
Era una di quelle
situazioni nelle quali Toshio non si sarebbe mai voluto
trovare, tanto che persino lui, che solitamente riusciva a mantenere sempre il
controllo e ad inventarsi qualcosa per uscirne sempre e comunque, non aveva la
minima idea di che cosa fare, ma l’espressione terrorizzata e infuriata che si
stava materializzando sul volto di Nadeshiko non lasciava presagire nulla di
buono.
All’improvviso
Keita e Takeru sentirono un grido fortissimo, poi un rumore sordo, come di
qualcosa che andava in pezzi, seguito da un’imprecazione di dolore, e pochi
minuti dopo Keita stava fasciando la testa a Toshio usando i bendaggi rimediati
nella cassetta di pronto soccorso in dotazione alla
stanza.
«Ahi!»
«Smettila di
agitarti, così non riesco a fasciare bene.»
«E
tu cerca di fare più attenzione. Fa già male di suo.»
«Scusa!
Scusa!» continuava a ripetere Nadeshiko, seduta davanti a lui con le mani
giunte, gli occhi chiusi e la fronte che sudava per l’imbarazzo «Non volevo! È
stato un riflesso!»
«Un riflesso!? Mi hai quasi ammazzato!»
«Erano
giorni che non mi facevo un bagno decente, così mi sono alzata prestissimo, e
nella vasca ho perso il senso del tempo. Scusami, ti prego!»
«Certo
però anche tu Toshio, hai la testa più dura del cemento. Ti ha colpito con uno
sgabello; una persona normale sarebbe morta.»
«Invece di fare
del sarcasmo, vorrei ricordarti che sei stato tu a dirmi che il bagno era
libero.»
«Per farmi
perdonare, stasera offrirò fish & chips a tutti, lo prometto.»
«Apprezzo
il gesto, ma temo mi ci vorrà più che un filetto di sogliola per farmi passare
l’emicrania. Ahi!»
«Scusa, errore
mio.»
«Ne stai facendo
un po’ troppi di errori!».
Ignaro di ciò che stava succedendo nell’albergo, Shinji
passeggiava senza meta per le strade attorno al palazzo del Parlamento,
affollate già di prima mattina; era arrivato fin lì prendendo la metropolitana,
e una volta arrivato aveva cominciato la sua camminata incerta e sommessa, ed ogni passo per lui rappresentava quasi un viaggio
indietro nel tempo.
Aveva mentito ai
suoi amici; lui Londra in realtà la conosceva, e anche molto bene, avendoci
fatto più di qualche viaggio anche in tempi piuttosto recenti.
A Keita e gli
altri aveva detto il contrario per evitare che a quella domanda ne seguissero
delle altre, costringendolo in questo modo a rievocare argomenti che non gli faceva piacere rivangare.
Malgrado
tutto però passeggiare per la città gli faceva sempre piacere, perché in
un modo o nell’altro lo aiutava a ricordare le sue origini.
Lui era inglese,
questo non poteva negarlo, così come non poteva negare
tutto ciò che quei suoi capelli biondi e quei suoi tratti somatici avevano
significato per lui negli ultimi anni della sua vita.
Ricordava ancora
molto bene gli sguardi che gli studenti delle medie gli avevano rivolto quando aveva varcato il confine del cortile della scuola, gli
stessi che si era visto piantare addosso nel momento in cui il professore
responsabile della sua nuova classe aveva scritto il suo nome alla lavagna
usando caratteri occidentali.
Shinji Morrison Takeyama; questo era il suo nome completo.
Suo padre, Albert
Morrison, era un giovane e facoltoso imprenditore britannico che con la sua
grande compagnia di telecomunicazioni aveva contribuito notevolmente alla
crescita di Uminari, che prima dell’arrivo suo e di altri capitali stranieri
non era niente più che un piccolo villaggio.
Mentre
sovrintendeva alla messa in piena operatività della filiale di Uminari il signor Morrison aveva conosciuto Suzuka Takeyama, figlia del suo uomo di fiducia lì in Giappone, e
dopo essersi sposati i due si erano trasferiti nel Galles, terra natia del
marito, dove, un anno dopo, era nato Shinji.
Con il passare
degli anni la compagnia di Albert aveva continuato a crescere, costringendolo a
lunghi viaggi in tutto il mondo che spesso e volentieri lo tenevano fuori casa per due o tre mesi. Per un po’ di tempo Suzuka
aveva cercato di adattarsi, ma con un marito sempre assente, che pure tuttavia
si mostrava premuroso e affettuoso, un bambino da crescere, in una terra che
non le apparteneva, la donna aveva infine deciso di tornare in Giappone
portando Shinji, che allora aveva undici anni, a Uminari.
Era l’epoca
dell’apertura all’occidente, l’epoca in cui gli stranieri cominciavano
finalmente a ritagliarsi una fetta di rispetto e di considerazione anche negli
ambienti più conservatori, ma la futuristica e multietnica Tokyo era ben altra
cosa se paragonata ad una città come Uminari, che pur
avendo conosciuto un progresso senza precedenti proprio ad opera di capitali ed
imprese estere rimaneva ancora un po’ troppo attaccata ad idee vecchio stampo.
Malgrado
il suo lignaggio piuttosto influente anche da parte di madre, con il nonno
direttore della filiale locale delle Morrison Industries
e la nonna ultima discendente di una illustre casata locale, Shinji era pur
sempre uno straniero, e come tale veniva guardato il più delle volte con
sospetto e indifferenza.
Più di una volta
la sua nobile nonna era andata a bacchettare il preside o i professori per il
loro atteggiamento classista e la loro tendenza a mostrarsi più severi del
normale con il suo adorato nipote, ma più dell’indifferenza Shinji detestava
l’ipocrisia che i docenti iniziavano a dimostrare nei suoi confronti nei giorni
immediatamente successivi ai colloqui, per poi tornare al punto di partenza nel
giro di una settimana.
Come se non bastasse era un bel ragazzo, quindi non aveva problemi a
conquistarsi le moine e gli sguardi sognanti di molte ragazze, similmente a
come sarebbe successo a Johan pochi anni dopo, ma così facendo si attirava le
ire dei maschi, che non perdevano occasione per rinfacciargli le sue origini
straniere con insulti a volte molto pesanti e scherzi spesso di pessimo gusto.
Inutile dire che
tutto ciò non faceva altro che farlo sentire a disagio, ma in tutti quegli
sguardi freddi ed ostili ve ne erano due che invece lo
facevano sentire a suo agio, ed erano quelli di Keita e Nadeshiko.
Loro forse erano
stati in grado di guardare oltre l’espressione sorridente che Shini usava e continuava nonostante tutto ad usare come un muro per difendersi dagli attacchi esterni,
ed avevano visto la malinconia che invece si nascondeva al di sotto, quella di
un ragazzino che per quanto si sforzasse non riusciva a trovare il suo posto
nel mondo, per quanto ci provasse.
La sua passeggiata
tutto sommato tranquilla e rilassante si fermò davanti
alla vetrina di un piccolo negozio di souvenir che esponeva statuine e altre
suppellettili caratterizzate dall’onnipresenza della bandiera inglese.
Stava quasi per
riprendere a camminare quando, giratosi alla propria destra, fu urtato da
qualcuno che procedeva in senso opposto, evidentemente con la testa fra le
nuvole.
«Excuse me, sir.» si affrettò a dire il ragazzo prima ancora
di vedere chi fosse stato a scontrarsi con lui
«No, it’smyfault.»
rispose una voce femminile gentile ed educata.
Sentendola, Shinji
parve colpito da un fulmine, e come si girò i suoi
occhi si riempirono di stupore.
Ad
urtarlo era stata una giovane ragazza più o meno della sua stessa età, coi
capelli biondi tagliati piuttosto corti e stupendi occhi verdi.
Anche lei,
sollevando lo sguardo, restò visibilmente senza fiato.
«Ashley!?»
«Shinji!?».
Riconosciutisi a
vicenda, i due ragazzi si salutarono calorosamente come gli amici di vecchia
data che erano.
Ashley Graham,
altrimenti nota come Lady Graham, era l’ultima discendente del prestigioso ed omonimo casato, una secolare dinastia di Lord
che da tempo immemorabile dominava la parte meridionale del Galles.
Si erano
conosciuti molto piccoli, poiché i rispettivi padri intrattenevano sovente
rapporti d’affari, e crescendo avevano sviluppato una
grande amicizia, poi Shinji aveva lasciato improvvisamente l’Inghilterra e
tutti i contatti erano cessati.
Per festeggiare
quell’insolita rimpatriata Shinji invitò Ashley in un pub di sua conoscenza
situato poco distante, dove entrambi si concessero una pinta di ottima birra
scura, l’ideale per scacciare il calore di un’estate così incredibilmente
torrida.
«Tu guarda cosa non
combina a volte il caso.» disse Ashley mentre la cameriera portava le birre al
loro tavolo «Tu sei l’ultima persona che mi sarei immaginata di incontrare.»
«La cosa è
reciproca.» rispose Shinji «Ma che cosa ci fai a Londra, se posso chiedere?»
«Siamo venuti qui poco dopo che te ne sei andato. Papà è riuscito ad entrare alla Camera dei Lord, così abbiamo lasciato la
villa del Galles per trasferirci nella nostra proprietà di Londra.
Personalmente
preferivo la cara vecchia residenza di campagna, ma se non altro ho potuto
frequentare degli istituti presgiosi.»
«Posso
capire. Negli ultimi anni sono venuto di tanto in
tanto a Londra accompagnando mio padre, ma anche io posso dire di preferire
senza riserve la splendida campagna gallese.»
«Anche adesso sei
qui insieme a tuo padre?»
«A
dire il vero no. Sono con alcuni amici. In vacanza, se così si può dire.
Mio padre credo
sia a Los Angeles. In questo periodo viaggia molto.»
«Immagino.»
«Cambiando
discorso. Come stanno gli altri? Matthew, Ted, Sarah e il resto della
compagnia?»
«In
gran forma, come sempre. Li sento spesso, e ci incontriamo quando sovente
ritorniamo in Galles. Saranno felici di sapere che ti ho
incontrato. Ma ora, parlami di te. Com’è la vita in
Giappone?»
«Me
la cavo. Ormai sono alla soglia della maturità.»
«Io la maturità l’ho data proprio quest’estate. L’anno prossimo, se tutto
andrà bene, dovrei entrare a Oxford.»
«Davvero!? Anche io vorrei dare l’esame di
ammissione per accedere all’università di Oxford. Contavo di studiare
ulteriormente durante le vacanze estive, ma poi è capitata questa vacanza
inattesa.»
«Non
credo comunque che incontrerai difficoltà, con il talento che ti ritrovi. Chi
dovrebbe ridimensionare i suoi propositi sono io.»
«Non dire così, Ashley. Tu hai molto talento.»
«Ti ringrazio.»
rispose lei accennando una risatina «Vorrà dire che farò il possibile, e con un
po’ di fortuna dall’anno prossimo saremo di nuovo compagni di studio.»
«Lo spero
proprio.»
«Allora?
Hai programmi per oggi?»
«Non che io
sappia.»
«Molto
bene. Allora che ne dici di sfruttare al meglio questa fortunata coincidenza?»
«Non vedo perché
no».
Lasciato il pub i due ragazzi rimasero insieme per tutto il giorno,
perdendosi nei meandri della città e godendosi gli innumerevoli divertimenti
che essa aveva da offrire.
Visitarono la NationalGallery e il museo delle cere, in cui
nessuno dei due era mai stato, sostarono sulle sponde
del Tamigi e di fronte a Westminster, si concessero un pranzo all’inglese in
uno dei tanti localini toccata e fuga disseminati in tutta Londra e trascorsero
il pomeriggio passeggiando per i viali pedonali nei pressi di Greenwich per poi fare un giro sulla ruota panoramica dalla
quale si aveva una stupenda veduta aerea dell’intera città, illuminata dalle
prime luci della sera.
A Shinji piaceva
la compagnia di Ashley, almeno quanto quella di Keita e Nadeshiko, perché
proprio come loro era stata una delle poche persone
capace di guardare oltre le apparenze.
Se in Giappone erano i tratti somatici la fonte del suo malessere, nella
terra natia invece a provocargli un senso di estraneità e a renderlo oggetto
quantomeno di sguardi interrogativi era il suo nome, voluto fortemente dalla
famiglia materna, soprattutto negli ambienti dell’alta società inglese tanto
frequentati dal padre.
Benché la
situazione non fosse mai stata pesante come quella che aveva dovuto sopportare
in un Paese dalla mentalità chiusa e piuttosto retrograda come il Giappone, la
pressione che un atteggiamento tanto singolare provocava su di lui non era
stata del tutto indifferente, benché l’ingenuità tipica del periodo infantile
gli avesse fatto attribuire a ben altri motivi le numerose situazioni
imbarazzanti o enigmatiche nelle quali il suo nome lo aveva condotto.
Ashley invece era diversa, e anzi, quando aveva saputo per la prima volta il
nome del suo nuovo amico aveva detto di trovarlo carino.
A molti anni di
distanza Shinji sentiva le medesime sensazioni quando era in sua presenza, e
stare vicino a lei gli faceva battere il cuore.
Dopo aver cenato
insieme in un ristorante di un certo prestigio, prima di salutarsi, magari al giorno dopo, decisero di fare un’ultima passeggiata
immersi nella quiete e nella tranquillità di Greenwitch
Park, che dopo una certa ora diveniva meno affollato, anche d’estate.
«È stata una
giornata davvero fantastica.» disse Ashley «Mi è
sembrato di tornare indietro nel tempo. A te no?»
«Sì, anche a me.»
rispose Shinji, che malgrado il suo solito sorriso e
l’espressione allegra pareva avere la testa da tutt’altra parte.
In realtà aveva
avuto la medesima impressione, e non ricordava l’ultima volta in cui aveva
trascorso un giorno tanto sereno, lontano da preoccupazioni vecchie e nuove che
nella vita di tutti i giorni non gli davano tregua,
costringendolo a nascondere dietro quel suo sorriso all’apparenza così sincero
i suoi veri sentimenti.
«Sai,
mi torna in mente quella volta in cui ci siamo nascosti nel giardino della mia
tenuta, fra gli alberi del boschetto.
Te lo ricordi
anche tu, vero?»
«E come potrei
dimenticarmelo?» rispose Shinji, che camminava stando qualche passo indietro «Volevamo fare uno scherzo ai nostri genitori, e invece
abbiamo finito per scatenare il finimondo. Stavano quasi per chiamare la
polizia.»
«Ad un certo punto mi sono fatta male scivolando sul
sentiero. Piangevo a dirotto, ma tu hai preso il tuo fazzoletto e lo hai
annodato intorno alla mia gamba, poi mi hai detto qualsiasi cosa accada, io sarò sempre qui per aiutarti».
Shinji questa
volta non riuscì a mantenere il proprio atteggiamento di facciata, e per
fortuna che Ashley stava avanti a lui, altrimenti avrebbe visto l’espressione
stupita comparsa per un istante sul volto del ragazzo.
Ricordava bene
quel momento, così come ricordava i sentimenti e le emozioni che esso aveva
suscitato in lui, e dopo aver passato dieci anni a chiedersi se anche Ashley
avesse provato le stesse sensazioni ora ne aveva la
conferma.
Era così scosso ed atterrito da non accorgersi che la sua compagna si fosse
fermata, tanto da superarla e continuare imperterrito per la sua strada con la
testa piena di pensieri, e solo dietro richiamo della ragazza si avvide di
stare procedendo da solo.
«Ashley?» disse
girandosi, solo per rimanere di sasso.
L’espressione di
Ashley era di incredulità e paura, e rimaneva immobile
come una statua coi piedi uniti e le braccia lungo i fianchi; sembrava ad un
passo dal piangere.
«Che ti succede?»
«Shinji… non
riesco a muovermi.»
«Cosa, ma che…».
Prima che Shinji
potesse finire la frase un circolo magico comparve
sotto i piedi di Ashley, e nello spazio di un secondo Atropo comparve dal nulla
sospesa a mezz’aria con la propria falce già puntata alla gola della ragazza.
«Non muoverti.»
esordì subito dopo essere apparsa «O con un solo colpo apro la gola alla tua
amica.»
«Chi sei?»
«Prova a
indovinare.»
«Sei al servizio
di Seth?»
«Perspicace.»
«Lascia
andare subito Ashley. Lei non c’entra nulla in tutto questo.»
«Non
temere, non le torcerò un capello. Sempre che tu faccia la cosa giusta.»
«Che cosa vuoi da
me?»
«Lo
scoprirai molto presto. Ti aspetto alla banchina numero otto,
sulla sponda sud del Tamigi. Naturalmente devi venire solo.»
«Shinji…» balbettò
Ashley terrorizzata mentre la luce del cerchio
inghiottiva sia lei che Atropo «aiutami…».
Il ragazzo
all’ultimo cercò di accennare una reazione, ma un istante dopo le due ragazze erano scomparse, lasciandolo solo e preoccupato, ma deciso
più che mai a fare quanto era in suo potere per salvare la sua amica.
Shinji arrivò sul luogo prefissato per l’incontro non appena il big bang, in lontananza, segnò lo
scoccare delle undici.
La banchina, come
previsto, era deserta, e all’interno di una sfera di luce fluttuante ad una trentina di metri da terra c’era Ashley, priva di
sensi; sopra di essa, con in mano la propria falce, c’era invece Atropo, che
ghignava di soddisfazione osservando l’espressione preoccupata del ragazzo.
«Molto
bravo. Ci hai messo meno del previsto.»
«Ho fatto quello
che volevi, ora lascia andare Ashley.»
«Con calma, non c’è
fretta.» rispose la ragazzina, che con un salto raggiunse la banchina «Prima
divertiamoci un po’».
Atropo schioccò le
dita, e dai magazzini tutto intorno cominciarono ad
uscire decine di zombi, che in breve circondarono Shinji; alcuni di loro erano
persino armati, più che altro con coltelli, spranghe e altre armi
improvvisante, ma ce n’erano un paio che impugnavano anche delle armi da fuoco.
In comune avevano anche il fatto di essere tutti quasi nudi, con indosso nulla
più che la biancheria intima e, qualcuno, un camice da ospedale.
«Anche tu nutri
l’insana passione di trasformare persone innocenti in non-morti da usare a tuo
piacimento.»
«Non confondermi
con Thanatos.» rispose Yuuhi con espressione
amichevolmente malevola e il tono di chi si sente punto sul vivo «Io non sono
come quella necrofila. Questi corpi provengono tutti dalla sala autopsie della
polizia locale.
Drogati,
rapinatori, assassini. Gente che non merita neppure di andare all’altro mondo.
Questa è sicuramente la migliore delle punizioni per umani tanto abbietti e
privi di morale.
Uccidetelo!».
Alcuni zombi
cercarono di attaccare, ma Shinji li prese in controtempo e, con un solo
calcio, spezzò a metà uno di loro, quindi, evitato un fendente di coltello,
stese facilmente anche il secondo.
Uno di quelli
armato con una pistola tentò di sparargli mentre ne stava sistemando un altro,
ma il ragazzo se ne avvide in tempo e mise il suo avversario ormai morente
sulla traiettoria del proiettile, usandolo come scudo e facendolo morire al suo
posto.
Atropo era
comprensibilmente colpita dall’agilità e dalla
maestria del nemico, ma questo non la impensierì più di tanto, nemmeno quando
Shinji ebbe fatto completamente piazza pulita, lasciando dietro di sé
null’altro che un tappeto di corpi che divennero rapidamente cenere.
«D’accordo,
non sei poi così male. Ma non credere che con me sarà
altrettanto facile».
Detto questo la ragazzina si lanciò a sua volta all’attacco. Aveva un modo
strano di utilizzare la propria falce: sfruttando la curvatura molto marcata
dell’impugnatura, la faceva roteare attorno al corpo come fosse un nunchaku, creando fendenti obliqui estremamente
rapidi e pericolosi.
Tuttavia, subito
dopo aver fatto strage degli zombi, Shinji aveva recuperato quel suo sorriso
enigmatico e, all’apparenza, del tutto fuori luogo, e tutto quello che faceva era schivare gli attacchi, senza però tentare alcun
tipo di reazione.
«Che
diavolo ti prende? Hai paura di contrattaccare?»
«Niente affatto.»
rispose il ragazzo sorridendo innocentemente «È che non è mia abitudine far del
male ad una ragazzina.»
«Una ragazzina!?» tuonò l’interessata visibilmente infuriata «È solo così
che mi vedi, maledetto umano!?
Io sono Atropo,
una divinità! Posso recidere il filo della tua vita quando voglio!»
«Non offenderti,
ma non sei un po’ grande per giocare a fare l’eroina?»
«Tu,
maledetto! Questa me la paghi!».
Yuuhi riprese il
suo attacco in modo ancor più aggressivo e determinato di
prima, ma malgrado tutto Shinji continuava a rimanere insistentemente sulla
difensiva, e quel suo sorriso serviva solo a mandare la sua avversaria ancor
più su di giri.
«Maledetto!»
gridava menando un fendente dietro l’altro «Sempre lì ad
ostentare quel sorrisetto ipocrita! Sempre con quel tuo falso sorriso stampato
in faccia, quella tua giovialità di facciata! Nascondi le tue vere emozioni
recitando la parte del tipo perennemente allegro e senza pensieri! Tu sei il
tipo di persona che maggiormente detesto!».
Forse Yuuhi era
una ragazzina molto avventata e presuntuosa, pensò Shinji durante la seconda
pausa, ma di cose ne sapeva.
«Che
c’è, sei sorpreso? Leggere i ricordi delle persone è una delle mie specialità.
Ti osservo dal giorno in cui sono tornata a vivere, e lasciati dire questo.
Quelli come te,
che nascondono i loro veri sentimenti, gli ipocriti che hanno paura di guardare
in faccia la realtà per quello che è e che lasciano lascano scorrere
imperterriti gli eventi senza fare nulla per cambiarli sono il male peggiore
che questa umanità già marcia di suo possa ostentare».
A quel punto,
finalmente, Shinji si fece serio, molto serio.
«Forse
hai ragione. Forse è vero che non bisognerebbe mascherare i propri sentimenti.
Il fatto è che io non voglio che il dolore che mi porto dentro finisca per far
soffrire anche quelle poche persone che hanno voluto accettarmi per quello che
sono.
Forse hai ragione
nel dire che la mia è una maschera di ipocrisia e
menzogna, e sono io il primo a vergognarmene. Sfortunatamente, almeno per ora,
è una maschera necessaria.»
«Mettiamo pure il
caso che tu indossi questa maschera per non far sapere
agli altri che persona sei realmente. Ciò che mi fa davvero infuriare di te è
che la usi non solo per nasconderti gli altri, ma anche per ostentare la più
assoluta indifferenza nei confronti dei pensieri che sai essere rivolti a te da
tutti coloro che ti stanno attorno.
Esiste qualcosa di
più ipocrita di questo?»
«Purtroppo,
qualsiasi cosa io faccia, questo non cambierà mai pregiudizi ed
opinioni che alcuni hanno cucito su di me nel momento esatto in cui mi hanno
visto.
Il pregiudizio
degli esseri umani marcia di pari passo con la loro stupidità. Per quanto io
possa impegnarmi certe cose non muteranno facilmente,
e io ero stanco di soffrire, quindi ho deciso di rimanere indifferente. A volte
l’indifferenza, per quanto sbagliata, è l’unica cosa che permette a persone
come me di andare avanti.»
«Ti
sbagli! C’è sempre un’alternativa, ed è combattere! Io
sono stata guardata dall’alto in basso fin dal giorno della mia nascita, prima
per la mia intelligenza e poi per la famiglia che avevo avuto!
Avevo chiesto io
tutto questo? No di certo! Io volevo solo vivere la mia vita senza nessuno che
mi sparlasse alle spalle o criticasse tutto quello che facevo! Era chiedere
troppo?».
Yuuhi fece una
pausa, respirando profondamente nel tentativo di sbollire la rabbia, poi
riprese a parlare in maniera più pacata, ma comunque a
denti stretti.
«È
davvero così bello indossare una maschera? È così bello subire passivamente
solo per poter vivere in pace? Non l’ho chiesta io la
famiglia in cui sono nata, e non ho alcuna intenzione di venire
etichettata per colpe di cui non sono responsabile.
E come ti ho già
detto, se c’è una cosa che odio…».
La ragazzina alzò
gli occhi, fino a quel momento rivolti a terra: scintillavano di rosso, ed
erano carichi di rabbia.
«Sono quelli che
accettano di vivere così!».
Un enorme circolo
magico si formò sotto i suoi piedi, sollevando un vento così forte che Shinji
dovette coprirsi il volto e puntarsi con forza a terra per non venire spazzato via.
Quando la tempesta
si acquietò, davanti a lui era comparso un mostro gigantesco, una vera e
propria montagna semovente fatta interamente di grossi massi tenuti insieme da
una forza sconosciuta; da una piccola fessura nella parte alta della testa,composta da un unico grande blocco, emergevano due grandi
luci gialle, probabilmente gli occhi, se di occhi si poteva parlare.
Yuuhi era in piedi
sopra la spalla sinistra.
«Accidenti, questa
non me l’aspettavo.»
«Golem!
Fai a pezzi quell’umano insolente!».
Il mostro lanciò
un urlo assordante per poi menare un pugno che, malgrado
la sua mole, viaggiò a velocità considerevole; per fortuna Shinji riuscì a
spostarsi giusto in tempo, evitando di finire schiacciato da quella specie di
maglio da guerra che disintegrando l’asfalto produsse un buco profondo almeno
un metro.
La stessa scena si
ripeté più volte, ma a differenza di qualche minuto prima Shinji sembrava avere
qualche difficoltà in più. Probabilmente la stanchezza stava cominciando a
farsi sentire; dopotutto, difendersi richiedeva molte più energie
dell’attaccare, soprattutto se gli assalti del nemico arrivavano in così rapida
sequenza.
Alla fine,
inevitabilmente, uno dei colpi andò a segno, e Shinji venne
letteralmente sparato contro il muro di un hangar; i suoi occhiali volarono
via, cadendo a terra e finendo in mille pezzi.
«Sembra che tu sia
arrivato alla fine della corsa.» disse Yuuhi soddisfatta «Hai qualcosa da dire?».
Shinji
dapprincipio non rispose, poi, rialzatosi, osservò la ragazzina; senza gli
occhiali, probabilmente una ulteriore maschera
indossata di proposito per nascondere ancor di più le sue vere emozioni, il suo
volto, ora rigato anche da alcune linee di sangue, appariva incredibilmente
serio, per non dire minaccioso.
Vedendolo così, Yuuhi sorrise.
«A
quanto pare la tua maschera è andata in pezzi. Finalmente ti vedo come sei in
realtà.»
«Perché nutri così tanto disprezzo nei confronti di colori che celano i
loro sentimenti?»
«Te
l’ho già detto, non c’è nulla al mondo che io detesti maggiormente
dell’ipocrisia. Nascondersi dietro ad una maschera è qualcosa di cui tutti sono
capaci, e questo, oltre che di ipocrisia, è un segno
di vigliaccheria. Non accetterò mai di lasciare questo mondo a una razza che fa
della menzogna una delle proprie costanti.»
«Anche
tu però sei umana. A questo non hai pensato?»
«Io,
umana? Non lo sono più da tempo. Ho aperto gli occhi,
ho riscoperto le mie origini. Forse sono umana nel corpo, ma nello spirito e
nella mente sono qualcosa di infinitamente più grande.»
«Ne sei sicura?»
replicò Shinji tornando a sorridere, seppur lievemente «Io non ci credo.»
«Cosa!?»
«Vedi,
non è facile saper riconoscere quando qualcuno sta indossando una maschera, e
il motivo è molto semplice. La maggior parte delle persone cambia in
continuazione la maschera che indossa, a seconda del
bisogno, e a forza di ostentare illusioni sempre diverse riconoscere il volto
che si cela al di sotto diviene quasi impossibile, non solo per chi ti sta di
fronte ma anche per noi stessi.
Quelli come me,
che ne hanno indossata una sola, esercitandosi a modellarla fino a farne quasi
il proprio vero volto, sono poi ancora più difficili da smascherare.
E per come la vedo
io» disse il ragazzo alzando gli occhi ed ostentando
uno sguardo severo e giudicatore «Le sole persone in grado di riconoscere le
maschere altrui sono coloro che le indossano a loro volta».
Yuuhi rimase così
scossa da quell’affermazione che per un istante restò immobile con la bocca socchiusa
e gli occhi spalancati, pieni di stupore, ma dopo qualche secondo che il suo
corpo aveva tremato il suo sguardo si caricò di astio.
«Come hai detto!?» ringhiò furibonda
«La
verità è che tutti indossano una maschera. È inevitabile. Fa parte dell’animo
umano. Cambia solo l’abilità nel farla sembrare il più possibile reale. Coloro
che riescono a vivere la propria esistenza senza nascondersi dietro ad un
simulacro sono veramente pochi. E non è il nostro caso.
Sia te che io portiamo una maschera, la differenza è che tu non
ne sei consapevole.»
«Taci!
Io non porto nessuna maschera! Io sono esattamente come tu
mi vedi!»
«Ti
sbagli. Anche tu indossi una maschera, e in questo momento la stai mostrando in
modo anche troppo evidente.»
«Che cosa!?»
«Sono
state la rabbia e il risentimento che portavi nell’animo a costruirla; la tua
rinascita come Atropo, come servitrice di Seth, l’ha portata alla luce, e prima
di rendertene conto l’avevi addosso.
Di fronte a tutti
ostenti una personalità battagliera, ferma nelle sue convinzioni e decisa a
cancellare da questo mondo ciò che ritiene sbagliato, ma sotto questa patina si
cela invece una persona che ha sofferto e soffre
ancora per tutto quello che è stata costretta a sopportare.
La stessa Atropo è
solo una maschera. Al di sotto c’è Yuuhi, una ragazzina assolutamente umana
che, secondo me, ha paura di venire alla luce, perché
teme di soffrire ancora.»
«Basta!
Stai zitto!».
Golem, forse
percependo le emozioni della sua padrona, si lanciò all’attacco, cercando di
assestare a Shinji il colpo di grazia.
Il ragazzo però,
sorprendentemente, riuscì a schivare il colpo, e quando il polverone prodotto
dal crollo della parete cominciò a posarsi era in piedi sul polso del mostro.
«Tuttavia, non
posso permettere a questa maschera di fare del male alle uniche persone che mi
sono rimaste vicino.» disse, e con un salto raggiunse la testa di Golem per poi
spiccare un grande salto, dritto verso la sfera fluttuante in cui era rinchiusa Ashley.
Dopo aver ruotato
su sé stesso colpì violentemente la prigione con
micidiale colpo del tallone mandandola in mille pezzi, e prima che Ashley
potesse cadere la afferrò per un polso, tirandola a sé e tornando a terra
insieme a lei.
«Maledizione!»
imprecò Yuuhi
La ragazza, forse
a causa del violento contraccolpo, riaprì per un istante gli occhi, incrociando
lo sguardo rassicurante di Shinji.
«S… Shinji.»
«Va’ tutto bene, Ashley. È finita.»
«Lo sapevo… lo sapevo che saresti venuto.» disse prima che l’incantesimo di
Shinji la facesse riaddormentare, e dopo averla adagiata delicatamente contro
uno dei pali usati per assicurare le cime delle navi tornò a concentrarsi sulla
sua sfida.
«Dannatissimo
umano ipocrita!»
«E ora, mettiamo
fine a questa storia!»
«Non
crederai che mi lascerò sconfiggere così facilmente. Golem!».
Il mostro,
apparentemente infuriato quanto e più la sua padrona, corse a perdifiato verso
il ragazzo per poi assestare un nuovo colpo, ma l’attacco venne
respinto da una barriera di luce che funzionando come un tappeto elastico
ricacciò indietro la creatura.
«Ma cosa…»
«Rimproveri
l’ipocrisia che accomuna molti esseri umani, ma indossi tu stessa una maschera.
Ti dimostrerò io
che in realtà sei una ragazzina sola e con il cuore pieno di paura».
Shinji spiccò un
nuovo salto, colpendo il mostro al mento con un calcio fortissimo che lo fece
barcollare vistosamente, poi, approfittando del suo
contrattacco, gli balzò sul polso, quindi corse velocissimo lungo tutto il
braccio e, raggiunta la spalla, appoggiò a terra una mano assestando un nuovo,
micidiale calcio, questa volta all’altezza dell’orecchio.
Golem urlò dal
dolore, e appena Shinji saltò giù il suo corpo cominciò a sgretolarsi.
«No… non è
possibile!» disse Yuuhi vedendo i pezzi del suo mostro cadere uno ad uno prima di precipitare a terra appena ciò che rimaneva
della creatura cadde all’indietro, provocando un piccolo terremoto col suo peso
non da poco.
Alla fine anche i
massi scomparvero, inghiottiti dal circolo magico apparso nuovamente sotto di
loro, e rimase solamente Yuuhi seduta per terra, atterrita e terrorizzata da
ciò a cui aveva appena assistito.
Il suo sguardo
sprezzante e combattivo era del tutto scomparso, lasciando al suo posto quello
di una normale bambina spaventata che comprende di essere stata messa davanti a
qualcosa di più grande di lei.
«Go… golem…»
«Questa sfida è
finita.»
«Pe… perché? Perché è successo?»
«È
successo perché non hai voluto accettare la realtà dei fatti. La tua rabbia,
quella rabbia verso il genere umano di cui ti fai portavoce, ha reso labile il
legame fra te e il tuo famiglio, e ha decretato la vostra sconfitta.»
«No… non posso
crederci».
Shinji rivolse
dunque il suo sguardo verso Ashley, uno sguardo severo
e anche un po’ malinconico.
«Chi,
come noi, soffre quotidianamente per motivi che non gli riuscirà mai di
cancellare ha un motivo in più per volersi nascondere dietro ad una maschera,
perché ritiene sia l’unico modo per riuscire ad andare avanti.
Anche
io un tempo la pensavo così, fino a poco tempo fa, ma se ho cambiato
idea è stato solo per merito di quelle poche persone che sono riuscite a vedere
attraverso di essa, e a scorgere il mio vero volto.
Ora loro sanno chi
sia io realmente, ma la cosa non mi crea turbamento.
Ciò nonostante, ho
deciso di continuare ad indossare questa maschera
ancora per un po’, se non altro per non coinvolgere nel dolore che continuo
nonostante tutto a provare anche coloro che sono riusciti a lenirlo almeno in
parte.
E tu? Perché
accetti di continuare a portare quella maschera? Non sarebbe meglio
liberarsene? Sono sicura che anche tu hai delle
persone che ti apprezzano per quello che sei, e che sono pronte a fare di tutto
per aiutarti.
Non rifiutare il
loro aiuto. La solitudine è il collante di qualsiasi maschera.»
«Io… io…» balbettò
Yuuhi a denti stretti mentre le lacrime rigavano le sue guance «Io non accetterò mai di piegarmi! Non farò la parte della
ragazzina indifesa vittima del pregiudizio altrui! Mai e poi mai mi abbasserò
di nuovo, mai più accetterò le umiliazioni che ho dovuto sopportare! E se
questo vorrà dire uccidere tutti coloro che oseranno
anche solo guardarmi male, allora così sia!».
Shinji la guardò
con un misto di compatimento e tristezza, ma prima che potesse rispondere
Ushio, la sorella di Yuuhi, comparve al fianco di quest’ultima brandeggiando una enorme spada lunga più di lei e larga almeno una
trentina di centimetri; aveva una forma strana, quasi tribale, come se fosse
stata creata semplicemente affilando una roccia.
«Sorella!?» esclamò Yuuhi «Che ci fai tu qui?»
«Avrai
molte cose da spiegare a me e a Lachesi. Sapevi che il nostro famiglio non
andava usato con leggerezza, ma come al solito hai
voluto fare di testa tua.»
«Io… mi dispiace…»
«Quanto a te, se
sfiorerai mia sorella anche solo con un dito te la
dovrai vedere con me!».
Shinji non si
mosse, e non pareva intenzionato a fare alcunché, ma
altrettanto non si poteva dire per Cloto, che sembrava lì lì
per scattare da un momento all’altro.
Se
non che, all’improvviso, il ragazzo si sentì chiamare, e lui, giratosi,
vide i suoi compagni correre nella sua direzione.
«Ragazzi!».
Toshio, Keita e
Takeru si pararono in difesa del loro amico, Yuuhi invece si rimise in piedi
brandeggiando nuovamente la sua falce.
C’erano tutti i
presupposti per un nuovo scontro, ma una nuova voce, estremamente
imperiosa e tonante, intimò a tutti di smetterla subito, e subito dopo Minami,
la terza delle tre sorelle, comparve dal nulla in mezzo fra i due schieramenti.
La sua arma era
ancor più strana di quelle delle sue compagne: sembrava l’incrocio fra uno
scudo e una gigantesca punta di lancia, tondeggiante e grossa da una parte,
affilata e sottile dall’altra e lungo tutto il bordo, e il braccio destro vi era completamente infilato dentro fino alla spalla.
«Fermatevi!
Tutti quanti!»
«Lachesi!?» disse Yuuhi
«Voi
due, tornate immediatamente al castello. Ho già parlato con il nobile Seth, ed
egli è pronto a dimenticare il vostro tentativo di insubordinazione,
a patto che vi fermiate ora».
Yuuhi e Ushio
sembravano incredibilmente contrariate, e guardavano i ragazzi come se
volessero incenerirli, poi però capirono che era
meglio ubbidire e si ritirarono, promettendo però che non sarebbe finita lì.
Rimase solo
Minami, che si avvicinò a Toshio e al suo gruppo; i ragazzi dapprima tennero le
armi alzate, poi però, capendo che la giovane donna non aveva alcuna intenzione
di combattere, le riposero.
«Grazie.» disse
rivolto a Shinji «Per non aver fatto del male a mia sorella.»
«Non c’è di che.»
rispose l’interessato.
Una simile
dimostrazione di onore e giustizia da parte di un servitore di Seth lasciò
Toshio e gli altri comprensibilmente allibiti, ma era chiaro che non si
trattava di una messinscena.
«Fin
da quando i nostri genitori sono morti, Ushio e Yuuhi hanno cominciato a
comportarsi in modo sempre più cinico e distaccato, soprattutto Yuuhi. Lei è
quella che ha risentito più di tutti la loro scomparsa. A lungo ho cercato di
mantenerle nascosta la verità su che tipo di persona fosse nostro padre, ma mi
rendo conto che forse si è trattato di un errore, perché la realtà che io ho
voluto nasconderle le è stata sbattuta davanti nel
modo più crudele possibile.
Io ho fatto il
possibile per non far loro mancare nulla di ciò che io
non avevo mai potuto avere. Loro non erano mai state costrette a passare per
quello che era capitato a me, non avevano trascorso intere notti nel terrore di
morire e non avevano passato la loro infanzia a scappare da un luogo all’altro
per sfuggire sia alla polizia che alle famiglie
rivali.
Purtroppo, invece
che educarle al rispetto della vita e alla giustizia, ho
fatto germogliare in loro una personalità oscura e ambiziosa, ossessionata da
propositi di vendetta.
Quando le memorie
di Lachesi si sono risvegliate in me, per un attimo anche io
ho cominciato a provare le loro stesse emozioni, ma i millenni trascorsi
rinchiusa in quel libro mi hanno fatta riflettere.
Ora mi rendo conto
che la causa che accettammo di appoggiare era forse
giusta, ma il modo in cui avevamo scelto di perseguirla era sbagliato.
Gli umani hanno il
diritto di decidere della loro vita, ma è anche giusto che chi ha i mezzi per
farlo faccia capire ai propri compagni quando stanno sbagliando.
Io non ho
abbandonato la speranza di far tornare Ushio e Yuuhi le ragazze gentili e
amorevoli che erano un tempo, ma fino a che le memorie delle loro vere origini permarranno temo sia un’impresa irrealizzabile. Per questo,
però, avrò bisogno del vostro aiuto.»
«Di che aiuto
parli?» domandò Nadeshiko
«Seth
si fida di me. Sono una delle pochissime persone in grado di nascondergli i
miei pensieri, altrimenti a quest’ora sarei già morta. La verità è che fin dal
momento in cui sono resuscitata ho deciso che non
avrei più accettato di seguirlo.
Se gli sono
rimasta accanto fino ad ora è stato solo per
proteggere le mie sorelle, per questo vi chiedo di sconfiggerlo e di
distruggere il Libro dell’Oscurità. Quando quell’oggetto maledetto scomparirà,
i ricordi delle nostre origini se ne andranno assieme a lui, e allora io, Ushio
e Yuuhi saremo forse in grado di riprendere una vita normale.»
«Hai la mia
parola.» rispose Toshio «Sconfiggeremo Seth e metteremo fine a questa spirale
di dolore una volta per sempre.»
«Ti
ringrazio. Non temere, ci rincontreremo presto. E per allora, spero di non
trovarmi costretta a puntare la mia arma contro di voi».
Detto questo Minami scomparve, e dopo qualche minuto Ashley riprese i
sensi.
Toshio e gli
altri, su suggerimento di Nadeshiko, si fecero da parte, lasciando che il loro
amico se la sbrigasse da solo.
Shinji le raccontò
ogni cosa: le parlò del torneo, di chi fosse la ragazza che li aveva assaliti e
dello scopo che lui e i suoi compagni avevano scelto di perseguire. Ashley
ascoltò tutta la storia con attenzione, poi però venne
il momento dei saluti.
«Forse sarebbe
meglio che tu lasciassi la città.»
«Per quale
motivo?»
«Il
prossimo scontro potrebbe scoppiare da un momento all’altro, e per te sarebbe
pericoloso rimanere a Londra. Potresti andarci nuovamente di mezzo, e non
voglio che ti accada nulla di male.»
«Shinji…»
Si guardarono
reciprocamente, Ashley con gli occhi inumiditi di pianto, poi lui le diede un
bacio sulla fronte che la fece arrossire.
«È
stato anche merito tuo se sono riuscito a cambiare. Il minimo che posso fare
per sdebitarmi è saperti al sicuro.»
«Promettimi…
promettimi che farai attenzione.»
«Stai tranquilla.»
rispose tornando a sorridere «Mi conosci, sai che mi
piace stare lontano dai guai. Starò via per un po’, sistemerò delle cose, ma
poi tornerò da te, e allora andremo di nuovo in quel boschetto, ci stai?».
Ashley fece cenno
di sì, poi rimase ad osservarlo mentre lui, dopo
averla salutata con un cenno della mano e un affettuoso bye-bye, scompariva con
un salto oltre i magazzini del porto.
Nota dell’Autore
Eccomi qua di nuovo!
Mi scuso per il lungo
periodo di ritardo, ma fra giugno e luglio dovrò dare sei o anche sette esami,
di conseguenza sono sommerso di cose da fare.
Questo capitolo è il
primo di una serie di tre al termine della quale
abbandoneremo la seconda parte della narrazione per avviarci verso le battute
conclusive.
Nel prossimo vi preannuncio un nuovo scontro del torneo, ma su chi saranno i
contendenti vi lascio nel dubbio. Per quello dopo ancora, invece, aspettatevi
una grande sorpresa.
Ringrazio Selly, Akita, Cleo e Lewsky per le recensioni
Agosto ormai
volgeva al termine, e con esso le vacanze estive.
Subito prima di
lasciare Venezia Keita e gli altri avevano avvertito le rispettive famiglie
dell’improvviso cambiamento di piani, e inventando qualche scusa plausibile
erano riusciti a giustificare il prolungamento della loro vacanza ben oltre le
due settimane previste, ma ormai il tempo a loro disposizione stava cominciando
pericolosamente a scarseggiare.
Potevano
permettersi di rimanere in Europa al massimo un'altra settimana, perché ormai
mancava davvero poco alla ripresa delle lezioni, anche se in una simile
situazione diventava davvero difficile scegliere fra la prosecuzione della
scuola e il fare la propria parte nella guerra ancora in corso.
Per il momento
però i ragazzi non avevano voglia di pensarci, e si godevano serenamente quegli
inaspettati giorni di vacanza.
Persino Toshio
stava trovando la forza per concedersi qualche svago, e dopo quanto accaduto a
Shinji aveva preso l’abitudine di seguire i suoi compagni nelle loro
peregrinazioni in giro per Londra, ma sempre pronto a contrastare l’opera di
qualunque potenziale avversario.
La mattina del
quarto giorno i ragazzi stavano passeggiando nei pressi di Piccadilly Circus;
Nadeshiko si era improvvisamente accorta di avere le batterie della fotocamera
quasi scariche, quindi lei e gli altri erano entrati in un piccolo negozio di
elettronica per comprarne delle altre; la proprietaria era una giovane donna
dall’aria simpatica e gentile che, dopo essere stata pagata per l’acquisto,
prese da sotto il bancone un contenitore di plastica con un foro in cima.
«Forza.» disse
porgendola a Nadeshiko «Pesca una biglia. L’unione dei commercianti del
quartiere ha bandito un concorso. Il primo premio è un viaggio negli Stati
Uniti per quattro persone.»
«Un viaggio!?»
disse Keita «Un altro!?»
«Beh, perché no.»
commentò Toshio «Questo ve lo siete goduto poco, mi sembra.»
«Forza, dèa della
fortuna.» disse Shinji «Dai il meglio di te.»
«Beh… ok».
Nadeshiko mise una
mano nel foro e rovistò un po’ tra le biglie, quindi ne estrasse una,
mostrandola alla donna.
«La sfera bianca.
Hai vinto il terzo premio.»
«Solo il terzo!?»
esclamò Lotte, che ora, come la sorella, era in grado di mascherare alla
perfezione la sua natura di famiglia «Nadeshiko, stavolta hai fatto fiasco.»
«Beh.» rispose lei
sorridendo e mettendosi una mano dietro la testa «Non si può essere sempre
fortunati.»
«Non essere così
pessimista.» disse la proprietaria porgendole quelli che sembravano due
biglietti per un teatro o per il cinema «Anche il terzo premio non è male».
Nadeshiko li
prese, guardandoli.
«Sono biglietti
per una crociera.»
«Esatto. Per una
nave ristorante che tutte le sere naviga lungo il Tamigi. Questi biglietti comprendono
il viaggio e la cena completa.»
«Sempre meglio di
niente.» disse Lotte «Dopotutto era impossibile che Nadeshiko restasse a mani
vuote».
Appena furono
usciti dal negozio, e per tutto il resto della mattinata, i ragazzi discussero
tra di loro in merito a questa nuova e inaspettata vincita.
Si trattava
indubbiamente di un’esperienza imperdibile, ma i biglietti erano solo due,
quindi si trattava di decidere chi di loro avrebbe potuto sfruttarli; uno
indubbiamente spettava a Nadeshiko, ma anche per quanto riguardava l’altro vi
erano pochi dubbi su chi ne sarebbe stato il beneficiario; tutti si aspettavano
ciò che sarebbe successo, tranne ovviamente il diretto interessato.
Toshio si accorse
degli sguardi imbarazzati e timidi di Nadeshiko solo mezz’ora dopo che avevano
lasciato il negozio, e quando lei trovò finalmente la forza di avvicinarsi a
lui, fra gli sguardi divertiti di molti dei suoi amici, anche il ragazzo
cominciò a sentirsi a disagio.
«Toshio…» balbettò
strusciandosi le mani e guardando in basso «Io… ecco… mi chiedevo… se volevi…
venire con me… su quella nave…»
«Cosa!? Io!?»
«D’altra parte
però… se non ti interessa, non fa niente. È solo una cena…»
«No, io…
veramente…».
Prima che Toshio
potesse dire o fare qualcosa di sconveniente o compromettente Shinji e Keita lo
afferrarono.
«Nadeshiko,
scusaci un secondo.» disse Keita «Dobbiamo scambiare due paroline con Toshio in
privato.»
«Ah… ok…»
«Ma sei pazzo o
cosa?» sussurrò Shinji appena i tre si furono appartati «Hai idea dell’occasione
che ti si sta presentando?»
«Ma io… non lo
so…»
«Senti bene, ci
sono ragazzi al nostro liceo che darebbero un braccio per avere una simile
opportunità. Se te la fai scappare, in primis Nadeshiko ci rimarrà male, e poi
lo rimpiangeresti per tutta la vita.»
«Ma non so come
comportarmi… non sono pratico di queste cose…»
«Non temere,
pensiamo noi a tutto. Tu fidati.»
«Beh… d’accordo».
Rosso come non mai Toshio tornò da
Nadeshiko, che rimaneva in disparte alcuni passi indietro, quindi, senza
neppure trovare il coraggio di alzare gli occhi, bisbigliò solo due parole.
«D’accordo».
Sembrava che gli
fossero state cavate a forza, ma nonostante ciò Nadeshiko si sentì al settimo
cielo.
Keita e gli altri
accolsero la cosa come un trionfo, molto più dello stesso Toshio, che per tutta
l’ora successiva non fu capace neppure di avvicinarsi a Nadeshiko, rimanendo
prudentemente alcuni passi indietro a lei.
La giornata
proseguì con la visita al museo delle cere e alla National Gallery, ma il
pensiero bene o male era sempre e comunque rivolto a ciò che sarebbe successo
al calare del sole.
Verso le cinque i
ragazzi i ragazzi decisero di tornare in albergo, e per puro caso, passando
davanti alla vetrina di un’agenzia di viaggi, incrociarono un poster che
ritraeva la famosa nave, chiamata River Soul; era davvero un battello stupendo,
lungo e largo ma di altezza esigua, adatto a passare anche sotto i ponti più
bassi.
A leggere la
didascalia sotto la foto i tavoli erano sia interni che esterni, questi ultimi
posizionati sia sul tetto, dove c’era la possibilità di sollevare in tutta
fretta un grande tendone per riparare da un indesiderato acquazzone, che a
poppa, in assoluto la zona più esclusiva e ambita, che garantiva una
tranquillità e una privacy quasi assolute.
«È davvero
bellissima.» disse Nadeshiko estasiata
«Leggete qua.»
disse Aria «Pare che la stessa famiglia reale e molti esponenti della nobiltà
inglese la usino spesso per organizzare cene importanti e altri incontri
facoltosi.»
«Sarà sicuramente
piena di ricconi.» commentò Lotte «Gente che si scandalizza per un colletto
poco inamidato».
A
quell’affermazione tutti girarono lo sguardo chi verso Nadeshiko chi verso
Toshio, fissandoli con malcelata sufficienza.
«Che c’è?» domandò
il ragazzo come se non si fosse accorto di nulla «Ho fatto qualcosa di
sbagliato?».
Ad un cenno di
Shinji immediatamente tutti quanti si appartarono, cominciando a confabulare
tra di loro; anche Aria e Lotte partecipavano alla conversazione, e i
sorrisetti malevoli di quest’ultima venivano interpretati molto male dal suo
padrone, che non prevedeva niente di buono.
«Ascoltate. Ho
un’idea. Potremmo…»
«Ottimo.» disse
Keita «È proprio quello che ci occorre».
Si rialzarono con
gli occhi scintillanti, e tutto poi avvenne nel giro di pochi secondi: con la
velocità di una macchina da corsa Aria e Lotte si avventarono di Nadeshiko, e
afferratala la portarono via di corsa.
«Ma cosa…» disse
Toshio, rimasto inebetito «Che state facendo!?»
«Non
preoccuparti.» disse Shinji «Sarà in buone mani. Ora però occupiamoci di te».
Detto questo il
ragazzo compose un numero sul suo cellulare e dopo pochi squilli rispose
qualcuno, probabilmente del posto, perché Shinji si rivolgeva a lui parlando in
inglese.
«Alfredo? Sono io,
Shinji … Sì, sono a Londra. Senti, ti ricordi quel favore che mi dovevi per
quella faccenda? Ecco, questo è il momento adatto per sdebitarti. … Sì, avrei
una piccola urgenza, roba dell’ultimo minuto. Ti dispiace se facciamo un salto
da te? … Ottimo. Saremo lì il prima possibile. Grazie infinite. Aspettaci.»
«Con chi stavi
parlando?» domandò Takeru
«Con un mio amico
qui di Londra. Abbiamo un appuntamento con lui fra mezz’ora. Dobbiamo sbrigarci
però, il suo negozio è dall’altra parte della città.»
«Negozio!? Che
negozio?» domandò Toshio stranamente preoccupato
«Vedrai».
Il negozio in questione era un atelier di alta moda
situato nella zona più esclusiva di Londra.
Lo gestiva
Alfredo, un italiano naturalizzato inglese, che aveva su di sé tutti gli stereotipi
dello stilista modello: bassetto, magrolino, gesticolante e, soprattutto,
incredibilmente effeminato, per non parlare di quel suo inglese misto ad
italiano che faceva ridere anche a non capirci niente.
Qualche anno
prima, a causa di una brutta crisi economica, Alfredo si era trovato ad un
passo dal chiudere bottega, ma grazie al padre di Shinji, che lo aveva rilevato
e ci aveva speso sopra un bel po’ di soldi, l’attività era stata salvata, e
anzi procedeva meglio di prima, rifornendo i guardaroba di alcuni degli uomini
più ricchi della città e non solo.
Due piani
ridondanti di abiti d’alta classe, un vero museo del lusso a cui non si poteva
accedere a meno di non essere più che miliardari.
Shinji, però, non
doveva preoccuparsene più di tanto: era stato lui a convincere il padre a
spendere soldi su quell’attività apparentemente senza speranza, dando prova per
la prima volta delle sue grandi abilità di manager, e Alfredo aveva più volte
detto di volersi in giorno sdebitare.
«Mr Morrison!»
disse appena Shinji e gli altri varcarono la porta d’ingresso «Quale onore
averti qui.»
«Ciao, Alfredo. Ne
è passato di tempo.»
«Troppo, troppo.
Angela!» esclamò rivolto ad una delle sue dipendenti «Champagne per i miei
graditi ospiti!
Allora, che cosa posso
fare per te?»
«Beh.» disse
Shinji facendo uscire allo scoperto un Toshio più imbarazzato e fuori luogo che
mai «Il mio amico qui stasera ha un appuntamento sulla River Soul con una
bellissima ragazza, e bisogna che sia perfetto.»
«Ah. Incontro romantico,
eh? Ci sono programmi per il dopo?»
«Il… dopo?»
domandò l’interessato
«Beh certo, se c’è
un dopo, meglio la maglietta. Sbottonare la camicia fa perdere tempo.»
«No! No!» si
affrettò a dire Shinji prima che Toshio potesse svenire per l’imbarazzo «C’è
solo la cena, niente altro! E non farsi strane idee.»
«Ah, d’accordo».
Toshio fu invitato
a mettersi al centro di un cerchio disegnato sul pavimento del negozio e
Alfredo, raccolto un metro e un notes, prese a girargli attorno, guardandolo
per ogni dove e facendolo diventare sempre più nervoso.
«Dunque, dunque,
dunque. Statura rilevante, spalle possenti, ampio torace, braccia muscolose, e
un comportamento regale.
Lei è di alta
società, giusto?»
«Beh… più o meno.»
«Lo immaginavo.
Allora, allora… io ci vedo un tessuto… tessuto leggero. Un gessato. E il
colore… il colore… ci vedo la notte, il buio leggero… ci vedo… un blu! Sì, un
blu scurissimo, il colore della notte, e una camicia di seta, bianca, come la
luna! Un cielo perfetto! Le scarpe… a punta! Nere! E ci aggiungerei anche un
bell’orologio! D’argento, con il quadrante nero! Cravatta blu, naturalmente,
gemelli d’oro ai polsi, e come fiore all’occhiello… una rosa. Una bella rosa
bianca. Una stella!
Bianco e blu…
un’accoppiata perfetta.
Angela, portami il
completo numero dodici e il set di camicie di seta. E le scarpe, e gli orologi,
e i nostri gemelli più raffinati!»
«Subito!».
«Shinji, accidenti
a te.» bisbigliò Toshio in un momento in cui Alfredo era distratto «Si può
sapere dove mi hai portato?»
«Non
preoccuparti.» rispose il ragazzo alzando il suo calice di cristallo pieno di
champagne «Lui sa quello che fa. Vedrai, sarai perfetto.
Alla salute».
Nadeshiko intanto
era stata riportata da Aria e Lotte nella loro stanza d’albergo, da cui le era
proibito di uscire.
«Ma si può sapere
che vi passa per la testa?»
«Con calma.»
rispose Lotte col suo sorrisetto divertito «Presto saprai tutto».
E infatti, dopo
qualche minuto, qualcuno bussò alla porta, e Aria andò ad aprire; era Ashley,
accompagnata da due dipendenti dell’hotel che trasportavano una sorta di grande
armadio a rotelle.
«Ashley!?»
«Sorpresa di
rivedermi?»
«Ma che cosa ci
fai qui?»
«Shinji mi ha
chiamato e mi ha spiegato tutta la situazione. Non temere, mi occuperò io di
te».
Appena i due
camerieri se ne furono andati Ashley aprì l’armadio mobile, posizionato al
centro della stanza: era pieno fino all’orlo di abiti sontuosi, degni di una
regina, nonché di tutto il necessario per organizzare una serata degna di
questo nome.
«Quanti vestiti!»
«Mia madre è una
stilista prestigiosa. Questi sono abiti da sera che ha disegnato appositamente
per me. Sono dei modelli assolutamente unici.»
«Ma… perché li hai
portati?»
«Non vorrai salire
a bordo della River Soul indossando un completino qualunque.
Avanti, spogliati
e cominciamo. Ne avremo per un bel po’».
Nadeshiko era un
po’ imbarazzata all’idea di rimanere in biancheria intima davanti ad una
persona che conosceva solo da settantadue ore, ma poi si ricordò che dopotutto
era pur sempre la migliore amica di Shinji, quindi non c’era niente di cui
preoccuparsi; e poi, Ashley era una ragazza così gentile, quindi alla fine
Nadeshiko obbedì.
Il primo capo fu
un banalissimo pigiama, giusto per controllare le misure.
Aria e Lotte
rimanevano in disparte, la prima leggendo un libro con assoluta indifferenza la
seconda curiosando come una bambina fra accessori e cosmetici.
«Proprio come
immaginavo.» disse Ashley girando intorno alla modella improvvisata «Tu e io
abbiamo la stessa taglia. Ora si tratta solo di trovare l’abbinamento
migliore».
La tappa
successiva fu una piacevole e salutare doccia ristoratrice, durante la quale
Nadeshiko ebbe modo di riflettere su tutte quelle sensazioni che di giorno in
giorno si facevano sempre più forti, sensazioni che teoricamente avrebbero
dovuto renderla felice, cosa che effettivamente un po’ accadeva, ma che le
mettevano anche un po’ di strana inquietudine.
Ormai i suoi
sentimenti per Toshio, che nello stesso momento veniva costretto a sperimentare
di persona il reparto sauna in dotazione all’atelier di Alfredo, erano più che
evidenti, e lo stesso valeva per lui, il problema era riuscire ad esternarli.
C’era però un
altro quesito che ultimamente aveva preso ad agitarsi nella sua mente.
Perché lui?
Forse, si diceva
Nadeshiko, il suo era stato il classico colpo di fulmine, fatto sta che fin
dalla prima volta che lo aveva visto si era immediatamente sentita legata a
lui, ed era certa che anche Toshio pensasse la stessa cosa.
A lungo aveva
pensato che la ragione di ciò fosse imputabile all’indubbio fascino che il
giovane guerriero era in grado di esercitare su molte ragazze, o magari a quel
suo carattere così introverso e misterioso, da esplorare come le profondità di
una caverna, ma ormai Nadeshiko era quasi del tutto sicura che non si trattasse
solo di questo: nel corso degli anni ne aveva conosciuti di ragazzi
affascinanti, alcuni dei quali avevano anche trovato la forza di dichiararsi,
ma nessuno era stato in grado di colpirla al cuore come aveva fatto Toshio,
senza oltretutto agire in modo concreto.
Una cosa era
certa, e cioè il batticuore che la prendeva ogni volta che lo aveva vicino o
che anche solo pensava a lui.
Magari questa cena
poteva essere una buona opportunità per chiarire un di cose, e Nadeshiko se lo
augurava profondamente: del resto, la sola prospettiva di restare un’intera
serata sola con lui la faceva palpitare, e sperava con tutto il cuore che
almeno per una volta tutto andasse per il verso giusto.
Terminata la
doccia Nadeshiko, ancora con l’asciugamano annodato intorno al corpo, fu
invitata a sedersi davanti al grande specchio circolare della sua camera da
letto, dove Ashley la attendeva con un kit per il makeup degno di una
truccatrice di professione.
«Hai un viso così
grazioso che il trucco risulterebbe quasi superfluo.» disse constatando il
fascino naturale di cui era dotata la ragazza, i cui lineamenti, riflessi nello
specchio, parevano disegnati ad arte «Vorrà dire che ci limiteremo all’essenziale,
giusto per ingentilire la figura, poi passeremo al vestito.»
«D’… d’accordo. Mi
fido di te».
Come predetto da
Ashley furono sufficienti un po’ di colore per le guance, una ritoccatina alle
sopracciglia e una punta di lucido per le labbra, e la timida Nadeshiko a
lavoro concluso sembrava uscita da un dipinto.
«Ecco fatto. Che
te ne pare?»
«Quella…» balbettò
lei osservando nello specchio il volto di quella che, a prima vista, le pareva
quasi un’estranea «Sono davvero io!?»
«Certo che sei tu.
E lasciati dire
una cosa. Ho truccato molte mie amiche durante il liceo, e nessuna di loro era
bella come te».
Come ultimo tocco
Ashley prese a spazzolare i capelli della sua nuova amica, la quale rimaneva
immobile e in silenzio ad osservare la propria immagine riflessa che diventava
sempre più lontana e irriconoscibile da quella che le sembrava di vedere ogni
giorno.
Nel guardare a sua
volta il volto che si stagliava nella superficie dello specchio Ashley si
accorse del monile che Nadeshiko portava al collo, e per un attimo le era parso
addirittura di vederlo risplendere.
«Che bel
pendente.»
«Grazie.»
«Sembra molto
antico. Dove lo hai preso?»
«Ecco… a dire il
vero non lo so.»
«Non lo sai?»
«È una storia
curiosa che mi ha raccontato mia madre. Avevo circa tre anni, ed eravamo al
parco vicino casa. Io mi sono allontanata un attimo mentre lei era distratta, e
quando sono tornata lo avevo al collo. Lei mi ha chiesto dove lo avessi preso,
e io le ho risposto che lo avevo trovato.»
«Davvero strano.
Beh, anche io a quell’età raccoglievo tutto quello che mi capitava a tiro.»
«Forse. Fatto sta
che da quel giorno non sono più riuscita a concepire la mia vita senza questo
pendente. Se non me lo sento addosso, mi sembra di soffocare.»
«Ti capisco. Capita
di affezionarsi a tal punto ad una cosa fino a credere di non poter più vivere
senza».
A quel punto fu il
momento di scegliere il vestito; furono provate diverse soluzioni, ma nulla
sembrava essere davvero quella giusta, e di conseguenza la cosa sembrava
destinata ad andare per le lunghe.
«Vediamo.» disse
Ashley riponendo l’ennesimo abito risultato inadatto «Hai gli occhi verdi, e
bisogna metterli in risalto. Io ci vedo un bel bianco. E poi il bianco
ingentilisce.
Vedrai, ti farò
sembrare una principessa delle fiabe».
Nadeshiko però
sembrava del tutto assente, ed osservava spaesata la propria immagine riflessa
in un nuovo specchio, un bell’esemplare alto e stretto appoggiato al muro del
salotto. Ashley comprendeva benissimo i sentimenti che si agitavano dentro di
lei, per il semplice motivo che li aveva provati a sua volta solo pochi giorni
prima, e le sembrava giusto fare qualcosa per alleviare almeno un po’ le sue
pene.
«Lo sai, Shinji mi
ha parlato un po’ di Toshio, e mi ha spiegato che tipo di persona è.»
«Davvero?»
«Voi due siete
come il giorno è la notte. È risaputo che spesso gli opposti si attraggono, e
nel vostro caso mai affermazione fu più esatta. La verità è che nessuno di voi
due può fare a meno dell’altro.
Tu porti in te una
luce sconfinata, la luce del sole, lui invece ha vissuto per anni nell’oscurità
della solitudine.
Anche nella notte
più buia, però, splendono le stelle.»
«Splendono… le
stelle?!» rispose Nadeshiko ritornando, con la memoria, alle battute finali
dello scontro con Ilya
«Nel buio della
notte però splende anche la luna, che brilla di luce riflessa. E la luce che
deve alimentare quella luna, rischiarando le tenebre, è la tua.»
«La mia!?»
«Lui ha bisogno di
te per vivere nella luce, e tu hai bisogno di lui per poterla esprimere al
meglio.» disse Ashley andandole vicino con in mano un nuovo vestito «Dammi
retta, se si aspetta troppo a dire ad una persona quanto la si ama, poi lo si
rimpiange per il resto della vita.
Te lo dico per
esperienza.»
«Lo si rimpiange…
per tutta la vita.»
«Questa sarà la
vostra serata. Bisogna che la sfruttiate al meglio, e la presentazione riveste
un ruolo importante in tutto ciò.
Non puoi mai
sapere cosa succederà domani, di conseguenza in amore bisogna sfruttare al massimo
il presente prima di preoccuparsi per il futuro.
E poi Toshio siete
è un bellissimo ragazzo. Se non ti sbrighi, qualcuno ti precederà».
Il solo pensiero
fu più che sufficiente a spaventare Nadeshiko, che sentì una fitta al cuore,
oltre ad un grande senso di tristezza.
«Io mi impegnerò
al massimo, il resto poi spetterà a te.
Forza, ora
proviamo questo».
Wilton Street
29 agosto
Ore 19.23
Simon e Mary McDouglas, rispettivamente di cinquantatre e
cinquantuno anni, abitavano assieme ad Angela, la loro domestica sessantenne,
in una piccola casa a due piani a due passi da Green Park, in cui erano andati
a vivere dopo aver lasciato il villaggio di Crows Rock.
Per secoli la
famiglia McDouglas aveva servito la famiglia McLoan, fornendo al villaggio dignitari
e consiglieri di prestigio, oltre che valorosi guerrieri.
Per premiare una
così lunga fedeltà l’ultimo sovrano, che oltretutto cercava da tempo di creare
una piccola comunità nella capitale inglese, aveva permesso loro una volta
sposati di trasferirsi a Londra, a condizione però di rendersi disponibili ogni
qualvolta vi fosse stato bisogno del loro aiuto.
Erano stati loro
ad offrire rifugio al principe Atarus nel periodo che era stato costretto ad
abbandonare il villaggio, e a loro era stata affidata anche la custodia del
principino William, che amavano e coccolavano come il figlio che non erano mai
stati in grado di avere.
Quella sera, come
era quotidianità, si erano seduti a tavola piuttosto presto: il signor
McDouglas infatti lavorava nell’ufficio di una facoltosa industria della zona,
e di tanto in tanto gli capitava di dover lavorare la notte, come sarebbe
accaduto quel giorno, mentre la signora insegnava storia alle scuole medie.
Per fortuna c’era
Angela a mandare avanti la casa, altrimenti la vita per i due coniugi, contando
anche l’arrivo del piccolo William, sarebbe stata davvero difficile.
Avevano appena
finito di mangiare, quando qualcuno suonò il campanello.
«Chi sarà?»
domandò il signor McDouglas «Non aspettiamo nessuno».
Angela andò ad
aprire, e appena aprì la porta per un attimo restò immobile per l’incredulità;
aveva visto molte altre volte quel ragazzo, e conosceva la verità sull’origine
dei padroni di casa, ma ogni volta la sua immagine metteva un’incredibile
soggezione, per non parlare di quel suo sguardo, diametralmente opposto a
quello che aveva visto finora.
«Vo… vostra
altezza».
Nel sentire il
termine altezza Simon e Mary corsero a loro volta all’ingresso per rendere
omaggio al nuovo arrivato.
«Principe Atarus.»
disse Simon facendo un lieve inchino.
A differenza di
qualche giorno prima, quando Atarus si era presentato da loro indossando abiti
tali da renderne difficile il riconoscimento, il principe ora era tornato a
vestire i panni del guerriero, con la sua divisa blu da combattimento
sormontata da alcune parti di armatura e la lunga lancia rosso sangue.
«Scusate l’ora.»
disse entrando in casa «Mi spiace essere venuto qui senza avviso.»
«Ma no, si figuri.
Per Lei questa porta è sempre aperta.»
«Vi ringrazio.
William è ancora sveglio?»
«Sì, è in camera
sua.» rispose Angela «Stavo giusto andando a prenderlo per farlo mangiare.»
«Vi ringrazio».
Lentamente,
cercando di fare il meno rumore possibile, Atarus salì la stretta scala che
conduceva al piano superiore, e aperta la seconda porta a destra del corridoio
entrò in una piccola cameretta, probabilmente un vecchio soggiorno, riadattata
alla perfezione per essere la stanza di un bambino.
I muri erano
tappezzati con carta da parati azzurra dove erano state dipinte nuvole e fiori,
giocattoli e pupazzi erano abbandonati un po’ ovunque e al centro c’era un
tappeto di gommapiuma su cui c’erano alcune costruzioni.
Infine, in un
lettino di legno chiaro, dormiva serenamente il piccolo William; Atarus si
avvicino in silenzio, rimanendo a lungo immobile ad osservarlo, poi, dopo
qualche minuto, il bambino si svegliò, e appena vide davanti a sé il volto del
padre immediatamente prese a sorridere e ridacchiare, allungando le braccia
come l’ultima volta.
Stavolta, però,
Atarus non si tirò indietro, e riposta la lancia raccolse il piccolo, che preso
in braccio cominciò a passargli le manine chiare sul volto come a volerne
tracciare con chiarezza i lineamenti.
«William.
Non ho mai avuto
occasione di dirtelo, ma la tua nascita è stato uno dei pochissimi momenti
felici che la vita mi abbia donato.
Tua madre Helen
era un angelo, e tu le somigli molto, più di quanto assomigli a me.
Ciò nonostante,
nelle tue vene scorre il sangue dei McLoan; il sangue di William Wallace.
Un giorno, il
cielo non voglia, questo sangue reclamerà il suo tributo. Un giorno potresti
trovarti nella situazione di dover combattere, ma ti prometto che semmai quel
giorno arriverà, la causa che sarai chiamato a difendere sarà la più nobile di tutte.
Tuo padre ha fatto
tanti errori nella sua vita, l’ultimo forse è stato il convincerci che sia
ancora possibile cambiare la propria strada.
A dire il vero non
so se sarò davvero in grado di cambiare; la rabbia e i sentimenti che mi hanno
guidato fino ad oggi sono ancora ben radicati nel mio animo. Posso ancora
sentirli, e ho il terrore che alla fine saranno loro a prevalere.
Ma ricordati.
Nessuna causa è persa finché si avrà la forza di combatterla».
William rise
ancora, molto probabilmente non aveva capito nulla, ma la vicinanza del padre
bastava a renderlo felice.
Atarus lo portò in
salotto, affidandolo, non senza qualche guaito di protesta, alle braccia di
Angela, per poi avviarsi nuovamente alla porta.
«Maestà…» disse
Mary
«Non so se potrò
davvero essere in grado di cambiare.» disse immobile sull’uscio «Ma se ciò
accadrà, allora molte cose cambieranno.» e, detto questo, se ne andò.
Chelsea, Londra
29 agosto
Ore 20.07
Dopo essere stato tirato a lucido come un manichino da
esposizione Toshio era stato portato all’ingresso del molo dove, entro dieci
minuti, sarebbe approdata la River Soul;
Keita e gli altri, espletati i propri obblighi, se l’erano vigliaccamente data
a gambe, abbandonando il povero ragazzo in uno stato di totale e assoluto
imbarazzo.
Non c’era
nessun’altro a parte loro ad attendere l’arrivo della nave, che disponeva di un
proprio pontile personale, mentre quelli dei traghetti turistici al contrario
erano pieni al punto da scoppiare.
Il gessato scelto
per lui da Alfredo però gli stava veramente bene, mettendo in luce il suo
fisico prestante senza tuttavia imbarbarirne la figura.
Già altre volte
aveva indossato abiti appariscenti per le occasioni ufficiali in cui era tenuto
a rivestire il suo ruolo di principe di Nepthys, ma mai nulla di così lussuoso,
per non parlare che non aveva mai neanche lontanamente provato su di sé un
simile senso di angoscia.
Si sarebbe sentito
più tranquillo trovandosi di fronte ad un intero esercito da sconfiggere da
solo piuttosto che in una tale situazione, anche se, a dire il vero, Shinji
aveva più volte ripetuto che quella era a tutti gli effetti una battaglia.
Erano da poco
passate le otto e dieci quando, abbassato lo sguardo per vedere l’ora, Toshio
si sentì chiamare, e rialzatolo per un attimo pensò di stare per svenire.
Nadeshiko era lì,
davanti a lui, bella da togliere il fiato.
Indossava un abito
bianco di foggia elegantissima, con una gonna larga che arrivava al ginocchio e
lasciava scoperte le spalle; bianchi erano anche i calzettoni che arrivavano a
metà della coscia, contornati da eleganti merletti, i guanti a gomito e le
scarpe, stringate e con un tacco leggero.
«Eccomi. Scusa se
ho fatto tardi».
Lui però non
poteva sentirla, e lei dopo qualche secondo rise leggermente coprendosi la
bocca: Toshio doveva avere lo sguardo più inebetito possibile stampato in
faccia.
«Allora…» disse
poi, diventando rossa «Come sto?»
«Io… ecco… stai
benissimo. Davvero.»
«Ti ringrazio.
Anche tu non sei male. I vestiti eleganti ti donano molto.»
«G… grazie…».
In quella la
River Soul approdò al molo, e appena calò
il pontile uno dei marinai invitò con charme e gentilezza i due ragazzi a
salire a bordo per poter riprendere il largo.
Toshio non
ricordava di essersi mai sentito così male, soprattutto quando Nadeshiko gli
prese il braccio avviandosi assieme a lui verso il battello; la ragazza esibì i
biglietti vinti quella mattina e vennero fatti salire, quindi, staccatasi
nuovamente dalla terraferma, la nave tornò a solcare le acque del fiume.
Appena furono a
bordo Toshio e Nadeshiko si ritrovarono nella grande sala interna che ospitava
una ventina di tavoli circolari, tutti occupati da gente di altissimo rango e
un palchetto al centro dove si esibiva una prestigiosa orchestra di violini;
qui vennero raggiunti da quello che, a giudicare dall’abbigliamento, doveva
essere il caposala, che li salutò con un leggero inchino.
«Benvenuti
signori. Vi stavamo aspettando.
Venite, vi
accompagno al vostro tavolo».
Come descritto nel
foglio illustrativo allegato ai biglietti il tavolo riservato ai vincitori del
concorso era situato a poppa, poco distante dalla ringhiera, in assoluto il
punto più ambito e prestigioso di tutta la nave.
Due camerieri
incaricati appositamente di servire quel tavolo aiutarono i due ragazzi a
sedersi, e la cena prese ufficialmente il via.
Grazie al cielo il
menù non presentava esempi di cucina inglese, che Toshio aveva più volte detto
di detestare, bensì di raffinatezze culinarie francesi e italiane preparate da
alcuni dei migliori chef di tutta l’Inghilterra.
Come antipasto
furono serviti formaggi pregiati e delicati, alcuni insaporiti con miele,
funghi champignon tagliati a metà con erbe aromatiche e olio d’oliva e un
piccolo assortimento di pesce e crostacei.
Nadeshiko mangia con gusto, assaporando a
pieno quella cucina per lei così inusuale e fuori portata, ma ogni qualvolta
sollevava lo sguardo per tentare di incrociare quello di Toshio lui
immediatamente lo abbassava, diventando rosso come i gamberoni che continuava a
rigirare nel piatto, affogato nel nervosismo.
Bisognava rompere
il ghiaccio, non importava in che modo, altrimenti non si sarebbe finiti da
nessuna parte.
«Dove… dove hai
comprato quel vestito!?» chiese ad un certo punto Nadeshiko, compatendosi
immediatamente per l’apparente stupidità della domanda
«È stata un’idea
di Shinji. Mi ha trascinato da un suo amico stilista mezzo matto. Ho provato
più vestiti oggi che in tutta la mia vita, per non parlare del fatto che mi ha
costretto a fare la doccia coi sali da bagno.»
«A me è successa
più o meno la stessa cosa.
Ma dopotutto Keita
e gli altri erano semplicemente preoccupati per noi.»
«Alla faccia della
preoccupazione. Non voglio mai più passarci per un pomeriggio simile».
Seguì un momento
di silenzio dovuto al passaggio dei camerieri, venuti a portar via i piatti
degli antipasti, ma Nadeshiko era sicura che ormai, malgrado tutto, la parte
iniziale del percorso ad ostacoli era ormai superata.
«Lo sai.» disse
appena furono nuovamente soli «Questa è la prima volta che esco con un ragazzo.
In tanti mi hanno chiesto di uscire, di andare a cena fuori o anche solo di
fare una passeggiata insieme, ma io ho detto sempre di no».
Toshio la guardò
un momento, in parte sorpreso in parte perplesso, poi sorseggiò un po’ del suo
vino.
«È così anche per
te?»
«Mio padre mi ha
presentato qualche ragazza, ma se devo essere sincero questo argomento non mi
ha mai interessato particolarmente.
Ero sempre
impegnato con gli allenamenti, e non avevo molto tempo da dedicare ad altre
cose.»
«Ah… capisco…».
Nadeshiko esitò un
momento, strusciandosi le mani; tra i due sembrava sicuramente lei la più
nervosa.
«Dimmi.» disse ad
un certo punto «Quando tutto questo sarà finito… vorresti… ecco… vorresti
venire a Uminari?».
Solo il pensiero
di trovarsi in un luogo pieno di conti, lord e marchesi trattenne Toshio dallo
sputare sulla tovaglia il vino che stava bevendo, ma nel tentativo di mandarlo
giù tossì così forte che un cameriere si avvicinò preoccupato, chiedendo se
stesse male e ricevendo una cortese rassicurazione.
«Perché mi fai
questa domanda!?»
«Ci ho pensato a
lungo da quella sera, quando ti ho sentito suonare la tua melodia dell’anima, e
ciò che è accaduto oggi mi ha aiutato a chiarirmi le idee.
Te l’ho già detto,
il mio sogno è sempre stato quello di dedicarmi alla musica, pertanto ho deciso
che, finite le scuole superiori, tenterò di entrare al conservatorio di Parigi,
il che significa che se dovessi farcela rimarrò in Giappone al massimo per
altri sei o sette mesi.
E sarebbe davvero
speciale se questo tempo avessi la possibilità di trascorrerlo assieme a te.»
«E p… p… p… p… p…
p… p… perché?»
«Beh…» disse
Nadeshiko giocando per l’imbarazzo con una delle sue trecce «Dopotutto, se ho
trovato la forza di prendere questa decisione, è soprattutto merito tuo.»
«M… m… mio!?»
«Prima di
conoscere te ero una persona timida e riservata. Avevo paura di tutto, ma
soprattutto del giudizio altrui.
Il mondo esterno,
con le sue leggi e le sue regole spietate, mi faceva paura. Per questo non sono
mai riuscita a pensare seriamente a come realizzare concretamente il mio sogno.
Dopo averti
conosciuto, però, ho capito quanto è importante essere coraggiosi; tutte le
prove che abbiamo affrontato mi hanno fatta crescere, o almeno è quello che
sento, e anche se provo ancora un po’ di paura ho capito che non posso passare
il resto della mia vita a nascondermi.
È giunta l’ora di
camminare con le mie gambe, proprio come hai saputo fare tu, che ad ogni
avversità hai sempre risposto con la tua determinazione e il tuo desiderio di
andare avanti.
Per questo ritengo
che parte del merito per questa decisione sia tuo, e mi piacerebbe poter
passare questi ultimi mesi in tua compagnia. Per ringraziarti.
Uminari avrà i suoi
difetti, ma è una bella città, e tu dicevi di volerti concedere un po’ di
riposo al termine del torneo».
Toshio di colpo
aveva preso a sudare come un cavallo, si mordeva le labbra e trovava la
cravatta incredibilmente stretta, per non parlare del fatto che il caldo
minacciava di farlo bollire vivo, al punto che si tolse la giacca,
appoggiandola allo schienale della poltrona e rimanendo in camicia.
«È… è una
richiesta un po’ insolita. Mi cogli… mi cogli del tutto impreparato.»
«Naturalmente, se
non vuoi, o se magari hai altri desideri, io ti capisco.»
«No, no, no, no!
Non fraintendere. Se devo dirti la verità, venire in Giappone è un sogno che da
tempo speravo di realizzare.
Però… però non so
se… se sia il caso… ecco… che venga proprio ad Uminari…»
«Non devi avere
nulla di cui preoccuparti. Penserò io ad ogni cosa. E poi, sarei felicissima di
presentarti ai miei genitori.»
«Ai… tuoi
genitori!?»
«Gli ho parlato di
te l’ultima volta che ci siamo sentiti, ed erano entusiasti».
Nadeshiko,
ripensando a quella conversazione, e soprattutto a ciò che aveva detto sua
sorella, arrossì.
«Vorresti…
vorresti farmi questo regalo?».
Toshio sembrava
morso dalla tarantola, e quando i camerieri vennero a portar loro il secondo
dei primi piatti, composto da ottimo riso al forno guarnito con foglie di
basilico e rosmarino, non mosse un muscolo, rimanendo immobile con la bocca
socchiusa e gli occhi semi-aperti.
Poi, però, il suo
autocontrollo riuscì nuovamente a riportarlo alla ragione.
«Io… d’accordo. Se
può farti piacere, verrò in Giappone con te».
Nadeshiko si sentì
felice come mai nella sua vita: il cuore sembrava sul punto di uscirle dal
petto, e avrebbe voluto urlare dalla gioia.
«Ti ringrazio. Non
sai quanto è importante per me.
Vedrai, ti porterò
in tutti i posti più belli del Giappone. Andremo a Tokyo, a Kyoto, a Sapporo, e
Shikoku e dovunque vorrai».
Sembrava davvero
che quella serata fosse destinata a proseguire nel migliore dei modi, ma come
se il destino avesse deciso di tessere le sue trame maligne proprio a discapito
di due giovani che chiedevano solo di poter essere lasciati un po’ in pace
all’improvviso un fuuzetsu circondò sia la nave sia una grande porzione di zona
circostante, cristallizzando ogni cosa; inoltre, la temperatura parve scendere
di colpo.
«Dannazione!»
esclamò Toshio balzando in piedi
«Questo è
inaudito!» tuonò una voce carica di risentimento.
Lui e Nadeshiko
alzarono gli occhi, incrociando lo sguardo severo, e per certi versi irato, di
Tomite, che li osservava da una decina di metri d’altezza in piedi sopra al
proprio circolo magico, di colore bianco luminescente e dal quale sembrava
emergere una specie di nevischio.
Il nuovo arrivato
aveva in mano il proprio arco, quindi non vi erano dubbi su quali fossero le
sue intenzioni.
«Chi è quello?»
«A giudicare dal
circolo e dal vestiario, direi che si tratta del rappresentante del clan
Borjigin.»
«Un partecipante
al torneo che si abbandona allo svago e al divertimento nel bel mezzo della competizione!
Non si era mai
visto niente del genere!».
Nota dell’Autore
Eccomi qua!
I corsi, come detto,
stanno per finire, quindi sono riuscito a ritagliarmi un po’ di tempo per
scrivere, per non parlare del fatto che le idee sono venute a grappoli, e così
pure l’ispirazione.
Per la verità le idee
sono state così tante che prima di rendermene conto avevo raggiunto le 9
pagine, di conseguenza mi sono visto costretto a tagliare ben prima del
previsto e a chiudere il capitolo a metà.
Di conseguenza, la
sorpresa di cui vi avevo parlato non avverrà nel prossimo, ma in quello dopo
ancora.
A parte questo,
ringrazio come al solito Selly, Akita e Cleo per le recensioni
Dal giorno del suo ultimo scontro Selene era diventata
sempre più vittima di un senso di ansia e di smarrimento che non voleva saperne
di lasciarla stare.
Le parole
pronunciate da Touka non smettevano di risuonarle nella mente, e malgrado
cercasse il più possibile di mostrarsi quella di sempre davanti ai generali e
allo stesso Seth, il suo nervosismo era più che evidente.
Per fortuna non le
erano più state assegnate ulteriori missioni, altrimenti aveva paura che il suo
stato d’animo avrebbe finito per minare inesorabilmente la sua abilità, e con
essa la buona riuscita dell’incarico.
Una simile
condotta da sua non passava certo inosservata, e per lei non fu una sorpresa
venire convocata una sera verso le dieci nella sala del trono.
In quel momento,
oltre a Johan, era presente solo Wei, che stava servendo al suo signorino la
sua quotidiana tazza di tè.
«Mi avete fatto
chiamare, mio signore?» domandò la ragazza inginocchiandosi.
Lui la osservò con
una parvenza di severità, poi ripose la tazza che aveva ancora in mano sul
vassoio d’argento.
«Grazie Wei. Puoi
andare».
Il maggiordomo
fece un leggero inchino ed uscì dalla stanza senza intrattenersi o guardarsi
alle spalle, e appena chiusa la porta, come doveva essere sempre fatto ogni
qualvolta Seth dava segno di voler parlare in assoluta privaci, subito fuori
incontro Franziska, che evidentemente stava raggiungendo a sua volta la sala,
probabilmente per poter stare un po’ con il fratello.
«Che succede?»
«La signorina Selene è stata convocata.»
«È qualcosa di
grave?»
«Non credo. Ma
negli ultimi giorni si è comportata stranamente. Forse il signorino vuole solo
chiedergli conto di ciò.»
«Sì… capisco…».
Franziska guardò
in basso, smarrita: anche lei era visibilmente preoccupata e soprapensiero.
«Signorina…
qualcosa non va’?»
«Io… io ormai non lo riconosco più.» disse trattenendo le lacrime «È
come se la sua volontà si stesse annichilendo. Quando tutto questo ha avuto
inizio… bene o male era rimasto lo Johan che avevo sempre conosciuto, e a cui
avevo voluto bene. Era gentile, determinato, e legato ai suoi servitori.
Ora, invece, la morte di uno di loro sembra non provocargli il minimo
turbamento.»
Il vecchio Wei non disse nulla, perché non sapeva trovare le parole
giuste. Anche lui, dopotutto, da un bel po’ di tempo non sapeva più cosa
pensare, e si domandava se valesse davvero la pena di andare avanti con questa
storia.
Intanto, Selene e Johan erano ancora l’uno di fronte all’altro, e si
osservavano in silenzio, la prima con crescente ansia il secondo con malcelato
rimprovero.
«Selene. Che ti succede? Negli ultimi giorni sei strana. È forse
successo qualcosa?»
«Mio signore…» rispose lei dopo poco, chinando ancor più la testa
«Perdonatemi, ma sento il bisogno di farvi una domanda.»
«Una domanda?» disse Johan con un leggero sorriso «Ma certo. Se può
aiutarti a diradare le nuvole che ti opprimono, sarò ben felice di
risponderti».
Selene temporeggiò, mordendosi le labbra, poi, prima che la paura o la
riverenza potessero fermarla ulteriormente, parlò tutto d’un fiato.
«Maestro. Che cosa significa esattamente essere un famiglio?»
«Dubiti forse della tua natura?» domandò Seth come se si aspettasse una
domanda del genere «O dei precetti che ti ho trasmesso?»
«No mio signore.» si affrettò a rispondere Selene «Vi prego, non
fraintendete le mie parole. Io sono fiera di aver ricevuto da voi il dono della
coscienza e del raziocinio umani, e la mia fedeltà nei vostri confronti è
rimasta immutata.
Tuttavia… negli ultimi giorni non sono riuscita a togliermi questa
domanda dalla testa».
Seth aggrottò leggermente le sopracciglia e strinse un po’ più forte i
braccioli della sua poltrona.
«Quando ho combattuto contro quel famiglio, Touka, lei mi ha detto che
essere un famiglio vuole dire molto di più che obbedire agli ordini del proprio
master.»
«Un famiglio viene creato con il preciso scopo di svolgere un compito.
Il creatore parte da questo presupposto quando prepara l’incantesimo, e questo
mi sembra più che scontato.»
«Avete ragione. Ma… se ci fosse anche dell’altro?»
«Dell’altro?»
«Touka ha detto che un famiglio esprime il meglio di sé nel momento in
cui diventa un tutt’uno con il suo master, e se crede con tutto sé stesso in
lui e in ciò che è stato chiamare allora non vi è niente in grado di fermarlo.»
«È dunque la tua fede a vacillare?»
«No, questo mai mio signore. Credo che tutta me stessa nell’ideale di
cui vi siete fatto portavoce, e non chiedo altro che portare nuova giustizia questo
mondo corrotto ed egoista.
Ma se il legame che io sento per voi è così forte da spingermi a fare
qualsiasi cosa voi mi chiediate, se avete tutta la mia fiducia incondizionata,
perché allora sono stata sconfitta?»
«Non sei stata sconfitta. Sono io che ti ho detto di ritirarti.»
«Sì, forse. Però… ho il sentore che se la sfida fosse proseguita sarei
stata io ad avere la peggio.»
«Cosa te lo fa credere?»
«Non lo so. È un presentimento. Ciò che non mi da pace è questo.
Visto che sono ferma nel mio ideale, cosa può aver determinato la mia
sconfitta?».
Selene, per l’ennesima volta, tornò con il pensiero alla notte dello
scontro, rievocando le parole della sua avversaria; c’era solo un’altra cosa di
cui lei aveva fatto menzione, la cosa cioè che secondo Touka aveva la massima
importanza nel rapporto tra un famiglio e il suo master.
Forse, era stata proprio quella cosa a farla perdere, ma se fosse stato
così… no, non poteva crederci.
Era inconcepibile!
Ciò nonostante, non poteva fare a meno di pensarci.
«E se fosse…» disse tra sé, e quando alzò il capo per guardare
nuovamente Johan vide una scintilla oscura nel suo sguardo, qualcosa che
decisamente non apparteneva al ragazzino timido e riservato con il quale era cresciuta,
e che aveva giurato di proteggere.
«Master Johan…» disse con aria di terrore «Siete davvero voi la persona
che ho di fronte?»
«Perché mi fai questa domanda?» domandò il ragazzo con voce che ad un
semplice umano sarebbe parsa assolutamente normale, ma che per un canide come
Selene aveva un tono ben diverso da quello che ricordava
«Io… io ero certa che i propositi di Master Johan fossero giusti. Per
questo sono stata al suo fianco. Ma allora, perché ho vacillato!?
Forse… dentro di me sapevo… che la persona a cui stavo obbedendo… non
era più…».
Johan non le diede il tempo di finire; svanito nel nulla, un istante
dopo era inginocchiato davanti a lei, e tenendola per il mento la costringeva a
guardarlo negl’occhi.
«Hai smarrito la via, mia bambolina. Lascia che ti aiuti a ritrovarla».
Selene cercò timidamente di reagire, di combattere, ma quella luce che
albergava negli occhi del ragazzo, quella luce rossastra che trasudava
malignità e che diventava più forte man mano che passava il tempo, era come un
richiamo al quale lei non sapeva resistere, e più gli occhi di Johan si
caricavano di luce più i suoi si svuotavano; alla fine, di essi non rimasero
altro che due sfere prive di vita.
«Master… Johan…» balbettò piangendo una lacrima, una sola.
Come un burattino mosso dai fili, Selene si rialzò in piedi assieme al
suo padrone, che seguitava a tenerla leggermene per il mento.
«È giunto per te il momento di fare ciò per cui sei stata creata. Quel
gruppo di mocciosi è a Londra, e in questo momento lo spadaccino di Nepthis è
impegnato in uno scontro.
Aspetta la fine della battaglia, e quando entrambi i contendenti saranno
esausti piomba su di loro e uccidili. Uccidi tutti.
Mi sono spiegato?»
«Sì… my master…».
Tomite continuava ad osservare
dall’alto la River Soul,
immobilizzata dal fuuzetsu assieme a tutti i suoi passeggeri, poi, dopo poco,
il suo circolo magico scomparve, e lui, come trasportato dal vento, discese
lentamente fin sul ponte più alto della nave.
«Nadeshiko.» disse Toshio «Tu resta qui. Me ne occupo io.»
«Ti prego.» disse lei prendendogli la mano e guardandolo preoccupata «Fai
attenzione.»
«Non preoccuparti».
Lasciatala, il ragazzo raggiunse con un salto il suo avversario,
materializzando la sua spada.
«Il tuo nome?»
«Tomite.
E lasciami dire che non mi era mai capitato di assistere ad una così
palese mancanza di responsabilità da parte di un partecipante al torneo.
Seth diventa ogni giorno più pericoloso, e benché la sua sconfitta sia
da considerare la massima priorità tu perdi tempo con cene a lume di candela e
spensierate navigazioni sul fiume.»
«Un tempo anch’io l’avrei pensata come te, ma ora sono dell’avviso che
concentrarsi eccessivamente sulla nostra missione serva solo a renderci più
nervosi e prevedibili, oltre che completamente inumani.»
«Che intendi dire?»
«Il torneo esiste per proteggere questo mondo e coloro che lo abitano.
Questo però non vuol dire che dobbiamo rinunciare ai piccoli piaceri che ci
vengono dall’essere umani.»
«Tu credi davvero che sia necessario comportarsi come persone comuni per
prendere parte al torneo?
E allora a cosa sarebbero serviti anni e anni di rinunce e di
allenamenti al fine di accrescere la nostra forza?»
«Allenarsi e diventare forti è importante, visto l’incarico che siamo
chiamati ad assolvere. Ma è altrettanto importante assaporare i piccoli piaceri
che la vita ci offre, altrimenti non sarebbe degna di essere vissuta.»
«Non è che stai solo cercando una scusa per giustificare la tua condotta
frivola e disinteressata?»
«Niente affatto. Ma se ne sei convinto, allora fatti sotto. Se sono
frivolo e irresponsabile come dici te, battermi dovrebbe essere cosa da poco.»
«Come vuoi.» rispose Tomite sogghignando «Ti dimostrerò io cos’è un vero
guerriero».
Tomite partì alla carica nello stesso modo in cui aveva ingaggiato
Atarus, brandendo il suo arco come una falce, ma a differenza di quanto
accaduto poco prima stavolta si trovò ad incrociare le armi con un avversario
di tutto rispetto, e che, più importante ancora, poteva vantare una tecnica di
scherma di gran lunga superiore.
L’arco del rappresentante Borjigin era costruito appositamente per poter
essere usato anche negli scontri da mischia, ma non era neppure paragonabile
alla kopesh degli spadaccini di Nepthys, un’arma dai grandi poteri forgiata
secoli addietro dall’ultimo uomo sulla terra a conoscere il segreto per
costruire le armi spirituali, capaci cioè di passare dalla forma eterica a
quella fisica e di integrarsi alla perfezione con lo spirito di chi le
brandeggiava.
Furono sufficienti pochi minuti a convincere Tomite che il corpo a corpo
era una strada senza uscita, e che almeno in quest’ambito il divario tra lui e
Toshio era decisamente troppo grande, di conseguenza non ebbe altra scelta che
cambiare strategia, sfoderando la sua vera abilità.
Disimpegnatosi da un confronto fisico, Tomite spiccò un salto altissimo
verso indietro, e raggiunta una distanza ragguardevole tese il proprio arco, su
cui comparve una freccia fatta di una strana luce azzurra che fu scagliata
contro Toshio.
Lo spadaccino era dotato di ottimi riflessi e non ebbe grandi difficoltà
a schivarla spostandosi leggermente, ma proprio quando era convinto di avercela
fatta il dardo parve esplodere nel momento esatto in cui gli stava passando
accanto, diffondendo tutto intorno un’aria che definire gelida era poco.
«Ma cosa…».
Prima che potesse fare qualcosa quel vento polare parve insinuarsi nel
suo braccio sinistro come un esercito di insetti, e in pochi secondi l’intero
arto parve congelarsi, diventando insensibile e duro come l’acciaio, oltre ad
assumere una tonalità bluastra simile a quella dei corpi in stato di
ibernazione.
Toshio sentì i muscoli contrarsi allo spasimo e le dita irrigidirsi, e
in pochi secondi perse del tutto il controllo del braccio, che rimase
completamente immobile.
“Maledizione…”
«Sei sorpreso? È questo il potere del clan Borjigin.
La mia tribù ha vissuto per secoli nelle aride e inospitali steppe della
Mongolia, dove l’inverno colpiva con tutta la sua micidiale forza mietendo ogni
anno decine di vittime.
La steppa però offriva anche i suoi benefici; nelle sue distese
sterminate i miei antenati hanno affinato nel corso dei secoli le loro abilità
di arcieri, facendo dell’arco il loro principale strumento di guerra.
In queste due forze sconfinate risiede la mia tecnica, una tecnica che
non ti sarà facile superare».
Toshio era comprensibilmente sorpreso, ma farsi mettere alle corde così
facilmente non era certo da lui, ed infatti ad un certo punto il braccio
congelato fu avvolto da una luce dorata che mandò in frantumi il ghiaccio e
restituì colore alla pelle.
«Mi dispiace, ma dovrai fare molto di più per riuscire ad
impressionarmi.»
«Niente male.» commentò Tomite non eccessivamente sorpreso «Ma del
resto, era prevedibile. Voi di Nepthys avete sempre vissuto in uno dei luoghi
più aridi del mondo, è naturale che abbiate sviluppato una certa resistenza
alle energie fredde.
Ma non importa. Questo era solo l’inizio».
L’arciere a quel punto, dopo aver evitato con un nuovo salto il nuovo
attacco di Toshio, discese, lentamente e con grazia, oltre il bordo della nave,
rimanendo sospeso nel nulla sopra le acque del Tamigi, che sfiorava a malapena
con le punta dei piedi.
«Quel ponte non è il campo di battaglia ideale per chi come me è
abituato a muoversi in spazi ampi e incontrastati. Di conseguenza, sarà meglio
fare qualche modifica al territorio».
Detto questo Tomite scoccò una nuova freccia di luce, stavolta diretta
verso l’alto, e appena raggiunto il centinaio di metri di altezza questa subito
esplose, generando diverse decine di altri fasci di luce più piccoli e veloci
che presero a cadere tutto intorno, e incredibilmente in poco tempo la
superficie di quell’intera parte di fiume racchiusa all’interno del Fuuzetsu si
trasformò in una spessa lastra di ghiaccio, trasformando il Tamigi in una sorta
di gigantesca pista di pattinaggio.
Anche la temperatura dell’aria calò bruscamente, e di questo si accorse
soprattutto Nadeshiko, che indossava nulla più che il suo abito da sera, il quale
oltretutto lasciava scoperte parti sensibili del corpo come le spalle e parte
del torace.
«Si gela.» disse stringendo le braccia attorno al busto e trattenendo a
stento il batter di denti
«Resisti!» le disse Toshio «Sistemerò la cosa il prima possibile!».
Senza perdere altro tempo, e dimostrando così un’avventatezza
decisamente non da lui, Toshio abbandonò il ponte e scese sul fiume ghiacciato,
nel territorio del nemico, dove equilibrio e agilità erano traguardi molto
difficili da raggiungere.
Tomite si spostava a grande velocità grazie a due aloni azzurri che,
avvolgendogli i piedi, gli permettevano di muoversi con la grazia e la maestria
di un campione olimpico, scoccando una freccia dietro l’altra. Toshio invece,
pur essendo in grado di emulare la tecnica di spostamento grazie al suo talento
naturale nell’osservare e riprodurre alcuni incantesimi altrui, non poteva
neanche avvicinarsi alle prestazioni del suo avversario, ed era già da
reputarsi un miracolo se riusciva a schivare i suoi dardi.
Ciò nonostante, era come vedere due ballerini impegnati in un incalzante
duello sui pattini, ma Tomite era bravo a mantenere le distanze in modo da non
essere costretto ad affrontare nuovamente un pericoloso corpo a corpo.
«Sei bravo.» disse l’arciere in un momento di pausa «Questo te lo
concedo.»
«L’ammirazione è reciproca.»
«Se solo dedicassi maggiore attenzione e concentrazione ai tuoi obblighi
come rappresentante della tua gente in questo torneo, non ci sarebbe nessuno in
grado di tenerti testa.»
«Ne sei davvero convinto?» domandò Toshio con un sorrisetto enigmatico e
quasi divertito
«Cosa?»
«All’inizio per me non esisteva altro che il torneo. Da quando la
competizione ha preso ufficialmente il via ho pensato solo a vincere e a
mettere fine a questa cosa il più velocemente possibile.
Ho affrontato più di un combattimento con questi propositi in mente, e
che tu ci creda o no li ho persi tutti.»
«Li hai persi!?»
«Poi ho incontrato qualcuno che mi ha fatto rivedere le mie posizioni.
Ho capito che l’ansia, la tensione, l’abnegazione incondizionata ed
inflessibile, sono come una zavorra che ci tiene ancorati a terra.
Ho capito che non è un male cercare di far parte di quell’umanità che
abbiamo il compito di proteggere. Echi
me l’ha fatto capire sono stati Keita e i suoi amici».
Tomite non batté ciglio alle parole di Toshio, ma dopo qualche istante
tese nuovamente l’arco, su cui comparve un’altra freccia magica.
«Se sei davvero così convinto di stare agendo nel giusto, dimostralo.
Le tue argomentazioni contro le mie. Scopriremo subito chi di noi due ha
ragione».
Anche Toshio a quel punto assunse una posizione di guardia, e la sua
spada prese a circondarsi del suo caratteristico bagliore aureo.
Oltre a Nadeshiko, alla sfida assisteva anche Atarus, in piedi sul tetto
di un edificio che si affacciava sulla sponda del fiume.
INFINITY ARROW
Come la freccia lasciò la corda
dell’arco subito si moltiplicò all’infinito, esattamente come era successo poco
prima subito prima che il Tamigi si congelasse.
Toshio rispose all’attacco generando una falce di luce con un movimento
violento della spada; il suo intento era probabilmente quello di disperdere
quanti più attacchi possibile spazzandoli via con la forza del suo incantesimo,
ma anche dopo lo scontro di poteri la magia di Toshio venne completamente
dissolta dall’azione combinata di tutti quei dardi, che senza più nulla ad
ostacolare il loro cammino si diressero tutti verso Toshio, centrandolo più e
più volte.
Il ragazzo venne colpito da almeno sei frecce luminose, capaci di ferire
e provocare dolore come quelle vere, e il contraccolpo fu tale da fargli
perdere l’equilibrio, scagliandolo all’indietro e facendolo scivolare sul
ghiaccio fino a che non andò a fermarsi contro la chiglia della nave.
La camicia e i calzoni del suo abito da sera erano ora coperti di buchi,
e quando le frecce, per la loro natura di semplici concentrazioni di magia, si
dissolsero, al loro posto restarono dei buchi non indifferenti dai quali prese
ad uscire molto sangue.
«Toshio!» gridò Nadeshiko correndo ad affacciarsi dal parapetto.
Fortunatamente, per quanto il colpo fosse stato pesante, e l’avesse
ridotto piuttosto male, Toshio era ancora tutto sommato integro, tanto che
riuscì ad usare le proprie abilità rigenerative per sanare buona parte delle
ferite.
«A quanto pare le mie argomentazioni erano le più solide.» disse Tomite
vedendo il suo avversario che si rialzava a fatica «Ma devo riconoscere che il
tuo talento è indubbio. Forse la tua teoria sulla necessità di condividere i
piaceri del mondo non è poi così sbagliata, ma si tratta pur sempre di
distrazioni, e le distrazioni in questo momento noi partecipanti al torneo non
ce le possiamo permettere».
Poi, all’improvviso, Tomite udì un suono famigliare, un suono che aveva
sentito molte volte durante l’addestramento e gli era sempre valso una sonora
ripassata da parte di suo padre, il Khan Ranva.
La corda spirituale, quel filo sottile di luce azzurra che teneva l’arco
in tensione, di colpo si spezzò, producendo il caratteristico suono acuto e
breve prima di svanire nel nulla.
«Ma cosa…» disse l’arciere con espressione più che sconvolta.
Com’era stato possibile!?
Ciò che quell’evento del tutto inatteso aveva lasciato del suo
raziocinio gli fornì velocemente la risposta a questa domanda.
Allora era a quello che il suo avversario aveva mirato: non alle frecce
magiche, ma all’arco stesso. Probabilmente il suo intento era quello di
romperlo, decretando così la sconfitta di Tomite, ma avendo dovuto oltrepassare
la barriera costituita dalla nuvola di dardi la sua forza si era molto ridotta,
risultando capace di risultare incisiva solo contro un’altra manifestazione
magica, come appunto la corda dell’arco.
Ecco spiegato il motivo di un comportamento così insolito, al quale
Tomite inizialmente non aveva attribuito grande rilevanza.
Fino a quel momento tutti gli avversari che avevano dovuto confrontarsi
con l’Infinity Arrow, in assoluto la sua tecnica più potente, si erano
istintivamente protetti dietro una barriera, che pur non risultando mai
sufficiente a costituire una difesa in grado di reggere era pur sempre
preferibile all’attaccare allo sbaraglio sperando di respingere un attacco con
un così vasto raggio d’azione.
E questo di sicuro Toshio lo sapeva: sapeva di non poter respingere
l’Infinity Arrow, ma nonostante ciò aveva voluto contrattaccare in modo da
poter colpire Tomite nell’unico momento in cui avrebbe tenuto la guardia
abbassata, impossibilitato oltretutto a sfruttare la sua velocità per cavarsi
d’impaccio.
“Ha rischiato di farsi colpire per essere sicuro di neutralizzare il mio
arco.”
«Adesso è il mio turno.» disse Toshio tornando a sfoggiare la sua
espressione sicura e determinata.
La riscossa dello spadaccino fu rapida e distruttiva; volato
letteralmente incontro a Tomite scardinò la sua difesa con un solo colpo di
spada così forte da farlo volare fin sulla banchina del porto, dove tuttavia
l’arciere riuscì ad atterrare con le sue gambe.
Una volta qui lo scontro riprese, ma non potendo più contare sul
vantaggio offerto dal proprio campo di battaglia favorito Tomite si ritrovò ben
presto messo alle strette, per non parlare del fatto che ormai il suo arco era
buono solo come arma da mischia, e come già era apparso evidente nel primo corpo
a corpo sul ponte della nave sotto questo punto di vista il divario fra i due
era praticamente incolmabile.
Dopo un rapido scambio di colpi Tomite ricevette un calcio al costato
che lo scaraventò a terra, e prima ancora di potersi rimettere in piedi aveva
la spada di Toshio puntata alla gola.
Il suo sguardo era di pura incredulità, e benché la sua arma, l’arco per
l’appunto, nonché suo unico mezzo di combattimento nel torneo, fosse ancora
sostanzialmente integro, quella era una situazione di sicura sconfitta.
«Non… non ci posso credere…»
«La sfida è finita. Ho vinto io».
Infatti, dopo poco, la meridiana comparve nuovamente, e un nuovo
simbolo, simile a quello del Sagittario, si spense, decretando la sconfitta del
Clan Borjigin.
In quello stesso istante, allarmati dalla comparsa del fuuzetsu nel bel
mezzo della città, Keita e gli altri raggiunsero il luogo dello scontro.
«Cos’è successo?» domandò Takeru
«Niente di serio. Questo è Tomite, il rappresentante del Clan Borjigin.
La nostra battaglia si è appena conclusa».
Nadeshiko, che ancora si trovava a bordo della nave, fu portata sulla
banchina da Lotte, e subito corse a sincerarsi delle condizioni di Toshio;
sembrava sul punto di piangere, segno che doveva essersi molto spaventata.
«Toshio! Stai bene?»
«Sì, è tutto a posto. Tranquilla.»
«Quando quelle frecce ti hanno colpito ho avuto una paura terribile.
Temevo saresti rimasto ucciso.»
«Beh, se ti può consolare per un attimo l’ho creduto anch’io».
Quell’affermazione, che voleva essere di rassicurazione, costò invece al
ragazzo un ceffone non troppo forte, ma l’espressione terrorizzata e risentita
al tempo stesso di Nadeshiko era di gran lunga più dolorosa.
«Nadeshiko…»
«Devi smetterla di scherzare su certe cose!» disse la ragazza
trattenendosi a stento dal piangere «Non lo capisci che ero preoccupata per te?
Mi avevi promesso di fare attenzione!»
«Io…»
«Credevi che non avessi capito le tue vere intenzioni? Non sono così
ingenua come forse potresti pensare.»
«No… io non intendevo…»
«Promettimi che non farai mai più niente di così avventato.
Promettimelo.»
«Io… te lo prometto».
Visibilmente più sollevata, Nadeshiko si lasciò abbracciare,
stringendosi con forza a Toshio come a volergli evitare di andarsene.
«Perdonami se ti ho fatta preoccupare.»
«Non farmi prendere mai più uno spavento simile. Se dovesse succederti
qualcosa non so che farei, Toshio.»
«Non si ripeterà. Hai la mia parola».
Tomite, che nel frattempo era stato aiutato da Keita e Shinji a
rimettersi in piedi e aveva cessato il suo fuuzetsu, permettendo al tempo di
tornare a scorrere e al Tamigi di riacquistare il suo vero aspetto, si avvicinò
a Toshio, che lasciata andare Nadeshiko lo guardò a sua volta.
«I miei complimenti. Sei stato un grande avversario.»
«Anche tu, Tomite.» disse accettando la stretta di mano
«Alla fine, le tue ragioni si sono dimostrate più forti delle mie. Non
m’importa se ho perso. Ho combattuto al meglio delle mie possibilità, e tu hai
fatto altrettanto.»
«Sono felice di sentirtelo dire.»
«Spero che un giorno tu voglia concedermi la rivincita».
Detto questo Tomite prese tra le mani il proprio arco e lo porse al suo
sfidante.
«È usanza presso la mia gente di consegnare la propria arma al vincitore
quando si viene sconfitti in duello. Per questo, io consegno questo arco a te,
per dimostrare che riconosco la tua superiorità».
Toshio esitò un momento, poi, con una sorta di timore misto a riverenza,
prese l’arma, guardandola a lungo: era un oggetto di ottima fattura, che
trasudava potere magico e aveva le energie fredde insite al suo interno.
«Mi ha sempre servito fedelmente. Lo saprà fare anche con te.»
«Ti prometto che ne avrò la massima cura».
Tomite fece per stringere di nuovo la mano a Toshio, ma all’improvviso
una sensazione terribile, preannunciata dall’ennesimo, tenue bagliore del
ciondolo di Nadeshiko, attraversò come un fulmine la mente di tutti i presenti,
e l’arciere fu il primo ad accorgersi di una sfera di fuoco che, scendendo dal
cielo, piombava diritta sul giovane spadaccino.
«Toshio, attento!» gridò buttandolo a terra.
Per salvarlo Tomite divenne egli stesso il bersaglio dell’attacco, e
dopo essere stato travolto in pieno dalla potenza del colpo fu scagliato
violentemente all’indietro privo di sensi.
«Tomite!».
Aria e Lotte, le più vicine, si affrettarono a raggiungerlo,
sincerandosi delle sue condizioni.
«Niente di grave.» disse Aria «È solo svenuto».
La consolazione nel sapere il loro nuovo amico tutto sommato integro fu
ben presto annichilita dalla comparsa, all’interno di un vortice di nuvole
nere, di Selene, nuovamente armata con il suo bracciale artigliato e pronta a
combattere.
Subito Toshio e gli altri notarono la sua espressione, i suoi occhi
vuoti.
«E questa chi è?» domandò Keita facendo comparire la propria spada
«Non lo so.» rispose Toshio «Ma avverto un potere oscuro di immani
proporzioni provenire da dentro di lei.»
«Sei forse al servizio di Seth?» domandò Shinji, suscitando una risposta
irata da parte della ragazza
«Non osate parlare del maestro con tanta leggerezza, sudici umani! Voi
non siete neppure degni di pronunciarne il nome!»
«Accidenti, che caratterino.»
«Temo sia stata plagiata.» disse Nadeshiko
«Cosa te lo fa pensare?» chiese Takeru, che a sua volta aveva messo mano
alla sua katana
«Guardate i suoi occhi. Non vi è la minima traccia di coscienza. Sono
privi di vita.»
«Questo peggiora solo la nostra situazione.» disse Lotte mettendosi a
sua volta in posizione di guardia e lasciando Tomite alle arti curative della
sorella
«Nel nome del mio signore, il divino Seth, porrò fine alle vostre vite!
Recitate una preghiera, se avete un dio a cui farlo!».
Con una velocità impensabile perfino per un famiglio Selene piombò sul
gruppo di amici; per fortuna tutti riuscirono a spostarsi, ma i suoi artigli
d’acciaio, colpendo l’asfalto, produssero una crepa gigantesca, andandosi a
conficcare quasi del tutto.
«Non darti tutte queste arie, carina!» gridò di rimando Lotte che,
agendo prima con i pugni che con la testa, le andò contro per rispondere
all’attacco.
Selene però, senza nessuna difficoltà, riuscì a schivare agilmente il
pugno, serrandolo con forza all’interno del proprio.
«Ma cosa…».
Prima di poter reagire Lotte ricevette un pauroso calcio al mento, e il
colpo fu così violento da lasciarla immediatamente priva di sensi e farle
riacquistare il suo aspetto felino.
«Sorellina!»
«Lei è stata la prima. Presto la raggiungerete».
All’attacco infruttuoso di Lotte seguì quello combinato di Takeru e Shinji;
il primo tentò di assestare un fendente verticale, che venne tuttavia agilmente
parato dagli artigli d’acciaio, il secondo invece usò la sua velocità per
portarsi alle spalle dell’avversaria con il tentativo evidente di colpirla alla
nuca e chiudere così la partita sul nascere.
Anche questo secondo assalto però venne schivato, in quanto Selene,
accortasi delle intenzioni del nemico, ricacciò indietro Takeru, quindi,
voltatasi, arrestò con il polso il calcio di Shinji per poi colpirlo con un
destro in mezzo al torace, un vero e proprio colpo di cannone che spedì il
ragazzo parecchi metri facendogli sputare sangue.
Takeru cercò a sua volta di approfittare della distrazione di Selene,
spalleggiato oltretutto anche da Keita, ed entrambi colpirono nello stesso
momento, Takeru con il suo Tenma Shouryusen e Keita con un attacco diretto.
Selene evitò la corrente impetuosa spiccando un salto acrobatico che la
condusse fin sul bordo della banchina per poi intraprendere con Keita un rapido
scambio di colpi nel quale il ragazzo ebbe purtroppo la peggio, venendo
afferrato per il bavero della maglietta e successivamente scagliato verso il
fiume; sarebbe sicuramente finito a mollo se Nadeshiko, intervenuta al momento
opportuno, non lo avesse avvolto in una sfera di luce che, fluttuando
nell’aria, lo riportò a terra, seppur debilitato da un brutto colpo allo
stomaco incassato subito prima di venire lanciato via.
«È davvero fortissima.» disse Shinji rimettendosi faticosamente in piedi
«La mia fedeltà al nobile Seth travalica ogni cosa. Non sarete mai in
grado di sconfiggermi.» disse Selene prima di concentrarsi su Toshio, che fino
a quel momento era rimasto in disparte per difendere Aria, Nadeshiko e Tomite.
Il ragazzo non faticò a capire che coi suoi compagni in quelle
condizioni lui sarebbe stato il prossimo, e per nulla al mondo poteva
permettere che Nadeshiko rimanesse in pericolo.
«Aria, proteggi Nadeshiko!» gridò prima di lanciarsi all’attacco
«Toshio aspetta!» tentò di dire la ragazza, ma fu tutto inutile.
Purtroppo, proprio come Seth aveva previsto, Toshio era molto debilitato
per via dello scontro non proprio da quattro soldi dal quale era appena uscito,
e a ragione di ciò le sue prestazioni risultarono fin da subito alquanto
deludenti: Selene non presentava alcuna difficoltà ad evitare i suoi attacchi
lenti e prevedibili, rispondendogli a tono.
Ad un certo punto, dopo aver superato la sua difesa, la ragazza arrivò
molto vicina a colpirlo con gli artigli, ma fortunatamente Toshio riuscì ad
evitare l’attacco appena in tempo, ricavandone solamente la camicia mezza
sventrata e una coppia di graffi obliqui sul torace. Selene però non perse
tempo e, quando ancora il nemico era in parte disorientato, lo colpì con un
calcio.
Ancora una volta Toshio si difese incrociando le braccia davanti al
volto, ma ciò non gli impedì comunque di venire scagliato in aria, e quando
tornò coi piedi per terra vide la sua avversaria materializzare sotto di sé il
proprio circolo magico, il che non lasciava presagire niente di buono.
«Muori!» gridò Selene lanciandogli contro una nuova sfera incandescente.
La palla di fuoco era velocissima, troppo per sperare di poterla
evitare, e per un solo istante Toshio, e non solo lui, pensò seriamente che
quella fosse la fine.
«Toshio!» gridò Nadeshiko nel disperato tentativo di erigere attorno a
lui una barriera protettiva.
STORMBRINGER!
Improvvisamente una tempesta di
fasci luminosi piombati dall’alto investì la sfera, facendola esplodere poco
prima che raggiungesse il suo bersaglio, e subito dopo fra Toshio e Selene,
rivolto verso quest’ultima, si frappose una vecchia conoscenza che lasciò tutti
con la bocca spalancata.
«Atarus!?» esclamò chiunque avesse la forza di parlare
«Che c’è, sei già fuori combattimento?» disse il lanciere col suo tono
sprezzante «In piedi!»
«Cosa diavolo ci fai tu qui?» domandò Toshio rialza dosi e mettendosi
accanto a lui, tenendo però la guardia bene alzata
«Tu che cosa dici? Non posso certo permettere a qualcun altro di
ucciderti al mio posto».
Toshio e gli altri si accorsero quasi subito della differente luce che
albergava negli occhi di Atarus, e per questo nessuno di loro ne ebbe
eccessivamente paura; al contrario, furono in molti a gioire per l’arrivo di un
nuovo alleato, capace forse di ribaltare le sorti di quella complicata
battaglia.
«E tu chi sei?» domandò Selene, che di certo non aveva previsto nulla di
simile
«Sono colui che deve far mangiare la terra a questo moccioso. Io e lui
abbiamo ancora parecchi conti in sospeso, quindi non posso proprio permetterti
di interferire.»
«Vorrà dire che conoscerai anche tu la punizione divina del mio
signore!».
Selene tentò di attaccare, ma fu sufficiente un nuovo colpo dello
Stormbringer per convincerla che era meglio restare indietro piuttosto che
colpire alla ceca.
«Non credevo sarebbe bastato un duello di pochi minuti per ridurti in
questo stato.» disse Atarus rivolgendosi a Toshio «Ti sei rammollito.»
«Ora preoccupiamoci di uscire da questa situazione. Al resto penseremo
dopo.»
«Sono d’accordo».
Atarus, che aveva passato gli ultimi minuti ad osservare lo scontro,
aveva già in mente la sua strategia, e non mancò di farne partecipe anche il
suo ex avversario.
«Lei ha come elemento principale il fuoco. E qual è la migliore arma contro
il fuoco?».
Toshio ci pensò un secondo, poi, guardando ciò che portava sulle spalle,
ebbe l’illuminazione.
«Ma certo!» disse impugnando l’arco di Tomite «Il ghiaccio!»
«Pensi di saperlo utilizzare?»
«Posso provarci.»
«Sarà meglio che impari in fretta. Non so per quanto potremo tenere a
bada quella furia scatenata».
Keita e gli altri erano un po’ dubbiosi, e Takeru non mancò di farlo
notare.
«Chi ci dice che possiamo fidarci di te?»
«Potere scegliere, o accettare il mio aiuto o venire ammazzati! La
decisione spetta a voi!».
Il lanciere fu il primo a lanciare un nuovo assalto, e malgrado la loro
iniziale riluttanza ben presto Keita, Shinji e Takeru si unirono a lui,
contribuendo a mettere Selene particolarmente sotto pressione, sottoponendola
ad una continua serie di attacchi che, oltre ad impegnarla in modo non
indifferente, la distraevano da Toshio, il quale nel frattempo aveva teso una
nuova corda spirituale e recuperato una freccia dalla faretra di Tomite, ancora
privo di sensi e accudito da Aria, incoccandola.
Subito dopo aver messo la corda in tensione lo spadaccino materializzò
il proprio circolo magico e cominciò a concentrarsi, in modo da permettere sia
alle proprie forze sia alle energie fredde insite nell’arco di convogliare nella
freccia, trasformandola in un dardo congelante.
Tomite nel corso del duello si era servito di frecce spirituali generate
dalla sua stessa energia, ma quella era un’impresa che riusciva solo con anni e
anni di esercizio costante, quindi la sola cosa da fare era creare un
espediente il più possibile somigliante all’originale.
Lo scontro ebbe i suoi momenti del tutto inattesi, come quando Keita fu
salvato da un’artigliata dal provvidenziale intervento di Atarus o quando
Selene non riuscì a colpire il lanciere con un pugno circondato di fuoco grazie
a Takeru, che intervenendo col suo Tenma Shouryusen obbligò la ragazza a
retrocedere.
Ad un certo punto, accortosi che Toshio aveva quasi finito di preparare
l’incantesimo congelante che avrebbe potuto mettere fine alla sfida, Atarus
fece segno ai tre inaspettati compagni di battaglia di farsi da parte, di modo
da rimanere il solo a contrastare Selene ed evitando così che potessero venire
coinvolti nell’attacco del loro amico, che sicuramente avrebbe avuto un
discreto raggio d’azione.
All’ultimo secondo, dopo aver respinto l’ennesimo attacco ed aver
lanciato alla sua avversaria un sorrisetto di soddisfazione, Atarus si spostò
lateralmente, mettendo Selene direttamente sulla linea di tiro della freccia di
Toshio, divenuta blu e luminescente come quelle di Tomite.
«Che cosa…».
Prima che la ragazza potesse finire la frase Toshio scoccò la freccia,
che appena lasciato l’arco prese a viaggiare a velocità stratosferica,
diffondendo tutto attorno un’aria abbastanza fredda da ricoprire il terreno di
brina.
Il dardo toccò terra proprio ai piedi di Selene, trasformandosi subito
in una vera tempesta gelida che, oltre a produrre un vapore bianco e denso,
simile a panna montata, fece calare violentemente la temperatura tutto intorno,
tanto che anche Keita e gli altri, che pure erano abbastanza lontani, sentirono
i brividi.
Selene cercò dapprima di disperdere il vapore agitando furiosamente le
braccia, ma quando fece per saltare via da quell’inferno glaciale si avvide che
le sue gambe erano completamente paralizzate, e pian piano tutto il suo corpo
prese a circondarsi di una spessa barriera di ghiaccio.
«Ma… maledetti!»
«E vai!» disse Shinji «Ormai è fuori combattimento!».
Allo scontro assistevano anche Seth e Nepthys, servendosi come al solito
del circolo magico tracciato sul pavimento, ma come accadeva ormai spesso
l’incombente sconfitta di un proprio servitore non sembrava allarmare più di
tanto il sovrano, che al contrario sfoggiava il suo solito sorriso impassibile.
«Mai mandare un cane a fare il lavoro di un uomo.» disse con incredibile
noncuranza, e a quel punto il pendente a forma di spada prese a brillare di una
luce nera.
La stessa luce, molto più vasta e minacciosa, prese ad ardere come una
fiamma attorno a Selene proprio quando i ragazzi erano convinti di averla messa
del tutto fuori combattimento; la ragazza gridava dal dolore, come se si fosse
trovata immersa in un mare di fuoco, e i suoi occhi, da bianchi, divennero
rosso sangue; i denti si fecero più affilati, coi canini superiori in risalto a
sporgere dalle labbra, e così le unghie, che andarono a sostituire gli artigli
metallici rottisi poco prima a causa dello scontro con la ben più resistente
katana di Takeru.
Anche la sua voce cambiò, divenendo più simile ad un ringhio disumano;
il ruggito di una belva feroce.
«Ma che cosa le sta succedendo?» domandò spaventato Keita vedendo Selene
che, con uno scatto rabbioso, si liberava del ghiaccio che l’aveva ormai quasi
interamente ricoperta.
Movendosi ad una velocità più che doppia rispetto a prima la ragazza
travolse Takeru con la forza di un tornado, e subito dopo di lui prese a fare
strage di tutti coloro che le capitavano a tiro.
Ormai di umano Selene aveva soltanto parte dell’aspetto; le orecchie e
la coda erano drizzate, proprio come quelle di un cane infuriato pronto a
combattere, si spostava con un’agilità assolutamente non comune anche per un
famiglio, e alternava continuamente lo spostamento a due o a quattro zampe.
Inoltre, di tanto in tanto, quando la fiamma che continuava a
circondarla aumentava di intensità, lei urlava ancora più forte. Ad un certo
punto tutto questo potere si risolse in una tremenda esplosione, così forte da
far volar via ogni cosa nel raggio di decine di metri: Keita, Shinji e Takeru
vennero sbalzati via e caddero successivamente a terra molto debilitati, e
anche Aria e Nadeshiko, che stavano in quel momento ancora assistendo Tomite,
ne vennero investite.
I soli che riuscirono a resistere furono Atarus e Toshio, che evitarono
di prendere il volo piantando a terra le rispettive armi.
«È opera di Seth!» disse Toshio quando, faticosamente, la tempesta si
acquietò «Le sta infondendo tutto il proprio potere per renderla più forte!»
«Ma è assurdo!» rispose Atarus «Un semplice essere umano non può
padroneggiare una tale quantità di energia, figuriamoci un famiglio! Di questo
passo non durerà dieci minuti!»
«A Seth non importa se lei muore o meno, gli basta che ci faccia
fuori!».
All’ennesimo attacco rabbioso di Selene Atarus rispose con alcuni
fendenti ben assestati che la costrinsero a retrocedere, ma lei, proprio come
un cane da caccia che ha puntato la sua preda, non pareva intenzionata a
mollare, e allora il lanciere si vide costretto a fare sul serio, anche se la
cosa, incedibile a dirsi, gli provocava un senso di disgusto.
STORMBRINGER!
Stavolta però l’esito fu ben
diverso da quello che la stessa tecnica aveva sortito solo pochi minuti prima.
Come ormai Toshio sapeva fin troppo bene lo Stormbringer consisteva
semplicemente nel concentrare una grande quantità di potere magico sulla lama
della lancia per poi rilasciarlo a piccole dosi in una serie ininterrotta di
affondi rapidissimi, con un risultato in fin dei conti non molto diverso
dall’Infinity Arrow di Tomite, anche se indubbiamente di potenza maggiore.
La velocità di Selene però, come detto, era divenuta qualcosa di
inimmaginabile, tanto che, messasi a correre contro il suo avversario, la
ragazza riuscì a muoversi all’interno dei fasci di energia evitandoli tutti,
fino ad arrivare a tu per tu con Atarus.
«Cosa…» disse sorpreso il lanciere prima di ricevere un pugno al torace
che lo scaraventò contro la parete di un magazzino, un colpo tanto violento da
sfondare il muro, lasciando Atarus semisvenuto tra le macerie
«Atarus!» gridò Toshio, rimasto ormai probabilmente l’unico ancora in
grado di proseguire lo scontro.
Il ragazzo fece per mettersi in posizione nell’attesa di un inevitabile
attacco, ma tornado a concentrarsi su Selene si accorse che quest’ultima non
sembrava aver puntato lui, e quando volse gli occhi nella direzione fissata dal
famiglio sentì un colpo tremendo al cuore, che minacciò di fermarsi.
Il suo bersaglio era Nadeshiko, che da qualche istante si era separata
dal gruppo, rimanendo immobile con le braccia lungo i fianchi e lo sguardo a
terra, nascosto dalle frange dei capelli.
Toshio era troppo sconvolto e terrorizzato per accorgersene, ma il
pendente che la ragazza portava al collo rifulgeva come mai aveva fatto, e
forse era proprio quello ad attirare maggiormente Selene, che a grandi falcate
prese a correrle contro.
«Nadeshiko!» urlò Toshio nel disperato quanto vano tentativo di arrivare
per primo.
La sua rapidità non era però neanche paragonabile a quella del famiglio,
la quale, dopo un paio di balzi, spiccò un salto altissimo, allungando la mano
destra e puntando diritta alla gola.
Toshio si sentì morire, e pregava ogni dio possibile che quello fosse
solo un brutto incubo.
Se non che, come per incanto, e senza che nessuno muovesse
apparentemente un dito, una barriera di straordinaria durezza bloccò la strada
a Selene, frapponendosi fra lei e il suo obiettivo e riuscendo,
incredibilmente, a respingerla, un’impresa che fino a quel momento non era
riuscita a nessuno.
Solo allora Toshio si accorse del potere magico a dir poco immenso che
aveva iniziato ad avvolgere completamente la sua amica; e non solo lui, tutti
quanti dopo che lo spavento fu passato videro montare dal suo corpo un’aura di
un bianco quasi accecante e di vastissime proporzioni.
Era un potere inimmaginabile per chiunque, anche per il più grande
maghi, un potere che poteva essere definito in un solo modo: inumano.
Anche Selene, pur nelle sue condizioni psichiche, parve rendersi conto
di ciò che stava accadendo davanti a lei, e ne ebbe quasi paura.
Poi, lentamente, Nadeshiko sollevò gli occhi, e allora l’espressione di
tutti, da incredula, divenne sgomenta: brillavano ancora del loro colore di
smeraldo, ma non erano certamente i suoi.
Una forza e un ardore senza confini trasudavano da quelle due gemme
preziose, in uno sguardo che tutto poteva essere fuorché quello di un essere
umano.
Toshio e Atarus furono i primi a riconoscere quel potere magico, ma non
volevano credere che fosse proprio Nadeshiko la persona che entrambi non
avrebbero mai immaginato di trovarsi un giorno di fronte; quando sotto i piedi
della ragazza, però, comparve un circolo magico di immani proporzioni, lo
stesso che lei aveva sempre posseduto ma dal colore tendente al bianco scintillante
e di dimensioni molto maggiori, ne ebbero la conferma.
«No… non è possibile…».
Anche Seth e Nepthys assistettero alla scena, il primo divertito e quasi
estasiato la seconda con un misto di stupore e sgomento.
«Finalmente si è decisa.» disse il sovrano
«Sei posseduta da un’entità oscura.» disse Nadeshiko con una voce
echeggiante, piena di ardore, che Atarus in particolare non faticò a
riconoscere «Ma in fondo al tuo cuore percepisco sentimenti nobili. Per questo intendo
liberarti!».
Detto questo, la ragazza si strappò il pendente, sollevandolo in aria.
«Sabatiel!»
«Activation!».
Il circolo magico
divenne, se possibile, ancor più splendente di prima, e mentre la luce
diventava sempre più forte le vesti di Nadeshiko presero a cambiare. Quando il
bagliore si attenuò, indossava un abito rosato in stile vagamente arabeggiante;
un gilè maniche corte che lasciava scoperto l’ombelico, pantaloni larghi
sormontati da una sorta di gonna lunga aperta interamente sul davanti che si
fermava all’altezza delle caviglie, scarpe leggermente affusolate e un lungo
mantello provvisto di un cappuccio molto largo.
Portava anche dei bracciali decorati, e in mano stringeva un lungo
scettro dorato con in cima una sfera vitrea circondata da un diadema a forma di
ali del tutto simile a quello che era impresso sul monile.
«Ma cosa…» balbettò Keita, completamente senza parole
«Non…» disse Toshio «Non può essere. Isis-sama!»
«Che cosa!?» esclamò Takeru
«La nostra amica Nadeshiko…» disse Shinji
«Sarebbe… Isis…» concluse Keita.
Isis, come aveva spiegato Toshio tempo prima, era stata la più acerrima
nemica di Seth ai tempi della guerra sacra, nonché colei che aveva ispirato i
primi sette guerrieri che avevano avuto il coraggio e la grinta necessari a
combattere il dio della distruzione nella sua prima rinascita.
Mai da che era stato istituito il torneo si era mostrata in sembianze
umane, ma ora anche quell’ultimo tabù era stato infranto.
Selene fece qualche passo indietro nel vedere quegli occhi così splendenti
e determinati piantarsi su di lei, ma poi, spinta unicamente dall’istinto, non
si fece remore e attaccò la nuova arrivata, la quale non mosse un muscolo e non
fece alcun tentativo per evitare l’assalto.
«Sabatiel.»
«Jail Ring!».
Come era accaduto già tempo prima a Yuuhi nel castello di Seth, Selene
si ritrovò i polsi e le caviglie immobilizzati da anelli lucenti dai quali, per
quanti sforzi facesse, le era impossibile liberarsi.
Nadeshiko, con passo lento, si avvicinò a lei, mentre tutti gli altri
assistevano attoniti e increduli.
«Non aver paura.» disse con infinita dolcezza guardando il famiglio che
si dimenava e urlava furiosamente nel tentativo di liberarsi «Non voglio farti
del male.
Al contrario, voglio salvarti».
La ragazza alzò dunque lo scettro, la cui sfera prese a brillare di una
forte luce bianca.
«Epuration».
Quella luce si trasferì rapidamente su Selene, che prese a gridare con
più forza e disperazione di prima, e dopo poco il potere oscuro che Seth aveva
instillato in lei per renderla più potente prese ad uscirle dal corpo come un
miasma venefico che si disperdeva rapidamente nell’aria.
Il supplizio durò qualche minuto, ma quando ebbe finalmente fine Selene
era tornata esteriormente quella di sempre, ma avendo perso i sensi appena fu
lasciata libera dal vincolo degli anelli il suo corpo rovinò a terra.
Solo allora, con molto timore, Toshio e gli altri si avvicinarono; anche
Lotte, che intanto si era ripresa e aveva ripreso le sembianze umane.
«Na… Nadeshiko…» disse Keita vedendo la sua amica che, inginocchiatasi,
passava delicatamente una mano sul volto di Selene «Sei davvero tu?»
«Ora non c’è tempo per parlare di questo.» rispose lei facendosi seria
«Questa ragazza sta morendo.»
«Morendo!?» disse Shinji «Perché!?»
«L’ho liberata dall’influsso malevolo che la teneva prigioniera, ma lo
sforzo per il suo fisico è stato troppo grande. Per non parlare del fatto che
Seth ha cessato il suo legame con lei senza prima averle garantito la piena
autonomia come essere vivente.»
«Ma non c’è niente che possiamo fare per salvarla?» chiese Keita
«Bisogna che si leghi ad un nuovo master. È la sola cosa che può
risparmiarla dalla morte.»
«Un nuovo master?»
«Lo faccio io.» disse Atarus irrompendo improvvisamente sulla scena prima
che chiunque altro avesse il tempo di sollevare una parola.
Nadeshiko, o per meglio dire Isis, non fece nessuna obiezione, e così
tutti gli altri, quindi il lanciere, inginocchiatosi a sua volta, fece
distendere Selene sulla schiena, poi, incisosi con la lama della sua arma il
palmo della mano, fece cadere alcune gocce in bocca alla ragazza; questa ebbe
un sussulto, digrignando leggermente i denti, poi cadde in quello che sembrava
un sonno profondo, e Isis confermò che il pericolo era scampato.
«Ci saranno delle conseguenze?» domandò Takeru
«Quando un famiglio cambia il proprio master» rispose Aria «I ricordi di
ciò che è stato prima di stringere il nuovo patto scompaiono quasi del tutto.»
«Il che significa che non saremo mai in grado di sapere dove si trova il
nascondiglio di Seth.» commentò Lotte «Che occasione perduta.»
«Mi sei piaciuto.» disse Toshio rivolto ad Atarus «Non avrei mai pensato
che avresti fatto una cosa del genere».
Quello fece un gesto come di stizza, come a voler dire che in realtà lui
era rimasto lo stesso, ma anche se l’avesse detto nessuno ci avrebbe creduto.
«Alla fine» gli disse Isis, provocandogli un evidente rossore «Hai fatto
la scelta più giusta. Ne sono felice».
A quel punto, venne il momento delle spiegazioni.
Sia Toshio che Atarus si volsero verso Nadeshiko e fecero un profondo
inchino, ma quando cercarono di inginocchiarsi lei li richiamò.
«Vi prego. Non fatelo.
Non ho mai chiesto di essere venerata, e non voglio cominciare ora.»
«Venerabile Isis… da quanto tempo occupate il corpo di Nadeshiko?»
«Da molti anni.» rispose lei sorridendo «Dal giorno in cui le ho messo
al collo il pendente recante il mio simbolo.»
«Perché hai scelto proprio lei?» domandò Keita
«Sono pochi gli esseri umani in grado di ospitare dentro di sé la nostra
essenza. Occorre possedere una particolare predisposizione, oltre ad un potere
magico di vaste proporzioni.
Nadeshiko aveva entrambe queste cose, e nel momento in cui l’ho vista ho
capito che lei era la candidata migliore.
In questi anni sono rimasta sopita, conservando i miei poteri per il
momento in cui ci sarebbe stato bisogno di usarli. Sapevo che questa guerra
sarebbe stata molto più cruenta di quelle che l’hanno preceduta, e ho deciso
che era giunto il momento di fare la mia parte.»
«È stato per merito tuo che abbiamo vinto il viaggio che ci ha condotti
qui in Europa?» domandò Shinji.
Isis sorrise, un sorriso non molto diverso da quello di Nadeshiko.
«In verità è stato per puro caso. Una volta risvegliatami avrei potuto
contrastare Seth sempre e comunque. La vincita di quel concorso è stato un
fatto del tutto inatteso.»
«Per quale motivo ti sei mostrata a noi soltanto ora?» chiese Takeru
«A dire la verità avevo intenzione di non farlo affatto. Almeno, non in
vostra presenza. Rivelare l’identità della persona con cui condivido il corpo avrebbe
messo in pericolo la vita di entrambe. È stata Nadeshiko a supplicarmi di
intervenire per salvare sia voi che quel famiglio.»
«Tipico di lei.» disse Shinji «Prima di sé mette sempre gli altri.»
«È proprio per questo che l’ho scelta. Nadeshiko è una persona speciale.
I suoi poteri sono grandissimi, persino io ne sono rimasta sorpresa».
In quella, Isis si incupì.
«Sfortunatamente, sembra che neppure questo sia sufficiente per
sconfiggere Seth.»
«Che intendete dire?» domandò Toshio
«Poco dopo il mio completo risveglio, ho tentato di affrontarlo, per
evitare a voi umani altre inutili sofferenze, ma dopo un breve confronto sono
stata costretta a ritirarmi. La sua potenza è notevolmente cresciuta
dall’ultima volta che ci affrontammo, all’epoca della grande guerra.
Allora riuscii a sconfiggerlo, ma oggi non è stato così. La sua forza è
stroppo grande.»
«Ma, divina Isis…» disse Toshio, non senza una certa angoscia nella voce
«Se non ci siete riuscita voi, come potremmo riuscirci noi?»
«Toshio, non è da te dire certe cose. Non sei mai stato il tipo che si
lascia prendere dallo sconforto.»
«Ma… ma io…»
«La verità è che se Seth persiste tuttora a minacciare questo universo
la colpa è in parte mia. Proprio per questo, pur avendo rinunciato al mio
corpo, mi è stato proibito di unirmi ai miei simili nella loro esistenza
spirituale. Ho vagato ininterrottamente sulla Terra, come in molti altri mondi,
per millenni, e se c’è una cosa che ho imparato in tanti anni di peregrinazioni
è che gli umani possono dimostrare una potenziale uguale e superiore alla
minaccia che grava su di loro.
In queste ultime settimane tutti voi siete cresciuti e migliorati,
diventando ciò che voi stessi non avreste mai pensato di poter essere. Questo
vi dà la prova che, a differenza di quanto accaduto a me, voi potete riuscire.
E non temete, io sarò sempre al vostro fianco».
In quella, Tomite riprese conoscenza.
«Accidenti, che botta.» mugugnò massaggiandosi la testa
«Alla buon ora!» disse Lotte «Finalmente ti sei ripreso!».
Appena l’arciere vide Atarus in mezzo al gruppo, però, i pensieri
attinenti al dolore fecero immediatamente posto a quelli ben più aggressivi del
combattimento.
«Atarus!» gridò facendo per corrergli contro.
Il lanciere per la verità sembrava deciso ad accettare la provocazione,
ma poi Keita si mise in mezzo, bloccando lo scontro sul nascere.
«Keita, che stai facendo? Levati!»
«Aspetta! Non è più la persona che era un tempo!»
«Come sarebbe a dire? Quell’uomo ha le mani sporche di sangue! Come
potete difenderlo!»
«Quel sangue ora sta lavando la sua coscienza!» disse prorompente la
voce di Isis, che comparve alla vista di Tomite nel momento in cui i ragazzi,
come un sipario, si fecero da parte.
«Venerabile Isis!» esclamò mettendosi subito in ginocchio
«Atarus McLoan ha accettato di percorrere la strada della redenzione, e
anche se questo non cancella le colpe delle quali si è macchiato ora il suo
animo è votato alla luce, pertanto devi considerarlo un tuo compagno».
Tomite sembrava tutto fuorché convinto, benché quelle parole fossero
pronunciate dalla persona che per lui veniva prima di ogni altra cosa, persino
della sua stessa famiglia; Isis allora gli si avvicinò, sfiorandogli il mento
con una mano per farsi guardare negli occhi, e incrociandone lo sguardo
l’arciere sentì un senso di calore percorrergli tutto il corpo.
«Ascolta. So che per uno come te è difficile credere che una persona
possa cambiare fino a tal punto, soprattutto se prima operava nel male.
Non ti chiedo di rivedere le tue opinioni. Ti chiedo solo di avere
fiducia in me. In questo momento buio ora più che mai dobbiamo essere uniti, e
forse, restando al fianco di Atarus, con il tempo imparerai a capirlo.
Ti assicuro che la sua non è stata un’esistenza felice.»
«Venerabile… Isis…».
Il ragazzo era scosso e disorientato, ma alla fine, obbedendo alla voce
della sua coscienza, decise di avere fede nella sua dea, come aveva fatto da
che era venuto al mondo, ma non mancò di scagliare un’ultima frecciata.
«Non credere neppure per un secondo che io possa dimenticare quello che
hai fatto. Un giorno o l’altro ti farò pagare tutte le tue colpe».
Atarus non rispose, girando la testa dall’altro lato, e raccolta Selene
ancora addormentata scomparve tra i vicoli della città.
Anche Tomite se ne andò di lì a poco, precisando che avrebbe trascorso
quel poco di tempo che rimaneva prima della battaglia finale ad esercitarsi per
migliorare le proprie abilità di schermidore, in modo da poter dare il proprio
contributo quando fosse venuto il momento di affrontare Seth.
«Nobile Isis.» intervenne Aria «Avete detto di aver affrontato Seth. Non
sapreste indicarci il luogo dove si nasconde?»
«Purtroppo no. Il suo rifugio è ben protetto da una barriera, e ciò mi
ha impedito di scorgerne con esattezza l’ubicazione.
Posso solo dirvi che il luogo in questione è un castello, e che si trova
in Germania, da qualche parte nei pressi di Monaco.»
«Monaco avete detto?» disse Toshio «Molto bene, questa sarà la nostra
prossima destinazione.»
«Il mio tempo purtroppo è scaduto. Ogni qualvolta che io prendo il
controllo, lo spirito e la coscienza di Nadeshiko vengono messe completamente
da parte, ma a differenza di quanto accade a Seth i miei poteri si esauriscono
rapidamente se portati allo scoperto, e mi ci vuole molto tempo per
riacquisirli.
Cercherò di essere al vostro fianco nella battaglia decisiva, fino a
quel momento… conto su di voi».
A quel punto la luce bianca circondò nuovamente Nadeshiko, liberandola
dalle vesti rosate e dallo scettro e restituendole il vecchio abito da sera;
inoltre, il pendente ritornò al suo posto.
La ragazza, visibilmente esausta, fece per cadere in avanti, ma fu
prontamente sorretta da Toshio.
«Nadeshiko! Rispondimi!».
Lei in pochi istanti si riprese, sorridendo a lui e a tutti i suoi
amici.
«Non preoccupatevi. Mi succede ogni volta quando lei si fa da parte.»
«Nadeshiko…» disse Keita
«Mi dispiace di avervelo tenuto nascosto.»
«Da quanto lo sapevi?» chiese Lotte
«Dalla prima volta che è successo. Vi prego, perdonatemi.»
«Perdonarti?» rispose sorridendo Shinji «E di cosa?»
«Beh, di non avervi detto la verità…»
«Sai com’è. Ognuno ha i suoi segreti.» disse Toshio per sdrammatizzare,
e riuscendo a far riguadagnare il sorriso alla ragazza.
In quel momento, in lontananza, i rintocchi del Big Bang annunciavano la
mezzanotte, e l’inizio di un nuovo giorno.
La partenza da Londra alla volta della Germania avvenne quella notte
stessa, e subito dopo essere decolatti quasi tutti si addormentarono sotto il
peso dello scontro appena sostenuto; solo Toshio restò sveglio, con Nadeshiko
che dormiva appoggiata alla sua spalla. La serata non era andata esattamente
secondo i piani, ma ciò nonostante sentiva comunque un senso di appagamento e
di serenità.
Ora, ne era certo, qualcun altro vegliava su di lei, qualcuno di molto
potente che sarebbe stato capace di tenerla al sicuro.
“Aspettaci, Seth. Stiamo venendo a prenderti”.
Nota dell’Autore
Eccomi qua!
Di gran lunga in
anticipo sui tempi previsti ecco a voi un nuovo capitolo.
Alla fine di tutto
gli eventi si sono svolti ben più velocemente di quanto avessi preventivato,
così la sorpresina (che immagino abbiate capito quale fosse) si è palesata da
un questo capitolo.
Beh, tanto meglio.
Annuncio subito che i
capitoli successivi (due o tre, ancora non lo so con esattezza) sono quelli che
da più tempo aspettavo di scrivere, di conseguenza credo che mi prenderò un po’
di tempo al fine di costruirli al meglio.
Inoltre, da venerdì
inizia la maratona degli esami, che durerà fino al 22 di giugno, il che
significa altri possibili ritardi.
Ringrazio Selly, Akita e Cleo per le loro
recensioni.
Due giorni ininterrotti di ricerche
non avevano prodotto il minimo risultato, e a quarantotto ore dal loro arrivo
in Germania Keita e gli altri non avevano trovato uno straccio di indizio che
potesse condurli sulle tracce del nascondiglio di Seth.
Sfruttando le conoscenze e la collaborazione di alcuni amici di Toshio,
fra i quali vi era un abitante della sua città che da tempo si era trasferito a
Monaco con la sua famiglia per iniziare la creazione di un piccolo insediamento
lì in Europa, i ragazzi avevano rivoltato la capitale della Baviera come un
calzino, ma neanche questo si era dimostrato sufficiente.
Quella sera le ultime speranze di cavare un ragno dal buco erano
affidate alle esplorazioni di Aria e Lotte, ma quando, sul far della sera, le
due ragazze rientrarono sconsolate all’albergo passando per una finestra aperta
le loro espressioni parlavano da sole.
«Allora?» domandò Shinji nella vana speranza di una risposta positiva
«Com’è andata?»
«Niente da fare.» rispose Aria «Ne abbiamo controllati cinque, ma erano
tutti puliti. Nessuna traccia della presenza di Seth.»
«Dannazione.» mugugnò Takeru «Si nasconde bene.»
«Non è solo per questo.» commentò Lotte buttandosi sul divano «Ci sono
almeno dodici castelli solo nella zona compresa tra la città e le sue
vicinanze.»
«Questo senza contare le varie residenze private non registrate e non
conosciute ai più.» disse Keita «Molti personaggi famosi possiedono dei
castelli in questa zona.»
«Mi dispiace.» disse Nadeshiko con aria sconsolata «Se solo fossimo
state più attente quando lo abbiamo affrontato, avremmo potuto notare qualche
particolare in più.»
«Non dirlo neanche per scherzo. È già tanto che siate state in grado di
indicare la zona. Ci vorrà un po’ di tempo, ma sono sicuro che presto
arriveremo a scovare quello giusto.»
«Cambiando discorso.» intervenne Shinji «Anche Johan è originario di
Monaco, giusto? E se non sbaglio aveva detto che sarebbe tornato a casa per le
vacanze estive.»
«Parli del vostro compagno di classe?» domandò Takeru
«Esattamente. La sua famiglia è una delle più antiche d’Europa, e
possiede quasi mezza città. Abbiamo trovato loro tracce ovunque girando per le
strade di Monaco.
Forse lui potrebbe aiutarci.»
«Ne dubito.» rispose Keita «È probabile che a quest’ora sia già
ritornato in Giappone. Non dimentichiamoci che la scuola ricomincia domani.»
«Ti correggo, ricomincia oggi. A Uminari sono quasi le sei di mattina
del primo settembre.»
«Dovremo trovare qualche scusa plausibile per giustificare un simile
ritardo coi nostri genitori.» disse Nadeshiko con tono scherzoso, con la
speranza di risollevare un po’ il morale
«Ma Toshio dov’è andato?» domandò Takeru, che era tornato in albergo
solo pochi minuti prima di Aria e Lotte
«È andato a trovare un suo amico che abita qui in Germania.» rispose
Nadeshiko «Spera che lui sia in grado di darci qualche informazione in più.»
«Auguriamoci che sia così.» disse Lotte.
Improvvisamente la solita, terribile sensazione serpeggiò fra i ragazzi,
e il pendente di Nadeshiko, rivelatosi in realtà un oggetto ancora sconosciuto
di nome Sabatiel, si illuminò, e subito dopo tutte le luci si spensero,
lasciando la stanza in un buio quasi totale.
«Ma cosa…» esclamò Aria balzando in piedi dalla sedia su cui si trovava.
Le finestre si aprirono di colpo, e nella camera prese ad infuriare un
vento fortissimo, tale da far volare via anche gli oggetti più pesanti, come il
grosso tavolo circolare o la cassettiera in legno massiccio.
«Che diavolo è questo vento!» gridò Shinji nel tentativo di sovrastare
quel fischio assordante
Ciò che maggiormente spaventava e preoccupava i ragazzi però era che
quel vento, oltre che fragoroso e carico di minaccia, sembrava privarli a poco
a poco della loro forza; aveva un odore strano, come di lavanda, e per ogni
istante che passava dimostrava di avere l’effetto di un potente sonnifero.
Keita e gli altri cercarono di opporsi con tutte le loro forze,
provarono a tapparsi il naso e a non respirare, ma di qualunque cosa fosse
fatta quella corrente inarrestabile agiva inesorabilmente, e in meno di un
minuto tutti e sei caddero in un sonno profondo come la morte; l’ultimo a
desistere fu Takeru, che in un gesto di disperazione cercò persino di
trafiggersi con la propria spada, in modo da non cadere vivo nelle mani del
nemico, ma le forze lo abbandonarono prima che avesse anche solo il tempo di
estrarre completamente la katana dal suo fodero.
Nello stesso momento, poco distante da lì, Toshio stava ritornando in
albergo dopo l’infruttuosa visita al suo amico, un antiquario che acquistava
sovente oggetti e reperti africani dagli abitanti di Nepthys, e che oltre al
denaro ripagava il favore tendendo le orecchie per fornire quando necessario
ogni genere di informazione.
Ben altri, però, erano i pensieri che attraversavano la sua mente
intanto che camminava fra le strade di Monaco, affollatissime di persone pronte
a godersi le gioie e i piaceri che la città bavarese aveva da offrire dopo il
calare del sole, con le sue birrerie, le sue discoteche e i suoi ampi spazi
pedonali per tranquille passeggiate.
Aveva riflettuto molto su quanto accaduto a Londra, durante la cena con
Nadeshiko così bruscamente interrotta, e riflettendo a mente fredda sulla
proposta che la ragazza gli aveva fatto subito prima della comparsa di Tomite
cominciava a credere di aver voluto fare, forse, il passo più lungo della
gamba.
In tutta la sua vita non si era mai mosso da Nepthys; il mondo lui lo
aveva conosciuto attraverso i libri, e se era stato capace di muoversi con
tanta maestria in un continente così variegato e complesso come l’Europa il
merito era tutto delle lunghe ore spese a studiare.
In quanto futuro rappresentante della sua gente nel grande torneo era
stato istruito a dovere in ogni possibile frangente, e grazie anche al suo
intelletto eccezionalmente sviluppato, con un quoziente intellettivo valutato
attorno al 190, era stato capace di assimilare una grande quantità di sapere,
dalle lingue alla storia, dalla geografia all’aritmetica.
La sua abilità più sviluppata era sicuramente l’apprendimento
linguistico: gli bastava davvero poco per riuscire a padroneggiare
discretamente i rudimenti di una lingua, e con qualche mese di studio intensivo
diventava capace di parlarla quasi alla perfezione, una caratteristica questa
che accomunava molti dei suoi avversari, per i quali vi era la necessità di
mescolarsi al meglio possibile con gli ambienti nei quali si svolgevano i
combattimenti del torneo.
Nessuna realtà però era stata capace di suscitare in lui maggiore
curiosità del Giappone.
Poter fare un viaggio nel Sol Levante era un sogno che, negli ultimi tre
anni, aveva spesso sognato di realizzare; non che avesse fatto dei progetti,
visto e considerato che per un partecipante al torneo il rischio di morire è
tutt’altro che irrisorio, ma ora che affrontava la sfida con un po’ più di
ottimismo doveva ammettere che l’idea lo aveva sfiorato più di una volta.
Ora, però, non era più sicuro che accettare l’offerta di Nadeshiko fosse
la cosa giusta da fare.
L’aver scoperto che la persona a lui più cara ospitava dentro di sé lo
spirito di Isis lo aveva turbato, e questo era incontestabile, ma forse c’era
anche dell’altro.
Anche se ormai la verità sul rapporto che li legava era più che evidente
non si sentiva pronto a fare il passo successivo, e onestamente aveva
l’impressione che mai ne sarebbe stato in grado, come se avesse avuto un freno
interiore che gli impediva di andare oltre.
Dopotutto, chi o che cosa garantiva che finito il torneo le loro strade
non si sarebbero separate?
Nadeshiko e gli altri avevano la loro vita, e certamente non vedevano
l’ora di ritornarvi, lontani da tutti quei pericoli, lui invece sarebbe tornato
alla sua città nel deserto, dove avrebbe speso il resto della vita a
rimpiangere quella preziosa occasione che si era lasciato sfuggire dalle mani.
Stava rimuginando su questi pensieri quando, a due passi dall’hotel, si
accorse di una strana agitazione che serpeggiava tra i passanti; tutti
guardavano verso l’alto, indicando di tanto in tanto la facciata dell’edificio,
e prima ancora di fare altrettanto il ragazzo fu attraversato dalla stessa,
orribile sensazione.
Alzati gli occhi, vide con suo grande terrore un’accecante luce viola
provenire da due finestre, e a Toshio non servirono che pochi secondi per
capire che erano quelle del salotto della loro camera.
Terrorizzato, entrò di corsa nell’albergo, e senza aspettare l’ascensore
come faceva solitamente, visto e considerato che alloggiavano al quindicesimo
piano, prese a salire le scale il più velocemente possibile, e più la sua meta
si avvicinava più quella sensazione diventava concreta, al punto da poterla
quasi toccare.
Appena fu di fronte alla porta la spalancò quasi sfondandola, trovandosi
davanti ad un panorama desolante; la stanza, immersa nel buio, era nel più
completo sfacelo: tavoli, sedie, mobilio, soprammobili erano buttati da tutte
le parti, come se lì dentro si fosse abbattuto un tifone, e di Keita e gli
altri neppure l’ombra.
La sola presenza in quella camera era Hypnos, con suo abito chiaro,
girato di schiena e circondato da quella luce viola che la gente osservava
sbigottita dalla strada; rimaneva sospeso a pochi centimetri dal pavimento, e
una lunga fascia bianca, probabilmente una sciarpa, fluttuava attorno a lui
come un serpente controllato dal fachiro.
«Chi sei?» tuonò Toshio mettendo mano alla spada «Che cosa hai fatto ai
miei compagni?».
Lui si girò, guardandolo con una sufficienza a dir poco glaciale, dietro
la quale si nascondeva una malvagità quasi impareggiabile.
«Mi spiace. Stavolta sei arrivato tardi».
Prima che Toshio, già infuriato e pronto a scattare, potesse accennare
una reazione, Hypnos fu avvolto da un vortice d’aria e scomparve inghiottito al
suo interno; contemporaneamente, una luce sinuosa si inerpicò sui muri e sul
soffitto, attraversando la stanza in lungo e in largo e lasciando intravedere
per qualche istante degli strani simboli arcani simili a ideogrammi.
Quando finalmente tutto si acquietò il primo pensiero di Toshio fu di
saltare oltre le finestre e mettersi alla ricerca del nemico, ma appena provò a
sfondarne una venne violentemente rispedito indietro da una specie di tappeto
elastico fatto di luce.
«Una… una barriera!?» disse, accorgendosi, attonito, di essere prigioniero.
Il palazzo di Nymphenburg, situato
alla periferia di Monaco, era stato per secoli la residenza ufficiale dei
sovrani di Baviera, ed era conosciuto sia per gli stupendi affreschi sia per lo
sterminato giardino retrostante l’ingresso principale.
Meta ogni giorni di moltissimi turisti, da una settimana circa era stato
chiuso al pubblico dopo che un principio d’incendio dovuto ad un guasto
elettrico ne aveva resa necessaria la manutenzione.
Quando Keita e gli altri ripresero conoscenza si ritrovarono rinchiusi
all’interno di una barriera a cupola di colore violaceo, lo stesso del vento
che aveva preso a soffiargli attorno subito prima che tutti cadessero
addormentati; misurava una decina di metri di diametro e sorgeva su di un
terreno erboso, poco distante dal lago.
«State tutti bene?» domandò Shinji, uno dei primi a riprendersi
«Credo di sì.» rispose Aria «Accidenti, mi scoppia la testa. Ehi,
Lotte!» disse poi rivolta alla sorella, la sola che ancora dormiva come un
sasso «Lotte, vuoi svegliarti!»
«Mh?» mugugnò lei ancora mezza rintronata «È pronta la colazione?»
«Ma quale colazione!» replicò Aria tirandole uno scappellotto per
svegliarla del tutto «Chissà in che guaio ci siamo cacciati!»
«Ma…» disse Keita visibilmente spaventato «Dov’è Nadeshiko!?».
Solo allora i ragazzi si accorsero che mancava la loro amica, ma gli fu
sufficiente affacciarsi ai bordi della barriera per vederla.
Nadeshiko era lì fuori, poco distante dalla cupola, ancora addormentata
e distesa su di una sorta di altare a cui era incatenata per i polsi e le
caviglie da anelli luminosi non dissimili da quelli impiegati da Isis per
immobilizzare Selene.
«Nadeshiko!» gridò Keita battendo il pugno sullo scudo nel vano
tentativo di infrangerlo.
Le sue urla in compenso svegliarono la ragazza, che appena resasi conto
della propria situazione tentò per quanto le era possibile di liberarsi, ma o
quegli anelli avevano il potere di privarla della sua magia o doveva averli
creati qualcuno dotato di abilità superiori anche alle sue.
Mentre tutti cercavano ancora di capire cosa potesse essere successo
alcune correnti violacee giunte da varie parti andarono a formare un piccolo
vortice dal quale uscì Hypnos, che camminando lentamente raggiunse l’altare,
rimanendo qualche istante ad osservare il volto di Nadeshiko e, forse,
rimanendone colpito: malgrado la sua situazione, quella ragazza non sembrava
avere paura, al contrario.
«Chi sei?» domandò apparentemente calma come l’acqua di uno stagno
«Come essere umano mi chiamo Kaname. Ma il mio vero nome è Hypnos.»
«Hypnos!?»
«Nell’antichità mi veneravano come il dio del sonno. Thanatos, che voi
avete barbaramente ucciso, era mia sorella minore.»
«Tua sorella!?»
«Se fosse dipeso da me vi avrei uccisi tutti con le mie stesse mani per
vendicare la sua morte, ma la mia fedeltà al nobile Seth viene prima di ogni
altra cosa, anche del mio desiderio di vendetta, e lui, per il momento, coltiva
altri progetti.
Se non altro, quel maledetto spadaccino ha già avuto ciò che si
meritava.»
«Toshio!?» esclamò Nadeshiko perdendo di colpo il suo sangue freddo «Che
cosa gli hai fatto!?»
«L’ho imprigionato. In questo momento è rinchiuso in una delle mie
barriere, similmente ai tuoi amici. Sa che sei in pericolo, ma non può fare
niente per aiutarti, e questa per lui è una punizione peggiore della morte.»
«Perché fai tutto questo? Perdere una sorella è un evento terribile.
Capisco benissimo il tuo dolore, ma seminare sofferenza in suo nome non servirà
a riportarla in vita.»
«Ti sbagli.» rispose Hypnos, apparentemente calmo come al solito, ma
celando a stento la propria rabbia «Tu non puoi capire, e non capirai mai. Ma
adesso basta parlare».
Hypnos alzò la mano destra, sulla quale pese a formarsi una sfera di
luce, e più essa aumentava di intensità più Nadeshiko si sentiva risucchiata da
una sorta di spirale invisibile che sembrava attirarla verso un punto lontano.
Avvertiva distintamente l’energia emanata da quella sfera, ma dopo pochi
secondi tutto cominciò a diventare intangibile, evanescente; era come
l’intorpidimento che si prova appena svegli, quando non si è ancora in grado di
distinguere il sogno dalla realtà, e il corpo sembra non rispondere ai nostri
richiami.
La paura cominciò a montare, la paura per qualcosa di incomprensibile,
che sfuggiva al suo controllo, e dal quale voleva liberarsi, mentre le palpebre
cominciavano inspiegabilmente a diventarle pesanti, la vista si appannava e il
corpo si rilassava.
Terrorizzata, lanciò un grido.
Nadeshiko si svegliò urlando di
paura, con la fronte sudata e gli occhi di chi si è appena risvegliato da un
incubo terribile.
Le sue mani stringevano forte le coperte, e il respiro affannoso faceva
gonfiare e sgonfiare il torace al di sotto del pigiama.
Si sentiva stanca, stanca come non mai, e a giudicare dai capelli sudati
quell’incubo doveva essere stato veramente brutto.
Resasi conto di dove si trovava, la ragazza rimase comprensibilmente
sorpresa, come del resto capita a molte persone nel momento in cui, strappate
al mondo dei sogni, vengono rigettate a forza nella realtà.
Era una bella camera, dove era evidente il tocco femminile: libri e
peluche erano ordinatamente riposti sui soprammobili, la scrivania con il
computer era tenuta alla perfezione e il tappeto rosa che copriva parte del
pavimento ligneo non aveva neanche una grinza fuori posto.
Dalla finestra, ricavata direttamente su di un tetto obliquo, segno che
doveva trovarsi in cima ad una casa di due o tre piani, entravano caldi raggi
di sole, e la sveglia a pulcino appoggiata sul ripiano dietro al letto trillava
a tutto spiano, segnando le sette in punto; doveva essere stato proprio quel
suono martellante e riportarla indietro.
“Ma questa… è la mia stanza”.
Resasi conto di essere al sicuro, tirò un sospiro di sollievo: non
ricordava con esattezza l’incubo che aveva appena fatto, ma era felicissima di
essersi finalmente risvegliata.
Tutto era finito per il meglio.
«Nadeshiko!» disse la voce di sua madre dal piano inferiore,
richiamandola dai suoi pensieri «Sei sveglia? La colazione è pronta!»
«Arrivo!» fu la sua pronta risposta.
Come ogni mattina la ragazza si preparò per affrontare il nuovo giorno,
quindi, indossata la divisa scolastica e recuperata la cartella, scese in
cucina; sua madre Minako era impegnata ai fornelli, sua sorella Seika invece leggeva
il giornale.
Suo padre non c’era, ma era naturale: ogni mattina si alzava prima degli
altri per andare ad aprire il bar, situato a circa mezzo chilometro da casa, in
modo da permettere a pendolari ritardatari e studenti diretti a scuola di
concedersi un caffè.
«Buongiorno.»
«Buongiorno.» le rispose Seyra «Abbiamo fatto un po’ tardi, oggi».
Come era da tradizione aspettarono di essere tutte sedute a tavola per
iniziare a fare colazione, un abbondante pasto inglese in grado di sopperire
alle fatiche di una intera giornata e al poco tempo che tanto la madre quanto
le due figlie avevano a disposizione per la pausa-pranzo.
«Mi sembri stranamente allegra stamattina.» disse Minako rivolta a
Nadeshiko «Oggi deve forse succedere qualcosa di bello?»
«No, almeno non credo. È solo che stanotte ho avuto un incubo, quindi
sono contenta di essermi svegliata.»
«Beata te che sei riuscita a dormire.» disse Seika addentando una fetta
di pane «Con l’avvicinarsi degli esami io è una fortuna se riesco a distendermi
a letto.»
«Coraggio onee-sama, ormai manca poco all’estate. Dopo potrai concederti
tutto il riposo che vorrai.»
«Hai ragione. Pazientiamo ancora un po’».
Finita la colazione le due sorelle uscirono quasi insieme, dirette
rispettivamente al liceo e all’università.
Era una splendida giornata di metà maggio, il sole splendeva con tutta
la sua forza, soffiava un venticello fresco e non c’era neanche una nuvola, e
tutto lasciava intendere che quella sarebbe stata una giornata davvero
fantastica.
Si sentiva così tranquilla e serena da arrivare a scuola con largo
anticipo, e già nell’atrio della scuola, mentre era intenta a cambiarsi le
scarpe, incontrò Maki e Shiori, due sue grandi amiche anch’esse all’ultimo anno
ma assegnate a due classi differenti, rispettivamente alla seconda e alla
quarta sezione.
Maki aveva i capelli biondi tagliati corti e gli occhi azzurri, era
iscritta al club di scienze e se la cavava abbastanza bene con l’inglese,Shiori invece aveva occhi marroni e lunghi
capelli castani raccolti in una coda di cavallo ed era quasi una leggenda nel
mondo del kendo scolastico, la sola forse in grado di competere con il
leggendario Takeru Minamoto, che tra l’altro era suo compagno di classe.
«Nadeshiko.» disse Shiori «Oggi sei più mattiniera del solito.»
«Maki-chan, Shi-chan. Buongiorno.»
«Cos’è tutta questa allegria?» domandò Maki «Sprizzi felicità da tutti i
pori.»
«Niente, sono solo di buonumore. Voi piuttosto cosa ci fare a scuola
così presto?»
«Io ho il turno di pulizia, Shiori invece gli allenamenti mattutini.»
«Capisco. Beh, allora ci vediamo a ricreazione.»
«D’accordo, a dopo».
Sorridente e spensierata come non accadeva da un pezzo Nadeshiko si
diresse verso la propria aula, e mentre percorreva il corridoio del secondo
piano le capitò casualmente di sentir pronunciare il suo cognome da tre ragazze
intente a confabulare fra di loro; le conosceva di vista, ma non le aveva mai
frequentate, quindi era strano che parlassero proprio di lei.
«Avete sentito?» disse una «Pare che Johan sia innamorato di Amamiya»
«Che cosa!? Intendi Amamiya Nadeshiko della sesta sezione? La sua
compagna di classe?»
«Esatto. Dicono che da tempo stia cercando di dichiararsi, ma che non ci
riesca per via della tua timidezza.»
«Questa sì che è una notizia. Tutti e due hanno un grande seguito di
ammiratori e ammiratrici.»
«Non posso dire di essere contenta. Johan-sempai era il mio idolo, ma se
la cosa dovesse funzionare sarei contenta per loro.»
«Hai ragione. Formerebbero davvero una bella coppia».
Quel discorso, inutile dirlo, portò un certo scompiglio nella mente
dell’interessata.
In effetti anche lei aveva trovato Johan Von Karma piuttosto attraente,
pur ricordando a sé stessa che le attenzioni maschili non l’avevano mai
veramente interessata, impegnata com’era a superare la scuola a pieni voti per
poter entrare successivamente al conservatorio di Parigi, ma proprio a causa di
quell’aria misteriosa e quel suo atteggiamento così distaccato non era mai riuscita
neppure ad iniziare una conversazione con lui.
Però, se questa notizia, che al momento poteva benissimo essere
etichettata come una voce da corridoio, come se ne sentivano tante fra studenti
e studentesse di tutto il mondo, si fosse rivelata vera, allora forse c’era
qualche possibilità se non altro di poter conoscere un po’ di più quello
studente straniero che sembrava non vedere nulla del mondo che lo circondava,
tanto appariva chiuso e raggomitolato nel suo piccolo universo.
Non senza qualche perplessità e qualche interrogativo a vagare nei suoi
pensieri la ragazza raggiunse infine la sua classe, e forse a causa del tempo
trascorso a rimuginare su quanto aveva sentito camminando senza meta per i
corridoi della scuola la trovò già piena di studenti.
C’erano anche Shinji e Keita, intenti a conversare fra di loro, e subito
gli si avvicinò.
«Buongiorno.»
«Buongiorno Nadeshiko.» disse Shinji «Bene arrivata.»
«Grazie».
Proprio nel momento in cui Nadeshiko stava appoggiando la sua cartella sul
proprio banco nell’aula entro Johan, accolto come sempre dai sospiri e dagli
sguardi sognanti di tutte le ragazze, e quando, vincendo la sua proverbiale
introversione, lui le rivolse un sorriso ed un cenno della mano subito prima di
sedersi, anche lei sentì uno strano batticuore.
Non le era mai capitato di provare una simile sensazione, e si domandava
cosa volesse dire, ma forse dentro di sé la risposta a questa domanda già la
conosceva.
«Prima che mi dimentichi.» disse Keita riscotendola «Sei libera oggi
pomeriggio?»
«Cosa!? Beh, sì. Come mai?»
«Fra sei giorni è il compleanno di Sayuri. Ho pensato di regalarle un
DVD, ma ce ne sono così tanti tra cui scegliere che quando sono andato al
negozio l’altro giorno non sono riuscito a decidermi. Magari tu e Shinji
potreste darmi qualche consiglio.»
«Ma che bravo fratello maggiore.» disse Shinji «Tieni davvero molto alla
tua sorellina.»
«Già. Allora?»
«Beh, perché no? Se posso essere d’aiuto, verrò con piacere.»
«Perfetto. Allora dopo la scuola andremo di nuovo, e chissà che questa
volta non riesca a concludere qualcosa».
Il suono della campanella fece correre tutti al proprio posto, e come
entrò la professoressa Tanaka, insegnante di Letteratura nonché responsabile di
classe, spettò a Nadeshiko, in quanto rappresentante, richiamare gli studenti.
«In piedi! Inchino!»
«Comodi.
Ragazzi.» esordì la professoressa, che aveva fama di usare un
atteggiamento molto formale e amichevole nei confronti degli alunni, per farli
sentire a loro agio «Prima di iniziare, ho una notizia per voi. Da oggi, avete
una nuova compagna.»
«Una nuova compagna!?» dissero un po’ tutti, e come spesso accade in
questi casi un coro di commenti più o meno sommessi prese a serpeggiare tra i
ragazzi
«Entra pure!» disse l’insegnante volgendo lo sguardo verso la porta
d’ingresso.
L’uscio si aprì, e nell’aula entrò una giovane ragazza dai tratti
somatici chiaramente occidentali che subito si guadagnò le attenzioni degli
studenti maschi, alcuni dei quali a stento trattenevano le esclamazioni.
Era davvero molto carina; longilinea e piuttosto prosperosa, alta
approssimativamente un metro e sessanta, aveva i capelli biondi lunghi raccolti
in parte da una spilla a forma di fiore di ciliegio e gli occhi rossi. Aveva il
portamento e il contegno di una dama d’alta classe, ma il suo sguardo era
piuttosto freddo, o per lo meno indifferente.
Messasi al centro del palchetto si girò verso la classe e fece un
leggero inchino mentre la professoressa trascriveva il suo nome sulla lavagna usando
caratteri occidentali.
«Prego, presentati.»
«Buongiorno.» disse lei con tono pacato e privo di emozioni «Mi chiamo
Lainay Brennon.»
«La signorina Brennon fa parte di un programma di scambio culturale
iniziato dalla nostra scuola. Anche se rimarrà con noi solo per poche
settimane, vi prego di fare il possibile per farla sentire a suo agio. Siamo
d’accordo?»
«Sì, sensei.» risposero quasi tutti.
Nadeshiko era molto colpita da quella ragazza, soprattutto per quella
sua aria di austerità mista ad un grande carisma, entrambi testimoni di una
personalità forte e decisa, ma, non sapeva perché, aveva come la sensazione che
vi fosse in lei qualcosa di famigliare.
Era difficile da spiegare a parole o da descrivere, ma una parte di lei
era sicura di averla già incontrata, benché questo fosse naturalmente
impossibile.
«Bene, Lainay. Vai pure a sederti accanto a Johan».
Lei fece come le era stato detto, e nel dirigersi al proprio posto passò
proprio accanto a quello di Nadeshiko, e nel momento in cui furono fianco a
fianco quella sensazione divenne prorompente, tanto da risultare quasi capace
di fermare il tempo per un istante.
Durante la prima ricreazione del
mattino Lainay divenne oggetto della curiosità e delle domande dei suoi nuovi
compagni di classe, un evento naturale per tutti gli studenti appena
trasferitisi e ancor più naturale per chi proveniva dall’estero; per fortuna
gli alunni, a differenza di alcuni professori, non dimostravano la mentalità
retrograda e xenofobica di alcuni insegnanti, il che aiutava e incentivava
notevolmente i rapporti tra di loro.
Lei rispondeva alle domande con indifferenza e disinteresse, e per chi,
come Keita e gli altri, non prendeva parte alla conversazione, era ovvio che
tutte quelle attenzioni al massimo le risultavano noiose, o, nella peggiore
delle ipotesi, irritanti.
«Non mi pare il genere di persona a cui piace fare amicizia.» sottolineò
Keita
«Beh, a ciascuno il suo carattere.» disse Shinji col suo solito,
discutibile spirito.
Ad un certo punto Lainay notò Seth appoggiato alle finestre del
corridoio di fronte alla porta aperta dell’aula che le faceva dei cenni con lo
sguardo, e liberatasi senza tante parole della piccola folla di curiosi che si
era radunata attorno al suo banco lo raggiunse, allontanandosi con lui di
alcuni passi.
«Allora?» esordì Johan «Per quale motivo sei qui? Ti avevo detto di
restare al castello.»
«Ho pensato che avrebbe potuto servirti un aiuto.»
«Non credo ce ne sarà bisogno. Anche se questo è il suo sogno,
controllarlo non è in suo potere. Inoltre, Hypnos ha riscritto buona parte dei
suoi ricordi, in modo da evitare che possa prendere coscienza della realtà.»
«E se invece dovesse riuscirci?»
«Tu non preoccuparti. Lei sarà mia, e prima di quanto immagini. E
allora, non dovremmo più preoccuparcene».
Lainay girò la testa di lato, mordendosi leggermente le labbra; Seth se
ne accorse, e guardò un attimo Nadeshiko che conversava con le sue amiche pochi
metri più in là.
«Nel frattempo però, cerca di non fare nulla di avventato.»
«Che significa?!» domandò la ragazza col tono di chi si sente offeso
«Pensi forse che potrei mai tradirti, o fare qualcosa che vada contro il tuo
interesse?!»
«No, certo che no.
Ti chiedo scusa, forse mi sono espresso male.
Il fatto è che ultimamente le donne del mio esercito mi hanno dato tante
di quelle delusioni, che dubitare di loro mi viene quasi naturale.»
«Sei crudele a dire queste cose. Lo sai, il mio cuore e la mia mente ti
appartengono. Puoi fare di loro quello che vuoi».
Johan fece una nuova pausa, poi, preso delicatamente il mento di Lainay,
ne sollevò lo sguardo; gli occhi azzurri del ragazzo erano qualcosa al quale
nessuna donna avrebbe potuto resistere, e lo stesso valeva per lei.
«Era da molto tempo che non ti vedevo nel tuo aspetto originario, e
avevo dimenticato quanto tu fossi graziosa. Hai scelto queste sembianze per
farmi palpitare?»
«Io… io…» balbettò lei non riuscendo a trovare le parole, tanto quegli
occhi la stregavano
«Devo ammetterlo, vederti così mi riporta alla mente un sacco di
ricordi.» disse Johan donandole un bacio «Non preoccuparti, non ho alcun
pensiero per quella ragazza. Lei è solo uno strumento. Il mio amore è solo
tuo.»
«Seth… sama…»
«Non temere. Presto tutto sarà finito, e allora noi due avremo a
disposizione tutta l’eternità per stare insieme. Pensaci. Per sempre uniti,
fino alla fine dei tempi. Lo vuoi, giusto?»
«Io… lo voglio…»
«Ora preoccupiamoci del nostro compito. Il tempo qui dentro scorre più velocemente
che nella realtà, ma se conosco bene quello spadaccino credo che presto dovremo
cominciare a preoccuparci anche di lui.»
«Com’è possibile!? È impossibile sfuggire alle barriere di Hypnos.»
«Amica mia. Per un cuore che brucia di amore non esiste niente di
impossibile».
A forza di tirare pugni contro
quella barriera indistruttibile Toshio si era procurato tante di quelle ferite
alle mani che le sue mani erano ormai completamente imbrattate di sangue, e
poiché ad ogni colpo violento la potenza dell’urto si ripercuoteva su di lui aveva
diversi tagli e contusioni anche in altre parti del corpo, provocati dall’urto
violento contro il mobilio della stanza.
Mai, mai prima di quel momento si era sentito tanto stupido.
Come, come aveva fatto a non accorgersi di nulla?
Aveva lasciato soli i suoi amici, aveva permesso al nemico di portarli
via sotto il suo naso, ma, soprattutto, aveva tradito Nadeshiko, e la fiducia
che aveva riposto in lui, e ora non c’era assolutamente nulla che potesse fare.
Con il cuore e l’animo invasi dalla rabbia e dalla frustrazione il
ragazzo, dopo una serie di pugni di scarso potenziale, sferrò un nuovo colpo ad
una delle finestre della stanza infondendovi tutta la forza che aveva e urlando
con tutta la sua voce.
L’urto fu violentissimo, tanto che nella zona del contatto si produsse
una luce fortissima e i geroglifici ricomparvero su muri, pavimento e soffitto,
segno che la barriera stava impiegando tutto il suo potenziale per poter
resistere a quell’ennesimo, furioso assalto.
Il dolore che Toshio provava era a dir poco inumano, come se la sua mano
e tutto il braccio fossero sul punto di esplodere dall’interno, ma nonostante
tutto continuò ad metterci energia, serrando i denti allo spasimo per riuscire
a resistere.
Vi fu un sussulto, come se qualcosa stesse effettivamente cominciando a
muoversi, ma poi il risultato fu lo stesso di tutte le altre volte, e stavolta
il contraccolpo su così violento che Toshio venne scaraventato quasi sul lato
opposto della stanza.
A quel punto, la comprensione di essere del tutto impotente prese il
sopravvento, lasciandolo in preda ad una disperazione che, per la prima volta,
sconfinò in un pianto di rabbia.
Malediceva sé stesso, malediceva la propria debolezza e la propria
ingenuità, e malediceva Seth.
Semmai un giorno fosse riuscito a mettergli le mani addosso gli avrebbe
fatto pagare quello che avrebbe fatto ai suoi amici, gliel’avrebbe fatto pagare
un pezzetto alla volta, assaporando con piacere ogni suo rantolo di agonia.
Il pensiero di sapere Nadeshiko lontana, nelle mani di quel pazzo
furioso e vittima del suo insano delirio lo faceva stare male, gli rodeva lo
spirito come un cancro incurabile.
Poi, d’un tratto, una luce giunse a rischiarare le tenebre che lo
stavano pian piano avvolgendo, brillando timidamente al di sotto di una tovaglia
gettata malamente a terra, e gettato via il tessuto ne scoprì, incredulo, la
fonte.
«Il ciondolo di Nadeshiko.» disse prendendolo in mano.
Emanava calore, e brillava del suo solito colore rosato, come se fosse
alla ricerca della sua padrona, o ne avvertisse la vicinanza.
Vederlo splendere e percependo attraverso di esso la presenza di
Nadeshiko, debole ma persistente, rinfrancò un parte l’animo turbato di Toshio,
perché se non altro gli dava la conferma che lei era viva, ma d’altra parte
aumentava anche la sua frustrazione rammentandogli una volta di più di non
poter fare assolutamente nulla per intervenire.
«Nadeshiko… perdonami. Sono un fallito».
Improvvisamente il ciondolo prese a brillare più forte di prima, e il
suo bagliore, da intermittente, si fece continuo.
«Ma cosa…» balbettò Toshio sconcertato.
La luce si modellò fino a formare una sorta di specchio ovale alto poco
più di un metro e largo approssimativamente una cinquantina di centimetri, e
dopo poco al suo interno comparve un volto famigliare che fece sussultare il
guerriero, lasciandolo inizialmente interdetto per lo stupore.
«Yuko!?»
«Per fortuna sono riuscita a mettermi in contatto con te.» disse la
strega delle dimensioni col suo tono all’apparenza freddo e distaccato
«Come ci sei riuscita?»
«Grazie al pendente di Izumi. Il suo e quello di Nadeshiko sono molto
simili, e possono essere usati dai loro custodi per comunicare tra di loro.»
«Per quale motivo sei venuta qui?»
«Per aiutarti.»
«Aiutarmi!?»
«Sì. La situazione al momento è molto più grave di quanto potresti
immaginare, e mai come in questa occasione dovrai dare prova dei sentimenti che
ti legano a quella ragazza.»
«I sentimenti… che mi legano a lei!?».
La pratica regalo venne sbrigata in
brevissimo tempo, e vista la sovrabbondanza di tempo Nadeshiko propose di
concedersi una bibita fredda al bar dei suoi genitori prima che ognuno
prendesse la via di casa.
«Non so davvero come ringraziarvi.» disse Keita mentre si dirigevano
verso il centro cittadino «Se non era per voi non so come avrei fatto.»
«Figurati, per così poco.» rispose Nadeshiko
«Però.» disse Shinji «In cambio ci devi invitare alla festa.»
«Ma certo, è naturale. Sayuri sarà felicissima di vedervi. Dice che
siete due ragazzi speciali.»
«Chissà, forse ha proprio ragione».
Mentre stavano per entrare nella zona pedonale dove si trovava il Petit
Jardin, subito dopo aver attraversato la strada, i tre ragazzi passarono
accanto alla piazzetta antistante l’ingresso meridionale, e benché non vi fosse
assolutamente nulla di anormale Nadeshiko ebbe una strana sensazione, come un
dejà vu; per un attimo le parve quasi di vedere una bancarella, uno di quei
banchetti dove vengono allestite piccole o grandi lotterie di quartiere,
attorniata di persone, con un cartello lì accanto con una scritta difficilmente
distinguibile.
«Nadeshiko?» disse Keita vedendo l’espressione stralunata della sua
amica, fermatasi tutto d’un colpo «Qualcosa non va’?»
«Cosa!?» rispose lei riavendosi
«Che ti è successo? Sembri soprapensiero».
Lei, tornata in sé, si avvide che in realtà la piazza era completamente
vuota, fatta eccezione per le persone che andavano e venivano, e che della
fantomatica bancarella non vi era neppure l’ombra.
«No, niente. Mi sono solo distratta un attimo.»
«Ah, d’accordo. È che ti sei fermata all’improvviso.»
«È che ho avuto l’impressione di vedere una mia amica.» mentì la ragazza
per non suscitare sguardi eccessivamente perplessi o domande a cui sarebbe
stato difficile rispondere «Ma mi sono sbagliata».
Seppur comprensibilmente perplessi, visto e considerato che Nadeshiko
non era il tipo da farsi cogliere con la testa fra le nuvole, Shinji e Keita
decisero di non indagare oltre, e dieci minuti dopo i tre amici erano seduti ad
uno dei tavoli all’aperto sorseggiando un tè freddo ciascuno.
Come si poteva intendere dal nome, il bar gestito dai genitori di
Nadeshiko si richiamava sia nell’estetica che nel menù ai classici caffè
parigini di fine ‘800, con tavolini metallici bianchi in stile art nuveau,
pregiati oggetti di ceramica e personale in abiti occidentali, con camicia
bianca, cravattino e grembiule nero.
Vi lavoravano quasi esclusivamente i genitori della ragazza, ma quando
si rendeva necessario anche Nadeshiko e sua sorella contribuivano personalmente
a mantenerne inalterata l’operatività, anche perché vista la fama di cui godeva
sia in città sia nei centri vicini capitava spesso che facesse il tutto
esaurito.
«Anche oggi c’è un sacco di gente.» disse Shinji sorseggiando la sua
bibita
«Il nostro bar è molto apprezzato, soprattutto per il caffè. Mamma e
papà se lo fanno spedire da un loro amico direttamente da Napoli.»
«Vero caffè napoletano. Meglio di così.»
«Prego, questi li offre la casa.» disse il padre di Nadeshiko portando
loro dei semifreddi dall’aria estremamente appetitosa
«Signor Amamiya, lei è troppo gentile.» disse Keita
«Ma dai, non fate complimenti. Lo sapete che qui siete sempre i
benvenuti».
Mentre lui e gli altri stavano mangiando il dolce Shinji notò, qualche
tavolo più in là, vicino al grande ingresso a vetri, la nuova studentessa;
stava seduta a gambe accavallate con la sua aria distante e seria e leggeva un
libro, probabilmente di scuola, sorseggiando di tanto in tanto una tazza di tè.
«Ehi, guardate un po’ chi c’è.» disse facendo un cenno ai suoi amici
«È Lainay.» disse Keita «La ragazza che si è trasferita stamattina in
classe nostra».
Forse notando su di sé gli sguardi dei tre ragazzi Lainay sollevò in
proprio, ricevendo un saluto amichevole da Nadeshiko al quale però non rispose
che con un impercettibile movimento delle palpebre; dopo poco, recuperata la
cartella, si alzò, ma nell’istante in cui passò accanto a Nadeshiko
quest’ultima avvertì la stessa sensazione di quella mattina, ulteriormente
accentuata dalle parole che la misteriosa ragazza pronunciò prima di andarsene.
«Hai mai fatto un sogno tanto realistico da sembrarti vero?».
Quelle poche parole scatenarono un potenziale uragano nella mente di
Nadeshiko, che prima ancora di poter tornare in sé percepì nuovamente anche la
sensazione di dejà vu avuta solo pochi minuti prima, e senza sapere perché si
girò fulminea verso la sedia subito alle sue spalle, sulla quale era appoggiata
la sua cartella, come se avesse avuto l’impressione che qualcuno volesse
rubargliela.
«Nadeshiko?» disse Keita «Tutto a posto?».
Stavolta non fu in grado di mentire: il suo sguardo parlava per lei,
trasmettendo in modo fin troppo chiaro la tempesta che si agitava dentro di
lei.
Aveva paura di stare impazzendo, e la prima cosa che pensò di fare fu di
confidarsi; dopotutto Keita e Shinji erano i suoi migliori amici, e forse
avrebbero potuto aiutarla in quella situazione tanto complicata.
«Ragazzi.» disse, e colpendoli subito con la sua espressione seria, che
non lasciava spazio neppure alla comicità spesso fuori luogo di Shinji «Non
avete come l’impressione di aver già vissuto questo momento?»
«Beh.» rispose Shinji, forse nel tentativo di sdrammatizzare «Veniamo a
fare merenda qui quasi ogni giorno. Ripetendo una cosa senza sosta, alla fine
ti sembra quasi che il tempo si fermi.»
«No, io non parlo di questo.»
«E allora cosa intendi?»
«Prima, nella piazzetta, non mi ero fermata perché credevo di aver visto
un’amica. In verità in quel momento ho avuto come l’impressione che qualcosa
non fosse al posto giusto, che ci fosse un qualcosa di storto in ciò che stava
accadendo.»
«Qualcosa di storto?» ripeté Keita
«La stessa sensazione l’ho avuta anche un attimo fa. Non so perché, ma
ero sicura che qualcuno fosse sul punto di rubarmi la cartella, anzi, che me
l’avesse già rubata.»
«Perché qualcuno dovrebbe rubartela? Lo sanno tutti che nessuno lascia
nella cartella soldi o altre cose di valore.»
«Shinji ha ragione. Capita a tutti di avere un dejà vu.»
«Un… dejà vu?».
In fondo Keita aveva ragione: già altre volte Nadeshiko aveva avuto dei
dejà vu, e già in passato era venuta alla luce questa sua sensibilità tutta
particolare nel percepire avvenimenti che poi si sarebbero effettivamente
verificati, tanto da venire soprannominata da alcuni Dea del Futuro.
Ma se era così, perché qualcosa sembrava continuare a sfuggirle?
«Forse sei semplicemente stanca. Oggi è stata una giornata faticosa.»
«Puoi ben dirlo.» disse Shinji tornando a scherzare «E temo mi ci vorrà
ben più di una meringa per togliermi l’amaro che il compito di matematica mi ha
lasciato in bocca.»
«A chi lo dici.»
«Forse… forse avete ragione voi. Mi sto preoccupando troppo».
In quella qualcuno, forse inavvertitamente, la urtò, e fu come se una
mano invisibile l’avesse afferrata, allontanandola dai suoi pensieri per
riportarla alla realtà.
«Oh, domando scusa.» disse una voce famigliare
«Johan!» rispose Nadeshiko alzando perplessa lo sguardo.
Vedere l’espressione gentile e il sorriso rassicurante del giovane Von
Karma le fece andare il cuore a mille, una cosa mai successa prima con nessun
altro ragazzo.
«Mi dispiace, ero soprapensiero e non mi sono accorto di esserti passato
così vicino.»
«No… non c’è problema…» disse lei con evidente nervosismo
«Johan.» disse Keita, che come Shinji lo conosceva abbastanza da poterlo
chiamare per nome, e senza alcun suffisso di cortesia «È raro vederti in giro
dopo la scuola. Non avevi i corsi serali?»
«Non stasera; il professore aveva un impegno inderogabile. Così, visto
che non avevo niente da fare, ho pensato di venire da queste parti a fare una
passeggiata.»
«Quand’è così, perché non ti siedi?» domandò Shinji
«Lo farei volentieri, ma stavo proprio per dirigermi verso casa. Karen e
Theodor me le canteranno di santa ragione se farò tardi anche stasera.»
«Chi sono Karen e Theodor?» chiese Keita
«I miei domestici. Sono venuti con me dalla Germania. Tengono in ordine
la casa e provvedono ad ogni altra mansione.
Beh.» disse guardando il suo orologio da polso «Si è davvero fatto
tardi. Ci vediamo domani a scuola, e scusa ancora».
Nadeshiko, completamente rapita, continuò ad osservarlo mentre si
allontanava tra la folla, senza sapere però di essere a sua volta guardata con
un misto di divertimento e ammirazione dai suoi due amici, per i quali i
sentimenti e le emozioni della loro grande amica non avevano segreti.
«Che… che cosa c’è?» domandò lei quando, giratasi, si accorse dei loro
sguardi
«Avanti, sbrigati.» le disse Shinji, una frase che la fece arrossire
terribilmente.
Avrebbe voluto obiettare, dire che non era il caso, ma un ulteriore
incentivo da parte di Keita le fece prendere l’iniziativa, e alzatasi dalla
sedia recuperando la cartella corse incontro a Johan subito prima che uscisse
definitivamente dal suo campo visivo.
«Johan, aspetta».
Lui si fermò e si girò a guardarla appena le fu vicino, e i suoi occhi
ebbero come primo effetto quello di farla arrossire ancor di più.
«Qualcosa non va’?»
«Ecco… potrei… se non è troppo disturbo… potrei, ecco… fare la strada
con te?».
Johan parve sorpreso e perplesso dalla domanda, che tra l’altro
Nadeshiko cominciò a pentirsi di aver fatto subito dopo che l’ultima parola le
fu uscita di bocca, ma poi il giovane Von Karma le rivolse uno dei suoi sorrisi
gentili.
«Se ti fa piacere. Ma guarda che è dall’altra parte della città. Dopo ci
metterai una vita a ritornare.»
«No… non importa. Se non ti disturba, ne sarò felice».
Timidamente, rossissima in viso, Nadeshiko gli si accostò, e insieme
cominciarono a camminare in direzione della periferia sud di Uminari, una zona
residenziale notoriamente occupata da gente facoltosa in cui Johan aveva la
propria abitazione.
Nadeshiko era tesa e imbarazzata come mai nella sua vita, e per i primi
dieci minuti non fu neppure capace di sollevare lo sguardo dal selciato, tanto
che in più di un’occasione rischiò di andare a sbattere contro vari ostacoli o
passanti che venivano dalla direzione opposta, suscitando in questo modo dei
sorrisi divertiti da parte di Johan, che trovava divertente e incredibilmente
dolce la sua goffaggine.
Servirono venticinque lunghi minuti perché la ragazza riuscisse a
trovare la forza di aprire bocca, e incredibilmente, da quel momento in avanti,
la sia parlantina si fece rapidamente più sciolta e sicura di sé.
In poco tempo le sembrò di avere una certa familiarità con il giovane
Von Karma, di conoscerlo da un sacco di tempo; effettivamente Johan era in
classe con lei dal primo anno di liceo, ma non si erano mai realmente
frequentati, e lei sapeva ben poco sul suo conto ad eccezione delle tante
chiacchiere che giravano tra le studentesse.
Ben presto i propositi di Johan di arrivare a casa in anticipo andarono
a ingrassare i pesci, e i due ragazzi si ritrovarono a passeggiare senza meta
fra le stradine calme e quasi deserte della zona residenziale fino a sera;
entrambi ad un certo punto sentirono i rintocchi di una campana che annunciava
l’avvento delle otto, ma nessuno dei due ci fece caso, assorti com’erano dalle
loro conversazioni.
«Allora è vero quello che ho sentito dire.» disse ad un certo punto
Nadeshiko «Hai una sorella maggiore.»
«Sì. Si chiama Franziska. È un po’ ingenua, ma di buon cuore.»
«Gli vuoi bene, vero?»
«Per quanto si possa voler bene a qualcuno che si vede una volta ogni
sei mesi o tramite webcam.»
«Ti capisco. Quando avevo sei anni mio padre è andato a fare un corso
per pasticcieri in Francia ed è stato lontano per due anni. Mi è mancato molto.
Lo sai, infondo l’ho sempre saputo che eri una persona sentimentale.»
«Sentimentale?»
«Eri sempre chino sui libri, e quel tuo sguardo così freddo sembrava
quasi un monito a rimanerti lontano. Eppure sentivo che infondo al cuore eri
completamente diverso da come volevi apparire. A lungo mi sono chiesta quale
fosse il tuo vero io, e ora che lo vedo mi rendo conto di quanto tu sia
speciale.»
«In fin dei conti» replicò Johan sorridendo «Anche tu ti sei rivelata diversa
da come ti avevo inizialmente immaginata. Credevo fossi una persona ingenua e
facilmente persuadibile. Invece hai carisma, e sotto la tua maturità nascondi
una grande dolcezza.»
«Sei… sei gentile a dirmi questo…» disse Nadeshiko arrossendo nuovamente
e sfregandosi le mani.
Pochi secondi dopo, mentre stavano transitando sotto un lampione, Johan
afferrò Nadeshiko, dolcemente ma con decisione, per le spalle, mettendola con
la schiena contro il palo.
Lei, attonita, sollevò lo sguardo: gli occhi del giovane Von Karma erano
di un azzurro che lasciava abbagliati, e vi risplendeva dentro un luccichio
dallo straordinario potere di attrazione che la lasciò senza fiato, incapace di
reagire.
«Jo… Johan…»
«Sei bellissima Nadeshiko.» le disse con voce suadente, non molto
diversa da quella di un grande attore «Non posso restare senza di te.»
«Johan… che cosa dici…»
«I tuo animo è una gemma preziosa che risplende di viva luce. Quella luce…
la voglio solo per me».
Seguirono lunghi istanti di silenzio, durante i quali Nadeshiko si sentì
sempre più attratta inesorabilmente dal blu cobalto di quegli occhi, al punto
da sentirsene ipnotizzata: era impossibile ribellarsi a loro, assolutamente
impossibile.
«Johan-sempai…»
«Nadeshiko. Io ti amo. Ti amo con tutto me stesso.
Vuoi amarmi anche tu? Vuoi concedermi lo splendore della gemma che
brilla dentro di te?».
A quel punto, la ragazza decise di lasciarsi sopraffare, e di soccombere
definitivamente.
Chiusi gli occhi, si appoggiò a Johan, contraccambiandone l’abbraccio e
abbandonandosi con la testa sul suo torace possente ma gentile, del quale poteva
avvertire il respiro; tutto era effimero attorno a lei, tutto era privo di
senso. C’era solo Johan, e l’amore senza fine che sentiva di provare per lui.
Era un amore grandissimo, che presto l’avrebbe resa schiava: lo sapeva,
ma sentiva di non potersi ribellare, e anzi, ne era felice, perché le dava un
senso di calore.
Il torpore del sentimento si era a tal punto impossessato di lei da non
accorgersi che Johan, lo Johan che stava abbracciando e dal quale non voleva
staccarsi, al di sotto di quel volto di giovane innamorato e integerrimo che
stringeva sé l’oggetto del suo amore sembrava ostentare un’espressione oscura,
che ghignando di malevola soddisfazione assaporava con gioia il proprio trionfo
serrando il pugno attorno alla sua nuova, preziosissima bambola.
“Brava, Nadeshiko. Abbandona le tue memorie. Dimentica ogni cosa. Dimentica
il tuo grande amore, i sentimenti che provi per lui, e donati a me. Cedimi il
tuo cuore, la tua anima, e con essi il cuore di Isis”.
CONTINUA
Nota dell’Autore
Eccomi qua!
Con grande anticipo sui tempi
previsti mi faccio di nuovo risentire.
Il 27 di oggi in Storia del Libro
mi ha dato gli stimoli, e come già detto precedentemente questo capitolo
aspettavo di scriverlo da diverso tempo, quindi le idee erano già molte e
bastava concretizzarle.
Qualcuno mi dirà che ho interrotto
sul più bello, ma prometto di fare il possibile per inserire al più presto il
prossimo capitolo, e già vi preannuncio un finale col botto.
«Che succede?» disse Toshio tenendo
ancora il pendente nel palmo della mano «Sento che il potere di Nadeshiko si
sta affievolendo. Che cosa le stanno facendo?» domandò poi rivolto a Yuko
«Stanno riscrivendo i suoi ricordi.»
«Che cosa!?» esclamò il ragazzo con il cuore in gola «Riscrivendo i suoi
ricordi?»
«Hypnos l’ha imprigionata in un sogno assieme a Seth, e ora sta cercando
di modificare le sue memorie per spingerla verso di sé.»
«No, non ci credo! Nadeshiko non si lascerebbe mai incantare così
facilmente!»
«I poteri di Hypnos sono molto grandi. Chi viene imprigionato in una
delle sue illusioni accetta ciò che gli viene messo davanti agli occhi come se
fosse la realtà, tanto appare reale.»
«Quel bastardo di Seth. Ma perché Isis non interviene?»
«Quando Isis non prende direttamente possesso del corpo di Nadeshiko
rimane assopita all’interno del suo animo, e in queste condizioni non c’è
niente che lei possa fare.
Al contrario, tutto ciò che accade a Nadeshiko ha effetti anche a lei,
ed è proprio questo ciò a cui ambisce Seth. Quando Nadeshiko si arrenderà del
tutto anche Isis sarà asservita al suo volere, e lui avrà portato dalla sua
parte la sola persona in grado di minacciarlo sul serio.»
«E io sono chiuso qui!» tuonò Toshio colpendo furente la barriera per
l’ennesima volta, senza alcun risultato «Tu sei la strega delle dimensioni! Tu
puoi fare qualsiasi cosa! Fammi uscire di qui!»
«E poi cosa faresti, se posso chiedere?»
«Troverei Hypnos e lo ucciderei con le mie stesse mani, in modo da
riportare indietro Nadeshiko e sottrarla alle brame di quell’essere schifoso.»
«Solo Hypnos è in grado di annullare l’incantesimo che tiene Nadeshiko
prigioniera dei suoi sogni. Se lo uccidessi, lei sarebbe condannata.»
«In tal caso lo costringerei a lasciarla libera. Credimi, so essere
molto persuasivo.»
«Hypnos mette la fedeltà a Seth prima di ogni altra cosa, anche della
sua stessa vita. Puoi essere malvagio e sadico quanto vuoi, non riuscirai mai a
convincerlo ad agire contro il volere de suo signore.»
«E allora cosa dovrei fare? Starmene qui con le mani in mano ad
aspettare che tutto vada come vuole lui? Mi dispiace, ma non intendo farlo!
Finché avrò forza sufficiente per rimanere in piedi cercherò un modo per uscire
di qui e andare ad aiutarla!»
«Non ho mai detto che non fosse possibile aiutarla.» replicò Yuko con
tono leggermente più severo, forse dovuto alla palese mancanza di rispetto nei
suoi confronti da parte del ragazzo.
Toshio sentì rinascere un filo di speranza: forse non era tutto perduto.
«Che cosa devo fare?»
«Il ciondolo non è stato lasciato qui per puro caso. Nadeshiko sapeva
che esso ti sarebbe potuto servire per arrivare fino a lei, e con il suo aiuto
sarai in grado di salvarla.»
«Grazie a… questo?» ripeté il guerriero guardando il monile un po’
perplesso
«C’è un solo modo in cui puoi aiutarla. L’illusione generata da Hypnos è
generata dalla mente di Nadeshiko, da frammenti dei suoi ricordi usati per
creare un micro-mondo del tutto simile al nostro, per quanto fatto unicamente
di pensieri. All’interno di questo mondo chiunque, fuorché chi lo ha creato, in
questo caso Nadeshiko, che vi è solo con la mente, può accedervi anche con il
corpo, come ha fatto Seth.
La stessa cosa puoi farla anche tu.»
«Posso entrare… nel suo sogno!?»
«Per un essere umano sarebbe un’impresa praticamente impossibile, ma
quel ciondolo e i suoi poteri potrebbero aiutarti a realizzare tale scopo.»
«Ma… c’è sempre il problema di questa barriera. Non c’è il rischio che
mi respinga nuovamente?»
«Le barriere di questo tipo respingono unicamente gli elementi fisici.
Nel passare da questa realtà al micro-mondo generato dai pensieri di Nadeshiko
verresti smaterializzato per un istante, il che ti permetterebbe di
oltrepassarla».
Toshio era chiaramente dubbioso che una cosa simile potesse essere
effettivamente possibile, ma poi, considerando anche il fatto che non vi era
nessuna alternativa, decise di avere fiducia, e strinse forse il pendente nel
suo pugno.
L’immagine di Yuko scomparve, ma la sua voce continuò a riecheggiare
nella stanza.
«Concentrati. Lascia che l’energia del pendente scorra dentro di te.
Sabatiel concede i suoi poteri a pochissime persone, ma se avvertirà in te i
sentimenti nobili che ti legano alla sua padrona allora ti aiuterà».
Dal giorno in cui Johan si era
dichiarato tutto era andato a meraviglia, e sembrava quasi che la vita di
Nadeshiko avesse cambiato percorso in ogni suo aspetto: a scuola era
migliorata, non era accaduto niente di spiacevole e i rapporti coi suoi amici
non avrebbero potuto essere più rosei.
Infine, appena si era sparsa la voce che era diventata a tutti gli
effetti la fidanzata del ragazzo più popolare della scuola, fiumi di persone si
erano avvicinati a lei per congratularsi e conoscere a tu per tu colei che era
riuscita a sciogliere il cuore glaciale del giovane Von Karma, mettendo fine ai
lunghi anni che aveva trascorso quasi in solitudine.
Tutto era veramente perfetto: neanche quelle sensazioni di dejà vu,
altamente fastidiose, si erano più ripresentate, un sollievo in più per
Nadeshiko, che sentiva di avere ottenuto tutto ciò che la vita avesse da
offrirle.
Erano passati alcuni giorni da quella fatidica sera, e una mattina, come
ogni giorno, la ragazza arrivò nell’atrio della scuola frizzante e serena come
non accadeva da tempo, attirandosi subito gli sguardi di Maki e Shiori; Johan
non era ancora arrivato, ma che lui si facesse vedere solo all’ultimo momento,
subito prima del suono della campanella, era la regola.
«Buongiorno!»
«Buongiorno, Nadeshiko.» rispose Shiori «Oggi sei al settimo cielo.»
«Infatti. Ho il sentore che sarà una giornata fantastica.»
«Ho sentito che fra te e Johan le cose vanno bene.» disse Maki mentre
Nadeshiko si cambiava le scarpe «A scuola non si fa che parlare di voi due.
Allora dicci, com’è?»
«È davvero un ragazzo straordinario. Quello che mostra normalmente di sé
non rispecchia minimamente la persona che è in realtà.
È dolce, affettuoso e incredibilmente romantico.»
«Tu sei pazza di lui, ammettilo.» disse Shiori.
Il rossore di Nadeshiko rispose per lei, rossore che divenne ancor più
vivido quando Johan, con insolito anticipo, si presentò dinnanzi a lei.
«Buongiorno Nadeshiko.»
«B… buongiorno Johan…».
Lui si avvicinò e le carezzò leggermente una guancia, guardandola con
tenerezza.
«Oggi sei davvero stupenda.»
«G… grazie».
Maki e Shiori erano felici per la loro amica, ma vedere il loro adorato
Johan-sempai in atteggiamenti tanto amorevoli e bendisposti, sfoggiando
oltretutto quello sguardo irresistibile, le faceva palpitare di emozione,
ingelosendole un po’.
«Capiti a proposito, Nadeshiko. Volevo parlarti.»
«Parlarmi? Di cosa?»
«Domani c’è il compito di storia. Ti andrebbe di studiare insieme a casa
mia?»
«A… casa tua!? Studiare!?»
«Avevi detto che questo compito ti preoccupava. Se posso aiutarti, per
me sarà un piacere».
Nadeshiko era in totale imbarazzo, stringeva le mani e guardava in basso
per nascondere i due tizzoni ardenti che aveva al posto delle guance.
“In casa sua!? Noi due… però, non saremo da soli! Però… ci conosciamo da
poco. Non so se…”.
Furono le sue amiche a prendere l’iniziativa per lei, tirandola verso di
loro in modo che Johan non potesse sentirle.
«Avanti.» disse Maki «È la tua grande occasione.»
«Però… però io…»
«Non aver paura. Devi mostrarti sicura di te. E ricorda che noi ti
sosteniamo».
Alla fine decise di avere fiducia, e giratasi verso Johan ancora in
attesa rispose di sì, che le avrebbe fatto piacere.
«Perfetto. Allora ci vediamo alle sette a casa mia.»
«Alle sette? Come mai così tardi?»
«Purtroppo prima devo fare una commissione. Rimedieremo studiando
assiduamente.»
«D’accordo. E grazie della tua disponibilità.»
«Ma ti pare, per così poco».
Sia Johan che le due ragazze a quel punto si diressero verso le
rispettive aule; Nadeshiko rimase indietro per finire di cambiarsi le scarpe,
ma mentre stava rimettendo le sue nella scarpiera uno strano brivido le
attraversò il corpo, e per un istante le parve di sentire una voce direttamente
dentro la sua testa che la chiamava ossessivamente.
Spaventata, si volse: nell’atrio non c’era nessuno a parte lei, e
malgrado fosse quasi ora di lezione regnava un silenzio da cimitero. Per un
attimo la ragazza si convinse di avere avuto un’allucinazione, ma poi
nuovamente quella voce le fece fischiare le orecchie.
Aveva un che di strano, di famigliare, ma per quanto si sforzasse non
riusciva a ricordare proprio dove l’avesse sentita.
«Chi sei?» domandò guardandosi attorno «Che cosa vuoi da me?».
La voce
non rispose, e anzi scomparve del tutto, lasciando nuovamente spazio ai
richiami e al vociare degli studenti, ricomparsi quasi dal nulla.
Nadeshiko decise di non pensarci ulteriormente e si avviò decisa verso
la propria classe; dopotutto, poteva essere stata benissimo un’altra
allucinazione, anche se in verità essere ancora soggetta a simili situazioni la
faceva sentire a disagio.
Fortunatamente ci pensarono le espressioni allegre e gioviali di Keita e
Shinji a restituirle il buonumore.
«Buongiorno a tutti!»
«Buongiorno, Nadeshiko.» disse Keita «Bene arrivata.»
«Sapete, Johan mi ha appena invitata ad andare a studiare a casa sua
questa sera.»
«Davvero!? Congratulazioni.»
«Guarda te.» commentò Shinji, sarcastico come al solito «Sembra tanto
distaccato, ma in realtà è una vecchia volpe.»
«S… Shinji!» replicò lei arrossendo.
La lezione iniziò regolarmente e non accadde nulla fino alla
pausa-pranzo, quando i tre amici si riunirono sul terrazzo della scuola per
mangiare insieme i bentou preparati dalle rispettive madri. Subito prima di
raggiungere il tetto, però, Shinji e Keita vennero raggiunti da un loro
compagno, Sota, che li avvisò che la professoressa di letteratura li voleva in
sala professori per discutere del prossimo festival della cultura, che si
sarebbe tenuto di lì a breve.
«Tu vai pure.» disse Shinji «Noi ti raggiungeremo il prima possibile.»
«D’accordo, vi aspetto».
Nadeshiko raggiunse quindi la terrazza da sola, e come spesso succedeva
la trovò vuota: la scuola disponeva di un così ampio cortile che la maggior
parte degli studenti preferivano andare lì per la pausa-pranzo, e così il più
delle volte la terrazza rimaneva a disposizione.
Da lassù si godeva una bellissima vista della città e dei dintorni,
spaziando dalle montagne a ovest fino al grande e stupendo golfo ad anello sul
mare ad est, con il grande porto da cui salpavano ogni giorno diverse navi.
Si sedette a ridosso della rete di protezione e cominciò a mangiare, ma
il suo pasto venne interrotto dal nuovo rimbombare di quella voce.
«Nadeshiko!».
Questa volta sembrava vicina, molto vicina, come se chi parlava si
trovasse proprio accanto a lei, ma ancora una volta tutto intorno non vi era
anima viva.
«Che cosa vuoi da me?»
«Non scomparire! Resta vigile! Nadeshiko!»
«Che significa? Chi sei?».
D’improvviso Nadeshiko fu colta da una sensazione terribile, come se le
fosse venuto a mancare il respiro; spaventata, cadde in ginocchio, rovesciando
il bentou che teneva appoggiato sulle gambe e stringendosi con forza le mani
poco sotto il collo. Non sapeva perché, ma era sicura che in quel punto vi
sarebbe dovuto essere qualcosa, qualcosa che invece non c’era, e che
probabilmente non c’era mai neppure stato, ma la cui mancanza era la ragione di
quella sofferenza spaventosa.
In quel momento sopraggiunsero Keita e Shinji, che vedendo la loro amica
in quella condizioni corsero immediatamente da lei per soccorrerla; Nadeshiko
si agitava e si dimenava come una pazza, gridando frasi sconnesse.
«Non respiro! Mi manca l’aria!»
«Nadeshiko, calmati! Shinji, aiutami a tenerla!»
«Più facile a dirsi che a farsi!»
«Mi manca l’aria! Il pendente, dov’è il mio pendente!».
Alla fine, forse per lo shock, la ragazza perse i sensi, ma
fortunatamente tornò in sé nel giro di qualche minuto, ritrovandosi tra le
braccia di Keita.
«Meno male. Ti sei svegliata.»
«Keita… Shinji… ma cosa… che è successo?».
Fu aiutata a rialzarsi, ma dovette sorreggersi ai suoi amici per restare
in piedi.
«Ma cosa… che mi è successo? Ho come un vuoto di memoria.»
«Rilassati. Ora è tutto passato».
Malgrado non ricordasse niente di quegli ultimi minuti Nadeshiko lasciò
il terrazzo con la convinzione che fosse successo qualcosa, qualcosa di
importante che forse, anzi sicuramente era meglio riuscire a ricordare.
«Non ce la faccio!» disse Toshio
quando l’ennesimo tentativo di valicare la frontiera tra fisico ed eterico per
entrare nel sogno di Nadeshiko era fallito.
Aveva provato a parlarle, a fare in modo che la sua volontà di creatrice
del sogno gli permettesse di riuscire nell’impresa, ma neppure questo era
riuscito: evidentemente Seth era già riuscito a cancellare i ricordi attinenti
a lui dalla sua memoria, rendendo vano qualsiasi tentativo di comunicare con
lei.
«È tutto inutile!»
«Non arrenderti!» gli rimproverò Yuko con un tono stranamente molto meno
distaccato e disinteressato del solito «Vuoi davvero che tutto vada come vuole
Seth?».
Un simile pensiero gli faceva ribollire il sangue nelle vene, ma
cos’altro poteva fare oltre a quello che già stava facendo?
«Ti devi sbrigare. Non hai più molto tempo. Anche se sottoposta al
condizionamento di Hypnos, Nadeshiko è ancora padrona del suo sogno, e fino a
che lo sarà avrai una speranza di raggiungerla.
Se però dovesse arrendersi del tutto all’influenza di Seth anche lui ne
avrà il controllo, e allora non ti sarà più possibile entrarvi.»
«Ma cos’altro posso fare? Mi sono impegnato con tutto me stesso, ma non
è servito.»
«Devi essere sincero. Sabatiel non ti aiuterà se non darai prova dei
sentimenti che provi per la sua padrona. E per dimostrarli li devi anzitutto
accettare. Accetta i tuoi sentimenti, e Sabatiel ti condurrà da lei».
I suoi veri sentimenti.
Più facile a dirsi che a farsi.
Del resto, come poteva essere diversamente?
Sarebbe stato davvero possibile per lui, un guerriero che fino a quel
momento non aveva conosciuto una realtà diversa dalla battaglia, amare
sinceramente qualcuno?
Amava Nadeshiko, ne era sicuro, l’amava più della sua stessa vita; ciò
di cui non era sicuro era di poterla davvero amare, di poterle dare tutto ciò
che meritava, e soprattutto aveva paura di non avere dentro di sé le
caratteristiche necessarie per definire sé stesso come un innamorato.
D’altra parte però, il solo pensare a lei gli faceva battere il cuore,
infondendogli sentimenti mai provati, e anche ora che erano lontani, separati
in ogni modo possibile, poteva sentire la sua presenza e il suo calore
attraverso quel ciondolo.
Senza dimenticare poi l’altro pendente, quello che lei stessa gli aveva
regalato, il simbolo di ouroboros, dal quale sentiva provenire la stessa
energia.
Fino a quel momento non aveva voluto accettare i suoi sentimenti, perché
aveva paura di non esserne degno. Eppure, come suo padre gli ripeteva spesso,
non vi era errore più grande per un uomo che nascondere a sé stesso la verità,
fuggendo dai pericoli per non doverli affrontare.
Non doveva aver paura dell’amore che provava per Nadeshiko: dopotutto,
anche lei lo amava, e ciò che sarebbe accaduto nei prossimi istanti gliene
avrebbe dato la prova.
Più determinato e convinto di poco prima Toshio strinse di nuovo il
pendente nel pugno, cercando questa volta di essere il più sincero possibile.
Non avrebbe più avuto paura dei suoi sentimenti, e non sarebbe più scappato;
era giunto per lui il momento di crescere, di comportarsi come un vero uomo.
“Ora basta fare il ragazzino! Il tempo dei giochi è finito!”.
Era vero! Basta giocare, e basta comportarsi da bambino! D’ora in poi
non avrebbe più nascosto la verità, né agli altri né a sé stesso.
Il ciondolo prese a brillare di una luce fortissima, che ben presto lo
circondò.
«Aspettami, Nadeshiko! Sto venendo a prenderti!».
Alle cinque e un quarto, al suono
dell’ultima campanella, Nadeshiko lasciò l’edificio scolastico, non senza
qualche domanda in testa su quanto effettivamente accaduto sul terrazzo.
A differenza degli altri giorni non andò a fare la sua solita
passeggiata con Shinji e Keita, preferendo piuttosto stare un po’ da sola prima
di recarsi a casa di Johan, il solo in grado di farla sentire a suo agio.
Il suo peregrinare la condusse al parco vicino alla scuola, dove, dopo
un lungo girovagare senza meta fra i sentieri sassosi, si sedette su di una
panchina che guardava verso il laghetto, osservando sconsolata e con una certa
preoccupazione il sole, già tinto dei colori del tramonto, che si specchiava
nell’acqua.
Le perplessità e le allucinazioni che credeva di essersi lasciata alle
spalle erano ancora ben presenti, e anzi da che si era risvegliata dopo aver
perso conoscenza erano diventate più insistenti di prima.
Proprio quando si era convinta di poter continuare la propria vita come
se niente fosse la sensazione che in tutto quell’idillio nel quale stava
vivendo vi fosse qualcosa di sbagliato, per non dire di irreale, aveva
ricominciato a farsi strada dentro di lei.
Ma come poteva essere possibile?
Certo, erano successe tante cose in quegli ultimi giorni, cose stupende:
aveva trovato l’amore della sua vita, conosciuto nuovi amici e allargato il suo
mondo.
Forse, a pensarci bene, di cose ne erano successe davvero troppe; non
aveva mai creduto eccessivamente nel destino, ma che tutta la sua vita potesse
cambiare dal bianco al nero nell’arco di settantadue ore era davvero una cosa
ai limiti del credibile.
E se ci fosse stato qualcosa sotto? E se dietro tutto ciò che stava
accadendo vi fosse la mano di qualcuno, qualcuno intenzionato a rabbonirla
dandole tutto ciò che, infondo al cuore, aveva sempre desiderato?
D’un tratto, avvertì una presenza alle proprie spalle, e un po’
spaventata si affrettò a voltarsi; si aspettava di vedere Johan, o magari Keita
e Shinji, ma quella era davvero l’ultima persona che avrebbe pensato di
incontrare.
«Lainay-san!?»
«Posso sedermi?» domandò lei schietta e senza mezzi termini
«Ce… certo. Prego».
Si sedette, e per lunghi minuti le due ragazze rimasero ognuna per conto
proprio, fissando il laghetto con espressioni differenti.
Ora che Nadeshiko ci pensava bene, anche quella ragazza aveva qualcosa
di strano; la frase che aveva pronunciato qualche giorno prima subito prima di
lasciarla era ancora ben stampata nella sua mente, e malgrado avesse cercato
nei giorni successivi di iniziare una discussione con lei, se non altro per
cercare di fare amicizia, era sempre sopraggiunto un imprevisto a guastare i
suoi propositi.
Adesso era l’occasione giusta, e raccolto a sé il proprio coraggio
Nadeshiko decise di rompere il ghiaccio, ma con sua grande sorpresa
nell’istante in cui cercò di aprire bocca Lainay la colse in contropiede,
anticipandola.
«Tu le somigli.»
«Cosa!?»
«Le somigli molto.»
«A chi somiglio?»
«A mia sorella.»
«Hai una sorella?»
«Una sorella minore.
Aveva la tua stessa personalità. Era gentile e di animo nobile, metteva
sempre gli altri davanti a sé e l’ultima persona a cui pensava era sé stessa.
In molti glielo hanno rimproverato, io compresa, ma lei ripeteva sempre che
l’egoismo è il peggiore dei mali.»
«L’egoismo!?»
«Eravamo sorelle, ma completamente opposte. Io pensavo solo a diventare
forte, indipendentemente dai mezzi, lei invece agiva solo nell’interesse degli
altri.
Fin da quando era piccola l’ho considerata mia rivale, e sono stata
gelosa di lei al punto da odiarla.»
«Per quale motivo?»
«Era la sorella minore. Ciò nonostante, i nostri genitori non avevano
occhi che per lei. Per quanto io cercassi di mettermi in mostra, per quanti
traguardi riuscissi a raggiungere, non mi avvicinavo neppure a lei, che
dimostrava di possedere doti inarrivabili non solo per me, ma per chiunque
altro di noi.
Per anni ho represso l’astio che provavo nei suoi confronti, sforzandomi
in ogni modo di essere una buona sorella maggiore, ma poi, proprio quando stavo
per mettere da parte quei sentimenti così orribili, è arrivato lui.»
«Lui!?»
«Era un amico di famiglia. Ci conoscevamo fin da piccoli, ma eravamo
stati lontani tanti anni. Era bello, gentile, determinato.
Era tutto ciò che una donna potesse chiedere. I sentimenti che provavo
per lui erano cresciuti nel corso degli anni; avevo sperato così tanto nel suo
ritorno, per potergli confidare i miei sentimenti.
Lui era stato, fino a quel momento, il solo in grado di risvegliare in
me emozioni femminili».
Gli occhi di Lainay a quel punto si accesero di collera.
«Ma lui ha scelto lei. Non l’aveva mai vista prima di allora, ma ha
scelto lei.
È stato allora che l’ho odiata. Abbiamo litigato violentemente, l’ho
disconosciuta come sorella spezzandole il cuore, e da quel momento non ho fatto
altro che pensare a me stessa.
Sarei arrivata in alto, più in alto di chiunque altro, e lo avrei fatto
con le mie sole forze. Rimanere da sola ormai non m’importata più. Poi, però,
ho conosciuto lui. Il mio attuale compagno.»
«Il tuo attuale compagno?»
«Forse inizialmente mi sono avvicinata solo perché mi ricordava lui. Col
tempo però ho cominciato ad amarlo, ad amarlo con tutta me stessa, questo
almeno fino al giorno in cui le nostre vite cambiarono per sempre.
Proprio come Romeo e Giulietta, era destino che tra le nostre due
famiglie non potesse esservi pace. Avevamo idee troppo diverse su cosa dovesse
essere fatto.
Ciò che seguì distrusse non solo la mia, ma molte altre vite; mia
sorella soffrì più di chiunque altro, ma nella sua enorme sofferenza riusciva
comunque ad essere pura. Eppure, anche vedendola così, l’odio che provavo per
lei era ancora forte dentro di me.
Fu allora che presi quella decisione. Una decisione sofferta, e solo il
cielo sa se fu davvero quella giusta».
Nadeshiko ascoltò, emozionata e senza parole, la confessione più spontanea
e accorata che le fosse mai capitato di sentire, e allora non poté che provare
un sentimento di legame ancor più saldo con quella ragazza, alla quale porse il
proprio fazzoletto per asciugarsi quelle lacrime che, malgrado il suo
incrollabile contegno, stavano cominciando ad addensarsi sui suoi occhi.
«Non piangere.» le disse sorridendole «Andrà tutto bene, ne sono
sicura».
Lei, attonita, la osservò con gli occhi sbarrati e la bocca socchiusa,
poi, preso il fazzoletto, se lo passò in viso il più velocemente possibile, per
restituire al più presto alla propria espressione la sua solita freddezza.
«Dammi retta, ragazzina. Un mondo di sogni, per quanto bello e idilliaco
possa essere, non vale assolutamente niente.
I sogni mi hanno fatto diventare quella che sono, i sogni di poter
ottenere un giorno la felicità che sentivo di meritare, e forse, a pensarci
bene, la mia vita non è stata altro che questo. Un’accozzaglia di inutili
sogni.
Eppure…» disse riuscendo, incredibilmente, ad accennare un sorriso «Non
so perché, ma qualcosa dentro di me mi dice che, forse, non è stato tutto
inutile».
Detto questo Lainay si alzò, lasciando il fazzoletto appoggiato sulla
panchina.
«La realtà a volte può essere dura, ma rifugiarsi in un sogno è la cosa
più stupida che si possa fare. Quelli come te dimostrano la loro vera forza
solo quando sono vicini alla persona con la quale sono destinati a legarsi per
tutta la vita. Forse anche per me valeva lo stesso, ma io l’ho capito troppo
tardi.
Ti saluto.» e se ne andò, scomparendo fra gli alberi.
Nadeshiko non sapeva cosa pensare.
Era certa che quelle ultime parole avessero un peso molto più grande di
quanto si potesse inizialmente immaginare, e sentiva che dietro di esse si
celava un messaggio di importanza vitale.
I rintocchi della campana della scuola, udibili anche da lì,
interruppero sul nascere le sue meditazioni.
«Accidenti, sono le sei e mezza. Devo sbrigarmi, o farò tardi».
Nadeshiko riuscì a prendere
l’autobus per il rotto della cuffia, salendoci giusto un secondo prima che
partisse e scendendone dall’altra parte della città, nella zona residenziale in
cui abitava Johan, raggiungendo la sua casa nel giro di pochi minuti grazie
alle indicazioni che lui le aveva dato.
L’ultima volta che era stata lì, la sera in cui Johan le aveva
dichiarato il proprio amore, alla fine non era andata a casa sua, quindi quella
era la prima volta che vedeva la residenza Von Karma, e trovandosela davanti la
sua incredulità fu ovviamente grande.
Era una villa immensa, a due piani, delimitata da un’alta cancellata in
ferro e circondata un enorme giardino pieno di piante, soprattutto roseti, con
uno stagno in cui nuotavano tantissime carpe.
Un po’ atterrita dalla maestosità della dimora, dove il bianco e il
vetro la facevano da padroni, suonò timidamente al campanello, e dopo poco le
rispose proprio la voce di Johan.
«Sì? Chi è?»
«Eh, sì? Sono io. Sono Nadeshiko.»
«Ah, benvenuta. Ti apro subito».
Il cancello si aprì lentamente, e appena Nadeshiko ebbe raggiunto la
porta fu sempre Johan a venirle ad aprire.
«Bene arrivata. Ti stavo aspettando.»
«Scusami, ho fatto tardi.»
«Non importa. Rimedieremo studiando più assiduamente. Ma non restare
sulla porta. Prego, entra.»
«Grazie».
Anche all’interno la casa era davvero fantastica, arredata con un gusto
tutto europeo e ridondante di luce, questo grazie alla posizione tattica di
specchi finestre per incanalare e distribuire al meglio i raggi di sole.
«Hai una casa davvero enorme.»
«Ti ringrazio.»
«È anche bellissima.»
«Volevo sentirmi come in Germania. Le case giapponesi sono belle, ma per
chi non ci è abituato possono risultare alquanto scomode.»
«Forse hai ragione.» rispose lei sorridendo divertita
«Forza, andiamo di sopra».
Mentre salivano le scale Nadeshiko si accorse, per via della totale
assenza di rumori, che nell’abitazione non vi era nessuno a parte loro due.
«Non avevi detto che vivevi con i tuoi due domestici?»
«Infatti.»
«E dove sono adesso?»
«Karen è andata a fare un po’ di spese, Theodor invece usufruisce del
suo giorno libero.»
«Ah, capisco. Mi farebbe piacere conoscerli.»
«Forse li incontrerai stasera. Dovrebbero tornare per l’ora di cena».
A dispetto della maestosità della casa la stanza di Johan era piuttosto
semplice, simile in tutto e per tutto a quella di qualsiasi ragazzo della sua
età, con un letto, una scrivania, una finestra che dava sul cancello
d’ingresso, un armadio e una cassettiera.
«Prego.»
«Grazie».
Nadeshiko, come faceva sempre quando entrava per la prima volta nella
stanza di qualcuno, andò ad affacciarsi alla finestra per vederne il panorama,
non accorgendosi in questo modo che Johan, con una strana espressione in viso,
aveva chiuso la porta a chiave.
«Il tuo giardino è stupendo. E anche ben tenuto. Chi se ne occupa?»
«Io, quando posso.»
«Deve portarti via un sacco di tempo.»
«Mi ci dedico con passione».
D’un tratto, cogliendola del tutto impreparata, Johan la abbracciò alle
spalle, appoggiandosi a lei e mandandole il cuore a mille, poi, giratala verso
di sé, la guardò a lungo con quei suoi occhi irresistibili prima di donarle un
nuovo bacio.
Questa volta lei non fece alcun tentativo di resistere, lasciandosi
andare, almeno inizialmente; ben presto infatti una parte di lei per qualche
motivo sembrò avversare quella situazione, gridando con forza la propria
disapprovazione, tanto che alla fine la ragazza si staccò.
«No…» disse, seppur con poca convinzione «Aspetta…»
«Perché?» domandò Johan tirandola nuovamente a sé «Io ti amo, Nadeshiko.
Ti ho sempre amata.
È forse che tu non mi ami?»
«Non… non è questo… è solo che».
Il resto avvenne nel giro di un istante; come animata di vita propria la
tendina della finestra si chiuse all’istante, e Johan, afferrata Nadeshiko, la
distese delicatamente sul letto, mettendosi subito sopra di lei e togliendole i
vestiti fino a lasciarla in biancheria intima.
Nadeshiko subiva senza ribellarsi, mentre quella parte di lei che aveva
gridato pochi attimi prima continuava incessantemente a far sentire la sua
voce, intimandole di fare qualcosa, ma era tutto inutile; anche se ci avesse
provato non sarebbe comunque riuscita a fare alcunché, tanto quegli occhi la
stregavano, togliendole ogni capacità di raziocinio.
“Cosa… cosa sto facendo?” pensava mentre, ad occhi chiusi, aveva come
l’impressione di navigare in un mare di tenebre “Io… amo Johan. Quindi…
dovrebbero non esserci problemi… eppure… cos’è questa sensazione?”.
Quella sensazione, quel senso di pesantezza che sentiva all’altezza del
cuore, era provocata soprattutto dalle parole di Lainay, le sue parole sulla
necessità di trovare la persona con cui si è destinati a passare tutta la vita
per poter esprimere al meglio il proprio potere.
La persona che si ama.
La persona che amava.
Quella persona… era Johan.
Oppure…
D’improvviso fu come se gli intricati pezzi di un puzzle stessero
cominciando ad andare a posto, e la prima cosa che le venne in mente fu ciò da
cui tutto era partito, dalla prima volta che aveva cominciato ad avvertire
qualcosa di strano.
“La piazzetta. È lì che ha avuto inizio ogni cosa.
C’era una bancarella. Regalavano un viaggio. Un viaggio in Europa.
Abbiamo vinto, e siamo partiti. Io, Keita e Shinji. C’era anche Takeru.
Siamo andati a Venezia.
E lì… è successo qualcosa”.
Probabilmente Johan, che intanto si era tolto a sua volta la camicia e
la maglia intima, mettendo a nudo il suo torace esile ma aggraziato, si era
accorto che qualcosa non andava; il suo sguardo infatti era preoccupato, per
non dire spaventato.
Quello a cui avete assistito poco
fa era il primo atto di una sorta di gioco. Noi lo chiamiamo Grande Torneo,
altri invece gli hanno dato il nome di Millennium War
“Il grande torneo. La guerra che si tiene ogni duecento anni.
Sette guerrieri che combattono tra di loro per dimostrare il proprio
valore e sconfiggere un dio malvagio. Abbiamo… abbiamo scoperto di possedere
dei poteri magici.”
Il sangue è il canale
attraverso il quale scorre l’energia necessaria all’uso della magia. Il fatto
che una semplice emorragia basti a provocare in te il risveglio delle tue
capacità magiche è indice di due cose.
La prima è che la tua magia è molto radicata, la seconda che è
estremamente potente
“Izumi. Lei ci ha insegnato ad
usarli.
E poi… sono rimasta ferita. Siamo andati… dalla Strega delle Dimensioni.”
Un essere umano non può dirsi completo se non si lega anima e corpo a
colui che è stato destinato a rimanergli vicino. E se davvero tu sei uguale a
lei la persona a cui sei legata a doppio filo è qualcuno che, pur essendo
all’esterno del tutto diverso da te, custodisce nell’animo i tuoi stessi
pensieri
“Abbiamo conosciuto… qualcuno.
Era… un ragazzo.
Come si chiamava?”
Voi due siete come il giorno è la notte. È risaputo che spesso gli
opposti si attraggono, e nel vostro caso mai affermazione fu più esatta. La
verità è che nessuno di voi due può fare a meno dell’altro
Ora era chiaro. Era tutto chiaro!
Come aveva potuto essere così cieca? Come aveva fatto a dimenticare?
Erano successe tante di quelle cose! Aveva vissuto la più grande delle
avventure, aveva incontrato l’amore della sua vita, e la persona a cui aveva
giurato di dare tutto sé stessa non era certo quello che ora le stava davanti.
«È falso.» sussurrò, guadagnandosi un’espressione terrorizzata da parte
di Johan «Questo non è reale!».
Riavutasi del tutto da quella che ora sapeva essere solamente
un’illusione cercò di liberarsi, allontanando il ragazzo da sé.
«Io non amo te! La persona che io amo… la persona a cui voglio bene…»
D’accordo. Se può farti piacere, verrò in Giappone con te
«Toshio!».
Nel sentire quel nome Johan, da spaventato, si fece adirato, e strinse
ancor più forte le mani attorno agli avambracci di Nadeshiko.
«Johan! Lasciami! Mi fai male!»
«Incredibile. Sei riuscita ad eludere l’incantesimo di Hypnos. Sei
davvero una ragazza fuori dal comune».
A quelle parole Nadeshiko sgranò gli occhi, minacciando di svenire.
«Johan… che stai dicendo!?» disse, per poi ritrovarsi immobilizzata da
una forza misteriosa.
Chiuse gli occhi, nel vano tentativo di liberarsi, e quando li riaprì
Johan era in piedi davanti al letto, e il suo nuovo sguardo non lasciava dubbi
sulla sua vera identità.
«Tu… sei Seth!?».
Lui, a quella domanda, si fece terribilmente serio, quasi minaccioso.
«Non capisci, Nadeshiko? Tu e io siamo incarnazioni divine. Nel nostro
corpo risiedono le due entità che sono state all’origine della più grande delle
guerre.
Noi ora abbiamo la possibilità di riunire queste entità sotto un’unica
bandiera. Insieme, potremmo guidare questo mondo a un nuovo inizio.
Gli umani sono destinati all’autodistruzione. Noi possiamo salvarli. Ma
perché siano salvati, devono essere governati da entità superiori, che
impongano loro la pace e la giustizia.
E quelle persone… siamo noi».
In quella, l’espressione di Johan si fece attonita, terrorizzata, e
subito dopo una patina di luce rosa lo avvolse, come immobilizzandolo;
contemporaneamente, gli anelli che imprigionavano Nadeshiko si dissolsero,
lasciandola libera.
«Ma cosa…» ringhiò il nemico
«Mai sentito discorso più stupido!»
«Toshio!» esclamò Nadeshiko vedendo il ragazzo che davvero amava
appoggiato alla parete e con in mano il suo pendente che brillava di viva luce;
subito, alzatasi, gli corse tra le braccia, avvertendone il calore.
«Stai bene?»
«Sono così felice di rivederti.»
«La pace e la giustizia non sono qualcosa che si possa imporre.» disse
poi rivolto nuovamente a Seth «Devono essere volute, e devono essere gli uomini
a cercarle.
E quelli come te, che mascherano dietro a finti ideali il loro puro e
semplice desiderio di onnipotenza, sono in assoluto l’ostacolo più grande al
raggiungimento di tali obiettivi.
Per questo noi, i figli delle sette grandi tribù, continueremo a
combatterti da qui alla fine dei tempi, e fino a che uno solo di noi sarà in
piedi la tua ambizione non sarà mai lasciata libera di agire».
Toshio poi si volse verso Nadeshiko, guardandola come fosse stata la
cosa più preziosa che aveva.
«Perdonami se ho tardato.»
«Non fa niente.» rispose lei sorridendo e poggiando la testa sulla sua
spalla «L’importante è che tu ora sia qui.»
«Isis!» tuonò Johan con voce cupa e profonda, che metteva i brividi solo
a sentirla «Perché non capisci? È il nostro destino! L’umanità commetterà i
nostri stessi errori! Solo comandandoli e indirizzandoli nella giusta via
possiamo evitare che ciò accada!»
«Io non sono Isis. Lei non è che una parte di me. E comunque, ormai la
conosco abbastanza bene da sapere che non accetterebbe mai di seguire la tua
idea.
Lei ha fiducia in noi esseri umani, e fino a che ci saranno persone dal
cuore nobile non smetterà di averne».
La ragazza si girò quindi verso Toshio.
«Torniamo indietro.»
«Questo è il tuo sogno, Nadeshiko. È in tuo potere decidere quando farlo
finire.»
«E allora… che finisca.» disse lei, e immediatamente l’intera stanza si
sgretolò, assieme a tutto il resto.
Negli ultimi minuti Hypnos,
perennemente in piedi accanto all’altare, aveva cominciato a comportarsi in
modo strano, facendosi visibilmente preoccupato, e prima che potesse fare
qualsiasi cosa il corpo di Nadeshiko fu improvvisamente circondato da una luce
fortissima, tanto che dovette chiudere gli occhi.
La luce
divenne sempre più grande, e quando, dopo poco, cominciò a diradarsi, Nadeshiko
era scomparsa dall’altare, per ricomparire poco distante fra le braccia di
Toshio.
Accanto a Hypnos, poi, vi erano Johan e Lainay, il primo evidentemente
furioso, la seconda indicibilmente sorpresa.
“Allora…” pensò vedendo Toshio che faceva scendere dolcemente Nadeshiko
e le restituiva il suo pendente “Sono questi i poteri di un cuore innamorato?”.
Forse a causa della perdita di concentrazione da parte di Hypnos anche
la barriera che imprigionava i ragazzi cedette, dissolvendosi, e anche loro
come Nadeshiko rimasero comprensibilmente sorpresi nel vedere Johan lì con
loro, guardato a vista e protetto dal dio del sonno, che gli faceva da scudo
frapponendosi fra loro e lui.
«Che significa questa storia?» disse Keita «Johan, che ci fai tu qui?»
«Quello è Seth!» rispose Nadeshiko, lasciando tutti con la bocca
spalancata
«Che cosa!?» esclamò Shinji «Mi stai dicendo che il nostro amico Johan…»
«Esatto. È la reincarnazione di Seth.»
«Isis. Questa è la mia ultima offerta. Unisciti a me, e costruiamo
insieme un mondo migliore.»
«La mia risposta l’hai già avuta.» rispose decisa Nadeshiko rimanendo
tra le braccia di Toshio «E così pure quella di Isis. Finché minaccerai questo
mondo con il tuo egoismo, io e lei faremo di tutto per fermarti.»
«In tal caso, questa conversazione non ha motivo di continuare».
A quel punto Johan e Lainay scomparvero dentro ad un portale oscuro ben
protetti da Hypnos, che impedì ai ragazzi di intervenire per fermare il dio
sfoggiando dieci affilatissimi artigli d’acciaio, cinque per ogni mano, lunghi
una ventina di centimetri ognuno e assicurati all’estremità di ogni dito per
mezzo di un anello.
«Morirai, come tutti coloro che mi ostacolano.» disse Seth prima di
scomparire inghiottito dal portale «Hypnos, li affido a te. È giunto il momento
di vendicare la morte di Thanatos.»
«Contate pure su di me, mio signore. Non tradirò la vostra fiducia».
Hypnos si scagliò all’attacco appena Seth e Lainay se ne furono andati,
e subito venne alla luce il suo grande talento; come la sorella, era in grado
di muoversi ad una velocità considerevole, e come se non bastasse i ragazzi non
si sentivano esattamente al top delle loro energie.
I loro movimenti erano lenti, e sentivano uno strano senso di stanchezza
che ne pregiudicava il rendimento, tanto che pur essendo cinque contro uno si
ritrovarono ben presto a doversi difendere.
«Ragazzi, temo ci sia qualcosa che non va’.» disse Shinji dopo aver preso
un colpo ad un fianco che, fortunatamente, gli aveva procurato solo delle
lacerazioni sulla camicia «Mi sento terribilmente debole, e non riesco a usare
la magia come vorrei.»
«Anch’io sento la stessa cosa.» disse Keita parando un attacco con la
propria spada «Che cosa ci sta succedendo?»
«Siete dei poveri illusi.» rispose Hypnos «L’alone che avete respirato
quando siete stati catturati non aveva il solo effetto di farvi addormentare.
Era parte del mio potere magico, e penetrando nei vostri corpi ha intaccato il
sistema nervoso e i muscoli, indebolendovi sia fisicamente che spiritualmente.»
«Che bastardo…» disse Toshio, che pur non avendo respirato quella
polvere luminescente si sentiva comunque incredibilmente stanco
«Per quel che riguarda te, spadaccino, entrare con la forza in un mondo
dei sogni, servendosi oltretutto di un potere non proprio, deve essere stato
uno sforzo non indifferente anche per uno con il tuo talento.
È più che naturale che tu ora ti senta esausto. Il tutto a mio vantaggio».
Il nemico sferrò allora un nuovo attacco, stendendo uno dopo l’altro i
quattro ragazzi; solo Shinji, grazie alla sua velocità, riuscì a schivare il
primo assalto, ma venne a sua volta messo fuori combattimento dopo pochi
secondi di lotta, e sembrava proprio che Hypnos, effettuato un lungo balzo
all’indietro, fosse intenzionato a iniziare con lui ad infliggere i colpi di
grazia.
«E adesso, vendicherò la morte di mia sorella.»
«Fermo!» gridò Nadeshiko mettendosi in mezzo «Ora basta!»
«Nadeshiko, no!» disse Toshio nel tentativo, quasi del tutto vano, di
rimettersi in piedi
«Te l’ho già detto prima, spargere altro sangue non servirà a ridarti
Thanatos!»
«Nadeshiko…» disse Keita
«Vorrei poterti dire che mi dispiace per ciò che abbiamo fatto, ma so
che nessuna parola potrebbe essere abbastanza sincera da spingerti ad accettare
le nostre scuse.
Noi combattiamo per obiettivi differenti, ma il fatto che tu sia così
determinato ad onorare la memoria di tua sorella dimostra che dopotutto non sei
una persona malvagia.
Tuttavia, se davvero vuoi fare qualcosa per lei, non rendere vana la sua
morte. Tutti voi non siete altro che semplici pedine per Seth. Il fatto che ti
abbia lasciato qui a combattere senza darti il minimo aiuto lo dimostra.»
«Non parlare in questo modo del mio signore.» rispose Hypnos andando
leggermente su di giri «E poi è naturale che un generale lasci indietro i suoi
soldati affinché combattano per garantirgli la salvezza. Se morisse lui, che ne
sarebbe del suo esercito?»
«Un generale non abbandona i suoi sottoposti al loro destino.
Non riesci a capirlo? Per millenni ha mascherato i suoi veri propositi
dietro a nobili ideali, gli stessi sui quali ha fatto leva per portarvi dalla
sua parte.
Lui vuole solo il potere, niente altro. Della sorte di questo mondo e
degli esseri umani non gli importa nulla, e in nome del potere non ha esitato a
mandare alla morte molti dei tuoi compagni.
Tua sorella è stata solo un’altra delle sue vittime! Se cerchi il vero
responsabile della sua morte, è lui che devi guardare!».
Le parole di Nadeshiko erano sincere, si capiva dalle lacrime che
sgorgavano dai suoi occhi, e di fronte a tanta determinazione persino Hypnos,
il più fedele dei fedeli, esitò, senza sapere cosa fare.
D’altra parte però, la persona che le stava di fronte era pur sempre la
depositaria di Isis, che era stata l’avversaria numero uno del suo signore, e
che avrebbe avuto tutto da guadagnare infangandone la memoria; era questo che
Hypnos credeva, ciò a cui si aggrappava con forza per avere un caposaldo nel
quale rifugiarsi, nel quale trovare una giustificazione per tutto ciò che era
successo, e per questo agì in quel modo, attuando una scelta di cui ben presto
avrebbe avuto modo di pentirsi.
Sollevato l’indice della mano destra, lo puntò in direzione della
ragazza.
DEEP DREAM!
Dal dito partì un fascio di luce
piccolo e sottile come una punta di spillo, che centrando Nadeshiko in piena
fronte non le provocò la benché minima ferita; ciò nonostante la ragazza venne
violentemente scagliata all’indietro, cadendo fra l’erba del prato
completamente inerme, come una bambola di pezza.
«Nadeshiko!» urlò Toshio correndo verso di lei assieme a tutti i suoi
compagni
«Ti avevo detto di non infangare il nome del mio signore. Questo ti servirà
da lezione».
Keita la prese tra le braccia e fu il primo ad accorgersi che,
fortunatamente, non sembrava né morta né priva di sensi; stava semplicemente
dormendo, a giudicare dal respiro regolare, ma per quanto tentassero di svegliarla
era tutto inutile.
«Che cosa le hai fatto?» domandò furente Takeru
«Ho annichilito la sua mente, imprigionandola in un sonno eterno. Un
sonno privo di sogni, dal quale non si risveglierà mai più, e da cui nessuno,
neppure io, sarebbe in grado di destarla.»
«Che cosa!?» esclamò Keita
«Questa è la punizione per chi macchia il buon nome del nobile Seth».
Toshio, che era in piedi qualche passo indietro ai suoi compagni, si
sentì male come mai nella sua vita; il respiro gli rimase mozzato e il corpo
immobile, scosso solo di tanto in tanto da leggeri e impercettibili tremori.
Che cosa aveva fatto?
Aveva appena promesso a sé stesso di proteggerla da tutto, e ora aveva
permesso ad una cosa tanto stupida come la stanchezza di infrangere sul nascere
quella promessa. Si era assunto un impegno, e come un perfetto idiota aveva
tradito le speranze che lei forse aveva riposto in lui alla prima occasione.
Perché? Perché tanta crudeltà?
Lei aveva parlato con il cuore, senza usare parole di guerra, cercando
in ogni modo di evitare un nuovo, inutile spargimento di sangue, e a risposta
di un comportamento tanto nobile guarda cosa le avevano fatto.
Come potevano definirsi divinità degli esseri tanto abbietti e meschini?
Esseri che mettono a tacere una ragazza innocente per evitare di dover fare i
conti con la propria coscienza?
Esseri così, corrotti dal male, non meritavano di vivere! Non meritavano
nulla! Neppure la pietà!
Loro non ne avevano dimostrata, perciò che diritto avevano di chiederla
per sé?
Ma, più di ogni altra cosa, con che diritto si arrogavano il privilegio
di giocare con la vita altrui?
Nadeshiko era una ragazza dal cuore d’oro, dall’animo nobile più di
quello di chiunque altro, anche di qualunque presunto dio, e a causa loro non
avrebbe più potuto illuminare il mondo coi suoi bellissimi occhi.
Toshio sentì montare dentro di sé una rabbia senza fine, una rabbia che
stava rapidamente e inesorabilmente prendendo il controllo su di lui,
togliendogli qualsiasi capacità di raziocinio e lasciandogli in testa solo un
proposito: vendetta.
Una vendetta ceca, che non guardasse in faccia a niente, neppure alle
emozioni, una vendetta senza pietà.
Hypnos aveva preso la vita di Nadeshiko, e lui gli avrebbe strappato la
sua, e non sarebbe stata una cosa indolore; assolutamente.
Il suo respiro divenne affannoso, come se stesse correndo, e con il
passare dei secondi si faceva sempre più simile al ruggito sommesso di una
belva infuriata.
I suoi compagni se ne avvidero, e volgendosi verso di lui ne rimasero
terrorizzati.
All’improvviso il ragazzo lanciò un urlo assordante, una vera e propria
esplosione di furia, e il suo corpo sprigionò una corrente magica color rosso
sangue così forte da staccare i rami degli alberi e sollevare grandi onde sul
lago al centro del giardino.
Il circolo magico rosso sangue comparve sotto i suoi piedi, e una fiamma
luminosa dello stesso colore lo avvolse interamente, mentre le fiamme rosse gli
si imprimevano sul viso e i denti si facevano spaventosi, simili a zanne.
«Ma cosa…» disse Shinji mettendosi istintivamente le mani sul viso «Che
gli sta succedendo?»
«Il Μένος Aδηλος.»
disse Keita con espressione sconvolta e spaventata «Si sta risvegliando. O
meglio… sta esplodendo».
Anche Hypnos, nell’assistere ad una così violenta esternazione di
collera, si spaventò in modo indicibile, soprattutto se pensava che molto
presto tutta quella furia si sarebbe riversata su di lui.
Quando Toshio risollevò lo sguardo, dopo che nei momenti finali della
trasformazione si era raggomitolato in sé stesso, i suoi occhi scintillavano di
rosso, e la sua espressione si sarebbe detta quella di un demonio piuttosto che
di un uomo.
Ciò nonostante, il nemico cercò di ostentare la propria sicurezza, e
quando il guerriero sollevò lo sguardo nella sua direzione, mostrandosi
chiaramente intenzionato a combattere, dimostrò di voler accettare la sfida.
«Molto bene. Tu sarai il prossimo».
Invece, appena ebbe inizio il combattimento, Hypnos si accorse
immediatamente di quanto il suo nemico fosse cambiato non solo nel corpo, ma
anche nel potenziale.
Appena cercò di muovere un attacco, sfruttando come al solito la sua
velocità, quando colpì convinto di trafiggerlo l’unica cosa che riuscì a
colpire fu l’aria, perché lui era già alle sue spalle, e con una ginocchiata
tale da rompere la spina dorsale a chiunque non fosse dotato di grandi poteri magici
lo aveva scaraventato in avanti; Hypnos riuscì a rimanere in piedi girando su
sé stesso e usando gli artigli della mano destra per ancorarsi a terra, ma
anche il secondo attacco fu respinto allo stesso modo, e ben presto divenne
chiaro di quanto la strategia di contrattacco di Toshio fosse mirata ad
infliggere il massimo del dolore possibile.
I suoi colpi erano potenti, ma indirizzati a zone del corpo non vitali,
al fine di ritardare la morte quanto più possibile e amplificare al massimo il
dolore.
Keita e gli altri erano spaventati e atterriti da ciò che stavano
vedendo, ma essendosi il Μένος
Aδηλος ridestato in tutto il suo potere sapevano che
in quelle condizioni Toshio avrebbe fatto strage di chiunque avesse cercato di
frapporsi fra lui e il suo obiettivo, indipendentemente da chi si fosse
trattato.
Dopo poco più di cinque minuti Hypnos era ridotto ad uno stato pietoso:
non era riuscito ad infliggere neppure un colpo a Toshio, che al contrario lo
aveva riempito di ferite ed escoriazioni, e ormai era così malridotto da non
riuscire quasi a stare in piedi.
Tuttavia la collera che gli veniva dal vedersi sconfitto e umiliato da
un essere umano gli dava la forza per continuare a combattere, anche se,
vedendo quell’espressione adirata e carica di odio stampata sul volto del suo
nemico, probabilmente dentro di sé già sapeva che non ci sarebbero state
speranze.
«Non… non lo accetterò! Non perderò… contro un umano!».
Quell’attacco, purtroppo, fu anche l’ultimo.
Toshio evitò senza problemi cinque diversi fendenti d’artigli sia
spostandosi sia deviandone la traiettoria, poi, apertosi un varco, ringhiando
di collera piantò la spada nel petto del nemico con una forza tale che anche
l’elsa e il pugno passarono il corpo da parte a parte, sbucando all’esterno
dietro la schiena e generando una vera esplosione di sangue.
Hypnos sgranò gli occhi e spalancò la bocca nell’inutile tentativo di
gridare; i suoi lineamenti prima aggraziati vennero sfigurati dal dolore.
«Mo… mostro…» mugugnò sputando sangue «Tu… sei… un mostro…».
A quel punto il suo corpo seguì lo stesso destino di quello di sua
sorella Thanatos, mutandosi in cenere, e di lui non rimasero altro che gli
artigli d’acciaio.
Con la morte del suo nemico Toshio cominciò a riguadagnare rapidamente
il controllo di sé, ma quando finalmente i segni del Μένος
Aδηλος scomparvero del tutto, restituendogli il suo
aspetto originario, il pensiero di ciò che aveva appena fatto lo atterrì.
Mostro.
Hypnos aveva colto nel segno, perché era questo che era.
Perché,
perché si era comportato così? Come aveva potuto permettere alla rabbia di
prendere il controllo?
Odiava e temeva sé stesso.
Già altre volte si era infuriato, già altre volte era stato ad un passo
dal perdere il controllo, ma non era mai accaduto niente del genere.
Quando aveva capito cosa stava per succedergli, nell’ultimo istante in
cui la ragione aveva guidato le sue azioni, aveva cercato con tutte le sue
forze di mantenere il controllo, ma alla fine il Μένος
Aδηλος era stato più forte e lo aveva soggiogato,
asservito alla sua volontà.
Come avrebbe potuto vivere accanto ai suoi amici sapendo che da un
momento all’altro questa cosa avrebbe potuto ripetersi?
Chiunque sarebbe stato in pericolo con lui vicino, e ora ne aveva la
certezza.
Il Μένος Aδηλος era
come un cane furioso tenuto al guinzaglio, e bastava allentare un po’ la presa
perché riuscisse a liberarsi, scatenando tutta la sua furia su tutto ciò che
gli capitava a tiro.
Anche adesso, mentre il dolore per ciò che era accaduto a Nadeshiko
ancora persisteva dentro di lui, sentiva che quel demonio interiore era ancora
lì, in agguato, e avrebbe potuto riprendere il controllo se solo glielo avesse
permesso.
Fortunatamente, l’incantesimo di Hypnos era dettato unicamente dal
legame con potere magico del suo creatore, e con la morte di quest’ultimo gli
effetti svanirono nell’arco di brevissimo tempo.
Nadeshiko riaprì gli occhi mentre tutti erano ancora girati verso
Toshio, ma ad un suo gemito Keita e gli altri guardarono nuovamente nella sua
direzione.
«Nadeshiko! Grazie al cielo stai bene.»
«Keita. Ma che… che è successo?»
«Non ti preoccupare. Ora è tutto finito».
Fino a poco tempo prima Toshio sarebbe stato felicissimo di sapersi
guardato da Nadeshiko, ora invece sentiva che il suo essere mostruoso non era
degno di incontrare quei suoi occhi così gentili e luminosi e che, a giudicare
dalla loro espressione, avevano già intuito la presenza di qualcosa di strano
nel corpo del guerriero.
«Toshio…»
«No…» disse con espressione sconvolta, camminando all’indietro «Non mi
guardare…».
La frustrazione e la vergogna verso sé stesso alla fine esplosero, ma
questa volta se non altro fu lui a liberare volontariamente una parte del suo
potere, permettendo a quelle ali nere di grande bellezza di comparire
nuovamente dietro la sua schiena.
«State lontani da me!» gridò spiccando il volo.
Nadeshiko lo chiamò, gli disse di tornare indietro, ma lui, veloce come
non mai, scomparve in brevissimo tempo inghiottito dalla notte, e alla a quel punto
non rimase che piangere mentre il cuore le andava in pezzi.
Nota dell’Autore
Salve a tutti!
Non c’è niente di
meglio di un secondo 27 per dare la carica necessaria a comporre a tempo di
record un nuovo capitolo.
Ormai, come è facile
intuire, siamo quasi alle battute conclusive, ed è una questione di tempo prima
che tutti i nodi vengano al pettine.
Ancora due o tre
capitoli e avrà inizio l’incipit degli eventi che culmineranno con la battaglia
finale.
Toshio continuò a volare
incessantemente per ore e ore, cambiando continuamente direzione senza alcuna
meta precisa.
Non gli importava dove andasse, voleva solo mettere quanta più distanza
possibile tra sé e i suoi amici.
Restare con loro sapendo che in qualsiasi momento avrebbe potuto
attentare alla loro vita era un terrore troppo grande da sopportare.
Se avesse fatto loro qualcosa, se avesse anche solo tentato di
aggredirli, e di aggredire Nadeshiko, neppure il suicidio sarebbe stato per lui
un castigo sufficiente ad espiare.
La sua testa era piena di pensieri, visioni angoscianti, e il ricordo di
ciò che aveva fatto lo tormentava incessantemente, martellandogli la testa come
un fabbro farebbe con la sua incudine, e la sua coscienza tuonava parole di
rimprovero, etichettandolo con lo stesso termine usato da Hypnos: mostro.
Quando, dopo lungo tempo, decise di provare a scendere di quota per cercare
di capire dove fosse finito, si accorse di stare sorvolando Venezia.
Forse, pensò, l’istinto lo aveva condotto in uno dei pochi luoghi nei
quali sapeva di poter trovare conforto e protezione, e visto anche che tutte
quelle ore spese a girare da una parte all’altra sui cieli di mezza Europa lo
avevano del tutto sfiancato puntò verso la città, atterrando proprio davanti
alla porta d’ingresso della canonica di Padre Andersen.
Le luci erano tutte spente, ma essendo quasi le quattro del mattino era
più che naturale, visto e considerato che in città non vi erano più
partecipanti al torneo.
Avvicinatosi suonò il campanello, ma dopo trenta secondi nessuno era
venuto ad aprirgli, e neppure era stata accesa alcuna luce; provò ancora, altre
due o tre volte, ma il risultato fu sempre lo stesso, e la cosa a quel punto
cominciò a sembrargli strana: Andersen, che aveva vissuto per un certo periodo
nella città di Nepthys poco prima dell’inizio del torneo, aveva fama di avere
il sonno molto mite, e bastava un niente per svegliarlo.
Evidentemente in casa non c’era, ma se fosse stato davvero così dove
poteva essere?
Toshio decise di provare a cercarlo in chiesa, ed uscito dal giardinetto
raggiunse il grande portone ligneo che dava direttamente sulla calle, trovandolo,
come previsto, aperto: anche se a Venezia non c’erano più scontri capitava,
come nel caso in questione, che qualche partecipante avesse urgenza di
incontrare uno dei giudici, e visto che quasi sempre si trattava di agenti dei
vari villaggi che operavano sotto copertura i luoghi che essi presiedevano, in
questo caso un centro di culto, erano sempre a disposizione.
All’interno, la chiesa era buia e deserta.
Di dimensioni ridotte, e risalente al quattordicesimo secolo, ospitava
due file di panche e un altare di modesto prestigio, e da secoli era la sede
ufficiale dei giudici stanziati a Venezia; l’assegnazione dei giudici era la
stessa dai tempi dell’istituzione del torneo, e le varie sedi erano state a suo
tempo ripartite fra le sette tribù al fine di creare una rete il quanto più
possibile variegata, per evitare favoritismi, e nel caso specifico il giudice
assegnato alla città di Venezia, così come all’intera Italia Settentrionale,
era stato un membro del Clan di Nepthys.
Del religioso, però, non vi era traccia, e regnava il più assoluto
silenzio.
Toshio stava quasi per tornare indietro, senza per la verità avere la
minima idea di dove andare o cosa fare, quando, subito prima di uscire, notò
con la coda dell’occhio che la porticina dietro l’altare che immetteva in
sagrestia e quindi in canonica era socchiusa.
Forse Padre Andersen era da poco passato di lì, ma comunque valeva la
pena di dare un’occhiata, quindi il ragazzo raggiunse rapidamente la porta e,
chiusasela alle spalle, entrò nell’abitazione.
Anche la canonica, come la chiesa, era buia e silenziosa, e poiché la
stanza da notte era proprio accanto all’ingresso secondario Toshio si avvide
subito che il letto non solo era vuoto, ma era anche completamente fatto, segno
che Padre Andersen non era neppure andato a dormire quella sera.
«Ma dove può essere?».
Nel camminare per il salotto in cerca di qualche indizio che potesse
aiutarlo a capire dove fosse andato a finire Andersen, il ragazzo incespicò
accidentalmente su una piastrella malmessa del pavimento, e per evitare di
cadere si aggrappò istintivamente ad una lampada a muro appesa accanto all’arco
che immetteva in cucina.
L’asta d’ottone si abbassò di alcuni centimetri, e un leggero rumore di
carrucola preannunciò la comparsa, proprio al centro del salotto, di una botola
quadrangolare nascosta sotto il tappeto e larga pressappoco un metro, oltre la
quale si stagliava una stretta e ripida scalinata che scendeva nelle viscere
della terra.
«E questo cosa…» mugugnò Toshio cercando di scorgere qualcosa nel buio
di quell’anfratto.
La curiosità di scoprire cosa ci fosse di così prezioso lì sotto da
nasconderlo in quel modo superò la consapevolezza che, di qualunque cosa si
trattasse, il suo contegno di principe avrebbe dovuto trattenerlo, quindi
Toshio, poggiato il primo piede, cominciò a scendere lentamente la scala,
facendo bene attenzione a non inciampare su quei gradini così stretti e
scivolosi.
Il buio era totale, anche dopo che la botola si fu richiusa,
probabilmente a causa di un qualche specifico dispositivo, ma andando a tentoni
Toshio non faticò a proseguire nella sua discesa, anche perché la scala
scendeva dritta senza biforcazioni o intermezzi pianeggianti.
Ad un certo punto, dopo trenta secondi buoni di camminata nell’oscurità,
sul fondo cominciò ad intravvedersi una luce, e appena il giovane guerriero
raggiunse finalmente il fondo della scalinata il suo stupore fu grande.
La stanza in cui era arrivato era di forma perfettamente quadrangolare
di circa sei o sette metri per lato, completamente spoglia. Il solo elemento di
arredo erano una colonna posta esattamente al centro su cui era poggiato uno
stranissimo oggetto: sembrava un tubo, un tubo di vetro, alto una quindicina di
centimetri, con due estremità in oro tempestate di pietre preziose.
La colonna fungeva anche da fulcro per un enorme circolo magico le cui
linee erano state ricavate intagliando direttamente il freddo pavimento di
pietra, e brillava di una luce azzurrina; a giudicare dalle iscrizioni che
riempivano i muri, soprattutto in arabo e in latino, si intuiva che quella
stanza esisteva da almeno sei secoli.
Toshio era confuso, e non sapeva cosa pensare: il circolo magico inciso
sul pavimento, a prima vista, gli giungeva del tutto nuovo, ma subito dopo
avergli poggiato sopra un piede avvertì una sensazione stranissima, come un
capogiro, accompagnato da un senso di familiarità.
Quella sensazione divenne sempre più forte man mano che si avvicinava al
centro, e quando fu a tu per tu con il tubo di vetro al semplice fastidio si
sostituì un dolore indicibile.
«Ma cosa…» mugugnò tenendosi la testa con entrambe le mani «… che mi sta
succedendo!?».
Il dolore divenne in poco tempo insopportabile, a cui si aggiunse dopo
poco un fischio tale che Toshio temeva per i propri timpani, oltre che per la
propria sanità mentale; era come se qualcosa nella sua testa si fosse
improvvisamente ridestato, e più il dolore si faceva forte più gli sembrava di
impazzire, mentre valanghe di cose, ricordi forse, ma anche sensazioni ed emozioni,
andavano montando dentro di lui.
Quel tubo sembrava essere la fonte di tutto; lottando col dolore Toshio
provò a toccarlo, ma il suo dito andò a scontrarsi con una barriera invisibile
che lo proteggeva; in altri tempi avrebbe avuto ragione di uno scudo tanto
leggero senza alcuna difficoltà, ma ormai il dolore gli impediva persino di
pensare razionalmente.
All’improvviso, la luce del circolo magico su cui stava poggiando i
piedi si trasformò in un bagliore accecante, e subito dopo una serie di immagini
cominciarono a scorrere davanti agli occhi del guerriero sgorgando direttamente
dalla sua mente.
Nepthys
251 a.C
Palazzo Reale
Il giorno fatidico era dunque
arrivato.
Affacciato dal balcone delle sue stanze private, il giovane Touya,
principe di Nepthys e futuro erede al trono, osservava, non senza una certa
invidia, la vita che si svolgeva appena fuori dai confini del palazzo reale.
La piazza del mercato era affollata di persone, e i mercanti giunti da
ogni angolo del continente esponevano con fierezza i propri prodotti,
richiamando attorno a sé nugoli di persone. C’erano gli egizi, carichi di
grano, i nubiani, con il loro argento, gli arabi, con le pietre preziose e gli
stupendi cavalli bianchi, e gli abitanti delle foreste vergini del sud, pieni
di frutta e con tanti di quei diamanti da poter comprare un intero regno.
Nepthys, la perla del deserto, aveva da sempre fondato la propria
ricchezza sul suo ruolo di centro di scambi, e chiunque viaggiasse dal sud al
nord passava obbligatoriamente da lì, contribuendo ad aumentarne la grandezza.
Più in là, la città bassa, coi suoi vicoli stretti e ondulati privi di
schema in cui correvano e giocavano eserciti di ragazzini e dove si poteva
assistere alla vita quotidiana della gente comune.
Le mura, guardate a vista da decine di uomini armati, pronti a
respingere qualsiasi tentativo d’assalto da parte delle numerose bande di
nomadi predoni che affollavano il deserto, e subito oltre i campi coltivati,
resi fertili dall’abbondanza di acqua di cui la città, che sorgeva al centro di
una enorme oasi, non aveva certamente penuria.
Suo padre il re ripeteva spesso a Touya che un giorno tutto quello che
vedeva ogni giorno oltre il suo balcone un giorno sarebbe stato suo, e che
quando ciò fosse accaduto avrebbe dovuto dimostrare a tutti di poter essere un
grande sovrano, degno di colui che lo aveva preceduto.
Per il principe, però, la prospettiva di dover sedere su di un trono da
cui governare una città persa nel deserto, per quanto ricca e sfarzosa, era
tutto fuorché allettante: lui era nato per essere un guerriero, e più di ogni
altra cosa desiderava conoscere il mondo. Proprio per questo aveva accolto con
gioia la notizia che il compito di rappresentare Nepthys al prossimo grande
torneo sarebbe stato suo, perché questo gli avrebbe finalmente dato la
possibilità di viaggiare al di là del mare a nord, verso quel continente
lontano che da secoli si avviava a diventare il centro del mondo, e in cui
negli ultimi anni avevano cominciato a sorgere fulgidi esempi della civiltà del
domani.
Purtroppo, come prescriveva la legge, prima di andare a rischiare la
propria vita in una competizione dalla quale avrebbe anche potuto non tornare
il principe doveva per forza prendere moglie e mettere al mondo un erede che
potesse prendere il suo posto, garantendo la continuità di una stirpe che
discendeva direttamente dai grandi faraoni d’Egitto, i figli del sole.
Per uno strano scherzo del destino, poi, quella che il principe
considerava come la più grande delle seccature si era rivelata anche
un’irripetibile occasione per mettere fine ad una rivalità storica con il
potente città di Xi-Siang, che aveva la sua dimora in un punto remoto dello
sterminato continente orientale.
Xi-Siang era probabilmente il villaggio più evoluto fra quelli che
prendevano parte al torneo, sia culturalmente che militarmente, tanto che nel
tempo aveva intrattenuto rapporti con altri due villaggi situati poco distante,
appartenenti rispettivamente al clan Borjigin e al clan Yoshida, creando una
solida amicizia fondata su scambi culturali e matrimoni combinati.
Tra Xi-Siang e la tribù di Nepthys non vi era mai stato buon sangue, poiché
i sovrani di Nepthys avevano spesso avversato quella che ritenevano una manovra
volta a conquistare una posizione di supremazia sulle altre città, fra le quali
per regolamento imposto dalla divina Isis in persona doveva vigere sempre e
comunque uno stato di uguaglianza, e non vi era niente di meglio di un nuovo
matrimonio reale per tacitare decenni di tensione e siglare una pacifica
alleanza.
La prescelta era la figlia terzogenita dell’imperatore Wu-Lao e della
regina Yuriko, quest’ultima proveniente dal Clan Yoshida, e malgrado nessuno
all’infuori della sua città non l’avesse mai vista si sentivano grandi storie
sulla sua inarrivabile bellezza.
Malgrado ciò tuttavia il principe Touya non poteva fare a meno di
considerare la cosa come una vera e propria seccatura, e malgrado gli fosse
stato detto più e più volte che nessuno lo avrebbe mai costretto a sposare una
donna di cui magari, alla fine, non si sarebbe innamorato sapeva che quasi
tutti in città si auguravano che la cosa andasse a buon fine, soprattutto ora
che il nuovo torneo era alle porte.
Proprio come il principe aveva previsto, quella mattina, poco prima dell’ora
prevista per l’arrivo della principessa, che sarebbe stata accompagnata
dall’imperatore in persona, il re suo padre si presentò nei suoi alloggi.
Era un uomo prestante, di bell’aspetto, con lunghi capelli neri raccolti
in una coda che ricadeva sulla spalla destra e un volto sempre sorridente, che
tuttavia trasmetteva un senso di austerità e di soggezione che suscitava un
enorme rispetto.
A differenza dei re suoi predecessori, che prediligevano il bianco, lui
aveva scelto il nero come colore per la maggior parte dei propri abiti; anche
la sua veste regale, una tunica larga a maniche grosse che celava completamente
la sua figura, era nera.
Touya non si girò quando lo sentì alle proprie spalle, ma non certo per
una mancanza di rispetto nei suoi confronti; non voleva ammetterlo, ma
guardarlo gli trasmetteva un senso di paura, e malgrado il re tenesse il più
delle volte gli occhi chiusi si sentiva sempre il suo sguardo addosso, una cosa
che decisamente non gli piaceva.
«Figliolo.» disse con tono pacato, degno di un genitore modello «Credo
di capire come tu debba sentirti in questo momento.
Ti è stata messa sulle spalle una grande responsabilità, e ti prego di
credermi se ti dico che non avrei voluto che tutto ciò accadesse.»
«Non hai motivo di giustificarti, padre. So bene come vanno queste
cose.»
«Sei mio figlio, e non voglio che il bene per te. Ma ti chiedo, con
tutto il cuore, di tenere a mente la delicatezza della situazione.
Il villaggio di Xi-Siang è molto potente, e la famiglia Li gode di
notevole prestigio presso l’imperatore cinese. Per duecento anni abbiamo
permesso al germe del sospetto di albergare fra le nostre genti, ma non possono
esserci dissensi tra di noi con l’approssimarsi del nuovo torneo.
Concedere la mano della propria figlia è un atto di grande fiducia da
parte dell’imperatore Wu-Lao.»
«Ne sono consapevole.»
«Non ti sto imponendo di accettare il matrimonio. Ti chiedo solamente di
prendere in considerazione la cosa, ma comunque vada sappi che qualunque sarà
la tua decisione nessuno ti giudicherà».
Il principe a quel punto si volse, guardando suo padre, che gli rivolse
un nuovo sorriso.
«Ti ringrazio, padre».
In quella, un uomo di mezza età, quasi calvo ma con una folta barba nera
e vestito in modo nobiliare entrò nella stanza: era Nazim, il gran visir del re
nonché suo più fidato generale..
«Mio signore. Gli ospiti che attendevate stanno arrivando nella sala del
circolo magico.»
«Molto bene, veniamo subito. Grazie.»
«Dovere».
Ecco.
Ormai era in ballo, poteva solo ballare.
Avviandosi dietro al padre come verso il patibolo, il principe raggiunse
la grande sala circolare al centro del palazzo sul pavimento della quale era
inciso un grande pentacolo; ogni villaggio ne aveva uno, e si diceva che
fossero stati creati da Isis in persona, e i sovrani delle varie tribù, ma
anche rappresentanti ufficiali e ambasciatori, potevano usarlo per spostarsi
istantaneamente da un punto all’altro del globo nello spazio si un batter di
ciglia.
Come padre e figlio varcarono la soglia il pentacolo incominciò a
circondarsi di luce, e dopo che questa si fu diradata al centro del simbolo
erano comparse due figure, entrambe vestite con sontuosi abiti cinesi, un uomo
di età piuttosto avanzata con barba e baffi acconciati alla maniera degli
imperatori cinesi, e una giovane ragazza.
Touya guardò la ragazza quasi per caso, e fu come se un fulmine lo
avesse colpito in pieno sventrando il soffitto.
Sembrava… in nome del cielo, sembrava una dea!
Doveva avere pressappoco la sua stessa età, forse qualche anno di meno,
ma il suo fascino era qualcosa di accecante, quasi di soprannaturale; i
capelli, castani e corti, erano fluenti come la seta, gli occhi due smeraldi
che brillavano di luce viva.
Il suo sorriso era carico insieme di innocenza e di altruismo, e tutto
sembrava fuorché una persona capace di provare sentimenti negativi.
Il principe non aveva mai dato peso alle attenzioni femminili, ed era
convinto che mai lo avrebbe fatto, ma davanti ad una così incantevole creatura
tutte le sue certezze erano miseramente crollate nel giro di un istante.
Forse inconsapevole della folgorazione avuta dal figlio, il re fece gli
onori di casa facendo un rispettoso inchino al suo parigrado.
«Felice di fare la vostra conoscenza, imperatore Wu-Lao.»
«L’onore è tutto mio, re Clow.» rispose il sovrano cinese inchinandosi
in egual misura «La vostra fama di mago e di alchimista vi precede. Ero ansioso
di fare la vostra conoscenza.
Permettetemi di presentarvi mia figlia. La principessa Nadeshiko.»
«Piacere di conoscervi, re Clow.» disse lei inchinandosi a sua volta con
rispetto
«Piacere mio. Questi è mio figlio, nonché mio erede alla guida del
regno. Il principe Touya».
Solo allora tutti si accorsero dell’evidente agitazione del principe, che
non staccava un momento gli occhi dal volto della principessa e arrossiva
paurosamente se lei faceva altrettanto; i due sovrani accolsero quel fatto con
gioia e soddisfazione, perché stava a significare che il primo passo verso
l’alleanza era stato compiuto con successo.
Ora si trattava di passare al secondo, e fu re Clow a prendere
l’iniziativa.
«Touya. Io e sua eccellenza Wu-Lao abbiamo degli argomenti da discutere
nella sala del trono. Perché intanto tu non accompagni la principessa a fare un
giro per il palazzo?»
«U… u… un giro!?»
«Sì. Così potrete conoscervi».
Touya avrebbe tanto voluto rifiutare, ma con quel poco di lucidità che
gli era rimasta intuì subito quali fossero le intenzioni dei loro genitori, e
fu così probabilmente anche per la principessa, dal momento che anche lei, al
pensiero, arrossì terribilmente.
Seppure agitati, i due ragazzi si incamminarono da soli per i corridoi
del palazzo, e anche se all’inizio nessuno dei due aveva la forza e il coraggio
di aprire bocca con il passare dei minuti si cominciò a rompere il ghiaccio, e
quella che entrambi si erano inizialmente augurati essere una breve occasione
di incontro si trasformò in una piacevole passeggiata senza meta che proseguì
anche negli incantevoli giardini reali, tra siepi ben curate, alberi da frutto,
magnifiche statue provenienti dai paesi al di là del mare e fontane di grande
impatto visivo.
Più passava il tempo più scoprivano di avere molta più affinità di
quanto i loro caratteri diametralmente opposti potessero lasciare intendere;
Touya era schivo e riservato, e difficilmente intratteneva discussioni con
qualcuno, Nadeshiko invece aveva una personalità solare e gentile, ma proprio
per questo, per l’essere così diversi, erano attratti l’uno dall’altra.
«Mio padre mi ha parlato di te in questi ultimi giorni. Dice che sei un
grande guerriero.»
«È così, o almeno spero che lo sia. Tu invece sei molto brava con la
magia.»
«Molto brava, sono fondamentalmente una novizia. Mia madre è bravissima.
Oltre ad essere una principessa del clan Yoshida è anche una miko di grande
esperienza. È lei che mi fa da insegnante.»
«Come mai è andata in sposa all’imperatore di Xi-Siang?»
«Il nostro clan deve molto alla famiglia Li. L’isola da cui proviene mia
madre è un posto bellissimo, ma la sua popolazione è ancora molto primitiva. È
stato il villaggio di Xi-Siang a fornirci conoscenze e cultura superiori che
noi abbiamo iniziato segretamente a diffondere.
Il matrimonio è stato un gesto di riconoscenza.»
«E tu? Cosa pensi di ciò che ti è stato chiesto di fare?»
«Anche se all’apparenza può sembrare il contrario, sono una persona
incredibilmente testarda. Se una cosa non mi piace mi impunto coi piedi e non
c’è verso di farmi cambiare idea.
Malgrado tutto però sono fedele alla mia gente, e mio padre è sempre
stato una persona molto comprensiva, perciò quando mi hanno detto che sarei
dovuta andare in sposa ad un principe straniero lui ha ribadito che se non
avessi provato qualcosa per lui avrei potuto tirarmi benissimo indietro.»
«Hanno
detto la stessa cosa anche a me».
La principessa a quel punto si fermò, e prendendogli una mano costrinse
Touya a fare altrettanto; si guardarono a lungo, lei sorridendo lui nascondendo
a fatica il proprio imbarazzo.
«Ti conosco solo da un’ora, ma capisco già che sei un ragazzo sensibile.
Una qualità rara in un principe.»
«Tu invece sembri tanto ingenua.» rispose Touya riacquistando il proprio
contegno «Ma in realtà sei dotata di grande personalità.
Questo però, non toglie nulla alla tua purezza».
Nascosti dietro ad una siepe, i due sovrani osservavano con gioia e
soddisfazione il primo sguardo d’amore che i due figli si stavano scambiando,
ed entrambi sapevano che da quel momento in poi le cose avrebbero potuto solo
migliorare.
Tre mesi dopo il loro primo
incontro Touya e Nadeshiko si sposarono, suggellando così una solida alleanza
tra i rispettivi clan che fu ulteriormente rinsaldata quando, un anno dopo,
Nadeshiko diede alla luce una bambina che, come lei aveva sperato più volte
durante la gravidanza, fu chiamata Sakura.
La gioia per due eventi tanto lieti venne purtroppo guastata nel momento
in cui re Clow, che dopo la nascita della nipote per tre anni era stato il più
affettuoso e premuroso dei nonni, venne improvvisamente a mancare a seguito di
una grave malattia che ne aveva rapidamente debilitato il corpo, portandolo in
breve tempo alla morte.
Touya ne prese quindi il posto a soli ventun’anni, diventando così il
più giovane sovrano nella storia della tribù, e pochi mesi dopo l’incoronazione
partì verso nord per prendere parte al torneo, dal quale era tornato vincitore
e coperto di gloria.
Nel corso della competizione aveva dato prova di una nobiltà d’animo e
di un’abnegazione al proprio dovere assolutamente senza pari: non aveva ucciso
nessuno degli avversari con cui si era misurato, aveva osservato a pieno le
regole senza mai sottrarsi allo scontro o agire in modo da poter essere
considerato un codardo, e trovatosi faccia a faccia con il dio Seth lo aveva
piegato dopo uno scontro all’ultimo sangue.
La fama che si era creato al suo ritorno a Nepthys era quella di un eroe
leggendario, che contribuì a fare di lui l’icona stessa del guerriero che
avrebbe dovuto prendere parte al grande torneo, con il suo coraggio, il suo
senso dell’onore e la sua dedizione alla causa.
Lui ripeteva spesso che a guidare le sue azioni erano sia il senso del
dovere sia il desiderio di tornare dalla sua famiglia, e infatti la prima cosa
che fece dopo essere tornato a Nepthys fu correre ad abbracciare la moglie e la
figlia, che a lungo erano rimaste chiuse nelle loro stanze pregando per la sua
sicurezza.
Ora che il torneo era passato non vi era più nulla che potesse minare la
felicità dei due ragazzi, determinati come non mai a spendere al meglio ogni secondo
che la vita avrebbe permesso loro di trascorrere insieme, ma sembrava proprio
che il destino avesse in programma ben altri progetti per loro.
Fu proprio la fama che Touya si era guadagnato combattendo nel torneo a
segnare la loro rovina.
Un giorno di marzo il gran visir, che si era partito già da qualche mese
alla volta di una non meglio identificata destinazione assieme ad alcuni
esponenti della nobiltà cittadina, sulla via del ritorno mandò un esploratore a
palazzo per informare il re e la regina di una questione della massima
importanza di cui doveva discutere con loro il più presto possibile, pregandoli
quindi di raggiungerlo presso le rovine di un vecchio villaggio ad una ventina
di chilometri dalla città, nel bel mezzo del deserto.
Touya e Nadeshiko raggiunsero il luogo in questione sul fare dell’alba
dopo aver cavalcato tutta la notte, in modo da evitare il caldo e il sole che
per la regina, essendo nata e cresciuta nelle fertile pianure cinesi, erano
particolarmente nocivi, accompagnati da una decina di uomini di scorta.
Il villaggio in questione secoli addietro era stato un insediamento di
pastori, ma a seguito dello spostamento delle tratte mercantili i suoi abitanti
se ne erano progressivamente andati, e ormai non ne rimaneva altro che pochi
edifici di forma quasi cubica in fango secco lasciati all’incuria, alcuni dei
quali mezzi crollati e semi-sommersi dalla sabbia.
«Tu sai di cosa vuole parlarci Nazim?» domandò Nadeshiko mentre Touya la
aiutava a scendere da cavallo
«Il messaggero non me l’ha detto, ma pare sia una cosa molto urgente.»
«E perché ha voluto che venissimo proprio qui?»
«Lo sai come è fatto. Vede spie e nemici in ogni dove. Vorrà essere
sicuro della segretezza.»
«Spero non sia una cosa lunga. A Sakura non piace restare da sola».
Dopo qualche minuto dal loro arrivo il visir raggiunse a sua volta la
piazzetta del villaggio seguito da due suoi uomini.
«Benvenuti, miei signori.»
«Salute, Nazim.» rispose Touya «Allora, cosa c’è di così grave per farci
accorrere in tutta fretta nel bel mezzo del niente?»..
A quella domanda il visir si incupì, facendosi serio, per non dire
affranto; Touya se ne accorse, e contemporaneamente Nadeshiko avvertì qualcosa
di strano nell’aria, qualcosa di minaccioso.
«Nazim…»
«Mio signore… mi dispiace tanto… se solo ci fosse stato un altro modo,
io…»
«Ma di che stai parlando?»
«Sono desolato. Ma non c’è altra scelta».
Il visir fece un cenno con le dita, e in pochi secondi un gran numero di
soldati armati fino ai denti sbucò da ogni possibile nascondiglio circondando i
due sovrani e la loro scorta, che venivano tenuti sotto tiro anche da numerosi
arcieri appostati sui tetti vicini.
«Che significa?» tuonò il re stupito e infuriato
«Mi dispiace, mio re. La tua forza è troppo grande per poterne fare a
meno. Non possiamo permettere che il tuo spirito vigoroso e il tuo cuore
impavido vengano consumati dall’empietà della morte.
Noi li conserveremo.»
«Non so di che cosa tu stia parlando, ma questo tuo tradimento non sarà
perdonato!»
«Soldati!» gridò il capo della scorta «Proteggiamo il nostro re!»
«Nadeshiko, tu resta indietro!» disse Touya lanciandosi all’attacco
brandendo la spada d’oro.
La battaglia esplose furiosa, ma divenne subito chiaro che quella era
una causa persa: gli uomini al servizio del visir erano decisamente troppi, e
la forza tanto di Touya quanto di Nadeshiko era tenuta a freno da una barriera
invisibile materializzatasi all’insaputa di tutti subito dopo che il re e la
regina erano entrati nel villaggio.
Uno dopo l’altro gli uomini della scorta caddero a terra senza vita, chi
ucciso dalle spade nemiche chi trafitto dagli arcieri, e pur riuscendo ad
infliggere gravi perdite alle forze del visir ben presto il re e i suoi si
ritrovarono solo in tre.
Privata della possibilità di usare la magia, la sua unica arma,
Nadeshiko non poteva fare altro che rimanere in disparte, protetta a vista dal
capo della scorta; non sembrava che gli uomini di Nazim ce l’avessero con lei,
e forse non avevano neanche in programma di ucciderla, infatti nessuno
dall’inizio della battaglia aveva tentato di aggredirla.
All’improvviso, alzando lo sguardo al cielo, la ragazza si accorse che
il suo amato, impegnato in uno scontro, era sotto il tiro di un arciere, e
senza pensarci si slanciò verso di lui.
«Touya, attento!».
Il capo della scorta, distrattosi per cercare di fermarla, fu ucciso dal
nemico con cui stava duellando, e nell’istante in cui l’arciere scoccava la sua
freccia lei, messasi in mezzo, fu colpita alla schiena.
Touya, che si era accorto di ciò che stava accadendo solo all’ultimo
momento, la vide sgranare gli occhi e serrare leggermente i denti a causa del
dolore per poi cadergli tra le braccia.
«Nadeshiko!» gridò terrorizzato inginocchiandosi a terra con una mano
attorno alla vita e l’altra a sorreggerle la testa.
Lei lo guardò, sorridendogli leggermente, per quanto il dolore le
permettesse di farlo.
«Sta… stai bene?»
«Nadeshiko… perché lo hai fatto?»
«Perché… non avrei dovuto? Io… ti amo…»
«Nadeshiko…» balbettò il re incapace di trattenere le lacrime.
La regina, sorridendo di nuovo, strinse leggermente il pendaglio a forma
di uroboros che il suo sposo portava al collo, un dono che lei stessa gli aveva
fatto dopo averlo comprato al mercato di Nepthys.
«Sta… staremo di nuovo insieme…» disse mentre un rivolo di sangue
prendeva a scenderle dalla bocca «Un giorno… staremo di nuovo insieme… te lo
prometto.»
«Non mi lasciare, Nadeshiko. Non puoi farlo… non mi lasciare… pensa a
Sakura… avrà bisogno di te…»
«Ti voglio bene… ti voglio… bene…» e, prima di poter stringere per
l’ultima volta la mano del suo amato, la regina chiuse gli occhi sul mondo
«Nadeshiko! Nadeshiko! No!».
Nel frattempo i soldati nemici si erano tutti allontanati, quasi per
rispetto di ciò che stava accadendo; anche il visir sembrava triste, tanto che
aveva dato ordine di uccidere l’arciere responsabile della morte della regina,
ordine puntualmente eseguito.
«Mi dispiace.» disse rivolto al re, che inginocchiato e piangente sul corpo
della sua sposa gli dava le spalle «Non volevo che lei morisse. Era una giovane
dal cuore puro. Quante grandi cose avrebbe potuto fare. Avrebbe dovuto
garantire il futuro della famiglia reale assieme a vostra figlia.
È terribile pensare che la principessa Sakura crescerà priva
dell’affetto di sua madre. Tornerei indietro, se solo potessi.
Purtroppo, deve essere fatto. Ne va’ del destino del nostro mondo».
Passarono alcuni secondi, poi Touya, smettendo apparentemente di
piangere, si rialzò in piedi, volgendosi verso Nazim con il portamento e
l’autorità degni di un vero re; i suoi occhi erano rossi per il pianto, ma
rimasero impassibili quando gli arcieri davanti al visir tesero i loro archi
tutti nella sua direzione, e nel mentre una delle due guardie che avevano
seguito Nazim al suo arrivo prese dalla sua cintura un tubo di vetro con le
estremità d’oro.
«Che tu possa perdonarmi.» disse il visir, e come abbassò il braccio
tutto divenne nero.
Ma cosa… che cosa significava?
Tutte quelle immagini, tutti quei ricordi.
Chi era lui veramente?
La mente di Toshio era piena di domande, milioni di domande a cui non
riusciva a dare una risposta.
Ciò che aveva visto era davvero reale? Era davvero stato un principe di
Nepthys vissuto quasi duemila anni prima?
Ma com’era possibile? E soprattutto, che cosa c’entrava tutto ciò con
quello che gli stava succedendo?
D’improvviso il ragazzo avvertì un dolore lancinante al petto, e se lo
strinse con forza fin quasi a strapparsi i vestiti.
Era così sconvolto e spaventato da quello che gli era successo da non
accorgersi di avere qualcuno alle spalle, e quando, alla fine, si girò, era
troppo tardi.
Sanak lo colpì più e più volte prima che avesse il tempo di reagire,
lasciandolo inginocchiato a terra e privandolo anche di quelle poche forze che
quel cerchio maledetto sul quale entrambi si trovavano gli avevano lasciato.
«Sa… Sanak…».
Il fratello rimase in silenzio, poi un rumore di passi che scendevano
lungo la scala annunciò l’arrivo di Padre Andersen.
«A giudicare dalla tua espressione, deduco che tu abbia già visto. In
tutta onestà né io né nessun altro avremmo mai immaginato che si sarebbe
arrivati fino a questo punto.»
«Andersen… che significa tutto questo?»
«Non l’hai ancora capito? Il tuo vero nome non è Toshio. Tu sei il
Principe Touya, figlio del grande re Clow. Sei vissuto nel 300 a.C. e hai combattuto in
uno dei primi grandi tornei.»
«Allora…» balbettò Toshio comprensibilmente sconvolto «Tutto quello che
ho visto… era reale!?»
«Certo che era reale. A quanto pare i poteri che sgorgano da
quest’oggetto sono grandi abbastanza da permetterti di ricordare la verità.»
«Perché… perché mi è stato fatto questo?»
«Non lo immagini?» domandò il sacerdote camminando in cerchio attorno al
piedistallo «Eppure l’hai visto coi tuoi occhi. Molti partecipanti al torneo
sono uomini privi di morale, ai quali non importa nulla di nessuno tranne che
di sé stessi.
Se avessimo lasciato le cose come stanno, se avessimo permesso agli
eventi di fare il loro corso, molto presto il torneo avrebbe finito per
diventare il teatro d’esibizione di un branco di sadici guerrieri interessati
unicamente al proprio tornaconto, e bramosi di utilizzare il potere conferitoci
dagli dèi per fini personali, tutto ciò a vantaggio di Seth e del suo desiderio
di egemonia.
I nostri antenati questo non lo potevano permettere.
A lungo hanno cercato una soluzione che permettesse di conservare i
nobili ideali e i principi fondatori che erano stati alla base dell’istituzione
del torneo, in modo che il nostro mondo potesse sempre contare sui suoi
difensori.
Poi sei arrivato tu.
Il tuo potere era a dir poco straordinario, più grande anche di quello
di tuo padre, che pure era considerato un mago di classe superiore.
Eri… sovrumano.»
«Ero una persona come tutte le altre.»
«No. Eri qualcosa di più. La forza, il potere, la padronanza di sé, e
soprattutto la totale fedeltà alla causa. Eri l’incarnazione di tutto ciò in
cui coloro che credevano nel torneo avevano sempre sperato.
Con te a combattere per la nostra tribù saresti potuto diventare il
baluardo di questo mondo nella sua eterna lotta contro l’oscurità.
Purtroppo però, come tutti gli esseri umani, non eri immune alla morte.
Era necessario trovare qualcosa per permettere almeno al tuo spirito e al
potere che aveva in sé di sopravvivere all’usura del tempo».
Andersen prese dunque il contenitore di vetro.
«Fu tuo padre, il tuo vero padre, a fornirci la soluzione.
Fin dalla più giovane età re Clow aveva condotto importanti ricerche in
materia. Non si è mai saputo perché, ma pare fosse alla ricerca del segreto
della resurrezione.
Pur non riuscendo nell’intento, il sovrano scoprì il modo per conservare
l’anima di un individuo a tempo indeterminato confinandola all’interno di uno
di questi tubi, ed è esattamente ciò che i nostri antenati hanno fatto con la
tua.
Per quanto riguarda il tuo corpo, beh, quello naturalmente è andato
distrutto, ma questo non era certo un problema.
Re Clow infatti, oltre a quelle sulla resurrezione, aveva condotto studi
anche sulla creazione di corpi umani simili in tutto e per tutto a quelli
reali; non per niente, era un grande alchimista.
Sfruttando le sue ricerche abbiamo creato di volta in volta dei corpi
sempre più potenti che uniti all’incontrastabile forza del tuo spirito ti
avrebbero reso più potente di chiunque altro».
Toshio era sconvolto da ciò che sentiva, come del resto era naturale.
Tutto ciò in cui credeva, tutto quello che gli era stato detto: ora
comprendeva a pieno il senso delle parole di Sanak, e non era un caso se suo
fratello lo guardava in modo tanto sornione, come a dire “io che ti avevo
detto?”.
«Dunque… i miei ricordi… le mie memorie…»
«Finzioni. Create ad arte per darti un passato. Era necessario. Senza
ricordi e senza emozioni non saresti stato nulla più che una macchina, e
questo, oltre a svelare la nostra macchinazione, avrebbe anche potuto renderti
più debole.
Il tuo ultimo risveglio risale a tre anni fa.»
«La caduta da cavallo…»
«Non c’è mai stata. Le fratture che hai trovato al tuo risveglio le
abbiamo provocate noi per rendere credibile la storia. A dire il vero in
passato erano state create per te memorie complete e molto più articolate, ma
questa volta ci siamo ritrovati nella situazione di dover dedicare le nostre
attenzioni su qualcos’altro, qualcosa di ben più importante».
Toshio, per quanto poco fosse in grado di riflettere in una tale
situazione, impiegò poco a capire di che cosa Padre Andersen stesse parlando.
«Il Μένος Aδηλος!?».
Il sacerdote ghignò malignamente, facendo sparire del tutto quell’espressione
gioviale e amichevole che Toshio aveva tanto ammirato.
«Come ti ho detto, volevamo per te il migliore dei corpi.
Il caso ha voluto che cinque anni fa i nostri esploratori inviati in
tutto il globo alla ricerca di cavie su cui compiere studi e ricerche si siano
imbattuti in colui che custodiva dentro di sé il potere del Μένος
Aδηλος. Era un’opportunità irrinunciabile.
Lo abbiamo ucciso, abbiamo recuperato il suo potere e lo abbiamo
inserito dentro il corpo che avevamo precedentemente preparato, quello in cui
ti trovi al momento, ma quando abbiamo fatto il primo test sul risultato finale
è venuto fuori un problema non indifferente.»
«Che tipo… di problema?»
«Il Μένος Aδηλος è un
potere sconosciuto, di cui sappiamo molto poco, ma una cosa certa è che esso si
adatta al corpo che lo ospita.
Il tuo corpo, per quanto potente, non gli apparteneva, e pertanto esso
sfuggiva al nostro controllo, minacciando di distruggere il suo ospite. Occorreva
trovare qualcosa che lo tenesse a freno, e per l’ennesima volta è stato re Clow
a fornirci l’aiuto necessario, questo grazie alla sua ultima, grande scoperta.»
«Di che scoperta parli?»
«La più grande di tutte. Il sogno segreto ricercato e anelato nel corso
del secoli da migliaia di persone. Il potere della pietra filosofale!»
«La… la pietra filosofale!?»
«Tuo padre riuscì a crearla molto tempo fa, e la nascose nei sotterranei
del palazzo. Fu ritrovata per puro caso qualche secolo dopo da uno dei suoi
discendenti. Fra i suoi innumerevoli poteri vi era anche quello di arginare e
tenere sotto controllo il Μένος
Aδηλος ».
Toshio, attonito, si toccò il torace, da cui sentiva provenire ancora
quel dolore sommesso, e allora capì.
«Quella pietra… è dentro di me!?»
«Esatto. L’abbiamo inserita nella speranza di arginare il Μένος
Aδηλος permettendoti nel contempo di utilizzarlo, e il
risultato è stato straorinario.
Sfortunatamente tutto ciò ha richiesto tempo, e ormai il torneo era alle
porte, pertanto non abbiamo potuto dedicarci alla scrittura delle tue memorie,
e abbiamo creato la storia dell’amnesia per giustificare tale mancanza».
Al dolore e allo sgomento seguì in Toshio una rabbia senza fine.
Lui… era stato costruito! L’avevano smontato e rimontato come si farebbe
con una bambola, avevano giocato con la sua vita e i suoi sentimenti, si erano
arrogati il diritto di decidere per lui, usandolo come stendardo da mandare al
macello per poi essere nuovamente addormentato in vista del torneo successivo.
Strinse il pugno, rosso di collera; se il cerchio magico non lo avesse
privato della sua forza, si avrebbe sicuramente avventato su Andersen per
tagliargli la gola.
«In quanti sapevano?»
«Sapevano cosa? La verità? Oltre alle persone presenti qui solo pochi
altri a Nepthys erano a conoscenza di cosa vi fosse realmente dietro alla
selezione del candidato prescelto a rappresentare la nostra gente al grande
torneo. Alcuni membri fedeli della nobiltà, qualche cittadino di un certo prestigio,
e naturalmente il re Akunator.»
«Mio padre!? Lui… sapeva!?»
«Certo che sapeva. E ha dimostrato molto meno coraggio dei re che lo
hanno preceduto. Lui la chiamava una barbarie, diceva che non avevamo il
diritto di giocare con la tua anima.
So bene quanto tu debba sentirti infuriato, ma cerca di capire. Credi
che il nostro mondo esisterebbe ancora se non fosse stato per te e per il tuo
operato?
Forse non hai vinto tutti i tornei, ma hai sempre fatto in modo che
tutto coloro che vedevano nella luce di Amon-Ra un potere da usare per fini
personali non arrivassero mai a metterci le mani sopra.
Alla luce di tutto ciò, non ti pare questo sia un piccolo prezzo? La tua
dedizione alla nostra causa dovrebbe spingerti a credere di sì.
Per non parlare del fatto che ti abbiamo garantito l’immortalità. Hai idea
di quanti altri avrebbero voluto essere al tuo posto?».
Toshio urlò con tutto il suo fiato, ed evocata la sua spada si scagliò
contro Andersen; Sanak fece per intervenire, ma il religioso gli fece segno di
restare in disparte, e affondate le mani nel cappotto che indossava ne cavò
fuori due coltellacci lunghi e sottili, come delle baionette.
Forse a causa della rabbia ceca il giovane guerriero venne rapidamente
disarmato, ritrovandosi scoperto ed esposto; Andersen lo scaraventò
violentemente contro il muro, inchiodandocelo per le braccia come su una croce per
i palmi delle mani con le sue armi.
«Come immaginavo. Hai riportato molte e considerevoli vittorie, questo
non lo escludo, ma al momento stai usando solo un milionesimo del tuo effettivo
potere.
Non aver potuto scrivere decentemente la tua personalità ti ha reso un
debole, succube delle emozioni in un momento in cui non te lo puoi permettere;
come se non bastasse quel quartetto di mocciosi ha guastato ancor di più i
piani.
Pensavo che il loro supporto potesse risultare di aiuto, invece adesso
ha finito per destabilizzarci.
I tuoi sentimenti, le emozioni che hai dimostrato sono come un sacco
pieno di mattoni; togliertelo di dosso è il solo modo per permetterti di volare.»
«Che cosa… che cosa hai intenzione di fare?».
Padre Andersen raccolse nuovamente il tubo di vetro dopo averlo posato
poco prima per contrastare l’attacco di Toshio.
«Niente di particolare. Richiamando nuovamente la tua anima all’interno
del tubo potrò riscriverne la personalità, darti una nuova memoria.
Libero dal vincolo dei sentimenti che ti attanagliano lo spirito,
diventerai un guerriero senza rivali.»
«La memoria che ho mi và più che bene.»
«Ma non lo capisci? Tu sei la nostra salvezza! Ti è stato fatto dono di
un potere come non se ne sono mai visti, e solo con il suo aiuto potrai
sconfiggere Seth, diventato più potente che mai!
Non ti permetterò di mettere in pericolo il destino di questo mondo, mai
e poi mai!».
Appena ebbe finito di parlare il tubo cominciò a circondarsi di una
tenue luce azzurro brillante che per Toshio, per quanto fosse lontana, bruciava
più del fuoco.
«Perdonami, Toshio. Ma è necessario».
La fiamma divenne sempre più intensa, e arrivò al punto in cui Toshio
ebbe quasi la sensazione di nuotare in un mare di fuoco, il tutto mentre quell’oggetto
infernale sembrava strappargli letteralmente il cuore, richiamandolo a sé.
Le sue grida spaccavano il cuore, erano grida di puro dolore, ma né Andersen
né tantomeno Sanak ne rimasero toccati, e lo stesso Sanak non fece nulla per
tentare di fare qualcosa, rimanendo immobile ad osservare la scena.
Quel supplizio lancinante durò diversi minuti, poi, nello spazio di un
istante, tutto finì, e Toshio, smettendo di colpo di gridare, piegò in avanti
la testa, completamente inerme; nello stesso momento, all’interno del tubo
comparve una fiamma iridescente di colore bianco luccicante.
«Questo è il tuo destino. Ti prego, non credere che per me sia facile
fare una cosa del genere».
CONTINUA
Nota dell’Autore
Rieccomi.
Dopo due bei voti ho
finito per prendere una mazzata colossale, ma questo non è bastato a frenare la
mia voglia di scrivere.
Questo capitolo, come
è facile ritenere, è il capitolo di svolta, e possiamo dire che con esso si
chiude la parte centrale della narrazione.
A partire dal
prossimo, infatti, entreremo nella fase conclusiva, in un vortice di eventi che
condurranno fino allo scontro finale.
«La sua anima è rinchiusa.» disse
Padre Andersen osservando la fiamma luminescente che ardeva all’interno del
tubo «Ora si tratta di riscriverne i ricordi, e poi
sarà tutto finito. Prepariamo ogni cosa per il rituale.
Sanak, mi hai sentito?».
Il principe di Nepthys però era assente, e
osservava, apparentemente con la sua solita impassibilità, il corpo di suo
fratello, ormai privato dello spirito e ridotto a nulla più di un guscio vuoto.
In altri tempi sarebbe stato felice di vederlo ridotto in quello stato,
ora invece la cosa gli creava un misto di rabbia e smarrimento; forse era per
il fatto di non essersi realmente confrontato con lui, in modo da poter
dimostrare a tutti, ma soprattutto a sé stesso, di
essergli superiore.
«Posso capire come ti senti.
Mi dispiace che sia andata a finire così. Ma
guarda il lato positivo. Quando si risveglierà, la sua forza sarà cento volte
più grande di adesso, e sconfiggerlo ti procurerà un
senso di appagamento ancor maggiore».
Magari fosse stato così semplice.
Non era solo quello, o almeno era ciò che Sanak pensava. C’era anche
dell’altro, un che di sconosciuto che gli faceva trovare tutto ciò che stava
accadendo, se non sbagliato, quantomeno contestabile.
Alla fine però l’odio che provava per Toshio, colui
che gli aveva tolto il suo più grande sogno nonché l’affetto vero di suo
padre ebbe il sopravvento, e il principe, recuperato il piedistallo, lo tolse
dal disegno sul pavimento, permettendo a padre Andersen di posizionarcisi al
centro.
Il cerchio si illuminò, e la fiamma di poco
prima avvolse nuovamente sia il contenitore che il religioso.
Tutto sembrava procedere per il verso giusto, ma proprio quando padre
Andersen stava per iniziare la riscrittura dei ricordi l’incantesimo
cominciò ad andare fuori controllo; la luce si fece intermittente, e la fiamma
all’interno del tubo parve quasi chiudersi su sé stessa come un riccio.
«Ma cosa…» disse Andersen sorpreso.
Saette e scintille presero, non particolarmente potenti ma di certo suggestive e del tutto fuori programma, presero a schizzare
in tutte le direzioni, poi il circolo magico si spense del tutto.
«Che sta succedendo?» domandò Sanak
«Non ne ho idea».
Il prete chiuse gli occhi, come in meditazione, cercando di sondare lo
spirito contenuto nel tubo per capire cosa potesse essere andato storto, e la
risposta a tale quesito lo lasciò comprensibilmente interdetto.
«A quanto pare la sua anima rifiuta il mio controllo.»
«Com’è possibile?».
Sospesa a mezz’aria comparve una sfera che sembrava fatta di acqua,
all’interno della quale, come su di uno schermo, scorrevano immagini delle
varie avventure capitate a Toshio nel corso del suo viaggio, con una costante:
la presenza di Keita e dei suoi amici.
«Questi ricordi sono radicati in profondità, così come le emozioni e i
sentimenti ad essi legati. L’anima ci si aggrappa con
tutte le sue forze, e funzionano come uno scudo.»
«E allora che si fa?»
«Non abbiamo scelta. La sola cosa da fare è
distruggere la fonte di energia di questo scudo.»
«Distruggere la fonte!?» ripeté Sanak allibito
«Vuoi dire…»
«Dobbiamo eliminare quei ragazzi. L’anima è più
malleabile e soggetta a mutamenti quando è fuori dal corpo. Se assisterà
personalmente alla loro morte le emozioni legate a loro
si incrineranno a tal punto da risultare facilmente manipolabili.»
«Sono innocenti.» replicò il ragazzo, che pur desiderando ogni male per
Toshio non voleva assolutamente coinvolgere chi non c’entrava «Non c’entrano
niente con noi o il torneo.»
«Lo so, è una cosa terribile. Ma è necessario. Il principe Touya
è la nostra unica speranza di sconfiggere Seth. Non possiamo permettere che il
suo potere venga sprecato, non dopo tutta la fatica
fatta per conferirglielo.»
«Il re Akunator non sarebbe d’accordo.»
«Non era d’accordo neanche sul proseguimento
degli esperimenti. Se non fosse stato per tuo zio Zervan
e per il consiglio dei nobili questo corpo non avrebbe mai conosciuto la vita.
La verità è che il re non vuole accettare le proprie responsabilità.»
«Mio padre voleva solo mettere fine a questo
abominio.» disse Sanak a denti stretti «Ti rendi conto che stiamo giocando a
fare gli dèi?
La vita e la morte non sono cose di cui noi possiamo decidere. Solo le
divinità possono operare in quest’ambito.»
«Le divinità ci hanno abbandonato da tempo,
ragazzo. La Luce
di Amon è stato solo il loro riprovevole tentativo di
tacitare la coscienza per averci abbandonati così miserevolmente al nostro
destino.
Se vogliamo salvare la nostra esistenza
dobbiamo farlo da soli, e che il cielo mi perdoni se credo che quando ne va’
della sopravvivenza di un intero mondo tutto sia concesso».
Sanak rimase in silenzio, combattuto fra il trovare un’argomentazione
con cui rispondere e l’accettare il fatto compiuto.
Era così preso dalla propria orazione che solo in quel momento si rese conto di
stare proteggendo Toshio, la persona che maggiormente avrebbe voluto veder
scomparire.
«Si può sapere che ti prende, Sanak? Credevo
che volessi tutto il male per Toshio. Dopotutto, ti ha portato via ogni cosa.»
«Però… però io…»
«Ora non c’è tempo per parlare. Usando i poteri
del suo spirito arriveremo da quei ragazzi in men che
non si dica, e quando tuttaquesta storia sarà finita allora ci sarà tempo per i rimorsi di
coscienza.
Fino ad allora, obbedisci agli ordini».
Questa volta la scomparsa di un
altro dei suoi generali, quello in assoluto su cui riponeva la maggior fiducia
sia per la fedeltà dimostrata in passato sia per le sue abilità di mago e di combattente
fu accolta molto male da Seth, che si vide privato di uno dei suoi migliori
elementi.
Quello che era peggio, poi, era che tutti i
suoi piani riguardo a Nadeshiko e alla possibilità di portare Isis dalla sua parte erano falliti miseramente, contribuendo
a svelare oltretutto la sua identità ai suoi più acerrimi nemici, i quali entro
breve sarebbero potuti benissimo venire a bussare alla sua porta.
Infuriato come non mai, il dio della distruzione sfogava la propria
rabbia buttando a terra e distruggendo ogni cosa gli capitasse a tiro nella
sala del trono, dai quadri seicenteschi alle colonne con poggiati sopra
eleganti vasi di fiori, questi ultimi aggiunti personalmente poco tempo prima
per rendere l’ambiente più vivo e raffinato.
Nepthys, Franziska e Anubis
assistevano restando in disparte; Franziska in particolare era letteralmente
terrorizzata da una simile esternazione di rabbia, assolutamente non comune per
lo Johan che aveva sempre conosciuto.
Anche i suoi occhi e la sua stessa espressione erano diversi, a
testimonianza del fatto che ormai in quell’individuo vi era molto
poco, se non praticamente nulla, del giovane Von Karma.
«Dannazione! Dannazione! Che vada all’inferno
quel maledetto spadaccino!
Ha rovinato tutto!».
Quando non vi fu più nulla da distruggere il ragazzo finalmente cominciò
a calmarsi, facendo dei respiri profondi per tentare di riguadagnare
l’autocontrollo.
«Al diavolo anche Isis.
A distanza di ventimila anni, quella mocciosa riesce ancora ad
essere una spina nel fianco.»
«E adesso cosa facciamo, mio signore?» domandò Nepthys
«Ora che conoscono la vostra identità, molto presto potrebbero venire a
cercarvi.»
«Lo so benissimo. Non c’è bisogno che tu me lo
ricordi.
Credevo di poter piegare facilmente quella sciocca ragazzina umana, ma
si è dimostrata più tenace di quanto immaginassi, e alla fine è andato tutto
storto.
Ho anche perso Hypnos, il mio più fedele servitore».
Malgrado tutto, però, alla fine il dio ghignò
maleficamente.
«Ma non importa. In un modo o nell’altro,
qualcosa ho comunque ottenuto.»
«Signore?» domandò Nepthys, che non riusciva a
capire
«Il portale fra questo mondo e la mia
dimensione non si è mai richiuso. Vi ho confluito tutta l’energia di Thanatos e Selveria, energia che
ho provveduto a recuperare dopo la loro dipartita. Mancava davvero poco perché
diventasse utilizzabile, e l’immenso potere di Hypnos è servito allo scopo. Ora
il varco è abbastanza stabile da poter essere utilizzato da una persona in
carne ed ossa, e questo significa che posso mettere in comunicazione questo
corpo con quella parte dei miei poteri ancora confinati nell’altra dimensione.»
«Volete ricongiungere del tutto la vostra anima!?
Ma, mio signore, i vostri poteri sono immensi. Un
corpo umano non sarebbe mai in grado di ospitarli.»
«Un corpo normale sicuramente no. Ma Johan Von
Karma non è affatto normale. Egli è depositario della
nostra eredità, proprio come il corpo che occupi tu. È per metà uno di noi, e
la vastità del suo circolo magico ne è la dimostrazione.
All’inizio pensavo che malgrado tutto neppure
in questo modo un semplice corpo umano sarebbe stato capace di sopportare tutti
i miei poteri, ma vedere Isis e ciò che è stata in
grado di fare con quella dannata ragazzina mi ha fatto capire che mi sbagliavo.
Johan ce la farà, e quando la mia anima sarà finalmente riunificata in
un unico corpo neppure Isis sarà in grado di
fermarmi.
Sarò invincibile».
In quella Ushio entrò nella stanza dopo aver
annunciato la propria presenza parlando da dietro la porta.
«Perdonatemi, mio signore.» disse inginocchiandosi «Ma c’è qualcosa che
non va’.»
«Di che si tratta?»
«Non riusciamo a trovare Wei
da nessuna parte. Sembra essere sparito.»
«Che cosa!?» ringhiò il ragazzo rosso di
collera «Come sarebbe a dire sparito!?»
«Lo abbiamo cercato dappertutto, ma senza
successo. Inoltre, nel deposito dei veicoli manca una macchina. È probabile che
abbia lasciato il castello.»
«Dannato vecchio bastardo. Ha deciso
sicuramente di tradirmi! Intende rivelare la posizione di questo castello ai
miei nemici, ne sono sicuro! Ma non glielo permetterò!
Anubis, occupatene tu!»
«Come desideri, mio signore.» rispose Anubis
scomparendo nel nulla come una nuvola di fumo.
Non era possibile!
Wei era stato come un secondo padre per Johan:
con che cuore ne decretava l’uccisione? Franziska non riusciva a credere alle
proprie orecchie
«Johan, ti prego!» disse con voce di supplica «Non fare del male a Wei!»
«Ha tradito la mia e la nostra fiducia. Non vi
deve essere nessuna pietà per i traditori».
Il ragazzo le diede le spalle per tornare a parlare con Cloto, e
Franziska, nell’estremo tentativo di farlo ragionare, gli corse incontro,
afferrandogli un braccio.
«Johan…».
Prima che potesse aprire bocca lui, giratosi nuovamente con
un’espressione del tutto indifferente e carica di risentimento, la colpì con un
ceffone estremamente violento che la gettò a terra in
uno stato di semi-incoscienza.
Ushio e Nepthys assistettero in silenzio,
rimanendo impassibili anche quando la ragazza, riavutasi dallo shock per essere
stata colpita dal suo stesso fratello, rimase distesa sul pavimento piangendo
disperata.
«Quali sono i vostri ordini?» chiese Ushio
«Non possiamo lasciare niente al caso. Ci
vorranno ancora tre ore perché il varco possa essere attraversato senza rischi.
Cloto, tu e le tue sorelle andate a presidiare l’ingresso.
Se Anubis non dovesse fare in tempo a fermare quel
bastardo di Wei, presto potremmo avere molta
compagnia.»
«Sarà fatto. Non abbiate a che temere, non gli
permetteremo di avvicinarsi».
Dopo che Toshio se ne era andato i ragazzi erano tornati, sconsolati e preoccupati, al
loro albergo, dove Nadeshiko non smetteva più di piangere.
Del resto, la sua tristezza era comprensibile: Toshio era scomparso nel
nulla, e dopo quello che aveva fatto ad Hypnos c’era
da chiedersi se mai sarebbe tornato.
Keita, Shinji e Takeru, così come Aria e Lotte, avevano deciso in comune
accordo di non rivelare alla loro compagna quanto era accaduto mentre lei era
priva di sensi, ma lei nonostante tutto si era accorta
subito che c’era qualcosa di diverso in Toshio quando lo aveva visto subito
dopo essersi risvegliata, qualcosa di oscuro, e che era stato proprio questo
all’origine della sua fuga.
Forse aveva paura di far loro del male, di metterli in pericolo se fosse
rimasto, ma nonostante ciò Nadeshiko desiderava averlo vicino più di qualsiasi
altra cosa al mondo.
La brutta esperienza avuta nel mondo dei sogni non aveva fatto altro che
rinsaldare e rendere ancora più forti i sentimenti che provava
per lui, ma proprio quando avrebbe voluto dirglielo lui se ne era andato,
allontanandosi forse per sempre.
E poi, a tenere banco in quel momento, c’era anche la faccenda di Seth;
scoprire l’identità della sua incarnazione era stato uno shock per tutti,
soprattutto per chi lo conosceva bene.
«Se me lo avessero detto non ci avrei creduto.»
disse Shinji seduto su uno dei divani del salotto, rimesso a posto dopo tutto
il putiferio scatenato prima dall’arrivo di Hypnos poi dai tentativi di Toshio
di liberarsi dalla prigione «Johan era l’incarnazione di Seth.»
«Questo restringe la nostra rosa di ricerca.» disse Aria «Ora sappiamo quale castello cercare. La famiglia Von Karma
è molto conosciuta, sono sicura che qualcuno conosce
l’ubicazione del loro castello.»
«Aria, ma sei fuori di testa!?» esclamò Lotte
«Come puoi pensare a simili sciocchezze in un momento del genere!? Toshio è
scomparso, e non abbiamo la più pallida idea di dove possa essere andato!»
«Questo è vero, ma non dobbiamo dimenticare la
nostra missione. Siamo qui per sconfiggere Seth, ed è ciò che dobbiamo fare. Il
master direbbe la stessa cosa se fosse qui.»
«Tu…» ringhiò Lotte afferrando la sorella per il bavero «Come puoi dire certe cose? È di Toshio che stiamo parlando!
Vorresti lavartene le mani e andare avanti come se niente fosse?»
«Toshio è una persona responsabile.» fu la risposta schietta di Aria «Sono sicura che tornerà dopo essersi calmato. E se anche
così non fosse, non abbiamo la minima idea di dove andarlo a cercare. In questo
momento potrebbe essere dovunque.
Senza contare che ora che sa che siamo qui, Seth tenterà sicuramente di
accelerare i suoi piani. Se non agiamo alla svelta i
suoi poteri cresceranno ancora di più, e allora sarà davvero invincibile».
Lotte a quel punto non ci vide più e per la
prima volta da che erano state create alzò le mani sulla sorella, tirandole un
pugno tanto forte da buttarla a terra e farla sanguinare dal naso.
«Basta, finitela!» disse Keita avventandosi su
Lotte per impedirle di colpire ancora «Lotte, adesso calmati!»
«Sei senza cuore! Non ti avrei mai immaginata tanto egoista!»
«Credi davvero che non me ne importi niente di Toshio?» rispose Aria
rimettendosi in piedi «Sono preoccupata quanto voi per
la sua sorte. Ma non possiamo dimenticare il motivo per il quale siamo qui.»
«Non ha tutti i torti.»
«Shinji…» disse Keita.
Il biondino si avvicinò a Nadeshiko, che ancora singhiozzava seduta su
una sedia, e le mise una mano sulla spalla, guadagnandosi un’occhiata da
cucciolo spaventato.
«Toshio ha solo bisogno di stare da solo e di
riflettere. Sono certo che ritornerà. Del resto, non è tipo da lasciare le cose
a metà.»
«Tu… lo credi davvero?»
«Assolutamente. Del resto, ormai lo conosciamo
bene. Sono certo che piomberà dal nulla quando meno ce l’aspettiamo.
Nell’attesa del suo ritorno però dobbiamo approfittare dell’effetto sorpresa e
attaccare Seth nella sua stessa base».
La ragazza parve risollevarsi, tanto che riuscì perfino ad accennare un sorriso, ma Takeru, che da qualche minuto rimaneva
appoggiato al muro a braccia conserte ed occhi chiusi, scattò improvvisamente
sull’attenti.
«Abbiamo visite».
Tutti si misero immediatamente sul chi vive, poi, quasi
contemporaneamente, avvertirono due presenze ostili sopra le loro teste.
«Sul tetto.» disse Keita, e tutti presero velocemente la porta.
Saliti sul tetto, i ragazzi si ritrovarono a tu per tu con l’ultima
persona che avrebbero immaginato di incontrare in una simile circostanza.
«Padre Andersen!?» disse Nadeshiko.
Il prete era molto diverso da come Keita e gli altri lo ricordavano; ora
era serio, quasi minaccioso, e teneva in mano una coppia di lunghi coltelli
mentre la sua sopravveste ondeggiava mossa dal vento.
Prima che potessero ottenere una risposta Sanak
saltò giù dal box da cui erano usciti, circondandoli, e il fatto che anche lui
avesse la spada in mano non lasciava presagire nulla di buono.
«Alla fine ci rincontriamo.» disse Andersen «È un vero peccato che la
circostanza sia così poco propizia.»
«Che significa tutto questo?» domandò Aria mentre Keita e Takeru
mettevano mano alle armi
«Vi chiedo di perdonarmi, ma è sorto un fatto del tutto imprevisto, e a
seguito di ciò, mi dispiace dirlo, è necessario che tutti voi moriate.»
«Cosa!?».
Andersen e Sanak partirono all’attacco contemporaneamente, contrastati
rispettivamente da Keita e Takeru; Shinji e Lotte si unirono allo scontro, Aria
invece restò a proteggere Nadeshiko.
L’abilità dei due nemici era straordinaria, quella di Sanak in particolar
modo, e pur essendo in sei contro due i ragazzi non riuscivano a rispondere
efficacemente ai loro assalti.
Il particolare stato emotivo in cui si trovavano
Keita e i suoi compagni non era neanche dei più adatti a sostenere uno scontro,
e infatti ad un certo punto Keita venne quasi trafitto da uno dei coltelli di
Padre Andersen; solo una deviazione fortuita lo salvò, mutando un affondo al
cuore in una ferita di striscio alla spalla, e l’intervento provvidenziale di
Shinji costrinse il religioso ad indietreggiare.
Dalla parte opposta le cose non andavano meglio; Sanak era veloce quasi
quanto Takeru, e la sua potenza non era da meno, così il campione di kendo
aveva non poche difficoltà a confrontarsi con lui.
Lotte cercò di aiutarlo, ma entrambi furono
quasi uccisi quando lui menò un fendente orizzontale che grazie al cielo venne
parato da Takeru.
«Perché state facendo questo?» domandò Nadeshiko «Che cosa vi abbiamo
fatto?»
«A me niente. A dire il vero non c’è nulla di
cui vi si possa accusare. Il problema è che la vostra stessa esistenza è di
ostacolo al conseguimento della pace su questo mondo».
Padre Andersen a quel punto mostrò il tubo di vetro che portava alla
cintura, e vedendo la fiamma che ardeva al suo interno Nadeshiko
avvertì una sensazione di famigliarità.
«Toshio…»
«Cosa hai detto?» domandò Shinji, che come gli
altri non aveva sentito
«Quell’oggetto… sento la presenza di Toshio…»
«Che cosa!?» esclamò Lotte.
Pochi secondi dopo, mentre seguitava ad
osservare il tubo, Nadeshiko cominciò a sentire un dolore fortissimo alla
testa, e assieme ad esso un fischiare assordante che la lasciò rapidamente a
terra apparentemente priva di sensi.
«Nadeshiko!» disse Keita correndo da lei
«Che le succede?» chiese Aria
«È svenuta. Ma cosa
voleva dire con quelle parole? Sento la presenza di Toshio?»
«La persona che voi conoscete con il nome di
Toshio» rispose Padre Andersen «In realtà è il principe Touya,
antico sovrano della città di Nepthys vissuto oltre
duemila anni fa.
Ciò che vedete qui di fronte a voi, rinchiusa in questo contenitore, è
la sua anima.»
«La sua anima!?» disse Keita.
Il prete raccontò dunque anche a loro la verità celata dietro la
finzione, spiegandogli come si fosse giunti ad una
simile situazione e per quale motivo la loro morte fosse così necessaria.
Nadeshiko, ancora svenuta, non poteva sentire, ma ciò nonostante anche
davanti a lei si era aperta la porta che conduceva ad
un mare di ricordi, ricordi sopiti che quel tubo di vetro, assieme allo spirito
in esso contenuto, avevano risvegliato.
Dopo essersi sposata con il principe Touya, re
Clow le aveva insegnato a padroneggiare una magia
molto rara e potente che permetteva a chi ne aveva il controllo di muovere per
una sola volta la propria anima all’interno di qualsiasi cosa, fosse essa un
oggetto o anche un altro corpo.
Dapprincipio non capiva come mai il re le avesse insegnato una cosa
simile, di cui a rigor di logica nessuno avrebbe mai avuto bisogno, ma quando,
dopo essere stata colpita da quella freccia, si era ritrovata ormai prossima
alla morte, allora aveva capito: forse il saggio Clow
aveva previsto quello che sarebbe accaduto, e voleva darle una possibilità di
ritrovare, un giorno anche lontano, l’amore della sua vita, quell’amore che il destino era in procinto di allontanare da lei.
Per questo, poco prima di morire, aveva stretto con forza il pendente di
uroboros; apparentemente si trattava dell’ultima
dimostrazione di affetto, in realtà vi aveva trasferito dentro la sua anima e
la sua coscienza, riuscendo in questo modo a preservarla e cadendo in uno stato
di stasi che si sarebbe protratto per molto, molo tempo.
Con il passare dei millenni quell’oggetto all’apparenza di così scarso
valore era passato di mano in mano, fino ad arrivare, all’alba del terzo
millennio, in un negozietto di Venezia, dove era stato acquistato da una
giovane coppia in luna di miele.
L’anima di Nadeshiko, ancora sopita, non aveva la minima idea di quanto
tempo fosse passato dal momento in cui aveva visto per l’ultima volta gli occhi
del principe Touya quando, dal nulla, una luce giunse
a rischiarare il mare di tenebre in cui aveva dormito un sonno irreale.
All’interno della luce, come un’apparizione divina, aveva scorto una
figura che di lì a pochi anni avrebbe rincontrato, ma che in quel momento le
giungeva del tutto nuova e sconosciuta.
«Chi… chi sei?»
«Mi chiamano Strega delle Dimensioni. Tu puoi
chiamarmi Yuko.»
«Yuko?»
«Permettimi di farti una domanda. Per quale
motivo hai fatto una cosa del genere?».
Lei
esitò a lungo prima di rispondere, probabilmente perché una vera risposta non
l’aveva mai saputa trovare.
«Io… non lo so. Forse… credevo che così… un
giorno… avrei potuto ritrovarlo. Se fossi morta sul serio… non avrei potuto
rivederlo.»
«E non hai pensato che una volta rinchiusa qui dentro
non saresti più stata in grado di uscire?»
«Non so cosa rispondere. In quel momento
pensavo solo a lui, e a trovare un modo per restargli vicino. Questo mi è
sembrato l’unico.»
«Rilassati. Non sono qui per farti la predica.
Sono qui per liberarti.»
«Come!? Per liberarmi!?»
«Immagino che qui dentro il tempo abbia un
concetto del tutto relativo. In verità sono trascorsi più di due millenni dal
giorno in cui tu legasti la tua anima a questo pendente.
L’uomo e la donna che attualmente lo possiedono
aspettano una bambina. Farò in modo che la tua anima rinasca all’interno del
feto».
La principessa, sentendo una tale notizia, non riuscì a contenere la
propria gioia. Finalmente, dopo tanto tempo, avrebbe avuto la possibilità di
ritrovare il suo amato.
Era certa che ci fosse, che fosse ancora vivo, perché unendo i discorsi
fatti dal visir a ciò che negli ultimi tempi aveva udito a palazzo
sapeva quali fossero le intenzioni di Nazim; si
trattava solo di ritrovarlo.
Purtroppo, l’espressione fosca sul volto della strega lasciava intendere
che non tutto sarebbe stato così facile come poteva sembrare.
«Aspetta a festeggiare. Il processo di morte e
rinascita che accomuna tutte le anime del creato è soggetto a delle regole, e
sebbene la tua anima si sia di fatto conservata
intatta per tre millenni questo non la rende immune a tali regole.
Quando ti reincarnerai, i ricordi della tua
vita precedente scompariranno del tutto.»
«Scompariranno!? Ma
allora… come farò a ritrovarlo?»
«Non hai nulla da temere. La verità è che voi
due siete inscindibili. Un filo sottile vi lega
insieme, e questo filo farà sì che, un giorno o l’altro, vi rincontrerete.
È scritto nel corso del tempo.»
«Ma… quando succederà?»
«Presto. Dovrai solo avere pazienza. E forse,
se il cielo lo vorrà, quando vi sarete rincontrati anche i ricordi
cominceranno a riaffiorare. Tuttavia…»
«Cosa?».
Yuko si fece, se possibile, ancor più cupa;
niente di buono sarebbe uscito dalle sue prossime parole.
«Ogni cosa ha un prezzo. La tua reincarnazione
è stata voluta da una persona dal cuore nobile, che si
è fatta carico del prezzo da pagare in cambio, ma una prova terribile attenderà
entrambi dopo poco che vi sarete ritrovati.»
«Di che si tratta?».
Ora ricordava!
Ecco che ogni cosa andava al suo posto!
Del resto, fin da bambina aveva avuto la sensazione di dover cercare
qualcosa, qualcosa di cui ignorava l’identità ma che sentiva di dover trovare a
tutti i costi.
Ecco perché, dal primo momento in cui aveva incontrato Toshio, aveva
sentito un legame sconosciuto, un filo che li teneva uniti.
Era Toshio ciò che lei aveva cercato inconsciamente per così tanto tempo, e alla fine di tutto il destino aveva
fatto il suo corso, facendoli ritrovare.
Nadeshiko riprese i sensi mentre il combattimento con Andersen e Sanak
stava andando di male in peggio, e Aria, che le era
ancora vicino, cercò di sincerarsi delle sue condizioni.
«Nadeshiko! Stai bene?»
«Ora ricordo. Io… cercavo lui.»
«Che cosa!? Di che stai parlando?»
«Toshio. Io cercavo Toshio».
In quella lo scontro raggiunse una nuova fase di stallo, ma ormai Keita
e gli altri erano allo stremo.
«La battaglia è finita. Pregherò gli dèi che possiate trovare un destino migliore nella vostra prossima
vita.»
«Basta, smettetela!» gridò Nadeshiko rimettendosi in piedi «Tutto questo
non ha senso!».
Andersen, che era quasi sul punto di colpire, si fermò di scatto.
«Non capite quanto sia sbagliato ciò che state
facendo? Avete imprigionato l’anima del principe Touya,
avete rimescolato e ricostruito i suoi ricordi più e più volte. Il vostro fine
può anche essere nobile, ma il modo in cui volete perseguirlo è sbagliato!
Non potete far ricadere tutte le responsabilità su di lui. È una persona
normale come tutti noi, che chiede solo di poter vivere la propria vita, e voi
non avete il diritto di negargli questo dono!»
“È assurdo.” pensò il sacerdote “Come fa a conoscere il nome del
principe? Era priva di sensi quando ho raccontato la storia”.
Poi, un pensiero gli fulminò la mente, e a giudicare dall’espressione
che comparve sul volto di Sanak anche lui doveva aver
avuto la stessa intuizione.
«Non mi dirai che tu sei…».
Nadeshiko si girò allora verso Sanak.
«Tu puoi comprendere la sua sofferenza più di
chiunque altro. Sei suo fratello. Anche se non siete nati dalla stessa madre, il
legame che vi unisce non si può ignorare.
Ti prego, non permettere all’odio di prendere il sopravvento e soffocare
la tua natura. Io lo so che sei di animo nobile».
Proprio
come era successo la prima volta, Sanak non seppe cosa
pensare; Nadeshiko rassomigliava così tanto a sua madre, la sola persona a cui
avesse realmente voluto bene, ma se era davvero chi lui immaginava che fosse
era praticamente una sua antenata, e visto che anche sua madre discendeva,
seppure in minima parte, dalla famiglia reale la somiglianza era in qualche
modo giustificata.
Che cosa stava facendo?
Era davvero quella la persona che sognava di diventare? Da bambino aveva
immaginato tante volte il giorno in cui avrebbe combattuto per l’onore della
sua tribù, ma era questo ciò che stava facendo ora?
Chi non sembrava essere stato toccato minimamente dal discorso era
Andersen, che anzi parve ancor più determinato.
«Se davvero sei la persona che immagino, ho più
di un valido motivo per volerti allontanare da questo mondo e dal principe.
Non so come tu possa essere qui, ma ora farai ritorno al luogo da cui
provieni!».
Senza aggiungere altro il sacerdote si lanciò contro di lei a spada
tratta, approfittando del fatto che Keita e gli altri erano troppo stanchi e
lontani per poterla proteggere.
I ragazzi gridarono, cercarono di fare qualcosa per aiutarla, ma era una
causa persa; se non che, all’ultimo istante, qualcuno
si frappose fra Nadeshiko e il suo carnefice, allontanando quest’ultimo con
violenza dopo aver intrapreso con lui un breve scontro di forza ed aver
approfittato del suo comprensibile stupore.
«Sanak! Che stai facendo!?»
«Ho cambiato idea. Io mi chiamo fuori.»
«Maledetto codardo. Non te ne importa niente
della tua gente?»
«Al contrario, me ne importa molto. È per questo che lo faccio.»
«Come preferisci. Vorrà dire che farai la loro
stessa fine!».
Nello stesso momento, molto lontano, il corpo di Toshio era ancora
inchiodato al muro della stanza del circolo del tutto
privo di qualsiasi barlume vitale.
Tuttavia, benché privata della sua anima, la mente era
ancora cosciente, e di nuovo, forse per effetto del circolo magico
inciso sul pavimento, o forse per il fatto di trovarsi all’interno di un corpo
vuoto, essa si perdeva in viaggi e rimembranze, richiamando a sé ricordi forse
cancellati, ma mai scomparsi del tutto.
Alessandria d’Egitto
48 a.C.
Palazzo Reale
La notizia si era diffusa già da
qualche tempo; nella capitale del Regno d’Egitto era giunto uno straniero, un
grande condottiero proveniente dall’Europa, che stando
alle notizie riportate dagli informatori era in possesso di un potere magico di
grandi dimensioni, che per quanto si sforzasse di mantenere segreto era percepibile
da chiunque avesse anche la minima dimestichezza con l’uso della magia.
Di quest’uomo si sapeva molto poco all’infuori
del nome e di ciò che veniva raccontato di lui; famose erano le sue molteplici
vittorie in battaglia, ma dopo aver condotto una prima indagine tra i suoi
antenati non figuravano maghi o stregoni di alcun tipo, il che era quantomeno
insolito.
Con il nuovo grande torneo alle porte erano in molti a sospettare che un
uomo dotato di una così grande magia e con un potere politico e militare tanto
grande da poter assoggettare i maggiori imperi del mondo potesse essere in
realtà la reincarnazione di Seth, pertanto si era resa
necessario ottenere una prova definitiva.
A testare le capacità di questo misterioso straniero era stato inviato
il giovane Kadar, figlio di un nobile d’alto rango
della città di Nepthys: i suoi ordini erano di
prendere contatto con il bersaglio e sfidarlo a duello, e se si trattava
realmente della forma umana di Seth i suoi poteri non
avrebbero impiegato molto per venire alla luce.
Raggiunto il palazzo reale dove il guerriero straniero risiedeva, ospite
della regina d’Egitto e del suo giovanissimo consorte, nonché
fratello, Kadar scavalcò rapidamente il muro a sud
liberandosi con facilità delle guardie che lo presidiavano per poi scendere nel
grande cortile.
Si aspettava di dover arrivare fin nelle stanze, e invece, prima di
poter muovere un passo, vide il suo bersaglio in piedi al centro del viale, in
attesa.
Era un bell’uomo, che malgrado dovesse aver superato, almeno di poco, la
cinquantina, come testimoniavano quei capelli di un nero che già si colorava
del grigiore della vecchiaia, conservava in quei suoi occhi azzurro cielo
l’ardore e il carisma propri di un giovane soldato in cerca del suo primo momento
di gloria.
Vestiva con una pregiata tunica rossa, come rosso
era il suo mantello, indossava schinieri e bracciali di bronzo, sandali
stringati e una corazza protettiva di cuoio con un’effige al centro a forma di
aquila con le ali spiegate.
Dalla cintura annodata attorno alla vita
pendeva una spada bellissima, con l’elsa d’avorio a forma di testa d’aquila;
non era corta e grossa come le spade delle guardie che Kadar
aveva steso poco prima, bensì lunga e sottile, non molto dissimile a quelle
usate in certe regioni del Medio Oriente, e la lama, più che di bronzo o di
acciaio, pareva di argento puro, tanto era lucida e splendente.
«Finalmente siete arrivati.» disse sorridendo mentre Kadar
si portava di fronte a lui «Cominciavo a stare in ansia.»
«Sei tu Gaio Giulio Cesare?»
«In persona. Con chi ho
l’onore di parlare?»
«Io sono Kadar, della città di Nepthys.»
«Non fatico a immaginare come mai tu sia qui.
Nei miei lunghi viaggi mi è capitato di sentir parlare dei leggendari sette
villaggi che secoli addietro si opposero al tentativo di Seth di conquistare
questo mondo.
So che avete le vostre regole, e che la nuova competizione ormai è alle
porte. Immagino abbiate pensato che io potessi essere la nuova incarnazione del
dio».
Il giovane fece un cenno di assenso, e Cesare parve ridere sotto i
denti.
«E hanno mandato te ad appurare se fosse effettivamente la verità.»
«È così, infatti».
Lo straniero, nuovamente, sorrise, e ad un suo
schiocco di dita non solo il palazzo, ma l’intera città venne circondata da un
grande fuuzetsu.
Kadar rimase comprensibilmente senza parole:
neppure lui, che pure si reputava un mago di grande esperienza, sarebbe mai
stato in grado di evocare un fuuzetsu di quelle dimensioni.
«Allora?» disse Cesare sguainando la spada «Vogliamo cominciare?».
Quello che seguì fu uno scontro estremamente
acceso; Cesare probabilmente aspettava da tempo di incontrare qualcuno con cui
mettere alla prova quel potere magico che da bambino aveva scoperto di
possedere, e che aveva segretamente affinato con gli insegnamenti di sacerdoti
romani e druidi gallici, ma che aveva sempre prudentemente tenuto nascosto,
comprendendo che il mondo, e specialmente il suo, difficilmente avrebbe
accettato una persona tanto diversa e speciale.
Eppure, malgrado ciò, nel suo stile di combattimento non vi erano né
aggressività né voglia di uccidere; rassomigliava tanto ad
una battaglia di allenamento, con due avversari che combattono tra di loro
spinti unicamente dal desiderio di mettersi vicendevolmente alla prova.
Il momento in cui Kadar rimase maggiormente
sorpreso fu quando, riuscito a scavalcare la difesa nemica, venne
violentemente rispedito indietro da una sfera di energia magica che,
fortunosamente, si limitò a scagliarlo lontano, e a quel punto il duello poteva
dirsi finito.
«Basta così.» disse il ragazzo facendo scomparire la sua spada d’oro
«Come sono andato? Ritieni che io possa essere
l’incarnazione di Seth?»
«La risposta a questa domanda l’ho avuta ancor prima che avesse inizio
il combattimento.»
«In che senso?»
«Seth non si sarebbe mai preoccupato di
costruire un fuuzetsu per proteggere la città e i suoi abitanti da possibili
conseguenze. Per lui queste cose non anno valore».
Cesare parve un momento sorpreso, poi rinfoderò a sua volta la spada.
«Mi piaci, ragazzo. Sei perspicace, e sai usare
la testa. Qualità importanti per un guerriero.»
«Ti ringrazio».
In caso di esito negativo da parte del test Kadar
aveva l’ordine di ritirarsi immediatamente e fare ritorno a Nepthys,
ma il giovane guerriero rimase molto colpito dal carisma e dal senso di
giustizia che albergava in quell’uomo. Lo aveva osservato a lungo prima di
passare all’azione, nascosto fra la gente di Alessandria, e aveva visto con i
suoi occhi di quanto coraggio fosse dotato.
Così, in piena contravvenzione agli ordini ricevuti, Kadar
si ritrovò ad intrattenere con Giulio Cesare una
piacevole conversazione passeggiando su e giù per il cortile del palazzo.
Dopo un’oretta circa trascorsa a parlare del più e del meno il ragazzo
decise di porre la domanda che avrebbe voluto fargli dal primo momento in cui
lo aveva visto fare quello che faceva.
«Tu hai affrontato molte avversità dacché la
tua carriera di soldato ha avuto inizio. Cos’è che ti ha permesso di andare
avanti? Che cos’è che ti spinge?»
«Io combatto per creare qualcosa di migliore,
ragazzo. Il mondo di cui faccio parte è vecchio, decadente, corrotto. La Repubblica è nelle mani
di un esercito di arroganti egoisti che pensano solo a sé
stessi, e che hanno dimenticato i principi di unità, eguaglianza e giustizia
che hanno governato i primi anni della sua esistenza.
Molto è stato fatto, e altrettanto resta ancora da fare, ma intendo
gettare le basi per la nascita di un mondo migliore.»
«Potresti passare per un tiranno.»
«Sì, può darsi. E forse è così che la storia mi
ricorderà. Purtroppo questo nostro mondo è imperfetto per definizione. Operare
un cambiamento rimanendo nel solco della giustizia e della nobiltà è un’impresa
quasi impossibile; io per parte mia ho tentato di farlo, ma c’è tanto di quel
male in ciò che ci circonda che se volessimo cambiare le cose rimanendo puri
non basterebbero mille anni.
Mi sono macchiato di atti detestabili dal giorno in cui sono diventato
un guerriero, atti per i quali, che tu ci creda o no,
io sono il primo a provare disgusto. Ma se tutto ciò che ho fatto e che farò da
oggi in avanti servirà a dare nuovo lustro e stabilità
alla mia terra e ai suoi abitanti, allora essere chiamato tiranno non sarà poi
una punizione tanto malvagia.»
«Tu vuoi portare gloria a Roma, ma in quanto
soldato dovresti sapere che niente dura per sempre.»
«Sì, hai ragione.
Ogni cosa ha un inizio e una fine, e i regni umani non fanno eccezione.
Un giorno o l’altro anche Roma cadrà, e forse, gli dèi non vogliano, ogni sua
traccia visibile sarà cancellata.
Ma se io e coloro che verranno dopo di me
riusciremo nell’impresa di trasformare la storia in leggenda, allora Roma avrà
ottenuto l’immortalità assieme a tutto ciò che essa ha significato per coloro
che l’hanno vissuta.
Se poi io sarò stato o meno un tiranno, sarà la
storia a deciderlo. Nessuno sfugge al suo giudizio».
Kadar era sorpreso e meravigliato dalla
personalità di quell’uomo, che pur aspirando ad
ottenere la gloria e l’immortalità per il mondo a cui apparteneva e sforzandosi
con tutto sé stesso alla ricerca di nuova giustizia non sembrava aspirare ad
alcun tipo di gloria personale.
«Ricorda, ragazzo. Sono i nostri desideri e le
nostre aspirazioni a renderci ciò che siamo.
Io non ero niente, una volta, ma il sogno di dare nuova vita al mio
popolo mi ha permesso di andare avanti, aiutandomi in qualsiasi situazione.
Se continuerai ad abbracciare con forza un sogno, soprattutto se nobile,
in un modo o nell’altro troverai sempre la forza per andare avanti, fino al
momento in cui lo avrai perseguito.»
«Tu… ne sei sicuro?»
«Guardami. Sono la prova evidente che è così. E
credimi, verrà il momento in cui anche tu dovrai aggrapparti con forza ai tuoi
sogni per riuscire a sopravvivere. Quel momento, prima o dopo, viene per tutti.»
«Forse hai ragione.
Beh, ora è giunto per me il momento di andare.»
«Mi ha fatto piacere parlare con te, ragazzo.
Fino a che ci saranno guerrieri come te a prendere parte al torneo, Seth avrà
un motivo in più per dover temere gli esseri umani.»
«Ti ringrazio. Non ti dimenticherò, è una
promessa.»
«Sono convinto che un giorno o l’altro ci rivedremo».
A quel punto Kadar con un balzo raggiunse
nuovamente il muro di cinta, e dopo aver rivolto a Cesare
un ultimo cenno di saluto scomparve fra i vicoli della città, disperdendosi tra
la folla.
Quanto era stato cieco!
Come aveva potuto dimenticarsi di quell’incontro?
Il suo dolore, la sua paura, i suoi timori nascosti: tutto ciò aveva
nutrito il ΜένοςAδηλος, gli aveva dato forza, quindi
se voleva biasimare qualcuno quello era solo lui.
Era stato costruito, smontato e rimontato, ma questo non gli impediva di
essere umano: aveva un cuore e una mente suoi, per non parlare della sua anima,
quell’anima che gli era stata strappata via per
l’ennesima volta per essere nuovamente rimaneggiata al fine di cancellare tutto
ciò che aveva valore, che col tempo aveva imparato ad amare.
Finalmente capiva come mai aveva sentito un legame con Nadeshiko fin dal
loro primo incontro: lei era il suo amore eterno, la compagna con il quale, in un angolo remoto del suo animo, aveva sempre
sognato di ricongiungersi, cercandola inconsciamente.
Ora, dopo più di due millenni, si erano finalmente ritrovati, ma lei in
quel momento era in pericolo, minacciata da qualcuno che voleva
portar via loro la ritrovata felicità, nonché la possibilità di poter stare
nuovamente insieme.
Non poteva permetterlo: non lo avrebbe mai permesso!
Come quei pensieri gli attraversarono la mente dall’interno dell’uroboros che portava ancora al collo
sentì in quella provenire un’energia benevola e famigliare.
La riconobbe: era l’energia di Nadeshiko, che malgrado
la sua anima avesse già da tempo lasciato il pendente erano rimasti al suo
interno, latenti, in attesa del momento in cui fosse stato necessario il loro
risveglio.
Toshio ebbe l’impressione di trovarsi in un mare di tenebre, ma alzando
lo sguardo vide, immersa nella luce, la ragazza che aveva sempre amato, così
come appariva il giorno in cui l’aveva vista morire davanti ai suoi occhi senza
poter fare nulla per difenderla.
Gli sorrideva, tendendogli le braccia, come a volerlo chiamare a sé;
lui, nuotando nel niente, le si avvicinò, sfiorandole
una mano e avvertendone subito il calore.
Il corpo del guerriero fu avvolto da una luce bianca e caldissima, e le
lame che lo tenevano inchiodato alla parete lentamente si allontanarono,
staccandosi e cadendo a terra mentre le ferite ai palmi, come per incanto, si
rimarginavano da sole.
Toshio rimase a levitare a pochi centimetri dal suolo, poi quella luce
lo inglobò al suo interno per poi schizzare velocissima verso l’alto,
scomparendo oltre il sorritto.
Intanto Sanak stava rapidamente soccombendo sotto i colpi implacabili di
Padre Andersen, ma del resto era prevedibile: in fin dei conti, era stato fra i
supervisori al suo addestramento, visto e considerato che
inizialmente il re Akunator aveva espresso il suo più
totale rifiuto all’idea di impiegare ancora lo spirito del principe Touya da usare come rappresentante al torneo.
Ciò aveva quindi obbligato Andersen e altri qualificati maestri d’arme e
di magia ad addestrare al meglio Sanak per farne il
nuovo stendardo della città di Nepthys, ma poi,
all’improvviso e inspiegabilmente, il re era tornato sui suoi passi, dando il
proprio benestare, e questo non aveva fatto altro che aumentare la frustrazione
del principe, che aveva visto il sogno di una vita scivolargli dalle mani
proprio quando era sul punto di avverarsi.
Alla fine un colpo più potente degli altri scardinò la difesa di Sanak,
e il principe, investito dalla potenza del colpo, rotolò sul terreno ruvido del
tetto per parecchi metri, fermandosi esanime ai piedi di Nadeshiko.
«Sanak!»
«Hai fatto la tua scelta, principe.» disse Andersen riprendendo in mano
il contenitore «Io devo portare a termine la mia missione, come la concepisco
io!».
Prima che il sacerdote potesse assestare il colpo finale, però, la
fiamma all’interno del tubo di vetro prese a brillare con forza inaudita, e subito
dopo dal cielo piovve una cometa che si infranse in
mezzo fra i due contendenti.
«Toshio!» disse Keita appena il chiarore si dissolse abbastanza da poter
scorgere la figura del loro amico, apparentemente svenuto
«Non è possibile!» esclamò Andersen «Come ha fatto ad arrivare fin
qui?».
Sanak, ripresosi quel tanto che bastava,
approfittò immediatamente della distrazione delnemico, avventandosi su di lui e riuscendo nell’impresa di sottrargli il
contenitore, che volando nell’aria alla fine andò a sbattere violentemente a
terra, rompendosi.
«No!».
La fiamma bianca, divisasi in tanti aloni più piccoli, volteggiò in
tutte le direzioni per qualche secondo per poi riunificarsi sopra il corpo di
Toshio e penetrare nella sua bocca.
Seguirono attimi di ansia, poi, finalmente, si udì un lieve gemito, e
dopo poco il ragazzo aprì gli occhi, incontrando subito l’espressione
sorridente e gioiosa di Nadeshiko, che inginocchiata davanti a lui lo
sorreggeva tra le braccia dal momento in cui era arrivato.
«Na… Nadeshiko…»
«Toshio!» disse trattenendo le lacrime «Grazie al cielo stai bene!».
Lui, sorridendo a sua volta, le accarezzò una guancia.
«Temevo di averti persa di nuovo.»
«Anche io. E il solo pensiero mi faceva morire».
I loro volti si avvicinarono, e per la prima volta dopo più di due
millenni entrambi riscoprirono la gioia infinita di un bacio, breve forse, ma
carico di significato.
«Ti prometto che, da ora in poi, non ti lascerò
mai più.»
“Un… un momento.” pensò Sanak osservando la scena “Quel corpo… era
artificiale. L’anima non avrebbe dovuto farvi ritorno, se non dietro
costrizione. Se ha accettato di rientrarvi spontaneamente…
allora significa… che ora lo riconosce come proprio”.
Toshio fu aiutato da Nadeshiko a rimettersi in piedi, e nella sua mano
comparve nuovamente la spada d’oro.
«Avrei dovuto immaginarlo.» disse Andersen guardando i due ragazzi «Non c’è forza al mondo grande abbastanza da tenervi
lontani.
Tuttavia» disse alzando i pugnali ed esibendo un secondo contenitore
«Devo comunque fare ciò che ritengo giusto.»
«Nadeshiko. Tu resta indietro. Questo è affar
mio.»
«D’accordo. Fa attenzione».
Andersen partì all’attacco, ma a differenza di quanto accaduto poche ore
prima stavolta Toshio era nel pieno delle forze, anzi, sembrava essere
addirittura migliorato, e riuscì ad opporsi a lui con
estrema facilità; dopo qualche scambio gli spedì una sfera di energia magica
dritta nello stomaco per farlo indietreggiare, impresa che riuscì appieno, ma
ciò non sembrò essere sufficiente per costringere il sacerdote a gettare la
spugna.
«Andersen, ti prego! Non voglio farti del male!»
«Te l’ho detto! Porterò a termine la mia
missione, in un modo o nell’altro».
Toshio non sapeva cosa fare, ma l’affetto che, malgrado
tutto, provava per padre Andersen lo indussero a colpirlo con una
seconda sfera magica che lo spedì definitivamente al tappeto in uno stato di
semi-incoscienza.
«Hai perso. Questo scontro è finito.»
«Tu… maledetto…»
«Io capisco il tuo desiderio di voler proteggere
questo mondo. Hai seguito la tua strada. Non posso dire di non provare odio nei
tuoi confronti e verso tutti coloro che per millenni
mi hanno usato come un oggetto, ma in nome delle ragioni che vi muovevano sono
disposto a perdonarvi.»
«U… uccidimi. Se non posso… se non posso fare
quello che ritenevo fosse giusto… non ho motivo di vivere…»
«Mi spiace. Ho smesso di uccidere
indiscriminatamente».
Detto questo il ragazzo si girò per tornare dai
suoi amici, ma Andersen, approfittando di questa azzardata imprudenza, tentò
l’estremo tentativo per concludere ciò che aveva cominciato, e facendo appello
alle sue ultime forze urlando come un ossesso sollevò il pugnale per vibrare un
fendente fatale.
«Toshio attento!» gridò Shinji.
Prima che il ragazzo potesse voltarsi però
Andersen si fermò di colpo, spalancando la bocca in un’esternazione di dolore;
rialzatosi, Sanak gli era arrivato alle spalle, trafiggendolo con la sua spada
in mezzo alla schiena prima che lui potesse fare lo stesso con il fratello.
«Ma… maledizione…» mugugnò sputando sangue.
Lasciata la propria arma conficcata nel corpo del nemico Sanak si portò a fianco di Toshio, e insieme i due stettero
a guardare mentre padre Andersen, con uno strano sorriso stampato in faccia,
camminava lentamente all’indietro.
“Ci libererà…” pensò con il suo ultimo alito di vita “Ci libererà…
tutti…” e, raggiunto il parapetto, si lasciò cadere all’indietro, precipitando
sul selciato.
I ragazzi scesero a loro volta e coprirono il corpo del religioso con un
telo in segno di rispetto: forse, si dissero, aveva agito nel male, ma le sue
intenzioni tutto sommato erano nobili, pertanto
meritava se non altro un’adeguata sepoltura.
Toshio e Sanak si guardarono; anche se non si poteva dire che il
principe avesse perdonato suo fratello per le colpe che gli attribuiva, se non
alto sembrava che i suoi sentimenti per lui si fossero un po’ ammorbiditi.
«Sanak, io…»
«Non parlare. Non c’è niente da dire.»
«Per quel che può valere, mi dispiace di come sono andate le cose».
Sanak inizialmente restò in silenzio, guardando ora il cielo ora il telo
che copriva il corpo di Andersen.
«Nostro padre è sempre stato contrario agli esperimenti che venivano condotti su di te, e aveva deciso di non perpetrare
ulteriormente questo abominio.
Non so cosa lo abbia spinto a cambiare idea all’ultimo momento, ma
questo non cancella il fatto che mi sono visto
costretto a rinunciare al sogno di tutta una vita.
Di questo, un giorno o l’altro, dovrai rendermene conto, ma fino ad allora, in nome dei nostri doveri di guardiani, sono
disposto a lasciare i miei propositi da parte».
Non era esattamente una proposta di amicizia, ma ciò nonostante Toshio
si sentiva comunque soddisfatto.
In quella, tutti ebbero la sensazione di non essere soli, malgrado la zona fosse stata circondata da un fuuzetsu;
alzati gli sguardi, si ritrovarono a tu per tu con Wei,
che lo osservava da sotto la luce di un lampione.
«Vi prego, calmatevi.» disse vedendo che alcuni di loro stavano mettendo
mano alle armi «Non sono qui per combattere.»
«Chi sei?» domandò Takeru
«Mi chiamo Wei. Sono il
maggiordomo della famiglia Von Karma.»
«Il maggiordomo di Johan!?» esclamò Shinji
«Se non vuoi combattere, per quale motivo sei qui?» chiese Sanak
«Per aiutarci!?» ripeté Keita
«Immagino stiate cercando il castello dei Von
Karma, il luogo in cui si nasconde Seth. Lo troverete quaranta chilometri a
nord-est della città, nel folto delle foreste.»
«Che cosa!?» disse Toshio «Per quale motivo ci
stai rivelando il luogo dove si nasconde il tuo padrone?»
«Sua eccellenzaManfred
Von Karma, prima di morire, mi affidò l’incarico di vegliare su suo figlio.
L’anima di Seth per generazioni e generazioni
si è tramandata tra i discendenti maschi del ramo principale della famiglia. Ognuno
di loro portava su di sé il segno indelebile dello spirito oscuro che dimorava
nel suo corpo.»
«Il segno indelebile?» domandò Aria «Di che stai parlando?»
«Aspettate.» intervenne Keita «Ricordo di aver sentito dire qui a Monaco
che tutti i baroni Von Karma avevano un tratto
distintivo, ovvero i capelli bianchi, o comunque tendenti all’argento.»
«È così. La colorazione chiara dei capelli
testimoniava la presenza di una parte dell’anima di
Seth all’interno dei loro corpi. Manfred Von Karma
era conscio del fatto che suo figlio sarebbe diventata
la nuova incarnazione del dio in vista del prossimo torneo, e chiese a me di
proteggerlo.
Egli aveva fatto di tutto per impedire che un tale
evento si verificasse, memore anche della sorte che viene riservata ai
portatori di questo fardello.»
«Di che sorte parla?» chiese Nadeshiko
«Lo spirito di Seth è come un tumore che divora
il corpo nel quale trova rifugio. Un comune essere umano non può sopportarne il
peso, e finisce per rimanerne schiacciato. Tutti i baroni Von Karma hanno visto
i loro cuori consumarsi inesorabilmente, e prima o poi
questa sorte potrebbe toccare anche al signorino Johan.»
«Che cosa!? Johan potrebbe morire!?»
«Il signorino è dotato di poteri molto grandi,
più grandi di quelli dei suoi predecessori, ma è un’eventualità che non si può
ignorare.
Inoltre, a me era stato dato l’incarico di
proteggere Johan. All’inizio pensavo che l’unica cosa da fare fosse lasciare
che gli eventi si svolgessero da sé confidando nella forza d’animo e nella
risolutezza del signorino, ma con il passare del tempo la volontà di Johan Von
Karma si è annichilita, offuscata da quella oscura e malevola di Seth.
Per questo, ho deciso che l’unico modo per adempiere
alla promessa fatta al barone era fare in modo che Seth venisse
sconfitto.»
«Come facciamo a fidarci di quello che ci stai dicendo?» domandò Sanak
senza riserve «Infondo potrebbe essere benissimo una trappola.»
«Sta dicendo la verità.» rispose Nadeshiko
«Come fai ad esserne sicura?»
«Io conosco Johan. Tutti noi lo conosciamo. Anche
se introverso e schivo è una persona dall’animo nobile. Non si sarebbe mai
macchiato di azioni tanto malvagie come quelle a cui
abbiamo assistito.»
«Sapevo che mi avreste dato fiducia.
Ora so che la sorte del signorino è in buone mani. Avrei
solo voluto essere presente il giorno in cui avesse preso in mano ufficialmente
le redini del casato. Sicuramente, porterà lustro e onore alla famiglia Von
Karma.»
«Perché dice così?» chiese Shinji
«Non c’è posto per i traditori nell’esercito di Seth.» rispose Wei con un sorriso sincero, come di liberazione «Il mio
destino era segnato dal momento in cui ho preso questa decisione.»
«Non deve dire queste cose.» disse Keita «Noi
non permetteremo che le accada nulla di male. Sconfiggeremo Seth prima che sia
troppo tardi.»
«Mi dispiace. È già troppo tardi temo».
All’improvviso, tutto attorno al vecchio maggiordomo si formò un anello
di fiamme azzurre ed altissime che prese velocemente a
restringersi, ma ciò nonostante Wei rimase immobile
come una statua e con il suo solito, gentile sorriso.
«Vi affido il signorino. Abbiate cura di lui.»
disse prima di venire inghiottito dal fuoco
«Wei!».
In pochi secondi le fiamme si spensero, e la tristezza per tutti fu
grande, ma ben presto alla tristezza si sostituì la determinazione: quell’uomo
aveva sacrificato la sua vita per permettere a loro di fare la cosa giusta e di
liberare Johan dal demone che lo possedeva. Per nulla al mondo avrebbero deluso
le sue speranze.
«Toshio.» disse Sanak «È ora e tempo che io torni a Nepthys.»
«Tu non
vieni con noi?»
«Ho un po’ di conti in sospeso da sistemare. Conti importanti.
Ma non preoccuparti, tornerò prima di quanto tu possa immaginare».
Dopo poco
che il fuuzetsu fu infranto lo stesso uomo che Toshio aveva contattato
poche ore prima per ottenere informazioni sul nascondiglio di Seth raggiunse il
piazzale con il suo fuoristrada. Il corpo di Andersen, avvolto nel lenzuolo, fu
depositato nel bagagliaio, e Sanak se ne andò assieme a lui dopo aver promesso
al fratello di tornare il prima possibile in tempo per
la battaglia finale.
Rimasti
soli i ragazzi si guardarono l’un l’altro; alla fine, era giunto il momento, il
momento del faccia a faccia decisivo.
«Ora sappiamo dove andare.» disse Toshio «Chiudiamo questa storia».
Nota dell’Autore
Rieccomi!
Il periodo degli esami
sta volgendo al termine (ne manca solo uno, forse due,
e poi tanti saluti!), e così la voglia di scrivere è aumentata enormemente.
Mancano esattamente 8 capitoli alla conclusione, volendo includere anche l’epilogo,
ma questo è stato con molta probabilità l’ultimo capitolo di grandi dimensioni:
i successivi, a rigor di logica, essendo dedicati quasi esclusivamente ai combattimenti,
non dovrebbero superare le 7-9 pagine.
Seguendo le indicazioni ricevute da
Wei i ragazzi, a bordo di un pick-up “preso in
prestito” dal garage dell’albergo, arrivarono davanti al castello dei Von
Karma.
L’atmosfera cupa e spettrale che vi albergava da che Seth era tornato sulla Terra si era fatta, col tempo, ancora più
fosca, e immerso così nel fitto del bosco quel gigantesco maniero sembrava
fatto apposta per una storia di fantasmi.
«Eccoci arrivati.» disse Shinji
«E questa volta» disse Lotte «Quel bastardo non ci sfuggirà».
In quella, il cielo stellato sopra al castello cominciò a riempirsi di
minacciose nuvole nere, che ruotando su sé stesse
andavano a formare un occhio del ciclone proprio sopra la grande torre
centrale, dalla quale quasi contemporaneamente si sollevò una colonna di luce
viola scuro.
«E adesso che sta succedendo?» chiese Keita
«Non ne ho idea.» rispose Toshio «Lo scopriremo
andandoci di persona. Muoviamoci.»
«Aspettate.» disse Takeru «Abbiamo compagnia».
E difatti, prima di poter muovere un passo, Keita e gli altri furono
circondati da diverse decine di soldati neri uguali a quelli che li avevano
attaccati a Venezia.
Aria e Lotte immediatamente ci si scagliarono
contro, la prima scagliando globi di energia magica la seconda a suon di calci
e pugni così potenti da mandarli in frantumi al primo colpo.
Sfortunatamente, più ne uccidevano più ne sopraggiungevano attraverso
quei piccoli portali scuri, lasciando la situazione sostanzialmente invariata.
«Voi andate avanti.» disse Aria «A questi pensiamo noi.»
«Ma sono in troppi.» disse Nadeshiko «A lungo andare
rischierebbero di sopraffarvi.»
«Non temere.» disse Takeru sfoderando la katana «Non
saranno sole. Resterò io a dargli manforte.»
«Sicuro di quello che fai?» chiese Toshio
«Più che sicuro. Andate ora».
Aria batté violentemente la mano a terra, generando un grande fiume di
energia che spazzò via un gran numero di nemici ed
aprì la strada fino all’ingresso, consentendo ai suoi compagni di proseguire;
Keita e gli altri non si lasciarono cogliere impreparati e corsero
all’impazzata, avventandosi sulla porta e precipitandosi all’interno per poi
richiudere i battenti e bloccarli con un incantesimo che li avrebbe preservati
da qualsiasi tentativo di sfondamento almeno per mezz’ora.
L’atrio d’ingresso della residenza Von Karma era davvero immenso, di
forma quadrangolare e con un ampio soffitto a volta riccamente affrescato con
scene mitologiche; tramite una scala a ventaglio costeggiata da corrimano in marmo con quattro statue di angeli, due in cima e due
alla base, alte ognuna oltre un metri, si accedeva alla balconata superiore e
ai vari archi e porte che conducevano nelle ali laterali del castello; un
portone proprio davanti alla cima della scala permetteva invece di accedere al
grande e lungo corridoio al termine del quale si trovava l’ala signorile, dove
vi era fra le altre cose la sala da ballo.
«Però.» disse Shinji «Mica male la casetta.»
«Non abbiamo tempo per fare i turisti.» tagliò corto Toshio «Troviamo
Seth e facciamola finita.»
«Sono d’accordo.» disse Keita «Prima chiudiamo questa storia meglio sarà».
I ragazzi fecero per proseguire,ma improvvisamente una mano misteriosa
scagliò contro di loro una falce di luce rosso vivo che sopraggiunse dall’alto.
«Attenti!» gridò Shinji.
Lui e Keita riuscirono a buttarsi di lato, Toshio invece afferrò
Nadeshiko e si gettò in avanti, facendole da scudo; la falce colpì il terreno,
provocando una piccola esplosione e uno squarcio gigantesco, e tutti, rialzatisi,
immediatamente si misero sull’attenti.
Nel momento in cui Toshio e Keita materializzavano le proprie spade
Ushio e Yuuhi comparvero dinnanzi a loro saltando giù
dai due lati della balconata superiore; la lama della spada di Ushio era di
colore rosso lavico e fumava come appena estratta dalla forgia, segno che molto
probabilmente era suo l’attacco che i quattro amici avevano fortunosamente
schivato.
«Ci rincontriamo, alla fine.» disse Ushio «Non
avanzerete oltre questo punto. Non interromperete l’opera del maestro Seth».
Yuuhi guardò Shinji in cagnesco, memore sicuramente del loro ultimo
incontro nel quale era stata ridicolizzata davanti alle sue sorelle, ed era
chiaro che desiderava la rivincita più di qualsiasi altra cosa.
«Voi tre andate avanti.» disse portandosi davanti a tutti «A loro ci
penso io.»
«Shinji, siete in due contro uno.» disse Keita «Sarebbe rischioso per te
affrontarle da solo.»
«Non temete.» rispose lui facendosi serio «Ho in sentore che presto
saremo due contro due.»
«Se
state pensando di svignarvela» disse Yuuhi, che stando ad
una certa distanza non poteva udire distintamente le loro parole «Sappiate che
non vi lasceremo passare. Nessuno di voi andrà oltre questo
atrio».
Invece, sfruttando l’effetto sorpresa, Toshio concentrò una piccola
quantità di potere magico in una sfera che gettò violentemente a terra e che
produsse l’effetto di una granata accecante generando una luce tanto forte da
confondere la vista; colte alla sprovvista, Ushio e Yuuhi dovettero chiudere gli
occhi, e quando li riaprirono Keita, Toshio e Nadeshiko
erano già a metà della scala.
«Non lo farete!» urlò Ushio agitando violentemente la spada, con una
forza impensabile per una ragazzina all’apparenza tutto
sommato gracile, e generando una nuova falce rossa.
Prima che Nadeshiko potesse rispondere a tono evocando una barriera,
avendone stavolta tutto il tempo, qualcuno si intromise
nel combattimento e, usando la propria arma come uno scudo, respinse
efficacemente l’attacco, lasciando allibite Ushio e Yuuhi.
«Lachesi!?».
Minami sollevò il volto, nascosto quasi interamente dietro la sua arma,
e fissò le due sorelle con occhi di severo ammonimento.
«Che significa?» ringhio Yuuhi «Hai forse deciso di schierarti col
nemico?»
«Resto io ad aiutare il vostro amico. Voi
proseguite. La vostra meta non è lontana.»
«Minami-san…» disse Nadeshiko
«Seth si trova nella sala da ballo alla fine di
quel corridoio. Fate attenzione, ha ancora Anubis e Nepthys al suo fianco.»
«D’accordo.» disse Toshio «Fate attenzione anche voi».
Ushio e Yuuhi erano così sconvolte per l’apparente voltafaccia della
loro sorella maggiore che non fecero più alcun tentativo di bloccare i
fuggitivi, neppure quando questi spalancarono la porta e scomparvero dietro di
essa.
«Maledetta traditrice.» disse Yuuhi «Questa te la farò pagare, puoi
scommetterci».
Seguendo l’esempio di Ushio anche la sorella minore creò un arco di luce
agitando la sua falce, ma ancora una volta Minami parò l’attacco per poi
raggiungere, con un salto, Shinji, ancora in piedi davanti al portone
d’ingresso.
«Come avevo detto, ora siamo due contro due.»
«Lachesi.» disse Ushio «Non so cosa ti abbia
spinto a tradire il nostro maestro, ma il tuo gesto non rimarrà impunito. Pensa
bene a quello che fai.»
«Ci ho pensato bene, puoi esserne certa. E se
devo essere sincera, avrei dovuto farlo molto tempo
fa».
Lasciatisi alle spalle l’atrio e il
loro amico Keita, Toshio e Nadeshiko si incamminarono
a tutta velocità lungo il corridoio, che aveva da una parte un’interminabile
parete dall’altra una fila di finestre tutte uguali tra di loro, e oltre le
quali sembrava intravedersi sempre lo stesso passaggio, tanto l’oscurità
regnava sovrana.
Tuttavia, per quanto corressero, all’orizzonte non si intravedeva
alcuna porta che potesse costituire in qualche modo la fine della loro corsa, e
anzi più correvano più la strada da percorrere, invece che diminuire, sembrava
farsi più lunga.
«Ma che sta succedendo?» disse Keita fermandosi assieme agli altri per
riprendere fiato «Staremo correndo da più di due minuti e di questo corridoio
non si vede la fine.»
«Hai ragione.» disse Nadeshiko guardandosi attorno «Inoltre, ho come
l’impressione di essere sempre nello stesso posto.»
«In che senso?»
«Guarda quel quadro.» rispose la ragazza indicando il ritratto di un
nobile, probabilmente un antenato di Johan, in abiti cinquecenteschi e con un vistoso cappello sormontato da una piuma azzurra «Sono
sicura di averlo visto più volte mentre correvamo.»
«Hai ragione. Ora che ci penso, anche a me
sembra famigliare».
Toshio si inginocchiò con aria sospettosa e
poggiò una mano sull’elegante tappeto rosso che copriva il pavimento come a
voler tastare il terreno; poi, dopo qualche secondo, la sua espressione si fece
insieme stupita e sorpresa.
«L’illusione!»
«L’illusione!?» ripeté Nadeshiko
«Di che stai parlando?» domandò Keita
«Mio padre, il mio vero padre, usava una magia particolare, grazie alla quale riusciva a creare delle illusioni estremamente
realistiche.»
«Come faceva Hypnos.»
«No. Le sue erano di qualità molto superiore.»
«Quindi…» disse Nadeshiko «Questa è un’illusione!?»
«Esattamente. Ma
adesso che lo sappiamo… la festa è finita!».
Toshio a quel punto colpì violentemente il terreno con la punta della
spada, infilando la lama per alcuni centimetri; immediatamente i muri, il
soffitto e il pavimento furono attraversati da una sorta di scarica elettrica,
e subito dopo l’illusione andò in mille pezzi come una gigantesca stanza di
vetro, rivelando il vero corridoio del castello e la porta che conduceva alla
sala da ballo, distante in realtà non più di qualche metro.
Seguì una forte corrente d’aria, poi i vari frammenti, trasformatisi in
un alone verdastro, si diressero verso Anubis, in
piedi davanti alla porta in questione, penetrando all’interno di una carta
lunga e stretta che lui teneva fra l’indice e il medio della mano destra e che
raffigurava qualcosa di molto simile all’immagine prodotta da un caleidoscopio.
Subito i ragazzi si misero in posizione di guardia.
«Anubis.» disse Toshio
«Lo conosci?» domandò Keita
«È stato il braccio destro di Seth in tutte le
precedenti guerre. Il solo fra i suoi servitori a non venire confinato nel
Libro dell’Oscurità.»
«Esattamente.» rispose lui con quella sua voce cupa, roca ed
echeggiante.
Toshio provò a scorgere qualcosa all’interno del cappuccio, ma sembrava
non esserci assolutamente nulla, come se davanti a loro vi
fosse stato un fantasma.
«Devo complimentarmi. Sei stato bravo a
smascherare l’illusione generata dalla mia carta. Del resto, non che mi
aspettassi qualcosa di meno dal figlio del grande Clow,
il creatore delle carte originali.»
«Non è stato poi così difficile.» rispose sprezzante il guerriero
ostentando sicurezza «Devo dire di essere alquanto deluso.»
«Certo, queste carte non sono potenti quanto quelle realizzate da Clow.» disse Anubis riponendo la
sua all’interno del mantello «Anche se le ho create
partendo dal suo modello e infondendovi tutte le mie conoscenze, sono di
qualità inferiore alle sue. Tuttavia, ti consiglio di non sottovalutarle, così
come non dovresti sottovalutare la portata della mia magia.»
«Non temere, la metterò subito alla prova!»
«Toshio, aspetta! Non essere impulsivo!»
«Povero stolto».
Da dentro la mantella di Anubis si generarono delle nuove, impetuose raffiche di vento, che
prendendo quasi le fattezze di una giovane donna, forse un elfo, avvinghiarono
Toshio come una catena, scaraventandolo violentemente indietro.
«Toshio!» disse Nadeshiko avvicinandosi a lui per aiutarlo a rialzarsi
«Te l’ho detto, non sottovalutarmi. Se sei
davvero il figlio di Clow, dovresti sapere che non si
deve scherzare con la mia magia. Dopotutto, tuo padre
è stato mio allievo.»
«Mio padre…» mugugnò Toshio rialzandosi a fatica «Mio
padre allievo di una creatura oscura come te? Nemmeno tra un milione di anni.»
«Erano altri tempi. Allora ero uno dei maghi
più rispettati del mio popolo, e Clow il mio allievo
più promettente. Le sue capacità erano sorprendenti. Sarebbe potuto arrivare in
alto, molto più in alto di me.
Ma poi, come molti altri, egli accettò di
seguire la via del cuore, piuttosto che quella della ragione. Il suo errore gli
è costato caro.»
«Se questo gli ha impedito di diventare come te, allora avrebbe di che
esserne fiero.»
«Forse è vero. Ho dovuto rinunciare a molte
cose per amplificare la portata della mia magia. Ma
concorderai con me che ne è valsa la pena!».
Anubis allargò le braccia alzandole sopra di
sé; sui palmi delle mani gli comparvero dei globi elettrici, e immediatamente
centinaia di fulmini presero a piovere nel corridoio sventrando sia le vetrate che il soffitto.
Nel tentare di evitare quella specie di bombardamento, i tre ragazzi vennero irrimediabilmente separati; Keita schivava alcuni
dei fulmini, altri li respingeva con la spada, altri ancora venivano respinti
dalle barriere create da Nadeshiko, che contemporaneamente cercava di
distruggerne alcuni con dei fasci luminosi.
Anche Toshio faceva del suo meglio per resistere all’attacco di Anubis, cercando contemporaneamente sia di attaccare
direttamente il nemico sia di proteggere i suoi compagni; d’un
tratto, sollevando lo sguardo, si avvide che Anubis
aveva in mano un’altra carta, raffigurante una sorta di clown con una lunga
gonna, e che la stava puntando in direzione di Nadeshiko.
Non aveva la minima idea di quali poteri avesse, ma di certo non poteva
significare nulla di buono.
«Nadeshiko, attenta!».
Senza esitazioni le corse incontro nel
tentativo di proteggerla, scomparendo assieme a lei all’interno di quello che
sembrava un piccolo buco nero e che li inghiottì inesorabilmente, facendoli
scomparire senza che loro, come pietrificati, facessero nulla per tentare di
impedirlo.
«Nadeshiko! Toshio!» gridò Keita vedendoli
svanire «Che cosa gli hai fatto?»
«Ho usato su di loro la carta della Scomparsa.
Ora sono prigionieri al suo interno. E per quanto riguarda te…».
La scarica di fulmini cessò di colpo, e contemporaneamente Keita fu
travolto da una luce fortissima che minacciò di accecarlo; quando il ragazzo
riuscì a riaprire gli occhi, però, pensò che la forza del bagliore gli stesse giocando un brutto scherzo.
Dal cupo e buio corridoio in cui si trovava un attimo prima
era passato in un luogo che definire strano era poco; pur avendo la sensazione
di poggiare i piedi su di una superficie solida era immerso nel nulla, in un
luogo apparentemente privo di spazio e di tempo in cui fluttuavano, come
sospese nel nulla, le cose più disparate: statue classiche, armi, insegne
varie, foto celebri di diversi periodi storici, quadri e ritratti di uomini
illustri, macchine di vario tipo e poi orologi, orologi a non finire,
liquefatti e fermi come quelli raffigurati nei quadri di de Chirico.
«Ma… cosa significa?» disse attonito il ragazzo vedendo Anubis comparire dal nulla a una decina di metri da lui
«Dove siamo?»
«Questo è un intermundio.»
«Un… intermundio!?»
«Un mondo tra i mondi. Un luogo al di là delle normali dimensioni parallele che
costituiscono il multiverso e la realtà così come la
si concepisce. Qui le regole dello spazio e del tempo sono distorte, da qui è
possibile varcare la soglia che conduce a molti mondi.
E qui, è dove tu morirai».
«Ormai manca poco.» disse Johan
guardando il fascio di luce sul tetto della torre da una delle finestre della
sala «Tra meno di un’ora il varco sarà aperto, e
potremo lasciare finalmente questo dannato posto.»
«Se ancora ci penso mi sembra incredibile.»
disse Nepthys «Quello spadaccino è davvero il figlio
di Clow.»
«Quel dannatissimo mago riesce a crearmi problemi anche da morto.»
«Vuoi dire che aveva previsto come sarebbero andate le cose?»
«Chi può dirlo? Quell’uomo ne sapeva una più
del diavolo. Non mi sorprenderei se avesse messo al mondo un figlio con il solo
scopo di creare un avversario in grado di contrastarmi.
Ma non importa. Quando la mia anima sarà
completamente riunita all’interno di un solo corpo, neanche il discendente del
grande Clow potrà più nuocermi».
Franziska, che da quando era stata improvvisamente e selvaggiamente
schiaffeggiata dal suo stesso fratello, quel fratello
che prima d’ora non aveva sollevato la mano neanche per scacciare le mosche,
rimaneva seduta su di una poltrona appoggiata al muro, immobile come una
bambola, e guardava ossessivamente a terra, triste come non mai.
Johan, vedendola così, si mosse verso di lei, probabilmente per tentare
nuovamente di portarla dalla sua parte con qualcuna delle sue parole suadenti.
«E comunque» disse rivolto a Nepthys«Non c’è ragione di preoccuparsi. In questo momento Isis e quello spadaccino sono nelle grinfie di Anubis, e nessuno è mai uscito vivo dalla sua stretta
mortale.
Di lui mi fido cecamente. A differenza di qualcuno non ha mai dato
motivo di deludermi, e soprattutto non mi ha mai tradito.»
«Hai ragione. Ma, se posso permettermi… ».
Prima di poter sentire la fine della frase Johan si ritrovò la mezzaluna
dello scettro di Nepthys appoggiata alla spalla
destra; il ragazzo rimase immobile, come congelato, senza neppure voltarsi a
guardarla, ma ostentando la sua solita, inalterabile sicurezza.
Quel gesto svegliò dal suo torpore anche Franziska, che tuttavia non
riuscì a fare altro che osservare, visibilmente shoccata, ciò che stava
succedendo dinnanzi a lei.
«Tu sei l’ultima persona che possa parlare di tradimento».
Lo scontro nella hall intanto
vedeva uno stato di relativa parità, o meglio, un totale disinteresse a fare
sul serio da parte di una delle due squadre.
Mettendo insieme la maggiore esperienza e il talento tutt’altro che
trascurabile Minami e Shinji avrebbero potuto aver ragione di Ushio e Yuuhi in
qualsiasi momento, ma entrambi si trattenevano, limitandosi a parare i colpi
delle avversarie e a metterle nella condizione di indietreggiare.
L’arma di Minami in particolare si rivelava estremamente
utile, soprattutto come mezzo difensivo, e la ragazza, proprio come le sue due
sorelle, riusciva a maneggiarla con estrema scioltezza, malgrado dovesse
sicuramente pesare più di lei.
Ad un certo punto Minami tentò di attaccare
Shinji spiccando un salto altissimo e menando un fendente, approfittando del
fatto che lui in quel momento era impegnato a confrontarsi con Yuuhi, ma trovò
sulla propria strada lo scudo della sorella che, duro come il diamante, la
respinse, producendo un assordante rumore metallico e una tempesta di scintille
per poi costringerla a rinunciare.
Anche Shinji ebbe ben presto ragione di Yuuhi, e dopo aver schivato il
suo ultimo colpo di falce le inflisse un calcio non
troppo potente ma comunque doloroso; la ragazzina barcollò all’indietro tenendosi
lo stomaco con la mano libera, e quando risollevò gli occhi erano iniettati di
rabbia.
«Questa me la paghi.»
«Adesso basta!» disse Minami «Questa storia deve finire!»
«Taci, traditrice!» replicò Ushio altrettanto incollerita «Tu che ti sei
schierata coi nostri nemici non hai il diritto di
farci la ramanzina!»
«Ma insomma, volete capire o no che questa è pura follia?» intervenne
Shinji «Seth vi sta usando, lo ha sempre fatto! Volete
davvero morire per una persona simile?»
«Parli di Seth come se fosse un essere mostro.
Siete voi umani i veri mostri. Basta vedere cosa avete fatto a questo mondo e
come vi trattate tra di voi per rendersene conto.»
«È vero. Gli umani possono essere crudeli. Sono
capaci di atti orribili, e arrivano anche a gloriarsene. Ma
non tutti sono così.
Prendete vostra sorella, ad esempio.»
«Nostra sorella!?» esclamò Yuuhi sorpresa
«Credete a me, umani col suo buon cuore ce ne sono davvero pochi.»
«Di che stai parlando?»
«Ancora non lo avete capito? Tutto ciò che
Minami ha fatto da che tutto questo ha avuto inizio lo ha
fatto solo per voi.»
«Cosa!?»
«Minami, che significa?»
L’interessata si morse le labbra e distolse lo sguardo, colta da un
improvviso timore di dire la verità; Shinji, serio
come non mai, la guardò dritta negl’occhi.
«Non è questo il momento di avere paura. Ti sei
tenuta la verità dentro per troppo tempo. È giunto il momento che anche loro
sappiano».
Minami, ancora, temporeggiò, ma poi, colpita dalla determinazione che
albergava negli occhi di Shinji, decise di dargli fiducia, e raccolta la
propria si girò nuovamente verso le sue sorelle.
«Ushio. Yuuhi. Mi dispiace per quello che vi ho
fatto.
Mi rendo conto che ho sbagliato a nascondervi la verità sui nostri
genitori, così come ho sbagliato a lasciare che le cose andassero per il loro
senso dopo che le nostre anime sono state liberate dal Libro dell’Oscurità.
Ero convinta che in questo modo avrei potuto
proteggervi, invece non ho fatto altro che aumentare la rabbia e la
voglia di vendetta che avevate nel cuore.
Spero che potrete perdonarmi».
Le due sorelle minori erano visibilmente sorprese, ed
osservavano Minami con gli occhi sbarrati e la bocca socchiusa; tuttavia, Yuuhi
sentì ben presto montare di nuovo la rabbia dentro di sé.
«Pensi davvero che questo sia sufficiente?
Hai una qualche idea di tutto quello che abbiamo dovuto passare a causa
della tua ipocrisia!»
«Mi dispiace, Yuuhi. Io cercavo solo di
proteggervi. Non volevo che vi trovaste costrette ad affrontare ciò che avevo
dovuto sopportare io, per questo non vi ho mai detto
la verità.
Ora mi rendo conto che è stato un errore.»
«Un errore!?» tuonò la sorella minore rossa di
collera «Solo un errore!? Hai idea di come mi sia sentita venendo
additata davanti a tutta la classe come la figlia di un mafioso, di un
assassino?»
«Certo che lo so, perché ci sono passata
anch’io. Quando ho scoperto che cosa facesse nostro padre per avere tanto
denaro e per doversi spostare in continuazione mi sono sentita morire dentro, e
come voi ero infuriata con un mondo che mi allontanava e mi etichettava per
qualcosa di cui non avevo colpa.
Non vi nascondo che mi sono sentita sollevata quando quell’uomo è morto,
ma se sono stata in grado di ridare un qualche valore alla mia esistenza il merito è solo vostro.»
«Nostro?» ripeté Ushio mutando la propria espressione, che da arrabbiata
si faceva sempre più colpita e commossa
«Il pensiero di avere voi due da crescere e a cui
dover badare è servito a mantenermi integra.
Ho dovuto rinunciare a molte cose per potermi occupare di voi, primo fra
tutti quello di diventare medico, ma ero ben felice di farlo se questo fosse
servito a farvi crescere felici.
Quando avete scoperto la verità che io volevo tenervi nascosta entrambe vi siete chiuse in voi stesse, proprio come avevo
fatto io, e invece di aiutarvi come avrei dovuto ho fatto finta di niente,
permettendovi di sviluppare sentimenti di odio e di intolleranza verso un mondo
dal quale, in verità, avevo sempre cercato di tenervi lontane.
Ora però ho capito che scappare dalla realtà non risolve i problemi, e
chi me l’ha fatto capire sono stati questi ragazzi.
Non Seth, che la realtà vorrebbe semplicemente ricrearla a proprio piacimento e
per il suo piacere personale.»
«Smettila!» gridò Yuuhi «Perché mai dovremmo
credere a tutte queste bugie! Ci stai mentendo, ci hai sempre mentito!»
«Siete sorelle.» intervenne nuovamente Shinji «Dovreste capire subito
quando una di voi non è sincera».
Anche Yuuhi a quel punto parve sorpresa, ma se sua sorella Ushio
sembrava sul punto di desistere lei al contrario
sembrava tutt’altro che convinta.
Minami si liberò della sua arma, che privata del sostegno del braccio
cadde rovinosamente a terra producendo un gran baccano, quindi, camminando
lentamente, si avvicinò alle sue due sorelle; Ushio era ormai completamente
inerte, e non batteva ciglio se non per nascondere le lacrime che stavano
cominciando a sgorgarle dagli occhi, Yuuki invece pareva una gatta ribelle che
soffiava e guardava malevolmente chiunque considerasse un pericolo.
«Ho sbagliato.» disse la sorella maggiore senza riuscire a trattenere le
lacrime «Ho sbagliato tutto. Ma
ora voglio rimediare.
Noi non siamo le parche, e non siamo dee. Siamo Minami, Ushio e Yuuhi Shimabara. Viviamo in un piccolo appartamento nei sobborghi
di Tokyo. Io lavoro tutto il giorno in un ufficio postale, e la notte studio
per sostenere gli esami, Ushio frequenta le scuole superiori, Yuuhi invece le scuole medie. Ushio va’ matta per
la cucina cinese, i gatti ed è bravissima a softball, Yuuhi è un piccolo genio
e non ha rivali in matematica, io invece sono un aspirante medico che chiede
solo di poter rimediare ai propri errori».
Appena si inginocchiò davanti a loro
porgendogli le braccia Ushio lasciò cadere la propria spada e si appoggiò
singhiozzando ad una delle sue spalle; Yuuhi invece continuava a mostrarsi
sospettosa, ma molto meno convinta di prima.
Minami la guardò dolcemente, non solo come una sorella, e non fu un caso
se per un attimo Yuuhi ebbe l’impressione di vedere sua madre, quella madre che in realtà non aveva mai conosciuto veramente,
poiché era morta quando lei non aveva neanche un anno.
«Ti prego. Permettimi di rimediare. Prometto
che non ti tratterò più come una bambina.
Affronteremo il mondo insieme, e forse un giorno potremo cambiarlo. Ma non in questo modo.
Non in questo».
A quel punto anche Yuuhi non riuscì più a fingere di far finta di
niente, e gettata via la falce corse ad abbracciarla, piangendo come la bambina
che, infondo, era sempre stata, costantemente schiacciata dai pesi opprimenti
della sua genialità e del retaggio famigliare che si portava dietro.
«Ricominceremo daccapo. E questa volta lo
faremo insieme».
Pochi minuti dopo, avendo fatto piazza pulita
dei nemici nel piazzale, Takeru, Aria e Lotte sfondarono la porta del castello,
trovando Shinji in amichevole conversazione con le sue ex avversarie; Ushio e
Yuuhi avevano ancora gli occhi rossi per il pianto, ma cercarono per quanto
possibile di mostrarsi salde e autoritarie.
«Dovete raggiungere subito i vostri amici.» disse Minami «Probabilmente
sono impegnati in uno scontro con Anubis, e avranno
bisogno di tutto l’aiuto possibile.»
«Che cos’ha in mente di fare Seth?» chiese Aria «La colonna di luce e
quell’ammasso di nuvole che sovrasta il castello hanno
raggiunto proporzioni esorbitanti.»
«È un portale. Un portale per il mondo nel
quale è stato tenuto rinchiuso, e dove ha lasciato la gran parte dei suoi
poteri. Intende tornare lì con il suo corpo umano per convogliarli tutti dentro
di esso.»
«Tutti i suoi poteri in un solo corpo!?» disse
Lotte «È forse impazzito!?»
«Johan Von Karma è speciale, proprio come la
vostra amica. Entrambi hanno la predisposizione ideale ad
ospitare al loro interno tutti i poteri di un membro della nostra razza, una
cosa impossibile per un comune essere umano.»
«In tal caso, dobbiamo fermarlo subito.» disse Shinji.
Lui, Takeru e le due gemelle si avviarono di corsa verso la porta che
conduceva alla sala da ballo; prima di andarsene, però, Shinji fu richiamato da
Yuuhi, che liberatasi delle lacrime gli rivolse uno di
quei sarcastici sorrisi.
«Non credere che sia destinata a finire così. Prima o poi, io e te chiuderemo tutti i conti in sospeso.»
«È quello che spero. E aspetterò quel momento con
ansia.» rispose lui sorridendo prima di sparire coi
suoi amici dietro il portone.
Da che il confronto
nell’intermundio aveva avuto inizio Keita si era ritrovato in perenne
difficoltà.
Uno dopo l’altro, Anubis aveva sfoggiato tutti
i suoi incantesimi più potenti, e non c’era nulla che il ragazzo sembrasse in
grado di fare per respingere gli attacchi del nemico.
«Questa sfida si sta rivelando più facile del previsto.» disse Anubis durante un momento di pausa «Mi sarei aspettato
molto di più da qualcuno che è riuscito ad arrivare così lontano».
Keita tentò di muovere un nuovo attacco correndo contro il nemico e
sferrandogli un fendente, maAnubis
schivò con estrema facilità spostandosi di lato per poi scaricare una corrente
d’energia dritta nello stomaco del ragazzo, scagliandolo lontano.
«Comincio davvero ad annoiarmi.
Le tue tecniche sono prevedibili, la tua capacità di controllo della
magia altamente discutibile. Ma
dopotutto, se tu sei arrivato fino a qui, è stato solo per merito dei tuoi compagni.
Loro hanno combattuto, hanno spianato la strada, tu invece non hai fatto
altro che seguire il sentiero che ti veniva aperto
davanti».
Purtroppo, quello che Anubis diceva con tanto
scherno era vero.
Shinji, Takeru e Nadeshiko avevano sopportato prove difficilissime nella
lunga strada che li aveva condotti da quella piazzetta di Venezia fino nel
cuore della base del nemico; si erano confrontati con
gli stessi generali di Seth, li avevano affrontati e vinti, rischiando talvolta
la vita.
Lui, invece, non aveva mai vinto, perché anche in tutti quei confronti
in cui aveva dato il suo contributo era sempre stato
qualcun altro a fare la differenza, togliendolo molto spesso da situazioni
potenzialmente letali.
La verità è che lui era la classica palla al piede, l’elemento debole
che limitava, e in certi casi ostacolava, il cammino del gruppo. Aveva
cominciato a sentirsi così fin dalla prima volta che si era trovato
nell’impossibilità di aiutare i suoi amici, e anche se con il passare del tempo
la situazione era un po’ migliorata lui non aveva mai,
mai fatto veramente la differenza.
Del resto Keita era consapevole che, fin da quando era piccolo, la sua
attività preferita era sempre stata quella di scansare i pericoli, e anche
quando finiva per ritrovarcisi coinvolto era sempre
stato qualcun altro a tirarlo fuori, perché lui da solo non ne aveva la forza,
o peggio ancora perché aveva paura.
Credeva di aver superato tutto questo, credeva
di essere riuscito a diventare una persona migliore, in grado di camminare da
solo, ma ciò che stava succedendo in quel preciso momento lo smentiva; senza la
forza di Toshio e la determinazione di Nadeshiko, lui non era in grado di fare
assolutamente nulla. Non era neanche sicuro di riuscire a rialzarsi dopo il
colpo micidiale che aveva subito.
All’improvviso, senza un apparente perché, il ragazzo si sentì mancare
il terreno sotto i piedi, anche se in fin dei conti un terreno vero e proprio
non c’era mai stato, e prese a precipitare nel vuoto in un volo senza fine;
solo dopo parecchi secondi, dopo aver gridato con tutta la sua voce, riuscì ad
aggrapparsi ad uno di quegli orologi liquefatti.
Anubis era scomparso, ma la sua voce
continuava a rimbombare tutto intorno, schernendolo senza pietà.
«Pazzo! Non capisci che gli intermundi
reagiscono ai pensieri di chi vi si trova?»
«Che cosa!?» esclamò lui incredulo
«È così che tu sei dentro. Fragile. Insicuro.
Vuoto.
La tua mente e la tua anima sono un infinito oceano di nulla. Solo frammenti di memorie, schegge di emozioni che trasudano
sentimenti di paura e rifiuto del mondo.
Come puoi definirti un guerriero?».
Keita si sentiva male come mai nella sua vita; forse a causa del suo
stato d’animo turbolento e poco concentrato la sua spada scomparve, e dopo poco
anche l’orologio a cui era aggrappato prese a
sciogliersi ancora di più come neve al sole, facendolo precipitare
ulteriormente prima di raggiungere, con un tonfo molto doloroso, un nuovo
pavimento invisibile.
Il ragazzo, segnato e ammaccato, riuscì faticosamente a rialzarsi, e
risollevato lo sguardo vide Anubis
nuovamente dinnanzi a sé; in mano teneva una nuova carta, lo Specchio.
«Ora è giunto per te il momento di confrontarti con il tuo lato
peggiore».
La carta dello Specchio si illuminò, accecandolo
momentaneamente, e quando riaprì gli occhi Keita vide, dinnanzi a sé, un altro
sé stesso, in tutto e per tutto simile a lui, ma con degli occhi profondamente
diversi, quasi senza vita, simili a quelli di un fantasma.
Il suo alter ego inarcò leggermente le sopracciglia, poi, con velocità
inaudita, gli andò contro, assestandogli un pugno potentissimo che lo
scaraventò in aria; prima di tornare a terra Keita riuscì a girare su sé stesso e ad atterrare sulle sue gambe, ma quel colpo lo
aveva visibilmente provato.
Lo
Specchio colpì nuovamente, e ne nacque un confronto a mani nude estremamente cruento, ma Keita, che non aveva granché
dimestichezza con le arti marziali escludendo quel poco che gli aveva insegnato
Izumi, era se possibile ancor più in difficoltà di quanto non lo fosse stato
fino a quel momento.
Tuttavia, le parole pronunciate da Anubis
prima che iniziasse lo scontro lo facevano riflettere:
aveva detto è giunto per te il momento di
confrontarti con il tuo lato peggiore.
Volendolo prendere alla lettera, significava che ciò che aveva davanti
non era altro che una ulteriore manifestazione di sé
stesso, o di una parte di sé di cui ignorava l’esistenza, o che forse non aveva
mai voluto vedere.
Dopotutto, lo specchio riflette ogni cosa; forse quello dinnanzi a lui era il Keita represso, il Keita battagliero e
aggressivo che era sempre stato tenuto in disparte, e che stava approfittando
del suo momento di libertà per vendicarsi dell’altra metà di sé stesso che
l’aveva sempre tenuto in disparte.
O forse, molto più semplicemente, era l’ennesimo tentativo di Anubis di metterlo in difficoltà, facendogli credere
qualcosa che non era vero.
Difficile trovare una risposta, ma era altresì vero che distrarsi per
cercarla non era la cosa migliore da fare in una situazione di quel tipo, e infatti, ad un certo punto, Keita venne messo alle corde e
subì un nuovo colpo al torace che per poco non gli spezzò le costole.
Il ragazzo rovinò in ginocchio mugugnando per il dolore, mentre il suo
alter ego lo sovrastava.
«A quanto pare siamo arrivati alla fine dei giochi.» disse Anubis«Era inevitabile che
finisse così. Chi si finge un guerriero pur non avendone le caratteristiche
alla fine soccombe.
È inevitabile».
Keita, faticosamente, cercò di rialzarsi per poter
proseguire lo scontro, e fu così, che, guardando il volto il suo alter ego,
notò una cosa che lo lasciò a bocc’aperta: lui… stava
piangendo.
Il volto era immobile come quello di una statua, ma i suoi occhi
apparentemente vuoti, piangevano lacrime amare, cariche di dolore, e sembrava
che nessuno a parte lui potesse vederle.
Era forse un’ennesima manifestazione del suo stato d’animo, del suo
essere interiore.
No. Non era questo.
Non era lui a piangere, non era Keita a dare sfogo al proprio dolore.
Chi piangeva era colui che si trovava al di
sotto dell’immagine, chi dimorava oltre l’illusione. Chi piangeva… era la
carta.
Keita ne era sicuro; non sapeva perché, ma sentiva distintamente che la
carta, apparentemente fredda e senza emozioni, come pure tutte le sue compagne,
stava piangendo copiose lacrime di dolore, di sofferenza e di rimorso.
Ma perché la carta avrebbe dovuto piangere?
Forse perché non condivideva ciò che veniva costretta
a fare. Ma era possibile per una semplice carta, che
per quanto potente non sembrava dotata di una propria volontà, esternare i
propri sentimenti in modo tanto visibile?
«Sei un essere tanto abbietto e insignificante
da non meritare neppure la morte per mano mia.
Avanti, finiscilo».
Anubis aveva impartito altri ordini allo
Specchio durante il combattimento, ordini che erano stati sempre puntualmente
eseguiti, ma stavolta, invece di ubbidire, la carta rimase immobile,
continuando ad osservare Keita coi suoi occhi che, pur
avendo smesso di versare lacrime, sembravano diventati di colpo un po’ più
vivi.
«Mi hai sentito?» ripeté lo stregone avvicinandosi visibilmente
infuriato «Ti ho detto di ucciderlo! Ubbidiscimi!».
Alla fine l’alter ego alzò il pugno, pronto a vibrare il colpo; lui e
Keita si guardarono dritti, poi la carta si girò di colpo e diresse quel pugno
verso Anubis, che lo bloccò imprigionandolo nella
propria mano.
«Che stai facendo?».
Lo Specchio continuò a fare pressione sul colpo e alla fine Anubis si vide costretto ad
indietreggiare, mollando la presa e scivolando all’indietro; la sua non
sembrava una camminata, quando piuttosto una rapida planata al livello del
suolo, il che contribuiva non poco ad accentuare la sua parvenza di spettro.
«Dannata traditrice! Adesso imparerai cosa
succede a sfidarmi!».
La carta, incurante della minaccia, attaccò di nuovo, ma questa volta Anubis non si fece cogliere impreparato e, schivato il suo
colpo, la afferrò per il collo come per strozzarla; lo Specchio tentò in ogni
modo di liberarsi, e alla fine, subito prima che le forze gli venissero del
tutto a mancare, riuscì ad allentare la presa quel tanto che bastava per
divincolarsi, ma questo non le impedì di veniva
investita da una bomba di vento che la scaraventò lontano.
«Insolente ammasso d’inchiostro! Quando avrò
finito con te ti ridurrò a brandelli!».
Ad un cenno di Anubis
tutto intorno allo Specchio si formò un anello di fuoco, e Keita non faticò a
riconoscere in quella tecnica la stessa che aveva ucciso Wei;
fortunatamente la carta riuscì ad allontanarsi giusto in tempo per non finire
incenerita, ma mentre era ancora a mezz’aria un fulmine spuntato dal nulla la
centrò in pieno, ricoprendola di ferite e bruciature su tutto il corpo, e
quando, semisvenuta, precipitò nuovamente a terra venne avvolta da un tenue
bagliore, cessando il proprio aspetto fittizio e rivelando quello di una
giovane ragazza con un pregiato kimono nobiliare con le maniche larghe e lunghi
capelli di un colore verde acqua; anche la sua pelle era insolitamente candida,
come quella di una bambola di porcellana.
«Adesso scoprirai cosa succede a fare il doppio gioco con Anubis».
Lo stregone allungò le braccia, che furono circondate da una nuova
fiamma blu, e dal nulla si generò un vortice di fuoco che si diresse contro la
ragazza, che stremata non poteva fare altro che guardarla mentre si avvicinava
inesorabilmente; se non che, all’ultimo momento,
Keita, con ritrovato e insospettabile vigore, si mise in mezzo, e incrociate le
braccia sul petto prese su di sé tutto l’attacco, facendo da scudo alla carta.
«Non lo farai!»
«Hai deciso di suicidarti, moccioso? Le mie
fiamme ti ridurranno in cenere!».
In effetti era vero: quel fuoco bruciava in
maniera indicibile, e il corpo di Keita, malgrado non presentasse segni di
ustione, era come immerso in un mare incandescente, tanto che a stento il
ragazzo riusciva a trattenere le urla di dolore.
Ma ora basta!
Era giunto il momento di farla finita. Basta scappare, basta evitare i pericoli, e basta contare sempre sugli altri
per uscirne.
C’erano lui, una creatura innocente che lo
aveva aiutato a rischio della sua stessa vita e un essere di una crudeltà
inaudita che per nulla al mondo doveva continuare a fare del male.
Doveva farlo, per i suoi amici e per salvare quelle carte che, ora ne era sicuro, ripugnavano il loro padrone, ma soprattutto
doveva farlo per sé stesso.
«Faresti meglio ad arrenderti! Se continui ad opporti così ai fuochi infernali finirai carbonizzato.»
«Non mi importa!»
«Che cosa!?»
«Io ho smesso di avere paura, e non intendo più
scappare! Non posso permettere ad esseri malvagi come
te di fare ancora del male!».
La spada del ragazzo gli comparve nuovamente in mano, e lui, messala
davanti a sé, riuscì finalmente ad avere in parte ragione dell’attacco nemico,
segandolo in due tronconi servendosi della lama affilata.
«Io combatterò! Questa è la mia scelta!»
Come Keita pronunciò quelle parole un fascio di
luce rosato uscì dal mantello di Anubis e sfrecciò
nella sua direzione, generando come un’esplosione che disperse totalmente il
fuoco del nemico minacciando anche di buttarlo all’indietro.
Anubis riconobbe subito la barriera che si era
formata davanti al ragazzo e non riuscì a credere ai propri occhi.
«Lo… lo Scudo…».
Keita si girò quindi verso lo Specchio.
«Stai bene?».
Lei lo guardò allibita, poi gli fece un sorriso gentile e ritornò alla
sua forma di carta, rimanendo a fluttuare davanti a lui, e altrettanto fece lo
Scudo.
Subito dopo, uno dopo l’altro, altri diciassette fasci di luce uscirono
dal mantello di Anubis e si portarono davanti a Keita
per poi venire circondati da un grande bagliore, e
quando, dopo poco, tutto si esaurì, le carte erano riposte dentro una sorta di
scrigno simile a quello dei contenitori inglesi da tè fatto, all’apparenza,
tutto d’avorio.
Attonito, Keita lo prese in mano, e subito poté avvertire un piacevole
calore provenire dal suo interno, nonché un senso di
appagamento e gioia.
«Non è possibile!» esclamò Anubis vedendosi
improvvisamente privato dei suoi assi nella manica «Perché?
Perché è successo tutto questo!?».
La risposta a questa domanda gliela fornì l’ultima persona che Keita si
aspettava di veder comparire, e che si materializzò, come al
solito, all’interno di un portale fatto di luce proprio alle spalle del
ragazzo.
«Davvero non lo capisci,Anubis?»
«Yu… Yuko!?» esclamò lo stregone
«Come hai detto tu stesso, le carte sulle quali facevi tanto affidamento
sono state create partendo dal modello di quelle di Clow,
ma eri così presto dal tuo proposito di creare delle carte ancora più potenti
da non accorgerti di aver conferito loro, similmente alle Carte di Clow, la capacità di provare sentimenti.»
«Provare sentimenti!?»
«Le Carte di Clow sanno distinguere la
differenza tra bene il male e riconoscono come proprio padrone colui che si opera nell’aiutare gli altri. Fino ad oggi il
tuo potere e la tua forza spirituale le hanno tenute soggiogate, ma ora hanno
trovato qualcuno più meritevole di te, qualcuno dotato non solo di un cuore, ma
anche di un potere superiore al tuo.»
«Che cosa!? Un potere superiore al mio!? Questo moccioso umano!?»
«Non è ironico?» disse Yuko con un sorrisetto
beffardo «Eri il maestro di Clow,
e alla fine ti sei trovato nella condizione di doverlo in qualche modo
eguagliare.
Lui era sempre stato più forte di te, questo lo sapevi meglio di
chiunque altro, ma non lo potevi accettare. Sei e sarai sempre il secondo. Il
fatto che tu abbia voluto imitare l’esperimento del tuo stesso allievo ne è la
prova.
Addio, maestro».
Yuko scomparve come era
arrivata, e Anubis parve calare nella furia più ceca;
lanciò un urlo terrificante, e il suo stesso corpo venne avvolto da un
altissima e luminosissima fiamma azzurra che cominciò a lacerare sia i guanti
che il mantello, questo mentre da dentro il cappuccio cominciavano ad
intravedersi sempre più minacciosi due occhi che scintillavano di rosso.
«Chi ha bisogno di quelle inutili carte?
Ridurrò in cenere sia te che loro!».
Il fuoco raggiunse proporzioni colossali, e quando Anubis
abbassò violentemente le braccia buona parte di esso
si scaricò su Keita, che senza esitazioni ci si lanciò contro facendosi strada
con le propria spada.
Lo scrigno che aveva con sé, assicurato alla cintura, si
illuminò, e dalla fessura tra il coperchio e il resto della scatola uscì
una luce che si materializzò nella mano sinistra di Keita nella forma di una
seconda spada, lunga e sottile come un fioretto ma all’apparenza più resistente
del diamante; una seconda luce avvolse entrambe le armi, circondandole di
fuoco, e grazie a questo il ragazzo riuscì senza problemi a farsi strada tra le
fiamme del nemico.
«No!»
«Per te è finita, Anubis!» gridò Keita
arrivandogli appresso e piantandogli con forza la Spada nel torace.
Vi fu una certa resistenza, segno che sotto quel mantello vi era molto
probabilmente un corpo protetto da un’armatura; Anubis
gridò ancora più forte, ma ancora non sembrava determinato a morire, e allora
Keita, annullato sul nascere un suo tentativo di colpirlo con un fendente degli
artigli bluastri ed affilati che gli erano spuntati
dai guanti lo trafisse anche con la seconda spada.
Quando ritrasse entrambe le armi dagli squarci
sgorgò una fortissima luce azzurra al posto di sangue, e le fiamme attorno al
corpo del nemico incominciarono a ruotare vorticosamente fino a formare un vero
e proprio tornado.
«Non è possibile! Non ci credo!» urlò Anubis prima che tutto quel
fuoco generasse una tremenda esplosione.
Keita chiuse gli occhi, e quando li riaprì era
di nuovo nel corridoio del castello; c’erano anche Toshio e Nadeshiko, distesi
a terra svenuti ma in buone condizioni.
Ancora attonito per quello che aveva appena
fatto, il ragazzo guardò un momento la spada che aveva nella mano sinistra;
questa, dopo poco, ridivenne luce e fece ritorno nello scrigno, e dopo poco Yuki apparve riflessa a mezzobusto su una delle vetrate di
destra, che sembrava aver assunto le fattezze di un vero e proprio portale.
«Devo farti i miei complimenti, Keita. Hai
dimostrato di avere grande coraggio e un cuore nobile.
Hai visto in faccia le tue paure, ma invece di
scappare hai scelto di affrontarle, e alla fine le hai vinte. È stato
soprattutto questo a segnare la sconfitta di Anubis.»
«Cos’è successo?»
«Anubis voleva
surclassare le carte create dal suo discepolo creandone delle altre dotate di
un potere ancora più grande, ma senza rendersene conto anche alle sue finì per
conferire la capacità di provare emozioni.
Le carte di Anubis, così come quelle di Clow, sono sensibili hai pensieri umani. Tu hai dimostrato
di tenere a loro più di quanto non facesse Anubis, e
quando hanno percepito la vastità del tuo potere sono
riuscite a liberarsi dal suo controllo, eleggendoti come loro nuovo custode.
È la prima volta che le carte create da uno stregone riescano a cambiare
il proprio padrone quando il precedente è ancora in vita, e questo può solo
dare l’idea del potere che sta crescendo sempre più forte dentro di te».
Keita guardò nuovamente lo scrigno che aveva in mano, poi lo porse alla
strega.
«Se per te non è un problema, vorrei che queste le tenessi tu, almeno
per un po’.»
«Potrebbero risultare un utile alleato nella
battaglia ancora in corso.»
«Sì, lo so. Ma ho deciso che voglio concludere questa storia contando solo sulle mie forze. Ho
confidato troppo a lungo sull’appoggio altrui per uscire dalle situazioni più
rischiose, ma adesso basta.
Mi sono alzato sulle mie gambe, ora devo imparare a camminare».
Yuko lo guardò per qualche secondo, poi lo
scrigno fu avvolto dalla solita luce violacea e fluttuò all’interno del portale,
ricomparendo tra le mani della strega.
«Quando la battaglia sarà finita verrò a
riprendermele.»
«Ne sono certa. Anche se non sono al livello di
quelle di Clow, queste carte non possono restare a
lungo lontane dal padrone che hanno scelto di proteggere.
Le conserverò con cura.» e, detto questo, la
strega scomparve.
Pochi minuti dopo Toshio e Nadeshiko ripresero i sensi, e
contemporaneamente Takeru, Shinji, Aria e Lotte sopraggiunsero dal fondo del
corridoio.
«Nadeshiko.» disse Toshio aiutandola a rialzarsi «Va’
tutto bene?»
«Sì, almeno credo. Ma
cosa è successo?»
«Non ne ho idea. Forse tu potresti spiegarcelo, Keita. Che ne è stato di Anubis?»
«Potete stare tranquilli. Lui non sarà più un
problema.»
«L’hai eliminato da solo!? Complimenti, sei
davvero in gamba.»
«Ti ringrazio.» rispose lui arrossendo
«Scusate se vi interrompo, ma che ne direste di
rimandare la cosa a un momento più propizio?»
«Shinji ha ragione. Forza, chiudiamo questa
storia».
Pur avendo lo scettro della sua
servitrice più fedele appoggiato sulla spalla Seth non sembrava per nulla
preoccupato o alterato; al contrario, sorrideva come sempre.
«E così, hai deciso di tradirmi anche tu.» disse rimanendo di spalle
«Non sono più dalla tua parte da parecchio tempo, quindi non credo si
possa parlare di tradimento.»
«Ora tutto comincia ad avere senso. Mi sono
sempre chiesto per quale motivo accettasti di schierarti apertamente al mio
fianco quando ormai le sorti della guerra erano praticamente
scritte.»
«Tu hai sulla coscienza il sangue di milioni di
nostri compagni. Hai portato morte e distruzione tra il nostro popolo più di
chiunque altro in nome della tua sfrenata ambizione.»
«Non mi pare che tu la pensassi così quando ha avuto tutto inizio.»
«È vero. Al principio di tutto condividevo le
tue idee. Ero convinta che gli umani non meritassero questo mondo, e in parte lo credo ancora.
Ma poi, quando hai dato il via alla tua guerra
indiscriminata, ho visto la verità dietro la menzogna, e ho capito che l’unica
cosa che ti muoveva erano i tuoi propositi di egemonia assoluta.
Avevi sempre guardato la mia famiglia con ingordigia, e bramavi la
nostra posizione di dominio; fu questo a spingerti a incominciare la guerra,
questo e niente altro.»
«Ti sbagli. I sentimenti che nutrivo verso
questo mondo erano sinceri. Avevo visto la crudeltà e la malvagità degli umani,
e non volevo che fosse la Terra
a farne le spese.»
«Forse. O forse era solo ciò che mi sforzavo di
credere per giustificare il fatto che rimanevo
impassibile ad osservarti mentre massacravi i miei fratelli».
In quella, alcune lacrime presero a rigare le guance di Lainay, e lei,
trattenendole a stento, si morse i denti, facendosi ancor più adirata di prima.
«Ma poi lo hai ucciso!»
«Non capisco per quale motivo tu te la prenda
tanto. Dopotutto lui alla fine aveva scelto Isis. Non
ci aveva pensato due volte a prendere a calci i tuoi sentimenti per sposare tua
sorella.»
«Horus era tuo
fratello! E comunque, anche se mi aveva respinta, io
lo amavo ancora!».
Johan chiuse gli occhi, sorridendo leggermente.
«L’ho sempre detto, l’amore uccide la ragione
più di qualsiasi altra cosa.»
«A quel punto ti ho odiato con tutto il cuore,
e ho giurato a me stessa che non mi sarei data pace fino a che non fossi
riuscita a strapparti il tuo dalle mani.
Cercai in tutti i modi di convincere la mia famiglia a riservarti la
morte peggiore, ma l’inossidabile compassione di mia sorella alla fine ti ha
salvato. Io però non lo potevo accettare.»
«E così hai accettato di dannare la tua anima solo per avere una
possibilità di uccidermi.»
«Hai indovinato. Ho atteso migliaia e migliaia di anni rinchiusa in quel libro, e intanto il mio
odio per te cresceva a dismisura.
Quando finalmente sono riuscita a tornare ho pazientato, nell’attesa del
momento giusto, e ora quel momento è arrivato.
Vendicherò i miei genitori, i miei fratelli e tutti i nostri compagni
che sono morti per mano tua».
Di nuovo, Johan fece una lunga pausa.
«Rispondimi sinceramente. C’è mai stata della
verità nelle parole d’amore che mi rivolgevi?»
«Certo che c’era. Ti amavo al principio, e con
tutta me stessa. Per questo non ho messo subito in atto i miei propositi dopo
essere resuscitata.
Dentro di me speravo ardentemente che fossi diventato il giovane
condottiero idealista e determinato che eri quando ti ho conosciuto, ma poi ho
capito che anche quella era tutta una finzione, una maschera che ti eri messo
per nascondere i tuoi reali intenti.»
«Forse è vero quello che dici. Ma anche io ti ho amata sul serio. Ammiravo il tuo coraggio, il
tuo senso di indipendenza e il tuo spirito
battagliero. Saresti stata la regina perfetta.
Purtroppo, proprio come tua sorella, alla fine ti sei lasciata guidare
dalle passioni piuttosto che dalla ragione.
Tu ora vorresti uccidermi.
Però, a quanto pare, ti sei dimenticata di una cosa importante.»
«Come!?» disse Lainay sorpresa.
Johan, con un movimento repentino, sfiorò il Libro dell’Oscurità,
portato alla cintura per mezzo di un apposito
astuccio, e immediatamente la giovane donna fu sollevata in aria da una forza
misteriosa che, dilaniandola dall’interno, la fece urlare con tutta la sua
voce.
Il dolore era atroce, era come se la vita le venisse
strappata via a forza, e dopo più di un minuto di agonia, durante il quale
venne anche investita da una tempesta di lame invisibili che le provocarono
tagli sul corpo e sui vestiti, Lainay crollò esanime sul pavimento, cosciente
per miracolo.
«Ricordi quello che mi hai detto?» disse Johan
girandosi verso di lei con il Libro dell’Oscurità aperto a metà in una mano «Tu
mi hai dato il tuo cuore e la tua anima giurandomi fedeltà, proprio come tutti
gli altri. L’energia della tua anima sarà per me un pasto prelibato, per quanto
riguarda il cuore te lo lascerò fino a quando non smetterà di battere, e
credimi, sarà un’attesa molto breve.»
«Ma… maledetto…»
«Non c’è che dire, la stupidità è un male di
famiglia. Porta i miei saluti a tuo padre».
Richiuso il libro, Johan si avvicinò a Franziska, che osservava impietrita
Lainay mentre rantolava agonizzante respirando a fatica.
«Franziska.» le disse, riuscendo a catalizzare la sua attenzione «Mi
dispiace, ma non avevo scelta. Ci ha tradito, proprio
come Lachesi e le altre.
Non possiamo accettare il tradimento. Non costruiremo mai un mondo
migliore se avremo al nostro fianco individui che dimostrano di non condividere
il nostro disegno.
Ora però, siamo solo te ed io. Nessuno ci
tradirà, nessuno ci abbandonerà. Avremo il nostro nuovo mondo, e sarà solo per noi due.»
«J… Johan…»
«Fidati di me, sorellina. Andrà tutto bene».
Alla fine la potenza ipnotica di quegli occhi ebbe nuovamente la meglio,
e Franziska, presa una mano di Johan, lo seguì, docile come un cagnolino,
dentro al passaggio segreto aperto dietro al trono per
mezzo di un pulsante segreto nascosto sotto il bracciolo sinistro.
Toshio e gli altri fecero irruzione nella sala qualche minuto dopo, e
vedendo Nepthys stesa a terra
corsero subito verso di lei; Nadeshiko, inginocchiatasi, la prese tra le
braccia.
«Lainay! Lainay, riprenditi».
Lei, aprendo gli occhi e vedendo dinnanzi a sé
quel volto tanto famigliare, sorrise leggermente.
«So… sorellina…»
«Lainay, cos’è successo?»
«Mi… mi dispiace. Ho… fallito.»
«Lainay…».
Il ciondolo di Nadeshiko si illuminò e i suoi
occhi cambiarono nuovamente di colore; riconoscendoli, Nepthys
sorrise nuovamente.
«Isis… potrai mai perdonarmi… per quello che
ho fatto…»
«Sono io che devo chiederti scusa, Nepthys. Non avrei dovuto intromettermi nella tua storia
con Horus.»
«No… va’ bene così. In realtà… ero gelosa di
voi. Eravate davvero… una bella coppia. Lui ti amava, e tu amavi
lui. Non volevo ammetterlo, ma questo… mi rendeva felice.»
«Nepthys…» disse la sorella minore senza
riuscire a non piangere
«Devi… devi fermarlo. Dovete fermarlo. Questo
mondo… non sarà mai sicuro… finché lui sarà vivo.»
«Lo fermeremo,Nepthys.»
«È una promessa.» disse Toshio
«Conta pure su di noi.» disse Keita.
La giovane donna raccolse le sue ultime forze per accarezzare il volto
di Nadeshiko, che strinse quella mano passandovi la guancia sopra, poi però si
avvide che la sua ora era ormai arrivata.
«Nepthys, resisti!»
«Sono felice… di averti potuta vedere…
un’ultima volta. E questa ragazza… dille… che le auguro… ogni bene.» quindi si
girò verso Toshio «Starà a te… proteggerla. Proteggi il suo animo puro. Non
lasciare… che sia contaminato… dall’oscurità…»
«Lo farò. È una promessa».
Lainay sorrise un’ultima volta, poi, chiusi gli occhi, spirò tra le
braccia della sorella, e anche quando Nadeshiko tornò in sé
lei stessa non riuscì a smettere il pianto iniziato da Isis.
«Ora basta.» disse Toshio «Troppe persone hanno sofferto per la follia
di Seth.»
«Hai ragione.» disse Keita «È ora di farla finita».
Avventatisi a loro volta sul passaggio segreto rimasto aperto i ragazzi salirono il più velocemente possibile la
scala a chiocciola che correva all’interno della torre, e quando arrivarono in
cima trovarono Seth e Franziska in piedi davanti alla colonna di luce, divenuta
luminosissima.
«Seth!» gridò Toshio
«Mi dispiace, questa volta vinco io!» disse lui entrando nel cilindro di
luce assieme alla sorella.
Il giovane guerriero non perse tempo e gli corse contro nel tentativo di
colpirlo, ma nell’istante in cui menò il fendente la colonna
si era già richiusa, e anche la tempesta in cielo andava esaurendosi.
«Tranquilli.» disse la voce echeggiante del nemico «Ci rivedremo molto
presto.»
«Maledizione!» gridò Lotte battendo il pugno a terra così forte da
provocare una spaccatura «È riuscito a svignarsela, e adesso non lo prenderemo
più!»
«Non è detto.» disse Aria «Forse c’è ancora una possibilità.»
«Di che stai parlando?» domandò Takeru.
Toshio ci pensò a sua volta un istante, poi anche lui ebbe l’illuminazione.
«Ma certo, hai ragione!»
«Insomma, volete spiegarci di che state parlando?» disse Shinji
«Esiste un portale segreto per raggiungere il mondo di Seth, un portale
del quale persino lui ignora l’esistenza.»
«Dici sul serio!?» esclamò Nadeshiko
«È quello che fu usato dai primi sette partecipanti al
torneo per esiliarlo. In quel caso l’energia prodotta dalla Luce di Amon fu
così grande che il varco fu sì richiuso, ma di fatto
non scomparve mai del tutto.
È molto probabile che avendo convogliato
l’energia nel portale originario per farlo riaprire Seth abbia inconsciamente
convogliato parte di quest’energia anche al portale segreto, il che significa
che potremmo riuscire ad attraversarlo.»
«È fantastico!» disse Keita «Allora forse c’è davvero una speranza per
fermarlo in tempo «Dov’è questo portale?».
Toshio rimase un momento a guardare il cielo, poi si girò verso i suoi
compagni.
«Preparatevi. Dobbiamo partire subito.»
«Per dove?» chiese Shinji
«Per il luogo dove si consumò la prima battaglia
finale. È lì che il varco fu aperto, ed è lì che si trova tuttora».
Nel corso delle ultime settimane Keita e gli altri avevano appreso molte
cose sulla storia del torneo, quindi capirono subito
di quale posto Toshio stesse parlando.
«Vuoi dire…» disse attonita Nadeshiko
«Esatto. Andiamo a Roma».
Nota dell’Autore
Eccomi!^_^
L’università è finita, e io sprizzo felicità da tutti i pori!
Cinque esami passati su sei solo in
questo quarto periodo! Finalmente l’estate comincia anche per me, e sarà un’estate
di scrittura sfrenata!
Lo dimostra il
fatto che quelli che dovevano essere due cap a
sé stanti alla fine sono stati convogliati in uno solo, il che significa che
siamo a -5 dalla fine (epilogo incluso).
Ringrazio Selly, Cleo e Akita per le loro recensioni,
grazie alle quali ho sfondato per la prima volta il muro dei 100 commenti:
neanche la Millennium
War originale era arrivata a fare tanto (ed erano 69 capitoli!).
Il re Akunator, che fra i tanti
epiteti attribuitigli dal popolo annoverava quello di “il Saggio”, quella
mattina era immerso nello studio di alcuni fra gli innumerevoli testi antichi
accuratamente riposti e catalogati nell’antica e monumentale biblioteca di Nephtys;
raccolti in anni di scambi e di commerci coi carovanieri provenienti da tutti
gli angoli del continente appartenevano a tutte le culture e a tutte le epoche,
e alcuni di essi, soprattutto pergamene e vecchi papiri, risalivano persino
all’epoca dei faraoni.
Il caldo secco del deserto ne permetteva la preservazione, e quando
anche in questo caso l’integrità dei testi era a rischio si provvedeva alla
ricopiatura prima che fosse troppo tardi.
In pochi lo sapevano, persino fra gli abitanti, ma nel palazzo reale
erano conservati tutti i volumi che gli eruditi greci ed egiziani erano
riusciti a salvare dalla distruzione della Grande Biblioteca di Alessandria per
mano dei cristiani nel quarto secolo, una cultura, a detta di chi aveva avuto
la possibilità di studiarla, in grado di stravolgere il mondo così come lo si
conosceva.
Preservare quell’inestimabile patrimonio del sapere dalle mani di una
civiltà, quella moderna, che tutto avrebbe potuto farne fuorché un uso
corretto, era compito dei sovrani di Nepthys, i soli autorizzati a leggere
molti di quei testi, e fra tutti i re Akunator era fra coloro che avevano
dedicato maggior tempo alla catalogazione e allo studio di opere che nel resto
del mondo erano considerate leggendarie.
D’un tratto un giovane attendente entrò dal grande portone a due ante
distruggendo il silenzio irreale che regnava sovrano in quelle sale, ma
Akunator sapeva che se qualcuno veniva a cercarlo proprio lì doveva esserci un
motivo più che urgente, perché tutti erano consapevoli che nei suoi momenti di
studio il re non voleva essere disturbato inutilmente.
«Mio signore, mi dispiace disturbarti.»
«Che succede?»
«È appena tornato il principe Sanak, e sostiene di doverti parlare con la
massima urgenza.»
«Sanak è tornato!?» esclamò il sovrano «Fatelo entrare, forza.»
«Subito».
Il principe entrò pochi minuti dopo, e Akunator faticò a riconoscerlo,
tanto il suo sguardo appariva cambiato. Sanak si portò di fronte all’elegante
tavolo in legno lavorato, poi feceuna
cosa che mai aveva fatto, e che per la sua condizione di futuro erede al trono
non era neanche tenuto a fare: chiusi gli occhi, fece un reverenziale inchino,
facendo sparire il volto sotto le frange lunghe dei suoi capelli.
«Padre. Mi dispiace di averti disturbato. Ho bisogno estremo di
parlarti».
Akunator, alzatosi dal suo scranni ligneo, si avvicinò al figlio per poi
abbracciarlo con tutto il calore e l’affetto di un padre esemplare, il padre
che qualunque ragazzo avrebbe voluto avere. Sanak, a quel gesto, rimase di
stucco: neanche ricordava l’ultima volta che il re lo aveva abbracciato in quel
modo.
«Figlio mio. Finalmente sei tornato.» disse guardandolo in volto «Ero
così preoccupato. Un giorno sei sparito e non abbiamo più avuto tue notizie.»
«Mi dispiace, padre. Ho avuto.. dei problemi. Molto grossi.»
«Non importa. Ciò che conta è che tu ora sia qui, e al sicuro. Il resto
non ha importanza».
Sanak si fece coraggio; ormai aveva preso la sua decisione, e non sarebbe
tornato indietro.
In quel momento non pensava al fatto che forse la magnanimità di
Akunator lo avrebbe potuto salvare, o se non altro evitargli gravi conseguenze;
non che avesse superato completamente l’astio che provava per Toshio, ma quello
era e doveva restare un capitolo a parte.
Aveva permesso al suo odio e al suo sentimento di rivalsa di dominarlo,
spingendolo a cospirare contro il suo stesso padre, per quanto indirettamente,
al solo scopo di ottenere il proprio riscatto e la posizione che sentiva di
meritare, e per questo avrebbe affrontato la punizione che gli sarebbe stata
impartita.
«Padre.» disse facendosi più serio che mai «C’è una cosa che devi
assolutamente sapere.»
«Di che si tratta?» domandò il sovrano, colpito e preoccupato da un
atteggiamento tanto severo
«Riguarda Zervan».
Cinque minuti dopo un manipolo di guardie armate di fucili marciavano a
passo spedito lungo i corridoi dell’ala orientale del palazzo per fermarsi, fra
lo stupore degli spettatori, davanti alla porta delle stanze di Zervan.
Il capitano assegnato all’incarico, un brav’uomo estremamentefedele, tentò di aprire girando il pomello,
ma la serratura era chiusa, e allora batté vigorosamente per tre volte.
«Gran Visir! Sua maestà ha chiesto di vederla! Abbiamo l’ordine di
condurla nella sala del trono!».
All’interno, il nobile Zervan camminava su e giù con aria spaesata, del
tutto indifferente ai rumori e ai richiami che provenivano da dietro i
battenti.
Sapeva benissimo per quale motivo lo stessero cercando.
E così, alla fine, il suo sogno, per il quale aveva lavorato tutta una
vita, era andato in frantumi: il sogno di realizzare un nuovo ordine per i
sette villaggi con cui ridare vita ad un sistema, secondo lui, troppo vecchio e
retrogrado per poter continuare ad esistere.
Il re suo cugino era un debole, lo era sempre stato: troppo idealista e
cocciuto per far fronte alle sue responsabilità, e il fatto che si fosse
mostrato tanto riluttante a risvegliare per l’ennesima volta il principe Touya
ne era la dimostrazione.
Quando si aveva sulle spalle il destino dell’umanità e del mondo intero
i sentimentalismi dovevano essere messi da parte, una cosa che Akunator non era
assolutamente capace di fare.
«Gran Visir!» irruppe nuovamente la voce del capitano «Se non apre
subito la porta ci vedremo costretti a sfondarla!».
In silenzio, come se niente fosse, Zervan si sedette alla propria
scrivania, proprio di fronte alla porta, dall’altro lato della stanza, e con
movenze lente e scandite, quasi da rito religioso, aprì uno dei cassetti,
prendendone fuori un contenitore di legno con intarsi argentei: al suo interno
era riposto un bell’esemplare di Walther p38 estremamente ben tenuta, lucida e
pulita come appena fabbricata, un dono che suo padre aveva ricevuto direttamente
dal feldmaresciallo Erwin Rommel in persona nel lontano 1944 dopo aver servito
sotto di lui assieme ad alcune sue guardie personali, che con la loro abilità a
muoversi nel deserto e la loro conoscenza del territorio erano state non poco
determinanti per le sorti iniziali della Campagna d’Africa.
Raccoltala, inserì il caricatore appoggiato in un’apposita rientranza
nel tessuto, infilò in canna il primo colpo e rimosse la sicura, quindi,
messosi più comodo sulla poltrona, la rivolse verso la porta.
Ironico: alla fine di tutto, proprio ad un passo dal traguardo, non era
riuscito ad eguagliare l’impresa del suo antenato, il grande Nazim, che con le
sue gesta era stato all’origine della creazione di quella che poteva essere
definito senza mezzi termini come la massima espressione dell’essere umano, la
tappa successiva dell’evoluzione.
Intanto, non ottenendo alcun segnale di risposta il comandante diede
l’ordine di passare alle maniere forti; due suoi uomini si piazzarono di fronte
all’ingresso, quattro sui due lati dei battenti. Lui, dopo aver fatto un cenno,
scardinò la porta con un calcio, e contemporaneamente il fragore di uno sparo
risuonò in tutto il palazzo.
Informato dell’accaduto il re arrivò sul posto in pochi minuti,
accompagnato dal principe Sanak, ed entrato nella stanza trovò il corpo senza
vita del cugino riverso sulla scrivania in un lago di sangue, con la pistola in
mano e un foro alla tempia destra.
«Mio signore.» disse il capitano porgendogli una pergamena «Abbiamo
trovato questo nel doppiofondo segreto di un cassetto. Crediamo si tratti del
formulario per decifrare il codice segreto della lista.»
«Portatelo agli scribi.» rispose Akunator senza staccare gli occhi da
Zervan «Che ci lavorino subito.»
«Come desidera».
Il re si volse dunque verso Sanak, che teneva lo sguardo basso per la
vergogna.
«Padre, io…».
Prima che potesse finire di parlare Akunator gli mise una mano sulla
spalla, guadagnandosi l’ennesima occhiata di stupore.
«Non devi dire niente. Mi rendo conto che per te non sono stato un buon
padre.
Se tutto ciò è accaduto, la colpa è in parte anche mia.»
«Padre…» disse Sanak trattenendo a stento le lacrime «Mi dispiace.»
«Anche a me. Prima o poi ti chiederò di perdonarmi per averti trascurato
in questo modo.
Ma avremo modo di chiarirci non appena tutto questo sarà finito».
Lo stesso attendente entrò nella stanza qualche istante dopo recando un
dispaccio della massima importanza.
«Da parte del principe Toshio.» disse porgendolo al re.
Akunator lo prese e lo lesse attentamente, facendosi ad ogni riga sempre
più sconvolto e preoccupato.
«Contattate subito i capi degli altri villaggi!» disse come inviperito
prima ancora di aver finito del tutto di leggere «Voglio parlargli
immediatamente!»
«Sissignore.»
«Fate preparare il mio aereo privato e allertate i nostri migliori maghi
e guerrieri. Che siano pronti a partire entro un’ora.»
«Ai vostri ordini.»
«A quanto pare la nostra discussione è rimandata, Sanak.» disse poi
rivolto al figlio mentre insieme percorrevano a passo spedito il corridoio che
portava alla sala del trono
«Che è successo, padre?»
«Il giorno della battaglia finale è arrivato, e le nostre più terribili
previsioni si stanno concretizzando. Dobbiamo partire subito per Roma».
Roma, hotel Gatewater
6 settembre
Ore 11.47
E così, si era arrivati a quella
che, sicuramente, sarebbe stata la tappa finale di quel lungo, incredibile e
travagliato viaggio in giro per l’Europa.
Dalla finestra del loro lussuosissimo attico i ragazzi osservavano Roma,
la città eterna, che viveva all’apparenza una delle sue tante giornate normali:
i cittadini si dividevano tra uffici, luoghi di ritrovo e semplici abitazioni,
i turisti affollavano i luoghi d’interesse, dai fori imperiali al famosissimo
Colosseo, passando per le terme cittadine, le sponde del Tevere, l’isola
Tiberina, la Fontana
di Trevi e la Città
del Vaticano.
Nessuno poteva immaginare che da un momento all’altro quella splendida e
incredibile città, che era sopravvissuta allo scorrere dei millenni, a
intramontabile memoria della sua gloria passata e presente, sarebbe potuta
diventare da un momento all’altro il teatro di scontro per la più grande
battaglia che il genere umano avesse mai visto, così come erano ben pochi
coloro a conoscenza del fatto che lì, migliaia di anni prima, sette guerrieri
erettisi a difesa del loro mondo avevano sancito la prima vittoria del genere
umano su di una divinità egoista e malevola che nei secoli a venire avrebbe
continuato a minacciare l’universo con la sua brama di conquista.
«Sembra tutto così tranquillo.» disse Keita osservando la gente che
camminava lungo la strada pedonale antistante all’albergo, ricca di negozi e
ristoranti prestigiosi
«Temo lo sarà per poco, se non faremo qualcosa.» replicò Takeru
«Se ci penso mi sembra incredibile.» disse Nadeshiko «Chi l’avrebbe mai
detto che proprio qui si sia svolta la prima battaglia tra Seth e gli uomini?»
«All’epoca del primo grande torneo tutto questo non esisteva.» disse
Toshio che, a differenza dei suoi compagni, restava seduto ad una delle
poltrone del salotto, affiancato dai suoi due famigli «A qui tempi qui non
c’erano altro che colline e paludi. I primi sette partecipanti lo scelsero come
campo di battaglia finale proprio per il fatto che si trattava di una zona
disabitata e inospitale, l’ultimo posto in cui sembrava possibile una
colonizzazione umana.
Chi poteva immaginare che di lì a pochi secoli in quello stesso posto
sarebbe sorta la città più grande e maestosa del mondo antico?»
«E noi adesso cosa dovremmo fare?» chiese Shinji
«Per prima cosa raggiungiamo il luogo dove si trova il portale. Ogni
secondo che passa Seth diventa un po’ più forte, quindi il tempo è un lusso che
non ci possiamo permettere.»
«Ma come faremo a trovare l’esatta ubicazione del portale?» domandò
Nadeshiko «Roma è immensa, potrebbe essere dovunque.»
«Questo non sarà un problema.» rispose Lotte «La sua posizione è nota
fin da quando è stato creato.»
«E allora che stiamo aspettando?» disse Keita «Andiamoci.»
«Non così in fretta.» disse Toshio «C’è un problema.»
«Di che problema parli?» chiese Shinji
«Il portale aperto dal primo vincitore del torneo» rispose Aria «Venne
sigillato con un potente incantesimo per impedire che Seth potesse servirsene
nel caso in cui fosse venuto a sapere della sua esistenza.
Per poter rimuovere il sigillo è necessaria la forza congiunta di almeno
sei partecipanti al torneo.»
«Sei partecipanti!?» esclamò Nadeshiko
«Abbiamo mandato un messaggio al re Akunator subito dopo il nostro
arrivo.» disse Lotte «A quest’ora dovrebbe averlo già rigirato agli altri
villaggi, quindi, molto presto, gli altri guerrieri dovrebbero essere qui.»
«Correggiti, siamo già qui!» rispose di rimando una voce famigliare.
Tutti, nel sentirla, si girarono verso la porta, e Toshio poté vedere il
suo amico e compagno Tadaki varcare la soglia della stanza seguito da Souma,
Ryu-o, Tomite e Ilya.
La piccola Ilya, appena fu entrata, corse subito fra le braccia di
Nadeshiko come se fosse stata la sua mamma, Tadaki invece andò a dare una
calorosa stretta di mano al suo vecchio avversario.
«Ero sicuro che sareste venuti.»
«Avevi qualche dubbio?»
«Non potevamo certo lasciare a voi tutto il divertimento!» disse Ryu-o,
guadagnandosi l’ennesima botta in testa da parte di Kagura, apparsa accanto a
lui
«Appena abbiamo ricevuto il messaggio dai nostri villaggi ci siamo
subito precipitati qui.» disse Souma
«Dov’è Kazumi?» domandò Keita
«L’ho rimandata in Giappone.» rispose Tadaki «Ormai tenerla qui era
superfluo, oltre che pericoloso. Il mio clan la proteggerà egregiamente.»
«E Atarus?» chiese Toshio «Avete sue notizie?»
«No, purtroppo no. Abbiamo provato a cercarlo, ma senza risultato.»
«Pare che il suo villaggio sia stato quello a risentire maggiormente
degli effetti portati dalla rivelazione della congiura di Zervan.» disse Tomite
«Anche il re è stato arrestato, e al momento vi è un gran caos in Scozia.»
«Capisco. Spero solo che non gli accada niente.»
«Non temere, tornerà di sicuro.» disse Tadaki «Del resto, non mi pare il
tipo a cui piace lasciare le cose a metà.»
«Hai ragione. E poi abbiamo ben altro a cui pensare.»
«Ben detto. Avanti, andiamo a dare il buongiorno al nostro caro amico
Seth».
Lasciato l’albergo i ragazzi si
diressero alla loro destinazione, una strada secondaria poco lontano dal parco
di Villa Ada.
Al centro di questa strada c’era un tombino, unico accesso alla non
molto conosciuta Catacomba di Trasone, e proprio quella catacomba era il luogo
che stavano cercando, perché costituiva il punto di riferimento per individuare
il tempio eretto dai sette villaggi attorno al luogo dove si trovava il portale
e nel quale riposavano i primi partecipanti al torneo.
Essendo una zona archeologica chiusa al pubblico sarebbe stato un problema
entrarci, ma alcuni adepti della comunità romana di Nepthys crearono il
diversivo ideale, mascherandosi da operai e recintando la zona con la scusa di
alcuni lavori di manutenzione da eseguire nel condotto fognario.
Nadeshiko, Ilya e Souma non erano molto d’accordo alla prospettiva di
doversi immergere in una fogna puzzolente dove spopolavano ratti e altre bestie
poco appariscenti, ma Toshio le rassicurò dicendogli, senza in verità mentire,
che la loro meta era raggiungibile senza passare dalle fogne.
Ryu-o, impulsivo come sempre, andò per primo, e gli altri lo seguirono
mano a mano, alcuni armati di torce; Toshio scese per ultimo, ma prima che
scomparisse inghiottito dal buio due dei cinque finti operai lo rassicurarono:
il re Akunator e gli altri sovrani stavano arrivando a Roma per prendere parte
ad una possibile battaglia finale da combattersi sulla Terra, mentre
l’organizzazione Afterlife, che riuniva tutti gli ammazza-demoni e aveva legami
negli organi politici e militari più potenti del mondo, sollecitata da Izumi,
era pronta ad offrire il suo aiuto, oltre a provvedere qualora fosse stato
necessario all’evacuazione totale della città nel giro di poche ore.
Come predetto non fu necessario scendere nelle fogne, infatti l’ingresso
alla catacomba si trovava in un livello intermedio ed era costituito da
un’apertura nella roccia viva abbastanza grande da poterci passare in modo
abbastanza comodo, al massimo piegando un po’ la testa.
Alla luce delle torce, che solo in parte riuscivano a fendere l’oscurità
che altrimenti regnava sovrana, i ragazzi si incamminarono fra i cubicoli e i
vari livelli in cui era suddivisa la camera mortuaria, cinque in tutto; i ratti
che Souma avrebbe tanto voluto evitare c’erano anche lì, raccolti in gruppi più
o meno numerosi attorno a vecchi grumi di ossa consumate dal tempo, e a lei
bastava che uno le passasse tra i piedi per urlare di paura.
«Souma.» disse ad un certo punto Tadaki «Non ti facevo così fifona.»
«Che ci posso fare se non mi piacciono i topi?»
«Prendi esempio dalla ragazzina.» disse Ryu-o indicando Ilya, che al
contrario sembrava non venire minimamente toccata dalla vista di ratti e teschi
«A lei non fa né caldo né freddo.»
«Sentite, io direi di cambiare argomento.»
«Toshio, toglimi una curiosità.» disse ad un certo punto Takeru «Che
c’entra il tempio sotterraneo con questa catacomba?»
«Il tempio fu costruito da alcuni rappresentanti delle nostre tribù che
arrivarono qui per recuperare i corpi dei rispettivi compagni.» rispose il
guerriero continuando a camminare, e tastando di tanto in tanto la superficie
fredda delle pareti, come alla ricerca di un congegno segreto «Ma a causa di un
terremoto la parte sopraterrena della struttura crollò dopo neanche un
decennio.
Il costruttore di questa catacomba era un adepto di Nepthys, e trovò
casualmente la camera sepolcrale durante i lavori di realizzazione del
complesso funerario. Per nasconderla alla vista riadattò il progetto originario
e comunicò la sua scoperta anche agli altri villaggi, che ne annotarono la
posizione.»
«Quindi da qui è possibile accedere direttamente al tempio?»
«Sì, tramite un ingresso segreto occultato con la magia. Dovremmo
esserci quasi».
E infatti, qualche minuto dopo, nel quarto livello della catacomba,
Toshio si avvide che la parete di sinistra era leggermente più calda in un
determinato punto.
«Trovato».
Passata la sua torcia a Keita si mise davanti a quel pezzo di muro e
posizionò le mani davanti a sé eseguendo una serie di posizioni shinto per poi
toccare nuovamente la pietra con l’indice destro; si udì un sibilo, poi un
leggero tremore, e infine una superficie di parete scomparve letteralmente,
rivelandosi una semplice allucinazione e mettendo a nudo un lunghissimo
corridoio che scendeva verso il basso con una pendenza leggera.
«Forza andiamo. Ormai ci siamo».
Le pareti e la volta del corridoio, illuminate dalle torce, si
rivelarono piene di disegni ed iscrizioni in varie lingue, dal geroglifico al
norreno passando per il cirillico, il cinese e l’antico giapponese, a
testimonianza del fatto che da lì erano passati popoli provenienti da tutti gli
angoli della Terra, nella fattispecie i delegati dei sette villaggi giunti
appositamente nel cuore dell’Europa per rendere omaggio e degna sepoltura a
coloro che avevano combattuto in difesa degli esseri umani a discapito delle
loro stesse vite.
Furono necessari dieci minuti di interminabile discesa perché Toshio e
gli altri potessero arrivare, finalmente, ad una grande camera sepolcrale
simile a quelle delle tombe della Valle dei Re; il soffitto, decorato e
affrescato, così come le pareti, si reggeva da solo, senza l’ausilio di
colonne, e dalla parte opposta all’ingresso, in cima ad un piccolo altare
sopraelevato, vi era un grande arco formato da due serpenti di pietra le cui
teste si intersecavano proprio nel mezzo. Subito davanti, ai piedi della scala,
uno accanto all’altro, sette sarcofaghi monumentali in granito ermeticamente
chiusi, e su ognuno di essi era scolpito il simbolo di uno dei partecipanti al
torneo.
Al centro, proprio di fronte all’arco, nel posto riservato con molta
probabilità al vincitore, per un curioso scherzo del destino riposava il
rappresentante del villaggio dei McLoan, a dimostrazione del fatto che il primo
vincitore del torneo, modello imperituro per tutti coloro che vennero dopo di
lui, era stato un antenato di Atarus.
Toshio e i suoi compagni guerrieri avvertirono una serie di
indescrivibili sensazioni nel trovarsi per primi in presenza dei loro antenati,
nonché di coloro che con il loro coraggio e la loro abnegazione avevano segnato
l’inizio della lotta senza fine contro Seth.
«Ironico, non trovate?» disse Lotte «Il primo vincitore è stato un
McLoan.»
«Non c’è da esserne sorpresi più di tanto. I primi fra noi erano tutti
animati da nobili sentimenti. Sono stati quelli venuti dopo di loro a dare un
significato distorto all’esistenza del torneo.»
«Tomite ha ragione.» disse Tadaki «Gli uomini a volte, in nome
dell’egoismo, dimenticano persino gli ideali che dovrebbero guidare le loro
azioni.»
«Ben detto. Ma di questo parleremo poi.» tagliò corto Toshio «Ora
concentriamoci sulla nostra missione. Coraggio, prepariamoci».
Keita e i suoi amici rimasero indietro, in disparte, i sei guerrieri
invece si misero in linea, ognuno davanti al sepolcro recante il simbolo del
proprio villaggio, forse nel silenzioso tentativo di commemorare la memoria dei
rispettivi avi; partendo da destra vi erano Souma, Ilya, Toshio, Ryu-o, Tomite
e Tadaki.
Ognuno di loro si mise in atto di preghiera, concentrando il potere
magico fino a far comparire i propri circoli magici, e assieme ad essi aloni
luminescenti e vaporosi di vari colori che circondarono i loro corpi. Solo in
quel momento, vedendoli tutti assieme, i ragazzi si resero conto di come ogni
partecipante al torneo avesse non solo un proprio circolo, ma anche un proprio
colore caratteristico a simboleggiare la sua magia.
Gli aloni luminosi crebbero d’intensità, e dopo circa un minuto al
centro esatto dell’arco cominciò a formarsi una figura simile ad un mandala,
con una stella a sei punte inscritta in un cerchio e con sei cerchi più piccoli
ad ogni estremità, ognuno recante un ideogramma cinese.
Uno per uno gli ideogrammi cominciarono a scomparire, e quando anche
l’ultimo fu del tutto svanito si sprigionò una luce accecante che, espandendosi
fino ad abbracciare interamente l’interno dell’arco, assunse la forma del
portale vero e proprio.
«Eccolo.» disse Souma «Il portale».
Toshio si girò verso i suoi compagni.
«Sarebbe meglio se voi rimaneste qui.»
«Non ci pensare neanche.» rispose Shinji «Saremo con voi fino alla
fine.»
«Potrebbe essere molto pericoloso.» disse Tadaki «Non abbiamo idea di
che cosa possa esserci dall’altra parte.»
«Abbiamo iniziato quest’avventura, e ora la porteremo a termine.» fu la
replica di Keita, salutata con approvazione da un cenno di Takeru.
I sei guerrieri si guardarono un attimo tra di loro, visibilmente
allibiti e sorpresi, poi però concordarono sul fatto che ogni possibile aiuto
sarebbe potuto essere determinante, pertanto accettarono la proposta, e quasi
nello stesso momento i dodici amici oltrepassarono il portale, avventurandosi
verso l’ignoto pronti alla loro ultima battaglia.
Seguì un nuovo lampo, assieme ad una sensazione forte, come di essere
violentemente sbalzati in avanti, e usciti dalla luce, che nel punto di arrivo
non era altro che un punto luminoso aperto nel nulla, una sorta di spaccatura
dimensionale, si ritrovarono in un luogo completamente diverso.
L’aspetto era quello di una città, una città futuristica, degna di un
film di fantascienza, con altissimi grattacieli bianchi terminanti in estremità
aguzze, edifici a cupola e grandi tubi di vetro in cui, nelle produzioni di
Hollywood, si vedevano sfrecciare veicoli a forma di sigaro.
Malgrado le apparenze iniziali regnava però un’atmosfera tetra, che
sapeva di morte; il cielo era nero, un nero omogeneo e compatto, quasi
incombente, la terra era brulla e secca e molti edifici erano lesionati in modo
più o meno grave. Infine, qua e là, si vedevano delle grandi concentrazioni di
una strana melma densa e rossastra che sembrava quasi fagocitare gli edifici,
consumandone intere parti e producendo nel contempo delle piccole scariche
elettriche.
«Ma che razza di posto è?» domandò Lotte guardandosi intorno «Odora di
oscurità da dare la nausea.»
«Quindi è questo l’intermundio di Seth.» disse Takeru
«Anubis diceva che l’intermundio viene condizionato dai sentimenti e dai
pensieri di chi lo abita.» disse Keita
«Quindi» ipotizzò Nadeshiko «Questi potrebbero essere frammenti di
ricordi di Seth?»
«È probabile.» rispose Toshio «E se fosse così, temo che la verità sia
molto più grande e complessa di quanto potrebbe sembrare».
Keita, d’un tratto, si avvide per primo dell’approssimarsi improvviso di
un fascio di luce lungo, alto e sottilissimo che, come la lama di una spada,
fendeva il terreno puntando diritto verso di loro.
«Attenti!».
Tutti riuscirono fortunatamente a spostarsi in tempo, e così l’attacco
si infranse contro un palazzo poco lontano, tagliandolo in due metà
perfettamente identiche che quasi subito crollarono fragorosamente, sollevando
un baccano assordante e un fitto polverone.
Subito dopo, dalla direzione in cui era venuto il colpo, comparve Seth,
accompagnato da Franziska; camminava lentamente, con quella sua espressione
sicura e audace stampata sul viso e la sua spada Naqada, ben stretta tra le
mani.
«Bene arrivati. Non che mi aspettassi delle visite, ma ammetto che non
mi dispiace più di tanto trovarvi qui.
Allora, che ve ne pare del mio piccolo eremo? Non è esattamente un luogo
ameno e pacifico».
Il dio mulinò la sua spada, dando prova della propria forza.
«Ma mi dispiace dovervi dire che siete arrivati tardi. Ormai tutti i
miei poteri sono stati riunificati nel corpo di Johan, ed io sono tornato ad
avere la forza di cui disponevo all’epoca del mio esilio.»
«Questo non cambia niente.» disse Tadaki, il cui tono solitamente calmo
e imperturbabile era però segnato da un timore più che percettibile «Ti
sconfiggeremo comunque.»
«Io non ne sarei così sicuro. Ma se davvero credete di poterci riuscire,
fatevi avanti. Io vi aspetto».
I ragazzi si guardarono tra di loro, poi tutti misero mano alle proprie
armi. Tomite brandeggiava ora un dao non eccessivamente grande, certamente non
quanto quello di Ryu-o, ma ben affilato e di un certo prestigio; Touka,
inizialmente in forma di falco e appollaiata su di una spalla di Tadaki, prese
forma umana con la katana già tra le mani, e altrettanto fece Shaina, che
dall’aspetto di un bellissimo cane husky rosso e bianco passò a quello umano.
«Nadeshiko.» disse Keita «Tu e Ilya restate indietro.»
«D’accordo.» rispose lei tenendo Ilya stretta a sé «Ma attenzione, mi
raccomando.»
«Aria, Lotte, voi due proteggetele.»
«Conta su di noi, capo.» disse Lotte.
Seth lanciò di nuovo quel suo sorriso provocatorio, e i ragazzi
partirono all’attacco tutti nello stesso momento, distribuendosi su una linea
d’azione molto ampia per poter colpire da più punti contemporaneamente.
«Naqada.»
«Sturm Flamme!».
La lama della spada si circondò di fuoco, e appena Seth menò un fendente
questo si trasformò in una falce infuocata che investì in pieno il gruppo di
avversari; vista la rapidità del colpo e la sua incredibile potenza tutti,
nessuno escluso, vennero inevitabilmente colpiti prima ancora di potersi
avvicinare abbastanza da poter contrattaccare e precipitarono al suolo dopo
essere stati scaraventati in aria.
«Non… non posso crederci…» mugugnò Shinji cercando di rialzarsi «Ci… ci
ha respinti tutti con un solo attacco.»
«Allora…» disse Touka «È questo il vero potere di Seth?»
«Cos’è, è bastato solo questo per mettervi al tappeto? Avanti, sono
sicuro che potete fare molto di più».
Quel solo colpo in realtà aveva rappresentato per tutti una stangata non
di poco conto, ma entro un minuto i ragazzi riuscirono bene o male a mettersi
nelle condizioni di proseguire lo scontro.
Stavolta però decisero di separarsi istantaneamente, calando su Seth da
molteplici direzioni per evitare l’attacco che avevano appena subito; il dio
però respinse agilmente il primo assalto, e così pure tutti i successivi.
Toshio, Keita e gli altri mettevano tutto il loro impegno, ma era fin
troppo chiaro che Seth stava letteralmente giocando con loro, impegnandosi ad
un decimo delle sue effettive capacità, o anche meno; combatteva ad occhi
chiusi, si spostava pochissimo e mulinava la spada con incredibile destrezza,
arrivando persino a parere i colpi alle proprie spalle senza neppure voltarsi,
ma semplicemente usando la gigantesca lama come uno scudo.
«Molto bene.» disse, malevolo come mai, in un momento in cui gli erano
tutti quasi addosso «Direi che abbiamo giocato abbastanza. Naqada!»
«Explosion!».
Una vera e propria detonazione di fuoco si sprigionò dal corpo del dio,
investendo i ragazzi prima che potessero pensare a difendersi e lanciandoli
via; quando tornarono a terra, coperti di ferite, molti di loro non erano
neppure in grado di reggersi in piedi.
Come se non bastasse quell’attacco fu tanto devastante da mandare in
frantumi quasi tutte le armi e far regredire in forma animale tutti i famigli
coinvolti nell’esplosione, Touka, Kagura e Shaina.
«Ma… maledizione…» disse Ryu-o vedendo il proprio dao spaccato a metà e
Karura che, nelle sue sembianze di tigre reale, a stento riusciva ad alzare la
testa «È… è davvero invincibile…».
Con la perdita sia della propria arma che del famiglio sia Souma che
Ryu-o erano di fatto eliminati dal torneo; unico graziato, oltre a Keita,
Shinji e Takeru, che erano stati colpiti in modo tutto sommato marginale, era
stato Toshio, visto e considerato che la spada impugnata dai guerrieri di
Nepthys non aveva eguali in quanto a robustezza, e che Aria e Lotte erano
ancora a difesa di Ilya e Nadeshiko, ma in quel preciso momento nessuno aveva
voglia e tempo di pensarci.
«È tutta qui la vostra forza? Onestamente mi sarei aspettato molto di
più.»
«È tutto inutile…» disse Tadaki rialzandosi «Ora che ha riacquistato
tutta la sua potenza, in questo mondo lui è troppo forte.»
«Non abbiamo scelta, dobbiamo spostarci sulla Terra.» disse Tomite «Lì
forse avremo qualche speranza in più».
Seth però aveva fin troppo chiare le loro reali intenzioni, ed era
pronto a rispondere a tono non appena i suoi avversari avessero tentato qualche
colpo basso.
Il portale fra l’intermundio e la Terra era ancora aperto, ma se solo qualcuno
avesse tentato di entrarci Seth non ci avrebbe messo molto a fermarlo ed
ucciderlo. Toshio e Tadaki tentarono di muovere l’ennesimo attacco in modo da
distrarlo e permettere a qualcuno degli altri, in questo caso Nadeshiko ed
Ilya, di guadagnare l’uscita, ma lui dopo averli allontanati con un poderoso
spostamento d’aria lanciò una nuova falce di fuoco in direzione delle due
ragazze.
«Nadeshiko, attenta!» urlò Toshio.
Takeru si avventò su di loro e riuscì a buttarle a terra prima che
venissero colpite, ma questo servì a dare la conferma che provare anche solo ad
avvicinarsi al portale era un suicidio.
«Mi dispiace, ma non vi permetterò di interferire ancora coi miei
piani.»
«Bastardo.» mugugnò Souma «Se anche solo uno di noi prova a dargli le
spalle è morto».
Seth rise leggermente, dando prova della propria sicurezza, quindi la
sfera rossa sull’impugnatura della sua spada cominciò a brillare, il che non
lasciava presagire nulla di buono.
«Ho passato un’eternità rinchiuso in questa prigione, e più passava il
tempo più i miei poteri si facevano vasti. E ora, credo sia giunto il momento
di dirci addio.
Ma consolatevi. Anche se sarete ospiti eterni di questo maledetto limbo
senza tempo, da morti non proverete ciò che sono stato costretto a provare io.
Da questo punto di vista, direi che vi sto facendo un favore».
I ragazzi si raggrupparono, nel disperato tentativo di opporsi a quello
che poteva essere il colpo di grazia.
«Toshio.» disse Tadaki facendo muro assieme agli altri quattro
partecipanti al torneo «Noi cercheremo di resistere il più possibile. Voi
tornate indietro.»
«Che cosa!? Sei impazzito?»
«Se non lo fai moriremo tutti quaggiù!»
«E dovrei abbandonarti? Dovrei abbandonare tutti voi?»
«È l’unica speranza che ci rimane!» rispose Tomite «Se moriamo tutti chi
lo affronterà sulla Terra?»
«Non c’è bisogno che litighiate tra di voi su chi deve andare e chi
restare, perchéadesso vi spedirò tutti
quanti all’altro mondo, tutti insieme!».
All’improvviso, subito prima che la fiamma nera generatasi attorno a
Seth potesse venire scaricata su Toshio e gli altri una zampa gigantesca gli
calò addosso con la potenza di un maglio, schiacciandolo al suolo, e nello
stesso istante i ragazzi videro un gigantesco drago, per qualcuno dall’aria
famigliare, manifestarsi davanti a loro.
«Frederich!?» disse Ilya, sorpresa più di tutti di averlo visto
comparire.
Lei infatti non lo aveva chiamato, e di solito un drago non assume mai
la forma corporea per combattere se non per ordine diretto del suo padrone.
Seth riuscì facilmente a liberarsi dalla stretta che lo costringeva a
terra con una nuova esplosione di fuoco che sembrò risultare piuttosto dolorosa
per Frederich; infatti, nonostante la sua mole, il drago mugugnò e fece qualche
passo in dietro, ma poi, rimessosi in sesto, si rizzò sulle zampe posteriori,
mostrando appieno tutta la sua imponenza.
L’animale ringhiò con forza, poi dalla sua bocca si sprigionò una
tempesta di luce che investì in pieno Seth, il quale si difese, non senza più
di qualche difficoltà, grazie a Naqada, che eresse la solita barriera di
diamante in difesa del suo padrone.
«Pantzer Geist!».
Malgrado il suo attacco non fosse andato a buon fine, e anzi fosse
destinato ad esaurirsi entro breve tempo, a causa della grande forza
esercitata, Frederich continuò a colpire incessantemente facendo appello a
tutte le sue forze, e fu presto chiaro che il suo scopo era quello di tenere
impegnato Seth, che si vedeva costretto a difendersi per respingere un assalto
che, se andato a segno, avrebbe potuto fargli non poco male.
«Ora ho capito!» disse Aria «Lo sta tenendo impegnato per permetterci di
scappare!»
«Forza, approfittiamone!» disse Tomite «Non resisterà a lungo!».
Tutti si affrettarono a raggiungere il portale, ma, logicamente, Ilya
temporeggiò.
«Frederich! Vieni con noi!»
«Non può venire con noi, Ilya!» disse Tadaki «Se interrompe il suo
attacco Seth sarà libero di colpirci!»
«Ma non possiamo! Non possiamo lasciare Frederich!».
In quella il vortice luminoso del drago, che cominciava ad essere
sopraffatto dalla fatica, cominciò a perdere d’intensità, e l’espressione di
Seth, che da impassibile si era fatta furente, lasciava intendere che non gli
mancava poi molto a liberarsi.
«Ilya, non capisci che lo sta facendo per noi, ma soprattutto per te?»
disse Takeru
«Non mi interessa, io voglio restare con lui!».
Alla fine fu necessario che Tadaki la tramortisse e la prendesse tra le
braccia per poterla portare via; Toshio si attardò un momento, fermandosi a
guardare il drago, che sembrò quasi fargli un cenno di assenso.
«Grazie, Frederich. Il tuo sacrificio non sarà vano, te lo prometto».
Vedendo i suoi avversari che correvano a tutta velocità verso il
portale, ormai in procinto di chiudersi, Seth andò su tutte le furie; gli occhi
presero a brillare di rosso sangue, e la sua voce si fece più demoniaca di
prima, in grado di terrorizzare chiunque.
«Maledettissimo drago!» tuonò mentre la spada diventava rossa e
incandescente come lava «Via dalla mia strada!»
«Große Explosion!».
L’esplosione che si generò fu centinaia di volte più potente della
prima, tanto da spazzare via ogni cosa e generare una gigantesca cupola oscura.
I ragazzi, che stavano oltrepassando il portale in quello stesso
istante, vennero violentemente scaraventati in avanti, e questo, unito allo
shock che veniva già da sé nel varcare la soglia tra due mondi, fece perdere i
sensi a tutti.
Toshio, forse nella consapevolezza
di essere ancora svenuto, si ritrovò di colpo immerso a fluttuare nello spazio
profondo.
Sotto di lui, molte migliaia di metri più in basso, la Terra, bellissima, azzurra,
circondata da alcune nuvole ma sostanzialmente serena.
Avvertendo una voce famigliare che chiamava il suo nome il ragazzo alzò
lo sguardo, incrociando, con sua grande sorpresa, quello di suo padre, il suo
vero padre: re Clow era davanti a lui, e lo osservava con il suo solito
sorriso, amorevole ed enigmatico allo stesso tempo.
Era diverso da come Toshio lo ricordava; la sua tunica, sempre nera,
aveva una foggia più moderna, più medievale, la coda dei capelli aveva fatto
posto ad una treccia e portava un curioso paio di lenti simili a quelle dei
lord inglesi di metà ‘800, legate all’orecchio destro per mezzo di una
catenina.
La sua figura era evanescente, intangibile, e circondata da una leggera
aura bianca, come un fantasma.
«Padre!?»
«Il confronto finale si sta avvicinando, figlio mio. Molto presto, sarai
chiamato ad affrontare una delle sfide più difficili della tua vita.»
«Che cosa posso fare? Seth… sembra invincibile.»
«Seth è potente, è vero, ma non è invincibile. L’invincibilità non
esiste. Anche lui, come tutti, ha un punto debole.»
«Di cosa stai parlando? Qual è questo punto debole?»
«Mi dispiace. Questo dovrai scoprirlo da solo.»
«Ma, padre…»
«Il tuo viaggio è ancora lungo, Toshio. Molte altre prove ti attendono,
ma se ricorderai costantemente le ragioni che ti spingono ad andare avanti, in
un modo o nell’altro, un giorno troverai la felicità a lungo cercata.»
«La felicità?».
Tutto in quella cominciò a diventare bianco, probabilmente perché Toshio
si stava svegliando.
«Padre!»
«Non temere… andrà tutto bene».
Accecato per un momento Toshio riaprì di colpo gli occhi, ritrovandosi
disteso sul pavimento della camera sepolcrale assieme a tutti i suoi compagni.
«Ma cosa… Keita, svegliati.» disse dando una scrollatina al suo amico,
riverso sulla schiena proprio accanto a lui
«To… Toshio… ma che è successo?».
Uno dopo l’altro tutti gli altri cominciarono a riprendere i sensi, e
constatando dove si trovavano capirono di avercela fatta.
La consapevolezza di aver fallito la propria missione e di aver lasciato
un grande amico, oltre che un fedele compagno, dall’altra parte del portale,
ora richiusosi, guastò sul nascere la gioia per l’essere riusciti a tornare
indietro, e Ilya, distrutta dal dolore, pianse a lungo appoggiata a Nadeshiko,
che la stringeva e la cullava nel tentativo di calmarla.
A rendere ancor più amaro il momento ci si aggiunse una sensazione
terribile, oltre che famigliare, proveniente proprio da sopra le loro teste.
«La sentite anche voi?» domandò Kagura
«Sì.» rispose Tomite «Questa è l’aura di Seth».
Shinji guardò il suo orologio; segnava le sei e ventiquattro del
pomeriggio, quasi sei ore dal momento in cui si erano calati nel sottosuolo.
«Accidenti, è passato un sacco di tempo!»
«Presto!» disse Souma «Torniamo di sopra! Seth è già qui!».
Correndo a più non posso, e ferendosi talvolta nel tragitto lungo i
corridoi stretti e angusti della catacomba, i ragazzi raggiunsero il tombino
dal quale erano scesi, ma quando, risaliti in superficie, alzarono lo sguardo
al cielo, i loro occhi si riempirono di terrore.
Roma, la città eterna, era completamente circondata da un gigantesco
Fuuzetsu, da Castel Gandolfo a Cesano, da Fiumicino a Tivoli, e aleggiava,
pressante e incombente, una terrificante aria di oscurità.
«Oh, mio Dio.» mugugnò Tadaki completamente sconvolto.
Per ripararsi dalle migliaia di soldati oscuri che giravano per le
strade Keita e gli altri si rifugiarono nell’atrio di un vicino condominio.
«Secondo voi dove può essere?» chiese Tomite sbirciando fuori da una
finestra
«Sicuramente all’interno del Fuuzetsu.» rispose Tadaki «Altrimenti
neppure lui sarebbe capace di tenerne in piedi uno di queste dimensioni.»
«Ci ha intrappolati come topi.» disse Ryu-o «Così potrà divertirsi a
darci la caccia.»
«Credo ci sia anche un altro motivo.» disse Souma
«Ovvero?»
«Il Fuuzetsu serve ad estrarre una determinata zona dal corso del tempo,
ed è uno scudo quasi indistruttibile per qualsiasi forma di energia. Anche
nell’eventualità che ci fosse un vincitore, la Luce di Amon non sarà mai in grado di
oltrepassare la cupola.»
«Maledetto!» disse Kagura, tornata alla sua forma umana, colpendo una
parete «Ha pensato proprio a tutto.»
«Comunque sia» disse Keita «Non possiamo restarcene qui seduti a non
fare niente. Dobbiamo provare a fare qualcosa.»
«Sono d’accordo con lui.» rispose Shinji «Finché rimaniamo insieme
possiamo provare a fare qualcosa.»
«Concordo senza riserve!» disse Lotte «Quel maledetto sarà anche
potente, ma sicuramente non è invincibile! Con o senza la Luce di Amon, lo troveremo e
gli restituiremo tutti i favori!»
«No.» disse la voce, cupa e, per certi versi, malinconica di Toshio «Vi
sbagliate.»
Tutti si girarono allibiti nella sua direzione.
«Che stai dicendo?» domandò Ryu-o «Tu e McLoan siete gli unici
partecipanti ancora in gara! Non vorrai dirmi che getti la spugna!»
«Hai frainteso. Io non ho detto che non voglio combattere.»
«E allora cosa…» disse Nadeshiko
«Volevo dire che non sarete voi a combattere».
Sotto i piedi del guerriero comparve il suo circolo magico, e
contemporaneamente in tutta la stanza serpeggiò una corrente leggera che, come
un gas soporifero, fece sprofondare tutti nel mondo dei sogni quasi
contemporaneamente.
«Perché… Toshio…» balbettò Keita prima di addormentarsi a sua volta
«Mi dispiace. Non posso permettervi di rischiare ulteriormente la vita».
Toshio circondò i suoi amici con una barriera, in modo che eventuali
nemici non potessero percepirne la presenza, quindi, presa la porta, se ne
andò.
Qualche minuto dopo tre elicotteri
black hawk sorvolavano i cieli dell’Italia centrale diretti verso nord mentre,
intorno a loro, il cielo cominciava a colorarsi del rosso del tramonto. A bordo
del velivolo di testa, assieme a quattro soldati armati sia di una spada che di
un pesante fucile M16 caricato con strani proiettili blu vi erano il re
Akunator e Sanak, quest’ultimo impegnato in una conversazione telefonica con
l’ausilio di un cellulare.
«Padre.» disse chiudendo la conversazione «Ho parlato coi capi
dell’organizzazione Afterlife. Roma è stata completamente evacuata».
Il sovrano però sembrava soprapensiero, e stringeva con le proprie mani,
ossute ma ancora vigorose, la sua spada dalla lama d’argento, tanto che Sanak
dovette chiamarlo una seconda volta per guadagnarsi finalmente la sua
attenzione.
«Bene. Dobbiamo ridurre al minimo il rischio per gli innocenti».
Purtroppo, la realtà che si palesò agli occhi di padre e figlio fu dura
e terribile; ad un certo punto, prima lontana e poi sempre più tangibile,
comparve all’orizzonte la cupola, gigantesca, che avvolgeva completamente la
città di Roma e tutta la zona circostante.
Lungo le sue sponde, per tutto il perimetro, si era radunata una folla
immensa, che l’esercito e la polizia con molta fatica riuscivano a contenere;
in altri tempi il Fuuzetsu era invisibile, e nel momento in cui veniva
tracciato la zona inscritta al suo interno veniva sostituita, alla vista, con
un’illusione che risultava perfettamente credibile da chi vi passava in mezzo,
ma era chiaro che l’intento di Seth, come già accaduto altre volte in precedenti
occasioni, era quello di impressionare e spaventare gli esseri umani, dando
loro un assaggio di quello che li aspettava qualora nessuno fosse stato in
grado di fermarlo.
Akunator sentì una stretta al cuore assistendo a quel terribile
spettacolo, e altrettanto fu per Sanak, che nel sapere suo fratello prigioniero
di quell’incubo si sentì, per la prima volta, in pensiero per lui.
«Siamo arrivati tardi.» disse il sovrano
«Forse, padre. Ma se spera di tenerci fuori si sbaglia».
Contemporaneamente, a Uminari, i coniugi Amamiya dormivano profondamente
nel loro letto, immersi nella tranquillità.
Era stata una lunga giornata, il bar era stato pieno per tutto il
giorno, ed entrambi la sera prima erano andati a dormire completamente
distrutti, prendendo sonno quasi istantaneamente.
Erano da poco passate le quattro quando il telefono appoggiato sul
comodino cominciò incessantemente a squillare, e muovendo il braccio a tentoni Minako
rispose.
«Pronto?» disse con la voce di chi è stato interrotto nel momento
migliore del sonno.
Era la signora Ichinosuke, la madre di Keita; le due donne si
conoscevano abbastanza bene, essendosi incontrate sia alle riunioni dei
docenti, sia alle feste scolastiche sia al bar degli Amamiya, e non era raro
che si tenessero in contatto con una certa frequenza.
Kimiko era sconvolta, in preda al terrore, e balbettava qualcosa
riguardo a Roma, la città dove si trovavano i ragazzi in quel momento.
Riavutasi dalla sonnolenza, e visibilmente preoccupata, Minako accese il
televisore della stanza sul canale indicatole; era in corso un’edizione
straordinaria del telegiornale nazionale; il volume, piuttosto alto ma tutto
sommato discreto, svegliò anche il marito.
«Per chi si fosse messo ora in ascolto, riassumiamo la situazione.»
disse il giornalista mentre sullo sfondo scorrevano immagini dall’alto che
sembravano uscite da un film sull’apocalisse «All’incirca quattro ore fa una
gigantesca e misteriosa cupola di luce rossa si è materializzata sopra la città
di Roma, inglobando al suo interno l’intero centro urbano e molte zone
limitrofe, dall’aeroporto di Fiumicino.
Lacupola ha un raggio di almeno
venti chilometri e un’altezza che supera i quindicimila metri, e al momento non
è stato possibile stabilire alcuna comunicazione con l’interno.
Tutte le strade di accesso alla capitale sono state chiuse, polizia ed
esercito sorvegliano costantemente la zona, ma ancora non è stato fatto alcun
tentativo per tentare di accedere all’interno; ciò è dovuto probabilmente al
fatto che il materiale di cui è composta la cupola pare sia altamente
conduttivo, pertanto le autorità proibiscono di avvicinarsi.
Stando alle informazioni che siamo riusciti a raccogliere pare che il
governo italiano fosse al corrente dell’approssimarsi di qualche evento di vasta
portata, tanto che fin dalle due di questo pomeriggio si era proceduto
all’evacuazione di Roma e dei comuni attigui; purtroppo, malgrado tale
evacuazione sia servita a mettere in salvo molte milioni di persone, riceviamo
notizia in questo momento che molte altre, almeno due migliaia, fra turisti e
abitanti sia rimasto intrappolato all’interno.
Forze dell’ordine e personale governativo non rilasciano dichiarazioni,
e appena avremo qualche nuova informazione ve la comunicheremo immediatamente».
La signora Amamiya sentì un brivido lungo la schiena, e la cornetta del
telefono le scivolò dalla mano, cadendo sulla moquette; anche suo marito si
sentì mancare per la paura.
«Nadeshiko!».
Nel condominio in cui i ragazzi
erano ancora addormentati, Nadeshiko fu la prima a svegliarsi, riportata al
mondo reale dal suo potere magico, che aveva inibito quasi completamente gli
effetti dell’incantesimo soporifero; Keita e gli altri dormivano ancora, e
probabilmente lo avrebbero fatto ancora a lungo.
Lo sguardo della ragazza era determinato, ma anche preoccupato e
ansioso.
«Non posso, Toshio. Non posso lasciare che tu vada da solo. Che ti
piaccia o no, io sarò con te».
Il ciondolo si illuminò, questa volta in modo molto più forte e
prorompente di prima, e una figura evanescente, ma dai tratti tutto sommato
distinguibili, comparve al suo fianco.
«Sei sicura di volerlo fare?»
«Non solo lo voglio fare, ma lo devo fare. Gli altri hanno combattuto
con tutte le loro forze, ed è giusto che anche io faccia la mia parte. Non
posso restare qui ad aspettare gli eventi.
E poi» disse chiudendo gli occhi «Sono stata lontana da lui per troppo
tempo. Ora non lo voglio più lasciare.»
«In questo caso, non sarai da sola. Se lo vorrai, combatteremo insieme».
Nadeshiko fece un cenno di assenso togliendosi il pendente, e a quel
punto la figura alle sue spalle scomparve, avvolgendola e mutandosi in un’aura
luminescente; alla camicetta bianca e ai calzoncini rossi si sostituì per
l’ennesima volta la veste regale color lilla e Sabatiel prese la sua forma
reale.
«Ho iniziato io tutto questo.» disse Isis sostituendosi a lei «E sarò io
a finirlo».
Nel mentre Toshio era giunto alle rovine del foro romano dopo essersi
liberato di alcuni soldati oscuri che avevano cercato di sbarrargli la strada;
la battaglia finale, sia quella del torneo che quella contro Seth, si
avvicinava in modo inesorabile, ma lui sentiva di avere qualcosa da fare, una
cosa improcrastinabile, per questo raggiunse il Tempio del Divo Giulio, eretto
a memoria di Giulio Cesare, creatore della nuova Roma.
Della costruzione in sé non rimaneva molto: solo poche rovine del podio e
l’esedra semicircolare con al centro i resti dell’altare commemorativo, eretto
sul luogo in cui il corpo del dittatore era stato cremato, parzialmente coperto
da un muro di pietra fatto erigere nel quindicesimo secolo.
Toshio si avvicinò, lentamente, poi, fermatosi davanti al muro, lo fece
a pezzi con il taglio della mano, scoprendo quanto restava dell’altare su cui erano
posti alcuni mazzi di fiori, omaggio silenzioso di turisti e abitanti al più
grande di tutti i romani.
«Amico mio. È passato molto tempo, ma sono tornato, come ti avevo
promesso.» disse prima di guardarsi un momento attorno «E così, alla fine ce l’hai
fatta. Hai creato una città eterna. A distanza di duemila anni il tuo nome vive
e risuona ancora con la stessa forza, e ancora ti viene reso onore. Sei diventato
immortale insieme alla patria che ti sei adoperato a ricostruire.
Sei riuscito in tutto ciò che ti eri prefissato. A differenza di me».
Il ragazzo a quel punto cadde in ginocchio, abbracciando piangendo i
resti dell’altare.
«Aiutami, amico mio. Dammi la forza.»
«Alzati, ragazzo. Questo non è da te».
Quella voce lo fece ridestare, e lui, alzati gli occhi rossi di pianto,
lo vide lì, davanti a sé, avvolto in una luce luminescente come uno spirito, ma
tangibile e in carne come un essere umano.
La sua tunica, da rossa, era divenuta bianca come la neve, contornata
sui bordi da alcuni ricami rossi, e bianco era anche i mantello, che toccava
terra lasciandosi dietro un piccolo strascico; la corazza, i bracciali e gli
schinieri erano d’argento puro, che brillava come il sole, e la cintura
borchiata d’oro.
«Sei… sei tu!»
«Come hai detto tu, è passato molto tempo, ma sono felice di
rincontrarti.»
«Ho atteso così tanto il momento in cui avremmo potuto rincontrarci. C’erano
così tante cose che avrei voluto chiederti.
Una domanda in particolare mi ha sempre tormentato. Perché? Perché hai
lasciato che ti uccidessero?»
«Figliolo.» rispose lo spirito sedendosi sull’altare «Presto capirai che
certe cose vanno al di là del nostro effettivo controllo. Ci sono eventi che l’uomo
non può mutare con il normale operato di tutti i giorni. È necessario un
intervento drastico per modificare e cambiare qualcosa che altrimenti
rimarrebbe immutato.»
«Ma perché? Avevi così tante cose da fare. Avevi creato un mondo
migliore, dove poveri e ricchi erano trattati da eguali, dove l’egoismo era
bandito. Potevi fare molto di più, potevi rivoluzionare il mondo. Perché andarsene
proprio quando la tua opera era appena agli inizi?»
«Io non aspiravo a cambiare il mondo, ragazzo. Io aspiravo a gettare le
basi del cambiamento. Purtroppo, come ti dissi allora, quando si deve cambiare
il corso di un mondo corrotto è inevitabile sporcarsi le mani. Ho compiuto
gesti orribili, ho cospirato nell’ombra, ho messo a tacere chi si rifiutava di
capire che se io mi adoperavo era solo per creare qualcosa di migliore.
E per tutto questo io ho pagato. Era giusto che pagassi.»
«Quindi… è stata un’espiazione la tua? Non ti faceva infuriare che ti
chiamassero tiranno, usurpatore, che ti accusassero di voler essere re?»
«Era inevitabile. L’essere umano è dotato del libero arbitrio, ed è il
dono più grande che ci potesse essere concesso. Per come la vedo io il destino
non esiste, anche se Yuko pensa il contrario.
Nel momento in cui ho deciso di cambiare le cose ho accettato le
conseguenze delle mie azioni.»
«Chi ti ha ucciso erano le persone in cui riponevi la maggiore fiducia. Questo
lo avevi previsto?»
«Avevo imparato, dalle esperienze di chi è venuto prima di me, che a
volte la mano tesa è più efficace del gladio. Non può esserci pace se non c’è
perdono. Speravo che lo capissero. Ma non è stato così.»
«Chi ti ha ucciso ha pagato. Forse non lo sai, ma molti dei tuoi
assassini hanno conosciuto la lama della mia spada.»
«Erano patrioti. Non li incolpo di niente, anzi gli sono grato. Agli occhi
di molti ero effettivamente un tiranno, e il regno di un tiranno, si sa, dura
solo fino alla sua morte.»
«Ora capisco. La tua morte non era che l’atto conclusivo del piano che
avevi congegnato. Bruto e Cassio speravano di cancellare la tua memoria, invece
ti hanno consegnato all’immortalità. Sei diventato qualcosa di più grande di un
semplice uomo, hai evaso il ciclo del karma e sei asceso ad una condizione
superiore.»
«Forse. Resta il fatto che sono riuscito nell’impresa di dare inizio al
cambiamento. Questo mi basta.
Ora però è il tuo turno di cambiare le cose. Nelle mani tue e dei tuoi
compagni alberga il destino del nostro popolo. Se la leggenda che ho creato
perdurerà o meno, dipenderà da te.»
«Ti prometto che farò l’impossibile per preservare questo mondo. Non permetterò
né a Seth né a nessun altro di consumarlo, e non renderò vano ciò che hai fatto
per l’umanità.»
«Ho fiducia in te, ragazzo. Sono certo che non mi deluderai».
Cesare a quel punto si sfilò la spada con tanto di fodero e la porse al
ragazzo.
«Questa ti servirà.»
«Vuoi…» disse lui allibito «Vuoi darla a me!?»
«Questa spada ha servito l’umanità per generazioni, e deve continuare a
farlo».
Intimidito, Toshio allungò lentamente le mani, raccogliendo la spada, e
appena la ebbe la sguainò; brillava di luce viva, e trasudava potere magico
come niente, neppure la sua spada d’oro, era in grado di fare.
«Grandi poteri riposano al suo interno. Più crescerai come guerriero e
come uomo, più essi saranno a tua disposizione.»
«Ne avrò la massima cura, e giuro sul mio onore che la userò solo per
onorare la causa che un tempo onorasti anche tu.»
«Ne sono convinto. Ora è giunto il momento che io vada. La tua battaglia
sta per ricominciare».
Detto questo Cesare scomparve, e Toshio, voltatosi, vide Atarus immobile
dinnanzi a lui ai bordi del tempio; si guardarono. Lo scontro da cui tutto era
cominciato sarebbe stato anche quello che tutto avrebbe concluso.
«E così» disse il lanciere «Siamo giunti alla resa dei conti.»
«Così pare.»
«È giunto il momento di concludere ciò che abbiamo iniziato.»
«Sono d’accordo. Cominciamo».
Il centro esatto della cupola di
trovava proprio sopra la famosa Piazza San Pietro, ed era lì che Seth, in
silenzio e ad occhi chiusi, attendeva il momento in cui tutto sarebbe finito, e
il suo trionfo sarebbe stato completo; Franziska rimaneva nascosta sotto il
colonnato, ed osservava, impotente, lo svolgersi degli eventi, conscia del
fatto che al punto in cui erano nulla poteva essere più fatto per cambiare le
cose.
D’un tratto il dio spalancò di colpo gli occhi, e sollevandoli vide Isis
camminare, lentamente e con regalità, nella sua direzione, fermandosi ad una
decina di metri da lui.
«Sapevo che saresti venuta.»
«Ho il dovere a mettere fine a tutto questo. La mia coscienza me l’impone».
Isis si guardò un po’ attorno, osservando con indicibile dolore il caos
e la desolazione che dominavano incontrastati.
«Non è ironico?» disse Seth «Tutto ciò che vedi non è altro che il
risultato delle tue scelte.»
«Hai ragione. Se ad oggi gli umani soffrono tanto assieme a questo
mondo, la colpa è soprattutto mia.
Già allora avevo visto la tua malvagità, la tua sete di potere, ma non
potevo dimenticare che un tempo eri stato tra i più valenti e coraggiosi rappresentanti
del nostro popolo.
Per questo decisi di risparmiarti la vita, e di commutare la tua
punizione in un esilio forzoso all’interno di una dimensione senza tempo. Dentro
di me speravo con tutto il cuore che in questo modo comprendessi le tue colpi, e
che servisse a farti tornare quello di un tempo.
Ma mi sbagliavo».
Seth rise leggermente, poi però il suo sguardo divenne di puro odio.
«Credi davvero di fare la cosa giusta? Hai una qualche idea di quanto
abbia sofferto rinchiuso in quella prigione maledetta? Costantemente rinchiuso,
senza possibilità di fuga, e costretto a vedere questi patetici esseri umani
che distruggevano sempre di più il mondo più bello che avessimo mai visto!
Pensavi di rendermi migliore, invece non hai fatto altro che aumentare il
mio odio per questa razza maledetta!»
«Gli umani diventeranno migliori, di questo ne sono sicura. Le persone
che hai incontrato dovrebbero avertene dato la prova.»
«Guardati! Guarda quello che sei diventata! Pur di impedirmi di fare ciò
che ritenevo giusto hai violato le regole su cui si fonda la nostra nuova
razza, e per questo sei stata punita! Ora non sei altro che un’ombra, un essere
errante condannata a vagare in eterno tra questa esistenza e la nostra!
Sei prigioniera, proprio come me! Come puoi difendere gli umani dopo
tutto questo!»
«Te l’ho detto, io credo in loro. E comunque, non hai motivo di
preoccuparti per me. La mia condizione attuale durerà ancora molto poco, te lo
assicuro.»
«Su questo non vi è alcun dubbio. Appena avrò ucciso il corpo in cui
dimori tornerai ad essere un essere vivente come tutti gli altri, e come tale
scomparirai nei cicli del karma!»
«Glühender Komet!»
«Protection!».
Seth agitò la spada e lanciò una serie di sfere infuocate contro Isis,
ma Sabatiel intervenne e generò una barriera che respinse per intero l’assalto
del nemico; subito dopo la sfera dello scettro brillò come non mai, le ali
dorate si rivolsero verso l’alto e in mezzo tra di loro, generata dal monile,
comparve una lama di luce luna una quarantina di centimetri.
«Lancer Form!»
«Non mi illudo più che tu possa cambiare!» disse la ragazza facendo
roteare la propria nuova arma «Ormai ho visto che il tuo cuore è completamente
consumato! Ma non sarò più tanto ingenua!».
Con agilità sorprendente Isis volò verso Seth ed ingaggiò con lui un
duello estenuante, fatto di attacchi, affondi e fughe improvvise.
«Questa è la Isis
che ho sempre amato.» disse Seth durante un confronto di forza «La guerriera. Ma
non illuderti, non finirà come l’ultima volta».
Nota dell’Autore
Salve a tutti!
Ci siamo, la
battaglia finale è cominciata!
Come finirà? Quali saranno
i suoi esiti? Lo scoprirete molto presto, visto e considerato che mi sono
imposto di finire per il 15, massimo per il 17 di questo mese.
Ancora due capitoli
più l’epilogo, e questa fan fiction giungerà alla conclusione.
Keita e gli altri si ripresero ben
prima di quanto Isis o lo
stesso Toshio avessero previsto, e constatando da subito la mancanza dei loro
due amici non ci pensarono due volte a muoversi per andarli a cercare.
Non vi erano dubbi sul fatto che entrambi fossero andati alla ricerca di
Seth, quindi trovare Seth significava trovare loro, e
viceversa.
Sulle prime i ragazzi pensarono di lasciare Ilya al sicuro, ma lei,
determinata come non mai a fare la sua parte e a vendicare la morte di
Frederich, volle seguirli a tutti i costi, specificando che stavolta non
sarebbe bastato un colpo alla nuca per farla stare buona.
Alla fine, per amore o per forza, fu necessario portarla, ma la corsa
del gruppo andò a scontrarsi dopo poche centinaia di metri contro un nutrito
esercito di nemici.
«Di questi ci occupiamo noi!» disse Souma rivolta a Keita, Shinji e
Takeru «Voi raggiungete Toshio!»
«Ma come facciamo a trovarlo?» domandò Keita
«Cercate il centro della cupola!» rispose Tadaki «È lì che lo
troverete!».
Aria, come già aveva fatto l’ultima volta al castello, batté la mano a
terra e liberò il cammino dai nemici in modo da permettere ai suoi compagni di
proseguire, e i tre ragazzi, sfuggiti all’accerchiamento, presero a correre
verso il punto indicatogli.
Tadaki, Ryu-o e gli altri ebbero ragione in pochi minuti del primo
contingente che gli era stato mandato contro, poi
decisero in comune accordo di dividersi in due gruppi per andare a perlustrare
la città: dopo aver visto un cane ruzzolare tranquillamente su un marciapiede,
infatti, si erano accorti che il Fuuzetsu sopra le loro teste aveva effetto
solo sulle cose, e non sulle persone o gli animali, e quindi poteva esserci un
serio pericolo per la popolazione.
«Roma è stata evacuata.» disse Tomite «Ma
qualcuno può essere stato dimenticato. Dividiamoci e cerchiamo eventuali
superstiti.»
«Sono d’accordo.» rispose Touka, tornata in forma umana assieme a Kagura
e Shaina «Non possiamo permettere che ci vadano di
mezzo degli innocenti».
Detto questo i ragazzi si separarono: Tadaki,
Souma, Ilya e i rispettivi famigli da una parte, Ryu-o, Tomite, Aria e Lotte
dall’altra.
Intanto al foro lo scontro tra Toshio e Atarus proseguiva a ritmo
serrato; entrambi erano consapevoli che era necessario risparmiare le forze per poter combattere nella battaglia che sarebbe seguita,
quella contro Seth, ma non per questo vi era da parte dei due contendenti
alcuna intenzione a sminuire o svalorizzare l’importanza di quello che era a
tutti gli effetti il combattimento finale del torneo.
Con Ryu-o e Souma eliminati rimanevano solo loro, e uno solo avrebbe
ottenuto la Luce
di Amon per potersi confrontare con Seth ad armi pari; il problema di come
farla giungere al vincitore era tutt’altro che superato, ma a quello ci si
sarebbe pensato in un secondo momento.
«Davvero impressionante.» disse Atarus «Sei molto migliorato dal nostro
primo incontro.»
«Potrei dirti la stessa cosa.»
«Fosse per me continuerei a combattere ancora
per un bel po’. Purtroppo però il tempo è tiranno, quindi non credo sia il caso
di tirarla per le lunghe.»
«Sono d’accordo. Chiudiamola qui».
Atarus assunse la sua posa d’attacco, Toshio invece sguainò la seconda
spada, quella ricevuta da Cesare, che portava dietro la schiena; la lama
scintillò di luce viva, malgrado di luce naturale ve
ne fosse ben poca all’infuori di quella prodotta naturalmente dal fuuzetsu.
«Questo sarà l’ultimo attacco, spadaccino.
Fossi in te, mi preparerei al peggio.»
«Buffo.» replicò sarcastico Toshio mentre il suo cerchio si
materializzava «Stavo per dirti la stessa cosa».
Si guardarono di soppiatto, poi, quasi all’unisono, si mossero,
fulminei, mentre le loro armi si illuminavano a
giorno.
MOONLIGHT…
STORMBREAKER!
…BLADE!
Vi fu un contatto, brevissimo,
rapido come un batter di ciglia, poi i due contendenti immediatamente si
separarono, fermandosi a cinque o sei metri l’uno dall’altro e continuando a
darsi le spalle. Seguì un lungo, lunghissimo silenzio, durante il quale Toshio
fece una leggera smorfia di dolore.
«Avanti, vai.» disse Atarus «Il tuo vero avversario ti sta aspettando».
Toshio non si scompose, non mostrò alcuna reazione, e dopo qualche
secondo cominciò a correre in direzione del centro della cupola. Rimasto solo,
Atarus rise leggermente sotto i denti.
«Ben fatto, spadaccino. Davvero ben fatto.»
disse, e subito dopo la sua lancia, tagliata un tre
parti, andò in pezzi.
La battaglia tra Isis e Seth aveva rapidamente messo in luce la superiorità
schiacciante del dio della distruzione; come lui stesso aveva detto e ripetuto
più volte i suoi poteri erano cresciuti enormemente nel corso dei millenni,
questo perché reincarnandosi di volta in volta in corpi sempre nuovi aveva avuto la possibilità di familiarizzare con le
potenzialità umane, adattando i suoi poteri di conseguenza.
Isis invece non aveva avuto questa
possibilità: dal momento in cui la sua maledizione aveva avuto inizio aveva vagato in forma eterica per tutto il mondo, e
quella era la prima volta che si incarnava: temeva che se avesse dato libero
sfogo alla sua magia il corpo di Nadeshiko, per quanto speciale e
incredibilmente potente, avrebbe finito per risentirne, un problema che invece
non interessava minimamente al suo avversario, e comunque più passava il tempo
più era convinta che neppure questo sarebbe bastato per avere la meglio su
Seth.
Ciò nonostante non aveva la minima intenzione di arrendersi, e
combatteva al meglio delle sue potenzialità, sempre spalleggiata da Sabatiel, che interveniva in sua difesa ogni qualvolta
fosse necessario e obbediva prontamente ad ogni suo
ordine, impartito quasi sempre per via telepatica.
«KlingeDunkel!»
«Blitz Shoot!».
Seth agitò la spada creando un vortice di luce nera che Isis provò a contrastare, lanciando una selva di fasci
luminosi dalla lama del suo scettro, ma non vi fu modo alcuno per bloccare
l’offensiva nemica e la ragazza, colpita in pieno, fu scagliata in aria; Sabatiel tentò di proteggerla erigendo all’ultimo momento
uno scudo, che se non altro le salvò la vita, ma quando Isis
cadde sulla pancia a stento riuscì a mettersi in
ginocchio, e sollevati gli occhi vide la punta di Naqada
a pochi passi dal viso.
«Direi che la sfida finisce qui. Non sei
d’accordo?».
Isis digrignò i denti, arrabbiata con sé stessa e decisa, malgrado tutto, a non mollare.
«Questa è la mia ultima offerta, Isis. Unisciti a me. Combiniamo le nostre forze per
cambiare questo mondo.»
«Questo mondo cambierà, e cambierà in meglio,
ma non sarai tu a farlo. Saranno gli umani gli artefici del cambiamento.»
«Gli umani?! Ogni volta che hanno
cambiato questo mondo è sempre stato in peggio, lo sappiamo entrambi. Perché,
dopo tutto questo, ti ostini a difenderli?»
«Perché nonostante tutto se lo meritano. Io
credo in loro».
Vedendosi quello sguardo determinato e, all’apparenza, privo di paura,
Seth esitò, sopraffatto dai ricordi, e nel contempo
provò dentro di sé una rabbia senza fine.
«Perché, perché, perché deve succedere? Io non
ho mai voluto farti del male Isis! Al contrario,
avrei voluto tenerti al mio fianco!
Una ragazza come te sarebbe potuta essere la più grande delle regine!
Perché non lo capisci? Io posso darti ciò che realmente meriti!»
«Vorresti fare a me quello che hai fatto a mia
sorella? Non lo farò, mai! Non sarò il tuo uccellino in gabbia, da ammirare
come un oggetto!»
«E allora…» disse Seth alzando nuovamente la spada «Non devo fare altro
che tarparti le ali!».
TENMA SHOURYUUSEN!
Il vortice luminoso a forma di
drago colpì Seth scaraventandolo contro la cupola della basilica, e
nell’istante in cui i suoi amici la raggiungevano
Nadeshiko riprendeva il controllo di sé, poiché Isis,
stanca per il combattimento sostenuto, necessitava di un po’ di riposo; ciò
nonostante, la veste regale rimase, e così pure la vera forma di Sabatiel, segno che ormai Nadeshiko era divenuta in grado
di controllare i poteri del pendente anche senza il sostegno della sua alter
ego.
«Ragazzi!»
«Nadeshiko!» disse Keita «Va’ tutto bene?»
«Si, tranquilli. Sto bene.»
«Per fortuna siamo arrivati in tempo.» disse Shinji «Ma tu sempre a
cacciarti nei guai».
La felicità per l’essersi ritrovati venne quasi subito guastata quando
la cupola di San Pietro venne letteralmente
disintegrata, e dai detriti fluttuanti sospesi nel nulla apparve un Seth più
infuriato che mai: i capelli, da argentei, erano divenuti bianchissimi, gli
occhi scintillavano di rosso e dietro la schiena aveva due grandi ali bianche
degne di un angelo, che brillavano naturalmente ma erano nel contempo
circondate da un bagliore vermiglio.
«Ma voi tre non imparate proprio mai!» urlò
lanciandosi contro di loro a spada tratta e sventrando al suo passaggio.
Keita afferrò Nadeshiko, ancora un po’, scossa, e i ragazzi si gettarono
di lato per evitare l’attacco; immediatamente Takeru si scagliò in avanti ed intraprese un breve duello con Seth prima che entrambi
decidessero di arretrare. Il dio, lentamente, tornò coi
piedi per terra, le sue ali si ripiegarono su sé stesse e il bagliore vermiglio
che le circondava rapidamente si esaurì.
«Non ti libererai di noi tanto facilmente!» disse Keita «Lascia andare
il nostro amico Johan!»
«Johan? Johan ormai è mio! E prima dell’alba
voi finirete sottoterra!».
La spada Naqada prese a tremare, poi lungo la
parte centrale della lama si aprì una lunga fenditura e le due metà si
separarono, aprendo tra di loro un solco di venti centimetri che fu riempito
con una terza lama, fatta di luce rossa, lunga almeno quattro
metri, tanto che Johan doveva tenerla rivolta verso l’alto.
«GigantForm!»
«Raccomandatevi a un dio!».
Con la sua nuova arma Seth mise i ragazzi in seria difficoltà, ma loro,
lavorando in squadra, riuscirono in qualche modo a tenergli testa; intere
sezioni di colonne del porticato venero spazzate via,
parti più o meno grandi della basilica, private del loro sostegno o
pesantemente minate, cominciarono a crollare, e anche l’Obelisco Vaticano,
colpito in pieno da una meteora di luce, venne ridotto in mille pezzi.
Ben presto però la superiorità di Seth cominciò a farsi sentire, e le
cose presero a mettersi veramente male per i quattro amici.
Shinji, in un tentativo di attaccare frontalmente il nemico, usò la sua
grande velocità per evitare i suoi fendenti e, giuntogli appresso, spiccò un
grande salto, volandogli contro mentre la sua gamba destra si circondava di
un’aura fiammeggiante.
Seth evitò l’attacco, che produsse una grande voragine sul terreno,
spiccando nuovamente il volo, ma trovò Takeru ad attenderlo alle proprie spalle
e si vide lanciare contro un nuovo TenmaShouryuusen; nuovamente schivò il colpo, e vedendo Shinji
venirgli di nuovo addosso per la terza volta riuscì a
farsi da parte, approfittando del momento in cui il ragazzo era scoperto per
assestargli una ginocchiata allo stomaco che lo fece volare via; subito dopo si
girò prontamente alle proprie spalle e con un solo fendente scardinò la difesa
di Takeru, che aveva cercato di piombargli addosso saltando da un cumulo di
macerie, spedendo anche lui parecchi metri lontano, ma Keita sfruttò il momento
favorevole e circondò di luce la lama della sua spada.
SONIC ASSAULT!
Questa volta la velocità del
ragazzo si rivelò eccessiva anche per la robusta spada di Seth, messa in avanti
come scudo per contrastare quell’assalto del tutto improvviso e inaspettato; la
lama lucente andò in mille pezzi, riportando la spada alla sua vera forma, e il
contraccolpo violento fece strisciare i piedi di Johan a lungo sul selciato, procurandogli
oltretutto una leggera ferita alla fronte.
Fermatosi, e percependo il sangue che gli rigava il volto, il dio andò
nuovamente su tutte le furie.
«Questa me la pagherete molto cara!».
Con un solo movimento della spada Seth generò un tornado molto più forte
degli altri, tanto forte da investire i tre ragazzi, che nel frattempo si erano
raggruppati, e lanciarli via dopo una disperata resistenza; Nadeshiko, messasi
in mezzo, tentò di difenderli, ma subì lo stesso destino.
«Umani! Vi ritenete sempre superiori a tutto e
a tutti.
Beh, oggi scoprirete cosa succede a far arrabbiare un dio!».
Seth alzò l’arma per infliggere il colpo di grazia, ma all’ultimo
secondo un fascio di luce azzurro, rapido come una freccia, si
infranse sul suo braccio destro, congelandolo istantaneamente insieme
alla spada, e questa volta il nemico si mostrò davvero sorpreso.
«Ma che…».
Tutti si volsero nella direzione da cui era partito l’attacco, e videro
Toshio con in mano l’arco di Tomite ancora sollevato
in direzione di Seth.
«Azzardati a toccarli, e ti farò provare qualcosa di ben peggiore della
morte.»
«Toshio!» esclamarono i ragazzi.
Subito il guerriero corse da loro a sincerarsi che stessero bene, e
Nadeshiko, aiutata a rialzarsi, lo abbracciò.
«Stai bene, non è vero Nadeshiko?»
«Scusami. Scusami per quello che ho fatto.
Volevo essere utile, in qualche modo.»
«No, sono io che devo chiedervi scusa. Non
avrei dovuto obbligarvi a rimanere in disparte.»
«Tu hai parecchie cose da spiegare.» disse Shinji «Ma di questo ci
occuperemo dopo».
In quel momento in cielo apparve la meridiana, dove ormai rimanevano
solamente due simboli; uno di essi, simile al Cancro, si spense, e così ne
rimase solo uno, quello che ricordava l’Ariete, un
simbolo che Keita e i suoi amici ben conoscevano.
«Toshio.» disse Takeru «Allora tu…»
«Spadaccino. Non mi dirai che tu…»
«Sì. Sono l’ultimo guerriero rimasto. Ho vinto
il torneo!».
Seth, visibilmente infuriato, riuscì a distruggere la patina di ghiaccio
che circondava il braccio e l’arma circondandoli del
bagliore rosso vermiglio.
«Maledetto spadaccino. Mi hai causato anche
troppi problemi. È colpa tua se tutti i miei piani stavano per svanire come
neve al sole. Stavo per perdere tutto.»
«È stato un bello spettacolo, non trovi?»
«Taci!» tuonò il dio circondandosi di un’aura rossa così potente da far
volare le macerie tutto intorno e facendo fischiare la lama di Naqada con movimenti secchi e rapidi «Vedi
questa spada? Ti farà a pezzi. Farà a pezzi tutti voi.»
«Fatti avanti.» rispose Toshio mettendosi in posizione di guardia
assieme ai suoi compagni «Ti aspettiamo».
Ne nacque uno scontro violento e combattuto, e quasi subito Seth e
Toshio si ritrovarono ad incrociare le armi
guardandosi dritti in volto.
«Cancellerò la stirpe di Clow da questo mondo una volta per tutte!».
Contemporaneamente gli elicotteri
comandati da Akunator, dopo essere riusciti ad oltrepassare la cupola per mezzo di speciali barriere,
stavano sorvolando la zona della Garbatella diretti
verso la Città
del Vaticano, dove si trovava il centro della cupola e dove sicuramente, a
giudicare dai continui lampi di luce, era in corso la battaglia contro Seth.
«Quanto manca per arrivare laggiù?» domandò il principe rivolto al pilota
«Un paio di minuti.»
«Avvicinarsi troppo sarebbe pericoloso.» disse Akunator
«Atterriamo a cinquecento metri e poi procediamo a piedi.»
«Sissignore».
D’un tratto qualcosa passò fulmineo proprio davanti all’elicottero di
testa, quello in cui si trovava la famiglia reale; era troppo veloce per capire di che cosa potesse trattarsi, ma il leggero
tremore che colse la spada del re non era per nulla un buon segno.
«Che diavolo era quello?» domandò il copilota tentando di scorgerlo
oltre i vetri.
Prima che qualcuno potesse dare una risposta una
meteora di fuoco piovve dal cielo, centrando in pieno il velivolo a sinistra e
disintegrandolo in una gigantesca esplosione.
«Maledizione! Siamo sotto attacco!».
L’elicottero a destra tentò di virare bruscamente ma fece la stessa
fine, quello di testa invece diede potenza ai motori per allontanarsi e scese
rapidamente di quota per poter sfruttare la copertura
dei palazzi, nella speranza di non coinvolgere innocenti.
Piovvero altre meteore, ma il pilota riuscì fortunatamente a schivarle
tutte, e dopo pochi secondi il responsabile della distruzione dei due velivoli
si decise finalmente a farsi vedere, comparendo alle spalle dell’elicottero:
somigliava a Frederich, ma la sua pelle nera, invece che di squame, pareva
fatta di scaglie di pietra, e i suoi occhi scintillavano di malignità.
«Un drago corrotto!» disse Sanak
«Tenetevi forte maestà, sarà una gita movimentata!».
Ne nacque uno spettacolare quanto pericoloso inseguimento fra le strade
della città; sia il drago che l’elicottero erano
grandi, e quindi poco adatti a volare in molte delle strade strette e tortuose
che caratterizzavano il centro di Roma, ma il drago, a dispetto della mole,
poteva vantare una superiore agilità, e il suo vantaggio aumentava sempre di
più.
Essendo un elicottero da trasporto non disponeva di
alcun tipo di armamento, e le uniche due mitragliatrici d’assalto che
sporgevano dai portelli potevano essere rivolte solo verso il basso e lungo i
fianchi, quindi rispondere al fuoco era quasi impossibile, per non parlare del
fatto che quella specie di carapace non sarebbe stato facile da perforare.
«Dobbiamo colpirlo dentro la bocca!» disse Sanak «Quello è l’unico punto
vulnerabile!»
La grande abilità del pilota permise di schivare altre meteore, ma purtroppo
uno dei soldati del seguito, che si era sporto per poter
colpire l’inseguitore, cadde dal velivolo a causa di un brusco contraccolpo
precipitando al suolo; bisognava fare qualcosa, e bisognava farla subito.
«Agganciami!» gridò Sanak rivolto ad un altro
dei suoi uomini dopo aver imbracciato un fucile
«Figliolo, aspetta!» tentò di dire suo padre, ma troppo tardi.
Legatosi con un cavo assicurato alla cintura del
calzoni Sanak si sporse a sua volta dal portellone con un piede all’interno e
l’altro poggiato sul pattino, quindi si portò il mirino all’occhio tenendo il
fucile con il solo braccio destro.
Fu necessario eseguire un paio di altre manovre azzardate, soprattutto
per evitare calcinacci e detriti, poi il drago si preparò a lanciare l’attacco
finale, spalancando la bocca.
«Sei grosso ma poco furbo.» disse il principe mirando proprio al centro.
Dalla gola del nemico cominciò a sollevarsi un bagliore sinistro, e
appena lo vide Sanak sparò.
«Mangia questo!».
Il proiettile, un modello carico di una particolare mistura inventata
dagli ammazza-demoni di magia compressa allo stato
liquido ed essenza di una rosa orientale, a cui le
creature corrotte erano fortemente allergiche, ebbe l’effetto di una bomba,
risultando a contatto con le fiamme ancor più devastante.
Al drago gli scoppiò letteralmente la gola, producendo un grande
squarcio a metà del collo; la creatura lanciò un urlo di dolore, poi cadde già
morta sulla strada sottostante, disintegrando tutto ciò che trovava nel suo
ruzzolare.
Prima che il principe e tutti gli altri potessero esultare, per somma
sfortuna, la coda del mostro, lanciata completamente alla deriva, colpì di
striscio l’elicottero, danneggiando irrimediabilmente le pale.
«Merda!» disse il pilota perdendo l’assetto, mentre l’intero veicolo veniva sconvolto da un tremore irrefrenabile
«Precipitiamo!».
Ringraziando il cielo la corsa tra i palazzi
aveva condotto i fuggitivi nell’area del Circo Massimo, e fu proprio nel grande
campo sgombro che l’elicottero precipitò; l’urto fu violentissimo, malgrado il
pilota avesse fatto di tutto per tentare di renderlo più morbido, e il velivolo
strisciò a lungo sul terreno, reso umido dalle recenti piogge, prima di
riuscire finalmente a fermarsi.
Pilota e copilota morirono sul colpo, e una
guardia ne uscì con una spalla slogata, ma a parte questo i cinque superstiti
erano sostanzialmente integri, e si affrettarono ad abbandonare il mezzo per
scampare ad una probabile esplosione, che infatti avvenne poco dopo.
«State tutti bene?» domandò il re prima di
accorgersi che uno dei suoi uomini si teneva il braccio sinistro «Soldato, sei
ferito?»
«Solo una spalla slogata, maestà. Niente di
grave.»
«Stringi i denti».
Il re riportò in assetto l’osso fuori posto con un violento scatto, e malgrado il soldato fosse abituato al dolore dovette
stringere i denti per non gridare.
«Và meglio?»
«Sì, grazie».
Sanak, che si stava guardando attorno, fu il primo ad accorgersi del
sopraggiungere, a gruppi, di un vero e proprio esercito di guerrieri oscuri che
rapidamente circondarono i superstiti. Questi fecero immediatamente cerchio, e
al minimo segnale di pericolo si scagliarono sui nemici, iniziando una
battaglia furiosa, soprattutto all’arma bianca.
Il principe e suo padre, che a dispetto dell’età avanzata dimostrava forza e agilità inaspettate, erano guerrieri di
grande valore ed esperienza, e così pure gli uomini del loro seguito, ma quella
era una battaglia impari, ed era solo una questione di tempo prima che
venissero sopraffatti.
Ad un certo punto Sanak, che era impegnato ad
affrontare tre avversari contemporaneamente, ricevette un calcio che lo buttò a
terra, e uno dei nemici, giuntogli sopra, alzò gli artigli della mano destra
per infliggergli il colpo di grazia; Akunator se ne
accorse, ma era troppo lontano per poterlo aiutare, considerando oltretutto che
anche lui era soverchiato dal numero di avversari.
«Sanak!».
Il ragazzo, ferito, restò immobile, un po’ per la paura un po’ per la
consapevolezza di essere spacciato, ma all’ultimo secondo si udì un suono
fortissimo, e la luce fortissima delle lanterne di due apache da guerra illuminarono il campo di battaglia, catalizzando su di sé
l’attenzione di tutti.
Non erano soli; facevano infatti da scorta ad
altri due elicotteri da trasporto, e dal portello di uno di essi sporgeva
Izumi, la leggendaria ammazza-demoni, accompagnata da
Nagisa, il suo famiglio, con in mano un gigantesco
fucile anticarro che doveva pesare quanto lei se non di più.
L’apache scaricò una raffica di mitra sui nemici in modo da disperderli,
dando a Sanak l’occasione buona per rialzarsi e uccidere il suo potenziale
assassino, e protetti da questo sbarramento molti altri ammazza-demoni con la divisa nera propria
dell’organizzazione Aferlife presero a calarsi con
delle funi sparando all’impazzata per coprirsi la discesa.
Questo inaspettato e tempestivo intervento risollevò le sorti della
battaglia, che tornò ad imperversare; sfoggiando la
sua bloody rose, e spalleggiata da Nagisa, Izumi distruggeva senza pietà chiunque le si
parasse davanti, e quando, per una distrazione, si vide venire contro un nemico
che, in linea teorica, poteva rappresentare una minaccia questi cadde prima
ancora che lei sollevasse la pistola, centrato in mezzo alla testa.
A sparare era stato un ragazzo dai tratti sudamericani appostato su di
un tetto attiguo con l’occhio piantato sul mirino di un Barret
M82 anticarro ad alta precisione; aveva una bandana in testa e mentre sparava,
disteso sulla pancia, ascoltava da un paio di auricolari
musica heavy metal a tutto volume,
sorseggiando di tanto in tanto qualcuna delle numerose bottiglie di birra che
aveva con sé.
Si chiamava Ricardo Juaisto, ma tutti lo chiamavano Noce, veniva dalla Bolivia ed era un vero
luminare nel campo dell’ingegneria bellica; Bloody
Rose, l’arma usata dalla stessa Izumi, era per l’appunto una sua creazione.
«Ce n’è per tutti!» disse facendo saltare la testa ad
un altro nemico che aveva tentato di assalire Akunator
alle spalle.
Dopo circa quindici minuti la battaglia ebbe fine, e tutti i soldati
oscuri vennero eliminati.
«Grazie del vostro aiuto.» disse Akunator
rivolgendosi ad Izumi «Se non fosse stato per voi
saremmo sicuramente morti.»
«A dopo i ringraziamenti. I nostri uomini si
stanno occupando di evacuare i civili. In quanto a noi, dobbiamo sbrigarci a
raggiungere il Vaticano.»
«Ha ragione. Laggiù la battaglia si sarà
sicuramente fatta cruenta».
Nello stesso momento, alcune centinaia di metri più a nord, il gruppo
formato da Tadaki, Souma e Ilya era a sua volta impegnato in un combattimento
contro numerosi soldati oscuri che aveva come fine ultimo
la protezione di un gruppetto di circa dieci persone rimase intrappolate
all’interno della cupola e che avevano cercato rifugio tra le siepi di un
parco.
La cosa più importante era tenere i nemici lontani dai civili, ma il
numero degli aggressori era di gran lunga superiore e
dovendo preoccuparsi di tenere la posizione per poter fare muro i ragazzi si
trovavano in difficoltà.
Shaina aveva usato le sue abilità con il fuoco
per generare una barriera fiammeggiante tutto attorno ai superstiti, ma dopo un
certo periodo di tempo e continui assalti sventati
all’ultimo momento questa aveva inevitabilmente ceduto, e ormai il famiglio non
aveva la forza di erigerne un’altra.
«Dobbiamo tenerli indietro ad ogni costo!» continuava a ripetere Tadaki
respingendo ogni attacco
«È una parola, questi continuano ad aumentare!».
Souma, Touka e Shaina facevano del loro
meglio, e così pure Ilya, per quanto le era possibile; la morte di Frederich
aveva lasciato in lei un profondo vuoto e una tristezza che non sarebbe
sicuramente mai svanita, per non parlare del fatto che senza il supporto
dell’energia magica emessa dal proprio drago i guerrieri della sua gente, e lei
in particolare vista la sua giovane età, molto difficilmente riuscivano
a padroneggiare una magia di buon livello.
D’un tratto Ilya venne puntata da un nemico
che, dopo essere stato colpito da un fascio di luce magica, aveva gettato la
ragazzina a terra prendendola per i capelli.
Ilya era davvero convinta di dover morire, ma a salvarla giunseuna poderosa quanto
inaspettata lingua di fuoco che incenerì l’aggressore senza sfiorarla neanche
minimamente; la riconobbe, ma non volle credere che fosse vero fino a quando
non alzò gli occhi, e allora la sua gioia fu davvero immensa.
«Frederich!»
«Non ci posso credere.» disse Souma vedendolo volare sopra le loro teste
«Credevo fosse morto.»
«Deve aver preso la forma spirituale subito prima di venire investito
dall’esplosione.» ipotizzò Tadaki «E così è riuscito anche a passare il
portale».
Con l’appoggio del drago, che volando basso creava veri e propri muri di
fuoco incenerendo in un sol colpo decine di aggressori, la battaglia venne presto vinta, e appena Frederich tornò a terra a
scontro concluso Ilya corse ad abbracciargli il muso piangendo di felicità.
«Frederich! Sei vivo!».
Un gruppetto di ammazza-demoni
arrivarono sul campo di battaglia quando ormai tutto era finito.
«Ci occuperemo noi di questi civili.» disse il capo pattuglia «Voi
raggiungete il Vaticano.»
«D’accordo.» rispose Tadaki
«Forza, sbrighiamoci!» disse Ilya saltando in groppa al suo drago
«Toshio e Nadeshiko hanno bisogno di noi!».
Una sorpresa inaspettata la ebbe anche il secondo gruppo impegnato nella
ricerca e nel salvataggio dei cittadini e dei turisti, composto da Aria, Lotte, Tomite, Ryu-o e Kagura, che pur non
producendo il grande effetto dell’arrivo impetuoso di Frederich risultò
comunque disarmante.
Nel momento in cui Aria e Lotte, rimase un po’
distaccate dai loro compagni, stavano combattendo con una specie di golem di
proporzioni colossali, in loro soccorso giunsero Ushio, Minami e Yuuhi, ma
anche qualcun altro, qualcuno di completamente inatteso.
«Selene!» disse Aria vedendo la ragazza piombare dal cielo dopo aver
distrutto un braccio del mostro con una meteora di fuoco.
Lei però le guardò come se non le conoscesse.
«Il mio nome è Helen, e sono il famiglio di Master Atarus.»
«Helen!?» ripeté Lotte
«Il mio master mi ha ordinato di venirvi ad
aiutare. Voi dovete essere i famigli di Toshio».
Il lavoro di squadra sancì rapidamente la sconfitta del golem, e a quel
punto anche loro si diressero verso il Vaticano, dove la battaglia finale stava
assumendo decisamente una brutta piega.
Dopo essere stato messo inizialmente alle strette dall’inaspettato
arrivo di Toshio Seth aveva rapidamente riguadagnato
la propria superiorità, visto e considerato anche il fatto che lo spadaccino,
reduce da uno scontro breve ma combattuto con Atarus, non era certamente al
massimo delle sue possibilità.
Lavorando ora individualmente ora in squadra i ragazzi tentarono di
contrastare la forza del nemico, ma non c’era all’apparenza nulla da fare, e
ogni loro tentativo finiva nella più rovinosa disfatta. Shinji,
cercando di assestare un calcio, fu intercettato e colpito con un fendente che
solo grazie ad una barriera prontamente eretta dallo stesso ragazzo non lo
tagliò da parte a parte, spedendolo però prima in aria per poi farlo
precipitare al suolo; Takeru e Keita tentarono un attacco simultaneo, ma con
indifferenza e facilità incredibili Seth bloccò la spada di Keita con la
propria e quella di Takeru semplicemente con una mano, la cui pelle sembrava
più dura dello stesso acciaio.
«Explosion!».
La detonazione emessa da Naqada mise fuori
combattimento anche loro due; Nadeshiko volle tentare un attacco ma fu
rapidamente sconfitta, e allora rimase solo Toshio. Questi, provato ma ancora
determinato a combattere, decise di fare ricorso alla sua ultima carta, e
richiamato a sé il ΜένοςAδηλος materializzò sia le fiamme
sul volto che le proprie ali.
Seth accolse quell’evento con un enigmatico sorriso.
«Finalmente ti sei deciso.
Ho sempre sognato di confrontarmi con qualcuno che fosse
in possesso delΜένοςAδηλος. Adesso finalmente
potrò soddisfare il mio desiderio.»
«Bene, eccoti accontentato».
Entrambi i contendenti spiccarono il volo veloci come fulmini, e
scontratisi diedero vita ad un combattimento aereo di
altissimo livello; erano molto rapidi a muoversi, colpivano e si allontanavano
in continuazione ma nessuno riusciva a valicare la difesa dell’altro, e dopo
cinque minuti la stanchezza cominciò a farsi sentire, obbligando ad una sosta
ad una decina di metri dal suolo.
«Niente male davvero. Lo riconosco,
sei bravino.
Indubbiamente ti hanno potenziato al massimo.»
«Questo non ha alcuna importanza. Questa forza
e queste capacità sono mie. Nessuno me le ha date, e anche se così fosse sono
io che ho imparato a sfruttarle.»
«Comunque sei davvero il degno figlio di Clow. Per quante volte ti si colpisca,
tu riesci sempre a rialzarti. È stato così anche le
altre volte che noi due ci siamo affrontati.
Ma credimi, questa volta andrà diversamente.»
«Staremo a vedere».
Toshio sguainò la seconda spada, e prime che Seth potesse avvedersene
scomparve nel nulla; un secondo dopo il dio venne
violentemente colpito alla schiena, all’apparenza da una forza invisibile, ma
la realtà era ben diversa.
MOONLIGHT BLADE!
Spostandosi ad
una velocità vicina a quella del suono Toshio colpiva ripetutamente il suo
nemico come una scheggia impazzita, e la sua rapidità era tale che era
impossibile scorgerne i movimenti.
Seth venne colpito più e più volte, i suoi
vestiti si riempirono di tagli e cominciò a perdere sangue.
«Maledetto spadaccino!» disse, irato, ad un
certo punto «Adesso basta!» e mossosi a sua volta a grande velocità intercettò
Toshio nel momento in cui si stava preparando a colpire di nuovo, spezzandogli due
costole con un calcio spaventoso.
Il ragazzo urlò dal dolore, ma il peggio doveva ancora venire, infatti Seth mise nuovamente mano a Naqada,
che da qualche minuto portava assicurata dietro la schiena.
«SichelDunkel!».
Colpito in pieno Toshio precipitò come un
asteroide, cadendo a terra a pochi passi da Nadeshiko, che come gli altri era
così provata da faticare a rimanere in piedi; lo spadaccino uscì terribilmente
malmesso da quell’attacco, le sue ali erano intirizzite e molte delle piume
sparse tutto intorno o fluttuanti nell’aria.
«Chi doveva farmi provare qualcosa peggiore della morte?» domandò
sarcastico Seth «Già sconfiggermi con l’ausilio della Luce di Amon è azzardato,
ma sperare di riuscirci senza è pura follia».
Detto questo Seth, ancora sospeso in aria, puntò la spada verso di lui.
«Sparisci per sempre.»
«SchlagAnmut!».
La spada si aprì nuovamente al centro, e come un’arma da fuoco sparì un
fascio luminoso in direzione di Toshio, ma prima che il ragazzo potesse
vederselo venire contro una figura gli si parò davanti, facendogli da scudo.
Tutto parve svolgersi esattamente come quella volta, migliaia di anni
prima; la scena si stava ripetendo allo stesso moda:
quella sensazione di terrore, quell’istante di consapevolezza, e quegli occhi
carichi di amore che gli penetravano l’anima.
No! Non l’avrebbe permesso! Non avrebbe lasciato che succedesse ancora!
«No!» urlò, e richiamate a sé le sue poche forze si avventò
su Nadeshiko, afferrandola e buttandola a terra in un’ultima, drammatica
inversione dei ruoli.
Lei lo vide sgranare gli occhi, le sue belle piume nere volare via, strappate via e gettate al vento dalla potenza del colpo,
che non produsse alcun bagliore, ma solo una profonda ed insanabile ferita alla
schiena; lo vide sussurrare qualcosa, vide le sue labbra muoversi e pronunciare
una frase impercettibile, ma che lei capì, e quando lo vide, apparentemente
morto, accasciarsi al suolo sul torace proprio accanto a lei, il cuore parve
scoppiarle per il dolore.
«Toshio!».
CONTINUA
Nota dell’Autore!
Eccomi qua!^_^
-1 alla fine. Questa
storia ormai è giunta davvero ai suoi ultimi scampoli di narrazione. Come
promesso questi ultimi due capitoli saranno più brevi
di quelli che li hanno preceduti (questo almeno, anche se il prossimo potrebbe
riservare qualche sorpresa).
Sono stati mesi
lunghissimi, densi di fatiche, ma il numero delle recensioni e la soddisfazione
manifestata dai lettori sono una grandissima soddisfazione. Preannuncio
fin da ora che nel prossimo capitolo non inserirò le Note dell’Autore, che
riserverò per l’epilogo, e che a pochi giorni dalla conclusione di Millennium War: The Origin
riprenderà la narrazione di Millennium War: Rebirth; inoltre (ma devo valutare bene il tempo) inizierò
contemporaneamente la stesura di una minific in 13
capitoli intitolata Millennium War: ThreetenDays, che farà da
collegamento fra il primo e il secondo episodio della saga.
«Toshio!» gridò Nadeshiko inginocchiandosi
davanti a lui e girandolo verso di sé.
Il suo volto era segnato dal dolore, ma nonostante tutto aveva
un’espressione serena, di chi ha fatto ciò che sapeva giusto senza alcun
rimpianto.
«Toshio, rispondimi!» disse dopo avergli poggiato la testa sulle
ginocchia.
Lui, a fatica, aprì gli occhi, guardandola.
«Sta… stai bene?»
«Perché? Perché lo hai fatto?»
«Perché… non potevo permetterti… di morire ancora… a causa mia.»
«Toshio…».
Toshio, accennando un sorriso, sollevò faticosamente la mano e le
asciugò alcune lacrime che le rigavano le guance.
«Ironico, non trovi? Pare proprio… che… il destino ci obblighi
costantemente a scelte che comportano… la salvezza di uno… e il sacrificio
dell’altro.»
«Non dire così, Toshio! Non arrenderti!».
La vista del loro grande amico in fin di vita mandò i ragazzi su tutte
le furie, soprattutto se pensavano che si era ridotto così per proteggere
Nadeshiko, dopo che lei stessa aveva tentato a sua volta di salvargli la vita
sacrificando la propria.
Keita urlò di collera come mai aveva fatto prima, collera derivatagli
dalla crudeltà del fato che negava alla sua amica del cuore la possibilità di
essere felice, e materializzato il suo circolo magico schizzò velocissimo verso
Seth, che ancora levitava sopra di loro, colpendolo così forte da farlo volare
ancora più in alto.
«Ma che…» disse incredulo vedendo che Naqada non era stata in grado di
proteggerlo adeguatamente.
Correndo letteralmente sui muri Shinji risalì tutta la basilica, poi
spiccò un salto altissimo e subito dopo un giro della morte, arrivando sopra a
Seth ed assestandogli un calcio che tuttavia venne parato con il polso, ma nel
respingere il biondino Seth diede le spalle a Takeru, che ne approfittò per
assestare un colpo, a sua volta respinto, ma da quel momento i tre ragazzi
sembrarono tornare nel pieno delle forze, e l’assalto al nemico divenne
incessante.
«Toshio… non devi mollare. Non puoi farlo.»
«Te lo ricordi? Ricordi quando… cavalcavamo insieme, la notte, nel… nel
deserto?».
Come poteva dimenticarlo?
Erano stati i momenti più belli della breve vita che avevano potuto
trascorrere insieme, come sovrani di Nepthys; uscivano dopo il calare del sole,
e passavano tutta la notte a cavalcare senza meta fra le dune sabbiose,
ammirando la vastità del cielo stellato; a volte poi si distendevano sulla
sabbia, e lì giacevano fino all’alba, parlando e scherzando, ma soprattutto
favoleggiando di quante cose avrebbero potuto fare ora che erano finalmente
insieme.
Ecco perché entrambi, anche nella loro vita attuale, amavano fermarsi a
guardare le stelle; era un retaggio, l’ultimo frammento di ricordi tanto belli
da non poter essere cancellati.
Lei fece cenno di sì, e lui di nuovo sorrise.
«Mi sarebbe piaciuto… farlo ancora…»
«Lo faremo Toshio. Lo faremo! Devi restare sveglio!».
Toshio cercò di fare come gli veniva detto, ma poi chiuse gli occhi,
piegando la testa all’indietro; non era ancora morto, ma il suo respiro era
debole, e il battito irregolare, quindi il tempo che gli rimaneva era comunque
poco.
Nadeshiko si sentì morire dentro; era consapevole del fatto che non
c’era nulla da fare, ma nonostante tutto una piccola parte di lei ancora si
aggrappava alla speranza, e in particolare a quelle parole appena sussurrate
subito dopo essere stato colpito.
«No. Ti prego. Ti prego, non lasciarmi.
Toshio, ti amo anch’io. Non mi lasciare».
Una lacrima, scivolando dagli occhi, cadde a terra, risuonando come una
campanella, e sotto la ragazza comparve d’incanto il suo cerchio magico, ma che
ora, invece che di rosa, brillava di bianco. Il suo potere era qualcosa di
immenso, e fu avvertito in tutta la città da coloro che avevano i mezzi per
poterlo percepire.
Keita e gli altri smisero di combattere, rimanendo immobili con la bocca
spalancata per lo stupore, e altrettanto accadde a Seth, ma che, piuttosto che
stupito, pareva terrorizzato.
“Questo potere… no, non ci credo!”.
Il cerchio scomparve, ma sia Nadeshiko che Toshio vennero avvolti da
quella luce bianca, una vera e propria fiamma nel buio che rischiarava le
tenebre tutto intorno. Come in trance, la ragazza avvertì qualcosa in lei che
stava cambiando, ma invece che indagare lasciò che le cose facessero il suo
corso, perché il cuore le diceva che quella era la cosa migliore da fare.
I suoi capelli, da castani, divennero bianchi, e dietro la schiena le
comparvero quattro grandi ali, simili a quelle di Seth ma infinitamente più
luminose, e quando aprì gli occhi questi erano diventati di un rosso acceso,
due veri rubini; non sembrava neanche più lei, ma a differenza di quello che
accadeva quando era Isis a prendere il sopravvento vi era un qualcosa che
lasciava intendere che tutto ciò era accaduto e stava accadendo a Nadeshiko,
non alla sua alter ego, che con quell’evento non aveva nulla a che fare.
Lentamente e con cura, la ragazza sollevò la testa del suo amato e, dopo
averne contemplato per un istante i lineamenti, gli diede un bacio leggero,
appena percettibile, ma dall’infinito calore; poi, quando quel piccolo momento
d’incanto ebbe fine, una piccola nuvola di quella luce bianca fuoriuscì dalla
bocca di Nadeshiko ed entrò in quella di Toshio, rimasta semiaperta.
Il petto del ragazzo si gonfiò leggermente, poi tutto tornò come prima;
le ali di Nadeshiko scomparvero, occhi e capelli tornarono al loro colore
originario, e lei, apparentemente esausta, per un attimo ebbe un mancamento, ma
la stanchezza le passò subito quando vide Toshio mugugnare qualcosa prima di
aprire nuovamente gli occhi. Non v’era più traccia alcuna dello spettro della
morte al loro interno, erano tornati a risplendere di vita, specchio
infrangibile di un’anima che mai avrebbe smesso di lottare.
«Nadeshiko».
Lei sorrise tra le lacrime, poi lo abbracciò appena lui, seppure con un
po’ di fatica, riuscì a mettersi in ginocchio; tutti sorrisero di gioia, tranne
Seth, il cui terrore divenne ancora più evidente.
“No! Non è possibile! È riuscita ad avere ragione di una ferita tanto
grave! Neanche Isis sarebbe capace di tanto!
Ma allora lei è….”.
Toshio fu aiutato a rimettersi in piedi, e vedendosi piantare nuovamente
addosso quegli occhi da belva mai doma Seth tentò di tornare al suo solito
contegno.
«E và bene, per questa volta te la sei cavata. Ma non sperare di essere
ancora così fortunato».
Per la seconda volta Naqada generò quella lama di luce tale da farle
raggiungere proporzioni colossali.
«Gigant Form!»
«La buona sorte non ti aiuterà per sempre.»
«Lo stesso vale per te».
Testimone silenziosa ed impotente dello scontro che era ripreso in tutta
la sua furia era Franziska, la quale era rimasta indicibilmente colpita da ciò
che era appena accaduto a pochi passi da lei; la vista di quei due ragazzi,
legati così indissolubilmente in modo tale che neppure la morte era stata in
grado di dividerli, le aveva lasciato nell’anima un senso di vuoto.
Un tempo anche lei aveva provato quelle emozioni, le aveva provate con
Johan, ma ormai erano scomparse da tempo. Davanti a sé c’era ora un estraneo,
con le sue parole suadenti, i suoi sguardi ammalianti e le sue promesse più
volte disilluse.
Tutto era cambiato da quella notte maledetta, questa era la verità.
Johan non era più stato lo stesso dal momento in cui aveva accolto dentro di sé
l’anima di Seth, perché da allora la sua volontà era progressivamente scomparsa,
lasciando dietro di sé solo un essere guidato unicamente dalla propria
ambizione.
Johan, il suo fratellino, non era altro che un contenitore, un involucro
che forse, un giorno, sarebbe stato anche gettato in favore di un altro
migliore.
Franziska di colpo si sentì un’ingenua, una sciocca senza speranza:
aveva creduto a tutte quelle storie, aveva continuato nonostante tutto a
restargli affianco, credendo che in questo modo avrebbe potuto mantenere Johan
vicino a sé, o forse semplicemente illudendosi che ciò potesse effettivamente
accadere, e intanto tutte le persone a lei più care, come Wei, ma anche quelle
che nel corso di quella terribile esperienza aveva imparato a conoscere e ad
amare, come Selveria, venivano sacrificate o abbandonate senza la minima
esitazione, e tutto ciò in nome di un non meglio identificato ideale che
serviva solo a mascherare il puro e semplice desiderio di onnipotenza.
Alla fine di tutto, la dinastia Von Karma aveva davvero fatto un patto
con il demonio: proprio come Seth, avevano barattato la dignità con il potere,
asservendosi ad un’entità oscura intenzionata a portare un nuovo ordine, un
ordine spietato e malvagio, e sotto questo aspetto non erano poi tanto diversi.
Il velo di menzogne e apatia che Franziska aveva volontariamente
sollevato tutto intorno a sé per sentirsi al sicuro venne improvvisamente
squarciato, mettendola di fronte al fatto compiuto: Johan non c’era più.
Nonostante questo, però, non voleva arrendersi; poteva e doveva fare
qualcosa, anche di poco conto, per riportare indietro suo fratello, per
restituirgli quella vita spensierata e felice che nessuno gli aveva mai voluto
accordare, e ora capiva perché: Johan era il depositario della maledizione dei
Von Karma, e proprio per questo era vessato ed emarginato dal resto della
famiglia.
Ma quella maledizione sarebbe finita, in un modo o nell’altro: proprio
come quei ragazzi, che stavano rischiando le loro vite per salvare il loro
amico, doveva mettersi in gioco per cambiare il corso delle cose.
Ma cosa poteva fare?
Lei non sapeva combattere, e neppure usare la magia. Era solo una
ragazza spaventata e confusa che rivoleva indietro suo fratello.
In quel momento, e solo in quel momento le venne da porsi una domanda:
Seth aveva rinunciato a tutti i suoi servitori più fedeli, li aveva sacrificati
senza pietà, ma nonostante tutto aveva voluto lei vicino fino all’ultimo,
facendo l’impossibile per riuscire a tenerla dalla sua parte. Perché?
Aveva sempre pensato che ciò fosse dovuto indirettamente a Johan, i cui
pensieri continuavano a permeare la coscienza di Seth, finendo in qualche modo
per influenzare quest’ultimo, ma di colpo le venne da domandarsi se non ci
fosse dell’altro.
Perché tenere accanto a sé una ragazza all’apparenza del tutto inutile?
Una volta Minami le aveva detto che, malgrado Seth si fosse ormai
sostituito a Johan, un filo invisibile continuava ad unirli, lo stesso che
aveva unito tutte le precedenti incarnazioni del dio che avevano preso parte al
grande torneo al fratello o alla sorella che avevano sempre finito per avere.
E se fosse stato così? E se fosse stato solo per questo?
Forse lei era in possesso di qualcosa di cui Seth aveva assolutamente
bisogno, e proprio per questo non poteva permettere che le capitasse nulla di
male.
In quel
momento un tentativo di Shinji di colpire Seth mentre era a terra si risolse
nell’ennesima esplosione del terreno, ed un pezzo di maceria lungo una
quindicina di centimetri rotolò proprio ai piedi della ragazza, che lo guardò:
aveva una forma conica e leggermente acuminata, sembrava quasi un paletto.
Un’idea le attraversò la mente, e il cuore prese a batterle
all’impazzata; era un gesto estremo, che quasi sicuramente le sarebbe costato
molto caro, ma se si trattava di riportare indietro Johan allora quello era un
piccolo prezzo da pagare, quindi, timidamente, ma comunque decisa a fare ciò
che si era prefissata, lo raccolse.
La battaglia intanto andava avanti senza sosta, ma a differenza di poco
prima ora Seth era chiaramente in difficoltà, pressato senza sosta da una serie
ininterrotta di attacchi ai quali, per sua fortuna, riusciva sempre e comunque
a reagire, questo grazie alla sua infinita riserva di energia.
«Non l’avete ancora capito?» disse, in parte bluffando, dopo averli
respinti per l’ennesima volta «Non c’è niente che possiate fare! Io sono
invincibile!».
Invece, all’improvviso, la lama di luce della sua spada cominciò a
scomparire ad intermittenza, come una lampadina sul punto di fulminarsi, e lo
stesso accadde alla sfera sull’impugnatura.
«Ma cosa…»
«Abfallenergie!»
«Che succede? Naqada sta perdendo energia! Com’è possibile?».
Attonito, Seth si guardò attorno, e volgendo gli occhi verso il basso la
scena che gli si palesò davanti lo paralizzò dal terrore; Franziska era raggomitolata
in posizione fetale con entrambe le mani strette attorno al un pezzo di roccia
che si era conficcata con forza nel ventre.
Il paletto funzionava anche come un tappo, impedendo al sangue di
uscire, ma il dolore provato dalla ragazza era visibile nella sua espressione,
un dolore lancinante e terribile, e tutti, compresi Toshio e i suoi compagni,
si domandavano come facesse a non urlare.
«No!»
«Erschöpfte Energie!»
«Che sta succedendo?» chiese Takeru
«Quella ragazza.» disse Toshio «Evidentemente era da lei che la spada
traeva energia».
In pochi secondi la lama di luce scomparve, riportando Naqada alla sua
forma normale, e anche la cupola cominciò rapidamente a ritirarsi.
«No! La mia barriera!»
«Guardate!» disse Keita «Il fuuzetsu sta scomparendo!».
Alla fine la barriera scomparve del tutto sotto gli occhi increduli del
mondo intero, che seguiva lo svolgersi degli eventi dalle telecamere che
riprendevano incessantemente la scena, e il tempo riprese a scorrere per la
città eterna.
«Maledetta traditrice!» urlò Seth dirigendo una sfera di luce oscura ed
elettrificata contro Franziska, a terra agonizzante con il paletto ancora
piantato nel corpo.
Nadeshiko però lo prese in contropiede, e raggiunta la ragazza evocò una
barriera che difese entrambe e che si rivelò più che sufficiente contro la
potenza del nemico, ora decisamente ridimensionata. Inginocchiatasi davanti a
lei cercò di usare nuovamente i suoi poteri per sanare la ferita, ma Franziska,
con un cenno, le disse di non farlo.
«A… Aspetta. Se guarisci me… anche lui… tornerà più forte.»
«Ma potresti morire. È una grave ferita, se aspettiamo troppo ti
ucciderà.»
«Non… importa. Se è… per salvare… mio fratello…»
«Franziska…».
D’un tratto, una luce fortissima, simile ad una cometa, apparve
nell’oscurità della notte, brillando così forte da catalizzare su di sé le
attenzioni di tutti; di nuovo, Seth parve più spaventato che mai.
«No! Tutto, ma non questo!».
Toshio era il più colpito di tutti, e dentro di sé sapeva di che cosa si
trattava; la conferma ai suoi pensieri venne nel momento in cui quel bagliore
lo raggiunse, posandosi sulle sue mani, aperte in segno di offerta; a generare
la luce era una sfera, apparentemente di vetro, grande poco più di una normale
biglia da gioco, ma dalla quale proveniva uno straordinario potere magico.
«La Luce
di Amon.»
«Dunque…» disse Shinji «Sarebbe quella… la Luce di Amon?».
Seth, a quella vista, esplose di collera; tutti i suoi piani erano
definitivamente andati in fumo, e gli si prospettava una nuova, cocente
sconfitta, ma non poteva assolutamente permettere che accadesse. Toshio,
seguendo il rituale che gli era stato insegnato, prese a concentrarsi sulla
sfera per poterne carpire il potere, e immediatamente Seth ne approfittò,
sapendo che in quel preciso momento il vincitore, per pochi secondi, rimaneva
indifeso.
«Non lo permetterò!»
«Gigant Komet!»
«Toshio, attento!» gridò Nadeshiko.
Colto alla sprovvista il ragazzo si ritrovò vulnerabile, ma all’ultimo
secondo qualcuno si mise in mezzo e prese su di sé l’attacco, usando la propria
forza fisica come uno scudo.
«Atarus!?»
«Datti una mossa, spadaccino! Non posso restare qui tutto il giorno!».
Nello spazio di un istante all’arrivò del lanciere seguì quello di tutti
gli altri partecipanti al torneo, che immediatamente fecero muro davanti al suo
compagno alzando le armi in sua difesa.
«Voi!» ringhiò Seth vedendo Minami e le sue sorelle
«Traditore!» urlò Ushio «Pagherai per tutti i nostri compagni che hai
ucciso!»
«Noi lo terremo impegnato per il tempo che sarà necessario.»
«Tadaki…»
«Cerca di sbrigarti però.» disse Souma «Anche se privo del potere della
sua spada, la sua forza è ancora molto grande. Non so per quanto tempo
riusciremo a resistere.»
«Ragazzi…».
Toshio era commosso; aveva conosciuto tanti guerrieri valorosi nel corso
della sua avventura, persone che meritavano la più completa fiducia, e non
avrebbe reso vani gli sforzi che stavano compiendo per aiutarlo, quindi,
stretto il pugno attorno alla sfera, si concentrò profondamente, e quasi subito
il suo corpo venne circondato da una sorta di guscio d’uovo fatto di luce
dall’aria impenetrabile.
«Servirà qualche minuto perché il rituale sia completo.» disse Aria
«Dobbiamo difenderlo fino ad allora.»
«Avanti dunque.» disse Takeru «Mettiamo fine a questa storia».
Quasi nello stesso momento i ragazzi si lanciarono all’attacco; erano
più di dieci contro uno, ma la rabbia i Seth per essere stato nuovamente
sconfitto rappresentava per lui un indomabile scarica di energia, da riversare
sui responsabili della sua ennesima disfatta senza freno alcuno.
«Maledetti umani!» gridò mulinando la spada in tutte le direzioni
«Dovete sempre rovinare tutto! Io vi cancellerò dall’universo, fosse l’ultima
cosa che faccio! E se proprio devo scomparire ancora, voi tutti mi seguirete!».
Toshio intanto si era ritrovato a galleggiare nella luce, e riaperto il
pugno vide che la Luce
di Amon brillava un po’ meno di prima, permettendogli di guardarla direttamente
senza il rischio di rimanerne accecato. D’un tratto, da dentro il monile,
giunse una voce, femminile e robotica, ma comunque gentile.
«Master.»
«Tu… sai parlare?»
«I’m
here to support you. Please, choose a name and a form for me.»
«Una forma?»
«If you
prefer, you can fuse me with anything you want».
Dargli una forma, o unirlo a qualcosa che già possedeva.
Quale poteva essere la scelta migliore? Toshio ci pensò un momento, poi avvertì
in tintinnio che la catenina produceva scorrendo lungo l’ouroboros che portava
al collo.
Quell’oggetto era carico di ricordi; lo legava indissolubilmente alla
persona che amava, e per la quale aveva scelto di combattere. Anche usare la Luce di Amon per sconfiggere
Seth sarebbe stato un gesto volto a proteggerla, l’atto conclusivo che avrebbe
messo fine a quell’incubo permettendo loro, finalmente, di vivere felici. Non
c’era scelta migliore.
«Per favore, unisciti a questo pendente.»
«All right. And
what about the name?».
C’era un solo nome che poteva testimoniare pienamente ciò
per il quale la Luce
di Amon era stata creata; essa esisteva per portare nuova vita in un mondo
piegato dalle tenebre, un mondo in cui far splendere di nuovo il bagliore delle
stelle di cui la Luce
era incarnazione.
«Starlight. Il tuo nome… sarà Starlight.»
«Name recorded.
Now, repeat the oath, please».
Di nuovo Toshio chiuse gli occhi, richiamando alla memoria
le parole dell’antico giuramento che gli erano state insegnate e che sancivano
l’unione, seppur momentanea, tra il vincitore del torneo e la Luce di Amon, ripetendole ad
alta voce.
Nobile stendardo dei tempi antichi
Simbolo di onestà e giustizia, io ti prego
Concedimi la tua forza
Con il potere che scorre nel mio petto
E nel mio cuore risoluto
Io giuro di impegnarmi in difesa di questo mondo
E di lottare con tutto me stesso nel nome della giustizia
Attraverso il cosmo, fino alla fine delle stelle!
Il pendente brillò nuovamente con
tutta la sua forza, trasformandosi in luce e unendosi all’ouroboros, che
assunse la forma di un pendaglio ovale con una montatura d’argento e un
gioiello levigato come il vetro ma luminoso come un diamante.
Quando Toshio aprì gli occhi, questi brillavano di rosso; le sue ali,
nere e spiumate a causa del combattimento, divennero bianchissime e foltissime.
«Andiamo, Starlight!»
«Activation!».
Seth intanto aveva dato libero
sfogo a tutta la sua furia, mettendo i ragazzi in seria difficoltà, ma nel
contempo quella specie di follia lo aveva anche reso vulnerabile, facendogli
incassare colpi talvolta molto pesanti.
«Io non mi arrenderò, non mi arrenderò mai! Io sono un dio, non posso
perdere con dei volgari umani!»
«Große Explosion!».
Quell’ennesima esplosione scaraventò Keita e gli altri in tutte le
direzioni, minandoli pericolosamente, e alcuni di loro fecero molta fatica a
rialzarsi dopo aver incassato un simile colpo.
«È anche più potente di quanto avessimo previsto.» disse Touka
«Dannazione spadaccino, muoviti!».
Finalmente, proprio quando Seth stava per concentrare nuovamente i suoi
pensieri su di essa, la sfera si aprì, lentamente, e ciò che apparve quando si
fu del tutto dissolta era qualcosa di incredibile.
Toshio era completamente avvolto in una luccicante armatura,
apparentemente d’argento, ma che rifulgeva più del sole, composta di schinieri,
cintura, corazza, spalliere triangolari sporgenti, lunghi bracciali e una sorta
di corona a tre punte con un rubino incastonato al centro; le uniche parti
scoperte del corpo erano le cosce e gli avambracci, coperti solo da una veste
bianca, forse una tunica, e due grandi ali bianche facevano mostra di sé dietro
la sua schiena.
Le due spade, quella dorata e quella ricevuta dallo spirito di Giulio
Cesare, erano entrambe assicurate alla cintura, ma il guerriero aveva ora una
terza arma, un lungo scettro bianco con al termine un bidente dorato con le
estremità di lunghezza differente; la
Luce di Amon, leggermente più grande rispetto a prima, era
incastrata fra di esse.
Tutti restarono senza parole, soprattutto gli altri sei guerrieri; non
si era mai saputo cosa fosse davvero la
Luce di Amon, e in quale modo aiutasse il vincitore ad
opporsi a Seth, ma ora che ne avevano la materializzazione concreta dinnanzi
agli occhi capivano come mai si raccontassero tante fantastiche storie sul suo
conto.
«È…» balbettò Ilya «È bellissimo…».
Toshio agitò le ali, e fu come se una corrente di vita si diffondesse
tra i suoi amici, restituendo loro tutte le energie perse in battaglia per
riportarli al massimo delle forze.
«Questo sarà l’ultimo atto, Seth. La tua minaccia sarà nuovamente
frenata, e tu sarai condannato una nuova, lunga prigionia.»
«No! Mi rifiuto! Non tornerò in quel buco infernale! Mai e poi mai!»
«Isis ti aveva offerto la possibilità di cambiare, ma non hai voluto
ascoltarla. Ora pagherai il prezzo della tua stoltezza.»
«Va’ all’inferno, spadaccino!» urlò il dio correndogli contro, una sfida
che venne immediatamente raccolta
«Fatevi da parte! È mio!».
Vi fu un rapido scontro di forza, durante il quale la nuova, incredibile
potenza acquisita dal giovane guerriero grazie alla Luce di Amon divenne più
che evidente, i due si separarono.
«Starlight!»
«Sonic Shooter!».
Decine di sferette luminose comparvero attorno a Toshio, e appena il
ragazzo abbassò lo scettro queste si mossero fulminee verso Seth, piombandogli
addosso da molteplici direzioni; il nemico riuscì a evitarne alcune, altre le
parò, altre ancora lo colpirono, ma il suo terrore più grande fu vedere delle
crepe formarsi sulla sua spada, Naqada, una cosa mai successa in migliaia di
anni.
«Io ti ammazzo!»
«Sichel Dunkel!»
«Protection Powered!».
La barriera creata da Starlight resistette senza alcun problema, e anzi
la sua successiva esplosione servì a scagliare Seth ancora più lontano;
inoltre, prima di potersi riprendere, il dio si ritrovò intrappolato da anelli
invisibili uguali a quelli di Isis.
«Ma cosa…»
«Forza, amici! Chiudiamo la partita, e attacchiamolo
contemporaneamente!»
«Con piacere!» disse Keita, e immediatamente lui e gli altri formarono
un cerchio attorno a Seth, disegnando coi loro circoli magici un mosaico
spettacolare che aveva nella piazza una gigantesca vetrata.
«No, fermi!» tentò di dire Seth, prevedendo quello che lo aspettava.
Il primo a colpire fu Takeru, con il Tenma Shouryuusen, e immediatamente
tutti gli altri lo seguirono, lanciando ognuno la propria tecnica magica più
potente; per ultimo colpì Toshio, che sollevato Starlight generò davanti ad
esso una grande sfera bianca.
«Starlight!»
«Nova Breaker!».
L’urto fra tutti quei colpi, che colpirono il loro bersaglio con una
sincronia quasi perfetta, produsse una enorme, gigantesca esplosione di luce,
tanto forte che tutti dovettero coprirsi gli occhi.
Seth urlò per il dolore fin quasi a spaccarsi le corde vocali; la sua
spada, la sua Naqada, gli fu strappata violentemente di mano, e sollevata in
aria andò in mille pezzi, che diventando polvere si dispersero nel vento.
Con la scomparsa di Naqada non c’era più pericolo di infondere al nemico
nuova energia attraverso Franziska, di conseguenza Nadeshiko si affrettò a
prestare alla ragazza le dovute cure prima che la ferita diventasse insanebile.
Quando l’attacco ebbe fine Seth era ancora vivo, ma così provato e
malconcio da essere costretto sulle ginocchia; ansimava, mugugnava dal dolore,
i suoi vestiti erano parzialmente lacerati ed era ferito in più parti del
corpo.
Toshio gli si avvicinò, lentamente, mentre gli altri rimanevano in
disparte, e giuntogli appresso alzò lo scettro come a volergli dare il colpo
decisivo.
«Hai portato anche troppo male in questo mondo. Torna alla tua
prigione».
All’ultimo, però, Seth aprì gli occhi, guardandolo con aria di sfida.
«Fermo! Se davvero vuoi scacciarmi, devi prima uccidere Johan! A questo
non hai pensato?».
Ma certo!
La foga dello scontro glielo aveva fatto dimenticare! Dopotutto, la
persona che aveva di fronte non era Seth, ma solo un ragazzo innocente che
aveva avuto la sfortuna di ospitarlo nel suo corpo.
In passato aveva già ucciso le precedenti incarnazioni del dio per
costringerlo ad abbandonare il mondo degli uomini, ma ora non poteva più. Non
ne era capace, non dopo tutto ciò che aveva passato, dopo tutte le lezioni che
aveva imparato.
Uccidere un innocente voleva dire abbassarsi al suo livello, essere
indegni del titolo di guerriero e di vincitore del torneo, ma allora che cosa
si poteva fare?
Keita e i suoi amici si guardarono tra di loro, alla ricerca di una
qualche soluzione, e Nadeshiko avvertì quella sensazione di freddo che
preannunciava l’arrivo di Isis.
Purtroppo Seth era fin troppo astuto, e ghignando maleficamente
approfittò subito di quel momenti di esitazione; prima assestò un calcio a
Toshio, approfittando della sua guardia abbassata e buttandolo a terra, poi,
prima che qualcuno potesse intervenire, rinchiuse sé stesso e il suo avversario
in una piccola cupola che nessuno, neanche Isis, avrebbe potuto infrangere, e
quando Toshio riuscì a risollevarsi vide il nemico che già lo sovrastava.
«Umani. Siete così prevedibili. Così sentimentali.
E pensare che a volte vi rendete protagonisti di atti orribili, che
disgusterebbero chiunque. Ma ogni tanto, per qualche oscuro motivo, vi fate
prendere dai sentimentalismi. Un po’ stupido, non trovi?»
«Questo discorso prova che non hai capito nulla di noi.»
«Ma davvero?» rispose Seth divertito, alzando il braccio destro e
materializzando una sfera di luce nera attorno alla mano «Allora dimmi, c’è una
ragione per il quale gli umani meritano di vivere? Distruggete la terra, vi
fate la guerra, sembrate alla ricerca della vostra stessa distruzione.
All’inizio pensavo di guidarvi ad un nuovo ordine, ma ora capisco che la
vostra sola esistenza è come un cancro che distrugge l’universo. No, se davvero
voglio salvare le altre forme di vita, è necessario che voi vi facciate da
parte. E comincerò proprio da te».
Il dio si preparò a colpire, ma all’ultimo istante, per qualche motivo,
esitò, e questo diede a Toshio il tempo necessario ad allontanarsi e a spiccare
il volo, distruggendo la barriera dall’interno; l’espressione sul volto di Seth
si era fatta di nuovo irata e sofferente, e a vedere le sue movenze, violente e
meccaniche, sembrava quasi che non avesse il controllo del proprio corpo.
«Ma che cosa… che mi sta succedendo…»
“Ora basta!” disse una voce echeggiante e famigliare.
Keita e Shinji la riconobbero subito, ancor prima di vedere Johan, il
vero Johan, comparire in forma di spirito davanti alle spalle del proprio
corpo, al quale rimaneva avvinghiato con tutte le proprie forze.
«Tu!» ringhiò Seth
“Non ti permetterò di usarmi ancora!”
«Maledetto! Lasciami!»
“Presto!” disse rivolto a Toshio “Colpiscilo!”
«Ma… potrebbe essere rischioso.»
“Avanti, fallo!”
«Johan!» disse Keita «Se ti colpisse, rischieresti di morire anche tu!»
“Questo non ha importanza! Non posso permettergli di continuare a fare
del male!”
«Johan…» disse Shinji
“Vi scongiuro, colpitelo! Non resisterò ancora a lungo!”.
Toshio era combattuto, e non sapeva cosa fare: da una parte c’era la sua
coscienza, che gli imponeva di non far pagare le colpe della malvagità di Seth
ad un’anima innocente, ma quella stessa anima ora lo incitava a fare ciò che
doveva essere fatto.
«Master.»
«Starlight?»
«Let’s
do it. You can be done.»
«Tu… lo credi davvero?»
«Yes!».
Alla fine il ragazzo prese la sua decisione, e, chiusi gli occhi,
richiamò a sé il suo misterioso potere, quello di cui neppure lui conosceva
l’origine, ma che poteva rappresentare la sola speranza di fermare Seth
salvando nel contempo la vita a Johan.
«D’accordo, Johan. Lo farò, se è questo che desideri».
Come accaduto nello scontro con Ilya, le stelle tutto intorno presero a
brillare più forte, e ognuna di esse donò una parte della sua luce, formando
una grande sfera di luce iridescente sulla sommità dello scettro.
Seth, conscio di quello che stava per accadere, tentò il tutto per tutto
investendo sé stesso e lo spirito di Johan con potenti scariche di magia oscura
nella speranza di farlo desistere, ma nulla pareva in grado di smuovere il
ragazzo, che anzi stringeva la presa ancor più forte.
“Pagheremo entrambi per le nostre colpe! Tu la tua malvagità, io per la
mia ingenuità!”.
In quella, Franziska riaprì gli occhi, completamente ristabilita, ma
alla sorpresa per l’essere uscita viva si sostituì il terrore per ciò che stava
accadendo.
«Johan!».
Nello stesso momento la sfera di luce raggiungeva la sua forma
definitiva, ed era pronta per essere lanciata.
«Questo è l’atto finale!».
STARLIGHT EXECUTION!
L’esplosione di luce che ne nacque
fu molto, molto più potente della precedente; tutta Roma tremò, e venne vista
anche da tutte le zone limitrofe, ancora presidiate dall’esercito per ordine di
Aferlife.
Nessuno si aspettava che qualcuno colpito da una tale quantità di potere
magico potesse avere anche una sola speranza di sopravvivere, e difatti, quando
tutto si acquietò, nella zona della piazza dove si era verificato l’impatto vi
era un enorme cratere, parzialmente ricoperto dai detriti precedentemente
sollevati e in seguito cadutivi sopra.
Esausto, Toshio scese a terra e minacciò di cadere, ma venne prontamente
sorretto da Tadaki.
«Tutto bene?»
«Sì… almeno credo.»
«Ma cosa è successo?»
«Lo scopriremo subito».
Seguirono alcuni secondi di tensione, durante i quali tutti si
domandavano se quella fosse effettivamente la fine, poi, incredibilmente, i
detriti sul fondo del cratere si mossero fra lo stupore generale, e Seth
ricomparve per l’ennesima volta, ma si faticava a riconoscerlo.
«Non ci posso credere.» disse Kagura «È ancora vivo».
La sua forza ormai era completamente scomparsa, era ferito e segnato in
modo indelebile; inoltre, lo circondava un’aura nera che pulsava come un cuore,
e vedendola Toshio si sentì sollevato.
«È andata bene.» disse tirando un sospiro di sollievo
«Cosa? Ma… che stai dicendo?»
«Guarda con attenzione».
Alla fine, anche Tadaki e tutti gli altri capirono: quell’alone oscuro
era lo stesso Seth. Il corpo di Johan ormai era così malridotto e debilitato
che era impossibile per lui rimanere al suo interno, quindi, entro poco tempo,
sarebbe stato costretto ad abbandonarlo, mettendosi così nella condizione di
poter essere nuovamente sigillato.
«Allora… era questo che avevi in mente!?» esclamò Keita
«Questo… questo non cambia niente!» gridò Seth facendo appello alle sue
ultime forze «Potete sconfiggermi, potete esiliarmi tutte volte che volete, io
non scomparirò mai!
Voi morirete, io invece sarò ancora qui! La mia ombra continuerà ad
incombere sull’universo fino alla fine dei tempi! Non importa quante volte mi
ricaccerete indietro, alla fine chi vincerà sarò io!»
«Ti sbagli!».
A parlare non era Toshio, e neppure qualcun altro dei suoi compagni; era
stata Nadeshiko, comparsa dal nulla davanti al giovane spadaccino nelle vesti
di una Isis più regale e determinata che mai.
«Questa battaglia finisce oggi.»
«Cosa!?».
Anche il corpo di Nadeshiko cominciò a circondarsi di un’aura luminosa
molto forte, ma la sua era di un bianco accecante; Seth non capiva cosa la sua
eterna avversaria avesse in mente, poi però ebbe un sospetto, e il terrore che gli
comparve in volto non si può descrivere.
«Non starai pensando di…»
«Hai portato anche troppo dolore agli esseri umani. È giunto il momento
che la tua malvagità sia fermata una volta per tutte.
Ho atteso a lungo il momento in cui il tuo spirito fosse indebolito
abbastanza da permettermi di farlo, e adesso finalmente metterò fine alla tua
malvagità una volta per sempre.»
«No, ferma! È una follia! Così facendo condanni anche te!»
«È un piccolo prezzo da pagare per la salvezza di questo mondo. E poi,
anche io ho la mia parte di colpe. Sarà il mio castigo per la mia ingenuità,
per essermi illusa che tu potessi veramente cambiare».
Le aure di entrambi divennero ancora più grandi, ma Seth non sembrava
avere il controllo della proprio, e il suo terrore aumentava ogni secondo di
più.
«Toshio.» disse Isis al ragazzo, fermo alle sue spalle, senza però
voltarsi a guardarlo «Ti affido questa ragazza. Abbi cura di lei.»
«Lo farò».
La dea sorrise leggermente, poi tornò a fissare Seth con il suo sguardo
severo.
«E adesso, per noi è giunto il momento di andare.»
«No! Ti prego! Non farlo!».
L’alone attorno ai due ragazzi a quel punto si sollevò sopra di loro,
lasciandoli a terra svenuti, e dopo essere rimasti un po’ a fluttuare nell’aria
corsero l’uno verso l’altro, scontrandosi e producendo sia un forte rumore sia
un’onda d’urto di discreta potenza per poi scomparire nel nulla.
Vi fu per interminabili secondi un silenzio da cimitero, in cui tutti si
guardavano attoniti tra di loro; Franziska, a tempesta passata, corse a
soccorrere il fratello, la cui carnagione, impalliditasi da che Seth aveva
preso dimora nel suo corpo, era tornata ad assumere quel tono leggermente
scuro.
«Ma cosa… cosa è successo?» domandò Lotte
«Annullamento.» rispose Toshio guardando in alto «Si sono annullati.»
«Che significa?» chiese Ryu-o
«È il principio fondamentale dell’universo. Quando due forze di uguale
potenza si scontrano, il risultato è la reciproca distruzione. Isis ha usato il
proprio spirito luminoso per distruggere quello oscuro e corrotto di Seth.»
«Quindi…» disse Souma «È scomparsa!?»
«Esattamente.» replicò il ragazzo mentre una lacrima gli scendeva lungo
la guancia «Sono scomparsi entrambi. Per sempre».
Tutti a quel punto piansero; Isis aveva sacrificato la sua stessa
esistenza per liberare gli esseri umani dalla minaccia che gravava su di loro
da milioni di anni. C’era da chiedersi se la razza umana così come era in quel
momento meritasse davvero un tale sacrificio, ma chi aveva preso parte a quella
battaglia giurò a sé stesso di impegnarsi d’ora in poi anima e corpo a fare sì
che gli esseri umani si mostrassero degni, un giorno anche lontano, della
seconda possibilità che era stata loro concessa.
L’armatura e lo scettro di Toshio si circondarono di luce, staccandosi
da lui, e il suo pendente riprese la forma di uroboros, quindi la Luce di Amon, dopo essere
rimasta per un po’ a fluttuare tutto intorno, scomparve velocissima nel cielo,
che ormai andava tingendosi dei colori dell’alba.
Lo spadaccino si avvicinò a Nadeshiko, che veniva accudita da Keita, e
dopo poco lei riaprì gli occhi; i suoi vestiti erano tornati quelli di sempre,
ma il pendente che anni addietro aveva ricevuto da Isis era ancora lì.
«Nadeshiko.»
«Toshio.»
«Stai bene?»
«Se n’è andata. Non la percepisco più.
Però…» disse sorridendo serena e poggiandosi una mano sul petto «Sento
che qualcosa di lei è rimasto in me. Ha voluto lasciarmi un suo ricordo.»
«Conservalo con cura. È tutto ciò che rimane di lei.»
«Lo farò».
Nadeshiko andò quindi da Johan e curò le sue ferite, e quasi subito il
ragazzo si svegliò; i suoi occhi erano tornati quelli di sempre, e vedendoli
Franziska non riuscì a trattenere lacrime di gioia.
«So… sorella…»
«Johan! Grazie al cielo stai bene».
Lei lo abbracciò più forte che poteva, poi lo aiutò a rimettersi in
piedi; Johan guardò i ragazzi, provando dentro di sé un misto di ringraziamento
e di vergogna.
«Perdonatemi. Perdonatemi per quello che ho fatto.
Più passava il tempo e più lui prendeva il sopravvento. Non avevo più il
controllo. Ne ero consapevole, ma non potevo fare niente.
Vi prego, perdonatemi.»
«Non hai nulla per cui dover chiedere scusa.» disse Minami «Non eri tu a
fare quelle cose.»
«Ben detto.» disse Yuuhi «E adesso che quel guerrafondaio è scomparso
per sempre, assieme a lui se ne và anche la maledizione che affliggeva la tua
famiglia.»
«Grazie. Grazie di tutto».
Johan a quel punto prese il Libro dell’Oscurità, ancora riposto nel suo
astuccio, e lo porse a Toshio, dicendogli di farne quello che voleva. Lui lo
prese, e dopo aver guardato un momento Minami, che gli fece un cenno di
assenso, lo gettò a terra, trapassandolo con la spada di Cesare, il cui solo
contatto fu sufficiente a mandarlo in cenere.
Le tre sorelle svennero, ma Keita disse a tutti che era una reazione
prevedibile, e che al loro risveglio sarebbero state meglio di prima.
Unendo i rispettivi poteri i partecipanti al torneo, grazie anche
all’aiuto di Keita, Shinji, Takeru e Nadeshiko, e degli stessi Johan e
Franziska, ripararono tutti i danni causati dalla battaglia, restituendo a Roma
il suo antico splendore, la sua gloria eterna.
“Guardala, amico mio.” pensò Toshio “Questa è la tua città. La città che
tu hai creato, e che non morirà mai”.
Non appena la riparazione ebbe termine nella piazza arrivarono anche
Akunator, Sanak e Izumi, accompagnati da una decina di ammazza-demoni.
Izumi si avvicinò a Shinji, Keita e Takeru, complimentandosi con loro
per i grandi progressi fatti e per essersi dimostrati tanto capaci,
riservandosi però di ammonirli a non dormire sugli allori, perché, ne era
certa, un giorno o l’altro avrebbero avuto bisogno ancora delle loro abilità,
magari come membri della sua organizzazione.
Toshio invece andò da Sanak, e i due rimasero a lungo a guardarsi come
erano soliti fare, poi però entrambi accennarono un sorriso, e allungato il
braccio si strinsero vigorosamente la mano.
«Ben fatto, fratello.»
«Grazie».
Poi, come Akunator temeva, venne il momento di chiarire tutte le questioni
in sospeso; il re non riuscì a reggere lo sguardo di Toshio, che tuttavia non
pareva né minaccioso né di rimprovero, e abbassò il proprio.
«Posso capire come tu ti senta, mio signore. Merito tutto il tuo
disprezzo».
Lui, invece, lo abbracciò come si abbraccerebbe un padre.
«Non importa, padre. Non c’è bisogno che tu dica niente. Sono felice di
averti ritrovato.»
«Figlio mio!» disse il re piangendo «Mi dispiace! Mi dispiace!»
Toshio gli presentò successivamente Nadeshiko, e vedendola, ma soprattutto
vedendo il legame indissolubile Akunator si sentì felice come non lo era mai
stato; alla fine di tutto, quella piccola speranza che lo aveva spinto a
sacrificare la sua stessa vita si era concretizzata.
All’inizio non voleva portare avanti lo scempio che i suoi antenati
avevano custodito per millenni nei sotterranei del palazzo, ma era anche
consapevole che qualcun altro dopo di lui l’avrebbe fatto, condannando l’antico
re ad un’eterna esistenza di dolore. Poi, quando aveva saputo, tramite una vecchia
leggenda, quello che era successo allo spirito della regina, aveva deciso di
fare un tentativo.
Non vi era nessuna certezza che i due si sarebbero potuti incontrare, ma
la regina Nadeshiko era la sola in grado di smuovere l’animo del re Touya,
dandogli la possibilità di liberarsi da quella secolare maledizione.
Per questo si era rivolto alla Strega delle Dimensioni, la quale, però,
aveva preteso un prezzo altissimo per esaudire un tale desiderio: una vita
destinata a non rifiorire mai poteva essere ripristinata solo al prezzo di
un’altra vita, la sua, che si sarebbe conclusa poco tempo dopo la fine del
torneo.
Akunator era cosciente che non gli restava molto da vivere, ma sarebbe
morto senza rimpianti; aveva fatto ciò che sapeva essere giusto, e nessuno lo
avrebbe mai saputo.
«Allora…» disse Lotte «È davvero finito tutto!»
«Così pare.» rispose Tomite
«E da ora in poi, basta tornei.» disse Tadaki «Ormai la minaccia di Seth
è del tutto passata. Questo mondo non sarà mai più il suo terreno di
conquista.»
«Niente più tornei!?» disse Ryu-o «Accidenti, ci sarà parecchio da
annoiarsi… ahi! Kagura, accidenti a te!»
«Quando la pianterai di dire fesserie?»
«Finalmente i nostri villaggi sono liberi dal fardello che si sono
portati dietro per più di due millenni.» disse Sanak
«Hai ragione, figlio mio. Per noi è giunto il momento di cambiare. Non
ci nasconderemo più agli occhi del mondo, ma troveremo il nostro posto al suo
interno.»
«C’è ancora il problema del portale per l’intermundio.» disse Aria
«Anche se Seth non c’è più sarebbe rischioso lasciarlo aperto.»
«Niente paura.» rispose Izumi «Basterà sigillarlo di nuovo.»
«Per quanto riguarda noi» disse Franziska rivolta a Johan «Abbiamo molte
cose di cui parlare.»
«Hai ragione, sorella. Ma avremo tutto il tempo per farlo, questa volta».
In quella sorse all’orizzonte il primo sole, che illuminò per i ragazzi,
per la città eterna e per il mondo intero la nascita di una nuova era, un’era
libera dal giogo del Dio della Distruzione; il cellulare di Nadeshiko,
conservatosi miracolosamente intatto, a differenza di quelli dei suoi amici,
squillò.
«Pronto? Mamma! No, tranquilla, sto bene. No, non è successo niente. Sì,
ci sono anche Keita e Shinji. Anche loro stanno bene. Per favore, dillo ai loro
genitori. Torneremo domani.»
«Beh!» disse Shinji dandosi una stiracchiata «Dopotutto questa vacanza
non è stata poi così male.»
«Forse, ma non la rifarei.»
«Ehi Takeru, da quando in qua fai le battute?»
«Mi sarò fatto influenzare da te».
Ne nacque una risata collettiva che servì a liberare tutti dalle ultime
tensioni; tutto era davvero finito, e sullo sfondo di una magnifica alba Toshio
e Nadeshiko si scambiarono il loro primo, vero bacio d’amore, un bacio lungo, appassionato
e tanto desiderato.
«Sentite, non so voi» disse Ryu-o «Ma io sto morendo di fame. Che ne
direste di andarcene da qui e andare a farci una bella mangiata?»
«Sono d’accordo.» rispose Kagura «Dopotutto, direi che ce lo meritiamo.»
«Per farmi perdonare, offrirò io. Andremo nel miglior ristorante di
Roma.»
«Grande!» disse Lotte «Tre hurrà per Johan!».
I ragazzi, con l’animo finalmente in pace, si mossero per uscire dalla
piazza, ma all’ultimo secondo Atarus si avvide di una piccola fiamma azzurra
che cercava di colpire Akunator alle spalle, e immediatamente la intercettò,
infrangendola con il taglio della mano.
«Ma cosa…».
Tutti si guardarono intorno spaventati; cos’altro stava accadendo?
Poi, davanti a loro, si generò un grande fuoco blu, e Keita riconobbe
chi avevano di fronte prima ancora che questi si materializzasse.
«Anubis!».
Era cambiato nell’aspetto, ma era sicuramente lui; indossava un’armatura
nera con alcuni riverberi rossi, e il suo corpo sembrava fatto, o comunque interamente
circondato di quel fuoco azzurro; gli occhi e la bocca erano tre buchi neri, e
sulle spalle portava ancora brandelli svolazzanti della sua vecchia tunica.
«Quell’armatura!» disse Johan riconoscendo il manufatto che da secoli
era custodito nel castello dei Von Karma
«Sciocchi! Credevate davvero fosse così facile liberarsi di me?»
«Non è possibile! Io ti ho visto morire!»
«Morire!? Io!? Io non posso morire. Io sono solo uno spirito.»
«È vero.» disse Akunator «Anubis non è un essere vivente. È solo
un’entità eterica. Per questo, a differenza degli altri servitori di Seth, non
è mai stato possibile sigillarlo.»
«Devo proprio porgervi i miei ringraziamenti. Ho atteso millenni perché quello
stupido di Seth si decidesse finalmente a farsi da parte.
Era un povero stolto, vittima del suo stesso delirio, e soprattutto era
un debole.
Io non commetterò i suoi stessi errori, e ora che l’unica persona in
grado di nuocermi è svanita come polvere non c’è più niente che possa nuocermi.
Sarò invincibile!».
Anubis lanciò una risata sadica e sguaiata, e intanto i ragazzi si
mordevano le labbra, consapevoli che se davvero era come diceva lui allora non
c’era davvero speranza.
«Grazie Seth! Grazie per questo bel regalino! Ora che sei finalmente
morto, potrò regnare al tuo posto! Sarò di nuovo un dio!».
Tutto avvenne in una frazione di
secondo.
Avventatosi su Anubis, Toshio prima lo paralizzò temporaneamente con una
scarica di energia magica, poi, avvinghiatosi a lui e materializzate le sue
nuove ali bianche, schizzò verso l’alto quasi in verticale, trascinando il
nemico con sé.
«Toshio!» gridò Nadeshiko
«Non te lo permetterò! Non distruggerai la pace così faticosamente
cercata!»
«Che stai cercando di fare? Te l’ho detto, è tutto inutile!»
«Ti sbagli! Ci libereremo anche di te una volta per tutte!»
«E come? Non potete uccidermi!»
«Allora non resta che sigillarti!»
«Sigillarmi!? Sei proprio un illuso! Te l’ho detto, è impossibile!»
«Non ne sarei così sicuro! Un modo esiste!»
«E quale sarebbe, sentiamo».
La risposta venne nel giro di pochi secondi, e allora anche Anubis parve
terrorizzarsi a morte.
«Tu… vuoi usare la pietra filosofale!»
«Hai indovinato. La pietra filosofale è una fonte di energia
inesauribile attinta direttamente dall’universo. Usandola per sigillare il
portale tra il nostro mondo e l’Intermundio in cui è stato relegato Seth lo
chiuderà definitivamente, ripristinando l’integrità, e allora neppure tu
riuscirai a fuggire o a spezzare nuovamente l’equilibrio!»
«E a te non hai pensato? Lo sai vero, la pietra filosofale è l’unica
cosa che tiene a freno il tuo potere oscuro! Se te ne privi quel potere prima
ti dominerà, e poi ti ucciderà!»
«Hai ragione, potrebbe succedere. Anche se ho imparato a dominarmi, c’è
ancora il rischio che il Μένος
Aδηλος prenda il controllo su di me. Proprio per
questo ho intenzione di venire con te!»
«Che cosa!?»
«Se riuscirò a mantenere il controllo per me ci sarà ancora speranza, ma
se davvero accadrà quello che tu prevedi, una volta dall’altra parte non ci
sarà pericolo che io possa fare del male a questo mondo!»
«Tu sei pazzo! Sei disposto a dannarti in eterno pur di fermarmi!?»
«Ero pronto al peggio fin dall’inizio!» gridò Toshio di risposta, ed
entrambi furono circondati da una barriera di luce.
La conversazione venne udita anche dagli altri ragazzi, che sentivano le
voci dei due avversari dentro la loro stessa mente, e sentendo quelle ultime
frasi Nadeshiko sentì un colpo al cuore.
«Toshio, non farlo!» urlò Keita
«Mi dispiace, ragazzi.» rispose lui mentre la luce diventava sempre più
lontana, continuando a salire «Non avrei voluto che finisse così.»
«Toshio, ti prego!» disse Nadeshiko «Non puoi! Non devi!»
«Alla fine di tutto, pare proprio che il destino abbia deciso che non
potremo ancora stare insieme.»
«Non puoi farlo! Non puoi lasciarmi! Non di nuovo!»
«Figliolo, ti prego fermati! Deve esserci un’altra soluzione!»
«Padre, questa è l’unica soluzione, e lo sai anche tu. Non permetterò
che la pace così duramente conquistata sia infranta ancor prima di iniziare».
Nadeshiko cadde in ginocchio, incapace di trattenere le lacrime, e
temeva di morire dal dolore da un momento all’altro.
«Non voglio, Toshio. Non voglio più starti lontano.»
«Mi sarebbe piaciuto trascorrere altro tempo con voi. C’erano ancora
tante cose che avreste potuto insegnarmi.
Forse, chi lo sa, un giorno riuscirò a tornare, e allora potrò sperare
di conoscere la vera felicità.
Fino ad allora… addio!».
Nel cielo rosso si aprì una sorta di vortice, la luce vi entrò
velocissima e quello immediatamente si richiuse, scomparendo nel nulla.
Nessuno fu capace di aprire bocca, tutti erano ancora troppo shockati;
si domandavano se fosse tutto vero, se quello fosse davvero accaduto, ma poi,
dal cielo, scese la spada d’oro del villaggio di Nepthys che, come una stella
cadente, precipitò al suolo, conficcandosi nel selciato.
A quel punto, la verità divenne incontestabile, e nulla poté più essere
fatto se non piangere.
«Toshio!» gridò Atarus battendo il pugno a terra «Sei uno stupido!».
Akunator, che per quanto si sforzava non riusciva a trattenere il
pianto, si avvicinò a Nadeshiko, inginocchiata sulla fredda pietra, e appena le
mise una mano sulla testa lei subito gli si strinse contro, piangendo tutte le
sue lacrime.
«Mi dispiace.»
«Perché! Perché lo ha fatto! Ora l’ho perso per sempre!»
«Io non credo. Guarda».
La ragazza, singhiozzando, volse lo sguardo nella direzione indicatale,
e vide, così come tutti gli altri, la spada di Toshio, ancora conficcata a
terra e avvolta dal suo bagliore dorato.
«La spada della nostra tribù diventa di freddo metallo se il suo custode
perde la vita, il che significa che Toshio è vivo.»
«Che cosa!?» disse Keita
«Aspettate!» disse Aria «La sento! La sento ancora! Sorella!»
«Sì, la sento anch’io.»
«Di che state parlando?» domandò Takeru
«L’energia di Toshio. Quella che lui ci infonde continuamente, e che ci
permette di sopravvivere. La sentiamo ancora.»
«E allora cosa…» cercò di dire Shinji
«Non capite?» disse Ilya «L’intermundio è stato sigillato, lo abbiamo
visto, ma in questo caso l’energia di Toshio non sarebbe in grado di arrivare
ai suoi famigli.»
«Allora…» disse Souma mentre tutti si guardavano tra di loro «Questo
significa…»
«Sì.» rispose Touka «Toshio non è rimasto imprigionato nell’intermundio.
In un modo o nell’altro, ha evitato di rimanerci rinchiuso.»
«Ma allora…» disse Nadeshiko con tono speranzoso, ma senza riuscire a
smettere di piangere «Dov’è adesso?»
«Chi può dirlo?» rispose Ryu-o «Forse qui, sulla Terra, forse in qualche
punto dello spazio.»
«Ma dovunque si trovi.» disse Sanak «Potete star certi di una cosa.
Prima o poi, ritornerà».
Akunator si avvicinò alla spada, estraendola dal suolo, poi, fra lo
stupore generale, la porse a Nadeshiko.
«Questa ovviamente spetta a te.»
«Cosa? Ma io…»
«Lui lo avrebbe voluto. Ogni volta che ti sentirai prendere dallo
sconforto, osserva il suo riflesso dorato, e avrai la certezza che un giorno lo
rivedrai».
Nadeshiko, timidamente, allungò la mano, stringendo l’impugnatura, e
avvertendo per la prima volta il calore di quella spada riuscì a risollevarsi,
almeno un po’, il suo dolore.
«Avete ragione.» disse cercando di mostrarsi ottimista «Lui tornerà. Lo
ha promesso».
Per i quattro inseparabili amici che insieme avevano affrontato ogni
sorta di prova, vivendo la più grande delle avventure, era
tempo di cercare ognuno il proprio posto nel mondo, e sapevano che prima o poi
avrebbero dovuto fare i conti con l’inevitabile distacco.
Takeru aveva ormai deciso di entrare a tutti gli effetti nell’Afterlife, mettendo le conoscenze e le tecnologie
dell’azienda di famiglia che un giorno avrebbe guidato al servizio
dell’organizzazione, e Izumi si era detta pronta ad appoggiarlo nell’ingresso e
nell’inserimento tra le file degli ammazza-demoni.
Shinji e Keita avevano incominciato da poco l’università,
rispettivamente nelle facoltà di Giurisprudenza e di Medicina, trasferendosi in
un appartamento di Tokyo e conseguendo già importanti successi che rendevano estremamente fiere le rispettive famiglie.
Nadeshiko, invece, durante le vacanze di natale,
si era recata a Parigi per sostenere l’esame di ammissione al conservatorio
nazionale, esame che aveva dato esito positivo e che le aveva permesso di
compiere il primo passo verso la realizzazione del suo grande sogno.
Gli ultimi mesi erano stati per lei carichi di emozioni contrastanti,
perché se da una parte vi era la felicità per l’essere riuscita a raggiungere
un traguardo così a lungo sperato dall’altra vi era la
tristezza che le veniva dal pensiero di dover abbandonare, senza sapere neppure
per quanto, i suoi migliori amici, quegli stessi amici che l’avevano seguita
assieme alla sua famiglia fino all’aeroporto di Tokyo per darle l’ultimo saluto
prima della definitiva partenza.
C’erano proprio tutti: Keita, Shinji e Takeru, ma anche Johan Von Karma,
che dopo le vacanze estive aveva fatto ritorno in Giappone per ultimare gli
studi e che subito dopo aveva preso in mano le redini di quella famiglia alla
quale era determinato a dare nuova vita.
Fermi davanti alla grande vetrata panoramica che dava sulle piste, i
ragazzi si guardavano tra di loro, e alcuni a stento trattenevano le lacrime di
emozione.
«Beh.» balbettò Nadeshiko distogliendo lo sguardo «E così ci siamo.»
«Non essere così tesa.» disse Shinji sorridendo e sollevando il pollice «Dopotutto, sei la
Dea della Fortuna. Cosa mai può andare storto?»
«Mi raccomando, fatti onore.» disse Keita «Qui facciamo tutti il tifo
per te».
Lei sorrise, poi abbracciò calorosamente i suoi amici uno per uno.
«Grazie. Grazie per tutto quello che avete
fatto per me.»
«Non dirlo neanche.» rispose Keita «A cosa servono gli amici se non a sostenersi
l’un l’altro?»
«Qualunque cosa accada, se vorrai tornare, noi saremo qui ad aspettarti.»
«La mamma ha ragione. Ma
comunque vada, siamo tutti immensamente fieri di te».
Sua sorella Seikale si
avvicinò, guardandola, poi le diede un buffetto sulla fronte come erano
solite fare fin da piccole.
«Alla fine ci sei riuscita. Chi l’avrebbe mai
detto?
Vai, e
fargli vedere di che cosa sei capace.»
«Onee-sama…»
«Ultima chiamata! I passeggeri del volo AirFrance 126 diretto a Parigi sono pregati di presentarsi
al checkin!»
«Beh… è il mio volo.»
«In bocca al lupo.» disse Johan
«Grazie. Grazie a tutti.»
«Non essere così avvilita.» disse Keita «Ci
terremo in contatto tutti i giorni. Vedrai che non ti sentirai sola.»
«Ne sono felice. Beh… ora sarà meglio che vada».
Nadeshiko raccolse la propria valigia, avviandosi verso i cancelli, e i
ragazzi continuarono a salutarla finché non la videro sparire sotto la scala
mobile, poi, mentre suo padre e sua sorella cercavano di frenare la tristezza
della madre, che mai era stata lontana da una delle due figlie per più di un
mese, salirono sulla terrazza panoramica per veder decollare l’aereo, che decollò di lì a poco.
«Mi è sembrata piuttosto serena.» disse Takeru, in disparte assieme a Shinji
«Forse. Ma non ha
smesso di sperare.»
«Ne sei sicuro?»
«Ho avuto modo di sentire una certa conversazione».
La consegna dei diplomi era sempre
un evento molto emozionante, e questo era particolarmente vero per il liceo di
Uminari, dove si tendeva a far sembrare quello il momento di un nuovo inizio piuttosto che di una triste fine.
Uscire dal liceo significava riconoscere di essere diventati adulti, e
questo i maturandi lo sapevano bene: molti di loro sarebbero andati
all’università, altri, ma molto pochi, avrebbero intrapreso una carriera
professionale, altri ancora puntavano addirittura alle facoltà oltremare.
Durante il discorso nella palestra il direttore ebbe a dire che non era
mai stato tanto soddisfatto dell’esito degli esami finali come in quell’occasione,
e chiamò sul palco quattro ragazzi che più di tutti si erano distinti tanto nei
suddetti esami quanto nelle strade che avevano deciso di intraprendere una
volta usciti di lì, quegli stessi ragazzi che fino a poco prima erano bollati
come asociali e da evitare, e che ora invece venivano
indicati a modello per tutti coloro che sarebbero venuti dopo di loro: Keita e
Shinji, che ancor prima di terminare gli studi avevano superato a pieni voti i
difficilissimi esami di ammissione alle rispettive facoltà, Takeru, il futuro
padrone della città, e Nadeshiko, la prima ragazza giapponese dopo tanto tempo
ad essersi guadagnata l’ingresso al prestigioso Conservatoire de Paris, e
sicuramente la prima che Uminari avesse mai avuto.
Al termine della cerimonia Shinji si era
immediatamente visto attorniato da un esercito di ex matricole del primo anno,
oggi quasi tutte promosse al secondo, che di colpo lo
avevano trovato interessante e degno di compagnia e lo avevano sommerso di
domande di ogni sorta, soprattutto attinenti alla sua prossima carriera
universitaria. Liberatosene, non senza qualche difficoltà, aveva deciso di
salire sulla terrazza, per poter ammirare un’ultima
volta quello spettacolare panorama che molto difficilmente avrebbe potuto
trovare nella caotica Tokyo e che tante volte gli aveva arrecato conforto, ma
raggiunta la porta d’ingresso l’aveva trovata socchiusa, e sentendo provenire
da oltre di essa due voci famigliari si era appiattito contro la parete per
poter sentire cosa si stessero dicendo.
«Io lo aspetterò.» disse Nadeshiko guardando
verso il mare «Fino a che avrò la certezza che è vivo,
non smetterò di sperare.»
«Non temere, Nadeshiko.» rispose Keita
«Vedrai, prima o poi ritornerà. Lo ha
promesso.»
«Lo so che
ritornerà. Ne ho la certezza. Perché, finalmente, mi sono ricordata.»
«Di che cosa?»
«Di quello che mi
disse quella volta Yuko, quando ero ancora
imprigionata nel pendente. Mi disse tuttavia,
anche quando finalmente vi ritroverete, il destino deciderà di separarvi di
nuovo.
Io le
chiesi perché, e per quanto tempo, e lei rispose un grande futuro attende entrambi. Difficile
dire quanto tempo starete lontani, ma come è destino
che vi dobbiate separare è destino anche che vi dobbiate riunire.
Per questo so che lui un giorno ritornerà da
me. Dovessi trascorrere tutta la mia vita guardando il cielo, perché lì sono
certa che lui si trovi ora, da qualche parte fra le stelle, io non smetterò di
attendere il suo ritorno».
«Lei non
ha perso la speranza.» disse Shinji terminato il racconto «E non smetterà di
aspettarlo, qualunque cosa accada».
Mentre l’aereo cominciava la sua rapida
ascesa Nadeshiko, seduta accanto al finestrino, prese dalla borsetta da viaggio
che aveva con sé una fotografia che lei e gli altri avevano scattato in Piazza
San Marco il giorno prima di lasciare Venezia. C’era anche Toshio, in piedi sul
lato sinistro, accanto a Keita, che pur mantenendo quella sua espressione seria
e quasi oscura lasciava trasparire parte della sua infinita dolcezza e
determinazione.
«Ce l’ho fatta,
Toshio. Ho realizzato il mio sogno, e attenderò con ansia il momento in cui
potremo finalmente ritrovarci. Fino a quel momento, non temere, ti aspetterò».
Nello stesso momento, sulla terrazza
dell’aeroporto, facevano la loro comparsa Tadaki e Souma, che da qualche tempo
avevano cominciato a vivere insieme in una villetta vicino
Londra, dove Tadaki aveva cominciato ad insegnare arte del restauro nella
locale università, ma che di recente erano tornati in Giappone per
sovrintendere all’allestimento di una importante mostra sul mondo celtico
organizzata a Tokyo dal British.
«Ragazzi.» disse Keita «Non vi aspettavamo.»
«Non potevamo certo perderci questo momento.»
disse Souma
«Come procedono le cose?»
«Benissimo.» rispose Tadaki «I nostri villaggi hanno appianato del tutto le proprie
divergenze siglando una pace perpetua. Inoltre, molti di loro si sono aperti al
mondo. Atarus sta portando nuovo lustro al clan dei McLoan, e Ilya è salita
ufficialmente al trono.»
«E Kazumi come sta?» chiese Shinji
«Bene. Si è
trasferita da poco a New York per frequentare l’università.»
«Allora è davvero tutto finito.» disse Takeru
«Sì, decisamente.»
Subito prima di uscire i ragazzi incontrarono
anche qualcun altro, qualcuno di completamente inatteso, e che ora, a
differenza del passato, poteva permettersi di girare in pubblico senza alcun
timore.
«Ecco, lo sapevo!
Siamo arrivate tardi!»
«Aria! Lotte!» disse
Shinji «Che sorpresa!»
«Non ve l’aspettavate,
vero?» disse Aria «Volevamo venire a salutare Nadeshiko, ma questa sorella
degenera ci ha fatto perdere tempo, come al solito.»
«Come sta Sanak?» domandò Keita
«È un buon re. Il
migliore che Nepthys abbia mai avuto. Akunator sarebbe fiero di lui.»
«Lo immagino. Ora
però andiamo, o perderemo l’autobus.» e, a quel punto,
tutti si misero a correre in direzione delle uscite.
Stati Uniti
Montana
Glacier National Park
Hank Landry e Betty Hill erano due coniugi felicemente sposati
che abitavano a New York, nel Queens,
ma che dopo anni di fatiche e sacrifici erano riusciti a mettere da parte i
soldi per acquistare un cottage all’interno del famoso Glacier National Park,
nel Montana, sulle rive di McDonald Lake, dove erano soliti trascorrere le loro
estati e ogni possibile periodo di ferie, tra lunghe passeggiate nei boschi,
piacevoli momenti di relax e tranquilli pomeriggi di pesca.
Entrambi avevano superato da poco la
cinquantina; Hank, corpulento e dal portamento fiero, era sergente di polizia,
ma puntava a raggiungere il ruolo di capitano prima di andare in pensione,
Betty, afroamericana originaria di Boston, invece faceva la pediatra.
Malgrado fossero due persone gentili e
cordiali non avevano figli, non potevano averne, ma li avrebbero voluti più di
qualsiasi altra cosa, per questo alcuni anni prima avevano tentato di proporsi
come coppia a cui destinare bambini in affido; la loro
richiesta, però, era stata respinta, a causa delle carriere lavorative di
entrambi che li tenevano spesso fuori casa, così l’unica consolazione erano
stati i due figli gemelli della signora Hill, sorella di Betty, Michael e Shon, che però ormai erano cresciuti.
Nonostante ciò però i coniugi Landry cercavano di godersi pienamente la vita e l’amore
che li univa, e che mai li avrebbe separati, e le brevi gite a Glacier li
aiutavano a dimenticare almeno per un po’ il dispiacere per la mancata
paternità.
In un’assolata mattina di giugno Hank stava
rientrando al cottage dopo una notte spesa a pescare, una pesca purtroppo poco
abbondante, e come spesso accadeva trovò la moglie
Betty ad attenderlo seduta al tavolino sotto il portico dove erano soliti fare
colazione quando vi era bel tempo.
«Buongiorno caro.»
«Buongiorno a te.» disse lui dandole un bacio
per poi sedersi
«Allora, com’è andata?»
«Nottata magra. Solo
pesciolini.»
«Ti rifarai la prossima volta.»
«Lo spero. Ormai
sono tre giorni che vado a vuoto.»
«Caffè?»
«Sì, grazie.»
«Mi ha telefonato mia sorella stamattina
presto.» disse mentre il marito sorseggiava il suo caffè «Michael ha passato
gli esami di ammissione alla St.John.»
«Ottimo. E Shon?»
«Sta ancora
studiando. Il suo esame è tra due settimane».
In quella Hank,
girando casualmente lo sguardo verso il lago, ebbe come l’impressione di
scorgere qualcosa di scuro a ridosso dell’isolotto che sorgeva ad una
cinquantina di metri dalla riva.
«Quello che cos’è?» disse alzandosi in piedi
e mettendosi la mano sulla fronte per poter vedere
meglio
«Non lo so. Forse è
solo un tronco galleggiante.»
«Per favore, prendimi il binocolo».
Betty entrò in casa, uscendone pochi secondi
dopo un binocolo da esploratore, lo stesso che Hank usava per fare birdwatching durante le sue
passeggiate nel bosco, e lo porse al marito, che tornò a rivolgere il suo
sguardo sull’isolotto.
La massa in questione poteva effettivamente
sembrare solo un detrito, uno dei tanti che cadevano
nel lago, ma mettendo bene a fuoco il sergente vide qualcos’altro, qualcosa che
lo fece saltare per la preoccupazione: una mano, una mano che sembrava muoversi
debolmente, come a chiedere aiuto.
«Oh, maledizione! È
un uomo!»
«Che cosa!?»
«Non è un tronco! È
una persona!».
Veloce come un fulmine Hank raggiunse il
pontile a cui era legata la sua piccola barchetta da
pesca e partì a razzo in direzione dell’isolotto, raggiungendolo in trenta
secondi e issando velocemente a bordo il misterioso naufrago, privo di sensi
ma, almeno a prima vista, in buone condizioni.
Era un ragazzo, non doveva avere più di
diciassette o diciotto anni, capelli argentei corti e fluttuanti, la pelle di
un bel colore vivo e i lineamenti delicati, quasi fanciulleschi; indossava un
abito molto strano, una sorta di grosso cappotto nero con un cappuccio, e lo
stato in cui era, pieno di lacerazioni e di strappi, per un attimo fece temere ad Hank l’attacco di un orso, un evento che capitava di
tanto in tanto in alcuni campeggi del parco o lungo i sentieri per
escursionisti, ma non vi era traccia alcuna né di sangue né di ferite.
Rapidamente lo portò a riva, quindi, con
l’aiuto della moglie, lo distese sul pavimento ligneo del portico, iniziando a
praticargli un massaggio cardiaco.
Per fortuna, dopo poco,
il ragazzo riaprì gli occhi, due splendidi zaffiri, sputando fiotti d’acqua per
poi guardarsi attorno con aria spaesata.
«Ehi, ragazzo.» disse Hank «Tutto
bene? Senti la mia voce?»
«Yu… Yumi…» mugugnò prima di cadere addormentato.
Si risvegliò solo molte ore dopo, sul far del
tramonto, ritrovandosi disteso nel letto della stanza degli ospiti; la testa
gli faceva male, gli bruciavano gli occhi e sentiva dolore in varie parti del
corpo.
«Ah, sei sveglio.»
disse Hank entrando con in mano una tazza fumante «Stai meglio adesso?»
«Io… sì…»
«Bevi questo. È tè
alle erbe. Ti aiuterà a rimetterti in sesto».
Lui, timidamente, prese la tazza, bevendone
un sorso; era forte, molto forte, ma se non altro sentì da subito il freddo
divenire meno intenso.
«Grazie.»
«Non c’è di che».
Hank attese qualche minuto, per dare al
ragazzo il tempo di calmarsi un po’, poi cercò di rompere il ghiaccio.
«Io mi chiamo Hank. Hank
Landry».
Il ragazzo lo guardò con aria ancor più
spaesata di prima; sembrava un bambino che vede per la prima volta il mondo con
i suoi occhi.
«Dove… mi trovo?»
«Nella nostra casa.
Ti abbiamo trovato nel bel mezzo del lago. Sei fortunato ad
essere ancora vivo.»
«Il lago?»
«Sì, McDonald Lake.» rispose Hank indicando
una grande foto appesa al muro «Quello».
Passarono un altro po’ di tempo, durante il
quale Hank tentò di usare la propria esperienza di agente di polizia per
tentare di carpire qualcosa dalle espressioni e dai comportamenti del ragazzo,
ma per quanto ci provasse non riusciva a leggere
assolutamente nulla in quegli occhi azzurri, non perché non ci fosse niente da
leggere, ma perché c’era come una barriera invisibile che lo ricacciava
indietro.
«Ascolta, so che potrebbe essere difficile e
doloroso, ma hai voglia di raccontarmi quello che è successo?»
«Quello che è successo?»
«Come sei finito nel
lago? Sei caduto da una barca? Stavi pescando?».
Il ragazzo si mise una mano sulla fronte,
come a voler cercare di richiamare a sé quanti più ricordi
possibile, ma la sua espressione affranta e spaventata lasciava
intendere che non ci stava riuscendo.
«Io… non me lo
ricordo. Non… non mi ricordo niente.»
«Non ti ricordi
niente? Neanche da dove vieni, quanti anni hai? Ricordi almeno il tuo nome?»
«Io… non ci riesco.
È tutto così confuso. Mi gira la testa.»
«Va’ bene,
rilassati. Non c’è bisogno che ti sforzi a ricordare.
Hai indubbiamente subito un forte shock, e
questo può aver causato un’amnesia. Devi solo avere un po’ di pazienza, e
vedrai che con il tempo i ricordi ritorneranno.
Nel frattempo, puoi restare qui tutto il
tempo che vuoi.»
«Davvero?»
«Abbiamo già
avvisato la guardia forestale per segnalare quello che è successo. Se qualcuno
dovesse denunciare la tua scomparsa ci avviseranno
subito.»
«Grazie. Lei è molto
gentile.»
«Figurati. Ora
riposa. Ti chiamerò quando sarà pronta la cena. Immagino che avrai fame.»
«Un pochino».
Hank a quel punto si alzò dal letto e si
diresse verso la porta, ma all’ultimo secondo la voce del ragazzo lo richiamò.
«Erik.»
«Come?»
«Erik. Il mio nome.
O almeno credo.»
«Beh, è già un inizio.» rispose sorridendo il
sergente prima di uscire.
Commenti Finali
Eccomi qua!^_^
E così, siamo giunti alla fine di
questa lunga esperienza, che in realtà costituisce solo la prima parte di una
narrazione assai più lunga ed intricata di quanto si
possa immaginare.
Molti enigmi rimangono aperti,
molte storie devono ancora essere raccontate, e le strade dei vecchi, ma
soprattutto dei nuovi protagonisti sono ancora lunghe e costellate di
avventure.
Voglio ringraziare chiunque abbia
anche solo letto questa mia fiction, senza dubbio una delle migliori che abbia
mai scritto.
Ringraziamenti particolari vanno a
chi l’ha inserita tra i preferiti, Targul, Shakuma e Andrea83,
a Frefro,
per averla seguita, ma soprattutto alle mie appassionate recensitrici,
Akita, Selly, Cleo e Levsky.
Grazie a tutti voi!
Presto, molto presto, come già
detto in precedenza, riprenderà la narrazione di Millennium War – Rebirth, ma lascerò a chi vorrà
tenersi al passo un po’ di tempo per leggere i capitoli già inseriti, inoltre
cercherò per quanto possibile di lavorare parallelamente ad
un episodio ponte tra le due storie, Millennium War – ThreetenDays.