Millennium War - The Origin

di Carlos Olivera
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Spade ***
Capitolo 3: *** Il Grande Torneo ***
Capitolo 4: *** Eredità Infernale ***
Capitolo 5: *** La Prova ***
Capitolo 6: *** Spirito Guerriero ***
Capitolo 7: *** Destini Incrociati ***
Capitolo 8: *** Orrore Ad Alta Velocità ***
Capitolo 9: *** Sapore di Sconfitta ***
Capitolo 10: *** Scontro di Volontà ***
Capitolo 11: *** Qualcosa Per Cui Lottare ***
Capitolo 12: *** Ideali ***
Capitolo 13: *** L'uomo e Dio ***
Capitolo 14: *** Un Prezzo da Pagare ***
Capitolo 15: *** Sentimenti ***
Capitolo 16: *** Coscienza ***
Capitolo 17: *** La Forza delle Stelle ***
Capitolo 18: *** Un Cuore Titubante ***
Capitolo 19: *** Nebegi ***
Capitolo 20: *** Emozioni Contrastanti ***
Capitolo 21: *** Maschere ***
Capitolo 22: *** Il Coraggio di Amare ***
Capitolo 23: *** Rivelazioni ***
Capitolo 24: *** Il Confine dei Sogni ***
Capitolo 25: *** Un'Anima Perduta ***
Capitolo 26: *** Verità Nascoste ***
Capitolo 27: *** Incontri ***
Capitolo 28: *** La Fine degli Ideali ***
Capitolo 29: *** Il Tempo Immobile ***
Capitolo 30: *** Per Te, La Mia Anima ***
Capitolo 31: *** Un Giorno, Chissà ***
Capitolo 32: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

PROLOGO

 

 

All’interno del tempio, regnava un’oscurità quasi totale.

  L’unica fonte di luce in quell’immenso androne, la cui volta, stupendamente affrescata, era sorretta da dodici, possenti colonne, incise fino a sembrare dei giganteschi papiri, era fornita da grandi bracieri che, appesi a delle aste d’oro sporgenti dai muri, anch’essi pieni di dipinti e geroglifici, ardevano incessantemente.

  Un gran numero di persone, tutti uomini, tutti coperti quasi completamente da lunghe tuniche marroni e voluminosi copricapo simili a cappucci, restava in piedi a sguardo basso, pronunciando senza sosta una strana litania, molto probabilmente un’antica preghiera risalente agli albori della storia.

  Quella massa vociante formava una specie di corridoio naturale che, dal grande portone di bronzo decorato, ora chiuso, conduceva sino alla statua di Nepthys, la dea alata guardiana del mondo dei morti, divinità protettrice della tribù; ai piedi di questa vi era un grande altare di pietra, al cui centro era conficcata, fino a metà della lama, leggermente ricurva, una spada bellissima, fatta interamente d’oro, con l’elsa tempestata di pietre preziose e un’incisione finemente decorata raffigurante l’Occhio di Ujat.

  Accanto all’altare, alto, imponente, stava un uomo, un uomo anziano, a giudicare dalla folta barba grigio perla che spuntava dal cappuccio; la sua tunica, a differenza di quelle degli altri sacerdoti, era di un colore bianco sfavillante, in netto contrasto con la sua pelle scura.

  Ad un cenno solenne dell’anziano, i battenti della porta cominciarono lentamente ad aprirsi, emettendo un forte cigolio, solo in parte represso dal continuo salmodiare. Passarono alcuni secondi, poi, dall’oscurità della stanza attigua, uscì un giovane, un ragazzo di forse diciassette anni; vestiva come un soldato dell’antico Egitto, con una sorta di gonnellino bianco di lino ricamato d’oro, una veste leggera che gli copriva il busto, il torace e le spalle, due strisce di tessuto blu che si intersecavano all’altezza del torace, un paio di raffinati sandali in cuoio e, per finire, un lungo mantello bianco.

  La sua pelle era scura, ma non quanto quella degli altri presenti, che tendeva quasi ad un color terra; i capelli, piuttosto lunghi, e leggermente scompigliati, erano più neri dell’ala di un corvo. Neri erano anche i suoi occhi; aveva un’espressione fiera, austera, che lasciava trasparire sicurezza e coraggio.

  Appena le porte si richiusero alle sue spalle, il ragazzo prese a camminare lentamente verso l’altare, fermandosi subito prima dei due gradini che permettevano di raggiungere il punto in questione, situato sopra una terrazzetta.

  «Giovane guerriero!» disse il vecchio con voce roca, affaticata, ma anche profonda e autoritaria «Dimmi il tuo nome!»

  «Mi chiamo Toshio.» rispose lui dopo qualche secondo «Principe Ereditario della Tribù di Nepthys.»

  «Questa spada sarà il tuo giudice. Se sei davvero degno di impugnala, e di assolvere al compito che il cielo ha voluto affidarti, non rifiuterà di essere estratta da te».

  Il ragazzo allora salì gli ultimi gradini, fermandosi davanti all’altare, e nel tempio calò il più assoluto silenzio; l’unico rumore percettibile era il crepitare del fuoco sui bracieri. Attese qualche istante, poi, apparentemente senza traccia alcuna di dubbio o insicurezza, afferrò saldamente l’impugnatura della spada, tirandola verso l’alto; l’arma scivolò via dalla fessura senza alcuna difficoltà, e quando fu completamente estratta la sua lama, illuminata dal fuoco, brillava più del sole.

  «Gli dèi hanno deciso.» proseguì il vecchio «Tu sarai il nostro difensore al prossimo torneo.»

  «Onorerò fino alla morte l’incarico che mi è stato affidato.»

  «Terrò alto il nome della mia gente, assolvendo a questo sacro compito con fede e dedizione.»

  «Il nome dell’autorità conferitami dal cielo, io ti nomino Difensore di Nepthys. Il nostro popolo ti saluta e ti onora. Tu sei il nostro guerriero. In te riposano le nostre speranze.»

  «Sono onorato dalle vostre parole.» rispose Toshio con un leggero inchino

  «Ascoltami con attenzione, figlio mio. La spada che ora stringi con forza nella tua mano per secoli ha vegliato sui tuoi predecessori. Essa, come saprai, può essere impugnata solo per una giusta causa, e solo da un cuore forte. Semmai un giorno il tuo spirito dovesse vacillare, i tuoi ideali crollare, il tuo spirito convertirsi all’oscurità, la spada ti abbandonerebbe.

  Non permettere mai al seme del dubbio di germogliare nella tua anima. Tu e i tuoi compagni siete i custodi di questo mondo, è vostro dovere confrontarvi nel nome della giustizia e dell’onore.»

  «Lo terrò sempre a mente, padre. Le Vostre parole mi accompagneranno da qui alla fine dei miei giorni.»

  «Vai allora, figlio mio. Il tuo viaggio è appena iniziato».

 

Domenica 27 Luglio

Città di Uminari

Ore 08:03

 

Keita Ichinosuke si era svegliato quella mattina con il morale alle stelle; era talmente euforico che, una volta ogni tanto, non fu necessario alcun richiamo da parte della madre o della sorellina Sayuri per riuscire a farlo alzare.

  Del resto, ormai era quasi fatta.

  Ancora un giorno, e finalmente sarebbero cominciate le vacanze estive.

  Canticchiando e fischiettando come un bambino al suo primo giorno d’asilo, il ragazzo saltò giù dal letto e corse immediatamente in bagno, tirandosi a lucido da capo a piedi.

  Il suo era un viso gentile, amichevole, arricchito da una folta capigliatura castano scura e ingentilito da due grandi occhi di un marrone tendente quasi al rosso.

  Non era mai stato uno scansafatiche, anzi aveva fama di essere un gran lavoratore, ma da sempre aveva trovato la vita scolastica alquanto stretta. Non che fosse uno spirito libero o uno scatenato di prim’ordine; semplicemente, non si trovava a suo agio a scuola, forse a causa del suo ottimo rendimento, che gli era valso numerosi nemici, invidiosi dei privilegi che potevano venire dall’essere il secondo studente col più alto livello d’intelligenza.

  Indossata la divisa scolastica, limitata naturalmente, causa un caldo asfissiante, ai calzoni neri e alla camicia bianca a maniche corte, Keita scese velocemente in cucina; sua madre Kimiko, come al solito, si prodigava al fornelli, la sorellina invece era già uscita; quel pomeriggio, alla sua scuola elementare, si sarebbe tenuto l’annuale festival della cultura, quindi era necessario andare via prima per ultimare i preparativi.

  Il ragazzo aveva fatto così in fretta a prepararsi che poté concedersi il lusso di sedersi e fare colazione in tutta calma, quando invece di solito, proprio a causa della sua proverbiale pigrizia, finiva sempre per mangiare una fetta di pane tostato mentre correva come un pazzo per le strade della sua città.

  «Oggi vi consegneranno le pagelline, vero?» domandò la madre passandogli una ciotola di riso

  «Sì, esatto. Ce le consegnerà alla quinta ora il professor Fujitaka.»

  «Hai dei programmi per il pomeriggio?»

  «Pensavo di andare a fare un giro con Shinji e Nadeshiko.»

  «Ricordati di essere alla scuola di Sayuri entro le sette. Sì è impegnata tanto per il suo concerto.»

  «Sta tranquilla, ci sarò. Promesso».

  A colazione conclusa Keita recuperò la sua cartella, riposta sulla sedia accanto all’ingresso già la sera prima, quindi uscì.

  La città di Uminari, situata sulla costa orientale del Giappone, un centinaio di chilometri a nord di Tokyo, si presentava quella mattina in pieno fermento; i lavori per l’allestimento della festa dell’estate erano ormai quasi ultimati, e la domenica successiva le strade si sarebbero colorate della luce di decine di lampade.

  Keita era abbastanza in anticipo da potersi permettere di camminare in tutta calma, guardandosi piacevolmente attorno mentre percorreva la strada pedonale acciottolata che tagliando in due il vecchio centro cittadino arrivava fino al suo liceo.

  Persino il professore addetto al controllo degli studenti al cancello della scuola, il burbero professor Kogure, rimase senza parole nel vederlo arrivare così di buon’ora, tanto che per un attimo pensò di stare sognando; era una situazione decisamente troppo anormale.

  Keita aveva appena passato il cancello, quando, distrattosi per salutare un gruppo di amici che giocavano a calcio, urtò inavvertitamente uno studente che stava fermo davanti a lui, cadendo a terra.

  «Scusa, mi dispiace.» disse immediatamente.

  Rialzato lo sguardo, si trovò a tu per tu con Takeru Minamoto, la leggenda del Club di Kendo, pluridecorato campione studentesco.

  Fra tutti gli studenti, era certamente quello che poteva vantare uno dei più folti gruppi di ammiratrici, questo per via sia del suo aspetto per nulla trascurabile sia per la sua incorruttibile fama da “duro”.

  Alto quasi un metro e ottanta, vestiva sempre e comunque con la divisa intera, completa anche di giacca, e più di una volta Keita si era domandato come facesse a resistere al caldo asfissiante. A dispetto della stragrande maggioranza dei suoi compagni aveva una pigmentazione della pelle piuttosto scura, ma non c’era da restarne sorpresi, visto che era originario di Okinawa, dove aveva sede la famosa compagnia del padre, specializzata nel trasporto marittimo.

  Quando Keita, pur assoggettato da quel gigante, gli rivolse un secondo ringraziamento, lui non rispose, limitandosi a fissarlo coi suoi occhi neri più taglienti di una spada; anche i capelli erano neri, portati a spazzola.

  «Fa più attenzione.» disse tornando sui suoi passi.

  Keita restò un momento ad osservarlo, poi, riavutosi dal senso di gelo lasciatogli da quello sguardo, si rialzò da terra, raggiungendo rapidamente l’atrio della scuola.

  La stessa, identica reazione del professor Kogure la ebbero i pochi studenti presenti nella sua classe nel momento in cui il ragazzo aprì una delle due porte d’ingresso augurando il buongiorno.

  Fra coloro che risposero al suo saluto c’era una ragazza, la cui sola espressione sorridente fu che sufficiente per far arrossire Keita come un anguria.

  I capelli, di un castano chiaro, arrivavano fino alla base del collo, con lunghe frange che coprivano quasi interamente la fronte e le orecchie.

  Gli occhi erano di un verde smeraldo che lasciava abbagliati, e il suo sorriso gentile avrebbe sciolto qualunque cuore.

  Indossava la regolare uniforme scolastica, e al collo portava un pendente circolare, forse di legno, su cui erano raffigurate otto lunghe linee rosse, quattro per lato, simili alle ali spiegate di un angelo.

  «Buongiorno, Keita.»

  «B… buongiorno, Nadeshiko…».

  Si sedettero ai propri posti, uno di fronte all’altra, e dopo poco venne loro incontro un altro ragazzo; aveva un’aria molto sbarazzina, capelli biondi corti e arruffati che andavano in tutte le direzioni e occhi azzurri, nascosti dietro ad un curioso paio di occhiali da vista rettangolari.

  «Ehilà, gente. Come butta?»

  «Salve, Shinji.»

  «Keita. È raro vederti qui a quest’ora. Devo presupporre che il mondo stia finendo».

  Nadeshiko, che forse era l’unica a trovare divertenti le battute di Shinji, rise leggermente, approvando la sua idea.

  Quei tre avevano un grado di affiatamento che aveva del prodigioso; si conoscevano da diversi anni, Keita e Shinji addirittura dalla prima elementare, e in tutto quel tempo erano rimasti sempre insieme.

  Nessuno sapeva bene quale fosse il collante che li teneva uniti; forse il loro carattere gentile e spontaneo, che pur risultando un’ottima qualità veniva talvolta considerato da alcuni semplice ingenuità.

  Di certo, non avevano interessi in comune; Nadeshiko era iscritta da due anni al club di letteratura, e aveva già avuto modo di farsi conoscere pubblicando alcuni racconti di argomentazione fantasy che tanto si rifacevano a quella cultura favolistica europea che tanto amava, Shinji invece da un anno faceva parte della squadra di karate ed era conosciuto soprattutto per i suoi micidiali calci, tanto da guadagnarsi il soprannome di “gamba d’acciaio”.

  E Keita… beh, Keita non aveva interessi in particolare, anche se già da qualche tempo aveva cominciato ad interessarsi al mondo della scherma, questo forse grazie anche a suo padre, un famoso archeologo specializzato nella raccolta e nella catalogazione di armi antiche.

  D’un tratto, pochi minuti prima che suonasse la campanella, la porta si aprì nuovamente, e in classe entrò un ragazzo dall’aria tenebrosa coi capelli argentei, occhi blu profondi come l’oceano e un’espressione seri,a composta; la sua sola vista fu più che sufficiente a mandare in visibilio tutte le ragazze, tranne Nadeshiko, che si limitò semplicemente a rivolgergli un cenno di saluto.

  Il suo nome era Johan Von Karma, il solo studente in grado di superare Keita in fatto di rendimento; considerato la punta di diamante della scuola, aveva un quoziente intellettivo pari a duecento, oltre ad una straordinaria predisposizione a qualunque tipo di attività fisica.

  Ciò nonostante, era considerato unanimemente una persona del tutto inavvicinabile, con un carattere freddo come il ghiaccio che nulla sembrava in grado di scalfire.

  Parlava pochissimo, stando sempre per conto suo, e non intrecciava rapporti con nessuno.

  Come suggeriva il suo cognome era straniero, per la precisione era il secondogenito dell’illustrissima famiglia tedesca dei Von Karma, che annoverava tra i suoi antenati uomini e donne di grande rilevanza per la storia europea e che anche dopo più di sette secoli di storia ancora riusciva ad imporsi sul panorama politico ed economico del vecchio continente.

  Appena entrato Johan andò a sedersi al proprio posto, ignorando totalmente gli sguardi sognanti e le moine di tutte le ragazze della classe, che svenivano ogni qualvolta lui le guardava anche solo per caso.

  Dopo poco suonò la campanella della prima ora, e da quel momento Keita cominciò a contare febbrilmente i minuti che lo separavano dalle tanto agognate vacanze; solo sette ore, poi tutto sarebbe finalmente finito.

Alle cinque precise, alla chiusura delle attività extrascolastiche, presero finalmente il via le vacanze estive; gli studenti cominciarono a lasciare in massa la scuola, augurandosi rispettivamente buone vacanze e promettendo di tenersi in contatto per organizzare serate al karaoke o allegre giornate in spiaggia.

  La maggior parte degli studenti sapeva che in ogni caso si sarebbero quasi sicuramente rincontrati nella festa d’estate che ci sarebbe stata di lì a qualche giorno, altri invece, coloro che potevano permetterselo, sarebbero invece immediatamente partiti per le località di villeggiatura.

  Keita, Nadeshiko e Shinji uscirono tutti insieme, come facevano sempre, dirigendosi al bar gestito dalla famiglia della ragazza per concedersi un tè freddo prima di separarsi; Nadeshiko sarebbe rimasta al locale per dare una mano, Shinji aveva la lezione di arti marziali e Keita lo spettacolo della sorella.

  Passando davanti all’ingresso per la famosa strada pedonale, lungo la quale stava il bar obiettivo della loro passeggiata, i tre amici videro che proprio lì accanto era stato allestito il banchetto di una lotteria promossa proprio dall’associazione dei commercianti che avevano i loro negozi lungo quella via.

  A giudicare dalla gran folla che si era riunita tutto intorno il premio in palio doveva essere davvero appetibile.

  «Che sta succedendo laggiù?» domandò Keita

  «Sembra una lotteria.» rispose Shinji «Che ne dite, tentiamo la sorte? Dopotutto» disse poggiando amichevolmente la mano sulla testa di Nadeshiko «Abbiamo qui la grande dea della fortuna».

  Eh già.

  Perché, fra le altre cose, Nadeshiko si era guadagnata la fama di persona incredibilmente fortunata; più di una volta aveva dato prova del suo “dono”, se così lo si voleva chiamare, indovinando le pagine dei compiti a sorpresa semplicemente aprendo a caso il libro o riuscendo a prevedere anzitempo i risultati delle partite di calcio o baseball più in bilico.

  Non appena riuscirono, a forza di sudori e spintoni, a farsi largo tra la marea di gente, non ebbero problemi a poter guadagnare per primi il diritto di girare l’urna; infatti, era usanza molto comune in quel tipo di lotterie di mandare avanti a sé quante più persone possibile, in modo da far esaurire velocemente il numero di biglie di ferro ed avere così più possibilità di imbroccare quella giusta.

  «Venite, venite!» diceva uno dei quattro addetti «Tentate la fortuna alla nostra lotteria!».

  Ogni giocata costava trecento yen, così Keita e gli altri decisero in comune accordo di metterne cento ciascuno e poi lasciare tutto nelle mani di Nadeshiko.

  «Scusate, che cosa si vince?» chiese Shinji

  «All’interno dell’urna ci sono quattro biglie d’oro. Ognuna di esse permette di vincere un biglietto per un fantastico viaggio di due settimane attraverso l’Europa».

  Nel sentir pronunciare il nome Europa Nadeshiko sembrò cadere dalle nuvole, e i suoi occhi già brillanti si fecero più luminosi di due pietre preziose.

  L’Europa: fin da bambina non aveva mai desiderato altro che poter vedere quella terra straordinaria, ricca di storia e di tradizioni; molte volte aveva cercato coi suoi genitori, che condividevano il suo stesso sogno, di provare ad organizzare un viaggio, anche di piccola portata, ma con un bar da mandare avanti e due figlie da mantenere era dura riuscire a mettere da parte i soldi per una simile impresa.

  Ora le si prospettava l’occasione per realizzare il suo sogno, e mai come in quel momento pregò di essere davvero, almeno un po’, quella dea della fortuna che molti ritenevano che fosse.

  Avvicinatasi all’urna, afferrò leggermente la manovella, e un istante prima che iniziasse a farla girare Keita ebbe come l’impressione di vedere il monile della ragazza illuminarsi leggermente di una luce rosata.

  Tutto intorno calò il più assoluto silenzio, con il rumore delle biglie che giravano vorticosamente nell’urna a fare da contorno a quella situazione carica di tensione.

  Nadeshiko girò molto a lungo, poi, quando sentì che era giunto il momento, si fermò, lasciando che il fato facesse il suo corso.

  Una, due, tre, quattro; e nella zona sembrò essere passato un vento glaciale.

  I dipendenti della lotteria erano forse i primi a non credere ai loro occhi; che scusa avrebbero inventato con gli sponsor per giustificare il fatto di essere stati costretti a chiudere baracca e burattini prima ancora di poter rientrare nelle spese?

  Tutte e quattro le biglie d’oro erano lì, sul piatto, in bella mostra.

  «Non…» disse Keita «Non ci credo… Ma…»

  «Hai…» disse Shinji

  «Ho…».

  Poi, un boato assordante scosse l’intera strada; tutti esultavano, anche chi non aveva vinto. Come si poteva non essere felici, o quantomeno allibiti, davanti ad una simile manifestazione di buona sorte?

  Nadeshiko corse immediatamente al bar per mostrare i biglietti alla sua famiglia, ma nel tempo che lei e gli altri impiegarono ad arrivare lì la notizia si era già sparsa a macchia d’olio.

  Tuttavia, prima ancora che potesse cercare di fare un qualche progetto su come spendere al meglio quell’incredibile colpo di fortuna, i suoi genitori misero immediatamente i puntini sulle i; erano stati loro tre a mettere insieme i soldi per la lotteria, quindi era giusto che fossero loro a godere di quel premio.

  Shinji e Keita protestarono, dissero che era più giusto che in Europa ci andassero Nadeshiko e la sua famiglia, ma alla fine vennero convinti, così, sedutisi ad uno dei tavolini all’esterno del locale, presero a fantasticare sull’incredibile viaggio che li attendeva.

  «Sarà una vacanza magnifica.» disse Keita «Tu sognavi da anni di vedere l’Europa, o sbaglio?»

  «Sì, hai ragione. Coltivo questo sogno da quando era bambina. I miei genitori ci sono stati in luna di miele, e io ho sempre desiderato di poterci andare, un giorno.»

  «Beh, dea della fortuna.» disse Shinji sorseggiando il suo tè «A quanto pare i tuoi sogni si sono avverati.»

  «Però, ora che ci penso.» intervenne nuovamente Keita «Noi siamo in tre, e i biglietti sono quattro. Chi portiamo con noi?»

  «Questa è una bella domanda. Che ne dici di Sakamoto? O Matsuida?».

  Sfortunatamente, qualcuno aveva in mente ben altri progetti.

  Non tutti quelli che avevano assistito alla vittoria dei tre ragazzi avevano erano stati contenti per loro; fra questi c’era un povero studente universitario che per poter fare colpo sulla ragazza dei suoi sogni regalandole quel viaggio da favola non aveva esitato a spendere una vera fortuna in biglietti della lotteria, biglietti che di colpo erano diventati completamente inutili.

  Tuttavia, questo non era bastato a farlo arrendere; in un modo o nell’altro avrebbe ottenuto quel premio. Proprio per questo aveva seguito Keita e gli altri fino al bar, senza mai perdere di vista la cartella di Nadeshiko, all’interno della quale c’erano i biglietti di viaggio e tutti i documenti necessari.

  La cartella in questione era ora appoggiata su una sedia, e loro erano distratti; se fosse stato rapido e preciso non si sarebbero neanche accorti di nulla e lui l’avrebbe fatta franca sotto al loro naso.

  Alzatosi dalla panchina al quale era seduto, e cercando di essere il più disinvolto possibile, si avvicinò con estrema cautela al tavolo, poi, quando fu proprio accanto alla sedia, nell’istante in cui tutti e tre i ragazzi avevano lo sguardo rivolto altrove, afferrò saldamente la maniglia della cartella.

  La foga del momento purtroppo finì per tradirlo, e quando fece per allontanarsi colpì accidentalmente la gamba della sedia, facendola cadere; subito Nadeshiko e i suoi amici si accorsero della sua presenza, e lui, che tutto voleva fare fuorché rinunciare a qualcosa che considerava suo, partì a razzo, portandosi via il suo tesoro.

  «Ehi tu, fermo!» gridò Keita andandogli dietro, seguito in breve anche da Nadeshiko e Shinji.

  Ne nacque un inseguimento furioso, ostacolato e reso ancor più faticoso dalla marea di persone che a quell’ora cominciavano a riversarsi nella strada pedonale per fare un po’ di shopping o per concedersi semplicemente un po’ di riposo dopo le fatiche del lavoro.

  I tre ragazzi correvano a più non posso, gridando con tutto il fiato che avevano per attirare l’attenzione.

  «Fermatelo! Mi ha rubato la cartella!».

  Il ladro però si faceva sempre più lontano, e se fosse riuscito ad uscire dalla zona pedonale si sarebbe disperso nel traffico serale, diventando imprendibile.

  Mancavano solo cento metri alla fine dell’acciottolato, quando quel poveraccio ebbe la sfortuna di capitare sulla strada di Takeru, che tornava in quel momento dall’allenamento serale.

  Il ragazzo, attirato dalle urla di Nadeshiko, si girò, e con una forza a dir poco erculea colpì il ladro allo stomaco con la sua spada da kendo, facendogli tanto di quel male che, abbandonato il suo bottino, dovette allontanarsi da lì gattonando.

  Keita, Nadeshiko e Shinji arrivarono dopo pochi secondi, trovando Takeru con in mano la cartella della ragazza.

  «Takeru!?» disse Nadeshiko cercando di riprendere fiato

  Lui aggrottò leggermente le sopracciglia, quindi restituì il maltolto alla proprietaria.

  «Gra… grazie.»

  «Stai attenta la prossima volta.»

  «Lo… lo faro…» rispose lei con vocina da formica; dopotutto, quel bestione era alto almeno trenta centimetri più di lei

  «Ehi.» disse sottovoce Shinji all’orecchio di Keita «Ma quello non è Minamoto della quarta sezione?»

  «È proprio lui».

  Takeru, conclusi i propri obblighi, fece per andarsene, ma appena ebbe mosso il secondo passo Nadeshiko lo richiamò.

  «Takeru, aspetta».

  La ragazza esitò a lungo, poi, messa una mano nella cartella, ne prese fuori uno dei quattro biglietti.

  «Ecco… per ringraziarti… vorresti accettare questo?»

  «Che cos’è?»

  «È un biglietto per un viaggio in Europa.» disse con il suo solito, innocente sorriso «Se a te fa piacere, vorrei invitarti a venire con noi».

  Shinji e Keita erano visibilmente sorpresi; certamente non si aspettavano che la situazione potesse prendere una piega simile, ma cercarono di tornare sobri quando la loro amica si rivolse a loro.

  «Per voi non è un problema, vero?»

  «No, no.» risposero insieme «Nessun problema. Anzi, sarebbe un piacere».

  Lui non rispose, né commentò, lasciando come al solito che fosse il silenzio a parlare per lui; poi, proprio quando Nadeshiko stava per ritirare la mano, lui afferrò il biglietto, mettendoselo in tasca.

  «Sono con voi.»

  «Ne sono felice.» disse la ragazza riacquistando il sorriso «E grazie ancora».

  Takeru fece un cenno, forse addirittura accennò un sorriso, poi girò i tacchi e se ne andò, stavolta definitivamente.

  Così, in un modo del tutto imprevisto, la squadra era creata.

  Quella sera, ognuno dei tre amici si addormentò pensando con ansia e gioia crescenti a tutte le incredibili meraviglie che li attendevano dall’altra parte del mondo, in quella terra verdeggiante chiamata Europa, coi suoi castelli, le sue chiese, le sue piazze, e i suoi misteri.

 

 

Nota dell’Autore.

Salve a tutti!

Eccomi qua con un’altra delle mie storie strampalate.

Questa storia, come i miei lettori più appassionati avranno notato, costituisce una rielaborazione del primo episodio della saga Millennium War, iniziata come fan fiction ispirata ad un anime/manga e ora rivisitata in chiave completamente fantasy, con nuovi personaggi, nuove vicende e nuove ambientazioni.

Inoltre, giusto per togliermi uno sfizio che coltivavo da tempo, ho deciso di trasformare questo episodio, ma anche tutti i successivi, in un grande Crossover in cui appariranno personaggi provenienti dai contesti più svariati (anime e manga, ma anche libri celebri e videogiochi), inseriti però in un contesto completamente diverso, e nella maggior parte dei casi anche con un carattere diverso.

Non si tratta solamente, per la verità, di un semplice sfizio, ma i motivi reali di questa scelta verranno chiariti più avanti.

Qualcuno forse avrà già notato delle somiglianze o dei nomi alquanto famigliari.

Bene, ho parlato anche troppo.

Spero di aver catturato il vostro interesse, e mi raccomando, fatemi sapere!

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 2
*** Spade ***


1

1

 

 

L’esperienza più bella della loro vita stava dunque per cominciare.

  Non appena l’aereo atterrò all’aeroporto internazionale di Venezia, denominato Marco Polo, in onore di un grande esploratore, i ragazzi scesero in tutta fretta; Nadeshiko sembrava una bambina in un negozio di bambole, e gettata al vento la sua proverbiale tranquillità fin da quando la hostess, durante la notte, aveva annunciato l’ingresso nello spazio aereo dell’Unione Europea, non era più stata in grado di chiudere occhio, e di conseguenza aveva tenuto svegli anche tutti i suoi compagni di viaggio.

  Ovviamente, ognuno di loro aveva rinunciato al rigore dell’uniforme scolastica per indossare qualcosa di più adatto a dei turisti.

  Keita portava un paio di jeans e una maglietta azzurra a maniche corte, Shinji dei calzoni leggeri verde pino, una camicia corta e un gilè giallo opaco senza maniche; Nadeshiko aveva optato per dei calzoncini giallo scuro, scarpe da tennis bianche, camicetta sempre bianca con il colletto bordato di rosso, una coppia di bracciali al polso sinistro e zainetto a tracolla.

  E poi c’era Takeru, decisamente l’ultima persona che Shinji e Keita si sarebbero aspettati di ritrovarsi come compagno di viaggio; malgrado tutto, non aveva voluto rinunciare al suo fare tenebroso e glaciale, vestendosi interamente di nero: calzoni, maglietta leggermente attillata, scarponi e cinturone borchiato; come se non bastasse, per qualche ragione inspiegabile si era voluto portare dietro la spada di famiglia, che gli era costata tra l’altro un mucchio di scartoffie da compilare, e per quanto in Giappone veder girare qualcuno con un fagotto di tessuto lungo e stretto come quello fosse cosa comune, di certo non si poteva dire lo stesso per l’Italia del nord; mentre i quattro ragazzi si incamminavano nei corridoi dell’aeroporto seguendo la propria comitiva, tutti rimanevano con gli sguardi un po’ perplessi nel vedere quel fusto tutto in nero con in mano un bagaglio tanto insolito.

  Appena fuori Keita e gli altri salirono sull’autobus che li avrebbe condotti a destinazione assieme al resto del gruppo, composto per la maggior parte di uomini di mezza età con mogli al seguito; la loro guida era una ragazza italiana di nome Monica, la cui presenza era però puramente simbolica.

  Quella vinta dai ragazzi era una cosiddetta Vacanza Libera; una volta arrivati nell’albergo della città da visitare sarebbero stati completamente liberi di andare dove volevano. La sola cosa da tenere a mente era il giorno in cui sarebbero dovuti ripartire per raggiungere la tappa successiva, per il resto non c’era nessun tipo di costrizione.

  L’autobus cominciò dunque il suo breve viaggio lungo la campagna italiana, un luogo molto diverso da qualsiasi altro che Nadeshiko e i suoi amici avessero mai visto in vita loro. Tutto appariva così semplice, così quieto: distese interminabili di campi coltivati, intervallati qua e là da casupole isolate, solcati da un dedalo di sentieri sterrati percorsi talvolta da qualche trattore.

  Attraversarono anche alcuni paeselli, realtà minuscole nella loro estensione ma brulicanti di vita, una vita semplice e spensierata, ma anche frenetica; in fin dei conti, era agosto avanzato, e in quella zona durante l’estate il flusso di turisti desiderosi di assaporarne le bellezze era praticamente ininterrotto.

  Quando, ad un certo punto, si accorsero di stare attraversando con una certa frequenza grandi ponti che transitavano sopra canali di acqua salmastra, né di mare né di fiume, capirono di essere ormai prossimi alla loro destinazione; infatti, dopo una mezz’ora di viaggio, al termine di una larga curva, l’autobus raggiunse un ponte lunghissimo, che correva a pochi metri dal pelo dell’acqua; oltre alle quattro corsie riservate alle macchine, la parte sinistra del ponte era occupata da un gran numero di binari, sui quali proprio in quel momento stava transitando un lunghissimo treno bianco.

  Lo spettacolo offerto dalla laguna distolse per un attimo gli sguardi dei ragazzi, ma quando, alzati gli occhi, videro quello che si stagliava dinnanzi a loro, tutto divenne secondario.

  Venezia era lì, maestosa; emergeva dall’acqua come un miraggio, combattuta fra il cielo e il mare.

  Le sue guglie, i suoi campanili, sembravano fili d’erba di un gigantesco prato, il bianco dei suoi monumenti illuminato dal sole brillava come il diamante; c’era un tempo stupendo, malgrado fosse estate soffiava una leggera brezzolina che leniva un po’ il caldo asfissiante, dettato in larga misura dalla forte umidità.

  Nadeshiko sembrava al settimo cielo, e rimaneva con la fronte appoggiata al finestrino, sorridendo come al suo primo giorno di scuola; anche Keita e Shinji erano comprensibilmente meravigliati da un tale spettacolo, altrettanto però non si poteva dire per Takeru, che seguitava a restarsene seduto in silenzio con la mano appoggiata sul mento, gettando solo raramente lo sguardo al di là del vetro.

  Dopo aver attraversato il ponte l’autobus si fermò in una grande piazza stracolma di veicoli e persone; c’erano molti italiani, soprattutto veneziani, facilmente riconoscibili per quel loro accento così strano, ma c’erano anche innumerevoli persone provenienti da ogni angolo del mondo, tutti venuti lì per vedere coi propri occhi lo splendore senza fine della città sull’acqua.

  «Meraviglioso!» disse Nadeshiko spalancando le braccia «Ancora non mi sembra vero, siamo a Venezia!»

  «Anche a me sembra incredibile.» disse Keita mettendosi una mano sulla fronte «Accidenti, guardate che sole. Sembra di stare in spiaggia.»

  «Sarà una vacanza eccezionale, ne sono sicuro.» disse Shinji.

  Nello stesso momento, allo scalo marittimo poco distante dalla piazza, un ragazzo dall’aria misteriosa scendeva da un taxi acquatico; con sé aveva una coppia di gatti, due splendidi esemplari tigrati di un colore marrone chiaro con striature un po’ più scure e le punte delle orecchie tendenti quasi al bianco, che pur non essendo né legati né chiusi in una gabbia lo seguivano stando pochi passi dietro di lui.

  Vestiva in modo insolito per quella stagione, con scarpe da ginnastica, un paio di jeans blu, una maglia bianca, probabilmente a maniche corte, e una sorta di giacca rossa e nera con il collo piuttosto pronunciato.

  Qualche istante dopo essere sceso, il ragazzo ebbe l’impressione di sentire una voce nella sua testa; era una voce femminile, da ragazzina, squillante e carica di vigore.

  «È inaudito! I prezzi di questa città uccidono! Da quando in qua un taxi si paga così tanto

  «Non è questo il momento di pensare a simili banalità.» rispose un’altra voce, anch’essa da giovane ragazza, ma più pacata e riflessiva «Piuttosto, lo percepite anche voi?»

  «Perfettamente.» disse il ragazzo «È qui, e il suo potere è a dir poco eccezionale.»

  «Meglio così.» disse la voce energetica «Ci sarà da divertirsi.»

  «Lotte, questo non è un allenamento, né tanto meno un gioco.» replicò la voce riflessiva con tono di rimprovero «Sarà meglio localizzarlo in fretta, non sei d’accordo Toshio?»

  «Assolutamente. Ma sarà necessario occuparsi anche del suo famiglio. Avverto la sua presenza qui vicino, e anche lui non scherza in quanto a potenzialità».

  Perennemente seguito dai due gatti il ragazzo si incamminò verso la piazza, e mentre saliva lungo una piccola scalinata incrociò Nadeshiko; questa, passandogli accanto, inciampò su un gradino, rischiando di cadere, ma lui prontamente la afferrò per un braccio.

  Nel momento esatto in cui la toccò, una sensazione stranissima gli attraversò il corpo da una parte all’altra, come un leggero torpore, che però scomparve subito nel momento in cui Nadeshiko alzò lo sguardo verso di lui; se la ragazza avesse guardato il suo pendente, si sarebbe accorta che questo aveva, nuovamente, brillato per qualche istante.

  «Signorina. Si è fatta male?»

  «Io…» balbettò lei, come cadendo dalle nuvole «No, tutto a posto.»

  «Ehi, Nadeshiko!» gridò Keita facendole dei segni dall’ingresso dell’imbarcadero «Sbrigati, il traghetto sta partendo!»

  «Sì, arrivo!» rispose lei, che poi si girò nuovamente verso l’altro ragazzo «La ringrazio dell’aiuto.»

  «Di nulla».

  Toshio la seguì con lo sguardo fino a che non la vide scomparire all’interno del vaporetto, e anche quando il battello si mise in moto stette immobile a fissarlo.

  «Ehi, che ti prende?» domandò la voce chiamata Lotte «Qualcosa non va’

  «Cosa!? No, niente. È tutto a posto.»

  «Hai già visto quella ragazza?» chiese l’altra

  «No, non mi pare. Comunque, non è questo il momento per pensarci. Voi due, dividetevi e cercate di localizzare il famiglio. Non credo sia molto lontano.»

  «Agli ordini capo.» rispose Lotte «E se lo troviamo, come dobbiamo comportarci?»

  «Non fate nulla. Limitatevi a tenerlo d’occhio. Io intanto mi concentrerò sul mio avversario.»

  «D’accordo. Andiamo, Lotte!»

  «Ehi, aspettami!».

  I due gatti a quel punto scattarono in avanti uno dietro l’altro, separandosi subito dopo un ponte e dirigendosi in opposte direzioni. Toshio si girò nuovamente verso il vaporetto, ormai completamente scomparso, chiedendosi per un attimo cosa fosse stata la sensazione che lo aveva attraversato quando aveva sfiorato quella strana ragazza, poi però, cacciato via quel pensiero, prese a camminare senza meta per i calli della città, come alla ricerca di qualcosa.

 

Il battello condusse i ragazzi direttamente davanti al loro albergo, un hotel a tre stelle senza grandi pretese situato lungo quella che i veneziani chiamavano Riva degli Schiavoni. Recuperate rapidamente le proprie valigie che un apposito battello da carico aveva portato lì direttamente dall’aeroporto i quattro salirono nelle rispettive camere; per esigenze di privacy Nadeshiko si era vista assegnare una stanza tutta sua, e così sarebbe stato per tutte le altre destinazioni da lì alla fine del viaggio. Anche Takeru però aveva insistito per starsene in disparte, mentre Shinji e Keita non si erano fatti problemi a dividere la stessa camera, cosa che avevano già fatto durante il viaggio scolastico a Kyoto di qualche mese prima.

  Disfate le valigie, e al termine di un bagno ristoratore, i tre inseparabili compagni si prepararono per la loro prima uscita; passarono anche a chiamare Takeru, ma aperta la porta della sua stanza lo trovarono disteso sopra il letto ancora fatto con le mani dietro la testa e gli occhi chiusi.

  «Ehi Takeru, noi andiamo a visitare la città.» disse Nadeshiko «Vuoi venire anche tu?»

  «Oggi non mi va’.» rispose lui girandosi di lato e dando loro le spalle «Un’altra volta magari».

  Keita cercò di parlargli nuovamente, ma Nadeshiko gli fece segno di lasciarlo in pace, quindi i tre lasciarono la camera, scendendo nella hall.

  «Perché venire a fare un viaggio dall’altra parte del mondo per poi starsene chiusi in albergo?» domandò Shinji mentre uscivano all’esterno

  «E dai, lascialo stare.» disse Nadeshiko «Lo conoscete, lui è fatto così. Vedrete che domani cambierà idea.»

  «Per ora non pensiamoci più e andiamo a divertirci. Abbiamo tante cose da vedere, e solo due giorni per poterlo fare».

  La prima tappa del loro giro turistico fu, ovviamente, la leggendaria Piazza San Marco; avrebbero potuto raggiungerla tranquillamente a piedi, ma perché rinunciare ad un nuovo giro in battello, una cosa così insolita per la loro terra di origine?

  Il viaggio durò solo pochi minuti, e appena posarono nuovamente i piedi sul selciato i tre ragazzi rimasero con gli occhi all’insù e le bocche spalancate in un’espressione di indicibile meraviglia: quella piazza era immensa, e di una bellezza incomparabile.

  Trasudava storia e misticismo da ogni suo anfratto, e anche se il continuo andirivieni di turisti le toglieva molto del suo fascino la maestosità che era stata pensata probabilmente per lei non ne aveva minimamente risentito.

  La prima meta del giro turistico fu, senza ombra di dubbio, il famosissimo campanile, non molto alto rispetto ai molti di cui l’Italia era piena, ma di sicuro uno dei più spettacolari; poiché la scala a chioccia che saliva lungo la parete era ormai troppo vecchia e danneggiata l’unico modo per salire era l’ascensore, ma a causa sia del numero limitato di posti sia della necessità di pagare la salita c’era sempre una gran coda, e quel giorno non era diverso.

  Keita e i suoi amici dovettero aspettare quasi un’ora per riuscire finalmente a prendere l’ascensore, ma la vista che trovarono una volta raggiunta la cima valeva bene la fatica fatta; complice il tempo stupendo, Venezia appariva in tutto in tutto il suo incommensurabile splendore.

  Alle case semplici della gente comune facevano eco le ville fastose e lussureggianti dei nobili, concentrate soprattutto nei luoghi più aperti e appetibili, come il famoso Canal Grande, che tagliava in due la città e l’intricato insieme di isole sulle quali essa sorgeva, collegate tra loro da centinaia di ponti, alcuni piccoli e quasi invisibili altri di bellezza disarmante, come il famoso Ponte di Rialto.

  Lontano, oltre il mare, erano visibili le altre isole famose che costituivano l’arcipelago della laguna veneta, soprattutto la Giudecca, Murano e Burano, famose rispettivamente per la chiesa del Redentore, la lavorazione del vetro e i merletti.

  Nadeshiko era meravigliata: neppure nei suoi sogni più lussureggianti e fantasiosi aveva mai immaginato di vedere un simile spettacolo, e con la sua fotocamera scattava valanghe di fotografie; anche Shinji e Keita, affacciati dalla parte opposta, facevano altrettanto, ma lei, a differenza di loro, aveva anche qualcos’altro per la testa. Per qualche strana ragione, infatti, non le riusciva di non ripensare al misterioso ragazzo incontrato all’imbarcadero, e alla strana sensazione che l’aveva attraversata nel momento in cui si erano toccati; era certa di non averlo mai visto, ma, non sapeva perché, il suo volto aveva un che di famigliare, come se in un modo o nell’altro lo avesse già incontrato.

  Anche la sua voce, così profonda, così gentile, ma carica di una strana malinconia, le era suonata famigliare, quasi l’avesse sempre sentita.

  Lo spettacolo offerto da Venezia era troppo grande per poter essere ignorato, e così Nadeshiko, accantonati momentaneamente quei pensieri, riprese a scattare foto di qualsiasi cosa le capitasse a tiro.

  Conclusa la visita al campanile, la tappa successiva fu il Palazzo Ducale, situato proprio di fronte, e anche lì fu necessario fare una lunga fila prima di poter entrare, ma come era accaduto la prima volta il frutto di più di mezz’ora di attesa sotto il sole cocente si rivelò ben spesa.

  L’antica residenza del doge, sede del potere politico, istituzionale e giuridico dell’antica Repubblica, era un trionfo di affreschi, grandi scalinate in marmo, volte d’oro massiccio, lampadari pregiati e stanze così grandi che guardare il soffitto faceva venire il mal di testa.

  Tutto lì dentro era così sfarzoso, così maestoso, che Keita e gli altri non riuscivano a credere ai loro occhi, e si domandavano come sarebbe stato visitare quei luoghi lussureggianti all’epoca in cui la Serenissima risplendeva in tutto il suo potere.

  Furono necessarie diverse ore per poter visitare l’intero edificio, e quando i tre ragazzi uscirono dalla loro terza meta, la sfavillante Basilica di San Marco, ormai era pomeriggio inoltrato.

  «Questa città è davvero stupenda.» disse Keita facendo scorrere le immagini della sua fotocamera «Mai visto niente del genere.»

  «E questo non è che l’inizio.» disse Shinji «Venezia è solo la prima delle tante tappe che questo viaggio ci offre. Poi verranno Vienna, Parigi, Madrid e infine Roma.»

  «Nadeshiko, non ti ringrazieremo mai abbastanza per aver voluto dividere la tua vincita con noi.»

  «Figuratevi, per così poco. Siamo amici, no? E poi, onestamente, venire con mamma e papà non sarebbe stato lo stesso.»

  «Sentite, ora dove andiamo?» domandò Shinji «Ormai qui abbiamo visto tutto.»

  «Che ne dite delle gallerie dell’Accademia? O di Villa Contarini?».

  Nadeshiko prese la guida di Venezia comprata all’aeroporto e l’aprì; c’era davvero l’imbarazzo della scelta.

  «Ci sono così tante possibilità. Ci vorrebbe almeno una settimana per vedere tutto.»

  «È la parte spiacevole di questo tipo di viaggi.» disse Keita «Avendo poco tempo a propria disposizione, bisogna scegliere con cura i luoghi da visitare.

  Ad ogni modo Nadeshiko, hai vinto tu la vacanza, quindi è giusto che sia tu a decidere.»

  «Beh, se proprio insistente… in tal caso, vada per il Museo Correr. È subito fuori della piazza, e dicono che sia pieno di opere meravigliose.»

  «E allora forza, in marcia.» disse Shinji alzando il pugno «Verso la prossima meta!»

  «Sì!» gli fecero eco i suoi amici.

 

Non appena il sole scomparve oltre l’orizzonte, lasciando il posto ad una splendida notte, Venezia si illuminò come un immenso albero di natale; l’estate e il bel tempo permettevano ai negozi di rimanere aperti fino ad ora tarda, e le calli, malgrado fossero quasi le undici, brulicavano ancora di turisti in cerca di qualche souvenir o magari intenti a cenare in uno degli innumerevoli ristoranti affacciati sui canali.

  Malgrado ciò, tuttavia, alcune zone della città rimanevano immerse nel buio e nel silenzio più assoluto, degni della più lugubre delle città fantasma.

  Per una di queste zone si muoveva Toshio, silenzioso e quasi invisibile nel suo procedere lento, a testa bassa, simile a sua volta ad un fantasma.

  Camminando nell’indifferenza più assoluta, raggiunse ad un certo punto, tramite una stretta stradicciola, una piazza non molto grande, con un pozzo al centro circondato da tre aiuole e qualche panchina sparsa qui e lì, circondata su tre lati da alti edifici e sul quarto dalla facciata di un’imponente chiesa seicentesca.

  Come fulminato, il ragazzo spalancò gli occhi e li alzò verso l’alto, scorgendo, in cima alla suddetta chiesa, una figura oscula e longilinea che, all’apparenza, poteva sembrare una statua, ma che egli identificò subito come l’oggetto della sua ricerca.

  Sembrava avere qualcosa in mano, o dietro la schiena, una specie di asta, lunga e sottile.

  «Era ora che arrivassi.» disse con voce fortemente malevola e ironica «Mi domandavo quanto ancora ci avresti messo.»

  «Fossi in te non avrei tutta questa fretta di cominciare.» rispose Toshio ostentando sicurezza

  «Guarda un po’, abbiamo qui un aspirante eroe. Non fare il passo più lungo della gamba, non ti conviene.»

  «Tu invece sembri un po’ troppo sicuro di te.»

  «Come preferisci. Quando avrò finito con te rimpiangerai il momento in cui mi hai parlato così.

  Che inizi il divertimento».

  Quello in cima alla chiesa schioccò le dita, e immediatamente, parecchi metri al di sopra della piazza, si accese una grande luce color lilla che incominciò quasi subito ad assumere le fattezze di una cupola colossale, ingigantendosi sempre più.

  Keita, Shinji e Nadeshiko in quel momento erano seduti attorno al tavolino di un bar e stavano cercando di smaltire con delle bibite digestive la cena colossale che si erano concessi in un ristorantino nei pressi dell’università, parlando tra di loro di tutte le meraviglie viste quel giorno, quando, senza rendersene conto, si ritrovarono all’interno della cupola, che crebbe fino a raggiungere un diametro di circa seicento metri, inglobando al suo interno tutta la zona tra Piazza San Marco e le porte dell’Arsenale, oltre ad una buona fetta di spazio marino.

  Nessuno, all’esterno, sembrò accorgersi della sua improvvisa comparsa, e tutti continuavano a svolgere le proprie occupazioni come se nulla fosse successo.

  Keita e gli altri, già attoniti per ciò che stava succedendo, si accorsero ben presto che tutto, attorno a loro, sembrava essersi come cristallizzato, fissandosi nello scorrere del tempo come una gigantesca fotografia; persone, animali, persino le bibite nei bicchieri: tutto era perfettamente immobile, non soffiava neppure il vento e persino la temperatura sembrava diversa. Solo i tre ragazzi sembravano essere immuni alla paralisi.

  «Che sta succedendo?» domandò Shinji balzando in piedi

  «Non ne ho idea.» rispose Keita «Ma che cos’è questa strana luce viola?».

  Loro non lo sapevano, ma anche l’albergo nel quale alloggiavano era stato raggiunto da quella luce; ancora chiuso nella sua stanza, fino a pochi attimi prima Takeru sembrava stare dormendo, ma nell’istante in cui la cupola lo richiamò dentro di lui subito spalancò gli occhi, sedendosi sulle coperte e mettendosi sul chi vive.

  «È cominciata.» disse tra sé, quindi, alzatosi, recuperò la spada da sotto il letto.

  Intanto Keita e i suoi amici, alla ricerca di un modo per uscire da quella situazione, avevano preso a camminare senza meta tra i vicoli di Venezia, constatando che tutto intorno a loro la scena era sempre la stessa; qua e là, fra le gente immobilizzata, si vedevano strani anelli fluttuanti che girando lentamente su sé stessi sembravano fatti di evanescenti simboli simili a delle rune; c’erano anche delle fiammelle, che ricordavano molto i fuochi fatui.

  Il loro girare freneticamente e senza meta li condusse dopo poco in una calletta stretta dove sentirono, molto vicini, una serie di rumori concitati.

  «Che cos’è?» domandò Nadeshiko cercando di aguzzare l’udito.

  Era come se due oggetti metallici cozzassero violentemente tra di loro, ma si sentivano anche il tipico rumore prodotto da degli spostamenti d’aria particolarmente forti.

  Indipendentemente da cosa potesse trattarsi, quella era comunque la prova sicura che c’era qualcun altro oltre a loro immune al blocco del tempo, qualcuno che magari poteva aiutarli ad uscire, quindi i ragazzi, senza esitazione, cominciarono a correre in direzione dei rumori.

  Corsero per un paio di minuti, poi, al termine di quello che sembrava un tunnel senza fine, formato dalla sovrapposizione di un edificio con la stradina sottostante, raggiunsero una piazza dominata da una vecchia chiesa palladiana, e subito le loro bocche si spalancarono per lo stupore.

  Al centro, poco distante dal pozzo, due giovani, probabilmente loro coetanei, si stavano battendo furiosamente tra di loro impugnando delle armi molto strane; uno dei due, che Nadeshiko riconobbe subito come il ragazzo incontrato quella mattina all’imbarcadero, impugnava una spada interamente d’oro, una kopesh egizia per l’esattezza, l’altro invece una lunga lancia rosso sangue che pareva fatta interamente di metallo, con una lama lunga e stretta, seghettata alla base su entrambi i lati.

  Quest’ultimo era leggermente più alto, aveva lunghi capelli color blu oltremare raccolti con un anello d’oro alla base della nuca in una lunga coda che scendeva fino a metà della schiena e occhi rossi; anche la sua veste era blu, una sorta di abito da battaglia piuttosto aderente sormontato da una coppia di spalline e da una cintura, entrambe d’argento.

  «Chi sono quei due?» domandò Keita.

  Senza pensare minimamente all’idea di scappare, forse perché estasiati dall’agilità e dalla potenza di quei due guerrieri, i cui colpi erano così potenti da far rimbombare l’aria come solo un colpo di cannone avrebbe saputo fare, i tre amici corsero a nascondersi dietro una delle panchine più lontane, da dove avrebbero potuto seguire lo scontro in relativa sicurezza.

  Agli attacchi agili e ripetitivi del lanciere il giovane spadaccino rispondeva con la propria solida difesa, facendo guizzare di tanto in tanto in avanti la sua lama e costringendo così l’avversario ad interrompere la catena di assalti per mettersi sulla difensiva.

  Qualche minuto dopo che Keita e gli altri erano arrivati i contendenti si allontanarono l’uno dall’altro per concedersi una tregua; malgrado il caldo torrido e il grande sforzo sostenuto nessuno dei due sembrava accusare sintomi di stanchezza, e anzi continuavano a scrutarsi vicendevolmente senza abbassare la guardia.

  “Il moccioso ci sa fare.”

  “Questo tipo non scherza.”

  «Lo ammetto, ti avevo sottovalutato!» disse il lanciere con una certa soddisfazione «Il tuo temperamento merita la mia presentazione. Il mio nome è Atarus, dei McLoan!»

  «Il codice d’onore del torneo mi obbliga a risponderti. Io sono Toshio di Nepthis.»

  «La tua presentazione è del tutto fuori luogo. Avevo capito chi eri nel momento stesso in cui hai materializzato la tua spada.»

  «Lo stesso vale per te. Solo i McLoan sanno maneggiare una lancia con tanta maestria.»

  «Lo prendo come un complimento».

  Atarus a quel punto assunse una posizione molto strana, divaricando molto le gambe e rivolgendo la punta della sua lancia verso terra; questa, dopo poco, cominciò a circondarsi di una sinistra luce rossa.

  «Visto che questo è il primo incontro del torneo, ti andrebbe di chiuderla in parità?»

  «Mi spiace, non mi piace lasciare le cose a metà.»

  «Il mio scopo era solo quello di portare allo scoperto il mio avversario e saggiare le sue capacità. Ma visto che mi sembri tanto sicuro di te, non mi pare il caso di tirarla per le lunghe».

  Toshio era nervoso, e si manteneva a distanza, pronto a respingere un qualsiasi attacco; a giudicare dalla grande quantità di energia che stava riversando sulla punta della sua lancia, Atarus era più che determinato a mettere fine all’incontro con quell’ultimo colpo, quindi, se fosse riuscito a respingerlo, sicuramente si sarebbe portato in vantaggio.

  Il lanciere, improvvisamente, scattò in avanti, veloce come un proiettile; il suo attacco fu talmente fulmineo che tutto quello che Toshio poté fare per evitarlo fu spostarsi lateralmente, una manovra che comunque si rivelò sufficiente. Purtroppo però, l’attacco non era ancora finito; arrivato alle spalle dell’avversario, Atarus si fermò, si girò nuovamente verso di lui e riassunse la stessa posizione di prima, ma la luce attorno alla lancia divenne di colpo ancor più luminosa, e sotto i suoi piedi si generò, in un istante, un simbolo simile ad un circolo magico, le cui linee erano composte, a loro volta, da una luce rosso sangue.

  Al suo interno era raffigurata una stella a otto punte, circondata da alcuni simboli arcani simili a quelli che Keita e i suoi amici avevano visto fluttuare per le strade di Venezia.

 

STORMBRINGER

 

Toshio rispose a questo nuovo colpo saltando all’indietro, ma ciò nonostante la lama della lancia sembrò quasi inseguirlo, e alla fine, malgrado il suo spostamento repentino, il ragazzo venne colpito al fianco destro e trapassato da parte a parte.

  Il dolore fu tanto forte da farlo gridare, questo malgrado fosse visibilmente abituato a situazioni di quel tipo; la sua spada, per il forte contraccolpo, gli scivolò via di mano, e lui cadde in ginocchio tenendosi la ferita.

  «Co… com’è possibile? Ero certo… di averlo schivato…».

  Malgrado il suo colpo fosse andato a segno, il sorriso ironico di Atarus lasciava intendere che neppure lui era tanto soddisfatto.

  «Ritieniti fortunato.» disse mentre il circolo attorno a lui si stringeva fino a scomparire «A questo colpo di solito non si sopravvive. Stormbringer è in assoluto la tecnica più veloce fra tutte quelle usate dalle sette tribù.»

  «Stormbringer…» balbettò Toshio, che subito dopo sgranò gli occhi per lo stupore «Non sarà che…»

  «Dalla tua espressione, deduco che tu abbia capito. Questa lancia è Valkyria, l’arma divina forgiata direttamente da Odino. Al momento della sua nascita è stata bagnata nel sangue di un drago, e questo le ha conferito, oltre che una straordinaria durezza, anche la velocità del vento.»

  «Valkyria… un’arma divina… come la mia spada.»

  «Tutto sommato ti sei dimostrato un degno avversario, per quanto questo combattimento sia stato anche troppo breve. Per dimostrarti che riconosco la tua bravura, ti risparmierò inutili sofferenze trafiggendoti il cuore».

  Atarus alzò dunque la sua lancia per vibrare il colpo fatale, seguito dagli sguardi preoccupati e spaventati dei tre spettatori, ancora nascosti dietro alla panchina.

  «E adesso che sta facendo?» domandò Keita

  «Temo stia per dargli il colpo di grazia.» rispose Shinji.

  Nadeshiko, spinta da qualcosa che neppure lei forse riusciva a spiegarsi, cercò di balzare fuori dal suo nascondiglio, forse per cercare di fermarli; subito i suoi compagni la tirarono verso il basso, ma lei, inavvertitamente, colpì una lattina vuota accanto a lei, che col suo rotolare metallico interruppe il silenzio irreale che si era venuto a creare.

  «Incredibile.» disse Atarus girandosi, non senza una certa sorpresa, in direzione del rumore «A quanto pare c’è qualcuno in grado di muoversi all’interno del Fuuzetsu».

  Toshio, che da inginocchiato era ora riverso a terra quasi svenuto, sembrava colpito quanto lui, ma vedendo il sorriso malevolo sul volto del suo avversario si spaventò a morte.

  «Resta qui e mettiti comodo.» gli disse il lanciere «A te penserò dopo».

  I tre ragazzi non avevano il coraggio di guardare di fuori, e si facevano vicendevolmente segno di rimanere in silenzio, domandandosi, forse, cosa mai li avesse spinti a cacciarsi in una situazione così dannatamente pericolosa.

  «Pensate che ci abbiano sentiti?» chiese Keita a voce così bassa da risultare impercettibile persino per lui.

  La risposta alla sua domanda venne nel momento in cui la panchina, un esemplare in pietra ricavato da un unico blocco di granito, venne tagliata a metà in verticale da un colpo di lancia di Atarus per poi sgretolarsi in mille pezzi.

  «Guarda, guarda.» disse il lanciere osservando i loro sguardi terrorizzati «Abbiamo qui tre bei curiosoni».

  Keita e gli altri, nell’istinto di evitare la lancia, balzarono in piedi, rimanendo però bloccati per la paura subito dopo.

  «Non avrei mai immaginato di incontrare qualcuno capace di eludere gli effetti del Fuuzetsu. Dovete essere dotati di un circolo magico particolarmente sviluppato per essere in grado di fare una cosa del genere».

  Nessuno dei tre aveva la minima idea di che cosa quel tipo stesse parlando, ma il suo sorriso malefico, accompagnato da un ridacchiare sommesso, non lasciare presagire nulla di buono.

  «Non vi dispiace se me li prendo io, vero?».

  Il fatto che stesse rivolgendo la sua lancia verso di loro non lasciava dubbi sulle sue intenzioni, e i ragazzi avevano conservato abbastanza autocontrollo per sapere che una fuga sarebbe stata del tutto inutile.

  Shinji fu il primo ad accennare una reazione, e scattato in avanti girò su stesso; il calcio in rotazione che assestò ad Atarus era uno dei suoi cavalli di battaglia nei tornei, e nonostante ciò il lanciere lo parò senza alcuna difficoltà, afferrando saldamente la caviglia del ragazzo quando era a pochi centimetri dal suo viso.

  «Ma cosa…» disse Shinji sgomento

  «Mi dispiace» rispose Atarus sorridendo leggermente «Ma ti occorrerà qualcosa di più che un misero calcio per confrontarti con me.» quindi, con una forza a dir poco impressionante, sollevò Shinji da terra come fosse stato una piuma, scaraventandolo con forza contro la parete di una casa vicina.

  Un simile colpo sarebbe risultato più che sufficiente per spezzare la colonna vertebrale, ma per chissà quale miracolo il ragazzo se la cavò con un semplice svenimento.

  «Shinji!» disse Nadeshiko

  «Chi è il prossimo?».

  Keita, istintivamente, si parò in difesa dell’amica, e dopo averle intimato di fuggire si lanciò a sua volta addosso al nemico cercando di colpirlo; Atarus, rimanendo addirittura ad occhi chiusi, afferrò il pugno nella propria mano, stringendolo con una forza tale che Keita quasi pianse per il dolore.

  «Terribilmente… patetico.» disse il lanciere, che assestatagli una ginocchiata allo stomaco lo spedì a sua volta a sputare sangue sul selciato.

  Rimase così solo Nadeshiko, che terrorizzata come non mai rimase immobile ad osservare quella specie di mostro mentre si avvicinava a lei; solo quando gli fu praticamente addosso accennò una fuga, ma lui, afferratala per il polso destro, la sollevò di peso per parecchi centimetri, quindi, appoggiatale la punta della lancia alla spalla sinistra, incise un minuscolo solco.

  «Avanti. Fammi dare un’occhiata al tuo circolo magico».

  Dalla ferita sgorgò una riga di sangue, che come un serpente sinuoso percorse lentamente il braccio, raggiunse la mano quindi lasciò cadere a terra alcune gocce dal dito indice. Dopo poco, sul terreno sopra Nadeshiko, andò formandosi rapidamente un circolo magico di colore rosa intenso formato da due cerchi concentrici con al centro due stelle a cinque punte una sotto l’altra con le punte l’una opposta all’altra all’interno inscritte all’interno di una specie di grande rosa dei venti con una runa sulla sommità di ogni punta; infine, due figure, un sole e una falce di luna, stavano l’uno di fronte all’altra a destra e a sinistra delle due stelle.

  Atarus guardò quel disegno con una punta di stupore.

  «Davvero notevole. Era da un pezzo che non vedevo un circolo magico talmente complesso. Posso solo immaginare che razza di potere debba racchiudere».

  Guardò quindi Nadeshiko con occhi iniettati di sadismo.

  «Deve essere mio!».

  Il lanciere alzò l’arma per infliggere il colpo fatale, ma prima che potesse riuscirci una presenza alle sue spalle lo costrinse a mollare la ragazza e a girarsi di scatto per parare un colpo di spada.

  Ad attaccarlo era stato Toshio, ripresosi improvvisamente.

  «Non ti è ancora bastato?» domandò Atarus ingaggiando con lui uno scontro di forza.

  Il ragazzo non rispose, e allontanatosi momentaneamente ripartì all’attacco quasi subito, costringendo Atarus a restare in difesa.

  La ferita che il lanciere aveva inflitto a Toshio sembrava scomparsa, e malgrado i vestiti del ragazzo fossero sporchi di sangue tutto ciò che appariva sotto di essi era una semplice cicatrice.

  “Bastardo.” pensò Atarus “Possiede la capacità di rigenerarsi”.

  Malgrado ciò, tuttavia, la forza di Toshio risentiva comunque di un colpo potente come lo Stormbringer, e il suo attaccare continuo finì per fargli consumare rapidamente le sue ultime energie; a quel punto Atarus non dovette fare altro che colpirlo violentemente al mento con l’asta della lancia, sparandolo in aria per poi farlo precipitare a terra con una forza tale da provocare un solco nelle mattonelle.

  Il nemico aveva così tanti bersagli attorno a sé da non sapere neppure su quale concentrarsi per primo, poi decise di cominciare da Keita, quindi cominciò a camminare lentamente verso di lui, ma proprio quando era ad un passo avvertì nuovamente la sgradevole sensazione di avere qualcuno dietro le spalle che minacciava la sua persona; giratosi, mise la lancia in orizzontale, parando, non senza qualche difficoltà, un poderoso colpo di spada, così forte da fargli scricchiolare le ossa delle dita.

  «Takeru!» esclamò Nadeshiko riconoscendo nel volto del nuovo arrivato quello del suo compagno di viaggio

  «E tu chi diavolo saresti?» domandò Atarus.

  Invece di rispondere Takeru mise ancor più forza nel suo colpo, tanto che alla fine Atarus si vide costretto a saltare all’indietro dopo aver respinto violentemente la katana del nemico con uno scatto rabbioso; questo, tuttavia, non gli impedì di tornare a combattere dopo poco.

  Takeru si stava rivelando un combattente davvero eccezionale, ma quello, a giudicare dall’espressione accigliata che gli comparì sul viso dopo qualche minuto, rischiava di essere un avversario al di là delle sue attuali possibilità, o comunque contro il quale i sistemi convenzionali sarebbero stati del tutto inutili.

  «Ora basta!» si sentì urlare all’improvviso, un urlo così forte e intimidatorio che i due contendenti smisero all’istante di azzuffarsi, girandosi assieme a tutti gli altri presenti, compresi Keita e Shinji, ripresisi in quel momento, nella direzione da cui era venuto.

  Dal nulla, in un angolo della piazza, accanto alla stradina d’ingresso, era comparso un bestione di sacerdote grosso come un toro, alto forse più di due metri e con una massa muscolare degna di un campione di boxe. La veste sacerdotale che indossava era un po’ insolita, composta non da una semplice tonaca ma da giacca e calzoni, oltre al classico colletto bianco; portava anche una lunga giacca a due livree che scendeva fin quasi alle caviglie, un paio di guanti bianchi, scarpe nere di fattura piuttosto pregiata e il classico crocifisso, un bell’esemplare in oro massiccio legato da una lunga catenina dello stesso materiale.

  Ciò che incuteva maggior paura, però, era il suo viso, che tutto poteva sembrare fuorché quello di un sacerdote; i capelli, biondo paglierino, erano corti e dritti, un taglio più adatto ad un soldato che ad un uomo di chiesa; gli occhi, azzurri, scintillavano come quelli di un gatto, seguitando ad osservare carichi di rimprovero e di ammonimento, da dietro un paio di occhiali rotondi da vista, tutto ciò che si parava dinnanzi ad essi.

  Poteva avere tra i quarantacinque e i cinquant’anni, ma anche se fosse stato più anziano questo non avrebbe minimamente sminuito il senso di soggezione che incuteva la sua figura.

  «Questo combattimento è durato anche troppo.» disse non appena fu certo di avere tutti gli occhi addosso «Smettetela subito!»

  «Ma non dire idiozie!» replicò Atarus; tutti però non faticarono a scorgere una certa scarsità di convinzione in quel suo tono spavaldo «Il combattimento è appena iniziato!».

  Il sacerdote guardò il lanciere con occhi ancor più severi, quindi indicò verso l’alto con la punta dell’indice.

  «Il tuo Fuuzetsu ormai si sta esaurendo. Se continuerai a combattere anche dopo che il Fuuzetsu sarà svanito andrai incontro ad una violazione del regolamento, e di conseguenza alla squalifica.»

  «Parlando di violazioni, i combattimenti non dovrebbero essere uno contro uno? Avrei ammazzato quello spadaccino da quattro soldi secoli fa, se questi mocciosi non si fossero intromessi.»

  «Tu avresti potuto infliggere il colpo mortale al tuo avversario in qualsiasi momento, e di occasioni per farlo ne hai avute parecchie. Se non le hai sfruttate, è solo colpa tua. Per quel che riguarda questi ragazzi, essi sono estranei al torneo, e non hanno fatto altro che difendersi dai tuoi attacchi. Di conseguenza, non c’è stata alcuna violazione».

  Atarus digrignò i denti, manifestando uno sguardo di odio puro, poi però, incredibilmente, abbandonò la posizione da battaglia.

  «E va’ bene, per questa volta vi è andata bene».

  Ad un suo secondo schiocco di dita la cupola che avvolgeva Venezia prese a scomparire con la stessa velocità con la quale si era materializzata, ed il tempo nello spazio che aveva occupato fino ad un attimo prima ricominciò a seguire il suo corso come se nulla fosse accaduto.

  Dall’alto di un campanile, una figura misteriosa assistette all’evento seduta sul cornicione, con le gambe allegramente distese su di uno strapiombo di decine di metri; la fitta oscurità nascondeva quasi del tutto i suoi lineamenti, ma appariva abbastanza chiaro che fosse un uomo e che portasse un paio di occhiali.

  «A quanto pare» disse tra sé e sé con voce da adolescente «Il primo incontro di questo torneo è già finito».

  Non appena la cupola fu completamente scomparsa Atarus voltò le spalle a Takeru e mosse un paio di passi.

  «Fermo!» gli intimò Toshio, rimessosi nuovamente in piedi «La nostra sfida non è ancora finita».

  Il lanciere allora si fermò, girandosi leggermente verso di lui.

  «Ringrazia il cielo che lo sia. Se non fosse stato per questi quattro rompiscatole, a quest’ora saresti già morto. Ma non preoccuparti, tornerò molto presto. E anche voi mocciosi, fareste meglio a guardarvi le spalle d’ora in avanti».

  A quel punto, con un solo salto, Atarus raggiunse il tetto di uno dei palazzi, scomparendo inghiottito dal buio.

  «Ci rivedremo!».

  Quando se ne fu andato Toshio, che in realtà di forza per combattere ne aveva ben poca, cadde in ginocchio, e la spada che aveva tra le mani scomparve nel nulla, tramutandosi in un pulviscolo dorato che dopo poco scomparve a sua volta.

  «Keita, Shinji!» disse Nadeshiko correndo ad aiutare i suoi compagni, che a stendo riuscivano a stare in piedi «State bene?»

  «Sopravvivrò.» rispose Shinji col suo solito spirito «E tu, Keita?»

  «Sì, niente di rotto».

  Appena Toshio alzò gli occhi vide quel sacerdote gigantesco che lo sovrastava come una montagna, osservandolo dall’alto della sua gigantesca figura. Il suo sguardo era, se possibile, ancor più minaccioso di prima.

  «Avresti dovuto fare maggior attenzione. I lancieri di McLoan non sono avversari da prendere sottogamba.»

  «Io… mi dispiace…»

  «Non pensare neppure per un istante che lo abbia fatto per te. Se il Fuuzetsu non fosse stato sul punto di esaurirsi, non credo che sarei intervenuto.»

  «Ne sono consapevole.»

  «D’ora in avanti cerca di essere meno impulsivo».

  Takeru, rinfoderata la spada, rimaneva per conto suo, poi venne raggiunto a sua volta dal sacerdote; i due si osservarono in silenzio per lunghi secondi, senza lasciar trapelare alcuna missione.

  «Come guerriero sei estremamente capace.» disse ad un certo punto il religioso «Riuscire a tenere testa ad uno dei sette partecipanti al grande torneo non è cosa da tutti.»

  «Faccio quello che posso.»

  «Ti devo ringraziare. Se non fosse stato per te, le conseguenze di questo scontro avrebbero potuto essere tragiche.»

  «Non serve che mi ringrazi.» rispose bruscamente Takeru «Ciò che ho fatto non l’ho fatto per aiutare qualcuno».

  Il sacerdote non sembrò trovare quel commento offensivo, o comunque in qualche modo irrispettoso, quindi, congedatosi anche da Takeru, si avvicinò ai tre amici, che fra tutti erano sicuramente quelli più confusi e spaventati. Forse voleva essere amichevole, ma il suo solo aspetto, così massiccio e minaccioso, era più che sufficiente per mettere loro ancor più soggezione.

  «Mi dispiace che siate rimasti coinvolti in tutto questo.

  Venite con me. Ci sono molte cose delle quali dobbiamo parlare».

 

 

Nota dell’Autore.

Salve a tutti!

Mi scuso per i tempi madornali di aggiornamento, ma come avevo detto nel prologo prima di continuare questa storia ho voluto portarmi un po’ avanti con un’altra; da adesso in poi però gli aggiornamenti saranno più frequenti, e i capitoli, se possibile, un po’ più lunghi (devo dire che questo non mi è particolarmente piaciuto, in quanto a stesura).

Ringrazio Selly, Akita, Cleo92 e Lewsky per le loro recensioni

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 3
*** Il Grande Torneo ***


2

2

 

 

Il gigantesco sacerdote condusse i quattro amici e Toshio, quest’ultimo ancora claudicante, in una piccola chiesa non molto distante dal luogo in cui era avvenuto il combattimento, quindi, avendoli fatti accomodare nel salottino della canonica, servì a Keita, Shinji e Nadeshiko, seduti tutti insieme su di un divanetto, una tazza di tè.

  Takeru stava in piedi accanto ad una finestra poco distante, Toshio invece rimaneva seduto su una delle sedie della cucina, separata dal salottino solamente da un piccolo arco.

  «Prego, servitevi pure.» disse il religioso sedendosi alla sua poltrona dopo aver preso in mano il pregario che vi era appoggiato sopra «Non è di prima qualità, ma è il meglio che posso permettervi.»

  «Si figuri, non c’è problema.» rispose Keita, che poi ne sorseggiò un goccio «È davvero buonissimo.»

  «Mi fa piacere.» rispose il prete con un sorriso gentile, che stranamente non sembrava stonare più di tanto su quel suo volto da mercenario «Purtroppo non ricevo molte visite.»

  «Aveva detto di avere molte cose da dirci.» intervenne Shinji «Potrebbe spiegarci che cosa sta succedendo?».

  A quella domanda il religioso si incupì, e dopo aver guardato per un attimo di sottecchi i quattro ragazzi ripose la sua tazza sul piattino appoggiato sul tavolo.

  «Avete ragione. Dopotutto, avete il diritto di sapere.

  Prima di cominciare però, vorrei farvela io una domanda. Posso sapere i vostri nomi?»

  «Io mi chiamo Nadeshiko. Questi sono i miei migliori amici, Keita e Shinji. Lui invece è Takeru.»

  «Piacere di conoscermi. Io sono Padre Alexand Andersen; ufficialmente sono il curato di questa parrocchia, in realtà sono un giudice che sovrintende allo svolgimento del grande torneo.»

  «Il grande torneo?» ripeté Keita

  «Quello a cui avete assistito poco fa era il primo atto di una sorta di gioco. Noi lo chiamiamo Grande Torneo, altri invece gli hanno dato il nome di Millennium War.»

  «Millennium… War?» disse Nadeshiko.

  Takeru fece una strana espressione nel sentir pronunciare quel termine, aggrottando leggermente le sopracciglia; un gesto che non sfuggì né a padre Andersen né a Toshio.

  «E di che cosa si tratta esattamente?» domandò Shinji

  «Potete immaginarlo come una sorta di grande gioco, o come una competizione. Vi prendono parte sette guerrieri, il cui scopo è combattersi fra di loro fino alla proclamazione del vincitore.»

  «E quel lanciere era uno dei sette?» domandò Keita

  «Esatto. E anche il qui presente Toshio.

  Il grande torneo ha origini molto antiche. La sua istituzione risale a migliaia di anni indietro nel tempo, all’epoca in cui la razza umana conosceva il suo primo, significativo momento di sviluppo.»

  «Ma per quale motivo è stato istituito?».

  Nuovamente, lo sguardo di Padre Andersen si fece più buio della notte, ed una vena di paura sembrò trasparire da dietro i suoi occhiali.

  «Per salvare questo mondo e i suoi abitanti dallo sterminio».

  I tre ragazzi saltarono sul posto ad una simile affermazione, e se non fosse stato per l’espressione terribilmente seria del religioso e per gli incredibili eventi ai quali avevano assistito lo avrebbero preso per matto.

  «Gli eventi che hanno comportato la nascita del grande torneo risalgono agli albori della vita, quando la razza umana era ancora giovane, e gli dèi camminavano su questa Terra.

  A quel tempo il nostro mondo era il giardino celeste, il luogo dove le divinità trascorrevano nella pace e nell’abbondanza la loro esistenza.

  Un giorno, constatando i grandi progressi evolutivi della nostra specie, decisero di lasciare la Terra, e l’universo fisico in sé stesso, agli esseri umani, e alle altre creature mortali, in modo che potessero scegliere liberamente la strada da percorrere.

  Il dio Seth, signore della distruzione, si oppose fermamente a questa decisione, a radunato attorno a sé un gruppo di divinità che la pensavano come lui tentò di rovesciare la gerarchia celeste per prendere il potere.

  La sua ribellione si concluse con una tragica disfatta, e il prezzo che dovette pagare per il suo tradimento fu molto alto: egli fu relegato in una dimensione oscura al confine dell’universo, dal quale non sarebbe mai potuto fuggire; tutti coloro che lo avevano seguito, invece, vennero confinati tra le pagine di un libro, ribattezzato Libro dell’Oscurità, che venne nascosto sulla Terra.»

  «Quindi Seth è stato sconfitto.» disse Shinji

  «Purtroppo no.» rispose padre Andersen guardando in basso «A dispetto di quanto le divinità avevano immagino, all’interno della sua prigione il Dio della Distruzione aumentò a dismisura i suoi poteri, che crebbero al punto tale da infrangere la barriera che separava la sua dimensione dalla nostra, permettendogli così di tornare a minacciare questo mondo.»

  «Seth è riuscito a tornare in questo mondo!?» esclamò Nadeshiko «Ma perché gli dèi non l’hanno fermato nuovamente?»

  «Perché non potevano. Nel momento in cui hanno rinunciato al mondo fisico per lasciarlo ai mortali, le divinità sono state indissolubilmente legate ad un patto ancestrale che proibiva loro di interferire in alcun modo con gli eventi ad esso legati. Essendo stato imprigionato prima che tale rinuncia avesse luogo, Seth pensava di poter agire indisturbato nell’universo senza temere l’intervento degli dèi, e aveva ragione.

  Quello che non aveva calcolato, però, era il livello di progresso spirituale e cognitivo della nostra specie, nonché la ferrea determinazione degli esseri umani di difendere fino all’ultimo la propria sopravvivenza.

  In quell’occasione il mondo minacciò di sprofondare nell’oscurità, ma sette guerrieri, provenienti da altrettanti villaggi sparsi in tutto il mondo, invece che scappare scelsero di affrontarlo, ingaggiando con lui uno scontro mortale.»

  «E chi vinse questo scontro?» domandò Keita con ansia crescente

  «Non vi fu un vero vincitore. Malgrado non fosse mai entrato in possesso del potere che veniva dal rinunciare ai propri vincoli fisici, facendosi puro spirito, Seth rimaneva comunque un dio, e la sua forza era davvero troppo grande per poter essere contrastata da dei comuni mortali.

  Sei dei sette guerrieri caddero nel tentativo di sconfiggerlo, e quando anche il settimo stava per andare incontro allo stesso destino gli dèi decisero, finalmente, di intervenire, ma dal momento che non potevano agire in prima persona tutto quello che furono in grado di fare fu conferire all’unico guerriero rimasto una parte del loro potere, la Luce di Amon-Ra.»

  «La Luce di Amon-Ra?» ripeté Takeru, che per la prima volta dall’inizio della discussione sembrava esserne anche partecipe

  «Pur rappresentando solo una quantità infinitesimale del potere degli dèi, la Luce di Amon-Ra si rivelò capace di aumentare a dismisura le potenzialità dell’ultimo guerriero, che riuscì infine ad avere la meglio su Seth, ricacciandolo nella sua prigione.»

  «Ma chi era questo guerriero?» domandò Shinji «Conoscete il suo nome?»

  «Purtroppo no. Egli si spense subito dopo il combattimento a causa del tremendo sforzo da lui compiuto nel padroneggiare la Luce. Tutto di lui è rimasto avvolto nel mistero, incluso il villaggio dal quale proveniva.

  Il suo sacrificio, e quello degli altri sei guerrieri, salvò questo mondo dall’oblio».

  A quel punto l’espressione di Padre Andersen si fece terribilmente fosca.

  «Purtroppo però, neppure questo si rivelò sufficiente?»

  «Che intende dire?» chiese Keita

  «Seth era stato esiliato nuovamente, questo era vero, ma ormai era fin troppo chiaro che i suoi poteri erano cresciuti a tal punto che non c’era vincolo o sigillo in grado di mantenerlo imprigionato per l’eternità.

  Nella migliore delle ipotesi, il varco che collegava le nostre due dimensioni avrebbe potuto resistere per duecento anni, al termine dei quali il Dio della Distruzione si sarebbe nuovamente liberato.»

  «Volete dire che non può essere fermato!?»

  «Non in modo definitivo.

  Ogni due secoli il sigillo che lo mantiene segregato nella sua dimensione si spezza, e lui ha nuovamente la strada spianata verso il nostro mondo.

  Per questo, i sette villaggi che si erano opposti a lui decisero l’istituzione di un grande torneo da tenersi alla vigilia del suo ritorno sulla Terra che vedesse la partecipazione dei loro guerrieri più forti.

  Colui che fosse stato in grado di elevarsi su tutti gli altri avrebbe dato prova di possedere dentro di sé la forza necessaria ad ospitare e padroneggiare la Luce di Amon-Ra, che scendendo dal cielo gli avrebbe permesso di affrontare e sconfiggere Seth, rinchiudendolo nuovamente nella sua prigione per altri duecento anni.»

  «Allora è questo lo scopo del Grande Torneo.» disse Nadeshiko

  «Negli ultimi quattro millenni Seth è stato sconfitto diverse volte, ma ormai la situazione va’ precipitando.

  Ad ogni suo ritorno si presenta più forte e pericoloso di prima, e sigillarlo diventa ogni volta più difficile.

  Di certo è che la sua capacità di esercitare la sua influenza su questo mondo si è notevolmente ridimensionata nel momento in cui è stato toccato dal potere della Luce. Per questo, prima di essere imprigionato per la prima volta, aveva lasciato una parte della sua essenza in un corpo umano; con l’andare del tempo aveva compreso le grandi potenzialità degli esseri umani, e i discendenti del prescelto avrebbero costituito per lui dei corpi nei quali reincarnarsi ad ogni suo ritorno.

  Anche adesso, da qualche parte sulla Terra, vi è una persona che custodisce dentro di sé questa piccola parte del Dio, e che molto presto diverrà il suo contenitore in questo universo.»

  «E non avete idea di chi possa essere?» chiese Keita

  «No purtroppo. Questo è un segreto che Seth custodisce fin troppo bene.

  Come se non bastasse, nel corso dell’ultima competizione, si è verificato un fatto estremamente grave. Dopo aver scoperto l’ubicazione del Libro dell’Oscurità Seth lo ha trafugato, liberando gli spiriti dei suoi antichi alleati dalla prigione in cui erano stati costretti.

  In quell’occasione l’ultimo vincitore del torneo riuscì a fermarlo prima che potessero giungere in suo aiuto, ma non vi sono dubbi sul fatto che questa volta dovremo confrontarsi che con loro, che dalla loro liberazione hanno continuato a reincarnarsi in nuovi corpi nell’attesa proprio di questo torneo.»

  «Mi sembra un incubo.» disse Shinji

  «E non è ancora finita.» riprese Padre Andersen «Quando Seth è entrato in possesso del Libro si è ripreso anche un’altra cosa, una cosa che per nulla al mondo avrebbe dovuto riottenere.»

  «Ovvero?» chiese Keita

  «La sua spada.»

  «La sua spada!?» ripeté Nadeshiko

  «La spada che impugnava all’alba dei tempi, e che costituisce la fonte primaria di tutto il suo potere. Quando la sua ribellione era stata stroncata, e lui castigato con l’esilio, la spada gli fu sottratta, e nascosta sulla Terra insieme al libro.

  Dopo esserne rientrato in possesso nel corso dell’ultimo torneo la sua forza è aumentata a dismisura, e l’ultimo vincitore ha dovuto faticare molto per riuscire a sconfiggerlo.»

  «E dove si trova ora questa spada?» chiese Shinji

  «Nessuno lo sa. Di certo c’è solo che l’ha nascosta in un luogo da cui potrà recuperarla dopo il suo prossimo ritorno.»

  «Esattamente, quanto tempo manca al momento in cui Seth tornerà sulla Terra?» domandò Keita

  «Questo è impossibile da stabilire. Ma dopo ogni sua rinascita ha sempre cercato di ostacolare lo svolgimento del torneo. Di conseguenza, non appena i suoi servitori cominceranno a fare la loro comparsa, sarà la dimostrazione che è ritornato.»

  «Prima dicevate che Seth si manifesta in questo mondo reincarnandosi in un corpo umano.» disse Nadeshiko «Cosa succede al corpo quando Seth viene sconfitto?»

  «Nulla di buono. Se si trattasse solo di un’occupazione forzata non sarebbe difficile costringerlo ad abbandonarlo, ma per il fatto di portare dentro di sé una parte del suo potere fin dalla sua nascita il corpo in questione è come se fosse il suo, e pertanto la sola cosa che si possa fare è distruggerlo.»

  «Distruggerlo!?» esclamò inorridito Keita «Volete dire… ucciderlo?»

  «Esattamente.» rispose rassegnato il sacerdote.

  Tutti e tre i ragazzi restarono sconcertati ad una simile rivelazione; Nadeshiko in particolare non poteva fare a meno di provare compassione per quei poveretti che pur non avendo alcuna colpa finivano per essere uccisi solo a causa del demone che li possedeva.

  «Lo so cosa state pensando, e vi posso assicurare che a nessuno di noi piace l’idea di fare del male a persone innocenti. Del resto, lo stesso torneo è governato da una serie di regole volte ad evitare inutili spargimenti di sangue.»

  «E dunque il combattimento di prima…» disse Nadeshiko

  «È stato il primo di questo nuovo torneo. Sono trascorsi esattamente 243 anni dall’ultima Millennium War. Ringraziando gli dèi, abbiamo avuto maggior tempo per prepararci.»

  «Chi era il lanciere contro il quale Toshio stava combattendo?»

  «Il suo nome, come avrete già avuto modo di sapere, è Atarus. Appartiene al clan dei McLoan, e se come immagino ne è anche il principe ereditario discende dal leggendario William Wallace.»

  «William Wallace?!» disse Keita «Il famoso eroe scozzese?»

  «Proprio lui. Quasi tutti i villaggi che partecipano a questo torneo annoverano tra i propri abitanti figure divenute leggendarie nella storia di questo mondo.

  I lancieri di McLoan in particolare sono sempre stati fra i combattenti più ostici e pericolosi dell’intera competizione. Guerrieri forti, addestrati alla perfezione.»

  «Mi scusi se lo dico.» intervenne Shinji con un tono più serio del solito «Ma il suo modo di fare non richiamava affatto quello del paladino della giustizia destinato a proteggere il mondo che dovrebbe essere.»

  «Sfortunatamente, esiste anche quel tipo di eletti. La maggior parte dei partecipanti al torneo considera questa una missione sacra, da compiersi nel rispetto dei valori che da sempre hanno guidato i rispettivi popoli; ma c’è anche chi, come Atarus, vede nel grande torneo nulla più che uno strumento attraverso il quale dare prova della propria forza; per gente come lui combattere Seth non è un dovere, ma un’ostentazione di forza. Inoltre, la Luce di Amon-Ra lascia a chi ne ha fatto uso un residuo del proprio potere magico, un potere immenso e quasi irraggiungibile per un essere umano, anche con anni di allenamento.

  Nel corso dei secoli è capitato altre volte che alcuni partecipanti abbiano finito per sfruttare ciò che restava della Luce per fini personali, e le conseguenza di tale comportamento non sono mai state felici.

  Per questo non si può permettere a gente come Atarus di vincere il torneo; anche se sconfiggesse Seth, poi sarebbe lui stesso a rappresentare una minaccia per il nostro mondo.»

  «Avete parlato di un regolamento.» disse Keita «Di preciso, in che cosa consiste?»

  «È piuttosto difficile da spiegare nella sua interezza, perciò cercherò di spiegarvi solo l’essenziale.

  I combattimenti del torneo sono vincolati da una serie di regole e limitazioni volte a favorire combattimenti onesti, con rischi minimi per la popolazione civile.

  Il teatro di scontro è l’Europa, dalle coste del Portogallo al Mar Nero, e dalla Sicilia alla Finlandia.

  I partecipanti hanno l’obbligo di spostarsi da un luogo all’altro in continuazione, e non possono sostare in un'unica zona per più di una settimana; questo espediente è stato adottato per rendere difficile ai servitori di Seth, qualora dovessero comparire, ostacolare il torneo, e anche per evitare danni pesanti ad una singola località.

  Nel caso i combattimenti si svolgano in zone densamente popolate, come ad esempio Venezia, o qualsiasi altra grande città, essi devono essere sostenuti obbligatoriamente all’interno di uno speciale campo di gara, il Fuuzetsu.»

  «Intende forse dire quella specie di cupola che abbiamo visto comparire prima?» domandò Nadeshiko

  «Esattamente. È in grado di estrarre la zona al suo interno dallo spazio e dal tempo, cristallizzandone l’esistenza. In questo modo si evita il panico, e in ogni caso i contendenti sono obbligati ad evitare il più possibile che le persone rimaste all’interno della barriera vengano ferite o uccise.

  Il Fuuzetsu viene tracciato da chi propone il combattimento, e la sua durata è limitata alla quantità di potere magico impiegato per costruirlo. Una volta che l’incantesimo si esaurisce la sfida deve cessare immediatamente, e nel caso in cui non vi sia stato un vincitore i due avversari non possono più combattere tra di loro per le successive quarantotto ore.»

  «Ma è davvero necessario uccidere l’avversario per vincere l’incontro?»

  «A dire il vero no. Uno dei due contendenti viene considerato sconfitto nel momento in cui viene privato di tutti e tre i mezzi che gli è consentito di usare: la sua arma, la magia, e il famiglio.»

  «Il famiglio!?» ripeté Keita

  «Sono creature magiche, create partendo il più delle volte da una base animale. Sono soggette alla volontà del loro padrone, dal quale assorbono contemporaneamente il potere magico necessario alla propria sopravvivenza.

  Ovviamente, uccidere il proprio rivale è il metodo più veloce per aggiudicarsi l’incontro, e visto che il regolamento non lo vieta alcuni, come Atarus, tendono a preferire questa alternativa.»

  «Quando abbiamo incontrato Atarus» disse Nadeshiko «Lui ha parlato dei circoli magici. Ma cosa sono esattamente?»

  «I circoli magici sono lo strumento attraverso il quale è possibile utilizzare la magia.

  Sono una specie di codice genetico del potere magico; ogni essere umano ne possiede uno fin dalla nascita, e ognuno ha in sé qualcosa di unico. Il disegno che essi raffigurano è come la mappa del DNA; più il disegno è complesso, più sviluppata ed efficace è la magia del suo padrone.

  La maggior parte delle persone possiede dei circoli piccoli e poco sviluppati, anche se è possibile aumentarne la potenza con l’allenamento e la meditazione, ma vi sono dei casi particolari di esseri umani che vengono al mondo con un circolo magico molto già di per sé molto sviluppato, e questo sembra essere il vostro caso.»

  «È per questo che il Fuuzetsu non ha avuto effetto su di noi?» domandò Shinji

  «Proprio per questo. Il potere magico ha funzionato come una barriera proteggendovi dall’incantesimo. Devo dire che sono rimasto colpito nel vedere così tante eccezioni in una volta sola.

  Si direbbe quasi un segno del destino.»

  «Ma com’è possibile che nessuno di noi, pur possedendo circoli magici così potenti, se ne sia mai accorto?» chiese Keita

  «Perché con questi circoli voi ci siete nati. Essi erano presenti in voi ben prima della nascita, ma la vostra mente, forse nell’inconscio tentativo di difendere stessa da qualcosa che non sapeva gestire, ne ha limitato il potenziale, impedendovi sia di percepirlo sia di sfruttarlo volontariamente.»

  «Ma se noi imparassimo a padroneggiare la nostra magia i circoli diventerebbero inoffensivi, giusto?»

  «Beh, teoricamente sì. Sarà necessario un lungo addestramento, ma purtroppo, in questo momento, c’è un problema ben più grande del quale dovete tenere conto».

  Il tono serio e preoccupato con cui Padre Andersen aveva formulato quell’ultima frase lasciava intendere ai quattro ragazzi che definire quel problema grande voleva dire sminuirlo.

  «Di… di che si tratta?» domandò Keita

  «Il regolamento non specifica il comportamento da tenere nei confronti di persone come voi, dotate di una magia tale da eludere i meccanismi posti a difesa delle persone innocenti; al contrario purtroppo, dice testualmente che chiunque si muova all’interno del Fuuzetsu, ad eccezione dei giudici chiamati a verificare il corretto svolgimento dei combattimenti, è direttamente coinvolto nel torneo. Questo, di conseguenza, vi esonera dai diritti riservati ai civili, e legittima Atarus, come qualsiasi altro partecipante, ad aggredirvi, se lo ritiene opportuno».

  Keita, Shinji e Nadeshiko sentirono un brivido corrergli lungo la schiena, e capirono finalmente il perché di uno sguardo tanto truce da parte di Padre Andersen; la loro vita, da quel momento in avanti, sarebbe stata costantemente in pericolo.

  «Quando una persona muore» disse il sacerdote «Solitamente la sua magia scompare insieme alla sua anima; i partecipanti al torneo però, tra i quali Atarus, sanno come assorbire il cerchio magico della vittima e farlo proprio assieme a tutta la sua magia».

  Era chiaro, dunque, che Atarus non si sarebbe dato pace fino a quando non fosse riuscito a fare propri quei circoli magici che gli stavano tanto a cuore.

  I tre ragazzi si sentivano confusi e spaventati: per quale dannatissimo motivo la loro spensierata vacanza doveva aver preso una simile piega?

  Ma, più importante ancora, cosa fare adesso? Sicuramente Atarus li teneva ancora d’occhio, di conseguenza cercare di raggiungere l’aeroporto per tornare a casa equivaleva a suicidarsi.

  Toshio, che per tutto quel tempo non aveva dato alcun segno della sua presenza, rimanendo immobile come una statua, si alzò d’improvviso dalla sua sedia, dirigendosi a passo veloce verso l’uscita.

  I tre amici gli andarono dietro, raggiungendolo subito fuori del portone della chiesa.

  «Se volete sopravvivere non uscite mai da questa chiesa.»

  «Per quale motivo?» domandò Shinji.

  Lui allora si fermò, voltandosi verso di loro.

  «Le residenze dei giudici sono luogo off-limits. Nessuno può essere attaccato al loro interno, e Atarus lo sa. Tra cinque giorni sia io che lui saremo obbligati ad andarcene, e voi potrete ripartire.»

  «Ma…» disse Nadeshiko «Ma noi…»

  «Questo non è un gioco.» rispose secco Toshio guardandoli molto seriamente «Qui si rischia la vita, come avete già avuto modo di vedere. Atarus potrebbe non essere l’unico determinato a vincere il torneo a qualsiasi prezzo, e se così dovesse essere né voi né io potremmo sperare in un nuovo colpo di fortuna. Addio».

  Detto questo il ragazzo se ne andò come se ne era andato Atarus, spiccando un salto enorme che lo condusse fin sul tetto della casa davanti a lui per poi scomparire dietro di essa.

 

 

Nota dell’Autore

Premetto subito che non sono per niente soddisfatto di questo capitolo.

Il motivo non è tanto il contenuto, quanto piuttosto la lunghezza in sé; mi ero ripromesso, incominciando questa storia, che avrei scritto capitoli molto lunghi, in modo da ridurne al minimo il numero, rimanendo entro i 26 capitoli, dal momento che 26 è anche il numero di episodi di cui si compone mediamente un anime.

A parte questo, spero di aver fugato i dubbi che qualcuno aveva manifestato, e prometto solennemente che già dal prossimo capitolo cercherò di dilungarmi un po’ di più, nel rispetto del limite che mi sono proposto di rispettare.

Ringrazio come sempre Selly, Akita, Cleo92 e Levski per le loro recensioni

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 4
*** Eredità Infernale ***


3

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La residenza estiva della famiglia Von Karma sorgeva fra le montagne della Baviera; un castello antico, di bellezza straordinaria, dalle mura bianche che risplendevano al sole, arroccato sulla cima di una collinetta che dominava la foresta circostante.

  Separato da tutto e da tutti, per secoli aveva costituito il rifugio ideale per i grandi capi della famiglia, che stanchi talvolta dell’uggiosa Monaco, dove da sempre risiedeva il fulcro del loro potere politico, sociale ed economico, vi si ritiravano per concedersi lunghi riposi, lontani dai doveri e dalle responsabilità che venivano dall’essere i depositari di un potere che abbracciava tutta l’Europa, dalla Russia alla Spagna, dalle coste dell’Africa ai fiordi della Norvegia.

  I Von Karma erano una famiglia antichissima e nobilissima; la loro presenza, così come la loro grandezza, era citata in carte imperiali e documenti papali risalenti a prima dell’anno 1000. Secondo un documento gelosamente conservato nella biblioteca di famiglia, la zona in cui sorgeva il castello era stata donata alla famiglia Von Karma dall’Imperatore Federico I di Svevia nel 1160 come ricompensa per il supporto fornito alle truppe imperiali durante le Campagne d’Italia.

  Nessuna stirpe era riuscita a mantenere integro e florido il proprio potere così a lungo come i Von Karma, e le voci secondo cui tale potere venisse da vincoli e legami con entità occulte non si erano mai spente: se nel medioevo e durante buona parte del periodo imperiale si vociferava che i Von Karma dovessero la propria grandezza ad un accordo col Maligno, in epoca moderna c’era chi sosteneva che la famiglia manovrasse da dietro le quinte tutti i maggiori stati europei, come la Germania, la Francia, l’Inghilterra e l’Italia.

  Senza dubbio il loro potere nel vecchio continente rasentava il dominio assoluto, ma era altrettanto vero che mai una volta avevano dato motivo di sospettare della limpidezza del loro operato; in particolare l’ultimo capo della famiglia, tale Manfred Von Karma, si era sempre battuto per un’attività onesta, alla luce del sole, senza agganci poco chiari e connubi con elementi disdicevoli, questo fino a quando un misterioso tumore al cuore non lo aveva condotto ad una morte prematura.

  Effettivamente, i capi della famiglia Von Karma non erano mai stati molto longevi; nessuno di loro infatti non era mai arrivato oltre i sessant’anni, e da che il progresso scientifico aveva permesso di effettuare delle diagnosi precise si era scoperto che gli ultimi cinque uomini ad aver ereditato la guida della dinastia erano stati uccisi tutti dallo stesso male: tumore cardiaco.

  Qualcuno la chiamava la “Maledizione dei Von Karma”, e fino a quel momento nessuno era stato in grado di stabilire quale fosse l’origine di un fenomeno tanto singolare.

  Secondo alcuni l’origine della cattiva stella che affliggeva la famiglia da generazioni era da ricercarsi proprio in quel castello, un luogo a cui nessuno che non fosse un parente strettissimo o un membro della servitù aveva il permesso di accedere.

  Di forma massiccia ma slanciata, con otto torri, sei quadrangolari e due cilindriche, queste ultime sormontate da tetti conici di colore blu scuro, sui quali la neve che cadeva abbondante in inverno difficilmente si posava, era disabitato per buona parte dell’anno, ma tra gli abitanti del luogo circolava la voce che di notte si potessero vedere luci che si accendevano e si spegnevano in circolazione, e chi era passato poco distante, soprattutto cacciatori, raccontava di aver sentito rumori agghiaccianti, degni della peggiore delle case stregate.

  Dopo la morte del Barone Manfred Von Karma, avvenuta due anni prima, le visite al castello da parte degli altri membri della famiglia si erano fatte molto più brevi e saltuarie. La moglie del barone, di origine giapponese, era morta anni prima, subito dopo aver dato alla luce il suo secondo figlio, Johan, che per qualche motivo rimasto ignoto era stato allontanato dalla Germania subito dopo aver compiuto il suo nono anno di età e trasferito nella patria natale della madre.

  Per molti anni il solo membro dei Von Karma a risiedere nel castello nel periodo estivo era stata la figlia primogenita della famiglia, Franziska; essendo stata la famiglia Von Karma da sempre di istituzione patriarcale, pur essendo la primogenita Franziska non avrebbe mai potuto ereditare le redini della società, un privilegio questo destinato a Johan, ma questo non le impediva di essere eccezionalmente premurosa e bendisposta nei confronti di quel suo fratellino così introverso e misterioso.

  Forse a causa dell’atteggiamento freddo e distaccato che il padre aveva sempre tenuto nei suoi confronti, Johan aveva sviluppato una certa tendenza all’introversione, ed erano pochi coloro che erano stati in grado di provocare una piccola breccia in quel suo cuore glaciale, avvezzo all’apparenza a qualsiasi tipo di emozione.

  Franziska era forse l’unica persona con cui Johan si comportava, per così dire, normalmente, come un qualsiasi adolescente; lei era la sorella maggiore sempre pronta ad ascoltarlo e a dargli conforto, per quanto fugaci e brevi fossero stati i momenti che avevano trascorso insieme.

  Erano ormai nove anni che Johan viveva stabilmente in Giappone, dal quale era rientrato per non più di qualche mese ogni anno.

  L’ultima volta che Franziska, ora diciottenne, lo aveva incontrato, era stato per l’ultimo addio al loro padre, spentosi proprio in quel castello; Manfred per la verità aveva tenuto un atteggiamento alquanto freddo nei confronti del figlio, che tra le altre cose non era neppure stato mandato a chiamare, ma che al contrario era voluto tornare spontaneamente, e nessuno aveva mai capito la ragione di un tale comportamento verso un ragazzo che, in quanto a maturità e intelligenza, sarebbe stato il vanto di qualunque genitore.

  Come se non bastasse, poco prima di spirare il barone aveva proibito tassativamente a Johan di rimettere piede nel castello per i prossimi dieci anni; Franziska però non poteva stare lontana da lui per tutto quel tempo, e quindi, in aperta violazione del decreto, aveva invitato il fratello a passare le vacanze estive assieme a lei al castello.

  Era la mattina del dieci agosto.

  Affacciatosi da una delle grandi finestre del salone dei ricevimenti, il vecchio Wei Wang, maggiordomo di fiducia della famiglia Von Karma, poté scorgere in lontananza una macchina che saliva lentamente lungo lo stretto sentiero sterrato che dal villaggio più vicino conduceva direttamente al castello.

  La famiglia di Wang serviva i Von Karma da quasi due secoli, e per molti anni Wei era stato il confidente del barone, che oltre ad affidargli la cura dei suoi due figli gli aveva rivelato alcuni dei segreti più reconditi e meglio custoditi della famiglia.

  Di origini cinesi, ma cresciuto per anni fra la nobiltà inglese di Hong Kong, aveva da poco superato i sessant’anni, e dimostrava il selfcontrol e il carattere di un vero gentleman. Amava vestirsi all’occidentale, con calzoni marrone scuro, camicia bianca, papillon, un gilè verde pino senza maniche e un curioso paio di lenti rotonde da vista collegate al taschino del gilè da una catenina d’argento.

  La sua espressione era perennemente allegra, che metteva buonumore, ma il suo contegno e la sua gentilezza erano a dir poco disarmanti.

  A quel viso gentile, segnato da qualche ruga, come era naturale per un uomo di più di sessant’anni, facevano da contorno una capigliatura di un color grigio scuro, grosse sopracciglia ed un paio di baffi abbastanza folti dello stesso colore.

  Non appena riconobbe nel veicolo che si stava avvicinando la sfarzosa limousine nera dei Von Karma di ritorno dall’aeroporto di Monaco il maggiordomo lasciò velocemente la sala, incamminandosi nei lussureggianti corridoi ricolmi di affreschi e quadri straordinari con una cert’ansia in corpo.

  Nello stesso momento, in uno dei tanti salottini del castello, Franziska Von Karma faceva trascorrere le ore leggendo uno degli innumerevoli libri della grande biblioteca di famiglia, un’attività per la quale provava un piacere e una passione sconfinate, sorseggiando di tanto in tanto una tazza di tè.

  Era una ragazza davvero molto bella, con capelli di un colore verde acqua e occhi dello stesso colore; fiera delle proprie origini, e orgogliosa di fare parte dell’illustre dinastia dei Von Karma, amava vestirsi con gli indumenti femminili tipici della Baviera, e il vestito che stava indossando in quel momento, un completo nero sopra ad un camiciotto bianco dalle spalle grosse sormontato da un fiocco sempre bianco, era certamente uno dei suoi preferiti.

  Il fiocco al collo era chiuso da un grande monile d’oro massiccio di forma triangolare all’interno del quale era incastonato uno stupendo smeraldo, eredità della famiglia Von Karma da tempi immemorabili.

  Qualcuno diceva che sembrava la copia identica di una sua illustre antenata, Klarisse, vissuta nella seconda metà del ‘700, che casualmente era stata a sua volta la sorella maggiore dell’allora capo della famiglia, Klaus Von Karma.

  Il suo leggere fu interrotto da Wei nel momento in cui questi si fece annunciare col suo inconfondibile bussare alla porta.

  «Avanti.»

  «Mi scusi, signorina. Il signorino Johan è arrivato.»

  «Davvero!?» esclamò lei balzando in piedi e lasciando cadere il libro «Dov’è?»

  «La limousine ha appena imboccato l’ultimo tratto del sentiero. Sarà qui fra qualche minuto.»

  «Sbrighiamoci ad andare allora! Non vedo l’ora di riabbracciarlo!».

  Come predetto da Wei, cinque minuti dopo la sfarzosa automobile nera si fermò proprio davanti all’ingresso del castello, davanti al quale già stavano Franziska e il maggiordomo.

  L’autista scese, girò tutto intorno quindi aprì la portiera, e il giovane Johan si palesò in un attimo dinnanzi a loro; non appena lo vide, Franziska corse a buttargli immediatamente le braccia al collo.

  «Johan, come sono felice di rivederti!»

  «Ciao, sorellina.» rispose lui con un tono molto malinconico, che mai nessuno gli avrebbe attribuito.

  Dopo un lungo abbraccio si avvicinò a loro Wei.

  «Bentornato a casa, signorino.» disse facendo la riverenza

  «Ti ringrazio, Wei».

 

Il resto della giornata trascorse velocemente.

  Per Johan era stata una grande emozione rivedere la sua vecchia camera, nella quale non entrava dai tempi della morte del padre, e dopo essersi liberato degli abiti da viaggio, dietro invito pressante di Franziska, i due fratelli erano usciti insieme per una passeggiata a cavallo, dalla quale erano rientrati solo sul far della sera.

  Alle otto e trenta precise, come imponeva il rigido protocollo di famiglia, entrambi raggiunsero la sala da pranzo per la loro prima cena insieme dopo due lunghi anni trascorsi lontano l’uno dall’altra.

  La stanza, di forma rettangolare, era provvista di un tavolo lungo e stretto, al quale potevano trovare posto almeno una ventina di persone, e un grande camino in pietra del diciottesimo secolo, due statue neoclassiche di eroi antichi a fare da colonne portanti.

  Lungo la parete interna, a destra e a sinistra del camino, capeggiavano i ritratti di quasi tutti i precedenti baroni Von Karma, tutti accomunati da un curioso particolare: i capelli bianchi. Malgrado alcuni di essi non dovessero avere più di venti o trent’anni, presentavano comunque una chioma color bianco sporco, tendente quasi all’argento, che i vari artisti avevano saputo rendere alla perfezione in tutta la sua lucentezza.

  Johan non era stato da meno, ma nel suo caso il colore dell’argento risplendeva di viva luce, capace quasi di ipnotizzare chiunque vi posasse gli occhi sopra.

  Il posto al centro, proprio sopra al camino, era riservato all’attuale capo della famiglia, e dal momento che tale ruolo poteva essere ereditato da Johan solo al compimento del suo diciottesimo anno di età, a dominare su tutto e su tutti c’era ancora il ritratto di suo padre, Manfred Von Karma.

  Raffigurato dalla cintola in su, in posizione leggermente di tre-quarti, indossava abiti di foggia quasi ottocentesca, una giacca blu oltremare dai risvolti bianchi ricamati d’oro e dal collo nero piuttosto pronunciato, un gilè nero con bottoni dorati con un collo di camicia che sporgeva da sotto di esso e una fascia affusolata di seta bianca a fare da cravattino.

  Il quadro risaliva alla nascita di Johan, e quel volto serio, quasi minaccioso, era proprio quello che il ragazzo ricordava di aver guardato col terrore in corpo fin da bambino; gli occhi erano piuttosto grandi, il naso sottile e ben proporzionato, le labbra piuttosto lunghe, piegate in un’espressione enigmatica, come di ammonimento. I capelli, naturalmente argentei, erano lunghi, ma pettinati all’indietro, lasciando scoperta una fronte alta e spaziosa che contribuiva a dare a Manfred Von Karma l’aspetto tipico del severo capofamiglia.

  Johan, durante la cena, cercava di guardare quel ritratto il meno possibile, perché ogni volta che vi posava gli occhi sopra un brivido freddo gli saliva lungo la schiena, accompagnato da una sensazione di soggezione che decisamente non gli piaceva.

  La cena di quella sera si componeva di tutti quei piatti che il ragazzo da piccolo adorava tanto; temendo che il ritorno a casa del fratello dopo tanto tempo portasse con sé tristi ricordi, Franziska aveva ordinato al cuoco, unico membro della servitù a parte Wei a risiedere in quel momento nel castello, di dare il meglio di sé preparando le pietanze che il ragazzo aveva sempre insistito per assaggiare ad ogni suo ritorno dal Giappone.

  Per quello che ricordava Franziska Johan non sapeva resistere ai weisswurst e all’haxen con le patate, ma tanto i wurstel quanto il cosciotto di maiale seguitavano a rimanere nel piatto, sfiorati solo di tanto in tanto dalla forchetta e mangiati ancor più raramente.

  Franziska era sempre più preoccupata, e si domandava come mai il suo adorato fratellino, che di solito riacquistava un po’ di vitalità durante i suoi periodi di vacanza, si comportasse in modo tanto strano; anche la cavalcata nel bosco non era andata bene, e Johan se ne era rimasto in silenzio per tutto il tempo, rischiando anche di cadere quando il suo cavallo, spaventato dallo sbucare improvviso di un coniglio da un cespuglio, aveva sobbalzato leggermente.

  «Johan, che ti prende?» domandò ad un certo punto «Non ti piace?»

  «Cosa!?» rispose lui come risvegliandosi da un sogno «No, è che non ho molta fame.

  La cucina giapponese è così leggera e dietetica. Non sono più abituato al cibo tedesco.»

  «In effetti hai ragione.» disse sorridendo Franziska «Forse non è molto salutare ingurgitare in un sol colpo tutti questi grassi».

  Finalmente, sul viso di Johan sembrò comparire un leggero sorriso, e la ragazza cercò di sfruttare l’occasione.

  «La mamma lo diceva sempre, quando ti abitui a mangiare giapponese tutto il resto risulta indigesto.»

  «Già, hai ragione.»

  «Se non ti va’, lascialo pure lì. A Uther di sicuro non farà dispiacere».

  Non appena Franziska pronunciò il nome Uther uno splendido pastore tedesco entrò scodinzolando nella sala, correndo subito a fare le feste a Johan.

  Quel cane era stato il regalo di uno zio per il decimo compleanno di Johan, ed era affezionato al giovane Von Karma più che a chiunque altro.

  «Uther. Smettila, dai.»

  «Anche lui è felice di rivederti, a quanto pare.

  Perché non lo porti con te quando ripartirai?»

  «Portarlo con me!? Intendi… in Giappone?»

  «A settembre io dovrò cominciare l’università, e tu sai meglio di me che a Uther non piace stare lontano da uno di noi due. Anche Wei è pronto a venire con te.»

  «Dici… dici sul serio!?»

  «Avevi detto di sentirti solo a Uminari. Wei non sarà il massimo della vitalità, ma se non altro ti farà compagnia».

  Johan guardò la sorella coi suoi occhi innocenti, uno sguardo che Franziska aveva ormai dimenticato.

  «Grazie… sorellina».

 

A cena finita, Johan si ritirò come al solito nelle proprie stanze, e obbedendo alla sua proverbiale disciplina si mise immediatamente a svolgere le lezioni assegnate per le vacanze.

  Fin da quando era piccolo aveva dimostrato di possedere un’intelligenza fuori dal comune, una cosa di cui il barone non perdeva mai occasione per vantarsi, presentandolo pubblicamente come il più straordinario esempio di precisione e disciplina che i Von Karma avessero mai potuto desiderare, salvo poi trattarlo in privato con il solito atteggiamento freddo e acido, come se quel bambino non fosse mai stato veramente suo figlio.

  In un paio di occasioni Johan era arrivato a pensare che il comportamento del padre nei suoi confronti derivasse proprio dal fatto di non essere veramente suo figlio, cosa che, teoricamente, legittimava il suo modo di fare così arcigno, quando invece con Franziska si era sempre dimostrato gentile e premuroso.

  Una volta, quando aveva otto anni, la nonna materna, una vecchia di oltre ottant’anni altezzosa e malevola che da sempre gli metteva in corpo una paura tremenda, durante un ricevimento a cui partecipavano tutti i membri della famiglia, lo aveva definito pubblicamente un “bastardo”, un reietto, una maledizione che non sarebbe mai dovuta esistere, e tutti a quel punto lo avevano guardato in modo severo e giudicatore, come a volerle dare ragione, gettandolo in uno stato di depressione che impiegò molti mesi a svanire, lasciandogli però un senso di emarginazione che, era certo, lo avrebbe perseguitato per tutta la vita.

  La sola persona a rimanergli vicino, nonostante tutto, era sua sorella Franziska, che in occasioni come quella arrivava, con le sue parole dolci e il suo istinto protettivo, a fare quasi le veci della madre, della quale probabilmente Johan avrebbe avuto un gran bisogno in situazioni come quella.

  Franziska difendeva Johan da tutto e da tutti, anche dalla sua stessa famiglia, e a nulla erano valsi i tentativi, da parte della medesima nonna, di allontanarli, adducendo al pretesto che se lei gli fosse rimasta vicino sarebbe potuta andare incontro ad un orribile destino. Col tempo era apparso chiaro che le intenzioni di quella vecchia malefica erano di isolare il ragazzo dal resto del mondo, e dentro di sé Franziska si sentiva rassicurata dal fatto che una simile serpe fosse diventata cibo per vermi.

  Le circostanze in cui era morta la nonna, però, erano state alquanto macabre, e il fatto era accaduto proprio all’interno di quel castello. Una mattina i servitori, non vedendo la signora scendere per la colazione, e memori della sua leggendaria puntualità, erano andati a cercarla nelle sue stanze, ma aperta la porta si erano trovati davanti ad uno spettacolo agghiacciante: la poveretta era riversa a terra sulla schiena in un lago di sangue con gli occhi fuori dalle orbite, la veste da notte ridotta a brandelli e il corpo coperto di spaventose ferite che parevano segni di graffi e di morsi; poco distante da lei, sotto ad una poltrona, venne ritrovato un pugnale, a sua volta coperto di sangue, che la donna aveva usato forse in un disperato tentativo di difendersi.

  Subito si pensò che il responsabile fosse Uther, al quale la vecchia non era mai andata a genio, ma l’idea venne immediatamente scartata per due motivi: il primo era che il cane non aveva mai lasciato la stanza di Franziska, come testimoniarono sia la ragazza sia i servitori che la mattina erano andati a svegliarla; il secondo, molto più importante, era che la porta della camera della donna era chiusa dall’interno, ed era stato necessario un passepartout per poter entrare.

  Il fatto aveva gettato un’angoscia opprimente sia sui membri della famiglia che tra i membri della servitù, e da quel giorno il castello divenne quasi un luogo maledetto, al quale nessuno, neppure la servitù, si avvicinava, se non durante i famosi periodi di vacanza.

  Una volta al mese veniva eseguita una pulizia sommaria, giusto per tenerlo in ordine, e il giardino della corte interna veniva curato, il tutto sotto la supervisione di Wei, ma i servitori che si occupavano dei lavori, durante i tre giorni necessari per sbrigare tutto, non dormivano nel castello, ma in un albergo del vicino villaggio.

  Le circostanze della morte di Igraine Von Karma non furono, ovviamente, mai rese pubbliche; la versione ufficiale parlò di un attacco di cuore, e la vicenda cadde velocemente nel dimenticatoio, ma lo spettro di quella vecchia non smise mai di aleggiare fra le sale del castello.

  Fu proprio dopo quel fatto che Manfred Von Karma allontanò il figlio Johan dalla Germania, spedendolo nella città natale della moglie assieme ad un paio di servitori che si sarebbero dovuti occupare del suo mantenimento.

  Il ragazzo, sentendosi sempre più messo in disparte, privato dell’affetto di coloro che avrebbero dovuto stargli più vicino, e tormentato costantemente dalle parole terribili della nonna, aveva deciso, per dar prova delle proprie qualità, di impegnarsi anima e corpo nello studio, e sotto questo frangente il rigore e la severità della scuola giapponese contribuirono a mettere ancor più in luce la straordinarietà del suo cervello.

  A dieci anni Johan aveva sviluppato il suo primo software per computer, a dodici aveva risolto alcuni dei più famosi teoremi rimasti a lungo senza una soluzione, a quindici aveva dimostrato scientificamente la veridicità della teoria dello spaziotempo, e a diciassette aveva sviluppato il software che proteggeva da qualsiasi tentativo di invasione alcuni dei server più sicuri e importanti del mondo.

  Eppure, anche questo non sembrava sufficiente; qualsiasi cosa facesse, qualsiasi traguardo raggiungesse, il muro di diffidenza eretto da tutti i suoi parenti attorno a lui non sembrava determinato a cadere, e più il tempo passava più Johan credeva che le cose non sarebbero mai potute cambiare.

  A dire la verità, e pensandoci seriamente, ciò che gli premeva davvero era essere accettato; sentirsi parte del casato dei Von Karma, e divenirne un giorno la guida, non gli era mai importato molto. Al contrario, di tanto in tanto arrivava a detestare il cognome che pesava come un macigno sulla sua testa, questo perché, malgrado la sbandierata onestà e trasparenza, la famiglia Von Karma nuotava in un passato fatto di intrighi, complotti e barbarie.

  Ciò che maggiormente lo disgustava era l’atteggiamento tenuto da suo nonno, tale Victor Von Karma, che durante gli anni del nazionalsocialismo era stato un fervente sostenitore dell’ideologia nazista, appoggiato, e in taluni casi sostenendo personalmente, la campagna per l’egemonia della razza ariana.

  Il barone Victor era stato un membro attivo del partito fin da quando, nel ’33, Hitler aveva preso il potere, ma era stato anche un alto ufficiale della Wermacht, e aveva le mani sporche del sangue di migliaia di innocenti.

  La grande importanza della famiglia Von Karma a livello mondiale, ciò che essa avrebbe potuto significare per la ripresa dell’Europa dopo la fine della guerra e le sue molte amicizie fra i vincitori avevano permesso al barone di uscire dal conflitto praticamente immacolato, e tutti i crimini dei quali si era macchiato nel corso di quegli anni vennero rapidamente dimenticati, o addossati ad altri.

  Johan detestava profondamente alcuni aspetti degli esseri umani, soprattutto questa loro insana passione per la guerra, la distruzione, la morte. Il suo più grande sogno era di portare ordine nel mondo, e questo era forse l’unico motivo per il quale sentiva di voler diventare, malgrado tutto, il nuovo capostipite della famiglia Von Karma.

  Un Von Karma è destinato ad essere perfetto.

  Questo era il motto di famiglia, il dogma che nessun membro era tenuto a violare, pena il disconoscimento e l’allontanamento.

  Tutto ciò che un Von Karma faceva doveva essere sempre e comunque finalizzato a raggiungere la perfezione; e quale miglior perfezione, si diceva Johan, di un mondo dove non vi fosse più la malvagità?

  Un giorno, ne era certo, avrebbe portato un nuovo ordine, avrebbe creato le basi per la nascita di un mondo migliore, e così facendo avrebbe lavato via, una volta per tutte, le numerose macchie che adombravano la storia del suo casato.

  Erano da poco passate le undici, e Johan stava svolgendo alcuni esercizi di trigonometria alla luce di una lampada da lavoro appoggiata sulla sua scrivania, quando qualcuno bussò alla porta della stanza.

  «Avanti.» disse lui senza staccare gli occhi dal suo lavoro.

  L’uscio si aprì lentamente, cigolando per l’età avanzata, e il vecchio Wei entrò nella stanza con in mano un vassoio rotondo sul quale erano appoggiate una tazza e una teiera, entrambe di finissima ceramica bianca, più un piattino contenente alcuni spicchi di limone e una piccola caraffa d’argento piena di latte.

  «Scusi per l’interruzione, signorino. Le ho portato il suo tè.»

  «Ti ringrazio Wei. Versamene un po’, per favore.»

  «Come desidera».

  Il maggiordomo mise il vassoio sul tavolino circolare al centro della camera e riempì la tazza con una buona dose di ottimo tè inglese di prima qualità.

  «Latte o limone, signorino?»

  «Limone, grazie».

  Wei ubbidì, quindi, ultimati i preparativi, poggiò sulla scrivania la tazza di tè con accanto uno spicchio di limone, quest’ultimo già all’interno della pinzetta col quale poteva essere strizzato senza per questo sporcarsi le mani.

  «Ecco a Lei.»

  «Grazie. Puoi andare ora.»

  «La ringrazio».

  Il vecchio servitore fece per andarsene, ma appena cercò di muovere un passo la voce di Johan lo richiamò.

  «Wei, posso farti una domanda?».

  Il suo tono di voce era estremamente gentile, quasi sconsolato, come quello di un bambino in cerca di un po’ d’attenzione, o di qualcuno che potesse ascoltarlo.

  «Naturalmente, signorino.»

  «Dimmi, che tipo di persona era mio padre?».

  Wei restò a dir poco sorpreso da una simile domanda; che Johan parlasse di suo padre era un evento più unico che raro, soprattutto dopo che questi era morto due anni prima, e comunque se lo faceva non era certo per chiedere qualcosa sul suo conto. Johan, come era facile intuire, aveva da sempre provato una sorta di malcelato disprezzo verso la figura paterna, un atteggiamento ulteriormente accentuato dopo che questi lo aveva costretto a trasferirsi in Giappone.

  «Ho pochi ricordi legati direttamente a lui» disse senza smettere di scrivere «E non ho mai avuto modo di conoscerlo davvero. Quando gli altri parlano di lui lo descrivono come un uomo gentile, ma le memorie che ho io sono ben diverse».

  Il maggiordomo volse allora il suo sguardo verso il grande dipinto a olio affisso alla parete sopra ad una grande cassettiera, in cui erano ritratti tutti i membri della famiglia Von Karma ancora in vita all’epoca della sua realizzazione, e che aveva come sfondo i lussuosi giardini della residenza di Monaco.

  Il barone Manfred Von Karma era raffigurato seduto su di una elegante poltrona dal legno laminato in oro e foderata con una pregiata stoffa rossa, con le gambe accavallate e le mani incrociate all’altezza del torace; accanto a lui, in piedi, la nonna, Igraine, con indosso il tradizionale abito bavarese, fiera e arcigna come Johan ricordava di averla sempre vista.

  Infine, ovviamente, c’erano lo stesso Johan e sua sorella Franziska, all’epoca in cui avevano rispettivamente sette e cinque anni; lei, vestita con un completo rosato, sorrideva, protendendosi verso la poltrona, come a voler cercare l’abbraccio del padre; lui, invece, chiuso in un completo nero provvisto di guanti e frustino da cavallerizzo, rimaneva immobile ai margini del dipinto con la sua solita espressione seria, e gli occhi quasi completamente nascosti dalle lunghe frange.

  Il volto del barone era serio, ma non così minaccioso come poteva essere quello del dipinto affisso in sala da pranzo; il suo sguardo, piuttosto che verso il pittore, sembrava leggermente orientato proprio in direzione del figlio, come se lo stesse silenziosamente rimproverando.

  «Riconosco che il Signore aveva un modo di fare tutto suo; era una persona dai mille volti, ma questa è sempre stata una caratteristica dei grandi capi del casato. D’altronde, immagino occorra una cert’arte nel trasformismo per saper governare una delle più potenti famiglie di tutta Europa.»

  «Capisco.» rispose Johan con voce tremante

  «Però signorino, se posso permettermi, ho sempre nutrito in lui la massima fiducia. Anche se il suo modo di fare poteva far intendere il contrario, egli teneva molto alla sua famiglia, e soprattutto a Lei. Sono profondamente convinto che avesse delle buone ragioni per tenere con Lei un atteggiamento così poco consono a quello che ci si aspetterebbe da un genitore, e malgrado questo non basti a giustificarlo, dentro di me nutro la certezza che egli si sia comportato così al solo scopo di farle del bene, e che lui sia stato il primo a soffrirne».

  Wei non poteva vederla, ma la mano di Johan che stringeva la matita aveva preso a tremare, incapace di proseguire nella scrittura.

  «Tu… ne sei sicuro?»

  «Con tutto il cuore.» rispose il maggiordomo girandosi a guardarlo.

  Il ragazzo non rispose, ma il tremore si diffuse rapidamente a tutto il corpo; sembrava sul punto di piangere, e si mordeva le labbra.

  «Gra… grazie. Puoi… puoi andare adesso».

  Wei restò in silenzio, e senza aggiungere una parola lasciò la camera dopo aver fatto un leggero inchino.

  Mentre percorreva i meandri bui del castello diretto verso la propria stanza, per concedersi finalmente un meritato riposo, il vecchio maggiordomo si trovò a transitare per un grande corridoio che aveva tra i suoi arredi anche una grande armatura posizionata esattamente al centro della parete di destra.

  Di sicuro, quello era uno dei pezzi di maggior vanto dell’intera collezione della famiglia Von Karma.

  Nessuno era mai riuscito a comprendere di che materiale fosse fatta, uno strano metallo nero lucido e liscio a cui qualcuno attribuiva una provenienza extraterrestre, ricavato forse da un meteorite.

  Il primo a possederla era stato uno dei più antichi membri della famiglia, vissuto attorno al 1300, ma non vi era alcuna prova che documentasse il fatto che qualcuno l’avesse mai indossata.

  Non si trattava di un’armatura come le altre, e dal momento che quasi tutte le parti di cui era divisa erano staccate l’una dall’altra era necessario, perché potesse venire esposta, che fosse fatta indossare ad un fantoccio di legno.

  Vi abbondavano sinuose curve, punte acuminate e lunghe protuberanze, e si componeva di corazza, spallacci, bracciali, gambali in forma di stivale e, per finire, di un grande e voluminoso elmo, per la verità più simile ad una maschera, la cui forma rievocava la testa di un drago.

  Anche i bracciali, lunghi fino al gomito, erano molto strani, soprattutto il destro, che presentava, nella parte terminale, una grossa protuberanza molto simile, per forma, alla chela di uno scorpione, con tanto di due lunghe cesoie ricurve.

  Wei aveva sempre provato un certo senso di paura verso quell’oggetto, i cui numerosi fori sembravano brillare, durante la notte, di una sinistra luce rossa, ma non ci aveva mai fatto troppo caso.

  Stava per riprendere a camminare quando, girato casualmente lo sguardo verso uno dei grandi finestroni posti sulla parete opposta, gli capitò di vedere, nella vastità di un cielo senza nubi, una maestosa luna piena, leggermente oscurata però da uno strano disco rosso, come durante un’eclisse.

  Alla vista di quel fenomeno l’anziano servitore rimase come inebetito, e pur non lasciando trasparire, almeno in apparenza, alcuna emozione, strinse con forza i pugni.

  «È giunto il momento.» disse con misto di ansia e rassegnazione.

 

Johan era indubbiamente un ragazzo-prodigio, ma anche lui aveva i suoi limiti; pertanto, attorno a mezzanotte, era caduto senza volerlo in un sonno profondo, addormentandosi placidamente sopra il suo libro di letteratura giapponese con la luce ancora acceso.

  Era così abituato ad addormentarsi sui libri che ormai era diventata per lui quasi la quotidianità, e spesso non si risvegliava che il mattino dopo.

  Quella volta, però, riaprì gli occhi dopo solo un paio d’ore, ma non perché si fosse svegliato da sé; nel sonno, infatti, gli era parso di sentire una voce, una voce roca e profonda che sembrava chiamare il suo nome.

  Ritrovatosi nella sua camera, pensò, ovviamente, ad un brutto sogno, ma quando, vinto dalla stanchezza, fece per chiudere il libro e andarsene a letto, ecco giungere di nuovo quella voce.

  «Johan…».

  Il ragazzo stavolta balzò in piedi con il cuore in gola per lo spavento, dimenticandosi forse di tutte quelle volte in cui si era fatto beffe delle storie di fantasmi delle sue compagne di liceo, spiegandole con criteri scientifici inconfutabili.

  Tremante, con il fiato corto e gli occhi spalancati sula stanza semibuia, gli venne da ritenere che si fosse trattato solamente di un’impressione, se non che, proprio quando stava per convincere anche sé stesso, nuovamente si sentì chiamare.

  «Johan…».

  Questa volta, però, per qualche strano motivo, non provò alcuna paura; quella voce, quello strano gorgoglio simile al lamento di un vecchio, di colpo gli era parso famigliare, e per nulla spaventoso.

  Di colpo, Johan cominciò ad avvertire qualcosa, una strana sensazione mai provata fino a quel momento, accompagnato da un irrefrenabile desiderio di scoprire chi fosse a parlargli, e da dove quella voce provenisse.

  Come ipnotizzato, il ragazzo si diresse verso la porta, uscì dalla stanza e si incamminò lungo il corridoio, incurante dell’eclissi di luna, divenuta totale, che appariva oltre le finestre del corridoio.

  La voce non smetteva un istante di chiamarlo, e più lui camminava più la sentiva vicina, a dimostrazione del fatto che si stava avvicinando alla meta.

  Nel silenzio più assoluto, e in un’oscurità quasi totale, Johan percorse androni, scese scale, attraversò stanze, fino a giungere, dopo diversi minuti di peregrinare, ad una doppia porta di grandi dimensioni posta alla fine di un lunghissimo corridoio, al quinto piano del castello.

  La riconobbe subito; era la biblioteca personale del barone Von Karma, un luogo al quale l’accesso, sia a lui che a sua sorella, era stato vietato nel modo più assoluto, pena una punizione che definire tremenda era poco.

  Il freno morale che aveva sempre trattenuto Johan dallo scoprire che cosa suo padre avesse avuto da nascondere di così prezioso in quella stanza entrò in funzione nel momento in cui il ragazzo si rese conto che la voce sembrava venire proprio da lì dentro, ma il pensiero che le due cose potessero essere collegate non lo sfiorò minimamente, troppo incredibile e terrificante era quella situazione.

  Alla fine, però, la curiosità ebbe il sopravvento, e il giovane Von Karma, sfiorato uno dei due pomi dorati quel tanto che bastava per esercitare una leggera pressione, lo girò lentamente, e dopo che la serratura, per chissà quale miracolo, si fu aperta da sola, Johan entrò, chiudendosi la porta alle spalle.

  A giudicare dalla forma circolare, quella stanza doveva trovarsi all’interno della torre maestra che sorgeva a nord-ovest del castello, realizzata nel diciottesimo secolo da un suo antenato per fungere da osservatorio.

  Del diametro di almeno dodici metri, aveva un solo, grande finestrone, posto proprio di fronte alla porta, ma di scaffali ricolmi di libri o di poltrone su cui leggere neanche l’ombra.

  L’unico arredo in quella stanza completamente spoglia era una specie di altare a tronco di piramide poco più di un metro posto esattamente al centro della stanza e circondato da due statue di angeli dalle ali spiegate che guardavano nella sua direzione, puntandovi contro le proprie lance.

  Guardando quel curioso monumento Johan non riuscì a non provare di nuovo quella sensazione, e per lunghissimi minuti restò immobile a fissarlo, senza riuscire a comprendere cosa fosse e cercando di capire come mai suo padre avesse fatto di tutto per mantenerlo nascosto.

  All’improvviso, come se una bomba fosse esplosa al suo interno, la parte superiore dell’altare andò in frantumi, e una colonna di luce rosso sangue si sollevò da esso, diradandosi come il bagliore di un faro.

  Johan, istintivamente, si mise una mano davanti al volto, poi, guardando meglio, gli riuscì di scorgere qualcosa all’interno di quel bagliore; era un libro, un bel libro dalla copertina marrone dall’aria molto antica, serrato con una coppia di catene.

  Subito dopo il ragazzo avvertì una nuova voce, molto diversa da quella che aveva sentito fino a quel momento; era femminile, per non dire androgina, aveva un tono quasi robotico, e sembrava provenire quasi dal libro.

 

ENTFERNUNG SIEGEL

 

Un istante dopo le catene andarono in pezzi ed il volume si spalancò da solo, facendo scorrere una miriade di pagine piene di strani simboli simili a rune prima di fermarsi circa a metà. Passò qualche secondo, poi dal suo interno schizzarono fuori sette fasci di luce, che oltrepassata la finestra senza per questo mandarla in pezzi scomparvero rapidamente nel cielo notturno puntando in varie direzioni.

  A quel punto vi fu un bagliore fortissimo, che costrinse Johan a chiudere gli occhi, e quando il ragazzo li riaprì tutto era scomparso.

 Il libro, ora richiuso, giaceva a terra ai piedi dell’altare. Johan, confuso, lo raccolse; al centro della copertina capeggiava una croce gotica in oro massiccio, circondata da un cerchio.

  «Ma cosa…»

  «Bene arrivato, Johan.» disse, d’un tratto, quella voce.

  Il giovane Von Karma alzò gli occhi, trovandosi a tu per tu con un ammasso informe di vapore nero che aleggiava davanti a lui stando a qualche metro da terra; dapprima, spaventato, saltò istintivamente all’indietro, ma poi, sentendo provenire da quella cosa un nonsoche di famigliare, si rimise in piedi.

  «Chi… che cosa sei tu?».

  La voce, dapprima, tacque.

  «Io… sono te».

 

Immersa nella tranquillità della sua stanza, Franziska stava facendo le ore piccole leggendo il libro lasciato a metà quella mattina, comodamente seduta alla sua solita poltrona.

  Ai suoi piedi il suo fedele Uther, che sonnecchiava tranquillamente con la testa poggiata sulle zampe.

  D’improvviso però, il cane si riscosse, come se avesse avvertito un pericolo.

  «Uther, che ti prende?».

  Malgrado il richiamo della sua padrona Uther divenne sempre più nervoso, i peli della schiena gli si rizzarono e lui prese a ringhiare sempre più forte.

  Franziska non riusciva a comprendere la natura di un tale comportamento, ma poi, di colpo, anche lei venne colta da una sensazione di minaccia incombente, accompagnata da un senso di angoscia.

  Suo fratello! Suo fratello era in pericolo!

  Non sapeva spiegarsi il perché, ma aveva la netta sensazione che il suo adorato fratellino stesse correndo un pericolo mortale.

  «Johan!».

  Scattata in piedi, la ragazza corse come un fulmine fuori dalla stanza, correndo a perdifiato fra i corridoi del castello come guidata da una sorta di filo invisibile che la legava indissolubilmente a Johan. Uther la seguiva standole un passo indietro, ed era sempre più nervoso.

  Quel filo condusse Franziska nell’ultimo posto dove si sarebbe mai immaginata di dover cercare il fratello, ma nel momento in cui giunse infondo al corridoio trovò la strada tra lei e la biblioteca sbarrata nientemeno che da Wei; il vecchio maggiordomo stava in piedi davanti alla porta, fermo e immobile come una statua, e quando Franziska gli si avvicinò la ragazza poté notare subito quanto diverso fosse divenuto il suo sguardo, al punto che quasi ne ebbe paura; persino Uther gli ringhiò contro, una cosa che in sette anni non aveva mai fatto.

  «Wei, che sta succedendo? Johan è lì dentro?»

  «Il rituale è cominciato.» disse Wei con un tono che non gli era mai appartenuto «Questa notte, l’eredità dei Von Karma otterrà un nuovo custode.»

  «Che stai dicendo? Wei, fammi passare!»

  «Mi dispiace, signorina. Non posso.»

  «Che cosa!?» replicò Franziska, stupita e infuriata per una così palese insubordinazione.

  Nel frattempo, all’interno della stanza, Johan rimaneva immobile ad osservare la nuvola nera davanti a lui, con lo sconcerto più totale dipinto sul viso.

  La risposta alla domanda su cosa fosse quella massa informe di aria lo aveva lasciato attonito, e non gli riusciva di capire cosa essa volesse dire.

  «Come… come sarebbe a dire… che tu sei me?»

  «Io sono l’eredità dei Von Karma. Per secoli la mia essenza è passata di padre in figlio all’interno del tuo casato, e ora vive dentro di te.

  Io sono Seth, Dio della Distruzione, e tu sei la mia reincarnazione in questo mondo».

  Johan rimase paralizzato per lo sgomento, tanto che persino respirare gli risultò difficile.

  «Io… la tua reincarnazione!?»

  «Dall’alba della storia, quella parte del mio spirito rimasta in questo mondo ha risieduto all’interno dei capi della famiglia Von Karma. Per la maggior parte del tempo esso è rimasto inerte, ma all’incirca ogni due secoli le due parti della mia essenza hanno la possibilità di ricongiungersi, e a colui che ospita la metà di questo mondo viene fatto il grande privilegio di accogliere tutti i loro poteri all’interno del suo corpo.»

  «Tutti… i tuoi poteri!?»

  «Io ti conosco bene, Johan. So cosa alberga nella tua anima. I tuoi sentimenti, le tue emozioni. Tu vuoi cambiare questo mondo, vuoi renderlo un posto migliore.

  Io ti offro la possibilità per farlo. Per riuscirci, però, dovrai affrontare un viaggio lungo e difficile, e numerosi avversari.»

  «Di che… di che stai parlando?»

  «Non è necessario che io ti spieghi. Lascia che i ricordi e le esperienze insite nella metà del mio spirito che vive dentro di te scorrano nella tua mente, assieme al loro grande, incommensurabile potere».

  Johan improvvisamente si sentì dilaniare da un indicibile dolore, come se tutto il suo corpo fosse stato immerso nel fuoco; prese ad urlare, contorcendosi furiosamente, fino a che quella terribile sensazione non prese lentamente a scomparire, concentrandosi tutta in un solo punto.

  Il ragazzo, confuso e spaventato, quasi si strappò il bell’abito nero e la camicia bianca che indossava, mettendo a nudo il suo torace sottile ma ben sviluppato, al centro del quale era comparso uno strano simbolo color rosso sangue la cui forma ricordava, vagamente, un pipistrello con le ali spiegate.

  «Che… che cos’è questo?»

  «Il marchio che simboleggia il nostro legame. La sua comparsa è la prova intangibile che sei destinato a portare dentro di me tutta la mia essenza».

  Johan posò nuovamente gli occhi sulla nuvola, che ora sembrava quasi aver assunto le fattezze, piuttosto sfumate, di una persona.

  «Tu vuoi un mondo migliore.

  Disprezzi gli uomini per la loro inclinazione alla violenza, e sei consapevole che solo portando nuovo ordine questo splendido pianeta e tutte le sue creature potranno continuare a vivere.

  I miei poteri, uniti alla grande magia che scorre da secoli nelle vene dei Von Karma, renderanno possibile questo tuo sogno. Dovrai confrontarti con nemici insidiosi, che difendono questo mondo corrotto, ma a differenza dei tuoi predecessori, che hanno tutti miseramente fallito, potrai contare su un gran numero di alleati.»

  «Ma perché lo stai facendo? Che cosa ci guadagni tu?»

  «A suo tempo, ho avuto il tuo stesso desiderio. Quando ancora questo mondo non era stato insozzato dall’ipocrisia e dall’avidità degli uomini, mi sono battuto per difenderlo, ma coloro che si ritengono difensori della giustizia mi hanno accusato di essere un malvagio, e mi hanno punito con una reclusione che perdura dall’alba dei tempi.

  Ora dimmi. Che divinità è una che favorisce una sola specie a danno di tutte le altre, oltre che dello stesso mondo nel quale vivono? Come può definirsi una divinità?

  Io sono convinto che questo mondo e la sua preservazione abbiano la precedenza su tutto, anche gli esseri umani e sulle loro misere vite, e so che lo pensi anche tu.

  È giunta l’ora di cambiare le cose, Johan. E sarai tu il fautore del cambiamento, se solo accetterai questo compito».

  Johan restò in silenzio, col capo chino e lo sguardo a terra; alcune gocce di sudore gli scendevano lungo il viso, e i capelli ne erano leggermente zuppi.

  «Io… accetto.»

  «Così sia».

  La nuvola allora si dissolse, trasformandosi in una specie di vortice che prese a girare vorticosamente attorno a Johan, e contemporaneamente ai piedi del ragazzo si materializzò un grande circolo magico di colore viola formato da una stella a sei punte, ognuna delle quali terminante in un cerchio con all’interno un simbolo nero, e raffigurante al centro la stessa croce che capeggiava sul libro.

  Johan sentì qualcosa montare dentro di lui, e non ricordò di aver mai provato sensazione più bella.

 

«Per l’ultima volta, Wei!» gridò Franziska fuori di sé «Fammi passare ora!»

  «Mi dispiace enormemente signorina, ma questa è una richiesta che non posso esaudire».

  La ragazza cercò allora di girargli intorno, ma appena cercò di muovere un passo Wei le si piantò nuovamente davanti, impedendole di passare.

  «Wei, giuro che se non mi fai passare ora non risponderò più delle mie azioni.»

  «Signorina, comprendo perfettamente come si sente in questo momento, ma la prego di capire. Suo padre mi aveva avvertito che questo giorno sarebbe potuto arrivare, e si è raccomandato che nulla potesse interferire con il normale scorrere degli eventi.»

  «Di che diavolo stai parlando!? Che c’entra nostro padre?»

  «Il signorino è stato scelto.»

  «Che vuol dire è stato scelto!? È stato scelto per cosa!?»

  «Egli ospiterà dentro di sé il potere che la famiglia Von Karma si tramanda da generazioni. Per secoli i suoi antenati hanno custodito gelosamente questo segreto, un segreto del quale Johan è tenuto a farsi carico.»

  «Ma di che segreto si tratta?» domandò Franziska con voce meno minacciosa e più preoccupata.

  Anche Wei a quel punto smise di mostrarsi così terrificante, e non appena la ragazza fece per scoppiare a piangere lui le mise le mani sulle spalle, rivolgendole uno dei suoi sorrisi gentili.

  «Mi creda signorina, anch’io sono molto preoccupato. Purtroppo temo che, in questo momento, cercare di intervenire non farebbe altro che mettere in pericolo la vita del signorino.»

  «Sono d’accordo!».

  Quella voce roca e profonda, come se giungesse da dentro un imbuto, fece sobbalzare sia Wei che Franziska, e quando la ragazza si girò alle proprie spalle vide che, dal nulla, era comparso un misterioso quanto terrificante individuo, completamente nascosto dentro un mantello nero, con un paio di guanti a nascondergli le mani ed un cappuccio sollevato sulla testa.

  «Chi…» balbettò Franziska «Chi sei tu!?»

  «Io sono quello che vi ha salvato la vita molti anni fa.» rispose il tipo.

  Qualche attimo dopo, l’uscio si aprì leggermente, e non appena Franziska posò gli occhi su suo fratello per un attimo pensò di avere davanti un’altra persona.

  Il suo sguardo, un tempo così innocente, almeno per chi sapeva leggerlo, aveva fatto posto all’espressione più seria e risoluta che si potesse immaginare, al punto da mettere paura persino alla sorella, che non riuscì a correre da lui per abbracciarlo come avrebbe voluto; persino i suoi begli occhi erano cambiati, passando dal blu oltremare ad un viola intenso.

  Uther, addirittura, si allontanò leggermente, mugolando spaventato; Wei, invece, fece al ragazzo il suo solito inchino, ma molto più reverente del solito.

  «Jo… Johan…» disse Franziska «Sei… davvero tu?»

  «Sì, sorellina.» rispose lui, apparentemente con la sua solita voce, ma che la ragazza stentò a riconoscere «Sono sempre Johan. Ora però, sono anche qualcosa di più».

  Il giovane si girò dunque verso il misterioso individuo incappucciato, facendo qualche passo nella sua direzione, quindi accennò un enigmatico sorriso.

  «È un piacere rivederti, Anubis.»

  «Il piacere è mio, fratello.» rispose quello con un cenno del capo

  «Siamo stati separati per tanto tempo.

  Spero che i tuoi servitori non si siano rammolliti.»

  «Non c’è nulla di cui tu debba preoccuparti. Attendono solamente i tuoi ordini.»

  «Molto bene. Presto anche gli altri giungeranno qui, appena i loro spiriti si saranno riuniti, e allora potremo dare il via al nostro progetto.

  Nel frattempo, però, direi di annunciare come si deve a quei rammolliti che partecipano al grande torneo il mio ritorno in questo mondo.»

  «Come desideri, mio signore».

 

L’eclissi lunare non caratterizzò solo i cieli della Baviera; mezzo mondo poté assistevi, e da qualunque angolazione la si guardasse la luna era sempre e comunque oscurata nella sua interezza, brillando di una sinistra luce rossastra.

  Nessuno riuscì a comprendere la natura di un fenomeno tanto singolare, e ben pochi erano coloro che sapevano che non si trattava affatto di una normale eclissi; quella era una porta, la porta verso un altro mondo, una porta che nessuno che conoscesse la sua esistenza avrebbe voluto vedere aprirsi.

  Quello era un presagio: il presagio di grandi sventure.

  Dall’alto del campanile di San Marco, Toshio osservava con grande preoccupazione l’evento che si stava compiendo dinnanzi ai suoi occhi.

  Non era solo; accanto a lui c’erano due ragazze alquanto singolari.

  Quasi identiche nell’aspetto, tranne che per la lunghezza dei capelli, vestivano con lo stesso abito nero, caratterizzato da maniche lunghe e gonne corte; entrambe portavano calze lunghe per nascondere le gambe e un paio di stivaletti, entrambe avevano occhi azzurri e capelli di un marrone pastello piuttosto chiaro.

  Ciò che le rendeva singolari, però, era che tutte e due presentavano una lunga coda e un paio di orecchie feline di colore marrone scuro, con le punte leggermente più chiare.

  Anche loro sembravano molto preoccupate, e il fatto che ormai quella che tutti credevano essere un’insolita eclissi fosse ormai prossima a finire non servì a tranquillizzarle.

  «Lui è qui.» disse Toshio «È ritornato».

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qui di nuovo!

Questa volta il capitolo soddisfa appieno le mie aspettative, e ammetto di esserne piuttosto fiero.

Tralasciando le solite frasi di rito, voglio fare una precisazione: come si sarà facilmente intuito da alcuni particolari (nomi, ambientazioni, colori di occhi e capelli) questa storia si propone di rassomigliare il più possibile ad una serie anime, tanto negli argomenti quanto nello stile in sé.

Come al solito ringrazio i miei recensori, Selly, Akita, Cleo92 e Levski.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 5
*** La Prova ***


4

4

 

 

«Scusate un attimo.» disse Shinji girandosi a guardare i suoi amici, quasi invisibili tra la folla sterminata che di primo mattino affollava le calli più vicine a Piazza San Marco «Non sarà pericoloso muoversi così in pieno giorno? Dico, quel pazzo di Atarus è ancora in giro.»

  «Padre Andersen ha detto che i partecipanti al torneo tendono ad evitare di combattere di giorno, e in luoghi molto affollati.» rispose Nadeshiko «Finché stiamo dove c’è tanta gente dovremmo essere al sicuro.»

  «Ma noi di preciso cosa dovremmo fare adesso?» domandò Keita

  «Non è ovvio? Dobbiamo trovare Toshio e parlargli».

  Già, parlare con Toshio.

  Durante la notte i tre compagni di viaggio, ospitati per l’occasione nella chiesa di Padre Andersen, che si era offerto di tenerli con sé fino al giorno in cui non fosse stato prudente raggiungere l’aeroporto per tornare a casa, avevano parlato tra di loro, e alla fine avevano preso una decisione.

  Visto e considerato che loro erano “speciali” volevano fare qualcosa per aiutare chi stava impegnando tutte le sue forze tanto nel torneo quanto nella battaglia contro Seth che sarebbe seguita subito dopo.

  Keita aveva detto che poteva essere pericoloso, che loro non possedevano al momento le conoscenze necessarie per difendersi da soli, e che avrebbero rischiato di essere solamente d’intralcio, tanto per Toshio quanto per chiunque altro.

  Inaspettatamente, però, era stato nientemeno che Takeru a risollevarli da quella convinzione.

  «Non si diventa forti da un giorno all’altro.» aveva detto senza alzare la testa dal cuscino della sua branda «E rimanere fermi ad osservare gli eventi che ci scorrono accanto, specie se di tale portata, è la cosa più stupida che si possa fare.

  Vi è stato concesso il grande onore di assistere ad un evento che accade una volta ogni duecento anni, e anche di prendervi parte. Non sprecatelo».

  Nadeshiko, poi, aveva messo ulteriormente il dito nella piaga, ricordando di come loro tre, negli anni che erano stati insieme, non avessero fatto altro che scansare i pericoli, chiusi nel piccolo eremo che si erano costruiti per evitare il giudizio del resto del mondo.

  Tanto lei quanto i suoi amici, a pensarci bene, avevano un motivo per sentirsi isolati, estranei alla realtà in cui vivevano, e forse era proprio per questo che la loro amicizia nel corso degli anni si era rafforzata al punto da non poter più fare a meno l’uno degli altri.

  Forse il destino aveva voluto immergerli in quella nuova, sconvolgente realtà, proprio per spingerli ad abbandonare questa loro condizione di isolamento, perché imparassero a conoscere un po’ di quel mondo di cui tanto avevano paura, in mondo in cui, forse, avrebbero trovato quelle risposte che avevano sempre avuto paura di cercare.

  Che dire poi del potere che avevano scoperto di avere dentro?

  Considerata la minaccia che Seth e Atarus rappresentavano per il futuro della Terra, se davvero possedevano una magia così grande avevano il dovere di metterla al servizio della causa che aveva come fine ultimo la sopravvivenza degli esseri umani.

  Certamente non potevano imbarcarsi in una simile impresa da soli, quindi la cosa migliore da fare, anche su suggerimento dello stesso Andersen, era di affiancare Toshio nel suo viaggio, aiutandolo ogni qualvolta ne avesse avuto bisogno prima a vincere il torneo e poi a confrontarsi con Seth, che a giudicare dalla straordinaria quanto anomala eclissi verificatasi la notte prima era già risorto nel mondo fisico, più pericoloso e potente che mai.

  Anche Takeru era con loro, e continuava, nonostante tutto, a portarsi dietro la sua spada, ben nascosta come sempre all’interno del suo involucro di velluto per evitare di terrorizzare i passanti o per non dover dare spiegazioni a qualche agente di polizia.

  «Ma come faremo a trovare Toshio in mezzo a tutta questa folla?» domandò Keita «Venezia è grande, e lui potrebbe essersene già andato.»

  «No, io non credo.» rispose Nadeshiko «Sono anzi convinta che prima di lasciare questa città voglia confrontarsi nuovamente con Atarus, e dal momento che non può farlo per i successivi due giorni è probabile che li trascorrerà cercando di recuperare le forze, magari in qualche albergo.

  Dovremo chiedere un po’ in giro, ma sono sicura che alla fine lo troveremo.»

  «Sempre che non sia Atarus a trovare noi. Mi sento sempre come se dovesse comparire da un momento all’altro».

  Proprio in quella Keita, che camminava stando girato, andò a sbattere contro qualcuno, e sia lui che l’urtato caddero a terra.

  «Mi scusi.» si affrettò a dire il ragazzo «Non l’avevo vista».

  Quella, che gli dava le spalle, nel sentire la voce di Keita sembrò colpita da un fulmine.

  «Keita!?» disse prima ancora di girarsi, e non appena si tolse il capello da baseball che le nascondeva il volto i tre amici rimasero con le bocche spalancate.

  Doveva avere pressappoco la loro età, aveva capelli castani e occhi di un bel marrone risplendente; le sue dimensioni piuttosto minute, unite a quella sua espressione innocente, da bambola di porcellana, la rendevano estremamente graziosa.

  «Yo…» disse Nadeshiko «Yoshida!?»

  «Nadeshiko!?».

  Era proprio lei, Kazumi Yoshida, seconda sezione dell’ultimo anno, vincitrice del concorso per la ragazza più carina del liceo e prima della lista per numero di lettere d’amore trovate nella scarpiera.

  Fino a pochi mesi prima lei e gli altri erano stati compagni di classe, poi, con l’inizio del nuovo anno e il rimpasto delle classi, erano stati separati.

  Yoshida era una ragazza gentile, dall’aria a volte un po’ svampita, ma chi la conosceva bene sapeva bene che all’occorrenza poteva diventare energica e combattiva. Lei e Nadeshiko erano state molto amiche fin dalle elementari, ma a causa sia del rimpasto sia dei quasi otto anni che Yoshida aveva trascorso a Sapporo, dove si erano trasferiti a causa del lavoro del padre, le ragazze si erano un po’ perse di vista, anche se da due anni a quella parte avevano ricominciato a vedersi abitualmente.

  Anche Shinji e Keita la conoscevano, seppur non bene come la loro compagna, e in più di un’occasione lei era uscita insieme a loro dopo la scuola.

  «Sto sognando, siete davvero voi?»

  «In carne ed ossa.» rispose Shinji «Tu guarda a volte cosa non combina la sorte».

 

Per valorizzare al meglio quella insolita quanto inaspettata sorpresa i ragazzi abbandonarono momentaneamente la loro ricerca di Toshio, concedendosi una sosta al famosissimo caffè Florian, in Piazza San Marco. Nadeshiko e i suoi amici avrebbero voluto andarci la sera prima, ma era talmente affollato che alla fine avevano preferito la tranquillità di un localino senza tante pretese situato poco lontano, lo stesso in cui si trovavano quando era cominciato lo scontro tra Toshio e Atarus.

  Per un’assurda coincidenza, se avessero avuto la pazienza di aspettare nulla di quello sarebbe mai accaduto, e chissà in quel momento dove si sarebbero trovati.

  «È davvero incredibile.» disse Yoshida quando si furono tutti seduti attorno ad un tavolino all’aperto «L’ultima cosa che immaginavo possibile era incontrarvi.»

  «Direi che vale lo stesso per noi.» rispose Keita «Ora che ci penso però, avevi accennato al fatto che saresti venuta qui in Europa.»

  «Era una cosa programmata da diverso tempo.»

  «Avrei voluto chiamarti per invitarti» disse Nadeshiko «Ma quando quella sera ho telefonato a casa tua i tuoi genitori mi hanno detto che eri già partita.»

  «Sono andata in aeroporto subito dopo essere uscita da scuola. Avevo l’aereo la sera stessa.»

  «Capisco.»

  «Comunque, che cosa ci fate qui a Venezia?»

  «Dobbiamo ringraziare la qui presente dèa della fortuna.» disse Shinji mettendo la mano in testa a Nadeshiko «Ha vinto in un colpo solo quattro biglietti per un viaggio premio qui in Europa.»

  «Davvero!? Incredibile.»

  «E tu Takeru, non fare il solito associale. Presentati come si deve».

  Takeru, che era seduto per conto suo, girò leggermente la testa verso di lei.

  «Ciao».

  Quel semplice ciao fu per Yoshida come una cannonata, una cannonata al cuore, e la ragazza divenne in un istante rossa come un melograno. Nadeshiko se ne avvide, e sapendo quanto fosse difficile per un qualsiasi ragazzo fare breccia nell’animo dell’amica, alla quale le attenzioni maschili non avevano mai fatto grande effetto, non poté fare a meno di sorridere.

  Keita e gli altri avevano sentito parlare del Florian e si aspettavano di dover pagare qualcosa più del solito, ma quando videro i prezzi sui menù portati dal cameriere per poco non si sentirono prendere un colpo.

  «Ma… ma è inaudito!» disse Keita «Come si può chiedere così tanto?»

  «Se i miei genitori facessero simili prezzi al nostro bar, avremmo già chiuso da tempo.»

  «Dopotutto, questa è Venezia.» rispose Yoshida con suo sorriso gentile «Siamo in Piazza San Marco, e questo è il Florian, uno dei caffè più famosi d’Europa. È naturale che i prezzi siano elevati.»

  «Sì, ma qui anche solo un caffè ci manderebbe in rovina.» disse Shinji

  «Per questo non preoccupatevi. Ordinate pure tutto quello che volete. Oggi offro io».

  La ragazza, sotto gli sguardi perplessi dei suoi amici, mostrò loro il proprio borsellino, pieno fino all’orlo di banconote di grosso taglio.

  «Accidenti, quanti soldi!» esclamò Keita «Dove ti sei procurata tanto denaro?»

  «Beh, non sono proprio miei. Sono un regalo di papà.»

  «Dovevo immaginarmelo.» disse Nadeshiko «Del resto, tuo padre è il proprietario di una grande casa editoriale.»

  «Già. Vorrei guadagnarmi dei soldi per conto mio, ma quando ha scoperto che lavoravo part-time mi ha confinata in camera per una settimana. A volte è decisamente troppo protettivo».

  In quella Yoshida si sentì chiamare, e un istante dopo un giovane ragazzo si avvicinò al tavolo dove i cinque amici erano seduti.

  Doveva avere sui vent’anni, e anche a colpo d’occhio si notava subito una forte somiglianza fra lui e Yoshida; aveva i capelli dello stesso colore castano, solo leggermente più scuri, gli stessi lineamenti del viso e gli stessi occhi marroni; aveva un’espressione seria, composta, degna di un professore, messa ancor più in risalto dal curioso paio di occhiali rettangolari che indossava ma ingentilita dal suo enigmatico sorriso.

  «Kazumi. Eccoti finalmente. Stavo per chiamarti.»

  «Tempismo perfetto. Faccio le presentazioni. Lui è Tadaki, mio fratello maggiore.»

  «Davvero, lui è tuo fratello?» domandò Nadeshiko «Kazumi mi ha parlato spesso di te.»

  «Non che ci sia molto da dire.» rispose lui sorridendo

  «Tadaki, questi sono gli amici di cui ti avevo parlato. Nadeshiko, Shinji e Keita. Lui invece è Takeru.»

  «Piacere.»

  «Piacere nostro.» rispose Keita

  «Sapete, Tadaki studia qui a Venezia, all’Accademia.»

  «Sul serio!?» disse Shinji «Ho sentito che è una delle accademie d’arte più prestigiose del mondo.»

  «In effetti è così.»

  «Avrai dovuto studiare molto per riuscire ad essere ammesso.»

  «Abbastanza. Il livello dei corsi è particolarmente adatto, ma fortunatamente per me riesco a stare al passo.»

  «Tadaki attualmente fa parte del comitato di restauro per alcuni dei più importanti monumenti di Venezia. Inoltre, saltuariamente, tiene lezioni private di giapponese, soprattutto per gli studenti dell’università.»

  «Accidenti, sei davvero un tipo dalle mille risorse, Tadaki-san.» disse Nadeshiko

  «Diciamo che so badare a me stesso. In una città come questa far quadrare i conti è sempre un problema, per quanto uno cerchi di fare economia.»

  «Ce ne siamo accorti.» puntualizzò Shinji indicando il menù del Florian

  «Kazumi, io oggi ho una lezione privata dietro l’altra, e temo che starò via tutto il giorno.

  Mi dispiace molto.»

  «Non preoccuparti. Ormai sono capace di orientarmi.»

  «E non preoccuparti.» disse Nadeshiko «Noi le faremo compagnia. Giusto ragazzi?»

  «Eccome.» risposero Shinji e Keita «Anche noi infondo avevamo in programma di girare un po’ per la città.»

  «D’accordo, allora io ti lascio. Ci vediamo stasera.»

  «Ok, a stasera».

 

Così, per amore o per forza, Nadeshiko e i suoi compagni proseguirono il loro giro per Venezia accompagnati da Yoshida, che faceva loro da Cicerone accompagnandoli nei posti più famosi e interessanti della città.

  Il proposito di cercare Toshio ormai era andato in malora, anche se di tanto in tanto qualcuno dei tre si intrufolava non visto in qualche albergo per scoprire se magari lo spadaccino alloggiava lì, ricevendo però sempre e comunque una risposta negativa.

  Takeru era visibilmente nervoso, e sembrava non vedesse l’ora di levarsi di torno, ma Yoshida gli stava perennemente addosso, girandosi continuamente a guardo e arrossendo ogni volta che lui ricambiava lo sguardo.

  Chi tuttavia sembrava maggiormente estraneo a quanto stava accadendo, però, era Keita, che ancora non riusciva a comprendere appieno la marea di eventi nel quale gli altri si erano trovati coinvolti.

  Per quanto si sforzasse di non pensarci, per tutta la notte aveva avuto davanti agli occhi il ghigno malefico di Atarus, e il suo breve sonno era stato funestato di incubi spaventosi. A spaventarlo, però, non era il pensiero di poterci rimettere la vita; nei suoi sogni non aveva visto morire sé stesso, ma i suoi amici, e questa era una cosa che lo spaventava a morte.

  Keita aveva sempre considerato l’amicizia e il legame coi suoi due inseparabili compagni come la cosa di maggior valore, e il pensiero che potessero essere in pericolo, perché coinvolti in qualcosa più grande di loro, gli faceva tremare i polsi.

  Non che non avesse paura anche per la sua stessa sorte, tutt’altro, ma faceva parte del suo carattere anteporre sempre le altre persone a sé stesso, una cosa che molti, soprattutto Nadeshiko, gli avevano sempre rimproverato, esortandolo ad essere un po’ più egoista piuttosto che a preoccuparsi sempre e solo degli altri.

  Proprio pensando alla sicurezza di Shinji e Nadeshiko aveva insistito tanto per cercare di far capire loro la gravità e la pericolosità di quella situazione, ma poi le parole di Takeru, pesanti come il piombo, lo avevano fatto riflettere.

  Dopotutto anche lui, nella sua vita, non aveva mai fatto altro che cercare un’esistenza il più possibile normale, e sotto questo aspetto era molto diverso dagli altri membri della sua famiglia.

  Sua madre, ai tempi del liceo, era stata una modella, e anche se aveva rinunciato alle passerelle per dedicarsi alla casa e ai figli di tanto in tanto capitava che accettasse qualche offerta fra le tante che le venivano proposte dalla sua vecchia agenzia.

  Suo padre, Rokuro, era un professore e un archeologo di fama internazionale, che aveva viaggiato in tutto il mondo e che in un paio di occasioni si era messo in situazioni degne di Indiana Jones, dalle quali era uscito sempre e comunque vincitore.

  La sua sorellina era piccola, ma sognava di poter intraprendere un giorno la strada della televisione, e chi l’aveva sentita cantare giurava che sarebbe stata una strada lastricata di successo.

  E poi c’era lui.

  Lui, in verità, di sogni non ne aveva mai avuti. La sua vita era regolata da un orologio invisibile che col suo inesorabile ticchettio scandiva ogni secondo della sua giornata e che si ripeteva ogni giorno nella sua spaventosa monotonia. La vita emozionante dei liceali che riempivano le pagine dei fumetti di Sayuri, fra amori struggenti e avventure a non finire, gli sembravano così irreali e fantasiosi; e dire che quando aveva l’età di sua sorella e leggeva quegli stessi fumetti non vedeva l’ora di arrivare al liceo per poter scoprire se era davvero così avvincente come veniva descritto, ma una volta riuscitoci si era dovuto ricredere.

  Forse quello che era loro successo era davvero un segno del cielo, un invito per lui e per tutti gli altri a liberarsi dalla monotonia delle loro vite per realizzare finalmente qualcosa degno di nota, e in tal caso, come diceva Takeru, non potevano permettersi di sprecare quell’occasione.

  Keita era così immerso nei suoi pensieri da camminare a testa bassa, rallentando sempre di più il passo, e quando alla fine si decise a rialzare lo sguardo i suoi compagni erano scomparsi, inghiottiti dalla folla.

  «Accidenti, li ho persi!».

  Provò a cercarli, ma dopo aver camminato lungo quella calle per alcuni metri non gli riuscì di trovarli; evidentemente avevano svoltato in una via laterale, e in quel labirinto di cunicoli orientarsi era quasi impossibile; anche i loro cellulari erano isolati, probabilmente perché si trovavano in una zona senza segnale.

  “Non va’ bene. Da solo rischio di essere un bersaglio facile. Sarà meglio tornare alla chiesa. Sicuramente torneranno lì anche loro”.

  Il ragazzo stava appunto per tornare indietro, quando, per un motivo che non riusciva a capire, una stradina laterale attirò la sua attenzione. Aveva avuto per un istante l’impressione di scorgere una figura che vi si infilava furtivamente, e sapeva bene che poteva trattarsi di una trappola, ma nonostante ciò scelse comunque di ascoltare quel richiamo misterioso.

  Incamminatosi per quel viottolo, camminò lentamente e in silenzio per alcuni minuti, senza avere bene in mente che cosa stesse facendo, fino a che non giunse in una piazzetta molto simile a quella in cui si erano scontrati Atarus e Toshio, con un solo ingresso, stretta su tre lati da alte palazzine e sul quarto dal muro di cinta di una villa, con qualche panchina e una colonna al centro sopra la quale svettava una piccola madonna in preghiera.

  Keita restò un attimo immobile a guardarla, domandandosi se non fosse stata proprio quella statua ad emettere quel richiamo irresistibile, ma poi, di nuovo senza capire come o perché, avvertì distintamente l’approssimarsi di un pericolo, e giratosi di scatto ebbe appena il tempo di buttarsi a terra lateralmente per evitare una coppia di affilatissimi boomerang metallici a forma di mezzaluna, che andarono a conficcarsi nel terreno.

  Un istante dopo, sbucando dall’alto, comparve davanti a lui una giovane ragazza che indossava una sorta di abito cinese di colore bianco sfavillante, arricchito da un paio di lunghi guanti neri, scarpe leggere da combattimento e una cintura alla vita.

  La pelle leggermente scura, i tratti del viso, gli occhi marroni e i capelli neri a caschetto con lunghe frange che ricadevano sulla fronte lasciavano intendere la sua origine orientale; veniva forse dal medio oriente, o magari dalla zona dell’India, un’ipotesi questa avvalorata dall’arma che brandiva, una specie di spada ricurva dalla lama grossa portata alla cintura, dietro la schiena.

  Keita, che negli anni trascorsi con il padre aveva a sua volta imparato qualcosa sulle armi antiche, non faticò a riconoscere nelle lame che gli erano piovute addosso una micidiale arma omicida usata fin dal quindicesimo secolo dalle spie al servizio dei rashà, il che non lasciava praticamente alcun dubbio sull’origine indiana della donna che aveva di fronte.

  Malgrado avesse un’espressione seria e determinata non sembrava una cattiva persona, ma il modo in cui si era presentata certo non lasciava presagire nulla di buono.

  «Salve, tesorino.» disse la ragazza accennando quasi un occhiolino «Tu sei uno di quelli che riuscivano a muoversi all’interno del Fuuzetzu, o sbaglio?»

  «Chi… chi sei tu?» domandò Keita alzandosi in piedi «Anche tu partecipi al torneo?»

  «Ah, allora sai già tutto. Questo eviterà lungaggini noiose.»

  «Che cosa vuoi da me? Anche a te interessa il mio circolo magico?»

  «Perché, ti sorprende? Non è da tutti possedere al proprio interno un circolo così potente da permettere di eludere un incantesimo potente come il Fuuzetzu.

  A pensarci bene, non credo che sia mai successo nulla del genere in tre millenni di competizioni, e il comportamento che state tenendo tu e i tuoi amici al momento è tutt’altro che ammirabile.»

  «Il nostro comportamento!?»

  «Insomma, qualcuno in possesso di un circolo magico di tale forza che se ne va’ tranquillamente in giro per le strade come se niente fosse nel bel mezzo del torneo è come se andasse chiedendo di essere ammazzato».

  La ragazza eseguì a quel punto una specie di gioco di prestigio, e fra le dita le comparvero altre quattro lame a mezzaluna, due per ogni mano, questo mentre la sua espressione si faceva maliziosamente aggressiva.

  «E sai, c’è chi a questo richiamo è ben felice di rispondere».

  Keita rimase un momento immobile, poi, nell’istante in cui la ragazza accennò un movimento, lui cominciò a correre come un pazzo, e dopo essere riuscito ad evitare miracolosamente quelle lame infernali cercò di guadagnare l’uscita, ma appena fece per imboccarla andò a sbattere contro una barriera invisibile che per poco non gli sfracellò il naso.

  «Ma cosa…»

  «Mi spiace tesoro, ma la fuga non è un’opzione».

  Spaventato, il ragazzo si girò.

  «Non sei un po’ grandicello per scappare di fronte al pericolo?».

 

In realtà, a differenza di come Keita si aspettava, Nadeshiko e gli altri non si erano ancora accorti della sua assenza; solo quando, ad un certo punto, Yoshida si fermò per rispondere al cellulare Shinji, guardandosi indietro, si avvide che mancava un membro del gruppo.

  «Ehi ragazzi, avete visto Keita? È scomparso.»

  «Scomparso?» disse Yoshida «Com’è possibile?»

  «Non lo so, l’ultima volta che mi sono girato era dietro di me. Probabilmente si è perso in mezzo a tutta questa folla».

  Nuovamente, il ciondolo che Nadeshiko portava al collo prese ad emettere un tenue chiarore rosato, ma stavolta il fenomeno non passò inosservato; la ragazza infatti si sentì per un istante come paralizzata, mentre uno strano formicolio le saliva lungo la schiena, e subito una sensazione terribile prese a scorrerle in tutto il corpo.

  «Keita! È in pericolo!» esclamò, e subito dopo si mise a correre veloce come un fulmine nella direzione dalla quale sentiva venire un che di indecifrabile, come una presenza minacciosa

  «Nadeshiko, aspetta!» disse Shinji andandole dietro assieme a tutti gli altri.

  Nel frattempo Keita era sempre più in difficoltà.

  Non potendo fuggire, si limitava a correre da una parte all’altra della piazzetta, e ogni volta le lame rotanti che gli venivano lanciate contro si facevano sempre più vicine.

  La ragazza che lo stava attaccando ci prendeva sempre più gusto, ed era chiaro che stava giocando con lui come il gatto con il topo, evitando di proposito di prendere bene la mira.

  «Per quanto tempo hai intenzione di scappare?».

  Alla fine, forse involontariamente, un colpo andò quasi a segno, ferendo di striscio Keita alla gamba destra; il ragazzo, che stava correndo, perse l’equilibrio, scivolando a lungo sul selciato, e quando si rimise in ginocchio l’avversaria aveva già una nuova lama pronta all’uso.

  «Ci sono battaglie che vanno combattute per forza.

  Lo so, non l’avete chiesto voi di essere coinvolti a tutto questo, ma è successo, e non potete farci niente. I vostri circoli magici sono un richiamo troppo appetibile perché non venirne attratti in modo irresistibile. Come partecipante a questo torneo, non mi vergogno a dire che farei di tutto pur di entrare in possesso di un simile potere».

  Keita non sapeva cosa fare, e vedendo quella ragazza che si preparava ad infliggere il colpo finale sentiva dentro di sé un misto di frustrazione e rabbia; rabbia per non essere in grado di difendersi, rabbia per non essere mai stato in grado di fare nulla degno di nota, per essere sempre stato un osservatore passivo degli eventi che scorrevano davanti ai suoi occhi, e questo, inevitabilmente, portava con sé anche tanta frustrazione, perché una vita trascorsa nell’anonimato non avrebbe lasciato dietro di sé nulla per il quale venire ricordati.

  Non voleva che finisse così; non poteva permettere che finisse così.

  Doveva fare qualcosa, non importava cosa; qualsiasi risposta era migliore rispetto al non fare niente, restandosene immobili ad attendere la fine.

  D’improvviso, mentre tutti questi pensieri gli riempivano la mente, cominciò a sentire una strana energia montargli nel petto; non aveva la minima idea di che cosa fosse, ma una cosa era certa: era una sensazione bellissima.

  L’avversaria, che stava quasi per attaccarlo, si fermò di colpo come inebetita, e quando lo vide alzarsi in piedi fece un passo indietro.

  Un istante dopo, sotto i piedi del ragazzo si generò un circolo magico che brillava di luce azzurra molto forte, e il cui disegno era talmente contorto e complicato che sarebbe impossibile descriverlo.

  “In nome del cielo.” pensò la ragazza “Non ho mai visto un circolo tanto complesso”.

  Keita sembrava diventato un’altra persona; alzatosi, guardò l’avversaria con occhi di sfida, quindi, lanciato un urlo liberatore, distese violentemente il braccio destro, e tutto d’un tratto gli comparve in quella mano una magnifica spada di fattura medievale dall’impugnatura d’oro con una testa di drago all’estremità superiore; la lama, lunga una cinquantina di centimetri, era lucida come uno specchio.

  La ragazza restò ancora più sconvolta.

  “Un’arma spirituale!?”.

  La spada cominciò dopo poco a circondarsi di fuoco; Keita la fece roteare per un po’, poi, gridando a pieni polmoni, la abbassò come a voler menare un fendente, ed un vero e proprio oceano di fiamme azzurre si diresse verso l’avversaria, che inebetita per qualche istante restò immobile.

  Poi però anche lei si decise a reagire, e dopo la comparsa del suo circolo magico, di colore arancio brillante e a forma di stella a dieci punte con vari simboli vedici disegnati tutto intorno, materializzò davanti a sé una barriera che potesse difenderla.

  L’urto fu terribilmente violento, e la ragazza, che aveva il braccio disteso in avanti, per poco non se lo sentì andare in pezzi; servirono solo pochi secondi perché lo scudo si sgretolasse sotto la tremenda potenza delle fiamme, e lei, colpita in pieno, venne scaraventata in aria, ma visto che ormai il colpo aveva perso gran parte della sua potenza riuscì a tornare a terra senza troppi danni dopo aver eseguito una spettacolare capriola.

  Subito dopo che l’attacco si fu esaurito Keita prese a respirare affannosamente, ma era ovvio: un incantesimo del genere richiedeva uno sforzo non indifferente, e per qualcuno che usava la sua magia per la prima volta era da ritenersi un miracolo che non fosse svenuto prima ancora di eseguirlo.

  La ragazza sorrise compiaciuta.

  “È davvero incredibile. Mai vista una simile determinazione. Questo ragazzo è da ammirare”.

  Lui la guardò nuovamente, sempre con occhi di sfida, ma molto meno aggressivi e dall’aria decisamente più esausta; sembravano quelli di un lupo ferito, morente, ma che ancora si ostina a voler combattere.

  «Complimenti, ragazzo. Per la prima volta in vita tua, hai deciso di affrontare il pericolo.

  Non illuderti però che in futuro andrà ancora così bene. Ci sono altri guerrieri là fuori, e posso assicurarti che quel lanciere non sarà il solo a voler mettere le mani sulla tua magia, soprattutto dopo quello che hai fatto oggi.

  Impara a controllarla. Imparate tutti, e allora forse avrete una speranza di uscirne vivi.

  A presto!».

  Detto questo la ragazza spiccò un salto altissimo raggiungendo il tetto alle sue spalle, scomparendo dietro di esso dopo aver rivolto un cenno di saluto.

  Subito dopo essere rimasto solo Keita fu colto da un tremendo senso di spossatezza; il circolo magico sotto i suoi piedi si spense di colpo, la spada che aveva in mano scomparve e lui si ritrovò inginocchiato a terra ansimante e grondante di sudore.

  Cosa gli era successo!?

  Non lo sapeva. Non era neppure sicuro che ciò che aveva fatto negli ultimi cinque minuti fosse reale, o che fosse stato davvero lui a farlo. Dunque era quella la sensazione che si provava usando la magia.

  Keita per un attimo si era sentito un gradino sopra gli altri, una cosa mai successa prima d’ora, e dentro di sé, convintosi che tutto ciò era successo per davvero, sentiva di aver fatto qualcosa di veramente utile, soprattutto per sé stesso.

  Mentre cercava ancora di recuperare le forze udì uno scalpiccio concitato che si avvicinava sempre più, sentendosi poi chiamare da una voce famigliare.

  «Keita!».

  Un secondo dopo Nadeshiko e i suoi compagni raggiunsero la piazzetta senza che la barriera, apparentemente scomparsa, bloccasse loro il cammino, e appena videro il loro amico inginocchiato a terra corsero subito da lui, aiutandolo a sedersi su una panchina.

  «Keita, che è successo?» domandò Shinji, seduto accanto a lui

  «Ne ho… ne ho incontrato un altro.»

  «Un altro!? Intendi forse un altro partecipante al torneo?»

  «Era… era una ragazza.»

  «Scusate, di che torneo state parlando?» domandò Yoshida.

  Keita si accorse solo in quel momento della sua presenza, e non volendo coinvolgere anche lei in una situazione così pericolosa decise di fermarsi lì con le spiegazioni, rimandando il tutto ad un momento più tranquillo.

  «Un’altra volta» proseguì Shinji «Cerca di starci dietro piuttosto che rimanere sempre con la testa fra le nuvole.»

  «Avete ragione, vi chiedo scusa. Ma come avete fatto a trovarmi?»

  «È stata Nadeshiko a portarci qui.» rispose Takeru con la sua voce seria «Era certa che tu fossi in pericolo e sapeva esattamente dove avremmo potuto trovarti.»

  «Davvero!? Beh, è strano».

  I due si guardarono, e Nadeshiko dopo poco abbassò gli occhi, come spaventata da ciò che era stata in grado di fare.

  «Ad ogni modo, grazie per essere venuti a cercarmi.»

  «Fi… figurati.» rispose la ragazza con voce sommessa.

  Dall’alto del muro di cinta della villa, una coppia di gatti osservava la scena non senza una certa curiosità.

  «Sai Aria, ora comincio a capire perché Toshio ci ha ordinato di tenerli d’occhio.»

  «Quel ragazzo ha dimostrato di possedere un grande potenziale, e credo che i suoi compagni non siano da meno.»

  «Questa situazione diventa ogni giorno più interessante. Secondo te può esserci una correlazione fra questi ragazzi e lo svolgersi del torneo?»

  «Beh, come dice il maestro Akunator, in questo mondo le coincidenze sono una cosa rara. Forse col passare del tempo si chiarirà tutto.»

  «Lo spero. Io comincio ad avere le idee sempre più confuse, e come se non bastasse mi sta venendo fame.»

  «Lotte, tu pensi solo a riempirti la pancia.»

  «Vuoi farmene una colpa? Dopotutto siamo pur sempre dei gatti, e sì sa i gatti hanno sempre fame.»

  «D’accordo, torniamo da Toshio e raccontiamogli quanto accaduto.»

  «E vai, si mangia!» disse Lotte mentre assieme ad Aria saltava prima sul ramo di un albero poi tetto della villa «Pancia mia, fatti capanna!»

  «Lotte, ti ho detto di darci un taglio!»

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!

Chiedo scusa per l’abominevole ritardo nell’aggiornamento, ma in questo periodo d’esame trovare il tempo per scrivere sta diventando una vera impresa.

Grazie a Dio lunedì darò l’ultimo esame, poi fino al 10 febbraio non dovrò più preoccuparmi eccessivamente.

Ringrazio naturalmente Selly, Akita e Cleo92 per le loro recensioni, oltre alla nuova arrivata, Mystofthestars.

Siete mitiche!

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 6
*** Spirito Guerriero ***


5

5

 

 

Verso le sette, quando il sole cominciava la sua discesa oltre l’orizzonte, i quattro ragazzi fecero rapidamente ritorno alla chiesa dopo essersi congedati da Yoshida, e una volta lì Keita spiegò dettagliatamente quanto gli era accaduto quella mattina.

  La parte che destò maggior scalpore, ovviamente, fu quella riguardo al risveglio del circolo magico del ragazzo, e a racconto finito Padre Andersen non ebbe difficoltà a trarre le proprie conclusioni.

  «È tutto molto chiaro.

  Il tuo circolo magico ha reagito di fronte ad un pericolo, risvegliandosi di propria volontà.»

  «Davvero può fare una cosa del genere?» domandò Shinji «Può scegliere quando risvegliarsi?»

  «Anima e corpo sono come due entità che condividono un’unica dimora. Solitamente vivono e pensano in completa simbiosi, ma può capitare che l’anima, da cui si genera anche la magia, prenda momentaneamente il sopravvento, usando il suo potere per sopperire a situazioni che il corpo da solo non sarebbe in grado di gestire.»

  «E quella spada che mi è comparsa in mano?»

  «È quella che gli stregoni chiamano un’arma spirituale.

  È un incantesimo particolarmente potente, che consente di materializzare una parte del proprio potere magico in forma di una qualsiasi arma.

  Confesso di essere sorpreso. Anche il mago più abile impiega del tempo per padroneggiare un incantesimo che tu hai usato d’istinto.

  Sono sempre più convinto che fra i tuoi antenati ci fossero degli stregoni dotati di grandi potenzialità. Anzi, sono convinto che tutti voi abbiate dei precedenti di magia, altrimenti non si spiegherebbe la presenza di circoli magici così potenti, ma allo stesso tempo così perfettamente in sintonia col corpo in cui dimorano.»

  «E potrebbe accadere ancora?»

  «Dipende da te. Se non se ne ha il completo controllo, la magia è come un cane che non si lascia comandare, ma che al momento del bisogno può intervenire in difesa del padrone.

  Se dovessero verificarsi nuovamente condizioni simili a quelle di stamattina, allora sì, succederà, ma ormai è chiaro che i vostri circoli magici, forse per effetto del Fuuzetzu, scalpitano per risvegliarsi. Quando questa storia sarà finita, sarà necessario che impariate a dominarli, o presto potrebbero sfuggire al vostro controllo».

 

Al termine di una cena frugale Keita si mise a letto con la testa piena di domande alle quali non riusciva a dare una risposta.

  Ogni volta che chiudeva gli occhi ripensava a quello che era successo, alle fantastiche sensazioni che aveva provato, e continuava a chiedersi se ci fosse un modo per avere il controllo di quel potere.

  Aveva passato tanto di quel tempo a criticare la vita ai confini dell’irrealtà dei protagonisti dei manga, e ora ci era stato catapultato dentro.

  Di una cosa era convinto; imbarcarsi nell’impresa che anche lui, alla fine, si era deciso a voler fare parte avrebbe portato con sé qualcosa di sconvolgente, che avrebbe cambiato la sua vita in modo ancor più radicale e rivoluzionario di quanto non stesse già facendo, contribuendo a farlo divenire parte di una realtà che altrimenti gli sarebbe stato impossibile sondare.

  Quella misteriosa ragazza, dopotutto, gli aveva detto delle cose giuste: doveva smetterla di fare lo spettatore e di scansare i pericoli, e guardare per la prima volta in faccia la verità delle cose senza per questo provare paura, o desiderio di scappare.

  Padre Andersen sosteneva che non bisognava aver paura della magia, ma che anzi era giusto onorare il raro dono che era stato loro concesso imparando ad utilizzarla, magari per fare del bene; dopotutto la magia era una parte di loro, era come un braccio o una gamba, averne paura significava avere paura di sé stessi, e questo non era un comportamento degno di un uomo.

  Keita, placati in parte i propri tormenti d’animo, stava quasi per addormentarsi, quando il trillare improvviso del cellulare di Nadeshiko, rimasto acceso sopra il comodino, per poco non lo fece cadere dalla branda, svegliando oltretutto anche i suoi compagni, che condividevano con lui la stanzetta della canonica messa a loro disposizione da Padre Andersen.

  «Nadeshiko!» disse Shinji nascondendo la testa sotto il cuscino «Spegni quel dannato affare! Stiamo cercando di dormire!»

  «Scusate, l’avevo dimenticato acceso.»

  «Scuse accettate, ora sbrigati!».

  La ragazza allungò la mano per spegnere il telefono, ma poi si avvide che all’altro capo della linea c’era Yoshida, e la cosa la lasciò un po’ interdetta; non era certo nello stile della sua amica mettersi a telefonare a ore simili.

  Alla fine, incuriosita, decise di rispondere, fra le proteste vigorose di Keita, e appena sentì la voce di Kazumi capì subito come mai avesse chiamato a un’ora così tarda; la ragazza sembrava in preda alla disperazione, gridava e a stento tratteneva il pianto.

  «Nadeshiko, meno male che ti ho trovata

  «Yoshida, cos’è successo? Sembri sconvolta.»

  «È per mio fratello! È sparito dalla sua stanza!»

  «Che cosa!? Sparito!?».

  Sempre più sconvolta e spaventata, Yoshida spiegò che qualche minuto prima aveva sentito un gran baccano provenire dalla camera d’appartamento di Tadaki, dove lei alloggiava durante la sua vacanza lì a Venezia, e aperta la porta aveva trovato la finestra spalancata e tutto a soqquadro.

  Nadeshiko le disse di non preoccuparsi e di non muoversi, che sarebbero venuti subito da lei per aiutarla nella ricerca, quindi, chiusa la conversazione, buttò giù dal letto i suoi compagni senza tanti complimenti.

  Anche se si trattava di andare ad aiutare un’amica era pur sempre mezzanotte, l’ora dei combattimenti, e Atarus era sicuramente ancora in giro, pronto a saltare addosso ai ragazzi appena ne avesse avuto l’occasione; Padre Andersen consegnò quindi ai quattro ragazzi altrettanti talismani simili a o-fuda che avrebbero mascherato le loro emanazioni magiche, rendendo difficile ad Atarus avvertire la loro presenza.

  Non senza timore, e consci del fatto che quello avrebbe potuto non essere sufficiente per considerarsi al sicuro, Keita e gli altri lasciarono la chiesa, domandandosi cosa potesse essere successo a Tadaki, e se quanto era accaduto potesse avere o meno a che fare con lo svolgimento del torneo.

  Servirono solo quindici minuti di passo spedito per raggiungere l’appartamento di Tadaki, situato in una calle interna poco lontana dall’Accademia, una zona poco frequentata dai turisti e dagli abitanti del luogo che facevano le ore piccole. Yoshida li attendeva davanti al portone, e appena li vide arrivare corse loro incontro.

  «Che cosa sarà successo a Tadaki?» domandò stringendosi alla sua amica

  «Non preoccuparti, vedrai che lo ritroveremo. Abbi fiducia».

  Prima ancora che Nadeshiko potesse finire di parlare tutti e cinque si ritrovarono all’interno di un nuovo Fuuzetzu, e quel che era più incredibile era che anche Yoshida sembrava esserne immune.

  «Un Fuuzetzu?!» disse Shinji

  «Ma cosa sta succedendo?» domandò Yoshida guardandosi attorno spaventata

  «Forse è opera di Atarus.» disse Keita «O forse è stata quella donna che ho incontrato stamattina».

  Per l’ennesima volta, il ciondolo di Nadeshiko prese a emanare il suo bagliore rosato, e lei, avvertendo nuovamente quella sensazione di pericolo imminente, cominciò a correre in una direzione, seguita dai suoi compagni.

  Dopo pochi minuti raggiunsero una grande piazza al di là di un ponte non molto grande dominata da una chiesa medievale, e come previsto quando vi arrivarono era già in corso un furioso combattimento, ma quando, raggiunta l’altra sponda del ponte, videro chi erano i due sfidanti, rimasero tutti con la bocca spalancata.

  Uno dei due era Toshio, l’altro invece era nientemeno che Tadaki.

  Il fratello di Yoshika impugnava una coppia di pugnali giapponesi con la lama rivolta verso il basso, dimostrando un’agilità e una forza eccezionali, abbastanza da mettere in difficoltà un combattente esperto come Toshio, che stava visibilmente combattendo al meglio delle sue potenzialità.

  Prima che Yoshida potesse chiamare a gran voce il nome di suo fratello gli altri ragazzi le tapparono la bocca e la portarono insieme a loro al riparo di una barca ormeggiata sulla sponda del canale.

  «Non ci posso credere.» disse Shinji «Allora anche Tadaki partecipa al torneo».

  La sfida tra i due giovani intanto aveva subito una battuta d’arresto, e ora entrambi rimanevano a distanza l’uno dall’altro con la guardia alzata.

  «Niente male, devo riconoscerlo.» disse Tadaki «La tribù di Nepthys addestra bene i suoi spadaccini.»

  «Anche voi Spie Clan Yoshida non scherzate.» rispose Toshio «Mai vista una tale agilità.»

  «Ti ringrazio del complimento.»

  «Prego, figurati.»

  «Ad essere sinceri non ce l’avevo con te, ma con quella ragazza che ha pensato bene di venirmi a fare un salutino direttamente in camera da letto.

  Era lei che cercavo, ma sfortunatamente pare proprio che io l’abbia persa di vista.»

  «Se proprio vuoi saperlo la stavo inseguendo anch’io. Ora che è sparita, però, non credo valga la pena di sprecare l’occasione.»

  «Sono d’accordo. Quindi diamoci da fare.

  Fai del tuo meglio!»

  «Non aspetto altro!».

  Di nuovo corsero l’uno contro l’altro, e l’urto fra le loro armi produsse una vera tempesta di scintille, oltre ad un poderoso spostamento d’aria.

  Tadaki dimostrava la grazia e l’agilità tipici di un vero ninja, e non sembrava avere problemi a tenere testa a Toshio, che malgrado il grande impegno che ci metteva pareva avere qualcosa che non andava.

  “Maledizione.” pensò in un momento di pausa toccandosi il fianco destro “Questa maledetta ferita si sta riaprendo”.

  Il gesto non sfuggì a Tadaki, che vedendo confermati i sospetti avuti fin dall’inizio sullo stato di salute del suo avversario abbandonò la propria posizione di guardia.

  «Basta così. La sfida finisce qui.»

  «Che cosa!?»

  «Devi perdonarmi, ma non è mia abitudine battermi contro un avversario che non è in grado di battersi al meglio delle sue potenzialità.»

  «E chi ti dice che io non sia capace di farlo?»

  «Ho visto come ti muovi. Sei rimasto ferito nel combattimento di ieri sera, e anche se le tue abilità rigenerative hanno rimarginato la ferita è evidente che questo non è stato sufficiente per sanarla del tutto.

  Io combatto solo con guerrieri che possono dare il meglio di stessi. È la mia regola».

  Tadaki a quel punto rinfoderò i pugnali e schioccò le dita, e il Fuuzetzu che lui stesso aveva costruito iniziò a dissolversi; tuttavia, prima che potesse sparire del tutto, Toshio fece un cenno con la mano, e la cupola istantaneamente si ricostruì.

  «Ma cosa…»

  «Ora sono io ad averti sfidato, e secondo il regolamento sei obbligato ad accettare la sfida. Quindi fatti sotto.»

  «Perché? Perché lo stai facendo? Tu sei ferito, potresti anche morire!»

  «Ero pronto a morire dal primo momento in cui ho impugnato questa spada!

  Ora combatti!».

  L’assalto di Toshio fu così rapido che inizialmente Tadaki fu costretto a difendersi con un solo pugnale, ma poi, allontanatosi a sufficienza, estrasse nuovamente anche il secondo, e la sfida riprese a ritmo serrato.

  «Quand’è così» disse Tadaki «Non sarò io responsabile di quello che potrebbe succederti.»

  «Invece che alla mia sorte, dovresti pensare alla tua!».

  Toshio cercò di muovere un nuovo attacco correndo incontro al suo avversario, ma all’ultimo momento Tadaki, incrociate le mani davanti al busto, scomparve nel nulla nel più puro stile ninja.

  «Che diavolo…».

  Lo spadaccino impiegò solo qualche istante a percepire una presenza ostile sopra di sé, spostandosi giusto in tempo per evitare una tempesta di shuriken che prese a piovergli addosso dall’alto; erano shuriken particolari, fatti non di metallo ma di semplice energia, e difatti, subito dopo essersi conficcati a terra, scomparvero nel nulla, lasciando solo il solco sul selciato.

  Tadaki ricomparve in un angolo della piazza, guardato da Toshio con occhi di sfida.

  «Non male.» disse sorridendo «Per essere ferito ti muovi piuttosto agilmente.» quindi unì i due pugnali davanti a sé, formando una croce «Ma riuscirai a schivare questo?».

  Sotto i suoi piedi comparve a quel punto un circolo magico di colore bianco luccicante con al suo interno un kanji all’apparenza senza significato, e dopo un attimo Tadaki scomparve nuovamente.

 

SONIC MOVE!

 

Toshio non vide niente, non capì cosa stava succedendo, ma d’improvviso rimase paralizzato come una statua, con tutti i muscoli tesi allo spasimo, la bocca spalancata e gli occhi sbarrati; Tadaki ricomparve di colpo alle sue spalle, inginocchiato, con un’espressione soddisfatta.

  Alla paralisi, per il giovane spadaccino fece seguito un dolore a dir poco insopportabile, e mentre la parte bassa della sua maglietta bianca si colorava di rosso lui cadde in ginocchio con il fiato corto.

  «Ma che cosa…»

  «Non temere, non ho colpito organi vitali. Ma la ferita dovrebbe essere più che sufficiente a stenderti».

  Toshio, tremante, si mise la mano sulla pancia, poi, seppur con molta fatica, si rimise nuovamente in piedi, e i due avversari furono nuovamente faccia a faccia. Tadaki era sicuro che un colpo del genere avrebbe rappresentato una sconfitta sicura per il suo avversario, invece, con sua grande sorpresa, anche quella ferita si rimarginò, esattamente come l’altra, e la cosa lo impressionò notevolmente.

  “È incredibile. Malgrado sia così malridotto, riesce ancora a far ricorso ai suoi poteri curativi. Come ci riesce!?”.

  Per un istante, Tadaki ebbe l’impressione di scorgere degli strani segni sul volto del nemico, come una coppia di fiamme che dalle guance gli arrivavano fin sulla fronte, ma prima che potesse scorgerle con precisione Toshio sembrava già in grado di combattere di nuovo.

  «Ora tocca a me».

  Toshio scattò in avanti con una velocità inaudita, e anche se Tadaki riuscì a parare il suo attacco l’urto fu così violento che per poco le ossa dei polsi non gli andarono in pezzi, e in meno di un minuto la situazione sembrò completamente ribaltata; lo spadaccino colpiva come una belva infuriata e con una forza inaudita, per nulla attribuibile ad una persona ferita o comunque non al top delle proprie potenzialità.

  Per lunghissimo tempo Tadaki fu costretto a restare sulla difensiva, ma ormai era solo questione di secondi prima che la sua guardia crollasse definitivamente, lasciandolo scoperto, e alla fine quel momento arrivò; subito dopo aver parato l’ennesimo attacco il giovane studioso cercò di rispondere con un affondo, ma Toshio prima gli afferrò il braccio poi gli diede un calcio violento, facendolo volare come una piuma.

  Tadaki riuscì ad evitare di cadere eseguendo una spettacolare capriola, ma appena tornò coi piedi per terra vide Toshio andargli contro a spada tratta.

  “Non finirà così!”.

  Tutto sembrò svolgersi al rallentatore; dapprima vi fu una luce fortissima, poi, prima di poter colpire, Toshio vide la propria arma cozzare contro la lunga katana impugnata da una ragazza comparsa dal nulla che si era frapposta tra di loro.

  Indossava un kimono da combattimento completamente nero, e sopra di esso una sorta di lunga sopravveste beje aperta sul davanti, con le maniche lunghe e larghe e un collo bianco molto pronunciato; i capelli, di un colore violaceo, erano raccolti sulla nuca in una lunga coda di cavallo, al modo delle donne-guerriere, e gli occhi erano di un blu molto scuro; la cosa più curiosa della sua figura, però, erano le sue orecchie, che avevano la forma di un paio di ali marroncine lunghe una quindicina di centimetri e in quel momento richiuse in stesse.

  Un particolare tanto insolito non poteva che rendere palese la natura di quella ragazza: era sicuramente un famiglio, e la sua reazione fu così rabbiosa che Toshio si vide costretto ad abbandonare lo scontro di forza e ad indietreggiare.

  «Tieni le tue sudice mani lontane da Tadaki-sama!»

  «Ti ringrazio, Touka. Questa volta mi hai davvero salvato.»

  «Tadaki-sama, voi rimanete in disparte. Di lui mi occupo io.»

  «D’accordo, ma non ucciderlo».

  Touka partì alla carica urlando a squarciagola, e Toshio si trovò da subito in grave difficoltà; non solo era un famiglio di classe superiore, ma era anche eccezionalmente abile, tanto da riuscire ad infliggergli, nel corso del duello di spada, due ferite di striscio di una certa rilevanza, una al braccio sinistro e una alla guancia.

  Tadaki assisteva allo scontro senza interferire; il regolamento del torneo infatti vietava scontri impari, e doveva esserci lo stesso numero di guerrieri da ambo le parti, di conseguenza, se il famiglio si intrometteva nel combattimento, il suo padrone, a meno che l’avversario non facesse altrettanto, doveva per forza farsi da parte. Il giovane studioso si domandava come mai anche Toshio non evocasse il suo famiglio, e a questa domanda potevano esserci solo due rispose: o lo spadaccino non disponeva di un famiglio, o le sue condizioni fisiche erano tali da non permetterglielo, visto e considerato che invocare il proprio famiglio, facendolo passare in forma umana da quella animale, richiedeva una quantità di potere magico non indifferente.

  In breve la situazione si ribaltò per la seconda volta, portando le sorti del combattimento decisamente in favore di Tadaki; Touka colpiva con precisione e determinazione, mentre Toshio, sempre più stanco, perdeva concentrazione ogni secondo di più, ritrovandosi sempre più spesso scoperto e vulnerabile agli attacchi.

  Addirittura, entrambe le ferite riportate in precedenza cominciarono a riaprirsi, e la sanguinazione non fece altro che indebolirlo ulteriormente; ormai era solo questione di secondi prima che cedesse del tutto.

  E infatti, ad un certo punto, Touka riuscì ad oltrepassare la sua difesa, sferrandogli un calcio proprio nel punto dove Tadaki lo aveva ferito, aggiungendo dolore al dolore. Toshio sputò sangue, e tutto il suo corpo riprese a tremare, ma non sembrava ancora intenzionato a cedere.

  «Un consiglio, fermati adesso prima che sia tardi.» disse Tadaki «Touka come hai visto non ci va’ troppo per il sottile, e ormai tu sei allo stremo. Se non facciamo qualcosa subito per quelle ferite finirai per morire dissanguato.»

  «Pensa… pensa a farti gli affari tuoi.» rispose Toshio togliendosi con la mano un rivolo di sangue che gli usciva dalla bocca «Decido io… quando fermarmi.»

  «Voi di Nepthys non sapete mai quando è il momento di arrendersi.

  Tutti i tuoi antenati, a quanto ne so, sono usciti dal torneo in due soli modi, o da vincitori o da morti. Non pensi sia ora di interrompere questa triste consuetudine?».

  Toshio non rispose, forse per il fiato corto, forse perché troppo provato dal dolore; il suo sguardo, però, non era certo quello di una persona che si era arresa. Il suo avversario sospirò, sfiorandosi la fronte con le dita.

  «Io non voglio ucciderti, come avrai capito. D’altra parte però, non possiamo neanche portare avanti questa storia all’infinito. Perdonami se mi vedo costretto a ricorrere a sistemi un po’ drastici, ma se è l’unico modo che ho per farti ragionare…

  Touka. Sii persuasiva.»

  «Sì, maestro».

  Il famiglio riprese dunque ad infierire, e da quel momento in avanti la sfida fu tutta a senso unico; Toshio era così malridotto da non riuscire a contrastare in nessun modo gli attacchi dell’avversaria, che seguitava a colpire in modo da procurargli dolore senza ferirlo gravemente.

  Lo spadaccino subì incessantemente, per un paio di minuti, poi, stremato, cadde in ginocchio; la mano che stringeva la spada resisteva a fatica, i capelli erano imperlati di sudore e il sangue gocciolava senza sosta delle numerose ferite disseminate su tutto il corpo.

  Touka cercò di colpire ancora, ma Tadaki la fermò.

  «Basta così.»

  «Ma, mio signore…»

  «Ormai è tanto malconcio che a stento si mantiene cosciente. Non ha scelta, deve arrendersi».

  Nonostante tutto, però, Toshio di arrendersi non voleva saperne, e continuava a stringere l’impugnatura della spada digrignando i denti.

  «Ti… ti ho già detto… che non mi arrenderò… se vuoi vincere… devi uccidermi.»

  “Non credo ai miei occhi.” pensò Tadaki “È in fin di vita, eppure continua a rialzarsi. Cosa può spingere un essere umano a battersi fino a questo punto?

  Non posso ucciderlo. Non me lo perdonerei mai”.

  Era una decisione difficile da prendere, ma ormai il Fuuzetzu, a causa anche delle pessime condizioni di Toshio, si stava esaurendo, quindi non c’era più tempo a disposizione.

  «Ti prego amico, non volermene male, ma non posso permettere a uomini come te di morire giovani.

  Questo mondo in futuro avrà bisogno di gente come te.

  Touka, metti fine all’incontro.»

  «Come ordinate».

  La ragazza, obbedendo al comando, alzò la spada, decisa a vibrare un colpo abbastanza grave da mettere l’avversario definitivamente KO ma non da ucciderlo.

  Toshio non si oppose, quasi si fosse ormai rassegnato, fissando con sguardo perso la katana che si levava altra sopra la testa di Touka. Poi, all’improvviso, con uno scatto rabbioso, sollevò la spada, piantandola con forza fino all’elsa nel petto dell’avversaria proprio un istante prima che il suo attacco partisse.

  Touka restò come pietrificata, con tutti i muscoli tesi allo spasimo, la bocca socchiusa e gli occhi che quasi uscivano dalle orbite; le sue orecchie alate, forse proprio per la tensione muscolare, si aprirono violentemente, e dalla bocca le uscì un fiotto di sangue.

  Nel momento in cui veniva colpita anche Tadaki sembrò accusare un indicibile dolore, stringendosi violentemente il cuore; il circolo magico comparve sotto di lui senza che egli l’avesse chiamato, poi la sua intera struttura andò in pezzi come fosse stata di vetro, scomparendo definitivamente. Anche Touka, un istante dopo, scomparve, trasformandosi in un pulviscolo luminescente e lasciando al suo posto uno splendido esemplare di falchetto riverso a terra apparentemente privo di sensi.

  “No… non posso crederci. È riuscito… a sconfiggere Touka… pur nelle sue condizioni. Ma chi è questo ragazzo?”.

  Subito dopo aver colpito, però, Toshio cadde su di un fianco senza più un briciolo di forze in corpo, e assieme a lui scomparve anche il suo Fuuzetzu; anche la sua spada d’oro, dopo essere caduta tintinnando, svanì nel nulla dopo essere stata avvolta da un tenue bagliore.

  Keita e gli altri, che per tutto il tempo erano rimasti nascosti, solo in quel momento si riebbero dalla specie di trance ipnotica che l’infervorare dello scontro aveva suscitato su di loro.

  «Toshio!»

  «Nadeshiko, aspetta!» disse Keita cercando di andarle dietro con tutti gli altri.

  Vedendo avvicinarsi anche sua sorella Yoshida Tadaki sentì un colpo al cuore che lo fece stare ancor più male di quanto l’incontro non lo avesse ridotto.

  «Kazumi… no… tu no…»

  «Fratello, che sta succedendo? Perché hai ferito quel ragazzo?».

  Lui rispose, ma dopo qualche istante cadde in ginocchio battendo i pugni sul terreno.

  «Perché, perché doveva succede? Perché sei rimasta coinvolta anche tu?

  Avevo promesso a nostra madre di lasciarti fuori da questa storia!»

  «Nostra madre!? Di cosa stai parlando?».

  Keita e i suoi compagni intanto si erano accalcati attorno a Toshio, e fu un sollievo per tutti constatare che le sue non erano poi così gravi, e che lui era semplicemente privo di sensi; lo squarcio infertogli da Tadaki si stava già richiudendo, e le altre ferite non erano infondo nulla di veramente serio, almeno per uno come lui.

  «Tadaki.» disse Keita girandosi verso di lui «Quindi anche tu partecipi al torneo?».

  Il giovane studioso si rialzò in piedi, e riacquistata almeno in apparenza la propria compostezza ripose i propri pugnali nei foderi che aveva dietro la schiena.

  «Il mio nome è Tadaki Yoshida, e rappresento il Clan Yoshida, di cui mio padre è principe reggente, in questo Grande Torneo.»

  «Il Clan Yoshida?» disse Takeru «Esiste ancora oggi?»

  «Non è mai scomparso.

  Ci siamo solo adattati ai tempi. Benché l’antico villaggio abbia ormai perso parte del suo antico splendore, i membri del nostro clan non hanno mai dimenticato le proprie radici. Molti di noi, come mio padre e mia madre, conducono una vita normale nel mondo di tutti i giorni, ma quando ce n’è bisogno torniamo ad essere i guerrieri di sempre.»

  «Io non sapevo niente di tutta questa storia.» disse Yoshida

  «I nostri genitori avevano deciso di non dirti niente fino a che non fosse stato necessario che tu sapessi. In periodi come questi, è molto meglio che le persone a conoscenza della verità sul grande torneo e sulla vita segreta del Clan Yoshida siano il meno possibile».

  La discussione venne bruscamente interrotta nel momento in cui tutto intorno al gruppo di amici cominciarono a comparire degli strani ed inquietanti cumuli di vapore nero; quando si diradarono, al loro posto erano comparsi degli inquietanti individui in nero che sembravano indossare delle armature.

  I polsi erano muniti di una sorta di marchingegno dai quali spuntavano tre artigli metallici lunghi un’ottantina di centimetri, mentre gli elmi, che nascondevano completamente i loro volti, avevano un solo foro, che però brillava di una strana luce gialla piuttosto che lasciar intravedere l’occhio sotto di esso.

  «Ehm, signori?» disse Shinji con incredibile tranquillità «Non vorrei fare la parte del pessimista del gruppo, ma abbiamo visite».

  I ragazzi si portarono istintivamente schiena contro schiena, Tadaki mise nuovamente mano ai suoi pugnali e Takeru sfoderò la sua spada.

  «Chi diavolo sono questi?» domandò quest’ultimo

  «I servitori di Seth.» rispose Tadaki «O meglio, i servitori dei servitori.»

  «E immagino non siano qui per fare amicizia.» commentò Shinji col solito tono scherzoso «Va’ bene, in tal caso…».

  La noncuranza con cui sia lui che Takeru materializzarono i rispettivi circoli magici fu a dir poco disarmante, e lasciò sia Keita che Nadeshiko completamente senza fiato.

  Il circolo di Takeru brillava di color lilla e vi erano raffigurati i kanji della parola Spada; quello di Shinji, invece, più che un cerchio era un triangolo verde scuro con sfumature nerastre, simboli arcani riportati un po’ ovunque e tre grandi circoli sulla sommità di ogni angolo.

  “Hanno invocato il loro circolo senza alcuna difficoltà!” pensò Keita, memore della fatica che invece aveva dovuto fare lui per riuscirci, oltretutto senza volerlo.

  Gli venne da domandarsi come fosse stato possibile; forse era merito del duro allenamento al quale entrambi si sottoponevano quotidianamente in Giappone, uno nel kendo l’altro nel karate, o forse semplicemente non avevano paura della loro magia, e per questo non esitavano a tentare di usarla.

  Al comando di Tadaki i tre ragazzi partirono all’attacco in tre diverse direzioni, formando una barriera impenetrabile attorno alle ragazze, a Toshio e a Touka, entrambi ancora privi di sensi.

  Mentre Takeru sembrava aver acquistato una forza straordinaria, schivando e colpendo con terrificante prencisione, Shinji invece si spostava ad una velocità considerevole, sferrando calci così potenti da spaccare gli artigli di metallo degli aggressori come fossero stati di marzapane.

  I corpi dei nemici erano davvero strani; se venivano colpiti in superficie non parevano accusare nessun danno, ma se invece si tranciava l’armatura che li proteggeva dall’interno giungevano come delle scariche elettriche, e loro dopo, poco, esplodevano, come fossero stati dei robot.

  Keita avrebbe voluto partecipare a sua volta allo scontro, ma per quanto si sforzasse non gli riusciva in alcun modo né di materializzare il proprio circolo magico né di far comparire nuovamente la spada impugnata quella mattina.

  “Perché? Perché non ci riesco?”.

  Era così assorto dal pensiero di voler fare qualcosa per proteggere Yoshida e Nadeshiko da dimenticare di guardarsi le spalle, e uno degli assalitori immediatamente ne approfittò, correndogli contro.

  «Keita, attento!» gridò Nadeshiko.

  Lui si girò, e altrettanto fecero gli altri, ma nella foga dello scontro nessuno sembrava in grado di portargli soccorso; il ragazzino era così terrorizzato che non gli riuscì neppure di chiudere gli occhi, ma un secondo prima che l’aggressore lo colpisse una figura nera comparve da sinistra e colpì lui in pieno con un calcio micidiale che lo sparò letteralmente contro la parete della chiesa.

  Sbigottito, Keita alzò lo sguardo, incrociando quello di Lotte, che gli fece un sorriso infantile.

  «Gra… grazie.»

  «Ci sei andato vicino, ammettilo».

  Subito dietro di lei arrivò anche Aria, che paratasi in difesa di Nadeshiko e Yoshida alzò il braccio davanti a sé, generando un piccolo circolo magico dal quale partirono una piccola quantità di sfere bianche che disintegrarono un nemico che aveva cercato a sua volta di aggredire le due ragazze.

  «Lasciateli a me, ci penso io!».

  La nuova arrivata distese a quel punto entrambe le braccia creando un secondo circolo magico, questa volta sotto i suoi piedi e di dimensioni colossali, grande abbastanza da poter ricoprire l’intera piazza. Tutti gli assalitori si ritrovarono come intrappolati al suo interno, e prima che potessero tentare la fuga delle colonne di luce sprigionatesi dal basso li avvolsero, distruggendoli tutti senza possibilità di scampo.

  Tornata la calma, venne il momento delle presentazioni.

  «E voi chi sareste?» domandò Tadaki

  «Non lo immagini?» rispose Aria «Noi siamo i famigli gemelli di Toshio.»

  «I suoi famigli!? Ma come fate a restare in forma umana se lui è privo di sensi?»

  «Noi siamo speciali, se così si può dire. Abbiamo dentro di noi una piccola quantità di energia che ci permette di vivere autonomamente per brevi periodi di tempo

  «Ehi Aria, Toshi-kun è messo piuttosto male.» disse Lotte, inginocchiata accanto a Toshio

  «Non è prudente rimanere qui.» disse Shinji «Portiamolo da Padre Andersen. Lì sarà al sicuro».

 

Keita e tutti gli altri non potevano sapere che, mentre loro parlavano, qualcuno seguiva per filo e per segno ogni loro parola e ogni loro azione.

  Attraverso gli occhi scintillanti di rosso di una civetta, appollaiata sulla cima della chiesa, Johan osservava tutto ciò che accadeva nella piazza di Venezia da un circolo magico tracciato sul pavimento della sfarzosa sala da ballo, comodamente seduto alla poltrona d’oro e velluto pregiato posta sopra un piano rialzato e destinata da sempre al capo della famiglia Von Karma.

  Malgrado tutte le luci fossero spente la maestosità della stanza risplendeva in tutta la sua grandezza, e anzi la luce della luna che filtrava dai grandi finestroni gotici contribuiva a rendere ancor più magica la sua atmosfera.

  Gli affreschi di cui le pareti e il soffitto erano rivestiti, illuminati da quel tenue chiarore, sembravano acquistare una vita propria, a dimostrazione della bravura con la quale erano stati eseguiti; sulle pareti capeggiavano immagini di eroi e divinità del periodo classico, sul soffitto invece torreggiava una splendida raffigurazione di un paesaggio paradisiaco, con un fittissimo stormo di nuvole e di angeli a fare da contorno al carro d’oro tirato da due cavalli e guidato da quella che aveva tutta l’aria di essere una valkyria.

  Johan non era solo.

  Assieme a lui, oltre a Franziska e Anubis, c’era anche una giovane donna di carnagione piuttosto scura che indossava un abito bianco lungo e leggero; aveva lunghi capelli neri, occhi ambrati e un paio di orecchie di natura probabilmente canina, chiara testimonianza della sua natura di famiglio.

  «Peccato sia già finito.» disse Johan strofinando con due dita una ciocca di capelli «Cominciava quasi a divertirmi.»

  «Mio signore. Ti chiedo umilmente perdono per questo fallimento.»

  «Non hai alcun motivo per scusarti, Anubis. Non mi aspettavo certo che quel manipolo di soldati risultasse sufficiente a rappresentare una minaccia per guerrieri di tale calibro.

  Ma sono rimasto sorpreso dal vedere Keita e gli altri. L’ultima cosa che mi sarei aspettato era di veder comparire loro.»

  «Mio signore, voi conoscete quegli esseri umani?» domandò la ragazza scura

  «Credevo di sì, ma a quanto pare hanno dimostrato di possedere delle potenzialità nascoste.

  Ammetto che la cosa mi incuriosisce non poco.»

  «Volete che prendiamo provvedimenti?» chiese Anubis

  «Al tempo, amico mio. Non c’è fretta, per ora. Quando sarà il momento ci occuperemo anche di loro.»

  «Come tu desideri.»

  «Ah, e mi raccomando. Non fate del male a Nadeshiko. Lei è… speciale».

  L’immagine nel cerchio allora cambiò, mostrando Nadeshiko che aiutava Keita a trasportare un Toshio ancora svenuto sorreggendolo da un lato.

  «Bellissima.» disse Johan accennando un sorriso, che divenne ancor più palese quando una sensazione famigliare gli attraversò il corpo.

  «Eccoli, finalmente. Si sono fatti attendere».

  In quella, al centro della sala, si formarono sette colonne di luce di differente colore dalle quali uscirono altrettante persone, sei donne e un uomo, tutti di età apparente fra i tredici e i venticinque anni.

  Vi erano tra ragazze vestite in modo strano, alla maniera della Polinesia folkloristica, con gonne strette e lunghe, fasce pettorali e dei gilè senza maniche, oltre ad una certa quantità di gioielli. Tanto l’uguaglianza nel vestire quanto la somiglianza dei tratti somatici lasciavano intendere che fossero tre sorelle, anche se la loro carnagione chiara di certo gettava dei dubbi sul fatto che le loro origini fossero da ricercarsi realmente nel sud Pacifico.

  La più piccola, che doveva avere sui tredici anni, aveva capelli neri piuttosto lunghi, occhi dorati e l’espressione leggermente malevola; la mezzana, sulla quindicina, i capelli li aveva corti, di un colore rosso acceso, e dal suo sguardo zaffiro traspirava determinazione; la più grande invece, che di anni doveva averne almeno ventuno, portava una lunga chioma castana e stupendi occhi rossi in cui si poteva intravedere uno spirito saggio e severo.

  Accanto a loro c’erano altre due persone dai tratti somatici piuttosto simili, un ragazzo e una ragazza, entrambi coi capelli marrone scuro e gli occhi rossi. Lui vestiva di bianco, fatta eccezione per le scarpe e la camicia, entrambi neri; la chioma corta leggermente protesa in avanti e l’espressione enigmatica rendevano il suo viso estremamente attraente, ma velato da una cert’aria di minaccia. Lei invece, al contrario, vestiva con un abito interamente nero, molto simile ad una divisa scolastica che lasciava scoperte le gambe poco sopra il ginocchio; i suoi capelli erano lunghi, e raggiungevano la base della schiena, nascondendo anche parte del viso fra le lunghe frange; c’era qualcosa di raggelante, qualcosa di oscuro nei suoi occhi, che scintillavano di malignità, e il suo viso all’apparenza così carino era piegato in una sorta di sadico sorriso.

  C’era poi una giovane ragazza sui vent’anni dal portamento nobile, vestita interamente con un abito blu sormontato da alcune parti di armatura, una corazza, un paio di guanti e degli stivali d’argento, questi ultimi parzialmente nascosti sotto le pieghe della gonna. Gli occhi, blu, brillavano come pietre preziose, e i capelli biondi erano elegantemente raccolti dietro la nuca alla maniera delle nobildonne medievali.

  Infine, davanti a questi sei, che stavano l’uno accanto all’altro di fronte alla poltrona, vi era una donna abbigliata come una maga, con un abito lungo viola, un mantello nero con il cappuccio, in quel momento abbassato, e due ampi risvolti sul davanti, scarpe con un tacco leggero e guanti neri che arrivavano poco oltre il gomito. Aveva lunghi capelli color lilla che ricadevano sia all’indietro che sulle spalle, coprendo quasi interamente la parte sinistra del viso, e occhi dello stesso colore. In mano stingeva un lungo scettro, apparentemente di legno, sormontato da un effige dorata a forma di mezzaluna.

  «Bene arrivati.» disse Johan guardandoli e sorridendo «Vi stavo aspettando».

  La donna dai capelli viola si inginocchiò, e subito tutti gli altri la imitarono.

  «Nobile Seth. I tuoi servitori si dispongono ai tuoi ordini».

  Ognuno dei nuovi arrivati a quel punto si presentò, enunciando sia il proprio nome sia quello della persona che costituiva la sua nuova incarnazione, e che avevano usato fino al momento in cui le due metà dei loro spiriti si erano ricongiunte, permettendogli di ricordare la verità sulle loro vere origini; la prima fu la più piccola delle tre sorelle.

  «Yuuhi di Atropo.»

  «Ushio di Cloto.» disse la mezzana

  «Minami di Lachesi».

  Poi fu il turno degli altri due fratelli.

  «Kaname di Hypnos.»

  «Yuuki di Thanatos».

  Dopo di loro si presentò la donna in blu.

  «Selveria di Sigfrida

  «E io» disse la donna dai capelli viola «Lainay di Nepthys

  «Vi do il bentornato in questo mondo, miei compagni di un tempo.» disse Johan «Dopo millenni di attesa e di sofferenza, è giunto per tutti noi il momento di portare a termine l’opera intrapresa all’alba della storia.

  Noi epureremo questo mondo da tutti i suoi mali, riportandolo fra le braccia della giustizia.

  Tutti coloro che sceglieranno di seguirci saranno trattati da amici e premiati con la promessa di un futuro radioso; coloro che si opporranno, invece, saranno spazzati via, cosicché l’ingordigia e l’ipocrisia che da sempre regnano sovrane tra gli esseri umani siano epurate per sempre!».

 

Nota dell’Autore

Salve Salve!

Credevo che mi ci sarebbe voluto molto più tempo per aggiornare ancora, ma fortunatamente mi sono ritrovato con un inaspettato periodo di riposo e ho deciso di sfruttarlo al meglio.

Questo capitolo, che ho scritto praticamente di getto, è il penultimo della prima parte della storia, che a partire dal numero 7 comincerà ad andare un po’ più a briglia sciolta.

Ah, e un’altra cosa. Con questo capitolo ho realizzato ormai quasi tutti i cross-over che avevo in mente di inserire all’interno della storia, e da questo momento parte ufficialmente la gara per cercare di indovinare quali siano e da dove provengano; ovviamente, chi li ha saputi da me (qualcuno a caso^_^) non può prendervi parte (non vogliatemene male). Per cercare di uscire un po’ dalla quotidianità sono andato a spulciare da fonti di ispirazione secondarie, difficili da riconoscere per chi non sia un vero appassionato, ma non si sa mai.

Ringrazio i miei recensori, Selly, Akita, Cleo92 e Lewsky.

A presto^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 7
*** Destini Incrociati ***


6

6

 

 

Toshio era davvero convinto di essere morto, e mai avrebbe immaginato, riaprendo gli occhi, di vedere ancora una volta il mondo dei vivi.

  Al suo risveglio, la prima cosa che vide fu il crocefisso che pendeva dalla parete della camera da letto di Padre Andersen.

  Ma allora… sono ancora vivo…”.

  Il giovane spadaccino era disteso sul letto del parroco, e prima ancora di potersi rendere conto delle sue condizione un dolore molto forte lo attraversò da parte a parte; lo scontro della notte prima lo aveva molto provato, e aveva varie fasciature disseminate su tutto il corpo.

  A giudicare dai raggi di sole che filtravano dalla finestra socchiusa doveva essere già giorno fatto, e giratosi per cercare di scorgere la sveglia Toshio si accorse di non essere solo; a poca distanza da lui, addormentata su una sedia, c’era Nadeshiko, e sul comodino accanto a lei erano ammucchiati tutta una serie di bendaggi e medicinali usati probabilmente da Padre Andersen e da lei stessa per curare le sue ferite.

  Non appena Toshio incrociò il suo volto, ogni cosa, ogni proposito, ogni pensiero venne immediatamente cancellato; nuovamente, vedendole, la stessa sensazione che aveva provato dopo averla incontrata all’imbarcadero due giorni prima tornò a farsi sentire, più forte e insistente di prima, sottoforma di uno strano calore al petto.

  Non sapeva perché, ma in quel momento, quando l’aveva toccata così, per puro caso, aveva avuto fin da subito la sensazione di averla già vista, di conoscerla da sempre. Eppure, era sicuro di non averla mai vista prima di quel momento.

  Forse il motivo era dovuto alla sua unicità, la stessa che la accomunava ai suoi compagni di viaggio.

  Suo padre lo diceva sempre, le coincidenze sono un evento raro: forse c’era un motivo preciso se quei quattro ragazzi erano rimasti coinvolti nel grande torneo; forse il fato aveva riservato loro un compito speciale da portare a termine.

  Guardandola in volto, vedendo quei suoi lineamenti così aggraziati e gentili, non riuscì a non pensare che fosse una ragazza bellissima, e l’altruismo che aveva dimostrato in più di un’occasione era ammirevole; una come lei dalla vita meritava di avere tutto, e Toshio si domandava di cosa sarebbe stata capace se un giorno qualcuno le avesse insegnato ad avere il controllo della sua magia.

  Malgrado in quel momento fosse stato allo stremo delle forze, in bilico tra il raziocinio e la perdita dei sensi, anche lui aveva visto il circolo magico della ragazza che Atarus aveva fatto comparire la sera del suo primo scontro.

  Un fatto risaputo tra i maghi e gli stregoni era che vi erano dei simboli universali fra quelli che si materializzavano all’interno di un circolo magico, e l’eventuale presenza di uno di questi lasciava intendere quale tipo di magia una persona era maggiormente portata a padroneggiare. Come raccontato in molte storie fantasy e romanzi d’avventura esistevano tre tipi di potere magico: la magia d’attacco, quella da difesa e quella da supporto.

  La falce lunare comparsa nel circolo magico di Nadeshiko faceva rientrare la sua magia nella terza categoria, la magia di supporto, che pur non essendo fondata né sull’attacco né sulla difesa permetteva l’uso di un vasto arsenale di incantesimi che, se ben utilizzati, potevano risultare devastanti su entrambi i fronti.

  D’un tratto, proprio mentre la stava osservando, la ragazza si svegliò, aprendo i suoi bellissimi occhi verdi.

  «Toshio.» gli disse appena riuscì a fare mente locale «Sei sveglio. Non me ne ero accorta.»

  «Per quanto ho perso i sensi?»

  «Hai dormito per almeno dodici ore. Avevi bisogno di riposo.»

  «Ma… che ore sono?».

  Nadeshiko diede allora uno sguardo al suo orologio.

  «Quasi le quattro del pomeriggio».

  Di nuovo tacquero, poi Toshio tornò ad assumere la sua espressione fosca.

  «Perché siete rimasti? Vi avevo detto di andarvene.»

  «Bel ringraziamento per averti salvato la vita!» replicò Nadeshiko fingendosi offesa «Hai idea di quello che è successo dopo che sei svenuto?

  I servitori di Seth ci hanno attaccati subito dopo che il tuo Fuuzetzu si è sciolto.»

  «Come hai detto!?» esclamò il ragazzo balzando a sedere sul letto.

  Il suo movimento però fu troppo brusco, ed ebbe come risultato un dolore lancinante allo stomaco che lo fece tremare e mugugnare.

  «Maledizione…»

  «Non sforzarti.» gli disse Nadeshiko cercando invano di farlo distendere nuovamente «Sei ancora molto debole, e le ferite potrebbero riaprirsi.»

  «I servitori di Seth… vi hanno attaccato?»

  «Sì, è così. Fortunatamente siamo riusciti a respingerli, grazie anche all’aiuto di Tadaki e dei tuoi famigli.»

  «Tadaki!?».

  Solo allora Toshio si ricordò del suo avversario, quello che per poco non gli aveva fatto la pelle, e che a quanto pare non aveva fatto in tempo ad infliggergli il colpo di grazia, sbattendolo fuori dal torneo.

  «Dov’è Tadaki adesso?»

  «Sta tenendo una lezione privata.» rispose Padre Andersen entrando nella camera «Tornerà fra qualche ora.»

  «Padre Andersen.» disse Nadeshiko.

  Il religioso si avvicinò al letto, guardando Toshio con espressione di severo rimprovero; il ragazzo abbassò lo sguardo.

  «Cosa ti avevo detto riguardo ai colpi di testa? Voler combattere nelle tue condizioni è stato un azzardo imperdonabile, che avrebbe anche potuto costarti la vita.»

  «Io… mi dispiace…»

  «Ringrazia il cielo di esserti confrontato con un avversario per il quale l’onore e il rispetto vengono prima di tutto. Se al suo posto ci fosse stato Atarus, a quest’ora saresti già all’altro mondo».

  Toshio ne era consapevole, e si vergognava profondamente di stesso.

  Già il suo esordio nel torneo non era stato dei più brillanti, ma subire due sconfitte consecutive ed uscirne quasi indenne e ancora in gara solo grazie all’intervento della buona sorte lo faceva sentire un vero incompetente, indegno di proseguire la strada tracciata dai suoi valorosi antenati, che si erano sempre distinti per il loro valore e la ferrea volontà di continuare a combattere fino alla fine.

  «Per i prossimi due giorni dovrai astenerti da qualunque combattimento.» proseguì Padre Andersen, che poi assunse un’espressione più gentile ed amichevole «Quando tornerai a combattere dovrai dimostrare una volta per tutte la forza della tua tribù».

  Toshio lo fissò stranito e, per la prima volta in via sua, commosso.

  «È una grande responsabilità, e mi aspetto che tu la porti a termine.»

  «G… grazie».

  Il parroco a quel punto li lasciò nuovamente soli pregando Nadeshiko di tenere d’occhio Toshio ancora un altro po’, almeno fino a quando le ferite più superficiali non si fossero completamente rimarginate.

  Per lungo tempo i due restarono in silenzio, immersi ognuno nei propri pensieri, poi Nadeshiko, stringendo i pugni, decise di fare la prima mossa, probabilmente perché dentro di sé era convinta che quella fosse l’occasione migliore per avanzare una simile richiesta.

  «Toshio, senti. C’è una cosa… di cui volevo parlarti».

  Lui, che aveva gli occhi piantati sulla coperta, si girò verso di lei.

  «Ovvero?»

  «Ecco… a dire il vero. Io e gli altri abbiamo parlato tra di noi la notte scorsa.

  Noi, ecco… avremmo deciso che…» poi disse, tutto d’un fiato, e con maggior decisione «Se per te non è un problema, vorremmo accompagnarti nel tuo viaggio».

  Di nuovo, Toshio restò in silenzio, osservandola coi suoi occhi severi, senza però dar segno di voler rispondere in qualche modo. Nadeshiko, subito dopo aver parlato, cominciò a pentirsi di ciò che aveva appena fatto, e si aspettava un secco rifiuto.

  In fin dei conti, che diritto avevano di immischiarsi nei suoi affari, imbarcandosi in un’impresa che almeno in quel momento andava ben al di là delle loro possibilità?

  «Per quale motivo vorreste fare una cosa del genere?» domandò il ragazzo tornando a fissare il letto.

  Non lo si poteva certo definire un sì, ma tanto la domanda che il tono con la quale era stata posta lasciarono Nadeshiko inizialmente interdetta; dopo qualche istante, però, decise di dire le cose come stavano, senza inutili giri di parole. Per qualche motivo che non si sapeva spiegare nutriva profonda fiducia in quel ragazzo che conosceva solo da pochi giorni, e sentiva di poter essere sincera.

  «Fino ad oggi tutti noi abbiamo sempre vissuto le nostre vite nell’anonimato.

  Per tutto il tempo che siamo stati insieme, non abbiamo mai fatto nulla di veramente importante. Anche se ci siamo sforzati a lungo di sembrare uguali agli altri, io, Shinji e Keita abbiamo sempre avuto qualcosa che ci rendeva diversi, e nella nostra città eravamo quasi sempre trattati con sospetto. Passavamo così tanto tempo a cercare di sembrare come gli altri che abbiamo finito per sprecare il tempo trascorso finora.

  Dopo aver incontrato te e Atarus, aver saputo del torneo, e dei circoli magici che a quanto pare possediamo, per la prima in vita nostra ci siamo sentiti parte di qualcosa di importante.

  Questo torneo, questa guerra che voi combattete, ha come fine ultimo la salvezza di questo mondo.

  Se è così, noi abbiamo il dovere di fare la nostra parte. Nessuno di noi vuole più fare la parte del semplice spettatore».

  Toshio chiuse gli occhi, all’apparenza indifferente al discorso della ragazza, poi, con aria di concentrazione, distese il braccio destro, e dopo pochi istanti la sua spada d’oro gli comparve in mano allo stesso modo in cui era sparita la notte prima.

  «Potreste anche perdere la vita. Questa non è la vostra guerra.»

  «Seth è tornato in questo mondo per sottometterlo. Direi che questa è la guerra di tutti».

  Il ragazzo, di fronte alla determinazione di Nadeshiko, per la prima volta in volta sua si sentì interdetto, e incapace di controbattere. Bastava guardarla negl’occhi per capire che parlava sul serio, e che quella decisione lei e i suoi compagni non l’avevano presa alla leggera.

  Avevano visto coi loro occhi quanto poteva essere pericoloso il torneo, e se Padre Andersen aveva spiegato loro cosa realmente fosse l’eclisse dell’altra notte sapevano che la situazione da lì in avanti avrebbe potuto solamente peggiorare; eppure, malgrado tutto, volevano ugualmente combattere.

  Qualcuno l’avrebbe chiamata follia, lui invece sentiva di volerla chiamare determinazione; ciò nonostante, non riuscì a trovare il coraggio per una qualsiasi risposta, anche se per Nadeshiko lasciare la stanza senza aver ricevuto un rifiuto fu almeno sufficiente per farla sperare.

 

Quando Tadaki fece ritorno alla chiesa, qualche ora dopo, Toshio chiese e ottenne di poter restare da solo con lui.

  I due per i primi minuti non si parlarono, limitandosi a scambiarsi degli sguardi.

  «Confesso di essere rimasto sorpreso.» disse ad un certo punto Tadaki «Non avrei mai immaginato che tu possedessi una simile resistenza. Molti altri nelle tue condizioni avrebbero gettato la spugna.»

  «Te l’ho detto, non sono tipo da arrendermi facilmente.»

  «Me ne sono accorto. L’ultima cosa che mi aspettavo era che nelle tue condizioni riuscissi a sconfiggere una come Touka».

  Toshio tornò con la mente a quel momento, rievocando l’attimo esatto in cui aveva usato quanto restava della sua forza per trafiggere il famiglio dell’avversario e farlo ritornare alla sua forma animale.

  «Come sta?»

  «Sopravvivrà. Quella ragazza è dura a morire.»

  «Il tuo legame con lei era particolarmente forte. Sconfiggendola, sono riuscito a rompere il tuo circolo magico.»

  «Già, infatti. Noi del Clan Yoshida non abbiamo mai dato grande importanza alla magia. Il potere magico ci serve unicamente a evocare e controllare i nostri famigli, e visto che non disponiamo di circoli magici molto potenti l’unico modo per mantenerli in forma umana è avere con loro un contatto costante.

  Piuttosto, sono rimasto molto colpito da quelle due gemelle. Non avrei mai creduto possibile che un famiglio potesse mantenersi in forma umana anche quando il suo padrone è privo di sensi.»

  «Mio padre ha sempre nutrito particolare interesse per i famigli, e sono ormai più di cinquant’anni che studia e perfeziona le arti di invocazione.

  Aria e Lotte sono state una sua creazione. Le ha plasmate poco prima che avesse inizio il torneo.»

  «È anche merito loro se siamo riusciti a cavarcela senza troppi problemi contro quei soldati al sevizio di Seth».

  La rievocazione di quanto accaduto poco prima fece inevitabilmente venire alla luce un’atmosfera più cupa e pesante di prima.

  «Ha fatto la sua mossa molto prima di quanto il consiglio si aspettasse.» disse Toshio

  «Così pare. Probabilmente il fatto che fosse già in possesso del Libro dell’Oscurità ha facilitato il suo risveglio.»

  «La situazione al momento è veramente difficile. Al momento Seth può contare su tutto ciò di cui disponeva all’epoca della sua prima venuta. Ha il libro, la sua spada e un esercito di servitori che la pensano come lui».

  Toshio si girò quindi verso Tadaki.

  «Perché hai portato tua sorella in mezzo ad un simile caos?».

  Tadaki si morse il labbro, mettendosi apposto gli occhiali, poi distolse lo sguardo.

  «Non ho avuto altra scelta. Purtroppo, in questo momento, Seth e il torneo rischiano di non essere i soli problemi ai quali dobbiamo pensare.

  Forse l’hai saputo anche tu, ma da tempo si respira una strana aria fra i sette popoli guardiani. C’è chi parla di un complotto segreto volto a sovvertire il potere all’interno di tutti i nostri villaggi.»

  «Sì, è giunta anche a me questa voce.

  Mio padre è molto preoccupato, e a giorni se non sbaglio dovrebbe incontrarsi con alcuni degli altri capi.»

  «Al momento vi è grande agitazione nel Clan Yoshida. Il nostro capo sta andando incontro ad un rapido declino fisico che potrebbe ucciderlo in qualunque momento, e non avendo figli a cui passare il comando il posto di leader sarebbe preso da mio padre.

  Se le voci sull’esistenza del complotto fossero vere la mia famiglia potrebbe essere in grave pericolo, quindi, per tenere Kazumi al sicuro, mio padre ha deciso di mandarla qui, dove si svolge il torneo, e dove sarebbe stato difficile per chiunque tramare contro di lei.»

  «Ma anche questo non è certamente un posto sicuro. A meno di non porre subito un freno al potere di Seth, entro breve tempo l’Europa potrebbe trasformarsi in uno sterminato campo di battaglia.»

  «Conosco bene i pericoli che corre. È stato difficile prendere una decisione, ma se mio padre diventasse il nuovo capo del Clan Yoshida Kazumi sarebbe circondata di nemici invisibili e pericolosi.»

  «Anche questo è vero».

  Vi fu un nuovo silenzio, poi fu Toshio a parlare.

  «Ora che farai?».

  Tadaki guardò fuori dalla finestra.

  «Ormai qui non ho più nulla da fare. Gli altri due guerrieri che sostavano in questa città se ne sono già andati. In questo momento Touka sta tenendo d’occhio la ragazza che mi ha aggredito la scorsa notte; sembra sia diretta a Parigi, quindi penso che andrò lì.»

  «Porterai anche tua sorella?»

  «Naturalmente. Averla vicino è il modo migliore per tenerla d’occhio. Tu invece che progetti hai?».

  Lo spadaccino non rispose, fissando il vuoto con aria pensierosa.

  «Quei ragazzi… hanno chiesto di venire con me».

  Tadaki non sembrò eccessivamente sorpreso, e di nuovo si sistemò gli occhiali, sorridendo leggermente.

  «Non vedo perché no.

  Come hai detto tu questa sarà una guerra all’ultimo sangue, e avremo bisogno di tutto l’aiuto possibile per sperare di uscirne vincitori.

  Indubbiamente la loro magia potrebbe tornare utile, ma avrà bisogno di essere affinata.

  Che ne dici di portarli da Izumi?»

  «Izumi? Credevo che fosse in missione.»

  «È ritornata».

  Toshio ci pensò un momento; forse anche a lui non avrebbe fatto male prendere qualche lezione, visto come erano andati i suoi primi due incontri. Mettersi nelle mani di un bravo maestro poteva essere la cosa migliore da fare in quella situazione.

  «Forse hai ragione tu.»

  «Dammi retta amico mio, quei ragazzi rischiano di essere più determinati di quanto tu possa immaginare.

  Io non prenderei la loro alleanza troppo alla leggera».

 

Due giorni dopo, alla stazione ferroviaria di Venezia, era il momento dei saluti.

  Da una parte, Tadaki Yoshida e sua sorella Kazumi, dall’altra Toshio, con al seguito, oltre ad Aria e Lotte, nuovamente in forma felina, quattro inattesi compagni di viaggio.

  «Beh, qui le nostre strade si dividono, almeno per un po’.» disse Tadaki

  «Così sembrerebbe.»

  «Ho contattato Izumi ieri sera, e l’ho informata del vostro arrivo. Vi aspetta nel suo negozio.»

  «Grazie dell’aiuto.»

  «Figurati, non c’è di che. Ricordati solo che semmai ci incontreremo ancora, sarà da avversari.»

  «Non lo dimenticherò, sta tranquillo. E ti conviene prepararti, perché la prossima volta sarò al massimo delle mie potenzialità.»

  «Vale lo stesso per me».

  Entrambi sorrisero, quindi si strinsero vigorosamente le mani.

  «È stato un piacere conoscerti, Toshio.»

  «Anche per me. Alla prossima».

  Kazumi nel frattempo salutava calorosamente i suoi amici, soprattutto Nadeshiko.

  «Mi raccomando, abbiate cura di voi.»

  «Grazie, anche tu.» rispose Keita «E tieni d’occhio tuo fratello.»

  «Lo farò».

  La ragazza si girò verso Takeru, che solo in quel momento pensò di degnarla di uno sguardo, uno sguardo che naturalmente la fece immediatamente arrossire.

  «Ecco… buona fortuna anche a te… spero di rivederti un giorno.»

  «Grazie.» fu la sua sola risposta, pronunciata con un filo di voce e un tono parecchio disinteressato.

  In quella l’altoparlante della stazione annunciò l’imminente partenza di un treno.

  «Si avvisano i passeggeri che l’Eurostar 2319 diretto a Parigi partirà tra cinque minuti.»

  «Beh… è ora di andare.» disse Yoshida raccogliendo il suo bagaglio.

  Lei e Nadeshiko si guardarono, poi Kazumi andò da lei e la abbracciò.

  «Ti prego amica mia, fa attenzione.»

  «Grazie, Kazumi.

  Non temere, ci rivedremo presto. Vai ora».

  Calmate un po’ le proprie insicurezze la ragazza recuperò nuovamente la valigia e seguì il fratello dall’altro capo della stazione, dove li attendeva il treno che li avrebbe condotti alla loro destinazione successiva. Anche Keita e gli altri, dopo poco, furono messi in allerta da un annuncio dell’altoparlante.

  «Il treno Eurostar 9012 diretto a Zurigo partirà fra cinque minuti. I passeggeri sono pregati di salire a bordo.»

  «Ci siamo ragazzi.» disse Shinji «Inizia l’avventura».

  Ognuno, con in spalla il proprio bagaglio, salì dunque sul treno che li avrebbe condotti alla prima tappa del loro inaspettato viaggio attraverso l’Europa; mentre percorrevano nuovamente il ponte che collegava Venezia alla terraferma, stavolta nella direzione opposta, qualcuno di loro si domandava come avesse potuto finire così, ripensando magari a quando avevano fatto quel tragitto per la prima volta, con la testa piena di sogni e di aspettative per un’avventura che già dai suoi esordi si era rivelata molto più grande di quanto chiunque avesse potuto immaginare.

 

Nepthys, la città capitale dell’omonima tribù, sorgeva nel bel mezzo del nulla, da qualche parte nello sterminato deserto del Sahara, al confine tra la Libia e il Ciad.

  Da migliaia di anni le sue mura bianchissime su cui ardevano, durante la notte, decine di bracieri, erano un faro che illuminava la strada delle carovane che dall’Africa Nera si spostavano fino alle coste del Mediterraneo cariche di ogni sorta di ricchezza.

  La fertilità della grande oasi nella quale sorgeva, unita al fatto di costituire un crocevia conosciutissimo e importantissimo per le rotte carovaniere, avevano reso Nepthys una città ricchissima, traboccante di splendore, ma ancora saldamente ancorata alle proprie, antichissime origini.

  Fondata dagli antichi faraoni, da cinquemila anni si stagliava fra le dune in tutta la sua grandezza, incutendo timore e rispetto in chiunque varcasse i suoi cancelli.

  Malgrado sorgesse all’interno di uno stato riconosciuto Nepthys era praticamente una realtà a sé stante, con una propria economia e un proprio sistema politico. In cima alla piramide sociale svettava il nobile Akunator, ultimo discendente degli antichi edificatori della città; subito dietro di lui veniva il suo parente più prossimo, suo cugino Zervan, il Gran Visir; vi era poi il Gran Consiglio, formato dai capi delle cinque famiglie nobili, ognuna delle quali amministrava uno degli altrettanti quartieri in cui era suddivisa Nepthys, che contava al suo interno più di 150 mila abitanti.

  Fin dall’istituzione del grande torneo gli spadaccini di Nepthys si erano distinti per il loro valore, vincendo la competizione più di una volta e riuscendo sempre a sconfiggere Seth ad ogni sua resurrezione. Per loro non esistevano non conoscevano vie di mezzo: o vincevano o morivano. Tornare da sconfitti non era un’opzione.

  Nessuno conosceva bene le circostanze con cui veniva scelto il rappresentante della città nel grande torneo, ma una cosa era certa; apparteneva sempre e comune alla nobiltà. Veniva selezionato già al momento della nascita, e fino al momento fatidico conduceva una vita da recluso, venendo presentato ufficialmente al popolo due o tre anni prima dell’inizio della competizione.

  Il partecipante di quell’anno era nientemeno che il figlio adottivo del re Akunator, Toshio, scelto fra tanti possibili eletti in virtù del suo valore e delle sue straordinarie capacità di guerriero.

  Fino a quel momento che l’eletto fosse un membro della famiglia reale era stato un evento molto raro, e da quando il torneo aveva avuto inizio Akunator trascorreva un sacco di tempo nel grande tempio del palazzo reale, lo stesso in cui aveva consegnato a suo figlio la spada simbolo della tribù, seduto in meditazione davanti alla statua di Nepthys.

  Era così anche quel giorno, ma ciò che pochi in città sapevano che per quella mattina era in programma un evento molto importante, destinato a stravolgere per sempre il rapporto di Nepthys con i suoi alleati sparsi in tutto ilmondo.

  D’un tratto, mentre Akunator era immerso nel silenzio, una guardia reale entrò nel tempio.

  «Mio signore. Gli ospiti che attendevate sono arrivati.»

  «Falli accomodare nella sala delle udienze.

  Sarò da loro fra cinque minuti.»

  «Ai vostri ordini».

  Dopo poco che il soldato se ne fu andato il sovrano si rimise in piedi, fece un ultimo inchino alla dèa quindi lasciò a sua volta la stanza; ad attenderlo oltre l’uscio vi era Zervan, il suo gran visir.

  A differenza di Akunator, che malgrado l’età avanzata dimostrava di possedere ancora il vigore e la forza d’animo degni di un vero guerriero, Zervan era un uomo in cui il peso degli anni emergeva in tutta la sua drammaticità.

  Il suo volto pallido era devastato dalle rughe, la barba grigia e protendente era ruvida e stopposa, e probabilmente sotto il vistoso copricapo a turbante che portava perennemente in testa non vi erano quasi più capelli, tranne quei pochi che ancora contornavano le orecchie.

  Gli occhi, neri, erano quelli di un leone ferito, che però cerca ancora di farsi valere, ma il cui ruggito somiglia più ad un rantolo di agonia.

  Vestiva con una sfarzosa tunica nera dai risvolti pronunciati e con un collo ampio, ripiegato su sé stesso, e camminava sorreggendosi al suo lungo bastone d’argento terminante in una curva larga e piatta che ricordava il collo aperto di un cobra.

  «Sei sicuro di quello che fai, Akunator?» domandò il visir con la sua voce roca

  «Credimi, Zervan. Questa è la cosa migliore da farsi.»

  «Spero che tu non stia facendo un errore, cugino.»

  «Lo spero anch’io. In questa situazione, sbagliare è un lusso che non ci possiamo permettere».

  Lasciato il visir, Akunator percorse in solitudine gli sfarzosi corridoi del palazzo fino a raggiungere una grande sala rettangolare nell’ala sud; il pavimento, di marmo pregiato, era distribuito su due livelli, uno più alto lungo i bordi e uno più basso al centro, all’interno del quale era posto un grande tavolo dipinto con motivi arabeggianti blu e gialli e molte sedie disposte accuratamente a uguale distanza l’una dall’altra.

  Tutta la parete alla sinistra dell’entrata era costellata di archi sorretti da belle colonne bianchissime, oltre i quali si stagliava una grande terrazza da cui si poteva avere una visuale magnifica non solo della città, ma anche di tutto il deserto circostante.

  Akunator uscì in terrazza, e appena oltrepassati i soffici e leggeri veli bianchi agitati leggermente dal vento africano incontrò le due figure che aveva scorto al suo arrivo, un uomo e una donna; entrambi presentavano i tratti somatici tipici del lontano Oriente, e anche gli abiti che indossavano non rendevano difficile capire quali fossero le loro origini.

  Lei, sui quarant’anni, conservava ancora tutta la sua bellezza, una bellezza sconfinata.

  Gli occhi, piccoli, erano pieni di mistero, i capelli lunghi, raccolti in cima alla nuca con un fermaglio d’oro, formavano una coda lunghissima.

  Indossava una tunica lunga color panna che copriva i piedi e dalla maniche molto larghe, stretta in vita da una fascia azzurra di seta e da una cintura da cui pendevano tre grandi anelli d’oro.

  Lui invece di anni doveva averne molti di più, ma nonostante i capelli bianchi, la barba un po’ folta e le rughe sul viso aveva impresso nello sguardo lo stesso ardore del re Akunator. Il suo abbigliamento ricordava quello di un antico guerriero cinese, ma con sprazzi di una vitalità quasi selvaggia: pantaloni da combattimento, stivali non eccessivamente pesanti, una maglia leggera bianco sporco con le maniche lunghe e una sopravveste azzurra senza maniche chiusa con una fascia e appoggiata unicamente sulla spalla sinistra, come un mantello.

  I tratti del viso, leggermente più duri di quelli della donna, nonché la sua pelle piuttosto scura, facevano risalire le sue origini alle steppe della Mongolia piuttosto che alla fertile Cina, o magari alle regioni più orientali della Russia.

  Come lo sentirono arrivare, entrambi gli ospiti si voltarono verso Akunator.

  «Yelan. Ranva. Benvenuti.»

  «È un piacere rivederti, Akunator.» disse Yelan

  «Il piacere è tutto mio.

  Prego, accomodiamoci. Abbiamo molto di cui parlare».

  Si sedettero, e un servitore offrì ad ognuno di loro una coppa di ottimo vino prima di lasciarli nuovamente soli; sembrava esserci una grande affinità fra i tre, ma fin da subito apparve chiaro che vi era una sorta di malcelata tensione ad aleggiare come uno spettro maligno su quella riunione.

  Era già capitato che i capi dei vari villaggi si ritrovassero per discutere tra di loro, ma quella era la prima volta che veniva indetta una riunione in cui solo alcuni di essi erano stati convocati, e la cosa non poteva certo essere considerata positiva, perché poteva significare solo la presenza di attrito o sospetti tra i regnanti.

  Un preoccupante silenzio dominò i primi minuti d’incontro, poi fu Ranva il primo a prendere la parola.

  «Allora, Akunatur.

  Di cosa volevi parlarci?».

  Il sovrano di Nepthys posò il suo calice sul tavolo, quindi, seppur con qualche incertezza, incominciò il suo discorso.

  «Vi ho convocati qui per parlare di una questione di cui sicuramente siete già al corrente.

  Negli ultimi anni ha cominciato a circolare una voce fra i nostri rispettivi popoli, una voce che parla di un esistenza di un complotto deciso a rovesciare interamente l’equilibrio non solo dei nostri villaggi, ma del mondo intero.»

  «Sì, lo abbiamo saputo.» rispose Yelan «Anche Xi-Siang circola questa voce, ma fino ad ora non siamo riusciti a raccogliere nessun elemento in grado di comprovarne la fondatezza.»

  «Forse» ipotizzò Ranva «Si tratta solo di una chiacchiera, di un falso allarme. Non sarebbe la prima volta.»

  «Anch’io la pensavo così, amico mio. Almeno, fino a qualche tempo fa.

  Il mese scorso, proprio qui a Nepthys, abbiamo arrestato uno dei membri del complotto».

  Ranva e Yelan rimasero con la bocca socchiusa e gli occhi spalancati, e per poco non saltarono sulle sedie.

  «Akunator, starai scherzando spero!»

  «Purtroppo no, amico mio. I miei soldati tenevano d’occhio quell’uomo da diverso tempo a causa di alcuni suoi comportamenti sospetti, e perquisendo la sua casa abbiamo provato documenti che provano l’esistenza di un complotto che sarebbe già giunto alle sue fasi conclusive.»

  «In nome del cielo» disse Yelan «Ne sei davvero sicuro?»

  «Sono sempre stato contrario alla brutalità, voi lo sapete, ma questa volta non mi sono risparmiato pur di far parlare quell’uomo. Lo ha detto chiaramente, il complotto c’è, è a buon punto, e i documenti trovati a casa sua lo confermano.»

  «Ma che cosa contengono questi documenti?»

  «È una lista. Una lista di nomi.»

  «Una lista di nomi?» ripeté Ranva «Non sarà…»

  «Sì. I nomi di tutte le persone coinvolte nel complotto.»

  «Non posso crederci.» disse Yelan «Ma… chi sono! Che nomi avete trovato su quella lista?»

  «Mi dispiace, ma questo purtroppo non lo sappiamo. Quei testi sono scritti in codice.

  Ci ha detto lui che si trattava di nomi, ma prima che potessimo costringerlo a rivelarci come decifrarli si è suicidato ingerendo del veleno che nascondeva in un anello.»

  «E allora che facciamo?

  Questa è la prova che il complotto esiste, e noi non sappiamo chi ne siano i partecipanti.»

  «Appunto. È per questo che vi ho convocati qui. Per mettervi al corrente di un piano che ho organizzato.»

  «Parla allora.» disse Ranva «Che cos’hai in mente?».

  Adunato fece una pausa, chiuse gli occhi e respirò profondamente. Era chiaramente nervoso, e i suoi interlocutori ne approfittarono per prepararsi al meglio a qualcosa che sicuramente li avrebbe sconvolti.

  «Ho intenzione di infiltrare delle spie all’interno di tutti gli altri villaggi, inclusi i vostri».

  Nessun tipo di preparazione psicologica poteva far trovare Ranva e Yelan pronti abbastanza da reggere una simile rivelazione.

  «Akunator, è semplicemente folle!»

  «Ranva ha ragione. Se la cosa dovesse venire alla luce gli autori del complotto potrebbero approfittare per seminare zizzania tra di noi e rendere le cose per loro ancora più facili.»

  «Lo so. Credetemi, non ho preso questa decisione alla leggera.

  Purtroppo, è l’unica soluzione possibile. Se non scopriamo in fretta chi sono le menti dietro a questa vicenda la situazione potrebbe sfuggirci di mano.

  Seth non è mai stato tanto pericoloso. I partecipanti al torneo dovranno confrontarsi sia con lui che con il suo esercito di alleati. Non possono esserci dissensi e discrepanze tra di noi in un periodo tanto fosco come quello che ci prepariamo ad affrontare».

  Ranva e Yelan, attoniti e confusi, abbassarono entrambi lo sguardo, trovandosi costretti ad ammettere, malgrado tutto, che Akunator aveva ragione; il complotto, se davvero esisteva, avrebbe potuto portare eventi disastrosi per le sette tribù se lasciato libero di proliferare. Di conseguenza, la sola cosa fattibile era giocare d’astuzia, muovendosi in sordina e all’insaputa di tutti, nella speranza di riuscire a sbrogliare la matassa e poter arrivare alle menti ideatrici.

  «C’è una cosa però che vorrei che tu mi spiegassi.» disse Ranva risollevando gli occhi, con voce severa e quasi ammonitoria «Perché stai dicendo queste cose proprio a noi?

  Dopotutto, chi ti assicura che non ci siano anche i nostri nomi su quella lista?».

  Yelan lo guardò come fosse un fantasma, poi si girò verso Akunator, che inizialmente non proferì parola, limitandosi a fissare il suo amico con lo stesso sguardo di ghiaccio.

  «Per un motivo molto semplice.» disse ad un certo punto «Vi conosco tutti e due molto bene.

  Abbiamo combattuto insieme, in passato, e posso contare sulla vostra buona fede. Siete persone giuste, di carattere, che non hanno paura di fare la cosa giusta.

  La verità è che io non mi fido di nessuna delle persone vicine agli altri sovrani. Come hai puntualizzato tu stesso, per quello che ne sappiamo anche gli stessi re potrebbero essere coinvolti nel complotto. È probabile che anche nella vostra cerchia vi siano dei cospiratori, quindi non c’è bisogno che io vi dica di fare attenzioni.

  Questo complotto, qualunque sia il suo fine, passa inevitabilmente per la morte di tutti i sovrani che non lo appoggiano, quindi da questo momento in poi la nostra vita sarà in costante pericolo.

  Ciò che vi chiedo, è di darmi il vostro sostegno, infiltrando anche voi le vostre spie negli altri villaggi. Insieme avremo maggiori possibilità di sventale il piano dei cospiratori prima che riescano a portarlo a termine».

  Di nuovo i due ospiti non parlarono, scambiandosi tra di loro sguardi fugaci e carichi di dubbio, poi però entrambi si girarono verso Akunator e gli rivolsero leggeri sorrisi di complicità.

  «D’accordo.» disse Yelan «Così sia.»

  «Faremo come dici. Abbiamo in te la massima fiducia.»

  «Vi ringrazio. Posso garantirvi che farò quanto è in mio potere per far sì che la pace e la giustizia continuino a governare la vita dei nostri popoli.

  Gli dèi ci hanno affidato il compito di vegliare sulla continuità e sulla preservazione di questo mondo e di ogni creatura che lo abita, e per assolvere tale compito dobbiamo essere uniti.»

  «Ben detto.» disse Ranva

  «Naturalmente, ciò che ci siamo detti oggi non dovrà mai uscire da questa stanza.

  Muovetevi con cautela, e scegliete per questo incarico solo persone di massima fiducia. Se il complotto è davvero giunto alle sue fasi finali, abbiamo nemici ovunque».

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi di nuovo!

Certo che questi autori di EFP sono diventati davvero delle saette ad aggiornare; ho aggiornato solo pochi giorni fa e già sono stato schiaffato in terza pagina!

Va beh, vorrà dire che cercherò di essere il più rapido possibile, anche perché ormai la storia l’ho già ben scritta in testa, si tratta solo di trasferirla sulla carta.

Ringrazio come al solito Selly, Akita, Cleo92 e Levsky per le loro recensioni.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 8
*** Orrore Ad Alta Velocità ***


6

6

 

 

Il treno in viaggio da Venezia a Zurigo, sul quale stavano viaggiando Keita e i suoi compagni, era un modello sperimentale sviluppato da una società tedesca per i viaggi a lunga percorrenza, destinato ad offrire ai propri passeggeri il comfort più assoluto.

  La prima e la seconda classe erano divise non più di vagone in vagone, ma erano bensì distribuite su due piani.

  La seconda classe, al pianterreno, non differiva molto da quella degli altri treni, fatta eccezione per i sedili più larghi e bagni più confortevoli, la prima classe invece, situata al primo piano, era un vero e proprio trionfo del lusso; niente sedili appaiati l’uno all’altro, ma comode poltrone girevoli che, pur vicine tra loro, garantivano una certa privacy, con un largo corridoio al centro coperto da eleganti tappeti blu.

  Nella terza carrozza c’erano il bar e il ristorante, mentre nelle cuccette dei due vagoni di coda si potevano trovare alloggi degni di un treno presidenziale, o del leggendario Orient Express.

  Un altro particolare degno di nota erano i grandi vetri panoramici che offrivano agli ospiti della prima classe una visuale molto più ampia dei comuni finestrini, e non era un caso se come rotta provvisoria in attesa del trasferimento del convoglio sulla Transiberiana, per la quale era stato originariamente progettato, fosse stata scelta la linea che dall’Italia conduceva fino a Parigi, passando per la Svizzera.

  La vista che si stagliava oltre i vetri era assolutamente stupenda: alte montagne con le cime ancora innevate, nonostante l’estate avanzata, valli erbose traboccanti di foreste, piccoli villaggi persi nel niente e un cielo azzurro come pochi e nuvole così belle da sembrare quasi realizzate a pastello dalla mano di un pittore invisibile.

  Nadeshiko era letteralmente senza fiato, ed osservava il grandioso spettacolo che le si palesava davanti come una bambina al suo primo viaggio fuori casa.

  «È bellissimo.»

  «Mai visto niente di simile.» disse Keita «Sembra in paradiso».

  Davanti ad una vista simile i ragazzi forse si erano dimenticati del motivo per il quale stavano viaggiando, ma certo non si poteva dire lo stesso per Toshio e Takeru; entrambi rimanevano immobili sui loro sedili, con le braccia incrociate e gli occhi chiusi, come se stessero dormendo.

  Toshio non era certamente una persona con problemi economici; aveva pagato lui quel lussuosissimo viaggio verso la Svizzera, ma essendo figlio di un re non c’era da stupirsi che potesse permettersi di tirar fuori tanti soldi. Avrebbero potuto benissimo prendere il treno successivo, che avrebbe richiesto solo qualche ora di attesa in più, ma lui aveva detto che il tempo era denaro, e senza pensarci aveva preso quattro posti sul primo convoglio disponibile, oltretutto in prima classe.

  «Grazie… per aver accettato di portarci con te.» disse ad un certo punto Keita.

  Toshio li guardò di sottecchi, con circospezione, poi richiuse gli occhi.

  «Mettiamo subito in chiaro una cosa, io non faccio il babysitter.

  Il luogo dove siamo diretti è nascosto al mondo, e Seth non ne conosce l’esistenza, quindi dovremmo essere al sicuro. Lì imparerete a combattere e a usare la magia, ma da quel momento in poi dovrete badare a voi stessi.

  Non prendetevela a male, ma io ho già abbastanza cose a cui pensare.»

  «Sì, naturalmente.» rispose Nadeshiko

  «Tranquillo, non ti saremo d’intralcio.» disse Keita.

  Nel primo pomeriggio il treno varcò il Confine di Stato, lasciando l’Italia e facendo il suo ingresso in Svizzera. I biglietti della prima classe comprendevano anche la possibilità di sfruttare il vagone ristorante, quindi Keita e Shinji non si fecero certo pregare quando fu annunciato l’inizio dell’ora dei pasti.

  «Voi non venite?» domandò Shinji rivolto ai suoi compagni e allo stesso Toshio

  «Non ho fame.» fu la risposta di Takeru, che dopo poco se ne andò per i fatti suoi.

  Altrettanto disse Toshio, Nadeshiko invece disse che li avrebbe raggiunti più tardi; anche Lotte e Aria, ancora in forma felina, seguirono Keita e Shinji.

  Per i minuti successivi, a causa anche dello svuotamento del vagone proprio per l’apertura del ristorante, regnò uno strano silenzio; Toshio se ne restava immobile e in silenzio, e Nadeshiko alternava lo sguardo tra il panorama oltre il finestrino e il suo compagno di viaggio.

  Malgrado si fossero imbarcati in un’impresa così importante e rischiosa insieme, sapeva così poco di lui.

  Padre Andersen era stato molto vago in merito, e aveva tenuto a precisare che a Toshio non piaceva che si parlasse del suo passato; ciò nonostante, la ragazza era stranamente curiosa, per non parlare del fatto che quel silenzio angosciante la metteva in agitazione.

  Pur avendo vissuto quasi in solitudine gran parte della sua vita Nadeshiko non aveva mai apprezzato di essere immersa nel silenzio, soprattutto se si era in presenza di altre persone, ma qualcosa dentro di lei, come un freno della coscienza, le impediva di parlare con Toshio per dare inizio ad una qualche conversazione.

  Sentiva di voler dare una spiegazione a quel senso di familiarità che aveva provato fin da quando si erano visti per la prima volta, ma quel freno interiore non voleva saperne di lasciarla in pace.

  Alla fine, lottando con esso, riuscì a spiccicare alcune parole.

  «Dunque, tu sei il principe del tuo villaggio?».

  Fin da subito disse a stessa che non poteva scegliere discorso più stupido o più ovvio, ma nel momento in aveva aperto bocca era stato come se la sua volontà si fosse annullata, facendole dire cose che lei non voleva minimamente dire.

  Toshio nuovamente sollevò lo sguardo, riabbassandolo subito dopo.

  «Sì, è così. Sono principe, ma è mio fratello Sanak il legittimo erede al trono.»

  «Hai un fratello?»

  «Fratellastro. Io non sono originario di Nepthys. Il re mi ha adottato. Abbiamo la stessa età.»

  «Devi volergli molto bene».

  Il ragazzo sembrò incupirsi a quell’affermazione, strinse leggermente i pugni e aggrottò un po’ le sopracciglia; Nadeshiko si morsicò immediatamente la lingua, rimproverando la propria curiosità.

  «Mi dispiace. Questi dopotutto non sono affari miei.»

  «È più di due anni che non lo vedo. Nostro padre lo ha mandato a studiare negli Stati Uniti.

  È tornato subito prima che io partissi per partecipare al torneo, ma non ho avuto il coraggio di incontrarlo».

  Toshio fece una pausa, mordendosi il labbro.

  «A dire la verità, non ci siamo lasciati nel modo migliore.»

  «Come mai?» domandò Nadeshiko, dimenticandosi completamente il rimprovero che si era fatta da sé solo pochi istanti prima

  «Sanak aveva sempre dimostrato di essere un vero guerriero, e sognava di poter essere lui a rappresentare la nostra tribù in questo grande torneo.

  Nostro padre però non voleva correre il rischio che morisse, privando il nostro villaggio del suo futuro re, e così io ho finito per prendere il suo posto.

  Da persona orgogliosa e determinata qual’era, mio fratello non ha mai potuto sopportare l’idea di essere stato scavalcato, e poco prima che partisse per l’America abbiamo avuto una violenta litigata».

  Il tono di voce di Toshio si era molto ammorbidito rispetto a poco prima, una cosa che sorprese non poco Nadeshiko, dispiaciuta per aver costretto il suo nuovo amico a rievocare un così triste ricordo ma felice di essere riuscita finalmente a incrinare un po’ la scorza dura che lo circondava.

  «È normale che tra fratelli ogni tanto si litighi.

  Succede anche a me. Mia sorella frequenta l’università, e quando ero più piccola litigavamo in continuazione, anche per i motivi più futili. Poi però, alla fine, ci riappacificavamo sempre.»

  «Vorrei tanto che fosse così facile.

  Sanak non ha mai dimenticato quello che gli ho fatto, e dubito che accetterebbe di perdonarmi.»

  «Forse devi solo dargli un po’ di tempo. È comprensibile che tu fossi spaventato all’idea di incontrarlo dopo il vostro ultimo diverbio, ma fuggire serve solo ad aumentare la sofferenza.

  Bisogna correre dei rischi per ottenere i risultati più ambiti, o almeno questo è quello che penso.»

  «Vorrei tanto che fosse così semplice».

 

Qualche ora dopo il treno stava attraversando un’ampia vallata immersa tra le montagne svizzere, diretto a tutta velocità verso la propria meta.

  Nella cabina di guida, i due guidatori supervisionavano pigramente l’innovativo apparato informatico che permetteva al veicolo di pilotarsi praticamente da solo; gli interventi da eseguire manualmente erano minimi, ma in determinate condizioni climatiche o in casi particolari era comunque indispensabile l’operato di un essere umano, anche se probabilmente nel corso di tutto quel viaggio non si sarebbe verificata nessuna delle due condizioni.

  Uno dei due conducenti ammazzava il tempo leggendo il suo giornale, e sembrava quasi sul punto di addormentarsi, l’altro invece teneva d’occhio la strumentazione elettronica per essere sicuro che non vi fossero intoppi.

  D’un tratto quest’ultimo, alzando gli occhi oltre il parabrezza, vide, ad una distanza di circa mille metri e a qualche centinaio di metri da terra, un grande ammasso scuro simile ad una gigantesca nuvola che si muoveva descrivendo movimenti sinuosi e imprevedibili.

  «Ehi Fabio. Guarda lì».

  Anche il suo compagno, posato il giornale, portò il suo sguardo su quell’insolito quanto incredibile spettacolo, rimanendone ugualmente meravigliato.

  «Che cosa saranno secondo te?»

  «Non saprei. Forse uno stormo di uccelli.»

  «Tu dici? Io non ho mai visto uno stormo così grande. Devono essere centinaia».

  Nello stesso momento, quattro carrozze più indietro, i ragazzi, ora riunitisi, stavano approfittando dell’ultima ora di viaggio per concedersi un po’ di riposo; anche Toshio si era appisolato, ma di colpo una terribile sensazione lo fece scattare in allarme.

  «Toshio, che succede?» domandò Shinji

  «Abbiamo compagnia».

  D’improvviso quella massa nera, invece che spostarsi da una parte all’altra, proprio come farebbe un grande stormo, prese a volare a grandissima velocità proprio in direzione del treno, aprendosi man mano che si avvicinava come una gigantesca mano.

  «Ma cosa…».

  Prima che il conducente potesse finire la frase una spaventosa onda d’aria fece esplodere i finestrini, e quello che potevano sembrare tutto meno che uccelli fece irruzione in sala comandi, investendo in pieno i due uomini con la forza di un tornado.

  Pochi istanti dopo la nube avviluppò tutto il treno, mandando in frantumi tutti i vetri e diffondendosi all’interno sospinta da un vento fortissimo. Di qualsiasi cosa fosse fatta non si trattava certamente di aria; era ruvida, pesante, e ti si attaccava addosso.

  Tutte le altre persone presenti nel balcone presero a gridare e a dimenarsi furiosamente nel tentativo di proteggersi e di liberarsi di quella roba, ma più ne gettavi via più te ne veniva contro.

  «Che cos’è questa roba?» gridò Keita agitandosi come gli altri «Mi si appiccica addosso!».

  Toshio, che cercava di mantenersi calmo, se ne strappò un pugnetto, guardandolo; erano piume, piume nere, e dal loro interno sentiva giungere un potere famigliare.

  “Maledizione!” pensò, e subito incrociò le mani davanti al petto in posizione shinto.

 

KEKKAI!

 

Tutto attorno ai ragazzi si generò una cupola rossa che respinse efficacemente la tempesta di piume, mentre quelle rimaste intrappolate all’interno divennero ben presto cenere.

  Dopo più di un minuto il vento finalmente cessò di soffiare, e non appena Toshio disperse la barriera lui e gli altri erano le sole persone rimaste in piedi; tutti gli altri occupanti del treno erano riversi a terra privi di sensi, coperti qua e là da grumi di quelle piume.

  «Ma che cosa è successo?» domandò Nadeshiko.

  Dopo qualche istante di spaventoso silenzio i passeggeri cominciarono a riprendersi, ma i loro movimenti erano estremamente lenti, quasi meccanici, e dopo essersi rimessi in piedi si girarono tutti in direzione dei cinque ragazzi; i loro occhi scintillavano di rosso, e fin da subito sia Toshio che Takeru si misero in posizione di guardia.

  «Ma che…» cercò di dire Keita, ma prima che potesse finire la frase quell’esercito di zombi gli si scagliò addosso.

  Toshio, fulmineo, ne stese due con un calcio, e subito dopo si frappose fra i suoi compagni e una delle due porte d’uscita. Aria e Lotte, messesi accanto a lui, si circondarono di luce, acquisendo in pochi secondi la loro forma umana.

  «Presto, andate via di qui!»

  «Che cos’hanno queste persone?» domandò Nadeshiko

  «Le piume che li coprono sono imbevute di potere magico, e vengono usate per controllarli.»

  «Ma chi può essere stato?» chiese Keita

  «Ora non c’è tempo per parlare! A questi ci penso io, voi cercate di scendere dal treno!»

  «E tu cosa farai?»

  «Non preoccupatevi di questo, me la caverò!».

  In quella un gruppo di zombi si mosse nuovamente alla carica, e allora Toshio generò una nuova barriera che li tenesse indietro.

  «Andate!».

  I ragazzi, a quel punto, obbedirono, ma Keita dovette faticare non poco per convincere Nadeshiko ad abbandonare Toshio, che rimasto solo si lanciò in avanti assieme alle sue due inseparabili compagne; insieme, impiegarono solo pochi secondi a fare piazza pulita e a lasciare tutti gli zombi a terra svenuti.

  «Vieni fuori, Atarus!» disse Toshio a scontro finito «Tanto lo so che ci sei tu dietro a tutto questo!».

  Una risatina divertita annunciò l’arrivo del lanciere, che comparve all’improvviso alle spalle dei tre ostentando il suo solito sorrisetto.

  «Ci rincontriamo, finalmente».

  I due avversari si fissarono l’un l’altro, poi la spada d’oro comparve tra le mani di Toshio.

  «Aria, Lotte. Andate ad aiutare gli altri.»

  «Sei sicuro di voler combattere da solo?» domandò Aria

  «Io e lui abbiamo ancora un conto in sospeso. Non temete, vi lascerà andare».

  Le due ragazze, pur riluttanti, obbedirono all’ordine del loro padrone, e come gli era stato detto quando passarono accanto a Atarus questi non fece alcun tentativo di fermarle, lasciando che prendessero la porta lasciandoli soli.

  «La prima volta sei stato fortunato.» disse il lanciere mettendosi in posizione «Ma non sperare di essere ancora così fortunato.»

  «La fortuna non c’entra.»

  «Questa volta… morirai!».

  Atarus partì all’attacco, ma Toshio riuscì facilmente a respingere. Dopo qualche altro scambio, però, venne alla luce il reale motivo per il quale Atarus aveva cercato il combattimento in un posto simile: il vagone, anche se spazioso, era comunque angusto, pieno di ostacoli, e muoversi era difficile.

  Lo stile di combattimento dei McLoan prevedeva di tenere il nemico a distanza, costringendolo ad interminabili quanto sfiancanti assalti per poi rispondere con un affondo letale al momento più opportuno, e la combinazione tra la versatilità della lancia di Atarus e lo spazio angusto del terreno di scontro sembrava far pendere l’ago della bilancia decisamente in favore del lanciere.

  Toshio cercò più volte di eludere la sua difesa, ma ogni che provava ad avvicinarsi la difficoltà nei movimenti e la risposta pronta di Atarus lo ricacciavano sempre indietro, e più passava il tempo più la stanchezza aumentava.

  Dopo essere stato respinto per la terza volta il ragazzo si ritrovò inginocchiato a terra con un grosso livido sul fianco sinistro. McLoan lo guardò sprezzante.

  «Non puoi sfuggire alla mia lancia in questo spazio ristretto».

  Toshio però, come al solito, non sembrava intenzionato a gettare la spugna, e rimessosi in piedi ingaggiò un nuovo scontro di forza; Atarus dal canto suo era pronto a rispondere ad ogni affondo, ma ad un tratto, cercando di far mulinare la sua lancia per respingere un fendente, l’estremità di quest’ultima andò a sbattere violentemente contro una poltrona, rimanendo incastrata per un millesimo di secondo, un tempo più che sufficiente per Toshio per infliggere al nemico un colpo che solo grazie alla prontezza di riflessi di Atarus non risultò fatale.

  Per la prima volta in vita sua il lanciere venne ferito; era poco più di un graffio alla spalla, ma era niente in confronto allo squarcio sul suo orgoglio di guerriero perfetto, e quando rialzò lo sguardo i suoi occhi erano iniettati di rabbia.

  «E tu non puoi maneggiarla agilmente per lo stesso motivo.»

  «Bastardo!» urlò gettandosi nuovamente alla carica.

 

Nel frattempo Keita e gli altri erano tornati indietro fino al vagone ristorante incontrando una resistenza minima della quale Shinji e Takeru si erano occupati senza troppi problemi.

  Dopo aver chiuso a chiave la porta da cui erano entrati i ragazzi si misero a cercare un modo per uscire da quella pericolosa situazione; il primo impulso fu di tirare il freno di emergenza, ma per quanto Keita ci provasse il treno non voleva saperne di fermarsi.

  «È inutile, non funziona!»

  «Devono averlo manomesso per impedirci di scendere.» disse Nadeshiko «Dobbiamo trovare un’altra soluzione.»

  «E sarà meglio trovarla in fretta.» disse Shinji, affacciato dal finestrino, con voce insolitamente da funerale «Perché non credo ci resti molto tempo».

  I suoi compagni, spaventati, si sporsero a loro volta; in lontananza, ad una distanza di circa trenta chilometri, c’era un ponte sospeso che viaggiava sopra un altissimo dirupo, e malgrado la distanza si vedeva perfettamente che era crollato.

  «Maledizione!» disse Keita «Quel ponte è stato distrutto!»

  «Quanto tempo ci resta prima di arrivare laggiù?» domandò Nadeshiko

  «A questa velocità, non più di dieci minuti.» disse Takeru

  «Dobbiamo trovare il modo per fermare questo treno. Queste persone sono innocenti, non possiamo permettere che vengano uccisi.»

  «Ma come possiamo fare?» chiese Keita «Il freno di emergenza è rotto.»

  «Questo è un treno di ultima generazione.» disse Shinji, che nutriva da sempre una grande passione per la meccanica e i computer «Deve essere dotato di un sistema computerizzato per il controllo dei freni che corre su una linea indipendente.»

  «È possibile azionarlo?» domandò Takeru

  «Solo dalla cabina di comando.»

  «E allora andiamoci.» rispose Keita «Ogni secondo che perdiamo a discutere è un secondo perso».

  D’un tratto dalla porta lì accanto, che immetteva nello stanzino interno al vagone che fungeva da seconda cucina, uscirono altri due zombi, armati ognuno di un grosso coltellaccio, e avventatisi sui ragazzi li separarono: Shinji e Nadeshiko da una parte, Keita e Takeru dall’altra. Contemporaneamente, dalla porta da cui Nadeshiko e gli altri erano entrati cominciarono a giungere rumori preoccupanti, chiaro segno dell’arrivo imminente di altri potenziali nemici.

  «A questi ci pensiamo noi!» disse Takeru «Voi raggiungete la cabina di comando!»

  «Siete sicuri di potercela fare da soli?» chiese Shinji

  «Non ha importanza, comunque vada non c’è tempo da perdere! Fermate questo maledetto treno!».

  Shinji e Nadeshiko non ebbero altra scelta che fare come gli veniva detto, e presa la porta sul lato opposto lasciarono il ristorante dirigendosi verso la cabina di guida, situata solo due vagoni più avanti.

  I due zombi armati cercarono di corrergli dietro, ma Takeru non gliene diede il tempo, colpendoli alla nuca con la spada, rimasta nel fodero, e lasciandoli privi di sensi. Dopo pochi istanti però l’ingresso venne sfondato e numerosi altri nemici fecero irruzione nel vagone; il kendoka si mise subito in difesa del suo compagno, e a dargli manforte arrivarono anche Aria e Lotte.

  Keita, come l’ultima volta, avrebbe voluto fare la sua parte, ma proprio come accaduto all’arrivo dei servitori di Seth non riusciva a invocare né la sua magia né la spada, per quanto disperatamente cercasse di concentrarsi.

  «Perché?» diceva a stesso, mentre attorno a lui infuriava la battaglia «Perché non riesco a usare la mia magia?».

  Intanto, due vagoni più indietro, lo scontro fra Toshio e Atarus proseguiva senza esclusione di colpi; ora che aveva capito il punto debole nella strategia del suo avversario, Toshio costringeva Atarus a manovrare la sua lancia in continuazione, e ogni volta che questa andava ad incastrarsi in uno dei numerosi ostacoli lui puntualmente rispondeva con un affondo, e anche se solo in un paio di occasioni era riuscito a colpirlo era chiaro che il lanciere non sarebbe durato a lungo in quelle condizioni.

  «Sembra proprio che il tuo brillante piano ti si sia rivoltato contro.» disse Toshio imitando il tono sarcastico del suo nemico.

  Atarus dal canto suo stava perdendo le staffe, e non vedeva l’ora di tappargli la bocca; nell’assalto successivo il lanciere, cercando di respingere un assalto, incastrò accidentalmente la lancia sotto il bracciolo di una poltrona, e immediatamente Toshio ne approfittò, spiccando un salto e cercando di colpirlo dall’alto.

  «Sei mio!»

  «Non è ancora finita!» urlò Atarus, che con un urlo liberatorio sollevò violentemente l’arma, sradicando la poltrona da terra e colpendo il ragazzo in pieno petto con l’asta della lancia.

  Per Toshio fu come venire colpito da una cannonata, e venne letteralmente sparato via, sfondando con la schiena il soffitto e ritrovandosi sul tetto del treno in corsa, dove Atarus lo raggiunse pochi secondi dopo. Prima ancora di trovare la forza di mettersi in piedi Toshio cominciò a sputare sangue.

  «A quanto pare la situazione si è capovolta di nuovo.» disse Atarus facendo girare la sua lancia a grande velocità, anche controvento «Quassù io posso muovermi come voglio, e tu invece non puoi fuggire.»

  Ma… maledizione.” pensò Toshio rimettendosi faticosamente in piedi “Ha ragione lui. E adesso che cosa m’invento?”.

  Nello stesso momento, Shinji e Nadeshiko erano quasi arrivati nel vagone di testa, da dove avrebbero potuto fermare il treno, e visto che esso, a causa della presenza dei numerosi sistemi informatici e meccanici necessari per far muovere quel veicolo avveniristico, non era un vagone adibito al trasporto passeggeri, quindi non avrebbero neanche dovuto preoccuparsi di coinvolgere eventuali innocenti nel piano che avevano in mente di realizzare. Inoltre, come ulteriore assicurazione, Shinji era riuscito, tramite una delle postazioni di controllo riservate al personale, ad attivare i portelli che chiudevano le scale a chiocciola disseminate su tutto il treno, impedendo così ai nemici che intasavano la classe economica, sicuramente molto maggiori delle poche decine presenti in prima classe, di salire.

  «Ci siamo quasi.» disse il ragazzo avvicinandosi alla porta che immetteva nella carrozza di testa.

  A differenza degli altri vagoni, collegati l’uno all’altro da dei tunnel elastici, la carrozza di testa era completamente separata dal resto del treno, fatta eccezione per l’aggancio magnetico; anch’essa inoltre era suddivisa in due livelli, e mentre quello basso, corrispondente alla classe economica degli altri vagoni, era occupato dalle apparecchiature, quello alto si componeva di un unico, lungo corridoio che conduceva direttamente alla sala comandi.

  «Speriamo solo che funzioni.» disse Nadeshiko.

  Di colpo una donna distesa lì accanto, precedentemente stesa da Shinji e apparentemente priva di sensi, si riprese, afferrando violentemente la gamba del ragazzo e buttandolo a terra; la caduta fu molto brutta, e a causa della forte stretta la caviglia si piegò in una posa innaturale, emettendo un preoccupante rumore sordo; Shinji digrignò i denti per il dolore, e prima che la situazione potesse degenerare colpì la donna al collo con la gamba libera, spedendola definitivamente nel mondo dei sogni.

  «Shinji! Stai bene?»

  «Sì… sta tranquilla».

  La sua affermazione fu smentita quando, cercando di appoggiare a terra il piede sinistro, a stento riuscì a trattenere i gemiti di dolore.

  «Shinji!» disse Nadeshiko facendolo appoggiare su di

  «N… non è niente. Va’… va’ tutto bene.»

  «Non va’ bene per niente. Hai la caviglia slogata.»

  «Ora non il momento di pensarci. Non ci rimane molto tempo. Andiamo».

  Con molta fatica, facendo attenzione e sorreggendosi l’un l’altro, i due ragazzi saltarono il vuoto sotto i loro piedi ed entrarono finalmente nella carrozza di testa, ma una brutta sorpresa li attendeva in cabina di comando. Appena entrarono infatti si accorsero, con loro grande sconcerto, che la postazione di controllo principale era stata fracassata, e sprizzava fumo e scintille da ogni anfratto.

  «Dannazione!» gridò Shinji «Non possiamo fermare il treno senza quel computer!».

  Nadeshiko, all’affannosa ricerca di una soluzione, cominciò a guardarsi vorticosamente attorno, scoprendo alla propria sinistra un monitor con touch sistem ancora intatto.

  «Ehi, puoi fare qualcosa con questo?»

  «Non lo so, ora vediamo».

  Shinji raggiunse il computer, cominciando a lavorarci, e dopo poco un’espressione di esultanza gli comparve sul viso.

  «Sì! Questo è il sistema che controlla gli agganci dei vagoni!»

  «Potrebbe esserci utile?»

  «Non capisci, possiamo staccare la locomotiva! Il resto del treno dovrebbe avere a disposizione lo spazio sufficiente per rallentare e fermarsi!»

  «Dici sul serio!?»

  «Sì, credo sia fattibile».

  L’euforia di Shinji venne però spenta nel momento in cui Nadeshiko pose una giusta domanda.

  «Ma noi come faremo a scendere?»

  «Per questo non c’è problema. Il gancio impiegherà qualche secondo a staccarsi, e il rallentamento del resto del treno sarà graduale. Se corriamo, dovremmo farcela senza problemi».

  In quel momento Shinji poggiò inavvertitamente il piede a terra, e una smorfia dolorante gli si dipinse sul viso.

  «Shinji, tu non puoi correre con la caviglia in quelle condizioni.»

  «Non… non preoccuparti. Ce la posso fare».

  La ragazza però non era chiaramente convinta delle parole del suo amico, e quindi, sfoggiando uno sguardo più deciso che mai, prese la propria decisione.

  «Lo faccio io».

  Shinji la guardò ad occhi sbarrati.

  «Nadeshiko, ma cosa…»

  «Tu dimmi cosa devo fare, poi raggiungi la prima carrozza. Io resto, aziono il distacco e ti raggiungo prima che la locomotiva si allontani troppo.»

  «Ti rendi conto di quello che stai dicendo? È troppo pericoloso. Se qualcosa dovesse andare storto…»

  «Comunque vada tu non potresti correre nello stato in cui ti trovi. Questa è l’unica soluzione per salvare entrambi.»

  «Ma… ma io…».

  Nadeshiko mostrò un sorriso gentile e rassicurante.

  «Tu e Keita mi avete sempre protetta in tutti questi anni. È giunto per me il momento di ricambiare il favore».

  Shinji era visibilmente poco sicuro di stare facendo la cosa giusta, ma alla fine decise di dare fiducia alla sua amica e prese a preparare tutto in modo da dover destinare a lei solo il tocco finale. Il lavoro durò meno di un minuto, e intanto il baratro si faceva sempre più vicino.

  «Ecco fatto.

  Tutto quello che dovrai fare è pigiare il dito su questo led luminoso, e la locomotiva si staccherà.»

  «Quanto tempo avrò per tornare indietro?»

  «Il distacco avverrà in non più di tre secondi. Oltretutto siamo leggermente in salita, quindi il resto del treno comincerà subito ad allontanarsi. Direi sui sette secondi.»

  «D’accordo».

  Il ragazzo lo guardò in modo severo e determinato.

  «Nadeshiko, puoi ancora ripensarci.»

  «Non devi preoccuparti. Te lo ricordi vero? Ho vinto il campionato studentesco di salto in lungo per due anni consecutivi. Questo salto non sarà un problema.»

  «Sei più testarda di Keita.» disse Shinji sospirando rassegnato «D’accordo. Aspetta il mio segnale».

  Shinji uscì dunque dalla cabina, badando bene di lasciare la porta aperta, e zoppicando il più velocemente possibile raggiunse la prima carrozza, affacciandosi dall’ingresso; malgrado la distanza, i due potevano ancora vedersi.

  «Sei pronta?» gridò

  «Pronta!»

  «Ok! Conto fino a tre!

  Uno… Due… Tre!».

  Prima ancora che la parola tre fosse pronunciata per intero Nadeshiko toccò il monitor, e come il led si illuminò cominciò a correre il più veloce possibile in direzione dell’uscita.

  Contemporaneamente, il gancio che legava la locomotiva al resto del treno si staccò, e i vagoni, benché ancora spinti dalla forza d’inerzia, cominciarono ad allontanarsi, molto più velocemente di quanto Shinji avesse previsto.

  «Presto Nadeshiko! Presto!».

  La ragazza corse, corse a più non posso, mentre vedeva il suo amico allontanarsi sempre più; i secondi parevano secoli, e quel lungo corridoio sembrava non finire mai. Nadeshiko, come faceva sempre, correva a testa bassa, poi, rialzato lo sguardo, vide Shinji completamente proteso dalla cabina, col braccio disteso verso di lei; c’erano già più di tre metri a dividerli, e la ragazza, con la poca consapevolezza che il momento le aveva lasciato, sapeva che stavolta avrebbe dovuto superare stessa.

  «Forza! Salta!».

  Come poggiò il piede sul bordo della carrozza Nadeshiko saltò, un salto lungo e ben bilanciato, di sicuro il migliore che le fosse mai riuscito; vedendola così, coi capelli e i vestiti che ondeggiavano furiosamente, mossi dal vento, Shinji ebbe l’impressione di vedere un angelo di fronte a sé, e lottando col dolore si sporse il più possibile per prenderle la mano.

  Alla fine il salto risultò anche troppo lungo, e Nadeshiko per poco non andò a sbattere contro il tetto, ma riuscì ad evitare la brutta esperienza aggrappandosi all’ultimo ad una maniglia d’acciaio, usata probabilmente dai tecnici della manutenzione per facilitarsi la salita.

  «Nadeshiko!» disse Shinji vedendo le gambe dell’amica che penzolavano da sopra l’ingresso «Tutto bene?»

  «Sì, tranquillo! Sto bene!»

  «Lasciati andare, ti prendo io!».

  La ragazza fece quasi per ubbidire, quando, alzando casualmente gli occhi, si accorse della presenza di Atarus e Toshio che si battevano furiosamente l’un l’altro pochi vagoni più in là.

  “Toshio!”

  «Nadeshiko, che aspetti? Lasciati andare!».

  Lei però, invece che fare come le veniva detto, cominciò a fare forza sulle braccia per poter salire a sua volta.

  «Che stai facendo?»

  «Devo… devo fare qualcosa! Devo aiutarlo!»

  «Aiutare chi? Aspetta!» ma ormai era troppo tardi.

 

L’unione tra il vento contrario e la pendenza contribuì a facilitare il rallentamento del treno, che fatte poche centinaia di metri si fermò quasi completamente. La locomotiva invece, veloce come non mai, raggiunse in meno di un minuto il ponte crollato, precipitando nel baratro e fracassandosi come un guscio d’uovo contro sul torrente sottostante prima di esplodere.

  Atarus, che ancora combatteva, accolse con un misto di sarcasmo e perplessità il fallimento del suo piano.

  «Quei mocciosi sono più in gamba di quanto immaginassi».

  Anche Toshio era sorpreso, ma per il motivo opposto, e forse a causa della sua situazione non esattamente favorevole non aveva nessuna voglia di esultare; dopo che il combattimento si era spostato sul tetto del treno Atarus era sempre stato in vantaggio, e anche se ormai Toshio aveva memorizzato alla perfezione il suo stile di combattimento rimaneva comunque un avversario pericoloso.

  «Toshio, non volermene male, ma ho bisogno di chiudere l’incontro con te il più velocemente possibile. Non vorrei mai che quei ragazzi mi scappassero ancora di mano».

  Il lanciere si mise quindi nella posizione che preannunciava l’arrivo della sua tecnica più potente, Stormbringer.

  «Non sperare che te la darò vinta così facilmente.» rispose Toshio mettendosi sulla difensiva

  «Mi piace il tuo temperamento. Ma puoi star certo che questa volta non sbaglierò mira».

  Nello stesso momento, all’interno del vagone ristorante, Takeru, Aria e Lotte avevano fatto completamente piazza pulita.

  «Nice job!» esclamò Lotte facendo il segno della vittoria «È stato anche più facile del previsto.»

  «Keita.» domandò Takeru «Va’ tutto bene?».

  Il ragazzino però aveva il morale sotto i piedi e rimase a lungo come spaesato prima di rispondere di sì; il senso di inutilità che lo aveva tormentato dopo l’arrivo dei soldati di Seth era ritornato, e stavolta faceva un male ancora maggiore.

  Perché Takeru e Shinji riuscivano a evocare il loro circolo magico senza problemi e lui no? Certo, anche la loro magia era rudimentale e inesperta, se paragonata a quella dei partecipanti al torneo, ma se non altro potevano farvi ricorso quando volevano.

  In quella la porta da cui i loro amici erano usciti alcuni minuti prima si riaprì ed entrò Shinji; si reggeva ad un bastone, sottratto probabilmente a qualche zombi svenuto, e sembrava terribilmente agitato.

  «Bel lavoro.» disse Lotte «Ce l’avete fatta.»

  «Non c’è tempo per questo! Nadeshiko è sul tetto del treno!»

  «Che cosa!?» esclamò Takeru.

  Senza riflettere Keita si buttò sul finestrino più vicino, e prima che qualcuno potesse fermarlo lui era già salito sul tetto; Atarus e Toshio erano un paio di carrozze più avanti, uno di fronte all’altro, Nadeshiko invece era poco più indietro, e Keita capì il motivo del terrore dipinto sul viso dell’amica guardando verso Atarus.

  «Sta per lanciare lo Stormbringer!».

  Toshio dal canto suo era pronto a ricevere il colpo, e in sé era consapevole che respingerlo sarebbe stato difficile, se non impossibile, ma anche la ritirata non era un’opzione, perché dare la schiena a un lanciere voleva dire suicidarsi.

  «Il tuo cuore è mio!».

  Nel momento in cui Atarus saltò per eseguire il suo attacco Nadeshiko avvertì una sensazione terribile, come se quel colpo fosse diretto contro di lei; contemporaneamente, lava fusa sembrò scorrerle nelle vene.

  «Lascialo stare!» urlò con tutta la voce che aveva.

  Il suo corpo si circondò improvvisamente di una fortissima voce rosata, e il suo circolo magico, grande come non mai, comparve sotto di lei.

  Toshio alzò la spada nel tentativo di parare, ma un istante prima che la lancia si abbattesse su di lui una grande cupola di luce lo circondò interamente, fermando il colpo con la forza di un muro d’acciaio.

  «Ma cosa…» disse attonito Atarus «Una barriera!?».

  Purtroppo per Atarus non si trattava di una semplice barriera, bensì di una barriera rifrangente, e la forza che il lanciere aveva messo sul suo Stormbringer gli si rivoltò contro sottoforma di una poderosa scarica di fulmini che dopo avergli fatto un male indicibile lo sparò in aria come un fuscello.

  Roteando su stesso riuscì a ritornare in assetto, ma atterrato in ginocchio sul tetto del treno dovette puntellarsi alla lancia per non stramazzare.

  Subito dopo il cerchio di Nadeshiko e la luce che la circondava scomparvero velocemente, lasciando alla ragazza una tremenda sensazione di stanchezza. Solo allora Toshio riprese coscienza di sé dopo quello che aveva visto, ma pur desiderando andare da lei per aiutarla a stare in piedi non ne era in grado, e questo perché la cupola che lo aveva protetto era ancora lì.

  Provò a infrangerla, ma era più resistente di qualunque incantesimo protettivo gli fosse mai capitato di vedere; le molecole magiche presenti nell’atmosfera, usate dagli stregoni per incantesimi di quel tipo, erano state combinate alla perfezione, e legate tra di loro da un’energia che piuttosto che esaurirsi pareva guadagnare forza con il passare del tempo.

  «Nadeshiko!» gridò battendo i pugni su quello scudo, che aveva la consistenza e la durezza del diamante «Sciogli questa barriera!»

  «Non… non posso.» rispose lei mezza addormentata «Non so come fare…».

  Anche Atarus era completamente senza parole, e guardava la ragazza con un misto di paura ed eccitazione.

  “Mai vista una magia simile. Il suo circolo magico doveva avere come minimo una potenza doppia rispetto a quella che ho avvertito solo pochi giorni fa”.

  Il pensiero di poter mettere le mani su un potere di tale portata accese gli occhi del lanciere come quelli di un gatto, e in quel vortice di eventi la fortuna aveva voluto comunque essere dalla sua parte; Toshio era in trappola, imprigionato all’interno della stessa barriera che lo aveva protetto, destinata comunque a cadere se chi l’aveva eretta fosse morto, e Nadeshiko era ai suoi piedi quasi svenuta, pronta per essere uccisa.

  Senza pensarci Atarus lasciò perdere Toshio e spiccò un salto così lungo da arrivare subito a sovrastare Nadeshiko.

  «Attenta!» gridò Toshio.

  La ragazza, con la forza della disperazione, riuscì a spostarsi di lato e ad evitare il colpo di lancia, perdendo però l’equilibrio e scivolando giù dal tetto; il treno correva in quel tratto su di un terrapieno artificiale, e un volo den genere forse, grazie all’erba sottostante, non sarebbe risultato mortale, ma sicuramente avrebbe spezzato qualche osso.

  Vedendola cadere, Keita si sentì del tutto impotente, e quel senso di impotenza accese in lui un misto di rabbia e frustrazione.

  «Nadeshiko!».

  Voleva fare qualcosa, lo voleva con tutte le sue forze; mai come in quel momento voleva poterlo fare.

  Il suo cerchio comparve per una frazione di secondo, e come quello di Nadeshiko dall’ultima volta aveva più che raddoppiato le sue dimensioni, il ragazzo fu circondato di luce e subito dopo scattò in avanti veloce come un proiettile, planando in aria e intercettando Nadeshiko a mezz’aria per poi rotolare sull’erba.

  Appena entrambi furono al sicuro la luce attorno a Keita svanì, e lui, con la ragazza tra le braccia, la guardò in volto per accertarsi che non si fosse fatta niente; aveva gli occhi stanchi e l’espressione assonnata, ma per il resto sembrava stare bene.

  «Nadeshiko.»

  «Kekeita…»

  «Stai bene?»

  «Sì. È… tutto a posto.»

  «Tranquilla, è tutto finito».

  Lei, sorridendo, chiuse gli occhi.

  «Grazie… Keita…».

  Come si addormentò la barriera che circondava Toshio scomparve, liberando il ragazzo, che subito si portò davanti ad Atarus per vanificare sul nascere un suo tentativo di attaccare i ragazzi.

  Atarus però, dopo aver preso in pieno la forza del suo stesso colpo, era decisamente troppo debilitato per poter proseguire il combattimento; quindi, anche se ridondante di rabbia, dovette ammettere che l’unica cosa da fare era abbandonare il campo.

  «Ti garantisco che non finisce qui.» disse prima di venire inghiottito da un vortice di quelle piume nere, scomparendo assieme a loro nel cielo estivo.

  Appena se ne fu andato gli zombi che ancora infestavano il treno caddero a terra svenuti, le piume che li ricoprivano bruciarono senza ferirli e dopo poco, tornati in sé, cominciarono a riprendersi.

  Takeru, Shinji e le due gemelle uscirono dalla carrozza correndo incontro a Keita, che tenendo Nadeshiko addormentata tra le braccia cercava di risalire il terrapieno.

  Toshio li osservava dal tetto, attonito e senza parole.

  «Quei due ragazzi hanno un potenziale incredibile.» disse tra sé e sé facendo scomparire la sua spada «Forse Tadaki aveva ragione. Con loro, questo mondo avrà sicuramente una speranza in più».

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!

Ci è voluto qualche giorno, ma come potete vedere questo capitolo si è rivelato eccezionalmente lungo, tanto che ho dovuto interrompere la narrazione prima del previsto.

Il capitolo in questione è fino ad una uno di quelli che mi soddisfa maggiormente, e una volta tanto mi sento soddisfatto del mio lavoro.

Ringrazio i miei recensori, Selly, Cleo, Levsky e Akita

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 9
*** Sapore di Sconfitta ***


7

7

 

 

Più passavano i giorni, più Franziska cominciava a sentirsi sempre più a disagio chiusa nel castello di famiglia.

  I generali di Seth avevano per lei lo stesso rispetto che avevano verso Johan, si facevano da parte al suo passaggio e la chiamavano Franziska-sama, ma nonostante ciò lei non poteva fare a meno di averne paura.

  Che dire poi del suo adorato fratello, quello che aveva visto così di rado negli ultimi anni, e con il quale aveva sognato di poter trascorrere una splendida vacanza che avrebbe ripagato il tempo infinito che erano stati costretti a trascorrere lontani l’uno dall’altra.

  Johan, da che era divenuto Seth, passava la quasi totalità del suo tempo nella sala da ballo, trasformata in una sorta di sala del trono, impegnato in lunghe discussioni coi suoi generali che spaziavano dalle strategie da adottare contro il nemico ai racconti dei tempi antichi, quando gli dèi camminavano sulla Terra e gli umani erano i loro servi.

  Pur continuando a comportarsi, almeno in parte, come il ragazzo di sempre, alternando il resto della giornata tra lo studio, i pasti e le passeggiate nel bosco, Franziska faticava sempre di più a riconoscere nel ragazzo che le stava di fronte suo fratello Johan.

  L’unica persona che considerava ancora vicino a sé in quel castello popolato di estranei era il vecchio Wei, lo stesso Wei che poco tempo prima le aveva impedito di fare qualcosa per evitare il risveglio di Seth nell’animo di Johan, sostenendo che si trattava di un evento inevitabile.

  Un pomeriggio, come da prassi, Wei era andato in camera della ragazza a portarle il tè, e mentre lui preparava il necessario sul tavolino lei rimaneva seduta alla sua solita poltrona con Il Rosso e Il Nero appoggiato sulle ginocchia e l’aria estremamente preoccupata.

  Per quanto cercasse di evitarlo, l’occhio le cadeva sempre su una delle foto appoggiate sulla grande cassettiera accanto alla finestra; scattata pochi mesi prima della porte del padre ritraeva i due fratelli al termine di una delle loro gite a cavallo, ed era forse l’unica fotografia in cui si vedeva Johan sorridere.

  «Perché è successo, Wei?».

  Il maggiordomo non si voltò, e per un attimo interruppe il suo lavoro.

  «L’eredità della famiglia Von Karma viene tramandata di padre in figlio. Nel momento in cui è venuto al mondo, il signorino è diventato depositario del potere che fino a quel momento aveva vissuto all’interno di suo padre.»

  «Ovvero Seth?»

  «Per quanto ne sappiamo, la sua famiglia ha goduto dei favori di Seth fin dal giorno in cui venne fondata. Il suo spirito ha accompagnato tutti i capifamiglia che si sono succeduti nel corso dei secoli, e ora vive dentro il signorino Johan.»

  «Ma come mai si è risvegliato solo adesso?»

  «Il potere di Seth è limitato dal fatto dell’avere la propria anima divisa in due parti. Una di esse risiede perennemente nel corpo dei baroni Von Karma, l’altra invece fu rinchiusa molto tempo fa in una dimensione parallela creata appositamente per imprigionarlo. Tuttavia, più o meno ogni duecento anni, i nostri due mondi entrano in contatto, e l’anima di Seth si ricompone all’interno del corpo che ospita la sua metà terrestre.

  La sua venuta coincide con l’inizio di un torneo segreto che si svolge qui in Europa, a cui prendono parte sette guerrieri provenienti da altrettante tribù sparse per il mondo.

  È una sorta di guerra sacra; da una parte c’è Seth, dall’altra il vincitore del torneo, che gode della protezione degli dèi, gli stessi che esiliarono il dio all’alba dei tempi.»

  «Ma perché noi Von Karma?»

  «La dinastia dei Von Karma custodisce più segreti di quanti Lei possa immaginare.

  Gli esseri umani, come forse avrà capito, possono usare la magia, ma sono davvero pochi coloro che possiedono al proprio interno un potere magico in grado di fare la differenza.

  Prima di diventare i padroni dell’Europa i Von Karma erano degli stregoni, e molto potenti. Se l’anima di Seth si fosse incarnata in un comune essere umano il suo corpo non sarebbe stato in grado di sopportarne l’essenza, ma la grande energia che scorre nelle vene dei Von Karma poteva costituire il mezzo ideale per contenerla.

  Per questo, il capostipite della dinastia strinse un patto con Seth, offrendogli il proprio corpo come dimora in cambio della promessa di gloria e potere.»

  «Allora quello che dicevano di noi era vero.» disse Franziska con un certo disprezzo abbassando lo sguardo «Ci siamo davvero venduti al diavolo.»

  «Io credo sia una questione di punti di vista.» replicò Wei voltandosi finalmente verso la ragazza

  Lei lo guardò stranita.

  «La definizione di giusto e sbagliato è estremamente soggettiva, e dipende dai punti di vista dei singoli. Ciò che per alcuni può essere giusto per altri è eresia, e alla fine a stabilire il confine tra bene e male è chi si è dimostrato forte abbastanza per far trionfare le proprie idee.

  È vero che è stato accusato di malvagità ed è stato esiliato, ma non è detto che gli ideali e i propositi di Seth no fossero nobili; forse egli asseriva il vero quando sosteneva che questo mondo non doveva essere ceduto agli esseri umani con tanta facilità.»

  «Quindi tu appoggi le sue idee?»

  «Io appoggio il signorino Johan. Malgrado in lui si sia risvegliata l’anima di Seth, egli è ancora sé stesso, e sono convinto che farà uso dei poteri di cui è entrato in possesso per realizzare quello che è sempre stato il suo più grande sogno.

  Il signorino aspirava a creare un mondo privo di sofferenza, in cui vi fosse la libertà ma anche la consapevolezza di essere parte di un equilibrio estremamente fragile. Sono convinto che lo voglia ancora, e ora che ha attorno a sé i generali che un tempo lo hanno seguito ha tutto ciò che gli serve per portare a termine la sua opera».

  Seguì un lungo silenzio, poi gli occhi di Franziska cominciarono a piangere lacrime di dolore.

  «È stata colpa mia.

  Ora capisco perché nostro padre voleva tenerlo lontano dal castello. Se non avessi insistito tanto per farlo venire qui a passare le vacanze nulla di tutto questo sarebbe mai accaduto».

  Wei le si avvicinò, inginocchiandosi.

  «Signorina. Mi creda, non è stata colpa sua. Sarebbe accaduto in ogni caso. Che il signorino Johan fosse stato o meno al castello, lo spirito di Seth si sarebbe comunque ridestato in lui, e tornato qui avrebbe liberato il libro che i suoi antenati avevano rinchiuso in quel simulacro».

  Franziska, ancora piangente, si volse verso di lui guardandolo con una certa sorpresa.

  «Lei non ha fatto nulla, signorina. Non ha niente per cui biasimarsi. Questo evento, come Le ho detto, era destinato a succedere, e nulla avrebbe potuto impedirlo.

  Ciò che dobbiamo fare adesso è avere fiducia nel signorino.»

  «Quindi tu… continuerai ad appoggiarlo?»

  «Vostro padre mi ha incaricato di vegliare su di lui, qualsiasi cosa fosse accaduta.

  Da parte mia, io sono convinto che il signorino continuerà a fare la cosa giusta, e fino a che non mi darà prova del contrario io non smetterò di rimanergli accanto».

  Conclusi i propri obblighi Wei lasciò la stanza, ma appena fuori dalla stanza incontrò qualcuno, forse Anubis, e subito si proferì in un reverenziale inchino; Franziska se ne accorse, girandosi in quella direzione, poi, girandosi verso la porta ancora aperta, vide entrare nientemeno che Johan, il quale chiese e ottenne dal maggiordomo di chiudere la porta lasciandoli soli.

  I due fratelli rimasero a lungo immobili a guardarsi, e a differenza di come accadeva un tempo Franziska non avvertì alcun desiderio di correre da lui, ma anzi aveva quasi paura a guardarlo in volto.

  «Ti ho fatto qualcosa di male, sorella?» domandò ad un certo punto Johan «Ho come l’impressione che tu ultimamente stia cercando di evitarmi».

  Lei si ritrasse, come spaventata, e fu il suo sguardo a rispondere per lei.

  «Franziska, non hai alcun motivo per aver paura di me.

  Sono sempre lo stesso Johan che tu hai conosciuto. Semplicemente, una parte di me che fino ad ora era rimasta sopita si è risvegliata, ma a parte questo non è cambiato nulla».

  Il ragazzo a quel punto si avvicinò, inginocchiandosi davanti a lei; Franziska avrebbe voluto volgere lo sguardo altrove, ma ora che li aveva così vicini non riusciva a staccarsi da quegli occhi, così simili a quelli che aveva visto per tanti anni, ma allo stesso tempo così diversi.

  «Io voglio creare un mondo migliore, sorella. L’ho sempre voluto.

  Io non sono cattivo.

  Tutto quello che voglio è far capire agli uomini che non possono continuare a fare quello che vogliono, incuranti del grande dono che gli è stato concesso dal cielo. Per secoli e millenni gli esseri umani sono andati avanti a sfruttare la Terra come se nulla fosse, e mai sazi di avidità alla distruzione del mondo hanno unito la distruzione di sé stessi.

  Lo sai vero, che dalla comparsa delle prime civiltà non è trascorso un solo anno senza una guerra?

  Quanto credi che questa Terra così fragile possa ancora sopportare una simile condizione?

  In molti sono andati dicendo che bisogna cambiare le cose, ma gli umani sono troppo egoisti per privarsi dei loro piaceri, e l’unico modo per farli vivere in armonia con il creato è imporgli una diversa condotta di vita, finalizzata alla creazione piuttosto che alla distruzione.»

  «E tu… sarai l’artefice di tutto questo?»

  «Non posso farcela da solo.

  Combattere non avrebbe senso se non sapessi che le persone a me più vicine mi danno il loro sostegno. Quindi, sorella, io ti chiedo… ti fidi di me?».

  Quegli occhi.

  Per quanto ci provasse, Franziska non riusciva a resistervi; avevano un effetto quasi ipnotico, e a guardarli bene vi si potevano leggere, in un modo o nell’altro, le stesse emozioni che Johan aveva sempre avuto. Avrebbe voluto controbattere, dire che non sapeva, ma non ci riusciva, e non riusciva a non guardarli, e più passavano i secondi più si sentiva rapita, incapace di reagire.

  Era quello dunque il potere di Seth? Il potere di spingere una persona a credere in lui a qualsiasi costo?

  «Io… mi fido di te… fratello».

  Johan accennò uno di quei sorrisi appena percettibili che da sempre lo avevano caratterizzato, e questo se non altro spinse Franziska ad auto-convincersi che quello di fronte a lui era ancora, malgrado tutto, il suo adorato fratellino.

  «Ti ringrazio. È importante per me sentirtelo dire».

  A quel punto il ragazzo, mentre Franziska ancora seguitava a fissare il pavimento, uscì dalla stanza, e appena chiusosi la porta alle spalle rimase un attimo appoggiato all’uscio con gli occhi chiusi, poi distese leggermente il braccio destro.

  Seguì una tenue luce rossa, e subito dopo in mano gli comparve una spada di colore rosso ruggine molto grande, che doveva pesare una decina di chili, ma che lui riusciva a sorreggere apparentemente senza alcuna fatica.

  L’impugnatura aveva una forma strana, somigliante ad un grande drago che dispiegava le ali, ed al centro capeggiava una grossa sfera color sangue simile ad un occhio aperto; la lama, di forma triangolare, aveva una specie di cuneo all’altezza dell’elsa tondeggiante verso l’interno, simile a quello delle antiche armi in bronzo usate dai greci.

  Appena la spada si fu materializzata completamente l’occhio brillò leggermente di rosso, e dal suo interno giunse una voce robotica molto simile a quella che era uscita dal Libro dell’Oscurità.

  «Freigabe Energie.»

  «È bello riaverti al mio fianco.» disse Johan guardando verso la sfera «Mi sei mancato, Naqada.»

  «Danke».

 

Era servito più tempo del previsto, ma alla fine, pur se con un gran ritardo sulla tabella di marcia, Toshio e il resto del gruppo erano finalmente giunti in vista di Zurigo, casa della leggendaria cacciatrice Izumi.

  Toshio non l’aveva mai conosciuta, pur avendo sentito parlare di lei molto spesso; nel suo campo, dove era conosciuta col soprannome di Bloody Rose, era una vera leggenda, e in molti erano giunti da lei per apprendere le arti della magia e del combattimento, ma era risaputo che Izumi non dispensava a chiunque le sue conoscenze.

  L’autobus sul quale lui e gli altri stavano viaggiando, e che avevano preso dopo essersi lasciati alle spalle i resti del treno su cui si era svolto lo scontro con Atarus, stava entrando nel centro abitato in quel preciso momento; Zurigo era una città dalle mille caratteristiche, né piccola né grande, caotica ma con molti luoghi in cui trovare un’assoluta tranquillità; adagiata placidamente sul suo lago, e percorsa in tutta la sua lunghezza dal fiume Limmat, regalava ai turisti scorci di incredibile bellezza, e malgrado l’estate avanzata le cime tutto intorno erano ancora bianche di neve.

  «Che bella città.» disse Keita guardando dal finestrino «Sembra uscita di una favola.»

  «Ora capisco perché l’Europa affascina tanto i giapponesi.» disse Shinji.

  Dopo aver attraverso un po’ le affollate strade cittadine l’autobus fece scendere i propri passeggeri nella centralissima Bahnhofplatz, proprio davanti alla stessa stazione ferroviaria che i ragazzi avrebbero raggiunto se quello spiacevole incidente non avesse rovinato il loro viaggio in treno.

  «Molto bene.» disse Shinji appena sceso «E adesso dove si va’?»

  «Mi sembra ovvio, dalla maestra Izumi.» rispose Keita, che da dopo lo scontro con Atarus aveva più che triplicato il suo desiderio di raggiungere la misteriosa insegnante

  «Ma tu sai almeno dove abita?» domandò Takeru.

  A quella domanda Keita rispose con un’espressione imbarazzata e anche un po’ ebete.

  «Ecco…»

  «Il suo negozio si trova qui vicino.» rispose Toshio «Al numero venticinque di Sonnestrasse.»

  «Come lo sai?» chiese Nadeshiko

  «È il recapito dove la cercano tutti coloro che vogliono incontrarla.»

  «E allora andiamo.» disse Shinji.

  La camminata per le vie di Zurigo si rivelò rilassante e persino divertente; lasciatisi alle spalle Venezia, coi suoi canali e le sue calli strette, Keita e i suoi compagni provarono un grande piacere a passeggiare per una città così simile in fondo alla loro Uminari, con le sue strade larghe e i grandi viali pedonali costeggiati da grandi vivai circolari che oltre a regalare stupendi spettacoli floreali costituivano anche un ottimo posto in su cui sedersi per assaporare una temperatura fresca e ristoratrice che nell’estate mediterranea era praticamente un sogno.

  Sonnestrasse, in cui si trovava il negozio di Izumi, era una grande strada acciottolata piena di vivai, fontane e panchine disposte ad uguale distanza, e come diceva il suo stesso nome era costruita in modo da poter essere illuminata dal sole tutto il giorno, lungo un’asse rettilinea che andava da est a ovest.

  A destra e a sinistra c’erano decine di negozi, alcuni dei quali avevano esposte all’esterno stupende insegne di metallo battuto vecchie di secoli; le vetrine poi erano un trionfo del bello, e vi si poteva vedere di tutto, dai dolci alle marionette, dai trenini ai famosi orologi.

  Dopo circa venti minuti di camminata ininterrotta i cinque raggiunsero la loro destinazione, un piccolo negozietto senza troppe pretese con una bella porta dipinta di verde e due vetrine a cui erano esposte decine di orologi, tutti rigorosamente di legno.

  «Di certo non è una persona a cui piace differenziarsi dalla folla.» sottolineò Lotte, che assieme alla sorella seguiva il gruppo in forma di gatto «Un negozio di orologi a Zurigo. Ce ne saranno una trentina solo in questa strada».

  Entrarono, e subito poterono sentire l’inconfondibile tic-tac degli orologi a pendolo. Oltre a quelli c’erano un’infinità di altri modelli per tutti i gusti, dai classici modelli da tavolo a stupendi cucù a forma di casetta da cui uscivano due buffi personaggi coi tipici abiti di montagna.

  Come al solito Nadeshiko si lasciò immediatamente conquistare da oggetti tanto belli, i suoi compagni invece, pur comprensibilmente colpiti da uno spettacolo tanto singolare, davano ancora la precedenza al ritrovamento di Izumi, quindi cominciarono a guardarsi attorno alla sua ricerca.

  In quel momento nel negozio c’erano anche altri clienti, una coppia di turisti, probabilmente americani, intenta a farsi confezionare un pacco regalo dalla persona che stava al bancone; Keita e gli altri si avvicinarono, incontrando il volto di una giovane ragazza molto carina con capelli paglierini non eccessivamente lunghi, di un taglio simile a quello di Nadeshiko, fatta eccezione per due lunghissime frange ai lati del viso che coprivano le orecchie e occhi marroni; vestiva in modo semplice, pulito, con una maglietta a maniche corte, una minigonna e un paio di scarpe da donna.

  Toshio avvertì immediatamente un’emanazione particolare provenire da quella ragazza; si trattava sicuramente di un famiglio, ma si domandava come facesse a celare la sua natura animale rassomigliando in tutto e per tutto ad un essere umano.

  Non appena i due turisti se ne andarono i ragazzi si avvicinarono al bancone; la commessa li guardò in modo quasi severo, scrutandoli da capo a piedi uno per uno.

  «Benvenuti.» disse con gentilezza di ghiaccio «Posso esservi utile?»

  «Cerchiamo la maestra Izumi.» rispose Toshio «Tu sei il suo famiglio, giusto?».

  Quella lo guardò in modo ancor più intimidatorio, ma il ragazzo non si scompose minimamente; era abituato a vedersi piantare addosso delle occhiatacce.

  Ad un certo punto deviò la sua attenzione sui due gatti che accompagnavano la comitiva, e Lotte, sapendo che non c’era motivo di nascondersi, le fece un sorrisetto dei suoi, che mutò drasticamente non appena la ragazza se ne uscì con un commento poco piacevole.

  «Deboli.»

  «Che cosa!?» domandò lei spiazzata

  «Siete deboli.»

  «Tu, piccola…».

  In un secondo Lotte assunse la sua forma umana, e i ragazzi immediatamente si misero sull’attenti; se qualcuno fosse entrato in quel momento nel negozio come avrebbero spiegato la presenza di una ragazzina con orecchie e coda feline in un momento dell’anno così distante da carnevale?

  «Ripetilo se hai il coraggio!»

  «Lotte, sta calma!» le disse la sorella, rimanendo però in forma animale «Sta solo cercando di provocarti!»

  «Siete costrette ad assumere la forma animale per passare inosservate.»

  «Che c’è, vuoi attaccar briga per caso? Così vedremo chi delle due è la debole.»

  «Non posso darle torto!» disse d’improvviso una voce autoritaria.

  Pochi istanti dopo dalla porta che conduceva probabilmente nel retrobottega, coperta da una tendina, uscì una giovane donna che Toshio identificò subito come la vera Izumi, sia per il tatuaggio a forma di croce che portava sulla spalla destra sia per l’atteggiamento reverenziale che la commessa tenne nei suoi confronti, scostandosi rispettosamente per permetterle di passare.

  Doveva avere tra i trentacinque e i quarant’anni, e unendo il nome alla tonalità un po’ scura della pelle si capiva che doveva essere originaria dell’arcipelago di Okinawa, ma almeno per Toshio non era difficile immaginare come mai una donna giapponese possedesse un’attività in Svizzera.

  I capelli, di un nero un po’ opaco, lo stesso colore degli occhi, erano raccolti in grandi trecce, alcune delle quali ricadevano sulla fronte, ma la maggior parte erano raccolte da un elastico dietro la nuca e formavano una coda di cavallo.

  Come il suo famiglio vestiva in modo semplice, con un paio di pantaloni lunghi e leggeri marrone scuro, una maglietta bianca leggera e un gilè corto a maniche lunghe aperto sul davanti che arrivava a metà del busto. Al collo però portava un bellissimo pendente triangolare che sembrava un rubino, e appena Nadeshiko vi pose gli occhi sopra il suo ciondolo, di nuovo, brillò per qualche istante.

  “Dunque è questa la maestra Izumi.” pensò Keita.

  La donna, come il suo famiglio, fissò attentamente tutti i presenti, soffermandosi in particolare su Toshio e i suoi famigli.

  «Nagisa avrà un modo di esprimersi tutto suo, ma quello che ha detto è vero.» disse rivolgendosi a Lotte «Passare dalla forma animale a quella umana richiede tempo e un certo dispendio di energie, e in casi di emergenza bisogna saper rispondere ad una minaccia con estrema prontezza.

  Un bravo famiglio sa nascondersi anche rimanendo in forma umana».

  In quella, a testimonianza delle parole di Izumi, dai capelli di Nagisa emersero due grandi orecchie feline dello stesso colore degli occhi, e da sotto la minigonna spuntò l’estremità di una lunga coda.

  «Incredibile.» commentò Aria «Ha nascosto la sua natura alla perfezione.»

  «Ovviamente» disse Izumi guardando Toshio «L’inesperienza di un famiglio è dettata in larga misura da quella del suo padrone».

  Il ragazzo non fece una piega, e a differenza di Lotte sembrò non voler raccogliere la preoccupazione; la donna, dopo un attimo di silenzio, riprese a parlare.

  «Tu devi essere Toshio. Il figlio di Akunator.»

  «Sono io.»

  «Voi invece siete i ragazzi che sono riusciti a eludere i poteri del Fuuzetzu.»

  «Sì, esatto.» rispose Nadeshiko

  «Tadaki mi ha avvertito del vostro arrivo. Seguitemi.

  Nagisa, bada tu al negozio.»

  «Come desiderate, Master».

  Izumi si fece seguire dai ragazzi nel retrobottega, un piccolo localino ben ordinato pieno del materiale necessario alla realizzazione degli orologi, quindi aprì un’altra porta situata sul fondo della stanza, oltre la quale comparve una scalinata lunga e stretta che scendeva verso il basso, illuminata debolmente da alcune luci al neon.

  La discesa durò parecchi minuti, e quando finalmente ebbe fine Toshio e gli altri si ritrovarono di colpo in una stanza di enormi dimensioni, all’apparenza completamente spoglia, ma che illuminatasi a giorno rivelò la presenza, al centro, di una sorta di grande ring circolare alto una cinquantina di centimetri e con un diametro di otto o dieci metri.

  All’illuminazione provvedevano diverse decine di lanterne magiche, delle fere di vetro all’interno del quale era accumulato un grande potere spirituale che assumeva la forma di una forte luce non appena il suo proprietario, in questo caso la stessa Izumi, vi passava vicino.

  «È questo il luogo dell’addestramento?»

  «Niente affatto.» rispose Izumi «Questo è il luogo dove dovrete dimostrare di meritarlo, l’addestramtento».

  La donna salì dunque sul ring, portandosi sul lato opposto all’ingresso, quindi si girò nuovamente verso i ragazzi, guardandoli con aria di sfida.

  «Ecco la prova. Uno di voi a scelta si confronterà con me. Se il prescelto riuscirà a resistere per cinque minuti, allora si potrà cominciare a parlare di addestramento, in caso contrario ve ne ritornerete da dove siete venuti. Non perdo tempo coi buoni a niente».

  Keita e gli altri, Toshio incluso, sembrarono cadere dalle nuvole: cinque minuti!

  Se Izumi poteva permettersi di proporre una sfida del genere, ostentando oltretutto una simile sicurezza, doveva essere sicuramente dotata di capacità che andavano al di là di chiunque, persino degli stessi partecipanti al torneo.

  Del resto però, se la consideravano una luminare nel campo della magia e delle arti del combattimento, fosse a mani nude o all’arma bianca, un motivo doveva esserci; sarebbe stata senza dubbio una delle sfide più difficili mai sostenute, e per chiunque avesse accettato di salire su quel ring sarebbero stati i cinque minuti più lunghi di tutta la vita.

  I ragazzi presero a guardarsi l’un l’altro perplessi, e sia Keita che Nadeshiko pensarono che sicuramente l’unico in grado di superare una simile prova poteva essere solo Toshio; improvvisamente, però, un’ombra passò sopra di loro, e una figura dapprima senza nome si palesò sul terreno di scontro con una katana ben stretta fra le mani.

  «Takeru!?» esclamò Shinji

  «Lo faccio io.» rispose lui senza distogliere lo sguardo da Izumi

  «Che cosa!?»

  «Aspetta, potrebbe essere pericoloso!» disse Aria acquisendo forma umana «Lei è una guerriera di professione.»

  «Non ha importanza. Questa sfida è mia».

  Izumi lo guardò con un misto di incredulità e interesse.

  “Il tipo non si tira indietro. Sarà una sfida interessante”.

  A quel punto l’insegnante schioccò le dita, e il ring venne immediatamente circondato da una cupola protettiva.

  «Molto bene.» disse strappandosi via il pendente dal collo. «Quand’è così, possiamo cominciare. Rose!»

  «Release Power.» disse una voce robotica proveniente da dentro il monile, che prese di colpo a brillare di una luce fortissima, fino a trasformarsi in un lungo scettro nero con all’estremità una sorta di becco ripiegato su sé stesso in posizione verticale.

  Il pendente, ora trasformato in una sfera, era ancora visibile, incastonato all’interno di una sorta di montatura che faceva da punto di contatto fra l’asta e il becco.

  Toshio guardò l’arma pieno di supore; aveva visto molte volte degli scettri magici, ma quella era la prima volta che ne vedeva uno fatto in quel modo. Non sembrava né di legno né di pietra, ma piuttosto di metallo, e trasudava potere magico da ogni suo anfratto.

  «Lascio a te il conteggio, d’accordo? E tieniti pronta, perché ci divertiremo.»

  «Allright».

  Come se si fosse trattato di un monitor, al centro del monile comparve un timer fermo sui cinque minuti, e nell’istante in cui questo cominciò a scorrere all’indietro Izumi si lanciò immediatamente all’attacco. Takeru si fece trovare pronto e parò il colpo di scettro con la parte interna della katana, ma la pressione esercitata dalla donna non assomigliava a nulla che il kendoka avesse mai sperimentato sulla sua pelle, e per la prima volta dopo tanto tempo si sentì scricchiolare i polsi.

  Fallito il primo assalto Izumi si ritirò, ma Takeru non volle concederle il tempo di riordinare le idee e ricambiò il favore attaccando a sua volta; ne nacque un violento scontro fisico in Takeru impegnò fin da subito ogni fibra del suo essere, e anche Izumi dal canto suo fu sorpresa dal doversi veder costretta a far ricorso ad una parte di quel suo leggendario talento.

  Il ragazzo attaccò senza tregua, dando prova della sua inarrivabile abilità.

  «Mai visto nulla di simile.» commentò Shinji «Ora capisco perché è così temuto nei tornei.»

  «I suoi attacchi sono velocissimi.» disse Keita «Non mi sorprende che abbia vinto il campionato nazionale studentesco per tre anni consecutivi.»

  «Ho sentito dire che la famiglia di Takeru vanta un’antichissima tradizione militare.» disse Nadeshiko «E che suo padre sia stato uno dei più grandi kendoka di tutti i tempi».

  Izumi si trovò ben presto costretta sulla difensiva, ma alla fine riuscì a guadagnare qualche istante di tregua quando anche Takeru, sfinito dai continui assalti, dovette fermarsi per riprendere fiato.

  “È davvero in gamba. A questo punto credo proprio che dovrò essere più drastica.”

  «Master.» disse in quella il pendente «I’m ready to fight.»

  «Molto bene, amica mia. È il momento di darci dentro.»

  «Order, please».

  La maestra sorrise, poi puntò lo scettro verso Takeru.

  «Rose! Halberd Mode!»

  «Turning Mode!».

  Il becco dell’asta si sollevò improvvisamente, e ruotando su sé stesso attorno al punto di convergenza si direzionò verso l’alto, rivelandosi cavo al suo interno. La sfera rossa brillò molto forte, poi lungo tutta la superficie del becco si formò una lama di luce e l’asta si allungò nella parte inferiore, trasformando lo scettro in una specie di alabarda.

  «Halberd Mode.» disse il monile.

  Quello spettacolo lasciò tutti con la bocca spalancata.

  «Non credo ai miei occhi.» disse Toshio «Ha trasformato lo scettro in un’arma da combattimento. Ma cosa diavolo è quel pendente?»

  «Ragazzo, ti consiglio di prepararti, perché adesso la musica cambierà!».

  Takeru, almeno apparentemente, non si lasciò spaventare, ma non appena le loro armi si scontrarono la pressione esercitata dalla maestra fu incredibilmente più forte di prima, e dalla lama lucente della sua alabarda sprizzavano scintille che bruciavano più del fuoco. In qualche modo il ragazzo riuscì a respingerla, ma ora sapere quanto tempo mancasse allo scadere dei cinque minuti cominciava ad importargli un po’ di più.

  «Dovrai fare più di così per riuscire a sconfiggermi!».

  In pochi secondi Takeru venne completamente messo sotto, e quella che era cominciata come una serie ininterrotta di attacchi si trasformò in una resistenza disperata, che pur risultando efficace faceva ribollire il sangue nelle vene ad uno come lui, abituato ad orientarsi sempre e comunque all’attacco.

  Il suo sconforto era tale che la sua leggendaria difesa, alla fine, venne infranta, e Izumi riuscì a ferirlo leggermente al fianco sinistro; per Takeru fu come venire colpito da una lama rovente, quella parte di maglietta andò in cenere e la ferita si cauterizzò quasi subito, lasciandogli però un dolore immenso che quasi lo fece cadere in ginocchio.

  «Takeru!» gridò Nadeshiko

  «Le cose non si mettono bene.» disse Shinji «Finora quella donna ha solo scherzato, ora invece sta facendo sul serio.»

  «Ti sei stancato troppo, con tutti quegli assalti.» disse Izumi «E ora ne paghi le conseguenze.»

  «Non… non è ancora finita.» rispose Takeru rimettendosi in posizione, e materializzando il proprio circolo magico

  “Niente male.” pensò la donna “Ha un discreto controllo della sua magia.”

  «Master. One minute left.»

  «Solo un minuto, eh? Sfruttiamolo appieno».

  Lo sguardo di Takeru nel frattempo si era caricato di ardore come mai nella vita, e una strana corrente d’aria aveva cominciato a girare lentamente tutto attorno a lui. D’un tratto, la lama della sua spada venne avvolta da un vero e proprio vortice di vento misto ad energia, che generatasi dal cerchio sottoforma di pulviscolo si trasformò ben presto in un tornado.

  Takeru non sapeva bene quello che stava facendo; negli ultimi giorni si era allenato segretamente per imparare a controllare la sua magia, e data la sua naturale affinità per il combattimento l’impresa gli era riuscita piuttosto in fretta e anche abbastanza spontanea, ma quello che gli stava succedendo in quel momento era senza un perché; faceva ciò che sentiva dentro, niente di più.

  Il vortice d’aria attorno alla spada crebbe sempre di più, e Izumi, piuttosto che tentare di reagire, rimaneva immobile ad osservare.

  “Sta concentrando tutto il suo potere sulla spada. Ha del talento questo ragazzo”.

  Alla fine, sentendo che era giunto il momento, Takeru si decise ad agire, abbassando violentemente la katana e urlando le parole che gli venivano direttamente dal cuore.

 

TENMA SHOURYUUSEN!

 

Un incredibile, poderoso vortice di energia si sprigionò dalla spada, e la parte in cima, assunta la forma della testa di un drago, puntò diritta verso Izumi, che la guardò interdetta.

  Era così incredula nel trovarsi di fronte ad una simile manifestazione di potere da dimenticarsi di difendersi, ma per sua fortuna fu il suo monile a ricordarselo per lei.

  «Diamond Wall!».

  Tutto attorno alla donna si materializzò una barriera che sembrava fatta di vetro, contro la quale l’attacco di Takeru si scatenò in tutta la sua spaventosa potenza; poiché quello scudo veniva generato direttamente dal suo potere spirituale Izumi avvertì subito una dolorosa stretta al petto, e malgrado confidasse pienamente nel suo incantesimo protettivo più efficace dopo qualche secondo, sulla parete, cominciarono a comparire delle piccole crepe.

  «Ma cosa…».

  In realtà non si trattava di un danno così rilevante, ma se a provocarlo era un novellino che usava un attacco magico per la prima volta in vita sua allora la cosa acquistava tutt’altro significato.

  «È… è incredibile.» disse Nadeshiko

  «Come ci sarà riuscito?» domandò Shinji cercando di proteggersi dalle raffiche di vento, che travalicando la barriera attorno al ring colpivano in pieno lui e gli altri.

  Comunque, l’attacco di Takeru si esaurì prima di poter sortire un qualche effetto, e subito dopo che il suo cerchio fu scomparso il ragazzo, privato di tutte le sue energie, cadde in ginocchio, riuscendo però a mantenersi cosciente.

  Si vedeva dai suoi occhi che era chiaramente deluso dalle sue prestazioni, e la rabbia che provava verso sé stesso non si poteva descrivere; Izumi, cessato il pericolo, uscì allo scoperto, e contemporaneamente il suo monile si illuminò lievemente.

  «Time over».

  L’insegnante fissò un momento il suo avversario, poi sembrò accigliarsi.

  «Devo ammetterlo, un po’ mi hai sorpreso. Se i tuoi amici sono come te, allora sarà interessante vedere fin dove le vostre capacità vi potranno portare.»

  «Sta dicendo…» disse Keita «Che accetta di farci da insegnante?».

  Izumi alzò lo sguardo e fece un sorriso di complicità, quindi, ad un suo cenno, la barriera attorno al ring si sciolse.

  «Vedrò quello che riuscirò a fare.»

  «La ringraziamo infinitamente.» disse Nadeshiko

  Keita e gli altri, ad eccezione di Toshio, salirono immediatamente sul terreno di scontro e si avvicinarono a Takeru, che seguitava a rimanere in ginocchio sorreggendosi alla sua spada.

  «Takeru, va’ tutto bene?» domandò Keita.

  Lui, come al solito, non rispose, e alzatosi in piedi ripose la katana nel fodero che aveva lasciato da una parte, rimettendo velocemente il tutto nel fodero di tessuto.

  «Sei stato fantastico, un vero portento.» disse Shinji «Mai visto nulla di simile».

  Takeru per un attimo sembrò quasi smettere di respirare, e un attimo dopo si girò verso i ragazzi, guardandoli malissimo.

  «Che cosa c’è da festeggiare?» domandò con voce di ghiaccio «Io ho perso».

 

 

Nota dell’Autore

Ecco fatto!

Con questo capitolo posso dire con assoluta certezza che siamo giunti alla fine della prima parte della storia.

Da questo momento in poi sarà un susseguirsi di rivelazioni, battaglie e momenti incalzanti che si protrarranno quasi senza sosta fino alla fine.

Ringrazio i miei recensori, Akita, Selly, Levsky e Cleo

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 10
*** Scontro di Volontà ***


8

8

 

 

A esame finito Izumi, dopo aver fatto scomparire il suo scettro e aver rindossato il pendente, tornato al suo aspetto originario, contattò telepaticamente Nagisa, che ancora attendeva di sopra nel negozio.

  «Hanno superato la prova. Raggiungici al castello dopo aver chiuso il negozio.»

  «Sì, maester».

  Detto questo invitò Keita e gli altri, che attendevano in un angolo, a salire sul ring, e solo camminandoci sopra Toshio si avvide del disegno riportato sul campo di gara.

  «Un pentacolo.» disse sorpreso «L’avete realizzato voi?»

  «Esatto.» rispose l’insegnante

  «Che cos’è un pentacolo?» domandò Nadeshiko

  «È una specie di meccanismo di teletrasporto. Ce ne sono molti sparsi sulla Terra, e tracciando un collegamento energetico tra due di questi è possibile sposarsi istantaneamente tra uno e l’altro.»

  «Aspettatevi un certo mal di stomaco.» disse Izumi «La prima volta è sempre un po’ sconvolgente».

  Quando furono tutti al centro del cerchio la maestra agitò un braccio, e istantaneamente i disegni del cerchio si illuminarono, formando in pochi istanti un cilindro di luce all’apparenza così alto da non poterne scorgere la fine.

  Nadeshiko, un attimo spaventata, istintivamente strinse la mano a Keita, la persona che le stava più vicino in quel momento, e il ragazzo, al solo contatto, arrossì vistosamente.

  La sensazione fu molto simile a quella che si provava salendo in ascensore, e come predetto da Izumi i ragazzi avvertirono un leggerò senso di nausea che però scomparve nel giro di pochi secondi, e quando il cilindro di luce scomparve tutti loro si ritrovarono in un luogo completamente diverso.

  Se un attimo prima erano in una specie di seminterrato ora si trovavano in una grande biblioteca con scaffali e scaffali pieni di libri antichi, alcuni dei quali raggiungibili solo da una balconata; il soffitto della stanza, di forma rettangolare, era affrescato con scene mitologiche e con un bellissimo cielo. Il pavimento invece era di puro legno, ed esattamente al centro vi era un altro pentacolo, identico a quello che Keita e gli altri avevano visto nella stanza sotto il negozio.

  «Eccoci arrivati.» disse Izumi guardandosi intorno «Da oggi e per due settimane, voi vivrete qui.»

  «Ma dove ci troviamo?» domandò Shinji.

  Lui, Keita e Nadeshiko si diressero dunque verso una delle tante finestre poste lungo una delle due pareti lunghe della stanza, e come gettarono gli sguardi di fuori rimasero con le bocche spalancate.

  Oltre i vetri si stagliava una splendida vallata, dominata quasi esclusivamente da vasti prati e dove spuntavano qua e là piccoli avvallamenti non eccessivamente alti; lungo i fianchi, dove il terreno si faceva un po’ più ripido, si concentravano fitte foreste di pini e di abeti che salivano sempre più fino a quando al verde non si sostituiva la roccia viva delle montagne, sulle cime delle quali dominava ancora la neve.

  Verso sud, quasi al limitare della valle, c’era anche un grande lago, alimentato da un torrente che arrivava da nord attraversando la distesa erbosa sul fondo di una gola, ma del quale, almeno da quell’angolazione, non si poteva scorgere l’emissario.

  Il punto di osservazione da cui i ragazzi stavano osservando quel grandioso spettacolo era un maestoso castello arroccato su un fianco della valle, un maniero databile attorno al diciassettesimo secolo dalle torri circolari, senza mura e con uno stretto sentiero di sassi che dalla spianata davanti all’ingresso permetteva di scendere più in basso.

  «Che posto è questo?» chiese Nadeshiko «È… bellissimo.»

  «Vi basti sapere che per due settimane sarà la vostra casa».

  Casualmente Izumi, girando lo sguardo, incrociò quello di Takeru, che da parecchi minuti non smetteva di fissarla con occhi di sfida, come a voler cercare a tutti i costi una rivincita, e allora la maestra tornò con la mente allo scontro di poco prima.

  Era rimasta incredibilmente sorpresa dalla sua forza, ed era consapevole del fatto che se avesse lanciato quella tecnica con un po’ più di consapevolezza e al massimo delle sue potenzialità quasi sicuramente il Diamond Wall sarebbe andato in pezzi come un cristallo.

  Tadaki, e ora se ne rendeva conto, non aveva per niente esagerato quando le aveva descritto le potenzialità di quei ragazzi, e d’improvviso le era venuta una voglia irresistibile di scoprire fin dove queste capacità potevano arrivare, quindi, vestendo per la prima volta i panni dell’inflessibile insegnante, chiamò tutti vicino a sé.

  «Ora, prima di cominciare, sarà meglio fissare subito dei paletti. Io non faccio sconti per nessuno, e come vi ho già detto non ho tempo da perdere.

  Io esigo sempre il massimo, e visti i tempi ristretti a disposizione non ci sarà tempo per dormire sugli allori. Chi non riuscirà a tenere il passo verrà messo da parte, così che non sia d’intralcio agli altri.

  L’addestramento inizierà oggi stesso. Nei prossimi giorni sveglia all’alba, mattinata di esercizio e pomeriggio di studio qui in biblioteca.»

  «Studio?» domandò Keita

  «La magia non la si impara semplicemente con l’allenamento. Ci sono cose che solo i libri e le parole possono spiegare, cose che poi devono essere trasformate in azioni concrete. In questa biblioteca sono custoditi venti secoli di conoscenza sulle arti magiche.

  Alcuni maghi sono bravi a recitare incantesimi e basta, altri abbinano magia e combattimento, altri ancora usano la magia come semplice strumento per potenziare le proprie abilità. Presto scopriremo per quale di questi campi siete maggiormente portati, e a quel punto potremo cominciare a differenziare i programmi d’allenamento. Tutto chiaro?»

  «Sì.» risposero all’unisono Keita, Shinji e Nadeshiko.

  Takeru limitò la sua risposta ad un cenno del capo, Toshio invece non fece una piega, ma ascoltava comunque con grande attenzione.

  «Vi avverto, saranno i quindici giorni più lunghi della vostra vita».

  La donna si avvicinò ad una scrivania, prendendone fuori cinque vecchie chiavi di bronzo, ognuna delle quali aveva un piccolo simbolo personale inciso sull’asta, e consegnandone una ad ogni componente del gruppo.

  «Queste sono le chiavi delle stanze da letto. Sono al piano superiore, alla fine del corridoio ovest, e i simboli sui battenti vi aiuteranno a localizzare quella di ognuno di voi. Andateci, lasciate tutto quello che non vi serve e poi raggiungetemi nell’atrio».

  I ragazzi e le due gemelle fecero per ubbidire, ma quando furono tutti usciti meno uno quest’ultimo venne richiamato.

  «Toshio. Tu aspetterai in camera.»

  «Che cosa?» domandò lui girando lo sguardo «Perché?»

  «Per te ho in mente qualcosa di diverso.

  Domani ne riparleremo, ma per oggi rimani in panchina».

  Toshio la guardò aggrottando le sopracciglia, e mostrando palesemente il proprio disappunto per quella decisione; uno come lui certamente non poteva sopportare l’idea di venire messo da parte, soprattutto se a farlo era una come Izumi, ma del resto che cosa poteva fare se non obbedire?

  Avrebbe voluto protestare, dire che era contrario, e invece se ne andò con una calma e una rassegnazione quasi sovrumani, e appena rimasta sola la maestra sembrò sorridere di rassegnazione.

  «Sarà più difficile del previsto, a quanto pare».

 

Dopo neanche mezz’ora Keita, Nadeshiko, Shinji e Takeru erano riuniti nel grande atrio del castello, davanti alla maestosa scalinata a ventaglio che permetteva di raggiungere i piani superiori.

  Appena furono tutti arrivati Izumi li fece disporre tutto intorno a sé, facendo formare loro un ideale quadrato che avesse lei come centro.

  Per parecchi minuti regnò un silenzio preoccupante, poi la maestra iniziò a parlare.

  «Molto bene. Cominciamo dalle basi.

  La magia è basata innanzitutto su di una cosa. La consapevolezza.

  Per poterla sfruttare è necessario comprenderla; chi possiede un cerchio debole non sarà mai in grado di usarla, chi invece, come voi, ha la fortuna di averne in sé uno altamente sviluppato il più delle volte la usa senza rendersene conto, a livello puramente istintivo.

  Come qualcuno di voi ha già avuto modo di sperimentare, il primo passo nella comprensione della magia è l’essere in grado di materializzare il proprio circolo magico; ciò è possibile solo disponendo di un certo autocontrollo, nonché di una discreta padronanza delle proprie energie.

  Ora, per iniziare, vi chiedo di fare una cosa molto semplice. Materializzate i vostri circoli».

  Tutti i ragazzi, obbedendo all’ordine, chiusero gli occhi e si concentrarono, ma dalle loro movenze Izumi capì subito che alcuni erano più tesi e preoccupati di altri. Il primo a riuscire nell’impresa fu Takeru, dopo neanche dieci secondi; Shinji lo imitò dopo poco, ed entrambi dimostrarono di esserci riusciti senza apparente difficoltà, proprio come le altre volte.

  Invece, dopo più di un minuto, Keita e Nadeshiko sembravano ancora in alto mare; il loro continuo accigliarsi e il digrignare di denti era un chiaro segno della loro difficoltà, e per quanto ci provassero la situazione non sembrava destinata a migliorare.

  «Basta così.» sentenziò Izumi, e allora entrambi, rassegnati, si arresero.

  La donna si avvicinò quindi a Nadeshiko, guardandola fissa negl’occhi e mettendole addosso un’agitazione indicibile; continuò così per un po’, poi, sfilato il grosso coltello da caccia che portava alla cintura, le prese con forza il polso destro.

  Keita e Shinji, istintivamente, cercarono di intervenire, ma Takeru li richiamò.

  «Fermi. Sa quello che fa».

  Nadeshiko non si oppose, e non fece niente per tentare di ribellarsi, neppure quando Izumi le provocò un piccolo taglio sull’indice, facendole rivolgere subito il dito verso il basso; come le prime gocce caddero sul pavimento, il circolo magico della ragazza istantaneamente si materializzò sotto di lei.

  Keita e gli altri avevano già assistito ad un simile evento, ma nonostante ciò rimasero comunque molto colpiti.

  «Il tuo circolo magico reagisce al sangue.» disse Izumi senza smettere di fissarla «È stato così anche a Venezia, giusto?»

  «Beh… sì.»

  «E prima di allora? Ti era mai successo?».

  Solo allora, cercando di pensarci, ragazza ricollegò quanto stava accadendo in quei giorni così inverosimili ad un evento particolare accadutole in passato.

  Tutto risaliva a quando aveva più o meno cinque anni.

  Il giorno in cui per la prima volta era uscita in bicicletta senza ruote era incespicata dopo pochi metri, sbucciandosi un gomito, e come era prevedibile si era messa a piangere.

  D’un tratto, però, aveva avuto come l’impressione che una luce calda l’avvolgesse, e quando, a sensazione passata, aveva guardato il gomito, la ferita era scomparsa.

  A Izumi bastò guardare la sua espressione stupita per capire che un precedente c’era già stato, e immediatamente ne trasse le proprie conclusioni.

  «Il sangue è il canale attraverso il quale scorre l’energia necessaria all’uso della magia. Il fatto che una semplice emorragia basti a provocare in te il risveglio delle tue capacità magiche è indice di due cose.

  La prima è che la tua magia è molto radicata, la seconda che è estremamente potente.

  Controllarla non sarà facile. Dovrai dimostrare un grande autocontrollo.

  Il tuo circolo magico ti permette l’utilizzò di un arsenale di incantesimi praticamente illimitato, e più ne apprenderai più riuscirai a dominarlo. Mi sono spiegata?»

  «Sì.» rispose lei senza esitazioni.

  Venne poi il turno di Keita, il quale sentiva, a differenza della sua amica, di non avere alcuna giustificazione per la sua scarsa partecipazione, e Izumi non sembrava intenzionata a fornirgliene una.

  «Nel tuo caso, invece, credo che l’unico problema sia la paura.»

  «La… paura?»

  «Hai visto coi tuoi stessi occhi ciò di cui sei capace. Sei consapevole di possedere dentro di te una magia diversa e potentissima, e questo ti spaventa oltre ogni limite. Per questo non sei in grado di usarla a piacimento.

  È come avere una macchina sportiva e volerla guidare senza essere mai saliti neanche su un triciclo. Il tuo potere magico è ancora separato dalla tua coscienza, come due entità che vivono in un solo corpo. La tua magia si scatena a livello puramente istintivo, e solo in casi di estrema necessità.

  Per avere il controllo della magia, dovrai imparare a non temerla, ma non posso insegnarti a non avere paura. È una cosa di cui devi liberarti da solo».

  Keita si sentiva molto sconfortato dalle parole di Izumi, e se da una parte era costretto ad ammettere che si trattava della verità dall’altra si domandava come fare per riuscire a compiere qualche progresso.

  Se davvero aveva paura della sua magia, non se ne era mai accorto; forse, però, era proprio per questo che per quanto si sforzasse non gli riusciva di usarla; forse senza volerlo si era imposto un freno interiore dettato dalla paura che provava inconsciamente, ma se era così come poteva fare per rimuoverlo?

  Nello stesso momento, tre piani più in alto, Toshio sedeva sul letto della sua stanza nel più completo silenzio, con gli occhi a terra e l’espressione accigliata.

  Aria e Lotte, in forma animale, lo osservavano stando a distanza, perché sapevano che in quei momenti il loro compagno e padrone poteva diventare assolutamente intrattabile.

  Essere stato messo da parte era una cosa che per nulla al mondo avrebbe potuto tollerare, ma c’era da dire che quando Izumi, senza troppi complimenti, lo aveva escluso dal gruppo di allenamento, lui non aveva sollevato nessuna protesta.

  D’altronde però, questo era un aspetto che, per quanto ricordava, aveva sempre fatto parte del suo carattere: per qualche ragione, forse per via del severo addestramento al quale era stato sottoposto fin da bambino, almeno così gli era stato detto, disobbedire a chi riteneva un suo superiore era una cosa che proprio non gli riusciva di fare.

  Per tutta la vita la sua principale occupazione era stata eseguire gli ordini; non importava da chi venissero, se si trattava di una persona che riconosceva come di un livello più elevato lui ubbidiva senza fiatare, a meno che naturalmente tali ordini non andassero contro i suoi principi o contro la salvaguardia delle persone che era chiamato a proteggere.

  Fino a quel momento, soltanto il re Akunator e padre Andersen avevano avuto questo privilegio, perché erano le sole persone che egli considerava come propri maestri, ma adesso nella lista era entrata anche Izumi, e la cosa, per qualche motivo, non gli piaceva.

 

Parigi

 

Erano passati già quasi due giorni da quando Tadaki e sua sorella Kazumi erano arrivati nella Ville Lumiere, ma del guerriero che a Venezia aveva quasi fatto la pelle a Tadaki non vi era ancora traccia.

  Il ragazzo però era certo di essere sulla strada giusta, e sapeva che quel tipo, dopo aver fallito in Italia, non avrebbe rinunciato a fare un secondo tentativo; probabilmente stava semplicemente aspettando il momento migliore, e Tadaki dal canto suo, pur facendo apparentemente finta di niente, era in realtà più che preparato ad affrontarlo appena si fosse fatto vivo.

  Quella mattina lui e sua sorella stavano facendo colazione seduti ad un tavolino all’aperto del lussuoso albergo in cui alloggiavano, non lontano da Place de La Concorde; Tadaki, come faceva sempre ogni mattina, leggeva il giornale, un’impresa non difficile dal momento che il francese lo sapeva leggere molto bene, come pure l’italiano, lo spagnolo e l’inglese, e sorseggiando di tanto in tanto il suo caffè; Kazumi, seduta di fronte a lui, si deliziava il palato con una fetta di torta al limone, accompagnata da una spremuta ghiacciata, l’ideale per allontanare il caldo opprimente che da diverse settimane imperversava senza pietà sulla bella Parigi.

  «Ehi, Tadaki. Secondo te come se la staranno cavando Nadeshiko e gli altri?»

  «Non preoccuparti per loro, sono in buone mani.

  Izumi è l’insegnante più preparata che si possa incontrare. Ha dei metodi tutti suoi, questo è vero, ma sa fare il suo lavoro molto bene.»

  «Ne sei sicuro?»

  «Sono stato anche io suo allievo subito dopo essere venuto in Europa. Se hai una qualità lei te la tira fuori, in un modo o nell’altro».

  Il ragazzo sollevò allora lo sguardo dal giornale.

  «Piuttosto, tu che programmi hai per oggi?»

  «Beh, ecco… mi sarebbe piaciuto andare a visitare Versailles. Se devo essere onesta sarei stata molto più felice ad accompagnarti, ma come mi hai già detto non è prudente che io stia con te.»

  «Hai ragione. Nostro padre ti ha mandata qui in Europa per tenerti lontana da possibili pericoli, e almeno per il momento non c’è nulla di cui ti debba preoccuparti.

  Comunque, per ogni evenienza, Touka ti terrà costantemente d’occhio, e se sarà necessario accorrerà in tuo aiuto.»

  «Mi dispiace molto, fratello.» disse Kazumi abbassando lo sguardo «Da quando sono qui, non ho fatto altro che causarti problemi.»

  «Non dirlo neanche per scherzo. Anzi, averti vicina mi fa sentire molto più tranquillo. Da tempo giravano brutte voci attorno alla nostra famiglia, saperti laggiù senza nessuno che ti protegga mi avrebbe fatto stare molto in pensiero».

  Lei, arrossendo, distolse lo sguardo, e lui, alzatosi, le mise una mano sulla testa.

  «Sei la mia sorellina. È mio dovere proteggerti.»

  «Gra… grazie».

  In quella, Tadaki ebbe la netta impressione di venire osservato insistentemente da qualcuno, e si mise immediatamente sull’attenti, cercando di percepire la benché minima presenza sospetta fra la miriade di persone che affollavano la strada pedonale davanti a lui.

  «Tadaki, che succede?» domandò Kazumi vedendo i suoi occhi sbarrati.

  Il ragazzo non voleva assolutamente coinvolgere sua sorella in un eventuale scontro, quindi la cosa migliore da fare era allontanarsi da lei il più possibile in modo che non venisse catturata all’interno del Fuuzetzu, mettendo così in allarme il possibile avversario con la sua capacità di muoversi all’interno del campo.

  «Aspettami qui, io torno subito.»

  «Cosa!? Ma io…»

  «Non preoccuparti, non succederà nulla. Devo solo controllare alcune cose.

  Mi raccomando, non muoverti».

  Senza dire altro Tadaki lasciò il porticato dell’albergo e si mescolò immediatamente alla folla, facendo l’impossibile per attirare su di sé l’attenzione del misterioso osservatore così da condurlo in una zona poco affollata.

  Dopo qualche minuto, però, divenne chiaro che qualcosa non sembrava andare secondo gli standard convenzionali; Tadaki era sicuro di essere riuscito nel suo intento, eppure il nemico, chiunque fosse, non sembrava determinato a fare la sua mossa, limitandosi invece a rimanere ad una considerevole distanza.

  Alla fine il giovane studioso decise di fare la sua mossa e si infilò nel primo vicolo laterale capitatogli sotto mano, una stradina stretta e lunga soffocata fra due alti palazzi del primo ‘900; a quel punto gli bastò fare una decina di passi in avanti per avvertire quella presenza che si materializzava alle sue spalle, e immediatamente si girò, scagliando una coppia shuriken che teneva nascosti nel gilè senza maniche.

  Le due lame volarono nell’aria emettendo un fischio sommesso, ma vennero entrambe respinte dal furioso roteare su sé stessa dell’arma del nemico e andarono a conficcarsi nel muro.

  «Accidenti, che accoglienza calorosa.» disse il nuovo arrivato con voce sprezzante e sarcastica.

  Tadaki, voltatosi completamente, lo guardò dritto in volto.

  «Direi di fare le presentazioni. Io sono…»

  «Lo so chi sei. Sei Atarus dei McLoan

  «Ok, come non detto. Tu invece devi essere Tadaki, del Clan Yoshida

  «Che cosa vuoi da me? Sei venuto per combattere?»

  «Combattere!?» rispose Atarus sogghignando e sfoggiando il suo sguardo sadico «Se avessi voluto combattere, a quest’ora saresti già morto.»

  «E allora che cosa vuoi? Di certo non sei qui a Parigi per visitare il Louvre.»

  «Quanto sei spiritoso. Se proprio vuoi saperlo, sono venuto fin qui per proporti un accordo.»

  «Un accordo?».

  Atarus a quel punto rivolse a terra la punta della sua lancia, un chiaro segnale del fatto che, almeno per il momento, non intendeva combattere; Tadaki, cercando di mostrarsi sicuro di sé, a sua volta assunse un atteggiamento meno guardingo, ma comunque pronto all’azione.

  «Ti sarai accorto anche tu che questo torneo si sta rivelando alquanto anomalo. È già passata una settimana da che abbiamo cominciato, eppure siamo ancora tutti e sette in gara.

  È ormai ovvio che la questione è destinata a protrarsi a lungo, e in momenti simili avere meno pensieri per la testa certamente aiuta. A tal proposito, che ne dici di stabilire una tregua?»

  «Una tregua?»

  «Al momento io ho già parecchie cose a cui pensare, e non mi pare che tu sia messo tanto meglio. Quello che ti propongo, è un momentaneo cessate il fuoco. Io non cercherò di attaccarti, e tu farai altrettanto. In questo modo, potremo concentrarci sugli altri avversari, almeno fino a quando il loro numero si sarà un po’ sfoltito».

  Tadaki non rispose, abbassò lo sguardo e per qualche istante sembrò quasi rifletterci sopra.

  «Insomma, stai cercando un’alleanza con me.»

  «Devi ammettere che sarebbe vantaggioso per entrambi.»

  «Sì, forse è come dici tu».

  Atarus sembrò soddisfatto di quell’affermazione, ma poi Tadaki distese entrambe le braccia.

  «Però…» disse con voce profonda; da dentro le maniche della sua camicia sbucarono fuori le sue due spade corte, e lui, rialzato lo sguardo, si preparò alla battaglia.

  «Non è mia abitudine stringere alleanze con qualcuno di così poco affidabile. E poi, lasciatelo dire, tu sei quel tipo di partecipante che fremo dal desiderio di sbattere fuori dal torneo».

  Malgrado la sua proposta fosse stata rigettata il lanciere non modificò di una virgola la propria espressione sorridente, ma per chi sapeva leggerlo era evidente che il suo sorriso, da ironico, era diventato malevolo.

  «Allora…» disse in modo sommesso, per poi scattare improvvisamente all’attacco «Questa conversazione non ha motivo di proseguire!».

  Tadaki non si fece prendere alla sprovvista e schivò il colpo, rispondendo subito con un tentativo di affondo che fu a sua volta schivato, e in breve divenne chiaro che la situazione non era favorevole per nessuno dei due; il vicolo stretto e il muro alto limitavano di molto i movimenti e la libertà d’azione di entrambi i guerrieri, togliendo ad uno la sua agilità di ninja e all’altro la possibilità di maneggiare agilmente la propria lancia.

  Come se non bastasse, mentre erano impegnati in uno scontro di forza, l’arrivo inaspettato di due membri della gendarmeria, attirati probabilmente dai rumori dello scontro, rese necessaria una momentanea ritirata.

  «Ehi, voi due!»

  «Sei hai il coraggio di affrontarmi» sussurrò Atarus «Ti aspetto fra le rovine dell’antica fortezza di Luigi XI sulle colline a nord, fra tre giorni a mezzanotte.»

  «Puoi star certo che ci sarò».

  A quel punto Tadaki lasciò cadere una granata fumogena, e quando la spessa coltre grigia si diradò i due avversari avevano già tagliato la corda, sotto il naso degli sbigottiti tutori dell’ordine.

 

Era da poco passata la mezzanotte, ma ormai da diversi giorni la vita quotidiana nel castello dei Von Karma si era spostata soprattutto nelle ore di tenebra; forse per via dell’aver vissuto migliaia di anni rinchiusi dentro un vecchio libro polveroso, i generali di Seth si trovavano a loro agio nell’oscurità, ed era proprio durante la notte che i loro poteri di divinità emergevano in tutta la loro sconfinata potenza, rendendoli molto pericolosi.

  Questo era particolarmente vero nel caso di Hypnos e Thanatos, che più passava il tempo più sembravano manifestare un comportamento quasi vampiresco, mentre Anubis, per qualche strano motivo, si faceva vivo solo dopo il tramonto, perché per tutto il resto della giornata diventava praticamente introvabile, senza neanche presenziare alle numerose riunioni.

  Wei e Franziska al contrario non erano riusciti ad abituarsi a quel nuovo stile di vita, ma cercavano comunque, per quanto possibile, di essere presenti, se non altro per stare vicini a Johan, che da qualche giorno aveva preso l’abitudine di portare al collo un pendente di colore rosso a forma di spada.

  Quella sera erano tutti radunati nella sala da ballo; Johan teneva tra le mani una splendida rosa rossa recisa quella stessa mattina nel giardino del castello, e girandola in continuazione ne assaporava la bellezza in ogni suo anfratto.

  «Davvero stupenda.

  Questo pianeta ha in sé una bellezza che non avevo mai visto da nessun’altra parte. È naturale che i nostri antenati lo avessero eletto a loro dimora eterna».

  Poi, di colpo, la sua espressione si accigliò.

  «Gli umani abusano di questo mondo come se fosse di loro proprietà, senza un briciolo di rispetto.»

  «Queste creature sono come i parassiti.» disse Anubis «Il solo modo che hanno per vivere è sfruttare qualsiasi fonte di approvvigionamento fino a farla morire.»

  «E noi sappiamo bene cosa bisogna fare coi parassiti.» disse Thanatos con espressione malevola e gli occhi che scintillavano di sangue «Bisogna eliminarli.»

  «Non c’è bisogno di essere così drastici.» intervenne Minami, guadagnandosi le occhiate perplesse delle sue due sorelle

  «Sorella…» disse Ushio

  «È vero, gli umani sono malvagi e approfittatori. Ma alcuni di loro sono diversi, e hanno un animo buono. Non possiamo punire anche quei pochi per i quali la salvezza di questo mondo ha ancora valore.»

  «Ti ricordo che sono stati proprio gli umani che tu difendi a rinchiuderci in quel libro in cui abbiamo marcito per migliaia di anni!» disse Yuuhi rossa in volto

  «Lachesi ha ragione.» intervenne Seth senza staccare gli occhi dalla rosa che aveva in mano «Io non voglio distruggere l’umanità. Ciò che voglio è cambiarla, renderla consapevole della fragilità del creato, e di quanto sia importante preservarlo dalla distruzione.

  Gli esseri umani sono gli eredi di questo universo, che ci piaccia o no, e la nostra gente non potrà mai tornare a godere del prestigio che aveva in passato».

  A sentire quell’affermazione, qualcuno dei presenti abbassò la testa, mostrando palesemente il proprio disgusto.

  «Noi abbiamo fatto il nostro tempo, questa è la verità. Ma ciò non significa che non possiamo adoperarci per garantire un destino migliore a questo universo. Noi guideremo gli umani ad un futuro di giustizia e potenza, saremo gli artefici della loro grandezza, e sarà un po’ come la prosecuzione della nostra civiltà.»

  «Sono d’accordo con voi, nobile Seth.» disse Hypnos accettando con un cenno del capo la tazza di tè che Wei gli stava offrendo su di un vassoio d’argento «Dopotutto, c’è un motivo se siamo stati in grado di incarnarci in degli esseri umani. Loro, per molti versi, sono simili a noi. Di conseguenza, potrebbero andare incontro al nostro stesso destino, se lasciati a sé stessi, e mi sembra che lo stiano ampiamente dimostrando.

  Solo se avranno qualcuno a comandarli, e a suggerire loro la strada più giusta da percorrere, riusciranno a sopravvivere».

  In quella, la ragazza scura che restava appoggiata alla parete come addormentata si riscosse, drizzando le sue orecchie canine come se avesse percepito un pericolo.

  «Seline, che succede?» domandò Franziska «C’è qualcosa che non va’?»

  «Si sta avvicinando qualcuno. Percepisco un’emanazione magica di proporzioni colossali».

  Pochi istanti dopo anche gli altri presenti avvertirono la stessa presenza, mettendosi subito in posizione di guardia; Johan, invece, accennò uno dei suoi sorrisi.

  «Immaginavo che sarebbe venuta».

  Appena finì di parlare un fascio di luce scese dal cielo perforando il tetto, e dalla luce che andava affievolendosi uscì un’elegante figura femminile.

  Vestiva in modo sontuoso, da principessa, con un abito rosato in stile vagamente arabeggiante; un gilè maniche corte che lasciava scoperto l’ombelico, pantaloni larghi sormontati da una sorta di gonna lunga aperta interamente sul davanti che si fermava all’altezza delle caviglie, scarpe leggermente affusolate e un lungo mantello provvisto di un cappuccio molto largo che nascondeva quasi completamente il volto, lasciando intravedere solo il naso e la bocca.

  Portava anche dei bracciali decorati, e nella mano destra stringeva un lunghissimo bastone d’oro massiccio appoggiato a terra con in cima una grossa sfera rosa apparentemente di vetro circondata da un paio di ali spiegate sempre in oro.

  Appena riconobbero chi avevano di fronte, tutti i generali rimasero con la bocca spalancata, chi per lo stupore chi per la paura.

  «È bello rivederti.» disse Johan con la testa poggiata placidamente su una mano «Devo ammettere che mi sei mancata.»

  «Questa tua follia deve finire al più presto.» rispose la ragazza con voce profonda ed echeggiante

  «Sei sempre il solito spirito ribelle. Ho sempre sperato di poterti rivedere.»

  «Fermati adesso, Seth. Non costringermi a ripetere ciò che feci milioni di anni fa.»

  «Fermarmi? Ormai non è più possibile, e tu lo sai.

  Ti hanno forse mandata i nostri amici di lassù? Ti hanno mandata a fare il lavoro sporco? O forse speravano di farmi cedere alle tue lusinghe? Beh, se devo essere sincero, la tua presenza mi fa palpitare.»

  «Sono venuta qui di mia spontanea volontà. Ma ti avverto, il consiglio non è più disposto a tollerare le tue azioni. Se non smetterai di arrecare minaccia a questo mondo, prenderanno misure drastiche.»

  «Il consiglio? Ma non farmi ridere. Sono troppo attaccati ai loro privilegi per privarsene. Vedere quello che sei diventata è un motivo più che sufficiente per cancellare in loro qualsiasi proposito nei miei confronti».

  La ragazza non rispose, ma la sua espressione seria non lasciava adito a dubbi su quali fossero le sue intenzioni.

  «In tal caso, non mi lasci scelta. Non posso permettere che siano gli umani a pagare il prezzo della tua follia».

  Nella situazione tesa che si era venuta a creare irruppe ferocemente la giovane e irruente Yuuhi, alias Atropo, che vendendo quella ragazza era stata colta da una rabbia irrefrenabile.

  «Tu maledetta!» gridò mentre in mano le compariva una grossa falce dall’asta ricurva e con una lama lunga più di un metro «Aspettavo da tanto l’occasione di fartela pagare!».

  Rossa di rabbia si scagliò quindi alla carica, ma nonostante ciò la ragazza non si mosse.

  «Sabatiel.» disse lievemente, e subito la sfera sul suo scettro prese a brillare

  «Jail Ring».

  Dal nulla sbucarono fuori quattro grossi anelli che, avvinghiandosi ai polsi e alle caviglie di Atropo, immobilizzandola e lasciandola sospesa a mezz’aria.

  «Ma cosa…»

  «Wind Rush».

  La ragazzina venne colpita in pieno da un poderoso spostamento d’aria sprigionatosi dallo scettro, volando all’indietro come un proiettile e finendo a terra poco lontano.

  «Yuuhi!» esclamò sua sorella Ushio correndo ad aiutarla

  «Maledetta…» ringhiò Atropo cercando di rimettersi in piedi

  «Lascia perdere, Atropo.» disse Seth alzandosi in piedi «Non è il genere di avversario che possiate affrontare».

  Il ragazzo cominciò dunque a camminare lentamente verso la nuova arrivata, e appena si strappò il pendente dal collo questo assunse subito la forma della sua spada.

  «Aktiviert».

  Appena i fermò, i due rimasero a lungo a guardarsi l’un l’altro, e anche se Johan non riusciva a vedere gli occhi del nemico immaginava quale fosse la sua espressione.

  «Mi è sempre dispiaciuto averti come avversaria. Quante cose avremmo potuto fare se fossimo stati dalla stessa parte.»

  «Non tradirò i miei principi, e non abbandonerò la mia missione. Anche se questo significa combattere contro di te.»

  «Immaginavo che avresti detto qualcosa del genere. Quand’è così… Naqada

  «Schlitzen Bliz!».

  Uno dei fili della spada si caricò di elettricità, e come Johan menò un fendente una tempesta di fulmini si diresse verso l’avversaria.

  «Protection.» disse la sfera sullo scettro con voce femminile, e davanti alla ragazza si formò uno scudo di luce rosata e trasparente che respinse l’attacco, disperdendolo

  «Seth, i tuoi poteri sono cresciuti dal nostro ultimo incontro.»

  «Non puoi immaginare quanto. Non illuderti, non finirà come l’ultima volta».

  Nuovamente, il monile sullo scettro prese a scintillare, e attorno alla ragazza comparvero centinaia di piccole sfere luminose.

  «Starlight buster

  «Io ho preso la mia decisione, e farò tutto il possibile per fermarti».

  Ad un cenno della ragazza i globi puntarono tutti insieme in direzione di Johan, che con uno sforzo apparentemente minimo sollevò la sua spada fin sopra la spalla.

  «Sturm Flamme!».

  Stavolta, la lama venne circondata di fuoco, e con un solo colpo Johan respinse violentemente tutte le sfere, spedendole in varie direzioni; l’attacco, però, non era ancora finito, infatti prima di andarsi a schiantare sulle pareti e sul soffitto i globi si fermarono.

  «Conversion!» disse il monile, e di nuovo, con velocità doppia rispetto a prima, le sfere puntarono verso Johan.

  Il ragazzo parve impressionato, ma non per questo sorpreso; dopotutto, visto l’avversario che aveva di fronte, si aspettava qualcosa del genere.

  «Pantzer Geist!».

  Attorno a Johan si andò a formare una specie di cristallo rosso sangue, che funzionando come uno scudo prese a respingere tutti i globi, e malgrado questi continuassero a colpire nulla sembrava in grado di scalfire quella barriera impenetrabile.

  «Explosion!» disse la spada, e subito dopo la barriera parve esplodere, producendo una luce fortissima e una forte corrente d’aria.

  «Johan!» gridò sua sorella con le lacrime agli occhi

  «Seth-Sama!» disse Lainay.

  Quando la situazione si acquietò, però, Johan era ancora in piedi e senza un graffio, fiero come sempre; della ragazza, però, neanche l’ombra.

  «È… sparita.» disse Wei

  «Io gliel’avevo detto. Non sono più quello che ha conosciuto».

  Franziska, preoccupata, si avvicinò a lui, accorgendosi che aveva una leggera bruciatura ad una spalla, dovuta probabilmente alla deflagrazione della barriera.

  «Johan. Sei ferito.»

  «Non è niente. Puoi stare tranquilla.»

  «Ma…»

  «Per adesso si è ritirata, ma tornerà. Per quanto io sia diventato potente lei non è il genere di avversario che si possa sottovalutare, e se oggi si è arresa così facilmente è solo perché i suoi poteri si stanno ancora stabilizzando.

  Quando ritornerà, sconfiggerla sarà molto più difficile».

 

 

Nota dell’Autore

Rieccomi!

L’ultimo capitolo prima di riprendere i corsi all’università. Mi ero ripromesso di riuscirci, e alla fine eccolo qui.

Come è facile immaginare, da adesso in poi è probabile che gli aggiornamenti si faranno più radi, anche perché dal lunedì al mercoledì non tornerò a casa prima delle 18 (il lunedì addirittura alle 20!).

Va beh, farò il possibile.

Ringrazio Selly, Akita, Cleo e Levsky

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 11
*** Qualcosa Per Cui Lottare ***


9

9

 

 

Nadeshiko sbadigliò vistosamente, poggiando subito dopo la testa sullo zainetto e lasciandosi cullare dalla morbidezza del manto erboso.

  «Stanca?» domandò Shinji, seduto accanto a lei

  «Un pochino. Stanotte non sono riuscita a chiudere occhio.»

  «Davvero? Io invece ho dormito come un sasso. Con tutto quello che ci alleniamo, la sera ho a malapena la forza per trascinarmi fino al letto».

  Poco distante, in cima ad una collinetta, Takeru e Keita, armati di bastoni, erano impegnati in un corpo a corpo di prova con Izumi, che evitava tutti i loro attacchi con una facilità disarmante, a volte tenendo persino gli occhi chiusi.

  Era passata quasi una settimana dall’arrivo dei ragazzi nel castello, e già due giorni l’allenamento mattutino si era spostato dall’atrio del castello alla valle sottostante, raggiungibile tramite uno stretto sentiero.

  Tutti loro avevano fatto alcuni progressi nell’apprendimento delle arti magiche e nel controllo dei propri circoli magici, e fra tutti quello che aveva dato i maggiori segni di miglioramento era sicuramente Keita, il quale risultava ora in grado, anche se con qualche difficoltà, di materializzare e mantenere stabile il suo circolo, senza riuscire però a chiamare a sé quella famosa spada che lo aveva assistito in passato.

  Come predetto da Izumi, dopo i primi due giorni il programma di allenamento, da collettivo, era divenuto individuale; Shinji e Takeru stavano imparando a controllare la loro magia, usandola per aumentare le proprie capacità fisiche e avvantaggiarsi nei combattimenti; Keita era ancora in fase di riscaldamento, ma era molto probabile che di lì a breve avrebbe seguito il destino dei suoi due compagni; Nadeshiko invece passava la gran parte del suo tempo a migliorarsi nel controllo del suo circolo, indubbiamente il più sviluppato fra quelli di tutti i suoi compagni, e cercando di tanto in tanto di apprendere qualche incantesimo, ma come diceva Izumi più avesse imparato a dominarsi più l’arsenale di magie insite all’interno del cerchio, una sorta di codice genetico dello spirito, sarebbe stato alla sua portata.

  Anche Aria e Lotte avevano cominciato ad addestrarsi, sotto la supervisione di Nagisa, un addestramento volto soprattutto a far progredire le loro abilità di famigli, e saltuariamente aiutavano la loro maestra nella cura del castello, dividendosi tra le pulizie domestiche e la preparazione dei pasti.

  Toshio, invece, continuava a rimanere il grande escluso, e più i giorni passavano più Izumi sembrava determinata a non renderlo partecipe degli allenamenti, al punto da dare quasi l’idea di non tenere neppure in considerazione la sua presenza.

  Indubbiamente il giovane guerriero aveva preso molto male questo atteggiamento, e ormai da tre giorni non usciva più dalla sua camera.

  Nadeshiko e Keita, preoccupati per lui, avevano cercato di fargli visita, ma Aria e Lotte glielo avevano caldamente sconsigliato, facendogli presente che in simili situazioni Toshio diventava intrattabile.

  Tornando all’allenamento, Izumi non sembrava intenzionata a rispondere agli attacchi di Takeru e Keita, ma piuttosto si limitava a schivarli muovendosi di continuo, e i suoi spostamenti erano così rapidi che i due ragazzi di tanto in tanto finivano per ostacolarsi a vicenda.

  «Quei due si stanno stancando troppo.» disse Shinji «Se vanno avanti di questo passo, tra non molto saranno completamente esausti».

  E difatti, pochi istanti dopo, Keita per la stanchezza poggiò male il piede, incespicando e rischiando di cadere addosso a Takeru, che si distrasse; a quel punto Izumi riaprì gli occhi, e con un solo calcio orizzontale spedì entrambi al tappeto.

  «Siete ancora troppo lenti. Dovete imparare a muovervi all’unisono, o non sarete mai in grado di combattere come una vera squadra. Ci sono situazioni in cui il sostegno reciproco è l’unica cosa in grado di salvarvi, ricordatelo bene!».

  Sia Keita che Takeru fecero un cenno con la testa, come a dire che avevano capito.

  «Va’ bene, per adesso basta così. Continueremo nel pomeriggio, ora rientriamo».

  Pochi minuti dopo Keita e gli altri erano seduti attorno al tavolo da pranzo assieme alla loro maestra, degustando con piacere le prelibatezze tipicamente svizzere preparate da Nagisa con la collaborazione benaccetta di Aria e disastrosa di Lotte, capace di confondere lo zucchero con il sale.

  Nagisa non voleva proprio saperne di ostentare un’espressione che non fosse quel suo sguardo perennemente serio e accigliato, e anche quando Shinji gli rivolse i complimenti per la raffinatezza e la bontà del pasto lei si limitò a fare un cenno con la testa.

  «Mangiate, vi conviene.» disse Izumi «Dopo pranzo riprendiamo gli allenamenti. Tu Nadeshiko, invece, andrai in biblioteca a studiare.»

  «D’accordo.» rispose la ragazza, che subito dopo incrociò, forse volontariamente, il posto sul grande tavolo circolare che da tre giorni continuava a rimanere vuoto, e allora non riuscì a fare a meno di mostrarsi triste e preoccupata.

  Izumi se ne accorse, e anche gli altri.

  «Perché continua ad escluderlo?» domandò Nadeshiko «Non ha fatto niente di male, e ha molta voglia di apprendere.»

  «Ci sono delle cose che Toshio deve decidersi ad imparare. Quando ci sarà riuscito, allora si potrà cominciare a prendere in considerazione un eventuale allenamento.»

  «Ma di che si tratta?» chiese Keita «Che cosa dovrebbe imparare?».

  L’insegnante, che in quel momento si stava portando una patata alla bocca, posò la forchetta, guardandolo severamente.

  «Tanto per cominciare, Toshio non ha mai imparato a perdere. Tutte queste sconfitte che ha subito da che ha avuto inizio il torneo gli hanno devastato lo spirito, e questo perché non ha mai accettato l’idea di perdere.»

  «Ma questo potrebbe non essere un difetto.» disse Shinji «Dopotutto, volersi riscattare rende una persona più determinata, lo ha detto anche Lei.»

  «Per lui è diverso. Quando combatte mette tutto sé stesso, perché sente di non avere nulla da perdere. Per lui conta solo la vittoria, quindi, se venisse sconfitto, il suo solo pensiero sarebbe di riscattarsi, ma proprio per il non essere capace di accettare la sconfitta nella battaglia successiva si spingerebbe sempre oltre il proprio limite, e questo metterebbe in pericolo anche lui.

  Un guerriero il cui solo pensiero è riscattare l’onore perduto nella sconfitta è una macchina da guerra senza emozioni, che ucciderebbe senza remore il suo avversario solo per essere sicuro di non essere nuovamente surclassato. E il mondo non può avere come propri custodi persone che ragionano in questi termini.»

  «Ma Toshio non è così!» esclamò Nadeshiko scattando in piedi e ribaltando la sedia.

  La sua fu una reazione decisamente spropositata, soprattutto per la sua personalità, e tutti ne rimasero molto sorpresi, soprattutto Keita, che mai l’aveva vista inviperirsi in quel modo. Anche Izumi parve colpita, ma il suo viso marmoreo non lasciò trasparire alcuna emozione.

  «Adesso forse, ma chi ti dice che in futuro la situazione non cambierà? Toshio è orgoglioso e rassegnato al tempo stesso; basta guardarlo in volto per capire che combatte per qualcosa che non sente come suo, e fino a che permarrà in questa sua condizione non vi sarà spazio per un cambiamento».

  Qui Izumi fece una pausa, chinando il capo e chiudendo gli occhi.

  «Lui la forza ce l’ha, ed è grande. Allenarlo sarebbe una perdita di tempo, perché non c’è niente che io possa insegnargli. Ciò che gli serve davvero, che può fare la differenza, è un motivo per volerla usare.

  Uno scopo.

  Qualcosa che non sia il semplice dovere, o gli obblighi che gravano su di lui come partecipante a questo torneo. Avere un motivo per voler combattere sarebbe più che sufficiente ad annullare tutto ciò che ancora lo tiene a freno; gli insegnerebbe ad accettare la sconfitta e ad usarla per migliorarsi, e metterebbe fine a quella sua condizione di umiltà e rassegnazione che non gli riesce di abbandonare di fronte a certe persone.

  È questo il suo addestramento, e non potrebbero essercene di più difficili».

 

Qualche minuto dopo, qualcuno bussò sommessamente alla porta della stanza di Toshio.

  «Toshio?» disse la voce gentile di Nadeshiko «Ti disturbo?».

  Dall’altro lato, però, non giunse alcuna risposta.

  «Ti ho portato qualcosa da mangiare. Sono giorni che non tocchi cibo».

  Nuovamente, nessuno rispose, e allora la ragazza si decise a mettere la mano sulla pregiata maniglia d’ottone; la serratura scattò, l’uscio si aprì lentamente e Nadeshiko si presentò nella stanza con in mano un vassoio contenente piccole porzioni del pranzo di quel giorno.

  «Sto entrando».

  Toshio era semi-disteso sul letto, con la testa appoggiata alla parete, le braccia incrociate sul petto le gambe distese e lo sguardo rivolto alla finestra opposta all’ingresso; sembrava non essersi neppure accorto dell’arrivo della ragazza, immerso com’era nei propri pensieri, o forse più semplicemente l’aveva del tutto ignorata.

  Al secondo richiamo, finalmente, Toshio si decise a girare la testa, e allora Nadeshiko, nel vedersi puntare contro quegli occhi così enigmatici e profondi, per un istante si sentì a disagio.

  «Ah, sei tu.» disse come se si fosse appena svegliato da un lungo sonno

  «Io… ho pensato che avessi fame.» rispose Nadeshiko mostrando il vassoio che aveva in mano «Non è molto, ma è tutto quello che sono riuscita a salvare dalle grinfie di Lotte.»

  «Al momento non ho fame.» fu la risposta secca e disinteressata del ragazzo

  «Ma… sono più di tre giorni che non mangi. Di questo passo rischi di sentirti male.»

  «Non è un problema. Posso stare giorni senza mangiare».

  Forse l’odore delle fettine di carne gli passò sotto il naso, fatto sta che di colpo il silenzio nella stanza venne squarciato da un gorgheggio famigliare che non aveva nulla da invidiare a quelli di Keita dopo l’ora di Educazione Fisica.

  Nadeshiko a stento riuscì a trattenersi dal ridere, coprendosi la bocca con una mano e chiudendo gli occhi, lui invece divenne visibilmente rosso, forse per la prima volta nella sua vita.

  «Che stavi dicendo in proposito?» disse la ragazza poggiando il vassoio sulla scrivania «Il tuo stomaco si accartoccerà su stesso se non ci metterai subito qualcosa dentro. Forza, vieni a mangiare».

  Toshio esitò, diventando ancora più rosso; sembrava stare cercando in tutti i modi un modo per controbattere, ma il suo nervosismo e il suo imbarazzo erano più che palesi. Nadeshiko lo guardò come una madre che si accinge a rimproverare un bambino capriccioso.

  «Mangia».

  Alla fine il guerriero, sbuffante e visibilmente scocciato, si alzò dal letto e si sedette al tavolo, e sotto lo sguardo severo di Nadeshiko che, non sapeva perché, gli incuteva più soggezione e senso di impotenza persino di quello di Padre Andersen, si portò un pezzo di pane alla bocca.

  «Visto?» disse la ragazza tornando a sorridere, più radiosa di prima «Non era poi così difficile. Allora, com’è?»

  «È… buono…»

  «Mi fa piacere».

  Pochi minuti prima Aria e Lotte, in forma umana, erano risalite per tornare in camera e cercare di convincere Toshio a mangiare qualcosa, ma quando avevano sentito rumori e la voce di Nadeshiko provenire dall’interno si erano immediatamente appostate dietro la porta, dandosi il cambio per sbirciare attraverso la serratura.

  «Ci avresti mai creduto?» disse Lotte «Toshio che si fa mettere il guinzaglio da una ragazzina.»

  «Se lo venisse a sapere il maestro, probabilmente piangerebbe di gioia. Era così preoccupato che Toshio non riuscisse a creare legami con qualcuno.»

  «Beh, sembra che finalmente qualcuno che non siamo noi sia riuscito a scalfire quella sua scorza dura.»

  «Non facciamo di ogni erba un fascio. Potrebbe essere solo un faro nella tempesta».

  Toshio mangiò, lentamente e in silenzio, buona parte del suo pranzo, e solo quando i piatti erano ormai quasi vuoti decise, malgrado le sollecitazioni di Nadeshiko, che lo esortava a finire tutto, di essere sazio.

  «Sei così strano.» disse la ragazza mentre lui, senza riuscire a placare il proprio rossore, tornava a distendersi a letto.

  «Non avverto più la presenza di Izumi e Nagisa.»

  «Sono andate al negozio per sbrigare alcune faccende. Hanno detto che torneranno domattina, e nel frattempo ci hanno detto di continuare ad addestrarci.»

  «Capisco».

  Nadeshiko si morse la lingua subito dopo essersi resa conto di quello che aveva detto; dopotutto, se Toshio si comportava così, era perché Izumi, almeno apparentemente, lo aveva messo da parte, forse perché non lo riteneva forte abbastanza per essere degno di venire addestrato.

  Avrebbe voluto parlargli, dirgli che non era così, ma sapeva che se lo avesse fatto il vero addestramento a cui la maestra stava sottoponendo Toshio sarebbe andato in fumo; quindi, anche se a malincuore, era costretta a restare in silenzio, lasciando che il ragazzo comprendesse da solo gli obiettivi che Izumi si aspettava da lui, e sperando in sé stessa che ci riuscisse presto.

 

Venne dunque la sera, e le luci del castello, accesesi quasi all’unisono grazie ad un ingegnoso sistema di ricettori magici, che iniziavano a brillare appena la luce naturale si abbassava fino ad un certo punto, rischiararono con la loro luce la vallata deserta, sulla quale soffiava un vento leggero.

  Keita, Shinji e Takeru, anche senza lo sguardo severo di Izumi a tenerli sotto tiro, si stavano esercitando per proprio conto nella palestra dei sotterranei, una stanza grande e spaziosa provvista di tutto il necessario per svolgere un duro addestramento, dai sacchi di sabbia ad un ring circolare.

  Mentre Shinji metteva alla prova i suoi micidiali calci colpendo un fantoccio di legno, Keita e Takeru, al centro del ring, si misuravano tra di loro in un combattimento di scherma; Takeru era indubbiamente più forte del suo avversario, e difatti, a differenza di quest’ultimo, che dopo solo un minuto già ansimava per la fatica, sembrava ancora fresco come una rosa, rimanendo fermo immobile in attesa del prossimo attacco.

  «La tua forza è limitata.» disse dopo averlo messo al tappeto «Sei solo un decimo di quello che potresti realmente essere.»

  «Lo… lo so…» rispose Keita cercando di rialzarsi «Ma… per quanto io ci provi… non riesco ad andare oltre.

  Forse… forse non mi sono allenato a sufficienza.»

  «Non è questione di allenamento.» disse Takeru quasi parlando tra sé «Hai paura».

  Keita, sorpreso, si girò a guardarlo, senza riuscire a trovare però un argomento con cui rispondere.

  «Hai superato alcune delle tue ansie, ma la paura c’è ancora, anche se ti sforzi di pensare di essertene liberato. Fino a che avrai paura, non sarai mai forte. Questa è la verità.

  E se non riesci a liberarti della paura, allora è meglio che lasci perdere. Una spada non si lascia impugnare da un codardo».

  Erano parole durissime, cariche di rimprovero, ma Keita non riusciva a non pensare che dopotutto Takeru aveva ragione; andando avanti di questo passo non sarebbe giunto a nulla, era necessario liberarsi delle paure una volta per sempre e sfoderare gli artigli.

  Contemporaneamente, alcuni piani più in alto, Toshio si rigirava nervosamente nel letto, incapace ormai di contenere quel senso di frustrazione dettato da un così lungo periodo di forzata inattività.

  Alla fine, per non scoppiare, decise, per la prima volta, di infrangere un ordine, quello che Izumi aveva lasciato prima di andarsene, e aperta la porta uscì all’esterno, cominciando a camminare senza meta per i corridoi del castello.

  D’un tratto, mentre stava transitando per il secondo piano dell’ala ovest, alle sue orecchie giunse il suono di un pianoforte, così armonioso e così suadente che non riuscì a fare a meno di rimanere per molti minuti immobile ad ascoltarlo.

  Aveva sentito molte volte il re Akunator suonare il pianoforte che custodiva nella sua stanza da letto, in assoluto il suo passatempo preferito, ma le esibizioni del padre non erano neppure da paragonare all’apoteosi musicale che una mano misteriosa stava eseguendo in quel momento.

  Era una melodia assolutamente stupenda, carica di sentimenti positivi, quali la vitalità, la spensieratezza e la purezza, ma leggermente velata da un sottile alone di mistero, di cose non dette, di realtà difficili da esternare.

  Seguendo l’invisibile sentiero tracciato dalle note Toshio raggiunse quella che doveva essere una sala da tè, e aperta la porta trovò Nadeshiko seduta davanti ad un bel pianoforte a coda; teneva gli occhi chiusi, sorrideva, e le sue dita scorrevano sui tasti con una scioltezza e un’armonia senza pari, degne di una grande artista.

  Il ragazzo non fu in grado di spiccicare neanche una parola, e rimase immobile come una statua davanti all’ingresso; per nulla al mondo voleva turbare la magia di quel momento. E poi, guardando Nadeshiko, non riusciva a non pensare quanto fosse bella, candida e sfuggente come una ninfa ma, sotto quel suo viso così dolce, determinata e combattiva come una tigre.

  Sentiva che quella ragazza gli ricordava qualcuno, ma per quanto si sforzasse di pensarci non riusciva proprio a capire di chi poteva trattarsi.

  Quando la musica finì Toshio provò quasi un senso di rabbia e fastidio nel sentirsi privato di un suono tanto armonioso, e appena Nadeshiko alzò gli occhi verso di lui il cuore prese a battergli a mille.

  «Toshio!?» esclamò come se non si aspettasse di vederlo

  «S… scusami…» rispose lui balbettando e sudando freddo «Io… ho sentito la musica, e…»

  «Sì, beh… cercavo un posto dove studiare, e sono capitata qui. Vedendo il pianoforte non ho resistito.»

  «Sì… ca… capisco.»

  «Ti prego.» disse la ragazza giungendo le mani e facendogli l’occhiolino «Non dirlo agli altri. Se la maestra scopre che invece di studiare mi sono messa a suonare, sai che ramanzina».

  Toshio si avvicinò al piano, a cui Nadeshiko era ancora seduta.

  «Tu… suoni molto bene.»

  «Davvero? Ti ringrazio.»

  «Dove hai imparato a suonare così?»

  «Mi ha insegnato mia madre. Sognava di frequentare un conservatorio qui in Europa, ma le sue condizioni economiche non glielo permettevano.

  Ha trasmesso la sua abilità sia a me che a mia sorella, e ci ha insegnato a suonare fin da quando eravamo piccole.»

  «E questa musica?»

  «L’ho creata io. Mamma dice che ogni persona ha una melodia tutta sua racchiusa nel cuore, e che questa è come uno specchio che riflette la nostra anima.»

  «Anche mio padre diceva qualcosa di simile. Secondo lui la musica che si porta dentro può essere esternata da chiunque, anche da chi non si è mai seduto ad un pianoforte o non ha mai accarezzato una corda.»

  «E tu Toshio? Sei capace di suonare?»

  «Io? Certo che no. Mio padre ha cercato di insegnarmi qualcosa, ma non ha attecchito. Evidentemente non sono tagliato per queste cose».

  Nadeshiko lo guardò un momento, sorridendogli, poi si spostò sul lato sinistro del divanetto, lasciandone libera una buona parte.

  «Non ti dispiace se mi fai sentire qualcosa?».

  Toshio sgranò gli occhi, incredulo.

  «Cosa!? Io!?»

  «Mi piacerebbe ascoltare la melodia che porti nell’anima. Sono sicura che è davvero bellissima

  «Ma… ma io… non so suonare…»

  «Tuo padre non diceva che la musica dell’anima può essere esternata da chiunque? Vedrai, una volta che le dita cominceranno a muoversi, il resto verrà da sé. L’esperienza e il talento, in questo caso, non contano nulla».

  Toshio era nervoso come non ricordava di essere mai stato.

  Perché? Perché la sola vicinanza di quella ragazza conosciuta da pochissimo tempo era più che sufficiente a devastargli l’anima?

  Quando le era vicino non riusciva a pensare, né ad agire razionalmente, come invece era solito fare di fronte a situazioni nuove e impreviste. Senza sapere come né perché si ritrovò seduto accanto a lei, con il cuore che ormai minacciava di uscirgli dal petto, il fiato corto e la fronte sudata.

  Le sue dita, poggiate sui tasti, tremavano, e non sembrava per niente in grado di comporre una musica di qualunque tipo. Poi, d’un tratto, vide le mani di Nadeshiko sovrapposte alle sue, ma invece che agitarlo ancora di più quel tocco ebbe per lui l’effetto di un tranquillante.

  «Non essere teso.» gli disse sussurrando «Rilassati, e spegni la mente. Deve essere l’anima ad agire per te».

  L’anima; una parola così banale, secondo il suo metro di giudizio. Una cosa impossibile da vedere e da studiare, ma nella quale molti credevano cecamente.

  Lui non sapeva se crederci o meno, e anche se suo padre e Andersen chiamavano anima la fonte di potere che permetteva agli uomini di usare la magia non era mai riuscito ad attribuirle quella parvenza di spiritualità e misticismo propria di quasi tutte le religioni del mondo.

  Ciò nonostante, obbedendo al suggerimento di Nadeshiko, Toshio cercò di annullare il più possibile l’influenza che la sua mente esercitava su di lui, fino a che questa non parve spegnersi completamente, lasciandosi dietro nulla più che un corpo vuoto.

  Eppure, dopo poco, le dita di questo corpo presumibilmente vuoto, liberate di ogni tremore, cominciarono a danzare armoniosamente sui tasti del pianoforte, che Toshio oltretutto non poteva vedere, avendo gli occhi chiusi, e quello che dapprima era cominciato come un insieme confuso di suoni divenne a sua volta una piacevole melodia.

 

http://www.youtube.com/watch?v=Zkxw1XW6Zdg

 

Per lungo tempo Nadeshiko non riuscì a fare altro che ascoltare quelle note così profonde; mai si sarebbe detto che una simile melodia provenisse da un dilettante.

  La musica che veniva prodotta da quel pianoforte, come le parole silenziose di una poesia, era completamente diversa dalla sua, ma non per questo meno affascinante.

  Chiunque, ascoltandola, avrebbe potuto sentile i mormorii sommessi di un animo fiero, pieno di ardore, ma tormentato da un senso di angoscia e di smarrimento, come un uomo solo che cammina per la foresta in una notte senza luna. La malinconia era il sentimento predominante, ma c’era anche tanto orgoglio, tanta voglia di emergere.

  Nadeshiko aveva imparato da sua madre ad interpretare la musica dell’anima, e per lei le note non avevano segreti, quindi non le fu difficile immaginare lo spirito del suo nuovo amico come un’intricata distesa di fronde insondabili, ma dal cui profondo si vedeva giungere una scintilla di luce splendente come il sole.

  Quel momento magico sembrava destinato a durare tutta la notte, se non che, nell’istante esatto in cui la musica ebbe fine Toshio, tornato completamente in sé, balzò in piedi come colpito da un fulmine.

  «Toshio. Che succede?» domandò Nadeshiko, il cui ciondolo aveva brillato leggermente un attimo prima che Toshio si alzasse

  «Sta arrivando qualcosa.» disse, e senza pensarci ulteriormente prese la porta, seguito in breve dalla ragazza.

  Insieme, i due raggiunsero la porta d’ingresso del castello, dove furono raggiunti quasi subito da Keita, Shinji e Takeru; dopo poco arrivarono anche Aria e Lotte, che presero subito forma umana.

  «L’avete percepito anche voi?» domandò Aria

  «Impossibile non riuscirci.» rispose Shinji «Questa energia è fetida come poche».

  Uno strano e inquietante rumore di passi proveniente dall’esterno, unito ad una serie di lamenti agghiaccianti, degni di un film dell’orrore, lasciò presagire l’avvicinarsi non di uno, ma di numerosi nuovi nemici.

  «Lì fuori c’è qualcosa.» disse Takeru sollevando il fodero contenente la sua spada

  «E allora che si fa?» domandò Shinji con l’aria di chi sa già la risposta.

  Lui e gli altri si scambiarono una rapida occhiata, quindi, tutti insieme, aprirono i battenti, uscendo nella grande spianata antistante al castello dalla quale si dominava tutta la valle e trovandosi immediatamente di fronte ad uno spettacolo da voltastomaco.

  L’intera zona traboccava di creature mostruose, uomini e donne orrendamente mutilati che camminavano trascinando i piedi ed emettendo quei lamenti sinistri; i vestiti che indossavano erano completamente lacerati, e in più punti dei loro corpi pallidi apparivano spaventose ferite, come se intere parti fossero state mangiate via a forza, soprattutto nella zona del collo e delle spalle.

  «E questi che cosa sono?» chiese Nadeshiko mentre tutti facevano cerchio attorno a lei

  «Sembrano zombi.» rispose Keita

  «Non sembrano, lo sono.» disse Lotte

  «Zombi!?».

  Uno di loro, quello più vicino, tentò di aggredire Takeru, ma questi senza alcun problema sguainò la spada e gli mozzò la testa, lasciandolo morto una volta per tutte.

  «Temo sia un altro regalino da parte di Seth.» disse Aria

  «Quel maledetto!» imprecò Toshio mentre in mano gli compariva la sua spada d’oro «Come ha scoperto l’esistenza di questo posto?».

  Gli zombi, che arrivavano senza sosta dal sentiero che portava a fondovalle, cominciarono ad avvicinarsi, e allora tutti si misero in posizione di guardia.

  «Come si può uccidere qualcosa che è già morto?» domandò Keita

  «Devi fare come nei film.» rispose Aria «Staccagli la testa o distruggigli il cervello. Questo li fermerà. Tutto il resto è una perdita di tempo. E state attenti, le ferite che provocano sono velenose.»

  «Nadeshiko, tu resta dietro di noi.» disse Keita

  «Ma… voglio combattere anch’io.» protestò la ragazza «Ho imparato un po’ di magia, e…»

  «Avrai la tua occasione, ma non adesso. Non posso permettere che ti succeda qualcosa.»

  «Keita…».

  I mostri intanto continuavano ad avvicinarsi, e al comando di Toshio i ragazzi partirono all’attacco in tutte le direzioni, mentre Aria e Lotte rimanevano a proteggere Nadeshiko. Il primo assalto ebbe esito positivo, contribuendo a far allontanare gli zombi, ma come aveva detto Aria quegli esseri erano estremamente coriacei; a meno di non decapitarli o fracassargli la testa, ogni attacco si rivelava completamente inutile.

  Toshio e Takeru non avevano problemi, potendo contare sulle loro spade, Shinji invece faceva affidamento sull’agilità e sulla potenza dei suoi calci, forti abbastanza da frantumare la colonna vertebrale alla base del collo, il che era comunque sufficiente per uccidere gli aggressori.

  Keita, invece, incontrava le solite difficoltà, e tutto quello che poteva fare era lanciare delle piccole sfere magiche che però, troppo deboli per perforare o frantumare le teste, non sortivano alcun effetto, e la cosa, naturalmente, lo avviliva in modo indicibile.

  Nello stesso momento Aria e Lotte, ancora impegnate nel loro ruolo di difensori, vennero distratte da un improvviso attacco di massa nella loro direzione, lasciando Nadeshiko pericolosamente scoperta; improvvisamente la ragazza, giratasi per cercare Toshio, si ritrovò faccia a faccia con uno zombi, e per la paura saltò all’indietro, trovandosi seduta per terra con quel mostro che la sovrastava, pronto ad assalirla.

  Terrorizzata gridò, coprendosi gli occhi con un braccio, ma all’ultimo istante Toshio arrivò addosso al nemico e lo decapitò di netto, rendendolo inoffensivo.

  «Stai bene?»

  «Io…» disse lei con le gote rosse d’imbarazzo «Sì… grazie…».

  Keita, assistendo alla scena, sentì un colpo al cuore; da una parte era contento che la sua amica fosse in salvo, dall’altra però avvertiva un senso di rabbia e di frustrazione sconfinati, ben maggiori alle altre volte. Se non fosse stato per Toshio, Nadeshiko molto probabilmente non avrebbe avuto scampo: sarebbe morta davanti ai suoi occhi, senza che lui avesse potuto fare nulla per cercare di salvarla, e questo, per la prima volta, lo faceva infuriare.

  Basta!

  Non voleva più esitare. Non voleva più avere paura.

  Aveva conosciuto Nadeshiko alle elementari, e dal giorno in cui lei lo aveva difeso da un gruppo di bulletti aveva giurato a sé stesso che avrebbe fatto l’impossibile per ricambiarle il favore, proteggendola in qualunque circostanza con tutte le sue forze.

  Forse la loro amicizia col tempo era divenuta qualcosa di più profondo, almeno per lui, ma se davvero era così proteggerla e vegliare su di lei smetteva di essere una scelta e diventava un obbligo.

  Keita, ora lo sentiva veramente, voleva fare la differenza, e non avrebbe mai più avuto paura.

  Mai più!

  Determinato e senza più nulla a tenerlo a freno, il ragazzino diede libero sfogo al suo potere, il circolo magico gli comparve sotto i piedi e la spada che aveva impugnato per la prima e unica volta in quella piazzetta a Venezia si materializzò nuovamente tra le sue mani, ma a differenza di una volta ciò era accaduto perché era stato lui a volerlo, e ora sentiva di averne il controllo.

  Shinji e gli altri assistettero sorpresi a questa sua trasformazione, e quando lo vide scagliarsi contro un manipolo di zombi facendone scempio Toshio non riuscì a fare a meno di pensare che davvero quel ragazzo aveva un potere immenso dentro di sé, un potere che ora era finalmente nelle sue mani.

  “Lo sento.” pensò Keita dopo essersi liberato dei nemici che lo intralciavano “Ora lo controllo. Ora ne sono padrone”.

  Purtroppo la venuta provvidenziale del ritrovato Keita non fu sufficiente a far prevalere lui e gli altri, perché gli zombi non sembravano determinati a calare di numero; come se non bastasse, i nemici che arrivavano a sostituire quelli morti sembravano dotati di un intelletto superiore, abbastanza da potersi spostare ad una velocità un po’ maggiore e ad agire con maggiore collaborazione, come tanti pezzi degli scacchi mossi dalla mano invisibile di un ottimo stratega.

  «Così non va’.» disse Aria trovandosi schiena a schiena con tutti i suoi compagni «Continuano ad arrivarne altri.»

  «Non abbiamo scelta.» disse Toshio «Forza, torniamo dentro».

  Prima che lui e gli altri potessero riuscire a rientrare, però, il portone si chiuse da solo, come animato da una forza sconosciuta, intrappolando i ragazzi all’esterno, alla mercé dei nemici, che cominciarono a stringere sempre più il cerchio attorno a loro.

  Poi, all’improvviso, quando uno di loro stava per scagliarsi su Keita, sì udì il rumore di uno sparo, e il corpo dello zombi, trafitto alla schiena, divenne un mucchietto di cenere, in mezzo alla quale si intravvedeva quello che sembrava un bossolo dorato.

  «Ma cosa…» disse Lotte.

  Increduli, i sette amici alzarono lo sguardo, scorgendo, in piedi davanti al parapetto che dava sulla valle, la maestra Izumi; stringeva in mano una pistola automatica di grandi dimensioni, apparentemente d’argento, dalla quale usciva un rivolo di fumo; l’impugnatura era foderata d’avorio, e quasi al centro vi era un’incisione rosso sangue a forma di rosa.

  «Izumi!?» disse Shinji.

  Lei aggrottò ancor più le sopracciglia, facendosi serissima, mentre gli zombi lasciavano perdere i ragazzi per concentrarsi su di lei.

  «Non permetterò a voi immonde creature di infangare questo suolo sacro!».

  La donna a quel punto sparò un nuovo colpo che, brillando come una meteora di una forte luce rossa, passò in mezzo ai nemici, e tutti quelli che si trovavano nelle vicinanze della sua traiettoria vennero istantaneamente inceneriti senza venire neppure sfiorati.

  “Munizioni magiche!?” pensò Toshio

  «Proiettili di argento a punta cava rivestiti di silicio, riempiti con l’essenza dei fiori sacri che crescono sulle montagne dell’Himalaya e imbottiti di energia magica compressa. Questa è Bloody Rose, e io sono Izumi, l’ammazza-demoni!».

  Il potere di quella pistola era tale che in pochi secondi tutti gli zombi finirono in cenere, e al termine della battaglia anche i resti putrescenti dei nemici uccisi da Keita e gli altri subirono la stessa sorte, probabilmente perché il loro ignoto creatore aveva cessato di infondere loro la propria energia.

  Nella valle tornò così a regnare il silenzio.

  Izumi si avvicinò a Keita, che assieme a tutti gli altri si aspettava una lavata di capo per non essere stato in grado di tenere testa al nemico; invece, dopo qualche secondo, la donna gli sorrise compiaciuta.

  «Alla fine, hai smesso di avere paura».

  Il ragazzo, dapprima incredulo, fece un cenno di assenso, e per suo stesso volere la spada che stringeva ancora in mano scomparve in un pulviscolo dorato.

  «I miei complimenti. Hai dimostrato di saperci fare.»

  «Ad ogni modo, come ha fatto Seth a scoprire l’esistenza di questo posto?» domandò Toshio «Neppure i re delle sette tribù sanno esattamente dove si trovi».

  In quell’istante una maestosa lince comparve dall’alto dinnanzi al gruppo dopo essere saltata giù dal tetto e aver seguito una serie di balzi impressionanti da un appoggio all’altro per attutire la caduta; fra le zanne teneva il corpo ormai morto da una civetta, e unendo il colore marroncino del suo mantello allo sguardo ambrato penetrante come un coltello i ragazzi capirono subito che si trattava di Nagisa.

  Izumi, senza paura, si avvicinò al suo famiglio e recuperò il volatile, prendendo ad ispezionarlo e mostrando agli altri dopo poco lo stesso simbolo che avevano i soldati di Seth comparsi a Venezia, impresso a fuoco sotto l’ala sinistra.

  «Ecco come ci è riuscito.» disse Takeru

  «Ha usato questa civetta come sua spia, e da che avete lasciato Venezia scommetto che non ha mai smesso di tenervi d’occhio.»

  «Allora, è stata colpa nostra.» disse sconsolata Nadeshiko

  «Ne parleremo dopo, ora rientriamo».

  Non appena tutti furono rientrati nel castello Izumi lo circondò immediatamente con una barriera abbastanza resistente da poter respingere, almeno per un po’, qualsiasi ulteriore tentativo di assalto, quindi lei e gli altri si concedettero una tazza di tè davanti al fuoco del camino del grande salone al pianterreno.

  «La tua arma è davvero potente.» disse Shinji volgendo il suo sguardo verso la pistola di Izumi, appoggiata sul tavolino

  «Avevo sentito dire da mio padre che fra i Cacciatori ce n’era uno che faceva uso di una pistola caricata con munizioni magiche.» disse Toshio «Di certo però non mi aspettavo che questo misterioso cacciatore fossi proprio tu. Ora capisco perché ti chiamano l’ammazza-demoni

  «Che cosa sono i cacciatori?» chiese Keita.

  Toshio preferì lasciare la risposta a Izumi, che rinfoderata la pistola nella cintura ascellare iniziò a parlare.

  «Difendere questo mondo da Seth e far svolgere il torneo non sono i soli compiti di cui le sette tribù e altri sono state chiamate a farsi carico.

  Come vi ho già detto parecchie volte, gli spiriti non solo degli uomini, ma di tutti gli esseri viventi poggiano su un delicato equilibrio di forze contrapposte. In circostanze normali l’equilibrio si mantiene da sé, ma quando esso viene meno, portando al prevalere di una forza su tutte le altre, la vittima subisce una trasformazione sia nel corpo che nello spirito, trasformandosi in un demone.»

  «Un demone!?» ripeté Nadeshiko

  «Privati di qualsiasi capacità di ragionamento, i demoni agiscono a livello puramente istintivo; guidati unicamente dalla fame sia di carne sia di potere magico, attaccano e uccidono qualsiasi cosa viva gli si pari davanti.

  Fin dai tempi più antichi i demoni hanno rappresentato una costante minaccia alla vita di questo mondo, perciò le sette tribù, in accordo fra di loro, hanno istituito molto tempo fa una speciale forza di sacerdoti-guerrieri che si assumesse il compito di dar loro la caccia in tutti gli angoli del globo. I Cacciatori.»

  «Ora capisco.» disse Shinji «E quanti siete esattamente?»

  «Più o meno ventimila. I Cacciatori agiscono in modo indipendente dalle tribù. Questo evita che il nostro ordine si trasformi in un esercito di sicari da usare a piacimento nel caso di una guerra intestina.

  Questo castello è solo una delle tante sedi che il nostro ordine possiede in giro per il mondo.»

  «Ma cosa porta alla nascita di un demone?» domandò Nadeshiko

  «L’equilibrio su cui poggiano gli spiriti dei viventi è precario, e i fattori che possono portarlo a dissolversi sono molteplici; incidenti, gravi traumi, dolori ancestrali che covano dentro fino ad esplodere. A volte non c’è una spiegazione precisa, succede e basta.

  Altre volte, invece, gli squilibri vengono provocati deliberatamente da qualcuno, e se questo qualcuno è dotato di un potere magico particolarmente forte può usarlo per nutrire i demoni da lui stesso creati, che da bestie scatenate si trasformano in schiavi fedeli, completamente asserviti alla volontà di chi permette loro di vivere.»

  «Un po’ come i famigli, insomma.» disse Takeru

  «Non osare paragonarci a quei mostri!» esclamò Lotte con falso risentimento «Noi non siamo così.»

  «I famigli mantengono un certo livello di indipendenza.» rispose Toshio «Hanno bisogno di qualcuno che trasmetta loro energia per vivere, è vero, ma se il loro padrone possiede il giusto livello di conoscenza può recidere il filo che li lega insieme e rendere completi i loro spiriti, permettendogli di vivere autonomamente. E comunque il procedimento per dar loro un corpo e una mentalità umani è molto diverso, e ben più complicato.»

  «Gli esseri che avete visto prima, gli zombi, sono i demoni più facili da creare. Per crearli è sufficiente che una qualsiasi persona dotata di poteri magici instilli parte del suo potere in un corpo morto o morente, e questi riprenderà subito vita.»

  «Sembra un incubo.» disse Keita

  «Noi Cacciatori combattiamo queste creature da tempo immemorabile.» disse Izumi «E grazie agli agganci che tanto noi quanto le sette tribù possediamo nei governi e nei vertici militari dei maggiori Paesi del mondo possiamo compiere la nostra missione rimanendo nell’ombra.»

  «E la tua pistola?» chiese Shinji

  «Me la sono fatta costruire su misura da un mio amico ingegnere. Non è molto diversa da una pistola comune, ma è stata modificata per poter sopportare la potenza e la capacità distruttiva delle pallottole magiche.»

  «A proposito.» intervenne nuovamente Toshio «Ora che mi viene in mente, anche il tuo pendente è curioso. Non ho mai visto nulla di simile».

  Izumi prese in mano il monile che aveva al collo, stringendolo forte.

  «Non so molto su questo. Appartiene alla mia famiglia da generazioni. Quello che so è che possiede un potere magico di vaste proporzioni, ma proprio per via della sua grande potenza evito di servirmene se non in casi di estrema necessità.»

  «Sembra intelligente.» disse Nadeshiko

  «Non so se la sua si possa realmente definire intelligenza. Onestamente anche a me piacerebbe sapere qualcosa di più sul suo conto, ma finora non sono riuscita a scoprire granché.»

  «Capisco.» disse Toshio

  «Ora però basta parlare. È già tardi, e dopo quello che è accaduto stasera aspettatevi allenamenti ancora più ardui. A letto, subito».

 

Nonostante la rinomata reputazione di nobili autoritari ma giusti, avvezzi a premiare piuttosto che a punire, i Von Karma nei tempi passati non certo stati esenti da alcune pratiche che per la mentalità moderna potevano essere considerate “discutibili”, e fra le altre cose il castello in Baviera disponeva di un angusto sotterraneo con due celle e una camera di tortura in cui erano ancora conservati i ferri del mestiere, alcuni dei quali vecchi di quasi mille anni.

  Chi nel corso dei secoli era finito lì sotto raramente ne era uscito, e visto lo spessore delle pareti e l’ottimo isolamento acustico era praticamente impossibile per qualcuno che veniva rinchiuso in quell’intricato sistema di corridoi semibui far sentire la propria voce, per quanto forte potesse gridare.

  Da molto tempo non ci scendeva più nessuno, anche perché tra la servitù correva spesso la voce che quei sotterranei pullulassero di fantasmi, ma da qualche tempo, da quando il lucchetto dell’unica porta che permetteva di scendere di sotto era stato rimosso, le urla strazianti avevano ricominciato ad echeggiare, più forti e terrificanti che mai.

  Seduto per terra in una delle celle, con le mani legate dietro la schiena e un bastone di legno infilato in bocca per impedirgli di parlare, un poveraccio vestito da impiegato osservava pieno di terrore il demonio dal capelli lunghi che lo osservava con gli occhi che scintillavano di rosso dopo aver dilaniato come un leone gli altri prigionieri, mangiandone intere parti e riempiendo il pavimento di sangue, interiora e cadaveri mezzi squartati.

  Erano tutte persone semplici, uomini e donne dei villaggi vicini, rapiti in strada poco dopo il tramonto e risvegliatisi in quella specie di inferno dove, uno dopo l’altro, erano andati incontro ad una morte prematura.

  Alcuni di loro, dopo essere stati uccisi e mezzi mangiati, si erano addirittura rialzati in piedi, animati da una nuova vita e resi simili a degli zombi, e che ad un comando di quel mostro erano scomparsi nel nulla, inghiottiti da strani vortici neri.

  Thanatos, con la bocca ancora sporca di sangue, osservava sadicamente l’ultimo della lista leccandosi le labbra, quando d’un tratto la porta alle sue spalle si aprì cigolando e nella stanza entrò suo fratello, Hypnos, il quale, pur camminando senza riserve in mezzo a tutto quell’orrore, sembrava provare un certo ribrezzo nel trovarselo di fronte.

  «La spedizione al castello non era stata autorizzata.» disse con la severità propria di un fratello maggiore.

  Lei, però, invece che mostrarsi dispiaciuta, sorrise quasi con divertimento.

  «Quanto sei fiscale. Ho voluto prendere l’iniziativa.» disse, e subito saltò letteralmente addosso al prigioniero, azzannandogli il collo.

  Lo sventurato quasi si ruppe i denti per tentare di gridare, ma i suoi lamenti e i violenti spasmi non durarono che pochi secondi, e allora Thanatos poté proseguire senza problemi col proprio pasto.

  «Hai agito senza il permesso di Seth-Sama.» disse Hypnos apparentemente impassibile «Aspettati una severa punizione da parte sua».

  In pochi secondi l’umano venne consumato di tutto il suo sangue, e allora Thanatos, rialzatasi in piedi, finalmente si girò a guardare il fratello, con le zanne e le labbra ancora sporche di rosso.

  «L’attacco in fin dei conti è stato un fallimento.» si giustificò pulendosi con una mano «Nessuno è morto, nessuno è rimasto ferito, perciò nulla è cambiato.»

  «È cambiato il fatto che hanno scoperto di essere spiati. Da adesso in poi sarà molto più difficile seguire le loro mosse.»

  «Se devo essere franca, questo non è un mio problema. Prima ci sbarazziamo di quei mocciosi e degli altri concorrenti meglio è, e in tutta onestà trovo questo continuo temporeggiare di Seth alquanto seccante.»

  «Stai attenta a come parli. Ricordati che è sempre il nostro capo.»

  «Tranquillo, non l’ho dimenticato. Ma ho atteso migliaia di anni chiusa in quel libro, non puoi rimproverarmi se dopo tanto tempo io voglia dare libero sfogo alla mia voglia di vendetta.»

  «Non se questo va’ contro gli ordini».

  All’improvviso, Johan comparve quasi per magia davanti all’ingresso della cella, accompagnato da Seline, e tra i due fratelli calò il più assoluto silenzio; il ragazzo gettò lo sguardo sullo spettacolo di morte che regnava lì dentro, quindi, fatto qualche passo avanti, rimase un attimo immobile a fissare Yuuki.

  Lei distolse lo sguardo, incapace di reggere il suo, ma appena Johan sollevò il braccio lei sentì come una mano invisibile serrarle la gola, togliendole il respiro e sollevandola in aria di parecchi centimetri.

  Thanatos cercò di gridare, di divincolarsi, ma riusciva solo a ferirsi il collo con le proprie unghie, e intanto Hypnos non faceva alcun tentativo per difenderla, rimanendo immobile e senza espressione ad osservare la scena; quando le sue labbra cominciarono a diventarle blu venne finalmente lasciata libera, e caduta in ginocchio prese a respirare furiosamente per cercare di recuperare un po’ d’aria.

  «Da ora in poi non sarò più disposto a tollerare iniziative personali.

  Spero di essermi spiegato».

  La ragazza, con la voce roca di una vecchia, rispose che il messaggio era stato recepito, ma non ci pensò neppure a fulminare Johan con l’occhiata di sangue che avrebbe riservato a chiunque altro avesse tenuto con lei un simile comportamento.

  «Seline

  «Sì, mio signore.»

  «Raggiungi Parigi, e metti alla prova quel ragazzo del Clan Yoshida. Voglio scoprire le sue reali potenzialità.»

  «Fino a che punto posso spingermi?»

  «Se non sarà all’altezza della prova, uccidilo pure.»

  «Come desideri.» rispose il famiglio, che subito scomparve all’interno del proprio circolo magico, di colore giallo brillante.

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!

Chiedo scusa per il ritardo, ma come ho detto l’ultima volta con l’inizio dell’università il tempo a mia disposizione è drasticamente diminuito, e dovendo anche studiare ho dovuto organizzare al meglio le poche ore a mia disposizione per fare tutto.

Ad ogni modo questo capitolo mi è piaciuto, e ne sono molto soddisfatto.

Grazie come al solito a Selly, Beat, Cleo e Levsky

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 12
*** Ideali ***


11

11

 

 

Parigi, 12 agosto, ore 22:21

 

 Ormai mancava davvero poco al momento della partenza.

  In quegli ultimi tre giorni Tadaki aveva cercato di stancarsi il meno possibile, in modo da essere preparato al meglio per affrontare quello che sarebbe stato senza ombra di dubbio uno degli incontri più impegnativi di tutto il torneo.

  Atarus non era un avversario da sottovalutare, e non vi erano dubbi sul fatto che sarebbe ricorso a qualsiasi tipo di gioco sporco pur di assicurarsi la vittoria; per lui contava solamente essere il numero uno, e come otteneva questo scopo non aveva la minima importanza.

  Non volendo far preoccupare sua sorella non aveva detto niente a Kazumi dello sfida che lo attendeva, e quella sera a cena, giusto per stare tranquillo, non visto aveva sciolto nel suo bicchiere un potente sonnifero che l’aveva fatta cadere addormentata nel giro di un’ora.

  Tadaki si vestì e si preparò come se stesse recandosi a combattere la sua ultima sfida, ma non gliene si poteva fare un torto; appena Kazumi fu completamente assopita, nella stanza buia comparve anche Touka.

  «Master. Ti prego, portami con te.»

  «Non posso farti combattere, Touka. Sei già stata sconfitta in un incontro regolare, se ti facessi scendere ancora in campo sarebbe una violazione del regolamento.»

  «Ti prometto sul mio onore che non cercherò in alcun modo di intromettermi. Voglio essere al tuo fianco fino alla fine del torneo».

  Il ragazzo si fermò, indeciso sul da farsi; sembrava quasi che stesse prendendo la cosa in considerazione, quando una strana sensazione, come un presagio di pericolo, fece scattare in allarme sia lui che il suo famiglio.

  «Lo hai sentito anche tu?»

  «Sì, Master. Questa energia può appartenere solamente a Seth.»

  «Mi sembra strano che Seth agisca di persona. I suoi poteri si stanno ancora stabilizzando, per lui sarebbe troppo rischioso muoversi così presto.»

  «Che cosa facciamo?»

  «C’è bisogno di chiederlo?» domandò Tadaki infilando uno dei suoi due pugnali nel fodero alla base della schiena.

  Pochi secondi dopo, Tadaki, sfruttando la sua grande agilità di ninja, saltava fra un tetto e l’altro sui cieli di Parigi, seguendo l’emanazione spirituale che era certo appartenere al nemico che, in caso di vittoria nel torneo, sarebbe stato chiamato ad affrontare e a sconfiggere.

  Touka lo seguiva in forma di falco volando pochi metri più in alto, e appena il ragazzo si fermò sulla sommità di un tetto aguzzo aggrappandosi al parafulmine per cercare di individuare meglio la posizione del nemico immediatamente gli si posò su di una spalla.

  «Non lo percepisco più. Forse se n’è andato.»

  «No, Touka. È ancora qui. Si nasconde».

  E infatti, come un fulmine a ciel sereno, Tadaki avvertì l’inconfondibile presenza della magia, e dal cielo cadde una specie di meteora infuocata dritta sul tetto, mandandolo in pezzi; il guerriero fece appena in tempo a saltare verso il basso, nella piazzetta deserta antistante il palazzo, e subito dinnanzi a lui comparve una ragazza con lunghi capelli neri, un abito bianco leggero e un paio di orecchie canine.

  Appena scesa a terra la ragazza gli si scagliò subito contro brandendo un bracciale di cuoio al polso sinistro a cui erano assicurati due lunghi artigli ricurvi, ma Tadaki si difese egregiamente intrappolando l’arma nemica fra i suoi due pugnali.

  Ne seguì un breve scontro di forza, al termine del quale i due avversari si separarono, e subito dopo Touka si affiancò al suo padrone sfoderando la propria katana.

  I tre si fissarono di sottecchi per diversi secondi, sempre con la guardia alzata, poi la ragazza abbassò la propria arma.

  «Avverto il potere di Seth dentro di te.» disse Tadaki «Chi sei? Sei forse il suo famiglio?»

  «E se anche fosse?»

  «I famigli che già in passato hanno servito Seth avevano tutt’altro aspetto. Il Minotauro della mitologia greca e il lupo Fenrir delle leggende nordiche erano giocattoli suoi.»

  «Chi siano stati i miei predecessori non ha importanza. Lui mi ha dato la possibilità di combattere in suo nome, ed io lo farò senza esitazione?»

  «Dimmi il tuo nome!» sentenziò Touka con tono di ordine.

  La ragazza la guardò un momento.

  «Ho due nomi. Prima di assumere queste sembianze, mi chiamavano Uther.»

  «Uther?» ripeté Tadaki comprensibilmente sorpreso

  «Quando sono stata regalata al mio padrone ero appena nata; egli, credendo che fossi un maschio, mi ha chiamata così, e quando hanno scoperto che in realtà ero una femmina io mi ero affezionata a quel nome, così me lo ha lasciato.

  Ma non potevo certo combattere per il nobile Seth con un nome simile, così, dopo avermi creata, me ne ha dato un altro. Seline.»

  «Seline, eh?» disse Tadaki «Molto bene, Seline. Immagino che tu sia qui per combattere.

  Resterei volentieri a misurarmi con te, ma sfortunatamente sono atteso altrove, quindi sono costretto a rimandare la questione ad un altro momento.»

  «Tu non andrai da nessuna parte senza prima avermi affrontata!».

  Seline fece per aggredire nuovamente Tadaki ma Touka si mise in mezzo, e con un fendente orizzontale obbligò l’avversaria a retrocedere.

  «Master, mi occupo io di lei! Voi andate!»

  «Ma… Touka…»

  «Questa ragazza ha molto da imparare su cosa significhi essere un famiglio. Voglio insegnarglielo io.»

  «Amica mia....».

  Lei allora si girò a guardarlo; sembrava sorridere.

  «E poi, ho ricevuto l’incarico di proteggervi. Non temete, me la caverò.»

  «Ma… dovrò trasmetterti la mia energia per permetterti di combattere, e io…»

  «Cercherò di fare il prima possibile e di risparmiare le forze. Vi prego, ora andate».

  Tadaki era indeciso, non sapeva cosa fare, ma quando i rintocchi di un orologio in lontananza scandirono le ore undici si decise a dare piena fiducia al suo famiglio, e giratosi raggiunse con un salto il tetto dinnanzi a sé, scomparendo verso nord.

  «Restiamo solo noi.» disse Touka appena i due famigli furono rimasti soli «Fatti avanti.»

  «Ti pentirai di esserti messa sulla mia strada.»

  «Hai molto da imparare, ragazzina. E ti avverto, la lezione non sarà piacevole!».

  Detto questo, Touka si lanciò all’attacco.

 

Il vecchio castello di Luigi XI sorgeva sulla sommità di una collina rocciosa; ai tempi del sovrano era considerata quasi una residenza di campagna, raggiungibile con due giorni di viaggio, ora invece si trovava a non più di quindici chilometri dalla periferia di Parigi. Nonostante ciò non era un luogo molto conosciuto, ed erano pochi gli itinerari turistici a prenderlo in considerazione.

  Dell’intera struttura, infatti, non rimanevano che poche rovine, soprattutto quelle del muro di cinta esterno, e su quell’ammasso di pietre e rocce dismesse svettava, quasi intatta, la grande torre circolare centrale adibita ad alloggio del sovrano.

  Non vi erano né recinti né sorveglianza né illuminazione, e durante la notte, alla luce delle stelle, il castello assumeva un’aria molto spettrale, degna della più terrificante delle storie di fantasmi.

  E lo scenario che trovò Tadaki al suo arrivo era, se possibile, ancor più terrificante; le rovine intere, ma anche le rocce e i pochi alberi presenti, erano piene di corvi, che coi loro sguardi terrifici non lo lasciavano un secondo, seguendolo senza sosta mentre saliva il sentiero sassoso che raggiungeva la sommità della collina.

  Dovevano essere diverse centinaia, e in ognuno di essi Tadaki percepiva una parte del potere di Atarus; si trattava di una tecnica antica, molto difficile da padroneggiare, che permetteva di infondere una parte della propria magia in creature animali da poter usare in battaglia a proprio piacimento; questi animali, privi della coscienza e della complessità evolutiva dei famigli, potevano però trasformarsi in armi micidiali, e Tadaki sapeva che probabilmente, nel corso del prossimo incontro, avrebbe dovuto misurarsi anche con loro.

  Il ragazzo percorse, in silenzio e a testa bassa, per evitare di dover incrociare tutti quegli sguardi malevoli, tutto il sentiero, e appena varcò quanto restava dell’arco d’ingresso, ritrovandosi nel cortile interno, lo accolse una risata sommessa e malevola.

  «Un’ora di ritardo.» disse Atarus, in piedi sopra la torre «Cominciavo a pensare che non saresti più venuto.»

  «Chiedo scusa, ho avuto un po’ daffare.»

  «Dovevi dire le preghiere? Beh, in tal caso non te ne faccio una colpa, visto che probabilmente non arriverai a domani.»

  «Non esserne tanto sicuro.» rispose Tadaki sfoderando i suoi pugnali.

  Atarus allora saltò giù dalla torre, e i due furono faccia a faccia.

  «Allora, ti piace l’ambientazione che ho scelto per la nostra sfida? Spero di sì, visto che diventerà la tua tomba!».

  Gli avversari corsero gridando l’uno verso l’altro, e l’urto delle loro armi produsse un baccano assordante che tuttavia non fu sufficiente per far scappare i corvi, i quali rimanevano immobili ad osservare lo scontro come un esercito di giudici.

  La tecnica di Atarus, in uno spazio aperto come quello, poteva esprimere al massimo la propria pericolosità, ma anche Tadaki si trovava a suo agio in un simile ambiente, spostandosi in continuazione e lanciando di tanto in tanto tre o quattro shuriken per volta, giusto per distrarre l’avversario e farlo innervosire.

  «Hai finito o no di saltare come una cavalletta, codardo?» disse Atarus dopo che al suo ennesimo affondo Tadaki aveva risposto scomparendo nel nulla

  «L’impazienza non è mai la compagna migliore se il tuo avversario è un ninja!» rispose il ragazzo ricomparendo alle sue spalle.

  Nonostante ciò, tuttavia, Atarus non sembrava intenzionato ad inviperirsi o a perdere le staffe; anzi, chiuse gli occhi e sorrise.

  «E va’ bene, vorrà dire che dovrò fare sul serio.» disse, e appena schioccò le dita tutti i corvi si lanciarono in volo nello stesso momento, prendendo a volare in modo disordinato in tutte le direzioni.

  Tadaki se li vide venire contro da ogni parte, e per qualche secondo cercò di disperderli agitando il bastone, ma poi, appena commise l’errore di fermarsi, subito gli piombarono addosso in grandissimo numero, ricoprendolo come un impenetrabile barriera di piume taglienti, becchi appuntiti e artigli affilati.

  Atarus, che tutto sentiva meno il bisogno di intervenire, rimase immobile a godersi la scena, sicuro che le sue bestiole avrebbero avuto ragione di Tadaki in pochissimo tempo; invece, dopo pochi secondi, si udirono una serie di sibili in rapida successione, accompagnati da strani lampi di luce provenienti dall’interno della nuvola nera, e subito dopo i corvi furono come sparati via dal loro obiettivo prima di cadere morti al suolo.

  Tadaki ricomparve da quel nugolo di piume quasi illeso, fatta eccezione per alcuni tagli sui vestiti e qualche ferita superficiale, e allora i superstiti, spaventati, tornarono ad appollaiarsi sulle rovine.

  «Devo riconoscerlo, ci sai fare.» disse Atarus senza eccessiva sorpresa

  «Non sai batterti senza un esercito di servetti a guardarti le spalle?» domandò Tadaki togliendosi un po’ di piume di dosso

  «Devi ammettere che sono comodi. Non essendo classificabili come famigli, facendoli combattere al mio fianco non commetto nessuna scorrettezza.»

  «Tipico dei McLoan, agire ai limiti dell’etica.»

  «Sei un tipo davvero irritante. Solo quel presuntuoso di uno spadaccino è stato capace di farmi innervosire più di te.»

  «Ho sentito che Toshio è stato attaccato sulla strada per Zurigo. Per caso c’entri qualcosa?»

  «Può darsi.»

  «Lo immaginavo. Sai quante persone hanno rischiato di perdere la vita per quel tuo giochetto?»

  «E tu sai quanto me ne importa?

  Che siano dieci, cento, o anche mille vite, sono nulla in confronto a quelle che Seth distruggerebbe se si risvegliasse.»

  «E sacrificando persone innocenti credi forse di essere migliore di lui?»

  «Tu pensa quello che vuoi. Ma se vogliamo difendere questo mondo e i suoi ottusi abitanti non possiamo permetterci il lusso di essere moralisti. Le uniche cose che contano sono la forza e il potere che possiamo sfoggiare, ed è una realtà incontestabile che più circoli magici si possiede, per quanto miseri e insignificanti nel loro piccolo, più si diventa potenti.

  Seth non si lascia rabbonire tanto facilmente, tutti quelli che nei tornei passati sono prevalsi sono stati quelli che avevano più innocenti sulla coscienza, lo sai tu e lo so io.»

  «I tempi cambiano.»

  «Ma non i costumi, a dispetto di quanto si crede.

  La verità è che gli esseri umani sono degli ipocriti. Benché se vadano in giro a sbandierare tolleranza e pace non possono rinunciare a farsi la guerra. Sono certo che se venissero a sapere per cosa combattiamo non ci penserebbero due volte a scannarsi l’un l’altro per dare a noi ciò di cui abbiamo bisogno per accrescere la nostra forza».

  Tadaki ascoltò l’intero discorso senza battere ciglio, poi, con movenze lente e rassegnate, come un automa, azionò un congegno segreto dei suoi pugnali che aumentò a dismisura la lunghezza delle impugnature, fino a renderla il doppio di quella delle lame.

  «Forse hai ragione tu.» disse unendo le impugnature alle estremità e formando un lunghissimo bastone a doppia lama «Forse gli umani sono davvero degli ipocriti che non meritano di essere difesi.

  Ma se c’è una cosa che la selezione naturale ci ha insegnato è che tutte le creature, prima o dopo, migliorano con l’evoluzione, e l’essere umano non fa eccezione. Un giorno o l’altro anche gli uomini impareranno a vivere secondo leggi più giuste, e se pensi che l’obiettivo di noi partecipanti al torneo sia solo permettere loro di continuare ad esistere allora ti sbagli di grosso.

  Ciò che noi facciamo, e ne sono profondamente convinto, è sì proteggerli, ma per dar loro la possibilità di diventare migliori. Per questo io combatto.

  E per questo non accetterò mai di perdere contro uno come te!».

  Il suo attacco improvviso venne respinto da Atarus, che dopo un paio di scambi si allontanò, materializzando il suo circolo magico.

  «Sei uno stupido idealista, proprio come Toshio. Adesso ti dimostrerò che gli ideali e i buoni principi sono ben poca cosa in confronto al potere che si possiede».

  Tadaki, sapendo cosa il suo avversario aveva in mente, si mise in guardia, e non appena la lancia di Atarus cominciò a risplendere lui prese a far girare vorticosamente dinnanzi a sé la propria nuova arma.

 

STORMBRINGER

 

  L’attacco si rivelò molto più potente rispetto a quello che era stato usato contro Toshio; infatti al primo affondo ne seguirono decine di altri, lanciati a velocità incredibile, ognuno dei quali generava una scia di luce rossastra tagliente come una lama affilata. Ciò nonostante, nessuno di essi risultò in grado di eludere la solita difesa di Tadaki, che riuscì, seppur con qualche difficoltà, ad avere la meglio, obbligando Atarus a desistere per mancanza di energie.

  «Maledizione…».

  Tadaki, passata la minaccia, cessò di far roteare il suo bastone e tornò a fissare Atarus, stavolta in modo sarcastico.

  «Allora, Atarus? È tutta qui la tua forza?» disse, e un istante dopo Atarus si ritrovò uno shuriken conficcato nella spalla; il lanciere gridò per un attimo, un grido che divenne prima un ringhio poi un ruggito rabbioso, e quando risollevò gli occhi dopo essersi levato la lama dal corpo erano rossi di collera.

  «Questa me la paghi».

 

Nello stesso momento, a diversi chilometri di distanza, Touka e Seline si stavano ancora battendo furiosamente tra di loro nella piazza dove si erano incontrate.

  Entrambe erano guerriere di grande levatura, che facevano affidamento rispettivamente sulla velocità e sull’agilità, e per questo nessuna delle due era ancora riuscita a ferire l’altra.

  Il livello dello scontro era molto alto, e ad un certo punto si rese necessaria una pausa per poter riprendere fiato.

  «Sei brava, te lo riconosco.» disse Touka sfiorando con le dita uno strappo nel suo abito da lotta all’altezza del fianco destro «Si vede che ti ha generato qualcuno dotato di grandi poteri.»

  Seline quasi sorrise al complimento, ma lo sguardo che si vide piantare addosso subito dopo le tolse subito questo proposito.

  «Tuttavia, non hai la benché minima idea di cosa voglia dire essere un famiglio.»

  «Di che stai parlando? Noi famigli siamo creature create dagli uomini. Se non fosse stato per loro saremmo ancora dei volgarissimi animali, dominati dall’istinto. Il mio master mi ha dato la vita, e per questo io lo servirò in ogni suo desiderio.»

  «È davvero questo quello che pensi?» domandò Touka quasi con tristezza

  «Cosa?»

  «Essere un famiglio significa molto di più che obbedire alla volontà della persona che ti ha generato. Un famiglio porta dentro di sé una parte dello spirito del suo creatore. Condivide con lui gioie e dolori; se noi subiamo una ferita, anche i nostri master sentono dolore, e se loro muoiono moriamo anche noi.

  Hai ragione quando dici che un famiglio deve obbedire al suo master, ma ciò non è da considerarsi un obbligo, bensì una scelta.»

  «Una… scelta?»

  «Come suo famiglio, io posso avvertire distintamente la nobiltà e la generosità che contraddistingue il mio master. Egli è una persona dal grande cuore, e io ho piena fiducia in lui e nella missione che ha giurato di portare a termine, e proprio per questo combattere per lui è per me motivo di grande gioia e onore.

  Io non combatto al fianco di Tadaki perché è il mio master, ma perché ho fiducia in lui, e se sarà necessario sono pronta a dare la vita per permettergli di perseguire gli obiettivi che si è prefissato.

  Ora, rispondimi sinceramente. Sei davvero convinta che i propositi di Seth siano tali da meritare che tu sacrifichi la tua esistenza in loro nome?».

  Seline, a quella domanda, rimase completamente muta e completamente spiazzata; incapace di rispondere, strinse i pugni e rivolse gli occhi a terra, e sembrava quasi che stesse per scoppiare a piangere.

  «Noi famigli non saremmo mai in grado di aiutare e assistere i nostri master se prima non dimostriamo di credere in loro. Tu combatti per Seth perché è il tuo padrone, non perché condividi le sue idee. Non devi avere paura di rivoltarti contro di lui, perché anche se dovesse privarti della sua energia ci sarebbe sicuramente qualcun altro, qualcuno dall’animo nobile, al quale potresti legarti, e nel servire il quale ti sentiresti davvero felice.»

  «Sta zitta!».

  Seline partì all’attacco senza preavviso e con una furia incontrollabile, e Touka, che per la prima volta in vita sua si era rilassata durante un combattimento, venne colta in parte alla sprovvista, ricevendo una ferita alla spalla sinistra di una certa gravità; contemporaneamente, anche Tadaki avvertì un dolore lancinante in quello stesso punto, distraendosi e ritrovandosi esposto ad un attacco di Atarus, che riuscì ad assestargli un colpo con l’asta della lancia forte abbastanza da buttarlo a terra.

  «Non tradirò mai il mio master, per nessun motivo al mondo! Quelli come te, che sono cresciuti nell’ozio e nella felicità, non possono capire quello che provano le altre persone. Il mio master fin dalla nascita non ha conosciuto altro che dolore e sofferenza. Se lo abbandonassi anche io, che cosa gli rimarrebbe?».

  Touka, seppur a malincuore, si preparò a riprendere lo scontro, ma inaspettatamente fu la stessa Seline ad esitare quando, con suo evidente stupore, avvertì un richiamo telepatico nella propria testa.

  «Seline, basta così. Ritirati subito.»

  «Ma… my master.»

  «Non è necessario che tu rimanga lì. La tua missione è conclusa. Torna al castello.»

  «Come desiderate, my master».

  A quel punto un circolo magico si materializzò ai piedi di Seline, e lei prese gradualmente a scomparire.

  «Considerati fortunata. Per oggi la nostra sfida termina qui.

  Ma non sperare che sia finita; la prossima volta non ti andrà così bene».

  Touka la lasciò andare, non sentendosi nelle condizioni di poterle tenere agilmente testa, e appena rimase sola una sensazione terribile minacciò di farle scoppiare il cuore.

  “Tadaki è in pericolo!” pensò, e trasformatasi in falco prese subito il volo.

  Infatti, anche a causa dell’energia che era costretto a passare costantemente al suo famiglio per permettergli di rimanere in forma umana, Tadaki si stava stancando più velocemente del previsto, e per ogni istante che passava faceva sempre più fatica a tenere testa ad un nemico agile e insidioso come Atarus.

  Questi, dopo poco, si accorse delle sue cattive condizioni, e non faticando ad immaginarne la ragione decise di premere ancor più a fondo, nella speranza di assestare all’avversario il colpo decisivo.

  «Allora, ragazzino.» disse vedendolo ansimante e dolorante «Prima sei riuscito a schivare il mio stormbringer. Chissà se l’impresa ti riuscirà una seconda volta».

  Tadaki non pensò neppure di provare ad evitare in qualche modo quell’attacco, perché sapeva perfettamente di non averne la forza, di conseguenza la sola cosa da fare era provare a pararlo come fatto in precedenza, quindi si preparò a far ruotare nuovamente il suo bastone.

  «Sto arrivando! È meglio che ti prepari al peggio!».

 

STORMBRINGER

 

La difesa turbinante di Tadaki inizialmente sembrò in grado di rispondere nuovamente all’assalto, ma poi, quando la velocità di rotazione cominciò a decrescere, alcuni colpi della lancia riuscirono a passare oltre, ferendo il giovane ninja in più parti, anche se in modo non gravissimo.

  Ancora una volta Atarus si vide costretto a fermare i suoi affondi, ma a differenza di poco prima stavolta sul corpo di Tadaki erano ben visibili i segni lasciati da alcuni colpi; uno di questi lo aveva colpito alla guancia, mancando di pochissimo l’occhio destro.

  «Dimmi, dove sono finiti ora i tuoi preziosi ideali?».

  Atarus avrebbe voluto continuare ad oltranza fino a vedere il suo nemico svenire per la fatica, ma una parte di lui riconosceva a Tadaki il merito di essere stato un avversario valoroso, degno quindi di essere finito nel modo più nobile.

  «Ti sei dimostrato un valido avversario, questo te lo concedo.

  Per dimostrarti che apprezzo il tuo valore, ti riserverò il privilegio assoluto di osservare coi tuoi occhi il mio asso nella manica.»

  “Il suo asso nella manica?” pensò il ninja.

  Il lanciere assunse una posa diversa rispetto a quella che preannunciava l’utilizzo dello Stormbringer, e l’energia magica che andava accumulandosi sulla lancia, invece che su tutta la lama, si stava concentrando tutta sulla punta.

  «Ritieniti fortunato. Avevo deciso di usarlo solamente contro Seth.

  Non credo sopravvivrai, quindi ti dico già addio.»

  «Fatti avanti! Ti aspetto!»

  «Come vuoi! Muori!».

 

STORMBREAKER!

 

Tadaki vide una specie di enorme fascio di energia rossa venirgli contro, disintegrando il terreno al suo passaggio e provocando uno spostamento d’aria colossale, e istintivamente usò quel poco di magia che possedeva per generare una barriera che lo difendesse, mettendo anche la propria arma davanti a sé come ulteriore rinforzo.

  Quando la barriera venne colpita Tadaki sentì una pressione colossale su di sé, come se lo avesse colpito un transatlantico, e appena lo scudo cedette le ossa delle braccia gli uscirono dalle articolazioni sulle spalle e sui gomiti, facendolo urlare dal dolore.

  Investito in pieno, poté avvertire la forza del colpo aumentare a dismisura.

  “Che… che mi succede…” pensò sentendo il suo corpo pesante come il piombo.

  Scagliato in aria, precipitò verso terra quasi svenuto, e l’urto col suolo fu tanto violento da provocare una piccola voragine nel terreno argilloso; la sua spada, ormai ridotta in pezzi, lo seguì di lì a poco, e vedendola in quello stato Tadaki, con le poche forze che gli erano rimaste, riuscì a rendersi conto di quello che era successo, e sentì il desiderio di piangere.

  Atarus questa volta fu visibilmente sorpreso nel vedere qualcuno sopravvivere al suo colpo più distruttivo, e non poté fare a meno di provare una certa ammirazione per quel ragazzo che, anche nella sconfitta, trovava comunque la forza per cercare di rimettersi in piedi.

  Gli si avvicinò, incrociando il suo sguardo, sofferente ma ancora determinato.

  «Le tue armi si sono spezzate.» disse con voce greve, stranamente priva del suo solito tono sadico «Avevi già perso il tuo famiglio e la tua magia nell’incontro con Toshio, e con la distruzione di quei pugnali tutti i tuoi strumenti di lotta sono stati neutralizzati.

  Il che significa… che hai perso».

  Quelle poche parole minacciarono di far andare il cuore di Tadaki in mille pezzi, e le sue emozioni furono messe ulteriormente alla prova quando, nel cielo, vide comparire un grande circolo magico simile al quadrante di un orologio; raffigurava una stella a sette punte inscritta in due quadrati, uno dei quali in posizione romboidale, e con ogni punta rivolta verso uno dei sette simboli tracciati lungo la circonferenza, ognuno dei quali richiamava, vagamente, le rune assegnate ad alcuni segni zodiacali.

  Non furono solo Tadaki e Atarus a vederlo; lo stesso simbolo comparve anche in molte altre parti del mondo, ovunque vi fosse qualcuno che avesse motivo di doverlo vedere, compresa la valle in cui sorgeva il castello dei Cacciatori.

  «Quello che cos’è?» domandò Shinji, affacciato da una finestra assieme a tutti gli altri

  «È la Meridiana Celeste.» disse Toshio «Ad ognuna di quelle sette rune è associato uno di noi. Quando una di esse si spegne, significa che il guerriero corrispondente è stato eliminato.»

  Uno dei simboli, simile a quello dell’acquario, brillò leggermente prima di spegnersi, e subito dopo l’intero disegno scomparve nel buio.

  «Il simbolo del Clan Yoshida.» disse Izumi

  «Il Clan Yoshida!?» esclamò Keita «Toshio, allora Tadaki…».

  Tadaki sentì il mondo crollargli addosso, e per un istante il suo onore di guerriero gli suggerì di usare le sue poche forze per piantarsi quanto restava di una delle sue lame dritta nel cuore, ma anche volendo non poteva riuscirci sicuramente con entrambe le braccia slogate.

  «Fine dei giochi, ragazzo.» disse Atarus «Vuoi morire?».

  Il ninja non sapeva cosa rispondere, e si limitava a guardare colui che lo aveva sconfitto digrignando i denti; avrebbe voluto dire di sì, ma se solo questa idea lo sfiorava si ritrovava davanti il volto preoccupato di sua sorella, che forse si era già svegliata e attendeva il suo ritorno in quella stanza di Parigi.

  L’onore dell’essere l’ultimo discendente di una gloriosa stirpe di guerrieri e il desiderio di rimanere accanto a Kazumi lottavano furiosamente per decidere il suo destino, e avrebbero continuato a farlo a lungo se all’improvviso una meteora di fuoco non fosse scesa del cielo illuminando la notte e puntando diritta su Atarus.

  Il lanciere, vedendola, saltò all’indietro, e quando l’oceano di fuoco prodotto dal globo incandescente al contatto con il suolo si dissolse fra lui e Tadaki era comparsa una giovane ragazza che vestiva con una minigonna bianca a pieghe e una maglia color panna senza maniche; aveva stupendi occhi rossi e lunghi capelli verde smeraldo stretti quasi in punta da un nastro a cui era legata una coppia di campanelle. Anche senza scorgere la lunga coda canina che sbucava da sotto la gonna era chiaro che si trattava di un famiglio, e il suo padrone non tardò a mostrarsi di lì a poco, inginocchiato accanto a Tadaki come a volerlo proteggere.

  «Souma!?» esclamò Atarus riconoscendo il volto della ragazza che aveva aggredito Keita a Venezia, e con la quale aveva avuto una scaramuccia di poco conto nella stessa città.

  Lei non ricambiò il saluto né fece alcun cenno, ma ad un suo schiocco di dita il suo famiglio alzò il dito indice, generando una piccola fiammella che, lanciata verso Atarus, divenne invece un vortice infuocato.

  Il lanciere si difese usando una tecnica uguale a quella di Tadaki, ruotando velocemente la sua arma, ma quando la situazione si acquietò sia il suo avversario sia i nuovi arrivati erano scomparsi, ma invece che adirarsi per non aver potuto infliggere il colpo di grazia Atarus si sentì soddisfatto per aver conquistato la sua prima vittoria.

 

Appena tornata al castello Seline trovò Nepthys e Seth ad attenderla nella sala da ballo, dove i  segni dello scontro con la misteriosa ragazza comparsa qualche tempo prima erano ormai quasi completamente scomparsi

  Subito la ragazza si inginocchiò davanti al trono, guardata da Klaus con apparente indifferenza.

  «Sono disonorata, my master. Ho fallito nella missione che mi avevate affidato, e non merito il vostro perdono».

  Il giovane, all’inizio, non rispose, e vedendo la sua mano destra allungarsi verso di lei Seline chiuse gli occhi spaventata, ma quando la sentì posarsi dolcemente sulla sua testa per un istante le si rizzarono le orecchie.

  «Ti sbagli, amica mia. Tu hai compiuto la tua missione nel migliore dei modi.»

  «Come!? Ma io…»

  «Impegnando in combattimento il famiglio di quel ragazzo hai indebolito anche lui, e la conseguenza è stata la sua sconfitta nell’incontro che stava disputando.

  È stato eliminato, e il merito è in gran parte tuo.»

  «Dunque… era questo il vostro piano?»

  «Sono fiero di te. Ti sei dimostrata all’altezza dell’incarico che ti avevo affidato.»

  «Io… grazie, my master.» disse la ragazza scoppiando a piangere

  «Ora vai a riposare. Te lo sei meritato».

  Seline, obbedendo all’ordine, lasciò velocemente la stanza, e allora Klaus e Lainay rimasero da soli.

  «Era davvero questo il tuo piano?» domandò la donna, la sola tra i servitori del sovrano che potesse permettersi di parlargli con un tono tanto reverenziale

  «Se devo essere sincero, no.» fu la risposta di Seth «L’esito di quell’incontro era stabilito fin dall’inizio. Anche se Seline non ci avesse messo del suo, il risultato sarebbe stato comunque lo stesso.»

  «E allora perché lo hai fatto?»

  «Ho sempre ritenuto che i famigli in forma umana fossero deboli e inaffidabili, ma ho voluto comunque fare un tentativo. Se devo essere sincero ero convinto che Seline non sarebbe uscita viva da questa prova, ma con mia gradita sorpresa si è dimostrata ben superiore alle mie più rosee aspettative.»

  «Ma in tal caso perché attribuirle dei meriti che non ha?»

  «Ho imparato, nel corso dei secoli, che a volte la magnanimità può essere molto più efficace del pugno di ferro. E poi, i famigli in forma umana possono essere così imprevedibili. È sempre meglio essere certi della loro lealtà.»

  «Ora ti riconosco. Calcolatore e razionale. Questo è il Seth che ho sempre amato».

  Klaus si alzò dunque dal trono e si avvicinò a Lainay, che rimase quasi ipnotizzata dal suo sguardo profondo, non riuscendo a staccarci gli occhi di dosso.

  «Davvero mi hai sempre amato?».

  Lei, finalmente, riuscì a staccarsi da quegl’occhi, girandosi dall’altra parte.

  «Ho cominciato a sentire le voci quando avevo dodici anni.

  Ogni volta che ne parlavo coi miei genitori o con le mie amiche venivo presa per pazza, e quando la voce si è diffusa ho perso velocemente tutti coloro che mi erano sempre stati vicino.

  Eppure, in quella solitudine, riuscivo comunque a sentire una presenza vicino a me, una presenza calda e gentile che mi proteggeva con il suo calore.

  Più gli anni passavano più le memorie sulla mia esistenza passata si ricomponevano, fino a che non ho ricordato il suo nome; il solo pensare a te, a quanto ti avevo amato, era più che sufficiente a riscaldarmi l’anima, e aspettavo con ansia il giorno in cui avrei nuovamente potuto tornare al tuo fianco.»

  «Ancora non riesco a credere che tu provi questo per me. Dopo tutto quello che è successo fra le nostre due famiglie».

  Lainay si girò nuovamente a guardarlo, e dimenticandosi del rapporto di inferiorità che solitamente li teneva distanti gli passò una mano sulla sua guancia di ragazzo.

  «Quella è storia passata ormai. Io ti amo, e ti amerò per sempre, con tutta me stessa».

  Anche lui allora le poggiò la mano sulla guancia per poi andarle ad accarezzare i lunghi capelli, morbidi e lisci come seta.

  «Sei così bella».

  I loro volti si avvicinarono, gli occhi si chiusero e le labbra si sfiorarono; Klaus tirò a sé quella ragazza di otto anni più vecchia e la baciò con tutto l’amore possibile; lei, lasciato cadere lo scettro e avvinghiate le braccia attorno al suo collo, fece altrettanto, e i due rimasero a lungo così, come cristallizzati nel tempo.

  Alla scena assisteva, da oltre il portone, Franziska, che per qualche motivo non riusciva a non sentire un tremendo peso sul cuore, e il desiderio di piangere.

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Lo so, sono in un ritardo osceno, ma con cinque corsi da seguire il tempo sta diventando un lusso; come se non bastasse, questa mia mente bacata ha deciso di uscirsene con una nuova fanfic, che però essendo nel netbook viene scritta quasi esclusivamente nelle tre ore di buca che ho tra una lezione e l’altra dal lunedì al mercoledì.

Questo capitolo mi ha abbastanza soddisfatto, sarà perché mi trovo a mio agio nel descrivere i combattimenti.

Ringrazio come sempre i miei recensori, Selly, Cleo, Levsky e Akita; a quest’ultima, se non dovessi riuscire ad aggiornare ancora, auguro in anticipo un favoloso viaggio! Salutami la cara vecchia Londra!

Ok, basta così. A presto!^_^

Carlos Olivera

 

Ps. Se volete, passate a dare un’occhiata alla nuova fic: è nella sezione crossover ed è ispirata ad un anime poco conosciuto, ma di cui è facile trovare gli episodi in fansub sia su youtube che su molti siti.

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Capitolo 13
*** L'uomo e Dio ***


12

12

 

 

Per quella sera Klaus aveva chiamato a raccolta tutti i suoi servitori subito dopo il tramonto, cosa rara dopo quanto era accaduto nei sotterranei; negli ultimi giorni Thanatos era stata piuttosto evasiva, e non si era mai presentata al cospetto del suo signore se non espressamente convocata.

  Appena furono tutti riuniti, però, fu proprio Thanatos a venire chiamata, con grande stupore di molti dei presenti.

  «Thanatos. Vieni avanti».

  La ragazza, visibilmente sorpresa, uscì dalle righe e si portò davanti al trono, inginocchiandosi; si poteva notare un certo sudore freddo che le rigava la fronte: forse temeva di ricevere una nuova punizione per aver agito senza autorizzazione contro Toshio e i suoi compagni.

  Invece, piuttosto che accigliarsi, Seth parve quasi sorridere.

  «Sai, ho riflettuto su quanto accaduto l’altro giorno.

  Non posso perdonarti per aver fatto di testa tua, questo lo comprenderai, però devo ammettere di essere rimasto molto colpito dalla tua risolutezza».

  Alcuni degli altri servitori, soprattutto Hypnos, il fratello della ragazza, restarono con la bocca spalancata; non Lainay, sul volto della quale comparve un’espressione enigmatica; difficile invece scorgere la reazione di Anubis, perennemente nascosto dentro il suo mantello.

  «Mio signore, voi dite sul serio?!»

  «Certamente. Ed è proprio per questo che ho deciso di concederti una doppia possibilità. In un colpo solo potrai riscattare il fallimento dell’ultima volta e veder perdonata la tua colpa di superbia.»

  «Volete dire… che mi date il permesso di attaccare il castello!?»

  «Su quanti uomini puoi contare?»

  «Maestà.» rispose sogghignando la ragazza «Voi datemi l’ordine, e mi metterò io stessa alla guida del mio esercito di non-morti.»

  «Molto bene. Ti darò anche alcuni dei miei soldati, giusto per sicurezza, e ti concedo carta bianca. Potrai agire come meglio preferisci. Il solo ordine che ti do è di non fare del male a Nadeshiko, ma anzi di portarmela sana e incolume. Degli altri potrai fare ciò che vorrai.»

  «Come desiderate, mio signore.»

  «Vai dunque, e dimostra a tutti il tuo valore.»

  «Vi giuro sulla mia vita che entro l’alba vi porterò le teste di quel gruppo di mortali su un piatto d’argento.»

  «Ho fiducia in te, amica mia, e mi aspetto grandi cose. Vai ora».

  Appena Thanatos lasciò il castello gli altri generali di dispersero nel castello, ognuno per conto proprio. Solo Ushio di Cloto e sua sorella Yuuhi di Atropo rimasero insieme.

  «Secondo te cos’ha in mente Seth?» domandò la sorella maggiore mentre camminavano per i corridoi bui dei castello

  «Non è ovvio? Thanatos è una macchina da guerra, mandarla in battaglia è l’unico modo per tenerla sotto controllo. Berrà tanto di quel sangue da sentirsi sazia per un bel po’, e così il maestro non dovrà più temere altri suoi colpi di testa.»

  «Dunque è per questo che ha scelto lei.»

  «Seth non si fida di lei, questo mi sembra più che evidente. Che Thanatos vinca questa battaglia è praticamente certo, ma nel caso qualcosa dovesse andare storto si sarà liberato dell’unica mela marcia del nostro esercito.»

  «C’è una cosa che non capisco, però. Perché il maestro è così interessato a quella ragazza di nome Nadeshiko?»

  «Non lo so e non m’interessa. Forse è solo l’amore segreto della sua metà umana che vuole tenere per sé.»

  «Sì, forse hai ragione.»

  «Ad ogni modo, ho il sentore che prima del prossimo sole cambieranno molte cose».

  In quella Franziska giunse dalla direzione opposta accompagnata dalla sorella maggiore delle due ragazze, Minami di Lachesi, che da un po’ di tempo era diventata quasi la sua confidente; Ushio e Yuuhi si scostarono per farle strada e piegarono la testa al suo passaggio, ma Franziska era chiaramente distratta dai propri pensieri e continuò a procedere dritta con lo sguardo piantato davanti a sé.

  «Non ti sembra che Franziska-sama sia un po’ strana in questi giorni?» domando Ushio

  «Secondo me è in contrasto con Nepthys. Finora Franziska-sama era stata l’unica vera donna nella vita di Seth-sama, ora invece ha una concorrente.»

  «Hai ragione. Del resto Seth-sama e Nepthys-sama sono molto uniti fin dai tempi antichi. Ho come il presentimento che la cosa solleverà non pochi problemi.»

  «Allora siamo in due a pensarlo».

 

Non appena Tadaki riaprì gli occhi la prima cosa che vide fu il volto spaventato e preoccupato della sorella che rimaneva seduta accanto al letto tenendogli una mano.

  «Ka… Kazumi…»

  «Tadaki!» disse la ragazza gettandogli le braccia al collo «Grazie al cielo! Avevo paura che non ti saresti più svegliato!»

  «Che… che cosa è successo? Dove mi trovo?»

  «Sei nell’albergo a Parigi.»

  «Nell’albergo?! Ma cosa…».

  Solo allora il guerriero riuscì a far mente locale su quello che era successo durante la notte, e prima ancora di farsi prendere dallo sconforto per essere stato sconfitto volle capire come era stato possibile per lui perdere i sensi sul campo di battaglia convinto di morire per poi ritrovarsi invece disteso nel suo letto.

  Dalle tende che coprivano le finestre della stanza, tirate probabilmente per permettergli di dormire, entravano tenui raggi di sole.

  «Che ore sono?» domandò

  «Sono quasi le tre del pomeriggio.»

  «Ma… come sono arrivato qui?»

  «Ti ci ha portato lei.» rispose Kazumi indicando una figura nascosta dietro lo schienale della poltrona a cui sedeva e che, alzatasi, si rivelò essere Souma

  «Tu!?» esclamò Tadaki.

  Quella infatti non era una faccia nuova; anche se l’aveva vista solo per una frazione di secondo, il ragazzo aveva ben in mente la faccia della persona che aveva tentato di assalirlo nella sua stanza di Venezia.

  «Come è piccolo il mondo, vero?»

  «Che… che cosa ci fai tu qui?»

  «Sarebbe il tuo modo di dire grazie questo? Se non vado errata ti ho salvato la vita».

  Tadaki, sconfortato, abbassò lo sguardo, e qualche secondo dopo Touka entrò dalla finestra, acquistando subito le sue fattezze umane.

  «Master.» disse mentre lui si metteva a sedere sul letto brontolando per il dolore «Vi prego di perdonarmi. Sono stata un’incapace. Non sono riuscita ad arrivare in tempo.»

  «Non… non hai niente per cui dover chiedere scusa.»

  «Se non fosse stato per la nobile Souma quel mostro di Atarus vi avrebbe ucciso. Sono coperta di disonore. Non merito di essere il vostro famiglio.»

  «Ti sbagli, Touka. Sono io che non merito di avere un famiglio come te.»

  «Onii-chan…» disse Kazumi

  «Tu almeno, la tua sfida l’hai vinta. Io, invece, ho perso. Se c’è qualcuno qui che è coperto di disonore, quello sono io.»

  «Adesso non farne un dramma.» rispose secca Souma «Quell’attacco avrebbe steso comunque. Inoltre, dovendo dare energia al tuo famiglio, non si può certo dire che steste combattendo ad armi pari.»

  «Che importa? Io ho perso. Ho deluso le aspettative del mio clan e di tutta la mia gente.»

  «E con ciò? Ti sei comunque battuto al massimo delle tue potenzialità, o mi sto sbagliando? Per questo, non hai motivo di essere deluso. Quindi dacci un taglio con la tragedia e ringrazia piuttosto di essere ancora vivo.

  Finché c’è vita c’è speranza, e questo vale per noi più che per chiunque altro».

  Souma ottenne che Touka e Kazumi uscissero dalla stanza, lasciandola sola con il suo ex avversario; Tadaki, ancora visibilmente sconfortato, recuperò quanto restava delle sue spade, che pur spezzate e logore continuavano a splendere come specchi, fulgide di bellezza.

  «È una cosa grave?» domandò Souma

  «Non così grave. Tutte le armi di rappresentanza dei partecipanti al torneo si riparano da sé con il tempo, questo è un fatto risaputo.»

  «Meglio così. Perché se pensi che la battaglia sia finita, ti sbagli di grosso. Anche se veniamo eliminati dal torneo rimaniamo pur sempre i guerrieri più forti di questo mondo, e Seth non si darà pace fino a quando non ci avrà eliminati tutti. Puoi star certo che da ora in avanti gli scontri non solo non diminuiranno, ma anzi aumenteranno.»

  «Aspetta, non è detto che le mie spade si riparino. Bisogna che qui ci siano tutti i pezzi.»

  «Ho mandato il mio famiglio a ispezionare il campo di battaglia alle prime luci dell’alba. Li ha recuperati tutti.»

  «Ne sei sicura?»

  «È stata creata partendo da un cane. Vista e olfatto non le fanno difetto, quindi puoi stare tranquillo».

  Seguì un lungo silenzio, di difficile interpretazione; ognuno dei due teneva per sé le proprie emozioni, poi fu Tadaki il primo a scegliere di esternarle.

  «Perché mi hai aiutato?».

  Souma, appoggiata al muro, sorrise leggermente.

  «È stato per puro caso. Ho origliato la vostra conversazione dell’altro giorno e ho deciso di seguirvi. La mia idea era di sfidare il vincitore dello scontro e ottenere così una vittoria facile, ma la sua condotta è stata deplorevole, eccezion fatta forse per le battute conclusive, e il mio onore di guerriera mi impedisce di misurarmi con gente come lui, a meno che non sia assolutamente necessario.

  In ogni caso, come ti ho detto, ci sarà bisogno di tutta la forza possibile per portare a termine questa guerra, e tenendo conto del valore che avevi dimostrato ho deciso di tirarti fuori dai guai.»

  «Capisco.»

  «Ma non fraintendere.» disse subito Souma con tono più serio e risoluto «L’ho fatto solo in nome della nostra causa. Se non ti fossi dimostrato un guerriero onorevole, probabilmente non sarei intervenuta.»

  «Immagino tu abbia ragione. In ogni caso, grazie.»

  «Non c’è di che».

 

Le due settimane fissate da Izumi per portare a termine il suo programma di addestramento erano ormai quasi scadute, e i progressi fatti dai suoi quattro allievi erano a dir poco straordinari.

  Anche Keita, l’unico ancora incapace, per certi versi, di dare libero sfogo al suo potere, alla fine lo aveva accettato, e in pochissimo tempo era diventato capace di controllarlo a tal punto da rimanerne egli stesso sorpreso, diventando nel contempo un eccellente stregone e un abile spadaccino.

  Nadeshiko aveva fatto molta pratica nell’uso della magia, acquisendo esperienza soprattutto in incantesimi che includevano l’invocazione di barriere, il ritrovamento di determinati bersagli e il supporto in generale dei compagni di squadra; le magie di combattimento vere e proprie non erano fatte per lei, così Izumi aveva scelto di non insegnargliele, rimandando eventualmente la cosa a quando i tempi fossero stati maturi.

  Shinji aveva affinato al massimo le sue abilità di combattente marziale, e ormai il titolo di gamba d’acciaio non era più da considerarsi esagerato, perché combinando magia e forza bruta risultava in grado di disintegrare un muro di mattoni con uno solo dei suoi colpi, colpi potenti resi ancor più efficaci dall’agilità e dalla grazia con cui si muoveva.

  Takeru, se possibile, era diventato uno spadaccino di talento ancora superiore, e imparando a sua volta a combinare il potere magico con la sua esperienza di guerriero poteva considerarsi a tutti gli effetti un combattente completo, pur continuando a contare quasi esclusivamente sulla forza della katana per vincere le sue sfide.

  Il solo che pareva non aver fatto alcun tipo di progresso e, inevitabilmente, Toshio; malgrado l’atteggiamento di Izumi nei suoi confronti si fosse fatto meno restrittivo il ragazzo sembrava non essere ancora riuscito né a superare i freni interiori che per troppo tempo avevano incatenato la sua mente né a scoprire qualcosa per la quale voler davvero combattere, qualcosa che lui stesso sentisse il desiderio di proteggere.

  Eppure, qualcosa stava sembrare cambiando dentro di lui: il rapporto con Nadeshiko sembrava stare diventando sempre più saldo; parlavano spesso, e ogni tanto la sera, quando credevano di essere soli, tornavano nella sala del pianoforte, dove lei gli insegnava a suonare.

  In cambio Toshio, incredibilmente, accettava di aprirsi, raccontandogli piccoli particolari della sua vita, una cosa che lui stesso reputava impossibile da riuscire a fare.

  «Capisco.» disse Nadeshiko durante una pausa «Dunque, sei stato adottato.»

  «È così. I miei veri genitori erano dei dottori. Lavoravano per un’organizzazione umanitaria, ma furono uccisi da dei ribelli quando avevo dieci anni. Gli abitanti del villaggio mi hanno salvato e mi hanno portato a Nepthys, dove sono stato adottato dal re Akunator, che al tempo non aveva figli. Ho detto io stesso di chiamarmi Toshio, o meglio, questo è questo che mi hanno raccontato.»

  «In che senso?».

  Toshio abbassò lo sguardo, fissando i tasti bianchi del pianoforte.

  «Vedi, il fatto è che io non ricordo nulla che risalga a prima degli ultimi tre anni. La colpa è di una caduta da cavallo. La prima cosa di cui ho memoria sono io che mi sveglio nel mio letto con la testa fasciata e un braccio ingessato.

  Doveva essere stato un urto molto violento, perché non ricordavo nulla. È stato mio padre a spiegarmi cosa fosse successo.»

  «Deve essere terribile, non ricordare il proprio passato.»

  «Ormai me lo sono lasciato alle spalle. Non ha senso piangersi addosso. Ciò che conta adesso è il presente, e niente altro».

  Poco dopo, verso le due, la lezione ebbe termine, e i due ragazzi fecero per tornare ognuno nella propria stanza; a metà del corridoio però, sia Toshio che Nadeshiko si bloccarono, avvertendo l’approssimarsi di un pericolo di grande portata.

  «L’hai sentito anche tu?» domandò il ragazzo

  «Sì. È la stessa energia dell’altro giorno».

  Entrambi si girarono verso la grande finestra alla loro destra, dalla quale videro una grande luce violacea sollevarsi tra gli alberi dall’altro lato della vallata.

  «È laggiù!».

  Come l’ultima volta, quando raggiunsero l’ingresso del castello incontrarono i loro tre compagni con Aria e Lotte, e come l’ultima volta Keita rimase per un istante col fiato fermo in gola vedendo Toshio e Nadeshiko arrivare insieme.

  «Eccovi finalmente.» disse Shinji «Sembra proprio che stiano tornando alla carica.»

  «Non poteva capitare in un momento peggiore.» commentò Nadeshiko «Anche stavolta la maestra e Nagisa sono assenti.»

  «Tornerà.» rispose Toshio «Intanto noi ce la sbrigheremo da soli.»

  «Questa volta però non aspetteremo il loro arrivo.» disse Takeru «Saremo noi ad andargli incontro.»

  «Sono d’accordo.» disse Keita «Andiamo a dargli il benvenuto».

  Uscirono, e scendendo lungo il sentiero raggiunsero il fondo della valle, dove furono presto attaccati da un nuovo e più nutrito esercito di zombi emersi dallo stesso bosco da cui avevano visto giungere quel sinistro bagliore.

  «Siete pronti?» disse Toshio materializzando la sua spada

  «Prontissimi.» rispose Keita facendo altrettanto

  «E allora forza.» disse Shinji «Rispediamoli sottoterra!».

  Malgrado il maggior numero di nemici questa seconda battaglia si rivelò per i ragazzi una vera passeggiata, e i progressi che avevano fatto apparvero in tutta la loro devastante efficacia.

  Keita e Takeru erano migliorati molto come spadaccini, colpivano col massimo dell’efficacia minimizzando il tempo e l’affaticamento; Shinji, circondate le proprie gambe di una strana aura verdastra e brillante dalle ginocchia in giù, menava calci così potenti che quei mucchi di carne e ossa venivano segati a metà come dalla lama di un bisturi, per non parlare della sua agilità, degna di un acrobata; Nadeshiko si impegnava soprattutto nel dare aiuto ai suoi compagni, evocando barriere che li proteggessero da attacchi a sorpresa o delle catene luminose che immobilizzassero i nemici quel tanto che bastava per permettere a qualcun altro di eliminarli.

  Quell’armata di cadaveri venne completamente annientata nel giro di due minuti, e come la prima volta i loro resti divennero rapidamente polvere, ma una sinistra risata lasciava intendere che lo scontro vero doveva ancora cominciare.

  «Chi sei?» domandò Toshio «Fatti vedere!»

  «Ne sei davvero sicuro? Ti avverto, poi potresti pentirtene».

  Passarono alcuni secondi, poi Thanatos uscì dagli alberi camminando lentamente e con il suo perfido sorriso stampato sulla faccia; in mano stringeva una falce, fatta apparentemente di metallo, con un manico lungo e stretto e una lama abnorme, grande quasi quanto la ragazza e terminante da una parte in una punta affilata, dall’altra in una cresta voluminosa di lame più piccole.

  «Dunque, finalmente ci incontriamo.» disse fermandosi davanti a loro

  «E tu chi saresti, se posso chiedere?» domandò Shinji

  «Non osare rivolgerti a me con questo tono, mortale, se non vuoi che infierisca su di te prima di ucciderti.»

  «Mortale?» replicò Takeru «Perché tu che cosa saresti?»

  «Io? Io sono una dèa. Sono una creatura superiore, controllo la vita e la morte di tutti i viventi.

  I mortali come voi mi adorano e mi temono, perché posso disporre delle vostre esistenze come più mi aggrada.

  Io sono Thanatos, la dèa della morte.»

  «Thanatos!?» ripeté Nadeshiko

  «Ho sentito parlare di te.» disse Toshio «Nella guerra leggendaria hai combattuto al fianco di Seth, e per questo sei stata punita.

  È strano, però. Dici di essere una divinità, eppure ai miei occhi sembri un normalissimo essere umano.»

  «Frena la lingua, lo dico per il tuo bene.» rispose Thanatos, stavolta senza sarcasmo «Questo corpo non è altro che un involucro, uno stupido contenitore. La differenza che c’è tra noi è abissale, e ora ve lo dimostrerò».

  Con velocità a dir poco sconvolgente Thanatos scomparve nel nulla per poi ricomparire davanti alle spalle di Toshio, il quale non parve accorgersi di nulla.

  «Toshio, attento!» gridò Keita.

  Lui, attonito, si girò, riuscendo appena in tempo a bloccare il colpo di falce con la sua spada, ma l’urto fra le due armi fu più che sufficiente a farlo volare a terra parecchi metri più in là.

  Takeru, il più vicino, cercò di contrattaccare, ma Thanatos prima intrappolò la sua katana tra la lama e l’impugnatura della falce, e seguitamente lo colpì al petto con un colpo a mano aperta che spedì anche lui in mezzo all’erba.

  Dopo Takeru fu la volta di Shinji; Yuuki si abbassò nel momento in cui lui tentò di colpirla con un calcio, poi, ancora accucciata, gli appoggiò la mano sul torace, generando un vento nero che sparò il ragazzo in aria con la potenza di un cannone per poi farlo precipitare a terra.

  Aria usò allora la sua magia per evocare cinque luminosi che immobilizzarono all’apparenza Thanatos agganciandosi a polsi e caviglie, e sua sorella Lotte, convinta che non vi fosse pericolo, ne approfittò per muovere un attacco diretto.

  «È tutto qui?» disse malevola la ragazza, la quale aspettò che Lotte fosse vicinissima per liberarsi, mandando in frantumi gli anelli.

  «Ma cosa…».

  Lotte ricevette un colpo micidiale con l’asta della falce e fu sparata all’indietro, cadendo addosso alla sorella; entrambe riassunsero subito la loro forma felina, rimanendo immobili prive di sensi.

  «Assolutamente patetico».

  L’attacco, però, non era ancora finito; approfittando della distrazione dell’avversaria Keita tentò di colpirla alle spalle, ma lei, tutt’altro che distratta, parò il fendente di spada con la falce, sollevandola poi violentemente verso l’alto in modo tale da destabilizzare Keita, che si ritrovò scoperto; a quel punto fu sufficiente un calcio per spedire il ragazzo lontano, ma stavolta Thanatos era decisa ad andare fino infondo e spiccò un grande salto, volando verso Keita.

  «Il tuo cuore è mio!» gridò abbassando la punta della falce mentre era ancora in aria.

  All’ultimo momento, però, il suo attacco venne respinto da una solidissima barriera che, respingendo efficacemente l’arma, fece volare Thanatos in aria.

  «Maledizione».

  La ragazza riuscì però a rimanere in equilibrio; giratasi su sé stessa tornò a terra sulle proprie gambe, accorgendosi solo in quel momento di aver dimenticato qualcuno.

  «Ragazzina impudente.» disse guardando verso Nadeshiko.

  Ad un cenno di Yuuki una catena composta di luce nera emerse dal terreno, avvinghiandosi al polso della ragazza e trasmettendole una sensazione terribile, molto simile ad una folgorazione.

  «Nadeshiko!» gridò Keita vedendola gridare dal dolore per poi inginocchiarsi stremata.

  Così, in meno di trenta secondi, tutti e sette i guerrieri erano stati messi al tappeto da una sola persona che ora stava in mezzo a loro sorridendo di soddisfazione.

  «Avete capito adesso, la differenza che c’è tra di noi? Voi non siete altro che dei volgarissimi esseri umani, e in quanto tali dovete imparare a stare al vostro posto, ovvero un gradino in basso a noi».

  In quella, un rumore metallico indusse Thanatos a girarsi alle sue spalle; Toshio si era rimesso in piedi, sorreggendosi alla spada, e sembrava determinato a proseguire nel combattimento. Vedendolo, la ragazza sorrise.

  «Lo immaginavo. Era chiaro che non saresti stato sconfitto con così poco. In fin dei conti, partecipi al torneo.

  Vorrà dire che con te dovrò usare maniere un po’ più forti».

  Incurante della minaccia Toshio si lanciò all’attacco, impegnando Yuuki in un violento scontro corpo a corpo al quale però la ragazza si opponeva senza troppa difficoltà; tuttavia, dopo poco, la velocità e la potenza del guerriero cominciarono sensibilmente ad aumentare.

  “Che sta succedendo?” pensò Thanatos “Invece di diminuire, il suo spirito sta crescendo di intensità.”

  «Come osi opporti così ad un dio!» gridò poi, rossa di collera «Questo dimostra quanto siate arroganti voi esseri umani!».

  Malgrado tutto però Toshio risultò perdente, ricevendo una brutta ferita alla spalla che lo fece indietreggiare; subito dopo, la lama della falce di Thanatos si circondò di un inquietante bagliore violaceo.

 

DARKNESS WAVE!

 

Come Yuuki abbassò la lama ne nacque un vortice oscuro che investì in pieno Toshio, sollevandolo in aria per poi girargli attorno e spararlo al suolo con forza tale da provocare una piccola voragine.

  Thanatos però non ebbe tempo di gratificare sé stessa per il colpo andato a segno perché Keita, riavutosi, tentò un nuovo attacco alle spalle, riuscendo ad impegnare l’avversaria in modo considerevole.

  «Che speri di fare, ragazzino!» disse allontanandolo con un calcio.

  Keita accusò molto male il colpo e rimase immobile, reggendosi in piedi a fatica e tenendosi lo stomaco; come se non bastasse il fiato corto stava cominciando a diventare un peso eccessivo.

  «Ecco il vostro problema. Voi umani non capite mai quando è il momento di smettere».

  Il ragazzino però, malgrado tutto, continuava a fissarla con aria di sfida, e altrettanto facevano tutti gli altri, che però, a causa dei tremendi colpi già ricevuti, faticavano persino a restare in piedi.

  «Ancora rifiuti di piegare la testa davanti a me? Ci penserò io a farti comprendere che sei solo un sudicio essere umano».

  Detto questo Thanatos puntò contro di lui l’indice della mano destra.

 

DARKNESS BIND!

 

Dalla punta del dito scaturì un sottile fascio di luce nera che colpì Keita alla velocità di un proiettile, senza però arrecargli, all’apparenza, alcun dolore; invece, pochi istanti dopo, il ragazzino avvertì un terrificante dolore che presto, dal punto in cui era stato colpito, si diffuse in tutto il corpo, facendolo barcollare all’indietro con la faccia piegata in una smorfia di indicibile sofferenza.

  Era come se nelle vene, al posto del sangue, gli stesse scorrendo acido puro, che lentamente lo liquefaceva.

  «Che cosa… mi succede…»

  «È molto semplice.» rispose soddisfatta Thanatos «Ho instillato dentro di te una parte del mio potere. Un potere divino, decisamente troppo grande perché un patetico corpo umano che non sia stato concepito proprio a tale scopo possa sopportarlo. È come un veleno che ti consuma dall’interno, e molto presto ti priverà della vita».

  Keita fece tutto quello che poteva per combattere gli effetti dell’attacco, ma in breve il dolore divenne tale che cadde in ginocchio quasi svenuto.

  «Ecco. Questa è la posizione che dovete tenere al nostro cospetto. Gli esseri umani devono piegare la testa di fronte agli dèi, e questa è una verità incontestabile.»

  «Tu… tu stai delirando.» rispose una voce ringhiante e sommessa.

  Yuuki, colpita, si girò in quella direzione, e anche gli altri fecero altrettanto: incurante delle proprie ferite, Toshio era di nuovo in piedi, e guardava l’avversaria pieno di ammonimento.

  «Dove è scritto che gli uomini debbano prostrarsi davanti agli dèi?

  Forse hai dimenticato che se voi esistete è grazie a noi, che vi veneriamo. Se noi smettessimo di rivolgervi preghiere, sparireste come nuvole di fumo, quindi non venirmi a dire che siete superiori.»

  «Che cosa!?» ringhiò Thanatos furibonda

  «Io personalmente ho giurato di non inginocchiarmi mai di fronte a nessuno che non fosse degno di essere servito. E se proprio vuoi saperlo, di divinità come te questo mondo non sa che farsene.»

  «Tu, sudicio mortale. Ora scoprirai cosa succede a far arrabbiare un dio!».

  Yuuki si avventò su di lui con rabbia sconfinata; Toshio cercò di reagire, ma si trovò quasi subito in grossa difficoltà; Nadeshiko, ancora gravemente debilitata per l’attacco subito, assisteva senza poter intervenire, e dentro di sé era convinta che il suo amico avesse deliberatamente provocato Thanatos per dar tempo a lei e agli altri di riprendersi.

  Sfortunatamente la resistenza di Toshio risultò di breve durata, e dopo poco il guerriero si ritrovò con la schiena appoggiata al tronco di un albero, senza più via di fuga; Thanatos, pregustando la vittoria, fece roteare un paio di volte la sua falce.

  «Cosa preferisci? La testa mozzata o il cuore trafitto?».

  Il ragazzo non rispose, limitandosi a digrignare i denti, Thanatos invece sorrise ancor più vistosamente.

  «Fa buon viaggio.» disse, quindi scattò improvvisamente in avanti.

  Toshio, istintivamente, cercò di parare, ma con un micidiale fendente dal basso verso l’alto scardinò la sua difesa, poi rivolse rapidamente la lama verso l’alto e colpì di nuovo, stavolta in senso opposto; nulla si frappose fra lei e il suo obiettivo, nulla ostacolò la sua strada.

  La punta della falce penetrò con forza nel petto Toshio, trapassandolo da parte a parte per poi inchiodarlo all’albero; per il contraccolpo, il suo corpo si piegò violentemente in avanti, gli occhi si spalancarono fin quasi ad uscire dalle orbite e dalla bocca, spalancata in un grido fermo nella gola, uscirono fiumi di sangue.

  Keita, Nadeshiko e gli altri osservarono, pieni di incredulità e terrore, il corpo del loro nuovo amico emettere alcuni deboli spasmi prima di immobilizzarsi del tutto; testa e braccia rimasero inermi, la spada d’oro divenne pulviscolo e la pelle cominciò subito ad assumere il pallore della morte.

  «No… non può essere.» balbettò Shinji, mai così terrorizzato e sconvolto come in quel momento

  «Toshio…» disse Keita.

  Accertatasi dell’effettiva morte del suo nemico Thanatos scoppiò in una risata sadica, sguaiata e oltremodo violenta.

  «E questi sarebbero i leggendari partecipanti al torneo! Coloro che dovrebbero sconfiggere Seth! È stato anche troppo facile! Che assurdità! Non fa neppure ridere!».

  A quel punto la ragazza recuperò la sua arma ed il corpo di Toshio, svuotato di vita, si accasciò sull’erba, tingendola di rosso.

  Nadeshiko, incurante del dolore, si mise a fatica in piedi, e mantenendosi in un equilibrio precario riuscì a raggiungerlo, inginocchiandosi davanti a lui.

  «Toshio.» disse osservando il suo volto spento con gli occhi pieni di un pianto che non le riusciva di esternare «Ti prego, svegliati».

  Poi, di colpo, un lampo le attraversò la mente, e per un solo istante ebbe come l’impressione di assistere alla stessa scena, ma in un contesto completamente diverso.

  Vedeva un’oasi, nel bel mezzo del deserto, e un uomo, di cui era impossibile scorgere il viso, senza vita, tenuto fra le braccia da una ragazza che, pur se di spalle, sembrava somigliarle, fatta eccezione per i suoi stranissimi vestiti, simili a quelli del medioevo giapponese.

  “Che cos’è questo?” pensò.

  Nello spazio di un batter di ciglia si ritrovò nuovamente immersa nella prateria davanti al corpo inerme di Toshio, e allora ogni possibile domanda scomparve come neve al sole, lasciando spazio solo al dolore.

  «Toshio. Non puoi andartene così! Apri gli occhi!»

  «È perfettamente inutile che tu gli parli.» disse Thanatos appoggiandole la lama della falce al collo e costringendola ad alzarsi.

  Le due si osservarono a lungo, e Nadeshiko, pur se con gli occhi umidi, sembrava non avere paura, guardando Thanatos non con rabbia, ma con semplice determinazione; Yuuki sorrise malevolmente.

  «Speri di muovermi a compassione coi tuoi occhi da cucciolo?» disse inizialmente, ma guardandoli meglio poté scorgere al loro interno una purezza che nulla pareva in grado di distruggere «Ora capisco perché ogni tanto certi mortali riescano a sciogliere il cuore delle divinità. Quel bel visino farebbe prostrare qualunque uomo.

  Sfortunatamente, su di me non attacca. E lasciatelo dire, se non avessi degli ordini ai quali dover obbedire mi divertirei a sfregiarlo».

  Improvvisamente, vi fu come uno spostamento d’aria, e Keita, che a causa del colpo subito aveva visto la sua spada scomparire nel nulla, corse verso Thanatos con gli occhi iniettati di rabbia.

  «Lasciala stare!» urlò con tutto il fiato che aveva

  «Ma che…».

  Il pugno che il ragazzino scaraventò sul volto di Yuuki sarebbe stato forte abbastanza da disintegrare un muro di acciaio, e la ragazza, colpita in pieno, venne lanciata via come sparata da un cannone, perdendo la sua arma. Caduta a terra, produsse un lunghissimo solco nel terreno prima di riuscire a fermarsi, ricoprendosi di terra e fango; ai piedi di Keita intanto era apparso il suo circolo magico, che brillava ora di una luce fortissima.

  “Com’è possibile? Era quasi morto! Come ha fatto a liberarsi dal mio sortilegio?”.

  Anche Shinji e Takeru si erano rimessi in piedi, ed erano pronti a proseguire nel combattimento.

  «Toshio…» disse Keita guardando in basso «Era nostro amico. Avevamo appena cominciato a conoscerci… e tu lo hai ucciso. Lo hai ucciso senza pietà!

  Come osi definirti un dio!»

  «Tu…» mugugnò Thanatos cercando di rialzarsi «Maledetto moccioso…».

  Animato da nuova forza, Keita tornò ad impugnare la sua spada, ma non ebbe bisogno di usarla; Shinji, scomparso nel nulla, ricomparve in un attimo alle spalle dell’avversaria, che fece appena in tempo ad accorgersi di lui prima di ricevere un poderoso calcio alla schiena che di nuovo la fece rotolare sull’erba.

  Purtroppo per lei, però, non era ancora finita; prima ancora di potersi rialzare infatti vide Takeru girato nella sua direzione mentre un vento impetuoso circondava la lama della sua katana.

 

TENMA SOURYUUSEN!

 

L’attacco prodotto fu dieci volte più potente di quello usato contro Izumi, e la sua forza fu tale che Thanatos, fagocitata dalla testa di drago che costituiva la parte avanzata del tornado, fu scagliata a parecchie centinaia di metri da terra per poi cadere come una meteora.

  Un urto simile avrebbe ucciso chiunque, ma lei se la cavò con qualche graffio, un paio di strappi sul vestito e i capelli ancor più spettinati.

  Per un attimo Keita e gli altri pensarono di essere riusciti a metterla alle strette, ma quando la videro emergere dal polverone sollevatosi per un attimo ebbero paura; il suo volto da ragazzina era contorto in un’espressione di odio puro, dalla bocca spalancata emergevano due lunghi canini sulla parte superiori e gli occhi erano iniettati di sangue.

  «Voi… come avete osato… luridi umani… questa… questa me la pagherete!».

  Dietro la schiena le comparvero d’improvviso quattro grandi ali membranose simili a quelle dei pipistrelli, grazie alle quali poté librarsi in volo; giunta ad una decina di metri alzò in aria l’indice destro, sul quale cominciò rapidamente a convergere una quantità esorbitante di potere magico di natura puramente oscura.

  «Andate a far compagnia al vostro amico all’inferno!».

 

DARKNESS TOUCH!

 

L’energia accumulata nel dito venne rilasciata tutta in una volta nella forma di una vera tempesta di fulmini oscuri che presero a disperdersi in tutte le direzioni perforando il terreno, sradicando alberi e disintegrando rocce.

  Keita, Shinji e Takeru vennero colpiti più e più volte, anche se riuscirono fortunosamente a respingere o ad evitare alcune saette, il che se non altro servì a salvargli la vita.

  Nadeshiko, che ancora era inginocchiata accanto a Toshio, era abbastanza lontana dal teatro di scontro da considerarsi al sicuro, e alla vista di un simile spettacolo di distruzione si protese sul corpo senza vita dell’amico come a volerlo proteggere.

  La tempesta durò una ventina di secondi, e quando finalmente passò i tre ragazzi erano riversi a terra, privi di forze e quasi svenuti.

  Thanatos aveva infuso tutta sé stessa in quell’attacco, tanto che subito dopo dovette fermarsi un momento a riprendere fiato, ma nonostante ciò l’ira e la superbia ancora dominavano incontrastate sul suo volto.

  «Voi non siete altro che volgarissimi esseri umani! Creature che esistono solo per nostra decisione!

  Siete come vermi che strisciano su questo mondo; possiamo schiacciarvi quando vogliamo! Ciò che vi è concesso è di piegarvi al vostro destino, e di accettare ciò che gli dèi stabiliscono per voi! Noi siamo esseri superiori, siamo più forti, e voi siete nostri!»

  «Ti sbagli!» rispose Nadeshiko, guadagnandosi lo sguardo perplesso dell’avversaria.

  La ragazza piangeva, ma ciò nonostante conservava ancora in sé una nobiltà e una determinazione che lasciarono Thanatos senza parole.

  «Noi esseri umani non siamo burattini che potete muovere a vostro piacimento. È vero, voi siete molto più potenti, e volendo potreste distruggerci tutti».

  Nadeshiko guardò quindi il volto spento, ma ugualmente affascinante, di Toshio.

  «Però… noi possediamo qualcosa che da tempo voi avete smarrito.

  I sentimenti!

  E non c’è forza più grande di questa! Perché il desiderio degli uomini di proteggere ciò che hanno di più prezioso al mondo può generare un potere senza confini, al quale neppure gli dèi possono opporsi!».

  Il ciondolo della ragazza riprese di colpo a brillare, e per un attimo Thanatos ebbe l’impressione di scorgere un volto famigliare nell’umana che aveva di fronte.

  “Quello sguardo…” pensò con la bocca spalancata per lo stupore “No… non può essere… mi rifiuto di crederlo… non può essere lei!”.

  La combinazione tra le parole così cariche di coraggio e l’idea inaccettabile che le era venuta alla mente osservando gli occhi di Nadeshiko fecero dimenticare per un attimo a Thanatos gli ordini ricevuti, tanto che, urlando di rabbia, lanciò una sfera nera nella sua direzione.

  «Nadeshiko!» gridò Keita.

  Lei, terrorizzata, chiuse gli occhi.

  «Protection».

   All’ultimo secondo attorno alla ragazza e al corpo di Toshio si alzò una cupola protettiva che respinse facilmente l’attacco prima di scomparire così come era venuta.

  «Che cosa!?» esclamò Yuuki.

  I ragazzi, riconoscendo sia l’incantesimo sia la voce che lo aveva preannunciato, si girarono in una sola direzione, scorgendo Izumi poco lontano con in mano la sua misteriosa staffa nera sormontata dalla lama lucente.

  «Maestra Izumi!» esclamò Keita

  «La leggendaria ammazza-demoni?» disse Thanatos

  «Dove starebbe scritto che gli uomini devono piegare la testa davanti agli dèi?» domandò la donna avvicinandosi lentamente «Se come dici tu sono i più forti a poter dettare legge, allora dovreste essere voi strisciare ai nostri piedi.»

  «Come hai detto!?» domandò ringhiando Yuuki

  «Noi abbiamo dimostrato già da tempo di essere superiori, riuscendo nell’impresa in cui gli dèi avevano avete fallito. Quando la situazione per loro si è fatta difficile hanno pensato bene di scappare, lasciando a noi esseri inferiori l’onere di difenderci.

  Gli esseri umani, a differenza dei cosiddetti dèi, non si sono però rassegnati al loro destino, e hanno scelto di combattere, anche se era una battaglia persa. Se ci hanno concesso la Luce di Amon-Ra non è stato certo per misericordia divina, ma solo per mettere a tacere i rimorsi di coscienza che altrimenti li avrebbero devastati.

  Ora tu, che hai impugnato le armi contro i tuoi stessi simili, che hai venduto la tua dignità e la tua presunta superiorità a un essere abbietto e privo di sentimenti come Seth, vieni qui a blaterare di una giustizia divina di cui te e i tuoi simili vi fareste portatori. Una giustizia tutta vostra.

  Quindi dimmi… un dio così, merita forse di essere adorato? Io credo che meriti solo di essere distrutto.»

  «E tu pensi di poter distruggere me, sudicia umana?»

  «Tu dai per scontate troppe cose, ragazzina che si finge divinità. In primo luogo, come ha detto la mia allieva, mi pare che tu stia decisamente sottovalutando le potenzialità intrinseche degli esseri umani, in secondo non tieni conto del fatto che fra i tuoi avversari vi è qualcuno dotato di capacità che superano di gran lunga le tue, capacità che tu stessa hai risvegliato.»

  «E chi sarebbe questa persona? Te? O magari quel guerriero da quattro soldi che partecipava al torneo?

  Forse non te ne sei accorta, ma l’ho ucciso! L’ho ucciso con queste mie mani, trafiggendogli il cuore!».

  Izumi, a quell’affermazione, sorrise provocatoriamente, un’espressione che preoccupò non poco Thanatos.

  «Gli hai trafitto il cuore? Fossi in te comincerei a correre, prima che si rialzi.»

  «Che cosa!?».

  Nessuno fu capace di trattenere lo stupore dopo una simile affermazione.

  Rialzarsi?

  Toshio era morto, era sotto gli occhi di tutti. Come avrebbe potuto rialzarsi dopo essere stato passato da parte a parte e aver perso tutto quel sangue?

  Nadeshiko, ancora accanto a lui, lo guardò allibita, così fu la prima ad accorgersi della comparsa, sul suo viso, di due strani segni che assumevano lentamente tinte color rosso sangue man mano che la pelle riacquistava colore; sembravano due fiamme, che partendo dal collo attraversavano le guance e gli occhi per terminare sulla fronte.

  Il sangue sul terreno scomparve, la terribile ferita lentamente si richiuse e il cuore, in pezzi fino a pochi secondi prima, riprese a battere; era un battito accelerato, quasi spasmodico, e più aumentava più attorno al ragazzo andava formandosi una sinistra aura rossa.

  «Non è possibile!» disse Shinji «Il suo circolo magico si sta ripristinando.»

  «Non solo si sta ripristinando.» commentò Takeru «Sta anche aumentando di intensità.»

  «Impossibile!» urlò Thanatos «Non può essere! Un uomo non può resuscitare dalla morte!»

  “Toshio.” pensò Nadeshiko allontanandosi leggermente dopo che quell’aura rossa aveva preso a diventare molto calda “Cos’è questa sensazione? È quasi… oscura…”.

  Una semplice patina luminosa si trasformò in seguito in un fuoco ondeggiante; il corpo di Toshio si sollevò in aria di circa un metro, e come una marionetta mossa da fili invisibili prese a riacquistare a poco a poco movenze umane, sotto lo sguardo terrorizzato di Thanatos.

  «No! No! Questo è inammissibile! Solo gli dèi possono resuscitare! Solo gli dèi non devono temere la morte!»

  «È questo il potere di cui ti parlavo.» disse Izumi «Un potere che hai inconsapevolmente risvegliato, e che ti condurrà alla distruzione.

  La forza che giunge direttamente dalle immensità dell’universo. La forza che permette ad un uomo di scampare persino alla morte. Ciò che, per una sola volta, lo rende simile ad un dio.

  Il potere per eccellenza!

  Il Μένος Aδηλος!».

  Come la donna pronunciò l’ultima parola Toshio, tornato a sorreggersi sulle sue gambe, spalancò gli occhi, risorti a nuova vita; l’aura rossa si affievolì fino a scomparire, e altrettanto accadde ai simboli sul viso.

  Contemporaneamente Aria a Lotte, ancora prive di sensi in mezzo all’erba, ripresero conoscenza, e subito assunsero forma umana, all’apparenza molto più forti e determinate di prima.

  «Non… non ci posso credere.» disse Keita

  «Il… Μένος Aδηλος!?» balbettò Yuuki terrorizzata.

  In quel momento Shinji capì che la cosa era, tutto sommato da prevedersi; anche quando Toshio fosse morto i suoi due famigli avrebbero dovuto seguire lo stesso destino, e la meridiana sarebbe dovuta comparire in cielo per annunciare la sconfitta di un altro partecipante al torneo. Invece, nessuna di queste due cose era avvenuta.

  Nella vallata cadde per un secondo il più assoluto silenzio, e quanto Toshio alzò lo sguardo verso Thanatos questa stentò a riconoscerlo.

  «È ora di concludere ciò che abbiamo cominciato.»

  «No… tu non puoi essere vivo! Un umano non può permettersi di fare ciò che solo a un dio è concesso!

  Questo è inammissibile!».

  La ragazza volò quindi contro di lui e cercò di colpirlo con un fendente come aveva fatto poco prima, ma stavolta il suo tentativo si concluse con un penosissimo fiasco; il suo attacco venne parato, poi Toshio, girando su sé stesso, le assestò un calcio che dopo averla sbattuta in aria la scaraventò al suolo; le ali membranose scomparvero, forse per via del brusco calo di concentrazione subito da Yuuki nell’accusare il colpo.

  «Dannatissimo… mortale…».

  Prima di rendersene conto Thanatos si ritrovò circondata, oltre che da Toshio, dalla maestra Izumi, Aria, Lotte e Nagisa, sbucata dal nulla poco dopo la sua padrona.

  «No…»

  «Credevi di essere una divinità.» disse Izumi «Ora ti dimostreremo che sei solo una ragazzina presuntuosa».

  Nagisa attaccò per prima, sfoderando nella mano destra cinque unghie lunghe ed affilate, proprie della sua natura di lince.

 

RAPID LUNGE!

 

Muovendosi a grandissima velocità e passandole più volte vicino Nagisa inferse a Thanatos numerosi colpi in varie parti del corpo, con una cadenza così rapida che quando l’avversaria fu sollevata leggermente in alto dopo il primo colpo non cadde fino a che l’attacco non ebbe fine.

  Dopo Nagisa fu il turno di Aria e Lotte; la prima, generato dinnanzi a sé un circolo magico, lanciò tre fasci di luce che unitisi in un unico grande bagliore andarono a colpire il nemico, sparandolo contro una roccia, dove venne raggiunta dalla seconda, mossasi come Nagisa ad una velocità incredibile.

  «Cosa…»

  «Evita questo, se ci riesci!»

 

GREAT SMASH!

 

Thanatos ricevette un calcio al mento tanto forte da lanciarla via come una piuma, e a quel punto venne il turno di Izumi, che usò quattro ali luminose apparse dietro la sua schiena per volare molto più in alto della sua avversaria.

  «Rose!»

  «Spark Tornado».

  Tutto intorno alla donna comparvero diversi fasci di luce rossa simili a punte di freccia che ad un suo cenno partirono all’attacco puntando diritte su Thanatos; questa, determinata a non lasciarsi sconfiggere, girò su sé stessa, riportandosi in assetto, e con un rabbioso colpo di falce vanificò l’attacco, spedendo i globi in diverse direzioni.

  Izumi, per nulla impressionata, fece un cenno con la mano, e subito tutti i colpi si fermarono, ruotarono su sé stessi quindi tornarono a puntare Thanatos.

  «Ma che diavolo…».

  Stavolta non ci fu niente che la ragazza poté fare per impedire l’inevitabile, venendo colpita inesorabilmente più e più volte prima di ricadere verso il basso.

  Quando tornò a terra era esausta, e il sentirsi così debole non fece altro che aumentare ancora di più la sua furia.

  «No… non lo accetto.» disse cercando di rialzarsi «Io… sono una dèa… non posso perdere… contro un umano…».

  In quella, una luce fortissima minacciò di accecarla; Toshio stava in piedi ad una ventina di metri da lei, e sia lui che la sua spada erano circondati da una grande aura dorata.

  «Maledetto umano!» ringhiò Thanatos rialzandosi

  «Ti sei arrogata il diritto di giocare con la vita di persone innocenti. Hai preso loro hai vita, e hai sfruttato i loro corpi senza un minimo di rimorso.

  Il male che hai fatto ricadrà sulle tue spalle».

  Sotto i piedi di Toshio si materializzò allora un circolo immenso, con all’interno un disegno che per complessità e vastità era paragonabile solo a quello di Keita; appena il guerriero alzò la spada sopra la testa questa cominciò a splendere ancor più forte, alimentata da diverse correnti di potere magico che sgorgavano direttamente dal cerchio.

  «No!» urlò Yuuki mettendo la falce davanti a sé a correndogli contro.

  Ciò nonostante, Toshio non parve intenzionato a fermarsi.

 

TAICHI…

 

  «Mi rifiuto di farmi battere da un mortale!»

 

RYUMAJIN!

 

Il risultato fu un uragano di energia di proporzioni colossali, capace di disintegrare la terra al suo passaggio e di far agitare furiosamente alberi che stavano a decine di metri, sradicandone i rami controvento.

  Thanatos fece appena in tempo a piegare la bocca in un’espressione di stupore prima di venire centrata in pieno da quel vortice, e quella che doveva essere un’esclamazione di sorpresa divenne un urlo agghiacciante da far gelare il sangue nelle vene.

  Keita, Shinji e tutti gli altri si coprirono gli occhi, sconvolti da una simile manifestazione di potere, e quando, finalmente, la situazione parve acquietarsi, l’ultima cosa che si aspettavano fu di vedere la loro avversaria ancora in vita.

  Yuuki di Thanatos, dèa della morte, giaceva sulla schiena con il corpo devastato dalle ferite, dalle quali però non uscivano che poche gocce di sangue; la sua adorata falce era in frantumi, ed entrambe le gambe dovevano essersi rotte, perché erano piegate in pose innaturali.

  Rantolava e respirava a fatica, continuando a mugugnare che era impossibile, per lei, venire sconfitta da un essere umano.

  Il circolo magico di Toshio, terminato l’attacco, scomparve, e contemporaneamente Izumi, tornata coi piedi per terra, si avvicinò a Thanatos mettendo mano alla sua Bloody Rose, riposta in un’apposita fondina alla base della schiena.

  Vedendosi puntare l’arma contro Yuuki, per la prima volta, pianse di paura.

  «No…» balbettò «Vi prego… non fatelo…»

  «Deve essermi sfuggito qualcosa.» disse impassibile Izumi «Sbaglio o avevi detto che sono gli uomini a dover pregare gli dèi, e non il contrario?».

  Completamente terrorizzata, Thanatos prese a gattonare all’indietro, ma la sua breve fuga si concluse a ridosso di una roccia.

  «Vi… vi prego. Non uccidetemi…»

  «Continui a contraddirti. Non dicevi che gli dèi non hanno motivo di temere la morte?»

  «Maestra, aspettate!» intervenne Nadeshiko «Ormai è del tutto inoffensiva! Non c’è alcun motivo per ucciderla.»

  «Detesto ammetterlo, ma non ha tutti i torti.» disse Shinji «Anche se è una creatura abbietta e senza coscienza non la si può uccidere così a sangue freddo».

  Tuttavia, nessuno che poteva fare seriamente qualcosa per fermare Izumi sembrava intenzionato ad intervenire; Nagisa, Toshio e i suoi due famigli non staccavano per un istante gli occhi da Thanatos, fissandola come dei giurati che si apprestano ad emettere una sentenza di condanna.

  Nadeshiko, alla ricerca di una soluzione, guardò prima Takeru, che però, pur non mostrando di condividere appieno la scelta di Izumi, non pareva neanche intenzionato ad ostacolarla, quindi Toshio, che seguitava a guardare Yuuki dandole le spalle e che non aveva alcuna intenzione di intervenire.

  «Keita.» disse allora, in lacrime «Ti prego, fa qualcosa».

  Il ragazzino tuttavia era visibilmente combattuto; non poteva perdonare ciò che Thanatos aveva fatto, ma quella parte di lui che abbracciava ideali quali l’onestà e l’onore non poteva accettare che si compisse quello che era a tutti gli effetti un omicidio.

  «Aspettate! Se la uccidete in questo modo vi abbasserete al suo livello!»

  «Il torneo esiste per proteggere questo mondo e le persone che lo abitano!» disse Nadeshiko «Noi umani siamo diversi da loro perché possiamo provare sentimenti. Se chiudiamo ai nostri cuori non siamo migliori di loro».

  Vi fu un silenzio lunghissimo, rotto solo dal frusciare del vento.

  «Vi prego…» tornò a dire Thanatos «Vi… prego…»

  «Quest’essere abominevole ha le mani macchiate del sangue di milioni di innocenti.» disse Izumi «Creature come lei non meritano di vivere.»

  «No!».

  L’aria venne improvvisamente saturata dal fragore dello sparo, e per un istante il tempo parve fermarsi.

  Thanatos, colpita in mezzo alla fronte, morì all’istante, e pochi secondi dopo essere rovinata a terra tingendo la roccia di sangue il suo corpo scomparve allo stesso modo di quelli dei suoi servitori.

  Keita, Shinji e Nadeshiko non riuscirono a credere ai loro occhi, e anche Takeru, per quanto impassibile, aggrottò leggermente le sopracciglia.

  Tutti gli altri, invece, non mossero un muscolo, e anche dopo che il corpo della ragazza si fu dissolto rimasero immobili ad osservare la cenere in cui si era tramutato che rapidamente veniva dispersa dal vento.

  Nadeshiko aveva gli occhi pieni di pianto; e pensare che, appena aveva visto Toshio tornare in vita davanti a lei, aveva detto a sé stessa che a fine battaglia sarebbe corsa ad abbracciarlo, dicendogli quanta paura aveva avuto di averlo perso. Ora, invece, sentiva di non conoscerlo, e per lui non provava altro che un misto di repulsione e paura, così come per tutte le persone lì presenti che aveva conosciuto dal suo arrivo in Europa.

  «Voi… voi siete dei mostri!»

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!

Anzitutto, una precisazione. Due giorni fa Akita è partita per una gita scolastica, e inizialmente mi ero detto di non pubblicare un nuovo cap prima del suo ritorno; tuttavia, in questo lasso di tempo, ho avuto casualmente molto tempo libero, e ne ho approfittato per scrivere. Anche se lungo il capitolo è stato molto veloce da portare a termine, quindi, avendo un’altra settimana a disposizione, mi sono detto che non valeva la pena aspettare così tanto per inserirlo, quindi ho anticipato i tempi.

Ad ogni modo da domani inizia una settimana veramente coi fiocchi, quindi potete star certi che sicuramente non ci saranno altri cap almeno per 5-6 giorni

Come sempre ringraziamenti a Selly, Lewsky, Cleo e alla stessa Akita per le recensioni

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 14
*** Un Prezzo da Pagare ***


13

13

 

 

Il sorgere del nuovo giorno portò con sé lo scoppio di un violento, impetuoso acquazzone estivo; sembrava che le cateratte del cielo si fossero aperte, fiumi e fiumi di acqua si abbattevano senza sosta sulla vallata portandosi via i resti della battaglia.

  La sede dei cacciatori emanava ora un’atmosfera tetra, e quella presente fra i suoi ospiti non era certo migliore.

  Al rientro nel castello la comitiva si era spaccata in due tronconi; da una parte, Izumi e Toshio coi rispettivi famigli nella biblioteca, dall’altra Nadeshiko e gli altri ragazzi in camera di quest’ultima.

  Nadeshiko in particolare sembrava scossa e risentita, e da che era tornata si era seduta sul suo letto senza pronunciare parola, tenendo lo sguardo ben piantato a terra.

  I suoi compagni, soprattutto Keita, avrebbero voluto dirle qualcosa, giusto per risollevarle un po’ il morale, ma non sapevano proprio da quale parte cominciare; dopotutto comprendevano perfettamente il suo stato d’animo. Per una persona abituata a vedere il buono in ogni cosa e in ogni persona, per quanto impossibile possa essere, doveva essere stato un colpo terribile veder uccidere qualcuno a sangue freddo e senza un minimo di pietà.

  Tuttavia, coloro che si erano resi responsabile di questo cosiddetto crimine non sembravano esserne minimamente pentiti, e anzi discutevano tra di loro sulle conseguenze che la morte di un generale di Seth avrebbe potuto comportare.

  «Non c’è dubbio che Seth ora affretterà i piani.» disse Toshio

  «Poco ma sicuro.» rispose Izumi, seduta alla poltrona di fronte alla sua «Questo posto non è più sicuro per voi. Dovete andarvene immediatamente.

  Il torneo deve giungere a compimento quanto prima.»

  «A tal proposito» intervenne Lotte «Io e Aria abbiamo percepito distintamente la presenza di un altro concorrente non lontano da qui. Crediamo si tratti di Atarus.»

  «Credete che stia venendo al castello?» domandò Toshio

  «No, è da escludere.» rispose Nagisa «Questa valle maschera piuttosto bene le emanazioni energetiche di chi si trova al suo interno. Probabilmente sta solo transitando nelle vicinanze per raggiungere la sua prossima destinazione.»

  «Se partissimo subito» ipotizzò Aria «Potremmo intercettarlo, e visto che non sospetta minimamente della nostra presenza lo troveremmo quasi sicuramente con la guardia abbassata.

  Sarebbe un’ottima possibilità per eliminare un concorrente e un avversario pericoloso.»

  «Su questo non c’è dubbio.» disse Izumi «Ma in tal caso, bisogna che vi mettiate subito in cammino».

  Vi fu un momento di pausa, poi Toshio sollevò lo sguardo.

  «Quando te ne sei accorta?»

  «Il primo momento che ti ho visto.» rispose lei guardandolo a sua volta «Il Μένος Aδηλος è facile da identificare. Immagino volessi conservare la tua unica possibilità di risorgere dalla morte per lo scontro con Seth.»

  «È così. I maghi di Nepthys avevano fatto un incantesimo in modo che il Μένος Aδηλος si sprigionasse solo nel caso che fossi morto in combattimento. Questo mi avrebbe dato un notevole vantaggio nel caso il mio avversario fosse stato lo stesso Seth.»

  «E invece, questa possibilità te la sei giocata. Comunque sia, il Μένος Aδηλος può essere sia un valido alleato che un pericoloso nemico, ma immagino che questo tu già lo sappia».

  Shinji, che stava transitando accanto alla stanza, udì casualmente la prima parte della conversazione, e tornato in camera di Nadeshiko Takeru, notando subito la sua espressione preoccupata, lo invitò a vuotare il sacco.

  «E così.» disse Nadeshiko con un misto di rabbia e rassegnazione «Moriranno altre persone».

  Keita, non riuscendo più a vederla in quello stato, decise di intervenire.

  «Nadeshiko, capisco come tu ti senta. Non si può perdonare quello che hanno fatto, ma c’è anche da dire che se non l’avessero uccisa quella perfida creatura avrebbe continuato ad uccidere a sua volta.»

  «Comunque sia, è ingiusto. Le hanno sparato come se niente fosse. Perché gli uomini devono essere sempre così meschini e violenti con sé stessi?»

  «Questa è una guerra.» rispose Takeru senza mezzi termini «Non c’è spazio per i buoni sentimenti.

  Avresti dovuto capirlo quando hai accettato di imbarcarti in quest’impresa.»

  «Lo sapevo benissimo che sarebbero potuti esserci dei morti!» gridò Nadeshiko per tentare di sfogarsi «Ma non accetto l’idea che si possa uccidere una persona che ti implora piangendo di risparmiarla!»

  «Voi siete vissuti negli agi e nelle comodità per tutti questi anni.» continuò Takeru «Non siete mai stati costretti a vedere la realtà che si estende al di fuori delle gabbie dorate che vi siete costruiti. Questo mondo è maledetto, pieno di gente disposta a tutto pur di ottenere ciò che vuole.

  Quante persone credete che abbia ammazzato quella ragazzina egocentrica, e quante ancora ne avrebbe uccise se l’avessero risparmiata?»

  «Takeru, ora basta!» intervenne Shinji

  «Pensare che tutto possa essere risolto coi buoni sentimenti e ostinarsi ad avere sempre fiducia nel prossimo è pura utopia» disse Takeru guardando Nadeshiko, che però continuava a rimanere a capo chino «Specialmente in una situazione come quella in cui avete scelto volontariamente di immergervi. Se non riesci a capire questo allora faresti meglio a lasciar perdere.»

  «Tu, maledetto…» ringhiò Shinji prendendolo per il bavero

  «Basta, finitela voi due!» disse Keita «Ci manca solo che cominciamo a litigare tra di noi!».

  Improvvisamente, proprio mentre Shinji e Takeru sembravano sul punto di azzuffarsi, Nadeshiko, che da qualche istante sembrava essere quasi svanita nel nulla, tanto si era fatta silenziosa, cadde in avanti come una bambola a cui è stato tolto il suo appoggio, e appena i ragazzi si decisero a guardarla rimasero di sasso.

  Respirava a fatica, il suo volto era pallido e sudato, e la pelle al tatto bruciava più del fuoco.

  «Nadeshiko!» disse Keita «Che ti succede? Rispondimi!».

  Shinji e Takeru, sorreggendola, la adagiarono immediatamente sul letto e per qualche minuto cercarono di cavarsela da soli, ma poi, visto che la situazione peggiorava a vista d’occhio, Keita raggiunse velocemente la biblioteca.

  «Che succede?» domandò Izumi vedendolo così agitato

  «Nadeshiko! Nadeshiko sta male!»

  «Che hai detto!?» gridò Toshio balzando in piedi con gli occhi pieni di angoscia.

  Come se avesse avuto il diavolo in corpo il ragazzo corse fuori dalla stanza ad una velocità tale che Izumi e gli altri non riuscirono a tenergli il passo, e quando, aperta la porta, vide il volto sofferente di Nadeshiko emergere dalle coperte sembrò quasi sul punto di lanciare un grido di dolore.

  Questo suo atteggiamento colpì profondamente un po’ tutti, soprattutto i suoi famigli, ma non servì certo a migliorare la situazione della ragazza.

  Nel giro di un’ora la temperatura aumentò terribilmente, e per quanto Aria continuasse a ripeterle di rimanere sveglia Nadeshiko continuava a perdurare in uno stato di dormiveglia, alternando momenti di sofferenza ad altri che rasentavano il delirio.

  Sia Keita che Toshio erano palesemente nervosi, e si guardavano continuamente l’un l’altro come a cercare una soluzione che non arrivava mai.

  «La… la gamba…» disse d’un tratto Nadeshiko in uno dei pochi momenti di coscienza.

  Allarmati da quella frase subito i suoi compagni le tolsero di dosso le coperte, e appena Izumi le sollevò leggermente i pantaloncini, mettendo a nudo la parte superiore della coscia destra, lei e gli altri dovettero sforzarsi per non vomitare: una grande, orrenda ferita semiaperta dominava un’intera porzione della gamba, facendo marcire la pelle circostante ed emanando un odore irrespirabile, simile a quello della carne in putrefazione.

  «Ma che cosa diavolo è quello?» domandò sconvolto Keita

  «È stata avvelenata.» rispose Izumi con voce da funerale «È opera di uno di quegli zombi. Deve essere riuscito a graffiarla.»

  «Ma come ha fatto a non accorgersene?» chiese Shinji «Quella cosa deve fare un male tremendo.»

  «Probabilmente si trattava di un segno appena visibile. Questo tipo di infezioni è infido e pericoloso; non provoca né sintomi né dolore fino a quando non ha raggiunto dimensioni colossali, per questo non si è accorta di niente.»

  «Noi cosa possiamo fare?» domandò Takeru.

  Izumi rispose a quella domanda con un silenzio raggelante, che lasciò tutti i presenti nell’angoscia più pura.

  «Non c’è niente che possiamo fare».

  Keita e Toshio sentirono entrambi un terribile colpo al cuore, un dolore così forte da fargli credere che stesse per scoppiare da un momento all’altro; nei loro occhi comparvero il terrore e lo sgomento più puri. Anche Shinji, Takeru e tutti gli altri rimasero comprensibilmente sconvolti, ma nulla era paragonabile alle sensazioni provate da quei due ragazzi.

  «Non scherziamo!» gridò Keita saltando in piedi «Tu sei una cacciatrice! Voi distruggete quei mostri di professione da migliaia di anni! Possibile che non conosciate un modo per fermare le loro infezioni?»

  «Sappiamo come combatterli.» rispose la donna a capo chino «Ma non siamo mai riusciti a sviluppare una cura contro le loro infezione. È un veleno che colpisce sia il corpo che lo spirito. Chi viene contaminato subisce una lenta agonia, e nel giro di quarantotto ore…».

  Izumi dovette fermarsi, ma il senso del suo discorso era fin troppo chiaro. Keita a quel punto non ci vide più, e slanciatosi in avanti afferrò la donna per le spalle.

  «Non lo accetto! Non possiamo lasciarla morire così! Vorreste lasciar morire una ragazzina, magari per poi essere liberi di pensare a come attaccare meglio Atarus?»

  «Keita…» gli disse Shinji cercando di calmarlo, ma Aria, accanto a lui, gli fece subito un cenno, come a dirgli di stare in silenzio.

  In certi casi, sfogarsi era la cosa migliore da fare, e forse proprio per questo anche Izumi subiva senza reagire.

  «Ha ragione a dire che siete dei mostri! Non siete altro che automi senza cuore! Vi preme di più il torneo della sua vita!»

  «Qualcosa si può fare.» disse in quella Toshio con un filo di voce, portando nuovamente il silenzio

  «Di che parli?» chiese Takeru «Esiste davvero una soluzione?»

  «Sì. Probabilmente sì. Ma non in questo mondo.»

  «Che vuol dire, non in questo mondo?!» domandò Shinji.

  Izumi e i tre famigli impiegarono molto poco a capire di cosa Toshio stava parlando, e allora persino Izumi non riuscì a trattenere un’esclamazione di stupore.

  «Non starai pensando di…»

  «Sì.» rispose lui guardandola severamente «Portiamola dalla Strega delle Dimensioni.»

  «Chi è la strega delle dimensioni?» chiese Shinji

  «Si dice che sia la maga più potente che sia mai esistita.» rispose Lotte

  «La chiamano così.» proseguì sua sorella «Perché pare abbia il potere di far viaggiare le persone attraverso gli innumerevoli universi che scorrono paralleli al nostro.»

  «E dove si trova questa strega?» domandò Keita sentendo tornare la speranza

  «In uno di questi universi. Ma se non sbaglio» disse il ragazzo guardando Izumi «I Cacciatori conoscono il circolo magico che permette di viaggiare fino a lei».

  Tutti allora volsero lo sguardo verso Izumi, che invece, abbandonata la sua proverbiale freddezza, guardò a terra in preda al nervosismo.

  «Allora?» chiese Aria «Davvero sai come arrivare dalla strega?»

  «Prima che te lo dica.» disse guardando Toshio nel modo più severo e giudicatore possibile «Voglio che tu mi risponda sinceramente.

  Lo stai facendo per lei, o solo per la tua coscienza?».

  Gli sguardi tornarono nuovamente a posarsi su Toshio; questi, rimasto inizialmente in silenzio, dopo aver guardato un attimo Nadeshiko le posò delicatamente una mano sulla fronte, un gesto che sembrò quasi tranquillizzarla, tanto che per un momento smise di respirare a fatica distendendo leggermente i lineamenti.

  «Io credevo di non avercela, una coscienza. Questa ragazza mi ha fatto capire che forse mi sbagliavo.

  Ciò nonostante, la mia coscienza, se davvero ce l’ho, non vale quanto la sua vita.» disse, quindi, avvoltala nelle coperte, la prese tra le braccia «Andiamo».

  Izumi ascoltò senza battere ciglio, poi chiuse gli occhi e sorrise.

  «Alla fine, l’hai trovato.» disse quasi tra sé «Seguitemi».

  La donna, dopo aver congedato Nagisa e i due famigli di Toshio, condusse i ragazzi nei sotterranei del castello, in una grande stanza in pietra di forma semisferica solo debolmente illuminata da qualche candela e caratterizzata dalla presenza di un grande pentacolo.

  «Forza, mettetevi al centro.» disse, e appena tutti ebbero obbedito cinse le mani in posizione shinto, materializzando un circolo magico di grandi proporzioni sovrapposto al pentacolo da cui subito si generò una forte corrente d’aria.

  Come l’ultima volta la sensazione iniziale fu di venire sbalzati verso l’alto, ma invece che pochi secondi la cosa durò quasi un minuto, e appena la colonna di luce si spense Keita e gli altri si ritrovarono nell’ultimo posto dove immaginavano di dover incontrare una strega.

  Si aspettavano un castello perso in una foresta senza sentieri, o arroccato sulla cima di una montagna, invece erano finiti nel giardinetto di una bella casa, schiacciata in tutte le direzioni dagli alti grattacieli di una città molto simile a Tokyo.

 

  E che dire poi della strega in questione, che già al momento del loro arrivo li osservava stando ai piedi della piccola gradinata che immetteva nel porticato d’ingresso della casa, quasi avesse previsto la loro venuta?

  Non era certo la vecchia gobba piegata in due dalla lombaggine, chiusa dentro una sdrucita veste color fumo, con le mani ossute e la faccia rugosa, dominata da un nasone a becco d’aquila, ma una donna bellissima, dell’età apparente di venticinque anni, alta e magra, con la pelle candida che sembrava seta, lunghi capelli corvini acconciati alla maniera delle regine dell’epoca Edo e occhi rosso brillante; indossava un lungo e antico abito nero con sprazzi bianchi, vistose spalliere, risvolti delle maniche molto pronunciati e un ampio spacco sul davanti che lasciava scoperte le gambe, nascoste però da lunghe calze sempre nere e da un paio di scarpe con un tacco piuttosto pronunciato. A rendere la sua figura ancora più aggraziata erano alcuni gioielli di pregiata fattura, fra i quali un pendente a forma di mezzaluna che ricadeva elegantemente sull’incavo dei seni.

  Non era da sola; assieme a lei c’erano due bambine, anch’esse vestite di nero, quasi identiche d’aspetto. Solo i capelli, di taglio e colore diverso, un bianco azzurrino con due lunghe trecce e un caschetto rosato, permettevano di distinguerle. Vi era però qualcosa e inquietante in loro: i loro occhi, dello stesso colore dei capelli, erano vuoti, i loro volti senza espressione, ed entrambe stavano immobili senza quasi respirare, come le statue che, a prima vista, potevano sembrare.

  Toshio, che teneva ancora Nadeshiko tra le braccia, si guadagnò la prima occhiata enigmatica e misteriosa di quella donna dalla quale sentiva provenire un potere magico inconcepibile per qualunque essere umano.

  «Ti prego!» disse andando subito al sodo «Salva Nadeshiko!».

  Lei non rispose, continuando incessantemente a guardare ora i due ragazzi ora il resto del gruppo.

  «Ve ne prego!» disse allora Keita «Aiutatela!»

  «Quella ragazza è stata infettata con il sangue malefico di un demone.» sentenziò la donna «Anche mettendo insieme tutto il mio potere magico, epurare quell’infezione è qualcosa che va’ al di là delle possibilità mortali.»

  «Ti prego!» gridò ancora Toshio con le lacrime agli occhi «Deve esserci qualcosa che tu possa fare! Sei la più grande maga di tutti i tempi! Sono pronto a fare qualsiasi cosa tu vorrai! Ti darò anche la mia vita se sarà necessario, ma salvala, ti supplico!»

  «Lo faremo anche noi.» disse Shinji «Nadeshiko è nostra amica, siamo tutti pronti a dare la vita per salvarla.»

  «Ha ragione.» intervenne Keita «Se c’è qualcosa che può essere fatto, anche la più piccola speranza che Nadeshiko possa essere salvata, faremo tutto ciò che sarà necessario per aiutarla».

  Di nuovo la strega rimase semplicemente a guardare lui e tutti gli altri, poi, fatto qualche passo avanti, abbassò lo sguardo fino ad incrociare quello di Toshio, inginocchiato a terra.

  «Dimmi. Quanto sei disposto a rischiare per salvare questa ragazza?».

  Toshio esitò, mordendosi le labbra, poi strinse ancor più forte Nadeshiko a sé.

  «Accetterei di scomparire pur di saperla salva.»

  «È il dolore a farti parlare così, o sei davvero convinto di ciò che dici?»

  «Io…» rispose Toshio guardando a terra «Io ho sempre creduto di non avere niente per cui vivere. Per tutta la vita, non ho fatto altro che eseguire gli ordini. Il torneo era la mia unica ragione di vita, attorno ad esso si concentrava tutto il mio esistere.

  Incontrando queste persone, però, ho capito che c’è dell’altro. Ho capito che posso trovare nuove ragione per cui vivere, per cui voler andare avanti. E chi me l’ha insegnato… è stata lei.

  Io… non posso permettere che muoia».

  La strega e il resto dei presenti ascoltarono quella confessione in religioso silenzio, e apparentemente impassibili; solo Keita pareva incredulo, incredulo e sconvolto.

  «Hai mai sentito parlare del Sangue Divino?» domandò d’improvviso la donna.

  Toshio, che non sapeva di cosa stesse parlando, sollevò comunque lo sguardo, in cui tornò di colpo a brillare un velo di speranza, e altrettanto fecero i suoi compagni.

  «Il mondo da cui provieni non è il solo nel quale gli dèi hanno camminato. Ce n’è uno, in una delle innumerevoli realtà che scorrono parallele alla vostra, in cui è custodito un vaso nel quale è contenuto un elisir miracoloso.

  Una sola goccia di quell’elisir potrebbe sanare la ferita».

  Lo spettro di una possibile soluzione fece tornare il sorriso sul volto di molti dei presenti, ma lo sguardo cupo che seguitava a perdurare sul volto della strega lasciava intendere che la cosa non fosse così facile come poteva sembrare.

  «Aspettate a festeggiare. Il mondo in questione fu scelto dagli dèi come dimora nei tempi antichi, similmente al vostro, e quando essi abbandonarono per sempre la dimensione fisica lo elessero a eterno custode dei loro tesori.

  Di conseguenza, quel mondo è caratterizzato da una realtà ostile, piena di pericoli, e tutto attorno ad esso gravita una maledizione che impedisce a qualunque essere umano di usare la magia.»

  «Non potremo usare la magia!?» disse Shinji

  «Non ha importanza!» rispose sicuro Toshio «Fammi arrivare laggiù e ti porterò quel vaso!»

  «E c’è dell’altro. Come sicuramente saprete, in questo mondo nulla può essere ottenuto senza pagare un prezzo. Tutto ciò che facciamo e che otteniamo ci costa sempre qualcosa di uguale valore, e questo vale anche per i miei servigi.

  Il fatto che voi andiate personalmente a recuperare l’elisir sarà il prezzo da pagare perché io possa guarire questa ragazza, ma perché io possa mandarvi in quel mondo dovrete pagare con qualcosa a voi molto prezioso».

  I ragazzi, attoniti, si guardarono tra di loro, indecisi sul da farsi; cosa potevano offrire di così grande valore per compensare la possibilità di raggiungere un altro mondo?

  La maestra Izumi, che stava alcuni passi indietro, si sentì chiamare.

  «Master.» disse Rose.

  Lei guardò il pendente.

  «Please, do it.»

  «Rose. Ne sei davvero sicura?»

  «Yes».

  La donna chiuse gli occhi, annuendo, quindi si sfilò il monile e lo mise in bella vista.

  «Questo può bastare?»

  «Maestra Izumi!?» disse Keita.

  Le due si guardarono, poi, appena la strega fece un cenno di assenso, il pendente venne circondato da un tenue bagliore viola e fluttuò tra le mani di una delle due bambine.

  «Izumi.» disse Toshio «Quell’oggetto era importante per te. Non ce n’era bisogno che te ne privassi.»

  «Quando ti ho visto per la prima volta, ho pensato tra me e me che non sarei mai riuscita a distruggere le catene che legavano la tua personalità.» rispose la maestra, guadagnandosi un’occhiata di stupire «Questa ragazza è stata capace di fare qualcosa che io reputavo impossibile. Pertanto non posso permettere a lei di morire e a te di perdere ciò per cui hai finalmente trovato una ragione di vita.

  Se riuscirò ad ottenere entrambi questi scopi, Rose sarà stato un piccolo prezzo da pagare, e sono sicura che anche lei la pensa così.»

  «Izumi…»

  «Ora non c’è tempo per parlare.» intervenne la strega «Più passa il tempo più quella ragazza rischia la vita.»

  «In tal caso, basta parlare.» disse Toshio «Forza, spediscimi laggiù.»

  «Non avere troppa fretta. Non potrai portare a termine questo incarico da solo. È necessario che qualcuno venga con te.»

  «Per quale motivo?»

  «Ce n’è più di uno. Una volta a destinazione ti sarà tutto chiaro.»

  «Lo faccio io!» irruppe improvvisamente Keita, come un fulmine a ciel sereno.

  Tutti si girarono nella sua direzione, e per un istante il ragazzo sembrò quasi non rendersi conto di ciò che aveva appena fatto.

  «Keita…» disse Toshio «Potrebbe essere pericoloso.»

  «Nadeshiko è la mia migliore amica. Ho giurato a me stesso di proteggerla da tutto e da tutti, e non ho alcuna intenzione di tornare indietro su questo proposito.»

  «Ma non potremo usare la magia, te ne sei scordato? Io so cavarmela nel corpo a corpo, ma tu…».

  Keita allora fu costretto a ritornare un momento sulla sua decisione, ammettendo a sé stesso che Toshio non aveva tutti i torti; negli ultimi quindici giorni aveva molto migliorato le sue abilità di spadaccino, ma se si trattava di combattimenti a mani nude era poco più di un principiante.

  La strega, scorgendo il suo sconforto, si rivolse ad una delle due bambine sue assistenti.

  «Vai a prendere l’articolo 214 dal magazzino».

  Quella, chinando il capo, corse dentro la casa, tornandone poco dopo con uno splendido esemplare di jian cinese; il fodero, laminato d’oro, era decorato con motivi floreali, e alla base dell’impugnatura, anch’essa dorata e sormontata da una sfera verde smeraldo, era legata una sottile corta di seta rossa.

  L’arma venne quindi consegnata a Keita.

  «Portala con te. Me la restituirai al ritorno.»

  «È bellissima. A chi appartiene?»

  «A una persona alla quale somigli molto. Per questo credo ti sarà utile».

  Toshio affidò Nadeshiko alle braccia vigorose di Takeru prima di ricevere dalla strega un ofuda con disegnati alcuni caratteri cinesi.

  «Il vaso contenente l’elisir si trova in un tempio sulla sommità si una rocca; userò i miei poteri per trasferirvi il più vicino possibile alla vostra meta, ma da lì in poi dovrete andare avanti da soli.

  Fate molta attenzione. Una volta arrivati, avrete a disposizione solamente quattro ore prima che i potenti incantesimi a guardia di quel mondo distruggano i vostri corpi. Quando avrete portato a termine la missione strappate questo talismano e ritornerete subito indietro, ma fate molta attenzione ad essere a stretto contatto o uno di voi due sarà lasciato indietro.»

  «D’accordo.» disse Toshio

  «Un’ultima cosa. Il sortilegio che protegge quel mondo aumenta di forza ogni volta che qualcuno riesce a violarlo. Se fallirete, non sarà possibile fare un secondo tentativo.»

  «Lo terremo bene a mente.» rispose Keita

  «Molto bene. Preparatevi.»

  «Aspetta!» disse in quella Izumi, facendo voltare i ragazzi verso di lei.

  La donna, sfilatasi la cintura, contenente la sua Bloody Rose e un buon numero di caricatori pronti all’uso, la lanciò a Toshio, che la prese al volo.

  «Non penserai di affrontare una simile prova senza un’arma, voglio sperare. Questa ti sarà utile.»

  «Io…» balbettò inizialmente il guerriero per poi attorno alla vita tornando ad essere quello di sempre «Grazie. Ne farò buon uso».

  Conclusi i preparativi i due ragazzi vennero invitati a mettersi al centro del giardino, e appena la strega mosse un braccio un forte vento iridescente prese a soffiargli tutto intorno, avvolgendoli sempre più.

  «Buona fortuna!» disse Shinji poco prima che il vortice scomparisse

  «Grazie.» rispose Toshio «Ne servirà tanta».

 

Chiuso nel tempio della divina Nepthys, il re Akunator era inginocchiato come tutti i pomeriggi dinnanzi alla statua della dèa, immerso nel silenzio e nella meditazione.

  D’un tratto, il suo pregare venne scosso da uno strano presentimento, e spalancati i suoi grandi occhi neri, ancora carici di un’indomabile indole guerriera, si volsero per un istante verso il cielo azzurro che si stagliava oltre il colonnato alla sua destra, solo in parte velato dal tendaggio leggero.

  Forse avendo percepito una variazione nell’umore del cugino, il gran visir lo raggiunse dopo poco; prima ancora che potesse aprire bocca, però, Akunator manifestò sul nascere i propri pensieri.

  «Non avverto più la presenza di mio figlio.»

  «Che intendi dire?» domandò Zervan comprensibilmente sorpreso «Intendi dire che… è stato ucciso?!»

  «No, impossibile. La meridiana sarebbe comparsa nel cielo per annunciare la sua sconfitta.

  È come scomparso nel nulla, e anche l’energia dei quattro ragazzi che lo accompagnano è svanita insieme alla sua. Mi domando se tutto ciò non abbia qualcosa a che fare con Seth».

  Seguì un momento di silenzio, poi Akunator riprese a parlare.

  «Il Μένος Aδηλος si è risvegliato.»

  «Che cosa!?» esclamò Zervan con gli occhi sbarrati «Ne sei sicuro?»

  «L’ho percepito distintamente. Non avrei mai immaginato che sarebbe accaduto così presto.»

  «E pensare che doveva essere la nostra arma segreta da sfoderare contro Seth.» disse il visir stringendo con forza inaspettata la sua mano scarna

  «Ho sempre creduto che il Μένος Aδηλος fosse l’unica cosa che potesse permettere a Toshio di sfidare Seth ad armi pari.» disse Akunator come tra sé «Ma forse, mi sono sbagliato.»

  «Che stai dicendo?»

  «Il potere di mio figlio è mutato in questi ultimi giorni. Una forza misteriosa sta crescendo dentro di lui, una forza che pochi minuti fa ha minacciato quasi di accecarmi col suo potere. Non so di che si tratti con esattezza, ma una cosa è certa. È qualcosa che persino Seth dovrà temere».

  Zervan fece un’espressione strana nel sentire le parole del cugino, e dopo aver preso congedo da lui si diresse, lentamente e con un cert’astio dipinto sul volto, verso l’ala orientale del palazzo, e raggiunte le proprie stanze guardò bene di non avere occhi addosso prima di chiudere la porta.

  Ad attenderlo, seduto su di un pregiato tavolo in legno d’ebano, c’era un ragazzo di forse sedici anni vestito come un qualsiasi adolescente, con un paio di jeans leggeri e una maglia color giallo opaco senza maniche ma provvista di cappuccio; dietro la schiena, assicurata con una cintura di cuoio, portava una sciabola simile a un dao, ma leggermente più ricurva.

  Aveva splendidi occhi blu che trasudavano regalità e capelli d’argento che arrivavano alla base del collo, leggermente scompigliati, ed entrambe queste cose rendevano il suo un volto abbagliante, degno di un dio.

  L’espressione era fiera, ma enigmatica, di chi sa celare le proprie emozioni e ciò che sta realmente pensando.

  «È successo ciò che temevamo.» disse il visir «Toshio ha risvegliato il suo Μένος Aδηλος.»

  «E allora?» domandò il ragazzo con fredda indifferenza «È positivo. Ora se morirà non potrà più sperare in un nuovo intervento della buona sorte.»

  «Io non sarei così ottimista se fossi in te. Ora che quel potere maledetto è di nuovo in circolazione Toshio è più pericoloso che mai. Deve essere fermato il prima possibile. Non possiamo permettergli di costituire un ostacolo alla realizzazione dei nostri piani.»

  «Prendere il posto di mio padre ti sta così tanto a cuore?» domandò il ragazzo con tono provocatorio.

  Servan si accigliò, strinse i denti, ma non rispose.

  «Questa città è marcia. Sono d’accordo sul fatto che occorre un cambiamento.

  Ma io sono pur sempre l’erede designato al trono. Chi mi assicura che una volta spodestato mio padre non tenterai di farmi fuori?»

  «Ti ho già risposto una volta. Non ho alcun interesse a diventare re. Tuo padre, come tutti i sovrani che lo hanno preceduto, non ha fatto altro che perpetrare il crimine che macchia l’onore della nostra gente da migliaia di anni.

  E non solo, ha compiuto un’ulteriore eresia cercando di imbrigliare un potere antico come il tempo, un potere che non può e non deve essere manipolato e del quale solo gli dèi hanno il diritto di decidere il custode.

  Io voglio mettere fine a questo abominio almeno quanto te, ma non possiamo farcela se non eliminiamo la minaccia principale.»

  «Toshio potrebbe sconfiggere Seth. Privare il torneo di uno dei suoi partecipanti ora che il nostro nemico si è fatto tanto pericoloso non credo sia una buona idea.»

  «Pensi forse che Toshio saprà controllare il Μένος Aδηλος? È solo una questione di tempo, presto o tardi si trasformerà in un demone assetato di sangue, una creatura ben più pericolosa e mortale di Seth o di qualsiasi altro nemico. In quanto al torneo, le sue prestazioni fino ad ora sono state alquanto deludenti.

  La vittoria contro Thanatos è stato un caso fortuito».

  Zervan fece una pausa, poi sul viso gli comparve una strana espressione.

  «E poi, voi due siete fratelli, anche se non di sangue. Nel caso tu dovessi ucciderlo, potrei usare la mia influenza per fare di te il nostro nuovo rappresentante.

  Così facendo, libereresti il mondo da due minacce potenzialmente letali. Il tuo nome vivrebbe in eterno, diventeresti il più grande degli eroi».

  Il ragazzo non ebbe alcuna reazione di fronte ad un’aspettativa tanto allettante, e sceso dal tavolo si diresse lentamente verso l’uscita.

  «Ti avverto.» disse con tono serio e sguardo cupo prima di prendere la porta «Quello che fate voi non mi riguarda. Ma se per un momento, per un solo momento, dovessi accorgermi che i tuoi propositi sono diversi da quelli che vai sbandierando, mio padre e mio fratello non saranno più i soli dai quali ti dovrai guardare.» quindi se ne andò.

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!^_^

Come promesso, per inserire questo nuovo cap ho aspettato il ritorno di Akita. Spero di non avervi fatto attendere troppo.

Per compensare la lunghezza anormale del capitolo precedente mi sono un po’ trattenuta con questo, anche perché se avessi proseguito fin dove avevo in mente avrei finito per fare il bis, o anche peggio.

Ringrazio per le recensioni Selly, Lewsky e Akita, a cui dico bentornata!

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 15
*** Sentimenti ***


14

14

 

 

Come predetto dalla strega, il paesaggio nel quale Toshio e Keita si ritrovarono non appena la luce che li avvolgeva si spense sembrava uno scenario post-atomico.

  La terra era secca, bastava camminarci sopra perché si sgretolasse, la sola erba presente era secca e stopposa, gli alberi erano ridotti a carbonelle fumanti, grosse palle di rovi e di polvere correvano in tutte le direzioni mosse da un vento rovente, che faceva anche sollevare la sabbia. Il cielo plumbeo era coperto di nubi, dalle quali emergeva una luce apocalittica, accompagnata dal rombo di tuoni lontani, e dappertutto si potevano vedere enormi costruzioni simili a futuristici grattacieli completamente in rovina e mezzi affondati nel terreno.

  «In nome del cielo.» disse sconcertato Keita «Che cosa è successo qui?»

  «Qualcosa mi dice che gli dèi non hanno abbandonato questo posto di loro spontanea volontà.» rispose Toshio

  «Stai dicendo che tutto questo è opera loro?»

  «Ora pensiamo a trovare quell’elisir. Ricorda, abbiamo solo quattro ore.»

  «Ma dove lo cerchiamo?».

  Toshio si guardò un momento intorno, poi, sicuro di sé, indicò una collina alta e ripida che emergeva dalle nuvole di sabbia; impossibile stabilire quanto lontano fosse, ma doveva trovarsi ad almeno un paio di chilometri di distanza.

  «Laggiù.»

  «Ne sei sicuro?»

  «La strega ha detto che il tempio si trova sulla sommità di una rupe; ha detto anche che ci avrebbe trasportati il più vicino possibile, e io qui non ne vedo altre.»

  «Hai ragione. Allora forza, in marcia. Ogni secondo è prezioso».

  Lentamente, contrastando il vento che sembrava quasi volerli ostacolare, i due ragazzi cominciarono a camminare verso la loro meta in religioso silenzio.

  Non si parlavano, e sembrava quasi che trovassero in qualche modo d’intralcio la presenza l’uno dell’altro, tanto parevano determinati a fare da soli.

  Keita rimaneva un paio di passi indietro, con il capo chino, gli occhi a terra e la testa piena di domande; in una mano, stringeva forte la spada avuta dalla strega, dalla quale sentiva provenire una strana energia, un che di famigliare.

  Era così preso dai suoi pensieri da non accorgersi che Toshio si era improvvisamente fermato, e difatti non poté evitare di andargli addosso.

  «Che succede?»

  «Non siamo soli.»

  «Cosa!?».

  Neppure il tempo di potersi guardare attorno, e all’improvviso un essere mostruoso sbucò da sottoterra dopo aver provocato un piccolo terremoto.

  Sembrava un incrocio tra un volatile e un insetto; la testa e le ali erano quelle di un pipistrello, sei zampe di un ragno e l’addome di una formica, terminante in una sorta di seconda bocca, e a proteggerlo aveva il carapace di un granchio. Si manteneva in piedi sulle zampe, che sporgevano dalla parte di corpo vicino alla testa, l’addome invece era sollevato verso l’alto e in parte richiuso su sé stesso, come la coda di uno scorpione.

  «Ma che bestia è questa?» domandò Keita attonito e spaventato

  «Non ne ho idea, ma non mi sembra abbia buone intenzioni».

  E infatti, dopo qualche secondo, quel mostro prese a muoversi nella loro direzione; correva molto velocemente, malgrado la sua enorme mole, emettendo il classico stridio che i pipistrelli usano per orientarsi.

  Keita e Toshio si misero in salvo buttandosi di lato in opposte direzioni, e dopo essersi rialzati entrambi sfoderarono le rispettive armi; Keita, che era il più vicino, cercò di attaccare, mettendo tutta la sua forza nel colpo, ma quando la spada si infranse contro il corpo del mostro mancò poco che le braccia gli si spezzassero, tanto resistente era la sua corazza.

  La creatura, accortasi di lui, agitò violentemente la sua coda, colpendo il ragazzo e spedendolo lontano, e allora Toshio, per attirare la sua attenzione, le sparò contro un paio di pallottole magiche, ma anche queste non ebbero altro effetto se non rimbalzare sul carapace.

  «È inutile! La sua corazza è troppo dura!» disse camminando all’indietro dopo essere stato puntato

  «Dobbiamo inventarci subito qualcosa!».

  Poiché il mostro gli stava dando le spalle Keita cercò di approfittarne per attaccarlo, ma di colpo, come se quello avesse avuto gli occhi anche dietro, da un foro sulla sommità dell’addome venne sparata fuori una sostanza verdastra e maleodorante che colpì in pieno il ragazzo, rivelandosi più appiccicosa e resistente di qualsiasi collante.

  «Ma cosa… Toshio, non riesco a muovermi!».

  Purtroppo Toshio non poteva intervenire per aiutarlo, anche se lo avrebbe voluto, infatti il mostro non voleva saperne di mollarlo, e lo fissava come se fosse pronto a balzargli addosso da un momento all’altro; il guerriero, piuttosto che aspettare un attacco che poteva arrivare in qualunque momento, decise di giocare d’anticipo, mettendosi a correre in direzione del nemico.

  Questi, aperta l’ala sinistra, menò una sorta di fendente come a volerlo colpire, ma Toshio, saltando, riuscì a superare la difesa, e arrivato faccia a faccia con il mostro gli sparò un colpo dritto in mezzo agli occhi. Stavolta, il risultato fu soddisfacente, e quello cominciò a dimenarsi furiosamente gridando per il dolore; contemporaneamente, lavorando con la spada, Keita riuscì a liberarsi, portandosi fianco a fianco con il suo compagno.

  «Ce l’hai fatta!»

  «Aspetta, temo sia presto per festeggiare».

  E infatti, dopo neanche dieci secondi, quell’essere era nuovamente pronto per combattere.

  «Da non credere, sembra che non si sia fatto niente.» disse Keita

  «Non lo sconfiggeremo combattendo singolarmente. Dobbiamo lavorare in squadra.»

  «Che cosa proponi?»

  «Io cerco di attirare la sua attenzione, tu intanto cerca di trovare il suo punto debole. Dovrà pure averne uno.»

  «D’accordo. Fa attenzione.»

  «Anche tu».

  Toshio si lanciò nuovamente all’attacco, e come previsto il mostro si concentrò su di lui, dando la schiena a Keita, che mantenendosi a distanza per evitare un nuovo getto appiccicoso cercava per quanto possibile di concentrarsi per trovare una qualche falla nella difesa apparentemente perfetta del nemico.

  L’unico problema era riuscire a capire come fosse possibile avere la meglio su quella specie di corazza naturale altamente resistente, capace di deviare colpi di spada e persino pallottole magiche altamente distruttive. Cercare di colpire tra una scaglia e l’altra del carapace poteva essere una soluzione, ma erano fori piccolissimi, impossibili da penetrare per un colpo di pistola e difficilissimi da centrare con un affondo, per non parlare del fatto che la lama della spada ricevuta dalla strega era molto facile da rompere, vista la linea sottile e la forma stretta.

  Intanto Toshio continuava incessantemente a sparare, camminando all’indietro e correndo in continuazione, ma i caricatori infilati alla cintura stavano pericolosamente diminuendo.

  «Keita, sto esaurendo le munizioni!».

  Tutta quella tensione non faceva altro che metterlo ancor più in agitazione, ma poi, cercando di fare appello a quel sangue freddo e a quel suo acume che molti gli attribuivano si sforzò di fare il vuoto attorno a sé e di concentrarsi solamente sul suo problema.

  Poi, finalmente, ecco giungere l’illuminazione; analizzando l’addome del mostro, Keita notò che esso rimaneva curvato su sé stesso verso l’esterno c’era un motivo molto semplice, ovvero quella parte rossa e carnosa che pulsava nella zona interna, ben protetta dal carapace.

  “Eccolo il suo punto debole.” pensò.

  Il suo primo impulso fu quello di tentare un attacco approfittando della distrazione del nemico, ma proprio quando stava per partire alla carica si ricordò che Toshio aveva tenuto a precisare che per vincere avrebbero dovuto lavorare in squadra.

  Dopotutto, non c’era nessuna garanzia di riuscire nell’impresa; da che era cominciato il combattimento quel mostro non aveva mai esposto il suo presunto punto debole neppure una volta, e mettersi nelle condizioni di poterlo colpire non sarebbe stato facile.

  Di conseguenza, la cosa migliore da fare era collaborare.

  «Toshio, credo di aver capito!» gridò agitando un braccio, per essere certo di attirare l’attenzione «È la parte inferiore dell’addome!»

  «E come la colpiamo?».

  Keita ci rifletté in momento, poi, presa la sua decisione, raccolse da terra una grossa pietra, e pregando che andasse come previsto la lanciò con tutta la forza che aveva; il sasso centrò in pieno il mostro alla testa, forse gli fece anche un po’ male, e quello, come previsto, cambiò di nuovo il proprio bersaglio, esponendo a Toshio il suo punto vulnerabile.

  «Sei mio!» disse il guerriero mettendosi a correre.

  Dal foro sulla sommità furono sparate diverse colate di liquido appiccicoso che Toshio evitò spostandosi lateralmente, quindi, schivata anche una frustata della cosa arrivò proprio sotto il mostro, piantandogli la sommità della pistola dritta nell’addome, che come previsto da Keita era morbido come il cuore di un carciofo.

  «Beccati questo, bestione!» urlò sparandogli dentro tre proiettili in successione.

  Metà dell’addome esplose sotto la forza dei colpi, e la creatura gridò ancor più forte di prima, un vero e proprio urlo agonizzante; i due ragazzi immediatamente si allontanarono, per evitare di venire colpiti dai classici spasmi violenti di un nemico morente, poi, dopo una decina di secondi, quel mostro rovinò al suolo sollevando un gran polverone.

  Keita e Toshio aspettarono un po’ prima di avvicinarsi, poi Toshio diede un paio di calci al corpo del nemico, constatando che effettivamente sembrava proprio morto.

  «È fatta.»

  «Meno male. Ci è voluto più del previsto, ma fortunatamente non è successo nulla.»

  «Devo riconoscerlo, sei stato davvero scaltro. Io ero così preso dallo scontro da non notare quella sua particolarità.»

  «Dici… dici davvero?» domandò Keita arrossendo e grattandosi la nuca

  «Intuito e spirito d’iniziativa non ti fanno difetto, e questo è un bene. Ora però sbrighiamoci a proseguire. Abbiamo già perso troppo tempo.»

  «Hai ragione. Ormai mancano solo tre ore».

 

Subito dopo che Keita e Toshio erano partiti la strega, che aveva detto di chiamarsi Yuko, aveva fatto portare Nadeshiko dentro la casa, adagiandola su di un letto soffice e di ottima fattura dove le aveva fasciato la ferita con delle bende ricoperte di un decotto che avrebbe ritardato quanto più possibile gli effetti dell’infezione.

  La ragazza, malgrado tutto, peggiorava a velocità preoccupante, e quando non era incosciente a stento si tratteneva dal piangere; lei, come al solito, continuava a dire che andava tutto bene, che non c’era di che preoccuparsi, ma bastava guardarla per capire che il dolore la stava divorando.

  Shinji e Takeru erano sempre più preoccupati, e naturalmente anche Izumi, che abbandonava la sua proverbiale freddezza camminava incessantemente su e giù per la stanza guardando continuamente l’orologio e domandandosi quanto ancora avrebbero impiegato i suoi allievi a tornare indietro.

  Ad un certo punto Yuko, che da qualche minuto si era allontanata, rientrò nella stanza accompagnata da uno dei due bambini suoi servitori; questi recava un vassoio con sopra una tazza piena di uno strano liquido violaceo che sapeva di erbe aromatiche.

  «Fatele bere questo.» disse la strega mentre la bambina porgeva a Izumi il contenuto del vassoio.

  Lei, senza fare domande, obbedì, e sollevata leggermente la testa a Nadeshiko la fece bere a piccoli sorsi; lei si piegava senza opporsi, probabilmente perché ormai a stento aveva ancora coscienza di sé e del fatto di avere un corpo.

  «Di che si tratta?» domandò Shinji vedendo che, a fine trattamento, la sua amica riuscì ad addormentarsi

  «Chi viene infettato dal veleno di uno zombi può morire in due modi.» rispose Yuko «Per l’infezione o per il dolore, e quest’ultimo è decisamente più rapido.

  Il suo corpo esile rende più rapido il propagarsi del veleno, e più esso entra in circolo più il dolore si fa insopportabile. Questo anestetico le farà guadagnare un altro po’ di tempo».

  Dopo poco tutti quanti vennero invitati ad uscire dalla stanza, in modo che i servitori della strega potessero praticare una nuova medicazione, e appena tutti se ne furono andati Yuko si inginocchiò davanti al letto, contemplando per un attimo il volto addormentato di Nadeshiko prima di sfiorarle la fronte con un dito.

  Nello stesso momento Nadeshiko, senza sapere come né perché, si era ritrovata di colpo in una stanza di discrete dimensioni che ricordava per certi versi la sua camera da letto.

  Il pavimento in assi di legno era pulito come appena lavato, le pareti giallo opaco splendevano in tutta la loro bellezza e dal soffitto pendeva una bella lampada di cristallo.

  Nell’angolo a sinistra c’era un bel letto con sopra una coperta rosa scuro, e subito lì accanto una finestra aperta su quello che sembrava un paesello di campagna dall’aria estremamente pacifica; splendeva un bel sole, in cielo c’era solo qualche nuvola, i colori della primavera dominavano incontrastati e in lontananza si sentiva il canto di uccelli primaverili.

  Un po’ dappertutto, sugli scaffali, sopra la scrivania ottocentesca e sul letto vi erano vari giocattoli, soprattutto bambole e peluche, che contribuivano a dare a quell’ambiente un aspetto ancor più confortevole e spensierato; nell’angolo opposto al letto faceva bella mostra di sé uno splendido violino appoggiato su di un treppiedi subito sopra ad uno spartito ancora aperto.

  Nadeshiko era seduta su di una sedia lignea molto confortevole, imbottita di piume e dagli intarsi preziosi, ed osservava, a metà tra l’incuriosita e la rilassata, la bambola di ceramica che aveva in mano e che vestiva con un classico abito vittoriano di colore rosso acceso.

  Non sapeva perché, ma in quel luogo si sentiva in pace, con tutto e tutti; sentiva ogni cosa come fosse una parte di lei, e avvertiva una quiete senza pari, che neppure i suoi momenti più sereni avevano potuto darle; benché non capisse la natura di quel posto che, pur non avendolo mai visto, le pareva così famigliare, percepiva distintamente il desiderio di rimanervi, e quasi le metteva paura guardare la porta chiusa alla sua sinistra, oltre la quale invece percepiva un’aura terrificante.

  «Era da tempo che non vedevo qualcosa di simile.» disse in quella una voce gentile.

  Nadeshiko, non troppo colpita, si girò nella direzione dalla quale proveniva, scorgendo vicino allo spartito la figura di una donna che finora aveva solo intravisto, in quei rari momenti di lucidità tra un’agonia e l’altra.

  «Lei deve essere Yuko.» disse alzandosi

  «Indovinato».

  La strega prese a guardarsi intorno, quindi raccolse a sua volta una bambola di quelle che erano appoggiate sulla mensola della scrivania.

  «Quindi è così che tu sei dentro.»

  «In che senso?»

  «Ogni persona, nel proprio animo, cela una parte di sé in cui racchiude tutto sé stessa. Ricordi, emozioni, pensieri, la stessa personalità. È come una stanza segreta, una stanza di cui la maggior parte delle persone ignora l’esistenza.

  Vi si può accedere solo in determinate circostanze, ad esempio quando il filo che unisce corpo, mente e spirito è molto debole, come nel tuo caso.»

  «Quindi…» disse Nadeshiko guardandosi intorno «Siamo… all’interno della mia mente?»

  «Il veleno che hai dentro non dovrebbe rendere possibile una tale eventualità, ma a quanto pare la mia tisana ha avuto effetto».

  Yuko tornò a posare lo sguardo sulle varie caratteristiche della stanza, e nessuno più di lei sapeva interpretare ciò che vedeva.

  “È una persona sincera, dall’animo puro. La finestra aperta indica che non ha paura di confidarsi con gli altri, e che allo stesso tempo cerca per quanto possibile di comprendere i sentimenti che muovono chi le sta vicino.

  Tutti questi pupazzi indicano il suo essere gentile e affabile, le bambole invece sono la personificazione del sua purezza e della sua fragilità. La sua anima è fragile come una bambola di ceramica, ma la luce di cui questa stanza è inondata è simbolo di un ardore e di una forza che nulla potrà mai spegnere.”

  «Sai» disse ad un certo punto, continuando però a dare le spalle a Nadeshiko «Un po’ di tempo fa è venuta da me una giovane donna.

  Io solitamente non do grande importanza a chi si rivolge a me. Secondo il mio metro di giudizio, basta che una persona sia disposta a pagare il prezzo le io le chiedo per ottenere i miei servigi per dimostrarsi degna di fiducia.

  Quella volta, però, qualcosa mi colpì; al momento non capii cosa, ma poi vidi qualcosa nei suoi occhi.»

  «E… cosa ha visto?» domandò Nadeshiko sentendo montare una inspiegabile curiosità.

  La strega allora si girò, guardandola con un misto di serietà e ammirazione.

  «Esattamente ciò che vedo ora nei tuoi.»

  «Nei… nei miei?» ripeté lei colpita

  «Tu se lei siete molto simili. Tutte e due cercate con ogni mezzo di trovare il buono in tutto ciò che vi sta intorno. Ciò è molto nobile, vi fa onore, ed prova della vostra grande purezza.

  Io posso comprendere che per una persona come te, che pone la speranza in qualcosa di migliore e la sicurezza degli altri al di sopra di tutto, sia difficile accettare l’idea di veder morire qualcuno.

  Non pensare che i partecipanti al torneo siano felici all’idea di spargere sangue; hai visto con i tuoi occhi quanto molti di loro siano pronti a dare la vita per gli ideali in cui credono, e questi ideali sono gli stessi che hai tu; essi mettono in gioco tutto per dare a questo mondo e ai suoi abitanti la possibilità di cambiare.

  Non mi aspetto che tu riesca ad accettare il loro operato, ma vorrei almeno che tu cercassi di comprenderlo. Thanatos aveva l’anima lorda di sangue innocente; forse altri servitori di Seth hanno personalità diverse, più nobili, ma lei non era altro che una macchina da guerra senz’anima. Creature come lei non possono essere lasciate libere di continuare a fare del male».

  Nadeshiko a quel punto abbassò lo sguardo, facendosi triste.

  «Questa donna che venne da voi… che persona era?»

  «Una persona che, come te, non riusciva a concepire il male fine a sé stesso.

  Nella sua vita ha dovuto affrontare numerosissime prove, che l’hanno resa più forte. Ma ciò che più le ha dato la forza per superare ogni difficoltà è stata la vicinanza della persona a lei più cara.»

  «Della persona… a lei più cara?»

  «Un essere umano non può dirsi completo se non si lega anima e corpo a colui che è stato destinato a rimanergli vicino. E se davvero tu sei uguale a lei la persona a cui sei legata a doppio filo è qualcuno che, pur essendo all’esterno del tutto diverso da te, custodisce nell’animo i tuoi stessi pensieri».

  Nadeshiko non sapeva che cosa pensare, poi però, ad un certo punto, non appena l’immagine di una persona le passò davanti agli occhi, sentì una strana sensazione attraversarle il corpo, e il cuore cominciò a batterle più forte di prima.

  «Stai attenta però.» disse la strega con aria più cupa e pessimista «Se tu e quella donna condividete la stessa sorte, allora il destino presto potrebbe metterti di fronte ad una durissima prova.»

  «Che genere di prova?»

  «Quella volta, quando lei venne da me, non fu per ottenere qualcosa per sé stessa.

  Al contrario. Se io avessi esaudito il suo desiderio, cosa che ho fatto, avrebbe perso qualcuno di molto importante.»

  «Perse qualcuno!?»

  «Lei non voleva darlo a vedere, ma soffriva enormemente al pensiero di ciò che l’attendeva, e non poteva sapere se e quando quella persona sarebbe tornata da lei.

  È solo legandoti a qualcuno di importante che potrai esprimere la tua vera forza, ma fin dal momento in cui vi legherete indissolubilmente assieme dovrai essere preparata all’eventualità che lui si allontani».

  Quella rivelazione non ebbe altro effetto che di far crescere in Nadeshiko un sentimento di paura; che senso aveva affezionarsi a qualcuno se in qualsiasi momento il destino avrebbe potuto dividerli?

  Ormai non poteva più nascondere a sé stessa la verità che negli ultimi giorni aveva cominciato a comprendere: forse, diceva a sé stessa, era quello il motivo principale per il quale si era arrabbiata tanto, e adesso che lo capiva non poteva fare a meno di provare un certo rimorso per il modo in cui lo aveva trattato.

  Yuko notò quasi subito la strana espressione della ragazza, e non faticò certo a comprenderne la ragione, poi, circondata da una luce tenue, la sua figura aggraziata incominciò a scomparire.

  «Yuko…»

  «Qualsiasi cosa succeda, rimani in questa stanza. Fino a che resti qui dentro sarai al sicuro, e in te rimarrà sempre una scintilla di vita. Non uscire da qui, non aprire quella porta per nessun motivo.

  E abbi fiducia. Nessuno dei due ti deluderà. Non ne sarebbero capaci».

  Detto questo la strega svanì, lasciando Nadeshiko sola coi suoi dubbi.   

 

Keita non era mai stato un tipo combattivo, neanche da piccolo, e non aveva mai imparato a farsi rispettare.

  Il carattere mite e la natura arrendevole che aveva sempre dimostrato ne avevano fatto uno dei bersagli preferiti dei bambini più grandi, che non perdevano occasione per punzecchiarlo e prenderlo in giro.

  Con una madre perennemente sommersa di lavoro e un padre che, se andava bene, si faceva vedere in casa una volta ogni due mesi, al termine di uno dei suoi viaggi in giro per il mondo, e una sorellina piccola che portava via anche quel poco di attenzione che gli rimaneva, Keita era solito trascorrere gran parte del suo tempo nel parco giochi dietro la scuola, ed era proprio lì che il solito trio di bulli, capitanati da un certo Matsuda, avevano l’abitudine di andarlo a cercare.

  Quel giorno, come molte altre volte, i tre avevano aspettato che il numero di bambini presenti si sfoltisse un po’ prima di mettere Keita all’angolo e cominciare a tempestarlo di sassolini, sfidandolo a reagire.

  Il poverino subiva senza reagire, anche perché quei bulli, oltre ad essere più grandi di lui, erano anche conosciuti per il loro modo di fare aggressivo e per la loro abitudine ad infierire con crudeltà ancora maggiore su chiunque cercasse di ribellarsi. La sola cosa che potesse fare era subire in silenzio, come tutte le altre volte, sperando che presto finisse.

  C’era ancora qualcuno nel parco, ma nessuno degli altri bambini presenti sembrava intenzionato ad intervenire, e se qualcuno si limitava a rimanere ad osservare stando in disparte qualcun altro ignorava totalmente ciò che stava accadendo, continuando a giocare come se niente fosse.

  Poi, d’un tratto, qualcuno uscì dalla piccola folla che si era radunata lì attorno, sfidando apertamente Matsuda e i suoi.

  «Ehi, voi! Lasciatelo stare!».

  I tre bulli, visibilmente scocciati per quell’interruzione, si girarono, e Keita, che teneva le braccia sopra la testa per proteggersi dalla pioggia di sassi, alzò timidamente lo sguardo, incrociando quello di una bambina dal portamento tanto nobile e fiero quanto la voce con la quale aveva, forse solo momentaneamente, messo fine alla tortura.

  «E tu che vuoi?» domandò il capo

  «Vi diverte tanto prendervela con chi non ha cuore di difendersi? Vi fa sentire grandi?»

  «Questi non sono fatti tuoi. Vattene se non vuoi unirti a lui.»

  «È davvero così bello accanirsi in tre contro una sola persona? Se volete davvero sentirvi forti, perché non fate qualcosa di più costruttivo?»

  «Ma sentitela. Parla come un’adulta».

  Keita rimase subito molto colpito, e fu come se una freccia gli avesse trafitto il cuore; quella bambina, all’apparenza così gracile e debole, ostentava uno sguardo da vera regina, e malgrado la situazione non sembrava esserci odio o rancore nei suoi occhi, ma semplicemente tanta tenerezza e compassione.

  «Se ostentare forza è il vostro di dimostrare il vostro valore, allora non fatelo con i più deboli, perché questo non vi rende più forti, ma solo più codardi.»

  «Sta a sentire, ragazzina, tu non sei certo nella posizione di poterci fare la predica. Nel caso tu non l’avessi notato noi siamo in tre, siamo più grandi di te e sicuramente più forti. Potremmo farti male fino a farti piangere, se solo lo volessimo.»

  «Fatelo, se vi può far sentire soddisfatti. Non sarò io a cercare di oppormi. Vi chiedo solo di lasciar stare quel bambino. Niente altro».

  Matsuda, furente per una così palese mancanza di paura da parte di una bambina che doveva avere almeno due anni meno di lui, raccolse da terra un sasso molto più grande degli altri, ma prima di poterlo lanciare lo sguardo di quella bambina lo paralizzò; benché fosse sul punto di essere colpita rimaneva immobile come una statua, seguitando ad ostentare quel suo sguardo del tutto privo di malvagità.

  Il ragazzino non sapeva cosa fare; per due volte ripeté il gesto nel tentativo di scagliare la pietra, e puntualmente, senza sapere perché, finiva per fermarsi, poi, a denti stretti, lasciò cadere il sasso.

  «Basta così.

  Che gusto ci sarebbe a colpire una mocciosetta? E poi anche questo rifiuto mi ha stancato.» e se ne andò coi suoi due amici, risparmiando a Keita molti minuti di agonia e la quotidiana sabbia negli occhi che segnava la fine della tortura.

  Appena se ne furono andati la bambina si avvicinò a Keita, e sorridendo gli porse la mano per aiutarlo ad alzarsi.

  «Stai bene?».

 

Ringraziando il cielo, dopo il mostro che li aveva assaliti e quasi sconfitti poco dopo il loro arrivo Keita e Toshio non incontrarono altri ostacoli a sbarrargli la strada; la situazione pareva così tranquilla che i due, consapevoli del fatto che avere troppa fretta avrebbe potuto costituire un pericolo, avevano preso a camminare l’uno affianco all’altro parlando tra di loro.

  Keita, man mano che passava il tempo, sentiva con Toshio un’affinità sempre maggiore; e pensare che fino a poco tempo prima era arrivato quasi ad odiarlo, ma forse per la sua natura mite e pacifica non era stato capace di esternare questo sentimento, celandolo dietro ad un sorriso di circostanza.

  A dispetto del suo ormai noto acume Toshio non sembrava essersi accorto dei sentimenti che Keita aveva nutrito per lui negli ultimi tempi, e proprio come aveva fatto con Nadeshiko finì per raccontare anche a lui gli eventi legati al suo passato.

  In segno di ringraziamento Keita aveva fatto altrettanto, parlando al suo nuovo amico di come lui, Shinji e Nadeshiko si fossero incontrati.

  «Quindi tu e Nadeshiko vi conoscete fin dalle elementari.»

  «Già. La sua famiglia è originaria di Uminari, ma i suoi genitori si sono trasferiti a Tokyo dopo essersi sposati e sono tornati solo molti anni dopo, quando lei aveva ormai sette anni.

  Anche se eravamo tutti e due al secondo anno ci misero in classi diverse; mi capitava di vederla di tanto in tanto, nei corridoi la mattina o a ricreazione, ma non dimenticherò mai il momento in cui ci incontrammo veramente.»

  «È stata un’esperienza davvero singolare, questo è sicuro.»

  «In quel momento, ho promesso a me stesso che avrei fatto tutto il possibile per ricambiare il favore che Nadeshiko mi aveva fatto difendendomi da quei tre aguzzini.

  Per la prima volta in vita mia ho sentito di non essere solo, e la cosa mi ha procurato una gioia immensa.

  Non so bene come lei vedesse il nostro rapporto, ma penso l’abbia sempre considerato come quello tra un fratello e una sorella; poi, quando eravamo alle medie, al nostro gruppo si è unito anche Shinji, e da quel giorno diventammo inseparabili.

  Bene o male, avevamo qualcosa che ci accomunava. Tutti e tre tendevamo a venire evitati per il fatto di possedere qualcosa che ci rendeva diversi; il fatto di essere timido, o di dimostrare una maturità insolita per la propria età. Tutte queste cose hanno finito per emarginarci, ma rimanendo insieme riuscivamo a rendere la cosa più sopportabile.»

  «Posso comprenderti. Anche io, per quello che ricordo, sono sempre vissuto da solo. Ho sempre pensato che ciò mi andasse bene, ma dopo avervi conosciuti comincio a pensare che forse mi sbagliavo».

  In quella il cammino dei due ragazzi si interruppe davanti ad un altissimo costone di roccia, in cima al quale era visibile il tempio che costituiva la loro meta, simile per certi versi ad una costruzione ellenica e almeno apparentemente in ottimo stato di conservazione e, dal centro del quale si sprigionava una strana colonna di luce rosata che scompariva oltre le nuvole.

  «Ho idea che siamo arrivati alla tappa conclusiva.» disse Toshio

  «Tu che dici, ci sarà un sentiero per arrivare lassù?»

  «Ne dubito. È come se il terreno tutto intorno al tempio fosse letteralmente esploso, e anche se ci fosse non abbiamo il tempo di cercarlo.»

  «Hai ragione. E poi non mi sembra troppo ripido. Possiamo scalarlo facilmente.»

  «Come te la cavi nell’arrampicata?»

  «Vai pure tranquillo. Se c’è una disciplina in cui non difetto, è il free-climbing.»

  «Buono a sapersi. In marcia allora».

  Ebbe dunque inizio la scalata, che sorprendentemente non si rivelò né difficile né troppo faticosa; speroni e appigli non mancavano, ed erano tutti piuttosto solidi, e questo servì a facilitare di molto la salita.

  Dopo circa mezz’ora avevano percorso un buon tratto di strada, e ormai se guardavano in basso a stento riuscivano a vedere il terreno, seminascosto dalla sabbia sollevata dal vento.

  «Ehi, Toshio?» domandò Keita, alcuni passi più indietro «Quanta strada pensi che abbiamo fatto?»

  «Circa metà, forse qualcosa di più. Procedendo con quest’andatura dovremmo fare in tempo.»

  «Allora forza, ormai non manca molto.»

  «E ci resta una sola ora».

  Improvvisamente, il loro procedere piuttosto spedito venne interrotto da un assordante quanto famigliare fischio prolungato; i due, riconoscendolo, si guardarono allibiti per poi volgere i loro occhi verso il cielo.

  Il mostro che credevano di aver ucciso era ancora vivo, vegeto e più infuriato che mai, e stava volando nella loro direzione a tutta velocità per proseguire lo scontro lasciato in sospeso; si manteneva in aria sfruttando le sue grandi ali, e l’addome, invece che in alto, era ora rivolto verso il basso a forma di C.

  «Non è possibile, è ancora vivo!» disse Keita

  «Mi sembrava che fosse stato un po’ troppo facile».

  Quale segno di benvenuto il mostro sparò sulle sue vittime una dose massiccia della sua sostanza appiccicosa.

  «Attento!».

  Keita riuscì ad evitare il getto lasciando l’appiglio e recuperandolo poco dopo, Toshio invece, trovandosi a dover soppesare varie eventualità, si arrampicò su di una lunga sporgenza di roccia, mettendosi in piedi sulla sommità, e recuperata la pistola sparò sul nemico per attirare la sua attenzione; nuovamente il mostro ci cascò, concentrandosi su di lui, e appena gli passò accanto Toshio senza riflettere gli saltò in groppa, dando vita ad uno spettacolare quanto pericoloso rodeo in aria.

  Il mostro si dimenava furiosamente e cambiava traiettoria in continuazione per riuscire a sbarazzarsi del suo cavaliere, ma Toshio rimaneva saldamente ancorato ai bordi delle scaglie, non riuscendo però a trovare un buco sufficientemente ampio per infilare la pistola; provò a sparare verso il basso, sperando di colpire il ventre ancora una volta, ma quella creatura si era fatta furba e lo teneva arrotolato su sé stesso, rendendo vano qualsiasi tentativo di penetrazione.

  Keita nel frattempo era salito a sua volta sulla sporgenza, ma non sapeva bene che cosa fare; il suo amico e il bersaglio erano troppo lontani, davvero impossibile saltare per tentare di raggiungerli.

  D’un tratto, notando ciò che Toshio stava cercando di fare, gli venne l’idea, e sfilatosi la spada da dietro la schiena la lanciò con tutta la sua forza.

  «Toshio! Prendi!».

  L’arma volò nell’aria, e seguendo il filo invisibile che sembrava legare i due ragazzi raggiunse Toshio, che affidatosi unicamente alla presa delle gambe strette sul collo del mostro la afferrò, sguainandola, quindi, stretta l’elsa con tutte e due le mani, rivolse la lama verso il basso.

  «Brutto figlio di…» disse, quindi, con tutta la sua forza, infilò la lama fino all’elsa nel bordo fra due scaglie proprio sopra la testa, facendo sgorgare fiumi di sangue.

  Il mostro urlò come mai aveva fatto, perdendo il controllo e cominciando a precipitare come una meteora dritto verso la roccia.

  Toshio, che non voleva sacrificare la spada, ben sapendo che sarebbe dovuta tornare per forza alla sua proprietaria, impiegò alcuni secondi ad estrarla, poi, all’ultimo secondo, saltò, riuscendo ad aggrapparsi con una mano proprio sulla sommità della sporgenza su cui Keita lo stava attendendo.

  La creatura invece, infrantasi con forza incredibile sul costone, precipito verso terra finalmente morta, scomparendo sotto le nuvole di sabbia.

  Toshio e Keita la seguirono con lo sguardo, come a volersi sincerare che questa volta fosse davvero finita, e appena furono certi che tutto era passato tirarono entrambi un sospiro di sollievo.

  Poi, d’un tratto, accadde l’imprevedibile.

  Forse a causa dell’urto poderoso che aveva provocato delle crepe e delle fenditure, all’improvviso, proprio mentre Keita si inginocchiava per aiutare Toshio a risalire dopo aver recuperato la spada, il pezzo di roccia al quale il guerriero era aggrappato cedette, e lui, provato del suo unico appiglio, cominciò inesorabilmente a precipitare.

  Il terrore si dipinse sugli occhi di entrambi i ragazzi, su quelli di Toshio in particolare.

  Nello spazio di un istante, il giovane guerriero rifletté sulla sua vita, su quanto poco aveva fatto e su quanto poteva ancora esserci da fare.

  Pensò alla sua casa, la sua città nel deserto, a suo padre, che chissà quanto a lungo lo avrebbe aspettato affacciato al balcone della sua stanza, nella vana speranza di vederlo tornare; pensò ai suoi antenati, quegli antenati che avrebbe disonorato con la sua morte prematura.

  Ma, soprattutto, pensò a Nadeshiko; il pensiero che forse Keita sarebbe riuscito a portare a termine l’impresa da solo lo rincuorava almeno un po’, ma all’idea che non l’avrebbe più rivista il cuore cominciava a battere sempre più forte.

  Non aveva mai conosciuto nessuno come lei; proprio come Keita gli aveva raccontato, quella ragazza aveva il potere di tirare fuori il buono di ogni persona, cosa che, forse, era riuscita a fare anche con lui.

  Come Keita, aveva cominciato a sentire il desiderio di proteggerla, vegliare su di lei con ogni mezzo.

  Combattere per vincere il torneo non gli sembrava più la priorità; ciò che gli doleva in quell’istante prima di morire era il pensiero di non poter mettere la sua forza al servizio di qualcosa di veramente nobile, qualcosa che proprio Nadeshiko, forse, gli aveva fatto conoscere.

  Il torneo per lui era sempre stato un dovere, un compito da espletare per poter permettere agli umani di continuare a disporre del libero arbitrio, ora invece si diceva che forse esso poteva rappresentare qualcosa di più grande di questo; non solo combattere per salvare gli umani, ma per dar loro la possibilità di diventare migliori, e sarebbero state proprio le persone come Nadeshiko le artefici di tale miglioramento.

  Questo, in definitiva, gli dispiaceva di più: non potersi più adoperare affianco a lei nella realizzazione di un mondo migliore; di non poterle più stare accanto.

  Stava quasi per chiudere gli occhi, rassegnandosi all’inevitabile, quando uno strappo violento ritardò il suo appuntamento con la morte, arrestando la caduta prima ancora che potesse cominciare.

  Keita, nel disperato tentativo di salvare il suo compagno, si era gettato a sua volta, e ora con una mano si manteneva ancorato alla roccia, con l’altra stringeva quella di Toshio, che attonito sollevò lo sguardo.

  Non era certo quella che si poteva definire una bella situazione; pur non essendo un peso massimo Toshio non aveva certo una corporatura trascurabile, e Keita, malgrado tutto il suo impegno, probabilmente non disponeva della forza necessaria a sorreggere entrambi, e difatti, dopo pochi secondi, la presa sulla roccia prese minacciosamente a diminuire d’intensità.

  «Tranquillo!» disse nonostante tutto «Ti tengo!»

  «Keita, non fare stupidaggini!» gli rispose Toshio quasi arrabbiato «Mollami subito!»

  «Sei impazzito!? Io non ti lascio!»

  «Non essere stupido! Se non mi lasci precipiterai anche tu!»

  «Invece di parlare, cerca di stringerti forte!»

  «Ti ho detto di lasciarmi! Chi salverà Nadeshiko se moriamo entrambi?»

  «E chi le starà vicino se morirai tu!» rispose Keita ad occhi chiusi con aria di sfogo.

  Toshio, a quell’affermazione, rimase a bocc’aperta.

  «Guarda che l’ho capito! Ho visto come vi guardate!

  Non nascondo che per un momento ti ho odiato quando mi sono accorto di quello che lei provava per te. Le sono stato vicino per dieci anni, e non sono mai riuscito a dirle la verità, tu in due settimane le hai portato via il cuore senza alcuna difficoltà e senza muovere un dito.

  Vuoi la verità? Se questo fosse successo solo pochi giorni fa ti avrei lasciato precipitare, solo per sanare almeno un po’ la rabbia che provavo per te. Ma ora mi rendo conto che questo farebbe di me un mostro non diverso da quelli che abbiamo scelto di combattere.»

  «Keita…»

  «Io…» disse il ragazzo con gli occhi pieni di lacrime «Io non sono mai stato altro che un fratello per lei… è per questo che ero così in collera, così desideroso di fartela pagare.

  Ma poi ho capito che se davvero le voglio bene non devo essere arrabbiato perché non ha scelto me, ma devo essere felice del fatto che abbia scelto te!»

  «Keita…»

  «Se tu non dovessi tornare, lei che motivò avrebbe per voler essere salvata?

  Lei tiene alla tua salvezza almeno quanto tu tieni alla sua.

  Per questo… per questo… se morirai, non te lo perdonerò mai!».

  Di fronte ad una simile confessione, Toshio non poteva più continuare a nascondere a sé stesso la verità.

  Keita aveva ragione; lui… si era innamorato di Nadeshiko.

  Finora non se ne era reso conto perché non aveva mai capito cosa volesse dire amare qualcuno, e benché ignorasse ciò che i suoi sentimenti avevano prodotto nel cuore del suo nuovo amico ormai aveva capito di non poter fare a meno di stare con lei.

  Per questo lasciarla gli così male, questo era il motivo primo che lo aveva fatto soffrire quando era stato ad un passo dalla morte; allora era quella la sensazione che si provava quando si stava per perdere per sempre la persona amata.

  Mai più avrebbe voluto passarci un’altra volta. Mai.

  Riacquistato il suo vigore, Toshio sollevò l’altra mano, stringendo forte quella di Keita, che con uno sforzo non indifferente gli permise di riguadagnare la roccia, e appena tornato coi piedi per terra subito lo aiutò a tornare su.

  Appena furono entrambi al sicuro, per lungo tempo i due rimasero seduti sulla fredda pietra senza guardarsi né parlarsi.

  «Keita. Ti devo la vita.

  E… mi dispiace».

  Lui non diede apparentemente segno di aver sentito, poi raccolse un sasso e lo gettò di sotto.

  «No. Sono io che devo chiederti scusa. Ho nascosto quello che provavo perché avevo paura delle conseguenze. Avevo paura di essere respinto.

  Se l’ho persa, è stata solo colpa mia. Non avevo il diritto di prendermela con te.»

  «Tu l’amavi, ma non sei mai riuscito a dirglielo? Devo ammettere che questo mi fa sentire in colpa.»

  «Non ci pensare.» rispose Keita alzandosi in piedi «Se lei è felice, lo sono anch’io, e questo mi basta.» poi, giratosi verso Toshio, gli porse la mano, e per un attimo gli sembrò di rivivere la scena di molti anni prima, solo da un altro punto di vista «E ora forza. Portiamo a termine quest’impresa».

  Toshio dapprima lo fissò perplesso, poi, sorridendo a sua volta, afferrò la mano, rimettendosi in piedi.

  Senza null’altro ad ostacolare loro la marcia i due ragazzi guadagnarono la cima, e appena entrati nel tempio, all’interno del quale, a differenza che all’esterno, regnava un totale stato di abbandono, con muschi, ragnatele e rovine a farla da padroni, capirono l’origine della luce che avevano visto levarsi dalla costruzione.

  Al centro esatto dell’unica, grande sala del tempio era tracciato un circolo magico di grandissime dimensioni con un raggio di almeno sei metri e dal quale prendeva forma la colonna di luce che oltrepassando il foro nel soffitto raggiungeva il cielo.

  «Credo si tratti di una specie di barriera.» disse Toshio «Mi domando come abbia fatto a rimanere in piedi per tutto questo tempo.»

  «Toshio, guarda!» disse Keita indicando un vaso di fattura pregiatissima che si trovava nel mezzo del cerchio.

  Di colore blu oltremare, presentava due stupende maniglie d’oro, intarsi decorati ed era tempestato di pietre preziose; il coperchio, anch’esso d’oro, era serrato da una sorta di talismano.

  «Deve essere quello.» disse Toshio «Il sangue divino.»

  «E allora forza, prendiamolo!»

  «Keita, aspetta!».

  Senza pensarci troppo su Keita si avventò sulla barriera a spada tratta nel tentativo di sfondarla, ma appena ci provò venne ricacciato indietro dopo che una scossa di enorme intensità lo aveva quasi ucciso.

  «Keita!» disse Toshio aiutandolo a rialzarsi «Tutto a posto?»

  «Ma cosa… non sono riuscito neanche a scalfirla!»

  «È una barriera di qualità superiore.» rispose il guerriero, che poi ebbe a che pensare “Dove ho già visto una simile difesa?”

  «Non importa quanto sia solida. Dobbiamo distruggerla ad ogni costo!»

  «No, Keita!».

  Il ragazzo però non voleva sentire ragioni, e continuò imperterrito a infierire su quello scudo apparentemente perfetto venendo respinto ogni volta, ma quando, giunto ormai al limite della resistenza, stava nuovamente per scagliarcisi contro, Toshio lo afferrò per il bavero e gli mollò un pugno poderoso.

  «Vuoi smetterla di essere così impulsivo? Devi forse rimanere ucciso per capire che è tutto inutile?»

  «Ma allora…» rispose Keita piangendo e digrignando i denti «Che cosa possiamo fare. Se non prendiamo quel vaso Nadeshiko… Nadeshiko…» poi, urlando, batté con forza i pugni sul pavimento tanto forte da far schizzare sangue dalle nocche.

  Toshio lasciò che si sfogasse, poi, con espressione seria e determinata, camminò fin sul bordo della barriera.

  «C’è una sola cosa che può avere la meglio su questo tipo di difesa. La magia.»

  «Ma… non la possiamo usare…»

  «Non nella sua forma comune.» rispose Toshio assumendo una strana posa, con le gambe divaricate e la mano destra aperta in forma di taglio «Ma anche se non possiamo esternarla, essa è sempre presente dentro di noi.»

  «In che senso?»

  «La magia è come un secondo flusso sanguigno. Scorre attraverso canali invisibili in tutto il corpo, ma chi ne possiede una grande padronanza è in grado di convogliare questo flusso in un solo punto.»

  «In un solo punto?»

  «È la stessa cosa che ha fatto Thanatos concentrando tutto il suo potere sull’indice prima di sprigionarlo. La maledizione che alberga su questo mondo dilapida il potere magico appena questo viene espulso dal nostro corpo, ma se lo manteniamo all’interno allora possiamo sfruttarlo, usandolo per scavalcare questa barriera.»

  «Tu… credi sia possibile?»

  «Non lo so. Ma se dovessi riuscire, il resto spetterà a te».

  Nella stanza calò il più assoluto silenzio; Keita, inconsciamente, si mise in posizione, tenendosi pronto a scattare qualora il piano avesse avuto successo.

  Toshio, invece, chiuse gli occhi, e per circa un minuto parve diventare una statua di sale; teneva gli occhi chiusi, il suo respiro, assolutamente regolare, era quasi impercettibile e tutte le sue membra sembravano paralizzate, poi, nel momento di massima concentrazione, il guerriero spalancò nuovamente gli occhi, e urlando con tutta la sua voce colpì la barriera con il taglio della mano.

  Ancora una volta il contatto produsse una tempesta di fulmini, ma piantandosi coi piedi a terra Toshio riuscì a resistere al contraccolpo, quindi, lottando col dolore, che si faceva via via sempre più insopportabile, prese ad avvicinare sempre più la mano.

  Alla fine, dopo quasi trenta secondi di lotta incessante, nello scudo cominciò ad apparire un buco, un buco che divenne un vero e proprio squarcio appena Toshio, infilataci la mano, la girò in posizione orizzontale; non era molto largo, ma abbastanza per farci passare una persona.

  «Ora! Vai, Keita!».

  Il ragazzo non si fece pregare, e gridando a sua volta corse come un fulmine dentro il cerchio, avventandosi sul vaso e afferrandolo con forza prima di gettarsi nuovamente fuori, giusto in tempo per non rimanere intrappolato.

  Appena Toshio ritirò la mano il contraccolpo si fece sentire in tutta la sua potenza e il guerriero fu scaraventato a terra apparentemente svenuto; Keita gli corse incontro.

  «Toshio! Toshio, va’ tutto bene?».

  Lui, mugugnando, aprì gli occhi; era molto provato, ma vivo.

  «Ci… ci siamo riusciti?»

  «Sì.» rispose Keita sorridendo e mostrando il vaso «Ci siamo riusciti.»

  «E allora forza. Andiamocene da questo posto maledetto».

 

Anche se confidava nella riuscita della loro missione Yuko si mostrò un po’ sorpresa nel veder tornare i due ragazzi con in mano l’agognato trofeo.

  La strega non perse tempo, e raccolta in una tazza una dose del liquido contenuto nel vaso, di uno strano colore azzurro luminescente, la fece bere a Nadeshiko, ancora addormentata, e gli effetti non tardarono a farsi vedere; la ferita alla gamba, che aveva ormai raggiunto dimensioni allarmanti, scomparve nel giro di pochi minuti, lasciandosi dietro nulla più che una minuscola cicatrice.

  Appena la ragazza riaprì gli occhi, la prima cosa che vide furono i volti dei suoi compagni, protesi sopra il letto.

  «Ra… ragazzi…»

  «Bentornata tra noi.» disse Shinji col suo sorriso ironico, scacciando in sul colpo tutta l’inquietudine.

  Izumi la aiutò ad alzarsi, e lei, un po’ barcollante, si portò di fronte alla strega, alla quale rivolse il proprio ringraziamento.

  «Non devi ringraziare me.» rispose indicando Keita e Toshio «Ringrazia loro. Hanno rischiato la vita per portarti quell’elisir».

  Nadeshiko si avvicinò dunque ai due ragazzi, ringraziando entrambi con un sorriso commosso e un caloroso abbraccio.

  «Ahi, aspetta.» disse Toshio, che ancora risentiva degli effetti del confronto con la barriera

  «Scusami.» rispose lei allontanandosi «Ti fa male?»

  «Nulla di insopportabile».

  Cercarono di guardarsi, ma il rossore costrinse entrambi a distogliere lo sguardo.

  «Ora è giunto per voi il tempo di tornare nel vostro mondo.» disse Yuko.

  I cinque ragazzi e la loro maestra fecero quindi ritorno nel cortile della casa, e qui Toshio riconsegnò a Izumi la sua pistola; anche Keita fece altrettanto, restituendo alla strega la spada che aveva ricevuto.

  «Mi è stata molto utile. Grazie.»

  «Avrai altre occasioni per usarla, stanne certo.» rispose Yuko recuperandola.

  Appena il gruppo se ne fu andato, scomparendo allo stesso modo in cui era venuto, una presenza sconosciuta si palesò alle spalle della strega; impossibile capire chi fosse, dal momento che rimaneva nascosta nella penombra del portico, ma a giudicare dalla corporatura doveva essere un uomo.

  Il solo tratto visibile del suo vestiario erano un lungo mantello rosso porpora, un paio di sandali di cuoio, schinieri da guerra e la parte superiore di una tunica che lasciava scoperte le gambe.

  «Allora?» disse il nuovo arrivato con voce da cinquantenne, un po’ roca ma comunque carica di fermezza e vigore «Che ne pensi?»

  «Il suo futuro è così oscuro che neppure io riesco a scorgerlo. Una cosa però è certa. Un destino grandioso e pieno di difficoltà attende quel ragazzo, un destino grande almeno quanto il potere che si porta dentro.

  Ben altre sono le prove che lo aspettano.»

  «Puoi stare tranquilla. Per quanto possano essere ardui gli ostacoli che troverà sul suo cammino, in un modo o nell’altro riuscirà a superarli.

  Perché quel ragazzo, e lo dico per esperienza, non sa fallire».

 

Dopo il ritorno al castello, Izumi chiamò a sé i suoi cinque allievi, riunendosi con loro nel piazzale davanti all’ingresso che a lungo aveva costituito il loro campo di allenamento.

  «Siete degli allievi testardi e imprudenti.» fu il suo esordio, certamente non dei migliori «Ma vi siete dimostrati anche guerrieri di indubbio valore e talento.

  Spero vivamente che queste due settimane siano state costruttive per voi. Allo stato attuale, non c’è più niente che io possa insegnarvi.

  So che probabilmente alcuni di voi sono ancora alla ricerca di risposte, ma, mi dispiace dirlo, io non possiedo i mezzi per fornirvele. Dovrete trovarle da soli».

  A quel punto, al tono severo e quasi di rimprovero se ne sostituì uno più amichevole, accompagnato da un’espressione soddisfatta.

  «Era da molto tempo che non provavo delle emozioni così belle allenando qualcuno.

  Se c’è una cosa per la quale vi sono debitrice, è l’avermi fatto riscoprire la bellezza dell’essere un insegnante. Quando siete venuti da me, ero convinta che questo mondo fosse così corrotto da non avere più un solo abitante mosso da nobili ideali.

  Voi siete la prova vivente che mi sbagliavo.

  Non dimenticate mai per cosa state combattendo, e gli obiettivi che vi siete prefissati. E non sciogliete mai il legame che vi unisce. E il vostro tesoro più prezioso.»

  «Sì!» risposero in coro i cinque ragazzi e i due famigli

  «Mi dispiace solo di non poter trascorrere altro tempo con voi. Ma chissà che in futuro non avremo occasione di recuperare.

  Ora andate a riposare. Questa sarà la vostra ultima notte in questa valle.

  Il vostro viaggio sta per ricominciare».

 

Quella notte Keita, Shinji e Takeru dormirono molto meglio del solito.

  La fatica accumulata negli ultimi giorni aveva finalmente occasione di venire scaricata, e appena poggiata la testa sul cuscino i tre amici erano crollati.

  Chi non riusciva a dormire, invece, era Nadeshiko. Nel buio della sua stanza, la ragazza si girava continuamente sotto le coperte senza riuscire a darsi tregua.

  Le misteriose parole pronunciate dalla strega la inquietavano quanto e più di prima, lasciandole dentro un senso di paura e incertezza. Non sapeva cosa fare, come comportarsi, e si sentiva terribilmente triste.

  Che senso aveva affezionarsi e legarsi a qualcuno se il loro destino era quello di separarsi?

  Nonostante ciò, la tempesta che imperversava dentro di lei continuava incessantemente a scatenarsi in tutta la sua forza; molteplici sentimenti di opposta natura la alimentavano, rendendole impossibile prendere sonno. Malgrado la minaccia profetizzata da Yuko, però, Nadeshiko sentiva di non poter più ignorare i sentimenti che provava, ma ogni qualvolta che tale pensiero si faceva strada nella sua mente quello ben più spaventoso di un probabile distacco ricacciava tutto indietro.

  Alla fine, per non scoppiare, la ragazza si alzò dal letto, e, come faceva abitualmente da che aveva cominciato a percepire quelle sensazioni, dopo essersi rivestita prese a camminare su e giù per il castello come un fantasma senza pace, alla disperata ricerca di un modo per sfuggire alla sua triste condizione.

  Giunta davanti al finestrone che immetteva nel balcone del secondo piano, però, il destino decise di giocarle un brutto scherzo, mettendole davanti agli occhi la ragione del suo soffrire.

  Toshio, appoggiato alla balaustra, osservava l’immensità della volta celeste nel più completo silenzio e con un’espressione enigmatica, quasi dolce.

  Appena lo vide, Nadeshiko sentì i battiti del cuore aumentare prepotentemente di intensità, e anche se voleva fare il contrario i suoi occhi non riuscivano a staccarsi da lui; la luce della luna e delle stelle si rifletteva sui suoi lineamenti con grazia e audacia, donandogli un aspetto di grande fascino, ancora maggiore di quello che lo caratterizzava in momenti concitati quali il mezzo della battaglia.

  A vederlo così sembrava così diverso da come appariva di solito, e forse era proprio questa sua diversità a renderlo così misterioso, così apparentemente fugace.

  Senza poter controllare il proprio agire Nadeshiko prese ad avvicinarsi un passo alla volta, nel più completo silenzio, come a volerlo osservare meglio senza però catturarne l’attenzione; fu una mattonella malmessa a tradirla, e come lui si girò quei due occhi neri la trafissero, lasciandola senza fiato.

  «Nadeshiko!?» disse lui arrossendo come non mai

  «Io…» disse balbettando «Ecco… passavo di qua, e…»

  «Qua… qualcosa non va’?»

  «No… non c’è niente che non va’. È solo che… come dire…».

  Toshio, forse perché divertito dall’evidente imbarazzo della ragazza, sorrise leggermente, e Nadeshiko, senza sapere perché, si sentì molto più tranquilla vedendo quel sorriso; il cuore smise di rimbombare, il corpo di tremare, e la sua voce si liberò di quel tono balbettante; stranamente, il sorriso della ragazza parve avere su Toshio lo stesso effetto che il suo aveva avuto su di lei.

  «Scusa se ti ho disturbato. Immagino che vorrai restare solo.»

  «No, tranquilla. Nessun disturbo».

  Così, in un modo del tutto imprevisto, i due si ritrovarono l’uno vicino all’altra, con il naso all’insù e l’espressione sognante.

  «Non riesci a dormire?» domandò lei ad un certo punto.

  Lui fece cenno di no con la testa.

  «Nemmeno io.»

  «Sei preoccupata per quello che ci aspetta?»

  «Un pochino. E tu?»

  «Stessa cosa».

  Era come se entrambi stessero deliberatamente cercando di evitare un determinato argomento, sforzandosi di trovarne altre per compensare un silenzio che non faceva altro che alimentare il nascere di nuova tensione.

  «È una notte stupenda, non trovi?» disse Nadeshiko

  «Sì, infatti.»

  «Anche tu ti senti più tranquillo guardando il cielo stellato?»

  «È così. Nel deserto, dove non c’è luce, le stelle brillano con tutta la loro forza. Molto spesso la notte, quando non riesco a dormire, rimango sveglio ad osservarle fino all’alba.»

  «Per quale motivo?»

  «Non c’è un motivo preciso. Lo faccio e basta.»

  «Vale lo stesso per me.»

  «Le cose belle attirano l’attenzione. E di bellezza le stelle ne hanno da offrire a volontà».

  Seguì un nuovo silenzio, poi Nadeshiko arrossì leggermente.

  «Volevo ringraziarti ancora per quello che avete fatto. Se sono qui, lo devo a voi.»

  «Ringrazia Keita. Gran parte del merito è suo. Gli dobbiamo entrambi la vita».

  Nadeshiko col passare dei minuti pareva diventare sempre più assente, e di tanto in tanto portava la mano alla tasca dei calzoncini, salvò poi ritirarla quasi spaventata. Ad un certo punto, però, si decise ad agire, memore del fatto che quella poteva essere la migliore delle occasioni.

  «Senti, Toshio. Se tu sei d’accordo, vorrei che accettassi questo.» disse, e aperta la mano mostrò al ragazzo un bellissimo pendente nero legato ad una catenina d’argento raffigurante un serpente che si mordeva la coda con una stella a cinque punte inscritta al suo interno.

  Lui lo prese, guardandolo.

  «Che cos’è?»

  «È un uroboros.»

  «Un uroboros?»

  «Nella mitologia egizia e in alcune dottrine filosofiche rappresenta l’eterno ciclo di morte e rinascita».

  Toshio quasi sorrise; sapeva bene che cos’era un oroboros, ma sentire la voce di Nadeshiko gli procurava sempre una grande gioia, e anche se ormai sapeva perché non poteva fare a meno di provare un senso di stranezza per un comportamento tanto bizzarro.

  «È un oggetto molto bello. Come lo hai avuto?»

  «I miei genitori. Lo hanno trovato in un mercato di Venezia quando erano in luna di miele. Io sono nata esattamente cinque anni dopo quel giorno, così decisero di regalarlo a me come portafortuna.»

  «Ma se è così, è un oggetto molto prezioso. Non posso accettarlo.»

  «Non c’è problema. Io dalla vita ho avuto tutto ciò che desideravo. E poi, un portafortuna al momento serve più a te che a me».

  Il ragazzo esitò, indeciso sul da farsi, poi, ringraziando, lo indossò; era caldo, malgrado fosse di metallo, ed emanava uno strano senso di tepore.

  «Non dovrai più avere paura di sentirti solo.» disse Nadeshiko guardandolo negl’occhi «Ora ci siamo noi, e sul nostro appoggio potrai sempre contare.»

  «Grazie.» rispose lui rapito da quello sguardo.

  Appena Nadeshiko se ne fu andata Toshio si sedette su di una poltrona di vimini con l’animo decisamente più rilassato, e prima di rendersene conto cadde in un sonno profondo.

 

 

Nota dell’Autore.

Salve a tutti!

Ancora una volta devo scusarmi per la lunga assenza, ma ora che i corsi sono finiti e con l’approssimarsi delle vacanze di pasqua forse avrò a disposizione un po’ più di tempo per scrivere.

Questo capitolo mi è costato molta fatica, ma ne sono molto soddisfatto.

Se volete scoprire chi è la ragazza a cui allude Yuko nel suo dialogo con Nadeshiko vi invito a leggere i primi volumi di xxxHolic (non mi ricordo se è il primo o il secondo ^_^).

Ringrazio come sempre Selly, Akita, Lewsky e Cleo per le loro recensioni.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 16
*** Coscienza ***


15

15

 

 

Vienna

 

Da un po’ di tempo, Atarus sentiva di non essere più lo stesso.

  Qualcosa di nuovo e sconosciuto aveva cominciato a crescere dentro di lui, qualcosa che non gli riusciva di spiegare ma che gli dava una sensazione terribile, come un misto di rabbia e fastidio del quale si sarebbe volentieri liberato.

  Quella sensazione lo aveva colto per la prima volta subito dopo lo scontro con Tadaki, nel momento in cui stava per infliggere il colpo mortale al nemico sconfitto, e per la prima volta in vita sua aveva vacillato, dimenticando per qualche minuto i principi attorno ai quali aveva sempre soppesato tutto il suo modo d’essere.

  Qualcosa di ciò che stava facendo, e soprattutto di ciò che aveva fatto finora, di colpo gli pareva strano, per non dire sbagliato; quando era stato ad un passo dall’uccidere Tadaki, qualcosa lo aveva trattenuto, facendolo esitare.

  Da allora, non gli era riuscito di fare altro che pensare al suo passato, una cosa che mai aveva fatto prima di quel momento, e frugando nei recessi della memoria aveva finito per riscoprire verità e ricordi a lungo oscurati.

  Fin dalla nascita, la vita di Atarus era stata un inferno costante; suo padre, il capo di quel piccolo villaggio perso fra le highlands scozzesi e arroccato attorno ad un castello dall’emblematico nome di Crows Rock, era un uomo rude e violento, che vedeva nella forza il solo metro di giudizio per valutare un guerriero.

  Sua madre era morta mettendolo al mondo, e come imponeva la legge del clan, ancora saldamente ancorato alle tradizioni del passato, a soli sei anni Atarus aveva iniziato l’addestramento che lo avrebbe portato a diventare un guerriero senza pietà e senza coscienza; un allenamento duro, fatto di corse sfiancanti, duelli sempre più pericolosi, vergate e notti all’addiaccio a lottare con gli animali per procurarsi la cena. Il fatto di essere sia l’erede al trono sia il guerriero destinato a prendere parte al prossimo grande torneo rendevano la sua istruzione ancor più inumana.

  «Mio figlio deve diventare un uomo prima di tutti gli altri.» diceva sempre suo padre.

  All’età di tredici anni, tre anni prima del periodo convenzionale, Atarus era stato spedito a Gellerswy, una remota isola persa da qualche parte nel Mare del Nord e tradizionalmente terra d’origine dei McLoan, un vero e proprio carcere naturale in cui tutti i futuri guerrieri dovevano rimanere per la durata di cinque anni.

  Vista la scarsità di cibo e le condizioni climatiche estreme, soprattutto d’inverno, la concorrenza tra i ragazzi era spietata, e in passato si erano verificati anche casi di cannibalismo, inoltre a Gellerswy la posizione che si occupava nel clan non aveva alcuna importanza: il più forte comandava.

  Malgrado la giovane età e il fisico sostanzialmente poco possente rispetto a quello di molti altri ragazzi Atarus era riuscito facilmente ad imporsi su tutto il gruppo dopo aver ucciso il precedente leader ed aveva imposto su tutti la legge della spada, trasformando una massa di spiantati raccoglitori di uova e sbranatori di carogne in un esercito composto e servile di spietate macchine da guerra che si sfidavano costantemente fra di loro per conquistarsi un posto d’onore.

  Al suo ritorno dall’isola Atarus era diventato l’esatta copia del padre, ma c’era ancora una cosa che gli restava da fare prima che avesse inizio il torneo; avendo raggiunto i diciotto anni il principe era tenuto a prendere moglie e a mettere al mondo un figlio che avesse potuto dare al clan un nuovo capo nel caso fosse morto combattendo nella competizione.

  Contemporaneamente al ritorno di Atarus, però, i tentativi dello zio di usurpare il trono si erano fatti più audaci, pertanto il re, per proteggere il suo prediletto, lo aveva mandato a Londra da persone fidate, ed era stato proprio a Londra che Atarus aveva conosciuto Helen, una ragazza destinata a cambiargli la vita.

  Anche lei, come il principe, era passata per una vita terribile, segnata dal dolore; rimasta orfana a tredici anni e con nessuno che potesse sostenerla aveva dovuto lavorare per mantenere una sorella minore, morta a sua volta dopo pochi anni, e quando non era più riuscita a pagarsi l’alloggio in cui viveva si era ridotta a vivere per strada e a mangiare alle mense dei poveri.

  Atarus, che mal tollerava la vita restrittiva impostagli dai suoi protettori, l’aveva incontrata quando lui, una notte, stava ammazzando il tempo saltando fra gli alberi di Green Park; vestiva con pochi miseri stracci e dormiva su una panchina, ma nonostante ciò rimaneva comunque bellissima. Il ragazzo non riusciva a capire cosa l’avesse colpito in particolare, fatto sta che se ne innamorò a prima vista, portandola a casa con sé e offrendole un posto in cui dormire.

  Quando finalmente il principe poté rientrare al villaggio il loro amore era diventato profondo e la portò con sé, pur sapendo che sarebbe stato molto difficile per il clan accettare come propria regina una ragazza che oltre ad essere stata un’accattona non faceva parte della ristretta cerchia di stranieri a conoscenza della verità sotto quel villaggio di pastori e cacciatori molto chiuso in sé stesso e poco tollerante nei confronti degli stranieri.

  Invece, a sorpresa, era stato proprio il re ad appoggiare il matrimonio, sostenendo che una donna passata attraverso tante sventure non poteva che mettere al mondo figli forti, ma solo dopo le nozze il sovrano cominciò forse a comprendere la vera natura della potenziale minaccia che si era messo in casa.

  Nonostante avesse passato le pene dell’inferno, infatti, Helen non aveva perso la sua purezza, e più tempo passava con Atarus più gli insegnava il valore dei sentimenti, domando la bestia furente e combattiva che fino a quel momento aveva albergato dentro di lui.

  A complicare ulteriormente le cose ci si era messo la nascita di un bambino che, per quanto di corporatura piuttosto gracile e visibilmente poco adatto a percorrere la strada del guerriero, aveva destato nel principe sentimenti paterni.

  Atarus stava quasi per placare del tutto il mostro sanguinario che aveva dentro quando Helen, che probabilmente portava da tempo dentro di sé i postumi di una lunga vita tra sporcizia e malnutrizione, venne improvvisamente a mancare, e allora la bestia non solo non si era placata, ma anzi aveva sprigionato ancor di più il suo potere, ulteriormente accentuato dopo che il piccolo William, così era stato chiamato il principino, come il suo illustre antenato Wallace, era stato allontanato dal villaggio dopo pochi mesi di vita, si era detto per motivi di sicurezza.

  Negli ultimi giorni, le immagini della sua amata Helen e del suo unico figlio, che ormai doveva avere quasi due anni, non smettevano un attimo di tormentare Atarus, che per quanti tentativi facesse non riusciva proprio a lasciarsele alle spalle.

  Dal giorno del combattimento contro Tadaki non aveva più alzato la lancia contro nessuno, e anche in quel momento rimaneva immobile sul tetto di un alto palazzo ad osservare le migliaia di persone, soprattutto turisti, che affollavano le strade di Vienna dopo il tramonto. Volendo avrebbe potuto piombare su quella massa inerme e compiere una strage per poi assorbire un gran numero di circoli magici, ma non lo faceva.

  Il suo pensare a cosa potesse aver provocato in lui un simile cambiamento fu bruscamente interrotto dall’improvvisa comparsa di un fuuzetzu e dall’altrettanto improvvisa pioggia di fasci luminosi che presero a cadergli addosso da un punto imprecisato del cielo.

  «Ma cosa…».

  Il lanciere riuscì a mettersi in salvo spostandosi velocemente per evitarne alcuni e roteando la sua arma per respingerne altri, e appena la tempesta fu passata davanti a lui comparve, scendendo dall’alto, quello che molto probabilmente sarebbe stato il suo prossimo avversario.

  Vestiva in modo insolito, in una sorta di simbiosi fra l’abbigliamento della fredda e inospitale steppa mongolica, con una mantellina di pelliccia e stivali pesanti, e quello un po’ più occidentale della Russia, con pantaloni leggeri e giacca di cotone.

  I capelli, corti, erano blu, in parte nascosti da un cappello di pelo, e gli occhi dello stesso colore, freddi ma determinati; come arma aveva una coppia di faretre piene di frecce, una alla cintura e una dietro la schiena, e uno splendido arco fatto a scaglie fatto di un materiale sconosciuto, forse diamante grezzo, coi bordi affilatissimi ma privo della corda.

  «Finalmente ti ho trovato.» disse l’arciere «Atarus dei McLoan.»

  «Chi sei?»

  «Il mio nome è Tomite, e appartengo al clan Borjigin.»

  «I discendenti di Gengis Kahn.»

  «Ti ho osservato in questi ultimi giorni. La tua condotta è stata deprecabile. Hai le mani macchiate del sangue di decine di innocenti. La tua stessa persona disonora questo grande torneo.»

  «Se sei venuto qui solo per farmi la predica stai sprecando il tuo tempo, e comunque non sono affari tuoi.»

  «Ti sbagli, invece. Noi partecipanti al torneo abbiamo l’obbligo di impegnarci in difesa di questo mondo, di mettere le nostre vite al servizio della causa che i nostri popoli sono stati chiamati a difendere.

  Quelli come te, che aspirano solo alla gloria personale, non servono la causa, ma piuttosto la mortificano.

  È uno scempio che deve finire».

  Senza aggiungere altro Tomite si lanciò alla carica impugnando il suo arco al centro e usando i bordi affilati come la doppia lama di una falce.

  Atarus si difese dal primo attacco saltando all’indietro, ma a dispetto del suo stile abituale all’attacco preferì quasi subito la difesa, limitandosi a parare gli assalti del nemico e sferrando solo di tanto in tanto qualche affondo facilmente schivabile.

  «Che ti succede, McLoan? Hai dimenticato come si combatte?»

  Anche lui in realtà avrebbe tanto voluto sapere che cosa gli stava succedendo. Una cosa, però, la sapeva per certo: in quelle condizioni non poteva combattere. Continuare sarebbe stato un suicidio, ma d’altro canto era evidente che Tomite non aveva alcuna intenzione di lasciarlo fuggire.

  Il suo livello di concentrazione era talmente basso che alla fine l’arciere riuscì nell’intento di colpirlo, procurandogli una ferita non troppo grave ad un braccio che però lo fece cadere in ginocchio sul bordo del tetto.

  «Fine della corsa, Atarus.» disse Tomite mentre dal nulla compariva una corda di luce ad unire le due estremità del suo arco «Non so cosa ti sia preso questa sera per giustificare una prestazione tanto deludente, ma non ho alcuna intenzione di trascendere dai miei obiettivi».

  Detto questo il ragazzo prese una delle sue frecce, la incoccò e tese l’arco, prendendo bene la mira.

  «Perisci per le tue colpe!» gridò scagliando il dardo.

  Atarus, con la fronte sudata per quella che forse avrebbe chiamato paura, non fece alcun tentativo per evitarlo, malgrado forse la sua prontezza di riflessi avrebbe potuto permettergli di salvarsi, e rimase immobile ad osservare la freccia che, appena scagliata, si era circondata di un forte bagliore argenteo, mentre puntava diritta verso di lui.

  Poi, come d’incanto, un circolo magico dal disegno inconfondibile si frappose tra i due contendenti sprigionando una colonna di luce che respinse la freccia con assoluta facilità, e appena il bagliore si dissolse da esso comparve, in tutta la sua fierezza, la giovane ragazza con lo scettro d’oro.

  Ancora una volta il largo cappuccio della veste copriva quasi interamente il suo viso, ma nonostante ciò entrambi i guerrieri capirono subito chi avevano di fronte, rimanendo di sasso per lo stupore.

  «Vo… voi qui!?» disse balbettando Tomite, verso cui la ragazza era girata

  «Posate le vostre armi.» sentenziò lei con gentilezza e fermezza «Non è questo il momento di combattere.» quindi si girò verso Atarus «Vai pure».

  Il lanciere digrignò i denti, combattuto fra necessità e onore, quell’onore sanguinario che sembrava stare riscoprendo, ma alla fine, forse anche a causa del dolore, decise di accogliere quell’opportunità inattesa, e saltato giù dal palazzo scomparve rapidamente tra i vicoli della città.

  Tomite, forse non ricordando le conseguenze di una sua eventuale insubordinazione, fece per mettere mano ad un’altra freccia, ma bastò che la ragazza si voltasse nuovamente a guardarlo per bruciare sul nascere tutti i suoi bollori.

  «Ho detto che questo scontro è finito».

  A quel punto l’arciere non riuscì più a rimanere impassibile, e cessato il suo fuuzetzu si inginocchiò con riverenza, posando a terra la sua arma e piegando la testa.

  «Io… non intendo disobbedire, se questo è il vostro volere.

  Ma, se posso permettermi… perché lo avete lasciato andare? Quell’uomo è un disonore per noi tutti».

  La ragazza allora, abbandonando quell’espressione severa e accigliata, parve sorridere con dolcezza.

  «Come hai detto tu, ogni vita è importante. Vostro compito di guerrieri è proteggere tutte le persone di questo mondo, e mai come in questo momento è necessario che vi proteggiate anche tra di voi.

  Atarus si è incamminato sulla strada della redenzione, e voglio che gli sia data la possibilità di percorrerla fino alla fine. Se deciderà o meno di riscoprire l’umanità che sembrava aver perduto, questo sarà lui a deciderlo.»

  «Come… come desiderate. La vostra parola è legge».

 

La morte di Thanatos aveva sollevato molto scalpore nell’esercito di Seth; era uno dei migliori fra i suoi generali, e come se questo non fosse sufficiente il suo scontro aveva rivelato a Johan che i suoi nemici avevano dalla loro parte il Μένος Aδηλος, un potere altamente distruttivo e per questo molto pericoloso.

  Le riunioni nella sala di ballo si erano fatte più frequenti, e contrariamente al passato anche Anubis vi partecipava con regolarità; il grande assente aveva cominciato ad essere Kaname di Hypnos, che pur conservando la sua fama di persona fredda e apparentemente immune ai sentimenti doveva essere rimasto molto provato dalla morte della sorella.

  Quella sera, a sorpresa, Selveria aveva chiesto di poter prendere la parola, e ricevuto il consenso si era inginocchiata ai piedi del trono del sovrano.

  «Allora, Sigfrida. Di cosa volevi parlarmi?»

  «Mio signore. Tutti qui sono rimasti molto colpiti dall’esito che ha avuto lo scontro con Thanatos.

  È ormai evidente che i nostri nemici sono più potenti e pericolosi di quanto avessimo previsto.»

  «Sono d’accordo con te. Si stanno rivelando degli ossi molto duri. Sbarazzarsene non sarà per niente facile, e sarà meglio occuparsene il prima possibile.»

  «A tal proposito, mio signore, con il tuo permesso vorrei offrirmi volontaria per portare a termine questa missione.»

  «Per quale motivo mi fai questa richiesta?» domandò Johan come se, in realtà, se l’aspettasse

  «Ho notato un individuo interessante in quel gruppo di esseri umani. Vorrei misurarmi con lui in duello, se questo non vi crea disturbo. Dopo, mi occuperò anche degli altri».

  Il ragazzo rimase un po’ in silenzio, come a voler riflettere, poi sorrise compiaciuto.

  «Amica mia, come ti riconosco. Sei rimasta esattamente la stessa determinata guerriera di un tempo, piena di onore e di spirito combattivo.

  Molto bene. Ti do licenza di andare. Agisci come meglio desideri.»

  «Vi ringrazio con tutto il cuore.

  Farò del mio meglio».

 

Amsterdam

 

Erano passati due giorni da quando Toshio e gli altri avevano raggiunto la capitale olandese, ma del misterioso nuovo partecipante al torneo la cui emanazione magica li aveva condotti fin lì neanche l’ombra.

  «Ma sei sicuro che questo fantomatico avversario sia proprio qui in Olanda?» domandò Keita affacciato dalla finestra della loro lussuosissima stanza d’albergo al centro della città

  «Non saprei.» disse Toshio «Subito dopo il nostro arrivo ho smesso di percepire la sua presenza. È probabile che si stia nascondendo, in attesa del momento migliore.»

  «Allora, forse dovremmo farlo anche noi.»

  «Lo stiamo già facendo.» rispose Shinji «L’intero albergo è circondato da una barriera invisibile che funge da schermo.»

  «Ma… Nadeshiko è uscita. Sarà prudente lasciarla andare da sola?»

  «Ho cercato di convincerla a non andarsene in giro da sola, ma lei non ha voluto sentire ragioni.»

  «È testarda.» disse Takeru, dapprima fra sé e sé, per poi volgere segretamente il suo sguardo verso lo stesso Toshio «Quasi quanto una persona di mia conoscenza.»

  «Comunque, possiamo stare tranquilli.» disse Shinji «Aria e Lotte la stanno seguendo di nascosto. Ci penseranno loro a tenerla d’occhio».

  Nadeshiko infatti qualche ora prima aveva lasciato l’albergo e si era incamminata per le strade di Amsterdam.

  Dopotutto, anche se ora perseguivano altri obiettivi, lei e i suoi amici erano venuti in Europa per divertirsi e fare i turisti, e voleva almeno portare indietro qualcosa dal suo viaggio, quindi ora era alla ricerca di qualche oggetto carino da poter regalare ai suoi genitori e a sua sorella una volta tornata in Giappone.

  Vista la sua elevata cultura in materia di Europa e la sua discreta preparazione scolastica sapeva che Amsterdam non era una città troppo sicura, soprattutto dopo il tramonto, ma sapeva altrettanto bene che rimanendo sulle strade pedonali principali, dove il via vai era qualcosa di addirittura spaventoso, non le sarebbe potuto accadere nulla.

  Era così presa dall’ammirare le luci e gli assortimenti dei negozi di souvenir da non accorgersi che, seppur con molta fatica, ostacolate da un’enorme folla, due gatti la stavano seguendo senza sosta da che aveva lasciato i suoi compagni.

  «Accidenti a tutta questa gente.» disse Aria entrando di soppiatto nel negozio dove avevano visto entrare Nadeshiko, una gioielleria «Con tutta la confusione che c’è è difficile starle dietro. Meno male che si ferma continuamente per entrare nei negozi, o l’avremmo persa da tempo

  «Si è fatta prendere di colpo dalla smania dello shopping.» disse Lotte «Ha girato Amsterdam per tutto il giorno senza comprare neppure un pendaglio e adesso improvvisamente non riesce a stare senza comprare.»

  «Non sta a noi giudicare queste cose. Toshio ci ha solo ordinato di tenerla d’occhio, e credo sia anche la cosa migliore da fare».

  In quella Nadeshiko uscì dal negozio, e chiuso il cofanetto contenente il regalo per la madre nel suo zainetto si era nuovamente rimessa in marcia.

  «Sta ripartendo. Andiamo Lotte.

  Lotte?».

  La sorella però non poteva sentirla; pur essendo dei famigli, dotate cioè di una coscienza umana, Aria e Lotte in passato erano pur sempre state dei gatti, e qualcosa della loro indole rimaneva immutato, soprattutto nella gemella minore, la quale rimaneva totalmente rapita da oggetti piccoli, tondi e luminescenti, nel caso in questione un pendente d’oro che il gioielliere stava mostrando ad una coppia di clienti.

  In un secondo Lotte, ammaliata e decisa, saltò sul bancone e, con un balzo, passò in mezzo agli sbigottiti umani, agguantando il tesoro con la bocca per poi scappare; subito, il gioielliere derubato prese ad inseguire lei e la sorella urlando tutte le imprecazioni che conosceva.

  «Maledizione a te e alle tue manie!» gridò Aria mentre scappavano tra una selva di gambe «Finisce sempre che ci cacci nei guai!»

  «Non ho potuto farci nulla, è stato più forte di me.» rispose la sorella con in bocca il pendaglio rubato.

  Fortunatamente il rivenditore si arrese presto, molto prima che Aria potesse convincere Lotte a mollare il maltolto, ma le due gatte avevano corso talmente tanto che dovettero fermarsi a riprendere fiato.

  «Quante volte ti ho detto di non fare cose simili?»

  «Che cosa vuoi farci?» rispose Lotte con un sorrisino innocente e mostrando fiera il proprio trofeo «Non so resistere davanti a certe cose.»

  «Un giorno o l’altro rischierai di farti male per queste tue bravate. E comunque, a causa tua, ora abbiamo perso Nadeshiko.»

  «Non c’è problema. La ritroveremo.»

  «Lo spero, o Toshio andrà su tutte le furie, e a ragion veduta».

  All’improvviso un fuuzetsu di dimensioni colossali comparve sopra le loro teste; era talmente grande da inglobare al suo interno non solo l’intera città, ma anche una grande porzione di oceano.

  «Un fuuzetsu.» disse Aria spaventata

  «Accidenti, è enorme. Chiunque l’abbia creato deve possedere poteri stratosferici.»

  «Dobbiamo trovare subito Nadeshiko, potrebbe essere in pericolo.

  Io continuo a cercarla, tu torna indietro e raggiungi Toshio.»

  «D’accordo, fai attenzione.» e le due a quel punto si separarono.

 

Nadeshiko, al momento della comparsa del fuuzetsu, era quasi arrivata alla fine della strada pedonale, e il suo primo pensiero vedendo tutte le persone attorno a sé non solo fermarsi, ma sparire del tutto, fu di guardarsi attorno per cercare di capire se dietro a tutto vi fosse la mano del concorrente che Toshio stava cercando, e soprattutto se questi stesse puntando a lei; dopotutto, anche se non poteva sicuramente trattarsi di Atarus, visto che l’energia percepita non era la sua, poteva benissimo essere qualcun altro dotato di cattive intenzioni.

  Stava cercando di capire se vi fosse una qualche minaccia vicino a sé quando, con la coda dell’occhio, le parve di vedere qualcuno, forse un bambino, scomparire dietro all’angolo di una stradina stretta incastrata fra due alti edifici.

  Poteva trattarsi di qualcuno come lei, in possesso di un circolo magico abbastanza potente da permettergli di essere immune all’incantesimo, e in questo caso non gli si poteva permettere di rimanere da solo, o avrebbe finito per essere preso di mira, quindi Nadeshiko, senza pensarci troppo su, gli corse dietro.

  La ragazza impiegò solo pochi secondi a raggiungere l’angolo dietro al quale lo aveva visto fuggire, ma di lui neanche l’ombra; stava quasi per convincersi di aver visto male quando, sempre per un soffio, lo intravide di nuovo, sempre mentre spariva dall’altra parte del vicolo.

  «Ehi, aspetta!» disse riprendendo a correre «Tranquillo, non voglio farti del male!».

  Uscita nuovamente all’esterno Nadeshiko si ritrovò in una piazza immensa di forma circolare protesa per una buona metà sull’oceano; non vi era traccia neanche lì di gente immobile per via dell’incantesimo, né del bambino in questione.

  «Piccolo, dove sei? Non temere, voglio solo aiutarti!».

  Dopo poco, una sommessa quanto sinistra risatina infantile preannunciò la comparsa, da dietro una siepe, di una bambina di forse undici anni, ma probabilmente anche più giovane.

  Vestiva in modo eccentrico, e decisamente fuori stagione, con un cappotto piuttosto pesante che lasciava scoperte le gambe, nude, sopra il ginocchio, una sciarpa bianca e una specie di colbacco. Aveva capelli lunghi bianchi e occhi rossi che scintillavano di un misto di ingenuità infantile e malevola determinazione.

  All’inizio non voleva crederci, ma quasi subito Nadeshiko capì di essersi andata a cacciare in una trappola, e rimproverò la propria ingenuità.

  «Buonasera, signorina.» disse la bambinasorridendo e facendo un lieve inchino nobiliare

  «Tu… sei stata tu a creare questo fuuzetsu?!»

  «Il mio nome è Ilya, e vengo dall’isola di Kotelnyj.»

  «Quindi anche tu partecipi al torneo».

  Un circolo magico di grandi dimensioni ed estremamente luminoso comparve sotto i piedi della piccola, che alzò l’indice in direzione di Nadeshiko.

  «È già da un po’ che osservo te e i tuoi amici. I vostri circoli saranno un prelibato bocconcino per il mio piccolo amico».

  Dal dito si sprigionò un fascio luminoso di potenza e velocità quasi impensabili, ma fortunatamente Nadeshiko non si fece trovare impreparata ed eresse una barriera in grado di difenderla, anche se l’urto risultò più difficile del previsto da contrastare.

  “Che potenza spaventosa. Non avrei mai immaginato che una bambina così piccola potesse esprimere un simile potenziale.

  «Sei bravina, lo riconosco. Non è da tutti erigere uno scudo abbastanza solido da respingere un attacco di questo tipo.

  Ma non illuderti. Il prossimo risulterà definitivo.»

  «Non ce ne sarà un prossimo!» disse in quella una voce famigliare, e dal cielo piovvero un’infinità di meteore lucenti dirette verso Ilya.

  La bambina si difese senza grosse difficoltà, e appena il polverone attorno a lei si dissolse trovò qualcuno a sbarrarle la strada verso Nadeshiko.

  «Aria!?»

  «Per fortuna sono arrivata in tempo.»

  «Tu devi essere il famiglio di Toshio.» disse Ilya per nulla spaventata

  «E se anche fosse?»

  «Vorrà dire che mi divertirò un po’ con te prima del suo arrivo.»

  «Fa attenzione, Aria. È molto forte.»

  «Sì, lo so. Del resto, per aver creato un simile fuuzetsu, deve essere dotata di un potere magico davvero immenso».

  Ilya, con la tranquillità di una bambina e la freddezza di una guerriera senz’anima distese nuovamente l’indice, ma il fascio di luce che ne nacque, invece che in orizzontale, si infilò sotto le mattonelle del selciato, puntando verso le due ragazze passando sottoterra e fendendola al suo passaggio.

  Aria capì subito quali erano le intenzioni del nemico, e il suo primo pensiero fu di salvare la vita che le era stata affidata.

  «Nadeshiko, attenta!» gridò girandosi e spingendola via.

  La ragazza riuscì a mettersi in salvo, Aria invece fu colpita in pieno da una colonna di luce sbucata dal terreno; fu un vero miracolo se, oltre a non rimanere uccisa, riuscì anche a mantenere il suo aspetto mano non appena l’attacco ebbe finalmente fine, lasciandola riversa a terra sulla pancia apparentemente morta.

  «Aria!» disse Nadeshiko inginocchiandosi davanti a lei

  «Sca… scappa…».

  Troppo tardi.

  Ilya aveva infatti già lanciato un nuovo attacco, che si proponeva di essere davvero risolutivo, ma all’ultimo secondo un cerchio magico facilmente distinguibile apparve davanti alle due ragazze, e funzionando come una barriera le protesse entrambe energicamente fino a che non furono al sicuro.

  Nadeshiko, incredula, si girò alle sue spalle, e dallo stesso vicolo da cui era entrata vide arrivare tutti i suoi amici, con Toshio in testa.

  «Sorella!» disse Lotte correndo a soccorrere Aria.

  Anche Toshio si avvicinò a lei, dopo aver guardato per un momento quella che sarebbe stata la sua prossima avversaria.

  «Ben fatto Aria. Sono fiero di te.

  Ora, se non ti spiace, subentro io. Tu riposati».

  Lei sorrise, poi si consegnò alla sorella e Toshio tornò a fissare Ilya.

  «Voi statene fuori. Questo è solo fra me e lei.»

  «Va’ bene.» disse Keita «Siamo tutti con te».

  Il ragazzo fece un passo, poi però Nadeshiko gli corse incontro, appoggiandosi a lui.

  «Ti prego. Fai attenzione.»

  «Non preoccuparti.» le rispose rassicurandola con lo sguardo «Tornerò.» quindi fece alcuni passi avanti, portandosi a tu per tu con Ilya

  «Finalmente sei arrivato. Hai fatto prima del previsto.»

  «Non sapevo che al torneo potessero partecipare guerrieri così giovani, anche se devo ammettere che la sua forza è considerevole.»

  «Il potere non si misura dall’età, dovresti saperlo.»

  «E tu ne sei la dimostrazione. Non credo siano molte le persone capaci di costruire un fuuzetsu di queste dimensioni e di tenerlo in piedi così a lungo.»

  «E questo non è che l’inizio».

  Questa volta Ilya, invece che alzare un dito, rivolse la mano destra verso il cielo, e dal cerchio magico apparso sotto di lei presero ad uscire una moltitudine di piccole sfere bianche che sembravano quasi grandi fiocchi di neve.

  Toshio, dal canto suo, non aveva alcuna intenzione di difendersi e basta, e appena l’attacco gli venne mosso contro corse subito verso il suo nemico, schivando alcuni globi e parandone altri, o tagliandoli a metà con la sua spada.

  Ilya, compreso che l’attacco era andato a vuoto, saltò all’indietro giusto in tempo per evitare il fendente del guerriero, che andò a distruggere una buona porzione di selciato, e dopo essere planata dolcemente per alcuni metri ripeté l’operazione, stavolta però con sfere molto più grosse, capaci di provocare grossi buchi nel pavimento e nei muri degli edifici circostanti. Toshio si difendeva bene, ma ogni volta che provava ad attaccare la sua avversaria si spostava da un'altra parte per poi rispondere con incantesimi sempre più efficaci.

  Era ormai evidente che non possedeva un’arma, ma che i combattenti dell’isola di Kotelnyj facessero affidamento quasi esclusivamente sull’uso della magia era un fatto risaputo.

  «Sei più bravo di quanto pensassi.» disse Ilya quando, evitando l’ennesimo fendente, era atterrata pressappoco al centro della piazza «Ammetto che la cosa inizia a farsi divertente.»

  «Mi sembri un po’ troppo sicura di te.»

  «E ho ragione d’esserlo. Questa sfida era finita ancor prima di iniziare.»

  «Davvero? Dimostralo.»

  «Come preferisci. Ma sappi che non sarà affatto piacevole».

  Quanto era vero.

  All’improvviso la terra iniziò a tremare e alle spalle della bambina si formò un circolo magico grande come non si era mai visto, un vero e proprio mastodonte dal quale uscì, lentamente, una creatura altrettanto gigantesca, che lasciò tutti, Toshio compreso, con la bocca spalancata per lo sgomento.

  Era un drago, un drago di proporzioni colossali, lungo almeno venti metri, quaranta contando anche le coda, la pelle nera come la pece, ali membranose ampie da sole più di tutto il corpo, quattro zampe provviste ognuna di cinque lunghi artigli ricurvi, un collo lungo e longilineo e un muso protendente provvisto di due lunghe corna affusolate e un paio di occhi quasi felini.

  Ilya quasi rise vedendo le espressioni attonite dei ragazzi.

  «Vi presento Frederich. Il mio famiglio.»

  «Il tuo famiglio… è questo drago?» domandò Keita

  «È enorme.» disse Takeru «Mai visto niente del genere.»

  «Non è possibile!» sbottò Aria, che nel frattempo si era un po’ ripresa «I draghi non si lasciano governare dagli esseri umani!»

  «Ti sbagli.» rispose Toshio «Secondo le leggende, accettano di servire chiunque considerino superiore ad essi.»

  «Però… il maestro Akunator diceva che sono estinti da almeno settecento anni.»

  «Forse non è del tutto vero.»

  «Che intendi dire?» chiese Shinji

  «Ho sentito qualche storia a riguardo. Pare che molti secoli fa l’isola di Kotelnyj divenne la patria di adozione di tutti i draghi che riuscirono a scampare alla caccia spregiudicata dell’uomo.

  I nativi dell’isola erano gente pacifica che offrì loro di vivere nelle grandi caverne di cui la loro terra era piena; con l’andare del tempo gli isolani presero a rispettarli e onorarli come divinità, e i draghi, per ricambiarli della gentilezza che avevano dimostrato, promisero di proteggere l’isola e i suoi abitanti da chiunque li avesse minacciati.»

  «Questo è ciò che accadde allora.» disse Ilya «La nostra isola è l’unico luogo al mondo in cui i draghi possano ancora sentirsi liberi, e sarà così per sempre.»

  «Ma non ho mai sentito che i tuoi antenati abbiano usato dei draghi come famigli.

  Infatti, è risaputo che sono pochi gli esseri umani in possesso di un potere magico tanto grande da meritare il rispetto e la devozione di un drago.»

  «Frederich è al mio fianco da quando sono nata. Un patto inscindibile ci tiene uniti, e se siamo insieme non c’è nulla in grado di fermarci.

  Frederich, mostragli la tua forza!».

  Il drago, obbedendo come il più docile dei cagnolini, ruggì così forte da far tremare l’aria; la sua bocca si illuminò di un bagliore bluastro, e una vera tempesta di fiamme azzurre si diresse verso Toshio, che solo per un vero miracolo riuscì ad evitare di venire incenerito, gettandosi a terra.

  La fiammata, proseguendo nel suo tragitto, fu così potente da distruggere non solo il palazzo che colpì, ma anche tutto ciò che si trovava dietro di esso per un raggio di almeno una decina di metri, riducendo un gran numero di edifici a cumuli di macerie e provocando uno squarcio enorme sul terreno.

  Qua e la si erano accesi dei roghi, e di un intero quartiere non restavano che rovine annerite dal calore.

  «È… è spaventoso…» disse sconvolta Nadeshiko

  “Non ho mai visto niente di simile.” pensò Toshio rimettendosi in piedi.

  Nuovamente, Ilya sorrise.

  «Ora capisci fin dove può arrivare il potere di Frederich? E ti assicuro che questo non era niente.

  Cosa pensi di poter fare tu, semplice umano, per opporti alla potenza devastante di un drago?»

  “Ha ragione. Un drago è un avversario di classe superiore, ben diverso da quelli che ho affrontato finora.

  Sarò davvero in grado di aver ragione di una simile bestia?”.

 

CONTINUA…

 

Nota dell’Autore

Sono tornato.

Alla fine ci ho messo anche meno del previsto, forse grazie all’aumento del tempo a mia disposizione, ma visto che lunedì ho già i primi due esami non so quanto riuscirò a scrivere da qui a pasqua.

Spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento, e prometto di concludere la vicenda il prima possibile.

Ringrazio come sempre Selly, Akita, Lewsky e Cleo per le recensioni

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 17
*** La Forza delle Stelle ***


16

16

 

 

Lo sguardo sul volto di Toshio lasciava intendere il suo sconcerto, e tutti i timori che potevano venire ad un semplice uomo costretto a confrontarsi con un essere a lui superiore.

  Ilya ne era consapevole, e se ne compiaceva.

  «Frederich. Lui è in grado di rigenerare le proprie ferite, quindi fallo fuori con un colpo solo».

  Obbedendo all’ordine, il drago dispiegò le proprie ali membranose e, sollevando un vento poderoso, così forte da mandare in frantumi i vetri delle finestre, si alzò in aria con un’agilità inimmaginabile per la sua mole, quindi, arrivato ad una trentina di metri, spalancò la bocca, lanciando una nuova lingua di fuoco.

  Era evidente che lo scopo di Ilya era sbarazzarsi in un sol colpo sia di Toshio che dei suoi compagni.

 

KEKKAI!

 

Concentrando tutte le sue forze Toshio evocò una barriera a cupola grande abbastanza da proteggere stesso e gli altri, ma appena il fuoco ci si infranse sopra la pressione minacciò di schiacciarlo.

  Fortunatamente lo scudo si rivelò forte abbastanza da assorbire il colpo, e le fiamme, rimbalzando sulla barriera come su una superficie viscida, presero a schizzare in ogni direzione, distruggendo tutto quello che trovavano sulla loro strada.

  «Se continua così distruggerà l’intera città!» disse Keita

  «Questa ragazzina non ha alcuna intenzione di trattenersi, e tanto meno il suo drago.»

  «Dobbiamo fare qualcosa, non possiamo lasciare che riduca Amsterdam ad un cumulo di rovine».

  Quando finalmente l’attacco ebbe fine e Toshio fu in grado di sciogliere la barriera il guerriero cercò di pensare ad un modo per proteggere sia la città sia i suoi amici da quelle due furie selvagge, e alla fine la soluzione possibile gli parve solo una.

  «C’è una sola cosa da fare.» disse guardando Ilya che sorrideva di soddisfazione «Bisogna cambiare campo di battaglia.»

  «Che cos’hai in mente?»

  “Se mi sposto da un’altra parte per combattere e lei, nonostante tutto, continua a prendersela con Keita e gli altri, per regolamento saranno autorizzati a difendersi. Sarà anche fiduciosa, ma non credo si arrischierà a combattere contro tutti noi messi insieme.

  Beh, a questo punto non credo di avere molta scelta”.

  Conscio di ciò che stava per fare il ragazzo piantò a terra la punta della spada, impugnando l’elsa con entrambe le mani, abbassò la testa e chiuse gli occhi, e dopo poco una strana aura rossa lo circondò interamente.

  Ilya, abbandonata la sua espressione sarcastica, osservò la scena un po’ stupita, e la sua sorpresa fu ancora più grande quando, ai piedi del ragazzo, vide materializzarsi un circolo magico color rosso sangue pieno di simboli arcani e inquietanti.

  Ma quello è…” pensò non eccessivamente preoccupata.

  Anche i suoi amici a quel punto capirono, e allora Nadeshiko non poté fare a meno di sentire una sensazione quasi di dolore oltre ad un opprimente senso di preoccupazione.

  Sul volto di Toshio comparvero i due tatuaggi a forma di fiamma, ma non solo; la giacca che indossava infatti cominciò quasi a ribollire, e improvvisamente, squarciando una parte dei vestiti, due grandi ali angeliche, nere e scintillanti come quelle di un corvo, comparvero dietro la sua schiena, dispiegandosi con forza fino a raggiungere un’apertura di almeno quattro metri.

  «Il Μένος Aδηλος.» disse Ilya con un misto di sorpresa e soddisfazione.

  Quando Toshio riaprì gli occhi al loro interno scintillava una strana luce rossastra, ben diversa da quella che compariva solitamente quando lui combatteva.

  «Questa sfida è tutt’altro che conclusa, Ilya.»

  «Lo riconosco, un po’ mi hai sorpreso. Mai avrei immaginato che proprio uno dei partecipanti al torneo fosse il custode del Μένος Aδηλος.

  Sarà una sfida interessante, non c’è dubbio».

  Avendo la certezza di aver stuzzicato l’attenzione della bambina, distogliendola dal prendere a bersaglio qualcun altro a parte lui, Toshio si sollevò in aria, volando dritto verso il drago e intraprendendo con lui uno spettacolare duello aereo.

  I due avversari si spostavano continuamente, scambiandosi di tanto in tanto alcuni colpi per poi tornare a muoversi; Toshio, per quanto possibile, cercava di colpire solo quando dava la schiena alla città, in modo che i suoi attacchi, se lanciati a vuoto, andassero ad infrangersi in mare, mentre Frederich non aveva alcuno scrupolo a sparare enormi palle di fuoco che il più delle volte finivano per disintegrare interi edifici.

  Eppure, più lo scontro proseguiva, più Toshio sembrava notare qualcosa di strano nel suo nemico; i suoi attacchi erano potenti, quasi furiosi, del tutto inadatti a una creatura notoriamente bilanciata e poco avvezza all’esagerazione.

  “Che cos’è questa furia che lo guida?” pensò “I draghi non dovrebbero essere creature pacifiche e moderate?”.

  I draghi, era risaputo, erano molto sensibili alle emozioni umane, soprattutto su quelle dei loro padroni, che potevano influire in modo massiccio sul loro comportamento; quindi, si disse Toshio, era Ilya a trasmettergli tutta quella furia.

  Un tempo avrebbe sfruttato i benefici della sua intuizione senza farsi troppe domande, ora invece era curioso di conoscere i motivi che avevano spinto una bambina dall’aria dolce e ingenua a trasformarsi in una spietata macchina per uccidere, coinvolgendo in questa follia anche il suo drago.

  La gente della sua isola non era mai stata violenta, né tantomeno aveva fatto pesare gli obblighi della propria rappresentanza ad una bambina così piccola, quindi doveva esserci per forza qualcosa sotto, e Toshio era ansioso di scoprire di che si trattava.

  Ilya intanto, usando un cerchio magico come una piattaforma volante, era salita in aria fino ad accostarsi al suo drago, che rimaneva immobile in attesa di nuovi ordini ringhiando e sbuffando.

  «Per essere il possessore del Μένος Aδηλος ti stai dimostrando alquanto deludente.»

  «Perché?» rispose Toshio «Perché stai facendo questo?».

  La bambina allora parve avere un attimo di esitazione, e spalancò leggermente la bocca come sorpresa.

  «Cos’è che ti spinge a fare cose del genere?» domandò il guerriero mentre lei abbassava lo sguardo e stringeva i pugni «Non credo che tutta questa sete di guerra sia dettata solo dal torneo.»

  «Io… io…» balbettò lei prima di rialzare gli occhi, ora pieni di lacrime «Io lo faccio per i draghi!»

  «Per i draghi!?»

  «Hai idea di quanto soffrano i draghi per il modo in cui sono stati trattati dagli uomini per tutto questo tempo?

  Cacciati come volgari animali dagli stessi esseri che avevano protetto e sorvegliato per secoli, sono arrivati molto vicini ad estinguersi. La loro indole pacifica gli ha sempre impedito di ribellarsi, ma infondo al cuore covano una rabbia senza fine.

  Sono state l’ipocrisia e la malvagità degli uomini a fare incontrare me e Frederich».

 

Sei anni prima

 

La remota e sperduta Isola di Kotelnyj, situata al largo delle coste della Siberia, nell’estremo nord, era una terra remota e inospitale, uno degli ultimi posti al mondo in cui ci si sarebbe aspettato di trovare la vita.

  Caratterizzata da un panorama impervio, in cui dominavano montagne basse ma ripide e foreste di alberi sempreverdi, i soli capaci di resistere a quelle latitudini estreme, era sferzata per buona parte dell’anno da venti gelidi e bufere di neve.

  A lungo era stata ritenuta disabitata, si era invece scoperto, nel corso di un’esplorazione condotta ancora agli inizi del diciannovesimo secolo, che vi risiedeva da tempo immemorabile una piccola comunità di autoctoni; in tutto erano circa ottomila, raggruppati attorno a pochi villaggi che facevano tutti capo ad una famiglia reale.

  Pubblicamente gli abitanti di Kotelnyj erano quasi esclusivamente dei pescatori, che usavano il mare come fonte di cibo e i numerosissimi piccoli fiumi che scorrevano in tutta l’isola come riserva inesauribile di acqua, ma in realtà nascondevano molti più segreti di quanti nessuno avesse mai potuto sospettare.

  Infatti, nelle profonde e impervie caverne generate da intere ere di scavo da parte dei ghiacci, trovavano rifugio gli ultimi superstiti dell’antica e gloriosa stirpe dei draghi; provenienti da tutte le regioni del mondo, si erano rifugiati a Kotelnyj per sfuggire alla caccia spregiudicata degli esseri umani, trovando negli abitanti di quella terra sperduta degli alleati che avevano offerto loro di continuare lì la loro pacifica esistenza in tutta tranquillità.

  Quale segno di riconoscenza per la generosità dimostrata i draghi accettarono di proteggere Kotelnyj da tutto e tutti, e con il tempo il rapporto tra le creature alate e gli abitanti dell’isola divenne così stretto che a distanza di trecento anni ogni abitante dell’isola poteva contare sull’appoggio di un drago, che potevano andare dai piccoli esemplari di neanche un metro ai mastodontici draghi bianchi delle Alpi Europee fino ai draghi neri dell’estremo nord dell’Inghilterra.

  Punto d’incontro fra la civiltà umana e quella dei draghi era la famiglia reale di Kotelnyj, il saggio re Sigthor e sua moglie, la regina Nalya.

  Per molti anni re e regina avevano desiderato avere un figlio, ma quando finalmente era venuta alla luce una bambina i sovrani, invece che esserne felici, ne erano rimasti atterriti; la piccola infatti, a cui era stato dato il nome di Ilya, possedeva un tale potere magico e una tale affinità con quello dei draghi da poterne comandare non uno, ma un intero esercito.

  Per timore di veder crescere qualcosa che sarebbe potuto andare fuori controllo la piccola Ilya non era stata sottoposta al cosiddetto Giuramento del Drago, la cerimonia durante la quale i bambini della famiglia reale si legavano ad uno dei draghi privi di una guida, ma la nascita di un bambino dotato di un simile potere aveva generato del malcontento fra gli isolani, poiché vedevano in essa un segno di sventura, e uno degli uomini di fiducia del re, il generale Vermer, ne aveva immediatamente approfittato per mettere in atto quel colpo di stato che andava progettando ormai da quasi vent’anni.

  In una notte di giugno, affiancato dai suoi fedelissimi, aveva ucciso il re nelle sue stanze, ma prima che potesse fare lo stesso con la regina questa, assieme la sua bambina, aveva lasciato in tutta fretta il castello, arroccato sulla guglia rocciosa che dominava il villaggio più grande dell’isola, e si era inoltrata nella foresta.

  La cosa, però, non aveva né allarmato né irritato Vermer, che anzi eccitato come non mai si era messo sulle loro tracce come durante una caccia al lupo.

  Al sorgere del sole madre e figlia stavano ancora correndo lungo un sentiero che si inerpicava lungo la montagna nel folto degli alberi, braccate come animali; l’intento della regina era di raggiungere il territorio dei draghi, ben sapendo che un traditore come Vermer non avrebbe mai avuto il coraggio di seguirle fin lì, ma la strada era ancora tanta e gli inseguitori sempre più vicini.

  Faceva freddo, nonostante non nevicasse e vi fosse persino un pallido sole, e questo non faceva altro che rallentare la loro corsa disperata verso la salvezza.

  Ilya, che allora aveva poco più di quattro anni, correva a sua volta tenendo stretta la mano della mamma; non sapeva cosa stesse succedendo, ma vedeva il terrore negli occhi di sua madre.

  «Mamma.» disse quando, sfinita dalla fatica, fu costretta a rallentare «Non ce la faccio più.»

  «Resisti piccola. Siamo quasi arrivate».

  La regina si vide costretta a prenderla in braccio per poter proseguire, ma anche lei era visibilmente stanca e unendo la stanchezza al dover sopportare un peso extra sulle spalle la sua andatura si fece via via sempre più incerta e affaticata.

  Alla, fine, inevitabilmente, la donna crollò sotto il peso della fatica, accasciandosi senza forza sulla neve fresca, e poco dopo si udì sempre più vicino il passo veloce degli inseguitori.

  «Mamma!» disse Ilya cercando di rialzarla

  «Ilya… scappa…».

  Il resto accadde in pochi istanti; quasi avesse previsto l’approssimarsi del pericolo la regina, con le sue ultime forze, si gettò sulla figlia, abbracciandola stretta, e subito dopo una freccia le si conficcò nella schiena.

  Ilya, che aveva gli occhi chiusi per la paura, la vide spalancare gli occhi per poi rovinare nuovamente a terra tingendo di rosso la neve circostante; contemporaneamente, un manipolo di uomini guidati dallo stesso Vermer, un uomo basso e tarchiato con il volto quasi interamente coperto da un grosso paio di baffi scuri, giungeva dal fondo del sentiero con le balestre in mano.

  «Mamma…» disse la piccola con voce tremante e lo sguardo di chi non comprende la vera portata di ciò che sta accadendo

  «Ilya… raggiungi i draghi. Loro… ti proteggeranno…»

  «Io… non posso…»

  «Mi… mi dispiace. Mi dispiace… di averti coinvolta… in tutto questo…» e con queste parola Nalya morì sotto gli occhi della figlia, alla quale non rimase altro da fare che piangere.

  Pochi istanti dopo gli inseguitori la raggiunsero, e lei, terrorizzata, non riuscì neppure a trovare la forza per rialzarsi e tentate una qualche fuga.

  «Fine della corsa, principessina.» disse Vermer infilando una nuova freccia nella balestra e puntandogliela contro «Non volermene male, piccola. Hai solo avuto la sfortuna di nascere nella famiglia sbagliata.

  E poi, il popolo mi sarà riconoscente per aver eliminato un potenziale mostro come te».

  L’ultima cosa che Ilya ricordava era il ghigno malevolo sul volto di quel demonio e l’urlo di paura che lei lanciò d’istinto vedendolo mettere il dito sul grilletto dell’arma, e subito vi fu un rumore fortissimo, come una cannonata, che le fece perdere i sensi.

  Appena la bambina riaprì gli occhi gli uomini che l’avevano inseguita giacevano a terra in un groviglio inestricabile di sangue e interiora, completamente squartati, ma lei, nonostante tutto, non ne rimase minimamente turbata; tutti i suoi pensieri infatti erano concentrati non sull’orrendo spettacolo di morte che dominava incontrastato intorno a lei, ma bensì sullo stupendo drago che aveva di fronte, e che a giudicare dai rivoli di sangue che spuntavano dalla sua bocca doveva essere stato l’artefice della sua salvezza.

  Immediatamente Ilya sentì qualcosa, come un doppio filo che la legava indissolubilmente a quella superba creatura dei cieli, in assoluto il drago più grande e potente che mai le fosse capitato di vedere.

  Senza paura gli si avvicinò, e lui, quasi con riverenza, abbassò la testa, lasciandosi sfiorare la fronte e guardando nel contempo la bambina dritta negl’occhi; da quel momento, il patto era suggellato.

 

«E da quello è nato il legame che ci unisce.» disse Ilya finito il racconto.

  Toshio ascoltò in silenzio, apparentemente senza battere ciglio.

  «Capisci ora? Capisci quello che ho dovuto subire? In quel momento mi sono sentita come i draghi che la mia gente protegge da secoli. Sola, cacciata come un animale. E ho capito finalmente la loro rabbia.»

  «Quindi questa… è una vendetta?»

  «È giustizia!» gridò furente la ragazzina «Gli umani sono vili e presuntuosi! Si credono i padroni del mondo, guardano tutto ciò che li circonda dall’alto in basso, e hanno dimenticato quanto i draghi siano stati importanti per la loro sopravvivenza!

  Hai idea di quante sofferenze e quante umiliazioni abbiano patito i draghi, cacciati senza pietà dagli stessi uomini che avevano scelto di proteggere?

  La verità è che gli umani non meritano di vivere! Io e Frederich insegneremo loro una volta per tutte che questo mondo e tutti i suoi abitanti non sono una loro proprietà!».

  Nuovamente Toshio parve restare impassibile, anche quando, abbandonata quell’espressione di bambina arrabbiata e spaventata, Ilya riacquistò la freddezza di sempre.

  «Ora però non è il momento delle parole. Facciamola finita».

  Il drago a quel punto lanciò un fortissimo ruggito, e la sua bocca prese a caricarsi nuovamente di fuoco.

  «Frederich! Annientalo!».

  Un nuovo vortice incandescente si diresse verso Toshio, a cui però bastò agitare le ali per disperderlo, e allora neppure Ilya riuscì a trattenere un’espressione stupita.

  «Non è così facile sconfiggermi, nemmeno per un drago!» disse mentre la sua spada si circondava di luce «Adesso tocca a me!»

 

TAICHI RYUMAJIN!

 

Dalle dimensioni dell’uragano appariva evidente che Toshio aveva messo tutto sé stesso in quell’attacco, intenzionato probabilmente a mettere una volta per tutte la parola fine allo scontro sconfiggendo in un sol colpo Ilya e il suo famiglio, che infatti vennero colpiti insieme.

  Il drago, nel tentativo di proteggere la sua padrona, le fece scudo con una delle sue ali, ma l’esplosione fu abbastanza potente da far scomparire entrambi in un’esplosione di luce.

  Fu un colpo così devastante che tutti pensarono che neppure per un drago sarebbe stato possibile uscirne vivo, e invece, quando la luce si spense, lo sgomento apparve sui volti dei presenti, soprattutto su quello dello stesso Toshio.

  Ilya e il suo drago erano ancora lì, immobili e al sicuro, ben protetti da una barriera trasparente eretta, con ogni probabilità, dallo stesso Frederich, a giudicare dai suoi occhi che scintillavano del loro colore giallo oro.

  «No… non è possibile…» balbettò il guerriero

  «Ci hai provato, ne convengo.»

  «Ha respinto il Taichi Ryumajin… come se nulla fosse.»

  «Ammetto che era un colpo piuttosto potente.

  Ma ci vuole ben altro per aver ragione della possente difesa offerta da un drago».

  Poi, Ilya assunse un’espressione altamente malevola.

  «È stato divertente, davvero, ma adesso è finita».

  Frederich prima schizzò verso l’alto, poi caricò per la terza volta la sua fiamma, ma questa volta la grandezza del colpo era a dir poco spaventosa, e non appena si scagliò contro Toshio il ragazzo si vide venire contro un oceano infuocato, con un raggio d’azione tale che tentare di evitarlo era del tutto inutile.

  Toshio non ebbe altra scelta che tentare di difendersi, ma la barriera che eresse attorno a sé si infranse come un fragile cristallo dopo neanche cinque secondi, e lui, investito come da un’intera batteria di cannoni, venne letteralmente sparato verso il basso apparentemente morto, precipitando in mare e sollevando un’altissima colonna d’acqua.

  Keita e gli altri osservarono terrorizzati il loro amico scomparire inghiottito dal mare; speravano di vederlo risalire presto, ma passato il fragore iniziale la superficie tornò liscia come una tavola.

  «Sarà anche il possessore del Μένος Aδηλος» disse Ilya «Ma non esiste essere vivente al mondo in grado di sopravvivere dopo aver preso in pieno l’attacco di un drago.»

  «No, Toshio!» gridò Nadeshiko cadendo in ginocchio tra le lacrime.

  Ciò nonostante, la meridiana che regolava l’andamento del torneo non apparve a segnalare la sconfitta di un altro concorrente, ma ciò non parve arrecare alcuna preoccupazione alla ragazzina.

  «Ormai è solo questione di tempo. Se non lo ha ucciso la fiamma di Frederich ci penserà l’oceano a dargli il colpo di grazia».

  Il primo impulso di Keita e Takeru fu di correre verso il parapetto per tuffarsi e andare a salvare il loro compagno, ma fatti pochi passi trovarono Ilya e Frederich a sbarrar loro la strada.

  «E adesso, veniamo a voi.

  Frederich ha molta fame dopo essersi impegnato così tanto. I vostri circoli magici saranno un ottimo pasto».

  Toshio intanto, privato di tutta la sua forza, stava affondando inesorabilmente nell’oscurità senza fine dell’oceano; era ancora cosciente, e usava inconsapevolmente quanto restava del suo potere magico per sopravvivere anche sott’acqua, ma quell’attacco lo aveva distrutto a tal punto che non riusciva quasi ad avere consapevolezza del proprio corpo.

  Aveva gli occhi chiusi e stringeva con forza la spada d’oro che, nonostante tutto, aveva resistito, ma molto probabilmente si trattava di un riflesso involontario.

  “È… è dunque finita?” pensò “È destino che debba finire così? Tutta la mia forza non è servita. Il mio colpo più potente si è rivelato inutile. Persino il Μένος Aδηλος non mi è stato di aiuto.

  Che cosa mi resta?”

  «Ragazzo! Non ti arrendere!».

  Quella voce, possente e imperiosa, rimbombò nella sua testa come un tuono, ridestandolo in un sol colpo da tutti i suoi cattivi pensieri; riaperti debolmente gli occhi, gli parve di scorgere una luce accanto a sé, e per un istante ebbe quasi l’impressione di riconoscere la sagoma indistinta che intravedeva al suo interno, per quanto opaca e appena percettibile, tanto che gli venne quasi da pronunciare un nome che però non gli riusciva di ricordare.

  «Chi… chi sei?»

  «Ragazzo. Non è da te gettare la spugna in questo modo.

  Questa battaglia non è ancora finita.»

  «Ma… che altro posso fare? Ho usato tutto quello che avevo… e ho fallito.»

  «Non tutto, ragazzo.»

  «Co… cosa!?»

  «C’è qualcosa dentro di te di cui ancora ignori l’esistenza. Un potere antico, molto più grande e distruttivo del Μένος Aδηλος. Un potere che viene direttamente dalle stelle.»

  «Dalle… stelle?»

  «Io non so da dove questo potere ti sia giunto. So solo che ancora non lo possedevi la prima volta che ci siamo incontrati. Ma ora ce l’hai, ed è giunto il momento di usarlo.»

  «La… prima volta!? Ma tu… tu chi sei?»

  «Le risposte verranno con il tempo. Dovrai cercarle, e quando le avrai trovate ti aspetterà la prova assai più ardua di accettarle. Ora però, la tua priorità è un’altra.

  Hai scoperto un motivo per il quale voler combattere, e hai trovato qualcosa da voler difendere a tutti i costi. Rimani saldo in queste convinzioni, e potrai sfruttare il potere delle stelle che dimora nel tuo corpo. Non dimenticare mai per cosa lo stai usando, o ne verrai sopraffatto».

  Ed infatti, proprio nel momento in cui Toshio si sentiva ad un passo dalla morte, un’energia sconosciuta prese a crescergli dentro; la riconobbe subito come magia, ma era un qualcosa di nuovo, di diverso rispetto al passato. Solitamente la magia la si percepisce come propria, ora invece aveva la sensazione che quella nuovo energia gli venisse ma da dentro il corpo, ma dall’esterno, prendendo gradualmente le fattezze di un’aura azzurra scintillante di potere magico.

  “Che cos’è… questo… questo potere. È… immenso…”

  «E ora… in piedi!».

 

Nell’attesa che Toshio si decidesse a passare all’altro mondo Ilya aveva preso di mira tutti i suoi compagni, che contro quella furia scatenata di drago si difendevano come possibile.

  Dopo aver visto il loro amico precipitare in mare avevano il morale sotto i piedi; Nadeshiko in particola sembrava completamente fuori dal mondo, inginocchiata a terra con le mani sulla testa e lo sguardo perso, quasi assente; Shinji cercava inutilmente di farle coraggio, e intanto Keita e Aria facevano l’impossibile per tenere in piedi una barriera che potesse difendere tutti.

  Takeru e Lotte avevano cercato di opporsi contrastando il nemico, ma tutto quello che erano riusciti a produrre non era nulla più di qualche graffio superficiale; persino il Tenma Shouryusen di Takeru si era rivelato quasi del tutto inefficace, e più passavano i secondi più la situazione si faceva critica.

  Purtroppo, come detto da Ilya, nessuna difesa era forte abbastanza da poter resistere a lungo all’assalto di un drago, e così alla fine la cupola cedette, lasciando i sei amici in balia della furia distruttiva della creatura.

  «Fine dei giochi, belli.» disse Ilya dopo che una forte corrente d’aria prodotta da uno sbatter d’ali aveva spedito tutti contro un muro «Siete giunti al capolinea».

  All’improvviso, proprio mentre Frederich si preparava a vibrare il colpo di grazia, una forte luce azzurra si accese al di sotto del mare, e subito dopo la superficie parve esplodere, squarciata da una colonna di luce che, raggiunta una certa altezza, si rivelò essere Toshio.

  Le ali nere, prima danneggiate, erano di nuovo fiere ed imponenti, e i tatuaggi sul volto risplendevano nuovamente del loro colore rosso brillante. Il circolo magico sotto i suoi piedi era cambiato nuovamente, e brillava della stessa luce di cui il guerriero era circondato, una luce che ricordava tanto quella di milioni e milioni di stelle.

  «Ma cosa…» disse Ilya visibilmente stupita

  «Toshio!» esclamò Nadeshiko al culmine della gioia vedendolo sano e salvo «Lo sapevo, sei salvo!»

  «Guardate il suo cerchio» disse Shinji «È cambiato ancora».

  Oltre al colore e al disegno anche le scritte riportate all’interno del simbolo erano diverse, ma stavolta nessuno, neppure Aria e Lotte, fu in grado di interpretarle; sembravano un misto di caratteri orientali e simboli runici, una grafia mai vista prima d’ora.

  «È… incredibile.» disse Aria «Mai visto niente del genere.»

  «Non posso crederci.» balbettò Ilya «È sopravvissuto alla fiamma di un drago».

  Poi però, nonostante tutto, cercò di ostentare sicurezza, anche perché, a conti fatti, era ancora sicura di essere in una posizione di vantaggio.

  «Sei più fastidioso di una mosca, lo sai vero?»

  «Ilya.» rispose lui guardandola severamente «Perché lo stai facendo?»

  «Cosa!?» replicò lei perplessa

  «Io capisco che tu ti senta infuriata col mondo. Hai ragione quando dici che alcuni uomini sono meschini e malvagi, però questo non ti autorizza a fare del male a chi non ha nessuna colpa.»

  «Gli umani hanno sempre colpa!» rispose la ragazzina «Te l’ho detto, per quello che hanno fatto ai draghi non meritano pietà!»

  «Questa è esattamente la stessa concezione che ha Seth!» gridò Lotte «E tu ti consideri una partecipante al torneo? Non sei diversa da lui!».

  A quel punto però la sorella la interruppe prima che potesse andare oltre, peggiorando la situazione.

  «Ma, Aria…»

  «Riesci ad immaginartelo?» proseguì Ilya con le lacrime agli occhi «Il dolore di tutti i draghi, che sono stati traditi da quegli esseri umani che tanto avrebbero dovuto essergli riconoscenti.

  Mi sembra quasi di sentirlo. Io… non posso perdonare gli umani per quello che hanno fatto!»

  «Per quello che hanno fatto ai draghi… o a te?»

  «Cosa!?».

  Toshio assunse un’espressione, se possibile, ancor più ammonitoria di prima, ma non per questo malvagia o cruenta.

  «Non è forse che quello di vendicare la sorte che i draghi sono stati costretti a subire in tutti questi secoli sia solo un pretesto?

  Non è forse vero che chi si sta vendicando… sei tu?».

  Ilya parve colpita da un fulmine, e rimase con la bocca spalancata.

  «Io capisco i tuoi sentimenti. Non è facile per una bambina così piccola accettare la morte dei genitori, soprattutto se avviene davanti ai suoi occhi.

  Malgrado i loro assassini siano morti, questo non ti è bastato, e la rabbia ha cominciato a montare senza sosta dentro di te. Hai cominciato a odiare il mondo, e tutto il dolore che ti portavi dentro ha finito per consumarti. È lui che parla per te, e agisce per te. È il dolore che ti muove in questo assurdo gioco al massacro, un dolore così grande da trasformare una bambina in un mostro.»

  «Smettila! Queste non sono altro che fandonie! Il dolore non c’entra!»

  «Ne sei sicura?»

  «Sicurissima! E anche se fosse, ricorda che sono stati la rabbia e il dolore a condurre Frederich da me!»

  «Questo è falso, e lo sai anche tu.»

  «Co… cosa!?»

  «Un drago che si lega ad un umano non lo fa certo con l’intenzione di combattere senza requie conto chiunque gli si pari davanti. Ciò che lega le nostre due razze non è il proposito della battaglia, ma l’ideale di giustizia.»

  «L’ideale… di giustizia?»

  «Draghi e umani hanno combattuto fianco a fianco per lungo tempo per portare la giustizia. È per questo che esistevano i cavalieri dei draghi. E anche se un giorno l’uomo, nel suo egoismo, ha dimenticato questo proposito, i draghi lo hanno fatto. Avrebbero potuto spazzarci via tutti se solo lo avessero voluto, e invece hanno scelto di subire in silenzio, nella speranza che un giorno saremmo diventati migliori.

  La gente della tua isola ha dimostrato che ciò è possibile, e avresti potuto farlo anche tu, se non avessi smarrito la tua strada accecata dall’odio.»

  «Ma di che stai parlando?»

  «Frederich quando ha stretto il patto con te ha scelto di stare al fianco della bambina indifesa e pura che aveva salvato da quei mostri dei suoi aguzzini, non della spietata macchina di morte che sei diventata!»

  «Basta!» urlò Ilya con il tono piangente e irato tipico di una bambina «Sono bugie, solo bugie!»

  «Se non mi credi, guarda tu stessa!» replicò Toshio indicando verso l’alto.

  Ilya guardò in quella direzione, e allora il suo stupore fu grande; gli occhi di Frederich, quegli stupendi occhi dorati, erano inondati di lacrime, e dalla sua bocca pareva giungere un lamento sommesso, una sorta di pianto.

  «Frederich… sta piangendo…»

  «Piange per te. Piange al pensiero di quello che sei diventata.

  Ormai tu per lui sei un’estranea, ma in fondo al cuore è sicuro che una parte di te sia rimasta quella di un tempo, per questo ha continuato a starti vicino tutto questo tempo. Ed è quello che credo anch’io.»

  «E tu… come lo sai?»

  «Il fuuzetsu che hai tracciato ha escluso dal corso del tempo solo gli oggetti fisici e le piante, non le persone. Forse, inconsciamente, non volevi che degli innocenti potessero rimanere coinvolti dalla furia distruttiva del tuo drago».

  Ormai Ilya non sapeva più cosa pensare, ma una cosa era certa: sentiva una gran voglia di piangere, e un sentimento di disgusto verso sé stessa che diventava sempre più forte.

  «Frederich…»

  «Non farlo soffrire ancora, Ilya.

  Io credo che il tuo amore per i draghi sia sincero, ma se è così non calpestare i suoi sentimenti».

  A quel punto, il desiderio di Ilya si trasformò in un pianto liberatorio, e caduta in ginocchio sulla superficie trasparente del suo circolo magico si avvinghiò con forza alla pelle squamosa del drago.

  «Frederich! Perdonami! Mi dispiace per quello che ti ho fatto! Ti prego, perdonami!».

  Il drago, che seguitava a guardare Toshio, si girò verso di lei, avvicinandosi abbastanza da poterle sfiorare i capelli con il muso, e allora lei, accarezzandolo, vi si appoggiò sopra, come se volesse addormentarsi.

  «Prometto…» disse singhiozzando «Prometto che non ti farò soffrire mai più».

  Toshio non volle intervenire; sapeva di aver raggiunto il suo scopo. Quando Ilya lo guardò di nuovo nei suoi occhi c’era la solita determinazione, ma l’inquietante luce maligna che vi aveva dimorato fino a quel momento era completamente svanita.

  «Ad ogni modo, questo è ancora un combattimento del torneo, ed è giunto il momento di porvi fine.»

  «Sono d’accordo.»

  «Attento però. Non credere di essere ancora così fortunato.»

  «Fatti avanti. Ti sto aspettando».

  Frederich lanciò una nuvola di fuoco al massimo della sua potenza, ma questa volta a Toshio fu sufficiente un colpo d’ala per disperderla, e subito dopo sia Ilya che il duo drago si ritrovarono intrappolati ai polsi e alle caviglie da degli anelli luminosi che impedivano loro qualunque movimento.

  «Ma cosa… un incantesimo di costrizione!? La tribù di Nepthis non dovrebbe possedere questo tipo di conoscenze».

  Anche Aria, Lotte e tutti gli altri erano stupiti, ma lo furono ancora di più quando Toshio, fatta scomparire la sua spada, alzò sopra la testa entrambe le braccia formando con le mani una sorta di calice verso il quale cominciarono a convergere una miriade di piccolissimi fasci luminosi che, fendendo la cupola del fuuzetsu, andavano gradualmente a formare una sfera di discrete dimensioni che si muoveva e si agitava come una nuvola di luce.

  «Che cosa sta cercando di fare?» domandò Keita

  «Non lo so.» rispose Aria «Ma l’energia magica che si sta accumulando tutto attorno a lui è immensa».

  Poi, lo sguardo del famiglio divenne perplesso.

  «Ma quello che percepisco non è il suo potere magico. Non è la sua magia quella che si sta concentrando attorno alle sue mani.»

  «Ma allora di che magia si tratta?» chiese Shinji

  «Le stelle.» bisbigliò Nadeshiko come in trance

  “Guarda Nadeshiko. Anche se solo per un solo istante, farò risplendere in questo posto la luce delle stelle!”.

 

STARLIGHT EXECUTION!

 

Come Toshio abbassò le braccia un ciclone luminoso di forza inaudita si diresse verso i due avversari, colpendo entrambi in pieno senza lasciar loro alcuno scampo.

  I ragazzi dovettero coprirsi gli occhi, perché la luce prodotta da quella specie di enorme nuvolone luminoso fu sufficiente per rischiarare a giorno l’intera città; sia Ilya che Frederich questa volta urlarono dal dolore, e quando l’attacco ebbe fine il drago scomparve, la bambina invece, stanca e quasi priva di sensi, prese a precipitare.

  Era convinta di morire, ma un istante prima di finire in acqua, con sua enorme sorpresa, venne prontamente afferrata da Toshio, che la trasportò fin sulla terraferma.

  Proprio come una bimba spaventata tenne gli occhi chiusi fino a che Toshio non le disse per la terza volta che era tutto finito, e appena li riaprì vide sopra di sé non solo lui, ma anche tutti gli altri.

  «Va’ tutto bene?» domandò Toshio

  «Io… sì…».

  Nadeshiko, messasi in ginocchio, le passò delicatamente il suo fazzoletto su una piccola ferita che Ilya si era procurata sulla guancia, probabilmente nel momento in cui era stata colpita.

  «Perché… perché lo fai? Io ho cercato di ucciderti.»

  «Non hai nulla per cui mortificarti. La rabbia che provavi era del tutto legittima».

  Guardando lo sguardo amorevole della ragazza Ilya non riuscì a non rivedere quello di sua madre, e dimenticatasi di tutto quello che era successo la abbracciò stretta piangendo a dirotto, e anche quando la meridiana comparve per annunciare la sua sconfitta seguitò a piangere senza sosta stretta in un abbraccio che non aveva nulla da invidiare a quello di una vera madre.

  «Rilassati. Ora è tutto finito. Vedrai che andrà tutto bene».

 

Qualche minuto dopo, dopo aver riparato tutti i danni causati alla città grazie ad una modifica all’incantesimo del fuuzetsu che aveva permesso di far tornare indietro nel tempo tutta la zona al suo interno Ilya, a cavallo del suo drago, si sollevò in aria.

  «Ora dove andrai?» domandò Keita

  «Tornerò sulla mia isola. Ci sono ancora molte cose da fare affinché draghi e umani possano tornare a vivere in pace. Comunque non preoccupatevi, per la battaglia finale sarò al vostro fianco.»

  «Allora ti aspetteremo.»

  «Toshio, non adagiarti troppo. Prima o poi io e Frederich ci prenderemo la nostra rivincita.»

  «Attenderò quel momento con ansia.» rispose il guerriero, che al termine della battaglia aveva cessato l’utilizzo del Μένος Aδηλος, facendo scomparire sia le ali che i tatuaggi

  «Fino a quel momento, però, faccio il tifo per te. Mi raccomando, vinci il torneo.»

  «Lo farò, sta tranquilla».

  I ragazzi seguirono Ilya e Frederich con lo sguardo fino a quando non li videro scomparire oltre la cupola, ma appena il fuuzetsu cessò la sua efficacia Toshio cadde improvvisamente in avanti come un frutto maturo.

  «Toshio, che ti prende?» domandò preoccupata Nadeshiko

  «Tranquilla, è solo svenuto.» rispose Aria «Fra la battaglia impegnativa e l’incantesimo con cui se l’è aggiudicata deve aver consumato tutte le sue energie.

  Basterà che si riposi per un po’ e sarà di nuovo in forma.»

  «Ah, capisco. Meno male.»

  «Certo, però.» intervenne Lotte «Che se non avesse voluto essere così preciso forse non si sarebbe ridotto in questo stato.»

  «Di che state parlando?»

  «Quando Toshio ha lanciato quell’incantesimo luminoso non ha mirato direttamente a Ilya e al drago, ma alla corda spirituale.»

  «La corda spirituale?» ripeté Shinji «Che cos’è?»

  «Il filo di energia che lega un famiglio al suo creatore. Recidendolo entrambi ricevono uno shock magico abbastanza forte da metterli fuori combattimento senza ucciderli o provocare loro alcun tipo di danno fisico. È una garanzia per assicurarsi la vittoria, ma ci vogliono precisione e grande dispendio di energie, per non parlare del fatto che la percentuale di successo è minima.»

  «Quindi, Toshio lo ha fatto di proposito!?» disse Keita

  «Se avesse mirato direttamente a loro li avrebbe uccisi facilmente senza ridursi in questo stato.» disse Takeru «Invece ha scelto di correre il rischio.»

  «Non c’è dubbio.» disse sorridendo Aria «Toshio è davvero cambiato».

  Al combattimento fra Toshio e Ilya avevano assistito, grazie ad una nuova spia, anche Johan e i suoi fedelissimi, i quali erano rimasti visibilmente sorpresi; in particolare, quando il guerriero di Nepthis aveva rivelato il suo nuovo circolo magico, tutti erano rimasti con la bocca spalancata per lo stupore, e persino Anubis aveva leggermente sussultato.

  «L’avete visto anche voi?» domandò Cloto

  «Eccome se l’abbiamo visto.» rispose sua sorella Atropo «Ma allora lui è…»

  «La cosa si fa sempre più interessante.» commentò Seth sorridendo malevolmente.

 

 

Nota dell’Autore

Salve salve!

Eccomi qua! È periodo di esami, ma io riesco sempre e comunque ad aggiornare. Non è tanto facile liberarsi di me!^_^

Comunque, per fortuna non devo più preoccuparmi almeno fino a martedì, poi sarà il caso di rimettersi sotto per l’ultimo esame, e poi, che dio me la mandi buona per i risultati.

Questo capitolo mi è abbastanza piaciuto, e da qui in avanti le battaglie si susseguiranno a ritmo incessante. Facendo qualche calcolo, direi che siamo circa a metà, forse anche qualcosa di più.

Ringrazio come sempre Akita, Selly, Cleo e Lewsky.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 18
*** Un Cuore Titubante ***


17

17

 

 

Otto mesi prima

 

Il dojo del maestro Tenka Daihen, situato sulla sommità di una collina che dominava la parte sud orientale di Uminari, era uno dei più conosciuti e stimati di tutto il Giappone.

  Fondato dall’illustre e leggendario Daimon Yoshichika in epoca Sengoku vantava una tradizione di cinquecento anni, durante i quali era passato costantemente di maestro in allievo contribuendo alla nascita di alcuni dei guerrieri più famosi e temibili della storia.

  Il kendo era l’attività maggiormente praticata, insegnata dallo stesso maestro Tenka, vi si potevano apprendere anche molte altre arti marziali insegnate da maestri minori, in accordo con la filosofia di Daimon Yoshichika il quale sosteneva che la completezza del guerriero potesse venire solo dal padroneggiare quante più discipline possibili.

  Riuscire ad accedervi era molto difficile, e il livello degli insegnamenti impartiti era così alto che a volte persino i più promettenti finivano per desistere, ma negli ultimi nove anni nessuno era riuscito ad eguagliare il talento e le prestazioni di Takeru Minamoto, figlio primogenito di uno degli uomini più potenti della città e ultimo discendente della dinastia feudale che per secoli aveva dominato nella regione.

  Entrato nel dojo all’età di otto anni aveva dimostrato di possedere doti straordinarie, degne dei suoi antenati, al punto da essere risultato in grado di battere tutti i maestri minori a soli tredici anni.

  Da quel momento era stato sotto la custodia del maestro Tenka, che ne aveva fatto il suo unico discepolo, insegnandogli tutti quei segreti che solo la futura guida del dojo avrebbe potuto ottenere, e grazie ad essi le sue abilità erano aumentate ancora di più.

  Raggiunti i diciassette anni Takeru era ormai considerato il guerriero più forte della storia della palestra, e anche se i due non avevano mai avuto modo di battersi erano in molti a sostenere che lo stesso Tenka Daihen fosse ormai stato abbondantemente superato.

  Queste voci dovevano essere arrivate anche all’orecchio del maestro, che nulla aveva fatto per metterle a tacere, ma si avvertiva nell’aria che qualcosa di nuovo stava per accadere.

  La svolta si ebbe in un tranquillo quanto freddo pomeriggio di gennaio.

  Takeru aveva raggiunto il dojo subito dopo la fine della scuola, un’ora prima dell’inizio canonico degli allenamenti, per allenarsi in vista del prossimo torneo; malgrado non avesse ancora compiuto i ventuno anni già da due partecipava regolarmente alle massime competizioni di kendo che si tenevano su tutto il territorio nazionale, questo perché ormai i semplici campionati studenteschi ormai non avevano più nulla da offrire in termini di trofei in palio e livello di competitività.

  Prima ancora che potesse indossare l’hakama, però, il maestro Tenka lo aveva invitato nella sua residenza situata dietro la palestra, un privilegio al quale lui solo aveva potuto aspirare, per potergli fare un discorso, a suo dire della massima importanza.

  Pertanto maestro e allievo si erano appartati nella sala del tè, e seduti l’uno di fronte all’altro rimasero a lungo immobili a guardarsi vicendevolmente; il maestro era un uomo che, per quanto piegato dal peso di una vecchiaia piuttosto avanzata, conservava ancora tutta la fierezza e la forza spirituale che contraddistinguono un vero sensei, e sua la katana che portava sempre alla cintura durante gli allenamenti sia quell’acconciatura che tanto richiamava quella degli antichi samurai ne erano un fulgido esempio.

  Takeru conosceva il suo maestro abbastanza bene da sapere che il suo silenzio aveva più significato di un’orazione pubblica, e in quel particolare caso non faticò a capire quale fosse l’oggetto della discussione, tanto che quando finalmente il maestro Tenka incominciò a parlare il ragazzo era già preparato a ciò che si aspettava di sentire.

  «Dimmi, Takeru. Che cosa significa essere un guerriero?»

  «Dedicarsi interamente al raggiungimento della perfezione e dell’assoluta padronanza di stessi.»

  «E che cosa intendi per assoluta padronanza di sé stessi

  «Non lasciare che le emozioni intralcino la via dell’apprendimento e della ragione».

  Il maestro di nuovo lo squadrò severamente, poi bevette un goccio del suo tè.

  «In questi anni hai dimostrato il tuo valore in ogni modo possibile. Come guerriero sei migliorato enormemente.»

  «Eppure maestro, sento di non essere ancora completo.»

  «La completezza è qualcosa a cui solo il Buddha può aspirare. Il fine ultimo di chi pratica le arti marziali deve essere sempre e comunque il raggiungimento della virtù completa, dell’illuminazione spirituale.

  Affrontare e sconfiggere avversari sempre più forti è la strada che conduce a questo traguardo, ma a volte anche il falco più determinato, per quanto si sforzi, non riesce a raggiungere la sommità del cielo.»

  «Che cosa intendete dire, maestro?»

  «La padronanza di sé stessi è una grande virtù, ma la strada che conduce all’illuminazione e all’assoluto controllo del proprio spirito è diversa per ognuno di voi.

  È evidente che il tuo cammino come guerriero non è ancora completo, ma in tutta onestà io credo che in questo nessuno non vi sia più nessuno capace di sostenere uno scontro con te.»

  «E allora cosa posso fare?».

  Il vecchio maestro posò la sua tazza sul tavolo, quindi si girò a guardare per un istante il ritratto del nobile Tenka Daihen, raffigurato in posa meditativa ai piedi di un albero di ciliegio con attorno un nugolo di fedeli.

  «L’unica cosa che tu possa fare è cercare altrove. Quando ti sarai confrontato con l’avversario che il destino ha scelto per te e lo avrai sconfitto, allora sarai certo di aver raggiunto la piena consapevolezza.»

  «Ma dove lo posso trovare questo avversario?».

 

Il rumore della porta della stanza che si apriva fece ridestare Takeru dai suoi pensieri.

  «Eccomi.» disse Shinji entrando in salotto con in mano tre vassoi riscaldati dell’albergo impilati l’uno sopra l’altro «Ho portato la cena.»

  «Meno male.» disse Lotte «Ho una fame che non mi reggo in piedi».

  Appena i vassoi vennero scoperchiati, rivelando un vasto assortimento di vivande di ottima qualità, Keita si alzò dalla sedia e, in silenzio, andò a chiamare Nadeshiko, ancora seduta in una delle tre camere accanto al letto in cui, ormai da quasi un giorno, dormiva Toshio.

  Subito dopo aver perso i sensi al termine dello scontro con Ilya il ragazzo era piombato in un sonno profondo dal quale, forse per la stanchezza, non si era più ridestato.

  Vedendolo così, addormentato e tranquillo, Nadeshiko pensò che al di sotto delle apparenze Toshio era, in fin dei conti, un ragazzo come tanti altri, al quale probabilmente erano state negate le felicità dell’infanzia nel nome della causa che gli era stata messa sulle spalle.

  Forse, al punto in cui era arrivato, Toshio non poteva più concepire un’esistenza lontana da viaggi e battaglie, ma un tale pensiero non faceva che intristire Nadeshiko, la quale si immaginava per lui un futuro ben diverso da quello che gli si prospettava.

  Anche quando il torneo fosse finito Toshio sarebbe tornato al suo villaggio, dove quasi certamente avrebbe speso la sua esistenza prima ad attendere e poi a preparare il guerriero che lo avrebbe succeduto; era un circolo vizioso, un ciclo senza fine di eventi irrinunciabili.

  Fino alla fine dei tempi avrebbe sempre dovuto esserci un guerriero di Nepthis che si facesse carico di arrestare la minaccia di Seth. Ma perché una tale responsabilità doveva essere affidata proprio a lui, che già stava soffrendo per la propria condizione, e che certamente avrebbe sofferto molte altre volte prima che la battaglia potesse avere fine?

  Questo pensiero quasi la faceva piangere.

  Dopotutto, perché negare proprio a lui la possibilità di vivere una vita felice?

  «Ehi, Nadeshiko? La cena è pronta.»

  «Sì, arrivo».

  Tutti a quel punto si radunarono attorno al tavolo e cominciarono a mangiare quello che Shinji era riuscito a farsi cucinare ad un’ora così tarda; avevano aspettato fino all’ultimo per ordinare la cena nella speranza che Toshio si risvegliasse, ma ormai erano quasi le undici di sera e se avessero tardato ancora si sarebbero visti costretti ad andare in qualche takeaway di bassa lega.

  «Che possiamo fare?» domandò ad un certo punto Keita «Ormai dorme da quasi ventiquattro ore.»

  «Solo lasciarlo in pace.» rispose Aria «Già riuscire a gestire il Μένος Aδηλος richiede il dispendio di una grande quantità di energie, ma se ad esso aggiungi la difficoltà dello scontro e quel misterioso potere magico che ha sfruttato per garantirsi la vittoria è più che naturale che gli occorra moltissimo riposo per riuscire a rimettersi.»

  «Ma quando si sveglierà?» chiese Nadeshiko

  «Non appena le forze glielo consentiranno. Anche nella più pessimistica delle previsioni, per domattina dovrebbe essere in piedi.»

  «A proposito del Μένος Aδηλος.» disse Shinji «Di preciso, di che cosa si tratta?»

  «Questo è sostanzialmente un mistero. Nessuno sa con esattezza che cosa sia. Quello che è certo è che si tratta di un potere magico di proporzioni epocali, ben più grande di quello che qualunque essere umano possa aspirare a possedere anche con l’allenamento di una vita intera.

  Una cosa è sicura. La sua natura è oscura, e per questo difficile da controllare. Gli studi condotti fino a questo momento hanno provato che altre persone in passato ne sono state portatrici, e alcune di queste, abusandone, hanno finito per venirne consumate, trasformandosi in demoni assetati di sangue. Di conseguenza Toshio deve scegliere con attenzione quando e come servirsene.»

  «Ma se è davvero così pericoloso, perché non toglierglielo?» chiese Keita

  «Impossibile. Il Μένος Aδηλος è come un’anima a sé stante che si radica in un corpo umano al momento della nascita, adattandosi ad esso. Tentare di estrarlo comporterebbe quasi sicuramente la morte dell’ospite.»

  «E comunque» disse Lotte infilandosi una patatina in bocca «Toshio non è uno sprovveduto, come avete visto voi stessi. Se c’è una cosa che l’addestramento di Izumi gli ha insegnato è di riconoscere i propri limiti. Non farà niente che possa andare al di là delle sue possibilità, quindi potete stare tranquilli».

  Nadeshiko per la verità tranquilla non lo sembrava per niente, ma d’altro canto cosa si poteva fare se non aver fiducia in Toshio?

  Anche Takeru, come al solito, pareva del tutto estraneo alla conversazione, poi, d’un tratto, come se un lampo gli avesse attraversato la mente, risollevò di colpo lo sguardo, fattosi pensieroso e determinato, e subito dopo, alzatosi dalla sedia, si diresse verso la porta.

  «Takeru, dove stai andando?»

  «Vado a fare un giro di perlustrazione.» rispose quasi meccanicamente prima di uscire.

  Abbandonato l’albergo, il ragazzo si incamminò lungo una strada poco frequentata, destando non poco interesse nei passanti per via della katana che teneva in mano; sembrava quasi che stesse seguendo qualcuno, e i suoi occhi, puntati dritti dinnanzi a sé, parevano quelli di un cacciatore che ha fiutato la preda, dimenticandosi di tutto il resto.

  La sua camminata apparentemente senza meta proseguì per parecchi minuti lungo strade, stradine e viottoli, fermandosi infine al centro di un grande parco isolato di alberi e aiuole delimitato da un muretto di mattoni. Per lungo tempo rimase immobile come una statua, con il capo chino e gli occhi chiusi, poi, veloce come un fulmine, sguainò la sua spada, che negli ultimi secondi aveva stretto ancora più forte, girandosi e respingendo l’attacco che un ignoto nemico aveva cercato di muovergli contro saltando giù dal tetto di un palazzo vicino; contemporaneamente, quasi a voler segnare l’inizio della sfida, un fuuzetsu si generò tutto intorno al parco, ingrandendosi fino a comprendere al suo interno anche l’albergo dove stavano tutti gli altri.

  «Che succede?» domandò Keita appena la luce verdina si impadronì della stanza.

  La comparsa del fuuzetsu ebbe anche l’effetto di svegliare Toshio, che spalancò di colpo gli occhi e balzò a sedere come se avesse avvertito un pericolo; Nadeshiko, che era di nuovo accanto a lui, quasi si spaventò nel vederlo scattare in modo tanto improvviso.

  «Toshio!? Ti sei ripreso.»

  «Ne sta arrivando un altro.» disse ansimando

  «Di chi parli? Un altro partecipante al torneo?»

  «Non lo so. Ma chiunque sia, è dotato di un potenziale magico spaventoso».

 

Respinto il primo assalto Takeru scagliò l’aggressore lontano, in modo da poterlo finalmente vedere in faccia.

  Era una giovane donna pressappoco della sua età in tenuta da guerriera, con lunghi capelli biondi raccolti alla maniera delle nobildonne medievali.

  Indossava un ricco abito blu dalla gonna larga e abbastanza lunga che arrivava sotto le ginocchia sormontato da un pettorale d’acciaio decorato e lavorato; portava anche guanti e stivali metallici, questi ultimi quasi interamente nascosti dal vestito, e come arma aveva una lunga spada a doppio filo.

  Gli occhi del colore dell’oceano più profondo erano quelli di uno spirito fiero ed indomabile, nonché di una guerriera dalle potenzialità quasi inimmaginabili.

  «Niente male. Riflessi e velocità non ti fanno difetto».

  Takeru non rispose al complimento, ed impugnò la spada con entrambe le mani.

  «Tu devi essere Takeru, giusto?»

  «E tu chi sei?»

  «Il mio nome in questa epoca è Selveria, ma per molti secoli il mio nome è stato Sigfrida.»

  «Sei al servizio di Seth.»

  «E se così fosse?» domandò provocatoriamente la ragazza.

  La risposta di Takeru fu il suo assumere una posizione che preannunciava un’imminente assalto; Selveria sorrise soddisfatta.

  «Diciamo che oggi sono qui solo come una guerriera ansiosa di incrociare le armi con qualcuno alla sua altezza.»

  «Se è così, allora sarai accontentata.»

  «Non avevo dubbi».

  Il ragazzo si mosse fulmineo, rispettando la sua massima secondo cui l’attacco è molto più semplice della difesa, ma Selveria fu altrettanto rapida nel parare; malgrado la sua enorme spada dovesse pesare parecchi chili la maneggiava con incredibile scioltezza, degna di una vera professionista.

  Certamente la forza fisica non le mancava, ma anche in quanto a velocità e agilità si dimostrava incredibilmente capace.

  Malgrado le difficoltà dello scontro, però, Takeru si sentiva soddisfatto e realizzato come mai in vita sua; quella era la prima volta dopo tanto tempo che uno scontro risultava abbastanza impegnativo e serrato da suscitare in lui un tale desiderio di spingersi al limite; Selveria non sarebbe stato un avversario da poco, con lei avrebbe dovuto impegnarsi al massimo, e la cosa gli procurava un’incredibile soddisfazione.

  «Velocità e scioltezza non ti fanno difetto.» disse la ragazza in un momento di tregua «D’altronde sono le caratteristiche fondamentali dei samurai.»

  «Com’è che conosci tanto bene i samurai?»

  «Sarò anche rimasta chiusa in un libro polveroso per migliaia di anni, ma questo non mi ha impedito di vedere il mondo. Il mio spirito era libero di vagabondare in lungo e in largo come un fantasma, così come quello dei miei compagni, e ho frequentato tutti i campi di battaglia più famosi della storia. Ero a Carre quando i romani subirono la loro più terribile disfatta, sorvolavo Orléans quando Giovanna d’Arco la fece capitolare ed ero a Sekigahara quando Tokugawa sconfisse le truppe di Mitsunari».

  Takeru aggrottò leggermente le sopracciglia, e di nuovo Selveria sorrise.

  «Il tuo stile di combattimento è aggressivo, ma non per questo imprudente.

  Bilanci alla perfezione attacco e difesa, e raramente ti fai trovare scoperto. In definitiva, sei decisamente un guerriero di classe superiore.

  Però…».

  Quel però fu come un fulmine a ciel sereno per Takeru, che istintivamente si mise in posizione di guardia, pronto a rispondere a qualsiasi mossa falsa.

  «Il tuo difetto è palese tanto quanto la tua bravura, e ti rende estremamente debole e prevedibile.»

  «Davvero? Allora mostramelo.»

  «Come vuoi. Ma sappi che non sarà piacevole».

  Il nuovo attacco di Selveria fu tanto fulmineo quanto incredibilmente prevedibile; per un samurai non vi era attacco più facile da respingere di un banalissimo assalto frontale, e difatti Takeru non ebbe problemi a sollevare la spada, spostarsi leggermente all’indietro e poi colpire con un micidiale fendente dall’alto verso il basso, certo del buon esitò del contrattacco.

  Invece, contro ogni previsione, Selveria schivò con incredibile facilità, spostandosi lateralmente in quell’infinitesimale lasso di tempo che intercorre tra l’attacco e la concezione dell’insuccesso; Takeru, del tutto impreparato, ebbe dalla sua il fatto che la spada nemica si trovasse in una brutta posizione, ma prima ancora di potersi rendere completamente conto di aver fallito ricevette un colpo al torace con il pomo dorato alla sommità dell’impugnatura così forte da scagliarlo lontano.

  Il ragazzo si salvò all’ultimo secondo puntandosi a terra e strisciando per alcuni metri sui ciottoli, ma quando riuscì a fermarsi il dolore fu tale da fargli digrignare i denti mentre si teneva con una mano la parte lesa; il dolore e lo sconforto per lui furono ancor più grandi vedendo l’espressione soddisfatta della sua avversaria.

  «Forse, a pensarci bene, non hai un solo difetto, ma certamente questo è il più grande».

  Essendosi esercitato per anni a mascherare le proprie emozioni Takeru era in grado di mantenere un’espressione il più possibile pacata e neutra, che non lasciasse mai intendere ciò che stava pensando in modo da non favorire il nemico, ma era chiaro che dentro di sé si stava domandando come avesse fatto Sigfrida a schivare il suo colpo, e se ciò fosse davvero attribuibile a questo fantomatico difetto che lei diceva di aver scoperto in lui.

  “Ha schivato un affondo diretto senza nessuna difficoltà. Ma del resto, se ha davvero frequentato i campi di battaglia del passato, non vi è poi molto da stupirsi».

  La sola cosa che Takeru potesse fare per prendere di sprovvista l’avversaria era ricorrere all’intuizione e all’improvvisazione, oltre naturalmente a tutta quell’esperienza segreta appannaggio esclusivamente del miglior allievo del dojo di Daimon Yoshichika.

  Selveria dal canto suo sembrava oltremodo ansiosa di testare ulteriormente le sue capacità, e appena lo scontro riprese il ritmo generale aumentò enormemente; entrambi si muovevano ad una velocità incredibile, tanto da rendere difficile distinguerne i movimenti, e ad ogni urto delle loro armi si generavano scintille di luce.

  Takeru aveva chiaramente deciso di fare sul serio, e stava sfoderando uno dopo l’altro tutti i suoi assi nella manica, ma con sua grande sorpresa anche questo parve non essere sufficiente; Selveria per qualche oscuro motivo era sempre un passo avanti a lui, e nulla sembrava esserci di abbastanza efficace da riuscire ad aver ragione della sua strategia apparentemente perfetta.

  Alla fine, per amore o per forza, Takeru si vide costretto a prendersi un momento di tregua, ed allontanatosi quel tanto che bastava per considerarsi al sicuro, per la prima volta da che ne aveva memoria, prese a respirare con un certo affanno.

  “È incredibile. Sembra che sia in grado di prevedere tutte le mie mosse. Per quanto io mi impegni, non riesco a portare a segno neppure un attacco.”

  «Che ti succede samurai, hai già esaurito tutto il tuo repertorio?

  Sono indubbiamente delle tecniche interessanti. E dal modo in cui le hai usate sono quasi convinta che io sia il primo avversario con il quale sei costretto a ricorrere a simili espedienti. Purtroppo, il difetto che continui a dimostrare in modo tanto appariscente le rende del tutto inefficaci».

  Takeru non sapeva proprio che cosa pensare, e per quanto si sforzasse non gli riusciva di capire quale fosse questa maledettissima debolezza che rendeva vano qualsiasi suo attacco.

  Alla fine, confidando sempre e comunque nelle sue abilità, decise di tentare il tutto per tutto, e mossosi in avanti menò un fendente orizzontale; Selveria schivò senza problemi saltando all’indietro, ma era esattamente quello che il ragazzo voleva, e approfittando dell’unico momento in cui il nemico aveva la guardia abbassata caricò tutto il proprio potere magico il più velocemente possibile.

 

TENMA SHOURYUSEN!

 

Proprio nel momento in cui Selveria tornava a terra venne investita in pieno dal colpo di Takeru, lanciato alla massima potenza, e a giudicare dall’esplosione luminosa che seguì l’impatto a terra della testa di drago sembrava proprio che neppure per una come lei potessero esserci speranze di salvezza.

  Invece, quando la luce si spense e la polvere si posò, Selveria era ancora lì, in piedi e apparentemente illesa; aveva usato la sua spada come uno scudo, piantandola a terra ed inginocchiandosi dietro di essa.

  «Mai visto niente di simile. Ha parato il mio colpo senza neanche muoversi.»

  «E questa che cosa sarebbe? Non è altro che mera forza bruta condensata in forma di attacco magico. Permettimi di mostrarti una vera tecnica fondata su un connubio perfetto tra scherma e magia».

  Una luce accecante circondò la spada, e contemporaneamente Takeru si ritrovò intrappolato da un incantesimo di costrizione molto simile a quello usato da Toshio contro Ilya.

  «Ma che…».

 

VALKYRIAN CROSS!

 

Takeru ebbe l’impressione di venire prima trafitto da mille lame invisibili, una per ogni affondo orizzontale che Selveria menava nell’aria, e subito dopo di essere circondato da una colonna di fuoco generata da un fendente dal basso verso l’alto, e per la prima volta il dolore fu tale da farlo urlare.

  Terminato il supplizio il ragazzo era così malconcio che dovette appoggiarsi alla katana per non stramazzare a terra.

  «Hai capito adesso?» chiese Selveria «Hai capito qual è la tua debolezza?».

  Takeru non rispose; non perché non volesse ammettere di non averlo capito, ma piuttosto perché non aveva la forza per farlo.

  «Prova a rifletterci. Hai usato tutta la tua esperienza nella nostra sfida, eppure nessuno dei tuoi attacchi è andato a segno.

  Se un guerriero infonde tutto stesso negli attacchi che lancia non c’è nulla che possa fermarlo, ma nessun attacco sarà efficace se lo si lancia con troppa sicurezza».

  Quel discorso fece aprire gli occhi al ragazzo, che riuscendo finalmente a capire di che cosa Selveria stesse parlando maledisse la propria ingenuità e la propria spavalderia.

  «Ci sei arrivato, vero? Tu nutri fin troppa fiducia nelle tue capacità, ed è questa la tua debolezza. La tua bravura è tale da farti ritenere un gradino sopra qualunque avversario ti si pari davanti, ma così facendo parti svantaggiato fin dall’inizio.

  Il guerriero più grande è quello che si mostra umile, che sa che c’è sempre qualcosa da imparare.

  Un precetto che sono sicura ti sia stato insegnato, essendo parte del codice morale dei samurai, ma che tu sembri aver dimenticato».

  Takeru abbassò lo sguardo digrignando i denti, e anche se gli faceva schifo ammetterlo era costretto a riconoscere che Selveria aveva ragione.

  Quando era stata l’ultima volta che aveva provato un po’ di umiltà? Probabilmente subito prima di convincersi che al mondo non vi fosse nessuno in grado di reggere il confronto con lui.

  La sua convinzione in verità non era dettata dalla presunzione o dalla vanagloria; in tutti quegli anni aveva infuso tutto l’impegno possibile in ogni incontro nel quale si era misurato, e ogni volta ne era uscito vincitore.

  In quanto erede del prestigioso casato dei Minamoto era suo dovere aspirare sempre alla perfezione, e quando si era convinto di averla raggiunta la cosa gli aveva provocato un misto di gioia e frustrazione; gioia perché sentiva di aver realizzato i suoi obiettivi, frustrazione perché l’aver raggiunto la sommità della montagna aveva reso ben presto effimero qualunque tentativo di migliorare ulteriormente, togliendogli ogni stimolo.

  Alla luce dei fatti, in sostanza Takeru aveva inconsciamente perso la voglia di continuare a migliorarsi, poiché sentiva di non averne motivo.

  Forse, gli venne da pensare in quel momento, il maestro se n’era accorto, come era naturale che fosse, e improvvisamente parte dei discorsi che gli erano stati fatti quel giorno fatidico cominciarono a divenire più chiari.

 

«La sola cosa che tu possa fare» disse il maestro «È cercare altrove qualcuno dotato di esperienza tale da rivaleggiare con te.»

  «Ma dove lo posso trovare?».

  Il maestro Tenka temporeggiò, chiudendo gli occhi come soprapensiero, poi si alzò e si avvicinò alla libreria, prendendone un vecchio diario con la copertina marrone tutta consumata che consegnò a Takeru; lui non l’aveva mai visto, ma a giudicare dal nome scritto su una striscia di carta lungo il bordo sinistro poteva immaginare che cosa fosse.

  «Questo diario fu scritto dal maestro Yoshichika oltre quattro secoli fa, e viene tramandato di maestro in maestro all’interno di questo dojo.

  Leggilo».

  Pur se con qualche esitazione Takeru raccolse il volume, aprendolo con delicatezza per evitare di rovinarne ulteriormente le pagine, e intanto il maestro Tenka proseguiva nel suo racconto.

  «Nel 1582, dopo la morte di Oda Nobunaga, che era stato suo signore, il maestro Yoshichika, alla ricerca di nuovi orizzonti, si imbarcò su di una nave portoghese alla volta dell’occidente in un viaggio che lo tenne lontano dal Giappone per quasi un decennio.

  Nel diario in cui trascrisse questi dieci anni di peregrinazioni egli parla di una competizione che da migliaia di anni si svolge in Europa. Vi prendono parte i guerrieri più forti e valorosi del mondo, capaci di sconfiggere da soli interi eserciti.

  Il fine ultimo di questa competizione è la preservazione di questo stesso mondo dalle brame di conquista di una creatura oscura che ogni due secoli minaccia la nostra sopravvivenza.»

  «Crede che la storia sia vera?» domandò Takeru non senza una punta di scetticismo

  «Il maestro Yoshichika considerava la verità e l’onestà come le virtù massime per un uomo. Non avrebbe mai mentito scrivendo cose non vere.

  Alla sua morte consegnò il diario al suo discepolo, nonché secondo maestro di questo dojo, e da allora la sua consultazione è un privilegio riservato a pochi.

  Forse, sono questi sette guerrieri i soli coi quali tu possa misurarti ad armi pari.»

  «Ne è sicuro?»

  «Forse lo sai già, ma ho alcune conoscenze in Europa. Ho fatto un po’ di domande.

  Pare che l’inizio del nuovo torneo sia alle porte. Dovrebbe avere inizio questa stessa estate».

  Gli occhi di Takeru a quel punto si accesero come fari nel buio: se davvero la storia del torneo era vera, coloro che vi prendevano parte dovevano essere davvero i potenti fra i potenti; misurarsi con loro voleva dire raggiungere la sommità della montagna.

  «Voglio che tu sappia una cosa, Takeru.» disse improvvisamente il maestro con voce e sguardo molto più seri di prima «Non ti sto raccontando queste cose perché voglio che tu vada a combattere contro questi sette guerrieri.

  Se davvero deciderai di imbarcarti in una simile impresa, è necessario che tu riscopra i motivi che ti hanno condotto qui.»

  «Che intendete dire?»

  «Quando sei entrato qui, eri una persona diversa. Con il passare degli anni sei molto migliorato, diventando un guerriero più grande di quanto io sia mai stato in tutta la mia vita. Tuttavia, nella foga dell’apprendimento, hai finito per smarrire la strada che avevi scelto di percorrere, e se non riuscirai a riscoprirla, mi dispiace dirtelo, temo che avrai ben poche speranze di prevalere su questi guerrieri, indipendentemente dalla tua bravura».

 

Ora aveva capito.

  Ecco a che cosa si riferiva il maestro Tenka quando gli aveva rivolto quelle frasi sibilline.

  In tutti quegli anni Takeru aveva messo tanto di quell’impegno per poter diventare il migliore da dimenticare la bellezza e la soddisfazione che veniva dall’imparare qualcosa di nuovo, nonché l’ebbrezza suscitata da ogni scontro nel quale ci si cimentava, e del quale bene o male non si poteva mai prevedere con esattezza l’esito finale.

  Senza rendersene conto aveva preso a guardare la gente dall’alto in basso, convinto di non avere più nulla da imparare, ma la verità era che per quanto uno potesse migliorare c’era sempre la possibilità di apprendere qualcosa di nuovo, per il semplice motivo che la perfezione non esiste; aveva cominciato a rendersene conto dopo essere quasi andato incontro alla sconfitta nel combattimento con la maestra Izumi, ma allora era ancora troppo spavaldo, orgoglioso e sicuro di sé per volerlo ammettere.

  Ma l’umiltà non era la sola cosa che il ragazzo aveva lasciato dietro di sé nel cammino verso la perfezione dell’arte del combattimento.

  Uno dei principi fondamentali della filosofia del maestro Yoshichika diceva che il saggio guerriero è colui che riesce a controllare le proprie emozioni in modo che esse non ostacolino il raggiungimento della piena comprensione del Bushido.

  Takeru non aveva imparato a controllare le emozioni, le aveva eliminate e basta.

  Non si era fatto alcuno scrupolo ad accettare l’invito di Nadeshiko semplicemente per poter raggiungere l’Europa senza dover chiedere l’appoggio di suo padre, una cosa che aveva sempre evitato di fare, in quanto lo faceva sentire ancora legato ad una famiglia dalla quale, bene o male, sognava di separarsi presto, pur sentendosi orgoglioso delle proprie origini, e quando Atarus aveva attaccato i suoi compagni di viaggio lui aveva ingaggiato battaglia col lanciere non per proteggerli, ma semplicemente per soddisfare le ambizioni per le quali era partito.

  Tuttavia, stando al loro fianco, e anche al fianco di Toshio, le parole del suo maestro avevano cominciato pian piano ad essergli chiare.

  Era quello il motivo per il quale per lui sarebbe stato impossibile vincere: i partecipanti al torneo, o la maggior parte di essi, combattono in difesa di ciò che hanno scelto di proteggere, e questi sentimenti sono ciò che conferisce loro un potere molto superiore a quello del semplice apprendimento, un potere contro il quale la mera forza bruta non vale nulla.

  Combinando questi due difetti a dir poco sconfinati Takeru di colpi si sentiva un vero incapace, indegno di essere considerato sia un Minamoto che un samurai.

  Ma c’era ancora una possibilità.

  Non ne era sicuro, ma aveva come l’impressione che lo scopo di Selveria fosse proprio di fargli capire quanto fosse stato ingenuo, anche perché fino a quel momento la disparità tra i due era stata abissale, e lei avrebbe potuto finirlo in qualunque momento.

  Quella donna era una vera guerriera, che andava fiera del proprio nome, di conseguenza non avrebbe mai accettato di infliggere il colpo di grazia a qualcuno che non reputava alla sua altezza.

  Takeru poteva ancora farcela; bastava che riscoprisse tutto ciò che aveva perduto, che permettesse di nuovo alle emozioni di guidarlo senza dominarlo e mitigasse quel tanto che bastava il suo orgoglio per poter essere il guerriero che aveva sempre sognato di diventare.

  Selveria, vedendolo alzarsi con un nuovo vigore riflesso nello sguardo, sorrise compiaciuta.

  «Molto bene. La vera battaglia sta per cominciare».

  Il ragazzo partì di nuovo alla carica, e questa volta lo scontro si rivelò sostanzialmente pari; nessuno dei due era in grado di prevalere, e ad ogni attacco seguiva sempre una pronta difesa.

  Per parecchi minuti vi fu un equilibrio precario, sempre pronto a far pendere l’ago della bilancia dall’una o dall’altra parte, ma con il passare del tempo il desiderio di Takeru di tornare ad essere il guerriero determinato e idealista di un tempo cominciò a farsi sentire, e così Selveria si ritrovò sempre più in difficoltà.

  La donna ad un certo punto, capendo di non avere altra alternativa, approfittò di un attacco un po’ maldestro per scagliare lontano il nemico, e immediatamente concentrò al massimo tutta la sua magia.

 

VALKYRIAN CROSS!

 

Takeru questa volta si trovò nella condizione di poter rispondere, e allungato il braccio sinistro generò davanti a sé una barriera che lo difese dai colpi di spada, poi, veloce come una tigre, evitò la colonna di fuoco generatasi dal terreno spiccando un salto altissimo, e contemporaneamente prese a sua volta ad infondere nella spada tutta il suo nuovo, ritrovato spirito di guerriero.

  «Ma che…» disse Selveria comprensibilmente attonita

 

TENMA SHOURYUSEN!

 

La testa di drago che faceva da spartiacque per la corrente di vento e magia era immensamente più grande di prima, e si infranse su una Selveria completamente indifesa con una forza tale da far agitare tutti gli alberi vicini, spogliandoli di tutte le loro foglie.

  Questa volta, malgrado il suo disperato tentativo di difendersi, la guerriera non poté fare assolutamente nulla per opporsi ad una così devastante furia distruttrice, e appena la situazione si acquietò Takeru la vide distesa a terra sulla schiena, sfinita e morente.

  Il ragazzo le si avvicinò, sempre tenendo il suo sguardo glaciale, e lei, sollevata debolmente la testa, sorrise.

  «Mi… mi sta bene così.

  Ti… ti sei battuto con grande valore. Sei un guerriero straordinario. Hai il mio rispetto.»

  «Anche tu hai dimostrato una grande forza.

  Impossibile che una persona dotata di un simile potenziale sia animata da sentimenti malvagi».

  Selveria parve stupita, e per un attimo parve già morta, poi dai suoi occhi scesero alcune lacrime.

  «Perché ti sei schierata con Seth?»

  «Io… ho sempre creduto che gli esseri umani fossero troppo abbietti ed egoisti per meritare il libero arbitrio.

  Per migliaia di anni… non hanno saputo far altro… che farsi la guerra l’un l’altro. Questo mondo ha conosciuto dolore e sofferenza come… nessun altro in tutto l’universo.

  Anche noi… però… abbiamo la nostra parte di colpe. Io… nel profondo del cuore… avevo paura che avreste finito per ripetere… i nostri stessi errori. E dentro di me, sentivo che non sarei stata capace di sopportarlo ancora. Per questo… ho cercato di cambiare le cose.

  Ma ora…» disse sfoggiando uno dei suoi ultimi sorrisi «Ho capito di essermi sbagliata. Fino a che… ci saranno al mondo… guerrieri come te, gli esseri umani avranno a disposizione la possibilità… di cambiare. Promettimi che non dimenticherai mai più quello che hai imparato oggi.»

  «Lo prometto».

  Di nuovo Selveria sorrise, poi, chinata la testa, esalò l’ultimo respiro, morendo serena.

  Toshio e gli altri, quando arrivarono nel luogo del combattimento, trovarono Takeru con il corpo della sua avversaria tra le braccia; nessuno volle fare domande, nessuno chiese spiegazioni, ma tutti videro qualcosa di nuovo e diverso nel loro amico, e fu preservato un rispettoso silenzio.

  Il fuuzetsu, con la morte del suo costruttore, cominciò a perdere di efficacia, minacciando di scomparire.

  «Toshio.» disse Takeru «Potresti per favore tenere in piedi questo fuuzetsu ancora per un po’?».

  Toshio fece cenno di sì, infondendo nella barriera energia sufficiente a resistere almeno per un’altra mezz’ora, quindi lui e gli altri presero a seguire Takeru come un composto e commosso corteo funebre.

  In pochi minuti raggiunsero una banchina del molo, e appena trovarono un vecchio barchino di legno destinato quasi sicuramente alla distruzione Takeru vi pose delicatamente dentro il corpo di Selveria, incrociandole le braccia sul petto e mettendole tra le mani l’elsa della spada.

  Anche nella morte quella giovane donna conservava tutto il suo fascino, quello splendore guerriero che da sempre contraddistingueva le leggendarie valkyrie, e non era un caso se lei portava il nome di una di esse, Sigfrida.

  Nadeshiko, quale segno di rispetto, le mise fra i capelli un fiore raccolto lungo il tragitto, quindi, quando si fu allontanata, Takeru circondò la sua katana di una debole fiamma, dando fuoco al telo vecchio e logoro su cui era adagiato il corpo, e subito dopo Toshio spinse la barca alla deriva.

  In pochi secondi, grazie anche al marciume e al vecchiume del legno, l’imbarcazione divenne una torcia nel buio, e i ragazzi continuarono a guardarla fino a che il bagliore, divenuto ormai un puntino luminoso nella notte, non si spense del tutto.

  Takeru non pianse, a differenza di molti suoi compagni, ma non era per questo meno triste.

  Dopotutto, Selveria non era stata altro che una vittima della follia di Seth, uccisa per un ideale tutto sommato nobile e degno di rispetto.

  Vendetta: quella sarebbe stata la nuova emozione che avrebbe segnato tutte le sue azioni da lì in avanti.

 

Nota dell’Autore

Eccomi qui!

Innanzitutto voglio fare a tutti i miei lettori, anche se con ventiquattro ore di ritardo, i migliori auguri di buona pasqua.

Spero che vi siate divertiti in questi giorni di vacanza, l’ideale per riposarsi un po’ prima del rush finale.

Questo capitolo lo avevo in testa già da un bel po’, e onestamente non vedevo l’ora di arrivarci, di conseguenza ne sono pienamente soddisfatto.

Ringrazio Cleo, Selly e Akita per le loro recensioni.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 19
*** Nebegi ***


18

18

 

 

«Prima Thanatos, adesso Selveria.» disse Seth durante l’ennesima riunione.

  Come al solito aveva la testa placidamente appoggiata su di una mano, e dal suo sorriso a metà tra il divertito e l’annoiato non sembrava che la morte di un altro dei suoi generali lo avesse turbato più di tanto.

  «Non c’è dubbio, abbiamo decisamente sottovalutato i nostri avversari.»

  «Due generali uccisi nel giro di pochi giorni.» disse Nepthys «È evidente che quei ragazzi possiedono un potenziale inimmaginabile.»

  «Era dai tempi della guerra sacra che non mi capitava di incontrare una simile resistenza, e la cosa si fa ogni giorno più divertente.

  La nostra comune amica ha scelto molto bene la sua squadra, questo glielo devo riconoscere.»

  «E adesso che si fa, mio signore?» domandò Cloto

  «Per il momento direi di lasciar perdere loro e concentrarci sugli altri potenziali avversari. A tal proposito, che notizie hai da riferirmi, Lachesi?»

  «La nostra spia ci ha fornito tutte le informazioni. Due partecipanti ancora in gara si trovano in questo momento a Madrid. Con loro c’è anche il ragazzo del Clan Yoshida.»

  «E del lanciere dei McLoan avete notizie?»

  «No signore, da quando ha abbandonato Vienna abbiamo perso le sue tracce. Ma è probabile che si metterà alle costole di Toshio e dei suoi compagni.»

  «Madrid, eh? Se non sbaglio è proprio lì che ho messo a nanna uno dei miei ultimi famigli.

  Potrei mandare avanti lui, per evitare di perdere qualcun altro dei miei preziosissimi generali.»

  «Mio signore.» disse Anubis «Non vi starete riferendo a Nebegi.»

  «Esattamente. Mi è stato molto utile nel corso della guerra sacra, e anche dopo averlo risvegliato qualche secolo fa ha fatto la sua bella figura eliminando quasi tutti i partecipanti al torneo.

  Proprio per questo ho preferito metterlo da parte, in previsione di un’eventualità come questa.»

  «Ma, Seth-sama…» disse Hypnos «Quella creatura è una bestia distruttrice. Una volta che si è messa in movimento niente può fermarla, neppure la vostra volontà.»

  «Il nobile Hypnos ha ragione.» disse Nepthys «Quel mostro è del tutto privo di controllo.»

  «Basterà sigillarlo nuovamente ad incarico concluso. Mi basta solo che uccida quanti più partecipanti possibile, e visto che al momento ce ne sono due proprio sopra la sua testa è un’occasione decisamente troppo allettante per lasciarla passare».

 

Venerdì 24 agosto

Madrid

Ore 22.43

 

Dopo essersi uniti in un’unica squadra Tadaki, Kazumi e Souma avevano lasciato Parigi, dove ormai non c’era più niente da fare, e si erano diretti a Madrid, da dove avevano sentito provenire la presenza di un altro partecipante al torneo.

  Una volta arrivati nella capitale spagnola, però, lo sconosciuto nemico aveva fatto perdere le sue tracce, come era naturale quando si voleva preparare una trappola, e tre giorni di ricerche in interrotte non avevano permesso di fare alcun passo avanti.

  La sera del terzo giorno, al termine dell’ennesima ronda inconcludente, Souma e Tadaki decisero di concedersi un drink in un piccolo bar senza troppe pretese gestito dal sovrintendente locale al torneo, un uomo di nome Miguel, i cui trascorsi da legionario erano quantomeno evidenti sia dalla pettinatura militare sia dal suo fisico possente.

  Kazumi invece era rimasta in albergo, protetta a vista da Touka e Shaina, il famiglio di Souma che aveva salvato Tadaki all’ultimo secondo al termine del suo scontro con Atarus.

  In occasione del torneo Miguel aveva chiuso al pubblico il suo locale in modo da rendere più facile la sua attività di osservatore, questo grazie anche ai sovrani dei clan che avrebbero provveduto a rimborsargli il guadagno mancato, di conseguenza quella sera gli unici clienti erano loro due, seduti al bancone.

  A tenere loro compagnia c’era anche Sarah, il famiglio di Miguel, che quando il locale era aperto lavorava anche come barman e dj, riscuotendo un certo successo tra i ragazzi; a giudicare dalla coda curva che sbucava dai pantaloncini doveva essere stata creata partendo da una scimmia, e nel puro rispetto delle proprie origini preferiva giocare e ballare al ritmo della musica proveniente dalla radio piuttosto che spazzare i pavimenti come le era stato ordinato.

  «Sarah!» gridò ad un certo punto Miguel tirandole uno straccio «Smettila di ciondolare e datti da fare!»

  «Ok, capo.» rispose lei avvilita

  «E non fare quel muso da bimba innocente, perché non ci casco.

  A volte mi chiedo cosa mi passava per la testa quando l’ho creata.» disse poi rivolto ai suoi ospiti

  «Certo però che tu e Sarah mi fate un po’ di invidia.» disse Tadaki sorseggiando un po’ del suo analcolico «Sembrate andare così d’accordo.»

  «Se vuoi facciamo a cambio. Potessi averlo io un famiglio obbediente e affidabile come Touka, non mi toccherebbe redarguirla ogni tre secondi.»

  «Non crederci. Anche Touka diventa intrattabile quando si punta coi piedi.

  A proposito, grazie per quello che stai facendo.»

  «Non dirlo nemmeno. Ho un debito a vita con la famiglia Yoshida.

  Quando sono stato spedito nel Golfo e ci ho quasi rimesso la pelle, è stato tuo padre a tirarmi fuori da quell’inferno. Per qualsiasi cosa non esitare a chiedere.»

  «Ti manca la vita del legionario?»

  «Qualche volta.»

  «Ho sentito una storia sul tuo conto da mio zio.» intervenne Souma «Pare che saltuariamente Lei lavori per i servizi segreti spagnoli.»

  «Me la so ancora cavare, e quando serve prendo a calci qualche culo ETA.

  È un modo come un altro per tenersi in esercizio».

  Seguì un attimo di silenzio, poi Tadaki si rivolse a Souma.

  «E pensare che avevo promesso a Toshio che ci saremmo sfidati nuovamente. Lo stavo quasi per sconfiggere.

  Invece, eccoci qui. Io eliminato, lui trionfatore sul temutissimo villaggio di Kotelnyj.»

  «Quella vittoria mi ha molto sorpreso, lo confesso. Quando l’ho incontrato a Venezia, anche se non ci ho combattuto, non credevo che sarebbe arrivato così lontano.

  Izumi è davvero una grande maestra.»

  «Non credo sia solo per questo.»

  «Che intendi dire?»

  «Non saprei come spiegartelo. Prova ad immaginarlo come una tigre inseguita dai cacciatori. Più volte lo colpisci, più violenta e determinata è la sua reazione.»

  «Mi piace questo paragone. In tal caso, posso capire come mai tu cercassi la rivincita.

  Ma comunque, non è mica obbligatorio che la vostra sfida dovesse avvenire per forza nell’ambito del torneo. Potrai sfidarlo quando sarà tutto finito.»

  «Sì, forse. Ma non credo avrebbe lo stesso significato».

  In quella, la campanella che pendeva sopra la porta d’ingresso tintinnò, facendo girare i due avventori; nel locale era arrivato un ragazzino che doveva avere al massimo sedici o diciassette anni.

  Non molto alto, aveva capelli castani un po’ lunghi, occhi giallo ambra e un’aria a metà tra lo sbarazzino e lo spaccone; vestiva con abiti cinesi, con una fascia bianca annodata sulla fronte, e dietro la schiena portava un grosso esemplare di dao, piuttosto grande rispetto ai canoni, riposto nel suo fodero.

  Appena entrato si guardò un momento intorno, come se stesse assaporando le occhiate perplesse dei presenti; persino Sarah aveva smesso per un attimo di giocare e si era concentrata su di lui.

  «Scusate il disturbo.» disse con un sorriso forse un po’ provocatorio, carico di sfida «Per caso qui c’è qualcuno che risponde al nome di Tadaki Yoshida?».

  Tadaki e Souma si interrogarono con lo sguardo, un po’ indecisi sul da farsi, poi l’interpellato si alzò dal proprio sgabello e fece qualche passo nella sua direzione.

  «Sono io Tadaki.

  Posso fare qualcosa per te?»

  «Certo che puoi.» rispose quello sorridendo ancor più vistosamente.

  Un istante dopo il ragazzo schizzò in avanti e sfoderò il suo dao, menando un fendente che per fortuna andò a vuoto; Tadaki riuscì a schivare senza troppi problemi sia quel colpo che tutti i successivi, ma evitò di mettere mano alle due spade che aveva con sé, e che in quei giorni si erano ormai completamente ristabilite.

  «Che stai facendo?» domandò dopo essere atterrato su un tavolo schivando l’ennesimo attacco «Io ormai sono stato eliminato dal torneo.»

  «Il torneo non c’entra. Devi sapere che il tuo antenato ha sconfitto il mio nell’ultima competizione, e io sono qui per vendicare quell’offesa.

  Inoltre ho saputo che te la sei cavata egregiamente contro McLoan, e a me piace sfidare chi dimostra di essere in gamba».

  Il ragazzo attaccò di nuovo ma l’unica cosa che affettò fu il tavolo perché Tadaki, con un nuovo salto, raggiunse direttamente il bancone; Souma assisteva senza interferire, e anzi pareva godersi la scena, come pure Sarah; Miguel invece stava andando fuori dai gangheri, e continuava a urlare di non distruggerli il locale.

  «Lo riconosco, sei bravino. Vorrà dire che farò sul serio».

  Detto questo il ragazzo assunse una posa insolita, simile alla posizione della tigre, e il suo dao prese a caricarsi di una tenue fiamma azzurra.  Tadaki dal canto suo aveva già messo le mani sull’impugnatura delle sue spade, pronto a sfoderarle in caso di necessità.

  Poi, tutto d’un tratto, qualcuno arrivò alle spalle dell’aggressore e gli mollò un poderoso pugno in testa, distruggendo in un istante l’atmosfera tesa e spasmodica che si era venuta a creare; responsabile di quell’interruzione era una ragazza alta e magra molto carina e dall’aria sbarazzina, con capelli di un colore nero tendente al blu che arrivavano a metà della schiena raccolti in una treccia e occhi ambrati.

  Vestiva con il classico abito da lotta cinese attillato e senza maniche con sopra la giacca rossa di un kimono aperta e lasciata cadere in parte sulle spalle.

  Si trattava senza dubbio di un famiglio, e a giudicare da quella coda sottile e dalle orecchie rivolte verso il basso, queste ultime caratterizzate da striature nere e aranciate, doveva essere stata creata partendo da una tigre.

  «Adesso dacci un taglio, Ryu-o.» disse in modo scherzoso «Non ci fai una bella figura.»

  «Ka… Kagura!» protestò lui tenendosi la testa «Che ti salta in mente?»

  «Questo non è né il momento né il luogo per combattere.»

  «Però… però io…»

  «Vogliate perdonare il mio irruente padrone.» disse poi rivolgendosi ai ragazzi «È un bravo guerriero, ma anche una vera testa calda.»

  «Ce ne siamo accorti.» rispose Souma accennando una risatina

  «Scusate, non ci siamo presentati. Io sono Kagura, e lui è Ryu-o.»

  «Venite da Xi-Siang, giusto?» domandò Tadaki

  «Esatto. Voi invece dovete essere i rappresentanti del Clan di Veda e del Clan Yoshida.»

  «Hai indovinato.» rispose Souma.

  Per farsi perdonare del disastro combinato Ryu-o accettò di rimettere tutto a posto, e mentre lui lavorava Kagura, seduta accanto ai due ragazzi, si scolava una bottiglia di sakè dietro l’altra.

  «Ah, ci voleva.» disse tracannando l’ennesimo bicchiere «Sua madre mi ha incaricato di tenerlo d’occhio, ma a volte è così difficile.»

  «Ehi, non parlare di me come se fossi un bambino!» protestò Ryu-o

  «Perché, che cosa saresti!? Uno che attacca briga col primo che vede campando le scuse più assurde come lo si potrebbe definire?»

  «Dannato gattaccio…» ringhiò il ragazzo a denti stretti «Uno di questi giorni ti strapperò la coda!»

  «Dovete sapere che Ryu-o ha preso tutto da suo padre. Non perde occasione per mettersi alla prova.»

  «Il che non può essere definito un male.» commentò Tadaki

  «Forse, ma la moderazione non è mai troppa.»

  «Proprio tu mi parli di moderazione!» tuonò Ryu-o, procurandosi una bottiglietta di sakè dritta in faccia

  «Che intende dire?»

  «Oh, niente di che. Non fateci caso. Ama dar fiato alla bocca».

  D’improvviso, tutti gli ospiti del locale vennero messi in allarme da una sensazione molto sgradevole, e pochi istanti dopo il terreno prese a tremare come durante un violento terremoto; i lampadari oscillavano, bottiglie e bicchieri cadevano dai ripiani, sedie e tavoli si ribaltavano.

  «Ma cosa…» disse Tadaki cercando di stare in piedi «Che sta succedendo!?».

  Mentre la scossa era ancora in corso un fuuzetsu avvolse il locale e l’aria venne letteralmente squarciata da un ruggito simile a quello di un leone, ma di una forza e di una violenza impensabili per un semplice animale.

  «Che diavolo era quello?» domandò Ryu-o.

  Lui e gli altri presero di corsa la porta ed uscirono all’esterno, trovandosi di fronte ad uno spettacolo agghiacciante.

  A poche centinaia di metri da loro, nei pressi di Plaza de Castilla, era apparsa una creatura mostruosa, così alta ed imponente da sovrastare i palazzi per quasi metà del suo corpo.

  La postura era quella di una scimmia, ma la pelle, verde e squamosa, ricordava quella dei rettili; le braccia erano sproporzionatamente lunghe, piegate ad angolo retto, e poggiandosi a terra fornivano un’ulteriore base di appoggio oltre alle gambe, che invece erano di misura piuttosto ridotta rispetto alla dimensioni del corpo.

  La testa ricordava, con molta fantasia, quella di un uomo, ma la bocca era armata di due file di denti sporgenti e affilatissimi, gli occhi invece erano due semisfere rosso sangue che emergevano subito sopra di essa.

  Aveva anche una lunga coda da coccodrillo e la postura, dovendo tenere le braccia a terra, era un po’ gobba, il che gli conferiva una parvenza ancor più imponente e minacciosa.

  «Dio santo, che roba è?» domandò Miguel

  «Quello è Nebegi.» disse attonito Tadaki

  «Nebegi!?» ripeté Ryu-o

  «È stato il famiglio di Seth nella guerra sacra. Pare che in uno degli ultimi tornei abbia fatto strage dei concorrenti.»

  «Scherzi, è davvero così forte!?».

  In quella sopraggiunsero anche Touka e Shaina, che appena arrivate presero subito la loro forma umana.

  «Master!» disse Touka

  «Dov’è Kazumi!?» fu la prima domanda di Tadaki

  «Non c’è da preoccuparsi.» rispose Shaina «L’albergo è rimasto fuori dal fuuzetsu.»

  «Meglio così. Dobbiamo fermare questo mostro prima che distrugga tutta la città.»

  «Ma ne saremo capaci?» chiese Souma «Se è così forte come dici, non sarà una sfida da poco».

  Ryu-o, al contrario, invece di preoccuparsi fece scricchiolare le ossa delle dita.

  «Non avrei potuto chiedere di meglio.» disse soddisfatto «Questa sì che sarà una bella sfida.»

  «Per una volta sono d’accordo con te.» commentò il suo famiglio.

  Tadaki e Souma si guardarono un momento tra di loro per poi interpellare con lo sguardo i rispettivi famigli, che fecero entrambi un cenno di assenso.

  «D’accordo, proviamoci.» disse Tadaki «Ma dobbiamo essere cauti. La prima cosa da fare è avere un quadro preciso delle sue capacità.

  Ryu-o, io e Souma andremo in avanscoperta assieme ai nostri famigli. Tu e Kagura rimanete indietro e attendete istruzioni.»

  «Ehi, che storia è questa!? Ci stai sbattendo in panchina!?»

  «D’accordo, come vuoi tu.» rispose Kagura mollando un nuovo pugno in testa al suo master per zittirlo «Ma mi raccomando, lasciate qualcosa anche per noi.»

  «Puoi giurarci.»

  «Miguel.» disse Souma «Tu avverti il maestro Akunator a Nepthys di quanto sta succedendo. Vorrà saperlo.»

  «Lasciate fare a me. Io e Sarah verremo ad aiutarvi appena possibile.

  Andiamo Sarah!»

  «Ok, boss.» rispose lei seguendo nuovamente Miguel dentro il locale.

 

Appena Souma e Tadaki raggiunsero il mostro questi cessò subito di dimenarsi furiosamente da tutte le parti, distruggendo ogni cosa trovasse sul suo cammino, e si concentrò immediatamente su di loro.

  «Ormai è chiaro che stava cercando proprio noi.» disse Souma sguainando la spada

  «Facciamo attenzione, non conosciamo con esattezza le sue capacità».

  Nebegi lanciò nuovamente il suo urlo assordante, e subito dopo dalla sua schiena spuntarono una coppia di tentacoli che, come micidiali fruste, presero a fendere l’aria muovendosi a grandissima velocità; i due ragazzi evitarono di venire colpiti saltando lateralmente, ma l’urto delle fruste contro il terreno fu così forte da provocare una coppia di voragini parallele lunghe diversi metri.

  Mentre era ancora in aria Souma prese due lame a mezzaluna dalla cintura e le lanciò con precisione chirurgica, recidendo entrambi i tentacoli, mai monchi così prodotti subito ne emersero altri due, uno dei quali riuscì purtroppo a colpirla, scaraventandola con forza sul tetto di un palazzo.

  «Souma!».

  Tadaki cercò di correre ad aiutarla, ma il mostro non aveva intenzione di lasciarlo scappare e sollevata una delle sue enormi mani a quattro dita gliela scaraventò sopra come a volerlo schiacciare come una volgarissima formica.

  Il ragazzo riuscì a mettersi in salvo spostandosi all’indietro, e mentre la mano del nemico era ancora a tiro vi conficcò dentro una coppia di shuriken, ma questo parve avere come unico effetto quello di far infuriare Nebegi ancora di più.

  Altri due tentacoli si generarono da sopra la schiena e si diressero verso Tadaki; il ragazzo riuscì a schivarne uno, saltando e recidendolo subito dopo con un preciso colpo di spada, ma l’altro riuscì ad avvinghiarsi attorno al suo collo e prese a stringere con una forza inaudita.

  Tadaki cercava di liberarsi, ma la forza della stretta era tale che non riusciva praticamente a respirare; fortunatamente dopo poco Touka arrivò in suo soccorso, affettando anche il secondo tentacolo e liberando il suo padrone.

  «Master, state bene?»

  «Sì, grazie».

  Contemporaneamente anche Shaina giunse in soccorso di Souma, che ancora un po’ debilitata dal colpo ricevuto si manteneva in ginocchio, e generate delle fiamme tutto intorno a sé lanciò contro Nebegi un poderoso vortice di fuoco.

  Ancora una volta l’attacco parve non sortire alcun effetto, ma se non altro distrasse Nebegi quel tanto che bastava da permettere a Touka di avvicinarsi e di menare un fendente che gli ferì una gamba, procurando al nemico una nuova distrazione oltre ad un certo quantitativo di dolore.

  «È forte.» disse Tadaki appena lui e Souma si furono riuniti

  «Anche troppo forte. Più lo colpiamo più sembra diventarlo».

  Il mostro, che da qualche secondo si teneva a distanza, ringhiò per la terza volta, e spalancata la bocca sputò una sorta di vortice nero dalla terribile potenza distruttiva, capace di sradicare alberi e far volare persino un autobus.

  Shaina evocò una barriera che difese tutti quanti, ma la forza del vento fu tale che alla fine lo scudo cedette e i ragazzi vennero violentemente sbalzati all’indietro assieme ai loro famigli.

  Souma e Shaina riuscirono ad aggrapparsi alla parete di un edificio, Touka invece piantò con forza la sua spada a terra e, tenendola con una mano, con l’altra afferrò il suo padrone, ed entrambi i gruppi riuscirono a resistere fino a che l’attacco ebbe fine.

  «Souma, Shaina!» gridò Tadaki cercandole fra il fumo e le fiamme dei piccoli incendi generati dalla rottura di alcune tubature «State bene?»

  «Sì, tutto a posto!» rispose Souma rimettendosi in piedi «Ma un altro attacco del genere e finiamo dritti all’altro mondo.»

  «D’accordo. Dobbiamo cercare di stancarlo il più possibile. Lanciamo degli attacchi sporadici e poi ritiriamoci. Questo se non altro ci farà guadagnare un po’ di tempo.»

  «Va’ bene, proviamo a fare come dici tu. Anche perché io, sinceramente, non ho idee».

  La tattica di Tadaki non si poteva certo definire coraggiosa, ma se non altro ebbe l’effetto, come preannunciato, di far guadagnare tempo.

  Formata una solida linea d’attacco i due guerrieri e i loro famigli si davano il cambio nell’attacco, avvicinandosi e colpendo per poi arretrare; Nebegi dal canto suo sembrava non essersi accorto che si trattava di uno stratagemma, e un passo alla volta prese a star dietro alle sue prede, senza rendersi conto che più li inseguiva più si inoltrava nel fitto della città, lontano da quella piazza larga e spaziosa dove invece avrebbe avuto gioco facile.

  Sfortunatamente, per quanti attacchi riuscissero a muovergli contro, nessuno di questi risultava abbastanza incisivo da potergli infliggere dei danni degni di nota, e intanto i ragazzi stavano cominciando seriamente a stancarsi, per non parlare del fatto che quelle due o tre volte in cui erano stati colpiti facevano sentire sempre più i loro effetti.

  Ad un certo punto, nella loro corsa all’indietro che ormai si era quasi trasformata in una fuga mascherata, Souma e Tadaki trovarono la loro via sbarrata da Kagura; la ragazza aveva in mano una spada gigantesca, una vera e propria mazza metallica con un bordo smussato ed un altro affilato. Doveva pesare diverse decine di chili, eppure lei riusciva a maneggiarla con una sola mano senza apparente difficoltà.

  «Ehi voi!» gridò «Fatevi da parte!».

  Appena videro l’arma della loro nuova amica circondarsi di un gigantesco alone azzurro e un circolo magico comparirle sotto i piedi capirono subito quali fossero le sue intenzioni e immediatamente si fecero da parte.

  «Prendi questo, bestione!».

 

SOUL BREAKER!

 

L’incantesimo prese la forma di una gigantesca falce luminosa, a cui Nebegi oppose il vortice nero emesso dal suo ruggito; ne nacque uno scontro di forze così potente da far crollare i palazzi circostanti, ma fra i due avversari sembrava esserci perfetto equilibrio.

  A rompere quel gioco delicato di forze contrapposte ci pensò Ryu-o, che apparso dal nulla sul tetto di un edificio si lanciò senza timore sopra il mostro mentre anche la sua spada veniva avvolta dallo stesso alone azzurro.

 

KAIOUJIN!

 

Questa volta il colpo inflitto a Nebegi fu davvero incisivo, tanto da provocargli un grosso squarcio sulla schiena; inoltre la creatura, incassando il colpo di Ryu-o, si ritrovò a prendere su di sé anche quello di Kagura, che distrutto il muro di vento si abbatté sul nemico provocando una grande esplosione di luce.

  «Caspita, che potenza.» commentò Souma.

  Lei e gli altri raggiunsero rapidamente Kagura e Ryu-o, e per un attimo sembrò quasi che il mostro fosse davvero stato sconfitto.

  «Siete stati incredibili.» disse Shaina «Mai visto niente del genere.»

  «Speriamo solo che sia bastato a stenderlo.» disse Ryu-o «Per lanciare quell’attacco mi sono quasi spompato».

  Invece, dal fumo, sbucò di colpo una coppia di tentacoli che investì l’intero gruppo uno ad uno, e subito dopo Nebegi riapparve in tutta la sua imponenza, più agitato e infuriato che mai.

  «Maledizione.» mugugnò Ryu-o cercando di rialzarsi «Quel coso non vuole proprio morire.»

  «E adesso… e adesso che facciamo?» chiese spaventata Shaina.

  Nebegi fece per sferrare ai suoi avversari il colpo di grazia, ma prima che potesse riuscirci qualcosa lo colpì ad un fianco, provocando una grande esplosione e facendogli un gran bel danno.

  «Ma che…» disse sorpresa Touka.

  Tutti alzarono gli occhi in una direzione, e su di un tetto lì vicino videro Sarah con in mano un enorme fucile anticarro più grosso di lei ma che la ragazza riusciva a maneggiare senza difficoltà, probabilmente grazie alla grande forza propria delle scimmie.

  «E vai, centrato!» disse espellendo la cartuccia vuota ed infilandone subito un’altra

  «Sarah!» esclamò Tadaki.

  Un istante dopo un razzo lanciato con un RPG da Miguel, a sua volta appostato su di un tetto vicino, andò a rincarare la dose, fiaccando ulteriormente il mostro.

  «Ragazzi, è arrivata la cavalleria!».

  «A buon rendere, Miguel!» disse Souma

  Nebegi, infuriato per i colpi ricevuti, concentrò la sua attenzione su Sarah, che vedendo quel mostro venirle contro camminando in mezzo ai palazzi per un attimo ebbe seriamente paura; per inseguire lei, però, il mostro diede la schiena a tutti i suoi avversari, che immediatamente ne approfittarono.

  Il nemico venne colpito più e più volte, grazie anche ad una collaborazione perfetta tra i membri del gruppo, capaci di eseguire ottimi attacchi combinati.

  «Forza, ragazzi!» disse Tadaki «Abbattiamo questo mostro maledetto!».

  Souma, Ryu-o e Tadaki circondarono rapidamente Nebegi, e altrettanto fecero i loro famigli, quindi, contemporaneamente, partirono tutti all’attacco.

  Per prima colpì Kagura, infliggendo un taglio profondo subito sotto l’ascella sinistra, poi fu il turno di Touka, che colpì invece il petto; Nebegi, urlante, barcollò vistosamente, ma fu violentemente ricacciato in avanti dall’attacco di Souma, che gli piantò nella schiena un dedalo di lame a mezzaluna, quindi Touka si arrampicò sul corpo del mostro e gli piantò la spada nel collo fino all’elsa prima di ritirarla e saltare giù.

  Shaina fece cadere dal cielo un esercito di meteore roventi che colpirono ripetutamente Nebegi, arrivando anche ad accecarlo, ed infine Ryu-o, spiccato un salto altissimo, caricò di nuovo il suo colpo più potente.

 

KAIOUJIN!

 

L’energia sprigionata dall’attacco si rivelò molto più potente e micidiale della prima volta, tanto che Nebegi venne letteralmente schiacciato sotto di essa, ed essendo già enormemente debilitato per tutti i colpi subiti l’attacco di Ryu-o si rivelò per lui fatale, riducendolo in polvere.

  I ragazzi aspettarono che il polverone si fosse diradato un po’ prima di diradarsi, e quando finalmente furono in grado di vedere abbastanza bene al posto di Nebegi c’era solo un’immensa voragine.

  «Ce… ce l’abbiamo fatta…» disse Souma

  «Così pare.»

  «Beh.» disse Ryu-o con aria spavalda «Non è stato poi così difficile».

 

Grazie agli effetti regressivi del fuuzetsu la città venne completamente riedificata, e una volta che il tempo ebbe ripreso a scorrere i ragazzi si ritrovarono nuovamente al bar di Miguel.

  «E va’ bene, per questa volta è andata così.» disse Ryu-o rinfoderando il dao «Ero venuto qui nella speranza di aggiungere una tacca sull’impugnatura, ma a quanto pare tornerò indietro a mani vuote.»

  «Se vuoi combattere, per me va’ più che bene.» rispose Souma, anche se nessuno dei due pareva seriamente intenzionato a prendere questa strada

  «Non scherziamo. Per stasera direi che basta e avanza. E poi non posso certo combattere con la stessa persona con cui ho collaborato fino a un attimo fa. Non sarebbe etico.»

  «Senti, senti.» disse Kagura «E da quando in qua ti importa qualcosa dell’etica?»

  «Tu taci, gattaccio».

  Quel gattaccio gli costò l’ennesimo pugno in testa.

  «Poi facciamo i conti, tigre dei miei stivali!»

  «Beh, è stato un piacere conoscerti.» disse Tadaki porgendogli la mano

  «Anche per me.» rispose lui stringendola con forza «E non illuderti, la prossima volta andrò fino infondo.»

  «Ci conto».

  Souma e Tadaki aspettarono fino a che il loro nuovo amico non se ne fu andato, poi tornarono a sedersi agli stessi sgabelli che stavano occupando un attimo prima che avesse inizio quella serata tanto movimentata.

  «Strano tipo, non trovi?»

  «Strano e interessante.» replicò Souma

  «Non c’è dubbio, questo torneo si sta rivelando molto più interessante e particolare di tutti quelli disputati finora.»

  «Su questo non posso che darti ragione.»

  «Allora ragazzi.» disse Miguel uscendo dal retrobottega «Che vi porto?»

  «Martini.» rispose Tadaki «Liscio.»

  «Lo stesso.»

  «Arrivano».

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!

Ancora una volta mi sono fatto attendere, ma a complicare le cose ci si è messa un’influenza fuori stagione che per qualche giorno mi ha tolto del tutto la voglia di scrivere.

Avverto subito che non sono molto soddisfatto di questo cap, che considero come di semplice evasione dalla normale linea narrativa.

Col prossimo invece torneremo a concentrarci sulle vicende di Toshio e del suo gruppo, e ora posso affermare con sicurezza che alla fine di questa storia mancano, incluso l’epilogo, esattamente 13 capitoli.

Ringrazio Selly, Akita, Cleo e Lewski per le loro recensioni.

A presto

Carlos Olivera

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Capitolo 20
*** Emozioni Contrastanti ***


19

19

 

 

Con la sconfitta di Ilya e il completo ristabilisti delle condizioni di Toshio non c’era più alcun motivo per rimanere in Olanda, di conseguenza Keita e gli altri, recuperate le proprie cose, avevano deciso di mettersi nuovamente in marcia.

  Questa volta però non si sarebbero messi sulle tracce di qualche altro partecipante, bensì si sarebbero spostati per primi e avrebbero fatto in modo che fossero gli altri a venire da loro, e la scelta era ricaduta su Londra.

  Per questo, il giovedì mattina, avevano lasciato il loro albergo di Amsterdam e si erano diretti al Luchthaven Amsterdam-Schiphol, e visto che la loro destinazione era la capitale inglese trovare un volo in partenza in tempo utile non sarebbe stato certamente un problema.

  Dopo solo un’ora i cinque ragazzi più Aria e Lotte, che ormai avevano acquisito abbastanza esperienza da acquisire una forma totalmente umana, avevano già sette posti prenotati su un aereo in partenza per il primo pomeriggio, quindi l’unica cosa da fare a quel punto era mettersi in attesa.

  «Ora che ci penso.» disse ad un certo punto Keita «Shinji, tu hai vissuto per molti anni in Inghilterra, giusto?»

  «Esatto.» rispose lui dopo aver fatto una strana espressione, una specie di smorfia appena percettibile sotto quel suo permanente sorriso, gesto che tuttavia non sfuggì a Toshio «Mia madre era inglese, e fino agli otto anni ho vissuto nel Galles.»

  «Dicci allora. Com’è Londra?»

  «Beh, di Londra non è che ne sappia molto. Ci sono stato solo un paio di volte. Comunque posso dire con certezza che è una città molto frenetica, ma per certi versi anche molto suggestiva.»

  «I miei genitori ci sono stati durante il loro tour dell’Europa.» disse Nadeshiko «Ho visto una loro foto che si sono fatti davanti a Buckingham Palace.»

  «Resteremo lì almeno una settimana.» disse Toshio «Il tempo per girovagare fra parchi e musei non vi mancherà di certo.»

 «Ma non potresti cercare di essere un po’ meno freddo?» domandò Lotte «Alle volte fai invidia ad un cubetto di ghiaccio.»

  «Ho detto qualcosa di sbagliato?» domandò il ragazzo come se non si fosse reso conto del modo distaccato e disinteressato con cui aveva parlato

  «Lasciamo perdere, è meglio.» rispose Aria passandosi una mano sulla fronte e provocando una risata collettiva

  «Fatevi un’altra risata.» sbuffò Toshio arrossendo leggermente, ma subito dopo il senso di tranquillità che, tutto sommato, gli aveva permesso di rilassarsi almeno un po’ scomparve di colpo, soffocato da una sensazione molto famigliare.

  «Che succede?» domandò Keita vedendolo scattare in piedi, ma la risposta alla sua domanda venne quando l’intero aeroporto venne avvolto in un grande fuuzetsu

  «Ma è mai possibile che non si possa avere un attimo di tregua?» disse Shinji

  Toshio avvertì subito qualcosa di strano in quel fuuzetsu, qualcosa di famigliare.

  “Che cos’è questa sensazione?”

  «Credete che sia qualche altro partecipante al torneo?» domandò Keita

  «Non credo.» rispose Nadeshiko «Lo sapete, loro evitano di combattere di giorno e in luoghi molto affollati.»

  «A meno che non si tratti di Atarus.» commentò Takeru mettendo mano alla sua spada.

  No, certamente il responsabile di quel nuovo imprevisto non era Atarus; ormai Toshio conosceva bene la sua emanazione magica e poteva dire con assoluta certezza che il lanciere dei McLoan non c’entrava nulla in quella faccenda, ma si trattava comunque di un potere molto famigliare.

  Poi, come un lampo, un pensiero gli attraversò la mente.

  Quell’energia, quell’emanazione: era inevitabile che la conoscesse!

  Eppure, non voleva crederci. Che motivo poteva esserci per un evento simile? Era inconcepibile!

  “Non può essere!” pensò atterrito, e come se avesse avuto il diavolo in corpo cominciò a correre in direzione della fonte del potere

  «Toshio, dove stai andando!?» domandò Nadeshiko andandogli dietro assieme agli altri.

  Il ragazzo però non sembrava sentirla, e procedeva imperterrito senza neanche curarsi delle persone che incontrava lungo la sua strada, immobilizzate dall’incantesimo, che scostava a spallate buttandole a terra.

  La sua corsa si concluse nel grande atrio situato al centro della struttura, dalla cui immensa parete a vetri si aveva una spettacolare panoramica delle piste di decollo; un aereo della Lufthansa, per effetto del fuuzetsu, era fermo a mezz’aria, con il muso sollevato e le ruote posteriori ancora appoggiate a terra, un altro invece dalla parte opposta era stato congelato in fase di atterraggio.

  Fino all’ultimo aveva sperato di sbagliarsi, ma non appena vide la figura che si stagliava dinnanzi a lui, osservandolo dall’alto della balconata superiore a braccia conserte con il suo sguardo di ghiaccio, fu costretto ad ammettere che la sua impressione si era rivelata esatta.

  «Ne è passato di tempo, Toshio.»

  «Allora è vero.» disse guardandolo «Questo è opera tua».

  I suoi compagni lo raggiunsero in quello stesso momento, proprio mentre lui pronunciava il nome del misterioso individuo.

  «Sanak!»

  «Che cosa!?» disse Nadeshiko, la sola a conoscere quel nome «Quello è Sanak!?»

  «Ma chi è quel tipo?» domandò Shinji

  «È Sanak, il fratello minore di Toshio.»

  «Che cosa, suo fratello!?».

  Il ragazzo saltò giù dal balcone, atterrando proprio davanti a loro, e subito mise mano alla sua spada.

  «Sanak, che significa tutto questo?» domandò Toshio

  «Non lo immagini?» rispose lui facendo qualche passo avanti.

  Toshio avvertiva distintamente l’aura minacciosa che circondava il fratello, ma ciò nonostante non fu capace di fare qualunque cosa per tentare di contrastare ciò che era certo stesse per succedere, così, quando alla fine Sanak lo attaccò, l’unica cosa che poté fare fu saltare lateralmente per evitare il colpo.

  «Che ti prende, fratello?»

  «Quante volta dovrò ripetertelo?» replicò Sanak fissandolo con ostilità «Tu e io non siamo fratelli!».

  Al secondo attacco, stavolta molto più pericoloso e potenzialmente mortale, Toshio si vide costretto a reagire, e materializzata la spada la usò per fermare un secondo fendente.

  «Perché stai facendo questo?» chiese intraprendendo un violento scontro di forza

  «Siamo solo all’inizio!».

  Istintivamente Keita e Nadeshiko cercarono di intervenire, ma Takeru fermò entrambi.

  «Aspettate. Non è il caso.»

  «Ma, Takeru…» disse Keita

  «Questo è il suo scontro. Noi dobbiamo restarne fuori.»

  «Però…» balbettò Nadeshiko.

  Lo scontro fra i due fratelli si fece in pochi minuti estremamente violento, ma a differenza di Sanak Toshio non sembrava avere alcuna intenzione di attaccare, limitandosi a rimanere sulla difensiva lanciando solo occasionalmente qualche attacco che però risultava facilmente schivabile.

  «Che ti succede, Toshio?» domandò Sanak intraprendendo un nuovo scontro di forza «Non sai fare meglio di così?»

  «Sanak… non posso…»

  «Non puoi cosa? Combattere con me? A tal punto mi ritieni inferiore?».

  Allontanato con rabbia, Toshio ricevette un calcio così potente da farlo volare via come una foglia secca, e sfondato il vetro panoramico precipitò sopra un piccolo aereo turistico prima di cadere definitivamente sull’asfalto; la sua forza e la sua esperienza gli salvarono le ossa, ma fu comunque un colpo durissimo.

  Con un nuovo salto Sanak lo raggiunse proprio mentre cercava, a fatica, di rimettersi in piedi.

  «Sanak… ascoltami…»

  «Il tempo delle parole è finito da un pezzo per noi due».

  Il fratello minore attaccò per l’ennesima volta, e stavolta sembrava seriamente intenzionato a chiudere la partita, ma inaspettatamente questa volta la reazione di Toshio fu determinata e massiccia di prima, tanto che, dopo aver parato il fendente, mise tanta di quella forza nel respingere l’arma del nemico che Sanak per poco non cadde all’indietro.

  «Mi costringi a difendermi.»

  «Era ora che facessi sul serio».

  Da quel momento in avanti la reazione di Toshio fu più determinata e organizzata, anche se continuava insistentemente a difendersi, impegnando il fratello in alcuni scambi per poi allontanarsi improvvisamente, forse nel tentativo di stancarlo.

  La loro corsa senza fine da una parte all’altra li condusse ad un certo punto prima sull’ala e poi sul tetto di un enorme jumbo, e nel frattempo Keita e gli altri avevano raggiunto a loro volta le piste, continuando però a rimanere in disparte.

  «Sono davvero colpito.» disse Sanak in un momento di tregua «L’ultima cosa che mi aspettavo da te era che rimanessi così ostinatamente sulla difensiva. Cosa è mai successo in questi anni per farti cambiare fino a tal punto?»

  «Sanak. Ti ho detto che non voglio combattere con te.»

  «Questa tua compassione ha sempre avuto un unico effetto, quello di farmi irritare oltre ogni limite. Se è l’istinto fraterno a trattenerti, allora faresti meglio a ricordarti che tu e io fratelli non lo siamo mai stati.»

  «Forse non di sangue. Ma dal punto di vista del legame, io ti ho sempre considerato come un fratello.»

  «Ma davvero?» replicò Sanak con marcato sarcasmo «E come fai ad esserne così sicuro, visto che i tuoi ricordi si fermano a tre anni fa?»

  «Ricordo quello che basta. So bene di non possedere il tuo stesso sangue, e di non discendere come te dalla gloriosa dinastia dei sovrani di Nepthys. Questo però non cambia nulla fra noi due. Sei mio fratello, e nessuno mi convincerà mai del contrario.»

  «Se davvero ritieni di essere mio fratello, allora dovresti capire il motivo del mio odio verso di te. Come hai detto tu, io sono l’ultimo discendente della stirpe reale di Nepthys. Fin da quando sono stato in grado di camminare mi sono dedicato anima e corpo al raggiungimento della perfezione. Poter partecipare a questo torneo è il sogno di ogni abitante della nostra città. Era anche il mio, ma poi sei arrivato tu e me l’hai portato via!»

  «Io capisco quello che provi, e capisco che tu ti senta offeso oltre ogni limite, ma se vuoi credere alle mie parole sappi che mi dispiace molto per quello che hai dovuto passare quando nostro padre ha deciso di farmi partecipare a questo torneo al posto tuo.

  Io ho cercato in tutti i modi di convincerlo che eri tu la persona più degna a ricoprire questo ruolo, ma lui non ha voluto sentire ragioni.»

  «Sei patetico. Non avrei mai pensato che potessero esercitare su di te un simile controllo.»

  «Che cosa!?» ribatté Toshio comprensibilmente sorpreso

  «Non ti sei mai soffermato a pensare quanto ci sia di incomprensibile e di irrazionale negli eventi che si sono mossi attorno a te negli ultimi tre anni?»

  «Di che stai parlando?»

  «Come hai puntualizzato così diligentemente, tu non sei figlio di nostro padre, e la gente di Nepthys va’ oltremodo fiera della propria identità culturale, oltre che delle proprie tradizioni. A tal proposito, non ti pare strano che tu, uno straniero, una persona senza una sola goccia di sangue reale nelle vene, sia stata scelta per rappresentare la nostra città al grande torneo?».

  Toshio a quel punto si ritrovò del tutto spiazzato, e per la prima volta da che ne aveva memoria si trovò a riflettere su questo piccolo quanto problematico particolare.

  Suo fratello aveva fin troppo ragione, e se ne rendeva conto solo in quel momento: come mai un popolo così attaccato al suo nome e alle sue usanze aveva scelto lui, che come unico legame con il villaggio aveva il fatto di esserne stato adottato.

  Non era nessuno: persino il suo nome non era locale. Suo padre gli aveva lasciato il nome originale, che stando al suo racconto era cucito sui vestiti che indossava quando, da piccolo, fu salvato da quella banda di predoni.

  Inutile dire che questo lo aveva fatto sempre sentire un diverso, impedendogli di intrecciare un rapporto vero con qualunque persona al di fuori della sua famiglia, il che aveva finito per far germogliare in lui un carattere freddo ed introverso.

  Forse era in questo che sentiva di essere maggiormente cambiato da che aveva avuto inizio il nuovo torneo; dopo aver conosciuto Keita e gli altri aveva cominciato a sentirsi parte di un gruppo, con tutte le gioie e i dolori che da esso potevano derivare. Per la prima volta si era preoccupato seriamente per la sorte di chi gli stava vicino, aveva sentito di non essere solo e, come ultimo, si era anche innamorato.

  Tutte cose che aveva ritenuto impossibili, ma che si erano verificate.

  Perché allora non poteva andare d’accordo con suo fratello?

  Il desiderio di riappacificarsi con Sanak era in gran parte offuscato dalla miriade di quesiti e misteri irrisolvibili che lo stesso Sanak gli stava mettendo in testa, e mai come in una simile occasione distrarsi poteva risultare una pessima mossa.

  Sanak approfittò al volo dell’occasione, e scagliatosi sull’avversario superò senza problemi la sua debole difesa per poi assestargli un nuovo calcio che lo sbalzò con forza giù dall’aereo per poi farlo rotolare malamente sull’asfalto.

  Questa volta la caduta, forse a causa della perdita di concentrazione, risultò più dolorosa, anche se non vi furono conseguenze di rilievo, ma Toshio fece non poca fatica per trovare la forza anche solo per mettersi in ginocchio, e appena fu in grado di alzare lo sguardo vide Sanak ad una decina di metri da lui.

  «Sanak…»

  «Laverò via la macchia che infanga l’onore del nostro popolo da migliaia di anni.» disse il ragazzo preparandosi a scattare «E lo farò… proprio ora!»

  «Adesso basta!» gridò una voce impossibile da ignorare, e subito dopo Nadeshiko si piazzò come un muro in difesa di Toshio con braccia e gambe allargate e uno sguardo più determinato che mai.

  Sanak, vedendola, esitò, non tanto per l’essersi trovato improvvisamente a tu per tu con qualcuno che stava imprudentemente mettendosi in mezzo nei suoi affari, quanto piuttosto perché aveva la sensazione che quella ragazza gli ricordasse qualcuno.

  «Na… Nadeshiko…»

  «Questo è troppo. Due fratelli non dovrebbero provare un simile risentimento l’uno verso l’altro, né tantomeno litigare fra di loro in modo tanto violento.»

  «Come!?»

  «Forse non potrò mai capire quello che tu stai provando, ma avendo anch’io una sorella so benissimo che a volte si può essere in disaccordo, ma alla litigata deve seguire sempre la riappacificazione.

  E non importa se Toshio non è tuo fratello di sangue, perché questo non cancella minimamente il legame che vi unisce.»

  “Chi diavolo è questa ragazzina?” pensò Sanak vedendo la sua determinazione “Non sembra avere paura. Al contrario. Nei suoi occhi c’è la speranza.”

  «Toshio forse ti ha ferito, e tu sicuramente hai ferito lui con il tuo comportamento, ma per quanto grave sia la colpa che tu gli attribuisci non hai il diritto di prendertela con lui! Non ha chiesto lui di prendere il tuo posto e di partecipare a questo torneo!».

  Ad un tratto, non potendo fare a meno di perdersi al loro interno, furono proprio quegli occhi a far gelare il sangue nelle vene del ragazzo, lasciandolo per un istante senza fiato.

  “Quello… quello sguardo…”.

  Lo riconosceva! Lo avrebbe riconosciuto anche a distanza di millenni!

  Non potevano certo essere i suoi, ma quegli occhi, così carichi di purezza e di determinazioni, rassomigliavano tanto a quelli di una persona a lui molto cara, la sola, forse, a cui lui fosse mai stato realmente affezionato, e della quale sentiva enormemente la mancanza.

  “Ma… madre…”.

  Quante volte aveva visto quello sguardo, quanto lo aveva cercato.

  Da piccolo Sanak, nel puro rispetto della tradizione di famiglia, era stato una testa calda, sempre pronto ad attaccar briga con chiunque fosse disposto a dimenticare il suo ruolo di principe per intavolare con lui un’accesa discussione a suon di pugni.

  E ogni volta che tornava a casa coperto di ferite e lividi era sua madre, la regina, che si faceva carico di rimetterlo insieme, ma per quanto, durante la medicazione, non smettesse di fargli presente quanto fosse sbagliato combattere solo per il gusto di farlo, in realtà il suo non era mai un rimprovero.

  Sua madre era severa, ma alle sgridate e alle punizioni preferiva sempre la compressione e la compassione, ed esse, combinate a quei suoi occhi di smeraldo, risultavano disarmati, capaci di soggiogare Sanak fino a reprimere il suo spirito battagliero almeno per un po’, quel tanto che bastava per tornare in piena forma.

  Anche Keita e gli altri si pararono a quel punto in difesa del loro compagno, ma ormai Sanak sembrava aver abbandonato ogni proposito di attaccare, pur sforzandosi di mascherare quelle che erano le loro vere emozioni.

  Toshio, che non voleva in nessun modo mettere in pericolo la sicurezza dei suoi amici, rimessosi in piedi si portò a sua volta davanti a loro, ma suo fratello, invece che muovere un nuovo assalto, rinfoderò la spada e gli diede le spalle.

  «Ne ho abbastanza.» disse allontanandosi «Ci rivedremo.» e con un salto scomparve sul tetto dell’aeroporto.

  I danni all’edificio e agli aerei si ripararono a tempo di record, il fuuzetsu si sciolse e il tempo riprese a scorrere come se nulla fosse accaduto.

  Keita e i suoi compagni stettero a lungo immobili come statue, guardandosi ora attorno ora tra di loro alla ricerca di risposte; Toshio era visibilmente scosso, e rimaneva in silenzio con lo sguardo basso e lo sguardo segnato dall’amarezza.

  Nadeshiko avrebbe voluto andare da lui per consolarlo, ma Keita, presala delicatamente per un polso, le fece cenno di no.

  «Adesso è troppo scosso. Parlargli sarebbe inutile. Aspettiamo che si calmi».

 

Qualche ora dopo, finalmente, i ragazzi furono in grado di prendere il volo alla volta di Londra, un viaggio segnato dal silenzio piuttosto che dall’attesa e dall’ottimismo, come si era inizialmente sperato.

  Takeru e Shinji sedevano alla fila B, l’uno accanto all’altro, Keita e Nadeshiko subito davanti e Toshio qualche posto più indietro, accanto ad un posto vuoto.

  Seguendo il consiglio di Keita Nadeshiko evitò di intavolare una qualsiasi discussione con Toshio, ma ogni volta che si girava a guardarlo non intravedeva il benché minimo miglioramento in lui: se ne restava insistentemente seduto al suo posto, con le braccia conserte e la testa placidamente appoggiata sul finestrino.

  La comparsa di suo fratello doveva averlo molto colpito, ma a turbarlo ancora di più dovevano essere state sia la sua violenta reazione sia le parole oscure che gli aveva rivolto prima di andarsene.

  Ormai non poteva più sopportare di vederlo in quello stato, e considerato che, poco dopo i pasti, Keita si era addormentato, mentre Shinji e Takeru sembravano farsi i fatti loro, la ragazza lasciò il proprio sedile e raggiunse quello su Toshio; lui era così sovrappensiero che non si accorse della sua presenza fino a quando non fu seduta al suo fianco.

  «Nadeshiko. Mi hai fatto paura, non ti avevo vista.»

  «Vuoi parlare? In casi simili confidarsi è il modo migliore per risollevarsi un po’».

  Toshio temporeggiò, indeciso sul da farsi, poi guardò fuori dal finestrino.

  «Sapevo che i rapporti fra me e Sanak non erano dei migliori, ma non avrei mai immaginato che si sarebbe spinto a tanto.»

  «Mi domando perché tuo padre gli abbia permesso di venire qui in Europa, visto tutte le difficoltà che stai già affrontando nel partecipare al torneo.»

  «Lui e nostro padre non si parlano quasi più dal giorno in cui è stata ufficializzata la mia nomina a rappresentante del nostro clan in questo torneo. Probabilmente lui non sa che Sanak adesso si trova qui».

  Seguì un nuovo silenzio, poi Nadeshiko guardò a sua volta le nuvole dense e compatte che si stagliavano al di sotto dell’aereo.

  «Come ti ho già detto un po’ di tempo fa, i rapporti tra fratelli possono essere difficili, ma se c’è una cosa bella dell’essere fratelli è che il diverbio, per quanto acceso possa essere, prima o poi è destinato a finire. Sanak è pieno di rancore, ma non devi sentirti in colpa per questo. Tu non hai fatto niente per meritarti il suo odio, e anzi è ammirevole il tuo voler cercare la riappacificazione.

  Vedrai che, prima o poi, anche Sanak lo capirà, e allora sentirà quanto e più di te il bisogno di fare la pace. Devi solo avere pazienza, e confidare nel tempo».

  Toshio parve convincersi, ma il rapporto burrascoso con il fratello era solo uno dei problemi che non smettevano di tormentarlo da che Sanak se n’era andato.

  «Quello che ha detto… è in parte vero.

  Mi è capitato di domandarmi perché mai nostro padre abbia preferito me a lui. Ho sempre pensato che fosse una questione di età, ma ora che me l’ha fatto notare mi rendo conto che ci sono troppe incognite in questa vicenda.»

  «A cosa ti riferisci?»

  «Da generazioni il clan di Nepthys viene rappresentato al grande torneo da guerrieri appartenenti ai ceti più nobili dell’alta aristocrazia.

  È stato così fin dal tempo dei faraoni, da quando il torneo venne istituito.

  I miei predecessori erano tutti di alto lignaggio, legati in un modo o nell’altro da vincoli di sangue con la famiglia reale.

  Io invece non posseggo niente di tutto ciò.

  Sono solo un orfano, cresciuto da una famiglia che non era la mia e fra genti che non sono le mie.

  E allora perché sono stato scelto? Perché ad una persona come me, che non ha nulla da spartire con il clan di Nepthys, è stato fatto un tale onore?».

  Il ragazzo si guardò le mani, stringendole poi con forza.

  «Ho sempre avuto la sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato negli eventi che da anni mi ruotano attorno, ma questa è la prima volta che il pensiero di essere coinvolto in qualcosa di cui non comprendo il disegno mi fa sentire così a disagio, per non dire in collera.»

  «Queste purtroppo sono domande a cui trovare una risposta potrebbe essere molto difficile.» replicò gentile Nadeshiko prendendo uno dei due pugni fra le sue mani e provocando in Toshio un imbarazzo più che visibile «E l’unica persona in grado di farlo sei tu.

  Forse, e spero tanto che sia così, il proposito di Sanak era solo quello di confonderti, di farti vedere un problema molto più grande di come sia in realtà. I tempi cambiano, e gli animi maturano; forse tuo padre ha voluto premiare il tuo valore e la tua dedizione, forse non era sicuro che Sanak potesse essere un buon candidato. Le ipotesi per giustificare una tale decisione sono molteplici.

  Ma se come sostieni tu si tratta di qualcosa che va’ oltre la tua comprensione, allora dovrai sforzarti di trovare quelle risposte.»

  «E se quelle risposte non mi piacessero?»

  «Passare la vita a rimuginarci sopra sarebbe peggio. Quando le avrai trovate deciderai. E se davvero saranno terribili, difficili da accettare, non pensare mai neanche per un secondo di essere solo.

  Io, Keita e gli altri saremo sempre pronti ad offrirti il nostro sostegno, di questo puoi essere sicuro».

  Non c’era niente da fare, quella ragazza aveva un talento naturale per risollevare e rinfrancare gli animi altrui: era come una luce calda portatrice di benessere alla quale anche gli animi più oscuri e piegati dal dolore finivano per soccombere.

  A Toshio, inoltre, quello sguardo gentile aveva l’effetto di risollevarlo almeno per un po’ da tutti i suoi dubbi e le sue pene, per quanto gravi e opprimenti potessero essere, tanto che, alla fine, riuscì a trovare persino la forza per ostentare un po’ di ottimismo.

  «Hai ragione. E poi, al momento, ho ben altre cose a cui pensare.

  Quando questo torneo sarà finito affronterò Sanak una volta per tutte e convincerò mio padre a dirmi tutta la verità. Forse non sarà una verità piacevole, ma almeno l’avrò saputa.»

  «Bravo. È questo lo spirito giusto.»

  «Grazie, Nadeshiko.»

  «Figurati.» rispose lei sorridendo «È sempre un piacere».

  Da quel momento in poi Toshio si sentì molto più rilassato, abbastanza da riuscire, dopo pochi minuti, ad addormentarsi; e non solo lui, ma tutti gli occupanti dell’aereo, uno dopo l’altro, caddero in un sonno profondo e piacevole, come cullati da mani invisibili e gentili. Le hostess che in quel momento stavano ritirando i vassoi si accasciarono lungo il corridoio, e anche i piloti furono colti dal sonno senza neanche rendersene conto, lasciando il controllo dell’aereo nelle mani di una forza sconosciuta.

 

Londra

 

Erano passati tanti anni dall’ultima volta che Atarus aveva sostato in quel luogo.

  Già altre volte aveva fatto ritorno a Londra, se non altro semplicemente per fare visita a suo figlio William, che lontano dagli intrighi e dai pericoli del suo villaggio natio cresceva come un bambino qualsiasi, accudito da una famiglia fedele al sovrano e guardato a vista da un esercito di soldati pronti a morire per difenderlo, ma mai aveva avuto il coraggio di andare proprio lì, dove tutto aveva avuto inizio.

  Vestito ora come un qualsiasi giovane uomo della capitale inglese, rimaneva immobile e in silenzio ad osservare quella vecchia panchina in legno e ferro, una delle tante che si trovavano lungo il viale principale del parco, ai piedi di un lampione.

  Era primo pomeriggio, e c’erano solo poche persone, soprattutto turisti e abitanti in cerca di un po’ di refrigerio dopo giorni e giorni di caldo insolitamente opprimente; soffiava una bella arietta fresca, qualche nuvola innocua sostava sulla città e il cielo era tinto di uno splendido colore azzurro, preludio ad una notte che sarebbe stata sicuramente altrettanto straordinaria.

  Quanti anni erano passati dall’ultima volta che Atarus si era per lo meno sforzato di godersi quei piccoli piaceri che la gente comune, al di fuori della frenesia e della corsa sfrenata che caratterizzavano abitualmente la società moderna, riusciva ogni tanto a godersi?

  Ma, soprattutto, quando era stata l’ultima volta che aveva pensato veramente alla sua amata Helen, la ragazza che per un attimo, per un solo attimo, lo aveva fatto sentire una persona migliore di quella che era diventato?

  Helen era come una rosa, una rosa capace di far nascere fiori anche dalle sterpi che aveva intorno, proprio come aveva fatto con lui.

  Quel fiore, però, aveva finito per appassire, ma forse, per qualche motivo misterioso, negli ultimi giorni sembrava stare timidamente tornando a vivere.

  Atarus non sapeva cosa pensare, cosa fare. Negli ultimi tempi nella sua mente c’erano solo Helen, oltre al suo unico e, aveva finito per scoprire, adorato figlio William.

  Qualche giorno prima, subito dopo essere tornato a Londra, guidato lì da una forza sconosciuta che lo aveva spinto a tornare, era andato a trovarlo, pregando i suoi guardiani di non informare il re della sua visita, e appena aveva posato gli occhi sul bambino il cuore aveva minacciato di uscirgli dal petto.

  Il piccolo William aveva i capelli neri del padre, ma il volto e lo sguardo, color zaffiro, erano quelli della madre, che sembrava quasi vivere attraverso di lui.

  William non aveva mai veramente visto suo padre, essendo stato separato da lui dopo pochi mesi di vita, eppure, appena il guerriero aveva raggiunto il salotto dove il piccolo stava giocando, questi guardandolo gli aveva sorriso, e allungatosi timidamente verso di lui aveva manifestato il suo desiderio di essere preso in braccio, una cosa che però Atarus non era riuscito a fare, troppo atterrito e scosso da quel viso così famigliare e carico di rimpianti.

  Eppure, incontrando William, Atarus aveva ricominciato dopo molto, troppo tempo, a provare i sentimenti che mai avrebbe pensato di possedere ancora: quel bambino era così innocente, mai si sarebbe detto che suo padre avesse così tante anime innocenti sulla coscienza, anime innocenti la cui forza era andata a ritemprare la sua.

  Quelle anime, che a lungo erano state messe a tacere, avevano improvvisamente ripreso ad urlare con forza, e le loro grida erano cariche non solo di rabbia, ma anche di ammonimento e rimprovero.

  Era come un assordante rumore in sottofondo che non gli dava tregua e che minacciava di farlo impazzire.

  D’un tratto Atarus avvertì distintamente il manifestarsi di una presenza alle sue spalle, una presenza famigliare, e riconoscendola non osò voltarsi.

  «È questo il luogo in cui vi siete conosciuti?»

  «Sei di nuovo qui.»

  «Avevo voglia di rivederti. Il nostro ultimo incontro è stato troppo fugace. Inoltre, avevo la sensazione che tu avessi bisogno di una luce che rischiarasse le tenebre che al momento attanagliano la tua mente».

  Vi fu un istante di silenzio, poi Atarus parve sfoggiare uno dei suoi sorrisi sarcastici, ma decisamente meno sinistri di quelli che aveva riservato in passato ai suoi nemici.

  «Questa tua vocina così pacata e autoritaria al tempo stesso è alquanto irritante, te l’hanno mai detto.»

  «La voce della coscienza risulta spesso irritante, soprattutto se la si è ignorata per molto tempo.»

  «Cosa ti fa credere che io abbia una coscienza?»

  «Il fatto che tu sia venuto proprio qui».

  Il lanciere stavolta si ritrovò del tutto spiazzato, strinse i pugni e digrignò leggermente i denti.

  «Io comprendo ciò che si agita in questo momento dentro di te.

  Sei combattuto fra passato e presente, fra ciò che credevi e ciò che credi. Guardandoti indietro, ti rendi conto di giudicare le tue passate azioni con sentimenti nuovi, e ti domandi come sia stato possibile per te commettere atti tanto orribili.

  In pochi sono coloro che accettano di confrontarsi con un simile fardello, e ancor meno sono coloro che riescono a superarlo».

  Per la prima volta da quando aveva visto Helen spegnersi dinnanzi a lui, gli occhi di Atarus furono bagnati da delle lacrime che, scorrendo lungo le guance, si infransero sul selciato.

  «Perché? Perché è dovuto succedere tutto questo?

  La vita di prima mi andava più che bene! Perché ora mi faccio schifo da solo!»

  «Se è il perdono che cerchi, mi dispiace, ma credo sia qualcosa al di là della portata non solo tua, ma di chiunque si sia trovato nella tua situazione.

  Tutto il tuo rammarico e il tuo odio per la vita passata non potranno mai compensare i crimini di cui ti sei reso responsabile.

  L’unica strada che tu possa percorrere, la sola che si dipana dinnanzi a te, e che può permetterti di riguadagnare la luce, è quella della redenzione.

  Vai avanti. Il dolore e il rimorso per ciò che sei stato saranno la tua penitenza da qui e per tutto il tempo a venire, ma sarà grazie a loro che tu diventerai il più strenuo ed incrollabile sostenitore della causa che tu e gli altri partecipanti al torneo incarnate da migliaia di anni.

  Combattendo in difesa di quella razza umana che fino ad oggi hai sempre odiato troverai nuova vita, e forse un giorno, quando sarai stato capace di perdonarti per il male commesso, anche le anime di coloro che hai condotto alla morte riusciranno a fare altrettanto.»

  «Perché sei così convinta che cambierò?» domandò Atarus con una voce a metà fra la commozione e la rabbia repressa

  «Te l’ho già detto. Perché hai accettato di ascoltare la voce della coscienza».

  Questa volta fu la misteriosa ragazza a fare una pausa, ma pur non potendola vedere in volto Atarus era certo che su di esso si stessero dipingendo malinconia e rimpianti.

  «Ad ogni modo, io forse non sono la persona più qualificata per parlare di redenzione.

  In fin dei conti ogni lacrima versata, ogni vita spezzata a causa di questo torneo è la conseguenza delle scelte sbagliate che feci allora.

  Ma io ti prometto e ti giuro solennemente che questa guerra logorante giungerà presto alla fine.

  Gli esseri umani hanno sofferto anche troppo a lungo le conseguenze della mia ingenuità».

  Seguì un nuovo, lungo silenzio, durante il quale entrambi i ragazzi rimasero immersi nei propri pensieri.

  «Toshio e i suoi amici stanno venendo qui, a Londra.»

  «Perché me lo stai dicendo?» domandò Atarus dopo un momento di incredulità

  «Perché voglio che tu faccia la tua scelta. Ormai non c’è più molto tempo».

  Atarus strinse nuovamente i pugni, combattuto fra molteplici sentimenti.

  «Hai ascoltato la voce della coscienza, e hai accettato di aprirle la porta. Ora… non lasciarla fuori».

  Detto questo la ragazza scomparve, lasciando il lanciere solo e con la testa piena di pensieri.

 

 

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Capitolo 21
*** Maschere ***


20

20

 

 

Negli ultimi giorni la giovane Yuuhi passava molto del suo tempo rinchiusa nella propria stanza, situata in un’ala appartata del castello dei Von Karma, del tutto inavvicinabile per chiunque.

  Anche prima che si risvegliassero in lei le memorie di Atropo era solita attraversare momenti di rabbia e di ribellione assoluti durante i quali era solita isolarsi dal mondo anche per diversi giorni, vittima di una rabbia incontrollata che la portava ad accanirsi senza remore su tutto quello che le capitava a tiro.

  Tutto ciò accadeva soprattutto quando, per una ragione o per l’altra, le tornavano alla mente le condizioni non proprio felici in cui era stata costretta a vivere.

  Ultima di tre sorelle, era nata in una famiglia del ceto medio, ma non si può dire che ricordasse qualcosa dei suoi genitori.

  Il padre era un membro di medio rilievo della yakuza che per un breve periodo aveva potuto contare su una discreta rendita ma che quando il suo clan era stato sconfitto in una faida sanguinosa non ci aveva pensato due volte a fare i bagagli e ad emigrare negli Stati Uniti dove, nel corso di un nuovo scontro, si era ritrovato con una palla in fronte.

  La madre invece era tutto sommato una brava persona, figlia di un altro boss della malavita che, poco dopo la partenza del marito, impostole dalla famiglia per ragioni di alleanza, aveva pagato a caro prezzo il sangue che le scorreva nelle vene, venendo uccisa per ritorsione dalla stessa banda che dì lì a poco avrebbe portato alla scomparsa del clan paterno.

  Yuuhi si era ritrovata così orfana a soli sei mesi, e di colpo tutte le responsabilità erano passate alla sorella maggiore, Minami, che allora aveva diciannove anni.

  Senza pensarci troppo su la ragazza aveva lasciato l’università e, rimboccatasi le maniche, aveva per prima cosa venduto la casa di famiglia, ricavandone quanto necessario a comprare un appartamentino a Tokyo nella zona di Shinjuku, dove occasioni di lavoro part-time certamente non ne mancavano.

  Spaccandosi la schiena nei lavori più disparati Minami era riuscita a garantire alle sue sorelle, rispettivamente di quindici e quasi venti anni più piccole di lei, un’istruzione decorosa, ma lo spettro delle loro origini gravava come un macigno su chiunque le conoscenze, e a pagarne le conseguenze maggiori era stata proprio Yuuhi, la sola a non conoscere la verità sui suoi genitori e sul modo in cui erano morti.

  Un giorno, in sesta elementare, un ragazzino invidioso del genio della sorella minore, che aveva dimostrato di possedere un eccezionale quoziente intellettivo, le aveva sbattuto ogni cosa in faccia davanti a tutta la classe, e le conseguenze di una così shockante rivelazione si erano immediatamente manifestate: Yuuhi, che fino ad allora era stata una ragazzina introversa ma gentile, divenne di colpo fredda e spietata, disposta a tutto per ottenere ciò che voleva, pessimista e malevola nei confronti di ogni cosa e, soprattutto, infuriata con un mondo che, a suo modo di vedere, aveva trattato lei e le sue sorelle nel peggior modo possibile, incolpandole di qualcosa che non avevano fatto e mettendole in disparte per questioni che non le avevano mai riguardate.

  Quando poi la sua coscienza come Atropo si era risvegliata, nel momento in cui le due metà del suo spirito erano state riunite dall’apertura del Libro dell’Oscurità, il suo odio era aumentato a dismisura, poiché alla rabbia per la vita che era stata costretta a sopportare si aggiungevano quella delle migliaia e migliaia di anni che aveva trascorso rinchiusa nelle pagine del libro e quella, ben più grande, verso l’intero genere umano, responsabile secondo lei di tutte le sue sventure.

  La serie preoccupante di sconfitte che avevano caratterizzato i suoi compagni non avevano fatto altro che accrescere ancor di più la sua furia, ma un elemento in particolare del gruppo che ormai costituiva una vera spina nel fianco dei piani di Seth catalizzava su di sé tutto l’odio della ragazza, desiderosa più che mai di combatterlo e farlo a pezzi.

  Avrebbe tanto voluto ottenere l’autorizzazione a procedere, ma nell’ultima riunione Seth era stato categorico: salvo sua delibera, qualsiasi atto di aggressione verso i partecipanti al torneo era tassativamente vietato, pena una severa punizione.

  Eppure, malgrado Atropo non avesse mai disubbidito ad un ordine del suo signore, almeno per quello che riusciva a ricordare distintamente della sua vita di milioni di anni prima, per la prima volta sentiva di voler trasgredire, perché il solo pensare a quella persona bastava a farla uscire dai gangheri.

  Forse sua sorella Minami aveva intuito le sue intenzioni, perché quella sera capitò in camera di Yuuhi proprio quando questa era sul punto di prendere l’iniziativa e mettere in atto il suo piano.

  «Il maestro è stato chiaro.» disse ferma sull’uscio della porta «Hai già dimenticato cosa è successo a Thanatos

  «Lui ha detto di non toccare i partecipanti al torneo.» rispose Yuuhi senza neanche voltarsi e col suo solito tono freddo «E il mio obiettivo non è quel rompiscatole di Toshio.»

  «Potresti andare incontro a conseguenze molto serie, a questo non ci hai pensato?»

  «Non ho paura di rischiare, Lachesi, e non mi tiro indietro. Non sono come te».

  Era un’affermazione molto cruda, e per certi versi estremamente crudele, che lasciò Minami per un attimo interdetta; probabilmente Yuuhi faceva riferimento all’atteggiamento passivo e arrendevole che era costretta a tenere verso datori di lavoro e superiori in generale per riuscire a conservare il lavoro.

  Non a caso era stata costretta a fare ricorso al suo charme e al suo indubbio fascino per scongiurare un licenziamento o poter ottenere qualche soldo in più in modo da garantire se non altro qualche svago alle sue sorelle.

  Recentemente era riuscita a sfruttare i pochi esami di economia aziendale sostenuti all’università per farsi assumere come impiegata di banca, un lavoro tutto sommato discreto, ma per poter convincere il direttore ad assumerla con le sue poche referenze aveva dovuto faticare non poco, e per un attimo aveva avuto paura di doverci finire a letto.

  Ciò nonostante, Yuuhi non era mai stata così sarcastica e malevola; le sue sorelle erano le uniche con le quali si comportava almeno con normalità, ma ormai anche quel muro sembrava essersi infranto.

  «Quand’è che la ragazzina gentile e riservata si è trasformata in una calcolatrice fredda e senza sentimenti?».

  Yuuhi inizialmente rimase immobile e in silenzio, poi, giratasi, guardò Minami con una freddezza e un risentimento inconcepibili se rivolti alla propria sorella.

  «Forse il giorno in cui ho scoperto la verità che tu hai voluto tenermi nascosta.» disse, e materializzato il proprio circolo magico scomparve al suo interno, lasciando Minami sull’orlo delle lacrime.

 

Di tutte le città che Keita e gli altri avevano visitato dall’inizio del loro incredibile viaggio per l’Europa, Londra era sicuramente la più frenetica.

  La capitale inglese, per quanto bella e affascinante, era caratterizzata da una frenesia e da un traffico a dir poco spaventoso, che i mezzi pubblici solo in parte riuscivano a smaltire.

  Servirsi della metropolitana permetteva di passare al di sotto di quelle strade spesso intasate, ma dopo essersi rinchiusi in un hotel, naturalmente di gran lusso, nei pressi di Trafalgar Square i ragazzi per due giorni avevano evitato di uscire, preferendo guadagnare tempo per radunare le forze e farsi trovare pronti qualora il nemico si fosse presentato.

  La mattina del terzo giorno Toshio si svegliò piuttosto tardi, avendo speso gran parte dell’ultima notte ad allenarsi sul tetto dell’edificio, ed uscito in salotto aveva trovato solo Keita e Takeru, intenti a fare colazione.

  «Buongiorno.» disse con aria ancora assonnata

  «Ah, buongiorno Toshio.» disse Keita «Dormito bene?»

  «Più o meno. Sono un po’ intontito, ma niente di serio.»

  «Dovresti cercare di dormire in più.» disse Takeru sollevando lo sguardo dal libro che stava leggendo

  «Sì, forse hai ragione.» replicò Toshio infilandosi un pezzo di pane in bocca e versandosi un po’ di succo d’arancia appena spremuto «E gli altri dove sono?»

  «Shinji è uscito prima che ci svegliassimo per andare a fare due passi, o almeno così ha scritto nel biglietto.» rispose Keita «Aria e Lotte sono in perlustrazione, Nadeshiko invece credo che dorma ancora.»

  «Capito. Beh, se non avete bisogno del bagno, credo che mi farò una doccia. Ne ho proprio bisogno.»

  «D’accordo, vai pure. Tanto non dovrebbe esserci nessuno».

  Con ancora in mano il bicchiere pieno di succo Toshio si avviò verso il bagno, ma non appena aprì la porta, venendo investito dall’umidità e da un vapore caldo, restò paralizzato come una statua di sale, con gli occhi spalancati e la bocca socchiusa in un’esclamazione di stupore.

  Nadeshiko doveva essere appena uscita dalla vasca da bagno e in quel momento si stava annodando l’asciugamano sul petto, ma immobilizzata a sua volta dall’improvviso aprirsi della porta aveva la parte sinistra del corpo quasi completamente scoperta.

  Era una di quelle situazioni nelle quali Toshio non si sarebbe mai voluto trovare, tanto che persino lui, che solitamente riusciva a mantenere sempre il controllo e ad inventarsi qualcosa per uscirne sempre e comunque, non aveva la minima idea di che cosa fare, ma l’espressione terrorizzata e infuriata che si stava materializzando sul volto di Nadeshiko non lasciava presagire nulla di buono.

  All’improvviso Keita e Takeru sentirono un grido fortissimo, poi un rumore sordo, come di qualcosa che andava in pezzi, seguito da un’imprecazione di dolore, e pochi minuti dopo Keita stava fasciando la testa a Toshio usando i bendaggi rimediati nella cassetta di pronto soccorso in dotazione alla stanza.

  «Ahi!»

  «Smettila di agitarti, così non riesco a fasciare bene.»

  «E tu cerca di fare più attenzione. Fa già male di suo.»

  «Scusa! Scusa!» continuava a ripetere Nadeshiko, seduta davanti a lui con le mani giunte, gli occhi chiusi e la fronte che sudava per l’imbarazzo «Non volevo! È stato un riflesso!»

  «Un riflesso!? Mi hai quasi ammazzato!»

  «Erano giorni che non mi facevo un bagno decente, così mi sono alzata prestissimo, e nella vasca ho perso il senso del tempo. Scusami, ti prego!»

  «Certo però anche tu Toshio, hai la testa più dura del cemento. Ti ha colpito con uno sgabello; una persona normale sarebbe morta.»

  «Invece di fare del sarcasmo, vorrei ricordarti che sei stato tu a dirmi che il bagno era libero.»

  «Per farmi perdonare, stasera offrirò fish & chips a tutti, lo prometto.»

  «Apprezzo il gesto, ma temo mi ci vorrà più che un filetto di sogliola per farmi passare l’emicrania. Ahi!»

  «Scusa, errore mio.»

  «Ne stai facendo un po’ troppi di errori!».

 

Ignaro di ciò che stava succedendo nell’albergo, Shinji passeggiava senza meta per le strade attorno al palazzo del Parlamento, affollate già di prima mattina; era arrivato fin lì prendendo la metropolitana, e una volta arrivato aveva cominciato la sua camminata incerta e sommessa, ed ogni passo per lui rappresentava quasi un viaggio indietro nel tempo.

  Aveva mentito ai suoi amici; lui Londra in realtà la conosceva, e anche molto bene, avendoci fatto più di qualche viaggio anche in tempi piuttosto recenti.

  A Keita e gli altri aveva detto il contrario per evitare che a quella domanda ne seguissero delle altre, costringendolo in questo modo a rievocare argomenti che non gli faceva piacere rivangare.

  Malgrado tutto però passeggiare per la città gli faceva sempre piacere, perché in un modo o nell’altro lo aiutava a ricordare le sue origini.

  Lui era inglese, questo non poteva negarlo, così come non poteva negare tutto ciò che quei suoi capelli biondi e quei suoi tratti somatici avevano significato per lui negli ultimi anni della sua vita.

  Ricordava ancora molto bene gli sguardi che gli studenti delle medie gli avevano rivolto quando aveva varcato il confine del cortile della scuola, gli stessi che si era visto piantare addosso nel momento in cui il professore responsabile della sua nuova classe aveva scritto il suo nome alla lavagna usando caratteri occidentali.

  Shinji Morrison Takeyama; questo era il suo nome completo.

  Suo padre, Albert Morrison, era un giovane e facoltoso imprenditore britannico che con la sua grande compagnia di telecomunicazioni aveva contribuito notevolmente alla crescita di Uminari, che prima dell’arrivo suo e di altri capitali stranieri non era niente più che un piccolo villaggio.

  Mentre sovrintendeva alla messa in piena operatività della filiale di Uminari il signor Morrison aveva conosciuto Suzuka Takeyama, figlia del suo uomo di fiducia lì in Giappone, e dopo essersi sposati i due si erano trasferiti nel Galles, terra natia del marito, dove, un anno dopo, era nato Shinji.

  Con il passare degli anni la compagnia di Albert aveva continuato a crescere, costringendolo a lunghi viaggi in tutto il mondo che spesso e volentieri lo tenevano fuori casa per due o tre mesi. Per un po’ di tempo Suzuka aveva cercato di adattarsi, ma con un marito sempre assente, che pure tuttavia si mostrava premuroso e affettuoso, un bambino da crescere, in una terra che non le apparteneva, la donna aveva infine deciso di tornare in Giappone portando Shinji, che allora aveva undici anni, a Uminari.

  Era l’epoca dell’apertura all’occidente, l’epoca in cui gli stranieri cominciavano finalmente a ritagliarsi una fetta di rispetto e di considerazione anche negli ambienti più conservatori, ma la futuristica e multietnica Tokyo era ben altra cosa se paragonata ad una città come Uminari, che pur avendo conosciuto un progresso senza precedenti proprio ad opera di capitali ed imprese estere rimaneva ancora un po’ troppo attaccata ad idee vecchio stampo.

  Malgrado il suo lignaggio piuttosto influente anche da parte di madre, con il nonno direttore della filiale locale delle Morrison Industries e la nonna ultima discendente di una illustre casata locale, Shinji era pur sempre uno straniero, e come tale veniva guardato il più delle volte con sospetto e indifferenza.

  Più di una volta la sua nobile nonna era andata a bacchettare il preside o i professori per il loro atteggiamento classista e la loro tendenza a mostrarsi più severi del normale con il suo adorato nipote, ma più dell’indifferenza Shinji detestava l’ipocrisia che i docenti iniziavano a dimostrare nei suoi confronti nei giorni immediatamente successivi ai colloqui, per poi tornare al punto di partenza nel giro di una settimana.

  Come se non bastasse era un bel ragazzo, quindi non aveva problemi a conquistarsi le moine e gli sguardi sognanti di molte ragazze, similmente a come sarebbe successo a Johan pochi anni dopo, ma così facendo si attirava le ire dei maschi, che non perdevano occasione per rinfacciargli le sue origini straniere con insulti a volte molto pesanti e scherzi spesso di pessimo gusto.

  Inutile dire che tutto ciò non faceva altro che farlo sentire a disagio, ma in tutti quegli sguardi freddi ed ostili ve ne erano due che invece lo facevano sentire a suo agio, ed erano quelli di Keita e Nadeshiko.

  Loro forse erano stati in grado di guardare oltre l’espressione sorridente che Shini usava e continuava nonostante tutto ad usare come un muro per difendersi dagli attacchi esterni, ed avevano visto la malinconia che invece si nascondeva al di sotto, quella di un ragazzino che per quanto si sforzasse non riusciva a trovare il suo posto nel mondo, per quanto ci provasse.

  La sua passeggiata tutto sommato tranquilla e rilassante si fermò davanti alla vetrina di un piccolo negozio di souvenir che esponeva statuine e altre suppellettili caratterizzate dall’onnipresenza della bandiera inglese.

  Stava quasi per riprendere a camminare quando, giratosi alla propria destra, fu urtato da qualcuno che procedeva in senso opposto, evidentemente con la testa fra le nuvole.

  «Excuse me, sir.» si affrettò a dire il ragazzo prima ancora di vedere chi fosse stato a scontrarsi con lui

  «No, it’s my fault.» rispose una voce femminile gentile ed educata.

  Sentendola, Shinji parve colpito da un fulmine, e come si girò i suoi occhi si riempirono di stupore.

  Ad urtarlo era stata una giovane ragazza più o meno della sua stessa età, coi capelli biondi tagliati piuttosto corti e stupendi occhi verdi.

  Anche lei, sollevando lo sguardo, restò visibilmente senza fiato.

  «Ashley!?»

  «Shinji!?».

  Riconosciutisi a vicenda, i due ragazzi si salutarono calorosamente come gli amici di vecchia data che erano.

  Ashley Graham, altrimenti nota come Lady Graham, era l’ultima discendente del prestigioso ed omonimo casato, una secolare dinastia di Lord che da tempo immemorabile dominava la parte meridionale del Galles.

  Si erano conosciuti molto piccoli, poiché i rispettivi padri intrattenevano sovente rapporti d’affari, e crescendo avevano sviluppato una grande amicizia, poi Shinji aveva lasciato improvvisamente l’Inghilterra e tutti i contatti erano cessati.

  Per festeggiare quell’insolita rimpatriata Shinji invitò Ashley in un pub di sua conoscenza situato poco distante, dove entrambi si concessero una pinta di ottima birra scura, l’ideale per scacciare il calore di un’estate così incredibilmente torrida.

  «Tu guarda cosa non combina a volte il caso.» disse Ashley mentre la cameriera portava le birre al loro tavolo «Tu sei l’ultima persona che mi sarei immaginata di incontrare.»

  «La cosa è reciproca.» rispose Shinji «Ma che cosa ci fai a Londra, se posso chiedere?»

  «Siamo venuti qui poco dopo che te ne sei andato. Papà è riuscito ad entrare alla Camera dei Lord, così abbiamo lasciato la villa del Galles per trasferirci nella nostra proprietà di Londra.

  Personalmente preferivo la cara vecchia residenza di campagna, ma se non altro ho potuto frequentare degli istituti presgiosi.»

  «Posso capire. Negli ultimi anni sono venuto di tanto in tanto a Londra accompagnando mio padre, ma anche io posso dire di preferire senza riserve la splendida campagna gallese.»

  «Anche adesso sei qui insieme a tuo padre?»

  «A dire il vero no. Sono con alcuni amici. In vacanza, se così si può dire.

  Mio padre credo sia a Los Angeles. In questo periodo viaggia molto.»

  «Immagino.»

  «Cambiando discorso. Come stanno gli altri? Matthew, Ted, Sarah e il resto della compagnia?»

  «In gran forma, come sempre. Li sento spesso, e ci incontriamo quando sovente ritorniamo in Galles. Saranno felici di sapere che ti ho incontrato. Ma ora, parlami di te. Com’è la vita in Giappone?»

  «Me la cavo. Ormai sono alla soglia della maturità.»

  «Io la maturità l’ho data proprio quest’estate. L’anno prossimo, se tutto andrà bene, dovrei entrare a Oxford.»

  «Davvero!? Anche io vorrei dare l’esame di ammissione per accedere all’università di Oxford. Contavo di studiare ulteriormente durante le vacanze estive, ma poi è capitata questa vacanza inattesa.»

  «Non credo comunque che incontrerai difficoltà, con il talento che ti ritrovi. Chi dovrebbe ridimensionare i suoi propositi sono io.»

  «Non dire così, Ashley. Tu hai molto talento.»

  «Ti ringrazio.» rispose lei accennando una risatina «Vorrà dire che farò il possibile, e con un po’ di fortuna dall’anno prossimo saremo di nuovo compagni di studio.»

  «Lo spero proprio.»

  «Allora? Hai programmi per oggi?»

  «Non che io sappia.»

  «Molto bene. Allora che ne dici di sfruttare al meglio questa fortunata coincidenza?»

  «Non vedo perché no».

  Lasciato il pub i due ragazzi rimasero insieme per tutto il giorno, perdendosi nei meandri della città e godendosi gli innumerevoli divertimenti che essa aveva da offrire.

  Visitarono la National Gallery e il museo delle cere, in cui nessuno dei due era mai stato, sostarono sulle sponde del Tamigi e di fronte a Westminster, si concessero un pranzo all’inglese in uno dei tanti localini toccata e fuga disseminati in tutta Londra e trascorsero il pomeriggio passeggiando per i viali pedonali nei pressi di Greenwich per poi fare un giro sulla ruota panoramica dalla quale si aveva una stupenda veduta aerea dell’intera città, illuminata dalle prime luci della sera.

  A Shinji piaceva la compagnia di Ashley, almeno quanto quella di Keita e Nadeshiko, perché proprio come loro era stata una delle poche persone capace di guardare oltre le apparenze.

  Se in Giappone erano i tratti somatici la fonte del suo malessere, nella terra natia invece a provocargli un senso di estraneità e a renderlo oggetto quantomeno di sguardi interrogativi era il suo nome, voluto fortemente dalla famiglia materna, soprattutto negli ambienti dell’alta società inglese tanto frequentati dal padre.

  Benché la situazione non fosse mai stata pesante come quella che aveva dovuto sopportare in un Paese dalla mentalità chiusa e piuttosto retrograda come il Giappone, la pressione che un atteggiamento tanto singolare provocava su di lui non era stata del tutto indifferente, benché l’ingenuità tipica del periodo infantile gli avesse fatto attribuire a ben altri motivi le numerose situazioni imbarazzanti o enigmatiche nelle quali il suo nome lo aveva condotto.

  Ashley invece era diversa, e anzi, quando aveva saputo per la prima volta il nome del suo nuovo amico aveva detto di trovarlo carino.

  A molti anni di distanza Shinji sentiva le medesime sensazioni quando era in sua presenza, e stare vicino a lei gli faceva battere il cuore.

  Dopo aver cenato insieme in un ristorante di un certo prestigio, prima di salutarsi, magari al giorno dopo, decisero di fare un’ultima passeggiata immersi nella quiete e nella tranquillità di Greenwitch Park, che dopo una certa ora diveniva meno affollato, anche d’estate.

  «È stata una giornata davvero fantastica.» disse Ashley «Mi è sembrato di tornare indietro nel tempo. A te no?»

  «Sì, anche a me.» rispose Shinji, che malgrado il suo solito sorriso e l’espressione allegra pareva avere la testa da tutt’altra parte.

  In realtà aveva avuto la medesima impressione, e non ricordava l’ultima volta in cui aveva trascorso un giorno tanto sereno, lontano da preoccupazioni vecchie e nuove che nella vita di tutti i giorni non gli davano tregua, costringendolo a nascondere dietro quel suo sorriso all’apparenza così sincero i suoi veri sentimenti.

  «Sai, mi torna in mente quella volta in cui ci siamo nascosti nel giardino della mia tenuta, fra gli alberi del boschetto.

  Te lo ricordi anche tu, vero?»

  «E come potrei dimenticarmelo?» rispose Shinji, che camminava stando qualche passo indietro «Volevamo fare uno scherzo ai nostri genitori, e invece abbiamo finito per scatenare il finimondo. Stavano quasi per chiamare la polizia.»

  «Ad un certo punto mi sono fatta male scivolando sul sentiero. Piangevo a dirotto, ma tu hai preso il tuo fazzoletto e lo hai annodato intorno alla mia gamba, poi mi hai detto qualsiasi cosa accada, io sarò sempre qui per aiutarti».

  Shinji questa volta non riuscì a mantenere il proprio atteggiamento di facciata, e per fortuna che Ashley stava avanti a lui, altrimenti avrebbe visto l’espressione stupita comparsa per un istante sul volto del ragazzo.

  Ricordava bene quel momento, così come ricordava i sentimenti e le emozioni che esso aveva suscitato in lui, e dopo aver passato dieci anni a chiedersi se anche Ashley avesse provato le stesse sensazioni ora ne aveva la conferma.

  Era così scosso ed atterrito da non accorgersi che la sua compagna si fosse fermata, tanto da superarla e continuare imperterrito per la sua strada con la testa piena di pensieri, e solo dietro richiamo della ragazza si avvide di stare procedendo da solo.

  «Ashley?» disse girandosi, solo per rimanere di sasso.

  L’espressione di Ashley era di incredulità e paura, e rimaneva immobile come una statua coi piedi uniti e le braccia lungo i fianchi; sembrava ad un passo dal piangere.

  «Che ti succede?»

  «Shinji… non riesco a muovermi.»

  «Cosa, ma che…».

  Prima che Shinji potesse finire la frase un circolo magico comparve sotto i piedi di Ashley, e nello spazio di un secondo Atropo comparve dal nulla sospesa a mezz’aria con la propria falce già puntata alla gola della ragazza.

  «Non muoverti.» esordì subito dopo essere apparsa «O con un solo colpo apro la gola alla tua amica.»

  «Chi sei?»

  «Prova a indovinare.»

  «Sei al servizio di Seth?»

  «Perspicace.»

  «Lascia andare subito Ashley. Lei non c’entra nulla in tutto questo.»

  «Non temere, non le torcerò un capello. Sempre che tu faccia la cosa giusta.»

  «Che cosa vuoi da me?»

  «Lo scoprirai molto presto. Ti aspetto alla banchina numero otto, sulla sponda sud del Tamigi. Naturalmente devi venire solo.»

  «Shinji…» balbettò Ashley terrorizzata mentre la luce del cerchio inghiottiva sia lei che Atropo «aiutami…».

  Il ragazzo all’ultimo cercò di accennare una reazione, ma un istante dopo le due ragazze erano scomparse, lasciandolo solo e preoccupato, ma deciso più che mai a fare quanto era in suo potere per salvare la sua amica.

 

Shinji arrivò sul luogo prefissato per l’incontro non appena il big bang, in lontananza, segnò lo scoccare delle undici.

  La banchina, come previsto, era deserta, e all’interno di una sfera di luce fluttuante ad una trentina di metri da terra c’era Ashley, priva di sensi; sopra di essa, con in mano la propria falce, c’era invece Atropo, che ghignava di soddisfazione osservando l’espressione preoccupata del ragazzo.

  «Molto bravo. Ci hai messo meno del previsto.»

  «Ho fatto quello che volevi, ora lascia andare Ashley.»

  «Con calma, non c’è fretta.» rispose la ragazzina, che con un salto raggiunse la banchina «Prima divertiamoci un po’».

  Atropo schioccò le dita, e dai magazzini tutto intorno cominciarono ad uscire decine di zombi, che in breve circondarono Shinji; alcuni di loro erano persino armati, più che altro con coltelli, spranghe e altre armi improvvisante, ma ce n’erano un paio che impugnavano anche delle armi da fuoco. In comune avevano anche il fatto di essere tutti quasi nudi, con indosso nulla più che la biancheria intima e, qualcuno, un camice da ospedale.

  «Anche tu nutri l’insana passione di trasformare persone innocenti in non-morti da usare a tuo piacimento.»

  «Non confondermi con Thanatos.» rispose Yuuhi con espressione amichevolmente malevola e il tono di chi si sente punto sul vivo «Io non sono come quella necrofila. Questi corpi provengono tutti dalla sala autopsie della polizia locale.

  Drogati, rapinatori, assassini. Gente che non merita neppure di andare all’altro mondo. Questa è sicuramente la migliore delle punizioni per umani tanto abbietti e privi di morale.

  Uccidetelo!».

  Alcuni zombi cercarono di attaccare, ma Shinji li prese in controtempo e, con un solo calcio, spezzò a metà uno di loro, quindi, evitato un fendente di coltello, stese facilmente anche il secondo.

  Uno di quelli armato con una pistola tentò di sparargli mentre ne stava sistemando un altro, ma il ragazzo se ne avvide in tempo e mise il suo avversario ormai morente sulla traiettoria del proiettile, usandolo come scudo e facendolo morire al suo posto.

  Atropo era comprensibilmente colpita dall’agilità e dalla maestria del nemico, ma questo non la impensierì più di tanto, nemmeno quando Shinji ebbe fatto completamente piazza pulita, lasciando dietro di sé null’altro che un tappeto di corpi che divennero rapidamente cenere.

  «D’accordo, non sei poi così male. Ma non credere che con me sarà altrettanto facile».

  Detto questo la ragazzina si lanciò a sua volta all’attacco. Aveva un modo strano di utilizzare la propria falce: sfruttando la curvatura molto marcata dell’impugnatura, la faceva roteare attorno al corpo come fosse un nunchaku, creando fendenti obliqui estremamente rapidi e pericolosi.

  Tuttavia, subito dopo aver fatto strage degli zombi, Shinji aveva recuperato quel suo sorriso enigmatico e, all’apparenza, del tutto fuori luogo, e tutto quello che faceva era schivare gli attacchi, senza però tentare alcun tipo di reazione.

  «Che diavolo ti prende? Hai paura di contrattaccare?»

  «Niente affatto.» rispose il ragazzo sorridendo innocentemente «È che non è mia abitudine far del male ad una ragazzina.»

  «Una ragazzina!?» tuonò l’interessata visibilmente infuriata «È solo così che mi vedi, maledetto umano!?

  Io sono Atropo, una divinità! Posso recidere il filo della tua vita quando voglio!»

  «Non offenderti, ma non sei un po’ grande per giocare a fare l’eroina?»

  «Tu, maledetto! Questa me la paghi!».

  Yuuhi riprese il suo attacco in modo ancor più aggressivo e determinato di prima, ma malgrado tutto Shinji continuava a rimanere insistentemente sulla difensiva, e quel suo sorriso serviva solo a mandare la sua avversaria ancor più su di giri.

  «Maledetto!» gridava menando un fendente dietro l’altro «Sempre lì ad ostentare quel sorrisetto ipocrita! Sempre con quel tuo falso sorriso stampato in faccia, quella tua giovialità di facciata! Nascondi le tue vere emozioni recitando la parte del tipo perennemente allegro e senza pensieri! Tu sei il tipo di persona che maggiormente detesto!».

  Forse Yuuhi era una ragazzina molto avventata e presuntuosa, pensò Shinji durante la seconda pausa, ma di cose ne sapeva.

  «Che c’è, sei sorpreso? Leggere i ricordi delle persone è una delle mie specialità. Ti osservo dal giorno in cui sono tornata a vivere, e lasciati dire questo.

  Quelli come te, che nascondono i loro veri sentimenti, gli ipocriti che hanno paura di guardare in faccia la realtà per quello che è e che lasciano lascano scorrere imperterriti gli eventi senza fare nulla per cambiarli sono il male peggiore che questa umanità già marcia di suo possa ostentare».

  A quel punto, finalmente, Shinji si fece serio, molto serio.

  «Forse hai ragione. Forse è vero che non bisognerebbe mascherare i propri sentimenti. Il fatto è che io non voglio che il dolore che mi porto dentro finisca per far soffrire anche quelle poche persone che hanno voluto accettarmi per quello che sono.

  Forse hai ragione nel dire che la mia è una maschera di ipocrisia e menzogna, e sono io il primo a vergognarmene. Sfortunatamente, almeno per ora, è una maschera necessaria.»

  «Mettiamo pure il caso che tu indossi questa maschera per non far sapere agli altri che persona sei realmente. Ciò che mi fa davvero infuriare di te è che la usi non solo per nasconderti gli altri, ma anche per ostentare la più assoluta indifferenza nei confronti dei pensieri che sai essere rivolti a te da tutti coloro che ti stanno attorno.

  Esiste qualcosa di più ipocrita di questo?»

  «Purtroppo, qualsiasi cosa io faccia, questo non cambierà mai pregiudizi ed opinioni che alcuni hanno cucito su di me nel momento esatto in cui mi hanno visto.

  Il pregiudizio degli esseri umani marcia di pari passo con la loro stupidità. Per quanto io possa impegnarmi certe cose non muteranno facilmente, e io ero stanco di soffrire, quindi ho deciso di rimanere indifferente. A volte l’indifferenza, per quanto sbagliata, è l’unica cosa che permette a persone come me di andare avanti.»

  «Ti sbagli! C’è sempre un’alternativa, ed è combattere! Io sono stata guardata dall’alto in basso fin dal giorno della mia nascita, prima per la mia intelligenza e poi per la famiglia che avevo avuto!

  Avevo chiesto io tutto questo? No di certo! Io volevo solo vivere la mia vita senza nessuno che mi sparlasse alle spalle o criticasse tutto quello che facevo! Era chiedere troppo?».

  Yuuhi fece una pausa, respirando profondamente nel tentativo di sbollire la rabbia, poi riprese a parlare in maniera più pacata, ma comunque a denti stretti.

  «È davvero così bello indossare una maschera? È così bello subire passivamente solo per poter vivere in pace? Non l’ho chiesta io la famiglia in cui sono nata, e non ho alcuna intenzione di venire etichettata per colpe di cui non sono responsabile.

  E come ti ho già detto, se c’è una cosa che odio…».

  La ragazzina alzò gli occhi, fino a quel momento rivolti a terra: scintillavano di rosso, ed erano carichi di rabbia.

  «Sono quelli che accettano di vivere così!».

  Un enorme circolo magico si formò sotto i suoi piedi, sollevando un vento così forte che Shinji dovette coprirsi il volto e puntarsi con forza a terra per non venire spazzato via.

  Quando la tempesta si acquietò, davanti a lui era comparso un mostro gigantesco, una vera e propria montagna semovente fatta interamente di grossi massi tenuti insieme da una forza sconosciuta; da una piccola fessura nella parte alta della testa,composta da un unico grande blocco, emergevano due grandi luci gialle, probabilmente gli occhi, se di occhi si poteva parlare.

  Yuuhi era in piedi sopra la spalla sinistra.

  «Accidenti, questa non me l’aspettavo.»

  «Golem! Fai a pezzi quell’umano insolente!».

  Il mostro lanciò un urlo assordante per poi menare un pugno che, malgrado la sua mole, viaggiò a velocità considerevole; per fortuna Shinji riuscì a spostarsi giusto in tempo, evitando di finire schiacciato da quella specie di maglio da guerra che disintegrando l’asfalto produsse un buco profondo almeno un metro.

  La stessa scena si ripeté più volte, ma a differenza di qualche minuto prima Shinji sembrava avere qualche difficoltà in più. Probabilmente la stanchezza stava cominciando a farsi sentire; dopotutto, difendersi richiedeva molte più energie dell’attaccare, soprattutto se gli assalti del nemico arrivavano in così rapida sequenza.

  Alla fine, inevitabilmente, uno dei colpi andò a segno, e Shinji venne letteralmente sparato contro il muro di un hangar; i suoi occhiali volarono via, cadendo a terra e finendo in mille pezzi.

  «Sembra che tu sia arrivato alla fine della corsa.» disse Yuuhi soddisfatta «Hai qualcosa da dire?».

  Shinji dapprincipio non rispose, poi, rialzatosi, osservò la ragazzina; senza gli occhiali, probabilmente una ulteriore maschera indossata di proposito per nascondere ancor di più le sue vere emozioni, il suo volto, ora rigato anche da alcune linee di sangue, appariva incredibilmente serio, per non dire minaccioso.

  Vedendolo così, Yuuhi sorrise.

  «A quanto pare la tua maschera è andata in pezzi. Finalmente ti vedo come sei in realtà.»

  «Perché nutri così tanto disprezzo nei confronti di colori che celano i loro sentimenti?»

  «Te l’ho già detto, non c’è nulla al mondo che io detesti maggiormente dell’ipocrisia. Nascondersi dietro ad una maschera è qualcosa di cui tutti sono capaci, e questo, oltre che di ipocrisia, è un segno di vigliaccheria. Non accetterò mai di lasciare questo mondo a una razza che fa della menzogna una delle proprie costanti.»

  «Anche tu però sei umana. A questo non hai pensato?»

  «Io, umana? Non lo sono più da tempo. Ho aperto gli occhi, ho riscoperto le mie origini. Forse sono umana nel corpo, ma nello spirito e nella mente sono qualcosa di infinitamente più grande.»

  «Ne sei sicura?» replicò Shinji tornando a sorridere, seppur lievemente «Io non ci credo.»

  «Cosa!?»

  «Vedi, non è facile saper riconoscere quando qualcuno sta indossando una maschera, e il motivo è molto semplice. La maggior parte delle persone cambia in continuazione la maschera che indossa, a seconda del bisogno, e a forza di ostentare illusioni sempre diverse riconoscere il volto che si cela al di sotto diviene quasi impossibile, non solo per chi ti sta di fronte ma anche per noi stessi.

  Quelli come me, che ne hanno indossata una sola, esercitandosi a modellarla fino a farne quasi il proprio vero volto, sono poi ancora più difficili da smascherare.

  E per come la vedo io» disse il ragazzo alzando gli occhi ed ostentando uno sguardo severo e giudicatore «Le sole persone in grado di riconoscere le maschere altrui sono coloro che le indossano a loro volta».

  Yuuhi rimase così scossa da quell’affermazione che per un istante restò immobile con la bocca socchiusa e gli occhi spalancati, pieni di stupore, ma dopo qualche secondo che il suo corpo aveva tremato il suo sguardo si caricò di astio.

  «Come hai detto!?» ringhiò furibonda

  «La verità è che tutti indossano una maschera. È inevitabile. Fa parte dell’animo umano. Cambia solo l’abilità nel farla sembrare il più possibile reale. Coloro che riescono a vivere la propria esistenza senza nascondersi dietro ad un simulacro sono veramente pochi. E non è il nostro caso.

  Sia te che io portiamo una maschera, la differenza è che tu non ne sei consapevole.»

  «Taci! Io non porto nessuna maschera! Io sono esattamente come tu mi vedi!»

  «Ti sbagli. Anche tu indossi una maschera, e in questo momento la stai mostrando in modo anche troppo evidente.»

  «Che cosa!?»

  «Sono state la rabbia e il risentimento che portavi nell’animo a costruirla; la tua rinascita come Atropo, come servitrice di Seth, l’ha portata alla luce, e prima di rendertene conto l’avevi addosso.

  Di fronte a tutti ostenti una personalità battagliera, ferma nelle sue convinzioni e decisa a cancellare da questo mondo ciò che ritiene sbagliato, ma sotto questa patina si cela invece una persona che ha sofferto e soffre ancora per tutto quello che è stata costretta a sopportare.

  La stessa Atropo è solo una maschera. Al di sotto c’è Yuuhi, una ragazzina assolutamente umana che, secondo me, ha paura di venire alla luce, perché teme di soffrire ancora.»

  «Basta! Stai zitto!».

  Golem, forse percependo le emozioni della sua padrona, si lanciò all’attacco, cercando di assestare a Shinji il colpo di grazia.

  Il ragazzo però, sorprendentemente, riuscì a schivare il colpo, e quando il polverone prodotto dal crollo della parete cominciò a posarsi era in piedi sul polso del mostro.

  «Tuttavia, non posso permettere a questa maschera di fare del male alle uniche persone che mi sono rimaste vicino.» disse, e con un salto raggiunse la testa di Golem per poi spiccare un grande salto, dritto verso la sfera fluttuante in cui era rinchiusa Ashley.

  Dopo aver ruotato su stesso colpì violentemente la prigione con micidiale colpo del tallone mandandola in mille pezzi, e prima che Ashley potesse cadere la afferrò per un polso, tirandola a sé e tornando a terra insieme a lei.

  «Maledizione!» imprecò Yuuhi

  La ragazza, forse a causa del violento contraccolpo, riaprì per un istante gli occhi, incrociando lo sguardo rassicurante di Shinji.

  «S… Shinji.»

  «Va’ tutto bene, Ashley. È finita.»

  «Lo sapevo… lo sapevo che saresti venuto.» disse prima che l’incantesimo di Shinji la facesse riaddormentare, e dopo averla adagiata delicatamente contro uno dei pali usati per assicurare le cime delle navi tornò a concentrarsi sulla sua sfida.

  «Dannatissimo umano ipocrita!»

  «E ora, mettiamo fine a questa storia!»

  «Non crederai che mi lascerò sconfiggere così facilmente. Golem!».

  Il mostro, apparentemente infuriato quanto e più la sua padrona, corse a perdifiato verso il ragazzo per poi assestare un nuovo colpo, ma l’attacco venne respinto da una barriera di luce che funzionando come un tappeto elastico ricacciò indietro la creatura.

  «Ma cosa…»

  «Rimproveri l’ipocrisia che accomuna molti esseri umani, ma indossi tu stessa una maschera.

  Ti dimostrerò io che in realtà sei una ragazzina sola e con il cuore pieno di paura».

  Shinji spiccò un nuovo salto, colpendo il mostro al mento con un calcio fortissimo che lo fece barcollare vistosamente, poi, approfittando del suo contrattacco, gli balzò sul polso, quindi corse velocissimo lungo tutto il braccio e, raggiunta la spalla, appoggiò a terra una mano assestando un nuovo, micidiale calcio, questa volta all’altezza dell’orecchio.

  Golem urlò dal dolore, e appena Shinji saltò giù il suo corpo cominciò a sgretolarsi.

  «No… non è possibile!» disse Yuuhi vedendo i pezzi del suo mostro cadere uno ad uno prima di precipitare a terra appena ciò che rimaneva della creatura cadde all’indietro, provocando un piccolo terremoto col suo peso non da poco.

  Alla fine anche i massi scomparvero, inghiottiti dal circolo magico apparso nuovamente sotto di loro, e rimase solamente Yuuhi seduta per terra, atterrita e terrorizzata da ciò a cui aveva appena assistito.

  Il suo sguardo sprezzante e combattivo era del tutto scomparso, lasciando al suo posto quello di una normale bambina spaventata che comprende di essere stata messa davanti a qualcosa di più grande di lei.

  «Go… golem…»

  «Questa sfida è finita.»

  «Pe… perché? Perché è successo?»

  «È successo perché non hai voluto accettare la realtà dei fatti. La tua rabbia, quella rabbia verso il genere umano di cui ti fai portavoce, ha reso labile il legame fra te e il tuo famiglio, e ha decretato la vostra sconfitta.»

  «No… non posso crederci».

  Shinji rivolse dunque il suo sguardo verso Ashley, uno sguardo severo e anche un po’ malinconico.

  «Chi, come noi, soffre quotidianamente per motivi che non gli riuscirà mai di cancellare ha un motivo in più per volersi nascondere dietro ad una maschera, perché ritiene sia l’unico modo per riuscire ad andare avanti.

  Anche io un tempo la pensavo così, fino a poco tempo fa, ma se ho cambiato idea è stato solo per merito di quelle poche persone che sono riuscite a vedere attraverso di essa, e a scorgere il mio vero volto.

  Ora loro sanno chi sia io realmente, ma la cosa non mi crea turbamento.

  Ciò nonostante, ho deciso di continuare ad indossare questa maschera ancora per un po’, se non altro per non coinvolgere nel dolore che continuo nonostante tutto a provare anche coloro che sono riusciti a lenirlo almeno in parte.

  E tu? Perché accetti di continuare a portare quella maschera? Non sarebbe meglio liberarsene? Sono sicura che anche tu hai delle persone che ti apprezzano per quello che sei, e che sono pronte a fare di tutto per aiutarti.

  Non rifiutare il loro aiuto. La solitudine è il collante di qualsiasi maschera.»

  «Io… io…» balbettò Yuuhi a denti stretti mentre le lacrime rigavano le sue guance «Io non accetterò mai di piegarmi! Non farò la parte della ragazzina indifesa vittima del pregiudizio altrui! Mai e poi mai mi abbasserò di nuovo, mai più accetterò le umiliazioni che ho dovuto sopportare! E se questo vorrà dire uccidere tutti coloro che oseranno anche solo guardarmi male, allora così sia!».

  Shinji la guardò con un misto di compatimento e tristezza, ma prima che potesse rispondere Ushio, la sorella di Yuuhi, comparve al fianco di quest’ultima brandeggiando una enorme spada lunga più di lei e larga almeno una trentina di centimetri; aveva una forma strana, quasi tribale, come se fosse stata creata semplicemente affilando una roccia.

  «Sorella!?» esclamò Yuuhi «Che ci fai tu qui?»

  «Avrai molte cose da spiegare a me e a Lachesi. Sapevi che il nostro famiglio non andava usato con leggerezza, ma come al solito hai voluto fare di testa tua.»

  «Io… mi dispiace…»

  «Quanto a te, se sfiorerai mia sorella anche solo con un dito te la dovrai vedere con me!».

  Shinji non si mosse, e non pareva intenzionato a fare alcunché, ma altrettanto non si poteva dire per Cloto, che sembrava lì per scattare da un momento all’altro.

  Se non che, all’improvviso, il ragazzo si sentì chiamare, e lui, giratosi, vide i suoi compagni correre nella sua direzione.

  «Ragazzi!».

  Toshio, Keita e Takeru si pararono in difesa del loro amico, Yuuhi invece si rimise in piedi brandeggiando nuovamente la sua falce.

  C’erano tutti i presupposti per un nuovo scontro, ma una nuova voce, estremamente imperiosa e tonante, intimò a tutti di smetterla subito, e subito dopo Minami, la terza delle tre sorelle, comparve dal nulla in mezzo fra i due schieramenti.

  La sua arma era ancor più strana di quelle delle sue compagne: sembrava l’incrocio fra uno scudo e una gigantesca punta di lancia, tondeggiante e grossa da una parte, affilata e sottile dall’altra e lungo tutto il bordo, e il braccio destro vi era completamente infilato dentro fino alla spalla.

  «Fermatevi! Tutti quanti!»

  «Lachesi!?» disse Yuuhi

  «Voi due, tornate immediatamente al castello. Ho già parlato con il nobile Seth, ed egli è pronto a dimenticare il vostro tentativo di insubordinazione, a patto che vi fermiate ora».

  Yuuhi e Ushio sembravano incredibilmente contrariate, e guardavano i ragazzi come se volessero incenerirli, poi però capirono che era meglio ubbidire e si ritirarono, promettendo però che non sarebbe finita lì.

  Rimase solo Minami, che si avvicinò a Toshio e al suo gruppo; i ragazzi dapprima tennero le armi alzate, poi però, capendo che la giovane donna non aveva alcuna intenzione di combattere, le riposero.

  «Grazie.» disse rivolto a Shinji «Per non aver fatto del male a mia sorella.»

  «Non c’è di che.» rispose l’interessato.

  Una simile dimostrazione di onore e giustizia da parte di un servitore di Seth lasciò Toshio e gli altri comprensibilmente allibiti, ma era chiaro che non si trattava di una messinscena.

  «Fin da quando i nostri genitori sono morti, Ushio e Yuuhi hanno cominciato a comportarsi in modo sempre più cinico e distaccato, soprattutto Yuuhi. Lei è quella che ha risentito più di tutti la loro scomparsa. A lungo ho cercato di mantenerle nascosta la verità su che tipo di persona fosse nostro padre, ma mi rendo conto che forse si è trattato di un errore, perché la realtà che io ho voluto nasconderle le è stata sbattuta davanti nel modo più crudele possibile.

  Io ho fatto il possibile per non far loro mancare nulla di ciò che io non avevo mai potuto avere. Loro non erano mai state costrette a passare per quello che era capitato a me, non avevano trascorso intere notti nel terrore di morire e non avevano passato la loro infanzia a scappare da un luogo all’altro per sfuggire sia alla polizia che alle famiglie rivali.

  Purtroppo, invece che educarle al rispetto della vita e alla giustizia, ho fatto germogliare in loro una personalità oscura e ambiziosa, ossessionata da propositi di vendetta.

  Quando le memorie di Lachesi si sono risvegliate in me, per un attimo anche io ho cominciato a provare le loro stesse emozioni, ma i millenni trascorsi rinchiusa in quel libro mi hanno fatta riflettere.

  Ora mi rendo conto che la causa che accettammo di appoggiare era forse giusta, ma il modo in cui avevamo scelto di perseguirla era sbagliato.

  Gli umani hanno il diritto di decidere della loro vita, ma è anche giusto che chi ha i mezzi per farlo faccia capire ai propri compagni quando stanno sbagliando.

  Io non ho abbandonato la speranza di far tornare Ushio e Yuuhi le ragazze gentili e amorevoli che erano un tempo, ma fino a che le memorie delle loro vere origini permarranno temo sia un’impresa irrealizzabile. Per questo, però, avrò bisogno del vostro aiuto.»

  «Di che aiuto parli?» domandò Nadeshiko

  «Seth si fida di me. Sono una delle pochissime persone in grado di nascondergli i miei pensieri, altrimenti a quest’ora sarei già morta. La verità è che fin dal momento in cui sono resuscitata ho deciso che non avrei più accettato di seguirlo.

  Se gli sono rimasta accanto fino ad ora è stato solo per proteggere le mie sorelle, per questo vi chiedo di sconfiggerlo e di distruggere il Libro dell’Oscurità. Quando quell’oggetto maledetto scomparirà, i ricordi delle nostre origini se ne andranno assieme a lui, e allora io, Ushio e Yuuhi saremo forse in grado di riprendere una vita normale.»

  «Hai la mia parola.» rispose Toshio «Sconfiggeremo Seth e metteremo fine a questa spirale di dolore una volta per sempre.»

  «Ti ringrazio. Non temere, ci rincontreremo presto. E per allora, spero di non trovarmi costretta a puntare la mia arma contro di voi».

  Detto questo Minami scomparve, e dopo qualche minuto Ashley riprese i sensi.

  Toshio e gli altri, su suggerimento di Nadeshiko, si fecero da parte, lasciando che il loro amico se la sbrigasse da solo.

  Shinji le raccontò ogni cosa: le parlò del torneo, di chi fosse la ragazza che li aveva assaliti e dello scopo che lui e i suoi compagni avevano scelto di perseguire. Ashley ascoltò tutta la storia con attenzione, poi però venne il momento dei saluti.

  «Forse sarebbe meglio che tu lasciassi la città.»

  «Per quale motivo?»

  «Il prossimo scontro potrebbe scoppiare da un momento all’altro, e per te sarebbe pericoloso rimanere a Londra. Potresti andarci nuovamente di mezzo, e non voglio che ti accada nulla di male.»

  «Shinji…»

  Si guardarono reciprocamente, Ashley con gli occhi inumiditi di pianto, poi lui le diede un bacio sulla fronte che la fece arrossire.

  «È stato anche merito tuo se sono riuscito a cambiare. Il minimo che posso fare per sdebitarmi è saperti al sicuro.»

  «Promettimi… promettimi che farai attenzione.»

  «Stai tranquilla.» rispose tornando a sorridere «Mi conosci, sai che mi piace stare lontano dai guai. Starò via per un po’, sistemerò delle cose, ma poi tornerò da te, e allora andremo di nuovo in quel boschetto, ci stai?».

  Ashley fece cenno di sì, poi rimase ad osservarlo mentre lui, dopo averla salutata con un cenno della mano e un affettuoso bye-bye, scompariva con un salto oltre i magazzini del porto.

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua di nuovo!

Mi scuso per il lungo periodo di ritardo, ma fra giugno e luglio dovrò dare sei o anche sette esami, di conseguenza sono sommerso di cose da fare.

Questo capitolo è il primo di una serie di tre al termine della quale abbandoneremo la seconda parte della narrazione per avviarci verso le battute conclusive.

Nel prossimo vi preannuncio un nuovo scontro del torneo, ma su chi saranno i contendenti vi lascio nel dubbio. Per quello dopo ancora, invece, aspettatevi una grande sorpresa.

Ringrazio Selly, Akita, Cleo e Lewsky per le recensioni

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 22
*** Il Coraggio di Amare ***


21

21

 

 

Passarono tre giorni.

  Agosto ormai volgeva al termine, e con esso le vacanze estive.

  Subito prima di lasciare Venezia Keita e gli altri avevano avvertito le rispettive famiglie dell’improvviso cambiamento di piani, e inventando qualche scusa plausibile erano riusciti a giustificare il prolungamento della loro vacanza ben oltre le due settimane previste, ma ormai il tempo a loro disposizione stava cominciando pericolosamente a scarseggiare.

  Potevano permettersi di rimanere in Europa al massimo un'altra settimana, perché ormai mancava davvero poco alla ripresa delle lezioni, anche se in una simile situazione diventava davvero difficile scegliere fra la prosecuzione della scuola e il fare la propria parte nella guerra ancora in corso.

  Per il momento però i ragazzi non avevano voglia di pensarci, e si godevano serenamente quegli inaspettati giorni di vacanza.

  Persino Toshio stava trovando la forza per concedersi qualche svago, e dopo quanto accaduto a Shinji aveva preso l’abitudine di seguire i suoi compagni nelle loro peregrinazioni in giro per Londra, ma sempre pronto a contrastare l’opera di qualunque potenziale avversario.

  La mattina del quarto giorno i ragazzi stavano passeggiando nei pressi di Piccadilly Circus; Nadeshiko si era improvvisamente accorta di avere le batterie della fotocamera quasi scariche, quindi lei e gli altri erano entrati in un piccolo negozio di elettronica per comprarne delle altre; la proprietaria era una giovane donna dall’aria simpatica e gentile che, dopo essere stata pagata per l’acquisto, prese da sotto il bancone un contenitore di plastica con un foro in cima.

  «Forza.» disse porgendola a Nadeshiko «Pesca una biglia. L’unione dei commercianti del quartiere ha bandito un concorso. Il primo premio è un viaggio negli Stati Uniti per quattro persone.»

  «Un viaggio!?» disse Keita «Un altro!?»

  «Beh, perché no.» commentò Toshio «Questo ve lo siete goduto poco, mi sembra.»

  «Forza, dèa della fortuna.» disse Shinji «Dai il meglio di te.»

  «Beh… ok».

  Nadeshiko mise una mano nel foro e rovistò un po’ tra le biglie, quindi ne estrasse una, mostrandola alla donna.

  «La sfera bianca. Hai vinto il terzo premio.»

  «Solo il terzo!?» esclamò Lotte, che ora, come la sorella, era in grado di mascherare alla perfezione la sua natura di famiglia «Nadeshiko, stavolta hai fatto fiasco.»

  «Beh.» rispose lei sorridendo e mettendosi una mano dietro la testa «Non si può essere sempre fortunati.»

  «Non essere così pessimista.» disse la proprietaria porgendole quelli che sembravano due biglietti per un teatro o per il cinema «Anche il terzo premio non è male».

  Nadeshiko li prese, guardandoli.

  «Sono biglietti per una crociera.»

  «Esatto. Per una nave ristorante che tutte le sere naviga lungo il Tamigi. Questi biglietti comprendono il viaggio e la cena completa.»

  «Sempre meglio di niente.» disse Lotte «Dopotutto era impossibile che Nadeshiko restasse a mani vuote».

  Appena furono usciti dal negozio, e per tutto il resto della mattinata, i ragazzi discussero tra di loro in merito a questa nuova e inaspettata vincita.

  Si trattava indubbiamente di un’esperienza imperdibile, ma i biglietti erano solo due, quindi si trattava di decidere chi di loro avrebbe potuto sfruttarli; uno indubbiamente spettava a Nadeshiko, ma anche per quanto riguardava l’altro vi erano pochi dubbi su chi ne sarebbe stato il beneficiario; tutti si aspettavano ciò che sarebbe successo, tranne ovviamente il diretto interessato.

  Toshio si accorse degli sguardi imbarazzati e timidi di Nadeshiko solo mezz’ora dopo che avevano lasciato il negozio, e quando lei trovò finalmente la forza di avvicinarsi a lui, fra gli sguardi divertiti di molti dei suoi amici, anche il ragazzo cominciò a sentirsi a disagio.

  «Toshio…» balbettò strusciandosi le mani e guardando in basso «Io… ecco… mi chiedevo… se volevi… venire con me… su quella nave…»

  «Cosa!? Io!?»

  «D’altra parte però… se non ti interessa, non fa niente. È solo una cena…»

  «No, io… veramente…».

  Prima che Toshio potesse dire o fare qualcosa di sconveniente o compromettente Shinji e Keita lo afferrarono.

  «Nadeshiko, scusaci un secondo.» disse Keita «Dobbiamo scambiare due paroline con Toshio in privato.»

  «Ah… ok…»

  «Ma sei pazzo o cosa?» sussurrò Shinji appena i tre si furono appartati «Hai idea dell’occasione che ti si sta presentando?»

  «Ma io… non lo so…»

  «Senti bene, ci sono ragazzi al nostro liceo che darebbero un braccio per avere una simile opportunità. Se te la fai scappare, in primis Nadeshiko ci rimarrà male, e poi lo rimpiangeresti per tutta la vita.»

  «Ma non so come comportarmi… non sono pratico di queste cose…»

  «Non temere, pensiamo noi a tutto. Tu fidati.»

  «Beh… d’accordo».

  Rosso come non mai Toshio tornò da Nadeshiko, che rimaneva in disparte alcuni passi indietro, quindi, senza neppure trovare il coraggio di alzare gli occhi, bisbigliò solo due parole.

  «D’accordo».

  Sembrava che gli fossero state cavate a forza, ma nonostante ciò Nadeshiko si sentì al settimo cielo.

  Keita e gli altri accolsero la cosa come un trionfo, molto più dello stesso Toshio, che per tutta l’ora successiva non fu capace neppure di avvicinarsi a Nadeshiko, rimanendo prudentemente alcuni passi indietro a lei.

  La giornata proseguì con la visita al museo delle cere e alla National Gallery, ma il pensiero bene o male era sempre e comunque rivolto a ciò che sarebbe successo al calare del sole.

  Verso le cinque i ragazzi i ragazzi decisero di tornare in albergo, e per puro caso, passando davanti alla vetrina di un’agenzia di viaggi, incrociarono un poster che ritraeva la famosa nave, chiamata River Soul; era davvero un battello stupendo, lungo e largo ma di altezza esigua, adatto a passare anche sotto i ponti più bassi.

  A leggere la didascalia sotto la foto i tavoli erano sia interni che esterni, questi ultimi posizionati sia sul tetto, dove c’era la possibilità di sollevare in tutta fretta un grande tendone per riparare da un indesiderato acquazzone, che a poppa, in assoluto la zona più esclusiva e ambita, che garantiva una tranquillità e una privacy quasi assolute.

  «È davvero bellissima.» disse Nadeshiko estasiata

  «Leggete qua.» disse Aria «Pare che la stessa famiglia reale e molti esponenti della nobiltà inglese la usino spesso per organizzare cene importanti e altri incontri facoltosi.»

  «Sarà sicuramente piena di ricconi.» commentò Lotte «Gente che si scandalizza per un colletto poco inamidato».

  A quell’affermazione tutti girarono lo sguardo chi verso Nadeshiko chi verso Toshio, fissandoli con malcelata sufficienza.

  «Che c’è?» domandò il ragazzo come se non si fosse accorto di nulla «Ho fatto qualcosa di sbagliato?».

  Ad un cenno di Shinji immediatamente tutti quanti si appartarono, cominciando a confabulare tra di loro; anche Aria e Lotte partecipavano alla conversazione, e i sorrisetti malevoli di quest’ultima venivano interpretati molto male dal suo padrone, che non prevedeva niente di buono.

  «Ascoltate. Ho un’idea. Potremmo…»

  «Ottimo.» disse Keita «È proprio quello che ci occorre».

  Si rialzarono con gli occhi scintillanti, e tutto poi avvenne nel giro di pochi secondi: con la velocità di una macchina da corsa Aria e Lotte si avventarono di Nadeshiko, e afferratala la portarono via di corsa.

  «Ma cosa…» disse Toshio, rimasto inebetito «Che state facendo!?»

  «Non preoccuparti.» disse Shinji «Sarà in buone mani. Ora però occupiamoci di te».

  Detto questo il ragazzo compose un numero sul suo cellulare e dopo pochi squilli rispose qualcuno, probabilmente del posto, perché Shinji si rivolgeva a lui parlando in inglese.

  «Alfredo? Sono io, Shinji … Sì, sono a Londra. Senti, ti ricordi quel favore che mi dovevi per quella faccenda? Ecco, questo è il momento adatto per sdebitarti. … Sì, avrei una piccola urgenza, roba dell’ultimo minuto. Ti dispiace se facciamo un salto da te? … Ottimo. Saremo lì il prima possibile. Grazie infinite. Aspettaci.»

  «Con chi stavi parlando?» domandò Takeru

  «Con un mio amico qui di Londra. Abbiamo un appuntamento con lui fra mezz’ora. Dobbiamo sbrigarci però, il suo negozio è dall’altra parte della città.»

  «Negozio!? Che negozio?» domandò Toshio stranamente preoccupato

  «Vedrai».

 

Il negozio in questione era un atelier di alta moda situato nella zona più esclusiva di Londra.

  Lo gestiva Alfredo, un italiano naturalizzato inglese, che aveva su di sé tutti gli stereotipi dello stilista modello: bassetto, magrolino, gesticolante e, soprattutto, incredibilmente effeminato, per non parlare di quel suo inglese misto ad italiano che faceva ridere anche a non capirci niente.

  Qualche anno prima, a causa di una brutta crisi economica, Alfredo si era trovato ad un passo dal chiudere bottega, ma grazie al padre di Shinji, che lo aveva rilevato e ci aveva speso sopra un bel po’ di soldi, l’attività era stata salvata, e anzi procedeva meglio di prima, rifornendo i guardaroba di alcuni degli uomini più ricchi della città e non solo.

  Due piani ridondanti di abiti d’alta classe, un vero museo del lusso a cui non si poteva accedere a meno di non essere più che miliardari.

  Shinji, però, non doveva preoccuparsene più di tanto: era stato lui a convincere il padre a spendere soldi su quell’attività apparentemente senza speranza, dando prova per la prima volta delle sue grandi abilità di manager, e Alfredo aveva più volte detto di volersi in giorno sdebitare.

  «Mr Morrison!» disse appena Shinji e gli altri varcarono la porta d’ingresso «Quale onore averti qui.»

  «Ciao, Alfredo. Ne è passato di tempo.»

  «Troppo, troppo. Angela!» esclamò rivolto ad una delle sue dipendenti «Champagne per i miei graditi ospiti!

  Allora, che cosa posso fare per te?»

  «Beh.» disse Shinji facendo uscire allo scoperto un Toshio più imbarazzato e fuori luogo che mai «Il mio amico qui stasera ha un appuntamento sulla River Soul con una bellissima ragazza, e bisogna che sia perfetto.»

  «Ah. Incontro romantico, eh? Ci sono programmi per il dopo?»

  «Il… dopo?» domandò l’interessato

  «Beh certo, se c’è un dopo, meglio la maglietta. Sbottonare la camicia fa perdere tempo.»

  «No! No!» si affrettò a dire Shinji prima che Toshio potesse svenire per l’imbarazzo «C’è solo la cena, niente altro! E non farsi strane idee.»

  «Ah, d’accordo».

  Toshio fu invitato a mettersi al centro di un cerchio disegnato sul pavimento del negozio e Alfredo, raccolto un metro e un notes, prese a girargli attorno, guardandolo per ogni dove e facendolo diventare sempre più nervoso.

  «Dunque, dunque, dunque. Statura rilevante, spalle possenti, ampio torace, braccia muscolose, e un comportamento regale.

  Lei è di alta società, giusto?»

  «Beh… più o meno.»

  «Lo immaginavo. Allora, allora… io ci vedo un tessuto… tessuto leggero. Un gessato. E il colore… il colore… ci vedo la notte, il buio leggero… ci vedo… un blu! Sì, un blu scurissimo, il colore della notte, e una camicia di seta, bianca, come la luna! Un cielo perfetto! Le scarpe… a punta! Nere! E ci aggiungerei anche un bell’orologio! D’argento, con il quadrante nero! Cravatta blu, naturalmente, gemelli d’oro ai polsi, e come fiore all’occhiello… una rosa. Una bella rosa bianca. Una stella!

  Bianco e blu… un’accoppiata perfetta.

  Angela, portami il completo numero dodici e il set di camicie di seta. E le scarpe, e gli orologi, e i nostri gemelli più raffinati!»

  «Subito!».

  «Shinji, accidenti a te.» bisbigliò Toshio in un momento in cui Alfredo era distratto «Si può sapere dove mi hai portato?»

  «Non preoccuparti.» rispose il ragazzo alzando il suo calice di cristallo pieno di champagne «Lui sa quello che fa. Vedrai, sarai perfetto.

  Alla salute».

  Nadeshiko intanto era stata riportata da Aria e Lotte nella loro stanza d’albergo, da cui le era proibito di uscire.

  «Ma si può sapere che vi passa per la testa?»

  «Con calma.» rispose Lotte col suo sorrisetto divertito «Presto saprai tutto».

  E infatti, dopo qualche minuto, qualcuno bussò alla porta, e Aria andò ad aprire; era Ashley, accompagnata da due dipendenti dell’hotel che trasportavano una sorta di grande armadio a rotelle.

  «Ashley!?»

  «Sorpresa di rivedermi?»

  «Ma che cosa ci fai qui?»

  «Shinji mi ha chiamato e mi ha spiegato tutta la situazione. Non temere, mi occuperò io di te».

  Appena i due camerieri se ne furono andati Ashley aprì l’armadio mobile, posizionato al centro della stanza: era pieno fino all’orlo di abiti sontuosi, degni di una regina, nonché di tutto il necessario per organizzare una serata degna di questo nome.

  «Quanti vestiti!»

  «Mia madre è una stilista prestigiosa. Questi sono abiti da sera che ha disegnato appositamente per me. Sono dei modelli assolutamente unici.»

  «Ma… perché li hai portati?»

  «Non vorrai salire a bordo della River Soul indossando un completino qualunque.

  Avanti, spogliati e cominciamo. Ne avremo per un bel po’».

  Nadeshiko era un po’ imbarazzata all’idea di rimanere in biancheria intima davanti ad una persona che conosceva solo da settantadue ore, ma poi si ricordò che dopotutto era pur sempre la migliore amica di Shinji, quindi non c’era niente di cui preoccuparsi; e poi, Ashley era una ragazza così gentile, quindi alla fine Nadeshiko obbedì.

  Il primo capo fu un banalissimo pigiama, giusto per controllare le misure.

  Aria e Lotte rimanevano in disparte, la prima leggendo un libro con assoluta indifferenza la seconda curiosando come una bambina fra accessori e cosmetici.

  «Proprio come immaginavo.» disse Ashley girando intorno alla modella improvvisata «Tu e io abbiamo la stessa taglia. Ora si tratta solo di trovare l’abbinamento migliore».

  La tappa successiva fu una piacevole e salutare doccia ristoratrice, durante la quale Nadeshiko ebbe modo di riflettere su tutte quelle sensazioni che di giorno in giorno si facevano sempre più forti, sensazioni che teoricamente avrebbero dovuto renderla felice, cosa che effettivamente un po’ accadeva, ma che le mettevano anche un po’ di strana inquietudine.

  Ormai i suoi sentimenti per Toshio, che nello stesso momento veniva costretto a sperimentare di persona il reparto sauna in dotazione all’atelier di Alfredo, erano più che evidenti, e lo stesso valeva per lui, il problema era riuscire ad esternarli.

  C’era però un altro quesito che ultimamente aveva preso ad agitarsi nella sua mente.

  Perché lui?

  Forse, si diceva Nadeshiko, il suo era stato il classico colpo di fulmine, fatto sta che fin dalla prima volta che lo aveva visto si era immediatamente sentita legata a lui, ed era certa che anche Toshio pensasse la stessa cosa.

  A lungo aveva pensato che la ragione di ciò fosse imputabile all’indubbio fascino che il giovane guerriero era in grado di esercitare su molte ragazze, o magari a quel suo carattere così introverso e misterioso, da esplorare come le profondità di una caverna, ma ormai Nadeshiko era quasi del tutto sicura che non si trattasse solo di questo: nel corso degli anni ne aveva conosciuti di ragazzi affascinanti, alcuni dei quali avevano anche trovato la forza di dichiararsi, ma nessuno era stato in grado di colpirla al cuore come aveva fatto Toshio, senza oltretutto agire in modo concreto.

  Una cosa era certa, e cioè il batticuore che la prendeva ogni volta che lo aveva vicino o che anche solo pensava a lui.

  Magari questa cena poteva essere una buona opportunità per chiarire un di cose, e Nadeshiko se lo augurava profondamente: del resto, la sola prospettiva di restare un’intera serata sola con lui la faceva palpitare, e sperava con tutto il cuore che almeno per una volta tutto andasse per il verso giusto.

  Terminata la doccia Nadeshiko, ancora con l’asciugamano annodato intorno al corpo, fu invitata a sedersi davanti al grande specchio circolare della sua camera da letto, dove Ashley la attendeva con un kit per il makeup degno di una truccatrice di professione.

  «Hai un viso così grazioso che il trucco risulterebbe quasi superfluo.» disse constatando il fascino naturale di cui era dotata la ragazza, i cui lineamenti, riflessi nello specchio, parevano disegnati ad arte «Vorrà dire che ci limiteremo all’essenziale, giusto per ingentilire la figura, poi passeremo al vestito.»

  «D’… d’accordo. Mi fido di te».

  Come predetto da Ashley furono sufficienti un po’ di colore per le guance, una ritoccatina alle sopracciglia e una punta di lucido per le labbra, e la timida Nadeshiko a lavoro concluso sembrava uscita da un dipinto.

  «Ecco fatto. Che te ne pare?»

  «Quella…» balbettò lei osservando nello specchio il volto di quella che, a prima vista, le pareva quasi un’estranea «Sono davvero io!?»

  «Certo che sei tu.

  E lasciati dire una cosa. Ho truccato molte mie amiche durante il liceo, e nessuna di loro era bella come te».

  Come ultimo tocco Ashley prese a spazzolare i capelli della sua nuova amica, la quale rimaneva immobile e in silenzio ad osservare la propria immagine riflessa che diventava sempre più lontana e irriconoscibile da quella che le sembrava di vedere ogni giorno.

  Nel guardare a sua volta il volto che si stagliava nella superficie dello specchio Ashley si accorse del monile che Nadeshiko portava al collo, e per un attimo le era parso addirittura di vederlo risplendere.

  «Che bel pendente.»

  «Grazie.»

  «Sembra molto antico. Dove lo hai preso?»

  «Ecco… a dire il vero non lo so.»

  «Non lo sai?»

  «È una storia curiosa che mi ha raccontato mia madre. Avevo circa tre anni, ed eravamo al parco vicino casa. Io mi sono allontanata un attimo mentre lei era distratta, e quando sono tornata lo avevo al collo. Lei mi ha chiesto dove lo avessi preso, e io le ho risposto che lo avevo trovato.»

  «Davvero strano. Beh, anche io a quell’età raccoglievo tutto quello che mi capitava a tiro.»

  «Forse. Fatto sta che da quel giorno non sono più riuscita a concepire la mia vita senza questo pendente. Se non me lo sento addosso, mi sembra di soffocare.»

  «Ti capisco. Capita di affezionarsi a tal punto ad una cosa fino a credere di non poter più vivere senza».

  A quel punto fu il momento di scegliere il vestito; furono provate diverse soluzioni, ma nulla sembrava essere davvero quella giusta, e di conseguenza la cosa sembrava destinata ad andare per le lunghe.

  «Vediamo.» disse Ashley riponendo l’ennesimo abito risultato inadatto «Hai gli occhi verdi, e bisogna metterli in risalto. Io ci vedo un bel bianco. E poi il bianco ingentilisce.

  Vedrai, ti farò sembrare una principessa delle fiabe».

  Nadeshiko però sembrava del tutto assente, ed osservava spaesata la propria immagine riflessa in un nuovo specchio, un bell’esemplare alto e stretto appoggiato al muro del salotto. Ashley comprendeva benissimo i sentimenti che si agitavano dentro di lei, per il semplice motivo che li aveva provati a sua volta solo pochi giorni prima, e le sembrava giusto fare qualcosa per alleviare almeno un po’ le sue pene.

  «Lo sai, Shinji mi ha parlato un po’ di Toshio, e mi ha spiegato che tipo di persona è.»

  «Davvero?»

  «Voi due siete come il giorno è la notte. È risaputo che spesso gli opposti si attraggono, e nel vostro caso mai affermazione fu più esatta. La verità è che nessuno di voi due può fare a meno dell’altro.

  Tu porti in te una luce sconfinata, la luce del sole, lui invece ha vissuto per anni nell’oscurità della solitudine.

  Anche nella notte più buia, però, splendono le stelle.»

  «Splendono… le stelle?!» rispose Nadeshiko ritornando, con la memoria, alle battute finali dello scontro con Ilya

  «Nel buio della notte però splende anche la luna, che brilla di luce riflessa. E la luce che deve alimentare quella luna, rischiarando le tenebre, è la tua.»

  «La mia!?»

  «Lui ha bisogno di te per vivere nella luce, e tu hai bisogno di lui per poterla esprimere al meglio.» disse Ashley andandole vicino con in mano un nuovo vestito «Dammi retta, se si aspetta troppo a dire ad una persona quanto la si ama, poi lo si rimpiange per il resto della vita.

  Te lo dico per esperienza.»

  «Lo si rimpiange… per tutta la vita.»

  «Questa sarà la vostra serata. Bisogna che la sfruttiate al meglio, e la presentazione riveste un ruolo importante in tutto ciò.

  Non puoi mai sapere cosa succederà domani, di conseguenza in amore bisogna sfruttare al massimo il presente prima di preoccuparsi per il futuro.

  E poi Toshio siete è un bellissimo ragazzo. Se non ti sbrighi, qualcuno ti precederà».

  Il solo pensiero fu più che sufficiente a spaventare Nadeshiko, che sentì una fitta al cuore, oltre ad un grande senso di tristezza.

  «Io mi impegnerò al massimo, il resto poi spetterà a te.

  Forza, ora proviamo questo».

 

Wilton Street

29 agosto

Ore 19.23

 

Simon e Mary McDouglas, rispettivamente di cinquantatre e cinquantuno anni, abitavano assieme ad Angela, la loro domestica sessantenne, in una piccola casa a due piani a due passi da Green Park, in cui erano andati a vivere dopo aver lasciato il villaggio di Crows Rock.

  Per secoli la famiglia McDouglas aveva servito la famiglia McLoan, fornendo al villaggio dignitari e consiglieri di prestigio, oltre che valorosi guerrieri.

  Per premiare una così lunga fedeltà l’ultimo sovrano, che oltretutto cercava da tempo di creare una piccola comunità nella capitale inglese, aveva permesso loro una volta sposati di trasferirsi a Londra, a condizione però di rendersi disponibili ogni qualvolta vi fosse stato bisogno del loro aiuto.

  Erano stati loro ad offrire rifugio al principe Atarus nel periodo che era stato costretto ad abbandonare il villaggio, e a loro era stata affidata anche la custodia del principino William, che amavano e coccolavano come il figlio che non erano mai stati in grado di avere.

  Quella sera, come era quotidianità, si erano seduti a tavola piuttosto presto: il signor McDouglas infatti lavorava nell’ufficio di una facoltosa industria della zona, e di tanto in tanto gli capitava di dover lavorare la notte, come sarebbe accaduto quel giorno, mentre la signora insegnava storia alle scuole medie.

  Per fortuna c’era Angela a mandare avanti la casa, altrimenti la vita per i due coniugi, contando anche l’arrivo del piccolo William, sarebbe stata davvero difficile.

  Avevano appena finito di mangiare, quando qualcuno suonò il campanello.

  «Chi sarà?» domandò il signor McDouglas «Non aspettiamo nessuno».

  Angela andò ad aprire, e appena aprì la porta per un attimo restò immobile per l’incredulità; aveva visto molte altre volte quel ragazzo, e conosceva la verità sull’origine dei padroni di casa, ma ogni volta la sua immagine metteva un’incredibile soggezione, per non parlare di quel suo sguardo, diametralmente opposto a quello che aveva visto finora.

  «Vo… vostra altezza».

  Nel sentire il termine altezza Simon e Mary corsero a loro volta all’ingresso per rendere omaggio al nuovo arrivato.

  «Principe Atarus.» disse Simon facendo un lieve inchino.

  A differenza di qualche giorno prima, quando Atarus si era presentato da loro indossando abiti tali da renderne difficile il riconoscimento, il principe ora era tornato a vestire i panni del guerriero, con la sua divisa blu da combattimento sormontata da alcune parti di armatura e la lunga lancia rosso sangue.

  «Scusate l’ora.» disse entrando in casa «Mi spiace essere venuto qui senza avviso.»

  «Ma no, si figuri. Per Lei questa porta è sempre aperta.»

  «Vi ringrazio. William è ancora sveglio?»

  «Sì, è in camera sua.» rispose Angela «Stavo giusto andando a prenderlo per farlo mangiare.»

  «Vi ringrazio».

  Lentamente, cercando di fare il meno rumore possibile, Atarus salì la stretta scala che conduceva al piano superiore, e aperta la seconda porta a destra del corridoio entrò in una piccola cameretta, probabilmente un vecchio soggiorno, riadattata alla perfezione per essere la stanza di un bambino.

  I muri erano tappezzati con carta da parati azzurra dove erano state dipinte nuvole e fiori, giocattoli e pupazzi erano abbandonati un po’ ovunque e al centro c’era un tappeto di gommapiuma su cui c’erano alcune costruzioni.

  Infine, in un lettino di legno chiaro, dormiva serenamente il piccolo William; Atarus si avvicino in silenzio, rimanendo a lungo immobile ad osservarlo, poi, dopo qualche minuto, il bambino si svegliò, e appena vide davanti a sé il volto del padre immediatamente prese a sorridere e ridacchiare, allungando le braccia come l’ultima volta.

  Stavolta, però, Atarus non si tirò indietro, e riposta la lancia raccolse il piccolo, che preso in braccio cominciò a passargli le manine chiare sul volto come a volerne tracciare con chiarezza i lineamenti.

  «William.

  Non ho mai avuto occasione di dirtelo, ma la tua nascita è stato uno dei pochissimi momenti felici che la vita mi abbia donato.

  Tua madre Helen era un angelo, e tu le somigli molto, più di quanto assomigli a me.

  Ciò nonostante, nelle tue vene scorre il sangue dei McLoan; il sangue di William Wallace.

  Un giorno, il cielo non voglia, questo sangue reclamerà il suo tributo. Un giorno potresti trovarti nella situazione di dover combattere, ma ti prometto che semmai quel giorno arriverà, la causa che sarai chiamato a difendere sarà la più nobile di tutte.

  Tuo padre ha fatto tanti errori nella sua vita, l’ultimo forse è stato il convincerci che sia ancora possibile cambiare la propria strada.

  A dire il vero non so se sarò davvero in grado di cambiare; la rabbia e i sentimenti che mi hanno guidato fino ad oggi sono ancora ben radicati nel mio animo. Posso ancora sentirli, e ho il terrore che alla fine saranno loro a prevalere.

  Ma ricordati. Nessuna causa è persa finché si avrà la forza di combatterla».

  William rise ancora, molto probabilmente non aveva capito nulla, ma la vicinanza del padre bastava a renderlo felice.

  Atarus lo portò in salotto, affidandolo, non senza qualche guaito di protesta, alle braccia di Angela, per poi avviarsi nuovamente alla porta.

  «Maestà…» disse Mary

  «Non so se potrò davvero essere in grado di cambiare.» disse immobile sull’uscio «Ma se ciò accadrà, allora molte cose cambieranno.» e, detto questo, se ne andò.

 

Chelsea, Londra

29 agosto

Ore 20.07

 

Dopo essere stato tirato a lucido come un manichino da esposizione Toshio era stato portato all’ingresso del molo dove, entro dieci minuti, sarebbe approdata la River Soul; Keita e gli altri, espletati i propri obblighi, se l’erano vigliaccamente data a gambe, abbandonando il povero ragazzo in uno stato di totale e assoluto imbarazzo.

  Non c’era nessun’altro a parte loro ad attendere l’arrivo della nave, che disponeva di un proprio pontile personale, mentre quelli dei traghetti turistici al contrario erano pieni al punto da scoppiare.

  Il gessato scelto per lui da Alfredo però gli stava veramente bene, mettendo in luce il suo fisico prestante senza tuttavia imbarbarirne la figura.

  Già altre volte aveva indossato abiti appariscenti per le occasioni ufficiali in cui era tenuto a rivestire il suo ruolo di principe di Nepthys, ma mai nulla di così lussuoso, per non parlare che non aveva mai neanche lontanamente provato su di sé un simile senso di angoscia.

  Si sarebbe sentito più tranquillo trovandosi di fronte ad un intero esercito da sconfiggere da solo piuttosto che in una tale situazione, anche se, a dire il vero, Shinji aveva più volte ripetuto che quella era a tutti gli effetti una battaglia.

  Erano da poco passate le otto e dieci quando, abbassato lo sguardo per vedere l’ora, Toshio si sentì chiamare, e rialzatolo per un attimo pensò di stare per svenire.

  Nadeshiko era lì, davanti a lui, bella da togliere il fiato.

  Indossava un abito bianco di foggia elegantissima, con una gonna larga che arrivava al ginocchio e lasciava scoperte le spalle; bianchi erano anche i calzettoni che arrivavano a metà della coscia, contornati da eleganti merletti, i guanti a gomito e le scarpe, stringate e con un tacco leggero.

  «Eccomi. Scusa se ho fatto tardi».

  Lui però non poteva sentirla, e lei dopo qualche secondo rise leggermente coprendosi la bocca: Toshio doveva avere lo sguardo più inebetito possibile stampato in faccia.

  «Allora…» disse poi, diventando rossa «Come sto?»

  «Io… ecco… stai benissimo. Davvero.»

  «Ti ringrazio. Anche tu non sei male. I vestiti eleganti ti donano molto.»

  «G… grazie…».

  In quella la River Soul approdò al molo, e appena calò il pontile uno dei marinai invitò con charme e gentilezza i due ragazzi a salire a bordo per poter riprendere il largo.

  Toshio non ricordava di essersi mai sentito così male, soprattutto quando Nadeshiko gli prese il braccio avviandosi assieme a lui verso il battello; la ragazza esibì i biglietti vinti quella mattina e vennero fatti salire, quindi, staccatasi nuovamente dalla terraferma, la nave tornò a solcare le acque del fiume.

  Appena furono a bordo Toshio e Nadeshiko si ritrovarono nella grande sala interna che ospitava una ventina di tavoli circolari, tutti occupati da gente di altissimo rango e un palchetto al centro dove si esibiva una prestigiosa orchestra di violini; qui vennero raggiunti da quello che, a giudicare dall’abbigliamento, doveva essere il caposala, che li salutò con un leggero inchino.

  «Benvenuti signori. Vi stavamo aspettando.

  Venite, vi accompagno al vostro tavolo».

  Come descritto nel foglio illustrativo allegato ai biglietti il tavolo riservato ai vincitori del concorso era situato a poppa, poco distante dalla ringhiera, in assoluto il punto più ambito e prestigioso di tutta la nave.

  Due camerieri incaricati appositamente di servire quel tavolo aiutarono i due ragazzi a sedersi, e la cena prese ufficialmente il via.

  Grazie al cielo il menù non presentava esempi di cucina inglese, che Toshio aveva più volte detto di detestare, bensì di raffinatezze culinarie francesi e italiane preparate da alcuni dei migliori chef di tutta l’Inghilterra.

  Come antipasto furono serviti formaggi pregiati e delicati, alcuni insaporiti con miele, funghi champignon tagliati a metà con erbe aromatiche e olio d’oliva e un piccolo assortimento di pesce e crostacei.

  Nadeshiko mangia con gusto, assaporando a pieno quella cucina per lei così inusuale e fuori portata, ma ogni qualvolta sollevava lo sguardo per tentare di incrociare quello di Toshio lui immediatamente lo abbassava, diventando rosso come i gamberoni che continuava a rigirare nel piatto, affogato nel nervosismo.

  Bisognava rompere il ghiaccio, non importava in che modo, altrimenti non si sarebbe finiti da nessuna parte.

  «Dove… dove hai comprato quel vestito!?» chiese ad un certo punto Nadeshiko, compatendosi immediatamente per l’apparente stupidità della domanda

  «È stata un’idea di Shinji. Mi ha trascinato da un suo amico stilista mezzo matto. Ho provato più vestiti oggi che in tutta la mia vita, per non parlare del fatto che mi ha costretto a fare la doccia coi sali da bagno.»

  «A me è successa più o meno la stessa cosa.

  Ma dopotutto Keita e gli altri erano semplicemente preoccupati per noi.»

  «Alla faccia della preoccupazione. Non voglio mai più passarci per un pomeriggio simile».

  Seguì un momento di silenzio dovuto al passaggio dei camerieri, venuti a portar via i piatti degli antipasti, ma Nadeshiko era sicura che ormai, malgrado tutto, la parte iniziale del percorso ad ostacoli era ormai superata.

  «Lo sai.» disse appena furono nuovamente soli «Questa è la prima volta che esco con un ragazzo. In tanti mi hanno chiesto di uscire, di andare a cena fuori o anche solo di fare una passeggiata insieme, ma io ho detto sempre di no».

  Toshio la guardò un momento, in parte sorpreso in parte perplesso, poi sorseggiò un po’ del suo vino.

  «È così anche per te?»

  «Mio padre mi ha presentato qualche ragazza, ma se devo essere sincero questo argomento non mi ha mai interessato particolarmente.

  Ero sempre impegnato con gli allenamenti, e non avevo molto tempo da dedicare ad altre cose.»

  «Ah… capisco…».

  Nadeshiko esitò un momento, strusciandosi le mani; tra i due sembrava sicuramente lei la più nervosa.

  «Dimmi.» disse ad un certo punto «Quando tutto questo sarà finito… vorresti… ecco… vorresti venire a Uminari?».

  Solo il pensiero di trovarsi in un luogo pieno di conti, lord e marchesi trattenne Toshio dallo sputare sulla tovaglia il vino che stava bevendo, ma nel tentativo di mandarlo giù tossì così forte che un cameriere si avvicinò preoccupato, chiedendo se stesse male e ricevendo una cortese rassicurazione.

  «Perché mi fai questa domanda!?»

  «Ci ho pensato a lungo da quella sera, quando ti ho sentito suonare la tua melodia dell’anima, e ciò che è accaduto oggi mi ha aiutato a chiarirmi le idee.

  Te l’ho già detto, il mio sogno è sempre stato quello di dedicarmi alla musica, pertanto ho deciso che, finite le scuole superiori, tenterò di entrare al conservatorio di Parigi, il che significa che se dovessi farcela rimarrò in Giappone al massimo per altri sei o sette mesi.

  E sarebbe davvero speciale se questo tempo avessi la possibilità di trascorrerlo assieme a te.»

  «E p… p… p… p… p… p… p… perché?»

  «Beh…» disse Nadeshiko giocando per l’imbarazzo con una delle sue trecce «Dopotutto, se ho trovato la forza di prendere questa decisione, è soprattutto merito tuo.»

  «M… m… mio!?»

  «Prima di conoscere te ero una persona timida e riservata. Avevo paura di tutto, ma soprattutto del giudizio altrui.

  Il mondo esterno, con le sue leggi e le sue regole spietate, mi faceva paura. Per questo non sono mai riuscita a pensare seriamente a come realizzare concretamente il mio sogno.

  Dopo averti conosciuto, però, ho capito quanto è importante essere coraggiosi; tutte le prove che abbiamo affrontato mi hanno fatta crescere, o almeno è quello che sento, e anche se provo ancora un po’ di paura ho capito che non posso passare il resto della mia vita a nascondermi.

  È giunta l’ora di camminare con le mie gambe, proprio come hai saputo fare tu, che ad ogni avversità hai sempre risposto con la tua determinazione e il tuo desiderio di andare avanti.

  Per questo ritengo che parte del merito per questa decisione sia tuo, e mi piacerebbe poter passare questi ultimi mesi in tua compagnia. Per ringraziarti.

  Uminari avrà i suoi difetti, ma è una bella città, e tu dicevi di volerti concedere un po’ di riposo al termine del torneo».

  Toshio di colpo aveva preso a sudare come un cavallo, si mordeva le labbra e trovava la cravatta incredibilmente stretta, per non parlare del fatto che il caldo minacciava di farlo bollire vivo, al punto che si tolse la giacca, appoggiandola allo schienale della poltrona e rimanendo in camicia.

  «È… è una richiesta un po’ insolita. Mi cogli… mi cogli del tutto impreparato.»

  «Naturalmente, se non vuoi, o se magari hai altri desideri, io ti capisco.»

  «No, no, no, no! Non fraintendere. Se devo dirti la verità, venire in Giappone è un sogno che da tempo speravo di realizzare.

  Però… però non so se… se sia il caso… ecco… che venga proprio ad Uminari…»

  «Non devi avere nulla di cui preoccuparti. Penserò io ad ogni cosa. E poi, sarei felicissima di presentarti ai miei genitori.»

  «Ai… tuoi genitori!?»

  «Gli ho parlato di te l’ultima volta che ci siamo sentiti, ed erano entusiasti».

  Nadeshiko, ripensando a quella conversazione, e soprattutto a ciò che aveva detto sua sorella, arrossì.

  «Vorresti… vorresti farmi questo regalo?».

  Toshio sembrava morso dalla tarantola, e quando i camerieri vennero a portar loro il secondo dei primi piatti, composto da ottimo riso al forno guarnito con foglie di basilico e rosmarino, non mosse un muscolo, rimanendo immobile con la bocca socchiusa e gli occhi semi-aperti.

  Poi, però, il suo autocontrollo riuscì nuovamente a riportarlo alla ragione.

  «Io… d’accordo. Se può farti piacere, verrò in Giappone con te».

  Nadeshiko si sentì felice come mai nella sua vita: il cuore sembrava sul punto di uscirle dal petto, e avrebbe voluto urlare dalla gioia.

  «Ti ringrazio. Non sai quanto è importante per me.

  Vedrai, ti porterò in tutti i posti più belli del Giappone. Andremo a Tokyo, a Kyoto, a Sapporo, e Shikoku e dovunque vorrai».

  Sembrava davvero che quella serata fosse destinata a proseguire nel migliore dei modi, ma come se il destino avesse deciso di tessere le sue trame maligne proprio a discapito di due giovani che chiedevano solo di poter essere lasciati un po’ in pace all’improvviso un fuuzetsu circondò sia la nave sia una grande porzione di zona circostante, cristallizzando ogni cosa; inoltre, la temperatura parve scendere di colpo.

  «Dannazione!» esclamò Toshio balzando in piedi

  «Questo è inaudito!» tuonò una voce carica di risentimento.

  Lui e Nadeshiko alzarono gli occhi, incrociando lo sguardo severo, e per certi versi irato, di Tomite, che li osservava da una decina di metri d’altezza in piedi sopra al proprio circolo magico, di colore bianco luminescente e dal quale sembrava emergere una specie di nevischio.

  Il nuovo arrivato aveva in mano il proprio arco, quindi non vi erano dubbi su quali fossero le sue intenzioni.

  «Chi è quello?»

  «A giudicare dal circolo e dal vestiario, direi che si tratta del rappresentante del clan Borjigin.»

  «Un partecipante al torneo che si abbandona allo svago e al divertimento nel bel mezzo della competizione!

  Non si era mai visto niente del genere!».

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!

I corsi, come detto, stanno per finire, quindi sono riuscito a ritagliarmi un po’ di tempo per scrivere, per non parlare del fatto che le idee sono venute a grappoli, e così pure l’ispirazione.

Per la verità le idee sono state così tante che prima di rendermene conto avevo raggiunto le 9 pagine, di conseguenza mi sono visto costretto a tagliare ben prima del previsto e a chiudere il capitolo a metà.

Di conseguenza, la sorpresa di cui vi avevo parlato non avverrà nel prossimo, ma in quello dopo ancora.

A parte questo, ringrazio come al solito Selly, Akita e Cleo per le recensioni

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 23
*** Rivelazioni ***


22

22

 

 

Dal giorno del suo ultimo scontro Selene era diventata sempre più vittima di un senso di ansia e di smarrimento che non voleva saperne di lasciarla stare.

  Le parole pronunciate da Touka non smettevano di risuonarle nella mente, e malgrado cercasse il più possibile di mostrarsi quella di sempre davanti ai generali e allo stesso Seth, il suo nervosismo era più che evidente.

  Per fortuna non le erano più state assegnate ulteriori missioni, altrimenti aveva paura che il suo stato d’animo avrebbe finito per minare inesorabilmente la sua abilità, e con essa la buona riuscita dell’incarico.

  Una simile condotta da sua non passava certo inosservata, e per lei non fu una sorpresa venire convocata una sera verso le dieci nella sala del trono.

  In quel momento, oltre a Johan, era presente solo Wei, che stava servendo al suo signorino la sua quotidiana tazza di tè.

  «Mi avete fatto chiamare, mio signore?» domandò la ragazza inginocchiandosi.

  Lui la osservò con una parvenza di severità, poi ripose la tazza che aveva ancora in mano sul vassoio d’argento.

  «Grazie Wei. Puoi andare».

  Il maggiordomo fece un leggero inchino ed uscì dalla stanza senza intrattenersi o guardarsi alle spalle, e appena chiusa la porta, come doveva essere sempre fatto ogni qualvolta Seth dava segno di voler parlare in assoluta privaci, subito fuori incontro Franziska, che evidentemente stava raggiungendo a sua volta la sala, probabilmente per poter stare un po’ con il fratello.

  «Che succede?»

  «La signorina Selene è stata convocata.»

  «È qualcosa di grave?»

  «Non credo. Ma negli ultimi giorni si è comportata stranamente. Forse il signorino vuole solo chiedergli conto di ciò.»

  «Sì… capisco…».

  Franziska guardò in basso, smarrita: anche lei era visibilmente preoccupata e soprapensiero.

  «Signorina… qualcosa non va’?»

  «Io… io ormai non lo riconosco più.» disse trattenendo le lacrime «È come se la sua volontà si stesse annichilendo. Quando tutto questo ha avuto inizio… bene o male era rimasto lo Johan che avevo sempre conosciuto, e a cui avevo voluto bene. Era gentile, determinato, e legato ai suoi servitori.

  Ora, invece, la morte di uno di loro sembra non provocargli il minimo turbamento.»

  Il vecchio Wei non disse nulla, perché non sapeva trovare le parole giuste. Anche lui, dopotutto, da un bel po’ di tempo non sapeva più cosa pensare, e si domandava se valesse davvero la pena di andare avanti con questa storia.

  Intanto, Selene e Johan erano ancora l’uno di fronte all’altro, e si osservavano in silenzio, la prima con crescente ansia il secondo con malcelato rimprovero.

  «Selene. Che ti succede? Negli ultimi giorni sei strana. È forse successo qualcosa?»

  «Mio signore…» rispose lei dopo poco, chinando ancor più la testa «Perdonatemi, ma sento il bisogno di farvi una domanda.»

  «Una domanda?» disse Johan con un leggero sorriso «Ma certo. Se può aiutarti a diradare le nuvole che ti opprimono, sarò ben felice di risponderti».

  Selene temporeggiò, mordendosi le labbra, poi, prima che la paura o la riverenza potessero fermarla ulteriormente, parlò tutto d’un fiato.

  «Maestro. Che cosa significa esattamente essere un famiglio?»

  «Dubiti forse della tua natura?» domandò Seth come se si aspettasse una domanda del genere «O dei precetti che ti ho trasmesso?»

  «No mio signore.» si affrettò a rispondere Selene «Vi prego, non fraintendete le mie parole. Io sono fiera di aver ricevuto da voi il dono della coscienza e del raziocinio umani, e la mia fedeltà nei vostri confronti è rimasta immutata.

  Tuttavia… negli ultimi giorni non sono riuscita a togliermi questa domanda dalla testa».

  Seth aggrottò leggermente le sopracciglia e strinse un po’ più forte i braccioli della sua poltrona.

  «Quando ho combattuto contro quel famiglio, Touka, lei mi ha detto che essere un famiglio vuole dire molto di più che obbedire agli ordini del proprio master.»

  «Un famiglio viene creato con il preciso scopo di svolgere un compito. Il creatore parte da questo presupposto quando prepara l’incantesimo, e questo mi sembra più che scontato.»

  «Avete ragione. Ma… se ci fosse anche dell’altro?»

  «Dell’altro?»

  «Touka ha detto che un famiglio esprime il meglio di sé nel momento in cui diventa un tutt’uno con il suo master, e se crede con tutto sé stesso in lui e in ciò che è stato chiamare allora non vi è niente in grado di fermarlo.»

  «È dunque la tua fede a vacillare?»

  «No, questo mai mio signore. Credo che tutta me stessa nell’ideale di cui vi siete fatto portavoce, e non chiedo altro che portare nuova giustizia questo mondo corrotto ed egoista.

  Ma se il legame che io sento per voi è così forte da spingermi a fare qualsiasi cosa voi mi chiediate, se avete tutta la mia fiducia incondizionata, perché allora sono stata sconfitta?»

  «Non sei stata sconfitta. Sono io che ti ho detto di ritirarti.»

  «Sì, forse. Però… ho il sentore che se la sfida fosse proseguita sarei stata io ad avere la peggio.»

  «Cosa te lo fa credere?»

  «Non lo so. È un presentimento. Ciò che non mi da pace è questo.

  Visto che sono ferma nel mio ideale, cosa può aver determinato la mia sconfitta?».

  Selene, per l’ennesima volta, tornò con il pensiero alla notte dello scontro, rievocando le parole della sua avversaria; c’era solo un’altra cosa di cui lei aveva fatto menzione, la cosa cioè che secondo Touka aveva la massima importanza nel rapporto tra un famiglio e il suo master.

  Forse, era stata proprio quella cosa a farla perdere, ma se fosse stato così… no, non poteva crederci.

  Era inconcepibile!

  Ciò nonostante, non poteva fare a meno di pensarci.

  «E se fosse…» disse tra sé, e quando alzò il capo per guardare nuovamente Johan vide una scintilla oscura nel suo sguardo, qualcosa che decisamente non apparteneva al ragazzino timido e riservato con il quale era cresciuta, e che aveva giurato di proteggere.

  «Master Johan…» disse con aria di terrore «Siete davvero voi la persona che ho di fronte?»

  «Perché mi fai questa domanda?» domandò il ragazzo con voce che ad un semplice umano sarebbe parsa assolutamente normale, ma che per un canide come Selene aveva un tono ben diverso da quello che ricordava

  «Io… io ero certa che i propositi di Master Johan fossero giusti. Per questo sono stata al suo fianco. Ma allora, perché ho vacillato!?

  Forse… dentro di me sapevo… che la persona a cui stavo obbedendo… non era più…».

  Johan non le diede il tempo di finire; svanito nel nulla, un istante dopo era inginocchiato davanti a lei, e tenendola per il mento la costringeva a guardarlo negl’occhi.

  «Hai smarrito la via, mia bambolina. Lascia che ti aiuti a ritrovarla».

  Selene cercò timidamente di reagire, di combattere, ma quella luce che albergava negli occhi del ragazzo, quella luce rossastra che trasudava malignità e che diventava più forte man mano che passava il tempo, era come un richiamo al quale lei non sapeva resistere, e più gli occhi di Johan si caricavano di luce più i suoi si svuotavano; alla fine, di essi non rimasero altro che due sfere prive di vita.

  «Master… Johan…» balbettò piangendo una lacrima, una sola.

  Come un burattino mosso dai fili, Selene si rialzò in piedi assieme al suo padrone, che seguitava a tenerla leggermene per il mento.

  «È giunto per te il momento di fare ciò per cui sei stata creata. Quel gruppo di mocciosi è a Londra, e in questo momento lo spadaccino di Nepthis è impegnato in uno scontro.

  Aspetta la fine della battaglia, e quando entrambi i contendenti saranno esausti piomba su di loro e uccidili. Uccidi tutti.

  Mi sono spiegato?»

  «Sì… my master…».

 

Tomite continuava ad osservare dall’alto la River Soul, immobilizzata dal fuuzetsu assieme a tutti i suoi passeggeri, poi, dopo poco, il suo circolo magico scomparve, e lui, come trasportato dal vento, discese lentamente fin sul ponte più alto della nave.

  «Nadeshiko.» disse Toshio «Tu resta qui. Me ne occupo io.»

  «Ti prego.» disse lei prendendogli la mano e guardandolo preoccupata «Fai attenzione.»

  «Non preoccuparti».

  Lasciatala, il ragazzo raggiunse con un salto il suo avversario, materializzando la sua spada.

  «Il tuo nome?»

  «Tomite.

  E lasciami dire che non mi era mai capitato di assistere ad una così palese mancanza di responsabilità da parte di un partecipante al torneo.

  Seth diventa ogni giorno più pericoloso, e benché la sua sconfitta sia da considerare la massima priorità tu perdi tempo con cene a lume di candela e spensierate navigazioni sul fiume.»

  «Un tempo anch’io l’avrei pensata come te, ma ora sono dell’avviso che concentrarsi eccessivamente sulla nostra missione serva solo a renderci più nervosi e prevedibili, oltre che completamente inumani.»

  «Che intendi dire?»

  «Il torneo esiste per proteggere questo mondo e coloro che lo abitano. Questo però non vuol dire che dobbiamo rinunciare ai piccoli piaceri che ci vengono dall’essere umani.»

  «Tu credi davvero che sia necessario comportarsi come persone comuni per prendere parte al torneo?

  E allora a cosa sarebbero serviti anni e anni di rinunce e di allenamenti al fine di accrescere la nostra forza?»

  «Allenarsi e diventare forti è importante, visto l’incarico che siamo chiamati ad assolvere. Ma è altrettanto importante assaporare i piccoli piaceri che la vita ci offre, altrimenti non sarebbe degna di essere vissuta.»

  «Non è che stai solo cercando una scusa per giustificare la tua condotta frivola e disinteressata?»

  «Niente affatto. Ma se ne sei convinto, allora fatti sotto. Se sono frivolo e irresponsabile come dici te, battermi dovrebbe essere cosa da poco.»

  «Come vuoi.» rispose Tomite sogghignando «Ti dimostrerò io cos’è un vero guerriero».

  Tomite partì alla carica nello stesso modo in cui aveva ingaggiato Atarus, brandendo il suo arco come una falce, ma a differenza di quanto accaduto poco prima stavolta si trovò ad incrociare le armi con un avversario di tutto rispetto, e che, più importante ancora, poteva vantare una tecnica di scherma di gran lunga superiore.

  L’arco del rappresentante Borjigin era costruito appositamente per poter essere usato anche negli scontri da mischia, ma non era neppure paragonabile alla kopesh degli spadaccini di Nepthys, un’arma dai grandi poteri forgiata secoli addietro dall’ultimo uomo sulla terra a conoscere il segreto per costruire le armi spirituali, capaci cioè di passare dalla forma eterica a quella fisica e di integrarsi alla perfezione con lo spirito di chi le brandeggiava.

  Furono sufficienti pochi minuti a convincere Tomite che il corpo a corpo era una strada senza uscita, e che almeno in quest’ambito il divario tra lui e Toshio era decisamente troppo grande, di conseguenza non ebbe altra scelta che cambiare strategia, sfoderando la sua vera abilità.

  Disimpegnatosi da un confronto fisico, Tomite spiccò un salto altissimo verso indietro, e raggiunta una distanza ragguardevole tese il proprio arco, su cui comparve una freccia fatta di una strana luce azzurra che fu scagliata contro Toshio.

  Lo spadaccino era dotato di ottimi riflessi e non ebbe grandi difficoltà a schivarla spostandosi leggermente, ma proprio quando era convinto di avercela fatta il dardo parve esplodere nel momento esatto in cui gli stava passando accanto, diffondendo tutto intorno un’aria che definire gelida era poco.

  «Ma cosa…».

  Prima che potesse fare qualcosa quel vento polare parve insinuarsi nel suo braccio sinistro come un esercito di insetti, e in pochi secondi l’intero arto parve congelarsi, diventando insensibile e duro come l’acciaio, oltre ad assumere una tonalità bluastra simile a quella dei corpi in stato di ibernazione.

  Toshio sentì i muscoli contrarsi allo spasimo e le dita irrigidirsi, e in pochi secondi perse del tutto il controllo del braccio, che rimase completamente immobile.

  “Maledizione…”

  «Sei sorpreso? È questo il potere del clan Borjigin.

  La mia tribù ha vissuto per secoli nelle aride e inospitali steppe della Mongolia, dove l’inverno colpiva con tutta la sua micidiale forza mietendo ogni anno decine di vittime.

  La steppa però offriva anche i suoi benefici; nelle sue distese sterminate i miei antenati hanno affinato nel corso dei secoli le loro abilità di arcieri, facendo dell’arco il loro principale strumento di guerra.

  In queste due forze sconfinate risiede la mia tecnica, una tecnica che non ti sarà facile superare».

  Toshio era comprensibilmente sorpreso, ma farsi mettere alle corde così facilmente non era certo da lui, ed infatti ad un certo punto il braccio congelato fu avvolto da una luce dorata che mandò in frantumi il ghiaccio e restituì colore alla pelle.

  «Mi dispiace, ma dovrai fare molto di più per riuscire ad impressionarmi.»

  «Niente male.» commentò Tomite non eccessivamente sorpreso «Ma del resto, era prevedibile. Voi di Nepthys avete sempre vissuto in uno dei luoghi più aridi del mondo, è naturale che abbiate sviluppato una certa resistenza alle energie fredde.

  Ma non importa. Questo era solo l’inizio».

  L’arciere a quel punto, dopo aver evitato con un nuovo salto il nuovo attacco di Toshio, discese, lentamente e con grazia, oltre il bordo della nave, rimanendo sospeso nel nulla sopra le acque del Tamigi, che sfiorava a malapena con le punta dei piedi.

  «Quel ponte non è il campo di battaglia ideale per chi come me è abituato a muoversi in spazi ampi e incontrastati. Di conseguenza, sarà meglio fare qualche modifica al territorio».

  Detto questo Tomite scoccò una nuova freccia di luce, stavolta diretta verso l’alto, e appena raggiunto il centinaio di metri di altezza questa subito esplose, generando diverse decine di altri fasci di luce più piccoli e veloci che presero a cadere tutto intorno, e incredibilmente in poco tempo la superficie di quell’intera parte di fiume racchiusa all’interno del Fuuzetsu si trasformò in una spessa lastra di ghiaccio, trasformando il Tamigi in una sorta di gigantesca pista di pattinaggio.

  Anche la temperatura dell’aria calò bruscamente, e di questo si accorse soprattutto Nadeshiko, che indossava nulla più che il suo abito da sera, il quale oltretutto lasciava scoperte parti sensibili del corpo come le spalle e parte del torace.

  «Si gela.» disse stringendo le braccia attorno al busto e trattenendo a stento il batter di denti

  «Resisti!» le disse Toshio «Sistemerò la cosa il prima possibile!».

  Senza perdere altro tempo, e dimostrando così un’avventatezza decisamente non da lui, Toshio abbandonò il ponte e scese sul fiume ghiacciato, nel territorio del nemico, dove equilibrio e agilità erano traguardi molto difficili da raggiungere.

  Tomite si spostava a grande velocità grazie a due aloni azzurri che, avvolgendogli i piedi, gli permettevano di muoversi con la grazia e la maestria di un campione olimpico, scoccando una freccia dietro l’altra. Toshio invece, pur essendo in grado di emulare la tecnica di spostamento grazie al suo talento naturale nell’osservare e riprodurre alcuni incantesimi altrui, non poteva neanche avvicinarsi alle prestazioni del suo avversario, ed era già da reputarsi un miracolo se riusciva a schivare i suoi dardi.

  Ciò nonostante, era come vedere due ballerini impegnati in un incalzante duello sui pattini, ma Tomite era bravo a mantenere le distanze in modo da non essere costretto ad affrontare nuovamente un pericoloso corpo a corpo.

  «Sei bravo.» disse l’arciere in un momento di pausa «Questo te lo concedo.»

  «L’ammirazione è reciproca.»

  «Se solo dedicassi maggiore attenzione e concentrazione ai tuoi obblighi come rappresentante della tua gente in questo torneo, non ci sarebbe nessuno in grado di tenerti testa.»

  «Ne sei davvero convinto?» domandò Toshio con un sorrisetto enigmatico e quasi divertito

  «Cosa?»

  «All’inizio per me non esisteva altro che il torneo. Da quando la competizione ha preso ufficialmente il via ho pensato solo a vincere e a mettere fine a questa cosa il più velocemente possibile.

  Ho affrontato più di un combattimento con questi propositi in mente, e che tu ci creda o no li ho persi tutti.»

  «Li hai persi!?»

  «Poi ho incontrato qualcuno che mi ha fatto rivedere le mie posizioni.

  Ho capito che l’ansia, la tensione, l’abnegazione incondizionata ed inflessibile, sono come una zavorra che ci tiene ancorati a terra.

  Ho capito che non è un male cercare di far parte di quell’umanità che abbiamo il compito di proteggere. E  chi me l’ha fatto capire sono stati Keita e i suoi amici».

  Tomite non batté ciglio alle parole di Toshio, ma dopo qualche istante tese nuovamente l’arco, su cui comparve un’altra freccia magica.

  «Se sei davvero così convinto di stare agendo nel giusto, dimostralo.

  Le tue argomentazioni contro le mie. Scopriremo subito chi di noi due ha ragione».

  Anche Toshio a quel punto assunse una posizione di guardia, e la sua spada prese a circondarsi del suo caratteristico bagliore aureo.

  Oltre a Nadeshiko, alla sfida assisteva anche Atarus, in piedi sul tetto di un edificio che si affacciava sulla sponda del fiume.

 

INFINITY ARROW

 

Come la freccia lasciò la corda dell’arco subito si moltiplicò all’infinito, esattamente come era successo poco prima subito prima che il Tamigi si congelasse.

  Toshio rispose all’attacco generando una falce di luce con un movimento violento della spada; il suo intento era probabilmente quello di disperdere quanti più attacchi possibile spazzandoli via con la forza del suo incantesimo, ma anche dopo lo scontro di poteri la magia di Toshio venne completamente dissolta dall’azione combinata di tutti quei dardi, che senza più nulla ad ostacolare il loro cammino si diressero tutti verso Toshio, centrandolo più e più volte.

  Il ragazzo venne colpito da almeno sei frecce luminose, capaci di ferire e provocare dolore come quelle vere, e il contraccolpo fu tale da fargli perdere l’equilibrio, scagliandolo all’indietro e facendolo scivolare sul ghiaccio fino a che non andò a fermarsi contro la chiglia della nave.

  La camicia e i calzoni del suo abito da sera erano ora coperti di buchi, e quando le frecce, per la loro natura di semplici concentrazioni di magia, si dissolsero, al loro posto restarono dei buchi non indifferenti dai quali prese ad uscire molto sangue.

  «Toshio!» gridò Nadeshiko correndo ad affacciarsi dal parapetto.

  Fortunatamente, per quanto il colpo fosse stato pesante, e l’avesse ridotto piuttosto male, Toshio era ancora tutto sommato integro, tanto che riuscì ad usare le proprie abilità rigenerative per sanare buona parte delle ferite.

  «A quanto pare le mie argomentazioni erano le più solide.» disse Tomite vedendo il suo avversario che si rialzava a fatica «Ma devo riconoscere che il tuo talento è indubbio. Forse la tua teoria sulla necessità di condividere i piaceri del mondo non è poi così sbagliata, ma si tratta pur sempre di distrazioni, e le distrazioni in questo momento noi partecipanti al torneo non ce le possiamo permettere».

  Poi, all’improvviso, Tomite udì un suono famigliare, un suono che aveva sentito molte volte durante l’addestramento e gli era sempre valso una sonora ripassata da parte di suo padre, il Khan Ranva.

  La corda spirituale, quel filo sottile di luce azzurra che teneva l’arco in tensione, di colpo si spezzò, producendo il caratteristico suono acuto e breve prima di svanire nel nulla.

  «Ma cosa…» disse l’arciere con espressione più che sconvolta.

  Com’era stato possibile!?

  Ciò che quell’evento del tutto inatteso aveva lasciato del suo raziocinio gli fornì velocemente la risposta a questa domanda.

  Allora era a quello che il suo avversario aveva mirato: non alle frecce magiche, ma all’arco stesso. Probabilmente il suo intento era quello di romperlo, decretando così la sconfitta di Tomite, ma avendo dovuto oltrepassare la barriera costituita dalla nuvola di dardi la sua forza si era molto ridotta, risultando capace di risultare incisiva solo contro un’altra manifestazione magica, come appunto la corda dell’arco.

  Ecco spiegato il motivo di un comportamento così insolito, al quale Tomite inizialmente non aveva attribuito grande rilevanza.

  Fino a quel momento tutti gli avversari che avevano dovuto confrontarsi con l’Infinity Arrow, in assoluto la sua tecnica più potente, si erano istintivamente protetti dietro una barriera, che pur non risultando mai sufficiente a costituire una difesa in grado di reggere era pur sempre preferibile all’attaccare allo sbaraglio sperando di respingere un attacco con un così vasto raggio d’azione.

  E questo di sicuro Toshio lo sapeva: sapeva di non poter respingere l’Infinity Arrow, ma nonostante ciò aveva voluto contrattaccare in modo da poter colpire Tomite nell’unico momento in cui avrebbe tenuto la guardia abbassata, impossibilitato oltretutto a sfruttare la sua velocità per cavarsi d’impaccio.

  “Ha rischiato di farsi colpire per essere sicuro di neutralizzare il mio arco.”

  «Adesso è il mio turno.» disse Toshio tornando a sfoggiare la sua espressione sicura e determinata.

  La riscossa dello spadaccino fu rapida e distruttiva; volato letteralmente incontro a Tomite scardinò la sua difesa con un solo colpo di spada così forte da farlo volare fin sulla banchina del porto, dove tuttavia l’arciere riuscì ad atterrare con le sue gambe.

  Una volta qui lo scontro riprese, ma non potendo più contare sul vantaggio offerto dal proprio campo di battaglia favorito Tomite si ritrovò ben presto messo alle strette, per non parlare del fatto che ormai il suo arco era buono solo come arma da mischia, e come già era apparso evidente nel primo corpo a corpo sul ponte della nave sotto questo punto di vista il divario fra i due era praticamente incolmabile.

  Dopo un rapido scambio di colpi Tomite ricevette un calcio al costato che lo scaraventò a terra, e prima ancora di potersi rimettere in piedi aveva la spada di Toshio puntata alla gola.

  Il suo sguardo era di pura incredulità, e benché la sua arma, l’arco per l’appunto, nonché suo unico mezzo di combattimento nel torneo, fosse ancora sostanzialmente integro, quella era una situazione di sicura sconfitta.

  «Non… non ci posso credere…»

  «La sfida è finita. Ho vinto io».

  Infatti, dopo poco, la meridiana comparve nuovamente, e un nuovo simbolo, simile a quello del Sagittario, si spense, decretando la sconfitta del Clan Borjigin.

  In quello stesso istante, allarmati dalla comparsa del fuuzetsu nel bel mezzo della città, Keita e gli altri raggiunsero il luogo dello scontro.

  «Cos’è successo?» domandò Takeru

  «Niente di serio. Questo è Tomite, il rappresentante del Clan Borjigin. La nostra battaglia si è appena conclusa».

  Nadeshiko, che ancora si trovava a bordo della nave, fu portata sulla banchina da Lotte, e subito corse a sincerarsi delle condizioni di Toshio; sembrava sul punto di piangere, segno che doveva essersi molto spaventata.

  «Toshio! Stai bene?»

  «Sì, è tutto a posto. Tranquilla.»

  «Quando quelle frecce ti hanno colpito ho avuto una paura terribile. Temevo saresti rimasto ucciso.»

  «Beh, se ti può consolare per un attimo l’ho creduto anch’io».

  Quell’affermazione, che voleva essere di rassicurazione, costò invece al ragazzo un ceffone non troppo forte, ma l’espressione terrorizzata e risentita al tempo stesso di Nadeshiko era di gran lunga più dolorosa.

  «Nadeshiko…»

  «Devi smetterla di scherzare su certe cose!» disse la ragazza trattenendosi a stento dal piangere «Non lo capisci che ero preoccupata per te? Mi avevi promesso di fare attenzione!»

  «Io…»

  «Credevi che non avessi capito le tue vere intenzioni? Non sono così ingenua come forse potresti pensare.»

  «No… io non intendevo…»

  «Promettimi che non farai mai più niente di così avventato.

  Promettimelo.»

  «Io… te lo prometto».

  Visibilmente più sollevata, Nadeshiko si lasciò abbracciare, stringendosi con forza a Toshio come a volergli evitare di andarsene.

  «Perdonami se ti ho fatta preoccupare.»

  «Non farmi prendere mai più uno spavento simile. Se dovesse succederti qualcosa non so che farei, Toshio.»

  «Non si ripeterà. Hai la mia parola».

  Tomite, che nel frattempo era stato aiutato da Keita e Shinji a rimettersi in piedi e aveva cessato il suo fuuzetsu, permettendo al tempo di tornare a scorrere e al Tamigi di riacquistare il suo vero aspetto, si avvicinò a Toshio, che lasciata andare Nadeshiko lo guardò a sua volta.

  «I miei complimenti. Sei stato un grande avversario.»

  «Anche tu, Tomite.» disse accettando la stretta di mano

  «Alla fine, le tue ragioni si sono dimostrate più forti delle mie. Non m’importa se ho perso. Ho combattuto al meglio delle mie possibilità, e tu hai fatto altrettanto.»

  «Sono felice di sentirtelo dire.»

  «Spero che un giorno tu voglia concedermi la rivincita».

  Detto questo Tomite prese tra le mani il proprio arco e lo porse al suo sfidante.

  «È usanza presso la mia gente di consegnare la propria arma al vincitore quando si viene sconfitti in duello. Per questo, io consegno questo arco a te, per dimostrare che riconosco la tua superiorità».

  Toshio esitò un momento, poi, con una sorta di timore misto a riverenza, prese l’arma, guardandola a lungo: era un oggetto di ottima fattura, che trasudava potere magico e aveva le energie fredde insite al suo interno.

  «Mi ha sempre servito fedelmente. Lo saprà fare anche con te.»

  «Ti prometto che ne avrò la massima cura».

  Tomite fece per stringere di nuovo la mano a Toshio, ma all’improvviso una sensazione terribile, preannunciata dall’ennesimo, tenue bagliore del ciondolo di Nadeshiko, attraversò come un fulmine la mente di tutti i presenti, e l’arciere fu il primo ad accorgersi di una sfera di fuoco che, scendendo dal cielo, piombava diritta sul giovane spadaccino.

  «Toshio, attento!» gridò buttandolo a terra.

  Per salvarlo Tomite divenne egli stesso il bersaglio dell’attacco, e dopo essere stato travolto in pieno dalla potenza del colpo fu scagliato violentemente all’indietro privo di sensi.

  «Tomite!».

  Aria e Lotte, le più vicine, si affrettarono a raggiungerlo, sincerandosi delle sue condizioni.

  «Niente di grave.» disse Aria «È solo svenuto».

  La consolazione nel sapere il loro nuovo amico tutto sommato integro fu ben presto annichilita dalla comparsa, all’interno di un vortice di nuvole nere, di Selene, nuovamente armata con il suo bracciale artigliato e pronta a combattere.

  Subito Toshio e gli altri notarono la sua espressione, i suoi occhi vuoti.

  «E questa chi è?» domandò Keita facendo comparire la propria spada

  «Non lo so.» rispose Toshio «Ma avverto un potere oscuro di immani proporzioni provenire da dentro di lei.»

  «Sei forse al servizio di Seth?» domandò Shinji, suscitando una risposta irata da parte della ragazza

  «Non osate parlare del maestro con tanta leggerezza, sudici umani! Voi non siete neppure degni di pronunciarne il nome!»

  «Accidenti, che caratterino.»

  «Temo sia stata plagiata.» disse Nadeshiko

  «Cosa te lo fa pensare?» chiese Takeru, che a sua volta aveva messo mano alla sua katana

  «Guardate i suoi occhi. Non vi è la minima traccia di coscienza. Sono privi di vita.»

  «Questo peggiora solo la nostra situazione.» disse Lotte mettendosi a sua volta in posizione di guardia e lasciando Tomite alle arti curative della sorella

  «Nel nome del mio signore, il divino Seth, porrò fine alle vostre vite! Recitate una preghiera, se avete un dio a cui farlo!».

  Con una velocità impensabile perfino per un famiglio Selene piombò sul gruppo di amici; per fortuna tutti riuscirono a spostarsi, ma i suoi artigli d’acciaio, colpendo l’asfalto, produssero una crepa gigantesca, andandosi a conficcare quasi del tutto.

  «Non darti tutte queste arie, carina!» gridò di rimando Lotte che, agendo prima con i pugni che con la testa, le andò contro per rispondere all’attacco.

  Selene però, senza nessuna difficoltà, riuscì a schivare agilmente il pugno, serrandolo con forza all’interno del proprio.

  «Ma cosa…».

  Prima di poter reagire Lotte ricevette un pauroso calcio al mento, e il colpo fu così violento da lasciarla immediatamente priva di sensi e farle riacquistare il suo aspetto felino.

  «Sorellina!»

  «Lei è stata la prima. Presto la raggiungerete».

  All’attacco infruttuoso di Lotte seguì quello combinato di Takeru e Shinji; il primo tentò di assestare un fendente verticale, che venne tuttavia agilmente parato dagli artigli d’acciaio, il secondo invece usò la sua velocità per portarsi alle spalle dell’avversaria con il tentativo evidente di colpirla alla nuca e chiudere così la partita sul nascere.

  Anche questo secondo assalto però venne schivato, in quanto Selene, accortasi delle intenzioni del nemico, ricacciò indietro Takeru, quindi, voltatasi, arrestò con il polso il calcio di Shinji per poi colpirlo con un destro in mezzo al torace, un vero e proprio colpo di cannone che spedì il ragazzo parecchi metri facendogli sputare sangue.

  Takeru cercò a sua volta di approfittare della distrazione di Selene, spalleggiato oltretutto anche da Keita, ed entrambi colpirono nello stesso momento, Takeru con il suo Tenma Shouryusen e Keita con un attacco diretto.

  Selene evitò la corrente impetuosa spiccando un salto acrobatico che la condusse fin sul bordo della banchina per poi intraprendere con Keita un rapido scambio di colpi nel quale il ragazzo ebbe purtroppo la peggio, venendo afferrato per il bavero della maglietta e successivamente scagliato verso il fiume; sarebbe sicuramente finito a mollo se Nadeshiko, intervenuta al momento opportuno, non lo avesse avvolto in una sfera di luce che, fluttuando nell’aria, lo riportò a terra, seppur debilitato da un brutto colpo allo stomaco incassato subito prima di venire lanciato via.

  «È davvero fortissima.» disse Shinji rimettendosi faticosamente in piedi

  «La mia fedeltà al nobile Seth travalica ogni cosa. Non sarete mai in grado di sconfiggermi.» disse Selene prima di concentrarsi su Toshio, che fino a quel momento era rimasto in disparte per difendere Aria, Nadeshiko e Tomite.

  Il ragazzo non faticò a capire che coi suoi compagni in quelle condizioni lui sarebbe stato il prossimo, e per nulla al mondo poteva permettere che Nadeshiko rimanesse in pericolo.

  «Aria, proteggi Nadeshiko!» gridò prima di lanciarsi all’attacco

  «Toshio aspetta!» tentò di dire la ragazza, ma fu tutto inutile.

  Purtroppo, proprio come Seth aveva previsto, Toshio era molto debilitato per via dello scontro non proprio da quattro soldi dal quale era appena uscito, e a ragione di ciò le sue prestazioni risultarono fin da subito alquanto deludenti: Selene non presentava alcuna difficoltà ad evitare i suoi attacchi lenti e prevedibili, rispondendogli a tono.

  Ad un certo punto, dopo aver superato la sua difesa, la ragazza arrivò molto vicina a colpirlo con gli artigli, ma fortunatamente Toshio riuscì ad evitare l’attacco appena in tempo, ricavandone solamente la camicia mezza sventrata e una coppia di graffi obliqui sul torace. Selene però non perse tempo e, quando ancora il nemico era in parte disorientato, lo colpì con un calcio.

  Ancora una volta Toshio si difese incrociando le braccia davanti al volto, ma ciò non gli impedì comunque di venire scagliato in aria, e quando tornò coi piedi per terra vide la sua avversaria materializzare sotto di sé il proprio circolo magico, il che non lasciava presagire niente di buono.

  «Muori!» gridò Selene lanciandogli contro una nuova sfera incandescente.

  La palla di fuoco era velocissima, troppo per sperare di poterla evitare, e per un solo istante Toshio, e non solo lui, pensò seriamente che quella fosse la fine.

  «Toshio!» gridò Nadeshiko nel disperato tentativo di erigere attorno a lui una barriera protettiva.

 

STORMBRINGER!

 

Improvvisamente una tempesta di fasci luminosi piombati dall’alto investì la sfera, facendola esplodere poco prima che raggiungesse il suo bersaglio, e subito dopo fra Toshio e Selene, rivolto verso quest’ultima, si frappose una vecchia conoscenza che lasciò tutti con la bocca spalancata.

  «Atarus!?» esclamò chiunque avesse la forza di parlare

  «Che c’è, sei già fuori combattimento?» disse il lanciere col suo tono sprezzante «In piedi!»

  «Cosa diavolo ci fai tu qui?» domandò Toshio rialza dosi e mettendosi accanto a lui, tenendo però la guardia bene alzata

  «Tu che cosa dici? Non posso certo permettere a qualcun altro di ucciderti al mio posto».

  Toshio e gli altri si accorsero quasi subito della differente luce che albergava negli occhi di Atarus, e per questo nessuno di loro ne ebbe eccessivamente paura; al contrario, furono in molti a gioire per l’arrivo di un nuovo alleato, capace forse di ribaltare le sorti di quella complicata battaglia.

  «E tu chi sei?» domandò Selene, che di certo non aveva previsto nulla di simile

  «Sono colui che deve far mangiare la terra a questo moccioso. Io e lui abbiamo ancora parecchi conti in sospeso, quindi non posso proprio permetterti di interferire.»

  «Vorrà dire che conoscerai anche tu la punizione divina del mio signore!».

  Selene tentò di attaccare, ma fu sufficiente un nuovo colpo dello Stormbringer per convincerla che era meglio restare indietro piuttosto che colpire alla ceca.

  «Non credevo sarebbe bastato un duello di pochi minuti per ridurti in questo stato.» disse Atarus rivolgendosi a Toshio «Ti sei rammollito.»

  «Ora preoccupiamoci di uscire da questa situazione. Al resto penseremo dopo.»

  «Sono d’accordo».

  Atarus, che aveva passato gli ultimi minuti ad osservare lo scontro, aveva già in mente la sua strategia, e non mancò di farne partecipe anche il suo ex avversario.

  «Lei ha come elemento principale il fuoco. E qual è la migliore arma contro il fuoco?».

  Toshio ci pensò un secondo, poi, guardando ciò che portava sulle spalle, ebbe l’illuminazione.

  «Ma certo!» disse impugnando l’arco di Tomite «Il ghiaccio!»

  «Pensi di saperlo utilizzare?»

  «Posso provarci.»

  «Sarà meglio che impari in fretta. Non so per quanto potremo tenere a bada quella furia scatenata».

  Keita e gli altri erano un po’ dubbiosi, e Takeru non mancò di farlo notare.

  «Chi ci dice che possiamo fidarci di te?»

  «Potere scegliere, o accettare il mio aiuto o venire ammazzati! La decisione spetta a voi!».

  Il lanciere fu il primo a lanciare un nuovo assalto, e malgrado la loro iniziale riluttanza ben presto Keita, Shinji e Takeru si unirono a lui, contribuendo a mettere Selene particolarmente sotto pressione, sottoponendola ad una continua serie di attacchi che, oltre ad impegnarla in modo non indifferente, la distraevano da Toshio, il quale nel frattempo aveva teso una nuova corda spirituale e recuperato una freccia dalla faretra di Tomite, ancora privo di sensi e accudito da Aria, incoccandola.

  Subito dopo aver messo la corda in tensione lo spadaccino materializzò il proprio circolo magico e cominciò a concentrarsi, in modo da permettere sia alle proprie forze sia alle energie fredde insite nell’arco di convogliare nella freccia, trasformandola in un dardo congelante.

  Tomite nel corso del duello si era servito di frecce spirituali generate dalla sua stessa energia, ma quella era un’impresa che riusciva solo con anni e anni di esercizio costante, quindi la sola cosa da fare era creare un espediente il più possibile somigliante all’originale.

  Lo scontro ebbe i suoi momenti del tutto inattesi, come quando Keita fu salvato da un’artigliata dal provvidenziale intervento di Atarus o quando Selene non riuscì a colpire il lanciere con un pugno circondato di fuoco grazie a Takeru, che intervenendo col suo Tenma Shouryusen obbligò la ragazza a retrocedere.

  Ad un certo punto, accortosi che Toshio aveva quasi finito di preparare l’incantesimo congelante che avrebbe potuto mettere fine alla sfida, Atarus fece segno ai tre inaspettati compagni di battaglia di farsi da parte, di modo da rimanere il solo a contrastare Selene ed evitando così che potessero venire coinvolti nell’attacco del loro amico, che sicuramente avrebbe avuto un discreto raggio d’azione.

  All’ultimo secondo, dopo aver respinto l’ennesimo attacco ed aver lanciato alla sua avversaria un sorrisetto di soddisfazione, Atarus si spostò lateralmente, mettendo Selene direttamente sulla linea di tiro della freccia di Toshio, divenuta blu e luminescente come quelle di Tomite.

  «Che cosa…».

  Prima che la ragazza potesse finire la frase Toshio scoccò la freccia, che appena lasciato l’arco prese a viaggiare a velocità stratosferica, diffondendo tutto attorno un’aria abbastanza fredda da ricoprire il terreno di brina.

  Il dardo toccò terra proprio ai piedi di Selene, trasformandosi subito in una vera tempesta gelida che, oltre a produrre un vapore bianco e denso, simile a panna montata, fece calare violentemente la temperatura tutto intorno, tanto che anche Keita e gli altri, che pure erano abbastanza lontani, sentirono i brividi.

  Selene cercò dapprima di disperdere il vapore agitando furiosamente le braccia, ma quando fece per saltare via da quell’inferno glaciale si avvide che le sue gambe erano completamente paralizzate, e pian piano tutto il suo corpo prese a circondarsi di una spessa barriera di ghiaccio.

  «Ma… maledetti!»

  «E vai!» disse Shinji «Ormai è fuori combattimento!».

  Allo scontro assistevano anche Seth e Nepthys, servendosi come al solito del circolo magico tracciato sul pavimento, ma come accadeva ormai spesso l’incombente sconfitta di un proprio servitore non sembrava allarmare più di tanto il sovrano, che al contrario sfoggiava il suo solito sorriso impassibile.

  «Mai mandare un cane a fare il lavoro di un uomo.» disse con incredibile noncuranza, e a quel punto il pendente a forma di spada prese a brillare di una luce nera.

  La stessa luce, molto più vasta e minacciosa, prese ad ardere come una fiamma attorno a Selene proprio quando i ragazzi erano convinti di averla messa del tutto fuori combattimento; la ragazza gridava dal dolore, come se si fosse trovata immersa in un mare di fuoco, e i suoi occhi, da bianchi, divennero rosso sangue; i denti si fecero più affilati, coi canini superiori in risalto a sporgere dalle labbra, e così le unghie, che andarono a sostituire gli artigli metallici rottisi poco prima a causa dello scontro con la ben più resistente katana di Takeru.

  Anche la sua voce cambiò, divenendo più simile ad un ringhio disumano; il ruggito di una belva feroce.

  «Ma che cosa le sta succedendo?» domandò spaventato Keita vedendo Selene che, con uno scatto rabbioso, si liberava del ghiaccio che l’aveva ormai quasi interamente ricoperta.

  Movendosi ad una velocità più che doppia rispetto a prima la ragazza travolse Takeru con la forza di un tornado, e subito dopo di lui prese a fare strage di tutti coloro che le capitavano a tiro.

  Ormai di umano Selene aveva soltanto parte dell’aspetto; le orecchie e la coda erano drizzate, proprio come quelle di un cane infuriato pronto a combattere, si spostava con un’agilità assolutamente non comune anche per un famiglio, e alternava continuamente lo spostamento a due o a quattro zampe.

  Inoltre, di tanto in tanto, quando la fiamma che continuava a circondarla aumentava di intensità, lei urlava ancora più forte. Ad un certo punto tutto questo potere si risolse in una tremenda esplosione, così forte da far volar via ogni cosa nel raggio di decine di metri: Keita, Shinji e Takeru vennero sbalzati via e caddero successivamente a terra molto debilitati, e anche Aria e Nadeshiko, che stavano in quel momento ancora assistendo Tomite, ne vennero investite.

  I soli che riuscirono a resistere furono Atarus e Toshio, che evitarono di prendere il volo piantando a terra le rispettive armi.

  «È opera di Seth!» disse Toshio quando, faticosamente, la tempesta si acquietò «Le sta infondendo tutto il proprio potere per renderla più forte!»

  «Ma è assurdo!» rispose Atarus «Un semplice essere umano non può padroneggiare una tale quantità di energia, figuriamoci un famiglio! Di questo passo non durerà dieci minuti!»

  «A Seth non importa se lei muore o meno, gli basta che ci faccia fuori!».

  All’ennesimo attacco rabbioso di Selene Atarus rispose con alcuni fendenti ben assestati che la costrinsero a retrocedere, ma lei, proprio come un cane da caccia che ha puntato la sua preda, non pareva intenzionata a mollare, e allora il lanciere si vide costretto a fare sul serio, anche se la cosa, incedibile a dirsi, gli provocava un senso di disgusto.

 

STORMBRINGER!

 

Stavolta però l’esito fu ben diverso da quello che la stessa tecnica aveva sortito solo pochi minuti prima.

  Come ormai Toshio sapeva fin troppo bene lo Stormbringer consisteva semplicemente nel concentrare una grande quantità di potere magico sulla lama della lancia per poi rilasciarlo a piccole dosi in una serie ininterrotta di affondi rapidissimi, con un risultato in fin dei conti non molto diverso dall’Infinity Arrow di Tomite, anche se indubbiamente di potenza maggiore.

  La velocità di Selene però, come detto, era divenuta qualcosa di inimmaginabile, tanto che, messasi a correre contro il suo avversario, la ragazza riuscì a muoversi all’interno dei fasci di energia evitandoli tutti, fino ad arrivare a tu per tu con Atarus.

  «Cosa…» disse sorpreso il lanciere prima di ricevere un pugno al torace che lo scaraventò contro la parete di un magazzino, un colpo tanto violento da sfondare il muro, lasciando Atarus semisvenuto tra le macerie

  «Atarus!» gridò Toshio, rimasto ormai probabilmente l’unico ancora in grado di proseguire lo scontro.

  Il ragazzo fece per mettersi in posizione nell’attesa di un inevitabile attacco, ma tornado a concentrarsi su Selene si accorse che quest’ultima non sembrava aver puntato lui, e quando volse gli occhi nella direzione fissata dal famiglio sentì un colpo tremendo al cuore, che minacciò di fermarsi.

  Il suo bersaglio era Nadeshiko, che da qualche istante si era separata dal gruppo, rimanendo immobile con le braccia lungo i fianchi e lo sguardo a terra, nascosto dalle frange dei capelli.

  Toshio era troppo sconvolto e terrorizzato per accorgersene, ma il pendente che la ragazza portava al collo rifulgeva come mai aveva fatto, e forse era proprio quello ad attirare maggiormente Selene, che a grandi falcate prese a correrle contro.

  «Nadeshiko!» urlò Toshio nel disperato quanto vano tentativo di arrivare per primo.

  La sua rapidità non era però neanche paragonabile a quella del famiglio, la quale, dopo un paio di balzi, spiccò un salto altissimo, allungando la mano destra e puntando diritta alla gola.

  Toshio si sentì morire, e pregava ogni dio possibile che quello fosse solo un brutto incubo.

  Se non che, come per incanto, e senza che nessuno muovesse apparentemente un dito, una barriera di straordinaria durezza bloccò la strada a Selene, frapponendosi fra lei e il suo obiettivo e riuscendo, incredibilmente, a respingerla, un’impresa che fino a quel momento non era riuscita a nessuno.

  Solo allora Toshio si accorse del potere magico a dir poco immenso che aveva iniziato ad avvolgere completamente la sua amica; e non solo lui, tutti quanti dopo che lo spavento fu passato videro montare dal suo corpo un’aura di un bianco quasi accecante e di vastissime proporzioni.

  Era un potere inimmaginabile per chiunque, anche per il più grande maghi, un potere che poteva essere definito in un solo modo: inumano.

  Anche Selene, pur nelle sue condizioni psichiche, parve rendersi conto di ciò che stava accadendo davanti a lei, e ne ebbe quasi paura.

  Poi, lentamente, Nadeshiko sollevò gli occhi, e allora l’espressione di tutti, da incredula, divenne sgomenta: brillavano ancora del loro colore di smeraldo, ma non erano certamente i suoi.

  Una forza e un ardore senza confini trasudavano da quelle due gemme preziose, in uno sguardo che tutto poteva essere fuorché quello di un essere umano.

  Toshio e Atarus furono i primi a riconoscere quel potere magico, ma non volevano credere che fosse proprio Nadeshiko la persona che entrambi non avrebbero mai immaginato di trovarsi un giorno di fronte; quando sotto i piedi della ragazza, però, comparve un circolo magico di immani proporzioni, lo stesso che lei aveva sempre posseduto ma dal colore tendente al bianco scintillante e di dimensioni molto maggiori, ne ebbero la conferma.

  «No… non è possibile…».

  Anche Seth e Nepthys assistettero alla scena, il primo divertito e quasi estasiato la seconda con un misto di stupore e sgomento.

  «Finalmente si è decisa.» disse il sovrano

  «Sei posseduta da un’entità oscura.» disse Nadeshiko con una voce echeggiante, piena di ardore, che Atarus in particolare non faticò a riconoscere «Ma in fondo al tuo cuore percepisco sentimenti nobili. Per questo intendo liberarti!».

  Detto questo, la ragazza si strappò il pendente, sollevandolo in aria.

  «Sabatiel!»

  «Activation!».

  Il circolo magico divenne, se possibile, ancor più splendente di prima, e mentre la luce diventava sempre più forte le vesti di Nadeshiko presero a cambiare. Quando il bagliore si attenuò, indossava un abito rosato in stile vagamente arabeggiante; un gilè maniche corte che lasciava scoperto l’ombelico, pantaloni larghi sormontati da una sorta di gonna lunga aperta interamente sul davanti che si fermava all’altezza delle caviglie, scarpe leggermente affusolate e un lungo mantello provvisto di un cappuccio molto largo.

  Portava anche dei bracciali decorati, e in mano stringeva un lungo scettro dorato con in cima una sfera vitrea circondata da un diadema a forma di ali del tutto simile a quello che era impresso sul monile.

  «Ma cosa…» balbettò Keita, completamente senza parole

  «Non…» disse Toshio «Non può essere. Isis-sama!»

  «Che cosa!?» esclamò Takeru

  «La nostra amica Nadeshiko…» disse Shinji

  «Sarebbe… Isis…» concluse Keita.

  Isis, come aveva spiegato Toshio tempo prima, era stata la più acerrima nemica di Seth ai tempi della guerra sacra, nonché colei che aveva ispirato i primi sette guerrieri che avevano avuto il coraggio e la grinta necessari a combattere il dio della distruzione nella sua prima rinascita.

  Mai da che era stato istituito il torneo si era mostrata in sembianze umane, ma ora anche quell’ultimo tabù era stato infranto.

  Selene fece qualche passo indietro nel vedere quegli occhi così splendenti e determinati piantarsi su di lei, ma poi, spinta unicamente dall’istinto, non si fece remore e attaccò la nuova arrivata, la quale non mosse un muscolo e non fece alcun tentativo per evitare l’assalto.

  «Sabatiel.»

  «Jail Ring!».

  Come era accaduto già tempo prima a Yuuhi nel castello di Seth, Selene si ritrovò i polsi e le caviglie immobilizzati da anelli lucenti dai quali, per quanti sforzi facesse, le era impossibile liberarsi.

  Nadeshiko, con passo lento, si avvicinò a lei, mentre tutti gli altri assistevano attoniti e increduli.

  «Non aver paura.» disse con infinita dolcezza guardando il famiglio che si dimenava e urlava furiosamente nel tentativo di liberarsi «Non voglio farti del male.

  Al contrario, voglio salvarti».

  La ragazza alzò dunque lo scettro, la cui sfera prese a brillare di una forte luce bianca.

  «Epuration».

  Quella luce si trasferì rapidamente su Selene, che prese a gridare con più forza e disperazione di prima, e dopo poco il potere oscuro che Seth aveva instillato in lei per renderla più potente prese ad uscirle dal corpo come un miasma venefico che si disperdeva rapidamente nell’aria.

  Il supplizio durò qualche minuto, ma quando ebbe finalmente fine Selene era tornata esteriormente quella di sempre, ma avendo perso i sensi appena fu lasciata libera dal vincolo degli anelli il suo corpo rovinò a terra.

  Solo allora, con molto timore, Toshio e gli altri si avvicinarono; anche Lotte, che intanto si era ripresa e aveva ripreso le sembianze umane.

  «Na… Nadeshiko…» disse Keita vedendo la sua amica che, inginocchiatasi, passava delicatamente una mano sul volto di Selene «Sei davvero tu?»

  «Ora non c’è tempo per parlare di questo.» rispose lei facendosi seria «Questa ragazza sta morendo.»

  «Morendo!?» disse Shinji «Perché!?»

  «L’ho liberata dall’influsso malevolo che la teneva prigioniera, ma lo sforzo per il suo fisico è stato troppo grande. Per non parlare del fatto che Seth ha cessato il suo legame con lei senza prima averle garantito la piena autonomia come essere vivente.»

  «Ma non c’è niente che possiamo fare per salvarla?» chiese Keita

  «Bisogna che si leghi ad un nuovo master. È la sola cosa che può risparmiarla dalla morte.»

  «Un nuovo master?»

  «Lo faccio io.» disse Atarus irrompendo improvvisamente sulla scena prima che chiunque altro avesse il tempo di sollevare una parola.

  Nadeshiko, o per meglio dire Isis, non fece nessuna obiezione, e così tutti gli altri, quindi il lanciere, inginocchiatosi a sua volta, fece distendere Selene sulla schiena, poi, incisosi con la lama della sua arma il palmo della mano, fece cadere alcune gocce in bocca alla ragazza; questa ebbe un sussulto, digrignando leggermente i denti, poi cadde in quello che sembrava un sonno profondo, e Isis confermò che il pericolo era scampato.

  «Ci saranno delle conseguenze?» domandò Takeru

  «Quando un famiglio cambia il proprio master» rispose Aria «I ricordi di ciò che è stato prima di stringere il nuovo patto scompaiono quasi del tutto.»

  «Il che significa che non saremo mai in grado di sapere dove si trova il nascondiglio di Seth.» commentò Lotte «Che occasione perduta.»

  «Mi sei piaciuto.» disse Toshio rivolto ad Atarus «Non avrei mai pensato che avresti fatto una cosa del genere».

  Quello fece un gesto come di stizza, come a voler dire che in realtà lui era rimasto lo stesso, ma anche se l’avesse detto nessuno ci avrebbe creduto.

  «Alla fine» gli disse Isis, provocandogli un evidente rossore «Hai fatto la scelta più giusta. Ne sono felice».

  A quel punto, venne il momento delle spiegazioni.

  Sia Toshio che Atarus si volsero verso Nadeshiko e fecero un profondo inchino, ma quando cercarono di inginocchiarsi lei li richiamò.

  «Vi prego. Non fatelo.

  Non ho mai chiesto di essere venerata, e non voglio cominciare ora.»

  «Venerabile Isis… da quanto tempo occupate il corpo di Nadeshiko?»

  «Da molti anni.» rispose lei sorridendo «Dal giorno in cui le ho messo al collo il pendente recante il mio simbolo.»

  «Perché hai scelto proprio lei?» domandò Keita

  «Sono pochi gli esseri umani in grado di ospitare dentro di sé la nostra essenza. Occorre possedere una particolare predisposizione, oltre ad un potere magico di vaste proporzioni.

  Nadeshiko aveva entrambe queste cose, e nel momento in cui l’ho vista ho capito che lei era la candidata migliore.

  In questi anni sono rimasta sopita, conservando i miei poteri per il momento in cui ci sarebbe stato bisogno di usarli. Sapevo che questa guerra sarebbe stata molto più cruenta di quelle che l’hanno preceduta, e ho deciso che era giunto il momento di fare la mia parte.»

  «È stato per merito tuo che abbiamo vinto il viaggio che ci ha condotti qui in Europa?» domandò Shinji.

  Isis sorrise, un sorriso non molto diverso da quello di Nadeshiko.

  «In verità è stato per puro caso. Una volta risvegliatami avrei potuto contrastare Seth sempre e comunque. La vincita di quel concorso è stato un fatto del tutto inatteso.»

  «Per quale motivo ti sei mostrata a noi soltanto ora?» chiese Takeru

  «A dire la verità avevo intenzione di non farlo affatto. Almeno, non in vostra presenza. Rivelare l’identità della persona con cui condivido il corpo avrebbe messo in pericolo la vita di entrambe. È stata Nadeshiko a supplicarmi di intervenire per salvare sia voi che quel famiglio.»

  «Tipico di lei.» disse Shinji «Prima di sé mette sempre gli altri.»

  «È proprio per questo che l’ho scelta. Nadeshiko è una persona speciale. I suoi poteri sono grandissimi, persino io ne sono rimasta sorpresa».

  In quella, Isis si incupì.

  «Sfortunatamente, sembra che neppure questo sia sufficiente per sconfiggere Seth.»

  «Che intendete dire?» domandò Toshio

  «Poco dopo il mio completo risveglio, ho tentato di affrontarlo, per evitare a voi umani altre inutili sofferenze, ma dopo un breve confronto sono stata costretta a ritirarmi. La sua potenza è notevolmente cresciuta dall’ultima volta che ci affrontammo, all’epoca della grande guerra.

  Allora riuscii a sconfiggerlo, ma oggi non è stato così. La sua forza è stroppo grande.»

  «Ma, divina Isis…» disse Toshio, non senza una certa angoscia nella voce «Se non ci siete riuscita voi, come potremmo riuscirci noi?»

  «Toshio, non è da te dire certe cose. Non sei mai stato il tipo che si lascia prendere dallo sconforto.»

  «Ma… ma io…»

  «La verità è che se Seth persiste tuttora a minacciare questo universo la colpa è in parte mia. Proprio per questo, pur avendo rinunciato al mio corpo, mi è stato proibito di unirmi ai miei simili nella loro esistenza spirituale. Ho vagato ininterrottamente sulla Terra, come in molti altri mondi, per millenni, e se c’è una cosa che ho imparato in tanti anni di peregrinazioni è che gli umani possono dimostrare una potenziale uguale e superiore alla minaccia che grava su di loro.

  In queste ultime settimane tutti voi siete cresciuti e migliorati, diventando ciò che voi stessi non avreste mai pensato di poter essere. Questo vi dà la prova che, a differenza di quanto accaduto a me, voi potete riuscire. E non temete, io sarò sempre al vostro fianco».

  In quella, Tomite riprese conoscenza.

  «Accidenti, che botta.» mugugnò massaggiandosi la testa

  «Alla buon ora!» disse Lotte «Finalmente ti sei ripreso!».

  Appena l’arciere vide Atarus in mezzo al gruppo, però, i pensieri attinenti al dolore fecero immediatamente posto a quelli ben più aggressivi del combattimento.

  «Atarus!» gridò facendo per corrergli contro.

  Il lanciere per la verità sembrava deciso ad accettare la provocazione, ma poi Keita si mise in mezzo, bloccando lo scontro sul nascere.

  «Keita, che stai facendo? Levati!»

  «Aspetta! Non è più la persona che era un tempo!»

  «Come sarebbe a dire? Quell’uomo ha le mani sporche di sangue! Come potete difenderlo!»

  «Quel sangue ora sta lavando la sua coscienza!» disse prorompente la voce di Isis, che comparve alla vista di Tomite nel momento in cui i ragazzi, come un sipario, si fecero da parte.

  «Venerabile Isis!» esclamò mettendosi subito in ginocchio

  «Atarus McLoan ha accettato di percorrere la strada della redenzione, e anche se questo non cancella le colpe delle quali si è macchiato ora il suo animo è votato alla luce, pertanto devi considerarlo un tuo compagno».

  Tomite sembrava tutto fuorché convinto, benché quelle parole fossero pronunciate dalla persona che per lui veniva prima di ogni altra cosa, persino della sua stessa famiglia; Isis allora gli si avvicinò, sfiorandogli il mento con una mano per farsi guardare negli occhi, e incrociandone lo sguardo l’arciere sentì un senso di calore percorrergli tutto il corpo.

  «Ascolta. So che per uno come te è difficile credere che una persona possa cambiare fino a tal punto, soprattutto se prima operava nel male.

  Non ti chiedo di rivedere le tue opinioni. Ti chiedo solo di avere fiducia in me. In questo momento buio ora più che mai dobbiamo essere uniti, e forse, restando al fianco di Atarus, con il tempo imparerai a capirlo.

  Ti assicuro che la sua non è stata un’esistenza felice.»

  «Venerabile… Isis…».

  Il ragazzo era scosso e disorientato, ma alla fine, obbedendo alla voce della sua coscienza, decise di avere fede nella sua dea, come aveva fatto da che era venuto al mondo, ma non mancò di scagliare un’ultima frecciata.

  «Non credere neppure per un secondo che io possa dimenticare quello che hai fatto. Un giorno o l’altro ti farò pagare tutte le tue colpe».

  Atarus non rispose, girando la testa dall’altro lato, e raccolta Selene ancora addormentata scomparve tra i vicoli della città.

  Anche Tomite se ne andò di lì a poco, precisando che avrebbe trascorso quel poco di tempo che rimaneva prima della battaglia finale ad esercitarsi per migliorare le proprie abilità di schermidore, in modo da poter dare il proprio contributo quando fosse venuto il momento di affrontare Seth.

  «Nobile Isis.» intervenne Aria «Avete detto di aver affrontato Seth. Non sapreste indicarci il luogo dove si nasconde?»

  «Purtroppo no. Il suo rifugio è ben protetto da una barriera, e ciò mi ha impedito di scorgerne con esattezza l’ubicazione.

  Posso solo dirvi che il luogo in questione è un castello, e che si trova in Germania, da qualche parte nei pressi di Monaco.»

  «Monaco avete detto?» disse Toshio «Molto bene, questa sarà la nostra prossima destinazione.»

  «Il mio tempo purtroppo è scaduto. Ogni qualvolta che io prendo il controllo, lo spirito e la coscienza di Nadeshiko vengono messe completamente da parte, ma a differenza di quanto accade a Seth i miei poteri si esauriscono rapidamente se portati allo scoperto, e mi ci vuole molto tempo per riacquisirli.

  Cercherò di essere al vostro fianco nella battaglia decisiva, fino a quel momento… conto su di voi».

  A quel punto la luce bianca circondò nuovamente Nadeshiko, liberandola dalle vesti rosate e dallo scettro e restituendole il vecchio abito da sera; inoltre, il pendente ritornò al suo posto.

  La ragazza, visibilmente esausta, fece per cadere in avanti, ma fu prontamente sorretta da Toshio.

  «Nadeshiko! Rispondimi!».

  Lei in pochi istanti si riprese, sorridendo a lui e a tutti i suoi amici.

  «Non preoccupatevi. Mi succede ogni volta quando lei si fa da parte.»

  «Nadeshiko…» disse Keita

  «Mi dispiace di avervelo tenuto nascosto.»

  «Da quanto lo sapevi?» chiese Lotte

  «Dalla prima volta che è successo. Vi prego, perdonatemi.»

  «Perdonarti?» rispose sorridendo Shinji «E di cosa?»

  «Beh, di non avervi detto la verità…»

  «Sai com’è. Ognuno ha i suoi segreti.» disse Toshio per sdrammatizzare, e riuscendo a far riguadagnare il sorriso alla ragazza.

  In quel momento, in lontananza, i rintocchi del Big Bang annunciavano la mezzanotte, e l’inizio di un nuovo giorno.

  La partenza da Londra alla volta della Germania avvenne quella notte stessa, e subito dopo essere decolatti quasi tutti si addormentarono sotto il peso dello scontro appena sostenuto; solo Toshio restò sveglio, con Nadeshiko che dormiva appoggiata alla sua spalla. La serata non era andata esattamente secondo i piani, ma ciò nonostante sentiva comunque un senso di appagamento e di serenità.

  Ora, ne era certo, qualcun altro vegliava su di lei, qualcuno di molto potente che sarebbe stato capace di tenerla al sicuro.

  “Aspettaci, Seth. Stiamo venendo a prenderti”.

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!

Di gran lunga in anticipo sui tempi previsti ecco a voi un nuovo capitolo.

Alla fine di tutto gli eventi si sono svolti ben più velocemente di quanto avessi preventivato, così la sorpresina (che immagino abbiate capito quale fosse) si è palesata da un questo capitolo.

Beh, tanto meglio.

Annuncio subito che i capitoli successivi (due o tre, ancora non lo so con esattezza) sono quelli che da più tempo aspettavo di scrivere, di conseguenza credo che mi prenderò un po’ di tempo al fine di costruirli al meglio.

Inoltre, da venerdì inizia la maratona degli esami, che durerà fino al 22 di giugno, il che significa altri possibili ritardi.

Ringrazio Selly, Akita e Cleo per le loro recensioni.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 24
*** Il Confine dei Sogni ***


23

23

 

 

Monaco di Baviera

31 agosto

Ore 21.23

 

Due giorni ininterrotti di ricerche non avevano prodotto il minimo risultato, e a quarantotto ore dal loro arrivo in Germania Keita e gli altri non avevano trovato uno straccio di indizio che potesse condurli sulle tracce del nascondiglio di Seth.

  Sfruttando le conoscenze e la collaborazione di alcuni amici di Toshio, fra i quali vi era un abitante della sua città che da tempo si era trasferito a Monaco con la sua famiglia per iniziare la creazione di un piccolo insediamento lì in Europa, i ragazzi avevano rivoltato la capitale della Baviera come un calzino, ma neanche questo si era dimostrato sufficiente.

  Quella sera le ultime speranze di cavare un ragno dal buco erano affidate alle esplorazioni di Aria e Lotte, ma quando, sul far della sera, le due ragazze rientrarono sconsolate all’albergo passando per una finestra aperta le loro espressioni parlavano da sole.

  «Allora?» domandò Shinji nella vana speranza di una risposta positiva «Com’è andata?»

  «Niente da fare.» rispose Aria «Ne abbiamo controllati cinque, ma erano tutti puliti. Nessuna traccia della presenza di Seth.»

  «Dannazione.» mugugnò Takeru «Si nasconde bene.»

  «Non è solo per questo.» commentò Lotte buttandosi sul divano «Ci sono almeno dodici castelli solo nella zona compresa tra la città e le sue vicinanze.»

  «Questo senza contare le varie residenze private non registrate e non conosciute ai più.» disse Keita «Molti personaggi famosi possiedono dei castelli in questa zona.»

  «Mi dispiace.» disse Nadeshiko con aria sconsolata «Se solo fossimo state più attente quando lo abbiamo affrontato, avremmo potuto notare qualche particolare in più.»

  «Non dirlo neanche per scherzo. È già tanto che siate state in grado di indicare la zona. Ci vorrà un po’ di tempo, ma sono sicuro che presto arriveremo a scovare quello giusto.»

  «Cambiando discorso.» intervenne Shinji «Anche Johan è originario di Monaco, giusto? E se non sbaglio aveva detto che sarebbe tornato a casa per le vacanze estive.»

  «Parli del vostro compagno di classe?» domandò Takeru

  «Esattamente. La sua famiglia è una delle più antiche d’Europa, e possiede quasi mezza città. Abbiamo trovato loro tracce ovunque girando per le strade di Monaco.

  Forse lui potrebbe aiutarci.»

  «Ne dubito.» rispose Keita «È probabile che a quest’ora sia già ritornato in Giappone. Non dimentichiamoci che la scuola ricomincia domani.»

  «Ti correggo, ricomincia oggi. A Uminari sono quasi le sei di mattina del primo settembre.»

  «Dovremo trovare qualche scusa plausibile per giustificare un simile ritardo coi nostri genitori.» disse Nadeshiko con tono scherzoso, con la speranza di risollevare un po’ il morale

  «Ma Toshio dov’è andato?» domandò Takeru, che era tornato in albergo solo pochi minuti prima di Aria e Lotte

  «È andato a trovare un suo amico che abita qui in Germania.» rispose Nadeshiko «Spera che lui sia in grado di darci qualche informazione in più.»

  «Auguriamoci che sia così.» disse Lotte.

  Improvvisamente la solita, terribile sensazione serpeggiò fra i ragazzi, e il pendente di Nadeshiko, rivelatosi in realtà un oggetto ancora sconosciuto di nome Sabatiel, si illuminò, e subito dopo tutte le luci si spensero, lasciando la stanza in un buio quasi totale.

  «Ma cosa…» esclamò Aria balzando in piedi dalla sedia su cui si trovava.

  Le finestre si aprirono di colpo, e nella camera prese ad infuriare un vento fortissimo, tale da far volare via anche gli oggetti più pesanti, come il grosso tavolo circolare o la cassettiera in legno massiccio.

  «Che diavolo è questo vento!» gridò Shinji nel tentativo di sovrastare quel fischio assordante

  Ciò che maggiormente spaventava e preoccupava i ragazzi però era che quel vento, oltre che fragoroso e carico di minaccia, sembrava privarli a poco a poco della loro forza; aveva un odore strano, come di lavanda, e per ogni istante che passava dimostrava di avere l’effetto di un potente sonnifero.

  Keita e gli altri cercarono di opporsi con tutte le loro forze, provarono a tapparsi il naso e a non respirare, ma di qualunque cosa fosse fatta quella corrente inarrestabile agiva inesorabilmente, e in meno di un minuto tutti e sei caddero in un sonno profondo come la morte; l’ultimo a desistere fu Takeru, che in un gesto di disperazione cercò persino di trafiggersi con la propria spada, in modo da non cadere vivo nelle mani del nemico, ma le forze lo abbandonarono prima che avesse anche solo il tempo di estrarre completamente la katana dal suo fodero.

  Nello stesso momento, poco distante da lì, Toshio stava ritornando in albergo dopo l’infruttuosa visita al suo amico, un antiquario che acquistava sovente oggetti e reperti africani dagli abitanti di Nepthys, e che oltre al denaro ripagava il favore tendendo le orecchie per fornire quando necessario ogni genere di informazione.

  Ben altri, però, erano i pensieri che attraversavano la sua mente intanto che camminava fra le strade di Monaco, affollatissime di persone pronte a godersi le gioie e i piaceri che la città bavarese aveva da offrire dopo il calare del sole, con le sue birrerie, le sue discoteche e i suoi ampi spazi pedonali per tranquille passeggiate.

  Aveva riflettuto molto su quanto accaduto a Londra, durante la cena con Nadeshiko così bruscamente interrotta, e riflettendo a mente fredda sulla proposta che la ragazza gli aveva fatto subito prima della comparsa di Tomite cominciava a credere di aver voluto fare, forse, il passo più lungo della gamba.

  In tutta la sua vita non si era mai mosso da Nepthys; il mondo lui lo aveva conosciuto attraverso i libri, e se era stato capace di muoversi con tanta maestria in un continente così variegato e complesso come l’Europa il merito era tutto delle lunghe ore spese a studiare.

  In quanto futuro rappresentante della sua gente nel grande torneo era stato istruito a dovere in ogni possibile frangente, e grazie anche al suo intelletto eccezionalmente sviluppato, con un quoziente intellettivo valutato attorno al 190, era stato capace di assimilare una grande quantità di sapere, dalle lingue alla storia, dalla geografia all’aritmetica.

  La sua abilità più sviluppata era sicuramente l’apprendimento linguistico: gli bastava davvero poco per riuscire a padroneggiare discretamente i rudimenti di una lingua, e con qualche mese di studio intensivo diventava capace di parlarla quasi alla perfezione, una caratteristica questa che accomunava molti dei suoi avversari, per i quali vi era la necessità di mescolarsi al meglio possibile con gli ambienti nei quali si svolgevano i combattimenti del torneo.

  Nessuna realtà però era stata capace di suscitare in lui maggiore curiosità del Giappone.

  Poter fare un viaggio nel Sol Levante era un sogno che, negli ultimi tre anni, aveva spesso sognato di realizzare; non che avesse fatto dei progetti, visto e considerato che per un partecipante al torneo il rischio di morire è tutt’altro che irrisorio, ma ora che affrontava la sfida con un po’ più di ottimismo doveva ammettere che l’idea lo aveva sfiorato più di una volta.

  Ora, però, non era più sicuro che accettare l’offerta di Nadeshiko fosse la cosa giusta da fare.

  L’aver scoperto che la persona a lui più cara ospitava dentro di sé lo spirito di Isis lo aveva turbato, e questo era incontestabile, ma forse c’era anche dell’altro.

  Anche se ormai la verità sul rapporto che li legava era più che evidente non si sentiva pronto a fare il passo successivo, e onestamente aveva l’impressione che mai ne sarebbe stato in grado, come se avesse avuto un freno interiore che gli impediva di andare oltre.

  Dopotutto, chi o che cosa garantiva che finito il torneo le loro strade non si sarebbero separate?

  Nadeshiko e gli altri avevano la loro vita, e certamente non vedevano l’ora di ritornarvi, lontani da tutti quei pericoli, lui invece sarebbe tornato alla sua città nel deserto, dove avrebbe speso il resto della vita a rimpiangere quella preziosa occasione che si era lasciato sfuggire dalle mani.

  Stava rimuginando su questi pensieri quando, a due passi dall’hotel, si accorse di una strana agitazione che serpeggiava tra i passanti; tutti guardavano verso l’alto, indicando di tanto in tanto la facciata dell’edificio, e prima ancora di fare altrettanto il ragazzo fu attraversato dalla stessa, orribile sensazione.

  Alzati gli occhi, vide con suo grande terrore un’accecante luce viola provenire da due finestre, e a Toshio non servirono che pochi secondi per capire che erano quelle del salotto della loro camera.

  Terrorizzato, entrò di corsa nell’albergo, e senza aspettare l’ascensore come faceva solitamente, visto e considerato che alloggiavano al quindicesimo piano, prese a salire le scale il più velocemente possibile, e più la sua meta si avvicinava più quella sensazione diventava concreta, al punto da poterla quasi toccare.

  Appena fu di fronte alla porta la spalancò quasi sfondandola, trovandosi davanti ad un panorama desolante; la stanza, immersa nel buio, era nel più completo sfacelo: tavoli, sedie, mobilio, soprammobili erano buttati da tutte le parti, come se lì dentro si fosse abbattuto un tifone, e di Keita e gli altri neppure l’ombra.

  La sola presenza in quella camera era Hypnos, con suo abito chiaro, girato di schiena e circondato da quella luce viola che la gente osservava sbigottita dalla strada; rimaneva sospeso a pochi centimetri dal pavimento, e una lunga fascia bianca, probabilmente una sciarpa, fluttuava attorno a lui come un serpente controllato dal fachiro.

  «Chi sei?» tuonò Toshio mettendo mano alla spada «Che cosa hai fatto ai miei compagni?».

  Lui si girò, guardandolo con una sufficienza a dir poco glaciale, dietro la quale si nascondeva una malvagità quasi impareggiabile.

  «Mi spiace. Stavolta sei arrivato tardi».

  Prima che Toshio, già infuriato e pronto a scattare, potesse accennare una reazione, Hypnos fu avvolto da un vortice d’aria e scomparve inghiottito al suo interno; contemporaneamente, una luce sinuosa si inerpicò sui muri e sul soffitto, attraversando la stanza in lungo e in largo e lasciando intravedere per qualche istante degli strani simboli arcani simili a ideogrammi.

  Quando finalmente tutto si acquietò il primo pensiero di Toshio fu di saltare oltre le finestre e mettersi alla ricerca del nemico, ma appena provò a sfondarne una venne violentemente rispedito indietro da una specie di tappeto elastico fatto di luce.

  «Una… una barriera!?» disse, accorgendosi, attonito, di essere prigioniero.

 

Il palazzo di Nymphenburg, situato alla periferia di Monaco, era stato per secoli la residenza ufficiale dei sovrani di Baviera, ed era conosciuto sia per gli stupendi affreschi sia per lo sterminato giardino retrostante l’ingresso principale.

  Meta ogni giorni di moltissimi turisti, da una settimana circa era stato chiuso al pubblico dopo che un principio d’incendio dovuto ad un guasto elettrico ne aveva resa necessaria la manutenzione.

  Quando Keita e gli altri ripresero conoscenza si ritrovarono rinchiusi all’interno di una barriera a cupola di colore violaceo, lo stesso del vento che aveva preso a soffiargli attorno subito prima che tutti cadessero addormentati; misurava una decina di metri di diametro e sorgeva su di un terreno erboso, poco distante dal lago.

  «State tutti bene?» domandò Shinji, uno dei primi a riprendersi

  «Credo di sì.» rispose Aria «Accidenti, mi scoppia la testa. Ehi, Lotte!» disse poi rivolta alla sorella, la sola che ancora dormiva come un sasso «Lotte, vuoi svegliarti!»

  «Mh?» mugugnò lei ancora mezza rintronata «È pronta la colazione?»

  «Ma quale colazione!» replicò Aria tirandole uno scappellotto per svegliarla del tutto «Chissà in che guaio ci siamo cacciati!»

  «Ma…» disse Keita visibilmente spaventato «Dov’è Nadeshiko!?».

  Solo allora i ragazzi si accorsero che mancava la loro amica, ma gli fu sufficiente affacciarsi ai bordi della barriera per vederla.

  Nadeshiko era lì fuori, poco distante dalla cupola, ancora addormentata e distesa su di una sorta di altare a cui era incatenata per i polsi e le caviglie da anelli luminosi non dissimili da quelli impiegati da Isis per immobilizzare Selene.

  «Nadeshiko!» gridò Keita battendo il pugno sullo scudo nel vano tentativo di infrangerlo.

  Le sue urla in compenso svegliarono la ragazza, che appena resasi conto della propria situazione tentò per quanto le era possibile di liberarsi, ma o quegli anelli avevano il potere di privarla della sua magia o doveva averli creati qualcuno dotato di abilità superiori anche alle sue.

  Mentre tutti cercavano ancora di capire cosa potesse essere successo alcune correnti violacee giunte da varie parti andarono a formare un piccolo vortice dal quale uscì Hypnos, che camminando lentamente raggiunse l’altare, rimanendo qualche istante ad osservare il volto di Nadeshiko e, forse, rimanendone colpito: malgrado la sua situazione, quella ragazza non sembrava avere paura, al contrario.

  «Chi sei?» domandò apparentemente calma come l’acqua di uno stagno

  «Come essere umano mi chiamo Kaname. Ma il mio vero nome è Hypnos.»

  «Hypnos!?»

  «Nell’antichità mi veneravano come il dio del sonno. Thanatos, che voi avete barbaramente ucciso, era mia sorella minore.»

  «Tua sorella!?»

  «Se fosse dipeso da me vi avrei uccisi tutti con le mie stesse mani per vendicare la sua morte, ma la mia fedeltà al nobile Seth viene prima di ogni altra cosa, anche del mio desiderio di vendetta, e lui, per il momento, coltiva altri progetti.

  Se non altro, quel maledetto spadaccino ha già avuto ciò che si meritava.»

  «Toshio!?» esclamò Nadeshiko perdendo di colpo il suo sangue freddo «Che cosa gli hai fatto!?»

  «L’ho imprigionato. In questo momento è rinchiuso in una delle mie barriere, similmente ai tuoi amici. Sa che sei in pericolo, ma non può fare niente per aiutarti, e questa per lui è una punizione peggiore della morte.»

  «Perché fai tutto questo? Perdere una sorella è un evento terribile. Capisco benissimo il tuo dolore, ma seminare sofferenza in suo nome non servirà a riportarla in vita.»

  «Ti sbagli.» rispose Hypnos, apparentemente calmo come al solito, ma celando a stento la propria rabbia «Tu non puoi capire, e non capirai mai. Ma adesso basta parlare».

  Hypnos alzò la mano destra, sulla quale pese a formarsi una sfera di luce, e più essa aumentava di intensità più Nadeshiko si sentiva risucchiata da una sorta di spirale invisibile che sembrava attirarla verso un punto lontano.

  Avvertiva distintamente l’energia emanata da quella sfera, ma dopo pochi secondi tutto cominciò a diventare intangibile, evanescente; era come l’intorpidimento che si prova appena svegli, quando non si è ancora in grado di distinguere il sogno dalla realtà, e il corpo sembra non rispondere ai nostri richiami.

  La paura cominciò a montare, la paura per qualcosa di incomprensibile, che sfuggiva al suo controllo, e dal quale voleva liberarsi, mentre le palpebre cominciavano inspiegabilmente a diventarle pesanti, la vista si appannava e il corpo si rilassava.

  Terrorizzata, lanciò un grido.

 

Nadeshiko si svegliò urlando di paura, con la fronte sudata e gli occhi di chi si è appena risvegliato da un incubo terribile.

  Le sue mani stringevano forte le coperte, e il respiro affannoso faceva gonfiare e sgonfiare il torace al di sotto del pigiama.

  Si sentiva stanca, stanca come non mai, e a giudicare dai capelli sudati quell’incubo doveva essere stato veramente brutto.

  Resasi conto di dove si trovava, la ragazza rimase comprensibilmente sorpresa, come del resto capita a molte persone nel momento in cui, strappate al mondo dei sogni, vengono rigettate a forza nella realtà.

  Era una bella camera, dove era evidente il tocco femminile: libri e peluche erano ordinatamente riposti sui soprammobili, la scrivania con il computer era tenuta alla perfezione e il tappeto rosa che copriva parte del pavimento ligneo non aveva neanche una grinza fuori posto.

  Dalla finestra, ricavata direttamente su di un tetto obliquo, segno che doveva trovarsi in cima ad una casa di due o tre piani, entravano caldi raggi di sole, e la sveglia a pulcino appoggiata sul ripiano dietro al letto trillava a tutto spiano, segnando le sette in punto; doveva essere stato proprio quel suono martellante e riportarla indietro.

  “Ma questa… è la mia stanza”.

  Resasi conto di essere al sicuro, tirò un sospiro di sollievo: non ricordava con esattezza l’incubo che aveva appena fatto, ma era felicissima di essersi finalmente risvegliata.

  Tutto era finito per il meglio.

  «Nadeshiko!» disse la voce di sua madre dal piano inferiore, richiamandola dai suoi pensieri «Sei sveglia? La colazione è pronta!»

  «Arrivo!» fu la sua pronta risposta.

  Come ogni mattina la ragazza si preparò per affrontare il nuovo giorno, quindi, indossata la divisa scolastica e recuperata la cartella, scese in cucina; sua madre Minako era impegnata ai fornelli, sua sorella Seika invece leggeva il giornale.

  Suo padre non c’era, ma era naturale: ogni mattina si alzava prima degli altri per andare ad aprire il bar, situato a circa mezzo chilometro da casa, in modo da permettere a pendolari ritardatari e studenti diretti a scuola di concedersi un caffè.

  «Buongiorno.»

  «Buongiorno.» le rispose Seyra «Abbiamo fatto un po’ tardi, oggi».

  Come era da tradizione aspettarono di essere tutte sedute a tavola per iniziare a fare colazione, un abbondante pasto inglese in grado di sopperire alle fatiche di una intera giornata e al poco tempo che tanto la madre quanto le due figlie avevano a disposizione per la pausa-pranzo.

  «Mi sembri stranamente allegra stamattina.» disse Minako rivolta a Nadeshiko «Oggi deve forse succedere qualcosa di bello?»

  «No, almeno non credo. È solo che stanotte ho avuto un incubo, quindi sono contenta di essermi svegliata.»

  «Beata te che sei riuscita a dormire.» disse Seika addentando una fetta di pane «Con l’avvicinarsi degli esami io è una fortuna se riesco a distendermi a letto.»

  «Coraggio onee-sama, ormai manca poco all’estate. Dopo potrai concederti tutto il riposo che vorrai.»

  «Hai ragione. Pazientiamo ancora un po’».

  Finita la colazione le due sorelle uscirono quasi insieme, dirette rispettivamente al liceo e all’università.

  Era una splendida giornata di metà maggio, il sole splendeva con tutta la sua forza, soffiava un venticello fresco e non c’era neanche una nuvola, e tutto lasciava intendere che quella sarebbe stata una giornata davvero fantastica.

  Si sentiva così tranquilla e serena da arrivare a scuola con largo anticipo, e già nell’atrio della scuola, mentre era intenta a cambiarsi le scarpe, incontrò Maki e Shiori, due sue grandi amiche anch’esse all’ultimo anno ma assegnate a due classi differenti, rispettivamente alla seconda e alla quarta sezione.

  Maki aveva i capelli biondi tagliati corti e gli occhi azzurri, era iscritta al club di scienze e se la cavava abbastanza bene con l’inglese,  Shiori invece aveva occhi marroni e lunghi capelli castani raccolti in una coda di cavallo ed era quasi una leggenda nel mondo del kendo scolastico, la sola forse in grado di competere con il leggendario Takeru Minamoto, che tra l’altro era suo compagno di classe.

  «Nadeshiko.» disse Shiori «Oggi sei più mattiniera del solito.»

  «Maki-chan, Shi-chan. Buongiorno.»

  «Cos’è tutta questa allegria?» domandò Maki «Sprizzi felicità da tutti i pori.»

  «Niente, sono solo di buonumore. Voi piuttosto cosa ci fare a scuola così presto?»

  «Io ho il turno di pulizia, Shiori invece gli allenamenti mattutini.»

  «Capisco. Beh, allora ci vediamo a ricreazione.»

  «D’accordo, a dopo».

  Sorridente e spensierata come non accadeva da un pezzo Nadeshiko si diresse verso la propria aula, e mentre percorreva il corridoio del secondo piano le capitò casualmente di sentir pronunciare il suo cognome da tre ragazze intente a confabulare fra di loro; le conosceva di vista, ma non le aveva mai frequentate, quindi era strano che parlassero proprio di lei.

  «Avete sentito?» disse una «Pare che Johan sia innamorato di Amamiya»

  «Che cosa!? Intendi Amamiya Nadeshiko della sesta sezione? La sua compagna di classe?»

  «Esatto. Dicono che da tempo stia cercando di dichiararsi, ma che non ci riesca per via della tua timidezza.»

  «Questa sì che è una notizia. Tutti e due hanno un grande seguito di ammiratori e ammiratrici.»

  «Non posso dire di essere contenta. Johan-sempai era il mio idolo, ma se la cosa dovesse funzionare sarei contenta per loro.»

  «Hai ragione. Formerebbero davvero una bella coppia».

  Quel discorso, inutile dirlo, portò un certo scompiglio nella mente dell’interessata.

  In effetti anche lei aveva trovato Johan Von Karma piuttosto attraente, pur ricordando a sé stessa che le attenzioni maschili non l’avevano mai veramente interessata, impegnata com’era a superare la scuola a pieni voti per poter entrare successivamente al conservatorio di Parigi, ma proprio a causa di quell’aria misteriosa e quel suo atteggiamento così distaccato non era mai riuscita neppure ad iniziare una conversazione con lui.

  Però, se questa notizia, che al momento poteva benissimo essere etichettata come una voce da corridoio, come se ne sentivano tante fra studenti e studentesse di tutto il mondo, si fosse rivelata vera, allora forse c’era qualche possibilità se non altro di poter conoscere un po’ di più quello studente straniero che sembrava non vedere nulla del mondo che lo circondava, tanto appariva chiuso e raggomitolato nel suo piccolo universo.

  Non senza qualche perplessità e qualche interrogativo a vagare nei suoi pensieri la ragazza raggiunse infine la sua classe, e forse a causa del tempo trascorso a rimuginare su quanto aveva sentito camminando senza meta per i corridoi della scuola la trovò già piena di studenti.

  C’erano anche Shinji e Keita, intenti a conversare fra di loro, e subito gli si avvicinò.

  «Buongiorno.»

  «Buongiorno Nadeshiko.» disse Shinji «Bene arrivata.»

  «Grazie».

  Proprio nel momento in cui Nadeshiko stava appoggiando la sua cartella sul proprio banco nell’aula entro Johan, accolto come sempre dai sospiri e dagli sguardi sognanti di tutte le ragazze, e quando, vincendo la sua proverbiale introversione, lui le rivolse un sorriso ed un cenno della mano subito prima di sedersi, anche lei sentì uno strano batticuore.

  Non le era mai capitato di provare una simile sensazione, e si domandava cosa volesse dire, ma forse dentro di sé la risposta a questa domanda già la conosceva.

  «Prima che mi dimentichi.» disse Keita riscotendola «Sei libera oggi pomeriggio?»

  «Cosa!? Beh, sì. Come mai?»

  «Fra sei giorni è il compleanno di Sayuri. Ho pensato di regalarle un DVD, ma ce ne sono così tanti tra cui scegliere che quando sono andato al negozio l’altro giorno non sono riuscito a decidermi. Magari tu e Shinji potreste darmi qualche consiglio.»

  «Ma che bravo fratello maggiore.» disse Shinji «Tieni davvero molto alla tua sorellina.»

  «Già. Allora?»

  «Beh, perché no? Se posso essere d’aiuto, verrò con piacere.»

  «Perfetto. Allora dopo la scuola andremo di nuovo, e chissà che questa volta non riesca a concludere qualcosa».

  Il suono della campanella fece correre tutti al proprio posto, e come entrò la professoressa Tanaka, insegnante di Letteratura nonché responsabile di classe, spettò a Nadeshiko, in quanto rappresentante, richiamare gli studenti.

  «In piedi! Inchino!»

  «Comodi.

  Ragazzi.» esordì la professoressa, che aveva fama di usare un atteggiamento molto formale e amichevole nei confronti degli alunni, per farli sentire a loro agio «Prima di iniziare, ho una notizia per voi. Da oggi, avete una nuova compagna.»

  «Una nuova compagna!?» dissero un po’ tutti, e come spesso accade in questi casi un coro di commenti più o meno sommessi prese a serpeggiare tra i ragazzi

  «Entra pure!» disse l’insegnante volgendo lo sguardo verso la porta d’ingresso.

  L’uscio si aprì, e nell’aula entrò una giovane ragazza dai tratti somatici chiaramente occidentali che subito si guadagnò le attenzioni degli studenti maschi, alcuni dei quali a stento trattenevano le esclamazioni.

  Era davvero molto carina; longilinea e piuttosto prosperosa, alta approssimativamente un metro e sessanta, aveva i capelli biondi lunghi raccolti in parte da una spilla a forma di fiore di ciliegio e gli occhi rossi. Aveva il portamento e il contegno di una dama d’alta classe, ma il suo sguardo era piuttosto freddo, o per lo meno indifferente.

  Messasi al centro del palchetto si girò verso la classe e fece un leggero inchino mentre la professoressa trascriveva il suo nome sulla lavagna usando caratteri occidentali.

  «Prego, presentati.»

  «Buongiorno.» disse lei con tono pacato e privo di emozioni «Mi chiamo Lainay Brennon.»

  «La signorina Brennon fa parte di un programma di scambio culturale iniziato dalla nostra scuola. Anche se rimarrà con noi solo per poche settimane, vi prego di fare il possibile per farla sentire a suo agio. Siamo d’accordo?»

  «Sì, sensei.» risposero quasi tutti.

  Nadeshiko era molto colpita da quella ragazza, soprattutto per quella sua aria di austerità mista ad un grande carisma, entrambi testimoni di una personalità forte e decisa, ma, non sapeva perché, aveva come la sensazione che vi fosse in lei qualcosa di famigliare.

  Era difficile da spiegare a parole o da descrivere, ma una parte di lei era sicura di averla già incontrata, benché questo fosse naturalmente impossibile.

  «Bene, Lainay. Vai pure a sederti accanto a Johan».

  Lei fece come le era stato detto, e nel dirigersi al proprio posto passò proprio accanto a quello di Nadeshiko, e nel momento in cui furono fianco a fianco quella sensazione divenne prorompente, tanto da risultare quasi capace di fermare il tempo per un istante.

 

Durante la prima ricreazione del mattino Lainay divenne oggetto della curiosità e delle domande dei suoi nuovi compagni di classe, un evento naturale per tutti gli studenti appena trasferitisi e ancor più naturale per chi proveniva dall’estero; per fortuna gli alunni, a differenza di alcuni professori, non dimostravano la mentalità retrograda e xenofobica di alcuni insegnanti, il che aiutava e incentivava notevolmente i rapporti tra di loro.

  Lei rispondeva alle domande con indifferenza e disinteresse, e per chi, come Keita e gli altri, non prendeva parte alla conversazione, era ovvio che tutte quelle attenzioni al massimo le risultavano noiose, o, nella peggiore delle ipotesi, irritanti.

  «Non mi pare il genere di persona a cui piace fare amicizia.» sottolineò Keita

  «Beh, a ciascuno il suo carattere.» disse Shinji col suo solito, discutibile spirito.

  Ad un certo punto Lainay notò Seth appoggiato alle finestre del corridoio di fronte alla porta aperta dell’aula che le faceva dei cenni con lo sguardo, e liberatasi senza tante parole della piccola folla di curiosi che si era radunata attorno al suo banco lo raggiunse, allontanandosi con lui di alcuni passi.

  «Allora?» esordì Johan «Per quale motivo sei qui? Ti avevo detto di restare al castello.»

  «Ho pensato che avrebbe potuto servirti un aiuto.»

  «Non credo ce ne sarà bisogno. Anche se questo è il suo sogno, controllarlo non è in suo potere. Inoltre, Hypnos ha riscritto buona parte dei suoi ricordi, in modo da evitare che possa prendere coscienza della realtà.»

  «E se invece dovesse riuscirci?»

  «Tu non preoccuparti. Lei sarà mia, e prima di quanto immagini. E allora, non dovremmo più preoccuparcene».

  Lainay girò la testa di lato, mordendosi leggermente le labbra; Seth se ne accorse, e guardò un attimo Nadeshiko che conversava con le sue amiche pochi metri più in là.

  «Nel frattempo però, cerca di non fare nulla di avventato.»

  «Che significa?!» domandò la ragazza col tono di chi si sente offeso «Pensi forse che potrei mai tradirti, o fare qualcosa che vada contro il tuo interesse?!»

  «No, certo che no.

  Ti chiedo scusa, forse mi sono espresso male.

  Il fatto è che ultimamente le donne del mio esercito mi hanno dato tante di quelle delusioni, che dubitare di loro mi viene quasi naturale.»

  «Sei crudele a dire queste cose. Lo sai, il mio cuore e la mia mente ti appartengono. Puoi fare di loro quello che vuoi».

  Johan fece una nuova pausa, poi, preso delicatamente il mento di Lainay, ne sollevò lo sguardo; gli occhi azzurri del ragazzo erano qualcosa al quale nessuna donna avrebbe potuto resistere, e lo stesso valeva per lei.

  «Era da molto tempo che non ti vedevo nel tuo aspetto originario, e avevo dimenticato quanto tu fossi graziosa. Hai scelto queste sembianze per farmi palpitare?»

  «Io… io…» balbettò lei non riuscendo a trovare le parole, tanto quegli occhi la stregavano

  «Devo ammetterlo, vederti così mi riporta alla mente un sacco di ricordi.» disse Johan donandole un bacio «Non preoccuparti, non ho alcun pensiero per quella ragazza. Lei è solo uno strumento. Il mio amore è solo tuo.»

  «Seth… sama…»

  «Non temere. Presto tutto sarà finito, e allora noi due avremo a disposizione tutta l’eternità per stare insieme. Pensaci. Per sempre uniti, fino alla fine dei tempi. Lo vuoi, giusto?»

  «Io… lo voglio…»

  «Ora preoccupiamoci del nostro compito. Il tempo qui dentro scorre più velocemente che nella realtà, ma se conosco bene quello spadaccino credo che presto dovremo cominciare a preoccuparci anche di lui.»

  «Com’è possibile!? È impossibile sfuggire alle barriere di Hypnos.»

  «Amica mia. Per un cuore che brucia di amore non esiste niente di impossibile».

 

A forza di tirare pugni contro quella barriera indistruttibile Toshio si era procurato tante di quelle ferite alle mani che le sue mani erano ormai completamente imbrattate di sangue, e poiché ad ogni colpo violento la potenza dell’urto si ripercuoteva su di lui aveva diversi tagli e contusioni anche in altre parti del corpo, provocati dall’urto violento contro il mobilio della stanza.

  Mai, mai prima di quel momento si era sentito tanto stupido.

  Come, come aveva fatto a non accorgersi di nulla?

  Aveva lasciato soli i suoi amici, aveva permesso al nemico di portarli via sotto il suo naso, ma, soprattutto, aveva tradito Nadeshiko, e la fiducia che aveva riposto in lui, e ora non c’era assolutamente nulla che potesse fare.

  Con il cuore e l’animo invasi dalla rabbia e dalla frustrazione il ragazzo, dopo una serie di pugni di scarso potenziale, sferrò un nuovo colpo ad una delle finestre della stanza infondendovi tutta la forza che aveva e urlando con tutta la sua voce.

  L’urto fu violentissimo, tanto che nella zona del contatto si produsse una luce fortissima e i geroglifici ricomparvero su muri, pavimento e soffitto, segno che la barriera stava impiegando tutto il suo potenziale per poter resistere a quell’ennesimo, furioso assalto.

  Il dolore che Toshio provava era a dir poco inumano, come se la sua mano e tutto il braccio fossero sul punto di esplodere dall’interno, ma nonostante tutto continuò ad metterci energia, serrando i denti allo spasimo per riuscire a resistere.

  Vi fu un sussulto, come se qualcosa stesse effettivamente cominciando a muoversi, ma poi il risultato fu lo stesso di tutte le altre volte, e stavolta il contraccolpo su così violento che Toshio venne scaraventato quasi sul lato opposto della stanza.

  A quel punto, la comprensione di essere del tutto impotente prese il sopravvento, lasciandolo in preda ad una disperazione che, per la prima volta, sconfinò in un pianto di rabbia.

  Malediceva sé stesso, malediceva la propria debolezza e la propria ingenuità, e malediceva Seth.

  Semmai un giorno fosse riuscito a mettergli le mani addosso gli avrebbe fatto pagare quello che avrebbe fatto ai suoi amici, gliel’avrebbe fatto pagare un pezzetto alla volta, assaporando con piacere ogni suo rantolo di agonia.

  Il pensiero di sapere Nadeshiko lontana, nelle mani di quel pazzo furioso e vittima del suo insano delirio lo faceva stare male, gli rodeva lo spirito come un cancro incurabile.

  Poi, d’un tratto, una luce giunse a rischiarare le tenebre che lo stavano pian piano avvolgendo, brillando timidamente al di sotto di una tovaglia gettata malamente a terra, e gettato via il tessuto ne scoprì, incredulo, la fonte.

  «Il ciondolo di Nadeshiko.» disse prendendolo in mano.

  Emanava calore, e brillava del suo solito colore rosato, come se fosse alla ricerca della sua padrona, o ne avvertisse la vicinanza.

  Vederlo splendere e percependo attraverso di esso la presenza di Nadeshiko, debole ma persistente, rinfrancò un parte l’animo turbato di Toshio, perché se non altro gli dava la conferma che lei era viva, ma d’altra parte aumentava anche la sua frustrazione rammentandogli una volta di più di non poter fare assolutamente nulla per intervenire.

  «Nadeshiko… perdonami. Sono un fallito».

  Improvvisamente il ciondolo prese a brillare più forte di prima, e il suo bagliore, da intermittente, si fece continuo.

  «Ma cosa…» balbettò Toshio sconcertato.

  La luce si modellò fino a formare una sorta di specchio ovale alto poco più di un metro e largo approssimativamente una cinquantina di centimetri, e dopo poco al suo interno comparve un volto famigliare che fece sussultare il guerriero, lasciandolo inizialmente interdetto per lo stupore.

  «Yuko!?»

  «Per fortuna sono riuscita a mettermi in contatto con te.» disse la strega delle dimensioni col suo tono all’apparenza freddo e distaccato

  «Come ci sei riuscita?»

  «Grazie al pendente di Izumi. Il suo e quello di Nadeshiko sono molto simili, e possono essere usati dai loro custodi per comunicare tra di loro.»

  «Per quale motivo sei venuta qui?»

  «Per aiutarti.»

  «Aiutarmi!?»

  «Sì. La situazione al momento è molto più grave di quanto potresti immaginare, e mai come in questa occasione dovrai dare prova dei sentimenti che ti legano a quella ragazza.»

  «I sentimenti… che mi legano a lei!?».

 

La pratica regalo venne sbrigata in brevissimo tempo, e vista la sovrabbondanza di tempo Nadeshiko propose di concedersi una bibita fredda al bar dei suoi genitori prima che ognuno prendesse la via di casa.

  «Non so davvero come ringraziarvi.» disse Keita mentre si dirigevano verso il centro cittadino «Se non era per voi non so come avrei fatto.»

  «Figurati, per così poco.» rispose Nadeshiko

  «Però.» disse Shinji «In cambio ci devi invitare alla festa.»

  «Ma certo, è naturale. Sayuri sarà felicissima di vedervi. Dice che siete due ragazzi speciali.»

  «Chissà, forse ha proprio ragione».

  Mentre stavano per entrare nella zona pedonale dove si trovava il Petit Jardin, subito dopo aver attraversato la strada, i tre ragazzi passarono accanto alla piazzetta antistante l’ingresso meridionale, e benché non vi fosse assolutamente nulla di anormale Nadeshiko ebbe una strana sensazione, come un dejà vu; per un attimo le parve quasi di vedere una bancarella, uno di quei banchetti dove vengono allestite piccole o grandi lotterie di quartiere, attorniata di persone, con un cartello lì accanto con una scritta difficilmente distinguibile.

  «Nadeshiko?» disse Keita vedendo l’espressione stralunata della sua amica, fermatasi tutto d’un colpo «Qualcosa non va’?»

  «Cosa!?» rispose lei riavendosi

  «Che ti è successo? Sembri soprapensiero».

  Lei, tornata in sé, si avvide che in realtà la piazza era completamente vuota, fatta eccezione per le persone che andavano e venivano, e che della fantomatica bancarella non vi era neppure l’ombra.

  «No, niente. Mi sono solo distratta un attimo.»

  «Ah, d’accordo. È che ti sei fermata all’improvviso.»

  «È che ho avuto l’impressione di vedere una mia amica.» mentì la ragazza per non suscitare sguardi eccessivamente perplessi o domande a cui sarebbe stato difficile rispondere «Ma mi sono sbagliata».

  Seppur comprensibilmente perplessi, visto e considerato che Nadeshiko non era il tipo da farsi cogliere con la testa fra le nuvole, Shinji e Keita decisero di non indagare oltre, e dieci minuti dopo i tre amici erano seduti ad uno dei tavoli all’aperto sorseggiando un tè freddo ciascuno.

  Come si poteva intendere dal nome, il bar gestito dai genitori di Nadeshiko si richiamava sia nell’estetica che nel menù ai classici caffè parigini di fine ‘800, con tavolini metallici bianchi in stile art nuveau, pregiati oggetti di ceramica e personale in abiti occidentali, con camicia bianca, cravattino e grembiule nero.

  Vi lavoravano quasi esclusivamente i genitori della ragazza, ma quando si rendeva necessario anche Nadeshiko e sua sorella contribuivano personalmente a mantenerne inalterata l’operatività, anche perché vista la fama di cui godeva sia in città sia nei centri vicini capitava spesso che facesse il tutto esaurito.

  «Anche oggi c’è un sacco di gente.» disse Shinji sorseggiando la sua bibita

  «Il nostro bar è molto apprezzato, soprattutto per il caffè. Mamma e papà se lo fanno spedire da un loro amico direttamente da Napoli.»

  «Vero caffè napoletano. Meglio di così.»

  «Prego, questi li offre la casa.» disse il padre di Nadeshiko portando loro dei semifreddi dall’aria estremamente appetitosa

  «Signor Amamiya, lei è troppo gentile.» disse Keita

  «Ma dai, non fate complimenti. Lo sapete che qui siete sempre i benvenuti».

  Mentre lui e gli altri stavano mangiando il dolce Shinji notò, qualche tavolo più in là, vicino al grande ingresso a vetri, la nuova studentessa; stava seduta a gambe accavallate con la sua aria distante e seria e leggeva un libro, probabilmente di scuola, sorseggiando di tanto in tanto una tazza di tè.

  «Ehi, guardate un po’ chi c’è.» disse facendo un cenno ai suoi amici

  «È Lainay.» disse Keita «La ragazza che si è trasferita stamattina in classe nostra».

  Forse notando su di sé gli sguardi dei tre ragazzi Lainay sollevò in proprio, ricevendo un saluto amichevole da Nadeshiko al quale però non rispose che con un impercettibile movimento delle palpebre; dopo poco, recuperata la cartella, si alzò, ma nell’istante in cui passò accanto a Nadeshiko quest’ultima avvertì la stessa sensazione di quella mattina, ulteriormente accentuata dalle parole che la misteriosa ragazza pronunciò prima di andarsene.

  «Hai mai fatto un sogno tanto realistico da sembrarti vero?».

  Quelle poche parole scatenarono un potenziale uragano nella mente di Nadeshiko, che prima ancora di poter tornare in sé percepì nuovamente anche la sensazione di dejà vu avuta solo pochi minuti prima, e senza sapere perché si girò fulminea verso la sedia subito alle sue spalle, sulla quale era appoggiata la sua cartella, come se avesse avuto l’impressione che qualcuno volesse rubargliela.

  «Nadeshiko?» disse Keita «Tutto a posto?».

  Stavolta non fu in grado di mentire: il suo sguardo parlava per lei, trasmettendo in modo fin troppo chiaro la tempesta che si agitava dentro di lei.

  Aveva paura di stare impazzendo, e la prima cosa che pensò di fare fu di confidarsi; dopotutto Keita e Shinji erano i suoi migliori amici, e forse avrebbero potuto aiutarla in quella situazione tanto complicata.

  «Ragazzi.» disse, e colpendoli subito con la sua espressione seria, che non lasciava spazio neppure alla comicità spesso fuori luogo di Shinji «Non avete come l’impressione di aver già vissuto questo momento?»

  «Beh.» rispose Shinji, forse nel tentativo di sdrammatizzare «Veniamo a fare merenda qui quasi ogni giorno. Ripetendo una cosa senza sosta, alla fine ti sembra quasi che il tempo si fermi.»

  «No, io non parlo di questo.»

  «E allora cosa intendi?»

  «Prima, nella piazzetta, non mi ero fermata perché credevo di aver visto un’amica. In verità in quel momento ho avuto come l’impressione che qualcosa non fosse al posto giusto, che ci fosse un qualcosa di storto in ciò che stava accadendo.»

  «Qualcosa di storto?» ripeté Keita

  «La stessa sensazione l’ho avuta anche un attimo fa. Non so perché, ma ero sicura che qualcuno fosse sul punto di rubarmi la cartella, anzi, che me l’avesse già rubata.»

  «Perché qualcuno dovrebbe rubartela? Lo sanno tutti che nessuno lascia nella cartella soldi o altre cose di valore.»

  «Shinji ha ragione. Capita a tutti di avere un dejà vu.»

  «Un… dejà vu?».

  In fondo Keita aveva ragione: già altre volte Nadeshiko aveva avuto dei dejà vu, e già in passato era venuta alla luce questa sua sensibilità tutta particolare nel percepire avvenimenti che poi si sarebbero effettivamente verificati, tanto da venire soprannominata da alcuni Dea del Futuro.

  Ma se era così, perché qualcosa sembrava continuare a sfuggirle?

  «Forse sei semplicemente stanca. Oggi è stata una giornata faticosa.»

  «Puoi ben dirlo.» disse Shinji tornando a scherzare «E temo mi ci vorrà ben più di una meringa per togliermi l’amaro che il compito di matematica mi ha lasciato in bocca.»

  «A chi lo dici.»

  «Forse… forse avete ragione voi. Mi sto preoccupando troppo».

  In quella qualcuno, forse inavvertitamente, la urtò, e fu come se una mano invisibile l’avesse afferrata, allontanandola dai suoi pensieri per riportarla alla realtà.

  «Oh, domando scusa.» disse una voce famigliare

  «Johan!» rispose Nadeshiko alzando perplessa lo sguardo.

  Vedere l’espressione gentile e il sorriso rassicurante del giovane Von Karma le fece andare il cuore a mille, una cosa mai successa prima con nessun altro ragazzo.

  «Mi dispiace, ero soprapensiero e non mi sono accorto di esserti passato così vicino.»

  «No… non c’è problema…» disse lei con evidente nervosismo

  «Johan.» disse Keita, che come Shinji lo conosceva abbastanza da poterlo chiamare per nome, e senza alcun suffisso di cortesia «È raro vederti in giro dopo la scuola. Non avevi i corsi serali?»

  «Non stasera; il professore aveva un impegno inderogabile. Così, visto che non avevo niente da fare, ho pensato di venire da queste parti a fare una passeggiata.»

  «Quand’è così, perché non ti siedi?» domandò Shinji

  «Lo farei volentieri, ma stavo proprio per dirigermi verso casa. Karen e Theodor me le canteranno di santa ragione se farò tardi anche stasera.»

  «Chi sono Karen e Theodor?» chiese Keita

  «I miei domestici. Sono venuti con me dalla Germania. Tengono in ordine la casa e provvedono ad ogni altra mansione.

  Beh.» disse guardando il suo orologio da polso «Si è davvero fatto tardi. Ci vediamo domani a scuola, e scusa ancora».

  Nadeshiko, completamente rapita, continuò ad osservarlo mentre si allontanava tra la folla, senza sapere però di essere a sua volta guardata con un misto di divertimento e ammirazione dai suoi due amici, per i quali i sentimenti e le emozioni della loro grande amica non avevano segreti.

  «Che… che cosa c’è?» domandò lei quando, giratasi, si accorse dei loro sguardi

  «Avanti, sbrigati.» le disse Shinji, una frase che la fece arrossire terribilmente.

  Avrebbe voluto obiettare, dire che non era il caso, ma un ulteriore incentivo da parte di Keita le fece prendere l’iniziativa, e alzatasi dalla sedia recuperando la cartella corse incontro a Johan subito prima che uscisse definitivamente dal suo campo visivo.

  «Johan, aspetta».

  Lui si fermò e si girò a guardarla appena le fu vicino, e i suoi occhi ebbero come primo effetto quello di farla arrossire ancor di più.

  «Qualcosa non va’?»

  «Ecco… potrei… se non è troppo disturbo… potrei, ecco… fare la strada con te?».

  Johan parve sorpreso e perplesso dalla domanda, che tra l’altro Nadeshiko cominciò a pentirsi di aver fatto subito dopo che l’ultima parola le fu uscita di bocca, ma poi il giovane Von Karma le rivolse uno dei suoi sorrisi gentili.

  «Se ti fa piacere. Ma guarda che è dall’altra parte della città. Dopo ci metterai una vita a ritornare.»

  «No… non importa. Se non ti disturba, ne sarò felice».

  Timidamente, rossissima in viso, Nadeshiko gli si accostò, e insieme cominciarono a camminare in direzione della periferia sud di Uminari, una zona residenziale notoriamente occupata da gente facoltosa in cui Johan aveva la propria abitazione.

  Nadeshiko era tesa e imbarazzata come mai nella sua vita, e per i primi dieci minuti non fu neppure capace di sollevare lo sguardo dal selciato, tanto che in più di un’occasione rischiò di andare a sbattere contro vari ostacoli o passanti che venivano dalla direzione opposta, suscitando in questo modo dei sorrisi divertiti da parte di Johan, che trovava divertente e incredibilmente dolce la sua goffaggine.

  Servirono venticinque lunghi minuti perché la ragazza riuscisse a trovare la forza di aprire bocca, e incredibilmente, da quel momento in avanti, la sia parlantina si fece rapidamente più sciolta e sicura di sé.

  In poco tempo le sembrò di avere una certa familiarità con il giovane Von Karma, di conoscerlo da un sacco di tempo; effettivamente Johan era in classe con lei dal primo anno di liceo, ma non si erano mai realmente frequentati, e lei sapeva ben poco sul suo conto ad eccezione delle tante chiacchiere che giravano tra le studentesse.

  Ben presto i propositi di Johan di arrivare a casa in anticipo andarono a ingrassare i pesci, e i due ragazzi si ritrovarono a passeggiare senza meta fra le stradine calme e quasi deserte della zona residenziale fino a sera; entrambi ad un certo punto sentirono i rintocchi di una campana che annunciava l’avvento delle otto, ma nessuno dei due ci fece caso, assorti com’erano dalle loro conversazioni.

  «Allora è vero quello che ho sentito dire.» disse ad un certo punto Nadeshiko «Hai una sorella maggiore.»

  «Sì. Si chiama Franziska. È un po’ ingenua, ma di buon cuore.»

  «Gli vuoi bene, vero?»

  «Per quanto si possa voler bene a qualcuno che si vede una volta ogni sei mesi o tramite webcam.»

  «Ti capisco. Quando avevo sei anni mio padre è andato a fare un corso per pasticcieri in Francia ed è stato lontano per due anni. Mi è mancato molto.

  Lo sai, infondo l’ho sempre saputo che eri una persona sentimentale.»

  «Sentimentale?»

  «Eri sempre chino sui libri, e quel tuo sguardo così freddo sembrava quasi un monito a rimanerti lontano. Eppure sentivo che infondo al cuore eri completamente diverso da come volevi apparire. A lungo mi sono chiesta quale fosse il tuo vero io, e ora che lo vedo mi rendo conto di quanto tu sia speciale.»

  «In fin dei conti» replicò Johan sorridendo «Anche tu ti sei rivelata diversa da come ti avevo inizialmente immaginata. Credevo fossi una persona ingenua e facilmente persuadibile. Invece hai carisma, e sotto la tua maturità nascondi una grande dolcezza.»

  «Sei… sei gentile a dirmi questo…» disse Nadeshiko arrossendo nuovamente e sfregandosi le mani.

  Pochi secondi dopo, mentre stavano transitando sotto un lampione, Johan afferrò Nadeshiko, dolcemente ma con decisione, per le spalle, mettendola con la schiena contro il palo.

  Lei, attonita, sollevò lo sguardo: gli occhi del giovane Von Karma erano di un azzurro che lasciava abbagliati, e vi risplendeva dentro un luccichio dallo straordinario potere di attrazione che la lasciò senza fiato, incapace di reagire.

  «Jo… Johan…»

  «Sei bellissima Nadeshiko.» le disse con voce suadente, non molto diversa da quella di un grande attore «Non posso restare senza di te.»

  «Johan… che cosa dici…»

  «I tuo animo è una gemma preziosa che risplende di viva luce. Quella luce… la voglio solo per me».

  Seguirono lunghi istanti di silenzio, durante i quali Nadeshiko si sentì sempre più attratta inesorabilmente dal blu cobalto di quegli occhi, al punto da sentirsene ipnotizzata: era impossibile ribellarsi a loro, assolutamente impossibile.

  «Johan-sempai…»

  «Nadeshiko. Io ti amo. Ti amo con tutto me stesso.

  Vuoi amarmi anche tu? Vuoi concedermi lo splendore della gemma che brilla dentro di te?».

  A quel punto, la ragazza decise di lasciarsi sopraffare, e di soccombere definitivamente.

  Chiusi gli occhi, si appoggiò a Johan, contraccambiandone l’abbraccio e abbandonandosi con la testa sul suo torace possente ma gentile, del quale poteva avvertire il respiro; tutto era effimero attorno a lei, tutto era privo di senso. C’era solo Johan, e l’amore senza fine che sentiva di provare per lui.

  Era un amore grandissimo, che presto l’avrebbe resa schiava: lo sapeva, ma sentiva di non potersi ribellare, e anzi, ne era felice, perché le dava un senso di calore.

  Il torpore del sentimento si era a tal punto impossessato di lei da non accorgersi che Johan, lo Johan che stava abbracciando e dal quale non voleva staccarsi, al di sotto di quel volto di giovane innamorato e integerrimo che stringeva sé l’oggetto del suo amore sembrava ostentare un’espressione oscura, che ghignando di malevola soddisfazione assaporava con gioia il proprio trionfo serrando il pugno attorno alla sua nuova, preziosissima bambola.

  “Brava, Nadeshiko. Abbandona le tue memorie. Dimentica ogni cosa. Dimentica il tuo grande amore, i sentimenti che provi per lui, e donati a me. Cedimi il tuo cuore, la tua anima, e con essi il cuore di Isis”.

 

CONTINUA

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!

Con grande anticipo sui tempi previsti mi faccio di nuovo risentire.

Il 27 di oggi in Storia del Libro mi ha dato gli stimoli, e come già detto precedentemente questo capitolo aspettavo di scriverlo da diverso tempo, quindi le idee erano già molte e bastava concretizzarle.

Qualcuno mi dirà che ho interrotto sul più bello, ma prometto di fare il possibile per inserire al più presto il prossimo capitolo, e già vi preannuncio un finale col botto.

Ringrazio per le recensioni Selly, Akita e Cleo.

A presto!^_^
Carlos Olivera

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Capitolo 25
*** Un'Anima Perduta ***


24

24

 

 

«Che succede?» disse Toshio tenendo ancora il pendente nel palmo della mano «Sento che il potere di Nadeshiko si sta affievolendo. Che cosa le stanno facendo?» domandò poi rivolto a Yuko

  «Stanno riscrivendo i suoi ricordi.»

  «Che cosa!?» esclamò il ragazzo con il cuore in gola «Riscrivendo i suoi ricordi?»

  «Hypnos l’ha imprigionata in un sogno assieme a Seth, e ora sta cercando di modificare le sue memorie per spingerla verso di sé.»

  «No, non ci credo! Nadeshiko non si lascerebbe mai incantare così facilmente!»

  «I poteri di Hypnos sono molto grandi. Chi viene imprigionato in una delle sue illusioni accetta ciò che gli viene messo davanti agli occhi come se fosse la realtà, tanto appare reale.»

  «Quel bastardo di Seth. Ma perché Isis non interviene?»

  «Quando Isis non prende direttamente possesso del corpo di Nadeshiko rimane assopita all’interno del suo animo, e in queste condizioni non c’è niente che lei possa fare.

  Al contrario, tutto ciò che accade a Nadeshiko ha effetti anche a lei, ed è proprio questo ciò a cui ambisce Seth. Quando Nadeshiko si arrenderà del tutto anche Isis sarà asservita al suo volere, e lui avrà portato dalla sua parte la sola persona in grado di minacciarlo sul serio.»

  «E io sono chiuso qui!» tuonò Toshio colpendo furente la barriera per l’ennesima volta, senza alcun risultato «Tu sei la strega delle dimensioni! Tu puoi fare qualsiasi cosa! Fammi uscire di qui!»

  «E poi cosa faresti, se posso chiedere?»

  «Troverei Hypnos e lo ucciderei con le mie stesse mani, in modo da riportare indietro Nadeshiko e sottrarla alle brame di quell’essere schifoso.»

  «Solo Hypnos è in grado di annullare l’incantesimo che tiene Nadeshiko prigioniera dei suoi sogni. Se lo uccidessi, lei sarebbe condannata.»

  «In tal caso lo costringerei a lasciarla libera. Credimi, so essere molto persuasivo.»

  «Hypnos mette la fedeltà a Seth prima di ogni altra cosa, anche della sua stessa vita. Puoi essere malvagio e sadico quanto vuoi, non riuscirai mai a convincerlo ad agire contro il volere de suo signore.»

  «E allora cosa dovrei fare? Starmene qui con le mani in mano ad aspettare che tutto vada come vuole lui? Mi dispiace, ma non intendo farlo! Finché avrò forza sufficiente per rimanere in piedi cercherò un modo per uscire di qui e andare ad aiutarla!»

  «Non ho mai detto che non fosse possibile aiutarla.» replicò Yuko con tono leggermente più severo, forse dovuto alla palese mancanza di rispetto nei suoi confronti da parte del ragazzo.

  Toshio sentì rinascere un filo di speranza: forse non era tutto perduto.

  «Che cosa devo fare?»

  «Il ciondolo non è stato lasciato qui per puro caso. Nadeshiko sapeva che esso ti sarebbe potuto servire per arrivare fino a lei, e con il suo aiuto sarai in grado di salvarla.»

  «Grazie a… questo?» ripeté il guerriero guardando il monile un po’ perplesso

  «C’è un solo modo in cui puoi aiutarla. L’illusione generata da Hypnos è generata dalla mente di Nadeshiko, da frammenti dei suoi ricordi usati per creare un micro-mondo del tutto simile al nostro, per quanto fatto unicamente di pensieri. All’interno di questo mondo chiunque, fuorché chi lo ha creato, in questo caso Nadeshiko, che vi è solo con la mente, può accedervi anche con il corpo, come ha fatto Seth.

  La stessa cosa puoi farla anche tu.»

  «Posso entrare… nel suo sogno!?»

  «Per un essere umano sarebbe un’impresa praticamente impossibile, ma quel ciondolo e i suoi poteri potrebbero aiutarti a realizzare tale scopo.»

  «Ma… c’è sempre il problema di questa barriera. Non c’è il rischio che mi respinga nuovamente?»

  «Le barriere di questo tipo respingono unicamente gli elementi fisici. Nel passare da questa realtà al micro-mondo generato dai pensieri di Nadeshiko verresti smaterializzato per un istante, il che ti permetterebbe di oltrepassarla».

  Toshio era chiaramente dubbioso che una cosa simile potesse essere effettivamente possibile, ma poi, considerando anche il fatto che non vi era nessuna alternativa, decise di avere fiducia, e strinse forse il pendente nel suo pugno.

  L’immagine di Yuko scomparve, ma la sua voce continuò a riecheggiare nella stanza.

  «Concentrati. Lascia che l’energia del pendente scorra dentro di te. Sabatiel concede i suoi poteri a pochissime persone, ma se avvertirà in te i sentimenti nobili che ti legano alla sua padrona allora ti aiuterà».

 

Dal giorno in cui Johan si era dichiarato tutto era andato a meraviglia, e sembrava quasi che la vita di Nadeshiko avesse cambiato percorso in ogni suo aspetto: a scuola era migliorata, non era accaduto niente di spiacevole e i rapporti coi suoi amici non avrebbero potuto essere più rosei.

  Infine, appena si era sparsa la voce che era diventata a tutti gli effetti la fidanzata del ragazzo più popolare della scuola, fiumi di persone si erano avvicinati a lei per congratularsi e conoscere a tu per tu colei che era riuscita a sciogliere il cuore glaciale del giovane Von Karma, mettendo fine ai lunghi anni che aveva trascorso quasi in solitudine.

  Tutto era veramente perfetto: neanche quelle sensazioni di dejà vu, altamente fastidiose, si erano più ripresentate, un sollievo in più per Nadeshiko, che sentiva di avere ottenuto tutto ciò che la vita avesse da offrirle.

  Erano passati alcuni giorni da quella fatidica sera, e una mattina, come ogni giorno, la ragazza arrivò nell’atrio della scuola frizzante e serena come non accadeva da tempo, attirandosi subito gli sguardi di Maki e Shiori; Johan non era ancora arrivato, ma che lui si facesse vedere solo all’ultimo momento, subito prima del suono della campanella, era la regola.

  «Buongiorno!»

  «Buongiorno, Nadeshiko.» rispose Shiori «Oggi sei al settimo cielo.»

  «Infatti. Ho il sentore che sarà una giornata fantastica.»

  «Ho sentito che fra te e Johan le cose vanno bene.» disse Maki mentre Nadeshiko si cambiava le scarpe «A scuola non si fa che parlare di voi due.

  Allora dicci, com’è?»

  «È davvero un ragazzo straordinario. Quello che mostra normalmente di sé non rispecchia minimamente la persona che è in realtà.

  È dolce, affettuoso e incredibilmente romantico.»

  «Tu sei pazza di lui, ammettilo.» disse Shiori.

  Il rossore di Nadeshiko rispose per lei, rossore che divenne ancor più vivido quando Johan, con insolito anticipo, si presentò dinnanzi a lei.

  «Buongiorno Nadeshiko.»

  «B… buongiorno Johan…».

  Lui si avvicinò e le carezzò leggermente una guancia, guardandola con tenerezza.

  «Oggi sei davvero stupenda.»

  «G… grazie».

  Maki e Shiori erano felici per la loro amica, ma vedere il loro adorato Johan-sempai in atteggiamenti tanto amorevoli e bendisposti, sfoggiando oltretutto quello sguardo irresistibile, le faceva palpitare di emozione, ingelosendole un po’.

  «Capiti a proposito, Nadeshiko. Volevo parlarti.»

  «Parlarmi? Di cosa?»

  «Domani c’è il compito di storia. Ti andrebbe di studiare insieme a casa mia?»

  «A… casa tua!? Studiare!?»

  «Avevi detto che questo compito ti preoccupava. Se posso aiutarti, per me sarà un piacere».

  Nadeshiko era in totale imbarazzo, stringeva le mani e guardava in basso per nascondere i due tizzoni ardenti che aveva al posto delle guance.

  “In casa sua!? Noi due… però, non saremo da soli! Però… ci conosciamo da poco. Non so se…”.

  Furono le sue amiche a prendere l’iniziativa per lei, tirandola verso di loro in modo che Johan non potesse sentirle.

  «Avanti.» disse Maki «È la tua grande occasione.»

  «Però… però io…»

  «Non aver paura. Devi mostrarti sicura di te. E ricorda che noi ti sosteniamo».

  Alla fine decise di avere fiducia, e giratasi verso Johan ancora in attesa rispose di sì, che le avrebbe fatto piacere.

  «Perfetto. Allora ci vediamo alle sette a casa mia.»

  «Alle sette? Come mai così tardi?»

  «Purtroppo prima devo fare una commissione. Rimedieremo studiando assiduamente.»

  «D’accordo. E grazie della tua disponibilità.»

  «Ma ti pare, per così poco».

  Sia Johan che le due ragazze a quel punto si diressero verso le rispettive aule; Nadeshiko rimase indietro per finire di cambiarsi le scarpe, ma mentre stava rimettendo le sue nella scarpiera uno strano brivido le attraversò il corpo, e per un istante le parve di sentire una voce direttamente dentro la sua testa che la chiamava ossessivamente.

  Spaventata, si volse: nell’atrio non c’era nessuno a parte lei, e malgrado fosse quasi ora di lezione regnava un silenzio da cimitero. Per un attimo la ragazza si convinse di avere avuto un’allucinazione, ma poi nuovamente quella voce le fece fischiare le orecchie.

  Aveva un che di strano, di famigliare, ma per quanto si sforzasse non riusciva a ricordare proprio dove l’avesse sentita.

  «Chi sei?» domandò guardandosi attorno «Che cosa vuoi da me?».

  La voce non rispose, e anzi scomparve del tutto, lasciando nuovamente spazio ai richiami e al vociare degli studenti, ricomparsi quasi dal nulla.

  Nadeshiko decise di non pensarci ulteriormente e si avviò decisa verso la propria classe; dopotutto, poteva essere stata benissimo un’altra allucinazione, anche se in verità essere ancora soggetta a simili situazioni la faceva sentire a disagio.

  Fortunatamente ci pensarono le espressioni allegre e gioviali di Keita e Shinji a restituirle il buonumore.

  «Buongiorno a tutti!»

  «Buongiorno, Nadeshiko.» disse Keita «Bene arrivata.»

  «Sapete, Johan mi ha appena invitata ad andare a studiare a casa sua questa sera.»

  «Davvero!? Congratulazioni.»

  «Guarda te.» commentò Shinji, sarcastico come al solito «Sembra tanto distaccato, ma in realtà è una vecchia volpe.»

  «S… Shinji!» replicò lei arrossendo.

  La lezione iniziò regolarmente e non accadde nulla fino alla pausa-pranzo, quando i tre amici si riunirono sul terrazzo della scuola per mangiare insieme i bentou preparati dalle rispettive madri. Subito prima di raggiungere il tetto, però, Shinji e Keita vennero raggiunti da un loro compagno, Sota, che li avvisò che la professoressa di letteratura li voleva in sala professori per discutere del prossimo festival della cultura, che si sarebbe tenuto di lì a breve.

  «Tu vai pure.» disse Shinji «Noi ti raggiungeremo il prima possibile.»

  «D’accordo, vi aspetto».

  Nadeshiko raggiunse quindi la terrazza da sola, e come spesso succedeva la trovò vuota: la scuola disponeva di un così ampio cortile che la maggior parte degli studenti preferivano andare lì per la pausa-pranzo, e così il più delle volte la terrazza rimaneva a disposizione.

  Da lassù si godeva una bellissima vista della città e dei dintorni, spaziando dalle montagne a ovest fino al grande e stupendo golfo ad anello sul mare ad est, con il grande porto da cui salpavano ogni giorno diverse navi.

  Si sedette a ridosso della rete di protezione e cominciò a mangiare, ma il suo pasto venne interrotto dal nuovo rimbombare di quella voce.

  «Nadeshiko!».

  Questa volta sembrava vicina, molto vicina, come se chi parlava si trovasse proprio accanto a lei, ma ancora una volta tutto intorno non vi era anima viva.

  «Che cosa vuoi da me?»

  «Non scomparire! Resta vigile! Nadeshiko!»

  «Che significa? Chi sei?».

  D’improvviso Nadeshiko fu colta da una sensazione terribile, come se le fosse venuto a mancare il respiro; spaventata, cadde in ginocchio, rovesciando il bentou che teneva appoggiato sulle gambe e stringendosi con forza le mani poco sotto il collo. Non sapeva perché, ma era sicura che in quel punto vi sarebbe dovuto essere qualcosa, qualcosa che invece non c’era, e che probabilmente non c’era mai neppure stato, ma la cui mancanza era la ragione di quella sofferenza spaventosa.

  In quel momento sopraggiunsero Keita e Shinji, che vedendo la loro amica in quella condizioni corsero immediatamente da lei per soccorrerla; Nadeshiko si agitava e si dimenava come una pazza, gridando frasi sconnesse.

  «Non respiro! Mi manca l’aria!»

  «Nadeshiko, calmati! Shinji, aiutami a tenerla!»

  «Più facile a dirsi che a farsi!»

  «Mi manca l’aria! Il pendente, dov’è il mio pendente!».

  Alla fine, forse per lo shock, la ragazza perse i sensi, ma fortunatamente tornò in sé nel giro di qualche minuto, ritrovandosi tra le braccia di Keita.

  «Meno male. Ti sei svegliata.»

  «Keita… Shinji… ma cosa… che è successo?».

  Fu aiutata a rialzarsi, ma dovette sorreggersi ai suoi amici per restare in piedi.

  «Ma cosa… che mi è successo? Ho come un vuoto di memoria.»

  «Rilassati. Ora è tutto passato».

  Malgrado non ricordasse niente di quegli ultimi minuti Nadeshiko lasciò il terrazzo con la convinzione che fosse successo qualcosa, qualcosa di importante che forse, anzi sicuramente era meglio riuscire a ricordare.

 

«Non ce la faccio!» disse Toshio quando l’ennesimo tentativo di valicare la frontiera tra fisico ed eterico per entrare nel sogno di Nadeshiko era fallito.

  Aveva provato a parlarle, a fare in modo che la sua volontà di creatrice del sogno gli permettesse di riuscire nell’impresa, ma neppure questo era riuscito: evidentemente Seth era già riuscito a cancellare i ricordi attinenti a lui dalla sua memoria, rendendo vano qualsiasi tentativo di comunicare con lei.

  «È tutto inutile!»

  «Non arrenderti!» gli rimproverò Yuko con un tono stranamente molto meno distaccato e disinteressato del solito «Vuoi davvero che tutto vada come vuole Seth?».

  Un simile pensiero gli faceva ribollire il sangue nelle vene, ma cos’altro poteva fare oltre a quello che già stava facendo?

  «Ti devi sbrigare. Non hai più molto tempo. Anche se sottoposta al condizionamento di Hypnos, Nadeshiko è ancora padrona del suo sogno, e fino a che lo sarà avrai una speranza di raggiungerla.

  Se però dovesse arrendersi del tutto all’influenza di Seth anche lui ne avrà il controllo, e allora non ti sarà più possibile entrarvi.»

  «Ma cos’altro posso fare? Mi sono impegnato con tutto me stesso, ma non è servito.»

  «Devi essere sincero. Sabatiel non ti aiuterà se non darai prova dei sentimenti che provi per la sua padrona. E per dimostrarli li devi anzitutto accettare. Accetta i tuoi sentimenti, e Sabatiel ti condurrà da lei».

  I suoi veri sentimenti.

  Più facile a dirsi che a farsi.

  Del resto, come poteva essere diversamente?

  Sarebbe stato davvero possibile per lui, un guerriero che fino a quel momento non aveva conosciuto una realtà diversa dalla battaglia, amare sinceramente qualcuno?

  Amava Nadeshiko, ne era sicuro, l’amava più della sua stessa vita; ciò di cui non era sicuro era di poterla davvero amare, di poterle dare tutto ciò che meritava, e soprattutto aveva paura di non avere dentro di sé le caratteristiche necessarie per definire sé stesso come un innamorato.

  D’altra parte però, il solo pensare a lei gli faceva battere il cuore, infondendogli sentimenti mai provati, e anche ora che erano lontani, separati in ogni modo possibile, poteva sentire la sua presenza e il suo calore attraverso quel ciondolo.

  Senza dimenticare poi l’altro pendente, quello che lei stessa gli aveva regalato, il simbolo di ouroboros, dal quale sentiva provenire la stessa energia.

  Fino a quel momento non aveva voluto accettare i suoi sentimenti, perché aveva paura di non esserne degno. Eppure, come suo padre gli ripeteva spesso, non vi era errore più grande per un uomo che nascondere a sé stesso la verità, fuggendo dai pericoli per non doverli affrontare.

  Non doveva aver paura dell’amore che provava per Nadeshiko: dopotutto, anche lei lo amava, e ciò che sarebbe accaduto nei prossimi istanti gliene avrebbe dato la prova.

  Più determinato e convinto di poco prima Toshio strinse di nuovo il pendente nel pugno, cercando questa volta di essere il più sincero possibile.

  Non avrebbe più avuto paura dei suoi sentimenti, e non sarebbe più scappato; era giunto per lui il momento di crescere, di comportarsi come un vero uomo.

  “Ora basta fare il ragazzino! Il tempo dei giochi è finito!”.

  Era vero! Basta giocare, e basta comportarsi da bambino! D’ora in poi non avrebbe più nascosto la verità, né agli altri né a sé stesso.

  Il ciondolo prese a brillare di una luce fortissima, che ben presto lo circondò.

  «Aspettami, Nadeshiko! Sto venendo a prenderti!».

 

Alle cinque e un quarto, al suono dell’ultima campanella, Nadeshiko lasciò l’edificio scolastico, non senza qualche domanda in testa su quanto effettivamente accaduto sul terrazzo.

  A differenza degli altri giorni non andò a fare la sua solita passeggiata con Shinji e Keita, preferendo piuttosto stare un po’ da sola prima di recarsi a casa di Johan, il solo in grado di farla sentire a suo agio.

  Il suo peregrinare la condusse al parco vicino alla scuola, dove, dopo un lungo girovagare senza meta fra i sentieri sassosi, si sedette su di una panchina che guardava verso il laghetto, osservando sconsolata e con una certa preoccupazione il sole, già tinto dei colori del tramonto, che si specchiava nell’acqua.

  Le perplessità e le allucinazioni che credeva di essersi lasciata alle spalle erano ancora ben presenti, e anzi da che si era risvegliata dopo aver perso conoscenza erano diventate più insistenti di prima.

  Proprio quando si era convinta di poter continuare la propria vita come se niente fosse la sensazione che in tutto quell’idillio nel quale stava vivendo vi fosse qualcosa di sbagliato, per non dire di irreale, aveva ricominciato a farsi strada dentro di lei.

  Ma come poteva essere possibile?

  Certo, erano successe tante cose in quegli ultimi giorni, cose stupende: aveva trovato l’amore della sua vita, conosciuto nuovi amici e allargato il suo mondo.

  Forse, a pensarci bene, di cose ne erano successe davvero troppe; non aveva mai creduto eccessivamente nel destino, ma che tutta la sua vita potesse cambiare dal bianco al nero nell’arco di settantadue ore era davvero una cosa ai limiti del credibile.

  E se ci fosse stato qualcosa sotto? E se dietro tutto ciò che stava accadendo vi fosse la mano di qualcuno, qualcuno intenzionato a rabbonirla dandole tutto ciò che, infondo al cuore, aveva sempre desiderato?

  D’un tratto, avvertì una presenza alle proprie spalle, e un po’ spaventata si affrettò a voltarsi; si aspettava di vedere Johan, o magari Keita e Shinji, ma quella era davvero l’ultima persona che avrebbe pensato di incontrare.

  «Lainay-san!?»

  «Posso sedermi?» domandò lei schietta e senza mezzi termini

  «Ce… certo. Prego».

  Si sedette, e per lunghi minuti le due ragazze rimasero ognuna per conto proprio, fissando il laghetto con espressioni differenti.

  Ora che Nadeshiko ci pensava bene, anche quella ragazza aveva qualcosa di strano; la frase che aveva pronunciato qualche giorno prima subito prima di lasciarla era ancora ben stampata nella sua mente, e malgrado avesse cercato nei giorni successivi di iniziare una discussione con lei, se non altro per cercare di fare amicizia, era sempre sopraggiunto un imprevisto a guastare i suoi propositi.

  Adesso era l’occasione giusta, e raccolto a sé il proprio coraggio Nadeshiko decise di rompere il ghiaccio, ma con sua grande sorpresa nell’istante in cui cercò di aprire bocca Lainay la colse in contropiede, anticipandola.

  «Tu le somigli.»

  «Cosa!?»

  «Le somigli molto.»

  «A chi somiglio?»

  «A mia sorella.»

  «Hai una sorella?»

  «Una sorella minore.

  Aveva la tua stessa personalità. Era gentile e di animo nobile, metteva sempre gli altri davanti a sé e l’ultima persona a cui pensava era sé stessa. In molti glielo hanno rimproverato, io compresa, ma lei ripeteva sempre che l’egoismo è il peggiore dei mali.»

  «L’egoismo!?»

  «Eravamo sorelle, ma completamente opposte. Io pensavo solo a diventare forte, indipendentemente dai mezzi, lei invece agiva solo nell’interesse degli altri.

  Fin da quando era piccola l’ho considerata mia rivale, e sono stata gelosa di lei al punto da odiarla.»

  «Per quale motivo?»

  «Era la sorella minore. Ciò nonostante, i nostri genitori non avevano occhi che per lei. Per quanto io cercassi di mettermi in mostra, per quanti traguardi riuscissi a raggiungere, non mi avvicinavo neppure a lei, che dimostrava di possedere doti inarrivabili non solo per me, ma per chiunque altro di noi.

  Per anni ho represso l’astio che provavo nei suoi confronti, sforzandomi in ogni modo di essere una buona sorella maggiore, ma poi, proprio quando stavo per mettere da parte quei sentimenti così orribili, è arrivato lui.»

  «Lui!?»

  «Era un amico di famiglia. Ci conoscevamo fin da piccoli, ma eravamo stati lontani tanti anni. Era bello, gentile, determinato.

  Era tutto ciò che una donna potesse chiedere. I sentimenti che provavo per lui erano cresciuti nel corso degli anni; avevo sperato così tanto nel suo ritorno, per potergli confidare i miei sentimenti.

  Lui era stato, fino a quel momento, il solo in grado di risvegliare in me emozioni femminili».

  Gli occhi di Lainay a quel punto si accesero di collera.

  «Ma lui ha scelto lei. Non l’aveva mai vista prima di allora, ma ha scelto lei.

  È stato allora che l’ho odiata. Abbiamo litigato violentemente, l’ho disconosciuta come sorella spezzandole il cuore, e da quel momento non ho fatto altro che pensare a me stessa.

  Sarei arrivata in alto, più in alto di chiunque altro, e lo avrei fatto con le mie sole forze. Rimanere da sola ormai non m’importata più. Poi, però, ho conosciuto lui. Il mio attuale compagno.»

  «Il tuo attuale compagno?»

  «Forse inizialmente mi sono avvicinata solo perché mi ricordava lui. Col tempo però ho cominciato ad amarlo, ad amarlo con tutta me stessa, questo almeno fino al giorno in cui le nostre vite cambiarono per sempre.

  Proprio come Romeo e Giulietta, era destino che tra le nostre due famiglie non potesse esservi pace. Avevamo idee troppo diverse su cosa dovesse essere fatto.

  Ciò che seguì distrusse non solo la mia, ma molte altre vite; mia sorella soffrì più di chiunque altro, ma nella sua enorme sofferenza riusciva comunque ad essere pura. Eppure, anche vedendola così, l’odio che provavo per lei era ancora forte dentro di me.

  Fu allora che presi quella decisione. Una decisione sofferta, e solo il cielo sa se fu davvero quella giusta».

  Nadeshiko ascoltò, emozionata e senza parole, la confessione più spontanea e accorata che le fosse mai capitato di sentire, e allora non poté che provare un sentimento di legame ancor più saldo con quella ragazza, alla quale porse il proprio fazzoletto per asciugarsi quelle lacrime che, malgrado il suo incrollabile contegno, stavano cominciando ad addensarsi sui suoi occhi.

  «Non piangere.» le disse sorridendole «Andrà tutto bene, ne sono sicura».

  Lei, attonita, la osservò con gli occhi sbarrati e la bocca socchiusa, poi, preso il fazzoletto, se lo passò in viso il più velocemente possibile, per restituire al più presto alla propria espressione la sua solita freddezza.

  «Dammi retta, ragazzina. Un mondo di sogni, per quanto bello e idilliaco possa essere, non vale assolutamente niente.

  I sogni mi hanno fatto diventare quella che sono, i sogni di poter ottenere un giorno la felicità che sentivo di meritare, e forse, a pensarci bene, la mia vita non è stata altro che questo. Un’accozzaglia di inutili sogni.

  Eppure…» disse riuscendo, incredibilmente, ad accennare un sorriso «Non so perché, ma qualcosa dentro di me mi dice che, forse, non è stato tutto inutile».

  Detto questo Lainay si alzò, lasciando il fazzoletto appoggiato sulla panchina.

  «La realtà a volte può essere dura, ma rifugiarsi in un sogno è la cosa più stupida che si possa fare. Quelli come te dimostrano la loro vera forza solo quando sono vicini alla persona con la quale sono destinati a legarsi per tutta la vita. Forse anche per me valeva lo stesso, ma io l’ho capito troppo tardi.

  Ti saluto.» e se ne andò, scomparendo fra gli alberi.

  Nadeshiko non sapeva cosa pensare.

  Era certa che quelle ultime parole avessero un peso molto più grande di quanto si potesse inizialmente immaginare, e sentiva che dietro di esse si celava un messaggio di importanza vitale.

  I rintocchi della campana della scuola, udibili anche da lì, interruppero sul nascere le sue meditazioni.

  «Accidenti, sono le sei e mezza. Devo sbrigarmi, o farò tardi».

 

Nadeshiko riuscì a prendere l’autobus per il rotto della cuffia, salendoci giusto un secondo prima che partisse e scendendone dall’altra parte della città, nella zona residenziale in cui abitava Johan, raggiungendo la sua casa nel giro di pochi minuti grazie alle indicazioni che lui le aveva dato.

  L’ultima volta che era stata lì, la sera in cui Johan le aveva dichiarato il proprio amore, alla fine non era andata a casa sua, quindi quella era la prima volta che vedeva la residenza Von Karma, e trovandosela davanti la sua incredulità fu ovviamente grande.

  Era una villa immensa, a due piani, delimitata da un’alta cancellata in ferro e circondata un enorme giardino pieno di piante, soprattutto roseti, con uno stagno in cui nuotavano tantissime carpe.

  Un po’ atterrita dalla maestosità della dimora, dove il bianco e il vetro la facevano da padroni, suonò timidamente al campanello, e dopo poco le rispose proprio la voce di Johan.

  «Sì? Chi è?»

  «Eh, sì? Sono io. Sono Nadeshiko.»

  «Ah, benvenuta. Ti apro subito».

  Il cancello si aprì lentamente, e appena Nadeshiko ebbe raggiunto la porta fu sempre Johan a venirle ad aprire.

  «Bene arrivata. Ti stavo aspettando.»

  «Scusami, ho fatto tardi.»

  «Non importa. Rimedieremo studiando più assiduamente. Ma non restare sulla porta. Prego, entra.»

  «Grazie».

  Anche all’interno la casa era davvero fantastica, arredata con un gusto tutto europeo e ridondante di luce, questo grazie alla posizione tattica di specchi finestre per incanalare e distribuire al meglio i raggi di sole.

  «Hai una casa davvero enorme.»

  «Ti ringrazio.»

  «È anche bellissima.»

  «Volevo sentirmi come in Germania. Le case giapponesi sono belle, ma per chi non ci è abituato possono risultare alquanto scomode.»

  «Forse hai ragione.» rispose lei sorridendo divertita

  «Forza, andiamo di sopra».

  Mentre salivano le scale Nadeshiko si accorse, per via della totale assenza di rumori, che nell’abitazione non vi era nessuno a parte loro due.

  «Non avevi detto che vivevi con i tuoi due domestici?»

  «Infatti.»

  «E dove sono adesso?»

  «Karen è andata a fare un po’ di spese, Theodor invece usufruisce del suo giorno libero.»

  «Ah, capisco. Mi farebbe piacere conoscerli.»

  «Forse li incontrerai stasera. Dovrebbero tornare per l’ora di cena».

  A dispetto della maestosità della casa la stanza di Johan era piuttosto semplice, simile in tutto e per tutto a quella di qualsiasi ragazzo della sua età, con un letto, una scrivania, una finestra che dava sul cancello d’ingresso, un armadio e una cassettiera.

  «Prego.»

  «Grazie».

  Nadeshiko, come faceva sempre quando entrava per la prima volta nella stanza di qualcuno, andò ad affacciarsi alla finestra per vederne il panorama, non accorgendosi in questo modo che Johan, con una strana espressione in viso, aveva chiuso la porta a chiave.

  «Il tuo giardino è stupendo. E anche ben tenuto. Chi se ne occupa?»

  «Io, quando posso.»

  «Deve portarti via un sacco di tempo.»

  «Mi ci dedico con passione».

  D’un tratto, cogliendola del tutto impreparata, Johan la abbracciò alle spalle, appoggiandosi a lei e mandandole il cuore a mille, poi, giratala verso di sé, la guardò a lungo con quei suoi occhi irresistibili prima di donarle un nuovo bacio.

  Questa volta lei non fece alcun tentativo di resistere, lasciandosi andare, almeno inizialmente; ben presto infatti una parte di lei per qualche motivo sembrò avversare quella situazione, gridando con forza la propria disapprovazione, tanto che alla fine la ragazza si staccò.

  «No…» disse, seppur con poca convinzione «Aspetta…»

  «Perché?» domandò Johan tirandola nuovamente a sé «Io ti amo, Nadeshiko. Ti ho sempre amata.

  È forse che tu non mi ami?»

  «Non… non è questo… è solo che».

  Il resto avvenne nel giro di un istante; come animata di vita propria la tendina della finestra si chiuse all’istante, e Johan, afferrata Nadeshiko, la distese delicatamente sul letto, mettendosi subito sopra di lei e togliendole i vestiti fino a lasciarla in biancheria intima.

  Nadeshiko subiva senza ribellarsi, mentre quella parte di lei che aveva gridato pochi attimi prima continuava incessantemente a far sentire la sua voce, intimandole di fare qualcosa, ma era tutto inutile; anche se ci avesse provato non sarebbe comunque riuscita a fare alcunché, tanto quegli occhi la stregavano, togliendole ogni capacità di raziocinio.

  “Cosa… cosa sto facendo?” pensava mentre, ad occhi chiusi, aveva come l’impressione di navigare in un mare di tenebre “Io… amo Johan. Quindi… dovrebbero non esserci problemi… eppure… cos’è questa sensazione?”.

  Quella sensazione, quel senso di pesantezza che sentiva all’altezza del cuore, era provocata soprattutto dalle parole di Lainay, le sue parole sulla necessità di trovare la persona con cui si è destinati a passare tutta la vita per poter esprimere al meglio il proprio potere.

  La persona che si ama.

  La persona che amava.

  Quella persona… era Johan.

  Oppure…

  D’improvviso fu come se gli intricati pezzi di un puzzle stessero cominciando ad andare a posto, e la prima cosa che le venne in mente fu ciò da cui tutto era partito, dalla prima volta che aveva cominciato ad avvertire qualcosa di strano.

  “La piazzetta. È lì che ha avuto inizio ogni cosa.

  C’era una bancarella. Regalavano un viaggio. Un viaggio in Europa. Abbiamo vinto, e siamo partiti. Io, Keita e Shinji. C’era anche Takeru.

  Siamo andati a Venezia.

  E lì… è successo qualcosa”.

  Probabilmente Johan, che intanto si era tolto a sua volta la camicia e la maglia intima, mettendo a nudo il suo torace esile ma aggraziato, si era accorto che qualcosa non andava; il suo sguardo infatti era preoccupato, per non dire spaventato.

 

Quello a cui avete assistito poco fa era il primo atto di una sorta di gioco. Noi lo chiamiamo Grande Torneo, altri invece gli hanno dato il nome di Millennium War

 

  “Il grande torneo. La guerra che si tiene ogni duecento anni.

  Sette guerrieri che combattono tra di loro per dimostrare il proprio valore e sconfiggere un dio malvagio. Abbiamo… abbiamo scoperto di possedere dei poteri magici.”

 

Il sangue è il canale attraverso il quale scorre l’energia necessaria all’uso della magia. Il fatto che una semplice emorragia basti a provocare in te il risveglio delle tue capacità magiche è indice di due cose.

La prima è che la tua magia è molto radicata, la seconda che è estremamente potente

 

“Izumi. Lei ci ha insegnato ad usarli.

  E poi… sono rimasta ferita. Siamo andati… dalla Strega delle Dimensioni.”

 

Un essere umano non può dirsi completo se non si lega anima e corpo a colui che è stato destinato a rimanergli vicino. E se davvero tu sei uguale a lei la persona a cui sei legata a doppio filo è qualcuno che, pur essendo all’esterno del tutto diverso da te, custodisce nell’animo i tuoi stessi pensieri

 

“Abbiamo conosciuto… qualcuno.

  Era… un ragazzo.

  Come si chiamava?”

 

Voi due siete come il giorno è la notte. È risaputo che spesso gli opposti si attraggono, e nel vostro caso mai affermazione fu più esatta. La verità è che nessuno di voi due può fare a meno dell’altro

 

Ora era chiaro. Era tutto chiaro!

  Come aveva potuto essere così cieca? Come aveva fatto a dimenticare?

  Erano successe tante di quelle cose! Aveva vissuto la più grande delle avventure, aveva incontrato l’amore della sua vita, e la persona a cui aveva giurato di dare tutto sé stessa non era certo quello che ora le stava davanti.

  «È falso.» sussurrò, guadagnandosi un’espressione terrorizzata da parte di Johan «Questo non è reale!».

  Riavutasi del tutto da quella che ora sapeva essere solamente un’illusione cercò di liberarsi, allontanando il ragazzo da sé.

  «Io non amo te! La persona che io amo… la persona a cui voglio bene…»

 

D’accordo. Se può farti piacere, verrò in Giappone con te

 

  «Toshio!».

  Nel sentire quel nome Johan, da spaventato, si fece adirato, e strinse ancor più forte le mani attorno agli avambracci di Nadeshiko.

  «Johan! Lasciami! Mi fai male!»

  «Incredibile. Sei riuscita ad eludere l’incantesimo di Hypnos. Sei davvero una ragazza fuori dal comune».

  A quelle parole Nadeshiko sgranò gli occhi, minacciando di svenire.

  «Johan… che stai dicendo!?» disse, per poi ritrovarsi immobilizzata da una forza misteriosa.

  Chiuse gli occhi, nel vano tentativo di liberarsi, e quando li riaprì Johan era in piedi davanti al letto, e il suo nuovo sguardo non lasciava dubbi sulla sua vera identità.

  «Tu… sei Seth!?».

  Lui, a quella domanda, si fece terribilmente serio, quasi minaccioso.

  «Non capisci, Nadeshiko? Tu e io siamo incarnazioni divine. Nel nostro corpo risiedono le due entità che sono state all’origine della più grande delle guerre.

  Noi ora abbiamo la possibilità di riunire queste entità sotto un’unica bandiera. Insieme, potremmo guidare questo mondo a un nuovo inizio.

  Gli umani sono destinati all’autodistruzione. Noi possiamo salvarli. Ma perché siano salvati, devono essere governati da entità superiori, che impongano loro la pace e la giustizia.

  E quelle persone… siamo noi».

  In quella, l’espressione di Johan si fece attonita, terrorizzata, e subito dopo una patina di luce rosa lo avvolse, come immobilizzandolo; contemporaneamente, gli anelli che imprigionavano Nadeshiko si dissolsero, lasciandola libera.

  «Ma cosa…» ringhiò il nemico

  «Mai sentito discorso più stupido!»

  «Toshio!» esclamò Nadeshiko vedendo il ragazzo che davvero amava appoggiato alla parete e con in mano il suo pendente che brillava di viva luce; subito, alzatasi, gli corse tra le braccia, avvertendone il calore.

  «Stai bene?»

  «Sono così felice di rivederti.»

  «La pace e la giustizia non sono qualcosa che si possa imporre.» disse poi rivolto nuovamente a Seth «Devono essere volute, e devono essere gli uomini a cercarle.

  E quelli come te, che mascherano dietro a finti ideali il loro puro e semplice desiderio di onnipotenza, sono in assoluto l’ostacolo più grande al raggiungimento di tali obiettivi.

  Per questo noi, i figli delle sette grandi tribù, continueremo a combatterti da qui alla fine dei tempi, e fino a che uno solo di noi sarà in piedi la tua ambizione non sarà mai lasciata libera di agire».

  Toshio poi si volse verso Nadeshiko, guardandola come fosse stata la cosa più preziosa che aveva.

  «Perdonami se ho tardato.»

  «Non fa niente.» rispose lei sorridendo e poggiando la testa sulla sua spalla «L’importante è che tu ora sia qui.»

  «Isis!» tuonò Johan con voce cupa e profonda, che metteva i brividi solo a sentirla «Perché non capisci? È il nostro destino! L’umanità commetterà i nostri stessi errori! Solo comandandoli e indirizzandoli nella giusta via possiamo evitare che ciò accada!»

  «Io non sono Isis. Lei non è che una parte di me. E comunque, ormai la conosco abbastanza bene da sapere che non accetterebbe mai di seguire la tua idea.

  Lei ha fiducia in noi esseri umani, e fino a che ci saranno persone dal cuore nobile non smetterà di averne».

  La ragazza si girò quindi verso Toshio.

  «Torniamo indietro.»

  «Questo è il tuo sogno, Nadeshiko. È in tuo potere decidere quando farlo finire.»

  «E allora… che finisca.» disse lei, e immediatamente l’intera stanza si sgretolò, assieme a tutto il resto.

 

Negli ultimi minuti Hypnos, perennemente in piedi accanto all’altare, aveva cominciato a comportarsi in modo strano, facendosi visibilmente preoccupato, e prima che potesse fare qualsiasi cosa il corpo di Nadeshiko fu improvvisamente circondato da una luce fortissima, tanto che dovette chiudere gli occhi.

  «Che starà succedendo?» domandò Keita facendo altrettanto

  «Non ne ho idea!» rispose Shinji.

  La luce divenne sempre più grande, e quando, dopo poco, cominciò a diradarsi, Nadeshiko era scomparsa dall’altare, per ricomparire poco distante fra le braccia di Toshio.

  Accanto a Hypnos, poi, vi erano Johan e Lainay, il primo evidentemente furioso, la seconda indicibilmente sorpresa.

  “Allora…” pensò vedendo Toshio che faceva scendere dolcemente Nadeshiko e le restituiva il suo pendente “Sono questi i poteri di un cuore innamorato?”.

  Forse a causa della perdita di concentrazione da parte di Hypnos anche la barriera che imprigionava i ragazzi cedette, dissolvendosi, e anche loro come Nadeshiko rimasero comprensibilmente sorpresi nel vedere Johan lì con loro, guardato a vista e protetto dal dio del sonno, che gli faceva da scudo frapponendosi fra loro e lui.

  «Che significa questa storia?» disse Keita «Johan, che ci fai tu qui?»

  «Quello è Seth!» rispose Nadeshiko, lasciando tutti con la bocca spalancata

  «Che cosa!?» esclamò Shinji «Mi stai dicendo che il nostro amico Johan…»

  «Esatto. È la reincarnazione di Seth.»

  «Isis. Questa è la mia ultima offerta. Unisciti a me, e costruiamo insieme un mondo migliore.»

  «La mia risposta l’hai già avuta.» rispose decisa Nadeshiko rimanendo tra le braccia di Toshio «E così pure quella di Isis. Finché minaccerai questo mondo con il tuo egoismo, io e lei faremo di tutto per fermarti.»

  «In tal caso, questa conversazione non ha motivo di continuare».

  A quel punto Johan e Lainay scomparvero dentro ad un portale oscuro ben protetti da Hypnos, che impedì ai ragazzi di intervenire per fermare il dio sfoggiando dieci affilatissimi artigli d’acciaio, cinque per ogni mano, lunghi una ventina di centimetri ognuno e assicurati all’estremità di ogni dito per mezzo di un anello.

  «Morirai, come tutti coloro che mi ostacolano.» disse Seth prima di scomparire inghiottito dal portale «Hypnos, li affido a te. È giunto il momento di vendicare la morte di Thanatos.»

  «Contate pure su di me, mio signore. Non tradirò la vostra fiducia».

  Hypnos si scagliò all’attacco appena Seth e Lainay se ne furono andati, e subito venne alla luce il suo grande talento; come la sorella, era in grado di muoversi ad una velocità considerevole, e come se non bastasse i ragazzi non si sentivano esattamente al top delle loro energie.

  I loro movimenti erano lenti, e sentivano uno strano senso di stanchezza che ne pregiudicava il rendimento, tanto che pur essendo cinque contro uno si ritrovarono ben presto a doversi difendere.

  «Ragazzi, temo ci sia qualcosa che non va’.» disse Shinji dopo aver preso un colpo ad un fianco che, fortunatamente, gli aveva procurato solo delle lacerazioni sulla camicia «Mi sento terribilmente debole, e non riesco a usare la magia come vorrei.»

  «Anch’io sento la stessa cosa.» disse Keita parando un attacco con la propria spada «Che cosa ci sta succedendo?»

  «Siete dei poveri illusi.» rispose Hypnos «L’alone che avete respirato quando siete stati catturati non aveva il solo effetto di farvi addormentare. Era parte del mio potere magico, e penetrando nei vostri corpi ha intaccato il sistema nervoso e i muscoli, indebolendovi sia fisicamente che spiritualmente.»

  «Che bastardo…» disse Toshio, che pur non avendo respirato quella polvere luminescente si sentiva comunque incredibilmente stanco

  «Per quel che riguarda te, spadaccino, entrare con la forza in un mondo dei sogni, servendosi oltretutto di un potere non proprio, deve essere stato uno sforzo non indifferente anche per uno con il tuo talento.

  È più che naturale che tu ora ti senta esausto. Il tutto a mio vantaggio».

  Il nemico sferrò allora un nuovo attacco, stendendo uno dopo l’altro i quattro ragazzi; solo Shinji, grazie alla sua velocità, riuscì a schivare il primo assalto, ma venne a sua volta messo fuori combattimento dopo pochi secondi di lotta, e sembrava proprio che Hypnos, effettuato un lungo balzo all’indietro, fosse intenzionato a iniziare con lui ad infliggere i colpi di grazia.

  «E adesso, vendicherò la morte di mia sorella.»

  «Fermo!» gridò Nadeshiko mettendosi in mezzo «Ora basta!»

  «Nadeshiko, no!» disse Toshio nel tentativo, quasi del tutto vano, di rimettersi in piedi

  «Te l’ho già detto prima, spargere altro sangue non servirà a ridarti Thanatos!»

  «Nadeshiko…» disse Keita

  «Vorrei poterti dire che mi dispiace per ciò che abbiamo fatto, ma so che nessuna parola potrebbe essere abbastanza sincera da spingerti ad accettare le nostre scuse.

  Noi combattiamo per obiettivi differenti, ma il fatto che tu sia così determinato ad onorare la memoria di tua sorella dimostra che dopotutto non sei una persona malvagia.

  Tuttavia, se davvero vuoi fare qualcosa per lei, non rendere vana la sua morte. Tutti voi non siete altro che semplici pedine per Seth. Il fatto che ti abbia lasciato qui a combattere senza darti il minimo aiuto lo dimostra.»

  «Non parlare in questo modo del mio signore.» rispose Hypnos andando leggermente su di giri «E poi è naturale che un generale lasci indietro i suoi soldati affinché combattano per garantirgli la salvezza. Se morisse lui, che ne sarebbe del suo esercito?»

  «Un generale non abbandona i suoi sottoposti al loro destino.

  Non riesci a capirlo? Per millenni ha mascherato i suoi veri propositi dietro a nobili ideali, gli stessi sui quali ha fatto leva per portarvi dalla sua parte.

  Lui vuole solo il potere, niente altro. Della sorte di questo mondo e degli esseri umani non gli importa nulla, e in nome del potere non ha esitato a mandare alla morte molti dei tuoi compagni.

  Tua sorella è stata solo un’altra delle sue vittime! Se cerchi il vero responsabile della sua morte, è lui che devi guardare!».

  Le parole di Nadeshiko erano sincere, si capiva dalle lacrime che sgorgavano dai suoi occhi, e di fronte a tanta determinazione persino Hypnos, il più fedele dei fedeli, esitò, senza sapere cosa fare.

  D’altra parte però, la persona che le stava di fronte era pur sempre la depositaria di Isis, che era stata l’avversaria numero uno del suo signore, e che avrebbe avuto tutto da guadagnare infangandone la memoria; era questo che Hypnos credeva, ciò a cui si aggrappava con forza per avere un caposaldo nel quale rifugiarsi, nel quale trovare una giustificazione per tutto ciò che era successo, e per questo agì in quel modo, attuando una scelta di cui ben presto avrebbe avuto modo di pentirsi.

  Sollevato l’indice della mano destra, lo puntò in direzione della ragazza.

 

DEEP DREAM!

 

Dal dito partì un fascio di luce piccolo e sottile come una punta di spillo, che centrando Nadeshiko in piena fronte non le provocò la benché minima ferita; ciò nonostante la ragazza venne violentemente scagliata all’indietro, cadendo fra l’erba del prato completamente inerme, come una bambola di pezza.

  «Nadeshiko!» urlò Toshio correndo verso di lei assieme a tutti i suoi compagni

  «Ti avevo detto di non infangare il nome del mio signore. Questo ti servirà da lezione».

  Keita la prese tra le braccia e fu il primo ad accorgersi che, fortunatamente, non sembrava né morta né priva di sensi; stava semplicemente dormendo, a giudicare dal respiro regolare, ma per quanto tentassero di svegliarla era tutto inutile.

  «Che cosa le hai fatto?» domandò furente Takeru

  «Ho annichilito la sua mente, imprigionandola in un sonno eterno. Un sonno privo di sogni, dal quale non si risveglierà mai più, e da cui nessuno, neppure io, sarebbe in grado di destarla.»

  «Che cosa!?» esclamò Keita

  «Questa è la punizione per chi macchia il buon nome del nobile Seth».

  Toshio, che era in piedi qualche passo indietro ai suoi compagni, si sentì male come mai nella sua vita; il respiro gli rimase mozzato e il corpo immobile, scosso solo di tanto in tanto da leggeri e impercettibili tremori.

  Che cosa aveva fatto?

  Aveva appena promesso a sé stesso di proteggerla da tutto, e ora aveva permesso ad una cosa tanto stupida come la stanchezza di infrangere sul nascere quella promessa. Si era assunto un impegno, e come un perfetto idiota aveva tradito le speranze che lei forse aveva riposto in lui alla prima occasione.

  Perché? Perché tanta crudeltà?

  Lei aveva parlato con il cuore, senza usare parole di guerra, cercando in ogni modo di evitare un nuovo, inutile spargimento di sangue, e a risposta di un comportamento tanto nobile guarda cosa le avevano fatto.

  Come potevano definirsi divinità degli esseri tanto abbietti e meschini? Esseri che mettono a tacere una ragazza innocente per evitare di dover fare i conti con la propria coscienza?

  Esseri così, corrotti dal male, non meritavano di vivere! Non meritavano nulla! Neppure la pietà!

  Loro non ne avevano dimostrata, perciò che diritto avevano di chiederla per sé?

  Ma, più di ogni altra cosa, con che diritto si arrogavano il privilegio di giocare con la vita altrui?

  Nadeshiko era una ragazza dal cuore d’oro, dall’animo nobile più di quello di chiunque altro, anche di qualunque presunto dio, e a causa loro non avrebbe più potuto illuminare il mondo coi suoi bellissimi occhi.

  Toshio sentì montare dentro di sé una rabbia senza fine, una rabbia che stava rapidamente e inesorabilmente prendendo il controllo su di lui, togliendogli qualsiasi capacità di raziocinio e lasciandogli in testa solo un proposito: vendetta.

  Una vendetta ceca, che non guardasse in faccia a niente, neppure alle emozioni, una vendetta senza pietà.

  Hypnos aveva preso la vita di Nadeshiko, e lui gli avrebbe strappato la sua, e non sarebbe stata una cosa indolore; assolutamente.

  Il suo respiro divenne affannoso, come se stesse correndo, e con il passare dei secondi si faceva sempre più simile al ruggito sommesso di una belva infuriata.

  I suoi compagni se ne avvidero, e volgendosi verso di lui ne rimasero terrorizzati.

  All’improvviso il ragazzo lanciò un urlo assordante, una vera e propria esplosione di furia, e il suo corpo sprigionò una corrente magica color rosso sangue così forte da staccare i rami degli alberi e sollevare grandi onde sul lago al centro del giardino.

  Il circolo magico rosso sangue comparve sotto i suoi piedi, e una fiamma luminosa dello stesso colore lo avvolse interamente, mentre le fiamme rosse gli si imprimevano sul viso e i denti si facevano spaventosi, simili a zanne.

  «Ma cosa…» disse Shinji mettendosi istintivamente le mani sul viso «Che gli sta succedendo?»

  «Il Μένος Aδηλος.» disse Keita con espressione sconvolta e spaventata «Si sta risvegliando. O meglio… sta esplodendo».

  Anche Hypnos, nell’assistere ad una così violenta esternazione di collera, si spaventò in modo indicibile, soprattutto se pensava che molto presto tutta quella furia si sarebbe riversata su di lui.

  Quando Toshio risollevò lo sguardo, dopo che nei momenti finali della trasformazione si era raggomitolato in sé stesso, i suoi occhi scintillavano di rosso, e la sua espressione si sarebbe detta quella di un demonio piuttosto che di un uomo.

  Ciò nonostante, il nemico cercò di ostentare la propria sicurezza, e quando il guerriero sollevò lo sguardo nella sua direzione, mostrandosi chiaramente intenzionato a combattere, dimostrò di voler accettare la sfida.

  «Molto bene. Tu sarai il prossimo».

  Invece, appena ebbe inizio il combattimento, Hypnos si accorse immediatamente di quanto il suo nemico fosse cambiato non solo nel corpo, ma anche nel potenziale.

  Appena cercò di muovere un attacco, sfruttando come al solito la sua velocità, quando colpì convinto di trafiggerlo l’unica cosa che riuscì a colpire fu l’aria, perché lui era già alle sue spalle, e con una ginocchiata tale da rompere la spina dorsale a chiunque non fosse dotato di grandi poteri magici lo aveva scaraventato in avanti; Hypnos riuscì a rimanere in piedi girando su sé stesso e usando gli artigli della mano destra per ancorarsi a terra, ma anche il secondo attacco fu respinto allo stesso modo, e ben presto divenne chiaro di quanto la strategia di contrattacco di Toshio fosse mirata ad infliggere il massimo del dolore possibile.

  I suoi colpi erano potenti, ma indirizzati a zone del corpo non vitali, al fine di ritardare la morte quanto più possibile e amplificare al massimo il dolore.

  Keita e gli altri erano spaventati e atterriti da ciò che stavano vedendo, ma essendosi il Μένος Aδηλος ridestato in tutto il suo potere sapevano che in quelle condizioni Toshio avrebbe fatto strage di chiunque avesse cercato di frapporsi fra lui e il suo obiettivo, indipendentemente da chi si fosse trattato.

  Dopo poco più di cinque minuti Hypnos era ridotto ad uno stato pietoso: non era riuscito ad infliggere neppure un colpo a Toshio, che al contrario lo aveva riempito di ferite ed escoriazioni, e ormai era così malridotto da non riuscire quasi a stare in piedi.

  Tuttavia la collera che gli veniva dal vedersi sconfitto e umiliato da un essere umano gli dava la forza per continuare a combattere, anche se, vedendo quell’espressione adirata e carica di odio stampata sul volto del suo nemico, probabilmente dentro di sé già sapeva che non ci sarebbero state speranze.

  «Non… non lo accetterò! Non perderò… contro un umano!».

  Quell’attacco, purtroppo, fu anche l’ultimo.

  Toshio evitò senza problemi cinque diversi fendenti d’artigli sia spostandosi sia deviandone la traiettoria, poi, apertosi un varco, ringhiando di collera piantò la spada nel petto del nemico con una forza tale che anche l’elsa e il pugno passarono il corpo da parte a parte, sbucando all’esterno dietro la schiena e generando una vera esplosione di sangue.

  Hypnos sgranò gli occhi e spalancò la bocca nell’inutile tentativo di gridare; i suoi lineamenti prima aggraziati vennero sfigurati dal dolore.

  «Mo… mostro…» mugugnò sputando sangue «Tu… sei… un mostro…».

  A quel punto il suo corpo seguì lo stesso destino di quello di sua sorella Thanatos, mutandosi in cenere, e di lui non rimasero altro che gli artigli d’acciaio.

  Con la morte del suo nemico Toshio cominciò a riguadagnare rapidamente il controllo di sé, ma quando finalmente i segni del Μένος Aδηλος scomparvero del tutto, restituendogli il suo aspetto originario, il pensiero di ciò che aveva appena fatto lo atterrì.

  Mostro.

  Hypnos aveva colto nel segno, perché era questo che era.

  Perché, perché si era comportato così? Come aveva potuto permettere alla rabbia di prendere il controllo?

  Odiava e temeva sé stesso.

  Già altre volte si era infuriato, già altre volte era stato ad un passo dal perdere il controllo, ma non era mai accaduto niente del genere.

  Quando aveva capito cosa stava per succedergli, nell’ultimo istante in cui la ragione aveva guidato le sue azioni, aveva cercato con tutte le sue forze di mantenere il controllo, ma alla fine il Μένος Aδηλος era stato più forte e lo aveva soggiogato, asservito alla sua volontà.

  Come avrebbe potuto vivere accanto ai suoi amici sapendo che da un momento all’altro questa cosa avrebbe potuto ripetersi?

  Chiunque sarebbe stato in pericolo con lui vicino, e ora ne aveva la certezza.

  Il Μένος Aδηλος era come un cane furioso tenuto al guinzaglio, e bastava allentare un po’ la presa perché riuscisse a liberarsi, scatenando tutta la sua furia su tutto ciò che gli capitava a tiro.

  Anche adesso, mentre il dolore per ciò che era accaduto a Nadeshiko ancora persisteva dentro di lui, sentiva che quel demonio interiore era ancora lì, in agguato, e avrebbe potuto riprendere il controllo se solo glielo avesse permesso.

  Fortunatamente, l’incantesimo di Hypnos era dettato unicamente dal legame con potere magico del suo creatore, e con la morte di quest’ultimo gli effetti svanirono nell’arco di brevissimo tempo.

  Nadeshiko riaprì gli occhi mentre tutti erano ancora girati verso Toshio, ma ad un suo gemito Keita e gli altri guardarono nuovamente nella sua direzione.

  «Nadeshiko! Grazie al cielo stai bene.»

  «Keita. Ma che… che è successo?»

  «Non ti preoccupare. Ora è tutto finito».

  Fino a poco tempo prima Toshio sarebbe stato felicissimo di sapersi guardato da Nadeshiko, ora invece sentiva che il suo essere mostruoso non era degno di incontrare quei suoi occhi così gentili e luminosi e che, a giudicare dalla loro espressione, avevano già intuito la presenza di qualcosa di strano nel corpo del guerriero.

  «Toshio…»

  «No…» disse con espressione sconvolta, camminando all’indietro «Non mi guardare…».

  La frustrazione e la vergogna verso sé stesso alla fine esplosero, ma questa volta se non altro fu lui a liberare volontariamente una parte del suo potere, permettendo a quelle ali nere di grande bellezza di comparire nuovamente dietro la sua schiena.

  «State lontani da me!» gridò spiccando il volo.

  Nadeshiko lo chiamò, gli disse di tornare indietro, ma lui, veloce come non mai, scomparve in brevissimo tempo inghiottito dalla notte, e alla a quel punto non rimase che piangere mentre il cuore le andava in pezzi.

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!

Non c’è niente di meglio di un secondo 27 per dare la carica necessaria a comporre a tempo di record un nuovo capitolo.

Ormai, come è facile intuire, siamo quasi alle battute conclusive, ed è una questione di tempo prima che tutti i nodi vengano al pettine.

Ancora due o tre capitoli e avrà inizio l’incipit degli eventi che culmineranno con la battaglia finale.

Ringrazio Selly e Akita per le recensioni.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 26
*** Verità Nascoste ***


25

25

 

 

Toshio continuò a volare incessantemente per ore e ore, cambiando continuamente direzione senza alcuna meta precisa.

  Non gli importava dove andasse, voleva solo mettere quanta più distanza possibile tra sé e i suoi amici.

  Restare con loro sapendo che in qualsiasi momento avrebbe potuto attentare alla loro vita era un terrore troppo grande da sopportare.

  Se avesse fatto loro qualcosa, se avesse anche solo tentato di aggredirli, e di aggredire Nadeshiko, neppure il suicidio sarebbe stato per lui un castigo sufficiente ad espiare.

  La sua testa era piena di pensieri, visioni angoscianti, e il ricordo di ciò che aveva fatto lo tormentava incessantemente, martellandogli la testa come un fabbro farebbe con la sua incudine, e la sua coscienza tuonava parole di rimprovero, etichettandolo con lo stesso termine usato da Hypnos: mostro.

  Quando, dopo lungo tempo, decise di provare a scendere di quota per cercare di capire dove fosse finito, si accorse di stare sorvolando Venezia.

  Forse, pensò, l’istinto lo aveva condotto in uno dei pochi luoghi nei quali sapeva di poter trovare conforto e protezione, e visto anche che tutte quelle ore spese a girare da una parte all’altra sui cieli di mezza Europa lo avevano del tutto sfiancato puntò verso la città, atterrando proprio davanti alla porta d’ingresso della canonica di Padre Andersen.

  Le luci erano tutte spente, ma essendo quasi le quattro del mattino era più che naturale, visto e considerato che in città non vi erano più partecipanti al torneo.

  Avvicinatosi suonò il campanello, ma dopo trenta secondi nessuno era venuto ad aprirgli, e neppure era stata accesa alcuna luce; provò ancora, altre due o tre volte, ma il risultato fu sempre lo stesso, e la cosa a quel punto cominciò a sembrargli strana: Andersen, che aveva vissuto per un certo periodo nella città di Nepthys poco prima dell’inizio del torneo, aveva fama di avere il sonno molto mite, e bastava un niente per svegliarlo.

  Evidentemente in casa non c’era, ma se fosse stato davvero così dove poteva essere?

  Toshio decise di provare a cercarlo in chiesa, ed uscito dal giardinetto raggiunse il grande portone ligneo che dava direttamente sulla calle, trovandolo, come previsto, aperto: anche se a Venezia non c’erano più scontri capitava, come nel caso in questione, che qualche partecipante avesse urgenza di incontrare uno dei giudici, e visto che quasi sempre si trattava di agenti dei vari villaggi che operavano sotto copertura i luoghi che essi presiedevano, in questo caso un centro di culto, erano sempre a disposizione.

  All’interno, la chiesa era buia e deserta.

  Di dimensioni ridotte, e risalente al quattordicesimo secolo, ospitava due file di panche e un altare di modesto prestigio, e da secoli era la sede ufficiale dei giudici stanziati a Venezia; l’assegnazione dei giudici era la stessa dai tempi dell’istituzione del torneo, e le varie sedi erano state a suo tempo ripartite fra le sette tribù al fine di creare una rete il quanto più possibile variegata, per evitare favoritismi, e nel caso specifico il giudice assegnato alla città di Venezia, così come all’intera Italia Settentrionale, era stato un membro del Clan di Nepthys.

  Del religioso, però, non vi era traccia, e regnava il più assoluto silenzio.

  Toshio stava quasi per tornare indietro, senza per la verità avere la minima idea di dove andare o cosa fare, quando, subito prima di uscire, notò con la coda dell’occhio che la porticina dietro l’altare che immetteva in sagrestia e quindi in canonica era socchiusa.

  Forse Padre Andersen era da poco passato di lì, ma comunque valeva la pena di dare un’occhiata, quindi il ragazzo raggiunse rapidamente la porta e, chiusasela alle spalle, entrò nell’abitazione.

  Anche la canonica, come la chiesa, era buia e silenziosa, e poiché la stanza da notte era proprio accanto all’ingresso secondario Toshio si avvide subito che il letto non solo era vuoto, ma era anche completamente fatto, segno che Padre Andersen non era neppure andato a dormire quella sera.

  «Ma dove può essere?».

  Nel camminare per il salotto in cerca di qualche indizio che potesse aiutarlo a capire dove fosse andato a finire Andersen, il ragazzo incespicò accidentalmente su una piastrella malmessa del pavimento, e per evitare di cadere si aggrappò istintivamente ad una lampada a muro appesa accanto all’arco che immetteva in cucina.

  L’asta d’ottone si abbassò di alcuni centimetri, e un leggero rumore di carrucola preannunciò la comparsa, proprio al centro del salotto, di una botola quadrangolare nascosta sotto il tappeto e larga pressappoco un metro, oltre la quale si stagliava una stretta e ripida scalinata che scendeva nelle viscere della terra.

  «E questo cosa…» mugugnò Toshio cercando di scorgere qualcosa nel buio di quell’anfratto.

  La curiosità di scoprire cosa ci fosse di così prezioso lì sotto da nasconderlo in quel modo superò la consapevolezza che, di qualunque cosa si trattasse, il suo contegno di principe avrebbe dovuto trattenerlo, quindi Toshio, poggiato il primo piede, cominciò a scendere lentamente la scala, facendo bene attenzione a non inciampare su quei gradini così stretti e scivolosi.

  Il buio era totale, anche dopo che la botola si fu richiusa, probabilmente a causa di un qualche specifico dispositivo, ma andando a tentoni Toshio non faticò a proseguire nella sua discesa, anche perché la scala scendeva dritta senza biforcazioni o intermezzi pianeggianti.

  Ad un certo punto, dopo trenta secondi buoni di camminata nell’oscurità, sul fondo cominciò ad intravvedersi una luce, e appena il giovane guerriero raggiunse finalmente il fondo della scalinata il suo stupore fu grande.

  La stanza in cui era arrivato era di forma perfettamente quadrangolare di circa sei o sette metri per lato, completamente spoglia. Il solo elemento di arredo erano una colonna posta esattamente al centro su cui era poggiato uno stranissimo oggetto: sembrava un tubo, un tubo di vetro, alto una quindicina di centimetri, con due estremità in oro tempestate di pietre preziose.

  La colonna fungeva anche da fulcro per un enorme circolo magico le cui linee erano state ricavate intagliando direttamente il freddo pavimento di pietra, e brillava di una luce azzurrina; a giudicare dalle iscrizioni che riempivano i muri, soprattutto in arabo e in latino, si intuiva che quella stanza esisteva da almeno sei secoli.

  Toshio era confuso, e non sapeva cosa pensare: il circolo magico inciso sul pavimento, a prima vista, gli giungeva del tutto nuovo, ma subito dopo avergli poggiato sopra un piede avvertì una sensazione stranissima, come un capogiro, accompagnato da un senso di familiarità.

  Quella sensazione divenne sempre più forte man mano che si avvicinava al centro, e quando fu a tu per tu con il tubo di vetro al semplice fastidio si sostituì un dolore indicibile.

  «Ma cosa…» mugugnò tenendosi la testa con entrambe le mani «… che mi sta succedendo!?».

  Il dolore divenne in poco tempo insopportabile, a cui si aggiunse dopo poco un fischio tale che Toshio temeva per i propri timpani, oltre che per la propria sanità mentale; era come se qualcosa nella sua testa si fosse improvvisamente ridestato, e più il dolore si faceva forte più gli sembrava di impazzire, mentre valanghe di cose, ricordi forse, ma anche sensazioni ed emozioni, andavano montando dentro di lui.

  Quel tubo sembrava essere la fonte di tutto; lottando col dolore Toshio provò a toccarlo, ma il suo dito andò a scontrarsi con una barriera invisibile che lo proteggeva; in altri tempi avrebbe avuto ragione di uno scudo tanto leggero senza alcuna difficoltà, ma ormai il dolore gli impediva persino di pensare razionalmente.

  All’improvviso, la luce del circolo magico su cui stava poggiando i piedi si trasformò in un bagliore accecante, e subito dopo una serie di immagini cominciarono a scorrere davanti agli occhi del guerriero sgorgando direttamente dalla sua mente.

 

Nepthys

251 a.C

Palazzo Reale

 

Il giorno fatidico era dunque arrivato.

  Affacciato dal balcone delle sue stanze private, il giovane Touya, principe di Nepthys e futuro erede al trono, osservava, non senza una certa invidia, la vita che si svolgeva appena fuori dai confini del palazzo reale.

  La piazza del mercato era affollata di persone, e i mercanti giunti da ogni angolo del continente esponevano con fierezza i propri prodotti, richiamando attorno a sé nugoli di persone. C’erano gli egizi, carichi di grano, i nubiani, con il loro argento, gli arabi, con le pietre preziose e gli stupendi cavalli bianchi, e gli abitanti delle foreste vergini del sud, pieni di frutta e con tanti di quei diamanti da poter comprare un intero regno.

  Nepthys, la perla del deserto, aveva da sempre fondato la propria ricchezza sul suo ruolo di centro di scambi, e chiunque viaggiasse dal sud al nord passava obbligatoriamente da lì, contribuendo ad aumentarne la grandezza.

  Più in là, la città bassa, coi suoi vicoli stretti e ondulati privi di schema in cui correvano e giocavano eserciti di ragazzini e dove si poteva assistere alla vita quotidiana della gente comune.

  Le mura, guardate a vista da decine di uomini armati, pronti a respingere qualsiasi tentativo d’assalto da parte delle numerose bande di nomadi predoni che affollavano il deserto, e subito oltre i campi coltivati, resi fertili dall’abbondanza di acqua di cui la città, che sorgeva al centro di una enorme oasi, non aveva certamente penuria.

  Suo padre il re ripeteva spesso a Touya che un giorno tutto quello che vedeva ogni giorno oltre il suo balcone un giorno sarebbe stato suo, e che quando ciò fosse accaduto avrebbe dovuto dimostrare a tutti di poter essere un grande sovrano, degno di colui che lo aveva preceduto.

  Per il principe, però, la prospettiva di dover sedere su di un trono da cui governare una città persa nel deserto, per quanto ricca e sfarzosa, era tutto fuorché allettante: lui era nato per essere un guerriero, e più di ogni altra cosa desiderava conoscere il mondo. Proprio per questo aveva accolto con gioia la notizia che il compito di rappresentare Nepthys al prossimo grande torneo sarebbe stato suo, perché questo gli avrebbe finalmente dato la possibilità di viaggiare al di là del mare a nord, verso quel continente lontano che da secoli si avviava a diventare il centro del mondo, e in cui negli ultimi anni avevano cominciato a sorgere fulgidi esempi della civiltà del domani.

  Purtroppo, come prescriveva la legge, prima di andare a rischiare la propria vita in una competizione dalla quale avrebbe anche potuto non tornare il principe doveva per forza prendere moglie e mettere al mondo un erede che potesse prendere il suo posto, garantendo la continuità di una stirpe che discendeva direttamente dai grandi faraoni d’Egitto, i figli del sole.

  Per uno strano scherzo del destino, poi, quella che il principe considerava come la più grande delle seccature si era rivelata anche un’irripetibile occasione per mettere fine ad una rivalità storica con il potente città di Xi-Siang, che aveva la sua dimora in un punto remoto dello sterminato continente orientale.

  Xi-Siang era probabilmente il villaggio più evoluto fra quelli che prendevano parte al torneo, sia culturalmente che militarmente, tanto che nel tempo aveva intrattenuto rapporti con altri due villaggi situati poco distante, appartenenti rispettivamente al clan Borjigin e al clan Yoshida, creando una solida amicizia fondata su scambi culturali e matrimoni combinati.

  Tra Xi-Siang e la tribù di Nepthys non vi era mai stato buon sangue, poiché i sovrani di Nepthys avevano spesso avversato quella che ritenevano una manovra volta a conquistare una posizione di supremazia sulle altre città, fra le quali per regolamento imposto dalla divina Isis in persona doveva vigere sempre e comunque uno stato di uguaglianza, e non vi era niente di meglio di un nuovo matrimonio reale per tacitare decenni di tensione e siglare una pacifica alleanza.

  La prescelta era la figlia terzogenita dell’imperatore Wu-Lao e della regina Yuriko, quest’ultima proveniente dal Clan Yoshida, e malgrado nessuno all’infuori della sua città non l’avesse mai vista si sentivano grandi storie sulla sua inarrivabile bellezza.

  Malgrado ciò tuttavia il principe Touya non poteva fare a meno di considerare la cosa come una vera e propria seccatura, e malgrado gli fosse stato detto più e più volte che nessuno lo avrebbe mai costretto a sposare una donna di cui magari, alla fine, non si sarebbe innamorato sapeva che quasi tutti in città si auguravano che la cosa andasse a buon fine, soprattutto ora che il nuovo torneo era alle porte.

  Proprio come il principe aveva previsto, quella mattina, poco prima dell’ora prevista per l’arrivo della principessa, che sarebbe stata accompagnata dall’imperatore in persona, il re suo padre si presentò nei suoi alloggi.

  Era un uomo prestante, di bell’aspetto, con lunghi capelli neri raccolti in una coda che ricadeva sulla spalla destra e un volto sempre sorridente, che tuttavia trasmetteva un senso di austerità e di soggezione che suscitava un enorme rispetto.

  A differenza dei re suoi predecessori, che prediligevano il bianco, lui aveva scelto il nero come colore per la maggior parte dei propri abiti; anche la sua veste regale, una tunica larga a maniche grosse che celava completamente la sua figura, era nera.

  Touya non si girò quando lo sentì alle proprie spalle, ma non certo per una mancanza di rispetto nei suoi confronti; non voleva ammetterlo, ma guardarlo gli trasmetteva un senso di paura, e malgrado il re tenesse il più delle volte gli occhi chiusi si sentiva sempre il suo sguardo addosso, una cosa che decisamente non gli piaceva.

  «Figliolo.» disse con tono pacato, degno di un genitore modello «Credo di capire come tu debba sentirti in questo momento.

  Ti è stata messa sulle spalle una grande responsabilità, e ti prego di credermi se ti dico che non avrei voluto che tutto ciò accadesse.»

  «Non hai motivo di giustificarti, padre. So bene come vanno queste cose.»

  «Sei mio figlio, e non voglio che il bene per te. Ma ti chiedo, con tutto il cuore, di tenere a mente la delicatezza della situazione.

  Il villaggio di Xi-Siang è molto potente, e la famiglia Li gode di notevole prestigio presso l’imperatore cinese. Per duecento anni abbiamo permesso al germe del sospetto di albergare fra le nostre genti, ma non possono esserci dissensi tra di noi con l’approssimarsi del nuovo torneo.

  Concedere la mano della propria figlia è un atto di grande fiducia da parte dell’imperatore Wu-Lao.»

  «Ne sono consapevole.»

  «Non ti sto imponendo di accettare il matrimonio. Ti chiedo solamente di prendere in considerazione la cosa, ma comunque vada sappi che qualunque sarà la tua decisione nessuno ti giudicherà».

  Il principe a quel punto si volse, guardando suo padre, che gli rivolse un nuovo sorriso.

  «Ti ringrazio, padre».

  In quella, un uomo di mezza età, quasi calvo ma con una folta barba nera e vestito in modo nobiliare entrò nella stanza: era Nazim, il gran visir del re nonché suo più fidato generale..

  «Mio signore. Gli ospiti che attendevate stanno arrivando nella sala del circolo magico.»

  «Molto bene, veniamo subito. Grazie.»

  «Dovere».

  Ecco.

  Ormai era in ballo, poteva solo ballare.

  Avviandosi dietro al padre come verso il patibolo, il principe raggiunse la grande sala circolare al centro del palazzo sul pavimento della quale era inciso un grande pentacolo; ogni villaggio ne aveva uno, e si diceva che fossero stati creati da Isis in persona, e i sovrani delle varie tribù, ma anche rappresentanti ufficiali e ambasciatori, potevano usarlo per spostarsi istantaneamente da un punto all’altro del globo nello spazio si un batter di ciglia.

  Come padre e figlio varcarono la soglia il pentacolo incominciò a circondarsi di luce, e dopo che questa si fu diradata al centro del simbolo erano comparse due figure, entrambe vestite con sontuosi abiti cinesi, un uomo di età piuttosto avanzata con barba e baffi acconciati alla maniera degli imperatori cinesi, e una giovane ragazza.

  Touya guardò la ragazza quasi per caso, e fu come se un fulmine lo avesse colpito in pieno sventrando il soffitto.

  Sembrava… in nome del cielo, sembrava una dea!

  Doveva avere pressappoco la sua stessa età, forse qualche anno di meno, ma il suo fascino era qualcosa di accecante, quasi di soprannaturale; i capelli, castani e corti, erano fluenti come la seta, gli occhi due smeraldi che brillavano di luce viva.

  Il suo sorriso era carico insieme di innocenza e di altruismo, e tutto sembrava fuorché una persona capace di provare sentimenti negativi.

  Il principe non aveva mai dato peso alle attenzioni femminili, ed era convinto che mai lo avrebbe fatto, ma davanti ad una così incantevole creatura tutte le sue certezze erano miseramente crollate nel giro di un istante.

  Forse inconsapevole della folgorazione avuta dal figlio, il re fece gli onori di casa facendo un rispettoso inchino al suo parigrado.

  «Felice di fare la vostra conoscenza, imperatore Wu-Lao.»

  «L’onore è tutto mio, re Clow.» rispose il sovrano cinese inchinandosi in egual misura «La vostra fama di mago e di alchimista vi precede. Ero ansioso di fare la vostra conoscenza.

  Permettetemi di presentarvi mia figlia. La principessa Nadeshiko.»

  «Piacere di conoscervi, re Clow.» disse lei inchinandosi a sua volta con rispetto

  «Piacere mio. Questi è mio figlio, nonché mio erede alla guida del regno. Il principe Touya».

  Solo allora tutti si accorsero dell’evidente agitazione del principe, che non staccava un momento gli occhi dal volto della principessa e arrossiva paurosamente se lei faceva altrettanto; i due sovrani accolsero quel fatto con gioia e soddisfazione, perché stava a significare che il primo passo verso l’alleanza era stato compiuto con successo.

  Ora si trattava di passare al secondo, e fu re Clow a prendere l’iniziativa.

  «Touya. Io e sua eccellenza Wu-Lao abbiamo degli argomenti da discutere nella sala del trono. Perché intanto tu non accompagni la principessa a fare un giro per il palazzo?»

  «U… u… un giro!?»

  «Sì. Così potrete conoscervi».

  Touya avrebbe tanto voluto rifiutare, ma con quel poco di lucidità che gli era rimasta intuì subito quali fossero le intenzioni dei loro genitori, e fu così probabilmente anche per la principessa, dal momento che anche lei, al pensiero, arrossì terribilmente.

  Seppure agitati, i due ragazzi si incamminarono da soli per i corridoi del palazzo, e anche se all’inizio nessuno dei due aveva la forza e il coraggio di aprire bocca con il passare dei minuti si cominciò a rompere il ghiaccio, e quella che entrambi si erano inizialmente augurati essere una breve occasione di incontro si trasformò in una piacevole passeggiata senza meta che proseguì anche negli incantevoli giardini reali, tra siepi ben curate, alberi da frutto, magnifiche statue provenienti dai paesi al di là del mare e fontane di grande impatto visivo.

  Più passava il tempo più scoprivano di avere molta più affinità di quanto i loro caratteri diametralmente opposti potessero lasciare intendere; Touya era schivo e riservato, e difficilmente intratteneva discussioni con qualcuno, Nadeshiko invece aveva una personalità solare e gentile, ma proprio per questo, per l’essere così diversi, erano attratti l’uno dall’altra.

  «Mio padre mi ha parlato di te in questi ultimi giorni. Dice che sei un grande guerriero.»

  «È così, o almeno spero che lo sia. Tu invece sei molto brava con la magia.»

  «Molto brava, sono fondamentalmente una novizia. Mia madre è bravissima. Oltre ad essere una principessa del clan Yoshida è anche una miko di grande esperienza. È lei che mi fa da insegnante.»

  «Come mai è andata in sposa all’imperatore di Xi-Siang?»

  «Il nostro clan deve molto alla famiglia Li. L’isola da cui proviene mia madre è un posto bellissimo, ma la sua popolazione è ancora molto primitiva. È stato il villaggio di Xi-Siang a fornirci conoscenze e cultura superiori che noi abbiamo iniziato segretamente a diffondere.

  Il matrimonio è stato un gesto di riconoscenza.»

  «E tu? Cosa pensi di ciò che ti è stato chiesto di fare?»

  «Anche se all’apparenza può sembrare il contrario, sono una persona incredibilmente testarda. Se una cosa non mi piace mi impunto coi piedi e non c’è verso di farmi cambiare idea.

  Malgrado tutto però sono fedele alla mia gente, e mio padre è sempre stato una persona molto comprensiva, perciò quando mi hanno detto che sarei dovuta andare in sposa ad un principe straniero lui ha ribadito che se non avessi provato qualcosa per lui avrei potuto tirarmi benissimo indietro.»

  «Hanno detto la stessa cosa anche a me».

  La principessa a quel punto si fermò, e prendendogli una mano costrinse Touya a fare altrettanto; si guardarono a lungo, lei sorridendo lui nascondendo a fatica il proprio imbarazzo.

  «Ti conosco solo da un’ora, ma capisco già che sei un ragazzo sensibile. Una qualità rara in un principe.»

  «Tu invece sembri tanto ingenua.» rispose Touya riacquistando il proprio contegno «Ma in realtà sei dotata di grande personalità.

  Questo però, non toglie nulla alla tua purezza».

  Nascosti dietro ad una siepe, i due sovrani osservavano con gioia e soddisfazione il primo sguardo d’amore che i due figli si stavano scambiando, ed entrambi sapevano che da quel momento in poi le cose avrebbero potuto solo migliorare.

 

Tre mesi dopo il loro primo incontro Touya e Nadeshiko si sposarono, suggellando così una solida alleanza tra i rispettivi clan che fu ulteriormente rinsaldata quando, un anno dopo, Nadeshiko diede alla luce una bambina che, come lei aveva sperato più volte durante la gravidanza, fu chiamata Sakura.

  La gioia per due eventi tanto lieti venne purtroppo guastata nel momento in cui re Clow, che dopo la nascita della nipote per tre anni era stato il più affettuoso e premuroso dei nonni, venne improvvisamente a mancare a seguito di una grave malattia che ne aveva rapidamente debilitato il corpo, portandolo in breve tempo alla morte.

  Touya ne prese quindi il posto a soli ventun’anni, diventando così il più giovane sovrano nella storia della tribù, e pochi mesi dopo l’incoronazione partì verso nord per prendere parte al torneo, dal quale era tornato vincitore e coperto di gloria.

  Nel corso della competizione aveva dato prova di una nobiltà d’animo e di un’abnegazione al proprio dovere assolutamente senza pari: non aveva ucciso nessuno degli avversari con cui si era misurato, aveva osservato a pieno le regole senza mai sottrarsi allo scontro o agire in modo da poter essere considerato un codardo, e trovatosi faccia a faccia con il dio Seth lo aveva piegato dopo uno scontro all’ultimo sangue.

  La fama che si era creato al suo ritorno a Nepthys era quella di un eroe leggendario, che contribuì a fare di lui l’icona stessa del guerriero che avrebbe dovuto prendere parte al grande torneo, con il suo coraggio, il suo senso dell’onore e la sua dedizione alla causa.

  Lui ripeteva spesso che a guidare le sue azioni erano sia il senso del dovere sia il desiderio di tornare dalla sua famiglia, e infatti la prima cosa che fece dopo essere tornato a Nepthys fu correre ad abbracciare la moglie e la figlia, che a lungo erano rimaste chiuse nelle loro stanze pregando per la sua sicurezza.

  Ora che il torneo era passato non vi era più nulla che potesse minare la felicità dei due ragazzi, determinati come non mai a spendere al meglio ogni secondo che la vita avrebbe permesso loro di trascorrere insieme, ma sembrava proprio che il destino avesse in programma ben altri progetti per loro.

  Fu proprio la fama che Touya si era guadagnato combattendo nel torneo a segnare la loro rovina.

  Un giorno di marzo il gran visir, che si era partito già da qualche mese alla volta di una non meglio identificata destinazione assieme ad alcuni esponenti della nobiltà cittadina, sulla via del ritorno mandò un esploratore a palazzo per informare il re e la regina di una questione della massima importanza di cui doveva discutere con loro il più presto possibile, pregandoli quindi di raggiungerlo presso le rovine di un vecchio villaggio ad una ventina di chilometri dalla città, nel bel mezzo del deserto.

  Touya e Nadeshiko raggiunsero il luogo in questione sul fare dell’alba dopo aver cavalcato tutta la notte, in modo da evitare il caldo e il sole che per la regina, essendo nata e cresciuta nelle fertile pianure cinesi, erano particolarmente nocivi, accompagnati da una decina di uomini di scorta.

  Il villaggio in questione secoli addietro era stato un insediamento di pastori, ma a seguito dello spostamento delle tratte mercantili i suoi abitanti se ne erano progressivamente andati, e ormai non ne rimaneva altro che pochi edifici di forma quasi cubica in fango secco lasciati all’incuria, alcuni dei quali mezzi crollati e semi-sommersi dalla sabbia.

  «Tu sai di cosa vuole parlarci Nazim?» domandò Nadeshiko mentre Touya la aiutava a scendere da cavallo

  «Il messaggero non me l’ha detto, ma pare sia una cosa molto urgente.»

  «E perché ha voluto che venissimo proprio qui?»

  «Lo sai come è fatto. Vede spie e nemici in ogni dove. Vorrà essere sicuro della segretezza.»

  «Spero non sia una cosa lunga. A Sakura non piace restare da sola».

  Dopo qualche minuto dal loro arrivo il visir raggiunse a sua volta la piazzetta del villaggio seguito da due suoi uomini.

  «Benvenuti, miei signori.»

  «Salute, Nazim.» rispose Touya «Allora, cosa c’è di così grave per farci accorrere in tutta fretta nel bel mezzo del niente?»..

  A quella domanda il visir si incupì, facendosi serio, per non dire affranto; Touya se ne accorse, e contemporaneamente Nadeshiko avvertì qualcosa di strano nell’aria, qualcosa di minaccioso.

  «Nazim…»

  «Mio signore… mi dispiace tanto… se solo ci fosse stato un altro modo, io…»

  «Ma di che stai parlando?»

  «Sono desolato. Ma non c’è altra scelta».

  Il visir fece un cenno con le dita, e in pochi secondi un gran numero di soldati armati fino ai denti sbucò da ogni possibile nascondiglio circondando i due sovrani e la loro scorta, che venivano tenuti sotto tiro anche da numerosi arcieri appostati sui tetti vicini.

  «Che significa?» tuonò il re stupito e infuriato

  «Mi dispiace, mio re. La tua forza è troppo grande per poterne fare a meno. Non possiamo permettere che il tuo spirito vigoroso e il tuo cuore impavido vengano consumati dall’empietà della morte.

  Noi li conserveremo.»

  «Non so di che cosa tu stia parlando, ma questo tuo tradimento non sarà perdonato!»

  «Soldati!» gridò il capo della scorta «Proteggiamo il nostro re!»

  «Nadeshiko, tu resta indietro!» disse Touya lanciandosi all’attacco brandendo la spada d’oro.

  La battaglia esplose furiosa, ma divenne subito chiaro che quella era una causa persa: gli uomini al servizio del visir erano decisamente troppi, e la forza tanto di Touya quanto di Nadeshiko era tenuta a freno da una barriera invisibile materializzatasi all’insaputa di tutti subito dopo che il re e la regina erano entrati nel villaggio.

  Uno dopo l’altro gli uomini della scorta caddero a terra senza vita, chi ucciso dalle spade nemiche chi trafitto dagli arcieri, e pur riuscendo ad infliggere gravi perdite alle forze del visir ben presto il re e i suoi si ritrovarono solo in tre.

  Privata della possibilità di usare la magia, la sua unica arma, Nadeshiko non poteva fare altro che rimanere in disparte, protetta a vista dal capo della scorta; non sembrava che gli uomini di Nazim ce l’avessero con lei, e forse non avevano neanche in programma di ucciderla, infatti nessuno dall’inizio della battaglia aveva tentato di aggredirla.

  All’improvviso, alzando lo sguardo al cielo, la ragazza si accorse che il suo amato, impegnato in uno scontro, era sotto il tiro di un arciere, e senza pensarci si slanciò verso di lui.

  «Touya, attento!».

  Il capo della scorta, distrattosi per cercare di fermarla, fu ucciso dal nemico con cui stava duellando, e nell’istante in cui l’arciere scoccava la sua freccia lei, messasi in mezzo, fu colpita alla schiena.

  Touya, che si era accorto di ciò che stava accadendo solo all’ultimo momento, la vide sgranare gli occhi e serrare leggermente i denti a causa del dolore per poi cadergli tra le braccia.

  «Nadeshiko!» gridò terrorizzato inginocchiandosi a terra con una mano attorno alla vita e l’altra a sorreggerle la testa.

  Lei lo guardò, sorridendogli leggermente, per quanto il dolore le permettesse di farlo.

  «Sta… stai bene?»

  «Nadeshiko… perché lo hai fatto?»

  «Perché… non avrei dovuto? Io… ti amo…»

  «Nadeshiko…» balbettò il re incapace di trattenere le lacrime.

  La regina, sorridendo di nuovo, strinse leggermente il pendaglio a forma di uroboros che il suo sposo portava al collo, un dono che lei stessa gli aveva fatto dopo averlo comprato al mercato di Nepthys.

  «Sta… staremo di nuovo insieme…» disse mentre un rivolo di sangue prendeva a scenderle dalla bocca «Un giorno… staremo di nuovo insieme… te lo prometto.»

  «Non mi lasciare, Nadeshiko. Non puoi farlo… non mi lasciare… pensa a Sakura… avrà bisogno di te…»

  «Ti voglio bene… ti voglio… bene…» e, prima di poter stringere per l’ultima volta la mano del suo amato, la regina chiuse gli occhi sul mondo

  «Nadeshiko! Nadeshiko! No!».

  Nel frattempo i soldati nemici si erano tutti allontanati, quasi per rispetto di ciò che stava accadendo; anche il visir sembrava triste, tanto che aveva dato ordine di uccidere l’arciere responsabile della morte della regina, ordine puntualmente eseguito.

  «Mi dispiace.» disse rivolto al re, che inginocchiato e piangente sul corpo della sua sposa gli dava le spalle «Non volevo che lei morisse. Era una giovane dal cuore puro. Quante grandi cose avrebbe potuto fare. Avrebbe dovuto garantire il futuro della famiglia reale assieme a vostra figlia.

  È terribile pensare che la principessa Sakura crescerà priva dell’affetto di sua madre. Tornerei indietro, se solo potessi.

  Purtroppo, deve essere fatto. Ne va’ del destino del nostro mondo».

  Passarono alcuni secondi, poi Touya, smettendo apparentemente di piangere, si rialzò in piedi, volgendosi verso Nazim con il portamento e l’autorità degni di un vero re; i suoi occhi erano rossi per il pianto, ma rimasero impassibili quando gli arcieri davanti al visir tesero i loro archi tutti nella sua direzione, e nel mentre una delle due guardie che avevano seguito Nazim al suo arrivo prese dalla sua cintura un tubo di vetro con le estremità d’oro.

  «Che tu possa perdonarmi.» disse il visir, e come abbassò il braccio tutto divenne nero.

 

Ma cosa… che cosa significava?

  Tutte quelle immagini, tutti quei ricordi.

  Chi era lui veramente?

  La mente di Toshio era piena di domande, milioni di domande a cui non riusciva a dare una risposta.

  Ciò che aveva visto era davvero reale? Era davvero stato un principe di Nepthys vissuto quasi duemila anni prima?

  Ma com’era possibile? E soprattutto, che cosa c’entrava tutto ciò con quello che gli stava succedendo?

  D’improvviso il ragazzo avvertì un dolore lancinante al petto, e se lo strinse con forza fin quasi a strapparsi i vestiti.

  Era così sconvolto e spaventato da quello che gli era successo da non accorgersi di avere qualcuno alle spalle, e quando, alla fine, si girò, era troppo tardi.

  Sanak lo colpì più e più volte prima che avesse il tempo di reagire, lasciandolo inginocchiato a terra e privandolo anche di quelle poche forze che quel cerchio maledetto sul quale entrambi si trovavano gli avevano lasciato.

  «Sa… Sanak…».

  Il fratello rimase in silenzio, poi un rumore di passi che scendevano lungo la scala annunciò l’arrivo di Padre Andersen.

  «A giudicare dalla tua espressione, deduco che tu abbia già visto. In tutta onestà né io né nessun altro avremmo mai immaginato che si sarebbe arrivati fino a questo punto.»

  «Andersen… che significa tutto questo?»

  «Non l’hai ancora capito? Il tuo vero nome non è Toshio. Tu sei il Principe Touya, figlio del grande re Clow. Sei vissuto nel 300 a.C. e hai combattuto in uno dei primi grandi tornei.»

  «Allora…» balbettò Toshio comprensibilmente sconvolto «Tutto quello che ho visto… era reale!?»

  «Certo che era reale. A quanto pare i poteri che sgorgano da quest’oggetto sono grandi abbastanza da permetterti di ricordare la verità.»

  «Perché… perché mi è stato fatto questo?»

  «Non lo immagini?» domandò il sacerdote camminando in cerchio attorno al piedistallo «Eppure l’hai visto coi tuoi occhi. Molti partecipanti al torneo sono uomini privi di morale, ai quali non importa nulla di nessuno tranne che di sé stessi.

  Se avessimo lasciato le cose come stanno, se avessimo permesso agli eventi di fare il loro corso, molto presto il torneo avrebbe finito per diventare il teatro d’esibizione di un branco di sadici guerrieri interessati unicamente al proprio tornaconto, e bramosi di utilizzare il potere conferitoci dagli dèi per fini personali, tutto ciò a vantaggio di Seth e del suo desiderio di egemonia.

  I nostri antenati questo non lo potevano permettere.

  A lungo hanno cercato una soluzione che permettesse di conservare i nobili ideali e i principi fondatori che erano stati alla base dell’istituzione del torneo, in modo che il nostro mondo potesse sempre contare sui suoi difensori.

  Poi sei arrivato tu.

  Il tuo potere era a dir poco straordinario, più grande anche di quello di tuo padre, che pure era considerato un mago di classe superiore.

  Eri… sovrumano.»

  «Ero una persona come tutte le altre.»

  «No. Eri qualcosa di più. La forza, il potere, la padronanza di sé, e soprattutto la totale fedeltà alla causa. Eri l’incarnazione di tutto ciò in cui coloro che credevano nel torneo avevano sempre sperato.

  Con te a combattere per la nostra tribù saresti potuto diventare il baluardo di questo mondo nella sua eterna lotta contro l’oscurità.

  Purtroppo però, come tutti gli esseri umani, non eri immune alla morte. Era necessario trovare qualcosa per permettere almeno al tuo spirito e al potere che aveva in sé di sopravvivere all’usura del tempo».

  Andersen prese dunque il contenitore di vetro.

  «Fu tuo padre, il tuo vero padre, a fornirci la soluzione.

  Fin dalla più giovane età re Clow aveva condotto importanti ricerche in materia. Non si è mai saputo perché, ma pare fosse alla ricerca del segreto della resurrezione.

  Pur non riuscendo nell’intento, il sovrano scoprì il modo per conservare l’anima di un individuo a tempo indeterminato confinandola all’interno di uno di questi tubi, ed è esattamente ciò che i nostri antenati hanno fatto con la tua.

  Per quanto riguarda il tuo corpo, beh, quello naturalmente è andato distrutto, ma questo non era certo un problema.

  Re Clow infatti, oltre a quelle sulla resurrezione, aveva condotto studi anche sulla creazione di corpi umani simili in tutto e per tutto a quelli reali; non per niente, era un grande alchimista.

  Sfruttando le sue ricerche abbiamo creato di volta in volta dei corpi sempre più potenti che uniti all’incontrastabile forza del tuo spirito ti avrebbero reso più potente di chiunque altro».

  Toshio era sconvolto da ciò che sentiva, come del resto era naturale.

  Tutto ciò in cui credeva, tutto quello che gli era stato detto: ora comprendeva a pieno il senso delle parole di Sanak, e non era un caso se suo fratello lo guardava in modo tanto sornione, come a dire “io che ti avevo detto?”.

  «Dunque… i miei ricordi… le mie memorie…»

  «Finzioni. Create ad arte per darti un passato. Era necessario. Senza ricordi e senza emozioni non saresti stato nulla più che una macchina, e questo, oltre a svelare la nostra macchinazione, avrebbe anche potuto renderti più debole.

  Il tuo ultimo risveglio risale a tre anni fa.»

  «La caduta da cavallo…»

  «Non c’è mai stata. Le fratture che hai trovato al tuo risveglio le abbiamo provocate noi per rendere credibile la storia. A dire il vero in passato erano state create per te memorie complete e molto più articolate, ma questa volta ci siamo ritrovati nella situazione di dover dedicare le nostre attenzioni su qualcos’altro, qualcosa di ben più importante».

  Toshio, per quanto poco fosse in grado di riflettere in una tale situazione, impiegò poco a capire di che cosa Padre Andersen stesse parlando.

  «Il Μένος Aδηλος!?».

  Il sacerdote ghignò malignamente, facendo sparire del tutto quell’espressione gioviale e amichevole che Toshio aveva tanto ammirato.

  «Come ti ho detto, volevamo per te il migliore dei corpi.

  Il caso ha voluto che cinque anni fa i nostri esploratori inviati in tutto il globo alla ricerca di cavie su cui compiere studi e ricerche si siano imbattuti in colui che custodiva dentro di sé il potere del Μένος Aδηλος. Era un’opportunità irrinunciabile.

  Lo abbiamo ucciso, abbiamo recuperato il suo potere e lo abbiamo inserito dentro il corpo che avevamo precedentemente preparato, quello in cui ti trovi al momento, ma quando abbiamo fatto il primo test sul risultato finale è venuto fuori un problema non indifferente.»

  «Che tipo… di problema?»

  «Il Μένος Aδηλος è un potere sconosciuto, di cui sappiamo molto poco, ma una cosa certa è che esso si adatta al corpo che lo ospita.

  Il tuo corpo, per quanto potente, non gli apparteneva, e pertanto esso sfuggiva al nostro controllo, minacciando di distruggere il suo ospite. Occorreva trovare qualcosa che lo tenesse a freno, e per l’ennesima volta è stato re Clow a fornirci l’aiuto necessario, questo grazie alla sua ultima, grande scoperta.»

  «Di che scoperta parli?»

  «La più grande di tutte. Il sogno segreto ricercato e anelato nel corso del secoli da migliaia di persone. Il potere della pietra filosofale!»

  «La… la pietra filosofale!?»

  «Tuo padre riuscì a crearla molto tempo fa, e la nascose nei sotterranei del palazzo. Fu ritrovata per puro caso qualche secolo dopo da uno dei suoi discendenti. Fra i suoi innumerevoli poteri vi era anche quello di arginare e tenere sotto controllo il Μένος Aδηλος ».

  Toshio, attonito, si toccò il torace, da cui sentiva provenire ancora quel dolore sommesso, e allora capì.

  «Quella pietra… è dentro di me!?»

  «Esatto. L’abbiamo inserita nella speranza di arginare il Μένος Aδηλος permettendoti nel contempo di utilizzarlo, e il risultato è stato straorinario.

  Sfortunatamente tutto ciò ha richiesto tempo, e ormai il torneo era alle porte, pertanto non abbiamo potuto dedicarci alla scrittura delle tue memorie, e abbiamo creato la storia dell’amnesia per giustificare tale mancanza».

  Al dolore e allo sgomento seguì in Toshio una rabbia senza fine.

  Lui… era stato costruito! L’avevano smontato e rimontato come si farebbe con una bambola, avevano giocato con la sua vita e i suoi sentimenti, si erano arrogati il diritto di decidere per lui, usandolo come stendardo da mandare al macello per poi essere nuovamente addormentato in vista del torneo successivo.

  Strinse il pugno, rosso di collera; se il cerchio magico non lo avesse privato della sua forza, si avrebbe sicuramente avventato su Andersen per tagliargli la gola.

  «In quanti sapevano?»

  «Sapevano cosa? La verità? Oltre alle persone presenti qui solo pochi altri a Nepthys erano a conoscenza di cosa vi fosse realmente dietro alla selezione del candidato prescelto a rappresentare la nostra gente al grande torneo. Alcuni membri fedeli della nobiltà, qualche cittadino di un certo prestigio, e naturalmente il re Akunator.»

  «Mio padre!? Lui… sapeva!?»

  «Certo che sapeva. E ha dimostrato molto meno coraggio dei re che lo hanno preceduto. Lui la chiamava una barbarie, diceva che non avevamo il diritto di giocare con la tua anima.

  So bene quanto tu debba sentirti infuriato, ma cerca di capire. Credi che il nostro mondo esisterebbe ancora se non fosse stato per te e per il tuo operato?

  Forse non hai vinto tutti i tornei, ma hai sempre fatto in modo che tutto coloro che vedevano nella luce di Amon-Ra un potere da usare per fini personali non arrivassero mai a metterci le mani sopra.

  Alla luce di tutto ciò, non ti pare questo sia un piccolo prezzo? La tua dedizione alla nostra causa dovrebbe spingerti a credere di sì.

  Per non parlare del fatto che ti abbiamo garantito l’immortalità. Hai idea di quanti altri avrebbero voluto essere al tuo posto?».

  Toshio urlò con tutto il suo fiato, ed evocata la sua spada si scagliò contro Andersen; Sanak fece per intervenire, ma il religioso gli fece segno di restare in disparte, e affondate le mani nel cappotto che indossava ne cavò fuori due coltellacci lunghi e sottili, come delle baionette.

  Forse a causa della rabbia ceca il giovane guerriero venne rapidamente disarmato, ritrovandosi scoperto ed esposto; Andersen lo scaraventò violentemente contro il muro, inchiodandocelo per le braccia come su una croce per i palmi delle mani con le sue armi.

  «Come immaginavo. Hai riportato molte e considerevoli vittorie, questo non lo escludo, ma al momento stai usando solo un milionesimo del tuo effettivo potere.

  Non aver potuto scrivere decentemente la tua personalità ti ha reso un debole, succube delle emozioni in un momento in cui non te lo puoi permettere; come se non bastasse quel quartetto di mocciosi ha guastato ancor di più i piani.

  Pensavo che il loro supporto potesse risultare di aiuto, invece adesso ha finito per destabilizzarci.

  I tuoi sentimenti, le emozioni che hai dimostrato sono come un sacco pieno di mattoni; togliertelo di dosso è il solo modo per permetterti di volare.»

  «Che cosa… che cosa hai intenzione di fare?».

  Padre Andersen raccolse nuovamente il tubo di vetro dopo averlo posato poco prima per contrastare l’attacco di Toshio.

  «Niente di particolare. Richiamando nuovamente la tua anima all’interno del tubo potrò riscriverne la personalità, darti una nuova memoria.

  Libero dal vincolo dei sentimenti che ti attanagliano lo spirito, diventerai un guerriero senza rivali.»

  «La memoria che ho mi và più che bene.»

  «Ma non lo capisci? Tu sei la nostra salvezza! Ti è stato fatto dono di un potere come non se ne sono mai visti, e solo con il suo aiuto potrai sconfiggere Seth, diventato più potente che mai!

  Non ti permetterò di mettere in pericolo il destino di questo mondo, mai e poi mai!».

  Appena ebbe finito di parlare il tubo cominciò a circondarsi di una tenue luce azzurro brillante che per Toshio, per quanto fosse lontana, bruciava più del fuoco.

  «Perdonami, Toshio. Ma è necessario».

  La fiamma divenne sempre più intensa, e arrivò al punto in cui Toshio ebbe quasi la sensazione di nuotare in un mare di fuoco, il tutto mentre quell’oggetto infernale sembrava strappargli letteralmente il cuore, richiamandolo a sé.

  Le sue grida spaccavano il cuore, erano grida di puro dolore, ma né Andersen né tantomeno Sanak ne rimasero toccati, e lo stesso Sanak non fece nulla per tentare di fare qualcosa, rimanendo immobile ad osservare la scena.

  Quel supplizio lancinante durò diversi minuti, poi, nello spazio di un istante, tutto finì, e Toshio, smettendo di colpo di gridare, piegò in avanti la testa, completamente inerme; nello stesso momento, all’interno del tubo comparve una fiamma iridescente di colore bianco luccicante.

  «Questo è il tuo destino. Ti prego, non credere che per me sia facile fare una cosa del genere».

 

CONTINUA

 

 

Nota dell’Autore

Rieccomi.

Dopo due bei voti ho finito per prendere una mazzata colossale, ma questo non è bastato a frenare la mia voglia di scrivere.

Questo capitolo, come è facile ritenere, è il capitolo di svolta, e possiamo dire che con esso si chiude la parte centrale della narrazione.

A partire dal prossimo, infatti, entreremo nella fase conclusiva, in un vortice di eventi che condurranno fino allo scontro finale.

Ringrazio Selly, Akita e Cleo per le recensioni.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 27
*** Incontri ***


26

26

 

 

«La sua anima è rinchiusa.» disse Padre Andersen osservando la fiamma luminescente che ardeva all’interno del tubo «Ora si tratta di riscriverne i ricordi, e poi sarà tutto finito. Prepariamo ogni cosa per il rituale.

  Sanak, mi hai sentito?».

  Il principe di Nepthys però era assente, e osservava, apparentemente con la sua solita impassibilità, il corpo di suo fratello, ormai privato dello spirito e ridotto a nulla più di un guscio vuoto.

  In altri tempi sarebbe stato felice di vederlo ridotto in quello stato, ora invece la cosa gli creava un misto di rabbia e smarrimento; forse era per il fatto di non essersi realmente confrontato con lui, in modo da poter dimostrare a tutti, ma soprattutto a stesso, di essergli superiore.

  «Posso capire come ti senti.

  Mi dispiace che sia andata a finire così. Ma guarda il lato positivo. Quando si risveglierà, la sua forza sarà cento volte più grande di adesso, e sconfiggerlo ti procurerà un senso di appagamento ancor maggiore».

  Magari fosse stato così semplice.

  Non era solo quello, o almeno era ciò che Sanak pensava. C’era anche dell’altro, un che di sconosciuto che gli faceva trovare tutto ciò che stava accadendo, se non sbagliato, quantomeno contestabile.

  Alla fine però l’odio che provava per Toshio, colui che gli aveva tolto il suo più grande sogno nonché l’affetto vero di suo padre ebbe il sopravvento, e il principe, recuperato il piedistallo, lo tolse dal disegno sul pavimento, permettendo a padre Andersen di posizionarcisi al centro.

  Il cerchio si illuminò, e la fiamma di poco prima avvolse nuovamente sia il contenitore che il religioso.

  Tutto sembrava procedere per il verso giusto, ma proprio quando padre Andersen stava per iniziare la riscrittura dei ricordi l’incantesimo cominciò ad andare fuori controllo; la luce si fece intermittente, e la fiamma all’interno del tubo parve quasi chiudersi su sé stessa come un riccio.

  «Ma cosa…» disse Andersen sorpreso.

  Saette e scintille presero, non particolarmente potenti ma di certo suggestive e del tutto fuori programma, presero a schizzare in tutte le direzioni, poi il circolo magico si spense del tutto.

  «Che sta succedendo?» domandò Sanak

  «Non ne ho idea».

  Il prete chiuse gli occhi, come in meditazione, cercando di sondare lo spirito contenuto nel tubo per capire cosa potesse essere andato storto, e la risposta a tale quesito lo lasciò comprensibilmente interdetto.

  «A quanto pare la sua anima rifiuta il mio controllo.»

  «Com’è possibile?».

  Sospesa a mezz’aria comparve una sfera che sembrava fatta di acqua, all’interno della quale, come su di uno schermo, scorrevano immagini delle varie avventure capitate a Toshio nel corso del suo viaggio, con una costante: la presenza di Keita e dei suoi amici.

  «Questi ricordi sono radicati in profondità, così come le emozioni e i sentimenti ad essi legati. L’anima ci si aggrappa con tutte le sue forze, e funzionano come uno scudo.»

  «E allora che si fa?»

  «Non abbiamo scelta. La sola cosa da fare è distruggere la fonte di energia di questo scudo.»

  «Distruggere la fonte!?» ripeté Sanak allibito «Vuoi dire…»

  «Dobbiamo eliminare quei ragazzi. L’anima è più malleabile e soggetta a mutamenti quando è fuori dal corpo. Se assisterà personalmente alla loro morte le emozioni legate a loro si incrineranno a tal punto da risultare facilmente manipolabili.»

  «Sono innocenti.» replicò il ragazzo, che pur desiderando ogni male per Toshio non voleva assolutamente coinvolgere chi non c’entrava «Non c’entrano niente con noi o il torneo.»

  «Lo so, è una cosa terribile. Ma è necessario. Il principe Touya è la nostra unica speranza di sconfiggere Seth. Non possiamo permettere che il suo potere venga sprecato, non dopo tutta la fatica fatta per conferirglielo.»

  «Il re Akunator non sarebbe d’accordo.»

  «Non era d’accordo neanche sul proseguimento degli esperimenti. Se non fosse stato per tuo zio Zervan e per il consiglio dei nobili questo corpo non avrebbe mai conosciuto la vita.

  La verità è che il re non vuole accettare le proprie responsabilità.»

  «Mio padre voleva solo mettere fine a questo abominio.» disse Sanak a denti stretti «Ti rendi conto che stiamo giocando a fare gli dèi?

  La vita e la morte non sono cose di cui noi possiamo decidere. Solo le divinità possono operare in quest’ambito.»

  «Le divinità ci hanno abbandonato da tempo, ragazzo. La Luce di Amon è stato solo il loro riprovevole tentativo di tacitare la coscienza per averci abbandonati così miserevolmente al nostro destino.

  Se vogliamo salvare la nostra esistenza dobbiamo farlo da soli, e che il cielo mi perdoni se credo che quando ne va’ della sopravvivenza di un intero mondo tutto sia concesso».

  Sanak rimase in silenzio, combattuto fra il trovare un’argomentazione con cui rispondere e l’accettare il fatto compiuto. Era così preso dalla propria orazione che solo in quel momento si rese conto di stare proteggendo Toshio, la persona che maggiormente avrebbe voluto veder scomparire.

  «Si può sapere che ti prende, Sanak? Credevo che volessi tutto il male per Toshio. Dopotutto, ti ha portato via ogni cosa.»

  «Però… però io…»

  «Ora non c’è tempo per parlare. Usando i poteri del suo spirito arriveremo da quei ragazzi in men che non si dica, e quando tutta  questa storia sarà finita allora ci sarà tempo per i rimorsi di coscienza.

  Fino ad allora, obbedisci agli ordini».

 

Questa volta la scomparsa di un altro dei suoi generali, quello in assoluto su cui riponeva la maggior fiducia sia per la fedeltà dimostrata in passato sia per le sue abilità di mago e di combattente fu accolta molto male da Seth, che si vide privato di uno dei suoi migliori elementi.

  Quello che era peggio, poi, era che tutti i suoi piani riguardo a Nadeshiko e alla possibilità di portare Isis dalla sua parte erano falliti miseramente, contribuendo a svelare oltretutto la sua identità ai suoi più acerrimi nemici, i quali entro breve sarebbero potuti benissimo venire a bussare alla sua porta.

  Infuriato come non mai, il dio della distruzione sfogava la propria rabbia buttando a terra e distruggendo ogni cosa gli capitasse a tiro nella sala del trono, dai quadri seicenteschi alle colonne con poggiati sopra eleganti vasi di fiori, questi ultimi aggiunti personalmente poco tempo prima per rendere l’ambiente più vivo e raffinato.

  Nepthys, Franziska e Anubis assistevano restando in disparte; Franziska in particolare era letteralmente terrorizzata da una simile esternazione di rabbia, assolutamente non comune per lo Johan che aveva sempre conosciuto.

  Anche i suoi occhi e la sua stessa espressione erano diversi, a testimonianza del fatto che ormai in quell’individuo vi era molto poco, se non praticamente nulla, del giovane Von Karma.

  «Dannazione! Dannazione! Che vada all’inferno quel maledetto spadaccino!

  Ha rovinato tutto!».

  Quando non vi fu più nulla da distruggere il ragazzo finalmente cominciò a calmarsi, facendo dei respiri profondi per tentare di riguadagnare l’autocontrollo.

  «Al diavolo anche Isis. A distanza di ventimila anni, quella mocciosa riesce ancora ad essere una spina nel fianco.»

  «E adesso cosa facciamo, mio signore?» domandò Nepthys «Ora che conoscono la vostra identità, molto presto potrebbero venire a cercarvi.»

  «Lo so benissimo. Non c’è bisogno che tu me lo ricordi.

  Credevo di poter piegare facilmente quella sciocca ragazzina umana, ma si è dimostrata più tenace di quanto immaginassi, e alla fine è andato tutto storto.

  Ho anche perso Hypnos, il mio più fedele servitore».

  Malgrado tutto, però, alla fine il dio ghignò maleficamente.

  «Ma non importa. In un modo o nell’altro, qualcosa ho comunque ottenuto.»

  «Signore?» domandò Nepthys, che non riusciva a capire

  «Il portale fra questo mondo e la mia dimensione non si è mai richiuso. Vi ho confluito tutta l’energia di Thanatos e Selveria, energia che ho provveduto a recuperare dopo la loro dipartita. Mancava davvero poco perché diventasse utilizzabile, e l’immenso potere di Hypnos è servito allo scopo. Ora il varco è abbastanza stabile da poter essere utilizzato da una persona in carne ed ossa, e questo significa che posso mettere in comunicazione questo corpo con quella parte dei miei poteri ancora confinati nell’altra dimensione.»

  «Volete ricongiungere del tutto la vostra anima!? Ma, mio signore, i vostri poteri sono immensi. Un corpo umano non sarebbe mai in grado di ospitarli.»

  «Un corpo normale sicuramente no. Ma Johan Von Karma non è affatto normale. Egli è depositario della nostra eredità, proprio come il corpo che occupi tu. È per metà uno di noi, e la vastità del suo circolo magico ne è la dimostrazione.

  All’inizio pensavo che malgrado tutto neppure in questo modo un semplice corpo umano sarebbe stato capace di sopportare tutti i miei poteri, ma vedere Isis e ciò che è stata in grado di fare con quella dannata ragazzina mi ha fatto capire che mi sbagliavo.

  Johan ce la farà, e quando la mia anima sarà finalmente riunificata in un unico corpo neppure Isis sarà in grado di fermarmi.

  Sarò invincibile».

  In quella Ushio entrò nella stanza dopo aver annunciato la propria presenza parlando da dietro la porta.

  «Perdonatemi, mio signore.» disse inginocchiandosi «Ma c’è qualcosa che non va’

  «Di che si tratta?»

  «Non riusciamo a trovare Wei da nessuna parte. Sembra essere sparito.»

  «Che cosa!?» ringhiò il ragazzo rosso di collera «Come sarebbe a dire sparito!?»

  «Lo abbiamo cercato dappertutto, ma senza successo. Inoltre, nel deposito dei veicoli manca una macchina. È probabile che abbia lasciato il castello.»

  «Dannato vecchio bastardo. Ha deciso sicuramente di tradirmi! Intende rivelare la posizione di questo castello ai miei nemici, ne sono sicuro! Ma non glielo permetterò!

  Anubis, occupatene tu!»

  «Come desideri, mio signore.» rispose Anubis scomparendo nel nulla come una nuvola di fumo.

  Non era possibile!

  Wei era stato come un secondo padre per Johan: con che cuore ne decretava l’uccisione? Franziska non riusciva a credere alle proprie orecchie

  «Johan, ti prego!» disse con voce di supplica «Non fare del male a Wei!»

  «Ha tradito la mia e la nostra fiducia. Non vi deve essere nessuna pietà per i traditori».

  Il ragazzo le diede le spalle per tornare a parlare con Cloto, e Franziska, nell’estremo tentativo di farlo ragionare, gli corse incontro, afferrandogli un braccio.

  «Johan…».

  Prima che potesse aprire bocca lui, giratosi nuovamente con un’espressione del tutto indifferente e carica di risentimento, la colpì con un ceffone estremamente violento che la gettò a terra in uno stato di semi-incoscienza.

  Ushio e Nepthys assistettero in silenzio, rimanendo impassibili anche quando la ragazza, riavutasi dallo shock per essere stata colpita dal suo stesso fratello, rimase distesa sul pavimento piangendo disperata.

  «Quali sono i vostri ordini?» chiese Ushio

  «Non possiamo lasciare niente al caso. Ci vorranno ancora tre ore perché il varco possa essere attraversato senza rischi. Cloto, tu e le tue sorelle andate a presidiare l’ingresso. Se Anubis non dovesse fare in tempo a fermare quel bastardo di Wei, presto potremmo avere molta compagnia.»

  «Sarà fatto. Non abbiate a che temere, non gli permetteremo di avvicinarsi».

 

Dopo che Toshio se ne era andato i ragazzi erano tornati, sconsolati e preoccupati, al loro albergo, dove Nadeshiko non smetteva più di piangere.

  Del resto, la sua tristezza era comprensibile: Toshio era scomparso nel nulla, e dopo quello che aveva fatto ad Hypnos c’era da chiedersi se mai sarebbe tornato.

  Keita, Shinji e Takeru, così come Aria e Lotte, avevano deciso in comune accordo di non rivelare alla loro compagna quanto era accaduto mentre lei era priva di sensi, ma lei nonostante tutto si era accorta subito che c’era qualcosa di diverso in Toshio quando lo aveva visto subito dopo essersi risvegliata, qualcosa di oscuro, e che era stato proprio questo all’origine della sua fuga.

  Forse aveva paura di far loro del male, di metterli in pericolo se fosse rimasto, ma nonostante ciò Nadeshiko desiderava averlo vicino più di qualsiasi altra cosa al mondo.

  La brutta esperienza avuta nel mondo dei sogni non aveva fatto altro che rinsaldare e rendere ancora più forti i sentimenti che provava per lui, ma proprio quando avrebbe voluto dirglielo lui se ne era andato, allontanandosi forse per sempre.

  E poi, a tenere banco in quel momento, c’era anche la faccenda di Seth; scoprire l’identità della sua incarnazione era stato uno shock per tutti, soprattutto per chi lo conosceva bene.

  «Se me lo avessero detto non ci avrei creduto.» disse Shinji seduto su uno dei divani del salotto, rimesso a posto dopo tutto il putiferio scatenato prima dall’arrivo di Hypnos poi dai tentativi di Toshio di liberarsi dalla prigione «Johan era l’incarnazione di Seth.»

  «Questo restringe la nostra rosa di ricerca.» disse Aria «Ora sappiamo quale castello cercare. La famiglia Von Karma è molto conosciuta, sono sicura che qualcuno conosce l’ubicazione del loro castello.»

  «Aria, ma sei fuori di testa!?» esclamò Lotte «Come puoi pensare a simili sciocchezze in un momento del genere!? Toshio è scomparso, e non abbiamo la più pallida idea di dove possa essere andato!»

  «Questo è vero, ma non dobbiamo dimenticare la nostra missione. Siamo qui per sconfiggere Seth, ed è ciò che dobbiamo fare. Il master direbbe la stessa cosa se fosse qui.»

  «Tu…» ringhiò Lotte afferrando la sorella per il bavero «Come puoi dire certe cose? È di Toshio che stiamo parlando! Vorresti lavartene le mani e andare avanti come se niente fosse?»

  «Toshio è una persona responsabile.» fu la risposta schietta di Aria «Sono sicura che tornerà dopo essersi calmato. E se anche così non fosse, non abbiamo la minima idea di dove andarlo a cercare. In questo momento potrebbe essere dovunque.

  Senza contare che ora che sa che siamo qui, Seth tenterà sicuramente di accelerare i suoi piani. Se non agiamo alla svelta i suoi poteri cresceranno ancora di più, e allora sarà davvero invincibile».

  Lotte a quel punto non ci vide più e per la prima volta da che erano state create alzò le mani sulla sorella, tirandole un pugno tanto forte da buttarla a terra e farla sanguinare dal naso.

  «Basta, finitela!» disse Keita avventandosi su Lotte per impedirle di colpire ancora «Lotte, adesso calmati!»

  «Sei senza cuore! Non ti avrei mai immaginata tanto egoista!»

  «Credi davvero che non me ne importi niente di Toshio?» rispose Aria rimettendosi in piedi «Sono preoccupata quanto voi per la sua sorte. Ma non possiamo dimenticare il motivo per il quale siamo qui.»

  «Non ha tutti i torti.»

  «Shinji…» disse Keita.

  Il biondino si avvicinò a Nadeshiko, che ancora singhiozzava seduta su una sedia, e le mise una mano sulla spalla, guadagnandosi un’occhiata da cucciolo spaventato.

  «Toshio ha solo bisogno di stare da solo e di riflettere. Sono certo che ritornerà. Del resto, non è tipo da lasciare le cose a metà.»

  «Tu… lo credi davvero?»

  «Assolutamente. Del resto, ormai lo conosciamo bene. Sono certo che piomberà dal nulla quando meno ce l’aspettiamo. Nell’attesa del suo ritorno però dobbiamo approfittare dell’effetto sorpresa e attaccare Seth nella sua stessa base».

  La ragazza parve risollevarsi, tanto che riuscì perfino ad accennare un sorriso, ma Takeru, che da qualche minuto rimaneva appoggiato al muro a braccia conserte ed occhi chiusi, scattò improvvisamente sull’attenti.

  «Abbiamo visite».

  Tutti si misero immediatamente sul chi vive, poi, quasi contemporaneamente, avvertirono due presenze ostili sopra le loro teste.

  «Sul tetto.» disse Keita, e tutti presero velocemente la porta.

  Saliti sul tetto, i ragazzi si ritrovarono a tu per tu con l’ultima persona che avrebbero immaginato di incontrare in una simile circostanza.

  «Padre Andersen!?» disse Nadeshiko.

  Il prete era molto diverso da come Keita e gli altri lo ricordavano; ora era serio, quasi minaccioso, e teneva in mano una coppia di lunghi coltelli mentre la sua sopravveste ondeggiava mossa dal vento.

  Prima che potessero ottenere una risposta Sanak saltò giù dal box da cui erano usciti, circondandoli, e il fatto che anche lui avesse la spada in mano non lasciava presagire nulla di buono.

  «Alla fine ci rincontriamo.» disse Andersen «È un vero peccato che la circostanza sia così poco propizia.»

  «Che significa tutto questo?» domandò Aria mentre Keita e Takeru mettevano mano alle armi

  «Vi chiedo di perdonarmi, ma è sorto un fatto del tutto imprevisto, e a seguito di ciò, mi dispiace dirlo, è necessario che tutti voi moriate.»

  «Cosa!?».

  Andersen e Sanak partirono all’attacco contemporaneamente, contrastati rispettivamente da Keita e Takeru; Shinji e Lotte si unirono allo scontro, Aria invece restò a proteggere Nadeshiko.

  L’abilità dei due nemici era straordinaria, quella di Sanak in particolar modo, e pur essendo in sei contro due i ragazzi non riuscivano a rispondere efficacemente ai loro assalti.

  Il particolare stato emotivo in cui si trovavano Keita e i suoi compagni non era neanche dei più adatti a sostenere uno scontro, e infatti ad un certo punto Keita venne quasi trafitto da uno dei coltelli di Padre Andersen; solo una deviazione fortuita lo salvò, mutando un affondo al cuore in una ferita di striscio alla spalla, e l’intervento provvidenziale di Shinji costrinse il religioso ad indietreggiare.

  Dalla parte opposta le cose non andavano meglio; Sanak era veloce quasi quanto Takeru, e la sua potenza non era da meno, così il campione di kendo aveva non poche difficoltà a confrontarsi con lui.

  Lotte cercò di aiutarlo, ma entrambi furono quasi uccisi quando lui menò un fendente orizzontale che grazie al cielo venne parato da Takeru.

  «Perché state facendo questo?» domandò Nadeshiko «Che cosa vi abbiamo fatto?»

  «A me niente. A dire il vero non c’è nulla di cui vi si possa accusare. Il problema è che la vostra stessa esistenza è di ostacolo al conseguimento della pace su questo mondo».

  Padre Andersen a quel punto mostrò il tubo di vetro che portava alla cintura, e vedendo la fiamma che ardeva al suo interno Nadeshiko avvertì una sensazione di famigliarità.

  «Toshio…»

  «Cosa hai detto?» domandò Shinji, che come gli altri non aveva sentito

  «Quell’oggetto… sento la presenza di Toshio…»

  «Che cosa!?» esclamò Lotte.

  Pochi secondi dopo, mentre seguitava ad osservare il tubo, Nadeshiko cominciò a sentire un dolore fortissimo alla testa, e assieme ad esso un fischiare assordante che la lasciò rapidamente a terra apparentemente priva di sensi.

  «Nadeshiko!» disse Keita correndo da lei

  «Che le succede?» chiese Aria

  «È svenuta. Ma cosa voleva dire con quelle parole? Sento la presenza di Toshio?»

  «La persona che voi conoscete con il nome di Toshio» rispose Padre Andersen «In realtà è il principe Touya, antico sovrano della città di Nepthys vissuto oltre duemila anni fa.

  Ciò che vedete qui di fronte a voi, rinchiusa in questo contenitore, è la sua anima.»

  «La sua anima!?» disse Keita.

  Il prete raccontò dunque anche a loro la verità celata dietro la finzione, spiegandogli come si fosse giunti ad una simile situazione e per quale motivo la loro morte fosse così necessaria.

  Nadeshiko, ancora svenuta, non poteva sentire, ma ciò nonostante anche davanti a lei si era aperta la porta che conduceva ad un mare di ricordi, ricordi sopiti che quel tubo di vetro, assieme allo spirito in esso contenuto, avevano risvegliato.

  Dopo essersi sposata con il principe Touya, re Clow le aveva insegnato a padroneggiare una magia molto rara e potente che permetteva a chi ne aveva il controllo di muovere per una sola volta la propria anima all’interno di qualsiasi cosa, fosse essa un oggetto o anche un altro corpo.

  Dapprincipio non capiva come mai il re le avesse insegnato una cosa simile, di cui a rigor di logica nessuno avrebbe mai avuto bisogno, ma quando, dopo essere stata colpita da quella freccia, si era ritrovata ormai prossima alla morte, allora aveva capito: forse il saggio Clow aveva previsto quello che sarebbe accaduto, e voleva darle una possibilità di ritrovare, un giorno anche lontano, l’amore della sua vita, quell’amore che il destino era in procinto di allontanare da lei.

  Per questo, poco prima di morire, aveva stretto con forza il pendente di uroboros; apparentemente si trattava dell’ultima dimostrazione di affetto, in realtà vi aveva trasferito dentro la sua anima e la sua coscienza, riuscendo in questo modo a preservarla e cadendo in uno stato di stasi che si sarebbe protratto per molto, molo tempo.

  Con il passare dei millenni quell’oggetto all’apparenza di così scarso valore era passato di mano in mano, fino ad arrivare, all’alba del terzo millennio, in un negozietto di Venezia, dove era stato acquistato da una giovane coppia in luna di miele.

  L’anima di Nadeshiko, ancora sopita, non aveva la minima idea di quanto tempo fosse passato dal momento in cui aveva visto per l’ultima volta gli occhi del principe Touya quando, dal nulla, una luce giunse a rischiarare il mare di tenebre in cui aveva dormito un sonno irreale.

  All’interno della luce, come un’apparizione divina, aveva scorto una figura che di lì a pochi anni avrebbe rincontrato, ma che in quel momento le giungeva del tutto nuova e sconosciuta.

  «Chi… chi sei?»

  «Mi chiamano Strega delle Dimensioni. Tu puoi chiamarmi Yuko.»

  «Yuko

  «Permettimi di farti una domanda. Per quale motivo hai fatto una cosa del genere?».

  Lei esitò a lungo prima di rispondere, probabilmente perché una vera risposta non l’aveva mai saputa trovare.

  «Io… non lo so. Forse… credevo che così… un giorno… avrei potuto ritrovarlo. Se fossi morta sul serio… non avrei potuto rivederlo.»

  «E non hai pensato che una volta rinchiusa qui dentro non saresti più stata in grado di uscire?»

  «Non so cosa rispondere. In quel momento pensavo solo a lui, e a trovare un modo per restargli vicino. Questo mi è sembrato l’unico.»

  «Rilassati. Non sono qui per farti la predica. Sono qui per liberarti.»

  «Come!? Per liberarmi!?»

  «Immagino che qui dentro il tempo abbia un concetto del tutto relativo. In verità sono trascorsi più di due millenni dal giorno in cui tu legasti la tua anima a questo pendente.

  L’uomo e la donna che attualmente lo possiedono aspettano una bambina. Farò in modo che la tua anima rinasca all’interno del feto».

  La principessa, sentendo una tale notizia, non riuscì a contenere la propria gioia. Finalmente, dopo tanto tempo, avrebbe avuto la possibilità di ritrovare il suo amato.

  Era certa che ci fosse, che fosse ancora vivo, perché unendo i discorsi fatti dal visir a ciò che negli ultimi tempi aveva udito a palazzo sapeva quali fossero le intenzioni di Nazim; si trattava solo di ritrovarlo.

  Purtroppo, l’espressione fosca sul volto della strega lasciava intendere che non tutto sarebbe stato così facile come poteva sembrare.

  «Aspetta a festeggiare. Il processo di morte e rinascita che accomuna tutte le anime del creato è soggetto a delle regole, e sebbene la tua anima si sia di fatto conservata intatta per tre millenni questo non la rende immune a tali regole.

  Quando ti reincarnerai, i ricordi della tua vita precedente scompariranno del tutto.»

  «Scompariranno!? Ma allora… come farò a ritrovarlo?»

  «Non hai nulla da temere. La verità è che voi due siete inscindibili. Un filo sottile vi lega insieme, e questo filo farà sì che, un giorno o l’altro, vi rincontrerete. È scritto nel corso del tempo.»

  «Ma… quando succederà?»

  «Presto. Dovrai solo avere pazienza. E forse, se il cielo lo vorrà, quando vi sarete rincontrati anche i ricordi cominceranno a riaffiorare. Tuttavia…»

  «Cosa?».

  Yuko si fece, se possibile, ancor più cupa; niente di buono sarebbe uscito dalle sue prossime parole.

  «Ogni cosa ha un prezzo. La tua reincarnazione è stata voluta da una persona dal cuore nobile, che si è fatta carico del prezzo da pagare in cambio, ma una prova terribile attenderà entrambi dopo poco che vi sarete ritrovati.»

  «Di che si tratta?».

 

Ora ricordava!

  Ecco che ogni cosa andava al suo posto!

  Del resto, fin da bambina aveva avuto la sensazione di dover cercare qualcosa, qualcosa di cui ignorava l’identità ma che sentiva di dover trovare a tutti i costi.

  Ecco perché, dal primo momento in cui aveva incontrato Toshio, aveva sentito un legame sconosciuto, un filo che li teneva uniti.

  Era Toshio ciò che lei aveva cercato inconsciamente per così tanto tempo, e alla fine di tutto il destino aveva fatto il suo corso, facendoli ritrovare.

  Nadeshiko riprese i sensi mentre il combattimento con Andersen e Sanak stava andando di male in peggio, e Aria, che le era ancora vicino, cercò di sincerarsi delle sue condizioni.

  «Nadeshiko! Stai bene?»

  «Ora ricordo. Io… cercavo lui.»

  «Che cosa!? Di che stai parlando?»

  «Toshio. Io cercavo Toshio».

  In quella lo scontro raggiunse una nuova fase di stallo, ma ormai Keita e gli altri erano allo stremo.

  «La battaglia è finita. Pregherò gli dèi che possiate trovare un destino migliore nella vostra prossima vita.»

  «Basta, smettetela!» gridò Nadeshiko rimettendosi in piedi «Tutto questo non ha senso!».

  Andersen, che era quasi sul punto di colpire, si fermò di scatto.

  «Non capite quanto sia sbagliato ciò che state facendo? Avete imprigionato l’anima del principe Touya, avete rimescolato e ricostruito i suoi ricordi più e più volte. Il vostro fine può anche essere nobile, ma il modo in cui volete perseguirlo è sbagliato!

  Non potete far ricadere tutte le responsabilità su di lui. È una persona normale come tutti noi, che chiede solo di poter vivere la propria vita, e voi non avete il diritto di negargli questo dono!»

  “È assurdo.” pensò il sacerdote “Come fa a conoscere il nome del principe? Era priva di sensi quando ho raccontato la storia”.

  Poi, un pensiero gli fulminò la mente, e a giudicare dall’espressione che comparve sul volto di Sanak anche lui doveva aver avuto la stessa intuizione.

  «Non mi dirai che tu sei…».

  Nadeshiko si girò allora verso Sanak.

  «Tu puoi comprendere la sua sofferenza più di chiunque altro. Sei suo fratello. Anche se non siete nati dalla stessa madre, il legame che vi unisce non si può ignorare.

  Ti prego, non permettere all’odio di prendere il sopravvento e soffocare la tua natura. Io lo so che sei di animo nobile».

  Proprio come era successo la prima volta, Sanak non seppe cosa pensare; Nadeshiko rassomigliava così tanto a sua madre, la sola persona a cui avesse realmente voluto bene, ma se era davvero chi lui immaginava che fosse era praticamente una sua antenata, e visto che anche sua madre discendeva, seppure in minima parte, dalla famiglia reale la somiglianza era in qualche modo giustificata.

  Che cosa stava facendo?

  Era davvero quella la persona che sognava di diventare? Da bambino aveva immaginato tante volte il giorno in cui avrebbe combattuto per l’onore della sua tribù, ma era questo ciò che stava facendo ora?

  Chi non sembrava essere stato toccato minimamente dal discorso era Andersen, che anzi parve ancor più determinato.

  «Se davvero sei la persona che immagino, ho più di un valido motivo per volerti allontanare da questo mondo e dal principe.

  Non so come tu possa essere qui, ma ora farai ritorno al luogo da cui provieni!».

  Senza aggiungere altro il sacerdote si lanciò contro di lei a spada tratta, approfittando del fatto che Keita e gli altri erano troppo stanchi e lontani per poterla proteggere.

  I ragazzi gridarono, cercarono di fare qualcosa per aiutarla, ma era una causa persa; se non che, all’ultimo istante, qualcuno si frappose fra Nadeshiko e il suo carnefice, allontanando quest’ultimo con violenza dopo aver intrapreso con lui un breve scontro di forza ed aver approfittato del suo comprensibile stupore.

  «Sanak! Che stai facendo!?»

  «Ho cambiato idea. Io mi chiamo fuori.»

  «Maledetto codardo. Non te ne importa niente della tua gente?»

  «Al contrario, me ne importa molto. È per questo che lo faccio.»

  «Come preferisci. Vorrà dire che farai la loro stessa fine!».

  Nello stesso momento, molto lontano, il corpo di Toshio era ancora inchiodato al muro della stanza del circolo del tutto privo di qualsiasi barlume vitale.

  Tuttavia, benché privata della sua anima, la mente era ancora cosciente, e di nuovo, forse per effetto del circolo magico inciso sul pavimento, o forse per il fatto di trovarsi all’interno di un corpo vuoto, essa si perdeva in viaggi e rimembranze, richiamando a sé ricordi forse cancellati, ma mai scomparsi del tutto.

 

Alessandria d’Egitto

48 a.C.

Palazzo Reale

 

La notizia si era diffusa già da qualche tempo; nella capitale del Regno d’Egitto era giunto uno straniero, un grande condottiero proveniente dall’Europa, che stando alle notizie riportate dagli informatori era in possesso di un potere magico di grandi dimensioni, che per quanto si sforzasse di mantenere segreto era percepibile da chiunque avesse anche la minima dimestichezza con l’uso della magia.

  Di quest’uomo si sapeva molto poco all’infuori del nome e di ciò che veniva raccontato di lui; famose erano le sue molteplici vittorie in battaglia, ma dopo aver condotto una prima indagine tra i suoi antenati non figuravano maghi o stregoni di alcun tipo, il che era quantomeno insolito.

  Con il nuovo grande torneo alle porte erano in molti a sospettare che un uomo dotato di una così grande magia e con un potere politico e militare tanto grande da poter assoggettare i maggiori imperi del mondo potesse essere in realtà la reincarnazione di Seth, pertanto si era resa necessario ottenere una prova definitiva.

  A testare le capacità di questo misterioso straniero era stato inviato il giovane Kadar, figlio di un nobile d’alto rango della città di Nepthys: i suoi ordini erano di prendere contatto con il bersaglio e sfidarlo a duello, e se si trattava realmente della forma umana di Seth i suoi poteri non avrebbero impiegato molto per venire alla luce.

  Raggiunto il palazzo reale dove il guerriero straniero risiedeva, ospite della regina d’Egitto e del suo giovanissimo consorte, nonché fratello, Kadar scavalcò rapidamente il muro a sud liberandosi con facilità delle guardie che lo presidiavano per poi scendere nel grande cortile.

  Si aspettava di dover arrivare fin nelle stanze, e invece, prima di poter muovere un passo, vide il suo bersaglio in piedi al centro del viale, in attesa.

  Era un bell’uomo, che malgrado dovesse aver superato, almeno di poco, la cinquantina, come testimoniavano quei capelli di un nero che già si colorava del grigiore della vecchiaia, conservava in quei suoi occhi azzurro cielo l’ardore e il carisma propri di un giovane soldato in cerca del suo primo momento di gloria.

  Vestiva con una pregiata tunica rossa, come rosso era il suo mantello, indossava schinieri e bracciali di bronzo, sandali stringati e una corazza protettiva di cuoio con un’effige al centro a forma di aquila con le ali spiegate.

  Dalla cintura annodata attorno alla vita pendeva una spada bellissima, con l’elsa d’avorio a forma di testa d’aquila; non era corta e grossa come le spade delle guardie che Kadar aveva steso poco prima, bensì lunga e sottile, non molto dissimile a quelle usate in certe regioni del Medio Oriente, e la lama, più che di bronzo o di acciaio, pareva di argento puro, tanto era lucida e splendente.

  «Finalmente siete arrivati.» disse sorridendo mentre Kadar si portava di fronte a lui «Cominciavo a stare in ansia.»

  «Sei tu Gaio Giulio Cesare?»

  «In persona. Con chi ho l’onore di parlare?»

  «Io sono Kadar, della città di Nepthys

  «Non fatico a immaginare come mai tu sia qui. Nei miei lunghi viaggi mi è capitato di sentir parlare dei leggendari sette villaggi che secoli addietro si opposero al tentativo di Seth di conquistare questo mondo.

  So che avete le vostre regole, e che la nuova competizione ormai è alle porte. Immagino abbiate pensato che io potessi essere la nuova incarnazione del dio».

  Il giovane fece un cenno di assenso, e Cesare parve ridere sotto i denti.

  «E hanno mandato te ad appurare se fosse effettivamente la verità.»

  «È così, infatti».

  Lo straniero, nuovamente, sorrise, e ad un suo schiocco di dita non solo il palazzo, ma l’intera città venne circondata da un grande fuuzetsu.

  Kadar rimase comprensibilmente senza parole: neppure lui, che pure si reputava un mago di grande esperienza, sarebbe mai stato in grado di evocare un fuuzetsu di quelle dimensioni.

  «Allora?» disse Cesare sguainando la spada «Vogliamo cominciare?».

  Quello che seguì fu uno scontro estremamente acceso; Cesare probabilmente aspettava da tempo di incontrare qualcuno con cui mettere alla prova quel potere magico che da bambino aveva scoperto di possedere, e che aveva segretamente affinato con gli insegnamenti di sacerdoti romani e druidi gallici, ma che aveva sempre prudentemente tenuto nascosto, comprendendo che il mondo, e specialmente il suo, difficilmente avrebbe accettato una persona tanto diversa e speciale.

  Eppure, malgrado ciò, nel suo stile di combattimento non vi erano né aggressività né voglia di uccidere; rassomigliava tanto ad una battaglia di allenamento, con due avversari che combattono tra di loro spinti unicamente dal desiderio di mettersi vicendevolmente alla prova.

  Il momento in cui Kadar rimase maggiormente sorpreso fu quando, riuscito a scavalcare la difesa nemica, venne violentemente rispedito indietro da una sfera di energia magica che, fortunosamente, si limitò a scagliarlo lontano, e a quel punto il duello poteva dirsi finito.

  «Basta così.» disse il ragazzo facendo scomparire la sua spada d’oro

  «Come sono andato? Ritieni che io possa essere l’incarnazione di Seth?»

  «La risposta a questa domanda l’ho avuta ancor prima che avesse inizio il combattimento.»

  «In che senso?»

  «Seth non si sarebbe mai preoccupato di costruire un fuuzetsu per proteggere la città e i suoi abitanti da possibili conseguenze. Per lui queste cose non anno valore».

  Cesare parve un momento sorpreso, poi rinfoderò a sua volta la spada.

  «Mi piaci, ragazzo. Sei perspicace, e sai usare la testa. Qualità importanti per un guerriero.»

  «Ti ringrazio».

  In caso di esito negativo da parte del test Kadar aveva l’ordine di ritirarsi immediatamente e fare ritorno a Nepthys, ma il giovane guerriero rimase molto colpito dal carisma e dal senso di giustizia che albergava in quell’uomo. Lo aveva osservato a lungo prima di passare all’azione, nascosto fra la gente di Alessandria, e aveva visto con i suoi occhi di quanto coraggio fosse dotato.

  Così, in piena contravvenzione agli ordini ricevuti, Kadar si ritrovò ad intrattenere con Giulio Cesare una piacevole conversazione passeggiando su e giù per il cortile del palazzo.

  Dopo un’oretta circa trascorsa a parlare del più e del meno il ragazzo decise di porre la domanda che avrebbe voluto fargli dal primo momento in cui lo aveva visto fare quello che faceva.

  «Tu hai affrontato molte avversità dacché la tua carriera di soldato ha avuto inizio. Cos’è che ti ha permesso di andare avanti? Che cos’è che ti spinge?»

  «Io combatto per creare qualcosa di migliore, ragazzo. Il mondo di cui faccio parte è vecchio, decadente, corrotto. La Repubblica è nelle mani di un esercito di arroganti egoisti che pensano solo a stessi, e che hanno dimenticato i principi di unità, eguaglianza e giustizia che hanno governato i primi anni della sua esistenza.

  Molto è stato fatto, e altrettanto resta ancora da fare, ma intendo gettare le basi per la nascita di un mondo migliore.»

  «Potresti passare per un tiranno.»

  «Sì, può darsi. E forse è così che la storia mi ricorderà. Purtroppo questo nostro mondo è imperfetto per definizione. Operare un cambiamento rimanendo nel solco della giustizia e della nobiltà è un’impresa quasi impossibile; io per parte mia ho tentato di farlo, ma c’è tanto di quel male in ciò che ci circonda che se volessimo cambiare le cose rimanendo puri non basterebbero mille anni.

  Mi sono macchiato di atti detestabili dal giorno in cui sono diventato un guerriero, atti per i quali, che tu ci creda o no, io sono il primo a provare disgusto. Ma se tutto ciò che ho fatto e che farò da oggi in avanti servirà a dare nuovo lustro e stabilità alla mia terra e ai suoi abitanti, allora essere chiamato tiranno non sarà poi una punizione tanto malvagia.»

  «Tu vuoi portare gloria a Roma, ma in quanto soldato dovresti sapere che niente dura per sempre.»

  «Sì, hai ragione.

  Ogni cosa ha un inizio e una fine, e i regni umani non fanno eccezione. Un giorno o l’altro anche Roma cadrà, e forse, gli dèi non vogliano, ogni sua traccia visibile sarà cancellata.

  Ma se io e coloro che verranno dopo di me riusciremo nell’impresa di trasformare la storia in leggenda, allora Roma avrà ottenuto l’immortalità assieme a tutto ciò che essa ha significato per coloro che l’hanno vissuta.

  Se poi io sarò stato o meno un tiranno, sarà la storia a deciderlo. Nessuno sfugge al suo giudizio».

  Kadar era sorpreso e meravigliato dalla personalità di quell’uomo, che pur aspirando ad ottenere la gloria e l’immortalità per il mondo a cui apparteneva e sforzandosi con tutto sé stesso alla ricerca di nuova giustizia non sembrava aspirare ad alcun tipo di gloria personale.

  «Ricorda, ragazzo. Sono i nostri desideri e le nostre aspirazioni a renderci ciò che siamo.

  Io non ero niente, una volta, ma il sogno di dare nuova vita al mio popolo mi ha permesso di andare avanti, aiutandomi in qualsiasi situazione.

  Se continuerai ad abbracciare con forza un sogno, soprattutto se nobile, in un modo o nell’altro troverai sempre la forza per andare avanti, fino al momento in cui lo avrai perseguito.»

  «Tu… ne sei sicuro?»

  «Guardami. Sono la prova evidente che è così. E credimi, verrà il momento in cui anche tu dovrai aggrapparti con forza ai tuoi sogni per riuscire a sopravvivere. Quel momento, prima o dopo, viene per tutti.»

  «Forse hai ragione.

  Beh, ora è giunto per me il momento di andare.»

  «Mi ha fatto piacere parlare con te, ragazzo. Fino a che ci saranno guerrieri come te a prendere parte al torneo, Seth avrà un motivo in più per dover temere gli esseri umani.»

  «Ti ringrazio. Non ti dimenticherò, è una promessa.»

  «Sono convinto che un giorno o l’altro ci rivedremo».

  A quel punto Kadar con un balzo raggiunse nuovamente il muro di cinta, e dopo aver rivolto a Cesare un ultimo cenno di saluto scomparve fra i vicoli della città, disperdendosi tra la folla.

 

Quanto era stato cieco!

  Come aveva potuto dimenticarsi di quell’incontro?

  Il suo dolore, la sua paura, i suoi timori nascosti: tutto ciò aveva nutrito il Μένος Aδηλος, gli aveva dato forza, quindi se voleva biasimare qualcuno quello era solo lui.

  Era stato costruito, smontato e rimontato, ma questo non gli impediva di essere umano: aveva un cuore e una mente suoi, per non parlare della sua anima, quell’anima che gli era stata strappata via per l’ennesima volta per essere nuovamente rimaneggiata al fine di cancellare tutto ciò che aveva valore, che col tempo aveva imparato ad amare.

  Finalmente capiva come mai aveva sentito un legame con Nadeshiko fin dal loro primo incontro: lei era il suo amore eterno, la compagna con il quale, in un angolo remoto del suo animo, aveva sempre sognato di ricongiungersi, cercandola inconsciamente.

  Ora, dopo più di due millenni, si erano finalmente ritrovati, ma lei in quel momento era in pericolo, minacciata da qualcuno che voleva portar via loro la ritrovata felicità, nonché la possibilità di poter stare nuovamente insieme.

  Non poteva permetterlo: non lo avrebbe mai permesso!

  Come quei pensieri gli attraversarono la mente dall’interno dell’uroboros che portava ancora al collo sentì in quella provenire un’energia benevola e famigliare.

  La riconobbe: era l’energia di Nadeshiko, che malgrado la sua anima avesse già da tempo lasciato il pendente erano rimasti al suo interno, latenti, in attesa del momento in cui fosse stato necessario il loro risveglio.

  Toshio ebbe l’impressione di trovarsi in un mare di tenebre, ma alzando lo sguardo vide, immersa nella luce, la ragazza che aveva sempre amato, così come appariva il giorno in cui l’aveva vista morire davanti ai suoi occhi senza poter fare nulla per difenderla.

  Gli sorrideva, tendendogli le braccia, come a volerlo chiamare a sé; lui, nuotando nel niente, le si avvicinò, sfiorandole una mano e avvertendone subito il calore.

  Il corpo del guerriero fu avvolto da una luce bianca e caldissima, e le lame che lo tenevano inchiodato alla parete lentamente si allontanarono, staccandosi e cadendo a terra mentre le ferite ai palmi, come per incanto, si rimarginavano da sole.

  Toshio rimase a levitare a pochi centimetri dal suolo, poi quella luce lo inglobò al suo interno per poi schizzare velocissima verso l’alto, scomparendo oltre il sorritto.

  Intanto Sanak stava rapidamente soccombendo sotto i colpi implacabili di Padre Andersen, ma del resto era prevedibile: in fin dei conti, era stato fra i supervisori al suo addestramento, visto e considerato che inizialmente il re Akunator aveva espresso il suo più totale rifiuto all’idea di impiegare ancora lo spirito del principe Touya da usare come rappresentante al torneo.

  Ciò aveva quindi obbligato Andersen e altri qualificati maestri d’arme e di magia ad addestrare al meglio Sanak per farne il nuovo stendardo della città di Nepthys, ma poi, all’improvviso e inspiegabilmente, il re era tornato sui suoi passi, dando il proprio benestare, e questo non aveva fatto altro che aumentare la frustrazione del principe, che aveva visto il sogno di una vita scivolargli dalle mani proprio quando era sul punto di avverarsi.

  Alla fine un colpo più potente degli altri scardinò la difesa di Sanak, e il principe, investito dalla potenza del colpo, rotolò sul terreno ruvido del tetto per parecchi metri, fermandosi esanime ai piedi di Nadeshiko.

  «Sanak!»

  «Hai fatto la tua scelta, principe.» disse Andersen riprendendo in mano il contenitore «Io devo portare a termine la mia missione, come la concepisco io!».

  Prima che il sacerdote potesse assestare il colpo finale, però, la fiamma all’interno del tubo di vetro prese a brillare con forza inaudita, e subito dopo dal cielo piovve una cometa che si infranse in mezzo fra i due contendenti.

  «Toshio!» disse Keita appena il chiarore si dissolse abbastanza da poter scorgere la figura del loro amico, apparentemente svenuto

  «Non è possibile!» esclamò Andersen «Come ha fatto ad arrivare fin qui?».

  Sanak, ripresosi quel tanto che bastava, approfittò immediatamente della distrazione del  nemico, avventandosi su di lui e riuscendo nell’impresa di sottrargli il contenitore, che volando nell’aria alla fine andò a sbattere violentemente a terra, rompendosi.

  «No!».

  La fiamma bianca, divisasi in tanti aloni più piccoli, volteggiò in tutte le direzioni per qualche secondo per poi riunificarsi sopra il corpo di Toshio e penetrare nella sua bocca.

  Seguirono attimi di ansia, poi, finalmente, si udì un lieve gemito, e dopo poco il ragazzo aprì gli occhi, incontrando subito l’espressione sorridente e gioiosa di Nadeshiko, che inginocchiata davanti a lui lo sorreggeva tra le braccia dal momento in cui era arrivato.

  «Na… Nadeshiko…»

  «Toshio!» disse trattenendo le lacrime «Grazie al cielo stai bene!».

  Lui, sorridendo a sua volta, le accarezzò una guancia.

  «Temevo di averti persa di nuovo.»

  «Anche io. E il solo pensiero mi faceva morire».

  I loro volti si avvicinarono, e per la prima volta dopo più di due millenni entrambi riscoprirono la gioia infinita di un bacio, breve forse, ma carico di significato.

  «Ti prometto che, da ora in poi, non ti lascerò mai più.»

  “Un… un momento.” pensò Sanak osservando la scena “Quel corpo… era artificiale. L’anima non avrebbe dovuto farvi ritorno, se non dietro costrizione. Se ha accettato di rientrarvi spontaneamente… allora significa… che ora lo riconosce come proprio”.

  Toshio fu aiutato da Nadeshiko a rimettersi in piedi, e nella sua mano comparve nuovamente la spada d’oro.

  «Avrei dovuto immaginarlo.» disse Andersen guardando i due ragazzi «Non c’è forza al mondo grande abbastanza da tenervi lontani.

  Tuttavia» disse alzando i pugnali ed esibendo un secondo contenitore «Devo comunque fare ciò che ritengo giusto.»

  «Nadeshiko. Tu resta indietro. Questo è affar mio.»

  «D’accordo. Fa attenzione».

  Andersen partì all’attacco, ma a differenza di quanto accaduto poche ore prima stavolta Toshio era nel pieno delle forze, anzi, sembrava essere addirittura migliorato, e riuscì ad opporsi a lui con estrema facilità; dopo qualche scambio gli spedì una sfera di energia magica dritta nello stomaco per farlo indietreggiare, impresa che riuscì appieno, ma ciò non sembrò essere sufficiente per costringere il sacerdote a gettare la spugna.

  «Andersen, ti prego! Non voglio farti del male!»

  «Te l’ho detto! Porterò a termine la mia missione, in un modo o nell’altro».

  Toshio non sapeva cosa fare, ma l’affetto che, malgrado tutto, provava per padre Andersen lo indussero a colpirlo con una seconda sfera magica che lo spedì definitivamente al tappeto in uno stato di semi-incoscienza.

  «Hai perso. Questo scontro è finito.»

  «Tu… maledetto…»

  «Io capisco il tuo desiderio di voler proteggere questo mondo. Hai seguito la tua strada. Non posso dire di non provare odio nei tuoi confronti e verso tutti coloro che per millenni mi hanno usato come un oggetto, ma in nome delle ragioni che vi muovevano sono disposto a perdonarvi.»

  «U… uccidimi. Se non posso… se non posso fare quello che ritenevo fosse giusto… non ho motivo di vivere…»

  «Mi spiace. Ho smesso di uccidere indiscriminatamente».

  Detto questo il ragazzo si girò per tornare dai suoi amici, ma Andersen, approfittando di questa azzardata imprudenza, tentò l’estremo tentativo per concludere ciò che aveva cominciato, e facendo appello alle sue ultime forze urlando come un ossesso sollevò il pugnale per vibrare un fendente fatale.

  «Toshio attento!» gridò Shinji.

  Prima che il ragazzo potesse voltarsi però Andersen si fermò di colpo, spalancando la bocca in un’esternazione di dolore; rialzatosi, Sanak gli era arrivato alle spalle, trafiggendolo con la sua spada in mezzo alla schiena prima che lui potesse fare lo stesso con il fratello.

  «Ma… maledizione…» mugugnò sputando sangue.

  Lasciata la propria arma conficcata nel corpo del nemico Sanak si portò a fianco di Toshio, e insieme i due stettero a guardare mentre padre Andersen, con uno strano sorriso stampato in faccia, camminava lentamente all’indietro.

  “Ci libererà…” pensò con il suo ultimo alito di vita “Ci libererà… tutti…” e, raggiunto il parapetto, si lasciò cadere all’indietro, precipitando sul selciato.

  I ragazzi scesero a loro volta e coprirono il corpo del religioso con un telo in segno di rispetto: forse, si dissero, aveva agito nel male, ma le sue intenzioni tutto sommato erano nobili, pertanto meritava se non altro un’adeguata sepoltura.

  Toshio e Sanak si guardarono; anche se non si poteva dire che il principe avesse perdonato suo fratello per le colpe che gli attribuiva, se non alto sembrava che i suoi sentimenti per lui si fossero un po’ ammorbiditi.

  «Sanak, io…»

  «Non parlare. Non c’è niente da dire.»

  «Per quel che può valere, mi dispiace di come sono andate le cose».

  Sanak inizialmente restò in silenzio, guardando ora il cielo ora il telo che copriva il corpo di Andersen.

  «Nostro padre è sempre stato contrario agli esperimenti che venivano condotti su di te, e aveva deciso di non perpetrare ulteriormente questo abominio.

  Non so cosa lo abbia spinto a cambiare idea all’ultimo momento, ma questo non cancella il fatto che mi sono visto costretto a rinunciare al sogno di tutta una vita.

  Di questo, un giorno o l’altro, dovrai rendermene conto, ma fino ad allora, in nome dei nostri doveri di guardiani, sono disposto a lasciare i miei propositi da parte».

  Non era esattamente una proposta di amicizia, ma ciò nonostante Toshio si sentiva comunque soddisfatto.

  In quella, tutti ebbero la sensazione di non essere soli, malgrado la zona fosse stata circondata da un fuuzetsu; alzati gli sguardi, si ritrovarono a tu per tu con Wei, che lo osservava da sotto la luce di un lampione.

  «Vi prego, calmatevi.» disse vedendo che alcuni di loro stavano mettendo mano alle armi «Non sono qui per combattere.»

  «Chi sei?» domandò Takeru

  «Mi chiamo Wei. Sono il maggiordomo della famiglia Von Karma.»

  «Il maggiordomo di Johan!?» esclamò Shinji

  «Se non vuoi combattere, per quale motivo sei qui?» chiese Sanak

  «Per aiutarci!?» ripeté Keita

  «Immagino stiate cercando il castello dei Von Karma, il luogo in cui si nasconde Seth. Lo troverete quaranta chilometri a nord-est della città, nel folto delle foreste.»

  «Che cosa!?» disse Toshio «Per quale motivo ci stai rivelando il luogo dove si nasconde il tuo padrone?»

  «Sua eccellenza Manfred Von Karma, prima di morire, mi affidò l’incarico di vegliare su suo figlio.

  L’anima di Seth per generazioni e generazioni si è tramandata tra i discendenti maschi del ramo principale della famiglia. Ognuno di loro portava su di sé il segno indelebile dello spirito oscuro che dimorava nel suo corpo.»

  «Il segno indelebile?» domandò Aria «Di che stai parlando?»

  «Aspettate.» intervenne Keita «Ricordo di aver sentito dire qui a Monaco che tutti i baroni Von Karma avevano un tratto distintivo, ovvero i capelli bianchi, o comunque tendenti all’argento.»

  «È così. La colorazione chiara dei capelli testimoniava la presenza di una parte dell’anima di Seth all’interno dei loro corpi. Manfred Von Karma era conscio del fatto che suo figlio sarebbe diventata la nuova incarnazione del dio in vista del prossimo torneo, e chiese a me di proteggerlo.

  Egli aveva fatto di tutto per impedire che un tale evento si verificasse, memore anche della sorte che viene riservata ai portatori di questo fardello.»

  «Di che sorte parla?» chiese Nadeshiko

  «Lo spirito di Seth è come un tumore che divora il corpo nel quale trova rifugio. Un comune essere umano non può sopportarne il peso, e finisce per rimanerne schiacciato. Tutti i baroni Von Karma hanno visto i loro cuori consumarsi inesorabilmente, e prima o poi questa sorte potrebbe toccare anche al signorino Johan.»

  «Che cosa!? Johan potrebbe morire!?»

  «Il signorino è dotato di poteri molto grandi, più grandi di quelli dei suoi predecessori, ma è un’eventualità che non si può ignorare.

  Inoltre, a me era stato dato l’incarico di proteggere Johan. All’inizio pensavo che l’unica cosa da fare fosse lasciare che gli eventi si svolgessero da sé confidando nella forza d’animo e nella risolutezza del signorino, ma con il passare del tempo la volontà di Johan Von Karma si è annichilita, offuscata da quella oscura e malevola di Seth.

  Per questo, ho deciso che l’unico modo per adempiere alla promessa fatta al barone era fare in modo che Seth venisse sconfitto.»

  «Come facciamo a fidarci di quello che ci stai dicendo?» domandò Sanak senza riserve «Infondo potrebbe essere benissimo una trappola.»

  «Sta dicendo la verità.» rispose Nadeshiko

  «Come fai ad esserne sicura?»

  «Io conosco Johan. Tutti noi lo conosciamo. Anche se introverso e schivo è una persona dall’animo nobile. Non si sarebbe mai macchiato di azioni tanto malvagie come quelle a cui abbiamo assistito.»

  «Sapevo che mi avreste dato fiducia.

  Ora so che la sorte del signorino è in buone mani. Avrei solo voluto essere presente il giorno in cui avesse preso in mano ufficialmente le redini del casato. Sicuramente, porterà lustro e onore alla famiglia Von Karma.»

  «Perché dice così?» chiese Shinji

  «Non c’è posto per i traditori nell’esercito di Seth.» rispose Wei con un sorriso sincero, come di liberazione «Il mio destino era segnato dal momento in cui ho preso questa decisione.»

  «Non deve dire queste cose.» disse Keita «Noi non permetteremo che le accada nulla di male. Sconfiggeremo Seth prima che sia troppo tardi.»

  «Mi dispiace. È già troppo tardi temo».

  All’improvviso, tutto attorno al vecchio maggiordomo si formò un anello di fiamme azzurre ed altissime che prese velocemente a restringersi, ma ciò nonostante Wei rimase immobile come una statua e con il suo solito, gentile sorriso.

  «Vi affido il signorino. Abbiate cura di lui.» disse prima di venire inghiottito dal fuoco

  «Wei!».

  In pochi secondi le fiamme si spensero, e la tristezza per tutti fu grande, ma ben presto alla tristezza si sostituì la determinazione: quell’uomo aveva sacrificato la sua vita per permettere a loro di fare la cosa giusta e di liberare Johan dal demone che lo possedeva. Per nulla al mondo avrebbero deluso le sue speranze.

  «Toshio.» disse Sanak «È ora e tempo che io torni a Nepthys.»

  «Tu non vieni con noi?»

  «Ho un po’ di conti in sospeso da sistemare. Conti importanti. Ma non preoccuparti, tornerò prima di quanto tu possa immaginare».

  Dopo poco che il fuuzetsu fu infranto lo stesso uomo che Toshio aveva contattato poche ore prima per ottenere informazioni sul nascondiglio di Seth raggiunse il piazzale con il suo fuoristrada. Il corpo di Andersen, avvolto nel lenzuolo, fu depositato nel bagagliaio, e Sanak se ne andò assieme a lui dopo aver promesso al fratello di tornare il prima possibile in tempo per la battaglia finale.

  Rimasti soli i ragazzi si guardarono l’un l’altro; alla fine, era giunto il momento, il momento del faccia a faccia decisivo.

  «Ora sappiamo dove andare.» disse Toshio «Chiudiamo questa storia».

 

 

Nota dell’Autore

Rieccomi!

Il periodo degli esami sta volgendo al termine (ne manca solo uno, forse due, e poi tanti saluti!), e così la voglia di scrivere è aumentata enormemente.

Mancano esattamente 8 capitoli alla conclusione, volendo includere anche l’epilogo, ma questo è stato con molta probabilità l’ultimo capitolo di grandi dimensioni: i successivi, a rigor di logica, essendo dedicati quasi esclusivamente ai combattimenti, non dovrebbero superare le 7-9 pagine.

Ringrazio Selly, Akita e Cleo come sempre.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 28
*** La Fine degli Ideali ***


27

27

 

 

Seguendo le indicazioni ricevute da Wei i ragazzi, a bordo di un pick-up “preso in prestito” dal garage dell’albergo, arrivarono davanti al castello dei Von Karma.

  L’atmosfera cupa e spettrale che vi albergava da che Seth era tornato sulla Terra si era fatta, col tempo, ancora più fosca, e immerso così nel fitto del bosco quel gigantesco maniero sembrava fatto apposta per una storia di fantasmi.

  «Eccoci arrivati.» disse Shinji

  «E questa volta» disse Lotte «Quel bastardo non ci sfuggirà».

  In quella, il cielo stellato sopra al castello cominciò a riempirsi di minacciose nuvole nere, che ruotando su stesse andavano a formare un occhio del ciclone proprio sopra la grande torre centrale, dalla quale quasi contemporaneamente si sollevò una colonna di luce viola scuro.

  «E adesso che sta succedendo?» chiese Keita

  «Non ne ho idea.» rispose Toshio «Lo scopriremo andandoci di persona. Muoviamoci.»

  «Aspettate.» disse Takeru «Abbiamo compagnia».

  E difatti, prima di poter muovere un passo, Keita e gli altri furono circondati da diverse decine di soldati neri uguali a quelli che li avevano attaccati a Venezia.

  Aria e Lotte immediatamente ci si scagliarono contro, la prima scagliando globi di energia magica la seconda a suon di calci e pugni così potenti da mandarli in frantumi al primo colpo.

  Sfortunatamente, più ne uccidevano più ne sopraggiungevano attraverso quei piccoli portali scuri, lasciando la situazione sostanzialmente invariata.

  «Voi andate avanti.» disse Aria «A questi pensiamo noi.»

  «Ma sono in troppi.» disse Nadeshiko «A lungo andare rischierebbero di sopraffarvi.»

  «Non temere.» disse Takeru sfoderando la katana «Non saranno sole. Resterò io a dargli manforte.»

  «Sicuro di quello che fai?» chiese Toshio

  «Più che sicuro. Andate ora».

  Aria batté violentemente la mano a terra, generando un grande fiume di energia che spazzò via un gran numero di nemici ed aprì la strada fino all’ingresso, consentendo ai suoi compagni di proseguire; Keita e gli altri non si lasciarono cogliere impreparati e corsero all’impazzata, avventandosi sulla porta e precipitandosi all’interno per poi richiudere i battenti e bloccarli con un incantesimo che li avrebbe preservati da qualsiasi tentativo di sfondamento almeno per mezz’ora.

  L’atrio d’ingresso della residenza Von Karma era davvero immenso, di forma quadrangolare e con un ampio soffitto a volta riccamente affrescato con scene mitologiche; tramite una scala a ventaglio costeggiata da corrimano in marmo con quattro statue di angeli, due in cima e due alla base, alte ognuna oltre un metri, si accedeva alla balconata superiore e ai vari archi e porte che conducevano nelle ali laterali del castello; un portone proprio davanti alla cima della scala permetteva invece di accedere al grande e lungo corridoio al termine del quale si trovava l’ala signorile, dove vi era fra le altre cose la sala da ballo.

  «Però.» disse Shinji «Mica male la casetta.»

  «Non abbiamo tempo per fare i turisti.» tagliò corto Toshio «Troviamo Seth e facciamola finita.»

  «Sono d’accordo.» disse Keita «Prima chiudiamo questa storia meglio sarà».

  I ragazzi fecero per proseguire,  ma improvvisamente una mano misteriosa scagliò contro di loro una falce di luce rosso vivo che sopraggiunse dall’alto.

  «Attenti!» gridò Shinji.

  Lui e Keita riuscirono a buttarsi di lato, Toshio invece afferrò Nadeshiko e si gettò in avanti, facendole da scudo; la falce colpì il terreno, provocando una piccola esplosione e uno squarcio gigantesco, e tutti, rialzatisi, immediatamente si misero sull’attenti.

  Nel momento in cui Toshio e Keita materializzavano le proprie spade Ushio e Yuuhi comparvero dinnanzi a loro saltando giù dai due lati della balconata superiore; la lama della spada di Ushio era di colore rosso lavico e fumava come appena estratta dalla forgia, segno che molto probabilmente era suo l’attacco che i quattro amici avevano fortunosamente schivato.

  «Ci rincontriamo, alla fine.» disse Ushio «Non avanzerete oltre questo punto. Non interromperete l’opera del maestro Seth».

  Yuuhi guardò Shinji in cagnesco, memore sicuramente del loro ultimo incontro nel quale era stata ridicolizzata davanti alle sue sorelle, ed era chiaro che desiderava la rivincita più di qualsiasi altra cosa.

  «Voi tre andate avanti.» disse portandosi davanti a tutti «A loro ci penso io.»

  «Shinji, siete in due contro uno.» disse Keita «Sarebbe rischioso per te affrontarle da solo.»

  «Non temete.» rispose lui facendosi serio «Ho in sentore che presto saremo due contro due.»

  «Se state pensando di svignarvela» disse Yuuhi, che stando ad una certa distanza non poteva udire distintamente le loro parole «Sappiate che non vi lasceremo passare. Nessuno di voi andrà oltre questo atrio».

  Invece, sfruttando l’effetto sorpresa, Toshio concentrò una piccola quantità di potere magico in una sfera che gettò violentemente a terra e che produsse l’effetto di una granata accecante generando una luce tanto forte da confondere la vista; colte alla sprovvista, Ushio e Yuuhi dovettero chiudere gli occhi, e quando li riaprirono Keita, Toshio e Nadeshiko erano già a metà della scala.

  «Non lo farete!» urlò Ushio agitando violentemente la spada, con una forza impensabile per una ragazzina all’apparenza tutto sommato gracile, e generando una nuova falce rossa.

  Prima che Nadeshiko potesse rispondere a tono evocando una barriera, avendone stavolta tutto il tempo, qualcuno si intromise nel combattimento e, usando la propria arma come uno scudo, respinse efficacemente l’attacco, lasciando allibite Ushio e Yuuhi.

  «Lachesi!?».

  Minami sollevò il volto, nascosto quasi interamente dietro la sua arma, e fissò le due sorelle con occhi di severo ammonimento.

  «Che significa?» ringhio Yuuhi «Hai forse deciso di schierarti col nemico?»

  «Resto io ad aiutare il vostro amico. Voi proseguite. La vostra meta non è lontana.»

  «Minami-san…» disse Nadeshiko

  «Seth si trova nella sala da ballo alla fine di quel corridoio. Fate attenzione, ha ancora Anubis e Nepthys al suo fianco.»

  «D’accordo.» disse Toshio «Fate attenzione anche voi».

  Ushio e Yuuhi erano così sconvolte per l’apparente voltafaccia della loro sorella maggiore che non fecero più alcun tentativo di bloccare i fuggitivi, neppure quando questi spalancarono la porta e scomparvero dietro di essa.

  «Maledetta traditrice.» disse Yuuhi «Questa te la farò pagare, puoi scommetterci».

  Seguendo l’esempio di Ushio anche la sorella minore creò un arco di luce agitando la sua falce, ma ancora una volta Minami parò l’attacco per poi raggiungere, con un salto, Shinji, ancora in piedi davanti al portone d’ingresso.

  «Come avevo detto, ora siamo due contro due.»

  «Lachesi.» disse Ushio «Non so cosa ti abbia spinto a tradire il nostro maestro, ma il tuo gesto non rimarrà impunito. Pensa bene a quello che fai.»

  «Ci ho pensato bene, puoi esserne certa. E se devo essere sincera, avrei dovuto farlo molto tempo fa».

 

Lasciatisi alle spalle l’atrio e il loro amico Keita, Toshio e Nadeshiko si incamminarono a tutta velocità lungo il corridoio, che aveva da una parte un’interminabile parete dall’altra una fila di finestre tutte uguali tra di loro, e oltre le quali sembrava intravedersi sempre lo stesso passaggio, tanto l’oscurità regnava sovrana.

  Tuttavia, per quanto corressero, all’orizzonte non si intravedeva alcuna porta che potesse costituire in qualche modo la fine della loro corsa, e anzi più correvano più la strada da percorrere, invece che diminuire, sembrava farsi più lunga.

  «Ma che sta succedendo?» disse Keita fermandosi assieme agli altri per riprendere fiato «Staremo correndo da più di due minuti e di questo corridoio non si vede la fine.»

  «Hai ragione.» disse Nadeshiko guardandosi attorno «Inoltre, ho come l’impressione di essere sempre nello stesso posto.»

  «In che senso?»

  «Guarda quel quadro.» rispose la ragazza indicando il ritratto di un nobile, probabilmente un antenato di Johan, in abiti cinquecenteschi e con un vistoso cappello sormontato da una piuma azzurra «Sono sicura di averlo visto più volte mentre correvamo.»

  «Hai ragione. Ora che ci penso, anche a me sembra famigliare».

  Toshio si inginocchiò con aria sospettosa e poggiò una mano sull’elegante tappeto rosso che copriva il pavimento come a voler tastare il terreno; poi, dopo qualche secondo, la sua espressione si fece insieme stupita e sorpresa.

  «L’illusione!»

  «L’illusione!?» ripeté Nadeshiko

  «Di che stai parlando?» domandò Keita

  «Mio padre, il mio vero padre, usava una magia particolare, grazie alla quale riusciva a creare delle illusioni estremamente realistiche.»

  «Come faceva Hypnos.»

  «No. Le sue erano di qualità molto superiore.»

  «Quindi…» disse Nadeshiko «Questa è un’illusione!?»

  «Esattamente. Ma adesso che lo sappiamo… la festa è finita!».

  Toshio a quel punto colpì violentemente il terreno con la punta della spada, infilando la lama per alcuni centimetri; immediatamente i muri, il soffitto e il pavimento furono attraversati da una sorta di scarica elettrica, e subito dopo l’illusione andò in mille pezzi come una gigantesca stanza di vetro, rivelando il vero corridoio del castello e la porta che conduceva alla sala da ballo, distante in realtà non più di qualche metro.

  Seguì una forte corrente d’aria, poi i vari frammenti, trasformatisi in un alone verdastro, si diressero verso Anubis, in piedi davanti alla porta in questione, penetrando all’interno di una carta lunga e stretta che lui teneva fra l’indice e il medio della mano destra e che raffigurava qualcosa di molto simile all’immagine prodotta da un caleidoscopio.

  Subito i ragazzi si misero in posizione di guardia.

  «Anubis.» disse Toshio

  «Lo conosci?» domandò Keita

  «È stato il braccio destro di Seth in tutte le precedenti guerre. Il solo fra i suoi servitori a non venire confinato nel Libro dell’Oscurità.»

  «Esattamente.» rispose lui con quella sua voce cupa, roca ed echeggiante.

  Toshio provò a scorgere qualcosa all’interno del cappuccio, ma sembrava non esserci assolutamente nulla, come se davanti a loro vi fosse stato un fantasma.

  «Devo complimentarmi. Sei stato bravo a smascherare l’illusione generata dalla mia carta. Del resto, non che mi aspettassi qualcosa di meno dal figlio del grande Clow, il creatore delle carte originali.»

  «Non è stato poi così difficile.» rispose sprezzante il guerriero ostentando sicurezza «Devo dire di essere alquanto deluso.»

  «Certo, queste carte non sono potenti quanto quelle realizzate da Clow.» disse Anubis riponendo la sua all’interno del mantello «Anche se le ho create partendo dal suo modello e infondendovi tutte le mie conoscenze, sono di qualità inferiore alle sue. Tuttavia, ti consiglio di non sottovalutarle, così come non dovresti sottovalutare la portata della mia magia.»

  «Non temere, la metterò subito alla prova!»

  «Toshio, aspetta! Non essere impulsivo!»

  «Povero stolto».

  Da dentro la mantella di Anubis si generarono delle nuove, impetuose raffiche di vento, che prendendo quasi le fattezze di una giovane donna, forse un elfo, avvinghiarono Toshio come una catena, scaraventandolo violentemente indietro.

  «Toshio!» disse Nadeshiko avvicinandosi a lui per aiutarlo a rialzarsi

  «Te l’ho detto, non sottovalutarmi. Se sei davvero il figlio di Clow, dovresti sapere che non si deve scherzare con la mia magia. Dopotutto, tuo padre è stato mio allievo.»

  «Mio padre…» mugugnò Toshio rialzandosi a fatica «Mio padre allievo di una creatura oscura come te? Nemmeno tra un milione di anni.»

  «Erano altri tempi. Allora ero uno dei maghi più rispettati del mio popolo, e Clow il mio allievo più promettente. Le sue capacità erano sorprendenti. Sarebbe potuto arrivare in alto, molto più in alto di me.

  Ma poi, come molti altri, egli accettò di seguire la via del cuore, piuttosto che quella della ragione. Il suo errore gli è costato caro.»

  «Se questo gli ha impedito di diventare come te, allora avrebbe di che esserne fiero.»

  «Forse è vero. Ho dovuto rinunciare a molte cose per amplificare la portata della mia magia. Ma concorderai con me che ne è valsa la pena!».

  Anubis allargò le braccia alzandole sopra di sé; sui palmi delle mani gli comparvero dei globi elettrici, e immediatamente centinaia di fulmini presero a piovere nel corridoio sventrando sia le vetrate che il soffitto.

  Nel tentare di evitare quella specie di bombardamento, i tre ragazzi vennero irrimediabilmente separati; Keita schivava alcuni dei fulmini, altri li respingeva con la spada, altri ancora venivano respinti dalle barriere create da Nadeshiko, che contemporaneamente cercava di distruggerne alcuni con dei fasci luminosi.

  Anche Toshio faceva del suo meglio per resistere all’attacco di Anubis, cercando contemporaneamente sia di attaccare direttamente il nemico sia di proteggere i suoi compagni; d’un tratto, sollevando lo sguardo, si avvide che Anubis aveva in mano un’altra carta, raffigurante una sorta di clown con una lunga gonna, e che la stava puntando in direzione di Nadeshiko.

  Non aveva la minima idea di quali poteri avesse, ma di certo non poteva significare nulla di buono.

  «Nadeshiko, attenta!».

  Senza esitazioni le corse incontro nel tentativo di proteggerla, scomparendo assieme a lei all’interno di quello che sembrava un piccolo buco nero e che li inghiottì inesorabilmente, facendoli scomparire senza che loro, come pietrificati, facessero nulla per tentare di impedirlo.

  «Nadeshiko! Toshio!» gridò Keita vedendoli svanire «Che cosa gli hai fatto?»

  «Ho usato su di loro la carta della Scomparsa. Ora sono prigionieri al suo interno. E per quanto riguarda te…».

  La scarica di fulmini cessò di colpo, e contemporaneamente Keita fu travolto da una luce fortissima che minacciò di accecarlo; quando il ragazzo riuscì a riaprire gli occhi, però, pensò che la forza del bagliore gli stesse giocando un brutto scherzo.

  Dal cupo e buio corridoio in cui si trovava un attimo prima era passato in un luogo che definire strano era poco; pur avendo la sensazione di poggiare i piedi su di una superficie solida era immerso nel nulla, in un luogo apparentemente privo di spazio e di tempo in cui fluttuavano, come sospese nel nulla, le cose più disparate: statue classiche, armi, insegne varie, foto celebri di diversi periodi storici, quadri e ritratti di uomini illustri, macchine di vario tipo e poi orologi, orologi a non finire, liquefatti e fermi come quelli raffigurati nei quadri di de Chirico.

  «Ma… cosa significa?» disse attonito il ragazzo vedendo Anubis comparire dal nulla a una decina di metri da lui «Dove siamo?»

  «Questo è un intermundio.»

  «Un… intermundio!?»

  «Un mondo tra i mondi. Un luogo al di là delle normali dimensioni parallele che costituiscono il multiverso e la realtà così come la si concepisce. Qui le regole dello spazio e del tempo sono distorte, da qui è possibile varcare la soglia che conduce a molti mondi.

  E qui, è dove tu morirai».

 

«Ormai manca poco.» disse Johan guardando il fascio di luce sul tetto della torre da una delle finestre della sala «Tra meno di un’ora il varco sarà aperto, e potremo lasciare finalmente questo dannato posto.»

  «Se ancora ci penso mi sembra incredibile.» disse Nepthys «Quello spadaccino è davvero il figlio di Clow

  «Quel dannatissimo mago riesce a crearmi problemi anche da morto.»

  «Vuoi dire che aveva previsto come sarebbero andate le cose?»

  «Chi può dirlo? Quell’uomo ne sapeva una più del diavolo. Non mi sorprenderei se avesse messo al mondo un figlio con il solo scopo di creare un avversario in grado di contrastarmi.

  Ma non importa. Quando la mia anima sarà completamente riunita all’interno di un solo corpo, neanche il discendente del grande Clow potrà più nuocermi».

  Franziska, che da quando era stata improvvisamente e selvaggiamente schiaffeggiata dal suo stesso fratello, quel fratello che prima d’ora non aveva sollevato la mano neanche per scacciare le mosche, rimaneva seduta su di una poltrona appoggiata al muro, immobile come una bambola, e guardava ossessivamente a terra, triste come non mai.

  Johan, vedendola così, si mosse verso di lei, probabilmente per tentare nuovamente di portarla dalla sua parte con qualcuna delle sue parole suadenti.

  «E comunque» disse rivolto a Nepthys «Non c’è ragione di preoccuparsi. In questo momento Isis e quello spadaccino sono nelle grinfie di Anubis, e nessuno è mai uscito vivo dalla sua stretta mortale.

  Di lui mi fido cecamente. A differenza di qualcuno non ha mai dato motivo di deludermi, e soprattutto non mi ha mai tradito.»

  «Hai ragione. Ma, se posso permettermi… ».

  Prima di poter sentire la fine della frase Johan si ritrovò la mezzaluna dello scettro di Nepthys appoggiata alla spalla destra; il ragazzo rimase immobile, come congelato, senza neppure voltarsi a guardarla, ma ostentando la sua solita, inalterabile sicurezza.

  Quel gesto svegliò dal suo torpore anche Franziska, che tuttavia non riuscì a fare altro che osservare, visibilmente shoccata, ciò che stava succedendo dinnanzi a lei.

  «Tu sei l’ultima persona che possa parlare di tradimento».

 

Lo scontro nella hall intanto vedeva uno stato di relativa parità, o meglio, un totale disinteresse a fare sul serio da parte di una delle due squadre.

  Mettendo insieme la maggiore esperienza e il talento tutt’altro che trascurabile Minami e Shinji avrebbero potuto aver ragione di Ushio e Yuuhi in qualsiasi momento, ma entrambi si trattenevano, limitandosi a parare i colpi delle avversarie e a metterle nella condizione di indietreggiare.

  L’arma di Minami in particolare si rivelava estremamente utile, soprattutto come mezzo difensivo, e la ragazza, proprio come le sue due sorelle, riusciva a maneggiarla con estrema scioltezza, malgrado dovesse sicuramente pesare più di lei.

  Ad un certo punto Minami tentò di attaccare Shinji spiccando un salto altissimo e menando un fendente, approfittando del fatto che lui in quel momento era impegnato a confrontarsi con Yuuhi, ma trovò sulla propria strada lo scudo della sorella che, duro come il diamante, la respinse, producendo un assordante rumore metallico e una tempesta di scintille per poi costringerla a rinunciare.

  Anche Shinji ebbe ben presto ragione di Yuuhi, e dopo aver schivato il suo ultimo colpo di falce le inflisse un calcio non troppo potente ma comunque doloroso; la ragazzina barcollò all’indietro tenendosi lo stomaco con la mano libera, e quando risollevò gli occhi erano iniettati di rabbia.

  «Questa me la paghi.»

  «Adesso basta!» disse Minami «Questa storia deve finire!»

  «Taci, traditrice!» replicò Ushio altrettanto incollerita «Tu che ti sei schierata coi nostri nemici non hai il diritto di farci la ramanzina!»

  «Ma insomma, volete capire o no che questa è pura follia?» intervenne Shinji «Seth vi sta usando, lo ha sempre fatto! Volete davvero morire per una persona simile?»

  «Parli di Seth come se fosse un essere mostro. Siete voi umani i veri mostri. Basta vedere cosa avete fatto a questo mondo e come vi trattate tra di voi per rendersene conto.»

  «È vero. Gli umani possono essere crudeli. Sono capaci di atti orribili, e arrivano anche a gloriarsene. Ma non tutti sono così.

  Prendete vostra sorella, ad esempio.»

  «Nostra sorella!?» esclamò Yuuhi sorpresa

  «Credete a me, umani col suo buon cuore ce ne sono davvero pochi.»

  «Di che stai parlando?»

  «Ancora non lo avete capito? Tutto ciò che Minami ha fatto da che tutto questo ha avuto inizio lo ha fatto solo per voi.»

  «Cosa!?»

  «Minami, che significa?»

  L’interessata si morse le labbra e distolse lo sguardo, colta da un improvviso timore di dire la verità; Shinji, serio come non mai, la guardò dritta negl’occhi.

  «Non è questo il momento di avere paura. Ti sei tenuta la verità dentro per troppo tempo. È giunto il momento che anche loro sappiano».

  Minami, ancora, temporeggiò, ma poi, colpita dalla determinazione che albergava negli occhi di Shinji, decise di dargli fiducia, e raccolta la propria si girò nuovamente verso le sue sorelle.

  «Ushio. Yuuhi. Mi dispiace per quello che vi ho fatto.

  Mi rendo conto che ho sbagliato a nascondervi la verità sui nostri genitori, così come ho sbagliato a lasciare che le cose andassero per il loro senso dopo che le nostre anime sono state liberate dal Libro dell’Oscurità.

  Ero convinta che in questo modo avrei potuto proteggervi, invece non ho fatto altro che aumentare la rabbia e la voglia di vendetta che avevate nel cuore.

  Spero che potrete perdonarmi».

  Le due sorelle minori erano visibilmente sorprese, ed osservavano Minami con gli occhi sbarrati e la bocca socchiusa; tuttavia, Yuuhi sentì ben presto montare di nuovo la rabbia dentro di sé.

  «Pensi davvero che questo sia sufficiente?

  Hai una qualche idea di tutto quello che abbiamo dovuto passare a causa della tua ipocrisia!»

  «Mi dispiace, Yuuhi. Io cercavo solo di proteggervi. Non volevo che vi trovaste costrette ad affrontare ciò che avevo dovuto sopportare io, per questo non vi ho mai detto la verità.

  Ora mi rendo conto che è stato un errore.»

  «Un errore!?» tuonò la sorella minore rossa di collera «Solo un errore!? Hai idea di come mi sia sentita venendo additata davanti a tutta la classe come la figlia di un mafioso, di un assassino?»

  «Certo che lo so, perché ci sono passata anch’io. Quando ho scoperto che cosa facesse nostro padre per avere tanto denaro e per doversi spostare in continuazione mi sono sentita morire dentro, e come voi ero infuriata con un mondo che mi allontanava e mi etichettava per qualcosa di cui non avevo colpa.

  Non vi nascondo che mi sono sentita sollevata quando quell’uomo è morto, ma se sono stata in grado di ridare un qualche valore alla mia esistenza il merito è solo vostro.»

  «Nostro?» ripeté Ushio mutando la propria espressione, che da arrabbiata si faceva sempre più colpita e commossa

  «Il pensiero di avere voi due da crescere e a cui dover badare è servito a mantenermi integra.

  Ho dovuto rinunciare a molte cose per potermi occupare di voi, primo fra tutti quello di diventare medico, ma ero ben felice di farlo se questo fosse servito a farvi crescere felici.

  Quando avete scoperto la verità che io volevo tenervi nascosta entrambe vi siete chiuse in voi stesse, proprio come avevo fatto io, e invece di aiutarvi come avrei dovuto ho fatto finta di niente, permettendovi di sviluppare sentimenti di odio e di intolleranza verso un mondo dal quale, in verità, avevo sempre cercato di tenervi lontane.

  Ora però ho capito che scappare dalla realtà non risolve i problemi, e chi me l’ha fatto capire sono stati questi ragazzi. Non Seth, che la realtà vorrebbe semplicemente ricrearla a proprio piacimento e per il suo piacere personale.»

  «Smettila!» gridò Yuuhi «Perché mai dovremmo credere a tutte queste bugie! Ci stai mentendo, ci hai sempre mentito

  «Siete sorelle.» intervenne nuovamente Shinji «Dovreste capire subito quando una di voi non è sincera».

  Anche Yuuhi a quel punto parve sorpresa, ma se sua sorella Ushio sembrava sul punto di desistere lei al contrario sembrava tutt’altro che convinta.

  Minami si liberò della sua arma, che privata del sostegno del braccio cadde rovinosamente a terra producendo un gran baccano, quindi, camminando lentamente, si avvicinò alle sue due sorelle; Ushio era ormai completamente inerte, e non batteva ciglio se non per nascondere le lacrime che stavano cominciando a sgorgarle dagli occhi, Yuuki invece pareva una gatta ribelle che soffiava e guardava malevolmente chiunque considerasse un pericolo.

  «Ho sbagliato.» disse la sorella maggiore senza riuscire a trattenere le lacrime «Ho sbagliato tutto. Ma ora voglio rimediare.

  Noi non siamo le parche, e non siamo dee. Siamo Minami, Ushio e Yuuhi Shimabara. Viviamo in un piccolo appartamento nei sobborghi di Tokyo. Io lavoro tutto il giorno in un ufficio postale, e la notte studio per sostenere gli esami, Ushio frequenta le scuole superiori, Yuuhi invece le scuole medie. Ushio va’ matta per la cucina cinese, i gatti ed è bravissima a softball, Yuuhi è un piccolo genio e non ha rivali in matematica, io invece sono un aspirante medico che chiede solo di poter rimediare ai propri errori».

  Appena si inginocchiò davanti a loro porgendogli le braccia Ushio lasciò cadere la propria spada e si appoggiò singhiozzando ad una delle sue spalle; Yuuhi invece continuava a mostrarsi sospettosa, ma molto meno convinta di prima.

  Minami la guardò dolcemente, non solo come una sorella, e non fu un caso se per un attimo Yuuhi ebbe l’impressione di vedere sua madre, quella madre che in realtà non aveva mai conosciuto veramente, poiché era morta quando lei non aveva neanche un anno.

  «Ti prego. Permettimi di rimediare. Prometto che non ti tratterò più come una bambina.

  Affronteremo il mondo insieme, e forse un giorno potremo cambiarlo. Ma non in questo modo.

  Non in questo».

  A quel punto anche Yuuhi non riuscì più a fingere di far finta di niente, e gettata via la falce corse ad abbracciarla, piangendo come la bambina che, infondo, era sempre stata, costantemente schiacciata dai pesi opprimenti della sua genialità e del retaggio famigliare che si portava dietro.

  «Ricominceremo daccapo. E questa volta lo faremo insieme».

  Pochi minuti dopo, avendo fatto piazza pulita dei nemici nel piazzale, Takeru, Aria e Lotte sfondarono la porta del castello, trovando Shinji in amichevole conversazione con le sue ex avversarie; Ushio e Yuuhi avevano ancora gli occhi rossi per il pianto, ma cercarono per quanto possibile di mostrarsi salde e autoritarie.

  «Dovete raggiungere subito i vostri amici.» disse Minami «Probabilmente sono impegnati in uno scontro con Anubis, e avranno bisogno di tutto l’aiuto possibile.»

  «Che cos’ha in mente di fare Seth?» chiese Aria «La colonna di luce e quell’ammasso di nuvole che sovrasta il castello hanno raggiunto proporzioni esorbitanti.»

  «È un portale. Un portale per il mondo nel quale è stato tenuto rinchiuso, e dove ha lasciato la gran parte dei suoi poteri. Intende tornare lì con il suo corpo umano per convogliarli tutti dentro di esso.»

  «Tutti i suoi poteri in un solo corpo!?» disse Lotte «È forse impazzito!?»

  «Johan Von Karma è speciale, proprio come la vostra amica. Entrambi hanno la predisposizione ideale ad ospitare al loro interno tutti i poteri di un membro della nostra razza, una cosa impossibile per un comune essere umano.»

  «In tal caso, dobbiamo fermarlo subito.» disse Shinji.

  Lui, Takeru e le due gemelle si avviarono di corsa verso la porta che conduceva alla sala da ballo; prima di andarsene, però, Shinji fu richiamato da Yuuhi, che liberatasi delle lacrime gli rivolse uno di quei sarcastici sorrisi.

  «Non credere che sia destinata a finire così. Prima o poi, io e te chiuderemo tutti i conti in sospeso.»

  «È quello che spero. E aspetterò quel momento con ansia.» rispose lui sorridendo prima di sparire coi suoi amici dietro il portone.

 

Da che il confronto nell’intermundio aveva avuto inizio Keita si era ritrovato in perenne difficoltà.

  Uno dopo l’altro, Anubis aveva sfoggiato tutti i suoi incantesimi più potenti, e non c’era nulla che il ragazzo sembrasse in grado di fare per respingere gli attacchi del nemico.

  «Questa sfida si sta rivelando più facile del previsto.» disse Anubis durante un momento di pausa «Mi sarei aspettato molto di più da qualcuno che è riuscito ad arrivare così lontano».

  Keita tentò di muovere un nuovo attacco correndo contro il nemico e sferrandogli un fendente, ma Anubis schivò con estrema facilità spostandosi di lato per poi scaricare una corrente d’energia dritta nello stomaco del ragazzo, scagliandolo lontano.

  «Comincio davvero ad annoiarmi.

  Le tue tecniche sono prevedibili, la tua capacità di controllo della magia altamente discutibile. Ma dopotutto, se tu sei arrivato fino a qui, è stato solo per merito dei tuoi compagni.

  Loro hanno combattuto, hanno spianato la strada, tu invece non hai fatto altro che seguire il sentiero che ti veniva aperto davanti».

  Purtroppo, quello che Anubis diceva con tanto scherno era vero.

  Shinji, Takeru e Nadeshiko avevano sopportato prove difficilissime nella lunga strada che li aveva condotti da quella piazzetta di Venezia fino nel cuore della base del nemico; si erano confrontati con gli stessi generali di Seth, li avevano affrontati e vinti, rischiando talvolta la vita.

  Lui, invece, non aveva mai vinto, perché anche in tutti quei confronti in cui aveva dato il suo contributo era sempre stato qualcun altro a fare la differenza, togliendolo molto spesso da situazioni potenzialmente letali.

  La verità è che lui era la classica palla al piede, l’elemento debole che limitava, e in certi casi ostacolava, il cammino del gruppo. Aveva cominciato a sentirsi così fin dalla prima volta che si era trovato nell’impossibilità di aiutare i suoi amici, e anche se con il passare del tempo la situazione era un po’ migliorata lui non aveva mai, mai fatto veramente la differenza.

  Del resto Keita era consapevole che, fin da quando era piccolo, la sua attività preferita era sempre stata quella di scansare i pericoli, e anche quando finiva per ritrovarcisi coinvolto era sempre stato qualcun altro a tirarlo fuori, perché lui da solo non ne aveva la forza, o peggio ancora perché aveva paura.

  Credeva di aver superato tutto questo, credeva di essere riuscito a diventare una persona migliore, in grado di camminare da solo, ma ciò che stava succedendo in quel preciso momento lo smentiva; senza la forza di Toshio e la determinazione di Nadeshiko, lui non era in grado di fare assolutamente nulla. Non era neanche sicuro di riuscire a rialzarsi dopo il colpo micidiale che aveva subito.

  All’improvviso, senza un apparente perché, il ragazzo si sentì mancare il terreno sotto i piedi, anche se in fin dei conti un terreno vero e proprio non c’era mai stato, e prese a precipitare nel vuoto in un volo senza fine; solo dopo parecchi secondi, dopo aver gridato con tutta la sua voce, riuscì ad aggrapparsi ad uno di quegli orologi liquefatti.

  Anubis era scomparso, ma la sua voce continuava a rimbombare tutto intorno, schernendolo senza pietà.

  «Pazzo! Non capisci che gli intermundi reagiscono ai pensieri di chi vi si trova?»

  «Che cosa!?» esclamò lui incredulo

  «È così che tu sei dentro. Fragile. Insicuro. Vuoto.

  La tua mente e la tua anima sono un infinito oceano di nulla. Solo frammenti di memorie, schegge di emozioni che trasudano sentimenti di paura e rifiuto del mondo.

  Come puoi definirti un guerriero?».

  Keita si sentiva male come mai nella sua vita; forse a causa del suo stato d’animo turbolento e poco concentrato la sua spada scomparve, e dopo poco anche l’orologio a cui era aggrappato prese a sciogliersi ancora di più come neve al sole, facendolo precipitare ulteriormente prima di raggiungere, con un tonfo molto doloroso, un nuovo pavimento invisibile.

  Il ragazzo, segnato e ammaccato, riuscì faticosamente a rialzarsi, e risollevato lo sguardo vide Anubis nuovamente dinnanzi a sé; in mano teneva una nuova carta, lo Specchio.

  «Ora è giunto per te il momento di confrontarti con il tuo lato peggiore».

  La carta dello Specchio si illuminò, accecandolo momentaneamente, e quando riaprì gli occhi Keita vide, dinnanzi a sé, un altro sé stesso, in tutto e per tutto simile a lui, ma con degli occhi profondamente diversi, quasi senza vita, simili a quelli di un fantasma.

  Il suo alter ego inarcò leggermente le sopracciglia, poi, con velocità inaudita, gli andò contro, assestandogli un pugno potentissimo che lo scaraventò in aria; prima di tornare a terra Keita riuscì a girare su stesso e ad atterrare sulle sue gambe, ma quel colpo lo aveva visibilmente provato.

  Lo Specchio colpì nuovamente, e ne nacque un confronto a mani nude estremamente cruento, ma Keita, che non aveva granché dimestichezza con le arti marziali escludendo quel poco che gli aveva insegnato Izumi, era se possibile ancor più in difficoltà di quanto non lo fosse stato fino a quel momento.

  Tuttavia, le parole pronunciate da Anubis prima che iniziasse lo scontro lo facevano riflettere: aveva detto è giunto per te il momento di confrontarti con il tuo lato peggiore.

  Volendolo prendere alla lettera, significava che ciò che aveva davanti non era altro che una ulteriore manifestazione di sé stesso, o di una parte di sé di cui ignorava l’esistenza, o che forse non aveva mai voluto vedere.

  Dopotutto, lo specchio riflette ogni cosa; forse quello dinnanzi a lui era il Keita represso, il Keita battagliero e aggressivo che era sempre stato tenuto in disparte, e che stava approfittando del suo momento di libertà per vendicarsi dell’altra metà di sé stesso che l’aveva sempre tenuto in disparte.

  O forse, molto più semplicemente, era l’ennesimo tentativo di Anubis di metterlo in difficoltà, facendogli credere qualcosa che non era vero.

  Difficile trovare una risposta, ma era altresì vero che distrarsi per cercarla non era la cosa migliore da fare in una situazione di quel tipo, e infatti, ad un certo punto, Keita venne messo alle corde e subì un nuovo colpo al torace che per poco non gli spezzò le costole.

  Il ragazzo rovinò in ginocchio mugugnando per il dolore, mentre il suo alter ego lo sovrastava.

  «A quanto pare siamo arrivati alla fine dei giochi.» disse Anubis «Era inevitabile che finisse così. Chi si finge un guerriero pur non avendone le caratteristiche alla fine soccombe.

  È inevitabile».

  Keita, faticosamente, cercò di rialzarsi per poter proseguire lo scontro, e fu così, che, guardando il volto il suo alter ego, notò una cosa che lo lasciò a bocc’aperta: lui… stava piangendo.

  Il volto era immobile come quello di una statua, ma i suoi occhi apparentemente vuoti, piangevano lacrime amare, cariche di dolore, e sembrava che nessuno a parte lui potesse vederle.

  Era forse un’ennesima manifestazione del suo stato d’animo, del suo essere interiore.

  No. Non era questo.

  Non era lui a piangere, non era Keita a dare sfogo al proprio dolore.

  Chi piangeva era colui che si trovava al di sotto dell’immagine, chi dimorava oltre l’illusione. Chi piangeva… era la carta.

  Keita ne era sicuro; non sapeva perché, ma sentiva distintamente che la carta, apparentemente fredda e senza emozioni, come pure tutte le sue compagne, stava piangendo copiose lacrime di dolore, di sofferenza e di rimorso.

  Ma perché la carta avrebbe dovuto piangere? Forse perché non condivideva ciò che veniva costretta a fare. Ma era possibile per una semplice carta, che per quanto potente non sembrava dotata di una propria volontà, esternare i propri sentimenti in modo tanto visibile?

  «Sei un essere tanto abbietto e insignificante da non meritare neppure la morte per mano mia.

  Avanti, finiscilo».

  Anubis aveva impartito altri ordini allo Specchio durante il combattimento, ordini che erano stati sempre puntualmente eseguiti, ma stavolta, invece di ubbidire, la carta rimase immobile, continuando ad osservare Keita coi suoi occhi che, pur avendo smesso di versare lacrime, sembravano diventati di colpo un po’ più vivi.

  «Mi hai sentito?» ripeté lo stregone avvicinandosi visibilmente infuriato «Ti ho detto di ucciderlo! Ubbidiscimi!».

  Alla fine l’alter ego alzò il pugno, pronto a vibrare il colpo; lui e Keita si guardarono dritti, poi la carta si girò di colpo e diresse quel pugno verso Anubis, che lo bloccò imprigionandolo nella propria mano.

  «Che stai facendo?».

  Lo Specchio continuò a fare pressione sul colpo e alla fine Anubis si vide costretto ad indietreggiare, mollando la presa e scivolando all’indietro; la sua non sembrava una camminata, quando piuttosto una rapida planata al livello del suolo, il che contribuiva non poco ad accentuare la sua parvenza di spettro.

  «Dannata traditrice! Adesso imparerai cosa succede a sfidarmi!».

  La carta, incurante della minaccia, attaccò di nuovo, ma questa volta Anubis non si fece cogliere impreparato e, schivato il suo colpo, la afferrò per il collo come per strozzarla; lo Specchio tentò in ogni modo di liberarsi, e alla fine, subito prima che le forze gli venissero del tutto a mancare, riuscì ad allentare la presa quel tanto che bastava per divincolarsi, ma questo non le impedì di veniva investita da una bomba di vento che la scaraventò lontano.

  «Insolente ammasso d’inchiostro! Quando avrò finito con te ti ridurrò a brandelli!».

  Ad un cenno di Anubis tutto intorno allo Specchio si formò un anello di fuoco, e Keita non faticò a riconoscere in quella tecnica la stessa che aveva ucciso Wei; fortunatamente la carta riuscì ad allontanarsi giusto in tempo per non finire incenerita, ma mentre era ancora a mezz’aria un fulmine spuntato dal nulla la centrò in pieno, ricoprendola di ferite e bruciature su tutto il corpo, e quando, semisvenuta, precipitò nuovamente a terra venne avvolta da un tenue bagliore, cessando il proprio aspetto fittizio e rivelando quello di una giovane ragazza con un pregiato kimono nobiliare con le maniche larghe e lunghi capelli di un colore verde acqua; anche la sua pelle era insolitamente candida, come quella di una bambola di porcellana.

  «Adesso scoprirai cosa succede a fare il doppio gioco con Anubis».

  Lo stregone allungò le braccia, che furono circondate da una nuova fiamma blu, e dal nulla si generò un vortice di fuoco che si diresse contro la ragazza, che stremata non poteva fare altro che guardarla mentre si avvicinava inesorabilmente; se non che, all’ultimo momento, Keita, con ritrovato e insospettabile vigore, si mise in mezzo, e incrociate le braccia sul petto prese su di sé tutto l’attacco, facendo da scudo alla carta.

  «Non lo farai!»

  «Hai deciso di suicidarti, moccioso? Le mie fiamme ti ridurranno in cenere!».

  In effetti era vero: quel fuoco bruciava in maniera indicibile, e il corpo di Keita, malgrado non presentasse segni di ustione, era come immerso in un mare incandescente, tanto che a stento il ragazzo riusciva a trattenere le urla di dolore.

  Ma ora basta!

  Era giunto il momento di farla finita. Basta scappare, basta evitare i pericoli, e basta contare sempre sugli altri per uscirne.

  C’erano lui, una creatura innocente che lo aveva aiutato a rischio della sua stessa vita e un essere di una crudeltà inaudita che per nulla al mondo doveva continuare a fare del male.

  Doveva farlo, per i suoi amici e per salvare quelle carte che, ora ne era sicuro, ripugnavano il loro padrone, ma soprattutto doveva farlo per sé stesso.

  «Faresti meglio ad arrenderti! Se continui ad opporti così ai fuochi infernali finirai carbonizzato.»

  «Non mi importa!»

  «Che cosa!?»

  «Io ho smesso di avere paura, e non intendo più scappare! Non posso permettere ad esseri malvagi come te di fare ancora del male!».

  La spada del ragazzo gli comparve nuovamente in mano, e lui, messala davanti a sé, riuscì finalmente ad avere in parte ragione dell’attacco nemico, segandolo in due tronconi servendosi della lama affilata.

  «Io combatterò! Questa è la mia scelta!»

  Come Keita pronunciò quelle parole un fascio di luce rosato uscì dal mantello di Anubis e sfrecciò nella sua direzione, generando come un’esplosione che disperse totalmente il fuoco del nemico minacciando anche di buttarlo all’indietro.

  Anubis riconobbe subito la barriera che si era formata davanti al ragazzo e non riuscì a credere ai propri occhi.

  «Lo… lo Scudo…».

  Keita si girò quindi verso lo Specchio.

  «Stai bene?».

  Lei lo guardò allibita, poi gli fece un sorriso gentile e ritornò alla sua forma di carta, rimanendo a fluttuare davanti a lui, e altrettanto fece lo Scudo.

  Subito dopo, uno dopo l’altro, altri diciassette fasci di luce uscirono dal mantello di Anubis e si portarono davanti a Keita per poi venire circondati da un grande bagliore, e quando, dopo poco, tutto si esaurì, le carte erano riposte dentro una sorta di scrigno simile a quello dei contenitori inglesi da tè fatto, all’apparenza, tutto d’avorio.

  Attonito, Keita lo prese in mano, e subito poté avvertire un piacevole calore provenire dal suo interno, nonché un senso di appagamento e gioia.

  «Non è possibile!» esclamò Anubis vedendosi improvvisamente privato dei suoi assi nella manica «Perché? Perché è successo tutto questo!?».

  La risposta a questa domanda gliela fornì l’ultima persona che Keita si aspettava di veder comparire, e che si materializzò, come al solito, all’interno di un portale fatto di luce proprio alle spalle del ragazzo.

  «Davvero non lo capisci, Anubis

  «YuYuko!?» esclamò lo stregone

  «Come hai detto tu stesso, le carte sulle quali facevi tanto affidamento sono state create partendo dal modello di quelle di Clow, ma eri così presto dal tuo proposito di creare delle carte ancora più potenti da non accorgerti di aver conferito loro, similmente alle Carte di Clow, la capacità di provare sentimenti.»

  «Provare sentimenti!?»

  «Le Carte di Clow sanno distinguere la differenza tra bene il male e riconoscono come proprio padrone colui che si opera nell’aiutare gli altri. Fino ad oggi il tuo potere e la tua forza spirituale le hanno tenute soggiogate, ma ora hanno trovato qualcuno più meritevole di te, qualcuno dotato non solo di un cuore, ma anche di un potere superiore al tuo.»

  «Che cosa!? Un potere superiore al mio!? Questo moccioso umano!?»

  «Non è ironico?» disse Yuko con un sorrisetto beffardo «Eri il maestro di Clow, e alla fine ti sei trovato nella condizione di doverlo in qualche modo eguagliare.

  Lui era sempre stato più forte di te, questo lo sapevi meglio di chiunque altro, ma non lo potevi accettare. Sei e sarai sempre il secondo. Il fatto che tu abbia voluto imitare l’esperimento del tuo stesso allievo ne è la prova.

  Addio, maestro».

  Yuko scomparve come era arrivata, e Anubis parve calare nella furia più ceca; lanciò un urlo terrificante, e il suo stesso corpo venne avvolto da un altissima e luminosissima fiamma azzurra che cominciò a lacerare sia i guanti che il mantello, questo mentre da dentro il cappuccio cominciavano ad intravedersi sempre più minacciosi due occhi che scintillavano di rosso.

  «Chi ha bisogno di quelle inutili carte? Ridurrò in cenere sia te che loro!».

  Il fuoco raggiunse proporzioni colossali, e quando Anubis abbassò violentemente le braccia buona parte di esso si scaricò su Keita, che senza esitazioni ci si lanciò contro facendosi strada con le propria spada.

  Lo scrigno che aveva con sé, assicurato alla cintura, si illuminò, e dalla fessura tra il coperchio e il resto della scatola uscì una luce che si materializzò nella mano sinistra di Keita nella forma di una seconda spada, lunga e sottile come un fioretto ma all’apparenza più resistente del diamante; una seconda luce avvolse entrambe le armi, circondandole di fuoco, e grazie a questo il ragazzo riuscì senza problemi a farsi strada tra le fiamme del nemico.

  «No!»

  «Per te è finita, Anubis!» gridò Keita arrivandogli appresso e piantandogli con forza la Spada nel torace.

  Vi fu una certa resistenza, segno che sotto quel mantello vi era molto probabilmente un corpo protetto da un’armatura; Anubis gridò ancora più forte, ma ancora non sembrava determinato a morire, e allora Keita, annullato sul nascere un suo tentativo di colpirlo con un fendente degli artigli bluastri ed affilati che gli erano spuntati dai guanti lo trafisse anche con la seconda spada.

  Quando ritrasse entrambe le armi dagli squarci sgorgò una fortissima luce azzurra al posto di sangue, e le fiamme attorno al corpo del nemico incominciarono a ruotare vorticosamente fino a formare un vero e proprio tornado.

  «Non è possibile! Non ci credo!» urlò Anubis prima che tutto quel fuoco generasse una tremenda esplosione.

  Keita chiuse gli occhi, e quando li riaprì era di nuovo nel corridoio del castello; c’erano anche Toshio e Nadeshiko, distesi a terra svenuti ma in buone condizioni.

  Ancora attonito per quello che aveva appena fatto, il ragazzo guardò un momento la spada che aveva nella mano sinistra; questa, dopo poco, ridivenne luce e fece ritorno nello scrigno, e dopo poco Yuki apparve riflessa a mezzobusto su una delle vetrate di destra, che sembrava aver assunto le fattezze di un vero e proprio portale.

  «Devo farti i miei complimenti, Keita. Hai dimostrato di avere grande coraggio e un cuore nobile.

  Hai visto in faccia le tue paure, ma invece di scappare hai scelto di affrontarle, e alla fine le hai vinte. È stato soprattutto questo a segnare la sconfitta di Anubis.»

  «Cos’è successo

  «Anubis voleva surclassare le carte create dal suo discepolo creandone delle altre dotate di un potere ancora più grande, ma senza rendersene conto anche alle sue finì per conferire la capacità di provare emozioni.

  Le carte di Anubis, così come quelle di Clow, sono sensibili hai pensieri umani. Tu hai dimostrato di tenere a loro più di quanto non facesse Anubis, e quando hanno percepito la vastità del tuo potere sono riuscite a liberarsi dal suo controllo, eleggendoti come loro nuovo custode.

  È la prima volta che le carte create da uno stregone riescano a cambiare il proprio padrone quando il precedente è ancora in vita, e questo può solo dare l’idea del potere che sta crescendo sempre più forte dentro di te».

  Keita guardò nuovamente lo scrigno che aveva in mano, poi lo porse alla strega.

  «Se per te non è un problema, vorrei che queste le tenessi tu, almeno per un po’.»

  «Potrebbero risultare un utile alleato nella battaglia ancora in corso.»

  «Sì, lo so. Ma ho deciso che voglio concludere questa storia contando solo sulle mie forze. Ho confidato troppo a lungo sull’appoggio altrui per uscire dalle situazioni più rischiose, ma adesso basta.

  Mi sono alzato sulle mie gambe, ora devo imparare a camminare».

  Yuko lo guardò per qualche secondo, poi lo scrigno fu avvolto dalla solita luce violacea e fluttuò all’interno del portale, ricomparendo tra le mani della strega.

  «Quando la battaglia sarà finita verrò a riprendermele.»

  «Ne sono certa. Anche se non sono al livello di quelle di Clow, queste carte non possono restare a lungo lontane dal padrone che hanno scelto di proteggere.

  Le conserverò con cura.» e, detto questo, la strega scomparve.

  Pochi minuti dopo Toshio e Nadeshiko ripresero i sensi, e contemporaneamente Takeru, Shinji, Aria e Lotte sopraggiunsero dal fondo del corridoio.

  «Nadeshiko.» disse Toshio aiutandola a rialzarsi «Va’ tutto bene?»

  «Sì, almeno credo. Ma cosa è successo?»

  «Non ne ho idea. Forse tu potresti spiegarcelo, Keita. Che ne è stato di Anubis?»

  «Potete stare tranquilli. Lui non sarà più un problema.»

  «L’hai eliminato da solo!? Complimenti, sei davvero in gamba.»

  «Ti ringrazio.» rispose lui arrossendo

  «Scusate se vi interrompo, ma che ne direste di rimandare la cosa a un momento più propizio?»

  «Shinji ha ragione. Forza, chiudiamo questa storia».

 

Pur avendo lo scettro della sua servitrice più fedele appoggiato sulla spalla Seth non sembrava per nulla preoccupato o alterato; al contrario, sorrideva come sempre.

  «E così, hai deciso di tradirmi anche tu.» disse rimanendo di spalle

  «Non sono più dalla tua parte da parecchio tempo, quindi non credo si possa parlare di tradimento.»

  «Ora tutto comincia ad avere senso. Mi sono sempre chiesto per quale motivo accettasti di schierarti apertamente al mio fianco quando ormai le sorti della guerra erano praticamente scritte.»

  «Tu hai sulla coscienza il sangue di milioni di nostri compagni. Hai portato morte e distruzione tra il nostro popolo più di chiunque altro in nome della tua sfrenata ambizione.»

  «Non mi pare che tu la pensassi così quando ha avuto tutto inizio.»

  «È vero. Al principio di tutto condividevo le tue idee. Ero convinta che gli umani non meritassero questo mondo, e in parte lo credo ancora.

  Ma poi, quando hai dato il via alla tua guerra indiscriminata, ho visto la verità dietro la menzogna, e ho capito che l’unica cosa che ti muoveva erano i tuoi propositi di egemonia assoluta.

  Avevi sempre guardato la mia famiglia con ingordigia, e bramavi la nostra posizione di dominio; fu questo a spingerti a incominciare la guerra, questo e niente altro.»

  «Ti sbagli. I sentimenti che nutrivo verso questo mondo erano sinceri. Avevo visto la crudeltà e la malvagità degli umani, e non volevo che fosse la Terra a farne le spese.»

  «Forse. O forse era solo ciò che mi sforzavo di credere per giustificare il fatto che rimanevo impassibile ad osservarti mentre massacravi i miei fratelli».

  In quella, alcune lacrime presero a rigare le guance di Lainay, e lei, trattenendole a stento, si morse i denti, facendosi ancor più adirata di prima.

  «Ma poi lo hai ucciso!»

  «Non capisco per quale motivo tu te la prenda tanto. Dopotutto lui alla fine aveva scelto Isis. Non ci aveva pensato due volte a prendere a calci i tuoi sentimenti per sposare tua sorella.»

  «Horus era tuo fratello! E comunque, anche se mi aveva respinta, io lo amavo ancora!».

  Johan chiuse gli occhi, sorridendo leggermente.

  «L’ho sempre detto, l’amore uccide la ragione più di qualsiasi altra cosa.»

  «A quel punto ti ho odiato con tutto il cuore, e ho giurato a me stessa che non mi sarei data pace fino a che non fossi riuscita a strapparti il tuo dalle mani.

  Cercai in tutti i modi di convincere la mia famiglia a riservarti la morte peggiore, ma l’inossidabile compassione di mia sorella alla fine ti ha salvato. Io però non lo potevo accettare.»

  «E così hai accettato di dannare la tua anima solo per avere una possibilità di uccidermi.»

  «Hai indovinato. Ho atteso migliaia e migliaia di anni rinchiusa in quel libro, e intanto il mio odio per te cresceva a dismisura.

  Quando finalmente sono riuscita a tornare ho pazientato, nell’attesa del momento giusto, e ora quel momento è arrivato.

  Vendicherò i miei genitori, i miei fratelli e tutti i nostri compagni che sono morti per mano tua».

  Di nuovo, Johan fece una lunga pausa.

  «Rispondimi sinceramente. C’è mai stata della verità nelle parole d’amore che mi rivolgevi?»

  «Certo che c’era. Ti amavo al principio, e con tutta me stessa. Per questo non ho messo subito in atto i miei propositi dopo essere resuscitata.

  Dentro di me speravo ardentemente che fossi diventato il giovane condottiero idealista e determinato che eri quando ti ho conosciuto, ma poi ho capito che anche quella era tutta una finzione, una maschera che ti eri messo per nascondere i tuoi reali intenti.»

  «Forse è vero quello che dici. Ma anche io ti ho amata sul serio. Ammiravo il tuo coraggio, il tuo senso di indipendenza e il tuo spirito battagliero. Saresti stata la regina perfetta.

  Purtroppo, proprio come tua sorella, alla fine ti sei lasciata guidare dalle passioni piuttosto che dalla ragione.

  Tu ora vorresti uccidermi.

  Però, a quanto pare, ti sei dimenticata di una cosa importante.»

  «Come!?» disse Lainay sorpresa.

  Johan, con un movimento repentino, sfiorò il Libro dell’Oscurità, portato alla cintura per mezzo di un apposito astuccio, e immediatamente la giovane donna fu sollevata in aria da una forza misteriosa che, dilaniandola dall’interno, la fece urlare con tutta la sua voce.

  Il dolore era atroce, era come se la vita le venisse strappata via a forza, e dopo più di un minuto di agonia, durante il quale venne anche investita da una tempesta di lame invisibili che le provocarono tagli sul corpo e sui vestiti, Lainay crollò esanime sul pavimento, cosciente per miracolo.

  «Ricordi quello che mi hai detto?» disse Johan girandosi verso di lei con il Libro dell’Oscurità aperto a metà in una mano «Tu mi hai dato il tuo cuore e la tua anima giurandomi fedeltà, proprio come tutti gli altri. L’energia della tua anima sarà per me un pasto prelibato, per quanto riguarda il cuore te lo lascerò fino a quando non smetterà di battere, e credimi, sarà un’attesa molto breve.»

  «Ma… maledetto…»

  «Non c’è che dire, la stupidità è un male di famiglia. Porta i miei saluti a tuo padre».

  Richiuso il libro, Johan si avvicinò a Franziska, che osservava impietrita Lainay mentre rantolava agonizzante respirando a fatica.

  «Franziska.» le disse, riuscendo a catalizzare la sua attenzione «Mi dispiace, ma non avevo scelta. Ci ha tradito, proprio come Lachesi e le altre.

  Non possiamo accettare il tradimento. Non costruiremo mai un mondo migliore se avremo al nostro fianco individui che dimostrano di non condividere il nostro disegno.

  Ora però, siamo solo te ed io. Nessuno ci tradirà, nessuno ci abbandonerà. Avremo il nostro nuovo mondo, e sarà solo per noi due.»

  «J… Johan…»

  «Fidati di me, sorellina. Andrà tutto bene».

  Alla fine la potenza ipnotica di quegli occhi ebbe nuovamente la meglio, e Franziska, presa una mano di Johan, lo seguì, docile come un cagnolino, dentro al passaggio segreto aperto dietro al trono per mezzo di un pulsante segreto nascosto sotto il bracciolo sinistro.

  Toshio e gli altri fecero irruzione nella sala qualche minuto dopo, e vedendo Nepthys stesa a terra corsero subito verso di lei; Nadeshiko, inginocchiatasi, la prese tra le braccia.

  «Lainay! Lainay, riprenditi».

  Lei, aprendo gli occhi e vedendo dinnanzi a sé quel volto tanto famigliare, sorrise leggermente.

  «So… sorellina…»

  «Lainay, cos’è successo

  «Mi… mi dispiace. Ho… fallito.»

  «Lainay…».

  Il ciondolo di Nadeshiko si illuminò e i suoi occhi cambiarono nuovamente di colore; riconoscendoli, Nepthys sorrise nuovamente.

  «Isis… potrai mai perdonarmi… per quello che ho fatto…»

  «Sono io che devo chiederti scusa, Nepthys. Non avrei dovuto intromettermi nella tua storia con Horus.»

  «No… va’ bene così. In realtà… ero gelosa di voi. Eravate davvero… una bella coppia. Lui ti amava, e tu amavi lui. Non volevo ammetterlo, ma questo… mi rendeva felice.»

  «Nepthys…» disse la sorella minore senza riuscire a non piangere

  «Devi… devi fermarlo. Dovete fermarlo. Questo mondo… non sarà mai sicuro… finché lui sarà vivo.»

  «Lo fermeremo, Nepthys

  «È una promessa.» disse Toshio

  «Conta pure su di noi.» disse Keita.

  La giovane donna raccolse le sue ultime forze per accarezzare il volto di Nadeshiko, che strinse quella mano passandovi la guancia sopra, poi però si avvide che la sua ora era ormai arrivata.

  «Nepthys, resisti!»

  «Sono felice… di averti potuta vedere… un’ultima volta. E questa ragazza… dille… che le auguro… ogni bene.» quindi si girò verso Toshio «Starà a te… proteggerla. Proteggi il suo animo puro. Non lasciare… che sia contaminato… dall’oscurità…»

  «Lo farò. È una promessa».

  Lainay sorrise un’ultima volta, poi, chiusi gli occhi, spirò tra le braccia della sorella, e anche quando Nadeshiko tornò in lei stessa non riuscì a smettere il pianto iniziato da Isis.

  «Ora basta.» disse Toshio «Troppe persone hanno sofferto per la follia di Seth.»

  «Hai ragione.» disse Keita «È ora di farla finita».

  Avventatisi a loro volta sul passaggio segreto rimasto aperto i ragazzi salirono il più velocemente possibile la scala a chiocciola che correva all’interno della torre, e quando arrivarono in cima trovarono Seth e Franziska in piedi davanti alla colonna di luce, divenuta luminosissima.

  «Seth!» gridò Toshio

  «Mi dispiace, questa volta vinco io!» disse lui entrando nel cilindro di luce assieme alla sorella.

  Il giovane guerriero non perse tempo e gli corse contro nel tentativo di colpirlo, ma nell’istante in cui menò il fendente la colonna si era già richiusa, e anche la tempesta in cielo andava esaurendosi.

  «Tranquilli.» disse la voce echeggiante del nemico «Ci rivedremo molto presto.»

  «Maledizione!» gridò Lotte battendo il pugno a terra così forte da provocare una spaccatura «È riuscito a svignarsela, e adesso non lo prenderemo più!»

  «Non è detto.» disse Aria «Forse c’è ancora una possibilità.»

  «Di che stai parlando?» domandò Takeru.

  Toshio ci pensò a sua volta un istante, poi anche lui ebbe l’illuminazione.

  «Ma certo, hai ragione!»

  «Insomma, volete spiegarci di che state parlando?» disse Shinji

  «Esiste un portale segreto per raggiungere il mondo di Seth, un portale del quale persino lui ignora l’esistenza.»

  «Dici sul serio!?» esclamò Nadeshiko

  «È quello che fu usato dai primi sette partecipanti al torneo per esiliarlo. In quel caso l’energia prodotta dalla Luce di Amon fu così grande che il varco fu sì richiuso, ma di fatto non scomparve mai del tutto.

  È molto probabile che avendo convogliato l’energia nel portale originario per farlo riaprire Seth abbia inconsciamente convogliato parte di quest’energia anche al portale segreto, il che significa che potremmo riuscire ad attraversarlo.»

  «È fantastico!» disse Keita «Allora forse c’è davvero una speranza per fermarlo in tempo «Dov’è questo portale?».

  Toshio rimase un momento a guardare il cielo, poi si girò verso i suoi compagni.

  «Preparatevi. Dobbiamo partire subito.»

  «Per dove?» chiese Shinji

  «Per il luogo dove si consumò la prima battaglia finale. È lì che il varco fu aperto, ed è lì che si trova tuttora».

  Nel corso delle ultime settimane Keita e gli altri avevano appreso molte cose sulla storia del torneo, quindi capirono subito di quale posto Toshio stesse parlando.

  «Vuoi dire…» disse attonita Nadeshiko

  «Esatto. Andiamo a Roma».

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi!^_^

L’università è finita, e io sprizzo felicità da tutti i pori!

Cinque esami passati su sei solo in questo quarto periodo! Finalmente l’estate comincia anche per me, e sarà un’estate di scrittura sfrenata!

Lo dimostra il fatto che quelli che dovevano essere due cap a sé stanti alla fine sono stati convogliati in uno solo, il che significa che siamo a -5 dalla fine (epilogo incluso).

Ringrazio Selly, Cleo e Akita per le loro recensioni, grazie alle quali ho sfondato per la prima volta il muro dei 100 commenti: neanche la Millennium War originale era arrivata a fare tanto (ed erano 69 capitoli!).

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 29
*** Il Tempo Immobile ***


28

28

 

 

Il re Akunator, che fra i tanti epiteti attribuitigli dal popolo annoverava quello di “il Saggio”, quella mattina era immerso nello studio di alcuni fra gli innumerevoli testi antichi accuratamente riposti e catalogati nell’antica e monumentale biblioteca di Nephtys; raccolti in anni di scambi e di commerci coi carovanieri provenienti da tutti gli angoli del continente appartenevano a tutte le culture e a tutte le epoche, e alcuni di essi, soprattutto pergamene e vecchi papiri, risalivano persino all’epoca dei faraoni.

  Il caldo secco del deserto ne permetteva la preservazione, e quando anche in questo caso l’integrità dei testi era a rischio si provvedeva alla ricopiatura prima che fosse troppo tardi.

  In pochi lo sapevano, persino fra gli abitanti, ma nel palazzo reale erano conservati tutti i volumi che gli eruditi greci ed egiziani erano riusciti a salvare dalla distruzione della Grande Biblioteca di Alessandria per mano dei cristiani nel quarto secolo, una cultura, a detta di chi aveva avuto la possibilità di studiarla, in grado di stravolgere il mondo così come lo si conosceva.

  Preservare quell’inestimabile patrimonio del sapere dalle mani di una civiltà, quella moderna, che tutto avrebbe potuto farne fuorché un uso corretto, era compito dei sovrani di Nepthys, i soli autorizzati a leggere molti di quei testi, e fra tutti i re Akunator era fra coloro che avevano dedicato maggior tempo alla catalogazione e allo studio di opere che nel resto del mondo erano considerate leggendarie.

  D’un tratto un giovane attendente entrò dal grande portone a due ante distruggendo il silenzio irreale che regnava sovrano in quelle sale, ma Akunator sapeva che se qualcuno veniva a cercarlo proprio lì doveva esserci un motivo più che urgente, perché tutti erano consapevoli che nei suoi momenti di studio il re non voleva essere disturbato inutilmente.

  «Mio signore, mi dispiace disturbarti.»

  «Che succede?»

  «È appena tornato il principe Sanak, e sostiene di doverti parlare con la massima urgenza.»

  «Sanak è tornato!?» esclamò il sovrano «Fatelo entrare, forza.»

  «Subito».

  Il principe entrò pochi minuti dopo, e Akunator faticò a riconoscerlo, tanto il suo sguardo appariva cambiato. Sanak si portò di fronte all’elegante tavolo in legno lavorato, poi fece  una cosa che mai aveva fatto, e che per la sua condizione di futuro erede al trono non era neanche tenuto a fare: chiusi gli occhi, fece un reverenziale inchino, facendo sparire il volto sotto le frange lunghe dei suoi capelli.

  «Padre. Mi dispiace di averti disturbato. Ho bisogno estremo di parlarti».

  Akunator, alzatosi dal suo scranni ligneo, si avvicinò al figlio per poi abbracciarlo con tutto il calore e l’affetto di un padre esemplare, il padre che qualunque ragazzo avrebbe voluto avere. Sanak, a quel gesto, rimase di stucco: neanche ricordava l’ultima volta che il re lo aveva abbracciato in quel modo.

  «Figlio mio. Finalmente sei tornato.» disse guardandolo in volto «Ero così preoccupato. Un giorno sei sparito e non abbiamo più avuto tue notizie.»

  «Mi dispiace, padre. Ho avuto.. dei problemi. Molto grossi.»

  «Non importa. Ciò che conta è che tu ora sia qui, e al sicuro. Il resto non ha importanza».

  Sanak si fece coraggio; ormai aveva preso la sua decisione, e non sarebbe tornato indietro.

  In quel momento non pensava al fatto che forse la magnanimità di Akunator lo avrebbe potuto salvare, o se non altro evitargli gravi conseguenze; non che avesse superato completamente l’astio che provava per Toshio, ma quello era e doveva restare un capitolo a parte.

  Aveva permesso al suo odio e al suo sentimento di rivalsa di dominarlo, spingendolo a cospirare contro il suo stesso padre, per quanto indirettamente, al solo scopo di ottenere il proprio riscatto e la posizione che sentiva di meritare, e per questo avrebbe affrontato la punizione che gli sarebbe stata impartita.

  «Padre.» disse facendosi più serio che mai «C’è una cosa che devi assolutamente sapere.»

  «Di che si tratta?» domandò il sovrano, colpito e preoccupato da un atteggiamento tanto severo

  «Riguarda Zervan».

  Cinque minuti dopo un manipolo di guardie armate di fucili marciavano a passo spedito lungo i corridoi dell’ala orientale del palazzo per fermarsi, fra lo stupore degli spettatori, davanti alla porta delle stanze di Zervan.

  Il capitano assegnato all’incarico, un brav’uomo estremamente  fedele, tentò di aprire girando il pomello, ma la serratura era chiusa, e allora batté vigorosamente per tre volte.

  «Gran Visir! Sua maestà ha chiesto di vederla! Abbiamo l’ordine di condurla nella sala del trono!».

  All’interno, il nobile Zervan camminava su e giù con aria spaesata, del tutto indifferente ai rumori e ai richiami che provenivano da dietro i battenti.

  Sapeva benissimo per quale motivo lo stessero cercando.

  E così, alla fine, il suo sogno, per il quale aveva lavorato tutta una vita, era andato in frantumi: il sogno di realizzare un nuovo ordine per i sette villaggi con cui ridare vita ad un sistema, secondo lui, troppo vecchio e retrogrado per poter continuare ad esistere.

  Il re suo cugino era un debole, lo era sempre stato: troppo idealista e cocciuto per far fronte alle sue responsabilità, e il fatto che si fosse mostrato tanto riluttante a risvegliare per l’ennesima volta il principe Touya ne era la dimostrazione.

  Quando si aveva sulle spalle il destino dell’umanità e del mondo intero i sentimentalismi dovevano essere messi da parte, una cosa che Akunator non era assolutamente capace di fare.

  «Gran Visir!» irruppe nuovamente la voce del capitano «Se non apre subito la porta ci vedremo costretti a sfondarla!».

  In silenzio, come se niente fosse, Zervan si sedette alla propria scrivania, proprio di fronte alla porta, dall’altro lato della stanza, e con movenze lente e scandite, quasi da rito religioso, aprì uno dei cassetti, prendendone fuori un contenitore di legno con intarsi argentei: al suo interno era riposto un bell’esemplare di Walther p38 estremamente ben tenuta, lucida e pulita come appena fabbricata, un dono che suo padre aveva ricevuto direttamente dal feldmaresciallo Erwin Rommel in persona nel lontano 1944 dopo aver servito sotto di lui assieme ad alcune sue guardie personali, che con la loro abilità a muoversi nel deserto e la loro conoscenza del territorio erano state non poco determinanti per le sorti iniziali della Campagna d’Africa.

  Raccoltala, inserì il caricatore appoggiato in un’apposita rientranza nel tessuto, infilò in canna il primo colpo e rimosse la sicura, quindi, messosi più comodo sulla poltrona, la rivolse verso la porta.

  Ironico: alla fine di tutto, proprio ad un passo dal traguardo, non era riuscito ad eguagliare l’impresa del suo antenato, il grande Nazim, che con le sue gesta era stato all’origine della creazione di quella che poteva essere definito senza mezzi termini come la massima espressione dell’essere umano, la tappa successiva dell’evoluzione.

  Intanto, non ottenendo alcun segnale di risposta il comandante diede l’ordine di passare alle maniere forti; due suoi uomini si piazzarono di fronte all’ingresso, quattro sui due lati dei battenti. Lui, dopo aver fatto un cenno, scardinò la porta con un calcio, e contemporaneamente il fragore di uno sparo risuonò in tutto il palazzo.

  Informato dell’accaduto il re arrivò sul posto in pochi minuti, accompagnato dal principe Sanak, ed entrato nella stanza trovò il corpo senza vita del cugino riverso sulla scrivania in un lago di sangue, con la pistola in mano e un foro alla tempia destra.

  «Mio signore.» disse il capitano porgendogli una pergamena «Abbiamo trovato questo nel doppiofondo segreto di un cassetto. Crediamo si tratti del formulario per decifrare il codice segreto della lista.»

  «Portatelo agli scribi.» rispose Akunator senza staccare gli occhi da Zervan «Che ci lavorino subito.»

  «Come desidera».

  Il re si volse dunque verso Sanak, che teneva lo sguardo basso per la vergogna.

  «Padre, io…».

  Prima che potesse finire di parlare Akunator gli mise una mano sulla spalla, guadagnandosi l’ennesima occhiata di stupore.

  «Non devi dire niente. Mi rendo conto che per te non sono stato un buon padre.

  Se tutto ciò è accaduto, la colpa è in parte anche mia.»

  «Padre…» disse Sanak trattenendo a stento le lacrime «Mi dispiace.»

  «Anche a me. Prima o poi ti chiederò di perdonarmi per averti trascurato in questo modo.

  Ma avremo modo di chiarirci non appena tutto questo sarà finito».

  Lo stesso attendente entrò nella stanza qualche istante dopo recando un dispaccio della massima importanza.

  «Da parte del principe Toshio.» disse porgendolo al re.

  Akunator lo prese e lo lesse attentamente, facendosi ad ogni riga sempre più sconvolto e preoccupato.

  «Contattate subito i capi degli altri villaggi!» disse come inviperito prima ancora di aver finito del tutto di leggere «Voglio parlargli immediatamente!»

  «Sissignore.»

  «Fate preparare il mio aereo privato e allertate i nostri migliori maghi e guerrieri. Che siano pronti a partire entro un’ora.»

  «Ai vostri ordini.»

  «A quanto pare la nostra discussione è rimandata, Sanak.» disse poi rivolto al figlio mentre insieme percorrevano a passo spedito il corridoio che portava alla sala del trono

  «Che è successo, padre?»

  «Il giorno della battaglia finale è arrivato, e le nostre più terribili previsioni si stanno concretizzando. Dobbiamo partire subito per Roma».

 

Roma, hotel Gatewater

6 settembre

Ore 11.47

 

E così, si era arrivati a quella che, sicuramente, sarebbe stata la tappa finale di quel lungo, incredibile e travagliato viaggio in giro per l’Europa.

  Dalla finestra del loro lussuosissimo attico i ragazzi osservavano Roma, la città eterna, che viveva all’apparenza una delle sue tante giornate normali: i cittadini si dividevano tra uffici, luoghi di ritrovo e semplici abitazioni, i turisti affollavano i luoghi d’interesse, dai fori imperiali al famosissimo Colosseo, passando per le terme cittadine, le sponde del Tevere, l’isola Tiberina, la Fontana di Trevi e la Città del Vaticano.

  Nessuno poteva immaginare che da un momento all’altro quella splendida e incredibile città, che era sopravvissuta allo scorrere dei millenni, a intramontabile memoria della sua gloria passata e presente, sarebbe potuta diventare da un momento all’altro il teatro di scontro per la più grande battaglia che il genere umano avesse mai visto, così come erano ben pochi coloro a conoscenza del fatto che lì, migliaia di anni prima, sette guerrieri erettisi a difesa del loro mondo avevano sancito la prima vittoria del genere umano su di una divinità egoista e malevola che nei secoli a venire avrebbe continuato a minacciare l’universo con la sua brama di conquista.

  «Sembra tutto così tranquillo.» disse Keita osservando la gente che camminava lungo la strada pedonale antistante all’albergo, ricca di negozi e ristoranti prestigiosi

  «Temo lo sarà per poco, se non faremo qualcosa.» replicò Takeru

  «Se ci penso mi sembra incredibile.» disse Nadeshiko «Chi l’avrebbe mai detto che proprio qui si sia svolta la prima battaglia tra Seth e gli uomini?»

  «All’epoca del primo grande torneo tutto questo non esisteva.» disse Toshio che, a differenza dei suoi compagni, restava seduto ad una delle poltrone del salotto, affiancato dai suoi due famigli «A qui tempi qui non c’erano altro che colline e paludi. I primi sette partecipanti lo scelsero come campo di battaglia finale proprio per il fatto che si trattava di una zona disabitata e inospitale, l’ultimo posto in cui sembrava possibile una colonizzazione umana.

  Chi poteva immaginare che di lì a pochi secoli in quello stesso posto sarebbe sorta la città più grande e maestosa del mondo antico?»

  «E noi adesso cosa dovremmo fare?» chiese Shinji

  «Per prima cosa raggiungiamo il luogo dove si trova il portale. Ogni secondo che passa Seth diventa un po’ più forte, quindi il tempo è un lusso che non ci possiamo permettere.»

  «Ma come faremo a trovare l’esatta ubicazione del portale?» domandò Nadeshiko «Roma è immensa, potrebbe essere dovunque.»

  «Questo non sarà un problema.» rispose Lotte «La sua posizione è nota fin da quando è stato creato.»

  «E allora che stiamo aspettando?» disse Keita «Andiamoci.»

  «Non così in fretta.» disse Toshio «C’è un problema.»

  «Di che problema parli?» chiese Shinji

  «Il portale aperto dal primo vincitore del torneo» rispose Aria «Venne sigillato con un potente incantesimo per impedire che Seth potesse servirsene nel caso in cui fosse venuto a sapere della sua esistenza.

  Per poter rimuovere il sigillo è necessaria la forza congiunta di almeno sei partecipanti al torneo.»

  «Sei partecipanti!?» esclamò Nadeshiko

  «Abbiamo mandato un messaggio al re Akunator subito dopo il nostro arrivo.» disse Lotte «A quest’ora dovrebbe averlo già rigirato agli altri villaggi, quindi, molto presto, gli altri guerrieri dovrebbero essere qui.»

  «Correggiti, siamo già qui!» rispose di rimando una voce famigliare.

  Tutti, nel sentirla, si girarono verso la porta, e Toshio poté vedere il suo amico e compagno Tadaki varcare la soglia della stanza seguito da Souma, Ryu-o, Tomite e Ilya.

  La piccola Ilya, appena fu entrata, corse subito fra le braccia di Nadeshiko come se fosse stata la sua mamma, Tadaki invece andò a dare una calorosa stretta di mano al suo vecchio avversario.

  «Ero sicuro che sareste venuti.»

  «Avevi qualche dubbio?»

  «Non potevamo certo lasciare a voi tutto il divertimento!» disse Ryu-o, guadagnandosi l’ennesima botta in testa da parte di Kagura, apparsa accanto a lui

  «Appena abbiamo ricevuto il messaggio dai nostri villaggi ci siamo subito precipitati qui.» disse Souma

  «Dov’è Kazumi?» domandò Keita

  «L’ho rimandata in Giappone.» rispose Tadaki «Ormai tenerla qui era superfluo, oltre che pericoloso. Il mio clan la proteggerà egregiamente.»

  «E Atarus?» chiese Toshio «Avete sue notizie?»

  «No, purtroppo no. Abbiamo provato a cercarlo, ma senza risultato.»

  «Pare che il suo villaggio sia stato quello a risentire maggiormente degli effetti portati dalla rivelazione della congiura di Zervan.» disse Tomite «Anche il re è stato arrestato, e al momento vi è un gran caos in Scozia.»

  «Capisco. Spero solo che non gli accada niente.»

  «Non temere, tornerà di sicuro.» disse Tadaki «Del resto, non mi pare il tipo a cui piace lasciare le cose a metà.»

  «Hai ragione. E poi abbiamo ben altro a cui pensare.»

  «Ben detto. Avanti, andiamo a dare il buongiorno al nostro caro amico Seth».

 

Lasciato l’albergo i ragazzi si diressero alla loro destinazione, una strada secondaria poco lontano dal parco di Villa Ada.

  Al centro di questa strada c’era un tombino, unico accesso alla non molto conosciuta Catacomba di Trasone, e proprio quella catacomba era il luogo che stavano cercando, perché costituiva il punto di riferimento per individuare il tempio eretto dai sette villaggi attorno al luogo dove si trovava il portale e nel quale riposavano i primi partecipanti al torneo.

  Essendo una zona archeologica chiusa al pubblico sarebbe stato un problema entrarci, ma alcuni adepti della comunità romana di Nepthys crearono il diversivo ideale, mascherandosi da operai e recintando la zona con la scusa di alcuni lavori di manutenzione da eseguire nel condotto fognario.

  Nadeshiko, Ilya e Souma non erano molto d’accordo alla prospettiva di doversi immergere in una fogna puzzolente dove spopolavano ratti e altre bestie poco appariscenti, ma Toshio le rassicurò dicendogli, senza in verità mentire, che la loro meta era raggiungibile senza passare dalle fogne.

  Ryu-o, impulsivo come sempre, andò per primo, e gli altri lo seguirono mano a mano, alcuni armati di torce; Toshio scese per ultimo, ma prima che scomparisse inghiottito dal buio due dei cinque finti operai lo rassicurarono: il re Akunator e gli altri sovrani stavano arrivando a Roma per prendere parte ad una possibile battaglia finale da combattersi sulla Terra, mentre l’organizzazione Afterlife, che riuniva tutti gli ammazza-demoni e aveva legami negli organi politici e militari più potenti del mondo, sollecitata da Izumi, era pronta ad offrire il suo aiuto, oltre a provvedere qualora fosse stato necessario all’evacuazione totale della città nel giro di poche ore.

  Come predetto non fu necessario scendere nelle fogne, infatti l’ingresso alla catacomba si trovava in un livello intermedio ed era costituito da un’apertura nella roccia viva abbastanza grande da poterci passare in modo abbastanza comodo, al massimo piegando un po’ la testa.

  Alla luce delle torce, che solo in parte riuscivano a fendere l’oscurità che altrimenti regnava sovrana, i ragazzi si incamminarono fra i cubicoli e i vari livelli in cui era suddivisa la camera mortuaria, cinque in tutto; i ratti che Souma avrebbe tanto voluto evitare c’erano anche lì, raccolti in gruppi più o meno numerosi attorno a vecchi grumi di ossa consumate dal tempo, e a lei bastava che uno le passasse tra i piedi per urlare di paura.

  «Souma.» disse ad un certo punto Tadaki «Non ti facevo così fifona.»

  «Che ci posso fare se non mi piacciono i topi?»

  «Prendi esempio dalla ragazzina.» disse Ryu-o indicando Ilya, che al contrario sembrava non venire minimamente toccata dalla vista di ratti e teschi «A lei non fa né caldo né freddo.»

  «Sentite, io direi di cambiare argomento.»

  «Toshio, toglimi una curiosità.» disse ad un certo punto Takeru «Che c’entra il tempio sotterraneo con questa catacomba?»

  «Il tempio fu costruito da alcuni rappresentanti delle nostre tribù che arrivarono qui per recuperare i corpi dei rispettivi compagni.» rispose il guerriero continuando a camminare, e tastando di tanto in tanto la superficie fredda delle pareti, come alla ricerca di un congegno segreto «Ma a causa di un terremoto la parte sopraterrena della struttura crollò dopo neanche un decennio.

  Il costruttore di questa catacomba era un adepto di Nepthys, e trovò casualmente la camera sepolcrale durante i lavori di realizzazione del complesso funerario. Per nasconderla alla vista riadattò il progetto originario e comunicò la sua scoperta anche agli altri villaggi, che ne annotarono la posizione.»

  «Quindi da qui è possibile accedere direttamente al tempio?»

  «Sì, tramite un ingresso segreto occultato con la magia. Dovremmo esserci quasi».

  E infatti, qualche minuto dopo, nel quarto livello della catacomba, Toshio si avvide che la parete di sinistra era leggermente più calda in un determinato punto.

  «Trovato».

  Passata la sua torcia a Keita si mise davanti a quel pezzo di muro e posizionò le mani davanti a sé eseguendo una serie di posizioni shinto per poi toccare nuovamente la pietra con l’indice destro; si udì un sibilo, poi un leggero tremore, e infine una superficie di parete scomparve letteralmente, rivelandosi una semplice allucinazione e mettendo a nudo un lunghissimo corridoio che scendeva verso il basso con una pendenza leggera.

  «Forza andiamo. Ormai ci siamo».

  Le pareti e la volta del corridoio, illuminate dalle torce, si rivelarono piene di disegni ed iscrizioni in varie lingue, dal geroglifico al norreno passando per il cirillico, il cinese e l’antico giapponese, a testimonianza del fatto che da lì erano passati popoli provenienti da tutti gli angoli della Terra, nella fattispecie i delegati dei sette villaggi giunti appositamente nel cuore dell’Europa per rendere omaggio e degna sepoltura a coloro che avevano combattuto in difesa degli esseri umani a discapito delle loro stesse vite.

  Furono necessari dieci minuti di interminabile discesa perché Toshio e gli altri potessero arrivare, finalmente, ad una grande camera sepolcrale simile a quelle delle tombe della Valle dei Re; il soffitto, decorato e affrescato, così come le pareti, si reggeva da solo, senza l’ausilio di colonne, e dalla parte opposta all’ingresso, in cima ad un piccolo altare sopraelevato, vi era un grande arco formato da due serpenti di pietra le cui teste si intersecavano proprio nel mezzo. Subito davanti, ai piedi della scala, uno accanto all’altro, sette sarcofaghi monumentali in granito ermeticamente chiusi, e su ognuno di essi era scolpito il simbolo di uno dei partecipanti al torneo.

  Al centro, proprio di fronte all’arco, nel posto riservato con molta probabilità al vincitore, per un curioso scherzo del destino riposava il rappresentante del villaggio dei McLoan, a dimostrazione del fatto che il primo vincitore del torneo, modello imperituro per tutti coloro che vennero dopo di lui, era stato un antenato di Atarus.

  Toshio e i suoi compagni guerrieri avvertirono una serie di indescrivibili sensazioni nel trovarsi per primi in presenza dei loro antenati, nonché di coloro che con il loro coraggio e la loro abnegazione avevano segnato l’inizio della lotta senza fine contro Seth.

  «Ironico, non trovate?» disse Lotte «Il primo vincitore è stato un McLoan.»

  «Non c’è da esserne sorpresi più di tanto. I primi fra noi erano tutti animati da nobili sentimenti. Sono stati quelli venuti dopo di loro a dare un significato distorto all’esistenza del torneo.»

  «Tomite ha ragione.» disse Tadaki «Gli uomini a volte, in nome dell’egoismo, dimenticano persino gli ideali che dovrebbero guidare le loro azioni.»

  «Ben detto. Ma di questo parleremo poi.» tagliò corto Toshio «Ora concentriamoci sulla nostra missione. Coraggio, prepariamoci».

  Keita e i suoi amici rimasero indietro, in disparte, i sei guerrieri invece si misero in linea, ognuno davanti al sepolcro recante il simbolo del proprio villaggio, forse nel silenzioso tentativo di commemorare la memoria dei rispettivi avi; partendo da destra vi erano Souma, Ilya, Toshio, Ryu-o, Tomite e Tadaki.

  Ognuno di loro si mise in atto di preghiera, concentrando il potere magico fino a far comparire i propri circoli magici, e assieme ad essi aloni luminescenti e vaporosi di vari colori che circondarono i loro corpi. Solo in quel momento, vedendoli tutti assieme, i ragazzi si resero conto di come ogni partecipante al torneo avesse non solo un proprio circolo, ma anche un proprio colore caratteristico a simboleggiare la sua magia.

  Gli aloni luminosi crebbero d’intensità, e dopo circa un minuto al centro esatto dell’arco cominciò a formarsi una figura simile ad un mandala, con una stella a sei punte inscritta in un cerchio e con sei cerchi più piccoli ad ogni estremità, ognuno recante un ideogramma cinese.

  Uno per uno gli ideogrammi cominciarono a scomparire, e quando anche l’ultimo fu del tutto svanito si sprigionò una luce accecante che, espandendosi fino ad abbracciare interamente l’interno dell’arco, assunse la forma del portale vero e proprio.

  «Eccolo.» disse Souma «Il portale».

  Toshio si girò verso i suoi compagni.

  «Sarebbe meglio se voi rimaneste qui.»

  «Non ci pensare neanche.» rispose Shinji «Saremo con voi fino alla fine.»

  «Potrebbe essere molto pericoloso.» disse Tadaki «Non abbiamo idea di che cosa possa esserci dall’altra parte.»

  «Abbiamo iniziato quest’avventura, e ora la porteremo a termine.» fu la replica di Keita, salutata con approvazione da un cenno di Takeru.

  I sei guerrieri si guardarono un attimo tra di loro, visibilmente allibiti e sorpresi, poi però concordarono sul fatto che ogni possibile aiuto sarebbe potuto essere determinante, pertanto accettarono la proposta, e quasi nello stesso momento i dodici amici oltrepassarono il portale, avventurandosi verso l’ignoto pronti alla loro ultima battaglia.

  Seguì un nuovo lampo, assieme ad una sensazione forte, come di essere violentemente sbalzati in avanti, e usciti dalla luce, che nel punto di arrivo non era altro che un punto luminoso aperto nel nulla, una sorta di spaccatura dimensionale, si ritrovarono in un luogo completamente diverso.

  L’aspetto era quello di una città, una città futuristica, degna di un film di fantascienza, con altissimi grattacieli bianchi terminanti in estremità aguzze, edifici a cupola e grandi tubi di vetro in cui, nelle produzioni di Hollywood, si vedevano sfrecciare veicoli a forma di sigaro.

  Malgrado le apparenze iniziali regnava però un’atmosfera tetra, che sapeva di morte; il cielo era nero, un nero omogeneo e compatto, quasi incombente, la terra era brulla e secca e molti edifici erano lesionati in modo più o meno grave. Infine, qua e là, si vedevano delle grandi concentrazioni di una strana melma densa e rossastra che sembrava quasi fagocitare gli edifici, consumandone intere parti e producendo nel contempo delle piccole scariche elettriche.

  «Ma che razza di posto è?» domandò Lotte guardandosi intorno «Odora di oscurità da dare la nausea.»

  «Quindi è questo l’intermundio di Seth.» disse Takeru

  «Anubis diceva che l’intermundio viene condizionato dai sentimenti e dai pensieri di chi lo abita.» disse Keita

  «Quindi» ipotizzò Nadeshiko «Questi potrebbero essere frammenti di ricordi di Seth?»

  «È probabile.» rispose Toshio «E se fosse così, temo che la verità sia molto più grande e complessa di quanto potrebbe sembrare».

  Keita, d’un tratto, si avvide per primo dell’approssimarsi improvviso di un fascio di luce lungo, alto e sottilissimo che, come la lama di una spada, fendeva il terreno puntando diritto verso di loro.

  «Attenti!».

  Tutti riuscirono fortunatamente a spostarsi in tempo, e così l’attacco si infranse contro un palazzo poco lontano, tagliandolo in due metà perfettamente identiche che quasi subito crollarono fragorosamente, sollevando un baccano assordante e un fitto polverone.

  Subito dopo, dalla direzione in cui era venuto il colpo, comparve Seth, accompagnato da Franziska; camminava lentamente, con quella sua espressione sicura e audace stampata sul viso e la sua spada Naqada, ben stretta tra le mani.

  «Bene arrivati. Non che mi aspettassi delle visite, ma ammetto che non mi dispiace più di tanto trovarvi qui.

  Allora, che ve ne pare del mio piccolo eremo? Non è esattamente un luogo ameno e pacifico».

  Il dio mulinò la sua spada, dando prova della propria forza.

  «Ma mi dispiace dovervi dire che siete arrivati tardi. Ormai tutti i miei poteri sono stati riunificati nel corpo di Johan, ed io sono tornato ad avere la forza di cui disponevo all’epoca del mio esilio.»

  «Questo non cambia niente.» disse Tadaki, il cui tono solitamente calmo e imperturbabile era però segnato da un timore più che percettibile «Ti sconfiggeremo comunque.»

  «Io non ne sarei così sicuro. Ma se davvero credete di poterci riuscire, fatevi avanti. Io vi aspetto».

  I ragazzi si guardarono tra di loro, poi tutti misero mano alle proprie armi. Tomite brandeggiava ora un dao non eccessivamente grande, certamente non quanto quello di Ryu-o, ma ben affilato e di un certo prestigio; Touka, inizialmente in forma di falco e appollaiata su di una spalla di Tadaki, prese forma umana con la katana già tra le mani, e altrettanto fece Shaina, che dall’aspetto di un bellissimo cane husky rosso e bianco passò a quello umano.

  «Nadeshiko.» disse Keita «Tu e Ilya restate indietro.»

  «D’accordo.» rispose lei tenendo Ilya stretta a sé «Ma attenzione, mi raccomando.»

  «Aria, Lotte, voi due proteggetele.»

  «Conta su di noi, capo.» disse Lotte.

  Seth lanciò di nuovo quel suo sorriso provocatorio, e i ragazzi partirono all’attacco tutti nello stesso momento, distribuendosi su una linea d’azione molto ampia per poter colpire da più punti contemporaneamente.

  «Naqada.»

  «Sturm Flamme!».

  La lama della spada si circondò di fuoco, e appena Seth menò un fendente questo si trasformò in una falce infuocata che investì in pieno il gruppo di avversari; vista la rapidità del colpo e la sua incredibile potenza tutti, nessuno escluso, vennero inevitabilmente colpiti prima ancora di potersi avvicinare abbastanza da poter contrattaccare e precipitarono al suolo dopo essere stati scaraventati in aria.

  «Non… non posso crederci…» mugugnò Shinji cercando di rialzarsi «Ci… ci ha respinti tutti con un solo attacco.»

  «Allora…» disse Touka «È questo il vero potere di Seth?»

  «Cos’è, è bastato solo questo per mettervi al tappeto? Avanti, sono sicuro che potete fare molto di più».

  Quel solo colpo in realtà aveva rappresentato per tutti una stangata non di poco conto, ma entro un minuto i ragazzi riuscirono bene o male a mettersi nelle condizioni di proseguire lo scontro.

  Stavolta però decisero di separarsi istantaneamente, calando su Seth da molteplici direzioni per evitare l’attacco che avevano appena subito; il dio però respinse agilmente il primo assalto, e così pure tutti i successivi.

  Toshio, Keita e gli altri mettevano tutto il loro impegno, ma era fin troppo chiaro che Seth stava letteralmente giocando con loro, impegnandosi ad un decimo delle sue effettive capacità, o anche meno; combatteva ad occhi chiusi, si spostava pochissimo e mulinava la spada con incredibile destrezza, arrivando persino a parere i colpi alle proprie spalle senza neppure voltarsi, ma semplicemente usando la gigantesca lama come uno scudo.

  «Molto bene.» disse, malevolo come mai, in un momento in cui gli erano tutti quasi addosso «Direi che abbiamo giocato abbastanza. Naqada!»

  «Explosion!».

  Una vera e propria detonazione di fuoco si sprigionò dal corpo del dio, investendo i ragazzi prima che potessero pensare a difendersi e lanciandoli via; quando tornarono a terra, coperti di ferite, molti di loro non erano neppure in grado di reggersi in piedi.

  Come se non bastasse quell’attacco fu tanto devastante da mandare in frantumi quasi tutte le armi e far regredire in forma animale tutti i famigli coinvolti nell’esplosione, Touka, Kagura e Shaina.

  «Ma… maledizione…» disse Ryu-o vedendo il proprio dao spaccato a metà e Karura che, nelle sue sembianze di tigre reale, a stento riusciva ad alzare la testa «È… è davvero invincibile…».

  Con la perdita sia della propria arma che del famiglio sia Souma che Ryu-o erano di fatto eliminati dal torneo; unico graziato, oltre a Keita, Shinji e Takeru, che erano stati colpiti in modo tutto sommato marginale, era stato Toshio, visto e considerato che la spada impugnata dai guerrieri di Nepthys non aveva eguali in quanto a robustezza, e che Aria e Lotte erano ancora a difesa di Ilya e Nadeshiko, ma in quel preciso momento nessuno aveva voglia e tempo di pensarci.

  «È tutta qui la vostra forza? Onestamente mi sarei aspettato molto di più.»

  «È tutto inutile…» disse Tadaki rialzandosi «Ora che ha riacquistato tutta la sua potenza, in questo mondo lui è troppo forte.»

  «Non abbiamo scelta, dobbiamo spostarci sulla Terra.» disse Tomite «Lì forse avremo qualche speranza in più».

  Seth però aveva fin troppo chiare le loro reali intenzioni, ed era pronto a rispondere a tono non appena i suoi avversari avessero tentato qualche colpo basso.

  Il portale fra l’intermundio e la Terra era ancora aperto, ma se solo qualcuno avesse tentato di entrarci Seth non ci avrebbe messo molto a fermarlo ed ucciderlo. Toshio e Tadaki tentarono di muovere l’ennesimo attacco in modo da distrarlo e permettere a qualcuno degli altri, in questo caso Nadeshiko ed Ilya, di guadagnare l’uscita, ma lui dopo averli allontanati con un poderoso spostamento d’aria lanciò una nuova falce di fuoco in direzione delle due ragazze.

  «Nadeshiko, attenta!» urlò Toshio.

  Takeru si avventò su di loro e riuscì a buttarle a terra prima che venissero colpite, ma questo servì a dare la conferma che provare anche solo ad avvicinarsi al portale era un suicidio.

  «Mi dispiace, ma non vi permetterò di interferire ancora coi miei piani.»

  «Bastardo.» mugugnò Souma «Se anche solo uno di noi prova a dargli le spalle è morto».

  Seth rise leggermente, dando prova della propria sicurezza, quindi la sfera rossa sull’impugnatura della sua spada cominciò a brillare, il che non lasciava presagire nulla di buono.

  «Ho passato un’eternità rinchiuso in questa prigione, e più passava il tempo più i miei poteri si facevano vasti. E ora, credo sia giunto il momento di dirci addio.

  Ma consolatevi. Anche se sarete ospiti eterni di questo maledetto limbo senza tempo, da morti non proverete ciò che sono stato costretto a provare io. Da questo punto di vista, direi che vi sto facendo un favore».

  I ragazzi si raggrupparono, nel disperato tentativo di opporsi a quello che poteva essere il colpo di grazia.

  «Toshio.» disse Tadaki facendo muro assieme agli altri quattro partecipanti al torneo «Noi cercheremo di resistere il più possibile. Voi tornate indietro.»

  «Che cosa!? Sei impazzito?»

  «Se non lo fai moriremo tutti quaggiù!»

  «E dovrei abbandonarti? Dovrei abbandonare tutti voi?»

  «È l’unica speranza che ci rimane!» rispose Tomite «Se moriamo tutti chi lo affronterà sulla Terra?»

  «Non c’è bisogno che litighiate tra di voi su chi deve andare e chi restare, perché  adesso vi spedirò tutti quanti all’altro mondo, tutti insieme!».

  All’improvviso, subito prima che la fiamma nera generatasi attorno a Seth potesse venire scaricata su Toshio e gli altri una zampa gigantesca gli calò addosso con la potenza di un maglio, schiacciandolo al suolo, e nello stesso istante i ragazzi videro un gigantesco drago, per qualcuno dall’aria famigliare, manifestarsi davanti a loro.

  «Frederich!?» disse Ilya, sorpresa più di tutti di averlo visto comparire.

  Lei infatti non lo aveva chiamato, e di solito un drago non assume mai la forma corporea per combattere se non per ordine diretto del suo padrone.

  Seth riuscì facilmente a liberarsi dalla stretta che lo costringeva a terra con una nuova esplosione di fuoco che sembrò risultare piuttosto dolorosa per Frederich; infatti, nonostante la sua mole, il drago mugugnò e fece qualche passo in dietro, ma poi, rimessosi in sesto, si rizzò sulle zampe posteriori, mostrando appieno tutta la sua imponenza.

  L’animale ringhiò con forza, poi dalla sua bocca si sprigionò una tempesta di luce che investì in pieno Seth, il quale si difese, non senza più di qualche difficoltà, grazie a Naqada, che eresse la solita barriera di diamante in difesa del suo padrone.

  «Pantzer Geist!».

  Malgrado il suo attacco non fosse andato a buon fine, e anzi fosse destinato ad esaurirsi entro breve tempo, a causa della grande forza esercitata, Frederich continuò a colpire incessantemente facendo appello a tutte le sue forze, e fu presto chiaro che il suo scopo era quello di tenere impegnato Seth, che si vedeva costretto a difendersi per respingere un assalto che, se andato a segno, avrebbe potuto fargli non poco male.

  «Ora ho capito!» disse Aria «Lo sta tenendo impegnato per permetterci di scappare!»

  «Forza, approfittiamone!» disse Tomite «Non resisterà a lungo!».

  Tutti si affrettarono a raggiungere il portale, ma, logicamente, Ilya temporeggiò.

  «Frederich! Vieni con noi!»

  «Non può venire con noi, Ilya!» disse Tadaki «Se interrompe il suo attacco Seth sarà libero di colpirci!»

  «Ma non possiamo! Non possiamo lasciare Frederich!».

  In quella il vortice luminoso del drago, che cominciava ad essere sopraffatto dalla fatica, cominciò a perdere d’intensità, e l’espressione di Seth, che da impassibile si era fatta furente, lasciava intendere che non gli mancava poi molto a liberarsi.

  «Ilya, non capisci che lo sta facendo per noi, ma soprattutto per te?» disse Takeru

  «Non mi interessa, io voglio restare con lui!».

  Alla fine fu necessario che Tadaki la tramortisse e la prendesse tra le braccia per poterla portare via; Toshio si attardò un momento, fermandosi a guardare il drago, che sembrò quasi fargli un cenno di assenso.

  «Grazie, Frederich. Il tuo sacrificio non sarà vano, te lo prometto».

  Vedendo i suoi avversari che correvano a tutta velocità verso il portale, ormai in procinto di chiudersi, Seth andò su tutte le furie; gli occhi presero a brillare di rosso sangue, e la sua voce si fece più demoniaca di prima, in grado di terrorizzare chiunque.

  «Maledettissimo drago!» tuonò mentre la spada diventava rossa e incandescente come lava «Via dalla mia strada!»

  «Große Explosion!».

  L’esplosione che si generò fu centinaia di volte più potente della prima, tanto da spazzare via ogni cosa e generare una gigantesca cupola oscura.

  I ragazzi, che stavano oltrepassando il portale in quello stesso istante, vennero violentemente scaraventati in avanti, e questo, unito allo shock che veniva già da sé nel varcare la soglia tra due mondi, fece perdere i sensi a tutti.

 

Toshio, forse nella consapevolezza di essere ancora svenuto, si ritrovò di colpo immerso a fluttuare nello spazio profondo.

  Sotto di lui, molte migliaia di metri più in basso, la Terra, bellissima, azzurra, circondata da alcune nuvole ma sostanzialmente serena.

  Avvertendo una voce famigliare che chiamava il suo nome il ragazzo alzò lo sguardo, incrociando, con sua grande sorpresa, quello di suo padre, il suo vero padre: re Clow era davanti a lui, e lo osservava con il suo solito sorriso, amorevole ed enigmatico allo stesso tempo.

  Era diverso da come Toshio lo ricordava; la sua tunica, sempre nera, aveva una foggia più moderna, più medievale, la coda dei capelli aveva fatto posto ad una treccia e portava un curioso paio di lenti simili a quelle dei lord inglesi di metà ‘800, legate all’orecchio destro per mezzo di una catenina.

  La sua figura era evanescente, intangibile, e circondata da una leggera aura bianca, come un fantasma.

  «Padre!?»

  «Il confronto finale si sta avvicinando, figlio mio. Molto presto, sarai chiamato ad affrontare una delle sfide più difficili della tua vita.»

  «Che cosa posso fare? Seth… sembra invincibile.»

  «Seth è potente, è vero, ma non è invincibile. L’invincibilità non esiste. Anche lui, come tutti, ha un punto debole.»

  «Di cosa stai parlando? Qual è questo punto debole?»

  «Mi dispiace. Questo dovrai scoprirlo da solo.»

  «Ma, padre…»

  «Il tuo viaggio è ancora lungo, Toshio. Molte altre prove ti attendono, ma se ricorderai costantemente le ragioni che ti spingono ad andare avanti, in un modo o nell’altro, un giorno troverai la felicità a lungo cercata.»

  «La felicità?».

  Tutto in quella cominciò a diventare bianco, probabilmente perché Toshio si stava svegliando.

  «Padre!»

  «Non temere… andrà tutto bene».

  Accecato per un momento Toshio riaprì di colpo gli occhi, ritrovandosi disteso sul pavimento della camera sepolcrale assieme a tutti i suoi compagni.

  «Ma cosa… Keita, svegliati.» disse dando una scrollatina al suo amico, riverso sulla schiena proprio accanto a lui

  «To… Toshio… ma che è successo?».

  Uno dopo l’altro tutti gli altri cominciarono a riprendere i sensi, e constatando dove si trovavano capirono di avercela fatta.

  La consapevolezza di aver fallito la propria missione e di aver lasciato un grande amico, oltre che un fedele compagno, dall’altra parte del portale, ora richiusosi, guastò sul nascere la gioia per l’essere riusciti a tornare indietro, e Ilya, distrutta dal dolore, pianse a lungo appoggiata a Nadeshiko, che la stringeva e la cullava nel tentativo di calmarla.

  A rendere ancor più amaro il momento ci si aggiunse una sensazione terribile, oltre che famigliare, proveniente proprio da sopra le loro teste.

  «La sentite anche voi?» domandò Kagura

  «Sì.» rispose Tomite «Questa è l’aura di Seth».

  Shinji guardò il suo orologio; segnava le sei e ventiquattro del pomeriggio, quasi sei ore dal momento in cui si erano calati nel sottosuolo.

  «Accidenti, è passato un sacco di tempo!»

  «Presto!» disse Souma «Torniamo di sopra! Seth è già qui!».

  Correndo a più non posso, e ferendosi talvolta nel tragitto lungo i corridoi stretti e angusti della catacomba, i ragazzi raggiunsero il tombino dal quale erano scesi, ma quando, risaliti in superficie, alzarono lo sguardo al cielo, i loro occhi si riempirono di terrore.

  Roma, la città eterna, era completamente circondata da un gigantesco Fuuzetsu, da Castel Gandolfo a Cesano, da Fiumicino a Tivoli, e aleggiava, pressante e incombente, una terrificante aria di oscurità.

  «Oh, mio Dio.» mugugnò Tadaki completamente sconvolto.

  Per ripararsi dalle migliaia di soldati oscuri che giravano per le strade Keita e gli altri si rifugiarono nell’atrio di un vicino condominio.

  «Secondo voi dove può essere?» chiese Tomite sbirciando fuori da una finestra

  «Sicuramente all’interno del Fuuzetsu.» rispose Tadaki «Altrimenti neppure lui sarebbe capace di tenerne in piedi uno di queste dimensioni.»

  «Ci ha intrappolati come topi.» disse Ryu-o «Così potrà divertirsi a darci la caccia.»

  «Credo ci sia anche un altro motivo.» disse Souma

  «Ovvero?»

  «Il Fuuzetsu serve ad estrarre una determinata zona dal corso del tempo, ed è uno scudo quasi indistruttibile per qualsiasi forma di energia. Anche nell’eventualità che ci fosse un vincitore, la Luce di Amon non sarà mai in grado di oltrepassare la cupola.»

  «Maledetto!» disse Kagura, tornata alla sua forma umana, colpendo una parete «Ha pensato proprio a tutto.»

  «Comunque sia» disse Keita «Non possiamo restarcene qui seduti a non fare niente. Dobbiamo provare a fare qualcosa.»

  «Sono d’accordo con lui.» rispose Shinji «Finché rimaniamo insieme possiamo provare a fare qualcosa.»

  «Concordo senza riserve!» disse Lotte «Quel maledetto sarà anche potente, ma sicuramente non è invincibile! Con o senza la Luce di Amon, lo troveremo e gli restituiremo tutti i favori!»

  «No.» disse la voce, cupa e, per certi versi, malinconica di Toshio «Vi sbagliate.»

  Tutti si girarono allibiti nella sua direzione.

  «Che stai dicendo?» domandò Ryu-o «Tu e McLoan siete gli unici partecipanti ancora in gara! Non vorrai dirmi che getti la spugna!»

  «Hai frainteso. Io non ho detto che non voglio combattere.»

  «E allora cosa…» disse Nadeshiko

  «Volevo dire che non sarete voi a combattere».

  Sotto i piedi del guerriero comparve il suo circolo magico, e contemporaneamente in tutta la stanza serpeggiò una corrente leggera che, come un gas soporifero, fece sprofondare tutti nel mondo dei sogni quasi contemporaneamente.

  «Perché… Toshio…» balbettò Keita prima di addormentarsi a sua volta

  «Mi dispiace. Non posso permettervi di rischiare ulteriormente la vita».

  Toshio circondò i suoi amici con una barriera, in modo che eventuali nemici non potessero percepirne la presenza, quindi, presa la porta, se ne andò.

 

Qualche minuto dopo tre elicotteri black hawk sorvolavano i cieli dell’Italia centrale diretti verso nord mentre, intorno a loro, il cielo cominciava a colorarsi del rosso del tramonto. A bordo del velivolo di testa, assieme a quattro soldati armati sia di una spada che di un pesante fucile M16 caricato con strani proiettili blu vi erano il re Akunator e Sanak, quest’ultimo impegnato in una conversazione telefonica con l’ausilio di un cellulare.

  «Padre.» disse chiudendo la conversazione «Ho parlato coi capi dell’organizzazione Afterlife. Roma è stata completamente evacuata».

  Il sovrano però sembrava soprapensiero, e stringeva con le proprie mani, ossute ma ancora vigorose, la sua spada dalla lama d’argento, tanto che Sanak dovette chiamarlo una seconda volta per guadagnarsi finalmente la sua attenzione.

  «Bene. Dobbiamo ridurre al minimo il rischio per gli innocenti».

  Purtroppo, la realtà che si palesò agli occhi di padre e figlio fu dura e terribile; ad un certo punto, prima lontana e poi sempre più tangibile, comparve all’orizzonte la cupola, gigantesca, che avvolgeva completamente la città di Roma e tutta la zona circostante.

  Lungo le sue sponde, per tutto il perimetro, si era radunata una folla immensa, che l’esercito e la polizia con molta fatica riuscivano a contenere; in altri tempi il Fuuzetsu era invisibile, e nel momento in cui veniva tracciato la zona inscritta al suo interno veniva sostituita, alla vista, con un’illusione che risultava perfettamente credibile da chi vi passava in mezzo, ma era chiaro che l’intento di Seth, come già accaduto altre volte in precedenti occasioni, era quello di impressionare e spaventare gli esseri umani, dando loro un assaggio di quello che li aspettava qualora nessuno fosse stato in grado di fermarlo.

  Akunator sentì una stretta al cuore assistendo a quel terribile spettacolo, e altrettanto fu per Sanak, che nel sapere suo fratello prigioniero di quell’incubo si sentì, per la prima volta, in pensiero per lui.

  «Siamo arrivati tardi.» disse il sovrano

  «Forse, padre. Ma se spera di tenerci fuori si sbaglia».

  Contemporaneamente, a Uminari, i coniugi Amamiya dormivano profondamente nel loro letto, immersi nella tranquillità.

  Era stata una lunga giornata, il bar era stato pieno per tutto il giorno, ed entrambi la sera prima erano andati a dormire completamente distrutti, prendendo sonno quasi istantaneamente.

  Erano da poco passate le quattro quando il telefono appoggiato sul comodino cominciò incessantemente a squillare, e muovendo il braccio a tentoni Minako rispose.

  «Pronto?» disse con la voce di chi è stato interrotto nel momento migliore del sonno.

  Era la signora Ichinosuke, la madre di Keita; le due donne si conoscevano abbastanza bene, essendosi incontrate sia alle riunioni dei docenti, sia alle feste scolastiche sia al bar degli Amamiya, e non era raro che si tenessero in contatto con una certa frequenza.

  Kimiko era sconvolta, in preda al terrore, e balbettava qualcosa riguardo a Roma, la città dove si trovavano i ragazzi in quel momento.

  Riavutasi dalla sonnolenza, e visibilmente preoccupata, Minako accese il televisore della stanza sul canale indicatole; era in corso un’edizione straordinaria del telegiornale nazionale; il volume, piuttosto alto ma tutto sommato discreto, svegliò anche il marito.

  «Per chi si fosse messo ora in ascolto, riassumiamo la situazione.» disse il giornalista mentre sullo sfondo scorrevano immagini dall’alto che sembravano uscite da un film sull’apocalisse «All’incirca quattro ore fa una gigantesca e misteriosa cupola di luce rossa si è materializzata sopra la città di Roma, inglobando al suo interno l’intero centro urbano e molte zone limitrofe, dall’aeroporto di Fiumicino.

  La  cupola ha un raggio di almeno venti chilometri e un’altezza che supera i quindicimila metri, e al momento non è stato possibile stabilire alcuna comunicazione con l’interno.

  Tutte le strade di accesso alla capitale sono state chiuse, polizia ed esercito sorvegliano costantemente la zona, ma ancora non è stato fatto alcun tentativo per tentare di accedere all’interno; ciò è dovuto probabilmente al fatto che il materiale di cui è composta la cupola pare sia altamente conduttivo, pertanto le autorità proibiscono di avvicinarsi.

  Stando alle informazioni che siamo riusciti a raccogliere pare che il governo italiano fosse al corrente dell’approssimarsi di qualche evento di vasta portata, tanto che fin dalle due di questo pomeriggio si era proceduto all’evacuazione di Roma e dei comuni attigui; purtroppo, malgrado tale evacuazione sia servita a mettere in salvo molte milioni di persone, riceviamo notizia in questo momento che molte altre, almeno due migliaia, fra turisti e abitanti sia rimasto intrappolato all’interno.

  Forze dell’ordine e personale governativo non rilasciano dichiarazioni, e appena avremo qualche nuova informazione ve la comunicheremo immediatamente».

  La signora Amamiya sentì un brivido lungo la schiena, e la cornetta del telefono le scivolò dalla mano, cadendo sulla moquette; anche suo marito si sentì mancare per la paura.

  «Nadeshiko!».

 

Nel condominio in cui i ragazzi erano ancora addormentati, Nadeshiko fu la prima a svegliarsi, riportata al mondo reale dal suo potere magico, che aveva inibito quasi completamente gli effetti dell’incantesimo soporifero; Keita e gli altri dormivano ancora, e probabilmente lo avrebbero fatto ancora a lungo.

  Lo sguardo della ragazza era determinato, ma anche preoccupato e ansioso.

  «Non posso, Toshio. Non posso lasciare che tu vada da solo. Che ti piaccia o no, io sarò con te».

  Il ciondolo si illuminò, questa volta in modo molto più forte e prorompente di prima, e una figura evanescente, ma dai tratti tutto sommato distinguibili, comparve al suo fianco.

  «Sei sicura di volerlo fare?»

  «Non solo lo voglio fare, ma lo devo fare. Gli altri hanno combattuto con tutte le loro forze, ed è giusto che anche io faccia la mia parte. Non posso restare qui ad aspettare gli eventi.

  E poi» disse chiudendo gli occhi «Sono stata lontana da lui per troppo tempo. Ora non lo voglio più lasciare.»

  «In questo caso, non sarai da sola. Se lo vorrai, combatteremo insieme».

  Nadeshiko fece un cenno di assenso togliendosi il pendente, e a quel punto la figura alle sue spalle scomparve, avvolgendola e mutandosi in un’aura luminescente; alla camicetta bianca e ai calzoncini rossi si sostituì per l’ennesima volta la veste regale color lilla e Sabatiel prese la sua forma reale.

  «Ho iniziato io tutto questo.» disse Isis sostituendosi a lei «E sarò io a finirlo».

  Nel mentre Toshio era giunto alle rovine del foro romano dopo essersi liberato di alcuni soldati oscuri che avevano cercato di sbarrargli la strada; la battaglia finale, sia quella del torneo che quella contro Seth, si avvicinava in modo inesorabile, ma lui sentiva di avere qualcosa da fare, una cosa improcrastinabile, per questo raggiunse il Tempio del Divo Giulio, eretto a memoria di Giulio Cesare, creatore della nuova Roma.

  Della costruzione in sé non rimaneva molto: solo poche rovine del podio e l’esedra semicircolare con al centro i resti dell’altare commemorativo, eretto sul luogo in cui il corpo del dittatore era stato cremato, parzialmente coperto da un muro di pietra fatto erigere nel quindicesimo secolo.

  Toshio si avvicinò, lentamente, poi, fermatosi davanti al muro, lo fece a pezzi con il taglio della mano, scoprendo quanto restava dell’altare su cui erano posti alcuni mazzi di fiori, omaggio silenzioso di turisti e abitanti al più grande di tutti i romani.

  «Amico mio. È passato molto tempo, ma sono tornato, come ti avevo promesso.» disse prima di guardarsi un momento attorno «E così, alla fine ce l’hai fatta. Hai creato una città eterna. A distanza di duemila anni il tuo nome vive e risuona ancora con la stessa forza, e ancora ti viene reso onore. Sei diventato immortale insieme alla patria che ti sei adoperato a ricostruire.

  Sei riuscito in tutto ciò che ti eri prefissato. A differenza di me».

  Il ragazzo a quel punto cadde in ginocchio, abbracciando piangendo i resti dell’altare.

  «Aiutami, amico mio. Dammi la forza.»

  «Alzati, ragazzo. Questo non è da te».

  Quella voce lo fece ridestare, e lui, alzati gli occhi rossi di pianto, lo vide lì, davanti a sé, avvolto in una luce luminescente come uno spirito, ma tangibile e in carne come un essere umano.

  La sua tunica, da rossa, era divenuta bianca come la neve, contornata sui bordi da alcuni ricami rossi, e bianco era anche i mantello, che toccava terra lasciandosi dietro un piccolo strascico; la corazza, i bracciali e gli schinieri erano d’argento puro, che brillava come il sole, e la cintura borchiata d’oro.

  «Sei… sei tu!»

  «Come hai detto tu, è passato molto tempo, ma sono felice di rincontrarti.»

  «Ho atteso così tanto il momento in cui avremmo potuto rincontrarci. C’erano così tante cose che avrei voluto chiederti.

  Una domanda in particolare mi ha sempre tormentato. Perché? Perché hai lasciato che ti uccidessero?»

  «Figliolo.» rispose lo spirito sedendosi sull’altare «Presto capirai che certe cose vanno al di là del nostro effettivo controllo. Ci sono eventi che l’uomo non può mutare con il normale operato di tutti i giorni. È necessario un intervento drastico per modificare e cambiare qualcosa che altrimenti rimarrebbe immutato.»

  «Ma perché? Avevi così tante cose da fare. Avevi creato un mondo migliore, dove poveri e ricchi erano trattati da eguali, dove l’egoismo era bandito. Potevi fare molto di più, potevi rivoluzionare il mondo. Perché andarsene proprio quando la tua opera era appena agli inizi?»

  «Io non aspiravo a cambiare il mondo, ragazzo. Io aspiravo a gettare le basi del cambiamento. Purtroppo, come ti dissi allora, quando si deve cambiare il corso di un mondo corrotto è inevitabile sporcarsi le mani. Ho compiuto gesti orribili, ho cospirato nell’ombra, ho messo a tacere chi si rifiutava di capire che se io mi adoperavo era solo per creare qualcosa di migliore.

  E per tutto questo io ho pagato. Era giusto che pagassi.»

  «Quindi… è stata un’espiazione la tua? Non ti faceva infuriare che ti chiamassero tiranno, usurpatore, che ti accusassero di voler essere re?»

  «Era inevitabile. L’essere umano è dotato del libero arbitrio, ed è il dono più grande che ci potesse essere concesso. Per come la vedo io il destino non esiste, anche se Yuko pensa il contrario.

  Nel momento in cui ho deciso di cambiare le cose ho accettato le conseguenze delle mie azioni.»

  «Chi ti ha ucciso erano le persone in cui riponevi la maggiore fiducia. Questo lo avevi previsto?»

  «Avevo imparato, dalle esperienze di chi è venuto prima di me, che a volte la mano tesa è più efficace del gladio. Non può esserci pace se non c’è perdono. Speravo che lo capissero. Ma non è stato così.»

  «Chi ti ha ucciso ha pagato. Forse non lo sai, ma molti dei tuoi assassini hanno conosciuto la lama della mia spada.»

  «Erano patrioti. Non li incolpo di niente, anzi gli sono grato. Agli occhi di molti ero effettivamente un tiranno, e il regno di un tiranno, si sa, dura solo fino alla sua morte.»

  «Ora capisco. La tua morte non era che l’atto conclusivo del piano che avevi congegnato. Bruto e Cassio speravano di cancellare la tua memoria, invece ti hanno consegnato all’immortalità. Sei diventato qualcosa di più grande di un semplice uomo, hai evaso il ciclo del karma e sei asceso ad una condizione superiore.»

  «Forse. Resta il fatto che sono riuscito nell’impresa di dare inizio al cambiamento. Questo mi basta.

  Ora però è il tuo turno di cambiare le cose. Nelle mani tue e dei tuoi compagni alberga il destino del nostro popolo. Se la leggenda che ho creato perdurerà o meno, dipenderà da te.»

  «Ti prometto che farò l’impossibile per preservare questo mondo. Non permetterò né a Seth né a nessun altro di consumarlo, e non renderò vano ciò che hai fatto per l’umanità.»

  «Ho fiducia in te, ragazzo. Sono certo che non mi deluderai».

  Cesare a quel punto si sfilò la spada con tanto di fodero e la porse al ragazzo.

  «Questa ti servirà.»

  «Vuoi…» disse lui allibito «Vuoi darla a me!?»

  «Questa spada ha servito l’umanità per generazioni, e deve continuare a farlo».

  Intimidito, Toshio allungò lentamente le mani, raccogliendo la spada, e appena la ebbe la sguainò; brillava di luce viva, e trasudava potere magico come niente, neppure la sua spada d’oro, era in grado di fare.

  «Grandi poteri riposano al suo interno. Più crescerai come guerriero e come uomo, più essi saranno a tua disposizione.»

  «Ne avrò la massima cura, e giuro sul mio onore che la userò solo per onorare la causa che un tempo onorasti anche tu.»

  «Ne sono convinto. Ora è giunto il momento che io vada. La tua battaglia sta per ricominciare».

  Detto questo Cesare scomparve, e Toshio, voltatosi, vide Atarus immobile dinnanzi a lui ai bordi del tempio; si guardarono. Lo scontro da cui tutto era cominciato sarebbe stato anche quello che tutto avrebbe concluso.

  «E così» disse il lanciere «Siamo giunti alla resa dei conti.»

  «Così pare.»

  «È giunto il momento di concludere ciò che abbiamo iniziato.»

  «Sono d’accordo. Cominciamo».

 

Il centro esatto della cupola di trovava proprio sopra la famosa Piazza San Pietro, ed era lì che Seth, in silenzio e ad occhi chiusi, attendeva il momento in cui tutto sarebbe finito, e il suo trionfo sarebbe stato completo; Franziska rimaneva nascosta sotto il colonnato, ed osservava, impotente, lo svolgersi degli eventi, conscia del fatto che al punto in cui erano nulla poteva essere più fatto per cambiare le cose.

  D’un tratto il dio spalancò di colpo gli occhi, e sollevandoli vide Isis camminare, lentamente e con regalità, nella sua direzione, fermandosi ad una decina di metri da lui.

  «Sapevo che saresti venuta.»

  «Ho il dovere a mettere fine a tutto questo. La  mia coscienza me l’impone».

  Isis si guardò un po’ attorno, osservando con indicibile dolore il caos e la desolazione che dominavano incontrastati.

  «Non è ironico?» disse Seth «Tutto ciò che vedi non è altro che il risultato delle tue scelte.»

  «Hai ragione. Se ad oggi gli umani soffrono tanto assieme a questo mondo, la colpa è soprattutto mia.

  Già allora avevo visto la tua malvagità, la tua sete di potere, ma non potevo dimenticare che un tempo eri stato tra i più valenti e coraggiosi rappresentanti del nostro popolo.

  Per questo decisi di risparmiarti la vita, e di commutare la tua punizione in un esilio forzoso all’interno di una dimensione senza tempo. Dentro di me speravo con tutto il cuore che in questo modo comprendessi le tue colpi, e che servisse a farti tornare quello di un tempo.

  Ma mi sbagliavo».

  Seth rise leggermente, poi però il suo sguardo divenne di puro odio.

  «Credi davvero di fare la cosa giusta? Hai una qualche idea di quanto abbia sofferto rinchiuso in quella prigione maledetta? Costantemente rinchiuso, senza possibilità di fuga, e costretto a vedere questi patetici esseri umani che distruggevano sempre di più il mondo più bello che avessimo mai visto!

  Pensavi di rendermi migliore, invece non hai fatto altro che aumentare il mio odio per questa razza maledetta!»

  «Gli umani diventeranno migliori, di questo ne sono sicura. Le persone che hai incontrato dovrebbero avertene dato la prova.»

  «Guardati! Guarda quello che sei diventata! Pur di impedirmi di fare ciò che ritenevo giusto hai violato le regole su cui si fonda la nostra nuova razza, e per questo sei stata punita! Ora non sei altro che un’ombra, un essere errante condannata a vagare in eterno tra questa esistenza e la nostra!

  Sei prigioniera, proprio come me! Come puoi difendere gli umani dopo tutto questo!»

  «Te l’ho detto, io credo in loro. E comunque, non hai motivo di preoccuparti per me. La mia condizione attuale durerà ancora molto poco, te lo assicuro.»

  «Su questo non vi è alcun dubbio. Appena avrò ucciso il corpo in cui dimori tornerai ad essere un essere vivente come tutti gli altri, e come tale scomparirai nei cicli del karma!»

  «Glühender Komet!»

  «Protection!».

  Seth agitò la spada e lanciò una serie di sfere infuocate contro Isis, ma Sabatiel intervenne e generò una barriera che respinse per intero l’assalto del nemico; subito dopo la sfera dello scettro brillò come non mai, le ali dorate si rivolsero verso l’alto e in mezzo tra di loro, generata dal monile, comparve una lama di luce luna una quarantina di centimetri.

  «Lancer Form!»

  «Non mi illudo più che tu possa cambiare!» disse la ragazza facendo roteare la propria nuova arma «Ormai ho visto che il tuo cuore è completamente consumato! Ma non sarò più tanto ingenua!».

  Con agilità sorprendente Isis volò verso Seth ed ingaggiò con lui un duello estenuante, fatto di attacchi, affondi e fughe improvvise.

  «Questa è la Isis che ho sempre amato.» disse Seth durante un confronto di forza «La guerriera. Ma non illuderti, non finirà come l’ultima volta».

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!

Ci siamo, la battaglia finale è cominciata!

Come finirà? Quali saranno i suoi esiti? Lo scoprirete molto presto, visto e considerato che mi sono imposto di finire per il 15, massimo per il 17 di questo mese.

Ancora due capitoli più l’epilogo, e questa fan fiction giungerà alla conclusione.

Ringrazio come sempre Selly, Akita e Cleo.

A presto!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 30
*** Per Te, La Mia Anima ***


29

29

 

 

Keita e gli altri si ripresero ben prima di quanto Isis o lo stesso Toshio avessero previsto, e constatando da subito la mancanza dei loro due amici non ci pensarono due volte a muoversi per andarli a cercare.

  Non vi erano dubbi sul fatto che entrambi fossero andati alla ricerca di Seth, quindi trovare Seth significava trovare loro, e viceversa.

  Sulle prime i ragazzi pensarono di lasciare Ilya al sicuro, ma lei, determinata come non mai a fare la sua parte e a vendicare la morte di Frederich, volle seguirli a tutti i costi, specificando che stavolta non sarebbe bastato un colpo alla nuca per farla stare buona.

  Alla fine, per amore o per forza, fu necessario portarla, ma la corsa del gruppo andò a scontrarsi dopo poche centinaia di metri contro un nutrito esercito di nemici.

  «Di questi ci occupiamo noi!» disse Souma rivolta a Keita, Shinji e Takeru «Voi raggiungete Toshio!»

  «Ma come facciamo a trovarlo?» domandò Keita

  «Cercate il centro della cupola!» rispose Tadaki «È lì che lo troverete!».

  Aria, come già aveva fatto l’ultima volta al castello, batté la mano a terra e liberò il cammino dai nemici in modo da permettere ai suoi compagni di proseguire, e i tre ragazzi, sfuggiti all’accerchiamento, presero a correre verso il punto indicatogli.

  Tadaki, Ryu-o e gli altri ebbero ragione in pochi minuti del primo contingente che gli era stato mandato contro, poi decisero in comune accordo di dividersi in due gruppi per andare a perlustrare la città: dopo aver visto un cane ruzzolare tranquillamente su un marciapiede, infatti, si erano accorti che il Fuuzetsu sopra le loro teste aveva effetto solo sulle cose, e non sulle persone o gli animali, e quindi poteva esserci un serio pericolo per la popolazione.

  «Roma è stata evacuata.» disse Tomite «Ma qualcuno può essere stato dimenticato. Dividiamoci e cerchiamo eventuali superstiti.»

  «Sono d’accordo.» rispose Touka, tornata in forma umana assieme a Kagura e Shaina «Non possiamo permettere che ci vadano di mezzo degli innocenti».

  Detto questo i ragazzi si separarono: Tadaki, Souma, Ilya e i rispettivi famigli da una parte, Ryu-o, Tomite, Aria e Lotte dall’altra.

  Intanto al foro lo scontro tra Toshio e Atarus proseguiva a ritmo serrato; entrambi erano consapevoli che era necessario risparmiare le forze per poter combattere nella battaglia che sarebbe seguita, quella contro Seth, ma non per questo vi era da parte dei due contendenti alcuna intenzione a sminuire o svalorizzare l’importanza di quello che era a tutti gli effetti il combattimento finale del torneo.

  Con Ryu-o e Souma eliminati rimanevano solo loro, e uno solo avrebbe ottenuto la Luce di Amon per potersi confrontare con Seth ad armi pari; il problema di come farla giungere al vincitore era tutt’altro che superato, ma a quello ci si sarebbe pensato in un secondo momento.

  «Davvero impressionante.» disse Atarus «Sei molto migliorato dal nostro primo incontro.»

  «Potrei dirti la stessa cosa.»

  «Fosse per me continuerei a combattere ancora per un bel po’. Purtroppo però il tempo è tiranno, quindi non credo sia il caso di tirarla per le lunghe.»

  «Sono d’accordo. Chiudiamola qui».

  Atarus assunse la sua posa d’attacco, Toshio invece sguainò la seconda spada, quella ricevuta da Cesare, che portava dietro la schiena; la lama scintillò di luce viva, malgrado di luce naturale ve ne fosse ben poca all’infuori di quella prodotta naturalmente dal fuuzetsu.

  «Questo sarà l’ultimo attacco, spadaccino. Fossi in te, mi preparerei al peggio.»

  «Buffo.» replicò sarcastico Toshio mentre il suo cerchio si materializzava «Stavo per dirti la stessa cosa».

  Si guardarono di soppiatto, poi, quasi all’unisono, si mossero, fulminei, mentre le loro armi si illuminavano a giorno.

 

MOONLIGHT…

 

STORMBREAKER!

 

…BLADE!

 

Vi fu un contatto, brevissimo, rapido come un batter di ciglia, poi i due contendenti immediatamente si separarono, fermandosi a cinque o sei metri l’uno dall’altro e continuando a darsi le spalle. Seguì un lungo, lunghissimo silenzio, durante il quale Toshio fece una leggera smorfia di dolore.

  «Avanti, vai.» disse Atarus «Il tuo vero avversario ti sta aspettando».

  Toshio non si scompose, non mostrò alcuna reazione, e dopo qualche secondo cominciò a correre in direzione del centro della cupola. Rimasto solo, Atarus rise leggermente sotto i denti.

  «Ben fatto, spadaccino. Davvero ben fatto.» disse, e subito dopo la sua lancia, tagliata un tre parti, andò in pezzi.

 

La battaglia tra Isis e Seth aveva rapidamente messo in luce la superiorità schiacciante del dio della distruzione; come lui stesso aveva detto e ripetuto più volte i suoi poteri erano cresciuti enormemente nel corso dei millenni, questo perché reincarnandosi di volta in volta in corpi sempre nuovi aveva avuto la possibilità di familiarizzare con le potenzialità umane, adattando i suoi poteri di conseguenza.

  Isis invece non aveva avuto questa possibilità: dal momento in cui la sua maledizione aveva avuto inizio aveva vagato in forma eterica per tutto il mondo, e quella era la prima volta che si incarnava: temeva che se avesse dato libero sfogo alla sua magia il corpo di Nadeshiko, per quanto speciale e incredibilmente potente, avrebbe finito per risentirne, un problema che invece non interessava minimamente al suo avversario, e comunque più passava il tempo più era convinta che neppure questo sarebbe bastato per avere la meglio su Seth.

  Ciò nonostante non aveva la minima intenzione di arrendersi, e combatteva al meglio delle sue potenzialità, sempre spalleggiata da Sabatiel, che interveniva in sua difesa ogni qualvolta fosse necessario e obbediva prontamente ad ogni suo ordine, impartito quasi sempre per via telepatica.

  «Klinge Dunkel!»

  «Blitz Shoot!».

  Seth agitò la spada creando un vortice di luce nera che Isis provò a contrastare, lanciando una selva di fasci luminosi dalla lama del suo scettro, ma non vi fu modo alcuno per bloccare l’offensiva nemica e la ragazza, colpita in pieno, fu scagliata in aria; Sabatiel tentò di proteggerla erigendo all’ultimo momento uno scudo, che se non altro le salvò la vita, ma quando Isis cadde sulla pancia a stento riuscì a mettersi in ginocchio, e sollevati gli occhi vide la punta di Naqada a pochi passi dal viso.

  «Direi che la sfida finisce qui. Non sei d’accordo?».

  Isis digrignò i denti, arrabbiata con stessa e decisa, malgrado tutto, a non mollare.

  «Questa è la mia ultima offerta, Isis. Unisciti a me. Combiniamo le nostre forze per cambiare questo mondo.»

  «Questo mondo cambierà, e cambierà in meglio, ma non sarai tu a farlo. Saranno gli umani gli artefici del cambiamento.»

  «Gli umani?! Ogni volta che hanno cambiato questo mondo è sempre stato in peggio, lo sappiamo entrambi. Perché, dopo tutto questo, ti ostini a difenderli?»

  «Perché nonostante tutto se lo meritano. Io credo in loro».

  Vedendosi quello sguardo determinato e, all’apparenza, privo di paura, Seth esitò, sopraffatto dai ricordi, e nel contempo provò dentro di sé una rabbia senza fine.

  «Perché, perché, perché deve succedere? Io non ho mai voluto farti del male Isis! Al contrario, avrei voluto tenerti al mio fianco!

  Una ragazza come te sarebbe potuta essere la più grande delle regine! Perché non lo capisci? Io posso darti ciò che realmente meriti!»

  «Vorresti fare a me quello che hai fatto a mia sorella? Non lo farò, mai! Non sarò il tuo uccellino in gabbia, da ammirare come un oggetto!»

  «E allora…» disse Seth alzando nuovamente la spada «Non devo fare altro che tarparti le ali!».

 

TENMA SHOURYUUSEN!

 

Il vortice luminoso a forma di drago colpì Seth scaraventandolo contro la cupola della basilica, e nell’istante in cui i suoi amici la raggiungevano Nadeshiko riprendeva il controllo di sé, poiché Isis, stanca per il combattimento sostenuto, necessitava di un po’ di riposo; ciò nonostante, la veste regale rimase, e così pure la vera forma di Sabatiel, segno che ormai Nadeshiko era divenuta in grado di controllare i poteri del pendente anche senza il sostegno della sua alter ego.

  «Ragazzi!»

  «Nadeshiko!» disse Keita «Va’ tutto bene?»

  «Si, tranquilli. Sto bene.»

  «Per fortuna siamo arrivati in tempo.» disse Shinji «Ma tu sempre a cacciarti nei guai».

  La felicità per l’essersi ritrovati venne quasi subito guastata quando la cupola di San Pietro venne letteralmente disintegrata, e dai detriti fluttuanti sospesi nel nulla apparve un Seth più infuriato che mai: i capelli, da argentei, erano divenuti bianchissimi, gli occhi scintillavano di rosso e dietro la schiena aveva due grandi ali bianche degne di un angelo, che brillavano naturalmente ma erano nel contempo circondate da un bagliore vermiglio.

  «Ma voi tre non imparate proprio mai!» urlò lanciandosi contro di loro a spada tratta e sventrando al suo passaggio.

  Keita afferrò Nadeshiko, ancora un po’, scossa, e i ragazzi si gettarono di lato per evitare l’attacco; immediatamente Takeru si scagliò in avanti ed intraprese un breve duello con Seth prima che entrambi decidessero di arretrare. Il dio, lentamente, tornò coi piedi per terra, le sue ali si ripiegarono su sé stesse e il bagliore vermiglio che le circondava rapidamente si esaurì.

  «Non ti libererai di noi tanto facilmente!» disse Keita «Lascia andare il nostro amico Johan!»

  «Johan? Johan ormai è mio! E prima dell’alba voi finirete sottoterra!».

  La spada Naqada prese a tremare, poi lungo la parte centrale della lama si aprì una lunga fenditura e le due metà si separarono, aprendo tra di loro un solco di venti centimetri che fu riempito con una terza lama, fatta di luce rossa, lunga almeno quattro metri, tanto che Johan doveva tenerla rivolta verso l’alto.

  «Gigant Form!»

  «Raccomandatevi a un dio!».

  Con la sua nuova arma Seth mise i ragazzi in seria difficoltà, ma loro, lavorando in squadra, riuscirono in qualche modo a tenergli testa; intere sezioni di colonne del porticato venero spazzate via, parti più o meno grandi della basilica, private del loro sostegno o pesantemente minate, cominciarono a crollare, e anche l’Obelisco Vaticano, colpito in pieno da una meteora di luce, venne ridotto in mille pezzi.

  Ben presto però la superiorità di Seth cominciò a farsi sentire, e le cose presero a mettersi veramente male per i quattro amici.

  Shinji, in un tentativo di attaccare frontalmente il nemico, usò la sua grande velocità per evitare i suoi fendenti e, giuntogli appresso, spiccò un grande salto, volandogli contro mentre la sua gamba destra si circondava di un’aura fiammeggiante.

  Seth evitò l’attacco, che produsse una grande voragine sul terreno, spiccando nuovamente il volo, ma trovò Takeru ad attenderlo alle proprie spalle e si vide lanciare contro un nuovo Tenma Shouryuusen; nuovamente schivò il colpo, e vedendo Shinji venirgli di nuovo addosso per la terza volta riuscì a farsi da parte, approfittando del momento in cui il ragazzo era scoperto per assestargli una ginocchiata allo stomaco che lo fece volare via; subito dopo si girò prontamente alle proprie spalle e con un solo fendente scardinò la difesa di Takeru, che aveva cercato di piombargli addosso saltando da un cumulo di macerie, spedendo anche lui parecchi metri lontano, ma Keita sfruttò il momento favorevole e circondò di luce la lama della sua spada.

 

SONIC ASSAULT!

 

Questa volta la velocità del ragazzo si rivelò eccessiva anche per la robusta spada di Seth, messa in avanti come scudo per contrastare quell’assalto del tutto improvviso e inaspettato; la lama lucente andò in mille pezzi, riportando la spada alla sua vera forma, e il contraccolpo violento fece strisciare i piedi di Johan a lungo sul selciato, procurandogli oltretutto una leggera ferita alla fronte.

  Fermatosi, e percependo il sangue che gli rigava il volto, il dio andò nuovamente su tutte le furie.

  «Questa me la pagherete molto cara!».

  Con un solo movimento della spada Seth generò un tornado molto più forte degli altri, tanto forte da investire i tre ragazzi, che nel frattempo si erano raggruppati, e lanciarli via dopo una disperata resistenza; Nadeshiko, messasi in mezzo, tentò di difenderli, ma subì lo stesso destino.

  «Umani! Vi ritenete sempre superiori a tutto e a tutti.

  Beh, oggi scoprirete cosa succede a far arrabbiare un dio!».

  Seth alzò l’arma per infliggere il colpo di grazia, ma all’ultimo secondo un fascio di luce azzurro, rapido come una freccia, si infranse sul suo braccio destro, congelandolo istantaneamente insieme alla spada, e questa volta il nemico si mostrò davvero sorpreso.

  «Ma che…».

  Tutti si volsero nella direzione da cui era partito l’attacco, e videro Toshio con in mano l’arco di Tomite ancora sollevato in direzione di Seth.

  «Azzardati a toccarli, e ti farò provare qualcosa di ben peggiore della morte.»

  «Toshio!» esclamarono i ragazzi.

  Subito il guerriero corse da loro a sincerarsi che stessero bene, e Nadeshiko, aiutata a rialzarsi, lo abbracciò.

  «Stai bene, non è vero Nadeshiko?»

  «Scusami. Scusami per quello che ho fatto. Volevo essere utile, in qualche modo.»

  «No, sono io che devo chiedervi scusa. Non avrei dovuto obbligarvi a rimanere in disparte.»

  «Tu hai parecchie cose da spiegare.» disse Shinji «Ma di questo ci occuperemo dopo».

  In quel momento in cielo apparve la meridiana, dove ormai rimanevano solamente due simboli; uno di essi, simile al Cancro, si spense, e così ne rimase solo uno, quello che ricordava l’Ariete, un simbolo che Keita e i suoi amici ben conoscevano.

  «Toshio.» disse Takeru «Allora tu…»

  «Spadaccino. Non mi dirai che tu…»

  «Sì. Sono l’ultimo guerriero rimasto. Ho vinto il torneo!».

  Seth, visibilmente infuriato, riuscì a distruggere la patina di ghiaccio che circondava il braccio e l’arma circondandoli del bagliore rosso vermiglio.

  «Maledetto spadaccino. Mi hai causato anche troppi problemi. È colpa tua se tutti i miei piani stavano per svanire come neve al sole. Stavo per perdere tutto.»

  «È stato un bello spettacolo, non trovi?»

  «Taci!» tuonò il dio circondandosi di un’aura rossa così potente da far volare le macerie tutto intorno e facendo fischiare la lama di Naqada con movimenti secchi e rapidi «Vedi questa spada? Ti farà a pezzi. Farà a pezzi tutti voi.»

  «Fatti avanti.» rispose Toshio mettendosi in posizione di guardia assieme ai suoi compagni «Ti aspettiamo».

  Ne nacque uno scontro violento e combattuto, e quasi subito Seth e Toshio si ritrovarono ad incrociare le armi guardandosi dritti in volto.

  «Cancellerò la stirpe di Clow da questo mondo una volta per tutte!».

 

Contemporaneamente gli elicotteri comandati da Akunator, dopo essere riusciti ad oltrepassare la cupola per mezzo di speciali barriere, stavano sorvolando la zona della Garbatella diretti verso la Città del Vaticano, dove si trovava il centro della cupola e dove sicuramente, a giudicare dai continui lampi di luce, era in corso la battaglia contro Seth.

  «Quanto manca per arrivare laggiù?» domandò il principe rivolto al pilota

  «Un paio di minuti.»

  «Avvicinarsi troppo sarebbe pericoloso.» disse Akunator «Atterriamo a cinquecento metri e poi procediamo a piedi.»

  «Sissignore».

  D’un tratto qualcosa passò fulmineo proprio davanti all’elicottero di testa, quello in cui si trovava la famiglia reale; era troppo veloce per capire di che cosa potesse trattarsi, ma il leggero tremore che colse la spada del re non era per nulla un buon segno.

  «Che diavolo era quello?» domandò il copilota tentando di scorgerlo oltre i vetri.

  Prima che qualcuno potesse dare una risposta una meteora di fuoco piovve dal cielo, centrando in pieno il velivolo a sinistra e disintegrandolo in una gigantesca esplosione.

  «Maledizione! Siamo sotto attacco!».

  L’elicottero a destra tentò di virare bruscamente ma fece la stessa fine, quello di testa invece diede potenza ai motori per allontanarsi e scese rapidamente di quota per poter sfruttare la copertura dei palazzi, nella speranza di non coinvolgere innocenti.

  Piovvero altre meteore, ma il pilota riuscì fortunatamente a schivarle tutte, e dopo pochi secondi il responsabile della distruzione dei due velivoli si decise finalmente a farsi vedere, comparendo alle spalle dell’elicottero: somigliava a Frederich, ma la sua pelle nera, invece che di squame, pareva fatta di scaglie di pietra, e i suoi occhi scintillavano di malignità.

  «Un drago corrotto!» disse Sanak

  «Tenetevi forte maestà, sarà una gita movimentata!».

  Ne nacque uno spettacolare quanto pericoloso inseguimento fra le strade della città; sia il drago che l’elicottero erano grandi, e quindi poco adatti a volare in molte delle strade strette e tortuose che caratterizzavano il centro di Roma, ma il drago, a dispetto della mole, poteva vantare una superiore agilità, e il suo vantaggio aumentava sempre di più.

  Essendo un elicottero da trasporto non disponeva di alcun tipo di armamento, e le uniche due mitragliatrici d’assalto che sporgevano dai portelli potevano essere rivolte solo verso il basso e lungo i fianchi, quindi rispondere al fuoco era quasi impossibile, per non parlare del fatto che quella specie di carapace non sarebbe stato facile da perforare.

  «Dobbiamo colpirlo dentro la bocca!» disse Sanak «Quello è l’unico punto vulnerabile!»

  La grande abilità del pilota permise di schivare altre meteore, ma purtroppo uno dei soldati del seguito, che si era sporto per poter colpire l’inseguitore, cadde dal velivolo a causa di un brusco contraccolpo precipitando al suolo; bisognava fare qualcosa, e bisognava farla subito.

  «Agganciami!» gridò Sanak rivolto ad un altro dei suoi uomini dopo aver imbracciato un fucile

  «Figliolo, aspetta!» tentò di dire suo padre, ma troppo tardi.

  Legatosi con un cavo assicurato alla cintura del calzoni Sanak si sporse a sua volta dal portellone con un piede all’interno e l’altro poggiato sul pattino, quindi si portò il mirino all’occhio tenendo il fucile con il solo braccio destro.

  Fu necessario eseguire un paio di altre manovre azzardate, soprattutto per evitare calcinacci e detriti, poi il drago si preparò a lanciare l’attacco finale, spalancando la bocca.

  «Sei grosso ma poco furbo.» disse il principe mirando proprio al centro.

  Dalla gola del nemico cominciò a sollevarsi un bagliore sinistro, e appena lo vide Sanak sparò.

  «Mangia questo!».

  Il proiettile, un modello carico di una particolare mistura inventata dagli ammazza-demoni di magia compressa allo stato liquido ed essenza di una rosa orientale, a cui le creature corrotte erano fortemente allergiche, ebbe l’effetto di una bomba, risultando a contatto con le fiamme ancor più devastante.

  Al drago gli scoppiò letteralmente la gola, producendo un grande squarcio a metà del collo; la creatura lanciò un urlo di dolore, poi cadde già morta sulla strada sottostante, disintegrando tutto ciò che trovava nel suo ruzzolare.

  Prima che il principe e tutti gli altri potessero esultare, per somma sfortuna, la coda del mostro, lanciata completamente alla deriva, colpì di striscio l’elicottero, danneggiando irrimediabilmente le pale.

  «Merda!» disse il pilota perdendo l’assetto, mentre l’intero veicolo veniva sconvolto da un tremore irrefrenabile «Precipitiamo!».

  Ringraziando il cielo la corsa tra i palazzi aveva condotto i fuggitivi nell’area del Circo Massimo, e fu proprio nel grande campo sgombro che l’elicottero precipitò; l’urto fu violentissimo, malgrado il pilota avesse fatto di tutto per tentare di renderlo più morbido, e il velivolo strisciò a lungo sul terreno, reso umido dalle recenti piogge, prima di riuscire finalmente a fermarsi.

  Pilota e copilota morirono sul colpo, e una guardia ne uscì con una spalla slogata, ma a parte questo i cinque superstiti erano sostanzialmente integri, e si affrettarono ad abbandonare il mezzo per scampare ad una probabile esplosione, che infatti avvenne poco dopo.

  «State tutti bene?» domandò il re prima di accorgersi che uno dei suoi uomini si teneva il braccio sinistro «Soldato, sei ferito?»

  «Solo una spalla slogata, maestà. Niente di grave.»

  «Stringi i denti».

  Il re riportò in assetto l’osso fuori posto con un violento scatto, e malgrado il soldato fosse abituato al dolore dovette stringere i denti per non gridare.

  « meglio?»

  «Sì, grazie».

  Sanak, che si stava guardando attorno, fu il primo ad accorgersi del sopraggiungere, a gruppi, di un vero e proprio esercito di guerrieri oscuri che rapidamente circondarono i superstiti. Questi fecero immediatamente cerchio, e al minimo segnale di pericolo si scagliarono sui nemici, iniziando una battaglia furiosa, soprattutto all’arma bianca.

  Il principe e suo padre, che a dispetto dell’età avanzata dimostrava forza e agilità inaspettate, erano guerrieri di grande valore ed esperienza, e così pure gli uomini del loro seguito, ma quella era una battaglia impari, ed era solo una questione di tempo prima che venissero sopraffatti.

  Ad un certo punto Sanak, che era impegnato ad affrontare tre avversari contemporaneamente, ricevette un calcio che lo buttò a terra, e uno dei nemici, giuntogli sopra, alzò gli artigli della mano destra per infliggergli il colpo di grazia; Akunator se ne accorse, ma era troppo lontano per poterlo aiutare, considerando oltretutto che anche lui era soverchiato dal numero di avversari.

  «Sanak!».

  Il ragazzo, ferito, restò immobile, un po’ per la paura un po’ per la consapevolezza di essere spacciato, ma all’ultimo secondo si udì un suono fortissimo, e la luce fortissima delle lanterne di due apache da guerra illuminarono il campo di battaglia, catalizzando su di sé l’attenzione di tutti.

  Non erano soli; facevano infatti da scorta ad altri due elicotteri da trasporto, e dal portello di uno di essi sporgeva Izumi, la leggendaria ammazza-demoni, accompagnata da Nagisa, il suo famiglio, con in mano un gigantesco fucile anticarro che doveva pesare quanto lei se non di più.

  L’apache scaricò una raffica di mitra sui nemici in modo da disperderli, dando a Sanak l’occasione buona per rialzarsi e uccidere il suo potenziale assassino, e protetti da questo sbarramento molti altri ammazza-demoni con la divisa nera propria dell’organizzazione Aferlife presero a calarsi con delle funi sparando all’impazzata per coprirsi la discesa.

  Questo inaspettato e tempestivo intervento risollevò le sorti della battaglia, che tornò ad imperversare; sfoggiando la sua bloody rose, e spalleggiata da Nagisa, Izumi distruggeva senza pietà chiunque le si parasse davanti, e quando, per una distrazione, si vide venire contro un nemico che, in linea teorica, poteva rappresentare una minaccia questi cadde prima ancora che lei sollevasse la pistola, centrato in mezzo alla testa.

  A sparare era stato un ragazzo dai tratti sudamericani appostato su di un tetto attiguo con l’occhio piantato sul mirino di un Barret M82 anticarro ad alta precisione; aveva una bandana in testa e mentre sparava, disteso sulla pancia, ascoltava da un paio di auricolari musica heavy metal a tutto volume, sorseggiando di tanto in tanto qualcuna delle numerose bottiglie di birra che aveva con sé.

  Si chiamava Ricardo Juaisto, ma tutti lo chiamavano Noce, veniva dalla Bolivia ed era un vero luminare nel campo dell’ingegneria bellica; Bloody Rose, l’arma usata dalla stessa Izumi, era per l’appunto una sua creazione.

  «Ce n’è per tutti!» disse facendo saltare la testa ad un altro nemico che aveva tentato di assalire Akunator alle spalle.

  Dopo circa quindici minuti la battaglia ebbe fine, e tutti i soldati oscuri vennero eliminati.

  «Grazie del vostro aiuto.» disse Akunator rivolgendosi ad Izumi «Se non fosse stato per voi saremmo sicuramente morti.»

  «A dopo i ringraziamenti. I nostri uomini si stanno occupando di evacuare i civili. In quanto a noi, dobbiamo sbrigarci a raggiungere il Vaticano.»

  «Ha ragione. Laggiù la battaglia si sarà sicuramente fatta cruenta».

 

  Nello stesso momento, alcune centinaia di metri più a nord, il gruppo formato da Tadaki, Souma e Ilya era a sua volta impegnato in un combattimento contro numerosi soldati oscuri che aveva come fine ultimo la protezione di un gruppetto di circa dieci persone rimase intrappolate all’interno della cupola e che avevano cercato rifugio tra le siepi di un parco.

  La cosa più importante era tenere i nemici lontani dai civili, ma il numero degli aggressori era di gran lunga superiore e dovendo preoccuparsi di tenere la posizione per poter fare muro i ragazzi si trovavano in difficoltà.

  Shaina aveva usato le sue abilità con il fuoco per generare una barriera fiammeggiante tutto attorno ai superstiti, ma dopo un certo periodo di tempo e continui assalti sventati all’ultimo momento questa aveva inevitabilmente ceduto, e ormai il famiglio non aveva la forza di erigerne un’altra.

  «Dobbiamo tenerli indietro ad ogni costo!» continuava a ripetere Tadaki respingendo ogni attacco

  «È una parola, questi continuano ad aumentare!».

  Souma, Touka e Shaina facevano del loro meglio, e così pure Ilya, per quanto le era possibile; la morte di Frederich aveva lasciato in lei un profondo vuoto e una tristezza che non sarebbe sicuramente mai svanita, per non parlare del fatto che senza il supporto dell’energia magica emessa dal proprio drago i guerrieri della sua gente, e lei in particolare vista la sua giovane età, molto difficilmente riuscivano a padroneggiare una magia di buon livello.

  D’un tratto Ilya venne puntata da un nemico che, dopo essere stato colpito da un fascio di luce magica, aveva gettato la ragazzina a terra prendendola per i capelli.

  Ilya era davvero convinta di dover morire, ma a salvarla giunse  una poderosa quanto inaspettata lingua di fuoco che incenerì l’aggressore senza sfiorarla neanche minimamente; la riconobbe, ma non volle credere che fosse vero fino a quando non alzò gli occhi, e allora la sua gioia fu davvero immensa.

  «Frederich!»

  «Non ci posso credere.» disse Souma vedendolo volare sopra le loro teste «Credevo fosse morto.»

  «Deve aver preso la forma spirituale subito prima di venire investito dall’esplosione.» ipotizzò Tadaki «E così è riuscito anche a passare il portale».

  Con l’appoggio del drago, che volando basso creava veri e propri muri di fuoco incenerendo in un sol colpo decine di aggressori, la battaglia venne presto vinta, e appena Frederich tornò a terra a scontro concluso Ilya corse ad abbracciargli il muso piangendo di felicità.

  «Frederich! Sei vivo!».

  Un gruppetto di ammazza-demoni arrivarono sul campo di battaglia quando ormai tutto era finito.

  «Ci occuperemo noi di questi civili.» disse il capo pattuglia «Voi raggiungete il Vaticano.»

  «D’accordo.» rispose Tadaki

  «Forza, sbrighiamoci!» disse Ilya saltando in groppa al suo drago «Toshio e Nadeshiko hanno bisogno di noi!».

  Una sorpresa inaspettata la ebbe anche il secondo gruppo impegnato nella ricerca e nel salvataggio dei cittadini e dei turisti, composto da Aria, Lotte, Tomite, Ryu-o e Kagura, che pur non producendo il grande effetto dell’arrivo impetuoso di Frederich risultò comunque disarmante.

  Nel momento in cui Aria e Lotte, rimase un po’ distaccate dai loro compagni, stavano combattendo con una specie di golem di proporzioni colossali, in loro soccorso giunsero Ushio, Minami e Yuuhi, ma anche qualcun altro, qualcuno di completamente inatteso.

  «Selene!» disse Aria vedendo la ragazza piombare dal cielo dopo aver distrutto un braccio del mostro con una meteora di fuoco.

  Lei però le guardò come se non le conoscesse.

  «Il mio nome è Helen, e sono il famiglio di Master Atarus.»

  «Helen!?» ripeté Lotte

  «Il mio master mi ha ordinato di venirvi ad aiutare. Voi dovete essere i famigli di Toshio».

  Il lavoro di squadra sancì rapidamente la sconfitta del golem, e a quel punto anche loro si diressero verso il Vaticano, dove la battaglia finale stava assumendo decisamente una brutta piega.

  Dopo essere stato messo inizialmente alle strette dall’inaspettato arrivo di Toshio Seth aveva rapidamente riguadagnato la propria superiorità, visto e considerato anche il fatto che lo spadaccino, reduce da uno scontro breve ma combattuto con Atarus, non era certamente al massimo delle sue possibilità.

  Lavorando ora individualmente ora in squadra i ragazzi tentarono di contrastare la forza del nemico, ma non c’era all’apparenza nulla da fare, e ogni loro tentativo finiva nella più rovinosa disfatta. Shinji, cercando di assestare un calcio, fu intercettato e colpito con un fendente che solo grazie ad una barriera prontamente eretta dallo stesso ragazzo non lo tagliò da parte a parte, spedendolo però prima in aria per poi farlo precipitare al suolo; Takeru e Keita tentarono un attacco simultaneo, ma con indifferenza e facilità incredibili Seth bloccò la spada di Keita con la propria e quella di Takeru semplicemente con una mano, la cui pelle sembrava più dura dello stesso acciaio.

  «Explosion!».

  La detonazione emessa da Naqada mise fuori combattimento anche loro due; Nadeshiko volle tentare un attacco ma fu rapidamente sconfitta, e allora rimase solo Toshio. Questi, provato ma ancora determinato a combattere, decise di fare ricorso alla sua ultima carta, e richiamato a sé il Μένος Aδηλος materializzò sia le fiamme sul volto che le proprie ali.

  Seth accolse quell’evento con un enigmatico sorriso.

  «Finalmente ti sei deciso.

  Ho sempre sognato di confrontarmi con qualcuno che fosse in possesso del Μένος Aδηλος. Adesso finalmente potrò soddisfare il mio desiderio.»

  «Bene, eccoti accontentato».

  Entrambi i contendenti spiccarono il volo veloci come fulmini, e scontratisi diedero vita ad un combattimento aereo di altissimo livello; erano molto rapidi a muoversi, colpivano e si allontanavano in continuazione ma nessuno riusciva a valicare la difesa dell’altro, e dopo cinque minuti la stanchezza cominciò a farsi sentire, obbligando ad una sosta ad una decina di metri dal suolo.

  «Niente male davvero. Lo riconosco, sei bravino.

  Indubbiamente ti hanno potenziato al massimo.»

  «Questo non ha alcuna importanza. Questa forza e queste capacità sono mie. Nessuno me le ha date, e anche se così fosse sono io che ho imparato a sfruttarle.»

  «Comunque sei davvero il degno figlio di Clow. Per quante volte ti si colpisca, tu riesci sempre a rialzarti. È stato così anche le altre volte che noi due ci siamo affrontati.

  Ma credimi, questa volta andrà diversamente.»

  «Staremo a vedere».

  Toshio sguainò la seconda spada, e prime che Seth potesse avvedersene scomparve nel nulla; un secondo dopo il dio venne violentemente colpito alla schiena, all’apparenza da una forza invisibile, ma la realtà era ben diversa.

 

MOONLIGHT BLADE!

 

Spostandosi ad una velocità vicina a quella del suono Toshio colpiva ripetutamente il suo nemico come una scheggia impazzita, e la sua rapidità era tale che era impossibile scorgerne i movimenti.

  Seth venne colpito più e più volte, i suoi vestiti si riempirono di tagli e cominciò a perdere sangue.

  «Maledetto spadaccino!» disse, irato, ad un certo punto «Adesso basta!» e mossosi a sua volta a grande velocità intercettò Toshio nel momento in cui si stava preparando a colpire di nuovo, spezzandogli due costole con un calcio spaventoso.

  Il ragazzo urlò dal dolore, ma il peggio doveva ancora venire, infatti Seth mise nuovamente mano a Naqada, che da qualche minuto portava assicurata dietro la schiena.

  «Sichel Dunkel!».

  Colpito in pieno Toshio precipitò come un asteroide, cadendo a terra a pochi passi da Nadeshiko, che come gli altri era così provata da faticare a rimanere in piedi; lo spadaccino uscì terribilmente malmesso da quell’attacco, le sue ali erano intirizzite e molte delle piume sparse tutto intorno o fluttuanti nell’aria.

  «Chi doveva farmi provare qualcosa peggiore della morte?» domandò sarcastico Seth «Già sconfiggermi con l’ausilio della Luce di Amon è azzardato, ma sperare di riuscirci senza è pura follia».

  Detto questo Seth, ancora sospeso in aria, puntò la spada verso di lui.

  «Sparisci per sempre.»

  «Schlag Anmut!».

  La spada si aprì nuovamente al centro, e come un’arma da fuoco sparì un fascio luminoso in direzione di Toshio, ma prima che il ragazzo potesse vederselo venire contro una figura gli si parò davanti, facendogli da scudo.

  Tutto parve svolgersi esattamente come quella volta, migliaia di anni prima; la scena si stava ripetendo allo stesso moda: quella sensazione di terrore, quell’istante di consapevolezza, e quegli occhi carichi di amore che gli penetravano l’anima.

  No! Non l’avrebbe permesso! Non avrebbe lasciato che succedesse ancora!

  «No!» urlò, e richiamate a sé le sue poche forze si avventò su Nadeshiko, afferrandola e buttandola a terra in un’ultima, drammatica inversione dei ruoli.

  Lei lo vide sgranare gli occhi, le sue belle piume nere volare via, strappate via e gettate al vento dalla potenza del colpo, che non produsse alcun bagliore, ma solo una profonda ed insanabile ferita alla schiena; lo vide sussurrare qualcosa, vide le sue labbra muoversi e pronunciare una frase impercettibile, ma che lei capì, e quando lo vide, apparentemente morto, accasciarsi al suolo sul torace proprio accanto a lei, il cuore parve scoppiarle per il dolore.

  «Toshio!».

 

CONTINUA

 

Nota dell’Autore!

Eccomi qua!^_^

-1 alla fine. Questa storia ormai è giunta davvero ai suoi ultimi scampoli di narrazione. Come promesso questi ultimi due capitoli saranno più brevi di quelli che li hanno preceduti (questo almeno, anche se il prossimo potrebbe riservare qualche sorpresa).

Sono stati mesi lunghissimi, densi di fatiche, ma il numero delle recensioni e la soddisfazione manifestata dai lettori sono una grandissima soddisfazione. Preannuncio fin da ora che nel prossimo capitolo non inserirò le Note dell’Autore, che riserverò per l’epilogo, e che a pochi giorni dalla conclusione di Millennium War: The Origin riprenderà la narrazione di Millennium War: Rebirth; inoltre (ma devo valutare bene il tempo) inizierò contemporaneamente la stesura di una minific in 13 capitoli intitolata Millennium War: Threeten Days, che farà da collegamento fra il primo e il secondo episodio della saga.

Ringrazio Selly, Cleo e Akita.

A presto con l’ultimo capitolo!^_^

Carlos Olivera

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Capitolo 31
*** Un Giorno, Chissà ***


30

30

 

 

«Toshio!» gridò Nadeshiko inginocchiandosi davanti a lui e girandolo verso di sé.

  Il suo volto era segnato dal dolore, ma nonostante tutto aveva un’espressione serena, di chi ha fatto ciò che sapeva giusto senza alcun rimpianto.

  «Toshio, rispondimi!» disse dopo avergli poggiato la testa sulle ginocchia.

  Lui, a fatica, aprì gli occhi, guardandola.

  «Sta… stai bene?»

  «Perché? Perché lo hai fatto?»

  «Perché… non potevo permetterti… di morire ancora… a causa mia.»

  «Toshio…».

  Toshio, accennando un sorriso, sollevò faticosamente la mano e le asciugò alcune lacrime che le rigavano le guance.

  «Ironico, non trovi? Pare proprio… che… il destino ci obblighi costantemente a scelte che comportano… la salvezza di uno… e il sacrificio dell’altro.»

  «Non dire così, Toshio! Non arrenderti!».

  La vista del loro grande amico in fin di vita mandò i ragazzi su tutte le furie, soprattutto se pensavano che si era ridotto così per proteggere Nadeshiko, dopo che lei stessa aveva tentato a sua volta di salvargli la vita sacrificando la propria.

  Keita urlò di collera come mai aveva fatto prima, collera derivatagli dalla crudeltà del fato che negava alla sua amica del cuore la possibilità di essere felice, e materializzato il suo circolo magico schizzò velocissimo verso Seth, che ancora levitava sopra di loro, colpendolo così forte da farlo volare ancora più in alto.

  «Ma che…» disse incredulo vedendo che Naqada non era stata in grado di proteggerlo adeguatamente.

  Correndo letteralmente sui muri Shinji risalì tutta la basilica, poi spiccò un salto altissimo e subito dopo un giro della morte, arrivando sopra a Seth ed assestandogli un calcio che tuttavia venne parato con il polso, ma nel respingere il biondino Seth diede le spalle a Takeru, che ne approfittò per assestare un colpo, a sua volta respinto, ma da quel momento i tre ragazzi sembrarono tornare nel pieno delle forze, e l’assalto al nemico divenne incessante.

  «Toshio… non devi mollare. Non puoi farlo.»

  «Te lo ricordi? Ricordi quando… cavalcavamo insieme, la notte, nel… nel deserto?».

  Come poteva dimenticarlo?

  Erano stati i momenti più belli della breve vita che avevano potuto trascorrere insieme, come sovrani di Nepthys; uscivano dopo il calare del sole, e passavano tutta la notte a cavalcare senza meta fra le dune sabbiose, ammirando la vastità del cielo stellato; a volte poi si distendevano sulla sabbia, e lì giacevano fino all’alba, parlando e scherzando, ma soprattutto favoleggiando di quante cose avrebbero potuto fare ora che erano finalmente insieme.

  Ecco perché entrambi, anche nella loro vita attuale, amavano fermarsi a guardare le stelle; era un retaggio, l’ultimo frammento di ricordi tanto belli da non poter essere cancellati.

  Lei fece cenno di sì, e lui di nuovo sorrise.

  «Mi sarebbe piaciuto… farlo ancora…»

  «Lo faremo Toshio. Lo faremo! Devi restare sveglio!».

  Toshio cercò di fare come gli veniva detto, ma poi chiuse gli occhi, piegando la testa all’indietro; non era ancora morto, ma il suo respiro era debole, e il battito irregolare, quindi il tempo che gli rimaneva era comunque poco.

  Nadeshiko si sentì morire dentro; era consapevole del fatto che non c’era nulla da fare, ma nonostante tutto una piccola parte di lei ancora si aggrappava alla speranza, e in particolare a quelle parole appena sussurrate subito dopo essere stato colpito.

  «No. Ti prego. Ti prego, non lasciarmi.

  Toshio, ti amo anch’io. Non mi lasciare».

  Una lacrima, scivolando dagli occhi, cadde a terra, risuonando come una campanella, e sotto la ragazza comparve d’incanto il suo cerchio magico, ma che ora, invece che di rosa, brillava di bianco. Il suo potere era qualcosa di immenso, e fu avvertito in tutta la città da coloro che avevano i mezzi per poterlo percepire.

  Keita e gli altri smisero di combattere, rimanendo immobili con la bocca spalancata per lo stupore, e altrettanto accadde a Seth, ma che, piuttosto che stupito, pareva terrorizzato.

  “Questo potere… no, non ci credo!”.

  Il cerchio scomparve, ma sia Nadeshiko che Toshio vennero avvolti da quella luce bianca, una vera e propria fiamma nel buio che rischiarava le tenebre tutto intorno. Come in trance, la ragazza avvertì qualcosa in lei che stava cambiando, ma invece che indagare lasciò che le cose facessero il suo corso, perché il cuore le diceva che quella era la cosa migliore da fare.

  I suoi capelli, da castani, divennero bianchi, e dietro la schiena le comparvero quattro grandi ali, simili a quelle di Seth ma infinitamente più luminose, e quando aprì gli occhi questi erano diventati di un rosso acceso, due veri rubini; non sembrava neanche più lei, ma a differenza di quello che accadeva quando era Isis a prendere il sopravvento vi era un qualcosa che lasciava intendere che tutto ciò era accaduto e stava accadendo a Nadeshiko, non alla sua alter ego, che con quell’evento non aveva nulla a che fare.

  Lentamente e con cura, la ragazza sollevò la testa del suo amato e, dopo averne contemplato per un istante i lineamenti, gli diede un bacio leggero, appena percettibile, ma dall’infinito calore; poi, quando quel piccolo momento d’incanto ebbe fine, una piccola nuvola di quella luce bianca fuoriuscì dalla bocca di Nadeshiko ed entrò in quella di Toshio, rimasta semiaperta.

  Il petto del ragazzo si gonfiò leggermente, poi tutto tornò come prima; le ali di Nadeshiko scomparvero, occhi e capelli tornarono al loro colore originario, e lei, apparentemente esausta, per un attimo ebbe un mancamento, ma la stanchezza le passò subito quando vide Toshio mugugnare qualcosa prima di aprire nuovamente gli occhi. Non v’era più traccia alcuna dello spettro della morte al loro interno, erano tornati a risplendere di vita, specchio infrangibile di un’anima che mai avrebbe smesso di lottare.

  «Nadeshiko».

  Lei sorrise tra le lacrime, poi lo abbracciò appena lui, seppure con un po’ di fatica, riuscì a mettersi in ginocchio; tutti sorrisero di gioia, tranne Seth, il cui terrore divenne ancora più evidente.

  “No! Non è possibile! È riuscita ad avere ragione di una ferita tanto grave! Neanche Isis sarebbe capace di tanto!

  Ma allora lei è….”.

  Toshio fu aiutato a rimettersi in piedi, e vedendosi piantare nuovamente addosso quegli occhi da belva mai doma Seth tentò di tornare al suo solito contegno.

  «E và bene, per questa volta te la sei cavata. Ma non sperare di essere ancora così fortunato».

  Per la seconda volta Naqada generò quella lama di luce tale da farle raggiungere proporzioni colossali.

  «Gigant Form!»

  «La buona sorte non ti aiuterà per sempre.»

  «Lo stesso vale per te».

  Testimone silenziosa ed impotente dello scontro che era ripreso in tutta la sua furia era Franziska, la quale era rimasta indicibilmente colpita da ciò che era appena accaduto a pochi passi da lei; la vista di quei due ragazzi, legati così indissolubilmente in modo tale che neppure la morte era stata in grado di dividerli, le aveva lasciato nell’anima un senso di vuoto.

  Un tempo anche lei aveva provato quelle emozioni, le aveva provate con Johan, ma ormai erano scomparse da tempo. Davanti a sé c’era ora un estraneo, con le sue parole suadenti, i suoi sguardi ammalianti e le sue promesse più volte disilluse.

  Tutto era cambiato da quella notte maledetta, questa era la verità. Johan non era più stato lo stesso dal momento in cui aveva accolto dentro di sé l’anima di Seth, perché da allora la sua volontà era progressivamente scomparsa, lasciando dietro di sé solo un essere guidato unicamente dalla propria ambizione.

  Johan, il suo fratellino, non era altro che un contenitore, un involucro che forse, un giorno, sarebbe stato anche gettato in favore di un altro migliore.

  Franziska di colpo si sentì un’ingenua, una sciocca senza speranza: aveva creduto a tutte quelle storie, aveva continuato nonostante tutto a restargli affianco, credendo che in questo modo avrebbe potuto mantenere Johan vicino a sé, o forse semplicemente illudendosi che ciò potesse effettivamente accadere, e intanto tutte le persone a lei più care, come Wei, ma anche quelle che nel corso di quella terribile esperienza aveva imparato a conoscere e ad amare, come Selveria, venivano sacrificate o abbandonate senza la minima esitazione, e tutto ciò in nome di un non meglio identificato ideale che serviva solo a mascherare il puro e semplice desiderio di onnipotenza.

  Alla fine di tutto, la dinastia Von Karma aveva davvero fatto un patto con il demonio: proprio come Seth, avevano barattato la dignità con il potere, asservendosi ad un’entità oscura intenzionata a portare un nuovo ordine, un ordine spietato e malvagio, e sotto questo aspetto non erano poi tanto diversi.

  Il velo di menzogne e apatia che Franziska aveva volontariamente sollevato tutto intorno a sé per sentirsi al sicuro venne improvvisamente squarciato, mettendola di fronte al fatto compiuto: Johan non c’era più.

  Nonostante questo, però, non voleva arrendersi; poteva e doveva fare qualcosa, anche di poco conto, per riportare indietro suo fratello, per restituirgli quella vita spensierata e felice che nessuno gli aveva mai voluto accordare, e ora capiva perché: Johan era il depositario della maledizione dei Von Karma, e proprio per questo era vessato ed emarginato dal resto della famiglia.

  Ma quella maledizione sarebbe finita, in un modo o nell’altro: proprio come quei ragazzi, che stavano rischiando le loro vite per salvare il loro amico, doveva mettersi in gioco per cambiare il corso delle cose.

  Ma cosa poteva fare?

  Lei non sapeva combattere, e neppure usare la magia. Era solo una ragazza spaventata e confusa che rivoleva indietro suo fratello.

  In quel momento, e solo in quel momento le venne da porsi una domanda: Seth aveva rinunciato a tutti i suoi servitori più fedeli, li aveva sacrificati senza pietà, ma nonostante tutto aveva voluto lei vicino fino all’ultimo, facendo l’impossibile per riuscire a tenerla dalla sua parte. Perché?

  Aveva sempre pensato che ciò fosse dovuto indirettamente a Johan, i cui pensieri continuavano a permeare la coscienza di Seth, finendo in qualche modo per influenzare quest’ultimo, ma di colpo le venne da domandarsi se non ci fosse dell’altro.

  Perché tenere accanto a sé una ragazza all’apparenza del tutto inutile?

  Una volta Minami le aveva detto che, malgrado Seth si fosse ormai sostituito a Johan, un filo invisibile continuava ad unirli, lo stesso che aveva unito tutte le precedenti incarnazioni del dio che avevano preso parte al grande torneo al fratello o alla sorella che avevano sempre finito per avere.

  E se fosse stato così? E se fosse stato solo per questo?

  Forse lei era in possesso di qualcosa di cui Seth aveva assolutamente bisogno, e proprio per questo non poteva permettere che le capitasse nulla di male.

  In quel momento un tentativo di Shinji di colpire Seth mentre era a terra si risolse nell’ennesima esplosione del terreno, ed un pezzo di maceria lungo una quindicina di centimetri rotolò proprio ai piedi della ragazza, che lo guardò: aveva una forma conica e leggermente acuminata, sembrava quasi un paletto.

  Un’idea le attraversò la mente, e il cuore prese a batterle all’impazzata; era un gesto estremo, che quasi sicuramente le sarebbe costato molto caro, ma se si trattava di riportare indietro Johan allora quello era un piccolo prezzo da pagare, quindi, timidamente, ma comunque decisa a fare ciò che si era prefissata, lo raccolse.

  La battaglia intanto andava avanti senza sosta, ma a differenza di poco prima ora Seth era chiaramente in difficoltà, pressato senza sosta da una serie ininterrotta di attacchi ai quali, per sua fortuna, riusciva sempre e comunque a reagire, questo grazie alla sua infinita riserva di energia.

  «Non l’avete ancora capito?» disse, in parte bluffando, dopo averli respinti per l’ennesima volta «Non c’è niente che possiate fare! Io sono invincibile!».

  Invece, all’improvviso, la lama di luce della sua spada cominciò a scomparire ad intermittenza, come una lampadina sul punto di fulminarsi, e lo stesso accadde alla sfera sull’impugnatura.

  «Ma cosa…»

  «Abfallenergie!»

  «Che succede? Naqada sta perdendo energia! Com’è possibile?».

  Attonito, Seth si guardò attorno, e volgendo gli occhi verso il basso la scena che gli si palesò davanti lo paralizzò dal terrore; Franziska era raggomitolata in posizione fetale con entrambe le mani strette attorno al un pezzo di roccia che si era conficcata con forza nel ventre.

  Il paletto funzionava anche come un tappo, impedendo al sangue di uscire, ma il dolore provato dalla ragazza era visibile nella sua espressione, un dolore lancinante e terribile, e tutti, compresi Toshio e i suoi compagni, si domandavano come facesse a non urlare.

  «No!»

  «Erschöpfte Energie!»

  «Che sta succedendo?» chiese Takeru

  «Quella ragazza.» disse Toshio «Evidentemente era da lei che la spada traeva energia».

  In pochi secondi la lama di luce scomparve, riportando Naqada alla sua forma normale, e anche la cupola cominciò rapidamente a ritirarsi.

  «No! La mia barriera!»

  «Guardate!» disse Keita «Il fuuzetsu sta scomparendo!».

  Alla fine la barriera scomparve del tutto sotto gli occhi increduli del mondo intero, che seguiva lo svolgersi degli eventi dalle telecamere che riprendevano incessantemente la scena, e il tempo riprese a scorrere per la città eterna.

  «Maledetta traditrice!» urlò Seth dirigendo una sfera di luce oscura ed elettrificata contro Franziska, a terra agonizzante con il paletto ancora piantato nel corpo.

  Nadeshiko però lo prese in contropiede, e raggiunta la ragazza evocò una barriera che difese entrambe e che si rivelò più che sufficiente contro la potenza del nemico, ora decisamente ridimensionata. Inginocchiatasi davanti a lei cercò di usare nuovamente i suoi poteri per sanare la ferita, ma Franziska, con un cenno, le disse di non farlo.

  «A… Aspetta. Se guarisci me… anche lui… tornerà più forte.»

  «Ma potresti morire. È una grave ferita, se aspettiamo troppo ti ucciderà.»

  «Non… importa. Se è… per salvare… mio fratello…»

  «Franziska…».

  D’un tratto, una luce fortissima, simile ad una cometa, apparve nell’oscurità della notte, brillando così forte da catalizzare su di sé le attenzioni di tutti; di nuovo, Seth parve più spaventato che mai.

  «No! Tutto, ma non questo!».

  Toshio era il più colpito di tutti, e dentro di sé sapeva di che cosa si trattava; la conferma ai suoi pensieri venne nel momento in cui quel bagliore lo raggiunse, posandosi sulle sue mani, aperte in segno di offerta; a generare la luce era una sfera, apparentemente di vetro, grande poco più di una normale biglia da gioco, ma dalla quale proveniva uno straordinario potere magico.

  «La Luce di Amon.»

  «Dunque…» disse Shinji «Sarebbe quella… la Luce di Amon?».

  Seth, a quella vista, esplose di collera; tutti i suoi piani erano definitivamente andati in fumo, e gli si prospettava una nuova, cocente sconfitta, ma non poteva assolutamente permettere che accadesse. Toshio, seguendo il rituale che gli era stato insegnato, prese a concentrarsi sulla sfera per poterne carpire il potere, e immediatamente Seth ne approfittò, sapendo che in quel preciso momento il vincitore, per pochi secondi, rimaneva indifeso.

  «Non lo permetterò!»

  «Gigant Komet!»

  «Toshio, attento!» gridò Nadeshiko.

  Colto alla sprovvista il ragazzo si ritrovò vulnerabile, ma all’ultimo secondo qualcuno si mise in mezzo e prese su di sé l’attacco, usando la propria forza fisica come uno scudo.

  «Atarus!?»

  «Datti una mossa, spadaccino! Non posso restare qui tutto il giorno!».

  Nello spazio di un istante all’arrivò del lanciere seguì quello di tutti gli altri partecipanti al torneo, che immediatamente fecero muro davanti al suo compagno alzando le armi in sua difesa.

  «Voi!» ringhiò Seth vedendo Minami e le sue sorelle

  «Traditore!» urlò Ushio «Pagherai per tutti i nostri compagni che hai ucciso!»

  «Noi lo terremo impegnato per il tempo che sarà necessario.»

  «Tadaki…»

  «Cerca di sbrigarti però.» disse Souma «Anche se privo del potere della sua spada, la sua forza è ancora molto grande. Non so per quanto tempo riusciremo a resistere.»

  «Ragazzi…».

  Toshio era commosso; aveva conosciuto tanti guerrieri valorosi nel corso della sua avventura, persone che meritavano la più completa fiducia, e non avrebbe reso vani gli sforzi che stavano compiendo per aiutarlo, quindi, stretto il pugno attorno alla sfera, si concentrò profondamente, e quasi subito il suo corpo venne circondato da una sorta di guscio d’uovo fatto di luce dall’aria impenetrabile.

  «Servirà qualche minuto perché il rituale sia completo.» disse Aria «Dobbiamo difenderlo fino ad allora.»

  «Avanti dunque.» disse Takeru «Mettiamo fine a questa storia».

  Quasi nello stesso momento i ragazzi si lanciarono all’attacco; erano più di dieci contro uno, ma la rabbia i Seth per essere stato nuovamente sconfitto rappresentava per lui un indomabile scarica di energia, da riversare sui responsabili della sua ennesima disfatta senza freno alcuno.

  «Maledetti umani!» gridò mulinando la spada in tutte le direzioni «Dovete sempre rovinare tutto! Io vi cancellerò dall’universo, fosse l’ultima cosa che faccio! E se proprio devo scomparire ancora, voi tutti mi seguirete!».

  Toshio intanto si era ritrovato a galleggiare nella luce, e riaperto il pugno vide che la Luce di Amon brillava un po’ meno di prima, permettendogli di guardarla direttamente senza il rischio di rimanerne accecato. D’un tratto, da dentro il monile, giunse una voce, femminile e robotica, ma comunque gentile.

  «Master.»

  «Tu… sai parlare?»

  «I’m here to support you. Please, choose a name and a form for me.»

  «Una forma?»

  «If you prefer, you can fuse me with anything you want».

  Dargli una forma, o unirlo a qualcosa che già possedeva. Quale poteva essere la scelta migliore? Toshio ci pensò un momento, poi avvertì in tintinnio che la catenina produceva scorrendo lungo l’ouroboros che portava al collo.

  Quell’oggetto era carico di ricordi; lo legava indissolubilmente alla persona che amava, e per la quale aveva scelto di combattere. Anche usare la Luce di Amon per sconfiggere Seth sarebbe stato un gesto volto a proteggerla, l’atto conclusivo che avrebbe messo fine a quell’incubo permettendo loro, finalmente, di vivere felici. Non c’era scelta migliore.

  «Per favore, unisciti a questo pendente.»

  «All right. And what about the name?».

  C’era un solo nome che poteva testimoniare pienamente ciò per il quale la Luce di Amon era stata creata; essa esisteva per portare nuova vita in un mondo piegato dalle tenebre, un mondo in cui far splendere di nuovo il bagliore delle stelle di cui la Luce era incarnazione.

  «Starlight. Il tuo nome… sarà Starlight.»

  «Name recorded. Now, repeat the oath, please».

  Di nuovo Toshio chiuse gli occhi, richiamando alla memoria le parole dell’antico giuramento che gli erano state insegnate e che sancivano l’unione, seppur momentanea, tra il vincitore del torneo e la Luce di Amon, ripetendole ad alta voce.

 

Nobile stendardo dei tempi antichi

Simbolo di onestà e giustizia, io ti prego

Concedimi la tua forza

Con il potere che scorre nel mio petto

E nel mio cuore risoluto

Io giuro di impegnarmi in difesa di questo mondo

E di lottare con tutto me stesso nel nome della giustizia

Attraverso il cosmo, fino alla fine delle stelle!

 

Il pendente brillò nuovamente con tutta la sua forza, trasformandosi in luce e unendosi all’ouroboros, che assunse la forma di un pendaglio ovale con una montatura d’argento e un gioiello levigato come il vetro ma luminoso come un diamante.

  Quando Toshio aprì gli occhi, questi brillavano di rosso; le sue ali, nere e spiumate a causa del combattimento, divennero bianchissime e foltissime.

  «Andiamo, Starlight!»

  «Activation!».

 

Seth intanto aveva dato libero sfogo a tutta la sua furia, mettendo i ragazzi in seria difficoltà, ma nel contempo quella specie di follia lo aveva anche reso vulnerabile, facendogli incassare colpi talvolta molto pesanti.

  «Io non mi arrenderò, non mi arrenderò mai! Io sono un dio, non posso perdere con dei volgari umani!»

  «Große Explosion!».

  Quell’ennesima esplosione scaraventò Keita e gli altri in tutte le direzioni, minandoli pericolosamente, e alcuni di loro fecero molta fatica a rialzarsi dopo aver incassato un simile colpo.

  «È anche più potente di quanto avessimo previsto.» disse Touka

  «Dannazione spadaccino, muoviti!».

  Finalmente, proprio quando Seth stava per concentrare nuovamente i suoi pensieri su di essa, la sfera si aprì, lentamente, e ciò che apparve quando si fu del tutto dissolta era qualcosa di incredibile.

  Toshio era completamente avvolto in una luccicante armatura, apparentemente d’argento, ma che rifulgeva più del sole, composta di schinieri, cintura, corazza, spalliere triangolari sporgenti, lunghi bracciali e una sorta di corona a tre punte con un rubino incastonato al centro; le uniche parti scoperte del corpo erano le cosce e gli avambracci, coperti solo da una veste bianca, forse una tunica, e due grandi ali bianche facevano mostra di sé dietro la sua schiena.

  Le due spade, quella dorata e quella ricevuta dallo spirito di Giulio Cesare, erano entrambe assicurate alla cintura, ma il guerriero aveva ora una terza arma, un lungo scettro bianco con al termine un bidente dorato con le estremità di lunghezza differente; la Luce di Amon, leggermente più grande rispetto a prima, era incastrata fra di esse.

  Tutti restarono senza parole, soprattutto gli altri sei guerrieri; non si era mai saputo cosa fosse davvero la Luce di Amon, e in quale modo aiutasse il vincitore ad opporsi a Seth, ma ora che ne avevano la materializzazione concreta dinnanzi agli occhi capivano come mai si raccontassero tante fantastiche storie sul suo conto.

  «È…» balbettò Ilya «È bellissimo…».

  Toshio agitò le ali, e fu come se una corrente di vita si diffondesse tra i suoi amici, restituendo loro tutte le energie perse in battaglia per riportarli al massimo delle forze.

  «Questo sarà l’ultimo atto, Seth. La tua minaccia sarà nuovamente frenata, e tu sarai condannato una nuova, lunga prigionia.»

  «No! Mi rifiuto! Non tornerò in quel buco infernale! Mai e poi mai!»

  «Isis ti aveva offerto la possibilità di cambiare, ma non hai voluto ascoltarla. Ora pagherai il prezzo della tua stoltezza.»

  «Va’ all’inferno, spadaccino!» urlò il dio correndogli contro, una sfida che venne immediatamente raccolta

  «Fatevi da parte! È mio!».

  Vi fu un rapido scontro di forza, durante il quale la nuova, incredibile potenza acquisita dal giovane guerriero grazie alla Luce di Amon divenne più che evidente, i due si separarono.

  «Starlight!»

  «Sonic Shooter!».

  Decine di sferette luminose comparvero attorno a Toshio, e appena il ragazzo abbassò lo scettro queste si mossero fulminee verso Seth, piombandogli addosso da molteplici direzioni; il nemico riuscì a evitarne alcune, altre le parò, altre ancora lo colpirono, ma il suo terrore più grande fu vedere delle crepe formarsi sulla sua spada, Naqada, una cosa mai successa in migliaia di anni.

  «Io ti ammazzo!»

  «Sichel Dunkel!»

  «Protection Powered!».

  La barriera creata da Starlight resistette senza alcun problema, e anzi la sua successiva esplosione servì a scagliare Seth ancora più lontano; inoltre, prima di potersi riprendere, il dio si ritrovò intrappolato da anelli invisibili uguali a quelli di Isis.

  «Ma cosa…»

  «Forza, amici! Chiudiamo la partita, e attacchiamolo contemporaneamente!»

  «Con piacere!» disse Keita, e immediatamente lui e gli altri formarono un cerchio attorno a Seth, disegnando coi loro circoli magici un mosaico spettacolare che aveva nella piazza una gigantesca vetrata.

  «No, fermi!» tentò di dire Seth, prevedendo quello che lo aspettava.

  Il primo a colpire fu Takeru, con il Tenma Shouryuusen, e immediatamente tutti gli altri lo seguirono, lanciando ognuno la propria tecnica magica più potente; per ultimo colpì Toshio, che sollevato Starlight generò davanti ad esso una grande sfera bianca.

  «Starlight!»

  «Nova Breaker!».

  L’urto fra tutti quei colpi, che colpirono il loro bersaglio con una sincronia quasi perfetta, produsse una enorme, gigantesca esplosione di luce, tanto forte che tutti dovettero coprirsi gli occhi.

  Seth urlò per il dolore fin quasi a spaccarsi le corde vocali; la sua spada, la sua Naqada, gli fu strappata violentemente di mano, e sollevata in aria andò in mille pezzi, che diventando polvere si dispersero nel vento.

  Con la scomparsa di Naqada non c’era più pericolo di infondere al nemico nuova energia attraverso Franziska, di conseguenza Nadeshiko si affrettò a prestare alla ragazza le dovute cure prima che la ferita diventasse insanebile.

  Quando l’attacco ebbe fine Seth era ancora vivo, ma così provato e malconcio da essere costretto sulle ginocchia; ansimava, mugugnava dal dolore, i suoi vestiti erano parzialmente lacerati ed era ferito in più parti del corpo.

  Toshio gli si avvicinò, lentamente, mentre gli altri rimanevano in disparte, e giuntogli appresso alzò lo scettro come a volergli dare il colpo decisivo.

  «Hai portato anche troppo male in questo mondo. Torna alla tua prigione».

  All’ultimo, però, Seth aprì gli occhi, guardandolo con aria di sfida.

  «Fermo! Se davvero vuoi scacciarmi, devi prima uccidere Johan! A questo non hai pensato?».

  Ma certo!

  La foga dello scontro glielo aveva fatto dimenticare! Dopotutto, la persona che aveva di fronte non era Seth, ma solo un ragazzo innocente che aveva avuto la sfortuna di ospitarlo nel suo corpo.

  In passato aveva già ucciso le precedenti incarnazioni del dio per costringerlo ad abbandonare il mondo degli uomini, ma ora non poteva più. Non ne era capace, non dopo tutto ciò che aveva passato, dopo tutte le lezioni che aveva imparato.

  Uccidere un innocente voleva dire abbassarsi al suo livello, essere indegni del titolo di guerriero e di vincitore del torneo, ma allora che cosa si poteva fare?

  Keita e i suoi amici si guardarono tra di loro, alla ricerca di una qualche soluzione, e Nadeshiko avvertì quella sensazione di freddo che preannunciava l’arrivo di Isis.

  Purtroppo Seth era fin troppo astuto, e ghignando maleficamente approfittò subito di quel momenti di esitazione; prima assestò un calcio a Toshio, approfittando della sua guardia abbassata e buttandolo a terra, poi, prima che qualcuno potesse intervenire, rinchiuse sé stesso e il suo avversario in una piccola cupola che nessuno, neanche Isis, avrebbe potuto infrangere, e quando Toshio riuscì a risollevarsi vide il nemico che già lo sovrastava.

  «Umani. Siete così prevedibili. Così sentimentali.

  E pensare che a volte vi rendete protagonisti di atti orribili, che disgusterebbero chiunque. Ma ogni tanto, per qualche oscuro motivo, vi fate prendere dai sentimentalismi. Un po’ stupido, non trovi?»

  «Questo discorso prova che non hai capito nulla di noi.»

  «Ma davvero?» rispose Seth divertito, alzando il braccio destro e materializzando una sfera di luce nera attorno alla mano «Allora dimmi, c’è una ragione per il quale gli umani meritano di vivere? Distruggete la terra, vi fate la guerra, sembrate alla ricerca della vostra stessa distruzione.

  All’inizio pensavo di guidarvi ad un nuovo ordine, ma ora capisco che la vostra sola esistenza è come un cancro che distrugge l’universo. No, se davvero voglio salvare le altre forme di vita, è necessario che voi vi facciate da parte. E comincerò proprio da te».

  Il dio si preparò a colpire, ma all’ultimo istante, per qualche motivo, esitò, e questo diede a Toshio il tempo necessario ad allontanarsi e a spiccare il volo, distruggendo la barriera dall’interno; l’espressione sul volto di Seth si era fatta di nuovo irata e sofferente, e a vedere le sue movenze, violente e meccaniche, sembrava quasi che non avesse il controllo del proprio corpo.

  «Ma che cosa… che mi sta succedendo…»

  “Ora basta!” disse una voce echeggiante e famigliare.

  Keita e Shinji la riconobbero subito, ancor prima di vedere Johan, il vero Johan, comparire in forma di spirito davanti alle spalle del proprio corpo, al quale rimaneva avvinghiato con tutte le proprie forze.

  «Tu!» ringhiò Seth

  “Non ti permetterò di usarmi ancora!”

  «Maledetto! Lasciami!»

  “Presto!” disse rivolto a Toshio “Colpiscilo!”

  «Ma… potrebbe essere rischioso.»

  “Avanti, fallo!”

  «Johan!» disse Keita «Se ti colpisse, rischieresti di morire anche tu!»

  “Questo non ha importanza! Non posso permettergli di continuare a fare del male!”

  «Johan…» disse Shinji

  “Vi scongiuro, colpitelo! Non resisterò ancora a lungo!”.

  Toshio era combattuto, e non sapeva cosa fare: da una parte c’era la sua coscienza, che gli imponeva di non far pagare le colpe della malvagità di Seth ad un’anima innocente, ma quella stessa anima ora lo incitava a fare ciò che doveva essere fatto.

  «Master.»

  «Starlight?»

  «Let’s do it. You can be done.»

  «Tu… lo credi davvero?»

  «Yes!».

  Alla fine il ragazzo prese la sua decisione, e, chiusi gli occhi, richiamò a sé il suo misterioso potere, quello di cui neppure lui conosceva l’origine, ma che poteva rappresentare la sola speranza di fermare Seth salvando nel contempo la vita a Johan.

  «D’accordo, Johan. Lo farò, se è questo che desideri».

  Come accaduto nello scontro con Ilya, le stelle tutto intorno presero a brillare più forte, e ognuna di esse donò una parte della sua luce, formando una grande sfera di luce iridescente sulla sommità dello scettro.

  Seth, conscio di quello che stava per accadere, tentò il tutto per tutto investendo sé stesso e lo spirito di Johan con potenti scariche di magia oscura nella speranza di farlo desistere, ma nulla pareva in grado di smuovere il ragazzo, che anzi stringeva la presa ancor più forte.

  “Pagheremo entrambi per le nostre colpe! Tu la tua malvagità, io per la mia ingenuità!”.

  In quella, Franziska riaprì gli occhi, completamente ristabilita, ma alla sorpresa per l’essere uscita viva si sostituì il terrore per ciò che stava accadendo.

  «Johan!».

  Nello stesso momento la sfera di luce raggiungeva la sua forma definitiva, ed era pronta per essere lanciata.

  «Questo è l’atto finale!».

 

STARLIGHT EXECUTION!

 

L’esplosione di luce che ne nacque fu molto, molto più potente della precedente; tutta Roma tremò, e venne vista anche da tutte le zone limitrofe, ancora presidiate dall’esercito per ordine di Aferlife.

  Nessuno si aspettava che qualcuno colpito da una tale quantità di potere magico potesse avere anche una sola speranza di sopravvivere, e difatti, quando tutto si acquietò, nella zona della piazza dove si era verificato l’impatto vi era un enorme cratere, parzialmente ricoperto dai detriti precedentemente sollevati e in seguito cadutivi sopra.

  Esausto, Toshio scese a terra e minacciò di cadere, ma venne prontamente sorretto da Tadaki.

  «Tutto bene?»

  «Sì… almeno credo.»

  «Ma cosa è successo?»

  «Lo scopriremo subito».

  Seguirono alcuni secondi di tensione, durante i quali tutti si domandavano se quella fosse effettivamente la fine, poi, incredibilmente, i detriti sul fondo del cratere si mossero fra lo stupore generale, e Seth ricomparve per l’ennesima volta, ma si faticava a riconoscerlo.

  «Non ci posso credere.» disse Kagura «È ancora vivo».

  La sua forza ormai era completamente scomparsa, era ferito e segnato in modo indelebile; inoltre, lo circondava un’aura nera che pulsava come un cuore, e vedendola Toshio si sentì sollevato.

  «È andata bene.» disse tirando un sospiro di sollievo

  «Cosa? Ma… che stai dicendo?»

  «Guarda con attenzione».

  Alla fine, anche Tadaki e tutti gli altri capirono: quell’alone oscuro era lo stesso Seth. Il corpo di Johan ormai era così malridotto e debilitato che era impossibile per lui rimanere al suo interno, quindi, entro poco tempo, sarebbe stato costretto ad abbandonarlo, mettendosi così nella condizione di poter essere nuovamente sigillato.

  «Allora… era questo che avevi in mente!?» esclamò Keita

  «Questo… questo non cambia niente!» gridò Seth facendo appello alle sue ultime forze «Potete sconfiggermi, potete esiliarmi tutte volte che volete, io non scomparirò mai!

  Voi morirete, io invece sarò ancora qui! La mia ombra continuerà ad incombere sull’universo fino alla fine dei tempi! Non importa quante volte mi ricaccerete indietro, alla fine chi vincerà sarò io!»

  «Ti sbagli!».

  A parlare non era Toshio, e neppure qualcun altro dei suoi compagni; era stata Nadeshiko, comparsa dal nulla davanti al giovane spadaccino nelle vesti di una Isis più regale e determinata che mai.

  «Questa battaglia finisce oggi.»

  «Cosa!?».

  Anche il corpo di Nadeshiko cominciò a circondarsi di un’aura luminosa molto forte, ma la sua era di un bianco accecante; Seth non capiva cosa la sua eterna avversaria avesse in mente, poi però ebbe un sospetto, e il terrore che gli comparve in volto non si può descrivere.

  «Non starai pensando di…»

  «Hai portato anche troppo dolore agli esseri umani. È giunto il momento che la tua malvagità sia fermata una volta per tutte.

  Ho atteso a lungo il momento in cui il tuo spirito fosse indebolito abbastanza da permettermi di farlo, e adesso finalmente metterò fine alla tua malvagità una volta per sempre.»

  «No, ferma! È una follia! Così facendo condanni anche te!»

  «È un piccolo prezzo da pagare per la salvezza di questo mondo. E poi, anche io ho la mia parte di colpe. Sarà il mio castigo per la mia ingenuità, per essermi illusa che tu potessi veramente cambiare».

  Le aure di entrambi divennero ancora più grandi, ma Seth non sembrava avere il controllo della proprio, e il suo terrore aumentava ogni secondo di più.

  «Toshio.» disse Isis al ragazzo, fermo alle sue spalle, senza però voltarsi a guardarlo «Ti affido questa ragazza. Abbi cura di lei.»

  «Lo farò».

  La dea sorrise leggermente, poi tornò a fissare Seth con il suo sguardo severo.

  «E adesso, per noi è giunto il momento di andare.»

  «No! Ti prego! Non farlo!».

  L’alone attorno ai due ragazzi a quel punto si sollevò sopra di loro, lasciandoli a terra svenuti, e dopo essere rimasti un po’ a fluttuare nell’aria corsero l’uno verso l’altro, scontrandosi e producendo sia un forte rumore sia un’onda d’urto di discreta potenza per poi scomparire nel nulla.

  Vi fu per interminabili secondi un silenzio da cimitero, in cui tutti si guardavano attoniti tra di loro; Franziska, a tempesta passata, corse a soccorrere il fratello, la cui carnagione, impalliditasi da che Seth aveva preso dimora nel suo corpo, era tornata ad assumere quel tono leggermente scuro.

  «Ma cosa… cosa è successo?» domandò Lotte

  «Annullamento.» rispose Toshio guardando in alto «Si sono annullati.»

  «Che significa?» chiese Ryu-o

  «È il principio fondamentale dell’universo. Quando due forze di uguale potenza si scontrano, il risultato è la reciproca distruzione. Isis ha usato il proprio spirito luminoso per distruggere quello oscuro e corrotto di Seth.»

  «Quindi…» disse Souma «È scomparsa!?»

  «Esattamente.» replicò il ragazzo mentre una lacrima gli scendeva lungo la guancia «Sono scomparsi entrambi. Per sempre».

  Tutti a quel punto piansero; Isis aveva sacrificato la sua stessa esistenza per liberare gli esseri umani dalla minaccia che gravava su di loro da milioni di anni. C’era da chiedersi se la razza umana così come era in quel momento meritasse davvero un tale sacrificio, ma chi aveva preso parte a quella battaglia giurò a sé stesso di impegnarsi d’ora in poi anima e corpo a fare sì che gli esseri umani si mostrassero degni, un giorno anche lontano, della seconda possibilità che era stata loro concessa.

  L’armatura e lo scettro di Toshio si circondarono di luce, staccandosi da lui, e il suo pendente riprese la forma di uroboros, quindi la Luce di Amon, dopo essere rimasta per un po’ a fluttuare tutto intorno, scomparve velocissima nel cielo, che ormai andava tingendosi dei colori dell’alba.

  Lo spadaccino si avvicinò a Nadeshiko, che veniva accudita da Keita, e dopo poco lei riaprì gli occhi; i suoi vestiti erano tornati quelli di sempre, ma il pendente che anni addietro aveva ricevuto da Isis era ancora lì.

  «Nadeshiko.»

  «Toshio.»

  «Stai bene?»

  «Se n’è andata. Non la percepisco più.

  Però…» disse sorridendo serena e poggiandosi una mano sul petto «Sento che qualcosa di lei è rimasto in me. Ha voluto lasciarmi un suo ricordo.»

  «Conservalo con cura. È tutto ciò che rimane di lei.»

  «Lo farò».

  Nadeshiko andò quindi da Johan e curò le sue ferite, e quasi subito il ragazzo si svegliò; i suoi occhi erano tornati quelli di sempre, e vedendoli Franziska non riuscì a trattenere lacrime di gioia.

  «So… sorella…»

  «Johan! Grazie al cielo stai bene».

  Lei lo abbracciò più forte che poteva, poi lo aiutò a rimettersi in piedi; Johan guardò i ragazzi, provando dentro di sé un misto di ringraziamento e di vergogna.

  «Perdonatemi. Perdonatemi per quello che ho fatto.

  Più passava il tempo e più lui prendeva il sopravvento. Non avevo più il controllo. Ne ero consapevole, ma non potevo fare niente.

  Vi prego, perdonatemi.»

  «Non hai nulla per cui dover chiedere scusa.» disse Minami «Non eri tu a fare quelle cose.»

  «Ben detto.» disse Yuuhi «E adesso che quel guerrafondaio è scomparso per sempre, assieme a lui se ne và anche la maledizione che affliggeva la tua famiglia.»

  «Grazie. Grazie di tutto».

  Johan a quel punto prese il Libro dell’Oscurità, ancora riposto nel suo astuccio, e lo porse a Toshio, dicendogli di farne quello che voleva. Lui lo prese, e dopo aver guardato un momento Minami, che gli fece un cenno di assenso, lo gettò a terra, trapassandolo con la spada di Cesare, il cui solo contatto fu sufficiente a mandarlo in cenere.

  Le tre sorelle svennero, ma Keita disse a tutti che era una reazione prevedibile, e che al loro risveglio sarebbero state meglio di prima.

  Unendo i rispettivi poteri i partecipanti al torneo, grazie anche all’aiuto di Keita, Shinji, Takeru e Nadeshiko, e degli stessi Johan e Franziska, ripararono tutti i danni causati dalla battaglia, restituendo a Roma il suo antico splendore, la sua gloria eterna.

  “Guardala, amico mio.” pensò Toshio “Questa è la tua città. La città che tu hai creato, e che non morirà mai”.

  Non appena la riparazione ebbe termine nella piazza arrivarono anche Akunator, Sanak e Izumi, accompagnati da una decina di ammazza-demoni.

  Izumi si avvicinò a Shinji, Keita e Takeru, complimentandosi con loro per i grandi progressi fatti e per essersi dimostrati tanto capaci, riservandosi però di ammonirli a non dormire sugli allori, perché, ne era certa, un giorno o l’altro avrebbero avuto bisogno ancora delle loro abilità, magari come membri della sua organizzazione.

  Toshio invece andò da Sanak, e i due rimasero a lungo a guardarsi come erano soliti fare, poi però entrambi accennarono un sorriso, e allungato il braccio si strinsero vigorosamente la mano.

  «Ben fatto, fratello.»

  «Grazie».

  Poi, come Akunator temeva, venne il momento di chiarire tutte le questioni in sospeso; il re non riuscì a reggere lo sguardo di Toshio, che tuttavia non pareva né minaccioso né di rimprovero, e abbassò il proprio.

  «Posso capire come tu ti senta, mio signore. Merito tutto il tuo disprezzo».

  Lui, invece, lo abbracciò come si abbraccerebbe un padre.

  «Non importa, padre. Non c’è bisogno che tu dica niente. Sono felice di averti ritrovato.»

  «Figlio mio!» disse il re piangendo «Mi dispiace! Mi dispiace!»

  Toshio gli presentò successivamente Nadeshiko, e vedendola, ma soprattutto vedendo il legame indissolubile Akunator si sentì felice come non lo era mai stato; alla fine di tutto, quella piccola speranza che lo aveva spinto a sacrificare la sua stessa vita si era concretizzata.

  All’inizio non voleva portare avanti lo scempio che i suoi antenati avevano custodito per millenni nei sotterranei del palazzo, ma era anche consapevole che qualcun altro dopo di lui l’avrebbe fatto, condannando l’antico re ad un’eterna esistenza di dolore. Poi, quando aveva saputo, tramite una vecchia leggenda, quello che era successo allo spirito della regina, aveva deciso di fare un tentativo.

  Non vi era nessuna certezza che i due si sarebbero potuti incontrare, ma la regina Nadeshiko era la sola in grado di smuovere l’animo del re Touya, dandogli la possibilità di liberarsi da quella secolare maledizione.

  Per questo si era rivolto alla Strega delle Dimensioni, la quale, però, aveva preteso un prezzo altissimo per esaudire un tale desiderio: una vita destinata a non rifiorire mai poteva essere ripristinata solo al prezzo di un’altra vita, la sua, che si sarebbe conclusa poco tempo dopo la fine del torneo.

  Akunator era cosciente che non gli restava molto da vivere, ma sarebbe morto senza rimpianti; aveva fatto ciò che sapeva essere giusto, e nessuno lo avrebbe mai saputo.

  «Allora…» disse Lotte «È davvero finito tutto!»

  «Così pare.» rispose Tomite

  «E da ora in poi, basta tornei.» disse Tadaki «Ormai la minaccia di Seth è del tutto passata. Questo mondo non sarà mai più il suo terreno di conquista.»

  «Niente più tornei!?» disse Ryu-o «Accidenti, ci sarà parecchio da annoiarsi… ahi! Kagura, accidenti a te!»

  «Quando la pianterai di dire fesserie?»

  «Finalmente i nostri villaggi sono liberi dal fardello che si sono portati dietro per più di due millenni.» disse Sanak

  «Hai ragione, figlio mio. Per noi è giunto il momento di cambiare. Non ci nasconderemo più agli occhi del mondo, ma troveremo il nostro posto al suo interno.»

  «C’è ancora il problema del portale per l’intermundio.» disse Aria «Anche se Seth non c’è più sarebbe rischioso lasciarlo aperto.»

  «Niente paura.» rispose Izumi «Basterà sigillarlo di nuovo.»

  «Per quanto riguarda noi» disse Franziska rivolta a Johan «Abbiamo molte cose di cui parlare.»

  «Hai ragione, sorella. Ma avremo tutto il tempo per farlo, questa volta».

  In quella sorse all’orizzonte il primo sole, che illuminò per i ragazzi, per la città eterna e per il mondo intero la nascita di una nuova era, un’era libera dal giogo del Dio della Distruzione; il cellulare di Nadeshiko, conservatosi miracolosamente intatto, a differenza di quelli dei suoi amici, squillò.

  «Pronto? Mamma! No, tranquilla, sto bene. No, non è successo niente. Sì, ci sono anche Keita e Shinji. Anche loro stanno bene. Per favore, dillo ai loro genitori. Torneremo domani.»

  «Beh!» disse Shinji dandosi una stiracchiata «Dopotutto questa vacanza non è stata poi così male.»

  «Forse, ma non la rifarei.»

  «Ehi Takeru, da quando in qua fai le battute?»

  «Mi sarò fatto influenzare da te».

  Ne nacque una risata collettiva che servì a liberare tutti dalle ultime tensioni; tutto era davvero finito, e sullo sfondo di una magnifica alba Toshio e Nadeshiko si scambiarono il loro primo, vero bacio d’amore, un bacio lungo, appassionato e tanto desiderato.

  «Sentite, non so voi» disse Ryu-o «Ma io sto morendo di fame. Che ne direste di andarcene da qui e andare a farci una bella mangiata?»

  «Sono d’accordo.» rispose Kagura «Dopotutto, direi che ce lo meritiamo.»

  «Per farmi perdonare, offrirò io. Andremo nel miglior ristorante di Roma.»

  «Grande!» disse Lotte «Tre hurrà per Johan!».

  I ragazzi, con l’animo finalmente in pace, si mossero per uscire dalla piazza, ma all’ultimo secondo Atarus si avvide di una piccola fiamma azzurra che cercava di colpire Akunator alle spalle, e immediatamente la intercettò, infrangendola con il taglio della mano.

  «Ma cosa…».

  Tutti si guardarono intorno spaventati; cos’altro stava accadendo?

  Poi, davanti a loro, si generò un grande fuoco blu, e Keita riconobbe chi avevano di fronte prima ancora che questi si materializzasse.

  «Anubis!».

  Era cambiato nell’aspetto, ma era sicuramente lui; indossava un’armatura nera con alcuni riverberi rossi, e il suo corpo sembrava fatto, o comunque interamente circondato di quel fuoco azzurro; gli occhi e la bocca erano tre buchi neri, e sulle spalle portava ancora brandelli svolazzanti della sua vecchia tunica.

  «Quell’armatura!» disse Johan riconoscendo il manufatto che da secoli era custodito nel castello dei Von Karma

  «Sciocchi! Credevate davvero fosse così facile liberarsi di me?»

  «Non è possibile! Io ti ho visto morire!»

  «Morire!? Io!? Io non posso morire. Io sono solo uno spirito.»

  «È vero.» disse Akunator «Anubis non è un essere vivente. È solo un’entità eterica. Per questo, a differenza degli altri servitori di Seth, non è mai stato possibile sigillarlo.»

  «Devo proprio porgervi i miei ringraziamenti. Ho atteso millenni perché quello stupido di Seth si decidesse finalmente a farsi da parte.

  Era un povero stolto, vittima del suo stesso delirio, e soprattutto era un debole.

  Io non commetterò i suoi stessi errori, e ora che l’unica persona in grado di nuocermi è svanita come polvere non c’è più niente che possa nuocermi.

  Sarò invincibile!».

  Anubis lanciò una risata sadica e sguaiata, e intanto i ragazzi si mordevano le labbra, consapevoli che se davvero era come diceva lui allora non c’era davvero speranza.

  «Grazie Seth! Grazie per questo bel regalino! Ora che sei finalmente morto, potrò regnare al tuo posto! Sarò di nuovo un dio!».

 

Tutto avvenne in una frazione di secondo.

  Avventatosi su Anubis, Toshio prima lo paralizzò temporaneamente con una scarica di energia magica, poi, avvinghiatosi a lui e materializzate le sue nuove ali bianche, schizzò verso l’alto quasi in verticale, trascinando il nemico con sé.

  «Toshio!» gridò Nadeshiko

  «Non te lo permetterò! Non distruggerai la pace così faticosamente cercata!»

  «Che stai cercando di fare? Te l’ho detto, è tutto inutile!»

  «Ti sbagli! Ci libereremo anche di te una volta per tutte!»

  «E come? Non potete uccidermi!»

  «Allora non resta che sigillarti!»

  «Sigillarmi!? Sei proprio un illuso! Te l’ho detto, è impossibile!»

  «Non ne sarei così sicuro! Un modo esiste!»

  «E quale sarebbe, sentiamo».

  La risposta venne nel giro di pochi secondi, e allora anche Anubis parve terrorizzarsi a morte.

  «Tu… vuoi usare la pietra filosofale!»

  «Hai indovinato. La pietra filosofale è una fonte di energia inesauribile attinta direttamente dall’universo. Usandola per sigillare il portale tra il nostro mondo e l’Intermundio in cui è stato relegato Seth lo chiuderà definitivamente, ripristinando l’integrità, e allora neppure tu riuscirai a fuggire o a spezzare nuovamente l’equilibrio!»

  «E a te non hai pensato? Lo sai vero, la pietra filosofale è l’unica cosa che tiene a freno il tuo potere oscuro! Se te ne privi quel potere prima ti dominerà, e poi ti ucciderà!»

  «Hai ragione, potrebbe succedere. Anche se ho imparato a dominarmi, c’è ancora il rischio che il Μένος Aδηλος prenda il controllo su di me. Proprio per questo ho intenzione di venire con te!»

  «Che cosa!?»

  «Se riuscirò a mantenere il controllo per me ci sarà ancora speranza, ma se davvero accadrà quello che tu prevedi, una volta dall’altra parte non ci sarà pericolo che io possa fare del male a questo mondo!»

  «Tu sei pazzo! Sei disposto a dannarti in eterno pur di fermarmi!?»

  «Ero pronto al peggio fin dall’inizio!» gridò Toshio di risposta, ed entrambi furono circondati da una barriera di luce.

  La conversazione venne udita anche dagli altri ragazzi, che sentivano le voci dei due avversari dentro la loro stessa mente, e sentendo quelle ultime frasi Nadeshiko sentì un colpo al cuore.

  «Toshio, non farlo!» urlò Keita

  «Mi dispiace, ragazzi.» rispose lui mentre la luce diventava sempre più lontana, continuando a salire «Non avrei voluto che finisse così.»

  «Toshio, ti prego!» disse Nadeshiko «Non puoi! Non devi!»

  «Alla fine di tutto, pare proprio che il destino abbia deciso che non potremo ancora stare insieme.»

  «Non puoi farlo! Non puoi lasciarmi! Non di nuovo!»

  «Figliolo, ti prego fermati! Deve esserci un’altra soluzione!»

  «Padre, questa è l’unica soluzione, e lo sai anche tu. Non permetterò che la pace così duramente conquistata sia infranta ancor prima di iniziare».

  Nadeshiko cadde in ginocchio, incapace di trattenere le lacrime, e temeva di morire dal dolore da un momento all’altro.

  «Non voglio, Toshio. Non voglio più starti lontano.»

  «Mi sarebbe piaciuto trascorrere altro tempo con voi. C’erano ancora tante cose che avreste potuto insegnarmi.

  Forse, chi lo sa, un giorno riuscirò a tornare, e allora potrò sperare di conoscere la vera felicità.

  Fino ad allora… addio!».

  Nel cielo rosso si aprì una sorta di vortice, la luce vi entrò velocissima e quello immediatamente si richiuse, scomparendo nel nulla.

  Nessuno fu capace di aprire bocca, tutti erano ancora troppo shockati; si domandavano se fosse tutto vero, se quello fosse davvero accaduto, ma poi, dal cielo, scese la spada d’oro del villaggio di Nepthys che, come una stella cadente, precipitò al suolo, conficcandosi nel selciato.

  A quel punto, la verità divenne incontestabile, e nulla poté più essere fatto se non piangere.

  «Toshio!» gridò Atarus battendo il pugno a terra «Sei uno stupido!».

  Akunator, che per quanto si sforzava non riusciva a trattenere il pianto, si avvicinò a Nadeshiko, inginocchiata sulla fredda pietra, e appena le mise una mano sulla testa lei subito gli si strinse contro, piangendo tutte le sue lacrime.

  «Mi dispiace.»

  «Perché! Perché lo ha fatto! Ora l’ho perso per sempre!»

  «Io non credo. Guarda».

  La ragazza, singhiozzando, volse lo sguardo nella direzione indicatale, e vide, così come tutti gli altri, la spada di Toshio, ancora conficcata a terra e avvolta dal suo bagliore dorato.

  «La spada della nostra tribù diventa di freddo metallo se il suo custode perde la vita, il che significa che Toshio è vivo.»

  «Che cosa!?» disse Keita

  «Aspettate!» disse Aria «La sento! La sento ancora! Sorella!»

  «Sì, la sento anch’io.»

  «Di che state parlando?» domandò Takeru

  «L’energia di Toshio. Quella che lui ci infonde continuamente, e che ci permette di sopravvivere. La sentiamo ancora.»

  «E allora cosa…» cercò di dire Shinji

  «Non capite?» disse Ilya «L’intermundio è stato sigillato, lo abbiamo visto, ma in questo caso l’energia di Toshio non sarebbe in grado di arrivare ai suoi famigli.»

  «Allora…» disse Souma mentre tutti si guardavano tra di loro «Questo significa…»

  «Sì.» rispose Touka «Toshio non è rimasto imprigionato nell’intermundio. In un modo o nell’altro, ha evitato di rimanerci rinchiuso.»

  «Ma allora…» disse Nadeshiko con tono speranzoso, ma senza riuscire a smettere di piangere «Dov’è adesso?»

  «Chi può dirlo?» rispose Ryu-o «Forse qui, sulla Terra, forse in qualche punto dello spazio.»

  «Ma dovunque si trovi.» disse Sanak «Potete star certi di una cosa. Prima o poi, ritornerà».

  Akunator si avvicinò alla spada, estraendola dal suolo, poi, fra lo stupore generale, la porse a Nadeshiko.

  «Questa ovviamente spetta a te.»

  «Cosa? Ma io…»

  «Lui lo avrebbe voluto. Ogni volta che ti sentirai prendere dallo sconforto, osserva il suo riflesso dorato, e avrai la certezza che un giorno lo rivedrai».

  Nadeshiko, timidamente, allungò la mano, stringendo l’impugnatura, e avvertendo per la prima volta il calore di quella spada riuscì a risollevarsi, almeno un po’, il suo dolore.

  «Avete ragione.» disse cercando di mostrarsi ottimista «Lui tornerà. Lo ha promesso».

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Capitolo 32
*** Epilogo ***


EPILOGO

EPILOGO

 

 

Otto mesi dopo

Aeroporto di Narita

 

Il momento era dunque arrivato.

  Per i quattro inseparabili amici che insieme avevano affrontato ogni sorta di prova, vivendo la più grande delle avventure, era tempo di cercare ognuno il proprio posto nel mondo, e sapevano che prima o poi avrebbero dovuto fare i conti con l’inevitabile distacco.

  Takeru aveva ormai deciso di entrare a tutti gli effetti nell’Afterlife, mettendo le conoscenze e le tecnologie dell’azienda di famiglia che un giorno avrebbe guidato al servizio dell’organizzazione, e Izumi si era detta pronta ad appoggiarlo nell’ingresso e nell’inserimento tra le file degli ammazza-demoni.

  Shinji e Keita avevano incominciato da poco l’università, rispettivamente nelle facoltà di Giurisprudenza e di Medicina, trasferendosi in un appartamento di Tokyo e conseguendo già importanti successi che rendevano estremamente fiere le rispettive famiglie.

  Nadeshiko, invece, durante le vacanze di natale, si era recata a Parigi per sostenere l’esame di ammissione al conservatorio nazionale, esame che aveva dato esito positivo e che le aveva permesso di compiere il primo passo verso la realizzazione del suo grande sogno.

  Gli ultimi mesi erano stati per lei carichi di emozioni contrastanti, perché se da una parte vi era la felicità per l’essere riuscita a raggiungere un traguardo così a lungo sperato dall’altra vi era la tristezza che le veniva dal pensiero di dover abbandonare, senza sapere neppure per quanto, i suoi migliori amici, quegli stessi amici che l’avevano seguita assieme alla sua famiglia fino all’aeroporto di Tokyo per darle l’ultimo saluto prima della definitiva partenza.

  C’erano proprio tutti: Keita, Shinji e Takeru, ma anche Johan Von Karma, che dopo le vacanze estive aveva fatto ritorno in Giappone per ultimare gli studi e che subito dopo aveva preso in mano le redini di quella famiglia alla quale era determinato a dare nuova vita.

  Fermi davanti alla grande vetrata panoramica che dava sulle piste, i ragazzi si guardavano tra di loro, e alcuni a stento trattenevano le lacrime di emozione.

  «Beh.» balbettò Nadeshiko distogliendo lo sguardo «E così ci siamo.»

  «Non essere così tesa.» disse Shinji sorridendo e sollevando il pollice «Dopotutto, sei la Dea della Fortuna. Cosa mai può andare storto?»

  «Mi raccomando, fatti onore.» disse Keita «Qui facciamo tutti il tifo per te».

  Lei sorrise, poi abbracciò calorosamente i suoi amici uno per uno.

  «Grazie. Grazie per tutto quello che avete fatto per me.»

  «Non dirlo neanche.» rispose Keita «A cosa servono gli amici se non a sostenersi l’un l’altro?»

  «Qualunque cosa accada, se vorrai tornare, noi saremo qui ad aspettarti.»

  «La mamma ha ragione. Ma comunque vada, siamo tutti immensamente fieri di te».

  Sua sorella Seika le si avvicinò, guardandola, poi le diede un buffetto sulla fronte come erano solite fare fin da piccole.

  «Alla fine ci sei riuscita. Chi l’avrebbe mai detto?

  Vai, e fargli vedere di che cosa sei capace

  «Onee-sama…»

  «Ultima chiamata! I passeggeri del volo AirFrance 126 diretto a Parigi sono pregati di presentarsi al checkin!»

  «Beh… è il mio volo.»

  «In bocca al lupo.» disse Johan

  «Grazie. Grazie a tutti.»

  «Non essere così avvilita.» disse Keita «Ci terremo in contatto tutti i giorni. Vedrai che non ti sentirai sola.»

  «Ne sono felice. Beh… ora sarà meglio che vada».

  Nadeshiko raccolse la propria valigia, avviandosi verso i cancelli, e i ragazzi continuarono a salutarla finché non la videro sparire sotto la scala mobile, poi, mentre suo padre e sua sorella cercavano di frenare la tristezza della madre, che mai era stata lontana da una delle due figlie per più di un mese, salirono sulla terrazza panoramica per veder decollare l’aereo, che decollò di lì a poco.

  «Mi è sembrata piuttosto serena.» disse Takeru, in disparte assieme a Shinji

  «Forse. Ma non ha smesso di sperare.»

  «Ne sei sicuro?»

  «Ho avuto modo di sentire una certa conversazione».

 

La consegna dei diplomi era sempre un evento molto emozionante, e questo era particolarmente vero per il liceo di Uminari, dove si tendeva a far sembrare quello il momento di un nuovo inizio piuttosto che di una triste fine.

  Uscire dal liceo significava riconoscere di essere diventati adulti, e questo i maturandi lo sapevano bene: molti di loro sarebbero andati all’università, altri, ma molto pochi, avrebbero intrapreso una carriera professionale, altri ancora puntavano addirittura alle facoltà oltremare.

  Durante il discorso nella palestra il direttore ebbe a dire che non era mai stato tanto soddisfatto dell’esito degli esami finali come in quell’occasione, e chiamò sul palco quattro ragazzi che più di tutti si erano distinti tanto nei suddetti esami quanto nelle strade che avevano deciso di intraprendere una volta usciti di lì, quegli stessi ragazzi che fino a poco prima erano bollati come asociali e da evitare, e che ora invece venivano indicati a modello per tutti coloro che sarebbero venuti dopo di loro: Keita e Shinji, che ancor prima di terminare gli studi avevano superato a pieni voti i difficilissimi esami di ammissione alle rispettive facoltà, Takeru, il futuro padrone della città, e Nadeshiko, la prima ragazza giapponese dopo tanto tempo ad essersi guadagnata l’ingresso al prestigioso Conservatoire de Paris, e sicuramente la prima che Uminari avesse mai avuto.

  Al termine della cerimonia Shinji si era immediatamente visto attorniato da un esercito di ex matricole del primo anno, oggi quasi tutte promosse al secondo, che di colpo lo avevano trovato interessante e degno di compagnia e lo avevano sommerso di domande di ogni sorta, soprattutto attinenti alla sua prossima carriera universitaria. Liberatosene, non senza qualche difficoltà, aveva deciso di salire sulla terrazza, per poter ammirare un’ultima volta quello spettacolare panorama che molto difficilmente avrebbe potuto trovare nella caotica Tokyo e che tante volte gli aveva arrecato conforto, ma raggiunta la porta d’ingresso l’aveva trovata socchiusa, e sentendo provenire da oltre di essa due voci famigliari si era appiattito contro la parete per poter sentire cosa si stessero dicendo.

  «Io lo aspetterò.» disse Nadeshiko guardando verso il mare «Fino a che avrò la certezza che è vivo, non smetterò di sperare.»

  «Non temere, Nadeshiko.» rispose Keita «Vedrai, prima o poi ritornerà. Lo ha promesso.»

  «Lo so che ritornerà. Ne ho la certezza. Perché, finalmente, mi sono ricordata.»

  «Di che cosa?»

  «Di quello che mi disse quella volta Yuko, quando ero ancora imprigionata nel pendente. Mi disse tuttavia, anche quando finalmente vi ritroverete, il destino deciderà di separarvi di nuovo.

  Io le chiesi perché, e per quanto tempo, e lei rispose un grande futuro attende entrambi. Difficile dire quanto tempo starete lontani, ma come è destino che vi dobbiate separare è destino anche che vi dobbiate riunire.

  Per questo so che lui un giorno ritornerà da me. Dovessi trascorrere tutta la mia vita guardando il cielo, perché lì sono certa che lui si trovi ora, da qualche parte fra le stelle, io non smetterò di attendere il suo ritorno».

 

«Lei non ha perso la speranza.» disse Shinji terminato il racconto «E non smetterà di aspettarlo, qualunque cosa accada».

  Mentre l’aereo cominciava la sua rapida ascesa Nadeshiko, seduta accanto al finestrino, prese dalla borsetta da viaggio che aveva con sé una fotografia che lei e gli altri avevano scattato in Piazza San Marco il giorno prima di lasciare Venezia. C’era anche Toshio, in piedi sul lato sinistro, accanto a Keita, che pur mantenendo quella sua espressione seria e quasi oscura lasciava trasparire parte della sua infinita dolcezza e determinazione.

  «Ce l’ho fatta, Toshio. Ho realizzato il mio sogno, e attenderò con ansia il momento in cui potremo finalmente ritrovarci. Fino a quel momento, non temere, ti aspetterò».

  Nello stesso momento, sulla terrazza dell’aeroporto, facevano la loro comparsa Tadaki e Souma, che da qualche tempo avevano cominciato a vivere insieme in una villetta vicino Londra, dove Tadaki aveva cominciato ad insegnare arte del restauro nella locale università, ma che di recente erano tornati in Giappone per sovrintendere all’allestimento di una importante mostra sul mondo celtico organizzata a Tokyo dal British.

  «Ragazzi.» disse Keita «Non vi aspettavamo.»

  «Non potevamo certo perderci questo momento.» disse Souma

  «Come procedono le cose?»

  «Benissimo.» rispose Tadaki «I nostri villaggi hanno appianato del tutto le proprie divergenze siglando una pace perpetua. Inoltre, molti di loro si sono aperti al mondo. Atarus sta portando nuovo lustro al clan dei McLoan, e Ilya è salita ufficialmente al trono.»

  «E Kazumi come sta?» chiese Shinji

  «Bene. Si è trasferita da poco a New York per frequentare l’università.»

  «Allora è davvero tutto finito.» disse Takeru

  «Sì, decisamente

  Subito prima di uscire i ragazzi incontrarono anche qualcun altro, qualcuno di completamente inatteso, e che ora, a differenza del passato, poteva permettersi di girare in pubblico senza alcun timore.

  «Ecco, lo sapevo! Siamo arrivate tardi!»

  «Aria! Lotte!» disse Shinji «Che sorpresa!»

  «Non ve l’aspettavate, vero?» disse Aria «Volevamo venire a salutare Nadeshiko, ma questa sorella degenera ci ha fatto perdere tempo, come al solito.»

  «Come sta Sanak?» domandò Keita

  «È un buon re. Il migliore che Nepthys abbia mai avuto. Akunator sarebbe fiero di lui.»

  «Lo immagino. Ora però andiamo, o perderemo l’autobus.» e, a quel punto, tutti si misero a correre in direzione delle uscite.

 

Stati Uniti

Montana

Glacier National Park

 

Hank Landry e Betty Hill erano due coniugi felicemente sposati che abitavano a New York, nel Queens, ma che dopo anni di fatiche e sacrifici erano riusciti a mettere da parte i soldi per acquistare un cottage all’interno del famoso Glacier National Park, nel Montana, sulle rive di McDonald Lake, dove erano soliti trascorrere le loro estati e ogni possibile periodo di ferie, tra lunghe passeggiate nei boschi, piacevoli momenti di relax e tranquilli pomeriggi di pesca.

  Entrambi avevano superato da poco la cinquantina; Hank, corpulento e dal portamento fiero, era sergente di polizia, ma puntava a raggiungere il ruolo di capitano prima di andare in pensione, Betty, afroamericana originaria di Boston, invece faceva la pediatra.

  Malgrado fossero due persone gentili e cordiali non avevano figli, non potevano averne, ma li avrebbero voluti più di qualsiasi altra cosa, per questo alcuni anni prima avevano tentato di proporsi come coppia a cui destinare bambini in affido; la loro richiesta, però, era stata respinta, a causa delle carriere lavorative di entrambi che li tenevano spesso fuori casa, così l’unica consolazione erano stati i due figli gemelli della signora Hill, sorella di Betty, Michael e Shon, che però ormai erano cresciuti.

  Nonostante ciò però i coniugi Landry cercavano di godersi pienamente la vita e l’amore che li univa, e che mai li avrebbe separati, e le brevi gite a Glacier li aiutavano a dimenticare almeno per un po’ il dispiacere per la mancata paternità.

  In un’assolata mattina di giugno Hank stava rientrando al cottage dopo una notte spesa a pescare, una pesca purtroppo poco abbondante, e come spesso accadeva trovò la moglie Betty ad attenderlo seduta al tavolino sotto il portico dove erano soliti fare colazione quando vi era bel tempo.

  «Buongiorno caro.»

  «Buongiorno a te.» disse lui dandole un bacio per poi sedersi

  «Allora, com’è andata?»

  «Nottata magra. Solo pesciolini.»

  «Ti rifarai la prossima volta.»

  «Lo spero. Ormai sono tre giorni che vado a vuoto.»

  «Caffè?»

  «Sì, grazie.»

  «Mi ha telefonato mia sorella stamattina presto.» disse mentre il marito sorseggiava il suo caffè «Michael ha passato gli esami di ammissione alla St.John.»

  «Ottimo. E Shon?»

  «Sta ancora studiando. Il suo esame è tra due settimane».

  In quella Hank, girando casualmente lo sguardo verso il lago, ebbe come l’impressione di scorgere qualcosa di scuro a ridosso dell’isolotto che sorgeva ad una cinquantina di metri dalla riva.

  «Quello che cos’è?» disse alzandosi in piedi e mettendosi la mano sulla fronte per poter vedere meglio

  «Non lo so. Forse è solo un tronco galleggiante.»

  «Per favore, prendimi il binocolo».

  Betty entrò in casa, uscendone pochi secondi dopo un binocolo da esploratore, lo stesso che Hank usava per fare bird watching durante le sue passeggiate nel bosco, e lo porse al marito, che tornò a rivolgere il suo sguardo sull’isolotto.

  La massa in questione poteva effettivamente sembrare solo un detrito, uno dei tanti che cadevano nel lago, ma mettendo bene a fuoco il sergente vide qualcos’altro, qualcosa che lo fece saltare per la preoccupazione: una mano, una mano che sembrava muoversi debolmente, come a chiedere aiuto.

  «Oh, maledizione! È un uomo!»

  «Che cosa!?»

  «Non è un tronco! È una persona!».

  Veloce come un fulmine Hank raggiunse il pontile a cui era legata la sua piccola barchetta da pesca e partì a razzo in direzione dell’isolotto, raggiungendolo in trenta secondi e issando velocemente a bordo il misterioso naufrago, privo di sensi ma, almeno a prima vista, in buone condizioni.

  Era un ragazzo, non doveva avere più di diciassette o diciotto anni, capelli argentei corti e fluttuanti, la pelle di un bel colore vivo e i lineamenti delicati, quasi fanciulleschi; indossava un abito molto strano, una sorta di grosso cappotto nero con un cappuccio, e lo stato in cui era, pieno di lacerazioni e di strappi, per un attimo fece temere ad Hank l’attacco di un orso, un evento che capitava di tanto in tanto in alcuni campeggi del parco o lungo i sentieri per escursionisti, ma non vi era traccia alcuna né di sangue né di ferite.

  Rapidamente lo portò a riva, quindi, con l’aiuto della moglie, lo distese sul pavimento ligneo del portico, iniziando a praticargli un massaggio cardiaco.

  Per fortuna, dopo poco, il ragazzo riaprì gli occhi, due splendidi zaffiri, sputando fiotti d’acqua per poi guardarsi attorno con aria spaesata.

  «Ehi, ragazzo.» disse Hank «Tutto bene? Senti la mia voce?»

  «YuYumi…» mugugnò prima di cadere addormentato.

  Si risvegliò solo molte ore dopo, sul far del tramonto, ritrovandosi disteso nel letto della stanza degli ospiti; la testa gli faceva male, gli bruciavano gli occhi e sentiva dolore in varie parti del corpo.

  «Ah, sei sveglio.» disse Hank entrando con in mano una tazza fumante «Stai meglio adesso?»

  «Io… sì…»

  «Bevi questo. È tè alle erbe. Ti aiuterà a rimetterti in sesto».

  Lui, timidamente, prese la tazza, bevendone un sorso; era forte, molto forte, ma se non altro sentì da subito il freddo divenire meno intenso.

  «Grazie.»

  «Non c’è di che».

  Hank attese qualche minuto, per dare al ragazzo il tempo di calmarsi un po’, poi cercò di rompere il ghiaccio.

  «Io mi chiamo Hank. Hank Landry».

  Il ragazzo lo guardò con aria ancor più spaesata di prima; sembrava un bambino che vede per la prima volta il mondo con i suoi occhi.

  «Dove… mi trovo?»

  «Nella nostra casa. Ti abbiamo trovato nel bel mezzo del lago. Sei fortunato ad essere ancora vivo.»

  «Il lago?»

  «Sì, McDonald Lake.» rispose Hank indicando una grande foto appesa al muro «Quello».

  Passarono un altro po’ di tempo, durante il quale Hank tentò di usare la propria esperienza di agente di polizia per tentare di carpire qualcosa dalle espressioni e dai comportamenti del ragazzo, ma per quanto ci provasse non riusciva a leggere assolutamente nulla in quegli occhi azzurri, non perché non ci fosse niente da leggere, ma perché c’era come una barriera invisibile che lo ricacciava indietro.

  «Ascolta, so che potrebbe essere difficile e doloroso, ma hai voglia di raccontarmi quello che è successo?»

  «Quello che è successo?»

  «Come sei finito nel lago? Sei caduto da una barca? Stavi pescando?».

  Il ragazzo si mise una mano sulla fronte, come a voler cercare di richiamare a sé quanti più ricordi possibile, ma la sua espressione affranta e spaventata lasciava intendere che non ci stava riuscendo.

  «Io… non me lo ricordo. Non… non mi ricordo niente.»

  «Non ti ricordi niente? Neanche da dove vieni, quanti anni hai? Ricordi almeno il tuo nome?»

  «Io… non ci riesco. È tutto così confuso. Mi gira la testa.»

  «Va’ bene, rilassati. Non c’è bisogno che ti sforzi a ricordare.

  Hai indubbiamente subito un forte shock, e questo può aver causato un’amnesia. Devi solo avere un po’ di pazienza, e vedrai che con il tempo i ricordi ritorneranno.

  Nel frattempo, puoi restare qui tutto il tempo che vuoi.»

  «Davvero?»

  «Abbiamo già avvisato la guardia forestale per segnalare quello che è successo. Se qualcuno dovesse denunciare la tua scomparsa ci avviseranno subito.»

  «Grazie. Lei è molto gentile.»

  «Figurati. Ora riposa. Ti chiamerò quando sarà pronta la cena. Immagino che avrai fame.»

  «Un pochino».

  Hank a quel punto si alzò dal letto e si diresse verso la porta, ma all’ultimo secondo la voce del ragazzo lo richiamò.

  «Erik.»

  «Come?»

  «Erik. Il mio nome. O almeno credo.»

  «Beh, è già un inizio.» rispose sorridendo il sergente prima di uscire.

 

 

Commenti Finali

Eccomi qua!^_^

E così, siamo giunti alla fine di questa lunga esperienza, che in realtà costituisce solo la prima parte di una narrazione assai più lunga ed intricata di quanto si possa immaginare.

Molti enigmi rimangono aperti, molte storie devono ancora essere raccontate, e le strade dei vecchi, ma soprattutto dei nuovi protagonisti sono ancora lunghe e costellate di avventure.

Voglio ringraziare chiunque abbia anche solo letto questa mia fiction, senza dubbio una delle migliori che abbia mai scritto.

Ringraziamenti particolari vanno a chi l’ha inserita tra i preferiti, Targul, Shakuma e Andrea83, a Frefro, per averla seguita, ma soprattutto alle mie appassionate recensitrici, Akita, Selly, Cleo e Levsky.

Grazie a tutti voi!

Presto, molto presto, come già detto in precedenza, riprenderà la narrazione di Millennium War – Rebirth, ma lascerò a chi vorrà tenersi al passo un po’ di tempo per leggere i capitoli già inseriti, inoltre cercherò per quanto possibile di lavorare parallelamente ad un episodio ponte tra le due storie, Millennium War – Threeten Days.

Ciao, e a presto!^_^

Carlos Olivera

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