La Notte

di Monoi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Notte ***
Capitolo 2: *** Prima dell’alba ***



Capitolo 1
*** La Notte ***


Ginny Weasley, sedici (quasi diciassette) anni di vita, ed al nono mese di una gravidanza non cercata, la sera del primo maggio 1998 pensò che il fatto di essere incinta non era neanche la peggiore delle sfortune che le erano capitate.

Cercava di dormire, distesa su un divano della Stanza delle Necessità all’interno della quale si erano rifugiati i membri dell’esercito di Silente. Da molte settimane ormai il riposo in posizione distesa era più un tormento che altro, e Ginny non sapeva da che parte girarsi per trovare un po’ di sollievo. E pensare che sua madre c’era passata per ben sei volte, ed in un’occasione i bambini che le avevano appesantito il ventre erano stati due.

Ma non si trattava solo di un disagio fisico. Lentamente, come le onde della marea, il dolore saliva a lambirle il cuore. All’inizio si era manifestato come un tremore alle ginocchia, e si era confuso per molte settimane con la paura. Da sola, senza un padre per suo figlio e senza l’appoggio della sua famiglia, si era ritrovata incinta all’inizio del suo sesto anno di scuola, in un mondo stravolto dalle regole dei mangiamorte. Era stato quasi più difficile del suo primo anno ad Hogwarts.

Nei mesi seguenti, mano a mano che le manifestazioni fisiche del suo stato si facevano più evidenti, il dolore si era reso concreto attraverso forti fitte allo stomaco. Il senso di nausea che la assaliva spesso aveva poco a che fare con il bambino che le premeva sullo stomaco e molto a vedere con i pettegolezzi di cui era oggetto, certi più turpi di altri. In quei mesi, a volte Ginny provava vergogna: incinta a sedici anni, senza sapere chi fosse il padre di suo figlio, ed ancora perdutamente innamorata e preoccupata per il destino del suo ex ragazzo.

Non era tanto la vergogna, ma una sorta di innato senso di colpa che la spingeva a svuotarsi nei bagni di tutta la scuola. Il senso di colpa che provava non tanto nei confronti di Harry, quanto nei confronti di se stessa. Era stato lui a lasciarla, non aveva nessun obbligo verso di lui, e non pensava di averlo tradito, quanto di aver tradito in primo luogo sé stessa ed il suo amore per lui. Si era delusa da sola, e quando stava più male, la nausea e la morsa allo stomaco si facevano talmente forti che non riusciva a trattenere il vomito.

Poco prima, in quella stessa sera di maggio, Ginny si era resa conto che a farle scoppiare la testa era stato vedere lo sguardo di Harry che - magro, sporco e sfinito - aveva posato gli occhi su di lei, appena l’aveva scorta in fondo alla Stanza delle Necessità. Ad averle spezzato il cuore a metà era stato vedere l’accenno di un sorriso tra le pieghe affaticate dei suoi occhi, e sapere che ancora qualche istante sarebbe stato sufficiente per farlo scomparire.

Quando lo sguardo di lui si era posato sul suo ventre gravido, si era sentita morire. Era quella, la cosa peggiore. Amare Harry ed avere in grembo un figlio che non era suo. Per l’ennesima volta, si era chiesta come era stato possibile. La testa cominciò a pulsare forte di un dolore a tratti insopportabile.

“Ginny, sei molto pallida...” le sussurrò Demelza, preoccupata dalla brutta cera della compagna.

“È tardi, meglio se riposi un po’” suggerì Parvati, e Demelza l’aveva afferrata dolcemente per il gomito. Lei si era voltata per seguirle, non senza percepire un vociare concitato alle sue spalle.

“Lasciala stare...” stava dicendo Neville a qualcuno, forse a Ron, forse a Harry, o ad entrambi. Sentì la voce di Hermione che diceva a qualcuno di stare calmo.

Le tre ragazze si incamminarono verso il fondo della Stanza delle Necessità. Lì, Ginny si sedette su un ampio divano appoggiato alla parete, sufficientemente lontano da impedire alle voci dei quattro ragazzi di raggiungerla, e sufficientemente nascosto da impedire di essere vista da loro.

Nei mesi dopo Natale, in cui era diventato chiaro a tutti che un bambino stava crescendo dentro di lei, a Hogwarts i pettegolezzi si erano diffusi a macchia d’olio. Di lei si era detto di tutto. Romilda Vane insisteva che il padre fosse Dean Thomas. Patsy Parkinson era convinta che il suo bambino fosse il figlio di Harry Potter. Zacharias Smith sosteneva che i ragazzi con cui Ginny era stata erano talmente tanti, che nemmeno lei sapeva a chi dare la colpa.

I fratelli Carrow avevano deciso di credere a Pansy Parkinson, ed Alecto era decisa ad utilizzare nientemeno che il Veritaserum per carpire a Ginny la verità sul padre del bambino che portava in grembo. Era chiaro come il sole che il figlio di Harry Potter sarebbe stato un regalo graditissimo per il loro Oscuro Signore. Ricordava ancora le urla di Madame Pomfrey: “Quello è veleno per le donne incinte! Non potete usarlo! Andate da Piton, lui lo sa chi è il padre! L’ha visto con la Legilimanzia!”

E Piton aveva raccontato ai Carrow la verità che le aveva rubato con la magia fin da subito, fin dai primissimi giorni in cui si era scoperta la gravidanza. Che nemmeno lei sapeva chi fosse il padre di quel bambino, visto che nello stesso periodo era stata insieme a due ragazzi diversi, nessuno dei quali, aveva sottolineato il preside con acida ironia, era Harry Potter.

Nonostante tutto, Ginny non aveva mai pianto. Non aveva pianto quando aveva scoperto di essere incinta, e non aveva pianto nelle lunghe notti in cui era rimasta sveglia, insonne per la decisione da prendere. Non aveva mai pianto, nonostante a volte si sentisse terrorizzata da quella situazione. Alla fine, aveva deciso di tenere il bambino, e aveva deciso di non soccombere alla vergogna che tutti avrebbero voluto farle provare. Quella decisione le era costata l’allontanamento dalla famiglia, visto che il Ministero riteneva i signori Weasley responsabili per la gravidanza della loro figlia purosangue e minorenne. Era dal primo settembre che non aveva più alcun contatto con la famiglia. Sapeva che i suoi genitori erano stati convocati da Piton, ma le era stato proibito di vederli.

Non aveva idea del motivo per cui la pozione, che prendeva con coscienziosità fin dalla primavera dell’anno prima, non aveva funzionato. Anche quando lei ed Harry si erano lasciati, aveva deciso di continuare a prenderla, visto che la aiutava a far diminuire i dolori mestruali. Tantissime ragazze della sua età la prendevano. Eppure, qualcosa era andato storto, come non aveva mancato di sottolineare Piton quando aveva scoperto la gravidanza.

Non aveva pianto neanche quando era giunta alla conclusione che davvero non poteva sapere chi fosse il padre di suo figlio. Aveva provato mille e mille volte a calcolare le probabilità di essere rimasta incinta a Diagon Alley o alla Tana il giorno dopo il matrimonio di Bill, ma non c’era nulla che potesse indicare quando fosse successo davvero, e soprattutto con chi.

Non aveva pianto, Ginny, nemmeno tutte quelle volte in cui si era chiesta perché si era comportata con così tanta leggerezza, ma nel caos di quei giorni forse aveva solo tentato di afferrare un po’ di amore in un mondo che crollava miseramente attorno a lei. La sofferenza e l’incertezza provate dopo l’addio ad Harry, nonostante il coraggio con cui l’aveva affrontato, aveva indebolito il suo spirito più di quanto aveva creduto.

O forse, il whisky incendiario che aveva bevuto di nascosto in quelle occasioni aveva confuso così tanto la sua mente e il suo cuore che il suo corpo non aveva retto il colpo. I giorni a cavallo del matrimonio di Bill erano stati un baluginio confuso di ansia e pericolo. Le immagini si accavallavano nella sua mente tra barlumi di luce accecante: il volto teso di Dean, quando l’aveva incontrato a Diagon Alley prima della sua fuga, il sorriso smagliante di Lee, con il quale si era nascosta alla Tana nel tentativo di sfuggire i mangiamorte, le lacrime di Harry allo stagno, la sera del suo diciassettesimo compleanno.

Nonostante si ripetesse più e più volte che non aveva fatto nulla di male, Ginny vomitava nei bagni il suo dolore ed i sensi di colpa che non poteva fare a meno di provare. Perchè alla fine, lei amava ancora Harry, di un amore totale e disperato, tanto da continuare a pensare a lui giorno e notte. Riviveva notte dopo notte l’ultimo bacio che gli aveva regalato alla Tana, e si chiedeva cosa accidenti le era passato per la testa, ad andare a letto con gli altri due. Non ricordava nemmeno come era stato, e pensare che con Dean era stata la sua prima volta. Quella prima volta che per lungo tempo aveva sognato di vivere assieme a Harry, e che per alcune brevi settimane era stata davvero convinta avrebbe vissuto.

Alla fine, Romilda e Zacharias avevano entrambi ragione. Anche se i nomi dei due ragazzi non erano stati resi pubblici, il fatto che d’un tratto i Carrow avessero perso interesse nei confronti di Ginny aveva reso palese a tutti che il candidato sostenuto da Pansy non era quello giusto. Harry Potter non era il padre del bambino di Ginny, ma comunque i pettegolezzi e le dicerie non si erano quietati.

Qualcuno di cui non aveva mai scoperto l’identità, suggeriva che Ginny era troppo carina, che sei fratelli maschi erano troppi, e che forse il padre del bambino era qualcuno di troppo vicino per poter essere svelato. Una cosa del genere poteva essere stata pensata solo da un Serpeverde.

A quell’ultimo infamante pettegolezzo, l’intera casa di Grifondoro si era opposta con fermezza. I fratelli Weasley, nessuno escluso, erano amati e ben visti. L’affronto, per i molti di loro, era stato preso a livello personale. Lavanda e Parvati si erano sentite talmente offese da quella orribile diceria, che si erano schierate al fianco di Ginny e negli ultimi, difficili mesi, si erano impegnate in prima fila per starle vicino e nel darle una mano ad affrontare le difficoltà di quella gravidanza, per quanto possibile.

“Ti serve qualcosa?” le chiese Parvati, con una gentilezza a cui ormai Ginny si era dovuta abituare.

“No grazie, sono a posto così. Forse è solo tardi, ed è meglio se mi metto a dormire...” le rispose Ginny.

“Come sono magri...” si lasciò sfuggire Demelza con un sospiro, voltata verso il gruppetto di ragazzi sporchi e magri che parlava con Neville.

“Ron non ne sapeva nulla... vero?” chiese Parvati, accennando al suo pancione.

“Non lo so. Non credo. Non so niente di cosa sia successo ai miei genitori, o ai miei fratelli. Neville è riuscito a recuperare qualche informazione solo di recente. Si sa che tutta la mia famiglia si è data alla macchia dopo che i mangiamorte hanno scoperto che Ron era assieme a Harry.”

“Meno male che tu eri qui a Hogwarts, Ginny.”

“Prigioniera di Piton, vorrai dire. Forse sarebbe stato meglio se fossi stata assieme ai miei...”

“Che sfortuna però, Ginny. Quella pozione che hai preso... voglio dire, poteva prenderla una qualsiasi di noi ragazze, e adesso ci troveremmo nella tua situazione.”

“Già.” disse lei, distendendosi sul divano. “Però è toccato a me”. E si girò verso il muro, tentando di dormire. Non aveva mai pianto eppure, in quella sera di inizio maggio, quando aveva visto per la prima volta Harry dopo tutti quei mesi, le lacrime si erano fatte strada sul suo viso.

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Capitolo 2
*** Prima dell’alba ***


Prima dell’alba

“Harry Potter è morto. Harry Potter è stato ucciso.”

La notte più lunga della vita di Ginny Weasley era appena cominciata. Tutto quanto era accaduto fino a quel punto era spaventosamente impallidito quando sentì risuonare la voce di Voldemort.

Ginny aveva sentito le prime contrazioni ancora quando era di fronte al corpo di Fred. All’inizio non si era nemmeno resa conto che quel dolore non proveniva dal suo petto, dove il cuore collassava dallo strazio, ma bensì dal suo addome. Ginny si era immobilizzata sul posto, cercando di respirare, cercando di registrare cosa le stava accadendo. Di tutti i momenti tra i quali scegliere, il suo bambino aveva deciso di venire al mondo la notte in cui la battaglia infuriava, la notte in cui la morte aveva calato gli artigli sulla sua famiglia e sui suoi amici.

Attorno a lei c’erano solo grida e lacrime, il sangue di Fred, l’aria intrisa dell’odore di morte. Poco più in là, i corpi di Tonks e Remus. Non sapeva se a farle venire il conato di vomito era stato il dolore nel suo petto o quello nel suo ventre. Aveva fatto qualche passo verso l’ingresso, distanziandosi da Bill che l’aveva abbracciata fino a quel momento, ma il fratello non si era fatto ingannare.

Un veloce scambio di sguardi con Fleur, ed entrambi l'avevano accompagnata di nuovo nella Stanza delle Necessità, dove l’avevano affidata alle cure dell’elfa Winkie, con la promessa di ritornare appena possibile. Ginny li aveva osservati mentre se ne andavano, chiedendosi se li avrebbe mai rivisti. Avrebbe voluto che uno dei due fosse rimasto con lei, ma era consapevole che in quel momento serviva il contributo di tutti per sconfiggere i Mangiamorte e Voldemort. Bill e Fleur erano entrambi dei duellanti formidabili, ed il loro contributo sarebbe potuto essere fondamentale.

Avrebbe voluto essere anche lei giù, nella Sala Grande, assieme alla sua famiglia. Avrebbe voluto essere al fianco di Harry, come Ron ed Hermione. Harry, che nonostante tutto continuava ad amare con tutta sé stessa. Ad un certo punto aveva addirittura pensato di scendere e combattere. Sapeva che la magia scorreva in modo diverso, potente, da quando aveva il suo bambino in grembo. Sapeva che se avesse lanciato delle maledizioni, quelle sarebbero state capaci di sopraffare molti nemici. Ma sapeva che la cosa più importante era proteggere suo figlio da tutto quello.

Sotto, li aveva visti, c’erano Dean e Lee, arrivati per combattere i Mangiamorte assieme al resto dell’Esercito di Silente. Da diverse settimane era giunta alla conclusione che non le importava chi dei due fosse il padre del suo bambino. Suo figlio sarebbe nato lo stesso. Sarebbe cresciuto alla Tana, con l’affetto dei nonni e degli zii, un Weasley come gli altri, forse solo un po’ più scuro degli altri. Non ci sarebbe stato bisogno di chiedere a nessun’altro di assumersi alcuna responsabilità.

Quando riecheggiò il grido “Harry Potter è morto. Harry Potter è stato ucciso” Ginny dimenticò il dolore lancinante e la solitudine, dimenticò persino che suo figlio aveva deciso di nascere quella notte, e con una lentezza esasperante si alzò in piedi.

Vestita solo della camicia da notte che Fleur l’aveva obbligata ad indossare, uscì dalla Stanza delle necessità. Come un fantasma, vagò attraverso i corridoi del castello per raggiungere l’ingresso principale. Stordita ed intorpidita dalla notizia della morte di Harry, le era sembrato che nulla avesse più alcun significato.

Ben presto, il fragore della battaglia la raggiunse, e dopo un lasso di tempo che le sembrò infinito, si affacciò alla porta che dava verso la Sala Grande. Un’ombra le si parò davanti all’improvviso, e una voce stridula arrivò alle sue orecchie. Ginny non capiva, non voleva capire, non voleva sentire cosa diceva quella voce. Sentì le vibrazioni di una maledizione che la raggiungevano.

Chiuse gli occhi, chiedendosi se fosse quella la fine di tutto, ma il suo corpo percepì il familiare formicolio della magia, e senza nemmeno rendersene conto, Ginny Weasley lanciò il miglior incantesimo non verbale della sua vita.

——-

Voldemort stava duellando con la McGonagall, Lumacorno e Kingsley, e tutt’intorno Mangiamorte e difensori di Hogwarts combattevano, uno contro l’altro. Harry, nascosto dal Mantello dell'invisibilità, gettava maledizioni ed incantesimi scudo sulla strada per avvicinarsi al Signore Oscuro. Ma una scena agghiacciante attirò la sua attenzione.

Bellatrix, non molto distante dal gruppo che combatteva contro Voldemort, aveva intrappolato Ginny in un angolo della sala. Il suo aspetto non era affatto buono: pallida e sudata, gli occhi lucidi, una mano premuta sul ventre teso e l’altra che impugnava la bacchetta, Harry comprese subito che qualcosa non andava nel verso giusto.

Ginny ce la stava mettendo tutta, ma Bellatrix era una tempesta senza freni. Una Maledizione Mortale era stata scagliata così vicina a Ginny che la mancò di pochissimo. Harry si scagliò contro Bellatrix invece che contro Voldemort, ma dopo pochi passi una seconda maledizione fu deviata da un incantesimo scudo che era apparso all’improvviso attorno a Ginny.

Bellatrix scoppiò a ridere istericamente, alla vista del nuovo incantesimo. “Voi streghe incinte e la vostra magia...” ghignò.

"Vattene al diavolo!" urlò Ginny in risposta. Harry rimase a guardare il duello, sempre più veloce e devastante. Le labbra della ragazza non si muovevano, ma la magia turbinava attorno a lei. Bellatrix Lestrange smise di sorridere ed il suo volto si contorse in un ghigno. Scintille di luce volarono dalle bacchette, l’intonaco ed il pavimento tutto attorno a loro si sbriciolava a causa della potenza sprigionata; entrambe combattevano per uccidere.

La volontà di uccidere di Ginny era chiaramente dettata dal desiderio di proteggere suo figlio. Harry, angosciato, guardandola scopriva il riflesso di un’altra madre che aveva protetto suo figlio, e quel riflesso gli attanagliò quanto di più profondo albergava nella sua coscienza.

Centinaia di persone, disposte lungo le pareti della Sala Grande, osservavano le due battaglie: Voldemort contro i suoi tre avversari, Bellatrix contro Ginny. Bill e Ron si avvicinarono alla sorella, ma lei rifiutò qualsiasi aiuto. Harry, invisibile, era lacerato tra la voglia di attaccare e quella di proteggerli.

"Cosa diranno mammina e paparino quando ti avrò ucciso?"  Bellatrix, nonostante stessero combattendo da diverso tempo, ancora riusciva a schivare le potenti maledizioni di Ginny. "Quando anche tu sarai morta come il tuo fratellone Freddie? Vuoi andare a raggiungere il povero Harry Potter nel mondo dei morti?"

"Brutta stronza" urlò Ginny "Tu non ammazzerai più nessuno... e soprattutto, non ammazzerai il mio bambino!"

Bellatrix a quel punto rise. Era la stessa risata da esaltato che aveva fatto suo cugino Sirius prima di cadere oltre il velo, e Harry rabbrividì al ricordo. La potente maledizione di Ginny colpì Bellatrix in pieno petto, al cuore. Il suo sorriso maligno si spense all’improvviso, del sangue le uscì dalle labbra: capì che era stata colpita.

La folla urlò proprio mentre il corpo esanime di Bellatrix cadeva a terra. Harry credette che quei pochi secondi il tempo si fosse rallentato: la McGonagall, Kingsley e Lumacorno furono scagliati in aria. Il Signore Oscuro fu in un attimo nei pressi di Ginny, che era crollata sul pavimento con le braccia attorno al ventre, ed alzò la bacchetta su di lei.

"Protego!" Urlò Harry, e l’incantesimo scudo si materializzò al centro della sala. Voldemort, furioso, voltò il capo cercando di capire da dove era partito, quando Harry si tolse il Mantello dell’Invisibilità. Urla di sorpresa, acclamazioni, grida: "Harry!", "È VIVO!" cominciarono a levarsi da tutta la sala.

Ma ben presto la folla tornò ad avere paura e il silenzio cadde nuovamente, quando Voldemort e Harry si guardarono e cominciarono a muoversi in cerchio uno di fronte all’altro.

Più tardi, quando Tom Riddle crollò sul pavimento,  Harry capí che Voldemort era morto, ucciso dal rimbalzo della sua stessa maledizione.

Un vibrante secondo di silenzio, lo stupore sospeso, poi il tumulto esplose attorno a Harry, le urla, l’esultanza e i ruggiti dei presenti lacerarono l’aria. L’ardente sole nuovo incendiò le finestre mentre tutti avanzavano verso di lui, e i primi a raggiungerlo furono Ron e Hermione, le loro braccia ad avvolgerlo, le loro urla incomprensibili ad assordarlo. Poi Neville e Luna, e poi gli altri Weasley e Hagrid, e Kingsley e la McGonagall e Flitwick e la Sprout; Harry non riusciva a capire una parola di quello che stavano urlando.

“Dov’è Ginny?” Chiese ansioso a Molly Weasley che lo abbracciava in lacrime.

“Lì.” Molly indicò l’angolo della sala, dove Ginny era ancora seduta per terra, Bill e Fleur che cercavano di sostenerla.

Harry corse verso di lei, facendosi largo tra i corpi di centinaia di persone che premevano contro di lui. Mille mani lo afferravano, lo tiravano, cercavano di abbracciarlo: erano in centinaia a premere contro di lui, tutti decisi a toccare il Ragazzo-Che-È-Sopravvissuto, la ragione per cui era davvero finita...

A fatica, si avvicinò a Ginny, ancora distesa sul pavimento. Nonostante avesse i capelli sudati e arruffati, il volto pallido e sporco dalla polvere della battaglia, non gli era mai sembrata più bella di quel momento, anche se una smorfia di dolore le alterava i lineamenti. Si bloccò a pochi passi da lei. La camicia da notte di Ginny era bagnata, macchie di sangue si allargavano sul tessuto che aderiva alle sue gambe.

Una camicia da notte, del sangue... l’eco di ricordi lontani eppure ancora vividi si fece strada nella mente di Harry.  Bill sosteneva il torace della sorella, inginocchiato dietro di lei, mentre le stringeva forte la mano.

“Cosa succede?” Gli chiese, mentre nel frattempo erano arrivati anche Molly, Ron ed Hermione.

“Tesoro!” Esclamò Molly mentre si sedeva vicino alla figlia. “Coraggio, ormai manca poco!” Harry fece alcuni passi e si inginocchiò di fianco alla signora Weasley, senza togliere gli occhi dal volto pallido di Ginny. I suoi enormi occhi castani si posarono su di lui. Il barlume di un sorriso attraversò il viso impaurito, ed Harry le sorrise a sua volta. Lui era vivo. Ginny era viva. Il bambino stava per nascere. E Voldemort era morto. Ma il sorriso di lei cadde subito, il volto contratto in una smorfia di dolore.

Fleur tornò assieme a Madame Pomfrey. “Da quanto tempo è cominciato il travaglio?” chiese, inginocchiandosi tra le gambe aperte di Ginny mentre le alzava la camicia da notte. Harry borbottò un incantesimo, per nascondere il gruppo di persone accovacciate dagli sguardi della gente che affollava la sala grande. Bill incrociò il suo sguardo ed annuí silenziosamente, quasi a ringraziarlo.

“Solo?” gridava allarmata Madame Pomfrey “È passato troppo poco tempo! La lotta con Bellatrix deve avere accelerato i tempi. Dobbiamo portarla in infermeria, non possiamo farla partorire qui dentro!”

Ginny non parlava. Gli occhi enormi si spostavano da Madame Pomfrey alla madre, il terrore che offuscava la luminosità che di solito li pervadeva. Fleur alzò la bacchetta per lanciare l’incantesimo in grado di far levitare Ginny, ma Molly le posò una mano sul polso.

“No, quando una strega sta partorendo non si può fare nessuna magia. È troppo pericoloso. Dobbiamo portarla in infermeria alla maniera dei babbani”.

“La porto io, mamma” intervenne Bill, che passò un braccio attorno alle spalle e l’altro sotto le ginocchia di Ginny, sollevandola. Lei appoggiò la testa sul torace del fratello, le braccia strette attorno al ventre, sempre più pallida e senza forze.

Una piccola processione seguí il più vecchio e la più giovane dei fratelli Weasley fuori dalla sala grande. Subito dopo di loro si affannavano Madame Pomfrey e Molly, seguite a breve distanza da Fleur. Ad anticipare i passi di Bill c’era Percy, che faceva strada tra la folla e apriva le porte per far passare i fratelli. Ron ed il signor Weasley chiudevano la processione, seguiti a poca distanza da Hermione.

Dopo pochi passi, Hermione sentì un gemito disperato alle sue spalle. Si voltò e vide Harry, ancora inginocchiato sopra al sangue di Ginny, che tremava.

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