Uncommon Creatures

di Stephanie86
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***



Capitolo 1
*** 1. ***



Storybrooke.

 

Non era una bella giornata.

E non era solo dovuto al tempo. Il cielo era coperto e il vento era freddo. Tra non molto le nuvole grigie avrebbero scaricato un bel po’ di pioggia.

Ma c’era qualcosa di strano nell’aria.

Trilli era in apprensione e non riuscire a capire perché la rendeva ancora più nervosa. Era sicura che anche Turchina avesse percepito che stava per succedere qualcosa.

Erano settimane che Storybrooke era tranquilla. Nessun mostro. Nessun demone alato. Nessuna Strega Perfida all’orizzonte. Nessun morto da andare a prendere all’Inferno. Emma Swan era tornata a casa e lei e Regina vivevano felici e contente. Marian era stata graziata da Zeus in persona.

- Verdolina!

Lo strillo di Flora la riscosse dal torpore. I fiori che aveva fatto sbocciare con un tocco della bacchetta si richiusero di colpo, infastiditi dalla voce stridula che la chiamava.

- Verdolina, vieni subito! Io credo che sia morta!

Lei corse in direzione della voce. Vide subito Flora e Fauna chine sulla sponda del lago. Entrambe con le loro uniformi azzurre che svolazzavano. Una con la sciarpa rossa e l’altra con la sciarpa verde legate al collo.

C’era un corpo sul prato.

Trilli si infilò tra le due fate decisamente più alte di lei, aprendosi un varco con le braccia.

- Non è morta, Flora. Sta respirando. – le disse Fauna.

La fata Nova era svenuta e pallida. Indossava la stessa uniforme azzurra delle altre fate e che aveva anche quando era partita per la Foresta Incantata, mesi prima, ma la sua era stropicciata.

Turchina l’aveva spedita alla Corte Seelie, dalla regina Titania. Prima o poi tutte le fate ci andavano. Significava che non erano più apprendiste ma stavano salendo di livello.

- Che cosa facciamo? Vedi anche tu quello che vedo io, vero?

- Fauna, smetti di urlare. Non ce n’è bisogno. – disse Trilli, sapendo bene che Turchina non sarebbe stata affatto contenta. Nova non sarebbe dovuta tornare. Non ancora. Le fate passavano anni alla Corte Seelie prima di essere mandate a casa. – Dobbiamo portarla via. Torniamo all’Istituto. E facciamo attenzione. Potrebbe essere ferita.

- Beh, certamente è ferita! – gridò Fauna, anche se Trilli le aveva appena detto di non strillare. – Non ha più le ali!

 

***

 

Foresta Incantata. Qualche mese prima.

 

 

L’erba era già molto alta, ma Nova distingueva ancora il sentiero.

Si snodava un po’ a zigzag, su per un pendio, perdendosi nel cuore della foresta, che sembrava espandersi intorno a lei, folta e verdissima. E sempre più oscura.

Stando alla mappa, non doveva mancare molto all’ingresso della Corte Seelie.

E allora affrettati. Affrettati, perché non è bene stare ferma nello stesso punto.

Quella doveva essere la voce di Turchina.

Nova si ingigantì, illuminando brevemente la penombra e dispiegò la vecchia mappa che le avevano dato prima di partire.

In teoria avrebbe dovuto costeggiare il fiume ed aggirare il territorio delle Amazzoni. Avrebbe dovuto costeggiarlo fino a raggiungere una cascata. A quel punto doveva inoltrarsi nel bosco e seguire il sentiero. Fino al lago, che era la porta.

In teoria.

Solo che non udiva più il suono del fiume. Il suo gorgogliare si era perso da un pezzo dietro ai suoi passi.

Avrebbe tanto voluto che Ruby e Scricciolo fossero ancora con lei, ma Ruby aveva seguito le tracce di un branco di licantropi, verso ovest, mentre il gigante si era diretto verso nord, ossia verso la terra dei suoi simili.

Era sola.

- Bene. – disse Nova, riavvolgendo la mappa. – Mi sono persa.

 

 

Aveva una paura folle e, a mano a mano che il sentiero si restringeva e si inoltrava nel cuore della Foresta Incantata, la paura aumentava. Stava diventando terrore.

C’era qualcosa di peggio della pazzia, lì. Qualcosa di molto brutto e molto grave.

C’era l’odore degli alberi, il profumo dolce del pino e dell’abete, della corteccia e della linfa. Ma i suoi sensi erano all’erta e se ascoltava bene... c’erano altri odori. Più inquietanti. Odore di marcio. Odore di palude.

Potrei tornare indietro. Sì, certo, potrei farlo. Il sentiero è qui. Se torno indietro, forse troverò il fiume. Potrei usare la magia e ritrovarlo.

Però i suoi piedi si spostavano in avanti, sempre avanti. Quasi ci fosse una calamita in quei boschi... e la calamita la costringeva a proseguire, non le avrebbe mai permesso di tornare indietro. La calamita voleva spingerla ad abbandonare il sentiero e a perdersi nell’oscurità sempre più fitta che la circondava. La attirava per trascinarla verso un punto... un punto. Da qualche parte e, una volta raggiunto, non sarebbe più riuscita a tornare sui suoi passi.

Per un momento, Nova fu sul punto di farlo. Fu sul punto di abbandonare il sentiero ed inoltrarsi nella Foresta.

Stai attenta, le aveva detto Turchina. Non comportarti da sciocca. Segui la mappa e cerca di ricordarti quello che ti è stato insegnato quando arriverai alla Corte Seelie. È un momento molto importante del tuo addestramento.

Poi un ramo si spezzò alla sua destra. Si ruppe con un rumore secco, simile ad un colpo di pistola. La riportò esattamente dov’era e a ciò che stava pensando di fare. In preda al panico, girò goffamente su sé stessa, sapendo che avrebbe potuto rimpicciolire, ma era troppo spaventata per provarci. Con la gola stretta e la faccia deformata dalla smorfia di sgomento di chi si sveglia e scopre di essersi avventurato sul cornicione di un grattacielo, la fata estrasse la bacchetta, puntandola in svariate direzioni.

- Chi c’è? – chiese, udendo chiaramente rumori di cose in movimento.

Nova si spostò, barcollando e uno dei suoi piedi affondò in una pozza d’acqua melmosa. Le sfuggì una stridula esclamazione di sorpresa, mentre inciampava e precipitava. Batté la fronte contro una pietra che sbucava dal terreno e il mondo diventò grigio, riempiendosi di luccicanti stelle rosa.

 

“Sei tu.”

“Noi... ci siamo già conosciuti?”

“Sei la donna che ho visto in sogno prima di uscire dall’uovo, l’anno scorso.”

“Tu hai solo un anno?”

“Lo so. Dimostro meno della mia età.”

 

Altri due rami cedettero con sinistro rumore e dal folto del bosco si levò una risata roca e sghignazzante. Era vicinissima ed era un suono immenso. Non era possibile immaginare quale creatura potesse emettere un simile suono.

Nova spalancò gli occhi di scatto e lo stordimento passò. Si mise a correre, con la bacchetta ancora in pugno, cercando di gridare ma senza riuscirci. Stava ancora correndo e tentando di gridare, ma invano, quando finalmente il sentiero si aprì.

Pensò febbrilmente di essere arrivata. Dopotutto, era possibile che avesse raggiunto il lago. Il suo vestito rosa era tutto strappato e sporco di fango. Aveva perduto il fermaglio e i capelli le ricadevano ai lati del viso.

“Sentirai qualcosa. Dei suoni. Non ascoltare per nessuna ragione. Se è necessario, usa la magia. Ma non lasciarti paralizzare dalla paura.”

Non c’era nessun lago. Avrebbe dovuto esserci un pendio, nel quale erano intagliati una ventina di gradini molto stretti e che conducevano alle rive del lago.

No. Decisamente non c’era. Era sbucata in una piccola radura. I suoi piedi e i polpacci sparivano in una nebbia grigia e densa che aderiva al terreno. L’aria era più calda, vibrante. Tutto era immobile, come se la natura stesse ascoltando e si preparasse ad un attacco. Doveva essere ancora giorno, ma gli alberi erano così fitti che la luce del sole non passava.

Nova fece un giro su sé stessa. Ne fece un altro, sentendosi sempre più terrorizzata e sempre più sciocca.

L’altra entrata.

La Corte Unseelie. Era nel territorio della Corte Unseelie, il Regno Oscuro? La porta che conduceva al mondo governato dalla Fata Nera era vicina?

- Oh... – mormorò Nova. – Oh, no... oh, cielo.

La voce, quella risata agghiacciante, si fece sentire ancora. Stavolta proveniva da sinistra. Qualche momento dopo risuonò a destra e alle sue spalle.

Poi all’improvviso la nebbia perse la sua luminosità e Nova si rese conto che nell’aria di fronte a lei era sospesa una brutta faccia ghignante. Gli occhi grandi erano gialli e infossati. I denti non erano denti, ma zanne e le orecchie erano grandi corna ricurve. Farfugliò qualcosa, ma Nova ovviamente non capì nemmeno una parola. La punta della sua lingua biforcuta danzò, pigramente.

Nova agitò la bacchetta a casaccio. Un fascio di luce luminosa colpì la testa fluttuante, che si dissolse per qualche momento per poi ritornare più compatta di prima. Iniziava a formarsi un corpo. Un corpo con due braccia umane, ma lunghi artigli al posto delle unghie.

La faccia scattò in avanti, spalancando le fauci e Nova si tirò indietro, gridando. Cadde nell’erba alta, in mezzo alla nebbia densa e perse la bacchetta.

“Sei sicura di voler andare da sola?”, le aveva detto Ruby, prima di incamminarsi verso ovest. “Non è sicuro. Potrei seguirti fino al lago.”

“Devo andare da sola. Tutte le fate lo fanno.”

Mentre cercava a tentoni la bacchetta, sempre più ansante e disperata, sicura che il mostro l’avrebbe mangiata, Nova si pentì di non aver accettato. Ma Ruby doveva trovare il suo branco, così come lei doveva trovare la strada per la Corte Seelie.

La creatura mostruosa ora era gigantesca, troneggiava sopra di lei, bucando la nebbia. Udì un tonfo di piedi da elefante che calpestavano il terreno.

Una mano si allungò, bramosa, verso la fata.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

- Nova si riprenderà. – disse Turchina, ma con una voce piatta e tesa che non lasciava presagire nulla di buono. – Dormirà per qualche ora. Non cercate di svegliarla. Ha bisogno di riposo.

- Certo. – disse Trilli.

- E non fate entrare nessuno.

Trilli non disse niente. In realtà, non era sicura che sarebbe riuscita a far entrare qualcuno, ma presto avrebbero ricevuto una visita. Mentre tornavano all’istituto, portando Nova con loro, avevano incrociato il nano che starnutiva sempre. Trilli gli aveva dato un messaggio per Leroy. Eolo non se l’era fatto ripetere due volte ed era partito in direzione delle miniere.

Ma era Eolo, poi? O Mammolo?

Trilli tendeva a confonderli.

- Sapevo che non doveva mandarla laggiù da sola. Io l’avevo detto! – strepitò Fauna, dopo che Turchina se ne fu andata. Si tormentava la sciarpa, allentando il nodo e poi tornando a stringerlo.

- Tutte vanno da sole, Fauna. Anche tu ci sei andata da sola. – ribatté Flora. – Sono queste le regole. È sempre stato così.

- Ma Nova non è come noi. Lei è... diversa.

- Diversa?

- Turchina la chiama sognatrice. Nessuna fata è come Nova. Ed è imbranata!

Flora rifletté qualche istante. – Molto imbranata!

- E a proposito del nano... Verdolina, non avresti mai dovuto farlo. Ti rendi conto che se il nano viene qui Turchina non lo farà mai entrare? – disse Flora, più agitata che mai.

- Non solo non lo farà entrare, ma noi finiremo nei guai. – disse Fauna.

- Mi chiamo Trilli. E nessuna di voi due finirà nei guai. Turchina non è qui adesso. – le rassicurò Trilli.

- Non importa. Finiremo nei guai comunque. – tornò a dire Fauna.

- Forse... potrei parlarle. Ragionarci. – Trilli si avvicinò al letto in cui avevano sistemato Nova e le rimboccò un po’ le coperte.

- Ragionare?

- Con Turchina? – le fece eco Flora.

- Non sarà così terribile. – disse Trilli. Sapeva benissimo che poteva esserlo, ma doveva trovare un modo. Magari, invece di ragionarci, poteva distrarla, nel caso in cui fosse tornata mentre Leroy era nell’istituto.

- Oh, sì che lo sarà.

- Nova ha perso le ali, ormai. Cosa volete che importi? – Trilli non era semplicemente preoccupata. Era anche furiosa. Non capiva come fosse accaduta una cosa del genere e soprattutto pensava fosse ingiusto. Sì, molto ingiusto. Ingiusto che Nova non avesse più le ali. Ingiusto che Leroy non potesse accedere all’Istituto della Madre Superiora.

Lei sapeva benissimo cosa significava perdere le ali. Cosa significava cadere.

- Le importa. Finché non capirà che cosa ha combinato Nova, le importerà. – disse Fauna.

- Chi dice che ha combinato qualcosa?

- Ha perso le ali. È ovvio che ha combinato qualcosa... Trilli.

- Potrebbe essere un malinteso.

Flora scosse la testa lentamente. – Non perdiamo le ali per dei malintesi. È una sciocchezza bella e buona.

- E se fosse stata... non so, la Corte Unseelie? Quelle creature malefiche... – suggerì Fauna.

- La Fata Nera!

Fauna gettò un’occhiata lungo il corridoio, come se si aspettasse di veder sopraggiungere un’orda di mostri partoriti dalla Corte Unseelie e comandati dalla Fata Nera in persona.

Tutto quel vociare avrebbe svegliato chiunque, ma Nova continuava a dormire. Ogni tanto gli occhi si agitavano sotto le palpebre. Ma per il resto era immobile. Non era ferita. Turchina aveva detto che stava bene e che era dovuto al trauma. Però aveva un aspetto fragile, come se la sua stanchezza fosse immensa. Abissale.

- Tuttavia, ci deve essere un sistema. Per il nano, intendo. Anzi... c’è! – esclamò Flora, quasi avesse avuto un’epifania. Estrasse la bacchetta. – Potrei trasformarlo... e se i muri avessero le orecchie? Forse è meglio...

- Parla, Flora. Turchina non c’è. – la incitò Trilli.

 

***

 

Foresta Incantata. Qualche mese prima.

 

Il mostro con gli occhi gialli stava per affondare gli artigli nel corpo di Nova, quando un fascio di luce magica lo colpì alla testa.

Era magia molto potente, decisamente più potente della sua, perché la creatura della Corte Unseelie lanciò un grido disumano, sbatacchiando le braccia enormi e strizzando le palpebre.

Nova tastò il terreno alla ricerca della bacchetta e la trovò.

Un’altra esplosione azzurrina. Nel petto possente del gigante si aprì uno squarcio. Altre grida che le ferirono le orecchie.

Pensò di sognare quando vide due uomini a cavallo. Aggirarono la creatura, fendendo l’aria con le loro lance luminose. Poi un puntino luccicante disegnò scie magiche, circondando il corpo della creatura.

Nova guardò con gli occhi sbarrati quel corpo mentre si disfaceva.

Fu come guardare un castello di sabbia che crolla lentamente dopo essere stato colpito da un inimmaginabile piede.

- Oh... – riuscì soltanto a dire.

Poi uno dei cavalieri le si accostò, parlandole. Le chiese se stava bene e glielo chiese nella sua lingua. Era un elfo. Orecchie a punta e sopracciglia oblique, era di corporatura esile ma anche solida. Nella mano destra stringeva la lancia e a tracolla portava un arco possente, insieme ad una faretra piena di frecce dall’impennaggio di cigno.

- Sto bene. Grazie. – rispose Nova. Non sapeva ancora parlare bene l’elfico ed era sicura che se ci avesse provato, avrebbe fatto una pessima figura.

L’altro cavaliere sembrava più vecchio del primo, con i lineamenti più affilati, gli occhi splendenti come gemme e una spada infilata nella cintura. Sul capo indossava un elmo di bellissima fattura, d’argento e ambra.

Il puntino luminoso che aveva sconfitto la creatura si ingigantì, assumendo una grandezza umana.

- La Corte Unseelie poteva fare di meglio. – commentò la fata, ritirando le proprie ali e nascondendo la bacchetta sotto la tunica blu.

Nova restò là a fissarla, sapendo benissimo chi era. Non l’aveva mai vista, ma Turchina aveva ragione quando diceva che l’avrebbe riconosciuta in ogni caso.

- Ben arrivata, Nova. – Lo sguardo della regina Titania era ancora ripieno del suo potere. Le iridi erano color oro. Scolorirono lentamente per recuperare il colore originale, un magnetico verde chiaro.  

- Mia... mia regina... – balbettò Nova, ricordandosi di inchinarsi forse un po’ troppo tardi. – Sono... davvero onorata.

- Sì. Vorrei che foste stata anche più prudente. – osservò Titania. – Invece non solo non lo siete stata, ma vi siete anche ingigantita senza motivo. Vi siete persa. Siete in ritardo. E vi siete lasciata paralizzare dalla paura.

Nova aprì la bocca per dire qualcosa, ma ritenne opportuno tacere. Diventò rossa. Nella corsa attraverso il bosco aveva anche perduto la mappa.

Titania era più bassa di lei, eppure le sembrava comunque imponente. Era il suo modo di guardare, il suo modo di muoversi, il fatto che fosse palesemente potente e molto vecchia. La sua figura pareva occupare più spazio di quello che in realtà occupava.

Nova si sentì minuscola e più imbranata del solito.

- Ma del resto... – continuò la regina, sistemandosi il cappuccio della tunica sul capo. – La prudenza è qualcosa che si può imparare. Forse. Con il tempo. Siete stata persino migliore di alcune fate.

- Ah, beh... grazie.

- Andiamo. La Corte Seelie non è lontana. – Titania dispiegò le ali e rimpicciolì.

I due elfi spronarono i cavalli, che partirono al trotto.

Nova si disse che sarebbero stati mesi molto lunghi. Probabilmente i più lunghi della sua vita.

Non era affatto sicura di essere pronta.

 

**********************************

 

 

Regno di Oz. Due giorni prima.

 

Ruby si chiese quante scimmie volanti ci fossero.

Non appena gli arcieri o i soldati a piedi ne abbattevano due o tre, ne arrivavano altre, strepitando tanto da spaccare i timpani.

Dorothy ne centrò una con la balestra e poi, usando la spada, si liberò di uno degli uomini della Strega dell’Est, chiuso nella sua armatura nera, con gli occhi vuoti dietro la celata dell’elmo. Il medaglione verde che portava al collo esplose in mille frammenti, che evaporarono prima di toccare l’erba.

L’area intorno al palazzo della Sorellanza risuonava di grida, ordini e di clangore di spade e scudi. A ciò si aggiungevano i versacci delle scimmie e il sibilo delle frecce. Per terra c’erano molti corpi, sia nemici che volontari che combattevano al fianco di Dorothy.

Ruby, in forma di lupo, sentiva chiaramente l’odore del sangue e della morte.

 

Il capitano Li Shang e il suo battaglione respinsero gli avversari, costringendoli ad arretrare verso la foresta di Oz.

- Copritemi, capitano. – disse Mulan, alzando la voce per farsi sentire sopra la cacofonia di voci.

- Dove andate? Aspettate!

Mulan non gli diede retta.

Nella mischia intorno al palazzo, Dorothy roteava la spada.  Era stanca e le facevano male le braccia, ma quei soldati in armatura nera sembravano non finire mai. Vide Ruby afferrare un uomo pronto ad infilzare il principe Fiyero. Il soldato urlò, sentendo i denti che affondavano nella carne del polpaccio. Il lupo lo trascinò per un bel tratto, prima di lanciarlo contro un altro soldato, che ruzzolò giù dal proprio cavallo.

 

Mulan salì in cima al pendio dove erano state piazzate le catapulte. In lontananza vedeva altri soldati neri avanzare, compatti, verso il Palazzo della Sorellanza. L’esercito di Dorothy e di Li Shang stava avendo la meglio, ma quel battaglione... erano decisamente troppi.

I due uomini che avevano controllato la catapulta erano morti. Giacevano a pancia in giù, i corpi trafitti dalle frecce decorate con piume nere.

Mulan udì una di quelle frecce sibilare sopra la sua testa. Si abbassò, sollevando lo scudo che aveva usato per proteggersi e che era già cosparso di dardi.

Vi faccio vedere di che cosa sono capace, maledetti.

 

Dorothy venne centrata in mezzo alle scapole da qualcosa di duro, forse una pietra, che le tolse il respiro.

Cadde in avanti. Istintivamente, nonostante il dolore, rotolò verso destra, evitando la lama di una spada. La sua era a pochi metri, in mezzo ad una moltitudine di piedi. Era difficile raggiungerla.

Fulminea, prese la balestra e scagliò una freccia senza prendere la mira. L’uomo che l’aveva quasi uccisa gridò di dolore quando il dardo penetrò nella spalla, dandole il tempo di alzarsi in piedi. Lui continuò a brandire la spada. Sferrò un manrovescio e Dorothy si tirò indietro per evitarlo.

- Muori, paladina del nulla! – gridò il soldato.

Il lupo si gettò su di lui a fauci spalancate. L’uomo cacciò un urlo terribile, mentre i denti si chiudevano sull’altra spalla.

 

La palla di fuoco illuminò a giorno il campo di battaglia, sorvolando l’ammucchiata di soldati e andando a schiantarsi tra le file di uomini in arrivo, i rinforzi mandati dalla Strega dell’Est.

Le file si ruppero. Scoppiò una baraonda quando iniziò il fuggi fuggi.

Qualcuno cercò di richiamare gli uomini all’ordine, gridando comandi, ma fu praticamente inutile.

Una seconda sfera di fuoco si schiantò in mezzo ai nemici. Alcuni soldati si trasformarono in fantocci ardenti. I cavalli, resi folli dalla paura, gettarono a terra i propri cavalieri e scapparono alla cieca, investendo altri soldati.

Il capitano Shang gridò ai propri uomini di serrare i ranghi. Alcuni erano feriti, con le armature ammaccate e gli scudi deformati dai colpi di mazza e spada, ma la maggior parte se la sarebbe cavata. Il che era un miracolo considerando che l’attacco li aveva quasi colti di sorpresa.

Si girò a guardare il Palazzo della Sorellanza. L’incantesimo protettivo aveva retto, ma immaginava che richiedesse molta concentrazione e Glinda certamente non avrebbe resistito molto a lungo.

- Non inseguiteli! – ordinò. – Non ce n’è bisogno.

I soldati della Strega si ritirarono velocemente, lasciando i feriti sul campo di battaglia e abbandonando anche le armi.

 

***

 

Storybrooke. Oggi

 

- Un fiore?

- Dobbiamo farti entrare in qualche modo. Le altre fate non devono vederti. Lo direbbero a Reul Ghorm. – precisò Trilli.

Leroy guardò in faccia le tre fate, sicuro che stessero scherzando. Erano sul retro dell’edificio e quando lui era arrivato, dopo aver ricevuto il messaggio di Eolo, le aveva trovate lì ad aspettarlo. La sorella con la sciarpa rossa aveva subito disegnato un cerchio magico con la bacchetta perché risultassero invisibili e non potessero essere ascoltati, ma lo aveva avvisato che non sarebbe durato.

- Non chiamarla per nome. Non è rispettoso, Verdolina. – disse Fauna.

- E tu chiamami Trilli. Anche se Turchina ci fosse, non potrebbe sentirci.

- Non mi trasformerai in un fiore, sorella. – sentenziò Leroy, interrompendole.

- Puoi scegliere qualsiasi tipo di fiore. O anche una pianta. Un bonsai, magari? – Flora agitò la bacchetta.

Leroy sollevò una mano come per proteggersi. – Io sono un nano. Fare commenti sulla mia altezza non ti aiuterà a convincermi, sorella.

- Perché non la smetti di chiamarmi sorella? Non siamo davvero suore. – esclamò Fauna. – Beh, una volta pensavamo di essere suore. Ma adesso...

- Io chiamo così tutte le donne. – rispose Leroy.

- Si tratta di un incantesimo temporaneo. Ci serve per farti entrare senza destare sospetti. – disse Trilli. La magia che li proteggeva si stava indebolendo. Dovevano sbrigarsi. – Se ti vedessero sarebbe la fine anche per noi.

Leroy sembrò rifletterci per qualche istante. Alzò lo sguardo, fissandolo sulla finestra della stanza in cui le fate tenevano Nova.

“Se adesso fuggite insieme, per voi non ci sarà lieto fine. Nova perderà le sue ali. Ma se adesso torni alla miniera e permetti a Nova di diventare la straordinaria fata che è destinata ad essere... il vostro lavoro porterà gioia in tutto il mondo.”

- Non abbiamo più tempo. La magia sta svanendo. Lasciate fare a me! – Fauna agitò la bacchetta in faccia a Leroy.

- Fauna, aspetta... – iniziò Flora.

Vi fu un pop e Leroy scomparve.

Trilli abbassò gli occhi sul prato.

- Non avevamo detto che sarebbe diventato un fiore? – disse Flora, facendo un paio di passi indietro.

- I fiori non gli piacevano. E nemmeno i bonsai. – si difese Fauna.

Il rospo lanciò un gracidio contrariato, fissandole con due occhi sporgenti e gialli, con le pupille verticali.

 

***

 

Regno di Oz. Due giorni prima.

 

- Mi dispiace per le vostre perdite, capitano. – disse Mulan, mentre Li Shang appoggiava una mano sul viso di un uomo per abbassargli le palpebre.

- Questa è la guerra. – rispose semplicemente lui.

I nemici si erano ritirati da un pezzo e l’alba stava sorgendo. I feriti erano stati sistemati nel salone al pian terreno del Palazzo della Sorellanza. Glinda stava facendo il possibile per guarire chi poteva essere guarito con la magia, ma aveva un’aria esausta. Ormai era rimasta l’unica strega della sorellanza. Nessarose l’aveva tradita ed era la responsabile di quella baraonda e Locasta era morta.

Il principe Fiyero lasciò che la Strega del Sud gli curasse una ferita al braccio.

- Vorrei dirvi una cosa, con tutto il rispetto. – continuò Li Shang. – Siete stata molto coraggiosa, ma siete anche il soldato... più pazzo che io conosca, Fa Mulan.

Mulan non commentò quell’esternazione. Strinse le labbra, guardandolo con diffidenza. – Come fate a sapere il nome della mia famiglia?

- Io so molte cose su di voi. – disse Shang. Il suo tono era riverente, come se stesse parlando ad un altro capitano o a qualcuno che stava ancora più in alto di lui. – Avete rubato l’armatura di vostro padre, siete scappata di casa, vi siete travestita da soldato, avete ingannato uno dei comandanti, avete praticamente distrutto il palazzo dell’imperatore...

Mulan aprì bocca per interromperlo, ma lui sollevò una mano.

- Nǐ jiùle wǒmen suǒyǒu rén – aggiunse, usando la lingua del suo popolo.

E avete salvato tutti noi.

Aveva salvato tutti loro, ma nei suoi sogni vedeva ancora i corpi senza vita sdraiati con la faccia nella neve. Aveva salvato tutti loro, ma nei suoi sogni vedeva ancora il volto brutale di Shan Yu. Vedeva ancora la ferocia nello sguardo del comandante che aveva ingannato e che aveva risparmiato la sua vita solo perché lei lo aveva salvato.

Salvare. Salvare. Salvare.

- Glinda, forse è meglio che andiate a riposare. Siete molto stanca. Non potete aiutare tutti da sola. –  Fiyero stava porgendo una mano a Glinda perché si alzasse. Ruby era stata sistemata in mezzo ad altri feriti. Il taglio alla gamba era lungo e piuttosto profondo. Dorothy era seduta accanto alla compagna e sembrava decisamente arrabbiata. Toto era accucciato vicino ai piedi della padrona, con la testa sulle zampe.

- La prossima volta lascia fare a me. Lo avevo in pugno. Non avevo bisogno di aiuto, lupacchiotta.

- Non sembrava che lo avessi in pugno. – disse Ruby, cercando di ignorare il dolore e provando a tirarsi un po’ su. – Eri disarmata.

- Avevo ancora la balestra! Era ferito. Lo avevo colpito.

- Sì. E lui aveva una spada ed era ancora capace di usarla, Kansas. – Ruby strinse i denti quando Glinda riprese ad usare la magia sulla ferita. Evidentemente alla Strega del Sud non importava nulla di quello che aveva detto Fiyero.

- Sono stata in situazioni peggiori. Non avevo così tanto bisogno di aiuto. – insistette Dorothy. Con le dita le scostò i capelli dalla fronte sudata.

- Sei sicura che fosse una spada? – domandò Glinda.

- Sì... era... – rispose Ruby.

Fiyero osservò la pelle intorno alla ferita. Pulsava come un cuore e strane ramificazioni violacee si dipartivano dal lungo taglio.

- Che cos’è? – domandò il capitano Shang.

- Dov’è la spada che l’ha ferita? – chiese Glinda.

Fiyero aveva catturato l’uomo che aveva quasi ucciso Dorothy e ordinò ad uno dei soldati di andare a cercare l’arma che aveva con sé. Quando tornò poco dopo, mise la spada nelle mani del principe, che se la portò davanti al viso e poi sotto il naso.

- Che succede? – chiese Dorothy.

- Quest’arma è avvelenata. È Sognombra. – sentenziò Fiyero.

Ruby capì che la situazione era ben peggiore di quanto fosse sembrata all’inizio. Sapeva benissimo che tipo di veleno era e a giudicare dalle facce dei presenti... lo sapevano anche loro.

- Dov’è l’antidoto? – Dorothy iniziò subito a raccogliere le proprie armi, come se avesse già deciso quello che doveva fare.

- Dorothy...

- Abbiamo bisogno della polvere di fata. – disse Glinda, contrariata. – La mia magia non può guarirla. Non è sufficiente. E qui ad Oz non ci sono fate.

- Gli altri feriti stanno bene, però. – osservò Mulan.

- Significa che non tutte le armi erano avvelenate. Probabilmente la Strega dell’Est ne ha a disposizione solo una quantità limitata. – Fiyero posò la spada.

- Le fate sono nella Foresta Incantata. La leader delle fate nella Foresta Incantata è Turchina, ma non è in questo mondo. Servirà il permesso della regina. – Glinda si portò una mano alla testa come se avesse una forte emicrania. – Occorre un invito per accedere alla Corte Seelie. E anche così... il tempo in quel reame scorre in modo diverso. Poche ore potrebbero equivalere a giorni per noi.

- Ma qualcuno deve andarci. Ed io ci andrò. Come posso arrivarci? – domandò Dorothy.

- Non puoi andarci da sola! – esclamò Ruby. Si voltò verso Glinda. – Quanto tempo ho?

- Non lo so con certezza. Dipende anche dal tuo fisico. Forse un paio di giorni. Forse meno. Il veleno sarà già in circolo. La ferita è profonda.

- E tu non sei come noi, Ruby. – aggiunse Fiyero.

- Cosa significa? – Dorothy si stava perdendo dei pezzi. Si sentiva confusa, con le orecchie che fischiavano orribilmente e dovette serrare i pugni per evitare che gli altri si accorgessero di quanto le tremavano le mani.

Il principe era stanco tanto quanto gli altri. Aveva gli occhi orlati di rosso, la sua pelle nera sembrava traslucida sotto le luci delle torce e i suoi tatuaggi a forma di diamante parevano più vividi.

- La Sognombra avrà un effetto diverso perché sei un licantropo. È mortale... ma lo è per la tua parte umana.

Ruby pensò a corpi smembrati e alla neve colorata di rosso. Le orme insanguinate. Pensò a Peter, incatenato ad un albero e a denti aguzzi che lo dilaniavano. Immaginò Dorothy... non incatenata ma abbastanza vicina perché la belva potesse acciuffarla e farla a pezzi.

- Non dovreste rimanere qui. – disse Ruby, terrorizzata.

- Hai ragione. Non ce ne staremo qui con le mani in mano. – ribatté Dorothy. – Glinda, puoi spedirmi alla Corte Seelie?

- Posso aprire un portale, ma arrivare alla Corte Seelie non basterà. Non ti faranno entrare e vorranno delle prove. La prova... è Ruby.

- Se vado con Dorothy e perdo il controllo, la ucciderò. Il mantello non basterà contro il veleno. Forse è meglio che...

- Se è una prova quella che questa regina vuole, gliela porteremo. – Dorothy si chinò e strinse la mano di Ruby. – Ti farò la stessa domanda che mi hai fatto tu quando ci siamo incontrate... ti fidi di me?

Ruby levò gli occhi al cielo. – Lo sai che mi fido di te. È di me stessa che non fido.

- Io mi fido.

- Non devi. Questo è più forte... è più forte di me. Diventerà sempre più forte.

Dorothy la baciò per un lungo momento, trattenendola vicino a sé anche quando si separarono. – Puoi non essere forte abbastanza da sola. Ma insieme... insieme possiamo esserlo.

 

***

 

 

Storybrooke. Oggi.

 

Il rospo riuscì ad entrare nell’edificio, saltellando e sfuggendo alle tre fate, che lo ricorsero su per le scale.

Tuttavia il suo saltellare terminò quando andò a schiantarsi contro una parete, dopo un balzo eccessivamente lungo. Finì sul pavimento, sdraiato sulla schiena. Agitò le zampette corte e roteò gli occhi.

Trilli lo raccolse, ignorando i gracidii e la pelle viscida e coperta di verruche. Lo avvolse in un panno prima che qualsiasi altra fata dell’edificio potesse accorgersi di quello che stava accadendo.

- Non è stata una cosa carina da fare! – sentenziò Flora.

- No, ma mi ha resa abbastanza felice. – replicò Fauna. Però la infastidiva che Verdolina avesse usato la sua sciarpa come panno per il rospo.

Trilli entrò nella stanza di Nova e chiuse la porta, mentre l’animaletto ricominciava a gonfiarsi ed ingigantirsi, segno che l’incantesimo si stava esaurendo.

Leroy si ritrovò sul tappeto della stanza, a muovere le braccia e le gambe come in preda alle convulsioni.

- Leroy! – lo chiamò Trilli.

Il nano smise di dibattersi e si guardò i palmi, scoprendo che erano tornati ad essere palmi umani e che anche lui era della grandezza giusta.

- Non è stato poi così doloroso, no? – osservò Fauna. – La mia sciarpa, grazie.

Trilli gliela restituì. La fata la strinse tra pollice e indice, tenendola a distanza, come se fosse appena stata usata per avvolgere un cadavere.

Nova dormiva ancora, con la testa reclinata di lato e una ciocca di capelli castani che le spioveva sul viso. Leroy si avvicinò e si sentì davvero sollevato nell’accorgersi che respirava normalmente. Le tre sorelle gli avevano detto che stava bene, ma che era incosciente e tuttavia aveva voluto accertarsene di persona.

Ed ovviamente era bella. Era bella anche con i capelli sciolti. Era bella nonostante fosse pallida e con gli occhi un po’ segnati.

Trilli spinse Fauna e Flora fuori dalla stanza, mettendo a tacere le loro proteste.

 

***

 

Corte Seelie. Foresta Incantata. Il giorno prima.

 

L’origine della sua specie si perdeva nella notte dei tempi.

Una leggenda molto famosa sosteneva che, quando il primo bambino aveva riso per la prima volta, quella risata si era sbriciolata in migliaia di frammenti, che si erano sparpagliati, trasformandosi in fate.

Una storia ben diversa diceva che le fate erano estremamente antiche, che non avevano mai preso posizione nella guerra tra creature angeliche e demoni, così erano cadute sulla Terra, scacciate da un reame paradisiaco perché incapaci di schierarsi.

E poi c’era la leggenda che descriveva le prime fate come figlie dell’unione di angeli e demoni. Nelle Cronache della Corte Seelie, Nova lesse che le fate che terminavano la loro vita nel Reame Oscuro o Corte Unseelie in quanto malvagie, erano creature in cui il seme demoniaco era molto più forte che in altre e quindi prendeva il sopravvento.

Nova preferiva di gran lunga credere alla storia della risata sgretolata.

Anche il patto tra elfi e fate era troppo antico perché le Cronache ne riportassero i particolari. Sembrava esistere da sempre. L’alleanza prevedeva, tra le tante cose, che la regina delle fate sposasse il re o la regina degli elfi. Alla morte della regina, il sovrano elfico, chiunque fosse, avrebbe dovuto abdicare. E viceversa.

Ormai erano settimane che si trovava alla Corte Seelie – o forse erano mesi, dato che il tempo scorreva in modo diverso in quel luogo – ma non aveva ancora terminato le Cronache. C’erano così tante cose da sapere... così tante cose da imparare. 

Come altre fate della Corte, partecipava alle lezioni di magia con l’insegnante scelta direttamente dalla regina Titania. A volte veniva spedita nel mondo esterno in cerca di piante curative o ad accogliere ospiti della Corte, che erano soprattutto elfi che venivano da Ellésmera, la capitale degli elfi. Una volta aveva avuto la possibilità di assistere ad una riunione del Consiglio delle Fate, alla quale avevano partecipato sia la regina che suo marito, re Oberon.

E a proposito di Oberon...

Persa com’era nelle sue riflessioni, non si accorse del folletto. Puck era sgusciato nella stanza e aveva volontariamente scombinato alcune pergamene che Nova aveva disposto sul tavolo, insieme ad alcune pozioni e alla sua bacchetta.

- Ehi, giù le mani! – esclamò lei, sporgendosi come per schiaffeggiare i palmi del folletto.

Puck si tirò subito indietro, ma Nova ebbe modo di notare lo scintillio furbesco nei grandi occhi verde bosco.

- Aspetta, dove credi di andare? – Nova lo seguì per acciuffarlo.

Tuttavia non ne ebbe bisogno, perché non appena mise un piede in corridoio, Oberon gli rifilò una pedata nel sedere, colpendolo proprio con la punta dello stivale e facendolo finire lungo disteso. Un brownie, tenendosi aggrappato ad una liana, si tuffò sul folletto e gli rubò il cappello, causando i suoi strepiti.

- Credevo di averti detto di non disturbare nessuno, folletto maligno. – lo rimproverò Oberon. – Forse è il momento di metterti al guinzaglio.

- No, mio signore, vi prego! Il guinzaglio no! È tutta colpa del brownie. Mi ha rubato il cappello! – sentenziò Puck, agitando le braccia e saltellando per raggiungere la creatura che in quel momento rideva di lui.

- Certo, è sempre colpa degli altri. – Oberon scosse il capo e poi si rivolse a Nova. Si portava dietro il solito profumo di fiori appena sbocciati. Gli occhi azzurri erano imperscrutabili. – Perdonatelo. Non imparerà mai.

- Oh... non importa. Avevo quasi finito. – disse Nova.

- Ne sono lieto, perché dovreste venire con me.

- Dove?

Oberon le fece strada verso la sala del trono.

Mentre si dirigevano laggiù, tra elfi e fate che svolazzavano rendendo l’aria luminosa e tintinnante, Nova pensò a tutto quello che aveva fatto da quando era arrivata alla Corte Seelie; aveva combinato qualche pasticcio senza accorgersene? Credeva di essere stata persino meno imbranata del solito, escludendo quell’inizio poco promettente.

I troni di Oberon e Titania, in legno di quercia e ricoperti di fiori, erano dotati di radici che affondavano nel terreno levigato. La regina, tuttavia, non sedeva su uno dei troni, ma aveva gli occhi fissi sullo specchio d’acqua nella polla accanto al suo posto. Non era felice, il che era già una pessima notizia. Non che le sembrasse felice quando la incontrava, ma in quel momento era paonazza, con le labbra strette in una linea piatta. Tra le mani si rigirava un fodero dorato, nel quale era infilato un pugnale. L’elsa era bellissima, costellata di gemme verdi, come l’abito che Titania indossava.

- Mia regina... – iniziò Nova.

- Vieni qui. – disse Titania, senza distogliere gli occhi dalla polla. – E guarda.

Nova non se lo fece ripetere un’altra volta. Si avvicinò e si sporse, sapendo che sulla superficie dell’acqua avrebbe visto qualcosa.

Non capì subito che cosa stesse accadendo. Riconobbe Ruby, seduta su ciò che restava di un tronco caduto, non molto distante dalle rive del lago. Era pallida e si stringeva nel mantello rosso come se ne andasse della sua stessa vita. Era anche ferita, perché c’era del sangue sulla stoffa dell’abito, all’altezza del ginocchio. Una ragazza le ronzava intorno, armata di balestra. E una palla di pelo grigia rotolava avanti e indietro. Quando sollevò il capo, Nova vide che era un cane di piccole dimensioni.

- Vai là fuori e scopri che cosa ci fa quella creatura maledetta nel mio territorio. – sentenziò la regina. Estrasse il pugnale dal fodero e glielo porse.

“...che cosa ci fa quella creatura maledetta nel mio territorio...”

- Creatura maledetta? – si lasciò sfuggire Nova.

- Prendi.

Era chiaro che non parlava del cane grigio, ma di Ruby. Le sfuggiva il senso del rancore che percepiva nella sua voce. Un rancore radicato e oscuro. Sembrava che si stesse controllando appena.

- Non... non credo che mi servirà un’arma. È Ruby. La conosco. – disse Nova, occhieggiando il pugnale splendente.

- Prendilo comunque. – insistette Titania. Lo sguardo verde la schiacciò, facendola sentire piccola ed indifesa. Aveva l’impressione che gli ottocento anni della fata stessero ricadendo sulle sue spalle.

Con le mani che tremavano, Nova strinse l’elsa del pugnale. Era pesante.

Lo fece scivolare nel fodero.

 

*************************

 

Angolo autrice:

 

Ciao e grazie per essere arrivati fino a qui.

Volevo aggiungere qualche precisazione.

Prima di tutto, la storia fa parte della serie “Lost and Found”. Spero abbiate letto “The Lost Hero” e “Lost and Found”, giusto perché così non vi perderete dei pezzi. O forse avete letto “Clarity”. Titania è un personaggio che appare anche in quella storia quindi magari ve la ricordate. Ma se siete qui senza aver letto nessuna delle precedenti storie, ma solo perché adorate Nova e Brontolo e le Ruby Slippers, beh... benvenuti lo stesso. Non sono coppie molto gettonate, lo so. Ma io le adoro.

La Corte Seelie non è mai stata nominata in OUAT e nemmeno una regina delle fate. Quindi tutto ciò che dirò a riguardo è inventato (non proprio tutto, in realtà, ma vedremo). Titania è anche un personaggio di “Sogno di Una Notte di Mezza Estate” di Shakespeare.

La Corte Unseelie, notoriamente il regno delle fate cattive, corrisponde al Reame Oscuro, cioè il mondo in cui vive la Fata Nera. Ho deciso di trasformarlo nella Corte Unseelie, nella serie tv viene chiamato solo Reame Oscuro, mi pare.

 


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Capitolo 2
*** 2. ***


Storybrooke.

 

Leroy restò accanto al letto di Nova, indeciso sul da farsi.

Le sembrava incredibilmente fragile, temeva che toccandola avrebbe potuto sbriciolarsi.

“Fermati, non puoi farlo.”

“Perché no?”

“Perché qui hai delle responsabilità. Devi estrarre i diamanti per la polvere fatata.”

“Ma io sono innamorato.”

“Sei un nano, non devi dimenticartelo. Non possiamo nemmeno innamorarci. Non siamo fatti per questo.”

“E se io fossi diverso? Se fossi tu a sbagliarti?”

Sembrava trascorso tantissimo tempo da allora, eppure era come se fosse accaduto il giorno prima. Lui era Sognolo. Era un nano. Ed era diverso. Era speciale. Nova lo aveva fatto sentire speciale.

“Lo sai che una storia fra te e sorella Astrid non è possibile, vero?”

“Sì, lo so. Ho passato una vita intera a sentirmi dire cosa non potevo fare. Lei è stata la prima a dirmi che potevo fare qualsiasi cosa.”

Leroy prese la mano di Nova, stringendola lievemente fra le sue.

Non era più una fata ormai, ma era pur sempre la donna che aveva creduto in lui.

Il suo pollice le accarezzò il palmo. Stava vagliando svariate possibilità. Era vero che non era ferita, ma non aveva più le ali. Forse chi le aveva fatto tutto ciò, le aveva portato via qualcos’altro. E se non lo avesse riconosciuto? Se non ricordasse più niente? Se le avessero portato via anche i ricordi? Se avessero lanciato qualche maledetto incantesimo?

- Chi ha fatto questo? Perché? – domandò.

Nova non rispose, ma gli occhi si mossero sotto le palpebre.

 

***

 

 

Corte Seelie. Foresta Incantata. Il giorno prima.

 

Due cervi maschi che stavano brucando vicino al lago sollevarono le teste all’unisono quando il riflesso del sole calante sull’acqua si frantumò e qualcosa di luminoso sparse goccioline fredde tutt’intorno.

Nova si ingigantì lentamente e l’abbaglio causato dalla trasformazione costrinse i cervi a rifugiarsi nella foresta.

Il cane grigio che aveva visto nella polla le venne incontro, rapido come una freccia e abbaiando, festoso. Si fermò e chinò la testa per annusarle le scarpe.

- Salve. – disse Nova.

- Stai indietro, Toto.

Due mani sollevarono una balestra e Nova si ritrovò a fissare la punta acuminata di un dardo. Istintivamente cercò di estrarre il pugnale che le aveva dato Titania dal fodero, ma al primo tentativo la lama rimase incastrata.

- Oh...

- Chi siete voi? – domandò la ragazza con la balestra.

- Mi chiamo Nova. Non voglio fare del male... mi ha mandato la regina. – Guardò oltre la spalla e vide che Ruby si era tirata su a fatica. – Scusate per il pugnale, io detesto le armi, ma...

- Kansas, metti giù la balestra.

Kansas non mise giù la balestra, ma decise che non correvano alcun pericolo e quindi la abbassò. Toto scodinzolava. Sembrava che le stesse sorridendo.

Nova si avvicinò a Ruby. La ferita alla gamba aveva smesso di sanguinare, ma era profonda ed era evidentemente infetta. Dai bordi del taglio si dipartivano strane ramificazioni violacee e pulsanti. Si erano arrampicate sulla coscia e lungo il polpaccio. Nova toccò la fronte di Ruby. Era molto calda.

- Che veleno è?

- Sognombra. – disse Dorothy. – Siamo qui per questo. Solo la polvere di fata può aiutarla.

- Sì. – Nova avvertiva l’odore metallico del sangue rappreso. Le girava la testa. Coprì la gamba di Ruby. – Non credevo che qualcuno nella Foresta Incantata avesse ancora la Sognombra. È molto difficile trovarla.

- Ad Oz qualcuno ce l’ha. – ribatté Dorothy, seccamente, a denti stretti. – Puoi aiutarci? Cosa devo fare per ottenere il permesso della tua regina?

Nova ripensò all’espressione di Titania mentre guardava nella polla. Ripensò al suo tono, al disprezzo nella sua voce quando aveva definito Ruby una creatura maledetta. Le aveva dato il pugnale perché pensava che potesse essere pericolosa.

“Vai là fuori e scopri che cosa ci fa quella creatura maledetta nel mio territorio.”

- Le parlerò. Sì, io... io le parlerò. Ditemi che cosa è successo. Come si è ferita e chi è stato. – Le tremava la voce, ma sperava che Dorothy non se ne rendesse conto.

Lei le spiegò dell’attacco a sorpresa della Strega dell’Est e del soldato che aveva colpito Ruby.

- Quindi tu sei... quella Dorothy Gale? La paladina di Oz? – disse Nova, sentendosi stupida per non averlo capito subito.

- Non sono la paladina di niente. – rispose la ragazza, gettando la balestra. – Non sono stata capace di aiutarla.

- Non è stata colpa sua. – replicò Ruby. – Le piace addossarsi le colpe.

- Anche a te. – ribatté Dorothy.

- D’accordo, io... io vado. Tornerò con la polvere di fata. – Nova dispiegò le ali.

- Fammi venire con te. - disse Dorothy. – Facci entrare. Se la tua regina ha bisogno di una prova...

- No... no, no! La regina non approverebbe. Serve un invito per entrare e tu... non ce l’hai. Voi non ce l’avete. E poi le può vedere tutto.

- Non me ne importa niente dell’invito! Ruby ha bisogno di quella polvere. Non intendo andarmene fino a quando non me l’avrà data.

Nova si morse il labbro. – Ve la porterò. Lo prometto. Ma non riuscireste comunque a seguirmi senza l’invito. Sarebbe inutile. Rischiereste solo di... peggiorare la situazione. Dovrete aspettarmi qui.

Dorothy scosse la testa e tentò di dissuaderla, ma le parole di buon senso le venivano con difficoltà. Sembravano così prive di significato dinanzi a quel reame sconosciuto, vicino eppure anche irraggiungibile... e dinanzi a Ruby, incapace di muovere un muscolo senza provare dolore.

- Tornerò. – disse ancora Nova.

Toto si accostò a lei con la lingua penzoloni e appoggiò le zampe anteriori sulla sua caviglia. Nova sorrise e gli accarezzò la testa.

 

***

 

Storybrooke.

 

Leroy posò le labbra sulla fronte di Nova. Lo fece senza pensarci, semplicemente perché gli sembrava giusto farle sapere che lui era lì.

“Nova, io non posso venire con te.”

“E la nostra vita insieme? Il sogno di partire?”

“Io sono solamente un nano. Il mio posto è nella miniera e tu devi stare con le altre fate. Questo non cambierà mai.”

Ma era cambiato tutto, no?

All’improvviso Nova emise un lungo respiro simile a un rantolo. Le sue palpebre tremolarono e poi si sollevarono.

- Nova?

Lei lo fissò, come se lo riconoscesse confusamente. Poi batté le palpebre e il suo sguardo divenne più limpido.

- Sognolo...? Leroy!

Le tre fate si precipitarono dentro. Flora e Fauna si intralciarono a vicenda sulla soglia.

Nova si portò una mano alla testa e si guardò intorno. – Dove... dove sono?

- A Storybrooke. Al sicuro. – disse Leroy. Provava un enorme sollievo nel vederla sveglia e totalmente in sé. Il cuore gli rimbombava ancora nel petto. - Ti hanno trovata vicino al lago.

Cominciò a mettere insieme i pezzi. Mentre la confusione si dissipava, si tirò su di scatto e la sua testa cozzò contro la fronte di Leroy, che era ancora chino su di lei.

- Oh! Scusami! – esclamò lei, appoggiando una mano sulla testa pelata del nano.

- Non importa. È tutto a posto. – rispose Leroy.

- Come fai ad essere qui? Chi ti ha fatto entrare? – chiese Nova.

- Noi. – rispose Trilli. – L’abbiamo fatto entrare noi. Reul Ghorm non c’è. Ma tornerà presto.

- L’idea è stata tua, semmai. – ribatté Fauna. – E smetti di chiamarla per nome.

Trilli la ignorò. - Cos’è successo davvero? Come...? Insomma, le tue ali...

- Sì, dicci chi ha fatto questo, così potremmo dargli una bella lezione. Ci metto ben poco a prendere il piccone e...

- Non vorrai davvero uccidere qualcuno! – esclamò Flora, sconvolta.

- Non ho mai parlato di uccidere, sorella. Ho detto ‘dare una lezione’. È diverso.

Nova si rabbuiò. – Non credo tu possa dare una lezione a nessuno. Sapevo benissimo a cosa andavo incontro quando ho preso la mia decisione.

- Quale decisione? – chiese Trilli.

 

***

 

Corte Seelie. Il giorno prima.

 

- Le serve solo un po’ di polvere di fata. Per guarire. E... forse ne serve un altro po’ nel caso in cui qualcun altro dovesse rimanere ferito. La Strega dell’Est...

Nova parlò per diversi minuti, mentre Titania, seduta sul trono, serrava con forza i braccioli, schiacciando i fiori sotto ai palmi delle mani. La fissava con gli occhi leggermente sgranati e non sembrava del tutto presente. Pareva che l’ascoltasse e, al tempo stesso, ascoltasse anche qualcos’altro.

Alla fine sollevò una mano, imponendole il silenzio.

Oberon era in piedi accanto alle porte ed era rimasto rigorosamente zitto. Persino Puck era fin troppo tranquillo, appallottolato in un angolo, quasi si aspettasse una punizione.

Titania si alzò. Nova fece per restituirle il pugnale, ma la regina si diresse verso la polla e osservò le due donne in attesa vicino alle rive del lago.

Sta per succedere qualcosa qui, pensò Nova. Qualcosa che non mi piacerà.

 

 

Dorothy detestava quel posto.

Detestava quell’attesa. Non sapere quanto sarebbe durata gliela faceva detestare ancora di più. Aveva l’impressione che la fata se ne fosse andata già da molto. Il sole era calato. Il buio avanzava. Normalmente chi cercava la Corte Seelie, doveva attendere che il riflesso della luna si specchiasse nel lago e avrebbe trovato l’entrata, se munito di invito.

Ma era bloccata nel mondo esterno.

Raccolse un po’ d’acqua e si inginocchiò accanto a Ruby per aiutarla a bere. Lei ne mandò giù qualche sorso.

- Non sono sicura che mi piacciano... queste fate. – asserì Dorothy. – E soprattutto non mi piace questa regina. Nova ne era praticamente terrorizzata. Potrebbe essere un mostro.

La mano di Ruby le artigliò la gola.

Dorothy emise un gemito soffocato e incrociò due occhi gialli e feroci.

 

 

- Propongo un accordo. – disse Titania. Lo sguardo era fermo. Gli occhi erano fissi in quelli di Nova. Se aveva dato l’impressione di essere sul punto di perdere il controllo di sé, ora quel controllo lo aveva recuperato.

- Un... un accordo? – chiese Nova. La voce che le uscì non sembrava nemmeno la sua, ma solo un guaito ansioso.

- Io ti darò la polvere di fata. La userai per curarla. – disse Titania, parlando lentamente, come se si stesse rivolgendo a qualcuno che non capiva bene la sua lingua. – La quantità sarà sufficiente per salvare quella creatura.

- Sì, mia regina, però io credo che... – iniziò Nova.

- Non ho ancora finito! – esclamò la regina.

Si avvicinò a lei ancora di più, tanto che Nova ne avvertì il fiato sul viso. Avrebbe tanto voluto abbassare lo sguardo o allontanarsi anche solo di un passo, ma si costrinse a fissare Titania, in attesa del resto.

- Dorothy Gale entrerà nella Corte Seelie. E si unirà alla mia guardia personale.

Nova voltò la testa, confusa, guardando uno degli elfi presenti nella sala del trono. Non era uno di quelli che aveva accompagnato la regina quando era venuta a prenderla, ma era comunque un giovane guerriero chiuso nell’armatura argentata, con la lunga lancia stretta nel pugno sinistro, la spada al fianco e il portamento regale tipico di molti elfi.

- Guardia personale...? – balbettò Nova.

- A tempo indeterminato. – concluse la regina Titania.

- Ma... così dovrà lasciare Ruby.

- Sì, è proprio ciò che succederà.

Nova non si aspettava niente di simile. Era pronta ad affrontare un rifiuto ed era anche pronta a combattere, ma...

- Così non potranno vedersi mai più. – constatò Nova, con la sensazione che qualcosa, nel suo stomaco, stesse sprofondando inesorabilmente.

- Potranno incontrarsi il giorno del solstizio d’estate.

- Ma è solo una volta all’anno...

- Il loro è vero amore, no?

- Sì, certo...

La voce di Titania, smorzata e con un tono di logica. Per lei era indubbiamente logico. – C’è sempre il cuore di mezzo e, a volte, è necessario fare una scelta. Se è vero amore, sopravvivrà.

- Mia regina...

- Hai un’ora di tempo per prendere la polvere. La quantità deve essere quella giusta. Solo per quella creatura. E non tornare senza Dorothy Gale. Ti conviene affrettarti.

- E se Dorothy rifiutasse?

Titania sorrise. Non era nemmeno un vero sorriso. Era tagliente come la lama del pugnale. – Non rifiuterebbe mai e lo sai. L’unica che può rifiutarsi qui sei tu, Nova. Dorothy vuole salvarla. Perderla la distruggerebbe. Prima entrerà nella Corte Seelie e poi tu aiuterai il licantropo.

Nova trovò il coraggio di ribattere. - La distruggerebbe anche separarsi da lei.

- Indubbiamente. E tu ne sai qualcosa anche in questo caso. Ma è sempre meglio separarsi... che perderla per sempre.

- Dorothy... è la paladina di Oz. Oz... ha bisogno di lei.

- Sì, c’è una profezia che dice che sconfiggerà la Strega dell’Est. Ma questo è il mio prezzo. La polvere di fata non è gratis. – Titania si allontanò, voltandole le spalle. - E fidati quando ti dico che avrei potuto agire diversamente.

 

 

Dorothy avrebbe potuto allungare una mano ed afferrare la balestra. Era a meno di un metro da lei. Era sicura di poterci arrivare. La freccia era ancora incoccata.

Eppure non ci provò nemmeno.

- Puoi... puoi farcela. – le disse Dorothy.

La presa sulla gola era salda, ma a volte si allentava per poi tornare a stringere. Gli occhi di Ruby cambiavano colore rapidamente. Le unghie le raschiarono la pelle del collo. Il lupo premeva per uscire, deformandogli il volto.

Ruby allentò di nuovo la presa e si ritrasse, producendo un ringhio animalesco. La faccia sembrava tramutarsi di continuo sotto i suoi stessi occhi.

Toto abbaiava furiosamente. Girava intorno a loro, come se stesse cercando un punto scoperto da attaccare.

- Scappa... – mormorò Ruby, supplichevole. – Scappa, Dorothy.

Dorothy la ignorò e la costrinse a sollevare la testa. Poi si chinò e appoggiò le labbra sulle sue.

 

 

Nova sapeva di avere pochissimo tempo. Non solo perché la regina Titania le aveva dato un’ora e non di più per prendere la polvere, uscire e condurre Dorothy con sé. Ma anche perché il tempo laggiù scorreva in modo diverso. Fuori, un’ora poteva significare... un giorno intero.

“Io sono solamente un nano. Il mio posto è nella miniera e tu devi stare con le altre fate. Questo non cambierà mai.”

“Ti sbagli. Siamo noi a controllare i cambiamenti della nostra vita. E non devi mai dimenticare che tu sei speciale.”

“Perché?”

Nova prese una piccola sacca di cuoio e ci versò la polvere di fata sufficiente ad aiutare Ruby. Le tremavano le mani e un po’ di quella polvere scivolò sul pavimento.

Pensò ai nani nelle miniere. Pensò ai nani che estraevano i diamanti. Ogni giorno.

Pensò a Sognolo. A Leroy. Lui era lontano in quel momento e Nova avrebbe tanto voluto che fosse lì, a sostenerla mentre faceva ciò che non avrebbe mai dovuto fare. Era sicura di non poter chiedere a Dorothy di abbandonare Ruby.

Che cosa ne sarebbe stato della loro vita insieme? Della loro felicità?

“Che cosa ci rende diversi dagli altri nani e dalle altre fate?”

“Il nostro amore.”

Nova prese altre ampolle e le riempì tutte. Una serviva a Ruby, il resto della polvere sarebbe servito se qualcun altro fosse rimasto ferito. Se la Strega dell’Est aveva la Sognombra, non avrebbe esitato ad usarla ancora.

Nova mise tutto in un sacco più grande. Il cuore le rombava nel petto e il sangue sembrava scorrere più veloce, ardente e tumultuoso come un fiume in piena.

Con la coda dell’occhio, scorse un’ombra in un angolo della stanza. Lanciò un grido e quasi la polvere le sfuggì di mano.

Puck la fissava, con quegli occhi verde bosco e con quel suo largo sorriso, muovendo appena le punte delle lunghe orecchie.

- Ah, Nova. – Il re degli elfi sedeva su una roccia, come se si fosse sempre trovato lì, anche se fino ad un battito di palpebre prima non c’era nessuno. – Siete estremamente prevedibile.

Paralizzata dalla paura, Nova guardò Oberon con gli occhi sgranati e la sacca con la polvere di fata stretta contro il petto. Non aveva nessuna possibilità contro un elfo di cinquecento anni, che conosceva molti più incantesimi di lei ed era molto più potente.

Il re si avvicinò al tavolo sul quale era sparse alcune pergamene. Prese il pugnale di Titania. - Non è facile uccidere un licantropo, sapete? Molti incantesimi sono inefficaci.

- No, io...

- Potete ucciderli con l’argento. – Estrasse il pugnale dal fodero e le mostrò la lama. - Questo pugnale ha ucciso molti licantropi. I veleni... beh, non li uccidono, ma li spingono verso la follia. La loro parte umana viene completamente fagocitata dalla belva.

- Non posso. – mormorò Nova. – Non posso fare ciò che la regina mi chiede. Non è giusto.

Oberon non cambiò neppure espressione. Sorrideva appena. Posò di nuovo il pugnale. - Ma se non farete ciò che vi è stato chiesto di fare... ne pagherete le conseguenze.

- Lo so.

- Siete davvero disposta a pagare questo prezzo?

- Me lo impedirete?

Lui scosse il capo. – No. Non sono venuto per comportarmi da bruto ed impedirvelo. È una vostra scelta. Se deciderete di farlo, la responsabilità sarà tutta vostra. E comunque non spetterebbe a me punirvi, ma ad una fata. Conoscete le regole.

Nova si morse il labbro. – Io... voglio solo aiutare Ruby.

- La polvere la aiuterà. Titania non vi ha chiesto di ucciderla.

- La regina vuole separarla da Dorothy. Il prezzo è troppo alto.

- Ma non avrete un’altra chance. L’avete già avuta. Ed è tutto merito di Titania.

- Che cosa vuol dire?

Oberon diede un’occhiata a Puck, che si mangiucchiava il cappello. Il profumo di rose appena sbocciate che il re si portava dietro era più intenso, sembrava impregnare la stanza sotterranea dove le fate custodivano la polvere. - Quando pensavate di fuggire con il vostro nano preferito, Reul Ghorm non avrebbe voluto essere indulgente. Voleva togliervi le ali per il semplice fatto che avevate progettato di fuggire. Mandò un messaggio alla regina per chiedere un consiglio su come avrebbe dovuto comportarsi. Diceva che eravate... una buona fata. Perdere delle buone fate è... sempre un vero peccato.

Nova ci mise qualche istante a capire chi fosse Reul Ghorm. Non chiamava mai Turchina per nome, essendo la sua insegnante e una fata di grado più elevato, nonché molto più vecchia di lei.

- Fu Titania a suggerirle di essere indulgente. In fondo... siete giovane. – continuò Oberon. – E lui era... è un nano. Le fate apprezzano i nani. E perché non dovrebbero? Estraggono i diamanti per la polvere di fata.

Non seppe che cosa dire.

- Titania consigliò a Reul Ghorm di parlare con voi, di spingervi a ragionare. Volevate diventare fata madrina. Avevate tanta fretta... eravate stufa di trasportare polvere. – Oberon gesticolava parecchio mentre parlava. – Reul Ghorm parlò con il nano, invece. Andò da quella che considerava... la fonte del problema. Era sicura che non sarebbe riuscita a convincervi, quindi ragionare con un nano le sembrò la soluzione migliore. Funzionò.

“Sogni da sempre di essere una fata madrina e puoi riuscirci!”

“La Fata Turchina è venuta a parlarti.”

“Non ha importanza.”

“Che cosa ti ha detto?”

“Non importa.”

- Titania non è crudele come pensate. Oh, è dura. A volte è impossibile discutere con lei. Mi contraddice sempre.

- Io non penso che la regina sia crudele. – si affrettò a dire Nova.

- Ma forse meritate di sapere perché agisce in questo modo.

- Non le piacciono i licantropi...

Oberon gettò indietro la testa e rise. Rise di gusto. Anche Puck ridacchiò, supportando il suo padrone, ma non sembrava convinto del perché stessero ridendo.

- Non le piacciono? Nova, non si tratta di questo. Li disprezza. Che è ben diverso. – Recuperò un certo contegno. – Meritate di sapere perché li disprezza, tuttavia. Immagino non siate ancora arrivata a quella parte della storia... vero?

- No, io... ecco, no.

- Non importa. – Oberon fece spallucce. Non suonò come un rimprovero, sembrava che se lo aspettasse. - Però dovete sapere. Titania dice il vero quando sostiene che avrebbe potuto agire diversamente con... quella creatura là fuori. Io sono qui per questo, Nova. Mi piacerebbe rispondere alle vostre domande.


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Capitolo 3
*** 3. ***


 

 

Foresta Incantata.

 

Dorothy colpì ferocemente la superficie del lago, disintegrando il riflesso della mezza luna sulle acque. Uno stormo di uccelli notturni si levò in volo, gracchiando.

- Dorothy... torna qui. Non puoi trovare l’entrata così. – disse Ruby, tremando, avvolta nel mantello rosso.

- Quella fata ci sta mettendo troppo. Avrebbe dovuto portarmi con sé. Non ho paura della maledetta regina. – replicò Dorothy. L’acqua le arrivava alla vita, era gelida, ma non gliene importava.

- Il tempo... scorre in modo diverso alla Corte Seelie.

- O la regina ha deciso di non cedere la sua polvere!

- Kansas...

Dorothy tornò a riva, borbottando improperi. Prese il mantello che si era tolta prima di tentare la sortita contro un lago immoto nel bel mezzo del nulla e si coprì con esso. Allungò una mano, cercando quella di Ruby, che gliela strinse. Scottava terribilmente.

L’altra mano di Ruby le scostò i capelli dal viso e le sfiorò i segni rossi sul collo. – Non hai mai... non ti ho mai raccontato che cosa è successo davvero a Peter. Né a tutte quelle persone del villaggio. Forse è il momento che tu lo sappia.

- So che cosa è successo al tuo ragazzo. – ribatté Dorothy. – Me lo hai detto.

- Non ti ho raccontato come sono andate le cose.

- Non sei obbligata a farlo. Dovresti provare a dormire e risparmiare le forze. Rimango io di guardia. E anche Toto.

Il cane abbaiò.

Ruby si spostò leggermente. Ogni movimento le costava una gran fatica. Aveva anche difficoltà a respirare. - Non riuscirei a dormire. Dopo quello che stavo per fare sento che è... è giusto che tu sappia tutto.

Dorothy roteò gli occhi, distogliendo lo sguardo e fissandolo sulle acque del lago. Il riflesso della luna si spostava. - Non hai fatto proprio niente. Sei riuscita a controllarti.

- Per ora. Ti conviene tacere perché parlerò comunque, che ti piaccia oppure no, Kansas.

Per un lungo momento regnò il silenzio. Poi Dorothy sospirò. – Bene, lupacchiotta.  

 

 

 

Corte Seelie.

 

- Che cosa sapete di Magnus e degli Anni Oscuri? – chiese Oberon a Nova.

Puck si era addormentato in un angolo della stanza sotterranea. Russava leggermente e la testa ciondolava.

- Oh, io... so che Magnus si oppose quando l’ultima regina delle fate morì. Lei aveva scelto Titania come sua erede. – rispose Nova. Le metteva ansia il fatto che il re degli elfi la stesse interrogando. I particolari che conosceva erano ancora limitati. – Non so davvero come fu possibile. Credevo che nessuno potesse opporsi al volere della regina.

- Nessuno osa, di solito. – ribatté Oberon. – Ma non esiste una legge e quindi Magnus poté farlo. Riteneva di essere più adatto a governare e più potente di Titania. Anche lui era stato un allievo di quella regina. Lei lo aveva elogiato, a volte... ne aveva riconosciuto le abilità e ovviamente ha alimentato il suo ego. Però elogiava soprattutto Titania, quindi tutte le fate si aspettavano che diventasse regina.

Nova restò in silenzio, in attesa.

- Titania era... oh, aveva tante idee. Quando la regina chiedeva alle fate cosa avrebbero fatto se fossero state scelte, Titania era quella con più... progetti. Voleva trovare l’ingresso della Corte Unseelie per riscattare le fate. Pensava che potessero essere salvate. Ci provò anche prima di diventare regina. Ma i nostri mondi sono sempre stati separati. L’entrata non venne mai trovata. Sappiamo che è vicina, lo sentiamo, ma non è sempre nello stesso punto.

Nova pensò al suo viaggio verso la Corte Seelie. Quelle urla, quei rumori sinistri. L’enorme creatura che l’aveva attaccata. La Corte Unseelie era vicina eppure introvabile. – Però alcune fate la trovano.

- Non sono le fate a trovarla. È la Corte Unseelie che trova loro. Le attira.

- La Fata Nera...

- La Fata Nera preferisce occuparsi dei bambini. I suoi schiavi si occupano del resto. – Oberon fece una smorfia. - Ecco un’altra cosa che Titania detestava. Ogni volta che una giovane fata scompariva nel nulla, lei usciva e andava a cercarla. A volte riusciva a salvarne qualcuno prima che i mostri della Corte Unseelie la trascinassero laggiù, come è accaduto con voi. Ma non sempre. Quei fallimenti l’addoloravano. La regina le intimava di stare attenta, perché non poteva perdere nessuna delle sue allieve, però ammirava molto quei tentativi. Titania voleva... cambiare le cose. Voleva diventare fata madrina e lo è diventata prima di altre fate più vecchie. C’era chi rideva di lei. Magnus, ad esempio. La chiamavano in molti modi; visionaria... sognatrice.

“Credevo che l’anno prossimo sarei già diventata fata madrina.”

Turchina aveva riso. “Ah, Nova. Sei proprio una sognatrice. Il tuo percorso è appena agli inizi. Riesci a tornare dalla miniera tenendo la polvere al sicuro?”

- Chi l’avrebbe mai detto. – ricominciò Oberon, facendola trasalire. - Nova e la regina Titania sono più simili di quello che chiunque si aspetterebbe.

 

 

“Pensi che sia io, l’Uomo Lupo? Ruby... tu mi conosci.”

“So che non sei davvero tu. Ma credo che il lupo usi il tuo corpo.”

“E non lo saprei? Non mi sveglierei nel bosco? Ricorderei qualcosa...”

“Forse. Ma non puoi esserne certo.”

Peter aveva iniziato a dubitare di sé stesso, di tutto ciò che aveva fatto in quei giorni. “Non posso crederci. Se è vero... quegli uomini gli ho uccisi io.”

“Non pensare al passato. Pensa al futuro. Andiamo via, Peter. Scegliamo la nostra vita. Dovremo solo legarti quando c’è la luna piena. Io ho una corda robusta.”

Ruby abbassò gli occhi. – Fu un errore. Fu un... terribile errore.

- Non potevi saperlo. Tu stavi solo cercando di aiutarlo. – Dorothy serrò la sua mano con più forza, quasi con rabbia. - Se fosse stato lui, il licantropo, lo avresti amato di meno?

- No... no, ma lui...

- Se vogliamo parlare di colpe, forse dovremmo parlare di tua nonna. Avrebbe dovuto raccontarti la verità.

- Voleva soltanto proteggermi. – ribatté Ruby, con l’assoluta certezza di chi ha molto riflettuto su qualcosa.

- Può darsi. Ma se ti avesse raccontato la verità, forse molte cose sarebbero cambiate.

- Non ne sono così sicura.

“No. La corda non basta.” Peter le aveva mostrato qualcosa di ben diverso da una corda.

“Catene?”

“Sono sicure. In caso tu abbia ragione, ti farò vedere come le devi chiudere. Poi ti allontanerai da me.”

“No. Non me ne vado. Resto con te. Resterò tutta la notte e per tutte le notti che verranno.”

“Lo faresti per me?”

- Ed io resterò fino a quando sarà necessario. – disse Dorothy. – Non ti lascerò qui. Proprio come tu non avresti mai lasciato Peter. Non ti importava quanto fosse pericoloso.

- Dentro di me non credevo davvero che lui fosse il lupo. Sentivo che c’era dell’altro. – La voce di Ruby si fece acuta, lacrimosa. – Ma il punto è che... io l’ho ucciso. Non l’ho soltanto ucciso, l’ho... dilaniato. L’ho divorato. Non voglio che accada di nuovo. Non potrei sopportarlo. Ho imparato a controllarmi, però ora... ora è come se fossi tornata indietro. E... io sono terrorizzata.

- Risolveremo tutto. – Si mise accanto a lei e la strinse a sé. Ruby le si aggrappò con forza disperata.

Dorothy sapeva che non era vero quando la gente sosteneva che con il tempo ci si libera dei ricordi orribili, di quelli che ossessionano. Ci si può liberare di una parte, ma i frammenti rimangono. Sepolti, dormienti e qualche volta riaffiorano. Ruby era riuscita a tirare fuori quasi tutto, così come avrebbe potuto estrarre un dente guasto e che fosse riuscita ad estrarne tanta parte aveva dell’incredibile. Era coraggio autentico e Dorothy era sinceramente ammirata.

- Quella fata tornerà. E se non tornerà... troverò comunque un altro modo. Non ho la minima intenzione di arrendermi.

 

 

- Magnus era una fata maschio. Un’eccezione. Siete quasi tutte donne. – stava dicendo Oberon. – Magari fosse stato una buona eccezione. No, invece. Magnus voleva tutto. E aveva avuto anche un altro insegnante. Un insegnante ben diverso. L’Oscuro.

- Tremotino?

- No. Rothbart. Magnus avrebbe cinquecento anni se fosse qui, ora. Era giovanissimo quando incontrò l’Oscuro e lui lo... aiutò. – Oberon non sembrava felice di raccontare quella storia. Gli costava uno sforzo enorme. – Ma Rothbart era già morto da tempo quando Magnus affrontò Titania. E vinse. Tuttavia, decise di rispettare comunque il patto che aveva stretto con l’Oscuro. Sposò sua figlia, Odile.

Nova era incuriosita suo malgrado. Persino sconvolta. – Odile era la figlia dell’Oscuro? E... Magnus non sposò l’erede del re degli elfi... cioè voi?

- Io non ero l’erede. Non sarei dovuto diventare re. Avevo un fratello. E... in effetti, avrebbe voluto anche lui. Magnus sentì di aver comunque rispettato l’alleanza con gli elfi, perché Odile era figlia di un’elfa di nobile lignaggio e perché Melilon si rifiutò. Il nuovo re lo accusò di aver violato il patto e accusò Titania di aver ucciso la sua regina. Erano tutte menzogne, ovviamente. L’aveva uccisa lui.

- Che fine ha fatto vostro fratello?

Oberon aggrottò la fronte. - Non lo immaginate?

Nova abbassò gli occhi e arrossì.

- Le fate che supportarono Titania quando Magnus si ribellò vennero bandite, insieme agli elfi che non si inginocchiarono al suo cospetto. In realtà, non voleva solo bandirli. Magnus voleva eliminarli tutti, ma molti riuscirono a fuggire ad Ellésmera. Altri... beh, molte fate vennero attratte dalla Corte Unseelie e suppongo siano ancora là, adesso. – Oberon si alzò. Prese una manciata di polvere di fata, lasciandosela scivolare fra le dita piene di anelli. – Il dominio di Magnus durò cento anni. E indovinate chi erano i suoi alleati principali?

- I licantropi.

- Che brillante intuizione. – ironizzò Oberon. – Vorrei tanto dirvi che li costrinse in qualche modo, ma non fu così. Molti di loro semplicemente lo appoggiarono, perché Magnus e Odile li fecero sentire importanti. Li fecero sentire superiori ad altre creature. Conferirono loro poteri speciali. Ovvio, i migliori guerrieri elfici e le migliori fate se n’erano andati con Titania. Avevano bisogno di alleati.

- E i nani?

- I nani non sono guerrieri. Sono minatori. Avevano paura. Continuarono a fare ciò che facevano sempre, ovvero estrarre i diamanti. Magnus non si curò molto di loro. – Oberon tornò a sedersi sulla roccia, incrociando le caviglie. – Titania perse molte persone a cui teneva in quella guerra. L’affronto più terribile di tutti avvenne quando Titania chiese di poter discutere in territorio neutrale con Magnus. Accettò, ma mandò il figlio, Amadan... una vera piaga, proprio come lui. E con Amadan si presentarono anche Odile e i licantropi. Ho sempre pensato che Odile e Magnus fossero proprio fatti l’uno per l’altra. Lei era... subdola. Era molto più attenta di Magnus ed era crudele, forse persino più di lui.

Oberon indicò a Nova le pergamene disposte sul tavolo. Erano ancora chiuse perché non aveva avuto modo di leggerle e studiarle. La fata le fissò, con la vaga, pressante sensazione che le pareti di quella stanza si stessero preparando a schiacciarla. Non le piaceva il tono di Oberon. Il re degli elfi non le aveva mai parlato in quel modo. C’era sempre una nota sarcastica nella sua voce. In quel momento, il sarcasmo era svanito. Il re dimostrava mille anni e non cinquecento.

- Sopravvisse solo Titania a quell’incontro. Le tre fate che erano con lei e le due guardie elfiche... vennero attaccati alle spalle dai licantropi. Alle spalle, capite? Hanno rifiutato tutte le loro proposte e poi le hanno aggredite da codardi quali erano.

- Fu... fu Amadan ad ordinarlo? Odile?

- No. – Oberon si aspettava quella domanda. - Fu un’idea dei licantropi. Ne ebbero fin troppe, di idee, durante quella guerra. Amadan li appoggiò e anche Odile. Fu orribile. Soprattutto per Titania. Erano sue allieve.

Nova non voleva immaginare.

- Ma erano molto di più questo. Erano come figlie per lei. Le fate... non possono innamorarsi, ma provano dei sentimenti, Nova. E quelle fate... vennero dilaniate. Titania non poté fare niente, perché Odile aveva usato un incantesimo per paralizzarla. Un altro attacco a sorpresa. Titania guardò e non poté fare niente. Il senso di colpa che ha sempre provato avrebbe potuto trasformarla in un mostro. Era stata lei ad organizzare l’incontro. – Oberon fece una pausa, infilandosi un filo d’erba tra le labbra. Puck si agito nel sonno, emettendo uno strano verso gorgogliante.

- Amadan volle lasciarla vivere. Pensava che vedere quello che era successo alle sue allieve l’avrebbe distrutta e che si sarebbe arresa. Godeva nel vedere il dolore degli altri. Come Magnus. In realtà... l’hanno sempre sottovalutata. Sottovalutarono la sua furia.

- Cosa accadde ad Ellésmera? Io so... so che Magnus attaccò la città. – Nova sapeva bene che Ellésmera, la capitale elfica, era irraggiungibile ai più tanto quanto la Corte Seelie. Un incantesimo la proteggeva, rendendola invisibile a chiunque, a parte agli elfi e alle fate.

- Magnus mandò più volte dei messaggeri ordinando alla città di arrendersi. Nessuno gli rispose mai. Quindi attaccò. Le difese magiche non ressero a lungo e Magnus riuscì a penetrare in città con l’esercito. Subirono una gran brutta disfatta e mi piace ricordarlo... – Oberon sorrise. – Ma molti morirono. Mio fratello venne ucciso brutalmente dai licantropi. Ne uccise due, prima che il terzo riuscisse a sopraffarlo. Morì la madre dei miei figli... io rimasi ferito, ma Titania mi salvò la vita. In quella battaglia perirono sia Amadan che Odile. E l’esercito venne respinto. Fu solo questione di tempo prima che liberassimo la Corte Seelie.

- E Magnus?

- Non riuscimmo a catturarlo. Non volle lasciarsi catturare. Finse di arrendersi e poi ingurgitò una bella dose di veleno. – Oberon misurò tranquillamente Nova con lo sguardo. – Morto mio fratello, subentrava il secondogenito, cioè io. Non ci sarebbe bisogno di dirvi che Titania non fu più la stessa, ma nessuno di noi lo fu, del resto. Nemmeno voi sareste più la stessa se aveste visto ciò che abbiamo visto noi.

- Basta, io... io penso di aver sentito abbastanza.

- Oh, sono successe molte altre cose terribili che è meglio non sapere. Ma immagino che adesso... possiate capire.

- Sì. È... è terribile. Ma Ruby... Ruby non è colpevole. Lei non era nemmeno nata e poi non ha chiesto di essere un licantropo.

- No, ma lo è. E Titania ha giurato che non avrebbe più aiutato né tollerato un licantropo. Mai più. – Oberon restò in silenzio qualche istante come se volesse darle il tempo di assimilare quelle parole. – Chiedere a Titania di venire meno al giuramento sarebbe come chiederle di mentire. Non può farlo. E anche se potesse, dubito che lo farebbe. C’erano molte persone presenti quando giurò. Potrebbero metterla in dubbio come regina. Non abbiamo bisogno di questo.

- La regina non può farlo, ma voi... voi potreste.

Oberon fece un cenno vago con la testa. – Hanno ucciso mio fratello. E mia moglie. Nemmeno gli elfi si sono dimenticati di ciò che hanno fatto. Forse li possono tollerare, ma aiutarli... non lo faranno. Né lo farà Titania. Né io.

- Ruby ha salvato delle persone ad Oz. Ha combattuto dalla parte giusta.

- Quello che ha proposto... è il massimo che è disposta ad offrire. – disse Oberon. Non ammetteva altre repliche ed era fin troppo chiaro. - Avrebbe potuto lasciarla morire.

- Quello che ha proposto la farà soffrire.

- Le salverà la vita. E rispetterà comunque il giuramento perché pur avendola aiutata... le ha anche fatto pagare a caro prezzo la sua richiesta di aiuto. – Il re degli elfi le sfiorò gentilmente una spalla. - Eppure mi sembra un buon prezzo, Nova. Vale davvero la pena perdere le ali quando si è giunti ad un accordo?

 

***

 

 

Storybrooke.

 

- L’hai fatto comunque, vero? – chiese Leroy, mentre le tre fate che erano ancora fate meditavano in silenzio.

- Non potevo lasciare che le separassero. – rispose Nova. – Oz ha bisogno di Dorothy. È la paladina di quella gente.

- Ma tu hai sempre sognato di essere una buona fata... e di diventare fata madrina.

- Sì. – Nova appoggiò la sua mano sopra quella del nano. Lui la tenne tra le sue grosse dita, in apparenza così goffe e rozze, abituate a reggere un piccone. – Ma sarei stata davvero una buona fata se lo avessi permesso? Siamo noi a controllare i cambiamenti della nostra vita, Sognolo.

Essere chiamato Sognolo gli scaldò il cuore.

Ma detestava quello che Nova era stata costretta a subire. Quella regina... non sapeva nemmeno quale termine usare per definirla. Nessuno di quelli che gli passarono per la testa sembrava appropriato.

- Forse Turchina può aiutarla. – suggerì il nano.

- Turchina? Lei risponde alla regina Titania. – esclamò Flora. – Non farà niente.

- La Verdolina ha riavuto le sue ali, sorella.

- Mi chiamo Trilli. – ribadì lei, levando gli occhi al cielo. – Ma se proprio non ti va, chiamami sorella e basta, come fai con tutte.

- Bene.

- Parlerò io con Turchina. – decise Trilli, alzandosi.

- No, non puoi! – gridò Fauna.

- Sì che posso. Posso e lo farò. Voi fate uscire Leroy dall’istituto. Al resto penserò io.

- Vorrei rimanere ancora un po’, se non vi dispiace... sorelle.

Flora e Fauna si scambiarono un’occhiata indecisa.


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Capitolo 4
*** 4. ***


Foresta Incantata.

 

 
Nova consegnò la polvere a Dorothy. – Dovete andarvene. Userò la magia per mandarvi il più lontano possibile da qui. Mi spiace, non sono capace di aprire un portale. Non l’ho imparato.

E non lo imparerò mai.

- Questa polvere... non l’hai avuta dalla tua regina, vero? L’hai rubata. – disse la paladina di Oz.

- Titania ha concesso la polvere.

Dorothy non si faceva menare per il naso tanto facilmente. – Dato che sei una fata e non puoi mentire, sarà anche vero, ma scommetto che non è tutta la verità.

- La regina... ha dei precedenti con i licantropi. – si affrettò a dire. - Non importa. È una storia molto lunga. Questa polvere basterà non solo per salvare Ruby, ma anche... contro la Strega dell’Est. Se qualcun altro rimarrà ferito, potrete salvarlo.

- Come faccio a sapere che questa regina non ci seguirà?

- Non lo farà.

Punirà me. Sono io che ho disobbedito e ho rubato tutta quella polvere.

Ruby si mise a sedere a fatica. Rabbrividì, febbricitante. – Non devi pagare per colpa mia.

- Non è colpa tua. – disse Nova. Estrasse la bacchetta. – So quello che sto facendo.

Agitò la bacchetta. Il vento si levò, fischiando brevemente attraverso gli alberi e inducendola a guardarsi intorno, inquieta. Rimase un momento a contemplare il licantropo che Titania tanto disprezzava, ipnotizzata.

Poi distolse lo sguardo con un’esclamazione soffocata, come chi, caduto in trance, ritorni in sé.

 

***

 

Storybrooke.

 

- Non c’è niente che io possa fare. – sentenziò Turchina.

Trilli aveva parlato per almeno dieci minuti. Solo lei. Flora e Fauna non si erano azzardate ad aprire bocca. Non avevano avuto il tempo di far uscire Leroy, quindi Flora l’aveva trasformato in un bonsai nonostante le innumerevoli proteste del nano e aveva posizionato la piantina sul davanzale. Turchina era entrata per controllare come stesse Nova. Trilli le era corsa dietro quando aveva lasciato la stanza.

- Ma io ho riavuto le ali. – replicò Trilli.

- Tu hai riavuto le ali perché te lo sei meritato. – Turchina si rivolgeva a lei come se fosse stata troppo dura di comprendonio.

- Ma Nova non ha fatto nulla di male. Ha salvato una vita!

Fauna strisciò i piedi sul pavimento, a disagio.

- La regina era stata chiara. Lei non solo ha disobbedito, ma ha anche rubato altra polvere. Non aveva il permesso.

- Non voleva separare Ruby e Dorothy. Oz ha bisogno della sua eroina. – Trilli non riusciva a non capire dove fosse il problema in quello che stava dicendo. Non si era studiata bene che cosa dire, le sembrava tutto molto chiaro.

Turchina sospirò. – Non sto negando che le sue intenzioni fossero nobili... ma la regina le aveva detto esattamente che cosa fare. Rubare e disobbedire ad un ordine della regina comporta delle conseguenze, Verdolina.

Trilli avrebbe voluto correggerla e chiederle di chiamarla per nome, ma decise di non badarci. – Ma voi potreste darle un’altra chance.

- L’ha già avuta.

- Una... terza chance?

Flora aprì la bocca per dire qualcosa, però l’occhiata di Turchina non le piacque affatto. Tacque.

- Anche se volessi, non potrei farlo comunque.

- Non credete abbastanza in lei.

- Non è soltanto questo. – Turchina si era palesemente stancata di discutere. – L’unica fata che può restituire le ali a Nova è la fata che gliele ha tolte. E non sono io.

 

 

***

 

Corte Seelie.

 

 
La sala del trono era deserta.

Deserta e silenziosa. Non c’erano nemmeno le guardie del re e della regina.

Nova sapeva di non essere sola, perché aveva visto le fate svolazzare per i corridoi quando era tornata, eppure adesso lo sembrava. La Corte Seelie pareva abbandonata. Non udiva più neanche lo sgocciolio dell’acqua lungo i muri di roccia.

Stringeva la bacchetta che aveva usato per spedire Ruby e Dorothy lontano, prima che a Titania venisse in mente di seguirle. Non credeva che l’avrebbe fatto, ma aveva dovuto comunque agire in fretta. Toto le aveva leccato la mano, come ringraziamento.

“Eppure mi sembra un buon prezzo, Nova. Vale davvero la pena perdere le ali quando si è giunti ad un accordo?”

Poi tutto intorno a lei cambiò. I muri di roccia, i troni con le radici che affondavano nel pavimento, i fiori che ne adornavano i braccioli... tutto svanì gradualmente e Nova si ritrovò all’aperto, in bilico su uno stretto sentiero di pietra. A sinistra c’era un’alta parete di roccia e l’ingresso di una caverna buia. A destra... lo strapiombo. Alcuni sassolini rotolarono giù, perdendosi nel vuoto immenso che la fata stava fissando con gli occhi sgranati. Sopra di lei il cielo schiariva. Le stelle stavano sparendo ad una ad una. Era quasi l’alba.

C’era qualcuno alle sue spalle. Nova si voltò di scatto, puntando la bacchetta.

La regina Titania la guardava, imperscrutabile. Sembrava perfettamente a suo agio. Gli orli del cappuccio si muovevano, scossi dal vento.

- Dove siamo? – domandò Nova, terrorizzata. Si rifiutò di spostare di nuovo gli occhi nel vuoto. Anche se poteva volare, quell’abisso la spaventava. Come se le sue ali fossero improvvisamente troppo fragili.

- Questo posto... questa caverna... – disse Titania, appoggiando una mano sulla parete di roccia. – Crediamo che questo sia il luogo in cui elfi e fate siglarono il patto che unì le razze... moltissimo tempo fa.

Nova abbassò la mano che stringeva ancora la bacchetta.

- Non ne siamo sicuri. – continuò la regina. – Ma non conta. Resta un posto importante. E qui c’è anche un portale. Si apre al sorgere del sole e si richiude pochi attimi dopo. Nessuno lo sa a parte il re e la regina delle fate.

- Un... un portale?

- Credevo volessi diventare fata madrina, Nova. Credevo che fosse uno dei tuoi sogni.

- Mi dispiace molto, mia regina... non potevo... non ho potuto farlo. – Nova guardò l’imboccatura della caverna. – Il re... mi ha detto tutto. So che cosa è successo con i licantropi, ma Ruby... lei non è così. Non farebbe mai niente di simile.

- Eppure ti avevo ordinato di portare fuori solo un certo quantitativo di polvere e di non tornare senza Dorothy Gale. – la interruppe Titania, come se non l’avesse sentita. – Invece tu... hai rubato altra polvere. E hai permesso ad entrambe di andarsene. Non so che cosa ti abbia raccontato Oberon, ma evidentemente non hai ascoltato una parola. Non che gli avessi chiesto di raccontarti tutto, ma fa sempre quello che vuole, in ogni caso.

- Mia regina...

- Ma non penso che abbia importanza, ora, non è vero?

Nova cercò disperatamente le parole giuste. – Io posso... posso essere una buona fata. Posso dimostrarvelo. Se poteste darmi solo un po’ di tempo...

- Oh, Nova... io ho creduto in te. – La regina Titania parlò con voce ferma. Non c’era nulla che lei potesse fare contro quella durezza. – Ho creduto in te perché mi ricordavi... quello che ero un tempo. Allora la mia regina aveva creduto in me.

“Chi l’avrebbe mai detto. Nova e la regina Titania sono più simili di quello che chiunque si aspetterebbe.”

- Ed io pensavo potessi essere una buona candidata.

Nova non disse, era confusa.

- La regina sceglie sempre qualcuno che prenderà il suo posto, un giorno. – le spiegò Titania. Usava un tono strano. Come se fosse tutto terribilmente inevitabile. – Ci sono tante fate, qui. Alcune sono più vecchie di altre. Alcune sono... più adatte di altre. Più potenti. E tu... forse non sei la fata più adatta ora, ma ho creduto... che un giorno lo saresti stata.

Avrebbe tanto voluto trovare qualcosa di sensato da dire alla regina, ma aveva la gola serrata e il cuore in subbuglio.

- Tuttavia ci sono cose che non possono essere accettate. – continuò Titania. – Ed io non posso più credere in te.

Nova avvertì chiaramente una sorta di strattone. Come se una mano l’avesse afferrata per le ali. Durò poco e fu più doloroso di quanto si aspettasse. Tutto il potere defluì dal suo corpo. Le ali persero lucentezza, si ripiegarono e infine si disintegrarono.

Barcollò. Per un lungo, terribile istante pensò che sarebbe caduta nel vuoto.

“Il mio posto è nella miniera. E tu devi stare con le altre fate. Questo non cambierà mai.”

“Ti sbagli. Siamo noi a controllare i cambiamenti della nostra vita. E non devi mai dimenticare... che tu sei speciale.”

“Perché?”

Nova cadde in ginocchio, ai piedi della regina.

- Da questo momento, non potrai più accedere alla Corte Seelie, se non con un invito, come qualunque altra creatura che non sia un elfo o una fata. – sentenziò Titania.

“Che cosa ci rende diversi dagli altri nani e dalle altre fate?”

“Il nostro amore.”

Il sole sorse. I primi raggi scivolarono lungo la parete di roccia e lungo i bordi della caverna. Nella penombra l’aria vibrò e poi un portale cominciò ad aprirsi. Un cerchio perfetto che si allargava pian piano, spandendo una strana luce gialligna.

- Devi andare ora. – aggiunse Titania.

- Andare... dove?

- Torni da dove sei venuta.

Aiutò Nova ad alzarsi in piedi. La spinse leggermente. Lei agitò le braccia mentre finiva dritta nel portale.

 

***

 

Storybrooke.

 

Leroy imprecò nuovamente contro la corda che stava usando per legare la barca ad uno dei piloni del ponte. Stava cercando di produrre un nodo decente, ma la dannata corda continuava a sfuggirgli, mentre l’imbarcazione dondolava pigramente.

- Ora basta, maledetta... – iniziò, lottando per stringere il nodo. – Se credi che un nano sia solo capace di usare un piccone, ti sbagli di grosso.

- Ciao.

Lui sobbalzò. La corda gli sfuggì di mano e finì dritta in acqua.

- Oh! Scusami.

- Nova... Astrid. Non ti aspettavo. – disse Leroy, levandosi il cappello. – E non preoccuparti per la corda. Ci stavo litigando già da un po’.

- Non vorrei disturbarti. Eolo mi ha detto che ti avrei trovato qui.

- Sei stata alla miniera?

Sorrise e arrossì. - Sì. Ti stavo cercando.

- Credevo che sarebbe venuta una delle... sorelle. – Era anche quello che l’aveva reso nervoso. Aspettava. Aspettava notizie da una delle tre fate. L’avevano trasformato in un dannato bonsai per evitare che Turchina lo scoprisse e non era stato per niente divertente. Nemmeno attendere era stato divertente. – Non è andata molto bene, vero?

- No.

- Posso fare qualcosa?

Astrid scosse il capo. Aveva un’aria molto... serena. Non sembrava triste come si era aspettato. Indossava un normale golfino bianco con il collo alto e un paio di jeans neri. Stava molto bene.

Si sorprese a fissarla e si riscosse rapidamente. – Beh...

- L’unica fata in grado di restituirmi le ali è la regina. E non credo che succederà tanto presto.

Leroy non sapeva bene che cosa dire a riguardo. Lui era un nano e non poteva fare molto per le sue ali. – Sei venuta per dirmi questo?

- No, volevo vedere la tua barca. Mi avevi detto che si poteva riparare.

- Ah! Certo, sì. È ancora un gioiellino, nonostante tutto. – Recuperò la corda. – Perché non sali? Ti avevo promesso che saresti stata il mio primo passeggero, ricordi?

Astrid rise. – Sì. E hai anche compiuto un vero miracolo.

- Niente di più facile. – minimizzò lui. Dopo la rottura della prima maledizione, non aveva mai avuto occasione di invitare Astrid, anche perché erano successe un mucchio di altre cose e c’erano sempre altre fate ogni volta che la incontrava. Non aveva mai voluto metterla in difficoltà.

- E comunque sì... salgo volentieri.

Leroy ebbe la netta impressione di essere in procinto di staccarsi dal suolo, come se gli fossero appena spuntate le ali. – Grandioso. Vieni, ti aiuto.

Avvicinò la barca al ponte, salì per primo e poi tese una mano. Astrid la prese e la strinse forte, mentre posava un piede sulla barca.

Le assi erano scivolose ed ovviamente lei mise il piede in fallo. Rischiò di cadere in avanti, ma Leroy l’afferrò appena in tempo ed Astrid gli finì addosso, con un braccio intorno alle sue spalle.

- Presa. – disse il nano.

- Oh... grazie.

- Sai, è un po’... scivoloso. Le assi, dico. – farfugliò Leroy. Tolse il braccio dalla sua vita e la condusse lungo il ponte della barca. Poi avviò il motore. – Ho dato una sistematina qui e là... ci sono ancora delle cose che non vanno, ma...

- Hai fatto un bel lavoro.

Leroy si sentì molto soddisfatto. L’imbarcazione si allontanò dal molo.

- Voleva scegliere me. – disse Astrid, fissando le acque. – Pensava davvero di farlo.

- Chi? Di cosa parli?

Gli raccontò della sua ultima conversazione con la regina Titania. Non l’aveva detto alle altre fate, nemmeno a Turchina.

- Quindi... avresti potuto essere una regina.

Lei restò in silenzio per un po’. Si scostò una ciocca di capelli che il vento le aveva spinto sul viso. – Ci sono fate molto più potenti di me e... anche più vecchie. Penso si sbagliasse. Voglio dire, credevo di poter essere una buona fata e anche una fata madrina, ma non... una regina. È troppo, Sognolo.

Sognolo.

Sembrava che lo chiamasse così quasi senza rendersene conto.

- Non dovrei dire che la regina si sbaglia. Insomma, lei sa quello che fa, suppongo.

- Non so niente di questa regina. – ammise Leroy. – Ma io credo che tu... saresti stata un’ottima regina. Un giorno.

- Essere regina delle fate non è... semplice. Non hai visto la regina Titania... lei è vecchissima e aveva già qualche centinaio di anni quando ha preso il posto della precedente. Io non riuscivo nemmeno ad immaginarmi come sarei stata nel giro di qualche centinaio d’anni. È un tempo... così lungo!

E soprattutto essere regina avrebbe significato sposare il figlio o la figlia del re degli elfi. Il primogenito o la primogenita di Oberon, colui che non avrebbe nemmeno dovuto arrivare al trono, ma aveva dovuto accettarlo dopo la morte del fratello. L’unica fata che poteva sposarsi era la regina e lo faceva unicamente per l’alleanza tra elfi e fate.

- Parecchio lungo, sì. – Leroy si grattò la barba. – Penso davvero quello che ho detto.

- Sono troppo imbranata per comandare. Sono una vera sciocca, a volte.

- Beh, un lato positivo c’è. Potresti dare ordini persino alla Madre Superiora. Ah!

- Non voglio comandare. Non riuscirei a dare ordini a nessuno. Al massimo... dei suggerimenti. E non sono nemmeno sicura di saper fare quello!

Leroy le prese una mano. – Io credo in te. Scommetto... che potresti fare qualunque cosa.

Astrid gli sfiorò il viso con la punta delle dita. – Non ha più importanza, comunque. Non ho più le ali. Sceglierà qualcun altro.

- Le puoi riavere. La sorella Verdolina ce l’ha fatta. Non è impossibile. Sei stata tu a dirmi che se continuiamo a sognare... si realizzano anche i sogni più grandi.

- Sì. Ma qui non si tratta di sognare. Per me è molto più difficile.  

- Si potrà discutere anche con questa regina, no? – Leroy scosse il capo. – In ogni caso, è così. Io credo in te. Poco importa cosa ne pensa la sorella suprema.

Astrid rise quando Leroy chiamò Titania la sorella suprema. Si chinò in avanti e posò un bacio sulla fronte del nano. Non avere più le ali era una sensazione strana. Aveva perso i poteri, eppure non si sentiva più debole. Solo diversa. Era cambiata, ma il cambiamento non la rattristava. Aveva sempre voluto diventare fata madrina, non le era mai passato per la testa di poter essere regina, era qualcosa di troppo spaventoso e immenso. Il fatto che non sarebbe stata nessuna di quelle cose, almeno per il momento, non la preoccupava. Forse aveva ancora molto da imparare. Forse era destinata ad essere qualcos’altro che ancora non immaginava.

- Grazie. – disse al nano, mentre lui spostava un po’ il timone per guidare la barca nella direzione giusta. – Sei il mio eroe.

 

***

Angolo autrice:

 
Qualche precisazione:

 
Ellèsmera è la città elfica per eccellenza nei romanzi di Christopher Paolini (Eragon, Eldest, ect.)

Magnus e Amadan non sono personaggi inventati da me, ma appartengono alla miniserie a fumetti The Book of Magic, scritta da Neil Gaiman, poi diventata serie regolare, pubblicata sotto l’etichetta Vertigo della DC Comics.

La storia di come è salito al trono in questa fanfic è quasi del tutto inventata da me. Odile, invece, è la figlia del mago Rothbart (che qui è uno dei Dark One che hanno preceduto Tremotino) come nel Lago dei Cigni.

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