Ikuya ha... la ragazza?!

di Claire DeLune
(/viewuser.php?uid=475190)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno scherzo del destino ***
Capitolo 2: *** Sospetti ***
Capitolo 3: *** Brutte sorprese ***
Capitolo 4: *** Un donburi per dire Ti amo ***



Capitolo 1
*** Uno scherzo del destino ***


Buonsalve a tutte/i!
E' passato davvero tanto tempo dall'ultima volta in cui ho pubblicato qualcosa su questo fandom. Chiedo venia per tutti coloro che ancora aspettano l'aggiornamento di "The Reader", prometto che lo finirò al più presto, non mancano molti capitoli prima che quella long veda finalmente la luce fuori dal tunnel.
Non voglio annoiarvi con qualche banale scusa, ma dire che l'università mi prosciuga è la triste verità. In più, come dissi già a chi mi ha contattata in privato, il mio stile di scrittura è cambiato in questi anni e temo si veda troppo nei capitoli nuovi, perciò farò del mio meglio per non rendere il distacco dai primi agli ultimi così netto, ma ci vorrà il suo tempo.
Grazie davvero per la vostra comprensione e grazie per essere sempre così numerose a seguirla ancora. Mi farò perdonare, anzi spero proprio che questa nuova FF possa assolvere almeno un po' ai miei peccati!
Vi anticipo già che questa sarà un long-fic breve di quattro capitoli, perché, come andrete a vedere, è una Slice of Life che s'incentra su un momento imprecisato della vita di Ikuya, dopo aver fatto pace coi suoi vecchi amici.
Spero vi piaccia e che vi possa anche divertire (quando c'è Asahi in mezzo, la comicità è assicurata!).
Vi auguro una buona lettura!
Claire DeLune

IKUYA HA… LA RAGAZZA?!

1.
Uno scherzo del destino
 
   È una giornata come un’altra, Ikuya si sta tamponando i capelli con un asciugamano – prestatogli gentilmente da Hiyori, perché in questi giorni il corvino è talmente distratto da dimenticarsi ogni cosa.
   Un giorno la cuffia.
   Quello dopo gli occhialini.
   Quello dopo ancora il costume! – per fortuna la squadra di nuoto ne ha sempre qualcuno di scorta.
   Oggi è toccato all’asciugamano.
   Domani a cosa? Alle ciabatte? No, quelle le tiene nell’armadietto non può scordarle a casa.
   Mentre strizza per bene le punte dei capelli nel telo, ripone qualche oggetto nell’armadietto: occhialini e cuffia, sia mai che li dimentichi un’altra volta.
   «Allora?», chiede l’amico d’infanzia, «Vuoi dirmi come mai sei così distratto ultimamente?».
   Ikuya lo fulmina con la coda dell’occhio, «Non so di che parli», replica monocorde, ma ciò che ottiene come risposta è una risatina divertita. Allora il ragazzo fa sbattere l’antina metallica dell’armadietto e si volta, asciugamano calato a circondare il collo e braccia incrociate al petto allenato.
   «Pensi di farmela?», incalza Hiyori lanciandogli un sorrisetto astuto, «La mia era una domanda retorica».
   «Uh?».
   Il dorsista ignora il verso confuso dell’altro, fingendo di controllare che non manchi nulla nella sua sacca, poi recupera la custodia degli occhiali da vista e posiziona quest'ultimi sul naso dritto, «È per quella ragazza».
   «Ma di che diavolo---».
   «Ti sei innamorato, Ikuya?».
   L’interpellato sussulta, ripetendo il grugnito di prima, solo più acuto.
   Ikuya china il capo e i suoi occhi di tramonto vengono ombrati dalla frangia troppo lunga, celando anche le immagini che vagano veloci su di loro come la pellicola di un film.
   È stato dopo un intenso pomeriggio di allenamento che la conobbe. Chiara, la ragazza del secondo anno trasferitasi a Tokyo per proseguire gli studi.
   Fu un incontro casuale, un vero tranello del destino quello che incrociò i loro cammini.
   Come suo solito, Ikuya si stava rivestendo, dopo essersi crogiolato sotto la doccia bollente ed essersi fonato con cura i morbidi capelli. Il capitano della squadra aveva approfittato di quel momento di relax per avanzare un’altra volta la proposta di partecipare ad una staffetta mista, e la matricola non poté evitare di alzare gli occhi al cielo pensando, Ho già detto di sì alla staffetta a stile libero, cos’altro vuoi da me?.
   Stava per mandarlo educatamente a quel paese, quando un gridolino esterrefatto lo interruppe. Gli occhi dell’intera squadra di nuoto calamitarono sulla figura snella e minuta di una ragazza, che mal celava l’imbarazzo, costituito da gote arrossate, palpebre divaricate e balbettii, dietro ad una cartelletta.
   «Oh mio Dio, scusatemi tanto!», affermò, accorrendo alla porta degli spogliatoi, ma la voce del capitano la fermò.
   «Posso aiutarti?».
   La giovane si voltò vergognosa, «Credo di essermi persa», confessò con una cadenza insolita e ora che la guardava bene, nonostante fosse coperta dalla matronale effige del capitano, notò che anche il suo viso era particolare. Era ovale e con due bei occhi a mandorla, ma la doppia palpebra, a differenza delle altre ragazze che bazzicano per il campus, sembrava naturale, la bocca non era carnosa come quella tipica di una giapponese e anche il naso era fin troppo sottile e alto per essere nipponico.
   Era chiaro che fosse straniera.
   «Stavo cercando la palestra del campus. Secondo la cartina è in questo edificio, ma credo di aver sbagliato qualcosa». Ikuya si concentrò sulla sua inflessione sciolta, beandosi di quel accento così singolare che alle sue orecchie risultava adorabile; stupito da quanto fosse sicura la sua voce mentre parlava la sua lingua e domandandosi da dove provenisse.
   «Mi vergogno ad ammetterlo, ma non conosco questo kanji. Forse è per quello che mi sono persa», ridacchiò a disagio, e quel trillo cristallino scavò attraverso i timpani di Ikuya fino a raggiungere il cervello già pieno di lei.
   «Sì, l’edificio è questo, ma hai sbagliato scala», la informò il capitano, «Dovevi salire non scendere».
   La ragazza si scostò una ciocca di capelli bruni dietro l’orecchio, osservando il dito del giovane che scorreva sulla mappa interna del palazzo, «Ma come ho fatto a fare un errore così sciocco? Sono mortificata».
   Il capitano soffocò una risata, che ad Ikuya parve diversa dal solito, dolce – cosa che non gli piacque affatto – e concluse la conversazione, dicendo: «Ti mostrerei la strada volentieri, però sono molto impegnato al momento…».
   «Oh, no», si affrettò ad aggiungere lei, «Sei già stato fin troppo gentile, penso di potermela cavare da sola adesso».
   «Ci mancherebbe, insisto, ti farò accompagnare da uno dei membri della squadra», il giovane uomo si girò in direzione dei suoi adepti, tutti catturati da quella inaspettata comparsa; la matricola percepì un tuffo al cuore quando le iridi piccole e grigie di Tsubasa si posarono su di lui, accompagnate dalla sua voce profonda che scandivano le sillabe del suo cognome.
   Ikuya accettò il compito senza pensarci su due volte. Un po’ perché era un “ordine” del capitano, un po’ perché la curiosità di saperne di più su quella forestiera lo stava logorando.
   Stavano salendo la prima rampa di scale quando lei si scusò di nuovo per l'incomodo arrecatogli.
   «Non c’è problema», replicò lui, fissandosi le punte delle scarpe con le mani nelle tasche dei pantaloni.
   Guardala, dannazione!, si sgridò tra sé medesimo, Dille qualcosa!.
   Niente.
   Non gli veniva in mente assolutamente niente di sensato da dirle. Niente che non lo facesse sembrare un provolone. E così rimasero in silenzio, tutto il tempo, con lei che si sforzava di guardarsi intorno per il disagio, e con lui che si malediceva da solo ad ogni passo per la sua timidezza.
   Fu quando si fermarono davanti all’ingresso della palestra, che la ragazza parlò, stringendo la presa sul manico della sacca che portava, all'apparenza molto pesante.
   Idiota! Non mi è neanche venuto in mente di portargliela io al posto suo.
   «Grazie ancora per avermi accompagnata…», fece una sospensione e lì il ragazzo capì che gli stava chiedendo muta il proprio nome.
   «Kirishima», si presentò, «Kirishima Ikuya».
   «Piacere di conoscerti, Ikuya-kun. Io sono Chiara».
   Ikuya aggrottò la fronte per l’inaspettata confidenza. Chiara. Solo Chiara, senza cognome. Non che la cosa lo sorprese, era abituato in America a questo, ma per qualche incredibile ragione da lei non se lo aspettava.
   Forse perché si trovano in Giappone e in Giappone ci si rivolge agli altri per cognome, se non si è particolarmente intimi. Forse perché egli stesso si era presentato per cognome e quindi dava per scontato che lei avrebbe fatto altrettanto, magari ingannato dalla fluenza linguistica della ragazza. Fatto sta che lo lasciò amabilmente di stucco, più per il lene piacere che gli aveva donato quella mancanza di rispetto, che per l’atto in sé.
   Alla sua espressione sorpresa lei rise, riempiendogli di nuovo le orecchie di quell’inconfondibile risata, «Non me la cavo molto bene con il keigo1 quando sono con i miei coetanei, non mi viene naturale. Non volevo metterti in imbarazzo».
   «Non fa niente», sorrise lui timido.
   «Forse finirò per metterti ancora più in difficoltà...», esordì lei, frase che attirò così tanto l’attenzione del ragazzo da costringerlo a guardarla, estasiato dalla delicatezza del suo bianco sorriso, «... Ma ti andrebbe un giorno di questi di uscire a bere un caffè o... altro? Sai, per sdebitarmi».
   Non esiste che mi faccia offrire un caffè da una ragazza.
   Il primino annuì, raccogliendo tutto il coraggio che possedeva, «Conosco una caffetteria davvero carina», le mostrò le foto – speditegli da Hiyori settimane prima – di un locale e della presentazione del loro menù.
   «Che bello!», replicò Chiara, indicando i cubetti di ghiaccio colorati nel bicchiere.
   «Però offro io».
   «Ma sono stata io ad invitarti», controbatté lei.
   «Ma il ragazzo sono io», continuò il nuotatore con una sicurezza che non gli apparteneva – è Natsuya quello che ci sa fare col gentil sesso, non lui –, facendola arrossire vistosamente, «Posso avere la tua e-mail2, Chiara-san?». Ikuya ringraziò il cielo che il nome della ragazza fosse semplice da pronunciare.
   «O-okay».
   Si scambiarono i reciproci contatti, poi si salutarono e lei varcò la soglia della palestra, facendogli un ultimo cenno pavido con il palmo della mano.
   Non passò molto tempo prima del loro secondo incontro. Si videro proprio il pomeriggio seguente e quello fu solo il primo di una lunga serie di appuntamenti con quell’eccentrica senpai italiana – che poi non è che sia tanto più grande di lui, Chiara lo distanzia di pochi mesi: lei è di dicembre e lui di marzo dell’anno seguente.
   «Stai cercando di farmi credere che stai uscendo dallo spogliatoio con i capelli ancora bagnati, proprio tu che dici sempre che ti viene la cervicale se non li asciughi per bene, così, a caso?», rimbecca Hiyori, riportandolo al presente.
   «Sono solo di fretta», risponde schivo il migliore amico.
   «Per cosa? Un appuntamento?», prosegue l'altro imperterrito, al limite dell’ilarità.
   «E anche se fosse?». Stavolta è il dorsista a rimanere spiazzato.
   «Se tutto quello che hai detto fosse vero, cosa faresti?», le iridi vermiglione del corvino lampeggiano in quelle verdastre del castano, lasciandolo momentaneamente senza parole. Finora Ikuya non era mai stato così sincero riguardo ai propri sentimenti, seppure esternati in modo vago e refrattario.
   Dopo un attimo di assestamento, perché Hiyori credette che la terra gli sarebbe crollata sotto i piedi, dice: «Ti direi solo che sono contento per te, ma che non devi perdere di vista i tuoi obiettivi».
   «Quello non succederà mai».
   «Allora cosa aspetti?», Ikuya lo scruta confuso, «Muoviti a raggiungerla. Non vorrai mica darle buca?».
   «M-ma…».
   «Su, su, vai!», lo spinge fuori dallo spogliatoio.
   «Ah, Kirishima!», lo chiama Terashima, sbracciandosi per attirare l’attenzione di Ikuya, troppo intento a correre al suo appuntamento per dargli retta, «Oi, non m’ignorare, Kirishima!», sbraita, scuotendo i folti capelli biondicci contrariato.
   «Devi scusarlo, Terashima, oggi Ikuya ha un impegno importante».
   Il pesce arciere vorticante sbuffa sonoramente, grattandosi la nuca, «Peccato, volevo invitarlo al karaoke».
   «Tu vieni, Toono?», s’intromette Sagae, un ragazzo piuttosto alto, con iridi purpuree e un taglio scalato scuro,
– il ciuffo è talmente lungo da costringere il giovane a farsi la riga in mezzo pur di riuscire a vedere –, circondando le spalle larghe dell’amico con un braccio, «Non lo hai mai sentito cantare, vero?», lo indica, «Canta gli jodel mentre balla», sghignazza.
   Atteggiandosi a gran figo, Terishima aggiunge: «Canto anche mentre nuoto».
   «Non ci credo!», bisbiglia l’altro impressionato.
   Hiyori sorride affabile, «D’accordo, sono curioso».

[1] Linguaggio onorifico giapponese: 敬語 “lingua di rispetto” è un insieme di modalità linguistiche utilizzate in giapponese per enfatizzare il rapporto interpersonale fra gli interlocutori, in relazione all'età, alla posizione sociale e al grado di intimità esistente. Può essere usato per esprimere alternativamente un atteggiamento di rispetto, umiltà, intimità o distacco.
[2] In Giappone, tralasciando per le relazioni davvero intime, non si è soliti scambiarsi il numero di telefono e chattare tramite app di messaggistica, o tramite sms, si comunica per e-mail, che, ovviamente, fungono da messaggio, non c'entrano niente con le mail formali a cui noi siamo abituati a ricorrere per avere informazioni o risolvere problemi. E' proprio un modo completamente diverso di concepire il concetto di mail e l'importanza del numero di telefono a discapito dell'indirizzo e-mail.  

Note D'Autore
Grazie mille per aver letto fino a qui, spero l'idea vi sia piaciuta :)
Piccolo chiarimento sul nome della ragazza, che so essere fin troppo simile al mio nickname. L'unico motivo per cui l'ho scelto è stato quello fonologico.
Studiando giapponese mi sono resa conto di quanta difficoltà facciano nel pronunciare i nostri nomi, i quali finiscono quasi sempre per essere storpiati. So che a noi lettori italiani non cambia niente, ma per evitare nella mia testa voci giapponesi che arrancano nel chiamare la coprotagonista femminile, ho deciso di darle un nome corto, facile da pronunciare in giapponese e che, in definitiva, per i nipponici non risultasse troppo elaborato e, passatemi il termine, straniero.
Non so se conoscete giapponesi di persona, ma vi assicuro che su questo punto sono parecchio strani ;)


See you next water time,
Claire DeLune

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Sospetti ***


2.
Sospetti
 
   Asahi rigira compulsivamente la cannuccia nella sua bibita con un evidente cipiglio a fessurargli la fronte, «Sono preoccupato per Ikuya. Non vi sembra strano di recente?».
   «In che senso?», pone Makoto, bevendo un sorso d’acqua.
   «Mi sembra più freddo del solito…», punta gli occhi violacei in quelli oceanici di Haruka, sospettoso, poggiando i gomiti sul tavolo, «Haru, lo hai fatto arrabbiare di nuovo?».
   Il liberista risponde all’occhiata assottigliando a sua volta lo sguardo, «Cosa vorresti insinuare?».
   Dal canto suo il dorsista non può fare a meno di sbuffare esasperato, «Per favore, non cominciate».
   Il rosso si schiarisce la gola, «Eppure è davvero strano. Persino con il suo amico Toono mi è parso più schivo del solito».
   «Toono-kun non ha detto nulla a riguardo?».
   Il farfallista grugnisce stizzito, «Non dice mai niente quello lì. Continua a comportarsi come se dovesse proteggere Ikuya da noi», sbatte il pugno sul ripiano ligneo, «Non lo sopporto!».
   «Asahi!», urla sua sorella da dietro il bancone, facendolo sobbalzare, «Non tirare pugni ai miei tavoli. Cos’ho una scimmia per fratello e non lo sapevo?».
   «Nee-san…», si lamenta il ragazzo in risposta, causando un’esplosiva risata generale.
   «Forse dovremmo provare a parlarci», consiglia Makoto, ritornando al discorso principale.
   «È una buona idea», conferma Haruka, trangugiando la sua ramune3 in un sol sorso ed alzandosi in piedi, avviandosi verso la porta d’ingresso del locale.
   «Ma come… Adesso?!», strepita Asahi correndogli dietro, costringendo la trachea di Makoto a produrre l’ennesima risatina.
   Il corvino si volta a tre quarti, «Hai detto di essere preoccupato, no?», allunga una mano verso la maniglia, piega il saliscendi ed esce con al seguito i due compagni di università. Subito la calura di quell’insostenibile giornata d’estate l’investe.
   S’incamminano per il marciapiede gremito di persone, cosa normale per una metropoli come Tokyo, a cui però Haruka non si è ancora abituato del tutto; così come non si è ancora abituato del tutto all’afa che caratterizza la capitale.
   Mai come in questi momenti di caldo opprimente rimpiange la fresca brezza del Mare del Giappone, che si schiantava sul suo viso mentre tornava a casa dal liceo, riempiendogli i polmoni del suo soave profumo salmastro, e ricoprendogli la pelle di quel leggero velo di salsedine, che solo un bagno rilassante può lavar via. Percorreva di proposito ogni giorno quella stessa strada che costeggiava il lungomare, era una rassicurante costanza, quella che gli donava. Ogni giorno la superficie acquea era identica al giorno precedente, e, per ragioni che solo Haruka può comprendere, egli ci rivedeva la conferma che il delfino stesso rimaneva identico, fedele a se stesso e alle proprie convinzioni.
   Inutile dire che la frenesia di Tokyo, l’incontro con il bizzarro Ryuuji, e il desiderio di mantenere la promessa fatta a Ikuya circa sei anni prima, sconvolsero tutte le sue certezze.
   Ma tutto sommato, Haruka riconosce che sia stato un bene. Questo cambiamento è giunto al momento propizio, approfittando del fatto che il giovane fosse all’apice delle sue forze, benché sul baratro di una nuova crisi esistenziale, che, se possibile l’ha reso ancora più temerario e pronto a rischiare, a dare tutto se stesso per esaudire i suoi desideri, realizzare i suoi sogni e salvare i suoi amici. Da eroe, come lo definì Ikuya.
   Sicuramente la novità che Haruka, famoso per il suo motto “Io faccio solo free”, ora partecipa pure alla staffetta individuale pur di gareggiare con Ikuya, perturberà Rin a tal punto che la sola idea lo fa sogghignare trionfante. È sempre un piacere cancellare quel ghigno saccente dal volto dell’ex capitano della Samezuka.
   «Avete idea su dove possa essere?», chiede dopo un po’ Makoto, distogliendo Haruka dal suo rimugino, il quale si assesta sul posto smarrito, gesto improvviso che fa scontrare il petto di Asahi contro la sua schiena, il quale non può evitare di soffocare un’imprecazione.
   No, non ha la più pallida idea di dove possa essere Ikuya.
   «Forse è agli allenamenti», ipotizza il più alto del trio.
   «Ne dubito a quest’ora», ricusa il rosso, «Conoscendolo è probabile che sia già tornato a casa».
   «Di venerdì sera?», puntualizza Makoto.
   Gli altri si voltano a studiarlo, senza comprendere dove voglia andare a parare.
   «Domani non ci sono lezioni, magari è uscito a divertirsi», spiega l’ovvietà.
   «Ikuya? A divertirsi?», Asahi scuote a destra e a sinistra il capo, «Non è da lui».
   «E tu che ne sai?», rimbecca Haruka.
   «Si allena dalla mattina alla sera. Quando non si allena, studia e oltre a noi, l’ho visto parlare solo con Toono. Non ha sta gran vita sociale», si porta i palmi ai fianchi, soddisfatto del suo resoconto sull’asocialità dell’amico.
   «Disse quello che quando non è in piscina, è al bar della sorella o a fare lo zio-sitter».
   L’espressione sagace di Asahi vacilla, «O-oi!».
   Sta per scoppiare l’ennesimo battibecco tra i due amici/rivali, diverbio che prontamente Makoto smorza sul nascere, tirando una manata ad entrambi i litiganti. O forse in questa situazione è meglio dire che sia merito del fato, se il bisticcio non ha tempo di sedimentare e trasformarsi in lite.
   «Guardate là», indica una vetrina dall’altro lato della strada, dietro al quale ha appena scorto sparire l’immagine di un trafelato Ikuya, inglobata dalle porte automatiche dell’edificio.
   I tre alzano lo sguardo sull’insegna del palazzo – un multisala – poi si lanciano un’occhiata d’intesa e senza aggiungere una parola, accorrono all’attraversamento pedonale più vicino, varcano la soglia e si mettono in fila, divisi dall’ignaro Ikuya giusto da un ridotto gruppetto di ragazzine, al pedinato basterebbe voltarsi per sorprenderli in pieno sulla scena del misfatto.
   Aguzzano l’udito, quando sentono la voce grave dell’amico delle medie ordinare due biglietti al commesso per Resta con me4.
   «“Resta con me”?», pone esterrefatto Asahi, «Cos’è un film d’amore?».
   Haruka fa spallucce, ma subito aggiunge: «Ha comprato due biglietti».
   «Non dirmi che…».
   «In effetti è possibile», continua Makoto, afferrandosi il mento tra indice e pollice, pensieroso.
   «Di che cosa state parlando?», domanda il delfino confuso – come al solito non ci arriva proprio quando si tratta di sentimenti, soprattutto quando si tratta di relazioni amorose. Potrebbe passargli difronte un aereo con lo striscione Ti amo, Nanase Haruka che comunque non coglierebbe il messaggio. Proprio come non ha colto l’interesse che la sorellina di Mikoshiba nutre per il freddo e apatico cetaceo.
   «No, non può essere», protrae le sue chiassose riflessioni Asahi, «Stiamo parlando di Ikuya. Non può essere lui il primo tra noi».
   «Il primo in cosa?».
   Il compagno di squadra sta per rispondergli, con quel suo tono irascibile con cui di consueto si esprime, ma è la voce cordiale di Makoto, mentre parla con il commesso alla cassa, che lo fa desistere dal dare aria alla sua boccaccia.
   «Tre biglietti per “Resta con me”, grazie».
   «Non voglio vedere una commedia romantica», dichiara con stizza il cinabro, imbronciandosi.
   «Sei stato tu a voler tenere d’occhio Ikuya», ribatte il corvino.
   «Io?!», sbraita, mentre un ragazzo all’ingresso delle sale cinematografiche strappa i biglietti dei tre, folgorando il rumoroso primino coi suoi caustici occhietti neri, velati dall’alone delle lenti a contatto.
   «Sei tu che hai detto di essere in pensiero per Ikuya».
   «Ma non sono io quella che ha deciso di punto in bianco di andarlo a cercare, e neanche di pedinarlo», punta le iridi eliotropo in quelli irlandesi di Makoto, in un evidente rimprovero.
   «Eh?».
   «Sala 11», prorompe l’addetto, scocciato dall’insensato quanto fastidioso discorso.
   Oltrepassano il tornello e, con Asahi in testa, si dirigono al bancone dei popcorn, «Se devo subirmi un’ora e mezza di sbaciucchiamenti, voglio almeno una ciotola gigante di popcorn a tenermi compagnia». Ordina alla cassa la dimensione maxi e una coca-cola nel medesimo formato, gli altri lo imito, fatta eccezione per il granoturco scoppiato ricoperto di caramello.
   Quando entrano in sala i trailer pubblicitari sono già iniziati, Haruka è obbligato a far luce sui biglietti con il display del cellulare, perché in quella penombra si vede a malapena dove mettere i piedi, figuriamoci se riescono a leggere le scritte minuscole su un foglietto.
   Prestando attenzione ai gradini delineati dai led blu, raggiungono la fila 9, si accomodano nei posti centrali a loro designati e, proprio mentre sistemano le rispettive bibitone nell’apposito contenitore, notano la nuca di Ikuya che svezza oltre il sedile della fila davanti a loro.
   «Finalmente un po’ di fortuna», sussurra il farfallista, indicando il ragazzo, «Riuscite a vedere con chi è?».
   I due accompagnatori fanno segno di no con la testa. Da ambo i lati Ikuya è affiancato da ragazze.
   «Quindi è qui con una ragazza!».
   Makoto si appoggia al sedile con già la sua coca tra le dita e la cannuccia vicinissima alle labbra, «Shhh, sta iniziando il film».

[3] È una gazzosa molto conosciuta in Giappone, famosa per il design della bottiglietta Codd. La bottiglia è realizzata in vetro e sigillata con una biglia, tenuta in posizione grazie alla pressione del gas introdotto per la carbonatazione nella bevanda. Per aprire la bottiglia viene fornito un dispositivo apri-bottiglia che serve a spingere la pallina di vetro verso l'interno e a far uscire il gas. Dopo l'apertura, la biglia rimane nel collo della bottiglia dove può essere scossa a mo' di sonaglio. Grazie a questa particolarità, la bevanda è conosciuta anche come mabu soda o marble soda (bevanda a biglia) al di fuori del Giappone.
[4] Film del 2018 diretto da Baltasar Kormákur. La pellicola, tratta da una storia vera, ha per protagonisti Shailene Woodley (Divergent) e Sam Claflin (Hunger Games).

Note d'Autore
Eccoci qui con un nuovo capitolo!
Spero vi sia piaciuto anche quest'altro e che vi abbia divertito almeno un po', nonostante sia un capitolo inframmezzo che collega il capitolo precendete a quello che seguirà.
Appuntamento a settimana prossima!

See you next water time (quanto mi era mancato dirlo!),
Claire DeLune

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Brutte sorprese ***


3.
Brutte sorprese
 
   «Tutto bene, Ikuya-kun?», bisbiglia Chiara per non disturbare gli altri spettatori in sala, intrecciando le dita a quelle del nuotatore.
   Il ragazzo accenna un sorriso fiacco, «Sono solo un po’ stanco».
   «L’allenamento è stato pesante?».
   «Oggi sì».
   La senpai poggia la guancia sul deltoide tonico di lui, e subito ogni singolo muscolo del giovane si irrigidisce a causa del gesto, nonostante lotti contro l’istinto di interrompere il contatto: averla così vicina a sé è davvero troppo bello per lasciarsi condizionare dai dogmi culturali con cui è cresciuto, «Se sei stanco, potevi dirmelo, avremmo rimandato a un’altra volta».
   Ikuya fa un bel respiro profondo, mettendo a tacere quella vocina tediosa che gli intima di fare il contrario, e poggia la guancia sul capo di lei. La sente sorridere, mentre l’epidermide di lui va a perdersi tra i setosi capelli di lei, «Sto bene qui».
   I fotogrammi della pellicola proseguono imperterriti, dando vita a un film adrenalinico e da cardiopalma, sebbene il tema collante sia una drammatica e avvilente storia d’amore, dove l’avventura da protagonista indiscussa diventa cornice.
   Lo stile di Baltasar Kormákur è inconfondibile, è crudo e brutale. Non ci si aspetta nulla di migliore o diverso da qualcuno che proviene da un paese come l'Islanda, dove gli inverni sono più freddi, i venti più minacciosi, le piogge più intense rispetto a qualunque altro paese nel mondo.
   Baltasar Kormákur è un montanaro e un navigatore, un vichingo, come scherzano alcuni, e fra le sue ossessioni vi è sempre la lotta, spesso impari, fra l'uomo e la natura. Una natura che non è "matrigna", che non tradisce né punisce senza ragione, ma che comunque presenta il conto a chi la sfida, perché per ogni istante di pura beatitudine davanti a un tramonto rosso-arancio sopra la linea dell'orizzonte c'è un cataclisma, o meglio una tempesta. Quella di Everest5 era di neve e ha portato alla morte di ventidue scalatori. Quella di Resta con me ha colpito invece una barca a vela che da Tahiti cercava di raggiungere San Diego e che era guidata da Tami Oldham e Richard Sharp, due ragazzi profondamente innamorati.
   Mentre continua la visione, Ikuya non può fare a meno di arrivare alla conclusione che il film in questione sia ricco di cliché, quasi che a tratti il termine “classico”, con cui si può definirlo, fa rima con “già visto”. Cliché che, tuttavia, al posto di annoiare, appassionano, grazie anche al fatto che la cronaca del naufragio in mezzo al Pacifico viene alternata con i ricordi della protagonista, che cominciano con la nascita della passione fra i due personaggi e finiscono con l’approssimarsi della tragedia, in un intreccio tra presente e passato, che evita il sentore claustrofobico di novantatré minuti di film sullo stesso yacht, e che, magistralmente, riservano la rivelazione sull’uragano solo alla fine, lasciando lo spettatore a crogiolarsi in un brodo di suspense e aspettative.
   È un thriller avvincente.
   Certo, è un po’ melenso per i gusti del nuotatore, ma almeno è realistico.
   Peccato che non riesca a gustarsi fino in fondo il film – il primo che va a vedere con una ragazza. E non una qualunque, ma la sua –, a causa del continuo vociare che soggiunge al suo finissimo udito dai posti alle sue spalle.
   A un certo punto, avverte uno sbuffo soffocato, come se la persona dietro di sé avesse appena ricevuto una gomitata nel costato, – non che non se la sia meritata la persona in questione: Asahi –, e decide che, no, ora non ne può più di far finta di niente. Solleva il capo da quello di Chiara, intento a voltarsi e dirgliene quattro a quei maleducati, che stanno rovinando l’appuntamento più intimo della sua vita, ma, per grande fortuna dei tre sciagurati amici del nuotatore della Shimogami, le minuscole mani della ragazza raccolgono il viso gentile di Ikuya, costringendolo a guardarla, «Ignorali».
   «Ma---».
   «Ikuya», si limita a pronunziare lei, con un’inflessione scandita, chiara, sicura, quasi autoritaria, così intransigente da impedire, quasi, al giovane di notare il nuovo grado di affettuosità nel suo richiamo.
   Il kun è scomparso.
   A parte i suoi amici più stretti e Natsuya, nessun altro si era permesso una tale confidenza nei suoi confronti.
   Non che a Chiara non la potesse concedere, a partire dal fatto che è pur sempre una sua senpai, che è suo diritto essere informale con lui, ma ancora non è pratico con le dinamiche tra fidanzati.
   In primis, perché Chiara è la sua prima ragazza, nonché l’unica che finora abbia attirato la sua attenzione.
   In secondo luogo, il background culturale della giovane è ben diverso dal proprio. Consapevolezza che non fa che agitarlo maggiormente, teme di cannare tutto con lei, di non comprenderla, di perderla e se ciò accadesse, sa già, in cuor suo, che lo distruggerebbe.
   Si può amare una persona dopo un solo mese di frequentazione? Ci si può innamorare così pazzamente di qualcuno, quando prima non si provava il ben che minimo interesse verso l’altro sesso? E non che non ne avesse avuto occasione. Frequentava un liceo misto e non è mai stato cieco; è sempre stato circondato di ragazzine infatuate, le scatole di cioccolatini e dolcetti vari sul suo banco il giorno di San Valentino ne erano la prova lampante. Eppure, solo dopo aver incontrato Chiara ha scoperto cosa significhi avere un tuffo al cuore, percepire il proprio corpo leggero come una piuma, nonostante i sensi siano tutti in allerta, vigili a percepire il ben che minimo segnale, perché, dannazione, le ragazze lanciano continui messaggi subliminali, spesso difficili da cogliere. Aggiungiamo che Chiara è straniera e la disfatta di Ikuya è assicurata.
   La ragazza abbozza un sorriso, soffiando sulla bocca di lui, «Puoi togliere il suffisso», risponde alle sue esistenziali domande inespresse. Avvicina ulteriormente il viso a quello di Ikuya, sul quale si sparge tutto il suo tiepido respiro, e che subito percepisce un immenso calore scaldargli le gote.
   Raccoglie il coraggio, Adesso o mai più, e, nervoso, si getta sulle labbra di lei, incastrandole alle proprie, che si modellano e amalgamano a vicenda, come se fossero state create appositamente per quello. Come due tessere d’un puzzle.
   Un puzzle perfetto.
   Con una mano Ikuya le stringe il fianco, mentre con l’altra le sistema una ciocca di capelli mori dietro l’orecchio, per poi poggiarla sotto di esso, sfiorandole appena la guancia con il pollice e la nuca con il resto delle dita.
Straordinariamente è l’impacciato nuotatore a dirigere il bacio. Un bacio lento, gentile, innocente che via via diventa sempre più coinvolgente e ardente.
   Ikuya si rende conto che anche Chiara lo bramava esattamente come lo agognava lui ed ogni tentennamento svanisce.
   Le dita di lei pian piano scivolano dietro il capo del ragazzo, intrecciandosi ai capelli neri di lui, mentre le carezze si affievoliscono fino a spegnersi.
   I due rimangono così, avvolti dalla penombra, con la sola luce del megaschermo a illuminarli fioca, con le punte dei rispettivi nasi che si salutano e gli sguardi incatenati l’uno a quello dell’altra.
   Un tramonto che si specchia nella sua antitesi: l’alba.
   Due sorrisi dolci compaiono sui volti dei due innamorati, a tratti timorosi per la reazione che potrebbe causare nella piccola folla che li circonda. E, in effetti, una reazione non tarda ad arrivare.
   «Allora è vero!», Asahi balza in piedi, spezzando definitivamente il silenzio religioso che aleggia nella sala, indicando teatralmente il giovane dinanzi a sé, «Ikuya ha… la ragazza?!».

[5] Altro film d’avventura e thirller di Baltasar Kormákur

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Un donburi per dire Ti amo ***


4.
Un donburi per dire Ti amo
 
   Il neoacquisto della Shimogami accorre fuori dalla sala cinematografica, con la mano di Chiara saldamente stretta a sé, e i suoi, per ora odiati, amici alle calcagna, roteando le orbite al cielo ogni qualsivoglia uno dei ragazzi pronunci il suo nome.
   È la voce dell’italiana a convincerlo ad arrestare la sua fuga, «Sapevi che prima o poi sarebbe successo, Ikuya».
   L’interpellato si blocca di colpo, «Ma non pensavo così presto! Ora rovineranno tutto».
   «Che vuoi dire?», chiede lei piegando la testa di lato.
   In tutta risposta il nuotatore si gratta nervosamente la nuca, «Mi prenderanno in giro».
   La ragazza si divincola dalla sua presa, incrociando le braccia sotto al seno, raddrizza la posizione e riduce gl’occhi a mandorla in due fessure, «Ti vergogni di me?». Le sue parole sono una stilettata dritta al cuore di Ikuya, che non può evitare di lasciar cadere le braccia molli lungo i fianchi sconfitto, svuotato.
   Non è così che doveva andare.
   «No, no, certo che no», si affretta a rimediare al danno lui, inglobando le minute dita di lei tra le sue, che quasi scompaiono nei palmi larghi del giovane, «È di loro che mi vergogno».
   «Ah, grazie tante», rimbecca Asahi, comparso al fianco dei due, costringendo il ranista a sbuffare sonoramente.
   «Ikuya non ha tutti i torti», prorompe Haruka, «Sei imbarazzante».
   «Haru!», lo rimprovera bonariamente Makoto, sovrastando il suono gutturale che risale la trachea del farfallista.
   I quattro amici cominciano a battibeccare tra loro animatamente, in particolare Ikuya e Asahi, che, come sono soliti fare dai tempi delle medie, interrompono a vicenda l’uno le frasi dell’altro con insulti più o meno pacati. Sono talmente presi dal loro puerile bisticcio, che sembrano dimenticarsi della presenza di una quinta persona che, passato il fulmineo attimo di confusione, scoppia a ridere in una fragorosa e trillante risata, richiamando su di sé tutta la loro attenzione.
   Chiara fa un passo in avanti, aggrappandosi al braccio sinistro del fidanzato, «Voi dovete essere gli amici di Ikuya».
   Annuiscono, presentandosi a turno e Chiara imita il gesto, inchinandosi a sua volta, rendendo noto il proprio nome.
   «Dato che siamo tutti qui, che ne dite se andiamo a mangiare qualcosa da qualche parte, tutti insieme? Così possiamo conoscerci meglio», propone lei. Batte le mani tra loro quando il trio accetta l’invito, «Fantastico!», afferma lei, prendendo per mano Ikuya, mettendosi in testa al gruppo.
   «Kawaii», esalano in coro i tre studenti dell’Hikada, più per la nonchalance con cui ha unito le dita a quelle di Ikuya – gesto improbabile, se non addirittura impossibile, da parte di una loro connazionale – che per il tono sicuro e gioviale con cui ha sedato quel momentaneo dissapore. È incenerente l’occhiata bieca che ricevono dall’unico membro della Shimogami, ingelosito dall’aggettivo. Recepita l’antifona, Asahi solleva le mani sopra la testa in segno di resa.
   Chiara-san è off-limits.
   «Cosa ti va di mangiare?», la sentono chiedere al novello fidanzato, «So già che segui una rigida dieta», discosta lo sguardo, mentre sbuffa un sorriso di scherno, «Atleti…».
   «Cos’è quel sorriso?», domanda accigliato Ikuya, avvertendo la lampante nota di sarcasmo nella sua voce sottile.
   Fa spallucce, replicando vaga, «Mm… niente, stavo solo pensando che è davvero triste la vita degli sportivi. Così piena di regole…», fa una breve pausa, riservandogli uno sguardo improvvisamente ricco di significato, nel quale il ragazzo riconosce chiaramente una punta di malizia, «Ma se servono per avere un fidanzato sexy e con un corpo da favola, non mi dispiace affatto seguirle», abbassa l’intonazione per evitare che il periodo raggiunga orecchie indiscrete. Lo scruta con la coda dell’occhio per cogliere ogni sfumatura dell’eloquente espressività del volto di Ikuya, il quale sta passando repentinamente da un colorito tenue e calmo, a uno esangue quando le sue orecchie colgono i suoni, per finire con un fucsia pervinca non appena il cervello registra la parola sexy e la sua definizione compare a darle significato.
   S-sexy?! Corpo da favola?!
   All’istante il corpo di Ikuya si paralizza dall’imbarazzo più totale e viscerale; è così forte il turbamento che prova, e soprattutto così visibile, che deve lottare con tutte le sue energie contro l’istinto di slegare l’intreccio delle loro dita e coprirsi il viso arrossato con entrambe le mani.
   «Chiara-san…», riesce finalmente a dire, non ancora del tutto libero dal disagio, ed è per questo che ricade nel distaccato utilizzo delle onorificenza.
   Una risatina accorta fuoriesce dalle labbra a bocciolo della senpai, «Sei così giapponese», si solleva sulle punte per guardarlo meglio in faccia, «Mi fai venire voglia di dirti più spesso cose del genere».
   Lo sguardo che le lancia è colmo d’inquietudine, Non puoi farmi questo: è davvero troppo personale per me…
   La bruna ridacchia di nuovo, ma risulta più limpida e genuina stavolta, anche i suoi occhi azzurrissimi, quasi trasparenti, lo dimostrano, tornando alla loro connaturata purezza, «Non ti preoccupare. Te lo dirò solo in privato. Però…», lo studia da sotto le ciglia lunghe e nere, incurvate dal mascara, «… non dovresti reagire così difronte alla verità. Sono sincera quando dico che sei bello, e che si vede la dedizione che hai nel nuoto. Non potresti avere un fisico del genere se così non fosse, e ciò ti fa onore. Non tanto per l’aspetto che ti ha regalato, quanto per la passione che ci metti nel farlo. Ti ammiro per questo». L’occhiata che gli dona è romantica e penetrante, quella di Chiara non è ingannevole sagacia e smancerie illusorie, no, lei è sincera, limpida, cristallina, senza doppie facce.
   Pulita.
   Semplice.
   Schietta.
   Perciò Ikuya ha scelto lei. Perciò si è innamorato di lei. Si sente al sicuro in sua presenza, non necessita di barriere contro stratagemmi ed equivoci. Sotto gli occhi intelligenti e lucidi di Chiara sa di poter essere se stesso fino in fondo, senza maschere, senza dover ricorrere alla solitudine per evitare di essere ferito, senza dover dimostrare di essere forte, perché tanto lei accetta anche le sue debolezze, le sue fragilità, tutte quelle che egli stesso non ha mai digerito, anzi, le piacciono pure.
   È con questa convinzione che raccoglie il viso delicato di lei e, incerto, la bacia lì, in mezzo alla strada, in mezzo alla nutrita folla che occupa i marciapiedi di Tokyo a tutte le ore del giorno e della notte, proprio davanti allo sguardo attonito dei suoi stupidi e chiassosi amici.
   «Voglio un donburi6», dichiara poi, con un timbro di voce che sembra voler dire tutt’altro, ma ancora non è pronto a pronunciare a voce alta quel verbo che inizia con la A, non lì davanti a tutti. Non è né il luogo né il momento adatto. Vuole che sia speciale quando le rivelerà i propri sentimenti.
   Chiara abbozza un sorrisino comprensivo ma compiaciuto al contempo, dicendo: «Che coincidenza, pure io».
   La ragazza torna ad aggrapparsi al braccio ginnico di lui, mentre riprendono a marciare verso la tavola calda a cui sono diretti, non perdendo occasione per sussurrargli: «Comunque i tuoi amici non sembrano poi così male».

[6] Piatto tipico giapponese composto da un letto di gohan (riso bollito) aromatizzato con sopra sashimi oppure carne e/o verdura cotti al vapore o fritti. Il chirashi è un tipo di donburi.

Note d'Autore
Ed eccoci arrivati alla fine della nostra mini-long! 
Lo so, è stata breve come era stato preannunciato, ma mi sento piuttosto soddisfatta del risultato, non sentivo necessitasse di altro per trovare una conclusione a questa Slice of Life su Ikuya.
Spero con tutto il cuore che vi sia piaciuta, che non vi lasci l'amaro in bocca per come è finita o per la sua durata molto ridotta, e che vi infonda la dolcezza che desideravo trasmettere attraverso questa FF piccina picciò.
Grazie mille ha tutte coloro che hanno letto la storia e a chi mi ha dedicato del tempo per recensire!

Un caloroso abbraccio,
Claire DeLune

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3790508