Dangerous Game

di chiara_raose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** M032 ***
Capitolo 2: *** M001 ***
Capitolo 3: *** M054 ***
Capitolo 4: *** M055 ***



Capitolo 1
*** M032 ***


PART I

«Hai finito di mirare alle farfalle?!»
«E tu hai finito di alitare su quel dannato microfono invece di venire ad aiutarmi?!»
«Sono leggermente occupato a colpire i bersagli giusti!»
«Te la faccio vedere io la mira-»
«Dateci un taglio voi due!»
Keith sbuffò leggermente, stringendo maggiormente le dita attorno ai comandi. Non si mosse troppo nel girarsi, col timore di sbattere contro un mobile. Okay li aveva spostati come al solito così da concedersi i movimenti necessari per il gioco, ma la prudenza non era mai troppa viste le passate esperienze coi lividi.
«Garry preparati, Pidge a che punto è il caricamento?»
«Ancora cinque secondi»
La voce di Shiro e della ragazza nelle orecchie grazie alle cuffie bluethoot, sostenute come meglio è riuscito ad incastrarle col visore.
 
«Dovrebbe aver terminato di caricare a breve anche il nostro amico»
«Pronti alla carica?»
Alla voce di Charles si ritrova a lasciarsi sfuggire uno sbuffo divertito «Io sono nato pronto»
«Sì sì, abbassa la cresta»
«Da quale pulpito, vero?»
«Perchè IO posso, ovviamente»
«Ragazzi, pronti»
 
Le dita assaporano i sensori sui due joystick mentre l'immagine che gli si proietta dinanzi è di uno spazio aperto dietro dei comandi creati digitalmente. Stelle e universi che l'immaginazione di qualche genio ha creato. Si osserva attorno, non lasciandosi sviare dai comandi illuminati di una luce rossa intensa, viva, vibrante e carica. Cerca su un ologramma alla propria sinistra la posizione dei compagni, identificati su una griglia e su una mappa dei corrispondenti colori: nero, blu, verde e giallo. Si deve ricordare di togliere la visione della griglia dalla mappa -troppe linee lo confondono spesso.
«Ora!»
 
La voce di Shiro riecheggia nelle orecchie, portando lo sguardo di Keith a indirizzarsi nuovamente dinanzi a sè, dove da una grande nave prendono a formarsi, come piccole formiche appena nate, una serie di piccole navicelle nere e viola. Le dita premono sui sensori, dando nuovamente il via a quella lotta.
 
* * *
 
«Uao quanti punti!»
«Garry, non dirmi che fai l'ingordo anche coi punti ora»
«Almeno quelli non fanno ingrassare»
Dal silenzio che ne seguì, Keith intuì che non era divertente quanto aveva sperato.
«Che c'è?»
«Non merita neanche un mio commento»
«Basta bisticciare ragazzi; il raid è finito, possiamo firmare i trattati di pace?»
 
Keith sogghignò riuscendo a inarcare un sopracciglio dietro il visore. Il suo sguardo seguì per un momento la figura di Shiro e dell'alterego che si era creato: un mezzo androide alto con le spalle pronunciate e un braccio robotizzato; i capelli scurissimi decorati di una ciocca candida sulla fronte e una vistosa cicatrice sul setto nasale. Per il resto Keith dovette ammettere che era stato abbastanza fedele alla realtà.
 
«Abbiamo raggiunto l'obiettivo?»
«No, non ancora» rispose la piccola umana dai capelli castani e corti al punto da sfidare qualsiasi legge gravitazionale. «Siamo ancora lontani, siamo a quota 32»
«Ancora?!»
Keith non badò molto all'alterego di Garry che, nella sua tuta caratterizzata dal colore giallo, mimó una sorta di disperazione mista a stanchezza mal repressa. La sua mente fu rapita dalla figura di Charles, in un angolo: i capelli corti con le ciocche più lunghe ai lati del viso, candide come neve, che carezzavano la pelle ambrata. Le orecchie a punta, lunghe e impreziosite da una serie di orecchini e catenelle dorate, come molti altri accessori tra bracciali -e non solo- che l'altro si portava sempre appresso.
«Charles?»
Si ritrovò a chiamarlo, avvicinandosi con tranquillità per attirare la sua attenzione. «Tutto bene?»
Vide l'alterego altrui guardarlo con quegli occhi azzurri contornati da marchi luminosi sulle gote, prima di notare il movimento meccanico della grafica che lo fece annuire.
«Certo! Temo solo che, per vostra immensa sfortuna, io debba fare un log out un po' frettoloso»
Per un lunghissimo momento Keith non seppe se rimpiangere il fatto che stesse preoccupandosi o se reagire al solito carico di ego altrui.
«Famiglia?»
«Già... bè ci vediamo allora! Buonanotte a tutti ragazzi!»
Un saluto allegro e vide la figura altrui svanire pian piano assieme alla tuta bianca e blu.
 
Tempo forse cinque minuti e anche Pidge e Garry seguirono il suo esempio, lasciandolo solo con Shiro.
«Ehy, tutto bene?»
«Sì, certo»
«Sei silenzioso»
«Dimmi qualcosa che non so»
Il tono ironico di quell'ultima frase ebbe la forza di far ridacchiare Shiro. Keith sorrise soddisfatto di quella piccola conquista personale.
«Davvero, se c'è qualcosa, puoi sempre alzare il telefono e chiamarmi»
«Lo so, solo-» la voce si spense in gola per un secondo, smorzandosi in un sospiro «Solo era più facile quando abitavi qui dietro»
Cadde il silenzio. Un silenzio pesante, nostalgico, nel petto del ragazzo. Keith sperò che Shiro non comprendesse la moltitudine di significati dietro le sue parole. Shiro era un fratello, l'unico amico che avesse davvero mai avuto, ma stavolta sperò diventasse cieco e sordo. Stava davvero rimpiangendo di aver aperto bocca. Soffocò un secondo sospiro, mentre lo sguardo scivolò sull'ambiente creato digitalmente: l'ambiente sicuro di una nave spaziale; una sorta di castello reso tale per lo più. Un ambiente sicuramente più interessante del proprio pavimento di casa.
Quel silenzio stava cominciando a stargli stretto, però.
 
«Shiro, senti...»
«Lo so. Tranquillo, sono fiducioso che troverai amici anche al di fuori di questo gioco»
Beccato.
«Shiro-»
«Ti ho suggerito il gioco per farti sciogliere, non per evitare il problema»
«Io non ho nessun problema»
«Keith, sul serio-»
«Devo andare»
Shiro esitò in silenzio e Keith lo sentì sospirare nel microfono.
«... D'accordo, si è fatto tardi in fondo. Ci sentiamo?»
Annuì istintivamente, sapendo che il proprio alterego stava mimando i suoi stessi e brevi movimenti. La mano destra salì al visore, tenendo premuto il pulsante che l'avrebbe fatto uscire dal gioco con la solita sigla animata: Voltron - Legendary Defender.

 
PART II

Keith quando aprì gli occhi la mattina successiva, aveva solo voglia di distruggere la sveglia contro il muro. Com'era possibile che l'estate fosse già finita? Si rigirò nel letto, osservando il soffitto della propria camera e provando a lottare contro le palpebre che volevano irrimediabilmente chiudersi. Dietro di esse, già immaginava la scena muta, quando lo avrebbero presentato alla classe come nei film. Che poi, accadeva davvero così?
«Keith, alzati che fai tardi»
«Sto male» borbottò facendo uscire un tono di voce più scocciato di quel che avrebbe voluto, ancora ovattato dal sonno.
«Muoviti pigrone»
Il primo giorno. Sua madre ci tenne troppo all'idea di accompagnarlo fino a scuola, anche solo perchè imparasse la strada o i posti dove prendere il pullman.
«Puoi lasciarmi qui»
«Sicuro?»
«Sicurissimo» si affrettò a rispondere, mentre scendeva dall'auto, a un paio di centinaia di metri dall'ingresso. Non aveva idea di quale mentalità avessero le persone che da quel giorno lo avrebbero circondato, non voleva partire con un passo falso. Almeno ci voleva provare.
L'edificio si presentava come una struttura molto quadrata; nel senso letterale del termine. Era grande, molto grande, immensa avrebbe osato dire. I mattoni rossi contornati, sugli angoli, da quelli di colore più chiaro; due file di finestre e tutte con le arcate sulla cima. La facciata principale aveva un ingresso sobrio, senza colonne o porticati, ma due brevi rampe di pochi gradini. Il sentiero asfaltato che, come un corridoio, invitava alle scale d'ingresso era circondato da un prato verde ben curato e da alberi che ancora non si rassegnavano all'idea di dover far cadere le loro foglie. La scuola sembrava abbracciare quel giardino con due strutture che venivano più avanti rispetto alla facciata principale. Non sembrava solo quadrata, lo era anche all'interno; il corridoio percorreva il perimetro della scuola disegnando un quadrato. Anche le decorazioni del pavimento erano in tema quadrati. Keith corrugò la fronte sentendosi vagamente circondato da figure geometriche, mentre avanzava con calma lungo il corridoio. Sistemò la tracolla sulla spalla, soffocò la voglia di mettersi le cuffie e tornò a ignorare la folla di gente che entrava con lui percorrendo la strada verso le aule con la sicurezza che, in linea teorica, avrebbe avuto anche lui tra qualche mese.
Dopo un paio d'ore con il conselor... Keith si accorse che non erano due ore solo quando adocchiò l'orologio sulla parete. Dio; sembravano passate già due ore anzichè mezz'ora. Il problema era che ora, sulla porta in fondo al corridoio a sinistra, lo aspettava la tortura peggiore: la presentazione alla classe. Prese un respiro profondo, trascinando i piedi con lentezza per ritardare fino all'ultimo quel fatidico patibolo.
"Ciao, sono Keith". No, sembrava sciocco partire con un banale 'ciao'. Forse era meglio partire senza un saluto? Semplicemente presentarsi: "Sono Keith Kogane". Meglio. La figura del burbero scorbutico che non saluta era migliore di quella dell'idiota che in realtà è terrorizzato dall'idea di essere troppo al centro dell'attenzione.
«LAARGOOO»
Quell'urlo lo fece sobbalzare, portandolo a voltarsi e l'istante successivo, ad aggrapparsi alla parete con una mano. Sorresse la borsa che stava cadendogli dalla spalla, osservando la schiena del ragazzo dai capelli castani che era appena passato di corsa. «EHY!»
«SCUSA SONO DI FRETTA!!»
"Per forza, visto il ritardo!" Lo osservò sparire dietro l'angolo e, mentalmente, Keith memorizzò le principali caratteristiche del ragazzo così da individuarlo ed evitarlo in futuro: pelle leggermente scura, capelli castani. Saranno sufficienti.
Tutto procedette meglio del previsto in classe, fino al cambio ora, dove si diresse al proprio armadietto scoprendo anche che era leggermente difettoso. Osservò il sistema a scatto dell'armadietto inarcando un sopracciglio prima di battere un pugno sul freddo e sottile metallo, vedendolo aprirsi quasi in automatico, spalancandosi per riflesso. Molto sicuro e a prova di ladri...
Delle voci sottili lo distrassero per qualche secondo, portandolo a inquadrare un gruppo di tre ragazze che, non appena incrociarono il suo sguardo, si voltarono parlottando tra loro. Keith sospirò, tornando al proprio armadietto.
«Non è colpa mia se finisco sempre in queste situazioni!»
«Ah no?»
«Ovvio che no!»
«Lance, lo dico per il tuo bene, illudersi non risolverà il problema di essere un ritardatario cronico»
«Sempre molto incoraggiante, Katie.»
I due armadietti accanto al proprio si chiusero in contemporanea con un colpo secco e Keith si ritrovò a incrociare il viso del ragazzo di quella mattina. «Tu-»
Una ragazzina più giovane di loro e coi capelli castani molto chiari legati in una coda alta, li osservò alternando gli occhi da uno all'altro dopo il coro che avevano fatto di quel semplice monosillabo. «Volete stare così ancora per molto a fissarvi?»
I due rimasero in silenzio a fissarsi, studiandosi l'un l'altro, neanche fosse cominciata chissà quale sfida. Fu il castano a sciogliersi per primo, con un leggero sospiro. «Scusa per l'incontro traumatico. Io sono Lance!»
Keith lo osservò porgergli la mano, alternando lo sguardo dalle dita agli occhi di un blu intenso. Non si accorse di non aver avuto reazione alcuna per, forse, un arco di tempo troppo lungo; almeno finchè non vide Lance inclinare il capo.
«Il gatto ti ha mangiato la lingua?»
«Non ho nessun gatto»
«... Lasciamo perdere» Lance alzò le mani in segno di resa, mentre Keith si stava dando del perfetto idiota.
«Io sono Katie. Sei nuovo giusto?»
«Sì...» si notava così tanto?
«E qual'è il tuo nome?»
«Keith»
Lance gli sorrise dandogli una sonora pacca sulla spalla, iniziando a parlare a raffica. Scoprì così che Katie era più piccola di loro... decisamente più piccola. Era al primo anno mentre loro erano al quarto. Non domandò come si fossero conosciuti. Lance gli parlò anche di un altro ragazzo, Hunk, che quel giorno non era presente. Parlò e parlò, Dio quanto parlava! Aveva fatto bene ad annotarsi di stargli lontano!
C'era solo un grosso, enorme, immenso, gigantesco, titanico problema: ogni volta che Lance sorrideva, Keith aveva la sensazione di cadere nel vuoto.
Brutto, bruttissimo segno.

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Capitolo 2
*** M001 ***


Okay, una bella stretta di mano e congratulazioni a chi leggerà anche questo secondo capitolo! Sarà un po' lungo questo flashback ma spero possa piacervi e rendervi chiare un paio di cose riguardanti l'ambientazione e il gioco in questione. Ringrazio anche LanceTheWolf per il sostegno inconsapevole nella recensione e Eisen im Blut per la sopportazione della mia persona durante le ricerche di idee e consigli.


 
PART I

Una giornata a dir poco pessima non poteva di certo peggiorare, giusto? Keith ricordò di averlo pensato chiaramente quella sera, accettando l'insistente suggerimento di Shiro: tentare la follia. Sarà divertente, gli aveva detto; anzi, garantito. Shiro era l'unico vero amico che aveva avuto in tutti quegli anni, un minimo di fiducia poteva concedergliela. Specialmente ora che, per via del trasloco, saranno costretti a separarsi di parecchi chilometri.
«Così almeno ti posso tenere d'occhio quando sei online»
«Grazie, avevo giusto bisogno di un secondo papà»
Lo prese in giro, potendo scommettere sul fatto che Shiro aveva alzato gli occhi al cielo. Per fortuna lo risparmiò da battute, vista la morte prematura del padre biologico. Dopo la sua morte, sua madre si era presentata a casa dopo averlo abbandonato, reclamando il figlio ora che non c'era più qualcuno a prendersi cura di lui. Keith non aveva mai voluto ascoltare le motivazioni che l'avevano spinta ad andarsene; ma, vista la situazione, non aveva potuto opporsi alla sua decisione di riprendere in mano le loro vite. Era ovvio che scegliesse lo stipendio piuttosto che mantenere la scuola, le amicizie o le abitudini di Keith. No, non si era stupito del fatto che avesse deciso di trasferirsi vicino al lavoro... E no, non l'aveva presa ugualmente bene.
 
Keith sospirò, o per meglio dire, sbuffò provando a districare i vari cavi. Shiro e un altro paio di amicizie avevano fatto una colletta per regalargli quella console. Di seconda mano, certo, ma sufficiente ad adempiere al proprio obiettivo: distrarlo da quelle che erano le preoccupazioni in casa. Non aveva mai avuto modo di appassionarsi ai videogiochi come molti altri e il groviglio di cavi e adattatori aveva demolito qualsiasi voglia di tentare. Visto quanto era costata, però, con che cuore avrebbe potuto buttarla? Era giusto darle nuova vita. Stava quasi immaginandola come metafora per la propria -di vita.
«Ce l'hai fatta?»
«No... cioè, sì... ma non lo so» rispose incerto, corrugando la fronte e guardando i cavi attorcigliati. «Se entrano nella presa vuol dire che è il posto giusto?»
«Secondo la logica: sì» Lo sentì ridacchiare. Keith decise di ignorarlo, osservando il proprio operato. Un'ondata di irrefrenabile orgoglio lo assalì quando si rese conto di non aver intrecciato nella matassa anche le cuffie collegate al telefono. Prese il visore legandolo alla nuca per regolare la misura e la stretta dei lacci, posizionò il microfono che gli solleticava la guancia e strinse tra le dita i due controller manuali provando a muoverli.
Perché era tutto fermo?
Sentendo il silenzio tombale, Shiro prese il coraggio di romperlo senza troppa fatica: «Tutto bene Keith?»
«Credo di sì, a parte il fatto che non parte»
«Hai installato tutto?»
«Sì»
«Hai inserito il gioco?»
«Sì»
«Hai messo il gioco giusto?»
«Shiro.» lo richiamò iniziando a pensare che lo stesse credendo un idiota.
«Cerco solo di capire. Hai calibrato i sensori?»
Keith rimase in silenzio; sollevò il visore, ancora in ginocchio sul pavimento della propria stanza coperto solo da un misero e vecchio tappeto. «No...»
Se prima aveva temuto che Shiro lo pensasse un idiota, ora quel po' d'orgoglio rimastogli gli impediva di ammettere che aveva ragione.
«Ti lascio a impostare i vari sensori; domani ti aiuto a creare il tuo personaggio, okay?»

La serata era terminata in maniera meno terribile di quanto avesse temuto, grazie a quella promessa.
 
* * *
 
A volte ancora si sorprendeva di dove la tecnologia fosse arrivata. Ascoltava le parole degli altri come incantato. Chissà com’era comodo poter utilizzare la console da seduti o sdraiati senza bisogno di muoversi per la stanza come lui. Grazie al cielo si erano presi un momento di tregua, concedendogli di sedersi con le gambe incrociate. Le braccia tese puntellate sulle ginocchia a giochicchiare con uno dei joystick, tradotto in chissà quale movimento dal proprio alterego. Teneva gli occhi su Pidge che stava raccontando il come si era approcciata al gioco, come aveva iniziato ad entrare in quel mondo. In sostanza lei era stata la prima; aveva fatto la fila al negozio per recuperare una delle prime copie del gioco e si era fatta aiutare dal fratello maggiore a sistemare la console per renderla di ultima generazione. Garry era stato trascinato dal proprio migliore amico che aveva seduto accanto: Charles. Shiro era nel giro da un po’, ma Voltron lo scoprì grazie ad Allura, una nuova conoscenza "on-game" e legata, in chissà che modo, a uno dei creatori del gioco.
«Okay, prossima domanda!» annunciò Garry facendo battere le mani al proprio alterego dalla corporatura massiccia e possente. «Com’è nato il vostro alterego nel gioco?»
«Ricordatemi perchè stiamo facendo il circolo delle confessioni»
«Perchè è divertente! Vuoi dirmi che non sei curioso di sapere come sono riuscito a conquistarmi la razza Altean?»
Non ebbe certezza del fatto che anche l’alterego stesse inarcando un sopracciglio assieme a lui dinanzi alla rivelazione di Charles. «Te la sei conquistata?»
«Certo, c’è chi può avere le cose meritandosele e il sottoscritto è uno di questi»
«Non sono certo che il senso della domanda fosse quello»
«e invece lo racconto perchè Garry me l’ha chiesto» Charles diede un paio di pacche alla spalla di Garry alla propria destra, facendo oscillare tutti i vari gioielli che l’abbigliamento della sua razza gli donava di default. «Inizialmente scelsi la classe del paladino, puntando al gunshooter dal quinto livello. Il mio alterego era figo quanto adesso! Solo non avevo i capelli bianchi.» iniziò indicando la propria tempia «Ogni tre anni, durante l’anniversario di uscita del gioco, viene aperta una quest speciale che, se superi, ti dà la possibilità di ricevere un premio. L’anno scorso ci ho partecipato e in palio c’era la razza Altean»
«Quindi hai vinto tutto da solo?»
«Certo!»
«Hai barato, sicuro»
«Non dire idiozie! Ci ho passato tutta la notte!»
«Ecco perchè non sei venuto a scuola il giorno dopo» intervenne Garry, strappando una lieve risata a Shiro «Quindi hai passato la notte a giocare per avere la razza e poi non sei riuscito ad alzarti la mattina dopo?»
«Detta così non sembra più una cosa bella» mormorò Garry
«Insomma! L’importante è che ci sono riuscito, ora avete un fantastico Altean in squadra e ho fatto la dormita migliore della mia vita quel giorno!»

Le chiacchiere procedettero in maniera tranquilla, dove ad uno ad uno tutti i membri di quella folle squadra si conoscevano meglio a vicenda: Pidge aveva scelto la classe del mago con la specifica di stregone, sfruttando le caratteristiche della razza umana come la maggiore adattabilità e intelligenza. "Tanto forza e difesa le si possono alzare con armi e armature" continuava a ripetere ad ogni tentativo di ribattere. Allura, invece, con quella massa di capelli legati dietro la nuca, aveva scelto la stessa classe ma con l'intento, al quinto livello, di scegliere la specifica di baldo per il sostegno; a detta sua era anche riuscita a recuperare la razza Altean in modi, a parole sue “più semplici”, rispetto a Charles. Garry aveva scelto una razza aliena dopo aver letto la spiegazione della loro indole più pacifica, quieta unita ad una resistenza fisica notevole; il che sposava bene con la classe che nel gioco corrispondeva a quella del Tank con la specifica Mecha, effettivamente.
«Io, bè lo sapete tutti: paladino con la specializzazione ravvicinata e spada…» Shiro fu decisamente breve, allargando leggermente le braccia nell’evidenziare come non ci fosse altro da dire.
«Tocca ad Akira»
«Ora voglio proprio sentire» Keith sentì sogghignare Charles mentre pronunciava quelle parole.
«Sappiamo che sei della classe Assassin; ma perchè hai scelto la razza Galra?» gli domandò Pidge prima che intervenisse Allura.
«Avrà voluto fare un tipo di gioco suo. Che importanza ha perchè ha scelto la razza Galra?»
Keith adocchiò Shiro che stava ridacchiando. L’alterego non lo imitava alla perfezione, ma il modo in cui aveva portato un pugno davanti alle labbra lo conosceva fin troppo bene.
«Perchè sono… forti?» si ritrovò a dire lui, sollevando le spalle, non riuscendo a trovare il motivo del problema. Poteva tranquillamente averla scelta sul serio per quel motivo; hanno statistiche e skills non da sottovalutare, in fondo.
«Sì, ma in genere chi sceglie la razza Galra sceglie il tipo di gioco dell’altra fazione: quella dalla parte dell’Impero.»
Keith osservò di nuovo Allura per qualche secondo, prima di fare un sospiro che riecheggiò nel microfono di Shiro.
«Si era sbagliato.»
«Come?»
«Avevo sbagliato la scelta okay? Ma non potevo tornare indietro, per cui-»
«Sul serio tu hai sbagliato a scegliere la razza per il tuo alterego?»
Alle parole di Charles, Keith fu sicuro di esser avvampato, stringendosi nelle spalle per qualche secondo. Resosi conto della cosa, si ammutolì lasciando perdere le giustificazioni, mentre Pidge scoppiò a ridere.
«Dai ragazzi, è la sua prima esperienza di gioco online, capita a tutti»
«“Akira-posso-fare-tutto-meglio”? Davvero?»
«Basta Charles» intervenne di nuovo Shiro nel tentativo di salvarlo dalla figura pessima che gli aveva appena fatto fare. Purtroppo non poteva fermare il gioco e ricominciare dall’ultimo punto di salvataggio.
Per un momento gli mancarono le vecchie console.
«Comunque, la razza Galra con la classe che hai scelto ci sta bene.» disse poi Charles, col tono di voce più accomodante e tranquillo. «Sei diventato una sorta di spia-ninja» aggiunse facendo qualche gesto con le mani per imitare qualcuno di furtivo.
«Charles ha ragione, i Galra hanno statistiche altissime in combattimento, agilità, resistenza. Sono delle macchine da guerra veloci e letali, ancor di più se legate alla classe di Assassin.» si aggiunse Pidge partendo con le spiegazioni logiche e tecniche che avrebbero giustificato la sua scelta, per quanto sbagliata. «E' un po' come fosse nato così. Non ci si può fare niente»

«Pronti per domani?»
«Sono emozionatissimo!»
«Neanche quando ho fatto la prova per la razza mi sentivo così elettrizzato»
Charles e Garry si diedero un cinque mentre Pidge si sistemò gli occhiali. «Se seguiamo le direttive che abbiamo deciso oggi, supereremo sicuramente tutte le prove.»
«E quando supereremo quelle prove…»
«... Avremo Voltron.»
Ci fu un attimo di silenzio generale, la tipica calma prima della tempesta. Chissà quanti di loro stavano trattenendosi dal balzare in piedi e saltellare. Charles e Garry non si fecero attendere oltre i due secondi. Poco dopo, tutti iniziarono a uscire e svanire in una serie di fasci luminosi, come teletrasportandosi chissà dove. Solo Charles rimase con lui qualche secondo di più.
«Ci hanno lasciati soli soletti eh?»
«Già...» mormorò in un sospiro. «Allora vado…»
«Senti-» lo sentì mormorare, anche se avrebbe giurato in un leggero sorriso. «Ti va di fare una scommessa?»
Keith sollevò le iridi al cielo, per quanto possibile «Adesso?»
Non era insolito da parte loro far partire qualche scommessa a caso, senza un reale perchè; solo per avere la soddisfazione di battere l’altro. Charles, oltretutto, aveva una fantasia sfrenata nel trovare idee. In quello, glielo concedeva, lo batteva senza problemi.
«Eddai! Neanche l’hai sentita!»
«Penso di non volerlo sapere» si ritrovò a dire con un po’ di ironia e sarcasmo misti assieme.
«Cos’è? Hai paura di perdere?»
«Questa era una bella battuta»
«E perchè non accetti allora?»
«Neanche me l’hai detta; da quando accetto alla cieca?» Charles lo aveva fregato di nuovo.
«Allora la mia idea è questa» cominciò preparandosi come dovesse spiegare il piano di fuga dalla prigione di massima sicurezza. Incrociò le gambe e allargò le braccia pronto a gesticolare come al solito.
«Dando per scontato che riusciremo ad ottenere Voltron; inizieremo a batterci coi leoni, giusto?»
«... sì?» non riusciva a capire dove l’altro volesse arrivare.
«Poniamoci un limite di missioni, al termine delle quali conteremo chi ha abbattuto più nemici col proprio leone!»
Keith si fece sfuggire uno sbuffo divertito, vedendo l’altro tendere la mano per decretare quella scommessa.
«Non mi piace vincere così facile»
«E chi i dice che vincerai?»
«E cosa si vince?»
Charles portò una mano al mento, riflettendo in silenzio per qualche secondo prima di confessare con un filo di voce che non ci aveva pensato.
«Hai pensato alla scommessa ma non a cosa si vince?»
«Per ora rimandiamo la cosa con la soddisfazione, l’eterna gloria e l’incondizionato amore di una donna»
A Keith sfuggì una leggera smorfia che, immaginò, anche il proprio alterego mimò.
«Ah già che te non sei interessato… allora per te l’amore incondizionato di un omaccione tutto muscoli»
Charles aveva scoperto della sua inclinazione sessuale poco tempo prima, per puro caso, intuendola da… non aveva esattamente capito da cosa, ma l’aveva capito.
«In ogni caso, qual’è la soglia?»
«Cinquecento»
«Troppe-»
«Quattrocento?»
«Cento»
«Che gusto c’è così presto?»
«Vorrei essere ancora vivo e giovane quando raggiungeremo tutte quelle missioni»
Charles sbuffò. «Duecento»
«Duecento sia» concluse Keith porgendo la mano come l’altro poco prima.
«Come minimo dovrai dirmi almeno il tuo nome; quello vero intendo»
Quelle parole colsero Keith di sorpresa, non permettendogli di celare l’espressione un po’ perplessa che gli si dipinse in volto.
«Non ti basterebbe chiedermelo?»
«E dove sarebbe il divertimento?» rispose con semplicità l’Altean prima di alzarsi in piedi puntellando i pugni ai fianchi «E tu potrai chiederlo a me; o puoi chiedermi qualcos altro»
«Del tipo?»
«Sei proprio carente di fantasia eh, Akira?»
«E se non volessi sapere niente?»
«Come puoi non voler sapere niente del sottoscritto? Sento che fremi dalla voglia di avere materiale con cui ricattarmi»
Gli sfuggì uno sbuffo divertito mentre si alzava a sua volta. «Ne hai davvero così tanto? Di materiale intendo»
«C'è un solo modo per scoprirlo» lo vide ammiccare e Keith portò le mani in avanti in segno di difesa.
«No, decisamente non voglio saperlo grazie!»
Avevano iniziato a stringere, in un modo tutto strano, amicizia. Era parecchio, ormai, che giocavano; era tanto tempo che si erano uniti a quella squadra creata da un’idea di Shiro e di Allura. Non conoscevano quasi niente l’uno dell’altro; poche cose strettamente necessarie. Si prendevano sempre in giro, ma sapevano che potevano contare su una nuova amicizia. Chissà da quale parte del mondo, ma Keith sapeva che Charles, o quel misterioso ragazzo dietro un alterego con la pelle troppo scura e i capelli troppo bianchi, lo avrebbero ascoltato a priori di tutto. Come lo sapeva? Perchè lui avrebbe fatto lo stesso.
«Ci vediamo domani, spia-ninja»
Lo sentì salutare, mentre portava la mano al solito pulsante per scollegarsi. Lo vide svanire e Keith sorrise, sospirando, ormai solo in quell’ambiente simile ad una radura dall’erba bassa e circondata da colline che scivolavano su un colore lilla molto chiaro. In lontananza quella sorta di mezzo di trasporto e casa che era il castello; loro base come Gilda. Shiro lo aveva spinto a cercare nel gioco un sostegno per superare il suo problema di interazioni sociali. Avere a che fare con le persone reali, ma con la protezione e lo scudo di un alterego, di una realtà fittizia e immaginaria. Che quel trucco, almeno coi membri del gruppo, stesse funzionando?
 

 
PART II

Allura era rimasta indietro, confinata dietro la parete di delimitazione dell’ennesima prova che avrebbero dovuto superare.
«Perfetto abbiamo perso la curatrice» mormorò Pidge con un sarcasmo neanche troppo velato. Sarebbe stato un gran bel problema se avessero dovuto nuovamente combattere senza qualcuno che fosse specializzato nel curare i membri del gruppo.
«Guardate laggiù; in fondo alla caverna» sentì Garry indicar loro un punto specifico dell’ampio ambiente che li circondava. Sembrava fossero scesi nel sottosuolo per centinaia di metri; ma, nonostante questo, il soffitto risultava essere alto oltre ogni misura umana. Era troppo buio e troppo lontano per controllare la possibile presenza di stalattiti pronti a cader loro sulla testa. Le stalagmiti che li circondavano, in compenso, si curvavano sulla cima, come volessero abbracciare l’aria o raggiungersi da una parte all’altra di un lungo corridoio naturale di pietra. Un alito di vento dalla dubbia provenienza fischiava nelle orecchie creando un ambiente che a Keith ricordò il respiro all’interno di una cassa toracica. Pensieri molto rincuoranti come al solito. In fondo al corridoio, l’unica fonte di luce che si allungava fino a loro e sembrava assumere un colore diverso in base all’inclinazione o al punto in cui si osservava.
«Cos’è che fa tutta questa luce?» si domandò Pidge mentre attivava una magia che fece nascere una sfera luminosa dinanzi a sè grande quanto la sua testa. Gli occhi dell’alterego si illuminarono di un verde brillante e innaturale in quell’intento, mentre Shiro le si avvicinò per sfruttare al massimo la sua magia.
«Avviciniamoci con ca-»
«Chi arriva per ultimo paga pegno!»
La voce di Charles che riecheggiò nelle orecchie con prepotenza lo fece non solo sobbalzare, ma anche fermare dal suo procedere lungo il corridoio. «E tu avresti superato la quest per la razza tutto da solo?»
«Se stiamo fermi qui di certo non succederà niente e la quest non andrà da nessuna parte. Noi nemmeno» non sentì nessuno ribattere. Non potè che pensare che aveva ragione mentre si avviava a sua volta e rapidamente lungo il corridoio «Inoltre, se scopriamo che è a tempo anche questa prova, non ho voglia di rimanere chiuso fuori».
Un po’ come Allura al di là della soglia precedente e chissà quanti altri giocatori a cui non hanno fatto caso.
«E Allura? La lasciamo indietro?»
«Abbiamo scelta?» ribattè Keith alzando le spalle con l’alterego che eseguiva ogni movimento in base ai comandi posti sui joystick. Tornò a camminare, sentendo Charles sospirare e, voltandosi, portare una mano al petto per stendere l'altro braccio con fare teatrale.
«Non preoccuparti principessa mia, tornerò vittorioso a salvarti su uno dei leoni leggendari»
Ah, ecco, gli pareva strano che Charles lasciasse indietro Allura senza dire niente.

Pian piano che si avvicinavano, la luce diventava più forte, fino quasi a seccare gli occhi e riempire tutto lo schermo; ma per quanto camminassero, quel corridoio sembrava non terminare mai. Il soffitto della grotta da scuro era diventato candido, brillante e indefinito. Le stalagmiti si aprivano metro dopo metro, allungandosi in forme del tutto innaturali. Sembravano più delle piante che si arricciavano alla cima e anzichè indirizzarsi alla luce, cercando di sfuggirle.
«Ma non finisce mai?»
«Inizio ad essere stanco… e ad avere fame»
«Non vi sembra strano che stiamo continuando a camminare senza trovare niente quando, fino a un attimo fa, ci hanno massacrato con le prove?»
«Che siano terminate?»
«E allora perchè non è semplicemente apparso tutto per magia?»
Keith ascoltava le loro parole senza distinguere troppo le varie voci, più concentrato a guardarsi attorno in cerca di qualche punto di possibile interazione che avrebbe potuto innescare un meccanismo… insomma far accadere qualcosa. Cosa dovevano fare? Charles doveva aver avuto la sua stessa idea dal momento che lo vide avvicinarsi ad una di quelle strutture anormali e iniziare a posare le mani in giro, tastando la pietra in cerca di chissà cosa.
Fu quel contatto che, dopo qualche secondo, fece illuminare la pietra. Una serie di strisce e linee geometriche scorsero sulla pietra verso l’alto e poi al suolo. Si espansero come una macchia d’olio arrivando, in un attimo, a toccare tutti loro e, specialmente, il suolo sotto i loro piedi prima di farlo frantumare. Se ne resero conto tutti solamente quando già stavano cadendo nel vuoto.
 
* * *

Keith si rialzò in piedi in maniera nervosa, giocherellando e tamburellando le dita sui due joystick. Era la quarta volta che cadevano nel vuoto dopo essersi sentiti il pavimento sgretolarsi sotto i piedi. La sensazione di cadere nel vuoto stava iniziando a diventare più reale e decisamente prevedibile. Cadevano tornando all’inizio del corridoio, camminavano finchè il paesaggio non iniziava a ripetersi in loop, cercavano di capire cosa fare, tentavano, cadevano e tutto ricominciava di nuovo.
«Inizio a pensare che non dobbiamo toccarle quelle rocce»
«E’ l’unico punto in cui l’ambiente reagisce, devono servire a qualcosa» fece notare Pidge con l’accordo generale.
«Ma se il loro unico risultato è quello di farci ricominciare da capo, magari non è il punto che cerchiamo» puntualizzò Garry mentre camminavano nuovamente lungo il corridoio. Meno male che, quantomeno, non doveva davvero camminare per tutta la stanza. Altro che palestra.
«E quale potrebbe essere un altro punto di interazione? Non c’è nulla a parte quelle»
«Magari dobbiamo solo trovare un punto per raggiungere l’origine del fascio di luce»
«E siamo tutti d’accordo, ma come facciamo se camminando il paesaggio va in loop?» domandò Shiro facendo notare con calma quel dettaglio che salvò Charles dal sarcasmo di Keith. Si lasciò sfuggire un sospiro mentre camminava per ultimo nel gruppo, affiancato a Pidge che aveva una mano al mento nel suo riflettere.
«Deve essere un altro tipo di prova rispetto a quel che ci aspettavamo»
«Cosa intendi?»
«Abbiamo immaginato che per superare il raid, la quest o come la volete chiamare… sarebbe bastato combattere, come tutte le altre -o la maggiorparte- all’interno del gioco. Ma stiamo parlando del fulcro del gioco intero, di Voltron, davvero gli sviluppatori si sarebbero fermati a fare una serie di combattimenti e basta per fare una selezione dei giocatori?»
Shiro incrociò le braccia, fermando il passo dal momento che il paesaggio era tornato a ripetersi. «Dici che potrebbe trattarsi di una sfida tipo puzzle?»
«Intendo una sfida stile RPG»
«Gli sviluppatori di sarebbero affaticati tanto?»
«Sei tu quello pigro» Stavolta Charles non si salvò.
«Gne gné-» lo sentì scimmiottarlo «Vuoi avere la prova del contrario, forse?»
«Fammi vedere di cosa sei capace»
«Non è il momento ragazzi» Shiro li richiamò all’ordine «Dobbiamo cercare di capire come uscire da questa stanza. Idee?»
Keith si osservò attorno, ragionando sull’idea di Pidge. Se era una sfida di quel genere, non si considerava il combattere e basta; per lui risultava più difficile del previsto. «In sostanza non possiamo fare a meno di toccare queste rocce.»
«Non pare ci sia molta alternativa» sentì rispondere a Garry mentre, dal canto suo, Keith si avvicinò un po’ di più alla direzione del fascio di luce. «Ma se vado avanti solo io, ritorno qui o vado da qualche parte?» si domandò piano sentendo Charles affiancarlo.
«Vengo con te»
«Se ci tieni»
«Non posso certo permettere che tu sia l’unico a scoprire se c’è la soluzione al nostro problema più avanti»
Sogghignarono entrambi, Keith ne fu sicuro, anche se in modi leggermente diversi. Con un cenno di intesa agli altri e poche altre parole, i due si avviarono lungo il corridoio.

«In linea teorica, se il paesaggio va in loop, dovremmo tornare da loro»
«C’è solo un modo per scoprirlo, no?» gli rispose inarcando un sopracciglio, citando vagamente le parole del giorno prima da parte dell'Altean.
«E intanto di cosa parliamo?» propose Charles aprendo leggermente le braccia nell’evidenziare che, a quanto pare, di tempo ne avrebbero avuto almeno un po’.
«Non saprei; magari di come risolvere questo mistero?»
«Penso sia meglio parlarne con gli altri. Siamo cinque menti contro due attuali» puntualizzò sollevando l’indice e il medio, nel contare loro due. «A meno che ci venga l’illuminazione»
«Come non fossimo abbastanza illuminati» ironizzò istintivamente, riferendosi al fascio che puntava verso di loro e verso cui stavano provando a dirigersi. Sentì Charles ridacchiare leggermente, puntando le mani ai fianchi.
«Comunque potremo parlare di altro, degli affari nostri, di che bel tempo che c’è, di quanto sia buono il gelato…»
«Vuoi davvero intraprendere una conversazione su quanto sia buono il gelato?»
«Perchè? Non sei d’accordo forse?»
«... Vero» si ritrovò a dire poco dopo, continuando ad avanzare lungo il corridoio, fin quando non iniziarono a intravedere delle figure, grandi quanto formiche, in lontananza. Non fu difficile distinguere le tre figure dei compagni in controluce.
«Mistero risolto»
«A quanto pare, quindi, la soluzione è in questa zona… ma come lo capiamo?»
«Non saprei… inoltre questa luce che continua a cambiare colore sta iniziando a stancarmi gli occhi»
Keith a quelle parole fermò improvvisamente il passo. Charles fece lo stesso, perplesso, quando non lo sentì più al proprio fianco, volgendosi in sua direzione con un sopracciglio arcato verso l’alto.
«Akira? Tutto bene?»
«I colori.»
«Che?»
«Che colore avevano le luci quando toccavamo la rocca?»
«Blu, mi pare… almeno quando ho toccato io la roccia erano blu»
«E le altre volte?»
«Le hanno toccate Garry e Shiro»
«Non chi le ha toccate. I colori!»
Charles ci pensò su qualche secondo. Keith lo vide, per quanto possibile e reale fosse, sbarrare gli occhi. Impiegarono meno tempo di quanto avessero potuto prevedere a raggiungere gli altri e porre loro la medesima domanda. La reazione fu più o meno la stessa, specialmente da parte di Pidge.
«Una volta sono state verdi, poi gialle e anche rosse» la memoria infallibile di Garry diede conferma al sospetto di Keith, accendendo definitivamente la lampadina nel cervello di Pidge.
«I leoni. Sono i colori di quattro dei cinque leoni di Voltron»
«Mancherebbe il nero»
«Le luci non possono illuminarsi di nero… o sì?» domandò Garry perplesso dalla cosa, osservando Charles in cerca di risposte, ma ritrovandosi un’alzata di spalle.
«Forse è solo un caso, però…»
«No, hai fatto bene a notarlo Akira» lo interruppe Shiro con calma «Potrebbe non essere un dettaglio messo a caso se stiamo parlando di una prova differente dalle altre. Dobbiamo solo trovare i vari tasselli del puzzle e unirli per trovare la soluzione all’enigma»
«L’idea del puzzle gli piace proprio» sentì mormorare Charles ad Garry con una leggera gomitatina.
«Ma perchè le luci hanno cambiato colore in modo randomico?» domandò Pidge forse più a se stessa che hai presenti. Erano numerose le volte in cui dovevano ringraziare il fatto che Pidge dimenticasse di avere un microfono di fianco alle labbra.
«Probabilmente non sono in modo randomico, anzi»
«In sostanza, dobbiamo mettere in sequenza i colori, giusto?» domandò Garry gesticolando la cosa con le mani dinanzi a sè. «Ma come facciamo a recuperare i colori se vanno a random? E, soprattutto, in quale sequenza?»
«I colori sono collegati alle nostre azioni. Non abbiamo toccato sempre la stessa roccia, giusto?» intervenne Charles questa volta, sorridendo soddisfatto a vedere come il silenzio degli altri gli stesse dando ragione. «Per la sequenza, esiste qualche sequenza particolare quando si parla dei Leoni di Voltron?»
«L'ordine in cui si compongono forse?» azzardò Keith allargando leggermente le braccia. «O il come sono disposti in una copertina o nella struttura di Voltron...»
«O in ordine alfabetico?»
«Teoricamente la logica porta a porre il Leone Nero per primo e così salta l'ordine alfabetico, Garry»
«Qualcuno si ricorda la descrizione del gioco se sono elencati in modo particolare?» chiese Shiro, senza risultato.
«Non possiamo neanche scollegarci per andare a controllare...»
«A meno che...» intervenne nuovamente Shiro con fare pensieroso. «Allura? Ci sei ancora?»
 
* * *
 
Keith spense la console, osservò la sigla animata del logo che si formava davanti agli occhi prima di togliersi il visore e fissare il vuoto per qualche secondo. Rimase col visore tra le mani per quei secondi eterni, finchè non sentì nascere spontaneo un sorriso sulle labbra, ampio e liberatore. Un sospiro profondo e la schiena che si abbandonò al fianco del letto a cui si era appoggiato, reclinando la testa fino a trovare la morbidezza del materasso.
«... Sì!» esultò alzando un braccio al cielo e riabbassandolo in segno di vittoria, per quanto in un verso soffocato a causa dell'ora tarda. Per un lungo momento, si dimenticò anche del trasloco che lo attendeva. Per un lungo momento dimenticò anche le parole di Charles rivolte al gruppo prima di scollegarsi: "Al raggiungimento di 200 missioni, organizziamo un incontro dal vivo".

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Capitolo 3
*** M054 ***


PART I

Scendendo dal proprio leone, Keith osservò Garry e Pidge fare altrettanto. Lo sguardo ruotò la visuale individuando Charles e Shiro che li avevano anticipati davanti ad una folla festante: una moltitudine di personaggi ideati artificialmente e non giocanti esultavano davanti a loro per la missione appena conclusa. Per quanto finta quella scena donò una certa soddisfazione a tutti e cinque. Garry pareva il più timido, Pidge salutava e Shiro, assieme a Keith, venne trascinato dall'euforia di Charles che prese i loro polsi e li alzò al cielo assieme alle proprie mani. Nessuno dei due si oppose poi troppo, godendosi quell'attimo di gloria anche se fittizia.

«Io vado, ho un paio di missioni secondarie che vorrei finire. Magari è la volta buona che me le tolgo di mezzo»
«Vengo anch'io, ne approfitto per allenarmi!»
«Io invece penso che chiudo, ciao a tutti e buonanotte!»
Shiro e Pidge partirono coi loro leoni, mentre Garry salutò con la mano prima di svanire e vedere il Leone Giallo rinchiudersi nella solita barriera, in attesa del ritorno del proprio paladino. Keith osservò il Leone Rosso e la cura dei dettagli meccanici.

«Tu che vuoi fare?»
La voce di Charles lo colse di sorpresa, portandolo a volgersi verso il paladino blu. La divisa con i tratti quasi uguali a quella delle altre, solo con alcune differenze tra colore e dettagli. Le avevano personalizzate in base alla classe e specifica scelta, in fin dei conti.
«Resto un po', tu?»
«Allora resto anch'io» rispose Charles con una naturalezza disarmante.
«E volessi restare da solo?»
«Allora starò in silenzio, per quanto sia difficile privarsi della mia voce»
«Ovviamente» il sarcasmo gli uscì spontaneo, incontrollato a quell'ennesima cascata di ego da parte dell'altro.
«Sei acido solo perchè sai che sto vincendo la scommessa» ribattè l'alteano con un broncio che fece inarcare un sopracciglio al paladino rosso.
«Ma davvero?»
«Certo»
«E ti aspetti che ti creda?»
«Ovviamente»
Keith si fece sfuggire uno sbuffo rassegnato e divertito, soffiando sul microfono e tornando a guardare l'ambiente costruito attorno a sè.
«Akira... mi sono sempre domandato cosa fai, esattamente, quando ti trattieni qui e tutti noi siamo andati via»
«Perchè questa domanda?»
«Sono una persona curiosa dovresti saperlo ormai»
«E perchè dovrebbe interessarti?»
Charles alzò le mani, voltandosi per avvicinarsi al proprio leone con un po' di riluttanza nella voce. «Scusa, non ti domanderò più niente allora»
Keith si morse le labbra, umettandole leggermente prima di sospirare e richiamare il ragazzo. Quando lo vide fermarsi e voltarsi in sua direzione, Keith lo osservò a lungo, giochicchiando con le dita. «Semplicemente osservo»
La risposta parve incuriosire Charles che, però, inclinò solamente il capo verso una spalla, esitante, incerto su quanto insistere. Attese semplicemente che Keith si sentisse pronto a continuare, compiendo qualche passo in sua direzione così da poter vedere più da vicino possibili mutamenti dell'avatar altrui.
«Mi è sempre piaciuto lo spazio.» confessò il Galra «E trovo... fenomenale come siano stati accurati nel ricostruire certe cose»
«Anche a me piaciono molto le stelle» mormorò Charles sedendosi al suo fianco sul muretto su cui erano in piedi poco prima, davanti alla folla. Dietro di loro i due leoni, anzi tre se si contava quello Giallo poco più in là. «E i ninja anche, mi piacciono molto»
A Keith sfuggì uno sbuffo divertito «E cosa centrano ora?»
«Non si stava parlando di cosa ci piace? A te cos'altro piace?»
Keith si prese qualche istante per pensarci, incerto addirittura se dover fare una scrematura o se andare a cercare qualcosa che gli piacesse per davvero. In fin dei conti... cosa c'era che faceva perchè gli piaceva? Qual'era quella cosa che gli piacesse davvero fare e non perchè era bravo o gli veniva bene? Forse l'aveva sempre saputo, ma per la prima vera volta si ritrovò faccia a faccia con una consapevolezza inequivocabile: aveva timore, anzi terrore delle reazioni altrui, dei loro rigetti. Faceva e aveva sempre fatto in modo non tanto di piacere, ma di perpetuare quello in cui gli dicevano esser bravo, così da non esser considerato scartabile o non di degna importanza d'attenzione. Non voleva esser messo da parte, in un modo così malato e contorto da darsi dell'idiota.
Prese un respiro profondo e tornò a Charles, al proprio fianco: «Se ti piacciono i ninja, perchè non hai scelto una classe più affine? Come quella degli assassini, ad esempio?»
«Perchè ho scelto la classe di paladino? Bè... perchè i paladini sono gli eroi»
Keith corrugò la fronte, perplesso da quella risposta, tanto da risultare vagamente esitante nelle parole successive. «E' un gioco di ruolo... ogni personaggio è un po' un eroe»
«Vero, ma i Paladini sono gli eroi tra gli eroi. E' un po' come essere un supereroe...» iniziò con un sorriso. Keith indovinò che stava sorridendo dal tono di voce, però non interrompendolo. «Che riesce bene in qualsiasi cosa che fa, che non è mai al secondo posto ma che, al contempo, pone sempre gli altri al primo posto. Che non viene mai messo da parte, che non passa mai inosservato... insomma un gran bel figo. E uno come me poteva mai scegliere qualcosa di diverso?»
Era anche partito bene. Keith si dovette ricredere, sospirando e sollevando il viso al cielo.
«Sventolerò il mio stendardo con il mio nome sopra e ora che abbiamo Voltron, sono un passo più vicino alla gloria!»
Decisamente no, spesso l'ego di Charles non aveva un limite, anche se ora Keith aveva appena assistito ad una crepa di quell'apparenza.
«Ops, parentame, devo scappare. Al prossimo log-in Akira!»
E Charles sparì in un lampo, lasciando Keith da solo, come al solito, per quei dieci minuti buoni ad ammirare il paesaggio, l'ambiente. L'attimo di pace e di solitudine, per quanto possibile. L'attimo in cui poteva ancora rintanarsi in quel mondo falso e dimenticarsi di quello reale e i pensieri che lo accompagnavano. Ecco cosa gli piaceva fare: giocare.
 
 
PART II

La mattina successiva, Keith osservò il calendario con la stessa fatica di ogni mattina. Il semplice rendersi conto di quello scorrere dei giorni: inesorabilmente lento. Gli serviva giusto per metabolizzare la data, concentrandosi su qualcosa di diverso dallo fissare insistentemente la propria colazione come volesse farla a pezzi. Tracolla in spalla, brioche confezionata tra le labbra e la porta che si chiudeva. Quei pochi minuti a piedi per finire la brioche e raggiungere la fermata dell'autobus. La ricerca del solito posto in fondo che gli permetteva di rannicchiare le gambe contro il sedile davanti e le cuffie alle orecchie con la solita playlist lasciata sospesa la mattina prima. Nulla cambiava, mai, solo quella mattina si ritrovò a pensare alla propria vita, ai suoi obiettivi, più del solito, durante il tragitto sul pullman. Cosa voleva fare? Cosa gli piaceva fare, per sè? Non era mai stato una persona particolarmente dedita alle troppe regole -neanche alle poche- ma si imponeva delle catene di quel genere per fare un favore... a chi? Già allontanava le persone, sdegnava rapporti umani o interpersonali, quasi certo di un futuro rifiuto che non avrebbe sopportato. Era il motivo per cui Shiro lo aveva spinto a quel gioco online nella speranza di fargli fare amicizia in maniera diversa; fargli tentare un approccio diverso. Allontanava gli altri, lui stesso si allontanava... e poi cercava di non deluderli in alcun modo. Che razza di controsenso.
Quando scese dall'autobus aveva già mal di testa. Si impose di passare semplicemente oltre, di non pensare a ragionamenti simili degni di un ragazzino della Middle School e non uno dell'ultimo anno della High. Ebbe il tempo di compiere due passi prima di sentire un braccio attorno al collo e alle spalle. Bastò mezzo secondo che l'interessato si ritrovò col braccio girato dietro la schiena, bloccato in una morsa che lo fece contorcere leggermente.
«Ahiahiahi- okay non lo faccio più!»
«Ti avevo detto di non farlo, dovevi aspettartelo» Katie fece notare a Lance che ancora si contorceva in cerca di una via di fuga dalla morsa del corvino. Keith, non appena se ne rese conto, lo lasciò andare. «...Scusa»
«Accidenti Keith-» mormorò il moro con una mano alla spalla e facendo roteare leggermente il braccio. «-mi potevi spezzare una spalla!»
Keith inarcò un sopracciglio. I corsi di karate a cui lo avevano costretto da piccolo per sfogarsi diversamente dalle risse in classe, non pensava arrivassero mai a spezzare il braccio a qualcuno. «Dovevi avere una spalla molto fragile nel caso»
«Io non sono fragile!»
 
* * *
 
«Ragazzi, ma perchè non fate qualcosa di più...» Hunk, un ragazzone dalla pelle scura e con un amore incondizionato per i colori giallo-ocra-marroni, gesticolò nervosamente in cerca di un termine adatto «...sicuro?»
Keith e Lance si guardavano, uno di fianco all'altro con l'aria di sfida migliore che erano in grado di indossare. Avevano raggiunto in un parchetto vicino delle giostre per bambini, appendendosi a testa in giù sulla struttura di pali colorati, così da rimanere agganciati solo con le ginocchia piegate e la nuca pronta a schiantarsi al suolo non appena avrebbero lasciato la presa. Perchè diavolo si era fatto convincere?
«Shhh, è divertente passare una pausa pranzo alternativa» ribattè Katie che stava sgranocchiando delle patatine.
«Sarebbe sicuramente altrettanto alternativa se qualcuno non finisse in ospedale per un trauma cranico» Hunk era solito a ingigantire le diavolerie che l'amico inventava. Aveva compreso che conosceva più rischi e traumi clinici da pronto soccorso che le tabelline. Quelle sfide erano già assurde di loro, non aveva certo bisogno del samoiano che gli elencava tutti i modi in cui avrebbe potuto raggiungere l'ospedale più vicino. Ora come ora, doveva preoccuparsi di resistere più di Lance, fare più addominali di Lance, non darla vinta a Lance, fargli vedere quanto fosse forte... a Lance. Aspetta, cosa?
«Via!» annunciò Katie senza troppo preavviso, scatenando in entrambi i ragazzi l'adrenalina sufficiente a partire. Keith sfruttò le mani dietro la nuca per tenere assieme anche i capelli, mentre Lance si aiutava con lo slancio per il movimento dei gomiti. Hunk si mangiava nervosamente le unghie di una mano e Katie li osservava come si guardano delle piccole cavie da laboratorio. Non seppe quantificare quanto tempo passò, sentendo i muscoli fare male, scoprendone alcuni che neanche pensava di avere. Keith però non si fermò, sforzandosi oltre ogni personale aspettativa prima di vedere Lance abbandonare le braccia e, lentamente, scivolare definitivamente al suolo con l'affanno.

Si era conclusa con una sorta di pareggio a detta della ragazza. Keith aveva resistito di più, ma Lance ne aveva fatti quantitativamente di più. Keith non avrebbe mai ammesso che aveva trovato impressionante il ragazzo; non avrebbe ingigantito maggiormente l'eterna e rumorosa convinzione del compagno di aver vinto. Questo non voleva certo dire che gliel'avrebbe fatta passare liscia.
«Stai tranquillo che la prossima volta non ne farò più di te, ne farò il doppio di te»
«Farai sicuramente molta strada spompandoti dopo i primi dieci secondi»
Avevano lasciato Hunk e Katie al precedente incrocio dove il samoiano aveva preso il pullman e la ragazza raggiunto casa. Erano rimasti loro due, Keith e Lance; Lance e Keith. Durante tutto il tragitto non stavano facendo altro che prendersi in giro, ricordare piccoli eventi che non potevano commentare in classe. Keith si scoprì un segreto fan delle imitazioni di Lance degli insegnanti, mentre Lance si fece raccontare alcune esperienze di quando Keith frequentava il corso di karate.
Il tempo fu troppo breve; insoddisfacente per Keith che, quando fermò il passo, si rese conto di doversi dividere anche da quell'ultima compagnia. Keith non era mai stato espansivo, estroverso e non poteva negare di essere stanco, specialmente dopo lo sforzo fisico al parco giochi; ma qualcosa di assurdo gli faceva temere che non sarebbe più potuto accadere un giorno come quello. Non voleva farlo finire.
«Ci vediamo domani?»
Le parole di Lance ebbero il potere di far crollare quel piccolo timore, anche se momentaneamente. Domani. Domani sarebbe potuto riaccadere.
«Perchè no?»
«Magari ti vergogni a farti vedere dopo aver perso, Kogane»
«Ti ricordo che sei crollato a terra come un sacco di patate, McClain»
Lance, stranamente, non rispose, sorridendo solo al ragazzo per sollevare una mano in segno di saluto. Keith non riuscì a imporsi il contrario e ricambiò il sorriso del ragazzo. Come faceva sempre a sorridere in quel modo tanto contagioso? Un ultimo saluto e Lance si avviò nella viuzza che avrebbe condotto a casa sua. Keith esitò, stringendo le dita attorno alla cinghia della borsa a tracolla. Esitò ancora dopo mezzo passo. Si voltò ad osservare la piccola viuzza dove non riusciva più ad intravedere la figura di Lance. Deglutì aggiungendo l'altra mano alla cinghia che attraversava il petto. Fece un respiro profondo e, come al solito, agì prima di ragionare.

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Capitolo 4
*** M055 ***


PART I

Cosa gli aveva detto il cervello?
Erano passati ormai mesi da quando aveva iniziato a frequentare quella scuola, e quasi altri due dopo la scoperta di condividere parte della strada del ritorno con Lance. Ora, per esattezza, con quale rigore logico il suo corpo si era mosso da solo lungo la via che il cubano aveva imboccato da solo? Perchè mai avrebbe dovuto inseguire di nascosto un ragazzo? Per scoprire dove abitava? Che sciocchezza. Sarebbe bastato chiederglielo. In fondo la settimana aveva ben cinque giorni e migliaia di possibilità per chiedere a qualcuno dove abitasse con esattezza. Avrebbe anche cercato una risposta alla possibile richiesta di spiegazioni da parte dell'altro, ovviamente. Quindi per quale motivo le sue gambe avevano deciso diversamente da quel meticoloso e ben studiato piano? Perchè lui e la sua impulsività dovevano sempre mandare a monte i piani e ora si ritrovava a seguire Lance McClain per scoprire dov'era casa sua. Prima non sembrava una cosa così losca. Dannazione!
I passi procedettero con cautela solamente per i primi metri, concedendogli il tempo di capire di averlo perso. Allungò il viso su ogni incrocio che incontrava in quell'angolo periferico della città dove le strade parevano non aver perso nulla di come potevano essere decenni fa: strette sufficienti a contenere un marciapiede e una corsia, una serie di traverse davano accesso a garage privati e interni di abitazioni sempre più avvolte dalla vegetazione. Sembrava esser entrati in un paesello di periferia. Continuò a cercare la figura del compagno seguendo quella che doveva costituire la strada principale. Keith iniziò a pensare che non l'avrebbe più trovato. Magari era già rientrato in casa; forse aveva già superato la sua palazzina. A quel punto sarebbe stato meglio tornare semplicemente indietro, pensando a quanto fosse stupido quel che aveva cercato di fare, ma le sue gambe avanzavano ormai da sole fino a doversi fermare di colpo. Per poco non scivolò nel frenarsi e tornare a nascondersi dietro l'angolo. Lance era fermo davanti a uno dei portoni, con lo zaino sul petto a cercare qualcosa al suo interno. Keith si sentì inspiegabilmente immobilizzato, certo che se si fosse sporto Lance l'avrebbe visto.
«Ciao Lance, devi salire?»
«Buongiorno signora!»
Keith si sporse leggermente cercando di apparire più tranquillo di quanto in realtà non fosse. Inquadrò un'anziana signora dai capelli grigi elegantemente legati dietro la nuca e il portone che si richiuse in un suono basso. Il ragazzo ebbe il tempo di voltarsi e praticamente correre via da quel posto prima che la signora potesse rendersi conto della sua presenza.
Keith corse come se qualcuno lo stesse inseguendo; corse fino a trovarsi senza fiato e con le ginocchia doloranti. Si convinse che se correva abbastanza veloce anche la consapevolezza dell'idiozia appena fatta non l'avrebbe raggiunto. Certo non aveva ucciso nessuno, ma dannazione poteva mai comportarsi come un bambino delle medie alla prima cotta? Poteva mai ridursi ad essere uno stalker? La situazione stava sfuggendogli di mano e la cosa lo terrorizzava. Lo spaventava l'idea di voler sapere quante più cose possibili di quel ragazzo. Si era appena ritrovato a seguirlo fino a casa. Come aveva potuto fare una scelta così folle e... era da malati!
Giunto a casa gettò la borsa in un angolo della propria stanza e giurò di non aver mai trovato il proprio letto tanto comodo. Più ci pensava più la cosa risultava assurda. Aveva appena seguito Lance McClain fino a casa.
«Merda...»
Gli piaceva.
Al punto da seguirlo a casa? Quello era da bambini. Un chiaro comportamento che non ci si aspetterebbe da un ragazzo della sua età; ancor meno da lui. Non ci si aspetterebbe neanche che a Keith Kogane possa piacere così tanto qualcuno; qualcuno come Lance McClain poi!
Keith osservò la propria console quando questa entrò nel suo campo visivo. Ripensò alle parole e alle domande di Charles. Cosa gli piaceva davvero. Di sicuro ora la risposta l'aveva pronta; ma la cosa più importante ora era che niente al mondo lo distraeva come quella console.
Stava comportandosi come un idiota per un'emerita stronzata. Accese la console e si sistemò il visore sugli occhi. Un mondo fuori dalla realtà, un posto dove aveva un gruppo di persone con cui divertirsi e distrarsi. Forse gli serviva solo quello: divertirsi e sfogarsi, dimenticare l'accaduto e promettersi che non sarebbe semplicemente mai successa una stupidaggine del genere.


 
PART II

Voleva distrarsi Keith. Aveva desiderato dimenticare l'accaduto buttandosi sul gioco. Eppure più ci pensava più gli sembrava assurdo. Si sentiva stordito, come fosse stralunato - termine anche abbastanza adatto visto lo spazio immaginario che lo circondava. Stelle, pianeti, galassie e navicelle randomiche che spuntavano di tanto in tanto mentre lui pilotava quel robottone gigante che aveva rinominato semplicemente Red. Si osservò attorno prima di percepire un leggero suono nelle orecchie che lo avvisava di una finestra di dialogo comparsa alla propria destra. Era il modo in cui Red comunicava con lui e così ogni leone col proprio pilota. Chissà, nel mondo fantastico sarebbero state una serie di collegamenti e connesioni emozionali e cerebrali; ma, invetabilmente, i creatori del gioco non potevano fare altro che far comparire una finestrella coi semplici comunicati. In questo caso, Red si stava rendendo conto di quanto stessero allontanandosi dagli altri, dal Castello, dall'area sicura e da casa.
Casa.
Chissà a che piano era la casa di Lance.
Chiuse gli occhi reclinando la nuca. Merda. Fece ruotare Red dirigendosi nuovamente alla base, la testa ormai già altrove seguendo meccanicamente la strada sulla mappa proiettata. La mente rivolta alla propria vita fuori da quel gioco, non riuscendo ad immaginare come ora ne stesse sognando una. Una che non aveva mai neanche preso troppo in considerazione oltretutto. Sì, non era la sua prima cotta, ma...
Sospirò. Non poteva dire che quelle sensazioni con Lance fossero differenti dalle cotte avute in precedenza, ma per lui era già tanto arrivare a quello stadio di consapevolezza. E ora gli sembrava tutto troppo assurdo. Era passato dall'avere gravi problemi sociali durante il periodo successivo alla perdita del padre, al non riuscire a stare in casa per poter raggiungere qualsiasi punto Lance si trovasse per passare un po' di tempo assieme. Gli parve impensabile che ci erano voluti mesi per Shiro, che era il suo migliore amico e quasi un fratello, a convincerlo ad uscire... e poi questo. Aveva quasi raggiunto uno stadio patologico e ora stava raggiungendolo nel senso opposto?
Raggiunto il Castello, guidato Red al suo posto, Keith si trovò dinanzi gli avatar di Shiro e Allura.
«Quanta cattiveria là fuori»
Keith non comprese subito, ricordandosi poco dopo di esser salito su Red per andare a massacrare qualche navicella che sarebbe ricomparsa di lì a poco nello stesso punto.
«Nessuna cattiveria, ho solo sparato»
Ora che ci pensa, non le aveva neanche contate per la sfida con Charles.
«Cattiveria, Akira»
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo alle parole ironiche di Allura, facendo per allontanarsi, fuggire da chissà quale assurdo discorso. «Resta un gioco, non ho ucciso nessuno.»
«Akira...» intervenne Shiro, portandolo a fermarsi e a rivolgersi all'amico «Vieni con me un secondo»
Keith seguì l'avatar che si avviò lungo l'ambiente, congedandosi dalla compagnia della ragazza. Keith esitò parecchio nel seguirlo, fin quando non lo condusse in una stanza di quel Castello. Era praticamente il rifugio e la base di una Gilda. C'era chi aveva navicelle, loro avevano ricevuto, nel pacchetto Voltron, anche quel castello immenso di eredità Alteana. Comprendeva parecchi ambienti al suo interno: il punto di ritrovo, le singole camere, una sala di allenamento, immensi corridoi, lo spazio dedicato ai leoni e un paio di stanze come la cucina che rendevano il tutto più reale e vivibile. Una delle stanze che piacevano molto a molti di loro era una stanza semplicissima, con una parte del pavimento di un livello più basso e circondato dallo spazio per sedersi. Potevano chiamarla sala Relax, ma Keith aveva imparato che corrispondeva all'ambiente dedicato alle conversazioni private tra due o tre giocatori. Essere in quella stanza era come essere faccia a faccia col giocatore con cui avresti parlato da lì a quel momento. In quella stanza non aveva importanza l'esistenza degli avatar e, per quanto con Shiro poteva dirsi abituato, Keith non potè fare a meno di sentire una strana sensazione di ansia pugnalare alla bocca dello stomaco. Fece un sospiro profondo mentre il proprio avatar si sedette, notando Shiro fare altrettanto nel posto di fronte. Mancava solo il tavolo al centro per fare una sorta di interrogatorio misto a confessionale.
«Keith...» Ecco lo sapeva
«Non chiamarmi con quel nome quando siamo online» gli ricordò.
«Siamo soli e dobbiamo parlare»
«Non puoi sapere se entrerà qualcuno»
«Intanto dovrà chiedere permesso per collegarsi con la conversazione audio e lo sai.»
Keith sbuffò contro il microfono con la voglia improvvisa di togliersi il visore e mollare tutto lì, lasciando vegetare il proprio avatar.
«Keith, sai che se c'è qualche problema puoi parlarmene, vero?» gli ricordò dopo qualche secondo «Qualsiasi cosa, davvero»
«Non ho niente»
Shiro sospirò, lo sentì chiaramente. Lo conosceva sufficientemente bene da dire che era combattuto: costringerlo a parlare insistendo o lasciar perdere attendendo che fosse pronto. Fosse stato pragmatico come Shiro non avrebbe avuto tanti problemi dovuti alla propria impulsività.
«Sono solo preoccupato per te. Quando ti scateni in quel modo è palese che qualcosa non va»
 
* * *
 
Keith uscendo da quella stanza si sentì liberato da una gabbia. Aveva dovuto costruire una bugia credibile su due piedi per nascondere il fatto di aver inseguito una cotta fino a casa; con Shiro era diventata una seduta psicologica approfondita riguardante il rapporto con la madre. Gli era salita anche l'emicrania nel frattempo, come un'ondata d'acqua che martella sulle spalle e sulle tempie. Ponderò se scollegarsi dal gioco o meno durante il tragitto dell'avatar verso la sala di comando, ma ogni tipo di proposito si spense quando si ritrovò dinanzi Charles che gli chiedeva se avrebbe partecipato all'evento che si era aperto sulla mappa poco fa.
«Stavamo giusto cercando te e Shiro! Pronti?»
Aveva massacrato navicelle fino a quel momento, ora si sentiva così stanco. «Devo proprio?»
«Ohhh qualcuno qui ha paura di perdere»
«Scusa?»
«Tu non vuoi partecipare perchè sai che ti batterei ugualmente alla nostra scommessa; quindi preferisci ritirarti piuttosto che l'umiliazione» Perchè la tirava sempre fuori quella maledetta scommessa?
«Intendi la scommessa che hai voluto fare tu senza un premio definito?»
«Questi sono dettagli irrilevanti. Il discorso non cambia»
«Decisamente non cambia, dal momento che sono in vantaggio io sul conto» si inventò nella speranza di farlo tacere.
«Non dopo questo evento» il sogghigno di Charles lo convinse nel giro di mezzo secondo a raggiungere il proprio Leone e partire.
Tutti gli altri seguirono a ruota, trascinati dall'impulsività di Keith che si era lasciato convincere da Charles. Non era nulla di complicato, ma i propositi di terminare in fretta la faccenda svanirono minuto dopo minuto.
«Serve una mano!»
«Sono un po' impegnata!»
«Arrivo!»
Dopo pochi minuti, i comandi cambiarono nel momento in cui attivarono la formazione di Voltron e anche il timer iniziò il conto alla rovescia. Voltron era l'arma più potente del gioco, la più difficile anche da gestire in quanto cinque giocatori su un unico avatar; quindi anche il tempo in cui potevano mantenersi così era limitato. Keith osservò i propri comandi, limitati alle funzioni di Red come braccio destro: la spada, il pugno, il laser e così via. Shiro coordinava tutti i movimenti reclamando una cosa piuttosto che l'altra perchè il rispettivo giocatore l'attivasse.
Tutto si susseguì facilmente da quel momento in poi, almeno fin quando il timer evidenziò il raggiungimento degli ultimi dieci secondi.
«E meno male che era un evento facile»
«CHE NE SAPEVO CHE ERA UN PORTALE PER UN RAID DEL GENERE??»
«NON PRESTI MAI ATTENZIONE E PARLI SOLO A VANVERA! DOVEVI GUARDARE MEGLIO»
«MA SEI TU CHE TI SEI FIONDATO SENZA PENSARE COME TUO SOLITO!»
«NON VOLEVO FARLO LO GIURO!» l'aggiunta di Garry non aiutò.
«NON URLATEMI NELLE ORECCHIE»
«LO STAI FACENDO ANCHE TU»
«TEMPO» esclamò Pidge dal nulla e Keith ebbe il tempo di notare la scritta '00:00' che lampeggiava.
Voltron si dissolse lasciandoli nuovamente coi singoli Leoni e la voce di Shiro che cercava di placare gli animi.
«Evidentemente abbiamo passato tutti una pessima giornata! Ma è un Raid, nulla di impossibile e che non abbiamo fatto prima. Stiamo divertendoci, siamo qui per farlo quindi calmatevi e non c'è bisogno di urlare.» Un attimo di tregua «Continuiamo»
 
* * *
 
«E' stato tutto così caotico e confusionario»
Charles e Keith si tenevano il muso uno seduto, l'altro in piedi, entrambi con le braccia incrociate, dai lati opposti della stanza.
«Decisamente, ma ne siamo usciti bene»
«A me è venuto anche il mal di mare»
Pidge si volse verso i due «E voi non dite niente?» quasi le sembrasse strano.
«Non vorrei parlare a vanvera.» ribeccò Charles marcando le ultime parole non solo nel modo in cui rivolse le iridi ad Akira.
Keith sentì sospirare la ragazza, prima di udirla annunciare il proprio congedo e sparire, seguita a ruota da Shiro. Garry, invece, esitò un po' di più, avvicinandosi ai due ciondolante.
«Allora...» tentennò, palesemente, mentre Akira e Charles non si erano mossi di mezzo centimetro. «Ehm...» Garry dava chiaramente l'idea di non sapere dove cominciare per i primi lunghissimi istanti.
«Okay» Keith lo sentì prendere un lungo respiro e, quando si voltò, aveva le mani giunte dinanzi al viso per concentrarsi. «Non vorrei essere quello che mette dito tra moglie e marito, come si suon dire» Keith assottigliò gli occhi. Cominciava male. «Ma siete voi. Nel senso, litigate così spesso che a volte mi spaventate ragazzi, dico sul serio! Ma siamo una squadra ormai da tanto tempo, siamo qui a divertirci, staccare la spina dal mondo reale che a volte è troppo da sopportare.»
Garry alternò lo sguardo tra loro due. «Sappiamo che siamo tutti qui per questo motivo; è inutile fingere il contrario. Quindi, datemi retta, è inutile creare dissapori anche qui. E' un gioco. Divertiamoci come dei grandi amici!»
Charles parve pensarci poco rispetto a Keith che si sentiva... semplicemente sperso. Come quando succedono solo troppe cose per sole ventiquattro ore.
«No.» Il tono secco di Charles fece voltare anche Keith in sua direzione «Scusami amico, ma non accetto che una testa calda» marcò principalmente quest'ultima parola, puntando l'attenzione su Akira. «mi consideri come qualcuno che parla a vanvera.»
Keith non ce la fece più. «Speravo fossi meno cocciuto nel prendertela per un gioco anzichè cominciare ad urlare.»
«Ehm, ragazzi-» Garry provò ad intervenire, ma venne ignorato.
«Non capisci proprio niente, eh Akira? Non mi sorprende che tu faccia fatica a farti degli amici se neanche capisci quando uno, nel parlare a vanvera, passa le serate a cercare di tirar su di morale anche te.»
Charles si dileguò nel giro di pochissimi istanti, scollegandosi dal gioco e lasciando Keith imbambolato per qualche secondo.
Cosa diavolo stava succedendo?

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