Il Mondo dell'Amore

di Old Fashioned
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


AVVISO

Signore e signori,
dall’Enciclopedia Treccani: una Distopia è una previsione, descrizione o rappresentazione di uno stato di cose futuro, con cui, contrariamente all’utopia e per lo più in aperta polemica con tendenze avvertite nel presente, si prefigurano situazioni, sviluppi, assetti politico-sociali e tecnologici altamente negativi.
Questa storia parla di una distopia. Parla quindi di un contesto immaginario, nel quale alcune tendenze presenti anche ai giorni nostri vengono radicalizzate al punto da apparire quasi grottesche, nell’ottica di dipingere una società fortemente disturbante, angosciante e repressiva.
Perché scrivo questa premessa? Perché per mia sfortuna sono venuto in contatto con persone che non riescono a scindere un’opera di pura fantasia da un’eventuale struttura di pensiero non in linea con la loro, e per questo motivo interpretano un banale racconto di intrattenimento come un insulto o un tentativo di mettere in discussione determinati concetti per loro indiscutibili.
Il mio intento non è quello di offendere, ovviamente. Se tuttavia qualcuno si sente offeso da questa storia, sappia che anch’io mi sento offeso da un sacco di cose, ma rispetto la libertà d’opinione e non vado a insultare nessuno.
Se dopo questo pippone anti-talebani siete ancora qui, vi ringrazio e vi auguro buona lettura.







IL MONDO DELL’AMORE






Capitolo 1

Tanasha lanciò la stampa, quindi infilò i piedi nudi nelle ciabatte infradito di fibra naturale e scese dallo sgabello. Lasciandosi dietro un tinnire di cavigliere etniche, raggiunse lo stanzino della fotocopiatrice e raccolse dal cassetto dell’apparecchio le veline della giornata. Diede una scorsa ai fogli, quindi li sistemò picchiettandoli sulla superficie della scrivania fino a che nel pacco di carte non ci furono più angoli sporgenti. “Vado da Zelda,” annunciò poi.
Poronda e Raynelle, le sue colleghe, si limitarono ad annuire. “Torna presto,” bofonchiò la seconda, sistemandosi una matita tra i dreadlock per tenerseli indietro, “il testo di Omeopatia e Femminismo non si scrive da solo.”
Tanto deve andare in onda fra due giorni, ho un sacco di tempo.”
Ha detto Zelda che se la costringi di nuovo a improvvisare ti spedisce a lavorare coi maschi.”
Tanasha scosse la testa. “No, grazie. Non ci tengo a fare le pulizie.”
Nemmeno se c’è quel bel figo con i tatuaggi?”
Pur china sul computer, Poronda fece una risatina e disse: “Quello mi piacerebbe incantonarlo nei cessi, una volta o l’altra, e poi controllare com’è messo in mezzo alle gambe.”
Raynelle ridacchiò a sua volta, quindi rispose: “In realtà secondo me ci spera, se no non andrebbe in giro con quei pantaloni a vita bassa che fanno vedere il culo.”
Intervenne Tanasha: “E poi se non ci sta gli rifili una bella accusa di molestie, così impara a fare il prezioso.”
È quello che si merita!” provenne dalla stanza attigua. “Tanto i maschi sono tutti stupratori, hanno il gene dello stupro.”
Le tre ragazze si voltarono in quella direzione: era comparsa sulla porta un’attempata e segaligna signora, con i capelli grigi sciolti sulle spalle, sandali monastici e un colorato abito di foggia africana. Al collo aveva un monile di pietre dure che rappresentava i sette Chakra. “Io me li ricordo, prima che arrivasse il Mondo dell’Amore,” sibilò stringendo gli occhi. “Tutti porci, tutti violenti. Non pensavano ad altro che a stuprare, opprimere e prevaricare.” Fece una pausa, quindi in tono funesto aggiunse: “Se nella Storia ci sono state tante guerre e tante violenze, la colpa è degli uomini carnivori che hanno sempre dominato il mondo.”
Sul gruppetto calò un silenzio consapevole. Infine Raynelle in tono conciliante disse: “Per fortuna ora sono arrivate le donne e hanno portato l’amore dove prima regnava l’odio. Non è vero, Lorena?”
Bisognerebbe castrarli tutti, quei porci,” ringhiò la donna per tutta risposta, quindi girò bruscamente le spalle e tornò nel suo ufficio.
Le tre più giovani si scambiarono un’occhiata e fecero una risatina sommessa. “Lo sapete perché si fa chiamare Lorena?” disse Raynelle a bassa voce. “In onore della protagonista di un fatto di cronaca degli anni ‘90.”
Davvero?” Poronda digitò rapidamente qualcosa sulla tastiera, quindi girò il monitor verso le altre due e svelò: “Lorena Bobbitt, quella che ha tagliato il cazzo al marito.”
Beh, qualcuno di quelli là se lo meriterebbe,” commentò Tanasha.
Ben più di qualcuno,” rincarò Raynelle. “Hanno solo quello in mente, non capiscono altro.”
Poronda fece spallucce. “Chi se ne frega di cos’hanno in mente. Tanto gli uomini sono tutti stupidi, vanno bene solo per divertirsi ogni tanto, oppure per fare i lavori pesanti.”
Tanasha le strizzò l’occhio. “Pensi a quel bel figo delle pulizie?” le chiese con aria complice.
Non fece in tempo a sentire la risposta, perché si udì il suono di un carillon e subito dopo dall’interfono una voce profonda e flautata chiese: “Le mie veline, Tan?”
Scusami, Zelda, arrivo subito!” rispose la ragazza, quindi raccolse il pacco di fogli che aveva abbandonato sulla scrivania e si apprestò a raggiungere la responsabile di Canale Mimosa.
Abbandonò la stanza ed entrò nella versione moderna e vagamente new age di un open space: scrivanie disposte apparentemente senza un ordine, pouf colorati, moquette, poster di bambine indie o nere con frasi sulla natura. In sottofondo, fra il trillare dei telefoni, il crepitare delle tastiere e le voci delle occupanti, si udivano rarefatti accordi di sitar e onde oceaniche. Sulla parete di fondo campeggiava una scritta realizzata a mano con colori naturali, che in un tripudio di racemi dorati recitava: Canale Mimosa.
In un angolo, su un tavolino da computer dismesso, era disposto un assortimento di divinità femminili, da Astarte a Maman Brigitte, con dei bastoncini d’incenso che bruciavano qua e là.
Tanasha abbandonò il locale, percorse un breve corridoio e scostò una tenda batik che fluttuava dolcemente investita dal getto dell’aria condizionata.

L’ufficio di Zelda era un sontuoso boudoir con tende di seta, tappeti e cuscini. I monitor dell’emittente e la scrivania con sopra diversi telefoni erano stati relegati in un angolo e in quel tripudio di stoffe sgargianti quasi non si vedevano. Il neon del soffitto era stato sostituito da un lampadario d’ottone e vetri colorati che dava al locale l’aspetto di un lussuoso bordello mediorientale. Nell’aria c’era una fragranza che ricordava il patchouli.
Zelda, alta, imponente, il fisico di una venere paleolitica e la pelle color cioccolato, era in piedi al centro della stanza. Un giovanotto pallido e ossuto, dai capelli tinti di blu, con una svolazzante camicia di seta dello stesso colore, le volteggiava intorno come avrebbe fatto una falena con una lampada e intanto consultava un’agenda elettronica. “Alle quindici abbiamo l’estetista,” fece in tempo a dire, prima che Zelda lo congedasse con un gesto. Nel movimento, gli strass della sua manicure luccicarono fugaci.
Poi la donna si rivolse alla nuova arrivata: “Le veline, cara?” Tese la mano.
Tanasha le porse i fogli. La donna li prese e cominciò a guardarli in silenzio, uno dopo l’altro, con calma. Di tanto in tanto sollevava le sopracciglia. Un paio di volte schiuse addirittura le labbra color carminio come per dire qualcosa, ma rimase in silenzio.
Infine alzò lo sguardo e chiese: “Le hai lette?”
La più giovane si sentì morire. Che fare? Dire di sì o di no? Quale sarebbe stata la risposta giusta, quella che le avrebbe permesso di continuare a lavorare a Canale Mimosa?
Notando il suo imbarazzo, Zelda le rivolse un sorriso. “Coraggio, mia cara,” le disse suadente. “Non mordo mica.”
Sorrise mettendo in mostra una dentatura che sembrava decisamente promettere il contrario.
Beh… qualcuna,” balbettò Tanasha.
L’altra annuì con l’aria della madre che sente il figlio confessare che sì, effettivamente, qualche volta ha fatto qualcosa che non doveva fare. “Ci hai trovato niente di strano?” le chiese poi.
Io… ecco...” Di fronte a quell’imponente donna nera, Tanasha si sentiva come una specie di vermetto tirato fuori dalla mela: molto bianca e molto vulnerabile. Si era cambiata il nome scegliendone uno da nera, ma per quante lampade facesse, sarebbe sempre rimasta una caucasica un po’ più colorata della media, e i suoi capelli, per quanto acconciati a treccine, sarebbero rimasti disperatamente biondi. Verde scuro, al massimo, quando provava a tingerli di nero.
Zelda le rivolse un sorriso e le chiese: “Da quanto tempo sei qui a Canale Mimosa, cara?”
Tanasha deglutì. “Il venti saranno tre settimane,” rispose.
E prima dov’eri?”
A Canale Rosa.”
Zelda annuì. “Ah, certo. Consigli di bellezza e arte della seduzione. Rubriche per cuori solitari.”
Tanasha annuì a sua volta, con energia, ma prima che potesse aprire bocca, l’altra cominciò: “Ma vedi, cara, qui al Canale Mimosa non ci occupiamo di queste cose frivole. Il nostro compito è formare le coscienze, far capire alle donne qual è il loro vero valore e quali sono i pericoli che si troveranno ad affrontare là fuori, nel mondo.” Fece un gesto ampio e circolare con il braccio, quindi soggiunse: “Ecco perché è così importante scegliere con attenzione le notizie da trasmettere.”
Io… credevo che la verità fosse importante,” osò dire la più giovane.
Zelda fece un sorriso sornione. “La verità, la verità,” ripeté. “La verità non è mai pura e raramente è semplice. Chi lo disse?”
Un uomo,” rispose prontamente Tanasha, e la fissò, certa di aver superato con quella risposta un pericoloso trabocchetto.
La nera annuì. “Sì, ma gay,” puntualizzò, “vittima di vessazioni per il suo orientamento sessuale, quindi molto più vicino alla giusta mentalità femminile di tanti fallocrati ottusi convinti di poter dominare il mondo con il loro miserabile pene.”
Certo, Zelda.”
L’altra annuì di nuovo. Con la sua voce profonda cominciò: “Un tempo, vedi, chiunque volesse aprire un’emittente televisiva poteva farlo, e poteva trasmettere ogni genere di notizia.”
Anche quelle false?” intervenne Tanasha, fissandola con occhioni che nonostante tutto rimanevano più azzurri del cielo estivo.
No, quelle false no,” concesse Zelda, “ma tu capisci, mia cara: non tutte sono pronte ad assorbire qualsiasi notizia. Le notizie vanno filtrate, vanno sistemate, come i vestiti acquistati durante i saldi.
Che cosa significa?”
Per tutta riposta, la donna raccolse il pacco di veline e cominciò a sfogliarlo. Lesse: “Schizzare di sperma gli abiti di una donna è violenza sessuale. Questa va bene.” Mise da una parte il foglio. “Guarda con insistenza una donna sul treno, condannato a dieci giorni di carcere. Anche questa va bene. Falsa accusa di stupro, donna incastrata dal diario.” Sollevò la testa e rivolse a Tanasha uno sguardo inceneritore. “Questa non va bene,” sibilò.
La ragazza ritirò la testa fra le spalle. “Ma è successo,” disse con un filo di voce.
E con questo? Il nostro compito non è riferire fatti, ma orientare coscienze. E se per farlo dobbiamo dimenticare qualche fatterello, beh, sarà per una giusta causa: la causa delle donne.” Non attese risposta: di nuovo abbassò lo sguardo sui fogli e a voce alta chiamò: “Raoul!”
Ricomparve il giovanotto dai capelli blu. “Sì, Zelda?”
La donna stese la mano. “Portami una penna,” ordinò concisa.
Certo, Zelda.”
Cominciò a correggere i fogli. Sottolineò alcuni pezzi, altri li cancellò con un deciso tratto dal basso a sinistra verso l’alto a destra, ad altri aggiunse note a margine. Infine restituì il pacco di fogli – ormai decisamente più sottile – a Tanasha e in tono asciutto disse: “Falli sistemare a Shakti.”
A… Shakti?” fece eco la più giovane.
Zelda si erse in tutta la sua notevole statura, assumendo l’inquietante autorevolezza di un idolo tribale. Lentamente disse: “Se sei così interessata alla verità, mia cara, forse potremmo trovarti un posto a Canale Margherita.”
Tanasha, master in giornalismo superato a pieni voti, avvampò: “Cosa? Puericultura e salute della donna?”
Certo. Rimedi naturali, saggezza femminile. Se ti piacciono tanto i fatti, forse quello è il posto che fa per te.” Fece una pausa di qualche secondo, quindi riprese: “Se invece, come me, ritieni che i fatti siano strumenti, da utilizzare per far nascere nelle donne la giusta consapevolezza, allora forse – e dico forse – potremo ancora lavorare insieme.”

§

Sul piccolo schermo comparve l’immagine di un cavallo bianco. L’animale si muoveva incerto contro uno sfondo notturno sui toni del blu e del grigio, alzava e abbassava la testa, si frustava i fianchi con la coda, esprimendo nervosismo e disagio. Un primo piano mostrò gli occhi lucidi e le froge dilatate.
Poi d’un tratto le nuvole alle sue spalle si diradarono lentamente e nel tratto di cielo rimasto libero comparve la luna piena.
A quel punto, al cavallo spuntarono due sontuose ali di penne candide ed esso spiccò il volo, rivelando di essere in effetti una cavalla.
Sull’immagine dell’animale che si dirigeva verso la luna con maestosi battiti d’ala comparve una scritta: Il mondo di Zelda.
Vediamo che freakshow ha tirato fuori stavolta,” disse una voce maschile.
Sta’ zitto,” intervenne un’altra voce, sempre maschile, “vuoi beccarti una denuncia per commenti sessisti e lesivi della dignità della donna?”
Non ci fu risposta.
Sullo schermo frattanto era comparso una specie di salotto orientale con tappeti e cuscini. Varie persone sedevano su bassi divani disposti a semicerchio intorno a un tavolino su cui si trovavano tazze artigianali in ceramica raku.
Tutti gli invitati guardavano con aspettativa nella stessa direzione.
Ci fu uno stracco musicale e poi fece il suo ingresso l’imponente Zelda, con una crocchia di capelli che alzava ulteriormente la sua già notevole statura e un abito di lamé che pareva scelto per mettere in evidenza le sue forme prorompenti.
Sembra un tacchino avvolto nella carta stagnola,” commentò la voce di prima, di nuovo precipitosamente zittita.
Zelda prese posto su una poltrona dallo schienale alto, quindi accavallò solennemente le gambe. Rivolse a tutti i presenti un maestoso cenno di saluto e procedette alle presentazioni.
Dedicò per prima cosa la sua attenzione a un uomo molto alto e di corporatura poderosa. Questi sedeva con le mani in grembo, le spalle ingobbite e l’aria mesta di un orso da circo.
Ciao, Teddy,” lo salutò suadente.
L’uomo assunse l’espressione del cane che vede il padrone prendere il guinzaglio. “Ciao, Zelda,” rispose.
Vuoi parlarci di te, Teddy?”
Beh, io...”
Coraggio.”
Teddy prese un gran respiro. “Io ero un uomo… sbagliato,” buttò lì alla fine. “Sbagliato, facevo cose brutte.”
Zelda si piegò impercettibilmente nella sua direzione. Gli rivolse un sorriso incoraggiante. “Vuoi raccontarcele, caro?”
L’altro annuì come chi ha appena preso una decisione dolorosa ma necessaria. Strinse le labbra, poi disse: “Io andavo a caccia, mangiavo carne.” Sofferta pausa. “Mi piacevano le armi.”
Un mormorio di disappunto attraversò la sala, l’uomo ritirò la testa fra le spalle e cominciò a fissarsi le scarpe. “Passavo il tempo con gli amici,” aggiunse poi senza modificare la propria posizione, “giocavo a football americano, non mi curavo delle esigenze della mia compagna.”
Alla confessione fece seguito un silenzio costernato.
Ed eri felice?” chiese premurosa Zelda.
Teddy scosse la testa. “Io credevo di esserlo. Credevo che la vita fosse quella: stare con gli amici dopo il lavoro, andare a caccia.” Si interruppe, quindi a voce più bassa soggiunse: “Mangiare cadaveri.”
La donna annuì grave, con l’aria di chi nonostante tutto cerca di comprendere. “E poi cos’è successo?” gli chiese.
L’altro alzò la testa. “Ho capito,” rispose. “Mi sono reso conto che la mia era un’esistenza vuota, superficiale. Ho capito che vivevo le armi come un prolungamento del mio stesso fallo e che stavo esaurendo le mie energie in cose futili come giocare con gli amici invece di usarle per cose giuste come dedicarmi alla mia compagna.”
Zelda annuì di nuovo, questa volta imitata da tutti i presenti. Provennero da fuori campo voci femminili che dicevano bravo.
Mi sono reso conto che stavo sbagliando tutto. Ho distrutto le mie armi e ho smesso di vedere quelli che avevo sempre ceduto amici.”
Non erano amici?”
Teddy scosse con decisione la testa. “No, erano egoisti infantili, che mi allontanavano da chi mi ama veramente.”
Sarebbe?”
La mia compagna.”
Vuoi dirle qualcosa, Ted?”
L’uomo fissò con intensità la telecamera, quindi lentamente sillabò: “Non ti ringrazierò mai abbastanza per avermi spinto a crescere, tesoro. Ora ho imparato a vivere le emozioni, ora so piangere.” Emise un sospiro. “Ora so quali sono le cose veramente importanti della vita.” Si terse con discrezione una lacrimuccia.
Scrosciò un applauso, coloro che sedevano accanto a Teddy si protesero a darli pacche sulle spalle. Una donna rasata a zero, con un assortimento di anelli tintinnanti a ogni orecchio e una maglietta con due simboli biologici femminili intrecciati, si alzò da una delle estremità del semicerchio e gli strinse la mano. “Sei il primo maschio a cui non ho voglia di sparare nei coglioni,” gli comunicò.
Grazie,” rispose lui modesto.
Ci fu un altro applauso, poi Zelda si rivolse a una donna che non si sarebbe guardata due volte per strada: magra, occhialuta, caschetto di capelli ingrigiti, tailleur color pastello. “Vuoi dirci chi sei, cara?” le suggerì.
Mi chiamo Igea, pratico terapie naturali.”
Sei una dottoressa, Igea?”
La donna assunse un’aria arcigna. “La cosiddetta medicina tradizionale è il retaggio anaffettivo e spersonalizzante della Scienza, che altro non è se non uno dei modi con cui la cultura fallica e maschilista ha sempre oppresso le donne. Io amo definirmi guaritrice o sciamana.”
Un mormorio meravigliato attraversò il gruppetto degli ospiti. Zelda si limitò a inarcare le sopracciglia, poi chiese: “Potresti spiegarci che significa?”
Io compio un viaggio di cura assieme alla mia paziente, comprendo gli squilibri della sua energia, ne individuo le cause attraverso un percorso di consapevolezza che porta a una crescita reciproca.” Fece una pausa, quindi rivelò: “Io mi arricchisco interiormente, grazie al rapporto con le mie pazienti.”
Come si svolge la terapia?” chiese Zelda.
La donna scosse la testa. “La terapia sarebbe una costrizione, una violenza. Io insegno ad accogliere le malattie come veicoli di crescita spirituale, a convivere con esse, vivendole come uno degli infiniti modi di essere nel mondo.”
E le tue pazienti guariscono?”
Se questo è il corso della natura, sì. Ma qual è poi il senso della parola guarigione? Dobbiamo liberarci dell’esigenza prettamente maschile di modificare le cose a nostro uso e consumo. La natura è un’entità con cui bisogna vivere in armonia, accettando le sue leggi immutabili, non uno strumento per appagare nostre personali esigenze.”
Di nuovo scrosciò un applauso, tutti si sentirono in dovere di manifestare la propria approvazione. Poi Zelda si rivolse a una donna dai tratti orientali, alta ed esile, che indossava panni simili a paramenti religiosi.
Il bel discorso di Igea mi porta direttamente a te, mia cara,” disse Zelda. “Vuoi presentarti al nostro pubblico, per favore?”
L’orientale annuì. “Il mio nome è Samsara, sono una sacerdotessa.”
La conduttrice annuì grave. “Sacerdotessa di cosa, Samsara? Vuoi spiegarlo ai nostri ospiti e a chi ci sta ascoltando da casa?”
L’altra sollevò la testa e con espressione ispirata rispose: “Io venero il Femminile. La Dea, la Natura, la Madre, la forza che dà la vita.”
Zelda annuì grave.
Il Dio delle religioni monoteiste è malvagio e oppressivo, relega la donna in una condizione di inferiorità, essenzialmente perché spaventato dal suo enorme potere.” Il fervore mistico si accese ancora più intenso nei suoi occhi ed ella soggiunse: “La donna ha in sé tutta la forza dell’Universo, perché ha la capacità di creare la vita. Se non fosse stato per il Femminile, dove sarebbe adesso il mondo?”
Nessuno seppe dare una risposta e la domanda rimase ad aleggiare come un severo monito.
Passiamo alla nostra prossima ospite,” disse allora Zelda, quindi si rivolse a una nera di aspetto atletico, che indossava pantaloni mimetici e una maglietta con il primo piano di un cucciolo di beagle dagli occhioni languidi.
Perché non ci dici chi sei e cosa fai, mia cara?” le propose.
Sono Noun. Mi definisco una guerriera dell’amore,” rispose la nera.
Vuoi spiegarci che cosa significa?”
Io colpisco chi non ama. Chi uccide gli animali, chi li alleva per macellarli.”
Che cosa significa che li colpisci, cara?”
Noun si batté la destra chiusa a pugno sul palmo della sinistra, producendo uno schiocco. “Gliela faccio pagare!” proclamò. “Li faccio vivere nel terrore, esattamente come loro fanno vivere nel terrore poveri animali innocenti.”
Giusto!” approvò la donna rasata a zero con gli anelli alle orecchie, “Bisognerebbe ammazzarli tutti, quei bastardi!”
E farli soffrire, anche,” rincarò la sciamana in tailleur color pastello.
Io invoco maledizioni su di loro ogni giorno,” aggiunse pacata la sacerdotessa.
Zelda alzò le mani per calmare gli animi. “Capisco,” disse suadente, “è molto bello che ci siano donne come te, Noun, che si impegnano in prima persona per il benessere dei nostri amici animali.”
L’altra di nuovo strinse il pugno e ringhiò: “Se vedo qualcuno che mangia carne, mi viene voglia di spaccargli la faccia!”
Scrosciò un applauso, si udì anche qualche brava! da dietro le quinte.
A quel punto, Zelda si girò verso una giovane donna piuttosto in carne che indossava una tuta da ginnastica chiara e sedeva con le gambe accostate l’una all’altra. “È a posto l’asciugamano, cara?” le chiese in tono soave.
Ella annuì.
Molto bene, vuoi dire qualcosa ai telespettatori?”
La donna aprì le gambe, mostrando tra esse una chiazza rossa larga un palmo. “I tamponi sono uno strumento di oppressione patriarcale con cui le donne sono costrette ad auto-stuprarsi!” proclamò.
Dunque sei una free bleeder,” constatò Zelda. “Ora vuoi dirci come ti chiami, per favore?”
Ho scelto di chiamarmi Kiran, in onore di Kiran Gandhi, che corse la maratona di Londra sanguinando liberamente. Non usare protezioni è il modo più bello di vivere la nostra femminilità e allo stesso tempo di gridarla al mondo. Di dire: ehi, mondo, noi siamo donne, diamo la vita, viviamo il ciclo mestruale in armonia con la natura!”
La sciamana approvò con un sobrio cenno del capo, quindi si scambiò un’occhiata con la sacerdotessa, che a sua volta annuì.
A quel punto, senza attendere di essere interpellata da Zelda, la donna rasata a zero prese la parola: “Io sono Butch,” annunciò, “e questa qui è Dyke, la mia donna!” Circondò con il braccio nerboruto le spalle di una ragazza con la faccia tatuata e i capelli tinti nei colori dell’arcobaleno, se la tirò addosso e le diede un bacio in bocca con tanto di lingua, poi fece girare un’occhiata tutt’intorno, come sfidando gli astanti a dirle qualcosa.
Nessuno parlò nel gruppetto degli invitati, anche se qualche voce fuori campo espresse la propria approvazione.
Imperturbabile, Zelda disse: “Fa piacere vedere una coppia così unita. Del resto, non vedo il motivo di reprimere i propri sentimenti, quando sono così naturali e forti.”
Ehi, nessuno può reprimerci, ok?” ringhiò Butch fissandola in cagnesco, “Noi siamo libere!”
Zelda fece un gesto a mezz’aria come per scacciare un immaginario insetto, quindi rispose: “Ma certo che siete libere. Non siamo più nel patriarcato fallocrate e repressivo, ora c’è amore per tutti.” Poi, dopo una pausa: “Però ora raccontaci perché siete venute a trovarci, Butch.”
Due pezzi di merda stavano allevando dei figli nella maniera sbagliata, gli riempivano la testa di stronzate. Ma per fortuna siamo arrivate io e Dyke e abbiamo risolto la cosa.”
Che cosa intendi per famiglia sbagliata?”
La donna assunse un’espressione schifata e rispose: “Un maschio e una femmina. Insieme.”
Zelda annuì grave.
Un maschio e una femmina,” ripeté Butch, più che mai scandalizzata. “Sicuramente li avrebbero cresciuti nell’odio e nell’omofobia, gli avrebbero fatto credere che una famiglia, per essere giusta, deve avere un padre e una madre.” Lanciò sugli astanti uno sguardo che di nuovo aveva il bagliore della sfida. La sua compagna la fissò con aria devota.
Cos’avete fatto?” chiese Zelda.
Ci siamo rivolte all’ufficio per la tutela delle minoranze, ovviamente. Abbiamo spiegato quello che stava succedendo, ovvero che c’erano dei bambini in pericolo.” Fece una pausa, poi proseguì: “Ora crescono a casa nostra. Hanno fatto un po’ di storie, all’inizio. Insistevano che volevano i genitori. Si vede che quelli là gli avevano fatto un bel lavaggio del cervello.”
E adesso?”
Hanno smesso di frignare. Abbiamo dovuto anche depurarli, perché quei criminali gli facevano mangiare la carne.”
Un mormorio di disgusto attraversò l’uditorio.
Ma adesso solo frutta. E soprattutto un ambiente giusto, dove imparano il rispetto e la tolleranza.”
Scrosciò spontaneo un applauso veemente.
Quegli stronzi omofobi non rovineranno più nessuno!” disse Butch, ma il proclama si perse nei fervidi battimani.
Dopo un po’, Zelda prese di nuovo la parola: “Abbiamo ora l’ultimo ospite della giornata.” Indicò un ometto smilzo e pelato, che indossava una specie di abito da thai-chi e sedeva compunto sull’orlo del divano. “Vuoi raccontarci la tua storia, caro?” gli propose.
Mi chiamo Cory e sono qui perché ho fatto una scelta di vita.”
Zelda annuì come chi vede svolgersi le cose esattamente secondo le previsioni. “Quale scelta, Cory?”
Ho voluto chiedere scusa per tutte le violenze che il mio genere ha per secoli inflitto alle donne. Certo questo non ripaga tutto il male fatto nel corso della Storia, diciamo che più che altro è un gesto simbolico, che però ha per me un grande significato.”
Vuoi raccontare di quale gesto si tratta?”
Mi sono fatto asportare chirurgicamente il pene.”
L’uditorio rimase raggelato, Teddy sobbalzò come se l’avesse punto una vespa, Butch disse qualcosa che dovette essere coperto da un lungo Biiip.
Cory fissò gli astanti con la serenità di un bonzo in procinto di darsi fuoco, quindi con un tono di remota pacatezza cominciò a raccontare: “All’inizio avevo un po’ paura, naturalmente, ma quando sono arrivato davanti alla sala operatoria ho sentito dentro una grande pace. Ho capito che stavo facendo la cosa giusta.” Emise un sospiro, quindi proseguì: “La penetrazione è stupro, l’uomo si appropria del corpo della donna, lo possiede. E questo… io sento che questo è sbagliato. Ho capito che dovevo fare qualcosa, che se non l’avessi fatto non sarei più riuscito a guardare la mia compagna, e con lei ogni altra donna, senza provare vergogna.” Fece un’altra pausa, inspirò ad occhi chiusi ed espirò lentamente. “Noi dobbiamo chiedere scusa alle donne,” disse poi. Fissò direttamente la telecamera e proclamò: “Scusate, donne. Io chiedo scusa a tutto il genere femminile, mi vergogno di essere un uomo.”
E ora, pubblicità,” annunciò Zelda.

Merda, si é tagliato l’uccello!” L’uomo si girò verso il bancone e a voce più bassa soggiunse: “Zac! Via il cazzo… Dammi qualcosa di forte, Tony.”
Lo sai che hai esaurito la tua quota di superalcolici mensile.”
Correrò il rischio.”
Il barista fece spallucce: “Hai tutta questa voglia di fare un mese di lavori socialmente utili in un reparto di ammalati di cirrosi?”
Senti, fanculo, stiamo parlando di uno che si è appena fatto tagliare via il cazzo. Ho bisogno di berci sopra.”
Anch’io,” intervenne un altro dal fondo della sala. Poi, rivolto a quello più vicino al televisore: “Cambia canale, ‘sta troia mi ha già rotto le palle.”
Quello sogghignò. “Che cosa vuoi, consigli di bellezza o stronzate sulla medicina alternativa?”
Spegni.”
Il televisore tacque.
Gli astanti, tutti uomini, si scambiarono delle occhiate in tralice e per un po’ nessuno disse nulla. Alla fine il barista allineò sul bancone un certo numero di bicchierini, tirò fuori da un armadietto una bottiglia con scritto sopra ‘Succo di mela con zenzero’ e versò un po’ della bevanda, trasparente e di colore ambrato, in ogni recipiente. Si levò il tipico odore del bourbon.
Fanculo la quota di superalcolico,” brontolò. “Questo lo offre la casa, non state a tirare fuori le schede della Salute Armoniosa di ‘sto cazzo.”
Uno degli avventori, alto, corpulento, con una gran barba e un vecchio cappello da baseball, sfilò di tasca una tessera con un microchip decorata con un mandala sui toni del viola e dell’azzurro, la scrutò aggrottando le sopracciglia e brontolò: “Sai dove glielo ficcherei, questo pezzo di plastica fetente? Mangi una bistecca? Te la registrano qui. Ti bevi un goccio? Anche quello va a finire qui. Ti fumi una paglia? Qui. Fai qualsiasi cosa che non sia mangiare fottuta erba o grano buono solo per i piccioni? Tutto qui. E quando hai esaurito lo spazio, ti becchi uno dei loro merdosi corsi di Consapevolezza e Responsabilità. Ma che si fottessero, brutte troie.”
Beh, questo è extra,” disse il barista in tono conciliante, “non finisce sulla scheda.”
Tutti si avvicinarono. Dal fondo della sala si fece avanti un ragazzo e sogguardando titubante i bicchierini chiese: “Anch’io?”
Di sicuro non ti farà peggio della quinoa.”
Quando furono tutti riuniti, uno tirò fuori dalla tasca anteriore della salopette da lavoro un DVD e disse: “Un anno di Champion’s League. Interessa a qualcuno?” Fece ruotare il disco sotto la luce.
Quanto chiedi?” s’informò l’uomo con la barba.
Dieci arcobaleni.”
L’altro sollevò le sopracciglia, il primo si sentì in dovere di precisare: “Un anno intero, con anche le interviste agli allenatori.”
Andata.” Tirò fuori dal portafoglio delle banconote dalle sfumature multicolori e gliele porse.
Non farti beccare con quello,” lo consigliò il barista, “altrimenti è un corso di Rifiuto della Competizione e della Mascolinità Tossica assicurato.”
Il DVD sparì nel profondo di una tasca. Il ragazzo, che stava cautamente sorbendo il bourbon, a quel punto si rivolse a un uomo smilzo, con i capelli bianchi e il volto rugoso, e gli chiese: “Mike, ma è vero quello che hai raccontato l’altra sera?”
Cosa, ragazzo?”
Che quando eri giovane si potevano guardare le partite in TV.”
L’uomo assunse un’espressione sognante. “Certo, potevi guardare tutte quelle che volevi.”
Il più giovane lo fissò meravigliato “Davvero?”
Si potevano guardare anche i film di guerra,” intervenne l’uomo corpulento con la barba.
Di guerra? Con la violenza?”
Sicuro.”
E se ti beccavano non ti facevano fare i corsi di Rispetto e Tolleranza?”
No, c’era la libertà, a quei tempi. I maschi potevano fare quello che volevano, anche studiare.”
Non ci credo. I maschi non possono studiare, non hanno abbastanza neu… neutroni…?”
Intervenne un uomo molto alto, con i capelli biondi e una casacca macchiata di grasso che si tendeva sulle spalle ampie. “È quello che ti hanno sempre fatto credere,” gli disse con un sospiro, “ma la verità è che gli uomini sono intelligenti esattamente come le donne. Anzi, nel passato, quando ancora potevano studiare, ci sono stati grandi scienziati uomini.”
Il ragazzo lo fissò con espressione incredula.
Rick ha ragione,” confermò l’uomo coi capelli bianchi.
A quel punto, il tono della discussione si abbassò. Tutti assunsero un’aria da cospiratori, qualcuno lanciò fugaci occhiate alla porta, per vedere se in strada stava passando qualche Gruppo di Consapevolezza, quelli che di solito erano composti da almeno una decina di esagitate, tutte smaniose di scaricare i loro taser nelle palle dei fallocrati violenti, ma il marciapiede era deserto.
Sembra che non sia così dappertutto,” buttò lì con noncuranza l’uomo con la barba.
Sarebbe a dire?” chiese il biondo.
Ci sono posti dove i maschi sono liberi.”
Un mormorio di meraviglia attraversò il gruppo, il barista diede una seconda occhiata alla strada. “Piano con questi discorsi, ragazzi,” ammonì serio. “Non ci tengo a finire in una Comune per l’Armonia e la Consapevolezza di Genere.”
Posti di merda,” brontolò un uomo di colore con gli abiti sporchi di vernice e un metro che gli spuntava da una tasca.
Ma tu sei nero, Bob,” gli fece notare Mike. “Per un sacco di cose non ti rompono le palle.”
Ah, non pensare che me la passi tanto meglio di voi bianchi,” replicò questi. “Sono pur sempre maschio, ho lo strumento di repressione fallocratica in mezzo alle gambe.”
E ringraziamo che non ce l’hanno ancora tagliato,” brontolò l’uomo con la barba.
Dopo la trasmissione di stasera potrebbe anche succedere,” ringhiò un altro, vestito con una tuta verde da giardiniere, “Per il nostro bene, ovviamente.”
Per il nostro bene,” ripeté il biondo con un ghigno. Si guardò intorno. “Che fine ha fatto Dave?” chiese poi. “Mi doveva due arcobaleni per la bevuta di ieri sera.”
Gli altri si scambiarono un’occhiata. Infine Bob disse cauto: “Non sai niente, Rick?”
Cosa?”
Accusato di molestie. È finito alla Sezione Disassuefazione dall’Aggressività Fallica.”
Merda, la peggiore,” commentò il biondo. “Cos’ha fatto?”
A una tizia era caduto qualcosa e lui si è chinato a raccoglierlo. Hanno detto che l’ha umiliata in modo maschilista facendole pesare la sua momentanea situazione di inferiorità, inoltre hanno stabilito che da quella posizione avrebbe potuto guardarle sotto la gonna.”
Ma l’ha fatto?”
Chi stava narrando l’episodio alzò le spalle. “Non importa. Potenzialmente avrebbe potuto farlo. Sai bene che questo è più che sufficiente.”
Calò un silenzio cupo.
Un altro giro?” propose il barista. “Beviamoci su. Alla faccia della loro Salute Armoniosa del cazzo.”

§

È pronto il bambino, Richard?”
L’uomo cercò senza successo di afferrare un frugoletto con una gran zazzera di capelli biondi che correva per le stanze come un indemoniato. “Un attimo, tesoro.”
Se fai presto ti do uno strappo con la macchina.”
Rick fissò critico la donna e replicò: “Non vorrei che avessi delle noie.”
Perché? Siamo marito e moglie, potrò ben accompagnarti al lavoro in macchina, no?” Poi, a voce più alta: “Leo, tesoro, vieni dalla mamma!”
Il bimbo arrivò di corsa, dribblò all’ultimo momento il tentativo della donna di afferrarlo e si buttò ad abbracciare le ginocchia del padre. “Quando potrò venire in officina con te?” gli chiese.
L’uomo si piegò ad accarezzargli i capelli. “Quando sarai grande,” gli disse. “Ora devi andare a scuola.”
Non ci voglio andare a scuola, le bambine mi fanno i dispetti.”
Richard scambiò un’occhiata con la moglie, poi gli disse: “E tu dillo alle maestre.”
Le maestre dicono sempre che le bambine hanno ragione, anche quando non è vero. Billy l’altro giorno è stato punito, ma era stata Kisha a picchiarlo, lui non aveva fatto proprio niente.”
Ne sei sicuro?”
Il piccolo assunse un’espressione di serietà grave. “Sì.”
E tu sta con i bambini, allora.”
Le bambine vengono a cercarci per farci i dispetti, tanto lo sanno che le maestre danno sempre ragione a loro. Ieri Aalissah e Shakila hanno rubato la merenda a Jimmy e le maestre non le hanno sgridate neanche un po’.” Fece il broncio.
Tu non farti rubare la merenda,” suggerì Rick. “E se te la rubano dimmelo, che vengo io a parlare con le tue maestre.”
Richard,” intervenne la moglie.
Potrò andare a parlare civilmente, no?”
La donna scosse la testa. “Rischi di beccarti un’accusa di molestie e di finire alla Disassuefazione. Se Leo ha problemi ci parlo io con le maestre.”
Sì, poi magari trovi la lesbica che accusa te di molestie.”
Non dire queste cose davanti al bambino,” lo ammonì la moglie, guardandosi fugacemente intorno come per paura che ci fosse qualcuno a origliare, “Se a scuola le ripete potremmo avere problemi.”
Oh, già.” Richard emise un sospiro. “Assistenti sociali in casa, test di disfunzionalità del nucleo familiare e cazzate del genere.”
Già con quella faccenda della bandiera potremmo avere noie.”
L’uomo si voltò verso la porta semiaperta della camera. Si intravedeva appeso al muro un drappo a losanghe bianche e azzurre con al centro uno stemma inquartato sostenuto da due leoni rampanti d’oro. “Era di mio nonno, Schatzi.”
Lo so, ma adesso i riferimenti ai nazionalismi sono vietati, lo sai.” Fece una pausa, poi cautamente soggiunse: “Sarebbe meglio che andasse a finire in cantina, Rick.”
Sai che un tizio mi ha chiesto se la vendo? Mi darebbe un sacco di soldi.”
La donna lo fissò con interesse. “Quanto?”
Da comprarci una macchina nuova.”
E tu?”
Ho rifiutato. È l’unico ricordo che ho di mio padre.”
I due si scambiarono un’occhiata, poi la donna sorrise e gli disse: “Ok, in fondo una macchina nuova non ci serve al momento. Però promettimi che la metterai via.”
L’altro emise un sospiro. “E va bene. Quando torno dal lavoro la tolgo.”
Grazie, tesoro.”
La donna raccolse la borsa e le chiavi della macchina e disse: “Ora andiamo, se no farai tardi. Ricordati che siamo già sotto controllo, quindi è meglio non attirare troppo l’attenzione. Nel caso, andrò io a parlare con le maestre.”

§

Mo’Nique, giovane maestra della scuola elementare, percorse i banchi disposti a ferro di cavallo e depose davanti a ogni persona in accrescimento un foglio bianco. Successivamente prese scatole di pennarelli, matite e tempere di tutti i colori e le collocò a intervalli regolari lungo la fila di banchi, in modo che fossero facilmente raggiungibili da chiunque.
Oggi mi farete il ritratto della vostra famiglia,” disse poi. “Genitore 1 e Genitore 2, e tutti gli altri Genitori che avete, assieme alle vostre sorelline e ai vostri fratellini. Usate tutti i colori che ci sono, mi raccomando. Voglio vedere dei bellissimi arcobaleni.”
Sìì!” risposero i bambini in coro.
Perché è bello l’arcobaleno?”
I piccoli si scambiarono occhiate dubbiose. L’arcobaleno era bello, punto e basta. Chi si era mai posto il problema del perché?
Alzò una mano Jimmy.
Sì, caro?” chiese Mo’Nique.
Perché ha molti colori?”
La maestra annuì, ma poco convinta. A tutti fu chiaro che si sarebbe aspettata qualcosa di più. Alzò la mano Kisha, che rivolse dapprima uno sguardo di superiorità al resto della classe, poi disse: “Perché è il simbolo dell’amore.”
Molto bene,” approvò Mo’Nique. “È il simbolo dell’amore, delle diversità che si uniscono a creare un tutto unico.” Fece una pausa, poi disse: “E ora, recitiamo insieme il significato di ogni colore. Rosso?”
Vita!”
Arancione?”
Salute!”
Giallo?”
Ci fu un momento di silenzio, i bambini si fissarono l’un l’altro dubbiosi.
Coraggio, è facile,” li incoraggiò Mo’Nique. “Giallo?” Indicò un disegno con un sole che splendeva.
Luce del sole!” esclamò Shakila.
Certo, luce del sole,” confermò la maestra. “Verde?”
Natura!”
Molto bene. Blu?”
Serenità.”
Viola?”
Spirito!”
Bravissime! E ora voglio vedere dei bellissimi disegni, forza!”
I bambini protesero immediatamente le mani verso i recipienti con i colori, cercando di afferrarne quanti più potevano. Con un movimento che ricordava quello di un croupier, Aalissah e Shakila raccolsero tutti i colori che si trovavano alla loro portata e li ammucchiarono su uno dei banchi, dopodiché fecero girare tutt’intorno uno sguardo in cagnesco, come per sfidare gli altri bambini a reclamare la loro parte di pastelli e matite.
Nessuno si fece avanti, ovviamente.
Leo, che aveva seguito in silenzio tutto il mantra della bandiera arcobaleno, rimase a fissare per un po’ le bambine che si disputavano i colori, poi prese una matita, un tubetto di tempera bianca e uno di azzurro cielo e con quelli si allontanò dal gruppo principale. Si scelse un banco isolato e stese accuratamente il foglio, disponendovi sopra quel che aveva recuperato. Andò poi a prendere un paio di pennelli e un vasetto con un po’ d’acqua, quindi cominciò a tracciare figure.

Mo’Nique, che da un po’ teneva d’occhio il solitario bambino, gli si avvicinò con il più accattivante dei suoi sorrisi. “Perché non stai con il resto della classe, tesoro?” volle sapere.
Il piccolo levò su di lei gli occhi celesti. Assunse un’espressione imbronciata e rispose: “Se sto con gli altri, le bambine mi portano via i colori, e tu le difendi anche se è colpa loro.”
Ma questo non è assolutamente vero,” protestò la maestra.
Invece sì,” rispose il bambino, con la franchezza priva di filtri dell’età infantile. “Ieri Aalissah e Shakila hanno portato via la merenda a Jimmy e tu non hai fatto niente. Quando è stato Boris a portare via la merenda a Latifa, tu l’hai mandato a fare i lavori socialmente utili. Gli hai fatto pulire la cacca dei conigli per una settimana.”
Boris è stato molto cattivo, Leo. Ha tirato i capelli a Latifa.”
Anche Aalissah ha tirato i capelli a Jimmy.”
Questo non è affatto vero!”
Il bambino la fissò torvo. “Invece sì,” ripeté imperterrito. “L’ho vista io.”
Allora evidentemente Jimmy se lo meritava,” tagliò corto Mo’Nique, “e ora fammi vedere il tuo disegno, forza.”
Il bambino spinse il foglio verso di lei. La donna lo prese e per un po’ rimase a studiarlo perplessa, aggrottando di tanto in tanto le sopracciglia. Ogni tanto abbassava il pezzo di carta e fissava il piccolo, che le rimandava uno sguardo di perfetta tranquillità.
Alla fine la maestra chiese: “E questo cosa sarebbe?”
Io, papà e mamma,” rispose Leo.
Sei sicuro?”
Il bambino annuì. “Certo.” Sul foglio, tracciate con incerta mano infantile, c’erano tre figure: da una parte c'era una maschile molto alta e dall'altra una figura femminile, riconoscibile dai capelli lunghi e dalla gonna, decisamente più piccola. Al centro c’era una terza figura, più piccola delle altre due, che teneva le prime per mano.
Quello sono io,” spiegò premurosamente il bambino.
E gli altri?”
Papà e mamma.”
Non si dice più papà e mamma, caro. Si dice Genitore 1 e Genitore 2.”
No, sono papà e mamma,” ripeté il bambino.
E se, poniamo, qualche bambino avesse due mamme o due papà? Potrebbe sentirsi offeso dalle tue parole, ci hai pensato?”
Sono papà e mamma,” disse Leo imperterrito.
La maestra fece un sospiro, ma rinunciò a insistere.
Riguardò il disegno: l’uomo aveva i pantaloni azzurri e la maglia bianca, la donna un abito marezzato nei due colori, come per un mal riuscito tentativo di fantasia floreale. Il bambino aveva una maglietta a righe orizzontali azzurre e bianche.
Perché solo questi colori?” chiese la maestra.
Papà dice che sono i più belli.”
Davvero? Come mai?”
Perché sono quelli del posto dove abitava il bisnonno Adolf,” rispose il bambino in tono compunto, “la Beviera, che è un posto bellissimo con tante montagne. Papà dice che il bianco è il colore della neve e l’azzurro quello del cielo.”
La maestra lo fissò come se gli si fosse girata la testa all’indietro e avesse cominciato a parlare in aramaico. “Ma caro… non esiste più quel posto,” disse cauta. “Ora non ci sono più le nazioni e nemmeno le bandiere, c’è solo quella con l’arcobaleno. Che cosa rappresenta la bandiera con l’arcobaleno, tesoro?”
Che le bambine possono tirarti i capelli finché vogliono e nessuno le sgrida.”
Leo!”
È così,” replicò il bambino.
Non è affatto vero. Non si dicono queste cose.”
Ieri Aalissah ha tirato i capelli a Jimmy e nessuno l’ha sgridata.”
Mo’Nique alzò leggermente la voce: “Ora basta con questa storia, hai capito? Non è successo niente del genere.”
Invece sì,” rispose imperterrito il piccolo, “l’ho vista io.”
Ti avverto: se non la smetti subito finisci in punizione. Ora prendi dei bei pennarelli e colora come si deve questo disegno.”
A me piace così.” Il frugolo incrociò le braccia sul petto come a sottolineare la sua indisponibilità a ottemperare alla richiesta, poi fissò accigliato la maestra e in tono stizzito proclamò: “La Beviera è il posto più bello del mondo.”

Mo’Nique per un po’ rimase a fissarlo indecisa sul da farsi: sgridarlo con più decisione? Cercare di prenderlo con le buone? Il bambino rimaneva a braccia conserte e si manteneva ostinatamente girato di spalle rispetto ai contenitori di pastelli e matite.
Leo, vogliamo fare un altro disegno? Uno più bello?”
No.”
Vuoi disegnare le montagne? Magari con gli animali che corrono sui prati verdi?”
No.”
La giovane donna inspirò e allontanò il sempre più prepotente impulso di stampare cinque dita sulla paffuta guancia del bimbetto. “Genitore 1 e Genitore 2 vorrebbero più colori, sai? Me l’hanno detto loro.”
No. Papà dice che quelli sono i colori più belli. Io voglio quelli lì.”
E la mamma?” Mo'Nique abbandonò addirittura la definizione di Genitore Numerato per accattivarsi maggiormente la simpatia del piccolo. “Cosa dice la mamma, Leo?”
Anche la mamma dice che sono belli.”
E mettere un po’ di rosso, Leo? Un po’ di giallo?”
No.”
Ma perché?”
L’ha detto il papà.”
Fu come se una benda le cadesse dagli occhi: ecco che di colpo tutto era chiaro. Ovviamente, in quella famiglia c’era una figura paterna tirannica, che esercitava la propria autorità fallocratica su una moglie succube e incapace di opporsi e si poneva come distorto modello educativo per il bambino.
Ecco perché il piccolo si rifiutava di chiamare correttamente i genitori Genitore 1 e Genitore 2: era evidente che in quella famiglia c’era una gerarchia dei genitori.
A quel punto, Leo le fece addirittura pena: sarebbe cresciuto con una mentalità patriarcale, maschilista, che lo avrebbe reso incapace di vivere le proprie emozioni e di avere una vita affettiva corretta. Senza contare che lui stesso avrebbe poi esercitato, una volta adulto, la stessa nefasta influenza su un’eventuale progenie.
Sentì che doveva intervenire al più presto.
In tono suadente, disse: “Non avevo visto bene il tuo disegno. Ma lo sai che è proprio bello? Vorrei farlo vedere anche alle altre maestre.”
Il bambino le rivolse uno sguardo diffidente, ma Mo’Nique gli sorrise e aggiunse: “Avevi ragione, bianco e azzurro è più bello.” Si chinò in modo da avere il viso all’altezza del suo, quindi gli chiese: “Me lo dai, Leo? Poi te lo restituisco.”
Quando?” chiese il bambino, ancora dubbioso.
Domani. Il tempo di farlo vedere a LaBrion, Naranna e Jamaree e poi lo puoi portare alla tua mamma.”
È per papà.”
Mo’Nique annuì: anche quella risposta confermava i suoi timori: quella era una dipendenza affettiva in piena regola. Una figura paterna tirannica stava esercitando il suo malvagio potere e solo lei aveva la possibilità di neutralizzarla.



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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Salve gente,
eccomi qui con il secondo capitolo del mio mappazzone distopico. Ringrazio tantissimo tutti/e coloro che mi hanno commentato, perché mi hanno dato grandi spunti di riflessione, oltre a grande soddisfazione per essere riuscito io stesso a fornire qualche spunto di riflessone ai lettori.
Grazie davvero a tutti, a chi mi ha commentato ma anche a chi si è solo fermato per leggere o mi ha messo in qualche lista.






Capitolo 2

In sala insegnanti c'era un sottofondo di suoni della foresta tropicale e didgeridoo australiano. Sul tavolino basso c'erano bicchieri da tisana dai quali si levava un fumo aromatico.
Questo l'ho fatto io,” annunciò una donna di colore alta e magra, con una pettinatura afro ormai ingrigita. “È succo di carote giamaicano.”
Un'altra, lineamenti misti asiatici e caucasici, sovrappeso di diversi chili, con gli angoli della bocca all'ingiù e un'espressione di disapprovazione stampata in viso, in tono arcigno la rampognò: “Non si parla più di realtà nazionali.”
E dai, siamo tra noi,” rispose l'altra. “Era una cosa che faceva sempre mia madre quando ero piccola e all'epoca non c'era niente di male a dire giamaicano o inglese o russo.”
Beh, adesso abbiamo superato i nazionalismi e gli sciovinismi, per tua norma e regola, e queste parole equivalgono ad altrettanti insulti.”
Per tutta risposta, la donna si limitò a spingere verso di lei una tazza. “Tieni, Naranna,” le disse, “addolcisciti un po'.”
Appena una si addolcisce, mia cara, il patriarcato fallocratico riprende il sopravvento. Non aspettano altro che di trovarci dolci e arrendevoli, per ricominciare a opprimerci.”
La prima si limitò ad alzare le spalle. Soffiò sulla tazza per raffreddarne il contenuto e bevve un sorso.
Poco dopo entrò nella stanza una giovane docente con un fascio di fogli sottobraccio. “Questi sono i compiti della sezione Fiore,” annunciò. “Le classi Azalea, Garofano e Caprifoglio. Titolo del tema: che cosa farei per l'Umanità se fossi di un genere diverso dal mio.” Fissò le colleghe con l'aria di chiedere la loro approvazione.
Metti da parte i compiti dei maschi,” si limitò a suggerirle Naranna, “tanto quelli sono stupidi, non vale nemmeno la pena si guardarli.” Fece una pausa in cui la sua smorfia arcigna si accentuò, quindi soggiunse: “Non so nemmeno perché continuino a farli venire a scuola, tanto non ci arrivano.”
Noi siamo per l'uguaglianza, no?” intervenne la donna di colore.
L'altra le rivolse un'occhiata velenosa. “Dopo secoli di oppressione, Jamaree? Dopo secoli in cui i maschi hanno schiacciato le donne, ucciso la loro anima e violentato il loro corpo? Io dico che non meritano altro.” Si rivolse alla nuova arrivata: “Dico bene, LaBrion?”
Ecco...” cominciò la ragazza, facendo guizzare lo sguardo alternativamente dall'una all'altra. Stava per rispondere quando in corridoio passò un addetto alle pulizie.
Ehi!” sbraitò Naranna, alzandosi addirittura dalla sedia, “Sono tutte tue quelle chiappe, bel biondino?”
L'operaio ebbe un sussulto e ritirò la testa fra le spalle. Continuò a camminare fissando ostinatamente il pavimento.
Che c'è, sei timido?” lo provocò la donna. “Avanti, facci vedere un po' di pettorali, forza!”
L'altro continuò a camminare senza sollevare lo sguardo dalle piastrelle, Naranna si affacciò alla porta e gli gridò dietro: “Fai il prezioso? Non lo sai che io ti denuncio per molestie e ho anche ragione? Vieni qua e tirati giù i pantaloni spontaneamente, è meglio per te!” Rise con fare sguaiato.
Lascialo perdere,” disse alle sue spalle la donna di colore.
L'altra le rivolse un'occhiata di fuoco. “Perché? Loro l'hanno fatto per secoli, adesso scoprono cosa si prova.” Di nuovo fulminò la più giovane con lo sguardo. “Non ho ragione?” ringhiò.
La ragazza si aggrappò al fascio di compiti come se essi avessero avuto il potere di renderla invisibile. “Devo scrivere i pareri costruttivi,” balbettò.
Beh, buon per te,” la rimbeccò Naranna. “Buon per te che esaurisci tutto con i tuoi pareri costruttivi. Ma non lo sai che in ambito scientifico c'è ancora qualcuno che si permette di affermare che ci sono differenze biologiche fra maschi e femmine? Questa è discriminazione, cara mia, e tu pensi ai tuoi pareri costruttivi.”
Fece qualche passo nella stanza, girandosi ogni tanto di qua e di là come un toro infuriato che non sa bene dove dirigere le proprie cornate, quindi disse: “Lo so che vi sembro una fanatica, ma io ho visto così tanto sessismo e maschilismo che so riconoscerlo molto bene quando lo incontro. Lo sapete dove lavoravo prima di venire qui?”
No, dove?” chiese LaBrion.
Ero all'Istituto per l'Abolizione dei Contenuti Nocivi. Correggevo gli eventi storici e i finali delle opere letterarie.”
LaBrion sbatté gli occhi stupefatta e chiese: “Vuol dire che modificavi i libri?”
Certo.”
E perché?”
Naranne ghignò. “Tu non hai idea di quanti contenuti fallocratici, maschilisti, patriarcali e discriminatori ci sono nei libri precedenti al Mondo dell'Amore. Tutta roba tossica, che non può essere letta senza traumi. Non c'era nessun controllo all'epoca: potevano essere pubblicati anche libri con protagonisti maschi, che addirittura avevano un ruolo di maggiore importanza rispetto alle figure femminili.”
Davvero?”
Certo. E anche la Storia è basata solo sui maschi. La gente merita di sapere quanto grande è stato il contributo delle donne nella Storia.”
Ma...” LaBrion sbatté gli occhi di nuovo. “Ma ecco... così non si rischia di modificare le vicende storiche?”
Chiaro,” fu l'immediata risposta. “Il valore formativo di un episodio è di certo più importante della mera realtà dei fatti. E questo vale anche anche le opere letterarie: è più importante che comunichino le idee giuste o che traumatizzino con contenuti sbagliati?”
La più giovane accettò una tazza fumante da Jamaree, ma subito dopo tornò a rivolgere la sua attenzione a Naranne. “Quindi... Mandela era veramente una donna?”
Lo è diventata,” rispose l'altra con aria ispirata, “perché chi combatte per la libertà senza timore dei potenti non può che essere una donna.”

Stavano così discutendo quando entrò nella stanza anche Mo'Nique con in mano il disegno di Leo. Si sedette al tavolo e appoggiò il foglio incriminato, quindi si voltò verso Jamaree e chiese: “È il tuo succo di carote gia...” Si interruppe. “È il tuo succo di carote speziato?” si corresse poi.
Certo cara. Ne vuoi un po'?”
Sì, grazie. Penso di averne proprio bisogno.”
La donna di colore sollevò interessata le sopracciglia. “Come mai? Problemi con i bambini della sezione Frutta?” Riempì a ogni buon conto una tazza e gliela porse.
Mo'Nique prese il recipiente fra le mani, ne annusò il contenuto socchiudendo gli occhi, quindi rispose: “È per un bambino della classe Limone. Oggi ha fatto un disegno che mi dà qualche preoccupazione.”
È quello sul tavolo?” chiese Jamaree.
Mo'Nique annuì.
Cos'è che ti preoccupa tanto?”
Beh, intanto il bambino ha voluto usare solo il bianco e l'azzurro.” Alzò lo sguardo sulla più anziana aspettandosi di vederla annuire gravemente, ma la donna si limitò a chiedere: “E con ciò?”
Sono colori... inadatti. Io credo che possano essere un segnale del fatto che il piccolo sia esposto a contenuti negativi in famiglia.”
Del tipo?”
Cose razziste e sessiste.”
Eh?”
Il bianco e l'azzurro. Il primo simboleggia la razza bianca e il secondo il sesso maschile. E poi ha fatto discorsi strani su una nazione e ha parlato di Adolf.”
Di Adolf?” intervenne Naranne in tono indignato, fissandola come se avesse avuto intenzione di assalirla fisicamente.
Non so di chi stesse parlando.”
Te lo dico io di chi stava parlando: di Adolf ce n’è solo uno. Qui bisogna chiamare con urgenza la psicologa, perché quei genitori schifosi gli stanno facendo il lavaggio del cervello.”
Jamaree scosse la testa, facendo ondeggiare il cespuglio di capelli crespi. “Ma figurarsi,” disse poi con un sorriso indulgente. “Come ti vengono in mente queste cose?”
Ha nominato… quello là,” ringhiò Naranne.
Ha disegnato cose sospette,” aggiunse la più giovane col tono di chi ha la ferma intenzione di dare il proprio contributo alla risoluzione di un serio problema.
La nera sorrise di nuovo. “Ma no, non agitatevi, è solo un bambino che ritrae la sua famiglia.”
Mo’Nique ritirò impercettibilmente la testa fra le spalle, tuttavia non demorse. “Vedi la figura paterna così grande e quella materna invece piccola? È segno che il padre è vissuto come tirannico.”
Potrebbe essere solo alto di statura, e la madre magari più bassa.”
Mentre le due stavano così parlando, Naranne si avvicinò, seguita poco dopo da LaBrion. La prima scrutò il disegno da sopra la spalla di Mo’Nique, quindi in tono funesto proclamò: “La situazione è molto grave.”
È solo un bambino che ha disegnato la sua famiglia,” minimizzò Jamaree, ma l’altra replicò: “Solo un bambino che ha disegnato la sua famiglia, dici?” Fece girare sulle colleghe uno sguardo di bragia, quindi proseguì: “Certo, ma bisogna vedere come l’ha disegnata.” Ghermì il foglio, lo tenne sollevato per mostrarlo. “Qui abbiamo un padre tirannico, non vedete? Una figura preponderante, che schiaccia le altre, ma alla quale il figlio sogna in realtà di assomigliare, altrimenti non lo terrebbe per mano.”
Tiene per mano anche la madre,” le fece notare Jamaree.
È una catena di dipendenze affettive. Nell’atteggiamento succube della donna, il bambino vede rinsaldata la propria posizione di sottomissione alla schiacciante figura paterna.” Si interruppe, di nuovo fece girare tutt’intorno uno sguardo feroce. “Qui ci sono chiaramente una donna plagiata, che ha subito il lavaggio del cervello, e un uomo razzista, intollerante e sessista, che rifugge il pluralismo e si rifugia nei retaggi di una prevaricante tradizione patriarcale per rinsaldare il proprio privilegio.”
Jamaree scosse la testa. “Ma di cosa stai parlando?”
Naranne di nuovo sollevò il disegno, quindi disse: “La situazione è gravissima, direi. Propongo di chiamare immediatamente la psicologa della scuola, affinché possa procedere a una valutazione del livello di disagio presente in questa immagine.” Fissò alternativamente LaBrion e Mo’Nique con sguardo spiritato e proclamò: “Quando succederà qualcosa di terribile per colpa di questo padre tirannico – perché io so che succederà, ho visto troppi fallocrati violenti per sbagliare – poi non venite a lamentarvi.”
Mo’Nique, responsabile della classe Limone, deglutì a vuoto e le chiese: “Perché, cosa potrebbe succedere?”
Difficile dirlo, con un uomo del genere. Potrebbe fare di tutto. Potremmo trovarci a rimpiangere di non essere intervenute prima.”
La più giovane represse un brivido. “Forse è meglio chiamare la psicologa finché siamo in tempo,” disse. LaBrion si limitò ad annuire con espressione fervida.

Melanie – piccoletta, rotondetta, abitino a fiori – si aggiustò sul naso gli occhiali dalla montatura rosa, quindi si rivolse a Mo’Nique e soavemente le chiese: “E quindi, il bambino ha fatto questo disegno spontaneamente?”
Scrutò il foglio, sul quale la famiglia in bianco e azzurro pareva a tutte più inquietante che mai.
Sì è messo in un banco per conto suo e ha cominciato a disegnare.”
Ah, per conto suo,” ripeté la psicologa. “Questa è una notizia di grande importanza. Il bambino ha chiaramente problemi nella socializzazione: tende a isolarsi e a vivere gli eventi esterni attraverso il registro dell’introversione. Sicuramente avrà un Io coartato, inibito. È bravo a scuola?”
Uno dei più bravi.”
Certo, tipico di questa struttura di carattere,” confermò Melanie. “Cerca di entrare in contatto con gli altri tramite le materie di studio, dal momento che ha gravi problemi nel gestire i rapporti interpersonali. Peraltro, il fatto che la sua scelta cromatica sia stata così ristretta mi conferma un’affettività povera, decisamente immatura.”
E il padre tirannico?” intervenne Naranna, che fin lì non si era persa una parola.
Non è da sottovalutare,” confermò Melanie. Prese una penna con un brillantino rosa in cima e con quella cominciò a indicare i vari elementi del disegno. “Vedete questa figura paterna incombente? È sinistra, non trovate?”
Tranne Jamaree, che si limitò a scuotere la testa e a versarsi un po’ di tisana, tutte convennero che lo fosse.
Vedete com’è più alta delle altre? Sono sicura che in quella famiglia ci sia una quantità di violenza da far accapponare la pelle.”
Davvero?” chiese LaBrion, fissando la figura paterna come se d’un tratto avesse potuto balzare fuori dal disegno e saltarle addosso.
Certo, vedete che il bambino è vestito quasi allo stesso modo? Si chiama identificazione con l’aggressore: la vittima esorcizza il proprio terrore vivendosi simile, e quindi ugualmente potente, rispetto al proprio aguzzino.” Emise un sospiro, quindi proseguì: “Credo che avrò gli incubi stanotte, per la quantità di violenza subliminale che contiene. Comunica una ferocia primordiale, che mi ha sconvolta nel profondo. Quei colori sono glaciali, esprimono un'affettività coartata, sotto la quale può esserci qualsiasi cosa. Lo confesso: mi fa venire i brividi.”
L’avevo detto, io,” brontolò Naranna. Rivolse al disegno un’occhiata velenosa e soggiunse: “Guardatelo lì, quel porco abusatore e violento. Pensava di farla franca, eh? Ma ha sottovalutato il potere della psicologia e la grande forza delle donne.”
A quel proclama seguì qualche secondo di silenzio, durante il quale la psicologa osservò di nuovo attentamente il disegno.
Tisana per tutte?” propose Jamaree. “Ci beviamo sopra e a mente fredda decidiamo il da farsi.”
Melanie la fissò quasi con degnazione, quindi rispose: “Io capisco che la forte angoscia che questa situazione ti comunica possa spingerti a un atteggiamento di negazione, tuttavia sei un’insegnante esperta, non puoi sottovalutare il pericolo insito nell’immagine che stiamo analizzando.”

Le assistenti sociali arrivarono il giorno dopo. Erano in due, come accadeva solo nei casi più seri: una nera che sembrava una burrosa bambola, con lunghi boccoli che le ricadevano sulle spalle e occhi pesantemente truccati, e una bianca ossuta, con pantaloni cargo mimetici, una maglietta, capelli a spazzola color carota e piercing a entrambe le arcate sopraccigliari. La seconda aveva sottobraccio un corposo fascicolo.
Dove possiamo sederci?” esordì la nera, che invece teneva in mano solo una lucida borsetta di ecopelle fucsia.
Si accomodarono intorno al tavolo della sala insegnanti. La bianca distribuì a tutte robuste strette di mano, presentandosi come Sam, l'altra fece sapere che si chiamava Marvellous.
Le maestre si presentarono a loro volta, ci fu un nuovo giro di strette di mano e successivamente una distribuzione di tazze fumanti da parte di Jamaree.
Quando ebbero bevuto la tisana di tiglio e zenzero, Sam annunciò: “Abbiamo portato i fascicoli socio-sanitari del nucleo in oggetto.” Posò sul tavolo, dopo aver spostato con gesto deciso la tazza, un corposo faldone di colore bigio, chiuso da due fettucce annodate. Fece poi girare lo sguardo sulle astanti, fermandolo infine sulla collega Marvellous, che graziosamente annuì con un battito delle lunghe ciglia.
Sam slacciò allora le due fettucce, aprì il faldone e cominciò ad allineare sul tavolo documenti su documenti: certificati di nascita, atto di matrimonio, esiti di esami clinici, titoli di studio e contratti di lavoro. C'erano persino le buste paga e il rogito dell'appartamento nel quale la famiglia viveva.
Alla fine alzò gli occhi e in tono di oscura minaccia proclamò: “Ci sono cose, qui dentro, che non mi piacciono per niente.”
Lo sapevo,” esclamò Naranna soddisfatta. “Per quello vi ho chiamate con questa urgenza.”
Tutte si chinarono sui documenti sparsi. Chi era troppo lontana si alzò e si appoggiò al bordo del tavolo per osservare meglio.
Jamaree inforcò un paio di occhiali, raccolse una fotografia di una giovane donna dai capelli biondi e lisci e chiese: “Che cosa ci sarebbe di così brutto?”
Piccoli elementi,” spiegò Sam con l'aria di chi se ne intende. “Cose da nulla, prese singolarmente.”
Sono come le tessere di un mosaico,” intervenne Marvellous. “Da sole forse non vogliono dire nulla, ma tutte insieme compongono un disegno che è davvero spaventoso.”
Sfilò dalla mano di Jamaree la foto della giovane donna, trasse dalla distesa di documenti la foto di un uomo e tenendo le due immagini una accanto all'altra le fece lentamente girare in modo che tutte potessero vederle. “Non notate niente?” chiese poi.
Maestre e psicologa si scambiarono occhiate dubbiose.
Infine, fu Naranne a ringhiare: “Sciovinisti.”
Sam annuì. “Biondi con gli occhi azzurri tutti e due,” proclamò. La frase suonò come una condanna.
Io mi sento offesa,” sospirò Marvellous in tono sconsolato, “è come se questa coppia avesse appena manifestato disprezzo nei miei confronti e nei confronti di tutte le persone con la pelle nera.” Si rivolse a Jamaree: “E tu non ti senti offesa?”
La donna scosse la testa. “Veramente no.”
A quel punto, Sam riprese: “Per quanto molto grave, questo non è il solo elemento disfunzionale di questo nucleo.” Raccolse alcune carte, le scorse come per preparasi una linea di intervento, quindi proseguì: “Regolarmente sposati, nessuna relazione precedente, niente famiglie allargate, altri partner o altro. Un solo figlio.”
Quello di cui stiamo parlando?” intervenne LaBrion.
Sam si limitò ad annuire.
Bambini adottati?”
Nessuno.”
Di nuovo intervenne Naranne: “Parliamo del maschio.” La frase suonò come 'Parliamo della merda.'
L'assistente sociale scorse di nuovo le sue carte, poi elencò: “Massimo titolo di studio consentito a un maschio, conseguito a pieni voti. Non sono segnalati problemi sul lavoro, né si rilevano segnalazioni dalla tessera per la Salute Armoniosa. I referti medici sono quelli di una persona sana, svolge attività fisica regolare. Non è noto alla Giustizia.”
La donna?” chiese Naranne.
Laureata in ingegneria gestionale, nemmeno su di lei ci sono segnalazioni.”
Altre figure di riferimento?”
Si sono trasferiti qui da un'altra città.”
E quel nome?”
L'assistente sociale la guardò dapprima con l'aria di non capire, quindi sollevò le sopracciglia e disse: “Certo, quel nome. Pare sia quello del bisnonno del bambino.”
E loro lo pronunciano così, come se niente fosse?”
Un mormorio di disapprovazione attraversò la stanza.
Nella generale costernazione, la psicologa disse: “Sebbene la psicanalisi sia il prodotto di una mente maschile frustrata, non tutta è da buttare. In ambito psicanalitico è ben noto che vengono ripetute solo le cose inconsciamente approvate.”
È un branco di nazisti!” boccheggiò LaBrion, con l'espressione con cui avrebbe annunciato che sotto il tavolo c'era una bomba pronta a esplodere. Detto questo deglutì, inspirò profondamente, poi in tono contrito soggiunse: “Chiedo scusa a tutte per aver pronunciato quella parola. Spero che non vi siate sentite troppo turbate.”
Alle volte il nostro dovere ci obbliga a sopportare, per il bene delle categorie fragili,” replicò Naranne, poi si voltò verso Melanie come per invitarla a proseguire nella sua disamina.
La psicologa annuì e cominciò: “Come tutte avrete già notato, qui ci troviamo davanti un nucleo familiare profondamente disfunzionale, gerarchizzato sulla figura maschile dominante e attestato su modalità di funzionamento arcaiche, chiuso, incapace di stabilire relazioni sane con l'esterno, oserei dire addirittura coartato in un rispetto ossessivo delle regole sociali che in realtà nasconde una profonda e radicata base di oppositività e rifiuto.”
Sam annuì come se quelle parole confermassero in pieno la teoria che anche lei aveva elaborato. “Fanno i bravi, così noi non ci accorgiamo di quanto in realtà siano marci.”
Precisamente,” confermò Melanie.
Pare che ci sia anche una faccenda di sciovinismo,” buttò lì Naranne.
Oh, sì,” intervenne volenterosa Mo'Nique. “Il bambino ha parlato di una nazione. La Beviera, se non sbaglio.”
Baviera,” la corresse Jamaree. “E non è una nazione, è una regione della Germania.”
A quelle parole, Naranne intervenne con durezza: “Lo era, vorrai dire. Ora abbiamo superato i nazionalismi di stampo fascistoide. Grazie al Femminile, che ha spazzato via le prevaricazioni di stampo patriarcale, siamo un'unica Terra felice e unita nell'amore.” Si interruppe, di nuovo atteggiò il viso a un'espressione di disgusto, quindi aggiunse: “E chi non lo capisce, chi insiste ad attestarsi su posizioni violente e reazionarie, deve fare la fine che merita.” Fece girare lo sguardo tutt'intorno, come sfidando le altre a contraddirla, e nel silenzio generale brontolò: “Andrebbero ammazzati, per il bene di tutti.”

§

Rick aggrottò le sopracciglia e fissò poco convinto il Consultorio Familiare. L'edificio, una vecchia costruzione neoclassica, era stato ridipinto in modo che gli elementi architettonici fossero ognuno di un colore diverso. Le statue che rappresentavano figure maschili erano state rimosse e al loro posto c'erano pannelli con slogan che inneggiavano al Femminile.
Uno di essi recitava: “Anche di fronte a una sola donna, l'uomo è comunque in inferiorità numerica.”
E grazie al cazzo,” brontolò.
Al suo fianco, una giovane donna dai lunghi capelli biondi chiese: “Hai detto qualcosa?”
Rick si piegò per guardarla in faccia. “No, niente,” rispose.
Un altro aforisma recitava: “Le donne sono frivole perché sono intelligenti a oltranza.”
L'uomo emise un sospiro e chiese: “Cosa dice la lettera, Schatzi?”
Non usare quel nome fuori di casa, Rick.”
Perché?”
Ne abbiamo già parlato: potrebbe essere frainteso.”
Che rottura,” sospirò l’uomo. “Comunque, cosa dice la lettera?”
L'altra alzò le spalle. “Niente di che, all'apparenza. Ci chiedono di presentarci per un colloquio.”
Rick rallentò il passo come se stesse ponderando l'eventualità di girare le spalle e andarsene. “Un colloquio con chi?”
Paula gli mise una mano sull'avambraccio e in tono gentile gli sussurrò: “Rilassati, so che stanno chiamando le famiglie per chiedere le preferenze sul soggiorno di Consapevolezza Multietnica dei bambini, sicuramente sarà per quello.”
Hm,” grugnì Rick, ancora poco convinto.
Che c'è?”
Non lo so. Anche i ragazzi hanno figli, ma a nessuno è arrivata questa lettera.”
Tesoro, lo sai che le mandano alle donne,” disse lei, quasi in tono di scusa.
Volevo dire che nessuno ne ha parlato, né al lavoro né da Lonnie.” Tacque per qualche secondo, poi in tono cupo ripeté: “Non lo so.”
Sulla tenda che chiudeva l'entrata dell'edificio c'era scritto: “Le donne sono come uragani. Diventano indomabili, quasi irraggiungibili. Non si fermano davanti a nulla. Sono discrete e amano quasi in segreto. Hanno sguardi sicuri e il cuore pieno di lividi. Sorridono e ingoiano le lacrime. Loro, sono le donne che fanno la grande differenza.”
Mi pare un mucchio di stronzate,” commentò torvo Richard.
Anche a me,” rispose Paula, “ma ora sta' zitto, da bravo. Lo sai che parlare così è proibito.”
Alla faccia della libertà di pensiero e della tolleranza, eh?”
Dai, Rick, ora facciamo questo colloquio e poi ce ne torniamo a casa in pace, d'accordo?”
Hm.”
Rick?” Paula alzò la testa per fissare il marito negli occhi.
Va bene,” capitolò l'uomo. “Però se vogliono mandare Leo in mezzo ai...”
Rick, cos'abbiamo appena detto?”
I due entrarono nell'androne, che aveva le pareti decorate con murales che rappresentavano madri che si dedicavano ai figli sullo sfondo di prati fioriti e cieli azzurri, oppure donne intente a svolgere vari lavori, tutte con espressioni sorridenti e sguardi fiduciosi rivolti al futuro.
I dipinti erano ricchi di colori chiari e brillanti. Le uniche tonalità scure erano riservate agli angoli inferiori, nei quali uomini dai lineamenti scimmieschi, sporchi, con la testa piccola e il corpo sproporzionatamente gonfio di muscoli, combattevano fra loro, brandivano armi tenendole all'altezza dell'inguine come grotteschi falli o tiranneggiavano meste figure femminili che indossavano abiti d'altri tempi.
In un angolo della sala c'era un tavolino al quale sedeva una ragazza dal volto olivastro e dai lunghi capelli neri, in quel momento intenta a ripassarsi i tatuaggi all'henné ormai sbiaditi con una matita da maquillage.
Paula le porse la lettera di convocazione, lei vi diede una scorsa e disse: “Certo, vi aspettano. Secondo piano, stanza Tormalina.”
Ma non è la stanza Pietra di Luna quella per la Consapevolezza Multietnica?”
Non dovete andare alla Consapevolezza,” fu la soave risposta. “Vi aspettano al gruppo di lavoro sui nuclei disfunzionali.”
Paula ebbe l'istinto di fare un passo indietro. In tono diffidente chiese: “Nuclei disfunzionali?”
È un controllo di routine,” le assicurò la ragazza distogliendo lo sguardo e riprendendo la sua matita. “Un paio di colloqui e potrete tornare a casa.”

Attraverso uno specchio unidirezionale, Melanie e la sua collega Koko, un trasgender che pur trovandosi nella sua fase femminile passava il metro e novanta e aveva spalle da portuale, osservavano la coppia seduta in sala d’attesa.
Cosa ne pensi?” chiese la prima a bassa voce.
Koko si piegò per guardare attraverso la lastra di vetro, poi disse: “Hai fatto bene a chiamarmi, tesoro. Anche se come tutti gli uomini sa benissimo quello che rischia ad assalire fisicamente una donna, rimane comunque stupido e impulsivo, incapace di prevedere le conseguenze delle sue azioni.” Annuì come per confermare quanto aveva appena detto, quindi premurosamente le assicurò: “Resto con te quando fai il colloquio, gioia. Voglio proprio vedere dove andrà a finire quella fisicità che ostenta con tanta tracotanza, quando si troverà davanti una donna che se vuole è in grado di sbatterlo giù dalla finestra.”
Grazie, Koko,” pigolò l’altra, che a stento le arrivava alla spalla e in confronto alla sua struttura poderosa sembrava un chihuahua di fronte a un bullmastiff. “Però prima chiamiamo lei. Voglio studiare il livello di tolleranza allo stress dell’uomo.”
Koko la scrutò dubbiosa, con le mani sui fianchi e la testa piegata da una parte. “Cara, sei pronta?” volle sapere.
Melanie sorrise. “Ma certo. Sta’ tranquilla, ho già fatto decine di colloqui di questo genere.”
Se hai bisogno chiamami. Ricordati che è succube di quello là, plagiata e incapace di avere una volontà propria. Potrebbe diventare pericolosa, se intuisce che vuoi interrogarla su di lui.”

Melanie si affacciò alla porta con il più radioso dei suoi sorrisi. “Paula, non è vero? Sono felice di incontrarti, cara.”
Costringendosi a ignorare lo sguardo duro che le stava rivolgendo l’uomo, le porse la mano e quando Paula l’ebbe stretta vi aggiunse anche l’altra, in una presa delicata che assumeva le connotazioni dell’affetto e della protezione. “Vieni cara,” la invitò.
La donna la seguì con andatura un po’ rigida, voltandosi di tanto in tanto verso il marito. Melanie notò che stava cercando di guardare al di là della porta socchiusa dello studio. “Saranno solo due chiacchiere,” la rassicurò in tono amichevole. “Qualche piccolo discorso fra donne.”
A che proposito?” chiese Paula.
Un aiuto,” le spiegò Melanie. “Tutte noi possiamo avere bisogno d’aiuto nel corso della nostra vita, no? E allora è bello poter contare su un’amica pronta a tenderci una mano, non è vero?”
Che cosa significa?” chiese la donna. “Io non ho bisogno d’aiuto.” Poi, dopo una pausa: “Guarda che lo so benissimo che questo è il gruppo di studio sui nuclei disfunzionali.”
Melanie accentuò il sorriso. “Ma certo che lo sai, cara. Noi non lo scriviamo da nessuna parte, perché qualcuna potrebbe leggere quella parola così pesante e rimanerne traumatizzata, ma suppongo che Jamila giù all’ingresso te l’abbia detto, non è così? Ora vogliamo entrare?”
Quando furono sedute su due graziose poltroncine in una specie di salotto, in tono premuroso Melanie esordì: “Qui puoi parlare tranquillamente, cara.”
Paula aggrottò le sopracciglia. “In che senso?”
Lui non ci può sentire.”
E quindi?”
La psicologa si costrinse a mantenere immutata l’espressione, anche se quello di Paula si stava rivelando un caso da manuale: plagiata dal marito tirannico, la povera donna fingeva che tra lei e il coniuge fosse tutto perfetto. “Puoi parlare in tutta libertà,” le spiegò, calcando sulle ultime parole.
Davvero?”
Ma certamente. Apriti senza timore.”
Beh, allora vorrei proprio sapere qual è il motivo per cui avete convocato me e Richard.”
Calò un silenzio costernato. Di fronte all’atteggiamento pragmatico della donna – era un’ingegnere, avrebbe dovuto tenerne conto – Melanie decise di cambiare tattica. In tono più asciutto le chiese: “Dimmi, Paula, va tutto bene tra te e Richard?”
L’altra aggottò le sopracciglia. “Che significa?” chiese diffidente.
Se vi amate, se state bene insieme.”
Certo che stiamo bene, altrimenti non staremmo insieme, no?”
Avete rapporti sessuali?”
Paula avvampò. “Non vedo in che modo la cosa ti riguardi,” protestò offesa.
Rispondi alle mie domande, per favore. Se ti ostini ad avere questo atteggiamento oppositivo sarà tutto molto più sgradevole. Allora, avete rapporti?”
Come ogni coppia.”
Eviti le risposte dirette, vero? Con che frequenza avete rapporti?”
Guarda che mi alzo e me ne vado!”
Melanie la fissò da dietro la sua montatura rosa e lentamente rispose: “Non te lo consiglio proprio. Vuoi che sulle tue note venga scritto che hai un atteggiamento oppositivo e provocatorio? Non fa bella impressione, sai?”
Paula, che si era già alzata per metà dalla sedia, si irrigidì per qualche secondo, poi a malincuore riprese il suo posto.
Molto ragionevole,” approvò la psicologa. “Allora: la frequenza dei rapporti?”
Dipende, certi periodi quasi ogni sera, certi altri ogni due o tre giorni.”
È lui che ti cerca?”
A volte lui e a volte io.”
In che posizione lo fate?”
Melanie, io non vedo come...”
Gli piace stare sopra?” Al silenzio della donna, la psicologa aggiunse: “Gli piace farti sentire la sua forza? Schiacciarti con la sua mole?”
Lo facciamo in varie posizioni, va bene?”
Ma certo, non ti scaldare,” rispose Melanie conciliante. “E con il bambino come si comporta?”
È bravo, gli insegna le cose, lo fa giocare. È una figura paterna molto presente.”
Tu controlli che gli insegni le cose giuste? Che non gli faccia fare giochi di competizione o aggressivi? Sai, essendo un maschio...”
Naturalmente,” rispose la donna, in un tono che a Melanie parve un po’ troppo precipitoso.

Boccoli azzurri e giacca del tailleur che si tendeva sui bicipiti, Koko si avvicinò all’uomo in sala d’aspetto e gli chiese: “Sei Richard, per caso?”
Chi dovrei essere? Mi avete chiamato voi.”
Siamo un po’ arrabbiati, per caso?”
Io di sicuro. Dov’è mia moglie Paula?”
Lei sta bene,” rispose la psicologa, registrando l’atteggiamento di controllo sulla compagna che il soggetto dimostrava, “ha finito il colloquio e non è più qui. Ora vuoi accomodarti tu, per favore?”
Richard si alzò, arrivando faccia a faccia con l’imponente interlocutrice. “Sono pronto,” annunciò.
Entrarono nello studio, si sedettero ai due lati di una scrivania. Koko accavallò le gambe e arrotolandosi una ciocca turchina intorno all’indice, chiese: “Tu rispetti tua moglie, Rick?”
L’altro aggrottò le sopracciglia. “E questa che domanda sarebbe?”
La credi in grado di badare a se stessa o pensi che sia una bambina incapace che ha bisogno della tua guida?”
La domanda gli suscitò solo uno stupefatto: “Eh?”
Dimmi la tua opinione, caro. Puoi parlare liberamente.” Gli strizzò l’occhio.
Richard lasciò passare qualche secondo, quindi rispose: “Io qui non ho nulla da dire liberamente. Forse è meglio che sia tu a farmi le domande.”
La domanda te l’ho fatta prima, Rick: tu rispetti tua moglie?”
Si capisce che la rispetto,” replicò l’uomo piccato. “È mia moglie.”
È una cosa tua, quindi?”
Non ho detto questo.”
A me pare che tu abbia usato un bel pronome possessivo. Mia moglie.”
Che cosa avrei dovuto dire, secondo te?”
Koko lo fissò in silenzio per qualche secondo, con l’aria di trovarsi esattamente nella situazione che si era aspettata, poi disse: “A me vengono in mente tante espressioni che non indicano necessariamente possesso: la persona con cui divido la vita, ad esempio. Io la trovo molto poetica, e tu?”
Io la trovo lunga. Dove sei stato ieri, Rick? Oh, niente di importante. Io e la persona con cui divido la vita siamo andati a farci un giro in campagna.” Fece una pausa, poi lentamente sillabò: “Per me è una stronzata.”
Per me invece è rispettosa,” replicò Koko sullo stesso tono, “non tira in ballo categorie e non colloca l’altro in caselle rigide attribuendogli forzatamente un ruolo nel quale potrebbe non riconoscersi a pieno.”
Calò un silenzio nel quale si sentì distintamente il rumore di una foglia che cadeva dalla pianta che c’era sul davanzale. “Ripeto che per me è una stronzata,” disse Richard.
I due si fissarono poi negli occhi per qualche secondo, infine Koko distolse lo sguardo e in tono ammonitore disse: “Sta’ attento, uomo delle caverne, perché io non sono quella che consideri la tua femmina. È meglio che cambi tono, con me.”
Altrimenti?”
In quel momento si aprì una porta e Melanie, occhiali dalla montatura rosa e abitino a fiori, fece il suo ingresso. “Abbiamo sentito abbastanza,” annunciò in tono neutro. “Puoi andare, Richard. Grazie per il tuo aiuto.”
Dov’è Paula?”
Paula sa badare a se stessa,” fu la secca risposta.

§

Melanie spense il monitor interrompendo il filmato dei colloqui. Rivolse alle due assistenti sociali uno sguardo cupo e proclamò: “Sono immagini che non hanno bisogno di commenti.”
La situazione è grave,” confermò Sam. “Dobbiamo intervenire subito, per il bene di quella donna e di suo figlio.”
Intervenne a quel punto Koko: “Abbiamo a che fare con una figura maschile fragile, che utilizza l’aggressività come modalità di comunicazione primaria. Si tratta di un uomo dall’affettività coartata, polarizzato su una possessività arcaica.” Fece una pausa, quindi soggiunse: “È un uomo che deve essere aiutato a raggiungere una piena consapevolezza di sé, ha bisogno di apprendere, di liberarsi dei preconcetti del patriarcato. Deve raggiungere un rapporto sano con la figura femminile, che attualmente vive come minacciosa e sfuggente.”
E la donna?” intervenne Marvellous.
Si fece avanti Melanie, che assunse un’aria di compunzione e rispose: “Anche lei ha molto bisogno d’aiuto. È una figura fragile, succube della figura maschile, bisognosa di qualcuno che le faccia raggiungere una piena consapevolezza di sé. Ha un Io coartato, modellato su quello tirannico del marito. Teme di prendere decisioni in autonomia e ha completamente delegato la gestione del figlio al marito.”
Quindi lascia che quello rovini il bambino?” intervenne Sam indignata. “Permette a quello sporco maschio di creare un altro oppressore di donne a sua immagine e somiglianza?”
Melanie scosse la testa. “Non può fare altro, Sam,” rispose sconsolata. “Non ci riesce. Non sarà mai in grado di opporsi, se noi non la sosterremo.”
Marvellous annuì con vigore. “La aiuteremo noi. Le consentiremo di riappropriarsi del suo ruolo nel mondo, di non essere mai più succube di fronte alla figura maschile.”
Tutte si scambiarono sguardi decisi, pronte a svolgere al meglio il grande compito. Infine Sam chiese: “Qualcuno ha valutato il bambino? Quella faccenda delle nazioni mi piace davvero poco. Non vorrei che quel bastardo stesse allevando un piccolo sciovinista.”
Non chiamarlo bastardo,” sospirò Melanie. “È solo un uomo fragile. Ogni suo gesto è uno straziante grido d’aiuto, non te ne accorgi? Dobbiamo accompagnarlo nel percorso della consapevolezza.”

§

Rick entrò nel locale facendo sbattere la porta così forte che i vetri tintinnarono negli infissi. Si appoggiò al bancone e disse: “Dammene uno doppio, Lonnie.”
Il barista lo sogguardò incerto, ma di fronte al suo cipiglio non ebbe il coraggio di chiedergli la tessera. Gli mise davanti un tumbler basso e cominciò a versarvi il bourbon. “Giornataccia?” s’informò cauto.
Di merda.”
Prese il bicchiere e lo vuotò d’un fiato. “Un altro,” disse sbattendolo sul bancone.
Rick...”
Un altro, cazzo!” ringhiò l’uomo senza sollevare lo sguardo.
Mentre il barista lo fissava indeciso sul da farsi, da uno dei tavolini in fondo alla sala si alzò l’uomo corpulento con la barba e il capello da baseball. Rimise a posto la sedia, poi a passi lenti e ponderati raggiunse il bancone e si sistemò accanto a Richard. Questi non lo degnò di un’occhiata.
L’uomo allora si rivolse al barista: “Fanne uno anche per me, Lonnie, e versa un altro goccio a Rick.”
Ma Brunn, io non so se...”
Versa, Lon. Questo è un caso di forza maggiore.” Fece scivolare sulla superficie del mobile una banconota.

Fu solo alla fine del terzo bicchiere che Richard realizzò di avere qualcuno di fianco. Si voltò adagio, cercando di mantenere l’equilibrio nonostante il movimento gli facesse girare la testa, e strizzò gli occhi per mettere a fuoco l’immagine. “Brunn?” mormorò alla fine.
In persona, amico.” L’uomo gli diede una pacca sulla spalla che lo costrinse a fare un passo di lato per non cadere. “Qualcosa non va?”
Niente sta andando come deve andare.”
Ti va di parlarne?”
Richard si voltò verso l’uomo, poi tornò ad abbassare lo sguardo sul bicchiere. “È vuoto,” mormorò.
Ed è meglio che rimanga tale, almeno per un po’. Stai bevendo forte.”
Rick lo guardò storto. “Che c’è, sei anche tu una di quelle? Magari con una barba finta per spingermi a dire cose contrarie alla dignità femminile?”
Sei già ridotto così dopo tre bicchieri?” ghignò Brunn. “Sarai mica tu la donna travestita?”
I due si scambiarono uno sguardo, Richard non poté fare a meno di rivolgergli un pallido sorriso. Emise poi un lungo sospiro e disse: “Ci sono momenti nella vita in cui non sai più da che parte girarti per far funzionare le cose per il verso giusto. Io ho fatto tutto quello che dovevo fare, te lo giuro, e adesso...” si interruppe reprimendo un singhiozzo. Di nuovo abbassò lo sguardo sul bicchiere. Brunn fece cenno a Lonnie di versare un altro po’ di bourbon e il barista non pose obiezioni.
Richard bevve di nuovo come se il distillato fosse una specie di medicina. Al suo fianco, Brunn sorbiva in silenzio qualche sorso, con l’aria di un estimatore che assaggia un single malt particolarmente pregiato.
Passò un tempo che Richard non riuscì a quantificare. Era come se ci fosse una barriera tra lui e il resto del mondo, che gli rimandava indietro tutti i pensieri dolorosi che lui stava cercando di allontanare da sé. Gli tornò in mente un supplizio dei tempi antichi nei quali il condannato veniva chiuso in un sacco con degli animali affamati e infuriati, che tentavano di liberarsi, ma non ci riuscivano e lo dilaniavano a morte.
Io non ho fatto niente di male,” riprese. “Amo mia moglie, mio figlio è la mia vita...” si interruppe.
Ma...?” chiese Brunn con cautela.
Ma è arrivata una lettera a Paula. Nuclei disfunzionali, se sai di cosa parlo. Leo ha fatto non so che disegno a scuola, e quelle là si sono fatte l’idea che io sia una specie di mostro. Prima due psicologhe hanno voluto parlare con me e Paula. Ci hanno fatto un sacco di domande del cazzo, a lei hanno chiesto addirittura in che posizione scopiamo, volevano farle ammettere che io la tratto male.”
E tu la tratti male?” intervenne Brunn in tono neutro, come se gli stesse chiedendo l’ora.
Stai scherzando? Io trattare male Paula o il bambino?” Emise un sospiro sconsolato, quindi riprese: “Sono venute a casa la prima volta. C’era Leo che giocava, io stavo preparando la cena perché Paula era ancora al lavoro. Si sono prese da parte il bambino e gli hanno fatto dire un sacco di stronzate.”
Del tipo?”
Che facevamo giochi aggressivi e di competizione, che giocavamo ai soldati. Non sa neanche cosa sono, i soldati.”
E poi cos’è successo?”
Hanno trovato la bandiera.”
Te l’avevo detto di metterla via.”
Me l’aveva detto anche Paula, ma è l’unico ricordo che mi è rimasto di mio padre. Gliel’aveva data il nonno, salvandola dai roghi di quando quelle là hanno preso il potere.”
Avete bruciato noi? Adesso noi bruciamo i vostri simboli!” Citò Brunn con una smorfia. “Fossero state solo le bandiere a finire in cenere. Ti ricordi i roghi di libri e di quadri in mezzo alle piazze, le statue fatte a pezzi, i musei devastati?”
Richard annuì grave. “Ero solo un bambino, però me li ricordo.”
Di nuovo tacquero e per un po’ bevvero in silenzio. Alla fine, il biondo riprese: “Dopo un po’ se ne sono andate. Mi hanno fatto chiudere la bandiera in cassaforte e ho fatto fatica a tenermi la chiave, perché se la volevano prendere loro. Non possono togliermela e lo sanno, ma mi hanno proibito di tirarla fuori o di farla vedere al bambino. Io pensavo che me la sarei cavata con qualche corso di Tolleranza e Dialogo, magari quello di Critica Consapevole della Misoginia, che te lo rifilano per ogni stronzata, ma le puttane sono tornate il giorno successivo, in quattro e con il culo parato da una squadra di Riduzione dei Conflitti con i taser. Hanno portato Paula in una Casa per la Tutela delle Donne Abusate e Leo l’hanno sbattuto in una Comunità per l’Infanzia Negata. Dovevi sentire come piangeva, poverino.”
Brunn gli diede un paio di pacche sulla spalla, poi gli chiese: “E tu?”
Ah, io sono il bastardo della situazione, l’abusatore, il porco, il misogino, il fallocrate, lo sciovinista, schiavo del patriarcato e a mia volta schiavizzatore. Mi obbligano a fare i loro corsi del cazzo, stronzate tipo Consapevolezza di Genere, Tolleranza e Ascolto, Valore della Diversità o Rapporto con il Femminile, con valutazioni periodiche del livello di consapevolezza conseguito.”
E se ti rifiuti? Mica possono sbatterti dentro, non mi risulta che tu sia accusato di reati specifici.”
Perderei il lavoro, tanto per cominciare, e non posso permettermelo: ho bisogno di soldi.”
Va be’, tutti abbiamo bisogno di soldi.”
Ma a me ne servono di più. Voglio pagare un’avvocatessa per riprendermi la mia famiglia.”
Brunn lo fissò grave, quindi gli disse: “Sai bene che non ne troverai una che sia disposta a difenderti.”
Basta pagare. Andrò da una di quelle brave.”
E secondo te, una di quelle brave, che passano la vita a sbattere in qualche Comunità, che poi è solo una galera chiamata in modo diverso, maschi accusati delle cose più fantasiose, si accolla la difesa di un – cito parole tue – porco abusatore e sciovinista?”
Io non sono né porco, né abusatore né sciovinista.”
Perché, secondo te Dave era un molestatore? Eppure è finito dritto dritto alla Disassuefazione, e ci starà per un bel po’.”
Richard diede fondo al bicchiere, poi in tono grave disse: “Basta che hai un cazzo in mezzo alle gambe e non hai difese, non hai voce in capitolo e non hai diritti. Puoi solo imparare a malapena a leggere e scrivere, spaccarti la schiena tutto il giorno per quattro soldi e dire sempre sì, se no diventi un porco e un abusatore e hai finito di vivere.”
Brunn lasciò passare qualche secondo, poi buttò lì: “Non è così dappertutto.”
Richard alzò le spalle. “Questo fottuto Mondo dell’Amore del cazzo è ovunque, non si scappa.”
L’altro si voltò a fissarlo negli occhi e in tono fermo dichiarò: “Ci sono luoghi in cui i maschi sono liberi.”
Liberi di farsi trattare a calci in culo, al massimo.”
Non proprio.” Brunn gli fece scivolare in mano un biglietto con un numero di telefono. “Pensaci.”
Richard scosse la testa. “Mi dispiace, amico. Non vado da nessuna parte senza Leo e Paula. Io resterò qui e troverò un’avvocatessa che faccia valere i miei diritti.”
Diritti che non hai,” gli ricordò l’altro. “Anche un gattino maltrattato ha più diritti di te, ricordatelo sempre. Suscita più sdegno e ha uno spazio maggiore nei media. Tu sei un porco, un fallocrate e un abusatore, tutto ciò che ti sta capitando te lo meriti.”


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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Salve gente,
ecco un altro capitolo distopico. Come sempre grazie a tutti coloro che sono passati di qui, hanno letto o mi hanno gentilmente lasciato il loro parere. Sappiate che ho apprezzato moltissimo tutti gli spunti di riflessione che mi avete suggerito.





Capitolo 3

Altro che Omeopatia e Femminismo!” annunciò Tanasha trionfante. “Questa è roba forte!”
Esibì alle colleghe una velina che aveva appena recuperato dal cassetto della stampante.
Poronda alzò la testa dal monitor e fissò il foglio strizzando gli occhi. “Sarebbe?” chiese poco convinta.
Fallocrate sciovinista plagia moglie e figlio.”
Ne esistono ancora?” chiese Raynelle con un sorrisetto.
Imperterrita, la prima proseguì: “Scoperta la situazione di grave disagio grazie a un disegno realizzato dal bambino nel corso di un’attività di espressione delle emozioni tramite l’arte.” Fece un sorriso trionfante e dichiarò: “Zelda la adorerà.”
È il suo genere,” confermò Poronda.

Le immagini della cavalla alata che si allontanava sfumarono e sulla luna piena comparve la scritta Il mondo di Zelda. Una musica di presentazione introdusse la comparsa del salotto, con la conduttrice già solennemente seduta sulla sua poltrona. A ogni respiro della donna, l’abito di lamé mandava sprazzi di luce tutt’intorno.
Oggi siamo qui perché vogliamo capire,” annunciò Zelda rivolta ai telespettatori. “Perché sarebbe troppo facile condannare e basta.”
Su uno schermo alle sue spalle comparve il disegno di Leo.
Non sarebbe un atteggiamento femminile. Noi vogliamo comprendere, vogliamo empatizzare. Vogliamo andare alla radice dei problemi e per quanto possibile entrare nella mentalità di chi commette il male, per poterlo aiutare a non commetterlo in futuro.”
Scrosciò un lungo applauso.
Zelda annuì con atteggiamento di serena modestia, come chi sa di star facendo la cosa più giusta possibile, poi proseguì: “Abbiamo qui alcune ospiti che ci aiuteranno a parlare di questo problema. Mo’Nique.” Un riflettore la illuminò. La giovane donna quasi sussultò, poi sbatté gli occhi e istintivamente cercò di sedere più eretta. Zelda le sorrise con fare incoraggiante, quindi proseguì: “Mo’Nique è la bravissima maestra che si è accorta di questa spaventosa situazione di disagio. Senza di lei, un maschio violento continuerebbe a imporre la sua autorità fallocratica, a tarpare le ali di una giovane e bellissima donna e a imporre le proprie idee scioviniste a un bambino.”
Scrosciò un secondo veemente applauso, da dietro le quinte fioccarono i brava! e i bene! Addirittura si udì un bisognerebbe tagliargli le... La fine della frase fu coperta da un lungo biiiip.
Mo’Nique arrossì fino alla radice dei capelli e si girò verso Zelda come per chiederle aiuto.
La conduttrice si limitò a rivolgerle uno sguardo di incoraggiamento, quindi spostò la sua attenzione sull’ospite successiva, su cui si mosse anche il riflettore. Solennemente proclamò: “Qui abbiamo una giovane e valida psicologa, Melanie. Vuoi dirci cos’hai visto in quel disegno, cara?”
La ragazza si umettò le labbra con aria volenterosa, poi rispose: “Ecco, non vorrei che quello che sto per dire potesse turbare qualcuna delle nostre spettatrici. Sono concetti molto forti.”
In sovrimpressione comparve un segno di divieto rosso, accompagnato dalla scritta Avvisiamo che i contenuti del dibattito potrebbero risultare particolarmente disturbanti.
Zelda annuì in modo quasi solenne. “Ora puoi parlare, cara,” le disse. Il tono era quello con cui un medico avrebbe annunciato il sospetto di un male incurabile.
Il disegno è inequivocabile,” disse allora Melanie. “La figura paterna,” sullo schermo essa venne evidenziata da un minaccioso contorno rosso e lampeggiante, “è tirannica, incombente. È l’immagine di un padre fallico, che schiaccia e prevarica.”
Un mormorio attraversò la sala.
Continua, cara,” la invitò stoicamente Zelda.
Melanie annuì con la stessa espressione di stoicismo indomito. “E ora la madre.” La figura paterna smise di lampeggiare, quella della madre venne circondata da un gradevole alone di un colore a metà tra rosa e lilla, che pulsava dolcemente. “Vedi com’è piccola, Zelda? Come sono evidenti i suoi caratteri femminili? Indica una posizione di sottomissione anche nello stile di pensiero. Un’adozione – chiaramente imposta dal maschio patriarcale – di modalità di comportamento attinenti a epoche passate, in cui le donne erano sottomesse.”
Stronzo! provenne da dietro le quinte. Non ci fu nessun biiiip.
E ora il bambino,” disse la psicologa. La figura centrale si illuminò di un lampeggiare rosso appena un po’ più tenue di quello del padre. “Diventerà un piccolo tiranno se non interveniamo. Il padre lo sta plagiando. Vedete come si è dipinto simile a lui? Ma è più piccolo, segno che la sua fragile personalità in accrescimento è schiacciata e deformata da quella prevaricante e violenta dell’uomo.”
Bisogna aiutarli!” proclamò Zelda in tono appassionato.
Un terzo applauso, più forte dei precedenti, proruppe dal pubblico.

Efemena, educatrice della Casa per la Tutela delle Donne Abusate, spense il televisore e disse: “Vieni, Paula, è l’ora del counseling.”
La donna rimase seduta sul divano. Alzò gli occhi verso lo schermo ormai nero dell’apparecchio e disse: “Niente di quello che stanno dicendo è vero.”
Vieni a fare la tua seduta, Paula. Poi più tardi conoscerai il gruppo di auto-mutuo aiuto e potrai confrontarti con altre donne che hanno avuto il tuo stesso problema.”
Io non ho nessun problema,” rispose lei imperterrita. “Non di quel tipo, almeno. Vorrei solo sapere se Richard e Leo stanno bene.”
L’educatrice le si avvicinò, si sedette accanto a lei sul divano e le circondò le spalle con un braccio, sentendola irrigidirsi sotto la sua presa. Fece finta di niente: in un caso come quello, le resistenze all’inizio erano normali. Era ben nota, del resto, la dipendenza affettiva che la vittima instaurava nei confronti del carnefice. In tono affettuoso le disse: “Coraggio, tesoro, fa’ un piccolo sforzo. Ora parlerai un po’ con la terapeuta e vedrai che lei ti aiuterà a elaborare i tuoi conflitti.” Si alzò con fare incoraggiante, ma Paula rimase ostinatamente seduta. Da quella posizione alzò poi lo sguardo a fissarla negli occhi e disse: “Quelle della televisione sono solo falsità. Nessuno ascolta la mia versione dei fatti, in tutto questo? Nessuno chiede a me se amo mio marito, se voglio stare con lui, se condivido le sue idee?”
Ma cara, è ovvio che te lo chiederemo,” si affrettò a rispondere Efemena, “ma sappiamo che in questo momento ti trovi in una situazione di forte turbamento emotivo, che forse hai bisogno di fare chiarezza in te stessa, di aprirti con persone esperte che ti aiutino a elaborare i tuoi traumi, prima di poter parlare col sufficiente distacco di questa cosa.”
Quale cosa? E poi, io non ho nessun trauma. Stavo benissimo, avevo una vita del tutto normale, prima che arrivaste voi.”
Efemena sospirò e crollò il capo come chi si trova di fronte a un problema che conosce molto bene. “Allora per oggi niente counseling, vuoi? Andremo io e te a fare una bella passeggiata nel nostro giardino e poi, quando ti sarai rilassata, aiuterai a fare il mandala. Lo componiamo ogni giorno, tutte insieme, e nel farlo elaboriamo i nostri conflitti e liberiamo le nostre emozioni. Sarà un’esperienza molto bella, vedrai, che ti arricchirà spiritualmente.”
Paula si alzò in piedi, vagamente impacciata nel vaporoso abito indiano che le avevano consegnato al posto dei jeans che era solita indossare. Si raccolse i capelli biondi, ricordandosi solo all’ultimo momento di non avere più al polso l’elastico col quale di solito li legava. Li lasciò ricadere con uno sbuffo infastidito, quindi rispose: “Non mi interessa il mandala e non ho conflitti da elaborare. Voglio solo tornare da mio marito e da mio figlio. Quando potrò farlo?”
Ti farò parlare con la dottoressa,” sospirò Efemena. “Lei ti farà capire tante cose. Ti aiuterà ad abbandonare questo atteggiamento oppositivo e ad aprirti al vero aiuto, perché, credimi, ne hai davvero tanto bisogno.”

Aggrappato al tronco di un albero con tutte le sue forze, per l’ennesima volta Leo strillò: “Voglio il papà!”
Una maestra si avvicinò e il bambino, senza abbandonare la presa sul tronco, cercò di colpirla con un calcio. “Voglio il papà!” ripeté. Le lacrime gli ricavano il volto paonazzo, mescolandosi col moccio che gli colava dal naso.
Leo?” tentò allora la maestra. “La vuoi sentire una bella favola? Cappuccetto rosso e la lupa grigia fanno capire al cacciatore che uccidere è sbagliato, poi tutti insieme liberano la nonna prigioniera.”
Il bambino interruppe il suo convulso singhiozzare e con quanto fiato aveva in gola gridò: “Va’ via! Voglio il mio papà e la mia mamma!”
E la favola del principe addormentato? La principessa non lo sveglia, altrimenti lui avrebbe un trauma. Si mette con la guerriera che comanda le guardie e le fa capire il valore della non-violenza, adottano tre bambine di tre regni diversi e vivono tutte felici e contente. La vuoi sentire questa?”
Voglio il mio papà!”
Arrivò una maestra più anziana, che col tono di chi conosce molto bene il problema disse: “Lascia, ci penso io.”
Si sedette per terra accanto al bambino che strepitava e pazientemente aspettò che smettesse di urlare. Quando le strida furono sostituite da radi singhiozzi, gli disse: “Io sono Adorinda. Tu come ti chiami?”
Voglio il mio papà,” disse il bambino per tutta risposta.
Hai fame?” chiese la donna. “Stelara ha preparato il budino di tofu, hai voglia di assaggiarlo?”
Non mi piace il tofu.”
Adorinda fece una lieve risata. “Dici così perché non hai mai assaggiato quello di Stelara. Lei è una bravissima, cuoca, lo sai?”
Voglio gli hamburger che fa il papà.”
Come li fa il papà, col seitan?”
No, con la mucca.”
Ma la mucca è un essere vivente, tesoro. Non si può mangiare. Piange tanto, lo sai?”
Con lo sguardo ostinatamente rivolto altrove, il bambino ripeté: “Io voglio la mamma e il papà. Non voglio mangiare il Satana, voglio gli hamburger di mucca del mio papà, fatti sul barba-culo.
Il barbecue, vuoi dire?”
Papà dice che si chiama così perché quando i pirati prendevano una capra le tagliavano la barba e gliela mettevano nel culo, poi la cuocevano sulla griglia.”
La maestra registrò che il padre trasmetteva al bambino contenuti aggressivi e volgari, probabilmente nella demenziale convinzione che si trattasse di argomenti più maschi, ma fece finta di non aver nemmeno sentito. “Stelara fa dei buonissimi biscotti di farro,” lo informò. “Scommetto che vuoi assaggiarne uno.”
No.”
Non hai fame?”
No.”
Vuoi giocare, allora?”
Voglio tornare dal mio papà e dalla mia mamma.”
La maestra emise un sospiro e rispose: “Non si può, tesoro. Ora devi restare qui con noi per un po’.”
Perché?”
La tua mamma e il tuo papà devono andare a scuola.”
Ma i grandi non vanno a scuola.”
Loro sì, perché devono imparare tante cose.”
Il bambino si guardò intorno, fissò con aria schifata un gruppetto di suoi coetanei completamente nudi che stavano giocando su un prato, poi di nuovo chiese: “Quando potrò tornare a casa?”
Adorinda gli rivolse un sorriso amorevole, quindi in tono soave rispose: “Vedrai che presto ti abituerai e questo posto comincerà a piacerti. Ora andiamo dagli altri bimbi, così potrete conoscervi, che ne dici?”
No!” Leo, che aveva abbandonato il tronco dell’albero, ci si aggrappò di nuovo con tutte le sue forze.
La donna si limitò a scuotere la testa e si allontanò adagio, lasciando il bambino dove si trovava. Era solo questione di tempo, poi si sarebbe abituato da solo al nuovo ambiente e presto avrebbe addirittura smesso di chiedere dei suoi genitori.

§

Nella sala d’aspetto c’era un unico quadro: L’origine del mondo, di Gustave Courbet.
Richard cercava di non guardarlo, ma periodicamente, come calamitato, lo sguardo si fissava su quell’enorme vulva pelosa, che sembrava in procinto di saltare fuori dal quadro per avventarglisi addosso e divorarlo.
Si mosse nervoso sulla sedia e rivolse lo sguardo a una porta chiusa oltre la quale si percepiva un vago brusio.
A parte quel sommesso mormorare, nella sala c’era un perfetto silenzio, rotto solo dal ticchettare di una pendola scura in un angolo.
L’uomo spostò lo sguardo verso la finestra e lasciò vagare lo sguardo all’esterno. Si chiese dove fossero Paula e Leo, se stessero bene. Aveva cercato di contattare perlomeno il bambino, ma glielo avevano sempre impedito. La prima volta era rimasto un’ora ad aspettare davanti alla porta dell’assistente sociale, salvo poi sentirsi dire che la dottoressa era uscita e lui doveva tornarsene a casa.
La seconda volta era andato direttamente alla Comune Steineriana in cui avevano collocato Leo, ma una tizia di nome Adorabile, o qualcosa del genere, gli aveva detto che avrebbe potuto vedere il figlio solo nel corso di incontri protetti.
Era tornato dall’assistente sociale a chiedere l’autorizzazione agli incontri, ma da lì era stato spedito alla Giudice Tutelare, che ovviamente gliel’aveva negata almeno fino alle prime valutazioni del suo andamento nei corsi di Rifiuto della violenza e di Consapevolezza di Genere.
Come se avesse mai fatto male a qualcuno, poi, o non sapesse distinguere un maschio da una femmina.
Mentre era immerso in quelle meditazioni la porta si aprì. Sulla soglia comparve una giovane donna che gli disse: “Vieni, Richard. L’avvocatessa acconsente a vederti.”
L’uomo entrò in uno studio con le pareti tappezzate da imponenti librerie cariche di volumi dalle rilegature rifinite d’oro. In fondo alla stanza c’era una scrivania a cui sedeva una donna di circa sessant’anni, con i capelli grigi e un tailleur scuro.
Vieni avanti,” lo invitò la donna.
Richard raggiunse l‘unica sedia che si trovava di fronte all’imponente mobile e ne afferrò lo schienale, ma l’altra freddamente lo rampognò: “Non ti ho detto di sederti.”
Chiedo scusa,” si costrinse a rispondere Richard in tono sommesso, mantenendo lo sguardo fisso sul tappeto.
L’avvocatessa scorse alcune carte che la sua segretaria le aveva posto davanti, quindi rialzò la testa e chiese: “E così, tu saresti quello che ha plagiato e tenuto in stato di sottomissione psicologica moglie e figlio?”
Non ho fatto niente di tutto questo,” rispose Richard a denti stretti.
Sono vent’anni che lavoro, ma non ho ancora sentito un maschio ammettere di aver commesso un crimine,” fu la replica, proferita con un sorrisetto sarcastico.
L’uomo alzò la testa. “Perché, le femmine lo ammettono, invece?”
Le femmine non commettono crimini. Al massimo si difendono dalle prevaricazioni dei maschi.” L’avvocatessa fece una pausa di qualche secondo, poi chiese: “Tu perché sei qui, comunque?”
Perché sono innocente.”
La donna gli rivolse uno sguardo di degnazione. “Nientemeno.”
Non c’è niente di vero nelle accuse che mi sono state rivolte. Io e Paula stiamo bene insieme, ci amiamo. Nostro figlio Leo è la nostra vita.”
Forse tu starai bene,” replicò l’avvocatessa, “ma non c’è persona al mondo che possa stare bene, sottomessa e plagiata fino a che la sua volontà non viene distrutta.”
Richard aprì la bocca per replicare, ma l’altra non gliene diede il tempo. “Ho letto il tuo fascicolo,” gli disse. “Tu sei il genere di uomo peggiore, che maschera dietro un ostentato, posticcio sentimento d’amore il suo odio per la Femminilità. Vattene subito, oppure prenderò in considerazione il tuo caso, ma solo per farti sbattere fino alla fine dei tuoi giorni in un posto dove tu non possa più nuocere alle donne.”

L’uomo si trovò in strada senza nemmeno rendersi conto di come ci era arrivato. Tirò fuori di tasca un foglietto sul quale c’era un elenco di nomi e indirizzi, prese una matita smozzicata e tracciò una riga sul primo.
Si guardò intorno: un uomo stava spazzando il marciapiede, un altro paio trasportavano dei pannelli di cartongesso su un carrello. Un quarto emerse da un tombino coperto di fango nero, due donne che passavano di lì si fecero indietro protestando per il cattivo odore ed egli si affrettò a scomparire di nuovo nelle viscere della terra.
Raggiunse il secondo indirizzo che si era segnato, suonò il campanello ed entrò in un androne in stile moderno, con marmi, luce soffusa e pannellature in vetro satinato.
L’avvocatessa lo accolse seduta a un tavolo basso e decorato con piastrelle di ceramica, che sembrava più adatto a un salotto che a uno studio. Aveva capelli rossi lunghi e ondulati e un aderente abito nero, con una scollatura che lasciava vedere una buona porzione del seno.
Quando lo vide arrivare accavallò le gambe, mettendo in mostra calze sostenute da giarrettiere di pizzo, e disse: “Vieni avanti, Richard.”
Accompagnò l’invito col movimento di un dito indice dall’unghia lunga e laccata di rosso.
L’uomo si avvicinò mantenendo lo sguardo sul pavimento e si fermò a un paio di metri di distanza.
Siamo timidi?” lo provocò la donna.
Richard non rispose.
Eppure sei un bel pezzo d’uomo. Quanto sei alto, un metro e novanta?”
Uno e novantacinque.”
Hai un bel fisico. Fai qualche sport?”
Quelli che facevo sono stati proibiti.”
L’altra alzò le sopracciglia. “Capisco. Cose da maschi, non è vero?” Si passò una mano su una coscia.
Sport di competizione,” rispose Richard con la sensazione di trovarsi su un campo minato.
Oh, roba forte. Corso di Rifiuto del Machismo assicurato, non è vero?”
Già.”
È per lo sport che sei qui?”
No.”
Per che cosa, allora?”
Richard raccontò tutta la questione. Alla fine alzò fugacemente lo sguardo e vide che la donna lo stava fissando con interesse. “Puoi fare qualcosa per me?” le chiese. Poi, dopo una pausa: “Troverò i soldi necessari.”
L’avvocatessa lo squadrò dalla testa ai piedi, poi gli disse: “Possiamo metterci d’accordo.”
L’uomo aggrottò le sopracciglia. “In che senso?”
Diciamo che non è necessario che tu mi paghi in denaro.” Con un gesto apparentemente casuale, la donna si passò la lingua sulle labbra color carminio.
Richard strinse i pugni. Alzò lo sguardo fino a fissarlo in quello della sua interlocutrice e lentamente rispose: “Diciamo che io non sono in vendita.”
L’altra non si lasciò turbare dalla frase tagliente. “Lo sai che io ti potrei accusare di molestie, vero?” lo informò, col tono leggero di una banale conversazione. “Pensi che troveresti qualche avvocatessa disposta a difenderti?”
Non sono in vendita,” si limitò a ripetere l’uomo, quindi le girò le spalle e uscì dalla stanza.
Procedette poi verso l’androne e da lì in strada, sempre aspettandosi di sentire uno strillo alle sue spalle, o di vedersi arrivare contro un gruppo di Guardie Rosa contro lo Stupro armate di taser e manganelli.
Non accadde nulla di ciò che temeva.
Quando fu a un’adeguata distanza dal palazzo dell’avvocatessa, si lasciò cadere su una panchina e per un po’ rimase semplicemente fermo a pensare, con i gomiti puntati sulle cosce e la testa fra le mani. Si chiese per l’ennesima volta dove fossero Leo e Paula, se stessero bene.
Si chiese come fosse cominciato tutto quanto e si accorse di non riuscire a darsi una risposta.
Ripensò all'avvocatessa. Avrebbe dovuto accettare? Qualche scopata in cambio della difesa non era forse un prezzo che un padre avrebbe potuto pagare per riavere suo figlio? Si sentì un egoista.
Involontariamente rialzò lo sguardo verso la direzione da cui era venuto, ma per quanto cercasse di far appello a logica e senso pratico, non riusciva a convincersi che cedere a certe proposte fosse la scelta migliore. A prescindere da orgoglio e dignità personale, cui sarebbe anche passato sopra, pur di riavere Leo e Paula, come avrebbe potuto, ad esempio, esigere il rispetto dell'accordo? Era un uomo, non aveva diritti, chiunque – a maggior ragione una celebre avvocatessa – avrebbe potuto accusarlo di molestie e lui non avrebbe avuto voce in capitolo per replicare.
Con un sospiro tirò fuori di tasca il foglietto, su cui rimaneva un solo nome.

La terza avvocatessa era anche la più celebre. Aveva uno studio in pieno centro, in un palazzo dall'aria prestigiosa.
Il portone d'ingresso dell'edificio era di legno scuro, con due enormi battenti di ottone lucidato a specchio. L'androne era così grande che ogni rumore, dai passi a un colpo di tosse, produceva un'inquietante serie di echi. Il pavimento era di marmo pregiato, così come le colonne e le pannellature delle pareti. Le rifiniture erano in bronzo.
Per terra correva una passatoia rossa fermata da stecche di ottone.
Richard si guardò intorno vagamente intimidito, poi identificò l'ascensore, vi entrò e premette il bottone corrispondente all'ultimo piano.
Sbucò direttamente in una sala d'aspetto con sedie antiche allineate lungo le pareti. Dal centro del soffitto pendeva un lampadario tutto pieno di volute e riccioli, con scintillanti gocce di cristallo. Appesi al muro c'erano solo due grandi paesaggi, uno con delle montagne e uno con un lago al tramonto, racchiusi in imponenti cornici dorate.
Accanto a una porta chiusa si trovava una scrivania, dietro la quale sedeva una ragazza dall'aria seriosa.
Richard la raggiunse, declinò le sue generalità e il motivo per cui si trovava lì. La ragazza non fece altro che indicargli una delle sedie, quindi premette un pulsante e si piegò a parlare a bassa voce in un microfono. Scambiò qualche frase che lui non riuscì ad afferrare, quindi rivolse lo sguardo verso di lui e disse: “L'avvocatessa ti riceverà fra poco.”
Grazie,” rispose Richard, ma la ragazza non lo degnò di ulteriore attenzione.
Passò circa mezz'ora. Nella sala c'era silenzio, a parte il crepitare della tastiera o il raro cigolio della sedia girevole della segretaria. Al di là della porta non si udiva il più piccolo rumore.
L'uomo si guardò le mani indurite dal lavoro, quindi fece girare lo sguardo sulla stanza: tutto trasudava soldi, compreso l'abito della ragazza, che era del genere che sua moglie aveva sempre desiderato ma non si era mai potuta permettere. Si chiese come avrebbe fatto, con il suo misero stipendio da maschio, a pagare la parcella.
Era così perso nei suoi ragionamenti che la voce della segretaria lo fece quasi sussultare. “L'avvocatessa acconsente a vederti,” lo informò, con l'aria di considerare la cosa come una strana eccentricità della suddetta.
Richard alzò lo sguardo: la porta si era aperta e da essa stavano uscendo due donne che si tenevano a braccetto. Le due lo oltrepassarono senza degnarlo di uno sguardo e scomparvero nell'ascensore.
Egli a questo punto si alzò ed entrò nello studio. L'avvocatessa era in piedi in mezzo alla stanza, era evidente che si era alzata per accompagnare le due precedenti clienti alla porta. Era una donna alta e snella, poteva avere cinquant'anni ottimamente portati. Aveva i capelli biondi tagliati corti e niente trucco, cosa che comunque quasi non si notava, data l'incisività dei suoi lineamenti decisi. Dava l'idea di essere una che non mollava fino a che non aveva ottenuto quello che voleva.
Se ne sentì rinfrancato, ma al tempo stesso intimidito: ricevere le avances di una del genere e rifiutarle non doveva essere un atto privo di conseguenze.
La donna attese che lui si fosse avvicinato, quindi gli tese la mano. “Nit mi ha detto che hai bisogno di un consulto,” esordì mentre lui gliela stringeva.
Veramente, ho bisogno di assistenza legale,” fu la risposta.
La donna lo fissò attenta, stringendo appena gli occhi. Due rughe verticali le comparvero alla radice del naso. “Siediti,” disse indicando una seggiola posta davanti a un'imponente scrivania di legno scuro, quindi aggirò il mobile e si accomodò a sua volta. “Ti ascolto,” disse poi.
Richard spiegò tutto, cercando di raccontare le cose in modo più possibile neutro e imparziale. Mentre parlava cercava di leggere l'espressione della donna, che però rimaneva insondabile.
Quando il racconto finì, ella rimase a fissarlo in silenzio.
Lui si agitò nervoso sulla sedia. Il silenzio era perfetto, la donna rimaneva immobile con gli occhi fissi su di lui. “Puoi aiutarmi?” le chiese alla fine, già aspettandosi di venire scacciato come l'ultimo dei porci e degli stupratori.
Contrariamente alle previsioni, l'avvocatessa rispose: “Ti costerà parecchio.”
Non sono in vendita,” si sentì in dovere di precisare.
La donna assunse un'espressione sprezzante, quindi gli disse: “Sei un maschio. Nulla di ciò che hai da offrire, a parte i soldi, può interessarmi.”
Quanti soldi?” chiese Richard.
Cinquemila per cominciare, e poi mille ogni volta che dovrò intervenire.”
Cinquemila?” mormorò lui smarrito. Si era immaginato molti soldi, ma non avrebbe mai pensato che ne occorressero così tanti.
Per cominciare,” precisò lei impassibile, “e non ti garantisco il risultato, il tuo è un caso dei peggiori. Fammi comunque avere tutti gli incartamenti, quando mi porti i soldi.”
Va bene.”
Ora vattene, devo lavorare.”

§

I gomiti appoggiati al bancone, un bicchiere vuoto davanti a sé, Richard emise un sospiro e disse: “E così, adesso devo trovare quei cinquemila, per cominciare.”
Al suo fianco, Brunn chiese: “Ti ha dato qualche speranza di riuscita?”
No, ha detto solo che è un caso dei peggiori.”
E allora?”
Richard chinò il capo. Gli occhi fissi sul bicchiere vuoto, rispose: “Io ci devo almeno provare, capisci? Io rivoglio la mia famiglia.” Si voltò verso Brunn e proseguì: “Noi stavamo bene insieme. Io e Paula ci amiamo, Leo è la nostra vita. Niente di quello che hanno detto su di noi è vero e io mi rifiuto di piegare la testa di fronte a questa ingiustizia, mi rifiuto di passare da porco e violento quando non lo sono mai stato in tutta la mia fottuta vita.”
L'altro rimase in silenzio.
Io ho il diritto di far sentire la mia voce,” insisté Richard alzando il tono, “ho il diritto di dimostrare la mia innocenza!”
Brunn a questo punto si girò fino a fronteggiarlo. La luce che cadeva dall'alto era schermata dalla visiera del berretto da baseball, quindi il suo viso rimaneva in ombra. Di esso si notavano solo gli occhi chiari e la barba, così lunga da arrivare fin sul petto. “Continui a non capire,” disse lentamente. “Tu non hai nessun diritto, qui, se non quello di piegare la testa.”
Richard strinse i pugni. “Non può essere così. Io non ho fatto niente.”
Dimostralo.”
Lo farò!”
Come? Con che soldi? Quale giuria accetterà di giudicarti per quello che hai fatto veramente e non per quello che rappresenti?”
Richard non rispose, le nocche sbiancarono. L'altro attese qualche secondo, poi gli batté la mano sulla spalla e disse: “Non è così dappertutto, amico.”
Il primo sollevò su di lui uno sguardo torvo. “So cosa stai per dire,” lo avvisò, “ma io non lascio mia moglie e mio figlio.”
Tra un po' saranno loro a lasciare te.”
Non dire stronzate. Perché dovrebbero lasciarmi?”
Perché cominceranno a pensare come loro.”
Impossibile.”
Brunn si limitò a un'alzata di spalle. Fece un cenno a Lonnie perché riempisse i due bicchieri ormai vuoti, quindi abbassò gli occhi sul proprio. Dopo un po' disse: “Una volta io ero come te. Pensavo che si potesse parlare, che ci si potesse confrontare.” Fece una breve pausa, poi ripeté: “Confrontare. Una parola che piace molto, ma che attualmente ha perso ogni significato. Perché o dal confronto esce che le donne sono quel che adesso dicono di essere, oppure vieni bollato come maschio fallocratico affamato di predazione e conquista e il confronto finisce lì.”
E la verità? Dovrà pur venire fuori la verità, prima o poi.”
Dire la verità può essere uno sforzo inutile, soprattutto se non c'è nessuno che vuole sentirla.”
Di nuovo calò il silenzio. In sottofondo si sentivano un vago brusio e una musica fioca. Richard bevve un sorso di bourbon e rimase a rigirarsi il bicchiere fra le dita, gli occhi fissi sul liquido ambrato che si agitava a seconda dei movimenti del recipiente.
Gli giunse di nuovo la voce di Brunn: “Pensa a quello che ti ho detto.”
Non lascio mia moglie e mio figlio.”
Non puoi più fare niente per loro, ma non te ne rendi ancora conto. Pensi che quell'avvocatessa ti aiuterà?” Fece un gesto sprezzante. “Stronzate. Non conta chi ha veramente ragione, conta quello che serve a rinsaldare il loro potere.”
Io comunque voglio provarci.”
Brunn scosse la testa, poi disse: “L’uomo crede di volere la libertà. In realtà ne ha una grande paura. Perché? Perché la libertà lo obbliga a prendere delle decisioni, e le decisioni comportano rischi.”
Beh, io la mia decisione l'ho presa, amico. Me li riprenderò e poi ce ne andremo tutti insieme in questo posto di cui parli sempre.”
Brunn scosse di nuovo la testa e quando Richard fece per replicare, si limitò a vuotare il bicchiere. Dopodiché buttò sul bancone un paio di banconote e disse: “Pensaci, quando ti troverai sbattuto in prima pagina come il mostro di turno, quando tua moglie ti sputerà in faccia perché sei uno sporco sciovinista e tuo figlio non si ricorderà nemmeno come ti chiami. Pensaci, e nel caso vieni a cercarmi.”

§

Richard appoggiò il martello sul bancone, si pulì le mani sporche di grasso con uno straccio e si diresse verso un ufficio separato dall’officina tramite pareti di vetro. Al di là, seduta a una scrivania, una donna stava compilando dei moduli e ogni tanto sollevava lo sguardo per controllare gli operai.
L’uomo si avvicinò e bussò cautamente alla porta.
La donna gli fece cenno di avvicinarsi. “Non sporcare per terra,” lo accolse.
Va bene.”
Richard rimase in piedi davanti alla scrivania. l’altra finì di compilare il modulo, lo mise da una parte poi chiese: “Cosa vuoi?”
Avrei bisogno di fare qualche turno in più.”
La donna aggrottò le sopracciglia. “perché?”
Mi servono soldi.”
Ah, soldi. E cosa ci vuoi fare con i soldi?”
Ne ho bisogno.”
Ma certo, lo immagino. Ti vorrai comprare roba proibita sottobanco. Guarda che se ti becco con della mercificazione del corpo femminile ti segnalo immediatamente alla Commissione per la Consapevolezza di Genere, e ci penseranno loro a raddrizzarti.”
Vorrei fare dei turni in più,” si limitò a ripetere Richard.
La donna lo scrutò stringendo gli occhi. “Non è che te ne vuoi stare qua a bighellonare con i tuoi colleghi uomini mentre tua moglie a casa deve sobbarcarsi tutti i lavori?”
L’altro lanciò un’occhiata all’officina, in cui i pezzi più leggeri che venivano movimentati pesavano quaranta chili, e disse: “No, ho solo bisogno di soldi.”
Va bene, ti puoi fermare per un’ora dopo ogni turno.”
Posso fermarmi due ore?”
No, una. E poi te ne torni a casa difilato. Non voglio certo contribuire a creare una figura di padre assente e disinteressato.”

Richard piantò la vanga nel terreno in modo che non cadesse, quindi si asciugò il sudore dalla fronte e disse: “Ho finito.”
Di già?” Una donna si avvicinò e scrutò critica la terra rivoltata di fresco. Spostò una zolla con la punta del piede e chiese: “Sei stato veloce. Sei andato in profondità come ti avevo chiesto?”
Sì.”
Fammi controllare.”
Sono andato giù per quaranta centimetri.”
In così poco tempo? Non è che hai vangato solo la prima parte e nel resto ti sei limitato a togliere lo strato d’erba?”
No, ho fatto il lavoro correttamente.”
La donna fece una risatina. “Un lavoro corretto fatto da un uomo devo ancora vederlo.”
Questo è fatto come si deve,” replicò Richard con una punta di durezza nella voce.
Siamo suscettibili, eh? Ma è scientificamente provato che il cervello maschile non è in grado di organizzare i lavori complessi, quindi è inutile che tu faccia l’offeso se voglio controllare.”
L’uomo non disse nulla, limitandosi a calcolare mentalmente la cifra che avrebbe raggiunto con il pagamento di quell’ultimo lavoro.
Era desolatamente bassa.
Potresti darmi i soldi, per favore?” chiese. “Devo pulire una piscina prima che faccia buio.”
La donna contò alcune banconote e gliele porse, Richard si affrettò a farle sparire nella tasca anteriore della salopette, che poi chiuse con cura. “Ora scusami,” disse, “ma devo andare.” Corse fuori prima di sentire la risposta della donna.

§

Richard scese da uno sgangherato autobus azzurro – quelli riservati ai maschi – poi si incamminò lungo un vialetto con alberi sui due lati. Raggiunse un alto muro di cinta, dietro il quale si intravedevano in lontananza i tetti di un’imponente costruzione. Si avvicinò a un portone di ferro e cercò di scrutare al di là. Subito si udì il ronzio di un cicalino, si attivò l’occhio rosso di una telecamera e da un altoparlante provenne una voce femminile che ruvidamente disse: “Cosa stai facendo? Guarda che stiamo filmando e registrando. Prova a muoverti e ti becchi una denuncia!”
L’uomo si irrigidì. “Vorrei vedere Paula.” spiegò.
Paula, chi?”
Paula. Dovrebbe essere da voi per un decreto della Giudice Tutelare.”
Ci fu qualche istante di silenzio, poi la voce chiese: “Tu chi saresti?”
Suo marito, Richard.”
Ah, il porco sciovinista.”
L’uomo si costrinse a non replicare. “Posso vederla?” chiese dopo un po’.
Neanche per sogno. Le hai già fatto abbastanza male.”
Richard alzò lo sguardo verso la telecamera, come per fissare un’eventuale interlocutrice, quindi disse: “Ho un permesso delle assistenti sociali.”
Fa’ vedere.”
L’uomo trasse di tasca un foglio accuratamente piegato in quattro, lo spiegò e lo sollevò verso l’occhio elettronico. Dall’altoparlante provenne una risata sprezzante, quindi la voce disse: “Chiunque potrebbe falsificare uno di quelli, persino un maschio. Andrò a fare una telefonata a chi di dovere.”
Trascorse un tempo imprecisato, che Richard impiegò passeggiando su e giù davanti al portone. Fece un altro tentativo di guardare attraverso una fessura, ma di nuovo la telecamera si attivò e lo puntò, cosa che lo convinse ad arretrare immediatamente.
Alla fine, dall’altoparlante la voce lo informò: “Mi hanno confermato il permesso.”
Posso entrare?”
Qui non entrano maschi. Aspetta qui, se Paula acconsente a parlarti verrà, altrimenti te ne puoi andare.”
Si udì uno scatto metallico e nel portone si aprì un finestrino munito di una grata.
Non provare a toccarla,” lo ammonì la voce, “non passarle niente e ricordati che stiamo filmando e registrando.”
Di nuovo, Richard alzò lo sguardo verso la telecamera e chiese: “Che cos’è, un carcere?”
No, è un luogo puro, in cui la femminilità non è contaminata dalla presenza dei maschi e può esprimersi in tutta la sua meravigliosa pienezza.”
Passò altro tempo. L’uomo si piegò per dare un’occhiata attraverso il finestrino e vide un immenso parco fiorito. In lontananza c’erano donne con abiti lunghi e capelli sciolti che fluttuavano al vento. Esse parevano indaffarate a completare una specie di grande disegno colorato che stava prendendo forma sul pavimento.
Una delle donne si staccò dal gruppo, e prima ancora che si girasse verso di lui, Richard riconobbe la tonalità di biondo che tanto amava. Sentì il cuore balzargli nel petto.
Paula!” chiamò. Si accorse di avere il respiro accelerato per l’emozione. “Paula!”
La donna alzò la testa e scrutò nella sua direzione come se l’avesse sentito. La immaginò stringere gli occhi come faceva di solito.
È un po’ miope,” disse fra sé e sé, ma sembrò che lo stesse confidando a chi lo stava ascoltando attraverso il sistema di sicurezza.
Istintivamente allungò una mano verso la grata, ma subito la voce lo avvertì: “Vuoi uno shock elettrico nelle palle?”
Fece un passo indietro.
Paula nel frattempo si stava muovendo nella sua direzione. Si chiese perché non corresse. Lui avrebbe corso con tutte le sue forze, se fosse stato al suo posto.
La fissò con apprensione, ma non sembrava sofferente. I suoi movimenti avevano la fluidità di sempre, il volto era liscio e rilassato. “Paula!” ripeté. La donna alzò a malapena la testa.
Si fermò a un metro dal cancello e solo a quel punto, in tono calmo, disse: “Ciao, Richard.”
Paula, tesoro!” Di nuovo l’uomo tentò di avvicinarsi alla grata, ricordandosi solo all’ultimo momento della proibizione. “Paula, come stai?”
La donna gli sorrise. “Bene, e tu? Come te la cavi a casa da solo?”
Mi mancate da morire.”
Paula annuì quasi con indulgenza.
Sto facendo di tutto per farvi tornare, sai? È stato un clamoroso errore, e io lo dimostrerò. Sono andato dall’avvocatessa migliore della città.”
Non dovevi disturbarti.”
Stai scherzando? Io non vedo l’ora che tutto torni come prima, tesoro. Non vedo l’ora di riavere te e Leo a casa.”
Di nuovo la donna annuì appena, poi gli disse: “Le cose non torneranno più come prima, caro.”
Richard si trovò a deglutire, spiazzato dalla strana risposta. “Che cosa intendi?” le chiese diffidente.
Lei alzò le spalle. “Niente. È che qui si impara a vedere le cose sotto un aspetto diverso.”
Cioè?”
Niente.” Poi, dopo una pausa: “Come va il lavoro? Ti vedo stanco.”
Bene, non preoccuparti. Sto solo facendo un po’ di straordinari per prendere qualche soldo in più.”
Lei sorrise di nuovo, con la brezza che le agitava appena i capelli. Qualche filo dorato le rimase impigliato nelle labbra. Richard si sentì pervadere da una strana apprensione: sua moglie aveva un aspetto vago, remoto. Gli dava l’impressione di guardare la fotografia di una persona molto amata ma ormai scomparsa.
La sua voce lo richiamò alla realtà: “Ora devo andare.”
Di già, tesoro?” Notò che non si era sentito alcun richiamo e che nessuna delle donne che si muovevano sullo sfondo sembrava fare caso a lei.
Devo aiutare a finire il mandala. È molto rilassante e aiuta a elaborare le emozioni. Grazie a quello, le donne violate dall’odio imparano a riappropriarsi della loro dignità.”
L’uomo si costrinse a ignorare quella strana frase. “Non mi hai detto niente di te, Paula. Come ti trattano, cosa fai...”
Devo andare,” lo interruppe la donna. “A presto, Richard,” si girò e prese ad allontanarsi senza fretta, come se si fossero salutati in una mattina qualsiasi, prima di recarsi ognuno al rispettivo lavoro.
Richard rimase a guardarla fino a che lo sportellino metallico non si richiuse con un tonfo, facendolo sussultare per la sorpresa.
Adesso vattene!” ordinò brusca la voce.

Marvellous gli indicò una sedia bassa, che sembrava provenire dall’arredamento di una classe. “Puoi sederti qui,” gli disse.
Richard ci si accomodò a fatica, finendo per trovarsi praticamente con le ginocchia contro il mento. “Quando arriva Leo?” chiese.
Per tutta risposta, Sam accese un monitor che si trovava su un tavolino e sullo schermo comparve una stanzetta piccola, con il linoleum sul pavimento e le pareti verde chiaro, arredata con un banco di scuola e un paio di sedie come quella su cui sedeva lui.
L’uomo alzò lo sguardo sull’assistente sociale e chiese: “Che significa?”
Procedura di prevenzione degli acting-out.”
Avevo chiesto di vederlo,” protestò Richard. “Ci siete voi a sorvegliarmi, e poi con un’eventuale azione inconsulta avrei tutto da perdere. Voglio vedere mio figlio di persona.”
Sam scosse la testa e in tono neutro lo informò: “È statisticamente dimostrato che gli uomini reagiscono alle situazioni di forte stress emotivo con passaggi all’atto. Dobbiamo tutelare il bambino.”
Dovete tutelarlo da me? Ma io sono suo padre.”
L’analisi del disegno di Leo e i risultati dei test hanno dimostrato che sei una persona violenta e impulsiva.”
Un momento,” chiese Richard in tono diffidente, “quali test?”
Ma non fece in tempo a sentire la risposta, perché la porta della stanza che si vedeva nel monitor si aprì e da essa, tenuto per mano da una donna, entrò il bambino.
Leo!” esclamò Richard. “Leo, mi vedi? Riesci a vedere papà?”
Il piccolo sorrise e corse verso il monitor. “Papà!” esclamò. “Papà, quando andiamo via?”
Presto,” gli assicurò l’uomo, faticando per mantenere la voce normale. “Prestissimo. Papà è andato da un’avvocatessa, sai? un’avvocatessa molto brava, che ci aiuterà a tornare insieme.”
Io, te e la mamma?”
Sì, tutti noi insieme,” rispose di getto l’uomo, cercando di ignorare la sensazione di disagio che il colloquio con la moglie gli aveva lasciato.
Papà, qui sono tutti strani,” lo richiamò la voce del figlio. “Delle volte ci fanno stare senza vestiti e poi non ci danno neanche un po’ di ciccia.”
Davvero?”
Neanche un po’,” ripeté il bambino facendo il broncio. “Io gli ho detto che tu la sai fare tanto buona, che se mai potevo chiamarti, che tu glielo insegnavi anche a loro, come si fa, ma mi hanno detto che le mucche piangono tanto tanto.” Fece una pausa. “È vero che piangono, papà?”
Beh...” Richard sentì su di sé lo sguardo severo delle due assistenti sociali.
Per fortuna, il bambino cambiò discorso e gli chiese: “Quando posso tornare a casa?”
Ecco… ci vorrà ancora un po’.”
Ma quanto? Io voglio tornare con te e la mamma, non mi piace stare qui.”
Devi avere pazienza, Leo,” sospirò l’uomo. “Vedrai che quando tornerai a casa faremo una bella festa.”
Con la ciccia?” chiese il bambino fissandolo speranzoso.
La donna che lo accompagnava a quel punto si piegò su di lui e disse: “Lo sai cosa fa la ciccia, Leo? Ti fa tanta bua alla pancia, perché quando la mucca muore sente tanto male e quel male rimane dentro la sua ciccia.”
Il bambino si voltò a fissarla con apprensione. “Davvero?”
Sì. La mucca, poverina, soffre tanto. Le danno una botta proprio qui, sulla testa, e l’osso fa crack! e si rompe in due. E il cervello della mucca, lo sai che cosa fa? Il cervello esce tutto dai buchi del naso, insieme al sangue. E intanto gli uomini cattivi che le hanno dato una botta in testa la legano per un piede e la sollevano, e poi le aprono la pancia, ma la mucca non è mica ancora morta...”
Il bambino scoppiò in un pianto disperato. “Papà!” urlò fra i singhiozzi.
Ehi, ma che accidenti state dicendo a mio figlio?” sbottò Richard sollevandosi per metà dalla sedia.
Per quanto fosse dall’altra parte del monitor, la donna che accompagnava Leo si fece indietro. “Tu sei un violento!” strillò. “Sei un prevaricatore, uno che non consente agli altri di esprimere le loro opinioni!”
Certo che no,” replicò l’uomo, incurante dei richiami delle assistenti sociali. “Se le tue cosiddette opinioni sono racconti del terrore che fanno piangere mio figlio!”
Deve sapere la verità! Deve sapere cosa succede agli animali che voi carnivori uccidete!”
È solo un bambino, cazzo!”
A quel punto, la burrosa Marvellous saltò su come punta da una vespa e in tono tagliente disse: “Ma certo, quando le cose si mettono male, voi maschi frustrati tirate subito fuori il vostro fallo, eh? Lo ostentate. Pensate che quell’insulso pezzo di carne vi renda superiori a noi, non è vero?”
Dall’altra parte del monitor, il bambino continuava a piangere. La donna che era con lui gli stava dicendo: “Bravo, tesoro, fai bene a sfogarti. Questo non riporterà certo in vita i poveri animali uccisi, ma almeno ti aiuterà a empatizzare con il loro dolore. Lo sai cosa vuol dire empatizzare, caro?”

§

Di nuovo a casa – una casa straordinariamente silenziosa e vuota, senza Leo e Paula – Richard si lasciò cadere sul divano e per un po’ rimase semplicemente sdraiato a occhi chiusi. Il gruzzolo che stava con fatica racimolando cresceva con una lentezza esasperante, mentre le visite a sua moglie e a suo figlio gli avevamo fatto capire con spietata chiarezza che l’intervento dell’avvocatessa non poteva essere differito ulteriormente.
Si voltò e fissò lo sguardo su un quadro che rappresentava bambine di vari colori con tuniche arcobaleno impegnate in un festoso girotondo.
Non era quell’immagine che gli interessava, ovviamente.
Dietro di essa era nascosta la cassaforte, all’interno della quale c’era l’ultimo ricordo della sua famiglia, l’ultima testimonianza delle sue origini.
Emise un lungo sospiro. Non aveva mai visto il luogo che una volta era chiamato Baviera, ma suo padre gliene aveva parlato così spesso che gli sembrava di esserci cresciuto.
Se chiudeva gli occhi, riusciva a immaginare montagne inviolabili dalle vette coperte di neve, che si stagliavano contro cieli di un azzurro purissimo, oppure prati costellati di fiori, o stelle alpine che spuntavano tra le rocce.
Se si concentrava, riusciva persino a sentire il canto del vento tra le vette o il grido acuto dell’aquila.
Andò alla ricerca del telefono, compose un numero.
Dall’altra parte, una voce maschile disse: “Pronto?”
Jack?”
Sì, chi parla?”
Sono io. Ti interessa ancora quella cosa?”
Ci fu qualche secondo di esitazione, poi giunse la risposta: “Sì, certo. Hai deciso di venderla, finalmente?”
Sì. Il prezzo è sempre quello che mi avevi proposto?”
Certo. Se è autentica, naturalmente.”
Lo è. Dove ci troviamo?”
Il posto che avevamo pattuito. Domani sera va bene? Mi serve un po’ di tempo per recuperare tutti quei contanti.”
D’accordo.”
Richard chiuse la comunicazione, poi fissò di nuovo lo sguardo sul quadro col girotondo. Non ereditiamo il mondo dai nostri padri, c’era scritto sotto, lo prendiamo in prestito dai nostri figli.
Gli era sempre parsa una stronzata.




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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Salve a tutti/e,
e con questo capitolo concludiamo la vicenda del Mondo dell’Amore. Ringrazio tantissimo tutti cloro che sono passati da queste parti, che hanno dato un’occhiata o mi hanno messo in qualche lista e ringrazio con particolare calore tutti quelli che si sono fermati a lasciarmi il loro parere e a darmi innumerevoli spunti di riflessione su questo mondo che è sì distopico, ma non poi tanto lontano da quello che stiamo vivendo adesso.





Capitolo 4

Pronto? Sono Nit, la segretaria dell’avvocatessa.”
Come tutte le volte che riceveva una telefonata dallo studio legale, Richard sentì il cuore saltargli un battito. Scese dall’autobus su cui stava tornando a casa e si fermò in un angolo riparato del marciapiede. “C’è qualcosa di nuovo?” chiese poi con apprensione.
L’avvocatessa rinuncia a difenderti.”
L’uomo sentì il sangue abbandonargli il volto. “Rinuncia a difendermi?” ripeté, quasi sperando che la ragazza gli dicesse che aveva capito male.
Esatto,” disse invece lei.
Ma… ma perché?”
L’avvocatessa non è tenuta a spiegarti il motivo.”
Richard aggrottò le sopracciglia e in tono duro disse: “Voglio vederla.”
Subito Nit replicò: “Non cercare di esercitare la tua aggressività fallica su di me. La telefonata è registrata e se continui con i tuoi atteggiamenti intimidatori ti denuncio.”
Posso sapere almeno perché l’avvocatessa non vuole più seguire il mio caso?” chiese Richard, nel tono più calmo che riuscì a tirare fuori.
Ti ripeto che non è tenuta a dirtelo.”
L’uomo emise un sospiro sconfitto, quindi disse: “Va bene. Quando posso passare a riprendere i soldi e i documenti?”
I documenti ti verranno recapitati per posta, l’avvocatessa non ti vuole in studio.”
E i soldi?”
L’avvocatessa non ti deve restituire niente, l’anticipo che hai lasciato è servito per pagare le prime spese.”
Cosa? Cinquemila arcobaleni per...”
Si accorse che dall’altra parte proveniva solo il segnale di linea libera. Provò a rifare il numero, ma non ebbe alcuna risposta.
Rimase fermo sul marciapiede, con il telefono in mano e la sensazione che il mondo gli fosse appena caduto addosso. Si guardò intorno, ma nessuno faceva caso a lui.
Stavano calando le prime ombre della sera, la gente camminava rapida e intenta. Le vetrine dei negozi proiettavano a terra pennellate di luce multicolore.
Richard rimase per un po’ fermo a guardare i passanti: avevano tutti l’aria di voler tornare a casa prima possibile. Immaginò famiglie felici, pronte a riunirsi intorno al tavolo per il pasto serale. Immaginò profumi di cucina e suono di risate.
Affondò le mani nelle tasche e arretrò fino ad appoggiare la schiena al muro. Rimase fermo un tempo imprecisato, mentre la luce calava sempre di più e i passanti diventavano sempre più rari.
Quando si decise a muoversi, la strada era deserta e rischiarata solo dai lampioni. Gli autobus ormai non passavano più, quindi si rialzò il bavero del giaccone, ingobbì le spalle per proteggersi dal vento freddo che spirava e si incamminò verso casa.

Gli fu chiaro già dal fondo della strada che qualcosa non andava: c’erano più macchine del solito intorno a casa sua, il vento portava con sé un vago brusio. Nel buio baluginò il lampo di una torcia, che delineò per un attimo sagome di corpi.
Si appiattì in una rientranza del muro e dall’ombra rimase a osservare in silenzio.
Quando i suoi occhi si furono maggiormente abituati all’oscurità, egli riconobbe una squadra di Riduzione dei Conflitti.
Udì lo sfrigolare sinistro di un taser ad alto voltaggio.
Lo becchiamo mentre dorme,” disse una voce.
Sei sicura che sia dentro?” chiese un’altra.
È tutto spento. Sarà a letto.”
Avrà approfittato della mancanza della moglie per spassarsela, ovviamente. Beh, becchiamo anche la tizia che c’è con lui.” Pausa. “O il tizio.”
Alla frase seguì qualche risatina soffocata.
È quello della bandiera?” chiese una terza voce.
Già. Essendo un maschio è stupido, quindi non ha pensato che dopo le sue belle prodezze da fascista l’avremmo tenuto d’occhio. L’altro l’abbiamo già beccato, adesso tocca a lui.”
Sciovinista di merda. Una bella Rieducazione, di quelle toste, non gliela leva nessuno.”
Ma prima gli rieduchiamo le palle finché non sono come due hamburger, a quello stronzo.”
Qualcuna ridacchiò.
Giusto, non si merita altro,” fu la conclusione.
Richard rimase immobile. Aspettò che le donne facessero saltare la serratura di casa sua e aprissero la porta, quindi prese ad arretrare lentamente. Nel frattempo, cercava di farsi un quadro della propria situazione: ovviamente non poteva più rientrare in casa, dal momento che probabilmente sarebbe stata sorvegliata giorno e notte. Aveva solo i vestiti che indossava, un telefono mezzo scarico del quale sarebbe stato saggio disfarsi il prima possibile, i documenti, che avrebbero dovuto fare al più presto la stessa fine, e il po’ di soldi che aveva messo insieme con i lavori extra della giornata.
Si chiese cosa sarebbe stato meglio fare. Una persona di buon senso – il genere di buon senso che veniva insegnato nelle scuole – gli avrebbe suggerito di costituirsi, ammettere il proprio errore, affrontare il percorso di consapevolezza che lo avrebbe portato a non ripeterne in futuro e riprendere infine il suo posto nella società come uomo nuovo, finalmente libero da idee scioviniste e fallocratiche.
Sarebbe stato molto facile: scusate, sono qui. Ho capito di avere sbagliato, ho capito che il mio assurdo atteggiamento di prevaricazione patriarcale, dettato da miei conflitti irrisolti, ha generato solo sofferenza nelle persone che amavo e ora sono pronto ad assumere un nuovo ruolo, di parità consapevole e amore rispettoso, nella società.
Gli tornò in mente il tizio del talk-show di Zelda, quello che si era tagliato il cazzo.
Prese ad arretrare lentamente, un passo dopo l’altro, e sentiva che ogni volta che muoveva il piede all’indietro, un pezzo della sua vecchia vita si sgretolava e scompariva. Il suo lavoro si volatilizzava, la sua posizione di marito e padre anche. Le valutazioni dei corsi che gli avevano imposto scomparivano come neve al sole.
Ora c’erano solo lui e la sua volontà di affermare se stesso.
La squadra frattanto aveva fatto irruzione in casa sua. Un paio di finestre si illuminarono, il lampo azzurro di una scarica elettrica ne accese una terza per un attimo. Anche dalla distanza che aveva raggiunto udì il rumore di suppellettili infrante.
Si girò per allontanarsi più velocemente, e a quel punto udì un grido alle sue spalle: “Eccolo, è lui!”
Spiccò la corsa, cercando di destreggiarsi tra bidoni dell’immondizia e macchine parcheggiate. Una donna lo raggiunse, fece per puntargli contro il taser, ma lui la spedì a terra con una manata. Un altro paio lo afferrarono per i vestiti, e furono a loro volta proiettate lontano. La sua fisicità maschile, tanto deprecata nella vita di tutti i giorni, in quel momento gli conferiva un deciso vantaggio.
Una donna molto robusta gli si parò davanti e lo affrontò con un calcio al torso. Richard irrigidì i muscoli, quindi la investì con una spallata, mandandola a sbattere contro il muro.
Dopo quello scontro riprese la corsa. Cercò di visualizzare se stesso con la maglietta della sua squadra di rugby e la strada come un campo vuoto, che lui avrebbe dovuto attraversare per fare la meta decisiva.
Con un altro paio di spallate si sbarazzò delle ultime avversarie, quindi si gettò a capofitto in una strada buia. Corse a perdifiato, con tutta la forza che aveva nei polmoni e nelle gambe, lasciandosi alle spalle il quartiere popolare in cui abitava e dirigendosi verso la periferia.
Si fermò solo quando fu certo di aver fatto perdere le proprie tracce. Ansante si rintanò in un androne scuro, mentre fuori sfrecciavano macchine coi lampeggianti accesi. A un certo punto sentì anche il battere ritmico delle pale di un elicottero, anche se non era certo che fosse per lui.
Si lasciò cadere a terra e rimase per un po’ seduto. Fece qualche respiro profondo, si passò una mano sul viso per tergersi il velo di sudore che l’aveva ricoperto.
Fuori nel frattempo si era ristabilito il silenzio.
Rimase immobile per un po’, cercando di cogliere eventuali rumori intorno a sé. Un ratto, protetto dalle recenti leggi che lo equiparavano a ogni altro animale e proibivano la sua eliminazione, uscì da un buco nel muro, lo squadrò per un istante e scomparve con un fruscio.
Richard trasse di tasca il cellulare, lo ruppe in due, quindi infilò i frammenti nel buco da cui il ratto era uscito.
A quel punto si alzò e si affacciò sulla strada deserta. Dovevano essere le due o le tre di notte, non c’era anima viva. Prese a camminare rasente al muro, ancora indeciso se considerare ciò che era appena successo la realtà dei fatti o un lungo angosciante incubo.
Pensò al da farsi e si rese conto che le opzioni rimaste erano decisamente poche. Anzi, in realtà ne era rimasta solo una.
Alzò gli occhi sul cielo nero, quindi si diresse con risolutezza verso la zona della città in cui si trovava la Casa per la Tutela delle Donne Abusate.

§

Sullo schermo alle spalle di Zelda, questa volta fasciata in un sontuoso abito di paillettes dorate, c’era l’immagine di alcune bandiere che garrivano al vento, sbarrata da un rosso segno di divieto.
Una scritta in sovrimpressione recitava: Nazionalismi? No, grazie.
E così,” stava dicendo la conduttrice a un attento pubblico, “alla triste vicenda della famiglia dominata da un maschio fallocratico e sciovinista si aggiunge un altro capitolo.”
La folla fu attraversata da un mormorio di disapprovazione.
Sembra difficile da credere,” continuò Zelda, “eppure ci sono ancora uomini che rimangono tenacemente aggrappati a forme arcaiche di governo, basate sull’odio e sulla prevaricazione. Abbiamo chiamato qui in studio varie esperte, per capire meglio come tutto ciò sia possibile, nonostante l’attenzione che nel Mondo dell’Amore viene dedicata alla crescita etica e responsabile della persona e al rifiuto dell’aggressività in ogni sua forma.” Si voltò verso un’imponente transgender di colore con una cascata di boccoli azzurri che le arrivava a metà schiena. “Koko ha condotto il colloquio di analisi personologica sul soggetto.” Fece una studiata pausa, poi le chiese: “Posso sapere cos’hai provato nel parlare con quest’uomo? Correggimi se sbaglio, ma credo che ti abbia trasmesso molta sofferenza, non è vero?”
Koko annuì grave. “Certo. Non bisogna mai dimenticare che questi comportamenti sono sempre il frutto di un forte disagio, di una personalità che si è strutturata in modo anomalo. È come se una persona si trovasse, magari a causa di un incidente, con una gamba più corta dell’altra: ovviamente non potrà mai camminare in modo corretto, giusto?” Sbatté le ciglia lunghissime e incrostate di mascara blu elettrico.
Dal pubblico provenne una voce femminile: “Ma anche chi non cammina in modo perfetto deve essere accettato. Non bisogna farlo sentire inferiore, perché magari, anche se è motoriamente svantaggiato, può essere una persona stupenda per tanti altri motivi.”
Scrosciò un applauso. La telecamera fece un primo piano di una donna magra, precocemente ingrigita, con le labbra serrate in un’arcigna espressione di biasimo e una maglietta che recitava: 100% cruelty free.
La psicologa annuì di nuovo. “Ma certo. Io dico sempre che bisogna guardare le persone per come sono dentro, per com’è la loro anima.”
Partì un secondo applauso.
Intervenne a questo punto Zelda, che sollevò una mano per riportare il silenzio e disse: “Queste belle parole hanno sempre il potere di commuovermi, ma io credo che i nostri telespettatori saranno curiosi di sapere qualcosa di più su questo sfortunato cittadino.”
Ma certo,” rispose Koko. “Siamo di fronte a un uomo chiaramente molto debole dal punto di vista psicologico, assediato da insicurezze che l’hanno fatto vivere per anni aggrappato all’illusoria idea di protezione da parte di sovranità nazionali ormai superate.” Fece una pausa, come per dare al pubblico il tempo di assimilare quanto aveva detto, quindi proseguì: “Io credo che sia a sua volta una vittima, verosimilmente di una figura paterna tirannica. Credo che abbia bisogno di molto amore e di molta comprensione.”
Zelda annuì. “Che cosa suggeriresti per lui?”
Un lungo periodo di rieducazione, che lo porti a elaborare finalmente i suoi conflitti.” Emise un sospiro e aggiunse: “Io non voglio pensare a quanto deve aver sofferto finora. Perché l’aggressività espressa, vedi, viene sempre da aggressività subita in un contesto di debolezza psicologica.”
Un lungo applauso salutò la premurosa affermazione.
La conduttrice si rivolse a quel punto a una donna di mezz’età con capelli scuri e venati di grigio sciolti sulle spalle e abiti di fibra vegetale che avevano i colori spenti delle tinture naturali. “Adorinda, giusto?” le chiese.
La donna annuì.
Vuoi parlarci di te, Adorinda?”
Certo. Gestisco una Comunità per l’Infanzia Negata a indirizzo steineriano, rigorosamente vegana e improntata al rifiuto di ogni violenza.”
Vuoi dirci come sei venuta in contatto con il nostro soggetto, cara?”
Abbiamo accolto suo figlio qualche settimana fa.”
Che cosa puoi dirci di lui?”
Oh, è un bambino sfortunato. Cresciuto nell’odio, intossicato da cibi carichi di aggressività e dolore. Ogni suo gesto è una straziante richiesta d’aiuto.”
Zelda annuì, comunque precisò: “Parlavo del padre, cara. Cosa puoi dirci di lui?”
Adorinda riunì le mani in grembo e per un po’ parve incerta su cosa dire. Infine, rialzò bruscamente la testa come chi ha appena preso una risoluzione dolorosa ma necessaria, quindi cominciò: “Ecco… io per prima cosa desidero scusarmi con la bellissima e bravissima Koko. Vorrei che fosse chiaro che quanto sto per dire non è assolutamente una critica alle sue capacità professionali, né vuole in alcun modo sminuirla, né come professionista né come donna. È piuttosto un vissuto personale, diciamo. È quello che ho sentito quando mi sono trovata a interagire con quell’uomo.”
Che cos’hai sentito, cara?” le chiese Zelda in tono soave.
Violenza,” proferì la donna in tono cupo, abbassando la voce. “Una terribile, ancestrale violenza, che mi ha investita con una tale forza che ho avuto bisogno di ascoltare per un’ora le vibrazioni positive, prima di ritrovare l’equilibrio interiore.”
Hai parlato con lui?”
Tramite monitor, ma è riuscito comunque a trasmettermi la sua violenza, la sua intolleranza, la sua aggressività e la sua rabbia.” Fece una pausa, che utilizzò per inspirare ed espirare profondamente a occhi chiusi, stringendosi tra pollice e indice la radice del naso. “Nel momento in cui ho cercato di stimolare una conoscenza empatica nel figlio, lui mi ha aggredita con una violenza che mi ha lasciata sconvolta.” Tacque di nuovo, quindi in tono cupo concluse: “Io ho paura di quell’uomo.”
La frase si lasciò dietro un silenzio carico di oscura minaccia.
Prese di nuovo la parola Koko: “Anch’io mi sono sentita aggredita da lui. È stato come se millenni di prevaricazione patriarcale mi fossero stati rovesciati addosso tutti in una volta. Ho letteralmente sentito il grido di dolore dei milioni di donne oppresse dagli uomini nel corso della Storia.” Tirò fuori dalla borsetta un fazzoletto e si tamponò una lacrima.
Scrosciò un applauso che fece tremare lo studio. Fioccarono i Brava! e i Bene!. Nessun pudico biiip coprì le numerose invettive che vennero lanciate contro l’oggetto della discussione, per il quale vennero proposte, fra un insulto e l’altro, la rieducazione forzata, la castrazione chimica e addirittura l’eutanasia per il suo stesso bene.
E ora, pubblicità!” annunciò Zelda.

§

Rintanato in un folto cespuglio, Richard scrutava il giardino, che pian piano emergeva dal chiarore dell’alba. Sui prati aleggiava una leggera foschia, dalle foglie degli alberi stillavano rare gocce di rugiada. Qua e là si udiva il cinguettio dei primi uccelli.
Il disegno sul pavimento era una macchia colorata d’insolita crudezza, in quei toni soffusi.
L’uomo cercò di non pensare alle membra irrigidite dalla lunga immobilità e mantenne lo sguardo fisso sull’edificio. Erano comparse delle luci alle finestre del piano terra, segno che la Prigione mascherata da Comune si stava svegliando.
Si chiese cosa gli avrebbero fatto se l’avessero trovato lì. Probabilmente, un periodo di Consapevolezza e Impegno Fisico Volto al Bene della Comunità, ovvero un modo elegante per chiamare lavori forzati associati a corsi di rieducazione, non gliel’avrebbe tolto nessuno.
Dovette attendere un’altra mezz’ora, poi si aprì una porta e le ospiti uscirono tutte in fila, scalze e vestite con una semplice tunica bianca, si disposero in cerchio e cominciarono a fare dei movimenti che dovevano essere yoga. Senza spostarsi cercò con lo sguardo Paula.
Ci mise un po’ a trovarla, perché si era tinta i capelli di nero. Notò che aveva mani e braccia coperte di ghirigori marroni. Abbassò lo sguardo e si accorse che aveva gli stessi disegni anche sui piedi.
Pur essendo distante, cercò di leggere la sua espressione: non vi trovò nulla di quello che ricordava. Aveva uno strano sguardo remoto, che sembrava perso nella contemplazione di chissà cosa. Si chiese se in qualche modo le ospiti venissero drogate.
In quel momento, forse attirata da un fruscio, una delle donne volse lo sguardo nella sua direzione: egli si rannicchiò sotto le foglie e rimase immobile fino a che tutte non ebbero finito la loro ginnastica mattutina e tornarono nell’edificio.
Pensò al da farsi: per prima cosa doveva parlare con lei, per sapere se c’era un modo di portarla via che non comportasse l’attivazione dei sistemi di allarme. Lui era riuscito a entrare scalando il muro, una prodezza che aveva richiesto tutte le sue doti fisiche e anche così gli era quasi costata la vita, ma come avrebbe fatto a portare con sé Paula attraverso la stessa via? C’erano alberi da scalare, tratti da percorrere reggendosi solo a forza di braccia, salti che richiedevano una muscolatura potente e allenata.
Guardò di nuovo verso lo spiazzo in cui le ospiti avevano appena fatto ginnastica: gli erano parse tutte flosce, tutte spente. Chi di loro poteva vantare una muscolatura abbastanza potente e allenata da scalare il muro di cinta?
Rimase ad attendere in giardino, spostandosi cauto da un cespuglio all’altro per studiare i movimenti delle ospiti. Ogni tanto individuava la lunga chioma ormai nera di Paula, ma non riusciva ad avvicinarla, perché non era mai da sola.

Calò il tramonto. Ormai aveva male dappertutto e non toccava cibo dalla sera prima. Lo stomaco gli brontolava talmente forte che temeva di farsi scoprire solo per quello.
Stava quasi per rinunciare quando vide uscire Paula. Era da sola e aveva in mano un secchio dal quale spuntavano cascami di verdura.
Seguendo un percorso che evidentemente conosceva già molto bene, la donna aggirò l’edificio e raggiunse uno spiazzo illuminato in cui si trovavano bidoni dell’immondizia di vari colori e compostiere. Andò a una di esse, sollevò il coperchio e vi buttò dentro il contenuto del secchio, poi si apprestò a rientrare.
Richard si spostò fino a raggiungere il margine dell’alone di luce, quindi sottovoce chiamò: “Schatzi.”
Paula si guardò intorno con aria spaesata. Sembrava che avesse sentito un rumore al quale non riusciva a dare un significato.
Schatzi, sono Rick.”
Finalmente la donna si voltò verso di lui. “Oh, Rick,” lo salutò con pacata gentilezza. Il tono era quello di una banale conversazione, come se si stessero ritrovando alla fine di una normalissima giornata lavorativa. “Che ci fai qui?”
L’uomo si sentì percorrere da un brivido gelido. “Sono venuto per portarti via, tesoro.”
Paula fece tanto d’occhi. “Per portarmi via?” Aggrottò le sopracciglia con l’aria di non capire.
Sì, ce ne andiamo. Ho un amico che conosce un posto libero, dove potremo vivere in pace lontano da tutte queste stronzate.”
Paula inclinò la testa da una parte, come faceva sempre quando qualcosa le sfuggiva. “Ma io vivo già in pace,” obiettò.
Dio, Paula, non puoi parlare sul serio!” ansimò mentre il cuore gli si serrava in una morsa di ghiaccio.
Non nominare il dio del patriarcato!” lo rimbeccò lei. “È un dio malvagio. È per colpa sua che le donne sono state oppresse in tutti questi secoli.”
Schatzi, ma… ma ti rendi conto di quello che stai dicendo?” boccheggiò Richard.
Mi hanno detto che se ti lascio potrò vivere in pace con Leo. Avremo una casa tutta nostra e quando avrò finito la psicoterapia potrò occuparmi della sua educazione. Lo crescerò di mentalità aperta, libero da misoginia e sciovinismo e rispettoso. Non gli darò veleno da mangiare.” Fece una pausa, poi in tono più basso soggiunse: “Però tu sei stato giudicato irrecuperabile. Faresti male a me, ma soprattutto a lui.”
Richard trasecolò. “Io fare del male a te o a Leo? Ma dico, sei impazzita?”
Ecco, lo vedi che cominci già ad aggredirmi verbalmente? Sei un maschio prevaricatore, non voglio che Leo cresca come te.”
L’uomo stava per replicare quando dall’edificio provenne una voce: “Paula? Con chi stai parlando?”
Si irrigidì. La moglie gli rivolse un’occhiata, quindi a voce alta disse: “Con nessuno, Efemena. Stavo solo canticchiando fra me e me.”
Gli rivolse un ultimo lungo sguardo, quindi gli girò le spalle e prese ad allontanarsi in direzione dell’edificio.
Richard rimase a guardarla con le lacrime che gli pungevano gli occhi. Per un po’ fu semplicemente incapace di muoversi: come pietrificato guardava il palazzo che man mano veniva inghiottito dal buio. Prese in considerazione l’idea di tornare e in qualche modo portarla via con la forza, ma abbandonò subito il pensiero. Qual è la madre che tra il figlio e il compagno sceglie il secondo? Probabilmente le avevano promesso quello che lei stessa gli aveva riferito, e lei aveva accettato pur di potersi tenere Leo.
Aveva sacrificato lui per salvare il bambino.
O forse le avevano semplicemente fatto il lavaggio del cervello, o l’avevano imbottita di droghe o farmaci. Probabilmente non l’avrebbe mai saputo.
Il rumore di una porta che si apriva lo convinse a tornare rapidamente sui suoi passi. Strada facendo si voltò indietro un paio di volte, ma nel buio ormai non si vedeva più niente, se non qualche fioca lampadina che illuminava le soglie dell’edificio.

§

Brunn! Ehi, Brunn!”
L’uomo, che stava apprestandosi a entrare nel bar di Lonnie, si voltò e per un po’ scrutò indeciso nel buio. Infine, a bassa voce chiese: “Rick? Sei proprio tu?” Aggrottò le sopracciglia, poi aggiunse: “Ma come accidenti sei ridotto?”
Fece un passo verso di lui. Richard arretrò fino a scomparire di nuovo nell’ombra, quindi rispose: “Sto vivendo all’addiaccio. A casa non posso più andare, qualche giorno fa hanno cercato di arrestarmi.” Si passò una mano sul mento, ormai ispido di barba.
Brunn si aggiustò la visiera dell’onnipresente berretto, quindi disse: “Beh, vieni da Lon, almeno mangi qualcosa e stai al caldo per un po’.”
Non posso rischiare che mi vedano. Piuttosto...”
Sì?”
Quel posto di cui parlavi...”
Quale posto?”
Quello libero.” Richard si fece di nuovo avanti, scrutò negli occhi Brunn, “Esiste davvero?”
L’altro annuì grave. “Esiste,” confermò.
Dov’è?”
Perché vuoi saperlo?”
Mio figlio. Non voglio condannarlo a questa vita di merda, voglio portarlo in un posto dove possa crescere libero. Un posto dove non si debba vergognare di essere un maschio.”
Brunn annuì di nuovo. “Ti capisco,” rispose.
Richard fece un pallido sorriso, poi chiese: “Come ci arrivo, in questo posto?”
Tu in nessun modo. Devo accompagnarti io.”
Dov’è?”
Lo saprai quando ci arriveremo.”
Brunn, senti...”
Sì?”
C’è davvero questo posto? Non è che arriviamo da qualche parte dove non c’è un cazzo e tu mi molli in mano a quelle che adesso mi vogliono tagliare le palle con le forbici da giardino?”
L’altro fece una breve risata. “Sai come si dice, no? Non chiedere a un oste se il suo vino è buono.”
Richard chinò la testa. “Mi sa che hai ragione,” sospirò.
L’altro gli diede una delle sue pacche sulle spalle, costringendolo come ogni volta a fare un passo di lato per mantenere l'equilibrio, quindi gli disse: “Facciamo una cosa: ora vieni da me, così mangi qualcosa, ti lavi e dormi in un letto decente, poi domani vediamo come recuperare tuo figlio, va bene?”
Grazie, Brunn.”
Ah, non ringraziarmi. Se non ci si aiuta tra uomini...”

La casa di Brunn era come Richard l’aveva immaginata: piccola, pochi mobili scalcagnati, niente quadri e niente soprammobili. La cucina aveva da una parte frigorifero e fornello, al centro un tavolo con un paio di sedie una diversa dall’altra e lungo la parete opposta agli elettrodomestici un divano coperto da un telo. “Tu puoi prendere quello,” lo informò l’uomo. “Se vuoi lavarti, il bagno è dietro quella porta, se vuoi dei vestiti, va’ in camera mia e prendi dall’armadio quello che ti serve. Ti vanno degli hot dog?”
Richard lo guardò con tanto d’occhi. “Di carne?”
Si capisce. Io non mangio la merda vegana.”
E come fai? Voglio dire, con la Tessera e tutto quanto? Te li contano uno per uno.”
Brunn ghignò. “Basta sapersi arrangiare,” rispose in tono sibillino. Gli mostrò il portafogli, nel quale c’erano almeno dieci Tessere della Salute Armoniosa.
Di nuovo, Richard trasecolò. “Ma...” cominciò.
Va’ a farti la doccia,” lo interruppe Brunn, “ne parliamo dopo.”
Il primo non se lo fece ripetere. Entrò nel bagno, si liberò con sollievo degli abiti sporchi e si buttò sotto il getto.
Ci rimase a lungo, le mani appoggiate alle piastrelle, l'acqua che gli scorreva sul dorso. La carezza tiepida del vapore stemperava la sensazione di gelo che negli ultimi giorni non lo aveva mai abbandonato.
Rimase a guardare l'acqua che scendeva turbinando nello scarico ed ebbe la sensazione che con essa scorresse via anche la vita che fino a quel momento aveva vissuto. Quella del bravo ragazzo, che diceva sempre sì, che non creava problemi e che piegava la schiena.
Chiuse il rubinetto con un gesto secco, scrollò la testa lanciando intorno una raggiera di gocce. Andò al lavandino e lucidò lo specchio appannato con un lembo dell'asciugamano, quindi si cosparse di schiuma la metà inferiore del volto e si fece con cura la barba. Gli parve che emergesse un uomo nuovo, dalla rasatura. Più deciso, forte di una vera consapevolezza di sé, non più gravato dalla penosa sensazione di inadeguatezza che fino a quel momento gli era stata inculcata.
Uscì con un asciugamano intorno ai fianchi e il profumo delle salsicce che sfrigolavano in padella gli fece venire l'acquolina in bocca.
Birra?” gli propose Brunn senza nemmeno voltarsi.
Ormai Richard aveva smesso di stupirsi. “Sì, grazie,” si limitò a rispondere, quindi andò in camera a cercare qualche vestito che fosse della sua taglia.

Brunn gli rivolse uno sguardo divertito. “Quella la portavo quando avevo... uhm... vent'anni.”
Richard abbassò gli occhi sulla tuta da lavoro che si era infilato: aveva dovuto fare un risvolto ai pantaloni e alle maniche e di spalle gli stava un po' larga.
Il primo spinse verso di lui l'ennesima lattina e disse: “Tu mi ricordi me. Con qualche chilo di meno, naturalmente.”
Perché?”
Anch'io ero convinto che, se avessi fatto il bravo, alla fine le cose si sarebbero sistemate per il meglio.”
E non è stato così?”
No,” si limitò a rispondere Brunn. Alzò fugacemente lo sguardo verso una parete. Richard guardò a sua volta e vide il riquadro più chiaro di qualcosa che era stato tirato via. “Avevi famiglia?” gli chiese.
L'uomo alzò le spalle. “Acqua passata. Adesso aiuto gli altri.”
Aiuti gli altri?”
Ad andare di là. A pensare con la loro testa, a decidere.”
Ma di là dove, Brunn?”
Lo saprai.” Si alzò lentamente. Richard pensò che gli ricordava un grosso orso, di quelli un po' goffi e grassi, che però sono in grado di staccare la testa di un alce con una zampata.
Beh, io me ne vado a dormire,” disse. Fece una tappa in bagno, quindi si infilò in camera. Dopo poco provenne dalla porta socchiusa un poderoso russare.
Richard si voltò in quella direzione, poi tornò ad abbassare gli occhi sulla lattina, la cui metà inferiore era ancora appannata dalla condensa. La vuotò con un unico lungo sorso, poi la accartocciò e la lanciò nel bidone dell'immondizia.
Andò a sua volta in bagno, quindi si distese sul divano, si tirò addosso una coperta e per un po' rimase semplicemente a contemplare il soffitto incapace di dormire. Dal basso proveniva la luce dei lampioni, che disegnava tremolanti sagome sulle pareti. Tolti il russare del suo ospite e una vaga eco del traffico in strada, c'era un silenzio desolato, come se a parte loro lo stabile fosse vuoto. Si rigirò su un fianco, quasi nell'esigenza di produrre lui stesso un rumore, di avere un riscontro della propria fisicità.
Per la prima volta da quando tutto era cominciato, il suo pensiero non corse a Paula. Si fermò su Leo, invece, e subito dopo scivolò verso il fantomatico luogo libero, che nella sua mente assunse le connotazioni della Baviera, ovvero montagne e boschi, cervi maestosi e rapaci dalle acute strida.
Chiuse gli occhi con il sorriso sulle labbra.

§

Sveglia, bello. È ora di andare.”
Richard sussultò e si trovò di fronte Brunn già vestito di tutto punto.
C'è del caffè, se vuoi,” lo informò l'uomo.
Il cielo era ancora buio, anche se il nero cupo della notte andava sbiadendo in un'alba grigiastra. I rumori della strada si erano fatti più intensi e anche nel palazzo si percepivano movimenti o fiochi scambi di parole. Da qualche parte, qualcosa cadde tintinnando e fu seguito da quella che parve come una debole risata.
Qual è il piano?” chiese Richard. Abbandonò il giaciglio, piegò la coperta e la mise dove l'aveva trovata. Si passò la mano sulla guancia, di nuovo irruvidita da un principio di barba, poi si ravviò i capelli tirandoseli all'indietro.
Brunn riempì una tazza e gliela passò attraverso il tavolo. “Zucchero? Latte?” s'informò.
Va bene così.” Richard si sedette. Prese il recipiente fra le mani come per assorbirne il calore, quindi ripeté: “Qual è il piano?”
Conosco quel posto,” rispose l'uomo. “Se facciamo le cose in fretta, ce ne andremo prima ancora che riescano ad alzare il telefono per chiamare una squadra di Riduzione dei Conflitti.”
Sei sicuro? Quando sono andato a trovarlo, non me l'hanno nemmeno fatto vedere di persona. Ci ho parlato attraverso una televisione a circuito chiuso.”
Sì, visto che il problema è sempre con i padri, fanno così perché hanno paura che uno si incazzi e cerchi di portarsi via il figlio con la forza.”
Davvero?”
Brunn lo fissò sornione. “Secondo te, se tu fossi bestialmente incazzato, quante educatrici, psicologhe e assistenti sociali ci vorrebbero, per fermarti fisicamente?”
Richard fece mente locale. “Non poche,” convenne.
Ma questo oggi non sarà un problema,” concluse l'altro dopo aver vuotato la sua tazza. “Ora bevi, va' a pisciare e fatti la barba, poi andiamo. Ti va anche una ciambella, con quel caffè?” Prese una scatola di cartone e l'appoggiò sul tavolo.
Vere ciambelle? Con il burro, le uova e gli zuccheri raffinati? Fritte?”
Te l'ho detto, io la loro merda non la mangio.” Alzò il coperchio, rivelando invitanti, soffici anelli di pasta, dorati al punto giusto e coperti di glassa colorata. “Non saranno di giornata, ma sono sempre meglio del tofu.”

La Comunità per l’Infanzia Negata sorgeva al centro di un parco pieno di alberi. Per non traumatizzare i bambini con la visione di barriere invalicabili, non c'erano muri di cinta, ma solo una bassa recinzione, appena sufficiente a scongiurare la fuga di persone alte in media un metro e venti.
In un avvallamento del terreno si trovava uno stagno, debitamente recintato per la tutela dei piccoli ospiti. Anche intorno a ogni tronco dalla corteccia ruvida c'era una graziosa barriera di plastica colorata, per evitare che i bambini si graffiassero.
La costruzione sembrava ancora immersa nel sonno, le finestre erano tutte buie.
Tra un po' escono,” disse Brunn, seduto al posto di guida di un furgone, scrutando il parco ancora velato della foschia del primo mattino. “Vanno a fare la passeggiata nella natura. Tieniti pronto.”
Passarono alcuni minuti, poi una finestra si illuminò, una seconda si aprì e una bracciata di lenzuola venne sistemata a cavallo del davanzale. Subito dopo, altre finestre si illuminarono. Si cominciarono a percepire gli strilli di voci infantili.
Brunn mise in moto e disse: “Andiamo.”
Il veicolo prese a muoversi lentamente.
Ora ci avviciniamo il più possibile,” continuò l'uomo, “tu scendi, lo prendi, corri qui e partiamo a tavoletta. Se ti trovi davanti qualcuna di quelle galline, sbattila per terra prima che abbia il tempo di rendersene conto.”
Va bene.”
Richard si rese conto di avere la bocca secca e il cuore che gli batteva come se avesse voluto uscirgli dal petto. Sentiva un curioso alternarsi di caldo e freddo mentre osservava la frotta di bambini dilagare vociando sui prati.
Strinse gli occhi, obbligandosi a elaborare una strategia come quelle che a suo tempo usava per fare meta. Individuò gli ostacoli e il percorso che lo avrebbe condotto ad aggirarli.
Tranquillo,” gli giunse la voce di Brunn. “Non faranno nemmeno in tempo ad accorgersi di quello che è successo e saremo già lontano.”
Lo spero ,” mormorò Richard senza smettere di cercare con lo sguardo suo figlio.
Lo vedi?”
Strinse i denti: non riusciva a vederlo. Cercò di non farsi prendere dall'ansia: Leo doveva essere lì.
E se è malato?” buttò lì dopo un po'. “E se l'hanno spostato da un'altra parte? Se per qualche motivo oggi non esce?”
Brunn gli diede una pacca sulla spalla. Impegnato a scrutare ansiosamente ogni centimetro di parco, l'altro non la sentì neppure.
Infine comparve una testolina bionda.
Eccolo!” esclamò Richard, alzandosi per metà dal sedile.
L'ansia scomparve come neve al sole, lasciandogli solo una determinazione adamantina: quello era suo figlio e lui se lo sarebbe ripreso, punto e basta.
Scese dal veicolo, spiccò la corsa. Tutto si confuse intorno al bambino, divenne indistinto mentre il suo sguardo si focalizzava su di lui come il mirino di un'arma. Con la visione periferica percepì un'ombra farglisi incontro: la allontanò con una manata, accelerò la corsa. Registrò un altro ostacolo, forse qualcuno che lo aveva afferrato per i vestiti. Se ne liberò quasi senza sforzo.
Il bambino alzò lo sguardo nella sua direzione, lo riconobbe. Il suo viso cambiò colore. “Papà!” gridò.
Richard lo afferrò a mezzo corpo e continuò a correre pancia a terra inseguito dalle urla delle educatrici. Saltò il recinto senza rallentare, raggiunse il furgone e salì a bordo.
Andiamo!” esclamò.

§

Con un acuto stridore di gomme il furgone bruciò un semaforo rosso, invase l'incrocio, urtò un'utilitaria mandandola a fare una serie di furiosi testacoda e proseguì senza nemmeno rallentare. Nel cassone cadde una scatola di pezzi metallici, rovesciando sul pavimento tutto il suo contenuto. Ciò che era appeso alle pareti tremava e vibrava.
Il motore ruggiva mentre la lancetta del tachimetro sussultava all'estrema destra del quadrante.
Da una laterale sbucarono due auto di un sinistro viola scuro, con la sirena che ululava e barre lampeggianti sul tetto.
Merda!” imprecò Brunn. Cercò di dare gas, ma l'acceleratore era già a tavoletta.
Sterzò per abbandonare la strada su cui stava procedendo, le gomme stridettero, il veicolo si inclinò come se stesse per rovesciarsi, tanto che il bambino emise uno strillo spaventato e si aggrappò al collo di Richard. “Attento!” urlò questi rivolto a Brunn, più per istinto di protezione che per altro.
Si piegò a guardare lo specchietto laterale e vide le macchine che li seguivano. La più avanzata era guidata da una donna con i capelli neri tagliati corti e un paio di occhiali da sole a specchio. La vedeva mordersi il labbro inferiore, concentrata nel compito di non farsi lasciare indietro.
A un tratto, Brunn inchiodò: in fondo alla strada era stato approntato uno sbarramento, una fascia irta di punte era stesa di traverso. Il furgone piegò bruscamente a sinistra, si infilò in un senso unico e cominciò una furiosa gimkana, strombazzando fra le macchine che procedevano in senso opposto. Urtò qualche veicolo, si vide lo spruzzo iridescente di un cristallo che andava in frantumi, sul parabrezza si allargò una ragnatela di crepe.
Un autobus rosa nuovo e lucido, con fiori colorati dipinti sulle fiancate, perse il controllo al suo passaggio, si inclinò e crollò di traverso sulla strada, ostruendola quasi completamente.
Richard scrutò di nuovo il retrovisore: una delle macchine inseguitrici sgusciò tra la mole fumante del veicolo e il muro di un palazzo, evitò di stretta misura il crollo di un palo della luce, diede gas e si mise di nuovo sulla scia del furgone, sbandando a destra e a sinistra nel tentativo di superarlo.
Alla guida c'era la donna con gli occhiali a specchio.
Procedettero attraverso la periferia, si lasciarono la città alle spalle.
Altre macchine si erano unite alla prima e il furgone procedeva zigzagando inseguito da un codazzo ululante e lampeggiante.
Richard si voltò verso Brunn. “Che facciamo?” chiese concitato.
Conosco qualche trucco,” rispose l'altro, senza distogliere lo sguardo dalla strada. “Basta che le seminiamo, tanto hanno solo i taser, non possono colpirci da questa distanza. Va' dietro, apri il portellone e molla giù quello che trovi.”
Il primo assicurò il bambino al sedile con la cintura di sicurezza, quindi lo oltrepassò e si mosse cauto nel cassone. Trovò dei contenitori di frammenti metallici, scarti di officina, chiodi e altro. Aprì il portellone e si trovò praticamente faccia a faccia con la donna dagli occhiali a specchio. Quella lo vide e immediatamente sterzò, spostandosi dalla scia del furgone. Il lancio di taglienti mise fuori combattimento altre due macchine, che finirono la loro corsa sul bordo della strada con le gomme squarciate.
Richard prese un secondo contenitore e attese che la prima macchina riprendesse il suo posto, ma di nuovo la donna sembrò intuire le sue intenzioni con un secondo di anticipo, perché al momento del lancio letteralmente si volatilizzò.
Poi la macchina ricomparve, diede gas e speronò col muso il furgone. Richard perse l'equilibrio e rotolò sul pavimento del cassone, finendo pericolosamente vicino al portellone posteriore spalancato.
Di nuovo la macchina colpì il furgone, che sbandò con un acuto stridore di gomme. L'uomo si aggrappò, ma finì comunque con mezzo corpo fuori dal veicolo. Ebbe una fugace visione dell'asfalto, che data la velocità dei mezzi era solo un indistinto magma grigio.
Si tirò su a forza di braccia, cercò di chiudere il portellone, ma di nuovo la macchina speronò. Dal posto di guida provenne l'imprecazione di Brunn.
Il furgone si inclinò su due ruote laterali, Richard all'interno rotolò come una palla di stracci. Vide il magma grigio mutarsi in un magma marrone e poi verde e comprese che stavano uscendo di strada. Fece appena in tempo a saltare davanti e abbracciare il figlio, poi il furgone si piegò e con un fracasso da fine del mondo prese a rotolare giù per una scarpata.

§

Papà!” gridò il bambino, sgusciando via dalla cintura di sicurezza. “Papà, papà!” Si mise a piangere. “Papà, dove sei?”
Richard aprì gli occhi e si rese conto di essere disteso faccia in giù su un terreno sassoso, con chiazze di muschio qua e là. Percepiva il calore del sole su un lato del viso, sentiva il gorgogliare di un torrente.
Si alzò a fatica. Era indolenzito, qua e là graffiato, ma non gli pareva di avere danni gravi. “Leo?” chiamò per prima cosa.
Papà!”
Fece scorrere lo sguardo tutt'intorno.
La macchina viola era a ruote in su, schiacciata come se fosse passata sotto una pressa.
Il furgone era disteso sul lato del guidatore. Il parabrezza era saltato e sembrava che una mano enorme avesse accartocciato il cassone come un pacchetto di sigarette vuoto. Lo sportello dal lato passeggero mancava.
Papà, vieni!”
Richard raggiunse zoppicando il veicolo: il bambino era accucciato sul sedile e a parte le lacrime di paura non sembrava avere danni. Quello che invece giaceva immobile, con gli occhi chiusi e un rivolo di sangue che gli inzuppava la barba, era Brunn. Gli si chinò accanto. “Ehi, amico,” lo chiamò con voce sommessa.
Egli sollevò a fatica le palpebre e con voce debole disse: “Te l'avevo detto che sapevo qualche trucco.”
Dove sei ferito, Brunn?”
Forse farei prima a dirti dove non sono ferito.” Cercò di fare una risata, che subito si spense in un doloroso colpo di tosse. Altro sangue gli colò giù per il mento. “Mi sa che da qui in poi dovrai andare avanti da solo,” disse.
Richard scosse la testa. “Stai scherzando? Io non ti lascio qui.”
Stronzate. Devi andare prima che quelle là ritornino in forze.”
E tu, amico?”
Brunn fece un pallido sorriso. “Presto quelle là non saranno più un mio problema.” Cercò di ghignare, ma di nuovo un accesso di tosse glielo impedì. “Piuttosto... “
Sì...?”
È meglio che ti spieghi la strada prima di...”
Brunn!”
Ah, lascia. Dovrebbe esserci un po' di bourbon nella tasca del mio giubbotto, ti spiacerebbe prenderlo? Vorrei farmi un goccio, almeno, prima di tirare le cuoia.”
Richard frugò fino a che non trovò la fiaschetta, quindi la stappò e gliela avvicinò alle labbra. Nonostante le sue condizioni, Brunn riuscì a berne un lungo sorso, poi emise un sospiro di soddisfazione e disse: “Ora ascoltami, Rick, non ho molto tempo. C'è un torrente qui vicino?”
Sì, scorre a venti metri da qui.”
Risali la corrente.”
È lontano il posto?”
A piedi saranno un paio d'ore.”
Come lo trovo?”
Saranno loro a trovare te. Prendi il mio cappello da baseball e mettitelo in testa. Verranno da te quando lo vedranno.” Fece una pausa, poi con voce ormai debole, mormorò: “Dammi un altro goccio, Rick.”
Bevve un sorso, quindi soggiunse: “Ti ricordi quella frase che ti dissi sulla libertà?”
Certo.”
Ora non hai più paura, Richard. Va' libero con tuo figlio.”
E tu, Brunn?”
Lasciami qui. Se il mio corpo nutrirà un orso o un lupo, io continuerò a vivere.” Chiuse gli occhi, la testa gli cadde lentamente da una parte. Un ultimo lungo respiro gli sollevò l'ampio petto, poi il silenzio calò sulla scena.
Brunn!” esclamò Richard, ma l'uomo non rispose più.
Allora raccolse il vecchio berretto consunto e se lo calcò in testa, quindi si alzò e si voltò fino a incontrare lo sguardo attonito del bambino. Si fissarono per lunghi secondi, poi lo prese per mano e disse: “Vieni, è ora di andare.”
Dove andiamo, papà?”
A casa.”

§

L’aria delle vette, già frizzante della prima neve, fece turbinare i trucioli che coprivano il suolo, il cielo terso vibrò del grido acuto e modulato di un nibbio.
Richard sollevò la testa e si guardò intorno alla ricerca del rapace, lo seguì brevemente con lo sguardo, quindi riprese lo scalpello e tornò al suo lavoro. Trucioli di frassino ricominciarono a imbiancare il terreno, mentre un motivo decorativo a foglie di quercia prendeva lentamente forma. Di tanto in tanto, l’uomo si voltava verso la costruzione che si trovava alle sue spalle, una casa di tronchi con il tetto spiovente, la fissava soddisfatto e riprendeva a intagliare.
Si udirono dei passi, sopraggiunse un altro uomo, in pantaloni mimetici e giaccone di pelle.
Ciao, Karl,” lo salutò Richard.
L’altro si fermò e si pose i pugni sui fianchi, quindi contemplò a sua volta l’abitazione e disse: “È quasi finita, eh?”
Già, i ragazzi mi hanno dato una mano. Volevano che fosse pronta prima dell’inverno.” Passò una mano sul pannello che stava intagliando e aggiunse: “Sto finendo le finestre. Appena sono pronte, direi che io e Leo possiamo trasferirci.”
Karl si guardò intorno. “Dov’è Leo?”
A caccia.”
È proprio appassionato, eh?”
Già.”
Si udì un festoso abbaiare e poco dopo arrivarono di corsa quattro grossi cani dall’aria vigorosa e robusta, con folte pellicce e occhi vispi. “Ehilà, ragazzi!” li salutò Richard.
Gli animali gli si avvicinarono scodinzolando e uggiolando. “Dov’è Leo?” chiese l’uomo, come rivolgendosi alle bestie.
Sono qui, papà!” rispose una voce.
Si fece avanti un giovanotto snello e solido, con i capelli biondi lunghi fin sotto le orecchie e due luminosi occhi azzurri. Aveva abiti mimetici e un fucile sulla spalla. “Ciao, papà.” salutò. “Ciao, Karl.”
Preso qualcosa?” chiese quest’ultimo.
Il ragazzo alzò le spalle. “Niente di che, un paio di conigli selvatici. Li mangiamo stasera.”
Richard annuì. “Ok, che hai fatto al braccio?”
Il ragazzo si toccò una fasciatura di fortuna macchiata di sangue in un paio di punti. “Un graffio,” rispose.
Va’ a lavartelo nel torrente. Nel caso chiedi a Miller di darti un’occhiata.”
Va bene.” Il ragazzo appese a un ramo il carniere, poi aprì l’otturatore del fucile e controllò che fosse scarico. Solo dopo lo porse al padre.
Fatto questo si tolse anche la giacca e si diresse al corso d’acqua. I cani lo seguirono latrando.
Un bravo ragazzo,” commentò Karl.
Richard annuì con gesto sobrio.
Venite alla sala, stasera?”
Certo. Qui non ci sono ancora le finestre, sarebbe un po’ freddo.”

Al centro della sala comune ardeva un bel fuoco alimentato da ceppi di quercia. Tutt’intorno sedeva la gente. Uomini, perlopiù, ma anche donne stanche del Mondo dell’Amore.
Leo, i cani accucciati ai suoi piedi, stava pulendo uno dei suoi fucili. Accanto a lui, Richard sorseggiava un bicchiere di bourbon e lasciava scorrere lo sguardo sull’ambiente.
Era decisamente soddisfatto: nel pomeriggio aveva terminato gli intagli delle finestre e aveva già pronti i barattoli di vernice bianca e azzurra per pitturare gli infissi. Ripensò alla Baviera, che non aveva mai visto, e più che mai gli parve che dovesse essere simile al luogo nel quale aveva scelto di vivere.
La Baviera in realtà era più che altro un luogo dello spirito, dove nel corso degli anni aveva collocato ogni cosa bella e buona.
Si voltò verso il figlio, che aveva finito di pulire l’arma e ora sedeva assorto, grattando distrattamente la schiena di uno dei suoi cani. “Tu te la ricordi la mamma?” chiese il ragazzo senza staccare gli occhi dalle lingue di fuoco che danzavano nel braciere.
Richard emise un sospiro. “Sì.” Poi, dopo una pausa: “E tu?”
Sì.”
I due tacquero, ognuno assorto nei propri pensieri. Il brusio della sala era un sottofondo ipnotico, che invitava alla meditazione.
Alla fine il ragazzo disse: “Mi piacerebbe sapere cosa sta facendo.” Fece una pausa, si chinò a baciare tra le orecchie uno dei suoi cani, poi chiese: “Tu credi che sia felice?”
No, io credo di no,” rispose Richard. “Il Mondo dell’Amore dovrebbe chiamarsi in realtà Mondo dell’Odio, Mondo dell’Oppressione, o magari anche Mondo dell’Aggressione Contro Chi Non La Pensa nel Modo Giusto. Credono di rispettare, invece opprimono. Credono di amare, invece impongono un’odiosa prigionia, in gabbie anguste come le loro menti. Credono di essere aperte, empatiche e prive di pregiudizi, invece sono grette, violente e cariche di disprezzo per chiunque abbia idee diverse dalle loro. Dicono di comprendere, invece giudicano, dall’alto di una superiorità morale che è solo nelle loro teste. Parlano di uguaglianza, ma l’uguaglianza in quel mondo esiste solo sottoterra.”
Di nuovo fra i due calò il silenzio.
Alla fine Leo annuì grave, poi si tirò indietro i capelli che gli erano scivolati sugli occhi, raddrizzò la schiena e in tono risoluto disse: “Un giorno andremo a riprendercela. Che ne dici, papà?”
Richard scosse la testa e rispose: “Arriverà da sola, quando come noi avrà imparato davvero il valore del rispetto e della libertà.”



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