Russian 101

di EmsEms
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Avvertimenti: questa fanfiction è incentrata su una coppia di adulti con una grande differenza d’età (20 anni). Astenetevi dal leggerla se non è nelle vostre corde.
 
La fanfiction non è stata betata perché la mia beta è in vacanza e non la voglio stressare. Se trovate errori o pensate che la mia prosa lasci un po’ a desiderare, vi prego di farmi sapere la vostra in un bel commento. Vi sarei grata se mi deste dei consigli per affrontare il blocco dello scrittore! Grazie <3
 
PS ovviamente ogni tipo di feedback mi fa esplodere in una nuvola di glitter <3
 
Trovate altre informazioni nelle note :3 
 
***
 
Tsukishima emise un lungo sospiro dopo aver ricontrollato per l'ennesima volta il quadrante del suo orologio. Erano già le undici e mezzo e il suo potenziale cliente non era ancora arrivato. Di questo passo la lezione sarebbe durata cinque minuti. I tavoli intorno al suo avevano cominciato a riempirsi, e presto ai menù della colazione si sarebbero sostituiti quelli del pranzo. Uno sciame di camerieri ronzava fra i tavoli, facendo attenzione a non interrompere i segreti che le coppiette si stavano bisbigliando, o le animate discussioni familiari che si concludevano quasi sempre in rimproveri ai figli seduti scomposti.
 
Al diavolo le buone maniere. Tsukishima fece cenno a un cameriere tutto spigoli di portargli un caffè e si accese una sigaretta. Gli sarebbe stato decisamente più facile accettare un due di picche con una dose ragionevole di caffeina in corpo.
 
"Tsukishima Hajime."
 
La voce bassa e suadente che aveva appena chiamato il suo nome lo colpì alla nuca come una fucilata.
 
"Sì?" balbettò Hajime, girandosi verso lo sconosciuto e ringraziando il cielo che il cameriere non gli avesse ancora portato il caffè.
 
"Mi spiace di averla fatta aspettare."
 
"Non si preoccupi" intervenne subito Tsukishima, spegnendo goffamente la sigaretta nel posacenere e raddrizzando istintivamente la schiena.
 
Quando il panico ebbe finalmente allentato la presa sul suo cuore, spostandosi verso le regioni periferiche del suo corpo e provocandogli un familiare formicolio alle dita della mano destra, Tsukishima si ritrovò ad osservare meglio lo sconosciuto. Era un uomo sulla quarantina, di media statura e dal portamento elegante. Indossava un completo bianco che sembrava essere stato confezionato appositamente per lui e che aveva l'aria di essergli costato un patrimonio. Tsukishima si sentì improvvisamente rimpicciolire nella sua felpa con il logo dell'università. A catturare la sua attenzione in un secondo momento fu la vistosa cicatrice che solcava la fronte dello sconosciuto. Tsukishima era stato troppo impegnato a rimuginare sul prezzo della giacca per accorgersi che il suo cliente aveva parte del viso ridotta ad un ammasso di pieghe. Queste ultime partivano dagli zigomi per arrivare all'attaccatura dei capelli, dove svanivano sotto ai ciuffi bruni che erano sfuggiti al gel.
 
"Incidente stradale" spiegò lo sconosciuto, intercettando lo sguardo di Tsukishima. Prima che Hajime potesse scusarsi per aver fissato spudoratamente la cicatrice, un cameriere si avvicinò ai due e posò una tazza di caffè sul tavolo.
 
"Scusi, avevo già ordinato… " ammise Tsukishima, lanciando uno sguardo colpevole al suo caffè.
 
"Posso portarvi altro?" chiese il cameriere, rivolgendosi a Tsukishima e dando strategicamente le spalle al nuovo arrivato. Era ovvio che stesse cercando di evitare un contatto visivo con un uomo dal volto così ripugnante.
 
"кусок клубничного торта"
 
Il sorriso del cameriere traballò prima di incrinarsi in una smorfia confusa. Tsukishima nascose il principio di una risata simulando uno scoppio di tosse.
 
"Una fetta di torta alle fragole" ripeté lo sconosciuto, stavolta in giapponese. Il cameriere premette un tasto sullo schermo del tablet e schizzò via per raccontare ai colleghi dell'eccentrico cliente che gli aveva appena rivolto la parola in una lingua astrusa.
 
Il signor Tsurumi era caporedattore del Japan Times, aveva 43 anni, non aveva fratelli né sorelle, viaggiava spesso, era astemio e amava i dolci. Ed era холостяк.
 
"Si dice così, no?" domandò Tsurumi, leccandosi la panna della torta dai baffi.
Tsukishima deglutì sonoramente, portandosi alle labbra la tazza di caffè vuota e facendo così la figura dell'idiota.
 
"Single? Sì, si dice così" confermò Hajime in giapponese. Mentre posava nuovamente la tazza sul piattino, a Tsukishima cadde un occhio sull'orologio. Un'ora era volata senza che nessuno dei due ci avesse fatto caso. Tsukishima sarebbe rimasto a parlare per tutto il pomeriggio con il suo incantevole allievo, se solo l'università non si fosse trovata in un altro quartiere, lontano dal cafè dove si erano dati appuntamento.
 
"Per oggi abbiamo finito" annunciò Tsukishima a malincuore.
 
"Se vuole un mio parere, a parte la pronuncia, il suo russo è perfetto" aggiunse Hajime, genuinamente sorpreso dalla padronanza della lingua dimostrata dal suo allievo.
 
"Dimitri è stato un ottimo maestro" sorrise Tsurumi, asciugandosi le labbra con il tovagliolo di carta sul quale era stata appoggiata la fetta di torta.
 
"Il suo professore di russo si chiamava Dimitri?" indagò Tsukishima, frugando nella tasca della felpa in cerca del portafogli.
 
"Dimitri era il mio amante. Non credo nell'insegnamento accademico, preferisco altri approcci alla lingua" rispose Tsurumi, accavallando le gambe sotto al tavolo.
 
Un silenzio denso calò sopra le loro teste, avvolgendoli e isolandoli dal resto dei clienti seduti nel cafè.
Tsukishima aveva intuito fin dal primo momento in cui lo aveva visto che Tsurumi era come lui, ma non si era aspettato una confidenza del genere da quello che, tutto sommato, rimaneva uno sconosciuto. Tsukishima si schiarì la voce, visibilmente a disagio.
 
"Ho detto qualcosa che non va?" chiese innocentemente Tsurumi, leccandosi un dito per raccogliere le briciole che erano rimaste nel piattino davanti a lui.
 
"No, uhm... No" farfugliò Tsukishima, inciampando nei suoi pensieri. Tsurumi non riuscì a trattenere un sorriso alla vista del rossore che tingeva la punta delle orecchie del suo insegnante privato di conversazione russa.
 
"Sono arrivato alla conclusione che l'unico modo per imparare una lingua sia viverla" aggiunse Tsurumi, pescando il portafoglio dalla tasca interna della giacca. "O sedurla" aggiunse maliziosamente, sfilando un biglietto da visita da uno scomparto e allungandolo a Tsukishima. Hajime rimase imbambolato ad osservare il nome del suo cliente, scritto in caratteri dell'alfabeto latino.
 
"Quanto le devo?"
 
"Nulla. Questa era semplicemente una lezione di prova. Se le interessa continuare, basta che chiami lo stesso numero che ha chiamato per prendere l’appuntamento di oggi."
 
Tsukishima non si era mai sentito così vulnerabile in presenza di un potenziale cliente, ma era anche vero che non aveva mai avuto a che fare con un uomo così dannatamente affascinante in vita sua. D'altronde aveva maturato l'idea di offrire lezioni di russo solo in seguito al completo prosciugamento del suo misero conto in banca, convinto che ci avrebbe guadagnato tutt'al più qualche spicciolo per rinnovare l'abbonamento mensile alla linea della metropolitana che collegava la casa dello studente dove viveva al konbini dove lavorava nel weekend. Non si aspettava certo che avrebbe riscosso così tanto successo da attirare l'attenzione del caporedattore di un giornale.
 
"Se posso essere sincero con lei, non credo che abbia bisogno del mio aiuto. Se la cava già molto bene."
 
Tsukishima sentì la propria libido indignarsi e assestargli un cazzotto nello stomaco. In effetti, non poteva biasimarla: stava per lasciarsi sfuggire l'occasione di incontrare ancora una volta l'incarnazione vivente delle sue fantasie erotiche. Il completo che Tsurumi indossava gli ricordava quello del protagonista di Parnassus ed era oggettivamente inquietante, ma Tsukishima non poteva fare a meno di immaginarsi disteso con la testa sulle sue gambe, ad ascoltare i resoconti di viaggi che lui non si sarebbe mai potuto permettere, fra l'affitto da pagare, i corsi universitari da seguire e il lavoretto part-time.
 
"Mi sentirei in colpa a chiederle dei soldi..." concluse Hajime, sdraiandosi nella tomba che si era appena mentalmente scavato e spalandosi la terra addosso. Lui e l'autocommiserazione formavano una coppia troppo affiatata per essere separati da intriganti quarantenni in giacca e cravatta.
 
"Capisco" annuì Tsurumi, districando le dita che aveva incrociato sul tavolo. Nei cinque minuti che seguirono, Tsukishima ebbe modo di constatare che Tsurumi non aveva affatto capito. Infatti non solo insistette per pagare il conto, ma si offrì per accompagnarlo in macchina all'università. In un'altra occasione Hajime non avrebbe accettato un passaggio da uno sconosciuto, ma essendosi ormai convinto che quella sarebbe stata l'ultima volta che si sarebbero visti, Hajime decise di ignorare ogni campanello d'allarme e di seguire Tsurumi fuori dal cafè.
 
 
 
Fu così che Tsukishima si ritrovò sul sedile posteriore di una Bentley dai vetri oscurati, con la sensazione che non sarebbe mai arrivato vivo a lezione. Non era la guida tutt'altro che spericolata del giovane autista a preoccuparlo, quanto la prossimità della mano di Tsurumi alla sua coscia.
 
"Le chiedo scusa per prima. Non ho mai visto Koito comportarsi in modo tanto sgarbato. Non ho idea di cosa gli sia preso" commentò Tsurumi, con un sorriso che suggeriva l'esatto contrario di quanto aveva appena affermato. Tsukishima era pronto a scommettere che Tsurumi si adoperasse affinché le sue parole contrastassero sempre in una certa misura la sua mimica facciale. Rimaneva quindi un mistero se Tsurumi fosse realmente mortificato per l’atteggiamento incivile dell’autista, il quale, appena scorto Tsukishima, aveva cominciato a sbraitare in un dialetto incomprensibile. Il modo brutale con cui Koito aveva sbattuto la portiera in faccia a Tsukishima, rischiando di mozzargli quel poco di naso che quella tirchia di madre natura gli aveva concesso, aveva dissipato ogni dubbio: la presenza di Tsukishima non era gradita allo chauffeur. ‘Giù le mani dal mio capo ’ sembravano dire i suoi occhi, riflessi nello specchietto retrovisore.
 
"Prima dell'incidente non avevo bisogno di un autista" spiegò Tsurumi, approfittando delle curve per scivolare sempre più vicino a Tsukishima.
 
"A quanto pare se perdi un pezzo di lobo frontale diventi automaticamente un pericolo per te stesso e per gli altri. O almeno così dicono i dottori."
 
Tsukishima non se la sentiva di contestare dei professionisti. Per quanto ne sapeva lui, il lobo frontale avrebbe potuto regolare qualsiasi funzione, da quella linguistica a quella motoria.
 
"Ma basta parlare di me. Perché non mi racconta da dove viene la sua deliziosa pronuncia?" tubò Tsurumi, poggiando una mano sul ginocchio di Tsukishima. Dal posto del guidatore giunse un singulto strozzato: Koito stava assistendo alla scena con i denti digrignati.
 
"Mia madre è russa" rispose Tsukishima, sguardo basso per non incontrare gli occhi di Tsurumi, che brillavano per la curiosità.
 
"Ah, quindi ha dei parenti in Russia?"
 
"Sì, ma non sono mai stato là" ammise Hajime, grattandosi la nuca. Non aveva mai preso l'aereo in vita sua, e fra i vari mezzi di trasporto, quello era l'unico che risvegliava in lui paure ancestrali. A parer suo, l'uomo non era fatto per volare in una scatola con le ali. Certo, gli sarebbe piaciuto viaggiare, ma avrebbe preferito prendere la nave o il treno. Una bella fregatura, considerato che viveva in un arcipelago.
 
"Le piacerebbe visitare la Russia?"
 
Koito vide Tsukishima annuire attraverso lo specchietto retrovisore e premette furiosamente il freno, inchiodando di colpo.
 
"Siamo arrivati" annunciò, saltando giù dalla macchina e spalancando la portiera per far uscire Tsukishima.
 
“È libero il prossimo venerdì?" chiese Tsurumi, mano ancora languidamente appoggiata sulla coscia del suo insegnante.
 
"Venerdì ho già due persone in lista..." farfugliò Tsukishima, colto fra due fuochi incrociati. Da una parte Koito gli aveva artigliato la spalla, mentre dall'altra Tsurumi lo teneva incollato al sedile con il tono mellifluo della sua voce.
 
"Non sto parlando di lavoro. La sto invitando a cena da me."
 
Tsukishima sentì la stretta sulla sua spalla farsi sempre più debole. Quando si girò verso l'autista, lo trovò accasciato sul marciapiede, a raccogliere i frammenti del suo cuore spezzato.
 
 
Tsukishima non fu capace di elaborare gli avvenimenti di quella giornata finché non ebbe messo piede in aula.
 
Aveva detto di sì.
Il caporedattore del Japan Times gli aveva dato uno strappo fino al campus e lo aveva invitato a cena.
E lui aveva detto di sì.
Tsukishima passò l'intera durata della lezione a contemplare il vuoto, come un monaco zen in fase meditativa.
 
 
***
 
Note:
 
Ho deciso che non getterò la spugna fino a quando non riuscirò a scrivere una fanfic di gk che mi soddisfi pienamente. Purtroppo tempo a disposizione ne ho ben poco, e posso ritagliarmi spazio per scrivere solo in momenti in cui sono fisicamente e psicologicamente esausta, con risultati piuttosto mediocri. Ci tengo così tanto a questa ship, però, che ho deciso di fregarmene del blocco dello scrittore e di dedicargli una bella multichapter. C’è una buona possibilità che il rating cambi da giallo a rosso. Vedremo dove mi porterà il cuore (e le ovaie). Intanto vi consiglio di dare un’occhiata al blog nsfw di Farisaki, la mia musa ispiratrice per questa TsuruTsuki ;)
 
Ho aggiunto una versione in inglese della storia. Se vi va di leggerla, anche solo per farvi un’idea delle mie scarse capacità di tradurre, la trovate su AO3 con lo stesso identico titolo. Ho provato a mettere il link ma a EFP non piace, e non me lo fa funzionare. 
 
 
Ulteriori osservazioni:
 
- Se qualcuno di voi conosce il russo e sta piangendo sangue per le frasi che ho copia-incollato da google traduttore, lo prego di farsi avanti e correggere il mio pasticcio linguistico.
 
-So che Tsukishima è il designated driver della settima divisione, ma essendo un’AU, mi sono permessa di dargli tregua. Merita una vacanza, quel povero martire. 
 
-Non temete, Koito e Tsuki avranno modo di chiarirsi ;)

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


La seguente fic non è stata betata.
 
***
 
Tsurumi stava scorrendo le fotografie che Usami gli aveva spedito in mattinata, mani fra i capelli e occhi al cielo. Il ragazzo amava fin troppo i dettagli truculenti, e Tsurumi poteva intravedere un certo sadismo dietro agli scatti che aveva ricevuto insieme all’articolo di riferimento. Per quanto lui stesso trovasse interessante quella galleria degli orrori, non poteva fare a meno di pensare a quanto poco appetibili fossero per la prima pagina. Stava per alzarsi e andare a dare una bella strigliata al fotografo, quando la porta del suo ufficio venne spalancata senza nessun preavviso.
 
Tsurumi conosceva un solo uomo che non si degnava di annunciare il proprio arrivo bussando.  
 
“Tsurumi!! Vecchio mio!!” gridò Arisaka, superando di gran lunga i decibel a cui l’orecchio umano può sottoporsi senza riportare danni permanenti. Tsurumi era sicuro di aver visto i vetri del suo ufficio vibrare.
 
“Arisaka” rispose placidamente Tsurumi, sfoderando un sorriso stanco e spostando la pila di documenti in bilico sul bordo della scrivania. Il caporedattore conosceva bene le abitudini del collega, e sapeva che le sedie non erano mai state il suo forte. Arisaka era sempre indaffarato fra lastre e rotative, e quando si sedeva, lo faceva nei luoghi più scomodi e improbabili. Come previsto, Narizou si appoggiò con il bacino all’angolo della scrivania, snobbando completamente la poltrona per gli ospiti.
 
“A cosa devo la tua visita?” domandò Tsurumi, facendo attenzione a scandire le parole in modo che Arisaka potesse leggere le sue labbra.
 
“Devo avere un motivo per venire a trovarti?!”
 
Tsurumi lanciò un’occhiata furtiva all’orologio. L’ora di pranzo era già passata e presto la redazione si sarebbe riunita in assemblea per discutere l’impaginazione degli argomenti del giorno. Aveva un’ora esatta per supervisionare il resto degli articoli che i reporter gli avevano spedito all’ultimo minuto.
 
“Ovviamente non sono venuto a mani vuote!” esclamò Arisaka, sollevando una busta di carta con il logo di una pasticceria che si trovava a due isolati dalla redazione. Tsurumi sorrise affettuosamente all’amico di vecchia data, mentre quest’ultimo tirava fuori un vassoio di pasticcini dai fogli di carta sottilissimi nel quale era stato avvolto.
 
“Non dovevi…” lo rimproverò giocosamente Tsurumi, mentre Arisaka gli spiegava nel dettaglio di cosa fossero ripieni i bignè.
 
“Hai detto qualcosa?!” gridò Narizou, notando con la coda dell’occhio che il caporedattore aveva mosso le labbra.
 
“Ho detto che non dovevi!” ripeté Tsurumi, urlando a sua volta.
 
Arisaka era un formidabile tipografo, e un vulcano di idee. Era grazie a lui che il Japan Times riusciva a mettere le mani su modelli di rotative sempre più all’avanguardia, battendo la concorrenza sul tempo ed assicurandosi sempre i migliori fornitori. Arisaka stesso era un appassionato di meccanica, e si occupava dei guasti nei nastri traportatori e altre beghe che solo un tecnico esperto avrebbe saputo risolvere. Tsurumi lo aveva visto all’opera e si fidava ciecamente dei suoi consigli, a meno che essi non riguardassero la salvaguardia delle sue orecchie. Più di una volta Arisaka lo aveva esortato a togliersi le cuffie che lo isolavano dal rumore, invitandolo ad ascoltare attentamente il ruggito delle rotative.
 
“Nessun disturbo! E poi, conoscendoti, sono sicuro che non hai pranzato!”
 
Tsurumi ammise la sconfitta, e accettò i pasticcini che Arisaka gli stava gentilmente offrendo. In effetti, non aveva avuto tempo di mangiare, impegnato com’era a correggere gli articoli che gli avevano spedito a ridosso della scadenza.
 
“Grazie!!” urlò il caporedattore, prima di addentare un bignè ripieno di crema al pistacchio.
 
“Non cambi mai, eh?!” ridacchiò Arisaka, prendendo un pasticcino e saltando a sedere sul bordo della scrivania. “Mi ricordo quando all’università mangiavi solo take away. Eri così magro che ti si potevano contare le costole! Ah, però i dolci non te li facevi mai mancare!”
 
Tsurumi chiuse il suo laptop prima che Arisaka potesse spingerlo di sotto con uno dei gesti plateali con cui soleva accompagnare i racconti delle loro avventure universitarie. In realtà Tsurumi non ricordava quasi nulla degli anni dell’università, dal momento che questi erano stati cancellati dall’incidente stradale. Rivelare la verità ad Arisaka, però, gli avrebbe procurato un tale dispiacere, che Tsurumi preferiva di gran lunga mentire all’amico, nonostante questo significasse dover prestare ascolto a storie che gli sembravano appartenere al passato di qualcun altro.
 
Non ricordava la maggior parte delle loro bravate, ma ricordava il sesso. Era come se i suoi anni di università si fossero sovrapposti per formare un solo, confusissimo ricordo, in cui lui e Arisaka - nudi su un letto che Tsurumi era quasi certo non fosse il suo – sottolineavano manuali di comunicazione aziendale.
 
“Devo scappare! Questi sono i modelli, fammi sapere se possono interessarti!”
 
Tsurumi si accorse che Arisaka aveva finito la sua tirata solo quando si ritrovò a fissare due cartelle zeppe di informazioni su due nuovi macchinari che avrebbero potuto velocizzare i tempi per la stampa del giornale.
 
“Grazie” mormorò fra sé e sé, prima che Arisaka uscisse dal suo ufficio.
 
Con un sospiro, Tsurumi sollevò lo schermo del computer e tornò a studiare scrupolosamente ogni singola fotografia che Usami gli aveva inviato.
 
Passò una buona decina di minuti indisturbato, finché il telefono nella tasca della giacca non cominciò a vibrare. Era Koito. Tsurumi si era dimenticato di dargli la lista della spesa.
 
 
***   
      
"Va tutto bene?"
 
Tsukishima si alzò a sedere, braccia che gli tremavano per lo sforzo. Tanigaki appoggiò la sbarra al suo posto, facendo tintinnare i pesi ai due estremi del bilanciere. Cento sollevamenti in trenta minuti gli erano sembrati troppi perfino per lui. Era chiaro che qualcosa non andasse.
 
"Sì. Oggi non sono in gran forma..." rispose Tsukishima, accettando di buon grado l'asciugamano che Tanigaki gli stava porgendo.
 
"Veramente ne hai fatti trenta più del solito. E ti sei bloccato a metà dell'ultimo. Per un attimo ho creduto che la sbarra ti sarebbe scivolata di mano. Sembravi... Uhm... Con la testa da un'altra parte..."
 
Tsukishima arrossì furiosamente nel realizzare che sì, la sua testa era stata altrove. Ad essere più precisi, nel letto immaginario di un certo Tsurumi. E sul divano. E sul tavolo. E anche su un pregiato tappeto che Tsukishima sperava vivamente fosse soffice nella realtà, quanto lo era stato nella sua fantasia.
 
"Scusa, ho perso il conto" ammise Tsukishima, asciugandosi il sudore dagli occhi e mettendo finalmente a fuoco il suo interlocutore.
 
Hajime non sapeva bene come definire la sua relazione con Tanigaki Genjirou. D'altronde, non era sicuro potesse trattarsi di amicizia nel senso ampio della parola, dal momento in cui non erano mai usciti insieme al di fuori della palestra. Ad avvicinarlo per primo era stato Tanigaki, dopo due mesi di timidi cenni del capo ogni volta che si incontravano negli spogliatoi. Una volta rotto il ghiaccio, l'appuntamento ai bilancieri era entrato a far parte della loro routine quotidiana. I due si aiutavano l'un l'altro, senza perdere troppo tempo in chiacchiere.
 
L'unica volta in cui Tanigaki aveva accennato alla propria vita privata, era stato per rivelargli che la sua fidanzata, Inkarmat, sarebbe passata a prenderlo in macchina. 'Se hai bisogno di un passaggio...' aveva mormorato Genjirou, visibilmente in imbarazzo. La curiosità aveva avuto la meglio, e Tsukishima si era fatto riaccompagnare fino a casa. In quell'occasione, era venuto a sapere che Tanigaki aveva perso una persona molto importante nella sua vita. 'Quello è Nihei' gli aveva spiegato Inkarmat, accorgendosi di come Tsukishima stesse fissando una foto sbiadita, posata sul cruscotto della macchina. 'Era il suo insegnante di judo. È morto tre anni fa.'
 
Dal tono della sua voce, Tsukishima aveva capito che Nihei non era stato solo un maestro per Tanigaki. Nessuno dei due aveva parlato per il resto del viaggio, limitandosi ad ascoltare i grugniti di Tanigaki, addormentato sul sedile posteriore dell'auto.
 
 
"C'è qualcosa che ti preoccupa?" chiese Genjirou, passando a Tsukishima la sua borraccia.
 
"Non proprio. È solo..."
 
Hajime si guardò intorno come se si aspettasse di vedere Tsurumi sbucare da dentro la stanza dove un gruppo omogeneo di persone - che spaziava dai 16 agli 80 anni - stava facendo pilates. Dopo aver scrutato ogni essere umano nel raggio di una decina di metri, Tsukishima decise che Tsurumi non era tipo da palestra, e tantomeno da pilates, e che quindi non se lo sarebbe ritrovato davanti (almeno non fino a quella sera).
 
"Ho un appuntamento e non so bene come... Insomma lui è molto..." farfugliò Tsukishima, alzandosi dalla panca e premendosi la borraccia fredda contro una tempia.
 
Tanigaki sembrava ancora più confuso di quanto non lo fosse già, braccia incrociate sul petto e sopracciglia aggrottate.
 
"Lui?” domandò Genjirou, spostando il peso da una gamba all’altra.
 
Tsukishima cominciò a mordersi l’interno della guancia mentre soppesava le due alternative che gli rimanevano: sputare il rospo, o confondersi tra la folla di persone che aveva appena finito di fare pilates e che si stava dirigendo verso le docce. Alla fine decretò che non ci fosse nessuno nella sua vita adatto al ruolo di ascoltatore, e che prima o poi avrebbe comunque dovuto vuotare il sacco, quindi tanto valeva farlo con qualcuno che gli ispirasse fiducia.  
 
“Si chiama Tsurumi. È il caporedattore del Japan Times. Mi ha invitato a cena da lui, ma non ho la più pallida idea di come comportarmi, e tanto meno di cosa portare.”
 
Tanigaki arrossì come se all’appuntamento ci fosse dovuto andare lui. Tsukishima si maledisse per aver aperto bocca, ma prima che potesse rimangiarsi tutto e fuggire lontano da quella situazione imbarazzante, Tanigaki borbottò qualcosa che a Tsukishima suonò vagamente come ‘porta del vino’.
 
“Del vino?”
 
“Sì.”
 
“Non beve.”
 
Tsukishima era segretamente grato del fatto che Tsurumi fosse astemio. Non se ne intendeva di vini e per quanto lo riguardava, a cambiare fra una bottiglia e l’altra erano solo i prezzi e l’intensità del mal di testa che gli provocavano dopo due bicchieri.
 
“Perché non porti un dolce allora?” propose Tanigaki, arrotolando il suo asciugamano e passandoselo dietro al collo.
 
A Tsukishima quella sembrò un’opzione decisamente più allettante della prima. Dopo averci rimuginato sopra, decise che sarebbe passato a comprare qualcosa sulla strada per recarsi all’indirizzo scritto in un corsivo svolazzante sul retro del biglietto da visita di Tsurumi.
 
“E’ un’ottima idea. Grazie.”
 
Per un attimo Tsukishima fu tentato dal dare una pacca amichevole a Tanigaki, ma tornò subito indietro sui suoi passi, ritirando la mano che aveva allungato verso l’amico e infilandosela nella tasca dei pantaloncini. Magari un altro giorno, pensò mentre si dirigeva verso gli spogliatoi. 
 
***
 
Tsukishima ispezionò la fila interminabile di campanelli prima di trovare la targhetta giusta. Come sospettato, Tsurumi viveva in un palazzo situato nel quartiere ricco della città, nel cuore della metropoli. Le persone che uscivano dal portone lo squadravano con la stessa cauta curiosità con cui avrebbero osservato un marziano. Tsukishima era sul punto di andarsene, quando qualcuno decise finalmente di rispondere al citofono.
 
"Sono Tsukishima" annunciò Hajime, asciugandosi il palmo della mano libera sui jeans.
 
"Lo vedo" gracchiò una voce dall'altra parte del citofono. Tsukishima notò l'occhio di una telecamera brillare in cima alle due file di campanelli. A Hajime quella non era parsa la voce di Tsurumi, ma non ebbe modo di indagare oltre, perché la serratura del portone scattò e la luce della telecamera si spense. Nonostante il chiaro invito ad entrare, Tsukishima rimase pietrificato sulla soglia. Forse aveva frainteso le parole di Tsurumi. Forse con 'cena' Tsurumi intendeva una cena fra amici. Si sentì sprofondare il cuore nelle scarpe.
 
"Per quanto mi riguarda puoi restare lì fino a domattina, ma se non ti faccio entrare Tsurumi si arrabbia con me."
 
Tsukishima sobbalzò nel sentire la stessa voce piccata che gli aveva risposto al citofono esortarlo a darsi una mossa. Dopo aver preso un respiro profondo, Hajime spinse il portone di vetro. Nella peggiore delle ipotesi, ci avrebbe guadagnato una cena gratis.
 
***
 
Ebbene eccomi qua con il secondo capitolo. Mi scuso subito per avervi fatto aspettare così tanto, ma purtroppo ho un esame a breve e non posso dedicarmi alla scrittura a tempo pieno.
Inizialmente la parte della cena doveva essere inclusa in questo capitolo, ma poi ho deciso di spezzarla, perché avevo già messo troppa carne al fuoco. Sappiate che il terzo capitolo è work in progress.
Non abbiate paura a lasciarmi un commento! Se non avete un account qui, potete scrivermi sul mio twitter @Ems_Ems_2.
Ringrazio Carly per avermi sopportato durante la gestazione di questa fic.
PS mi è stato fatto notare che Tsurumi sembra il tizio che vuole le foto di Spiderman. I’m happy to make memes anytime.  
PSS finito l’esame arriverà la traduzione in inglese su AO3.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Alla fine son riuscita a trascinare Speister nel fandom di gk. Il suo betaggio è stata la salvezza, anche perché sono rincoglionita dall’influenza e scrivo ancora peggio di come scriverei da lucida…
 
Per favore leggete le note in fondo <3
 
Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate della fic, quindi se vi va di lasciarmi un commento, ve ne sarei immensamente grata. Ho un account twitter dove potete venire a pizzicarmi le guance: @Ems_Ems_2
 
***
 
Una volta che Tsukishima fu arrivato al settimo piano, le porte dell'ascensore si aprirono su un corridoio illuminato da due file di lampade da parete, disposte strategicamente in cima alle cornici di quadri che a Tsukishima parvero fedelissime riproduzioni di pittori europei. Hajime si sfilò le scarpe e le lasciò all’entrata, prima di avvicinarsi alle tele per studiarne i dettagli.
 
"Non toccare. Sono autentici!” lo ammonì una voce dal fondo del corridoio. Tsukishima non si sorprese affatto nello scoprire che la voce misteriosa apparteneva allo chauffeur di Tsurumi.  
 
"Autentici? Ma questo sembra un Turner…” commentò Tsukishima, tornando ad osservare il punto in cui le onde di un mare in tempesta si confondevano con un velo opaco di foschia.
 
“Non sembra. È” sbuffò il ragazzo, pulendosi le mani al grembiule legato in vita.  
 
Tsukishima si aspettava che da un momento all'altro Tsurumi si sarebbe palesato in fondo al corridoio e lo avrebbe salvato dallo sguardo di profondo disgusto con cui lo chauffeur lo stava passando in rassegna dall'alto in basso, ma la lancetta dei secondi continuò a ticchettare senza che del padrone di casa se ne potesse scorgere neanche l’ombra. Da una parte l'idea che la sala da pranzo non fosse gremita di personalità di spicco munite di cocktail e sopracciglia inarcate lo rassicurava, sebbene dall'altra questo significasse che lui e l'autista erano soli.
 
"Penso di non essermi presentato adeguatamente la scorsa volta. Mi chiamo Tsukishima Hajime, studio Lettere alla Todai."
 
Tsukishima accompagnò la sua presentazione con un lieve inchino. Non aveva biglietti da visita da offrire. Tutto quello che aveva era una nausea atroce e una busta piena di dango. Quando raddrizzò la schiena, si accorse che l'autista aveva alzato il naso verso il soffitto, aria di chi aveva appena annusato la puzza di universitario squattrinato.
 
"Koito Otonoshin, assistente personale di Tsurumi" rispose brevemente lo chauffeur, prima di sparire dietro una porta scorrevole. Tsukishima ne approfittò per portarsi il colletto della camicia al naso. Profumava di bucato. Con una scrollata di spalle, Hajime si addentrò nell'appartamento sulle tracce di Koito.
 
 
Era tutto come se l'era immaginato. Le pareti erano di un bianco immacolato, l'arredamento era minimal, e la vista a dir poco mozzafiato. A Tsukishima sembrava di essere entrato in uno di quei cataloghi arrogantemente intitolati 'la casa perfetta'. A separare salotto e cucina era un'isola dalla superficie di marmo, circondata da sgabelli dal design semplice e funzionale. Una scala a chiocciola portava ad un soppalco, dove Tsukishima sospettava si trovasse una camera da letto o uno studio. Un'intera parete era occupata da una libreria con gli scaffali stracolmi di libri. Tsukishima provò il desiderio irrefrenabile di sbirciare le costole dei libri, per farsi un’idea di cosa piacesse realmente all’enigmatico padrone di casa. Quando lo sguardo di Hajime si soffermò sul tappeto in mezzo alla stanza, le sue guance s'infiammarono. Non era quel tappeto, ma sembrava ugualmente soffice.
 
"Per poco non mi fai bruciare la cena" sbottò Koito, sbucando da dietro l'isola armato di una teglia incandescente. 
 
“Uhm, scusi io… Ahem… Cercavo Tsurumi…?” borbottò Tsukishima, lisciandosi la camicia come se non ci avesse già passato il ferro da stiro tre volte prima di decidersi a indossarla.
 
“Non è ancora tornato” sbuffò lo chauffeur, posando la teglia sul piano della cucina e sfilandosi i guanti da forno.
 
“E… gli altri?” domandò Hajime, gettando un occhio sul contenuto della teglia nella speranza di trovarvi una porzione per due persone di qualsiasi cosa Koito avesse cucinato.
 
Altri?” gli fece eco Otonoshin, facendo il giro dell’isola e strappandogli di mano la busta che aveva portato.
 
“Sono dango…”
 
“Beh, puoi buttarli nel cestino. Ho ordinato un dolce dalla migliore pasticceria di tutta Tokyo” ribatté Koito, restituendo il sacchetto al suo proprietario dopo averlo ispezionato con la stessa espressione disgustata con la quale aveva accolto Tsukishima nell’appartamento.
 
Hajime rimase immobile ad osservare il valletto personale di Tsurumi arruffare le penne per un sacchetto di dango. Qual era il suo problema?
 
“C’è un bagno?” chiese Tsukishima, esasperato dalla nota isterica che tingeva ogni parola pronunciata dal suo interlocutore.
 
“Corridoio. Prima porta a destra. Non usare gli asciugamani. Me li sporchi.”
 
“E con cosa dovrei asciugarmi le mani, di grazia?”
 
Ad occhio e croce, Tsukishima avrebbe dato a Koito la sua stessa età, nonostante lo chauffeur si sforzasse di dimostrare più anni di quanti ne avesse realmente. Era evidente come Koito si impegnasse ad emulare il suo capo, a giudicare dai vestiti di marca e dalla colonia che Tsukishima riconobbe subito essere quella di Tsurumi. Del portamento elegante di Tsurumi, però, non rimaneva che un’eco nei gesti affettati di Koito, il quale si muoveva a scatti, come se i suoi arti fossero telecomandati a distanza da qualcuno e quel qualcuno si divertisse a premere play e a riavvolgere velocemente il nastro in continuazione.
 
“Usa questo” sbottò Koito, allungandogli un pezzo di carta da cucina.
 
Se c’era una cosa che Tsukishima aveva imparato dal suo tirocinio presso un liceo privato, era come trattare con gli adolescenti in preda agli ormoni e al disagio sociale. Koito sembrava rientrare nella categoria.
 
Tsukishima emise un lungo sospiro, prima di arrampicarsi su uno degli sgabelli e avvicinare il viso alla teglia.
 
“Ha un profumo buonissimo. Cos’è?”
 
Koito rimase immobile con un angolo del pezzo di carta ancora stretto fra l’indice e il pollice. Dopo una decina di secondi, il ragazzo ritrovò la sua artificiosa compostezza e si avvicinò alla sua elaborata creazione con il petto gonfio di soddisfazione.
 
“Filetto di manzo in crosta” spiegò brevemente Koito, tirando fuori dalla credenza un vassoio così lucido, da potersi specchiare.
 
“Mai assaggiato” commentò Tsukishima, appoggiando i gomiti sull’isola e riposando il mento sugli avambracci incrociati.
 
Con una serie di velocissime acrobazie, Koito riuscì a disporre il filetto sul vassoio.
 
“Non mi sorprende” sbuffò il cuoco improvvisato, iniettando una punta di sarcasmo nella sua frecciatina. 
 
“Perché lavori per Tsurumi?” chiese Tsukishima, sviando ancora una volta la conversazione, in modo da evitare altre spiacevoli insinuazioni. C’era una buona probabilità che Koito si dimostrasse un’esauriente fonte di informazioni su Tsurumi. L’arredamento non era stato di grande aiuto, in quanto gli aveva mostrato solo il buongusto del padrone di casa, ma l’assistente personale di Tsurumi era decisamente un altro paio di maniche.   
 
“Mi paga bene” rispose prontamente lo chauffeur, slegandosi il grembiule e ripiegandolo con cura.
 
Nonostante Koito stesse facendo di tutto per nasconderlo, a Tsukishima non sfuggì il rossore che era spuntato sulle sue guance. Tsurumi era senz’altro ricco e generoso, ma Tsukishima dubitava che quella fosse l’unica ragione dietro alla scelta di Koito di diventare il suo assistente. A guardarlo bene, non sembrava affatto a corto di soldi.
 
“Tutto qui?”
 
“È uno scrittore formidabile” aggiunse Koito, mordendosi il labbro inferiore e ingoiando opinioni che avrebbero rivelato un tipo di ammirazione ben diversa da quella espressa fino ad allora.
 
Prima che Tsukishima potesse continuare il suo interrogatorio, il telefono di Koito trillò nella tasca dei suoi pantaloni.
 
“È Tsurumi. Dice che c’è traffico” lesse ad alta voce Otonoshin, tenendo il telefono ad un centimetro dal naso per paura che Tsukishima potesse spiare lo schermo del cellulare. Hajime intravide la scintilla negli occhi di Koito spegnersi. Forse era stato troppo duro con l’assistente. Alla fine aveva preparato una cena deliziosa per due, conscio del fatto che a consumarla sarebbero stati la sua cotta e un altro uomo. 
 
“Ehi, non ti preoccupare. Basterà riscaldare tutto più tardi” intervenne Tsukishima, in un patetico tentativo di consolare lo chauffeur.
 
“Non mi aspetto che uno come te possa capirci qualcosa di cucina, ma il sapore cambia una volta riscaldata una pietanza” sbottò Koito, amareggiato.
 
“Se è così, allora mangiamo adesso. Sono sicuro che Tsurumi non se la prenderà se cominciamo senza di lui.”
 
Quando Tsukishima si rese conto di aver invitato Koito alla cena romantica che aveva aspettato con trepidazione per tutta la settimana, era ormai troppo tardi per ritornare sui suoi passi.
 
“Io non dovrei essere neanche qui. Mi è stato detto di cucinare e basta.”
 
“Beh, hai cucinato per un esercito, quindi non vedo perché tu non possa rimanere.”
 
Tsukishima voleva prendersi a schiaffi. Erano passati due anni dalla sua ultima relazione, e il suo cervello aveva deciso di sabotare l’appuntamento con l’uomo dei suoi sogni per un tipo che non aveva fatto altro che prenderlo a pesci in faccia.
 
“Puoi cenare con noi ad una condizione” annunciò Tsukishima, facendo spazio sul piano di marmo davanti a sé. Koito rimase con il fiato sospeso, finché non vide l’ospite armeggiare con il nodo della busta di dango.
 
“Devi provarne almeno uno.”
 
 ***
 
Tsurumi si gettò il trench sulle spalle appena varcata la porta della redazione. Goccioline fini come spilli cominciarono subito ad impigliarsi nei suoi vestiti, obbligandolo a portarsi la giacca sopra la testa. Aveva lasciato l’ombrello in ufficio, ma non aveva nessuna intenzione di tornare a prenderlo. Era in ritardo. Mostruosamente in ritardo.
 
Appena raggiunta la strada principale, segnalò ad un taxi di fermarsi. Riuscì a scansare per un pelo gli schizzi che le gomme dell’auto avevano provocato frenando su una pozzanghera, ma la persona dietro di lui fu meno fortunata. Una voce che il caporedattore conosceva bene cominciò a snocciolare una serie di insulti mezzi borbottati.
 
Tsurumi aprì la portiera del taxi reggendosi ancora il bavero del trench sopra la testa, nella speranza che l’uomo dietro di lui non lo riconoscesse.
 
“Tsurumi!” tuonò lo sconosciuto, prima che Tsurumi potesse richiudere la portiera.
 
“Wada, da quanto tempo non ci vediamo. Ti dispiacerebbe richiamarmi? Sono terribilmente in ritardo per un appuntamento importante.”
 
“Ti ho chiamato venti volte stamattina. La prossima volta deciditi, o sei in riunione, o sei in vacanza in Europa.”
 
Tsurumi sorrise, memore della lista di scuse che aveva consegnato alla sua segretaria nel caso Wada avesse chiamato.
 
“Fammi spazio” sbottò Wada, salendo sul taxi e sbattendosi violentemente la portiera alle spalle.
 
Tsurumi appoggiò una mano guantata sul vetro che separava i sedili poteriori da quelli anteriori e fornì il suo indirizzo all’autista.
 
“Voglio sapere perché hai dato il sì all’articolo di Maeyama.”
 
“C’eri anche tu alla riunione” rispose distrattamente Tsurumi, sbottonandosi la giacca.
 
“La riunione in cui avevamo votato contro l’articolo? Sì, c’ero anch’io.”   
 
“Allora avrai visto che molti erano a favor-… Svolti a destra al prossimo semaforo.”
 
“Sì, ma la maggioranza ha votato ‘no’. Sai benissimo che va contro la politica del nostro giornale. Non piacerà ai lettori e ci creerà un sacco di problemi.”
 
Tsurumi estrasse un fazzoletto dal taschino interno della giacca e si asciugò il viso dagli schizzi di bava che Wada stava sputando. Non era la prima volta che Tsurumi lo vedeva andare su tutte le furie. In realtà, il caporedattore non ricordava di aver mai intrattenuto una conversazione dai toni pacifici con il direttore resposabile del giornale. I due non si erano mai piaciuti, e gli attriti si erano acuiti nel momento in cui Tsurumi era stato promosso caporedattore.
 
“Insomma, stiamo parlando di un amico del proprietario! Come ti sei permesso di…”
 
“Wada, tu come lo chiami un evasore fiscale?” chiese pacatamente Tsurumi, notando come fuori dalla finestra le macchine fossero ferme, imbottigliate nel traffico.
 
“Non avevi il diritto di indagarlo, ti avevo espressamente dett-” ringhiò Wada, prima di essere di nuovo interrotto da Tsurumi, il quale sembrava assorbito completamente dalla missione di tornare a casa il prima possibile.
 
“Seconda a destra, è più lunga, ma c’è meno traffico” suggerì Tsurumi, avvicinandosi alle fessure nel vetro in modo che l’autista lo sentisse nel frastuono della pioggia battente e dei clacson.
 
“Wada, Maeyama ha fatto un ottimo lavoro” concluse Tsurumi, accavallando le gambe e incrociando per la prima volta lo sguardo del direttore.
 
Wada era così livido di rabbia, da non riuscire ad articolare una frase di senso compiuto.
 
“Ha raccolto informazioni attendibili e non ha infranto nessuna legge per ottenerle. Non vedo perché non dovrei premiare i miei uomini.”
 
“Vorrai dire i miei uomini!” ribatté Wada, trattenendosi dall’afferrare Tsurumi per il colletto della camicia.
 
“Mettiti bene in testa che qui comando io.”
 
Tsurumi si leccò il labbro inferiore prima di rispondere, sorriso malizioso sulle labbra.
 
“Oh, non mi permetterei mai di disobbedire. In fondo il giornale è tuo, no?”
 
Wada ingoiò un groppo di saliva che minacciava di scivolargli dall’angolo della bocca.
 
“Oh, ma guarda tu, siamo arrivati” cinguettò Tsurumi, aprendo la portiera per sgusciare fuori dal taxi.
 
“Cerca di non arrabbiarti troppo. Ti farai venire l’ulcera” commentò Tsurumi, zucchero che ricopriva ogni sua singola parola. Il caporedattore stava per chiudere la portiera, quando si ricordò della visita di Arisaka.
 
“Ah, ho ordinato dei nuovi macchinari a nome tuo, spero non ti dispiaccia.”
 
Wada emise un singulto strozzato, ma prima che potesse tornare ad abbaiare, Tsurumi aveva già chiuso la portiera.
 
***
 
Siamo in Giappone, America o Italia? Bella domanda. Teoricamente siamo in Giappone, ma per quanto riguarda i giornali mi sono affidata alla wikipedia italiana, quindi -> Direttore responsabile: è un po’ il tramite fra il proprietario del giornale e il caporedattore. Di conseguenza Tsurumi è un gradino più un basso di Wada, ma riesce comunque a mettergli i piedi in testa.

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