L'inizio della fine, la fine dell'inizio

di Trivo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'INIZIO DELLA FINE, LA FINE DELL'ININZIO Una grande esplosione, da questo si presume sia nato un inizio. La fine? La fine ha avuto inizio il momento successivo.... Dall'inizio della fine, da qui pa ***
Capitolo 2: *** SALTO SPAZIO TEMPORALE ***
Capitolo 3: *** SALTO SPAZIO TEMPORALE ***
Capitolo 4: *** SALTO SPAZIO TEMPORALE ***
Capitolo 5: *** SALTO SPAZIO TEMPORALE ***
Capitolo 6: *** SALTO SPAZIO TEMPORALE ***
Capitolo 7: *** SALTO SPAZIO TEMPORALE ***
Capitolo 8: *** SALTO SPAZIO TEMPORALE ***
Capitolo 9: *** SALTO SPAZIO TEMPORALE ***
Capitolo 10: *** SALTO SPAZIO TEMPORALE ***
Capitolo 11: *** SALTO SPAZIO TEMPORALE ***
Capitolo 12: *** SALTO SPAZIO TEMPORALE ***



Capitolo 1
*** L'INIZIO DELLA FINE, LA FINE DELL'ININZIO Una grande esplosione, da questo si presume sia nato un inizio. La fine? La fine ha avuto inizio il momento successivo.... Dall'inizio della fine, da qui pa ***


I primi ricordi che pensavo di avere, erano quelli con le suore, nel convento, dove ho vissuto circa dal mio sesto anno, al mio circa ventesimo, vivendo con Suor Genoveffa, Suor Nausica, Suor Ermenegilda e Suor Cornelia.

Pur aventi nomi così singolari, non mi ero mai posto alcun quesito riguardante la veridicità di essi, ed essendo state le mie 4 mamme, mai ci avevo neanche pensato alla possibilità che potessero essere qualcos'altro, vivendo con loro, essendo giovane, passando così tanto tempo con loro da essere visto come il loro figlio, adottato chissà quando, chissà come, chissà perché, dato che mi interessava saperlo, ma avevo anche timore delle eventuali risposte, così mi ero sempre limitato a leggere la bibbia cristiana cattolica, anche per quella emozione che mi dava il sapere che un qualcosa, un qualcuno, facesse andare le cose nel giusto verso, nella giusta direzione.

Mi imponevo però, di ragguagliare la mia coscienza dalle lettere che leggevo nei libri presi in biblioteca, bibbia compresa, dalle frasi che sentivo, come quelle delle persone che incontravo per strada quando passeggiavo con le mamme, che infamavano me e le loro, imputandoci sguardi di dissenso, commenti, giudizi altalenanti e indifferenza.

Il fatto di andare a scuola, sarebbe stato preferibile al dovermi studiare le cose che mi interessavano per conto mio, come il comportamento inadeguato della gente all'interno della società, peccato che perfino la cosiddetta educazione, aveva un prezzo, e quel prezzo, non era, a quanto pare, una opportunità, una possibilità, pur dovendo essere una necessità, all'altezza dalle mamme, nemmeno camminando ogni giorno assieme al loro dio.

Non avendo ricordi precedenti al mio primo giorno con le madri, il mio io, osservava tutto tentando di apprendere il più velocemente possibile le cose, facendosi tante domande, riguardo tante cose, rispondendosi volte su volte, capendo col passare degli anni, che le risposte che mi davo, scaturivano in me ancora più domande, finché non cominciai a pensare al lavoro, senza ancora un obbiettivo nella vita, ne tantomeno, un posto dove rifugiarmi, un nessuno sul quale appoggiarmi, nemmeno le madri, dato che il nostro rapporto era quello di una famiglia unita, legata ad un ragazzo adottato, la cui presenza, costava, pesava ma si accettava, non avendo mai causato nessunissimo problema grazie al fatto di apprendere le cose velocemente.

Le suore invecchiavano, e una di loro, Nausica, ci abbandonò per un tumore al seno che non si era riuscito a debellare in tempo.

Non era la più vivace, ne la più tranquilla, ma fece tanto male alle sorelle, quanto a me, pur non conoscendola da altrettanto tempo.

Mi imposi, dopo la sua morte, di affrontare la società, lottare contro essa dall'interno, non trovando alternative più rosee a quella che mi portò a lavorare come bibliotecario, nella biblioteca che ormai cominciava ad avere sempre meno libri interessanti da leggere per me.

La mancanza di una madre, fu un brutto colpo alla stabilità del convento, e non riuscendo, nemmeno col mio misero stipendio, a dare una mano economicamente , decisi che andarmene, cercare una strada alternativa, cavarmela da solo senza appesantire nessuno, sarebbe stata la scelta migliore.

Non avevo esattamente un passato, ne una istruzione, ne un rapporto, se non quello di convivenza, con le suore, così, una sera, presi la decisione di lasciare ad ognuna, un biglietto differente nel quale ringraziavo di tutto, ma che sentivo di non poter più usufruire di un'ospitalità tanto accogliente per altro tempo, andandomene per la mia strada, cercando il mio posto nel mondo, cercando delle risposte altrove, ponendomi differenti domande, guardando, sentendo, vivendo, altrove....

Il tuffarmi dalla finestra non era stata una fuga ben congeniata, ma fu abbastanza efficace da farmi atterrare sulle mie scarpe, ovviamente non di marca, facendomi sentire le formiche alle gambe, ovviamente coperte da jeans stretti neri, nei quali, portavo penne funzionati e una cifra di denaro che mi avrebbe permesso di andare parecchio lontano, lasciando il resto, sotto il letto che mi ha accolto per una decina di anni, finendo col dire addio a tutta la casa.

Indossavo anche una maglietta nera, col collo a v e, a parte le calze, le mutande, un paio di occhiali e uno zainetto con dentro due ricambi, qualche quaderno, non portai con me nient'altro.

Per prima cosa, avevo intenzione di andarmene fuori città, prendere un pullman, un treno e andare il più lontano possibile, sperando che la distanza che avrei percorso, fosse stata immaginariamente dritta, e che quindi, ovunque fossi andato, sarebbe bastato allontanarsi il più possibile per avvicinarsi il più possibile alle risposte che cercavo, riguardanti i soldi, il sapere, la verità....

Avendo scelto di andarmene calcolando la notorietà delle madri, oltrepassai la soglia dell'edificio chiamata casa per anni, alle 00.40, un martedì di giugno.

Non avevo fatto amicizia con nessuno, essendo negligente rispetto al volere delle suore che mi intimavano spesso di fare conoscenza.

Le prime emozioni attinenti alla fuga, le percepii solo dopo qualche ora dalla mia partenza:

Un connubio stordente fra senso di colpa, paura e solitudine.

Sbagliai appositamente la strada che mi avrebbe portato alla fermata del pullman e conseguentemente ai treni della stazione, e da quel momento, temetti che, anche fossi tornato a casa, prima del risveglio delle madri, e mi fossi comportato come la società mi chiedeva di confrontarmi, seguendo le alternative concesse da lei stessa, al meglio, non avrei avuto ciò che speravo di trovare, magari anche stupidamente, preferendo quindi, il camminare alla cieca, verso una direzione indefinita, percorrendo strade mai percorse.

Il dio delle mie madri controllava tutto al di la di tutto, al di la delle decisioni prese incoscientemente, e sperai vegliasse su di me, portandomi dove avrei dovuto andare, pur non volendo, pur sbagliando mille e più strade, pur avendo lasciato l'unica casa, l'unica famiglia mai avuta, pur perdendomi in me stesso, nelle mie domande, alla ricerca di risposte che avrebbero potuto non generare altre domande.

Camminai pensando a tutti, indipendentemente dei vestiti che indossavano, pensando agli oggetti, indipendentemente dai loro possessori, chiunque fossero, notando anche, che non causavo interesse agli sconosciuti che incontravo, benché fossi un ragazzo comune a parte i peli e capelli arancioni, a dispetto dell'ora tarda, indipendentemente dal mio umore, dalla realtà della mia vita vista dalla mia prospettiva così vuota in quel momento....

Mi balenarono idee e domande, mai fatte prima di allora nel buio della notte, ma la strada finì, distraendomi dal mio momentaneo autismo indotto....

Mi trovavo ad osservare una spiaggia dorata, maggiormente nascosta dal buio della notte, nella quale un chiosco bersagliava l'atmosfera con la musica, che artisti sconosciuti come me e come tutti gli altri presenti, suonavano con chitarre, batteria e le corde vocali del cantante.

Mi domandai il come, la gente, potesse provare felicità pur stando ad un passo da chi è triste, ed a causa delle mie emozioni incontrollate, decisi di spendere gli unici soldi che avevo con me, per drogarmi con alcool o comprando da fumare.

Conversare con degli sconosciuti non era mai stato facile per me, ma in quel caso, cercai di ricordare qualsiasi libro letto che poteva darmi una mano in quella occasione, e presi quella, come una scusa per mettermi in gioco, per vedere se davvero potevo cavarmela come avevo pensato di poter fare prima di partire.

Mi immedesimai in un ragazzo normale:

Presi i lacci della cartella, li allungai fino a farmela arrivare al culo, poi, me la spostai su una sola spalla e cominciai a camminare sulla sabbia verso il chiosco che vibrava grazie alla gran cassa del batterista che si stava perdendo nel ritornello intonandolo assieme alla sua band.

Mi spettinai, e con lo sguardo cominciai ad incasellare le persone, inserendole in contesti simili osservando i loro movimenti, i loro vestiti, le parole che dicevano, anche sapevo di non poterle ascoltare tutte, neppure se la musica fosse cessata, soffermandomi quindi sulle conversazioni fisiche, i movimenti delle braccia e delle gambe, il quantitativo di tempo che ci metteva ogni singola persona, a spostare lo sguardo e dove lo spostava, da chi a cosa, per intuire i movimenti successivi.

Mentre lo spicchio di luna in cielo, cominciava a farsi oscurare da una nuvola e alcuni granelli di sabbia mi si infilavano ambiguamente nelle scarpe, basandomi sulle informazioni che stavo ottenendo programmandomi come un computer che cerca di risolvere un problema solo grazie ai dati concessi, conclusi di suddividere nei vari gruppi e sottogruppi, i possibili acquirenti.

Gli occasionali acquirenti, gli spacciatori ostili, gli spacciatori meno ostili, chi era li solo per caso, chi si trovava in quella parte della spiaggia per lavorare e chi per divertirsi.

Con stupore, calcolai che l'87% dei ragazzi presenti, o non aveva mai fumato e neanche ci pensava, o aveva fumato, oppure fumava o spacciava, il 5%, erano adulti che non sospettavano, facenti parte della sicurezza o capitati li per caso e la rimanente percentuale, sinceramente, nemmeno l'avevo incasellata, avendo già trovato ciò che cercavo.

Mi sembrava fosse stato troppo semplice calcolare con tale precisione tutto ciò, ma la cosa importante in quel momento, era disfarsi degli unici soldi per drogarmi il più possibile, d'altronde, mai avevo provato sostanze stupefacenti, ma mi presi talmente bene, grazie al fatto di non aver nessuno che potesse dirmi di non farlo e grazie all'insolita risolutezza che mi era piombata addosso, che mi misi subito all'opera.

Andai verso la riva, dove gruppetti di ragazzi stavano confabulando e tralasciando il fatto che mi cominciai a sentire osservato, andai dal ragazzo dai capelli neri e lunghi, il quale, secondo i miei strani calcoli, avevo scoperto, custodiva in una tasca interna della felpa, un qualcosa di illegale ma non troppo e cominciai l'approccio -”ciao, scusa se te lo chiedo così, ma dei ragazzi mi hanno detto che hai un po' di erba da vendere”- ovviamente nessuno mi aveva detto che lui spacciava, e nemmeno cosa, ma sperai di fare centro al primo colpo -”oi, ho qua solo un ventino però”- rispose lui mentre cercava di guardarsi attorno, per accertarsi che non ci fosse nessuno di losco nei paraggi -”perfetto”- gli dissi io di rimando -”maaaa avrei un ulteriore favore da chiederti”....

In sintesi, avevo 4 canne di erba da fumare, avevo beccato il ragazzo più accondiscendente fra tutti, avevo fatto conoscenza e non mi ero messo nei casini, finendo col ritrovarmi a passeggiare in solitaria, percorrendo la costa della spiaggia con ancora del denaro nelle tasche, sorridente, perché non avevo ne cartine ne filtri, ne accendino, ma ora avevo tutto e tutto il tempo per godermi l'imminente sballo, sfilandone una dalla scatola nella quale le avevo messe, e dopo averla rimessa nella cartella, la accesi, tossì facendo i primi tiri e cominciai a passeggiare tranquillamente sulla spiaggia, ancora senza una meta.

 

Era notte inoltrata, e vagavo per la spiaggia da solo, ma momentaneamente non mi sentivo solo:

Il flebile sospirare dell'aria fredda che tentava in ogni modo di tenermi sveglio;

Il calmo movimento delle piccole onde che si infrangevano a pochi passi da me, quasi come se tentassero di farmi addormentare;

La sabbia, che ormai mi aveva ghermito quasi interamente le scarpe e che quasi sembrava non volermi farmi avanzare rallentando la mia camminata sconnessa;

Seppur molto fosse contro di me, perfino la povertà, la mancanza di una persona fisica che mi aiutasse a fare il passo successivo, barcollante, continuavo imperterrito a proseguire sulla costa.

Perfino la mia mente era contro di me:

D’un tratto, la spiaggia giallastra venne ricoperta da una distesa di neve, l’atmosfera notturna venne sostituita da un sole luminoso e dai suoi raggi caldi che, a contatto con la neve, davano vita ad un gioco di colori stupendo.

Notai d’essere più basso e di essere accompagnato da una figura celata alla vista, ricoperta da mantelli neri tagliuzzati e bucati, avente un cappuccio che gli copriva il volto e una falce come bastone da passeggio....

 

La sensazione svanì di colpo tornando ad essere più alto e abbastanza fatto a causa dell'unica canna fumata.

Non capivo cos’era successo, ma diedi tanta importanza alla cosa, che non pensai più al tenermi in equilibrio cascando a terra involontariamente.

Mentre riflettevo sull’accaduto, cominciai a sentirmi osservato, ma il corpo non rispondeva più, nemmeno per voltare lo sguardo.

-“mamma non penso sia una buona idea”- sentii in lontananza – “sjcjdt no pakd cavallo dsun lui”- rispose un’altra voce prima che io chiusi gli occhi, e facendomi trasportare chissà dove dalla brezza, sperai di non morire quella notte, su quella spiaggia, dovendomi arrendere alla realtà omicida della vita umana.

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Capitolo 2
*** SALTO SPAZIO TEMPORALE ***


Una raffica di emozioni antisonanti, gironzolava nella testa di Tone e Bolpa da qualche minuto, dopo aver notato che i rispettivi amuleti mistici, provenienti dalla disgregazione subatomica d'una medesima gemma, avevano ricominciato a brillare, seppur fiocamente, come non facevano da anni.

Bolpa se n'era accordo mentre cibava i suoi gatti nell'appartamento nel quale conviveva con la morosa da qualche anno, in un una piccola città, mentre la sera, stava lasciando spazio ad una bella nottata ormai divenuta insolita.

Tone invece, aveva appena finito di interloquire col padre riguardo alle ennesime mansioni di un principe, in un regno enorme, ma ubicato all'interno di una montagna, condivisa con le più grandi razze di omini super sapiens, locati in piani differenti.

Il medaglione che Bolpa teneva al polso e quello portato da Tone alla caviglia, non avrebbero più dovuto brillare di quell'azzurro celeste che riportava a galla belli, ma soprattutto, brutti ricordi.

Il chiaro richiamo, se funzionava perfettamente come anni prima, si sarebbe manifestato indipendentemente dalla distanza che separava, le persone facenti parte, anni prima, della medesima compagnia, ed ora non avevano dubbi, qualsiasi impegno avevano quel giorno, incontrarsi in pineta, al solito ritrovo di una volta, ora, era divenuta la priorità.

Il problema era che, colui che aveva regalato i frammenti all'intera compagnia, doveva esser morto, quindi non più in grado di farli brillare....

Incredulità, paura e felicità continuavano a frapporsi, mentre il senso di colpa per la vita che avevano deciso di condurre, dalla presunta morte dell'amico, contornava il tutto.

Nessuno, nella compagnia, aveva più continuato a lottare come riusciva a fare il loro, a quanto pare solo ipoteticamente, defunto amico, dato che tutti, crollarono moralmente, dopo che la gemma aveva smesso di brillare, spegnendosi assieme alle speranze collegate ad un drastico miglioramento globale.

Non si sarebbero mai permessi di calpestare ulteriormente la memoria del loro amico, non provando nemmeno ad andare al loro vecchio punto di ritrovo, perfino se l'andarci, avrebbe significato palesare la propria colpevolezza per aver abbandonato l'utopia generalista verso il quale, da piccoli, correvano in contro con una tale voglia, da sentirsi vivi sempre, grazie ad una ragione più grande di loro, verso il quale, portavano rispetto e che proteggevano, qualunque o chiunque fosse l'ostacolo.

Dopo essersi preparati come se non fossero mai passati anni:

Bolpa, con le sue scarpe da ginnastica, il suo paio di pantaloni contenenti, nelle magiche tasche, ogni arma utilizzata dalla sua razza d'assassini, una maglietta bianca e una felpa bluastra nella quale mise il telefono e quasi come d'abitudine, anche un mazzo di carte, pur sapendo che probabilmente non gli sarebbero servite a nulla, e dopo essersi pettinato i capelli neri facendo calare la frangia davanti agli occhi come quando combatteva, partì con milioni di pensieri per la testa non dando nessuna spiegazione alla morosa, baciandola e chiudendosi alle spalle la porta, andando in contro ad un'altra porta che avrebbe dovuto essersi chiusa definitivamente anni prima;

Tone, con le sue scarpe alte e violacee, i suoi jeans neri attillati e un po' strappati, una maglietta nera e una giacca di finta pelle nera opaca, dopo essersi pettinato la chioma nera con le masch bionde, lunghe fino alle scapole, si gettò dalla finestra del suo castello tramutandosi in un pipistrello, volando fuori dal suo regno attraversando la grotta vampiresca che portava all'uscita, mai più neanche pensata, da quando prese la difficile decisione di prodigarsi nel proteggere la sua specie come il principe che era;

Partirono.

Partirono spinti dal rigoglioso sapore di speranza che gli brillava nei bracciali, immaginandosi di ritrovarsi tutti, come se non si fossero mai separati.

Varcarono ponti di Einstein Rosen che non ricordavano il tempo di varcare, mentre, ad ogni passo, un ricordo differente gli sfiorava la mente facendogli assaporare un'amara malinconia.

Arrivarono quasi in contemporanea attraverso il medesimo portale -”pensavo di arrivare per primo”- si lamentò Tone, dopo aver acquisito nuovamente forme umane, avendo visto Bolpa ad un passo da lui -”il tuo atteggiamento non cambia nemmeno dopo aver accettato di divenire un futuro re, vero Tone?!”- controbatté lui senza nemmeno girarsi, continuando a camminare fra gli alberi alti 30 metri, così irrealmente simili a come si ricordava, osservandoli mentre si accingeva verso le panchine di legno che circondavano il solito tavolo, poco lontano da dove loro, erano appena spuntati -”anche tu non sei cambiato di molto vedo”- rispose il principe, come se fosse normale cominciare così un discorso dopo che non ci si vede per anni.

L'atmosfera nella pineta era come entrambi se la ricordavano:

Gli alberi che si proponevano per tutta la grandezza del posto, quasi orgogliosi d'essere ancora li ad aspettarli dopo che loro li avevano abbandonati a loro stessi, fecero pensare entrambi al loro amico, che a quanto pare, era sopravvissuto nel tempo senza cambiare una virgola di se, persino dopo che tutti l'avevano decretato morto.

La pelle d'oca che si rizzò sulle braccia dei due, causata dal vento fresco che flebilmente gironzolava fra gli alberi accarezzando loro il tronco, i rami e le foglie, quasi con l'intenzione di tenergli compagnia con delicatezza, ricordò ai ragazzi, il respiro che dava voce alle parole di libertà del loro compagno quando, conversando con loro, gli faceva venir la pelle d'oca per la leggiadria con la quale riusciva ad accarezzare i discorsi più pungenti.

Come la pineta non era più semplicemente un bel ricordo, anche lui, a quanto pare, non lo sarebbe mai dovuto divenire.

Seppur malinconici, data l'atmosfera di quell'immutato luogo illuminato da una manciata di lampioni sparsi qua e là, i due si sedettero sulla panchina, involontariamente, l'uno vicino all'altro pur avendo una decina di posti a disposizione -”l'abitudine”- disse Bolpa accorgendosi della cosa e spostandosi dall'altra parte del tavolo -”insomma”- disse Tone prendendo la parola -”io e te siamo i primi ad arrivare, ed aspettare l'arrivo di altri nel completo silenzio non credo aiuti, quindi, proporrei di aspettarli mentre ne parliamo. Nel caso non arrivasse nessun altro nell'arco di qualche ora, proporrei di andarlo a cercare solo noi”- decretò come se stesse ancora conversando col padre -”nel caso arrivassero anche gli altri, e loro decretassero insensata l'idea di andarlo a cercare, mi limiterò ad alzarmi per andarlo a cercare senza il loro aiuto”-.

La sua voce ferma non dava idea di alcuna titubanza e l'amico sembrava della stessa intenzione -”mentre ne parliamo ed aspettiamo, ti va una partita?”- decretò Bolpa sfilando le carte dalla felpa -”tanto per calmarci un attimo. A me farebbe bene vecchio....-”.

Bolpa non era mai stato il tipo risolutivo, ma l'aver rivisto un vecchio amico ed avendo notato la sua fermezza e stabilità, ne approfittò cibandosene empaticamente per riuscire a calmarsi -”te lo dico subito”- rispose il compagno -”è da anni che non gioco. Là non c'è nessuno che ci gioca quindi dovresti anche rispiegarmi le regole”-.

 

I due giocarono e confabularono per ore raccontandosi la scelta di vita verso la quale si prodigarono dopo, l'ancora da definire meglio, morte dell'amico, finché l'atmosfera notturna, nascosta dalla copiosità di alberi, lasciò campo libero alle prime luci dell'alba mentre i pochi lampioni presenti, cominciarono a spegnersi uno alla volta.

-”Bene principino”- concluse l'assassino dopo aver ripreso tutte le carte dal tavolo -”direi che siamo i soli che hanno avuto la briga di tornare qui”- palesando la mancanza di tutti gli altri indicando tutti i posti vuoti -”hai idee sul dove possa essere?”- domandò sistemandosi le carte nella tasca della felpa -”sinceramente, ho conosciuto una alla montagna”- rispose prontamente il sorridente vampiro -”anche se l'imposizione di non veder nessuno al di fuori dalla propri a razza per non rischiare risse o cose peggiori, persiste, la possibilità di utilizzare la mutazione in pipistrello, mi ha permesso di conoscere una ragazza che vive al piano superiore”-.

Evidentemente contento d'aver incontrato una ragazza ed averci persino parlato, Tone si perse nel discorso descrivendo la ragazza, piuttosto che rispondere semplicemente alla domanda, ma Bolpa lo stette ad ascoltare dato che per anni non l'aveva più sentito, così da assaporare ancor di più la risposta -”un giorno mi chiese dell'amuleto che porto alla caviglia dicendomi di riuscire a percepire un qualche tipo di traccia in essa”- prese fiato facendo la tipica smorfia che faceva sempre quando si sentiva più avanti rispetto a qualcun altro -”giorni dopo, facendo svariati tentativi tramite candele, cerchi di sale, rune e, secondo me senza motivo, appoggiando delle pietre attorno al mio amuleto, decretò d'esser in grado di percepire la traccia più distintamente, potendo, solo se anche l'amuleto avesse mai risposto positivamente, tracciare il luogo dal quale parte la comunicazione con esso”-.

L'espressione di superiorità sul suo volto non svanì mentre osservava la frangia del compagno che svolazzava -”non hai capito?”- chiese il vampiro dopo aver atteso una qualsiasi risposta che sembrava non voler arrivare -”ho capito che hai incontrato una sotto specie di strega....”- si limitò a dire l'assassino ora incuriosito -”una wicca si”- confermò -”mi stai dicendo che lei ha giocato con il tuo amuleto?”- chiese Bolpa incorniciando la parola amuleto con delle virgolette immaginarie sperando di far capire il doppio senso -”esatto”- sbottò Tone non notando il doppio senso nemmeno troppo velato -”quindi, quando l'amuleto cominciò a brillare, andai da lei e ripeté l'esperimento”- esplicò mentre cominciava a farsi la coda di cavallo con aria di superiorità-”cazzo non hai ancora capito? So come trovarlo!”-.

 

Il ritorno del Vecchio Drago, era quindi una palese realtà, ma non sapendo che Maik era con Shephora in una stanza dalle pareti congelate, e che non avrebbe potuto andarsene senza avere il permesso, ne che Lancini era con Urba, ed entrambi erano immersi nel bed trip non riuscendo ad abbandonare lo sballo da ore, ne che Vasco era momentaneamente impegnato con Picchia nel bel mezzo del loro addestramento, Bolpa e Tone attesero inutilmente che l'alba facesse capolino per decidere il da farsi.

-”Ti ricordi com'è andata l'ultima volta che ci siamo incontrati cos'è successo?”- domandò Bolpa mentre stava alzando il culo indolenzito dalla panchina -”senti io e te ci siamo, Romeo arriverà all'ultimo come al solito, magari con una delle sue spade enormi fra le mani spaccando i culi se servisse”- rispose Tone mentre si stiracchiava buttandola sul facile -”be, noi li abbiamo aspettati per un pò”- disse l'assassino dal culo piatto -”direi di partire e far le cose per i cazzi nostri, se poi andrà male potremmo sempre dare la colpa a chi non ci sarà quando arriveremo da lui”- concluse il principe mentre rincorreva Bolpa che era quasi arrivato all'Einstein Rosen -”che c'è assassino, ti è venuta tutta di colpo voglia di rivederlo? Lo sai che appena ci vedrà, ci chiederà a che punto siamo col piano? E sai benissimo che il piano l'abbiamo abbandonato per andare a vivere vite che credevamo di meritarci per il nostro fallimento?”-.

Bolpa si bloccò di colpo perché quelle domande se l'era poste anche lui, più volte, e sapeva anche di non aver fatto ciò che il Vecchio Drago avrebbe voluto, e questo, gli causò parecchi problemi nel condurre una vita da semplice babbano -”ho vissuto come ho potuto, con il poco che avevo. Non devo temere che lui mi possa dire d'esser deluso da me.... Tutti siamo delusi da noi stessi, da quel giorno in cui lui ci diede gli amuleti e sparì per la guerra, finendo col farsi catturare nuovamente e facendo spegnere per anni la luce in questi cosi”-.

Aveva cominciato ad urlare senza rendersene conto ma non sembrava intenzionato a perdere il controllo del tutto mantenendosi le mani nelle tasche della felpa -”non ho timore di ciò che ci dirà appena lo incontreremo, ho paura di ciò che ha dovuto passare senza di noi, e lui ci dirà che ha avuto paura per ciò che abbaiamo passato senza di lui. Se così non fosse, non sarebbe più l'amico che abbiamo conosciuto....”-.

Le sue parole colpirono dritto al punto.

Si erano ritrovati tutti sulla stessa barca da quando la guerra si concluse:

Le decisioni prese da quel giorno in poi, li avevano portati a vivere apprendendo cose su loro stessi e sulla difficoltà della vita comune, o della vita da super, che altrimenti, mai avrebbero appreso.

Solo ora si potevano dire obbiettivi, solo ora, potevano dirsi di lottare veramente per queste persone in balia degli aventi e solo ora, potevano capire cosa induceva tutta la gente, comune o super, ad intraprendere imperterrita, quelle strade predefinite, così diverse tra loro, ma così inverosimili.

-”Ed ora andiamo, c'è un Vecchio Drago che ci aspetta”- concluse Bolpa per poi attraversare il tunnel dimensionale, sparendo in esso, seguito senza più indugi, dall'amico vampiro, sperando di poter incontrare presto, tutti i componenti della vecchia compagnia.

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Capitolo 3
*** SALTO SPAZIO TEMPORALE ***


Mi stavo svegliando, ma ancor prima di dirmi sveglia completamente, percepivo d'avere qualcosa che mi teneva le palpebre chiuse.

Un pessimo risveglio: non potevo aprire gli occhi....

L'udito funzionava, non avevo tappate in qualche modo anche le orecchie, ma se non fosse stato per la sussurrante brezza, avrei temuto d'esser persino sorda dato che non sentivo altri rumori.

Respirai, come non l'avessi mai fatto prima, percependo l'ossigeno entrarmi dalla bocca e nel naso captando il caldo dell'aria, che nemmeno dovette percorrere un lungo tragitto per arrivarmi nei polmoni facendoli gonfiare.

Capì d'essere sdraiata, su qualcosa di morbido, forse terra, forse erba -”che brutto non vedere”-....

Fui io a parlare anche se sentendo la mia voce, manco fosse stata la prima volta che la sentivo uscire dalla gola, un po' mi presi male, e già, il fatto che non potevo vedere nulla se non il buio completo, mi stava cominciando ad infastidire.

-”Ma secondo te”- dissi parlando a me stessa per farmi compagnia -”abbiamo almeno un arto?”-.

Presunsi bene dato che subito dopo essermelo chiesto, cominciai a muovere le dita delle mani.

-”Gambe?”- continuai a chiedermi mentre subito dopo, mi diedi risposta muovendole entrambe.

Capii di indossare anche dei vestiti:

Un reggiseno che mi disse molto sulle mie forme, più di quanto mi aspettassi d'avere;

Una maglietta leggera composta da un tessuto morbido, un paio di pantaloni lunghi, ovviamente l'intimo, calze e scarpe.

-”Ottimo, sembra non mi manchi niente”- il fatto di conversare con me stessa cominciava a piacermi -”proviamo anche ad alzarci, oppure restiamo sdraiate e cieche a prendere il sole?”- mi domandai retoricamente, capendo di intravvederlo nell'oscurità dalle palpebre ancora chiuse, come una luce rossa proprio dritta davanti a me.

Mi decisi ad azionare le varie funzionalità del corpo, piegando le ginocchia per poggiare bene la pianta dei piedi sul suolo ancora indefinito, alzando la testa e continuando incurvando anche la schiena, per poi muovere anche le braccia per cercare un equilibrio, ed anche se sentivo la totalità del corpo come fosse intorpidito, come fosse fermo da sempre, manco non l'avessi mai usato, mi issai, fortunatamente senza captare svarioni per l'essermi alzata in piedi.

Notai il dramma verso il quale ero andata in contro -”credi che adesso andrai lontano?”- domanda lecita, dato che va bene avere un corpo, va bene avere il tatto, l'udito, il gusto, l'olfatto, ma non avere la vista non era proprio una sensazione idilliaca.

Cominciando a chiedermi come poter riuscire a vedere, capì che mi ero svegliata spaventata dal tutto ciò che stavo vivendo, come se lo stessi vivendo per la prima volta nella mia vita, e riflettendo sulla mia vita, non ebbi ricordi di un passato da dover ricordare, cominciando riflettere.

-”Non pensare”-....

Non sapevo cosa intendesse dire la mia voce, sentendola parlare dall'interno della mia mente e non attraverso le corde vocali, ma dirmi di non pensare, mentre pensavo -”non pensare”- era solo un discorso che sembrava mordersi la coda da solo.

Dunque mi placai, e pur atterrita, mi impegnai a non pensare, respirando dal naso ed espirando dalla bocca.

Provai nuovamente ad aprire le palpebre, finendo solo col far attraversare più luce in esse, facendomi notare che non solo c'era un sole proprio sopra la mia testa, ma anche che il luogo nella quale, ancora senza uno specifico motivo mi trovavo, era , intuì, un luogo all'aperto e nel pieno della sua luminosità.

Senza pensare mi limitai ad alzare piano le braccia, allungando le dita verso gli occhi, e piano, li sfiorai, notando uno strato di crosta secca che teneva le palpebre superiori ed inferiori appiccicate, come se durante il mio sonno, avessi cominciato a piangere, e quelle lacrime, attraverso il calore del sole, avessero cominciato a seccarsi, impedendomi ora, di poter osservare il luogo nella quale mi sentivo non completamente immersa.

Cercai di non farmi assalire dall'ansia, dato che percepivo l'attacco di panico che, data la mancanza della vista, tentava di fomentarsi in me fin da quando percepii d'esser in procinto di svegliarmi.

Decisi di leccarmi i polpastrelli degli indici per bagnare la crosta fra le ciglia -”dai che puoi farcela”- mi dissi per darmi un briciolo di autostima mentre cominciando a sfregarmi piano le dita sugli occhi chiusi, tentando piano ad aprirli -”daaaai daaaaaai”- dissi a denti stretti quando cominciai a sentir che la crosta si stava pian piano frantumando concedendomi di aprire uno spiraglio nell'occhio sinistro, dalla quale, cercai di capire dove fossi, anche se inutilmente dato che intravvedevo soltanto una strana macchia azzurra.

Decisi, anche grazie a ciò che notai dallo spiraglio, che restare ferma nel punto in cui ero, era la cosa migliore da fare per non rischiare di cadere da un dirupo o di inciampare e spaccarmi qualcosa, quindi, mi impuntai -”adesso basta”- mi dissi stufa della situazione, tirando con decisione verso l'alto le palpebre superiori con gli indici e con i medi le palpebre inferiori, sperando di non lesionarmi la vista.

La crosta si staccò poco alla volta facendo dei rumori simili a quelli di un paio di palpebre che si stanno strappando male, ma alla fine riuscì nel mio intento e per non tenermi le ciglia ricoperte da croste secche, mi leccai ancora le dita sfregandole sugli occhi socchiusi scrostarli al meglio.

-”Adesso dovrei esser apposto”- mi dissi non appena tolsi tutta l'incrostazione, non senza percepire il fastidio causato dal vedere, come fosse la prima volta.

Osservai tutt'attorno per capire in che luogo mi ero svegliata, notando d'aver avuto troppa immaginazione nel credere d'essere apposto solo perché avevo acquisito anche il senso della vista, dato che il panorama era il più bello, anche se forse l'unico, che io avessi mai visto, ma d'altro canto, mi resi conto della gravità della situazione nella quale mi trovavo:

Le scarpe poggiavano su un piccolo atollo marroncino, arricchito da due ciuffi d'erba, ma a mala pena grande per farmici sdraiare sopra;

Al di fuori del mio terroso letto, vi era un immensità d'acqua calma e brillante che sembrava essere un tutt'uno col cielo e rimanendo allibita dal panorama tanto coeso sotto un cielo sereno e limpido, guardai in ogni direzione, denotando la palese monotonia del paesaggio a perdita d'occhio, quasi fossi li ad assistere, ad un cielo che si guarda allo specchio.

Spalancai occhi e bocca dallo stupore per essere nel -”bel mezzo del nulla....”-.

In un primo momento rimasi allibita, attonita, come fossi insensibile allo stato di impotenza, come se non volessi rendermi conto di essere completamente circondata da una distesa d'acqua cristallina, incosciente del fatto d'esser palesemente sola e impossibilitata ad avanzare in alcuna direzione, restandomene per un lungo lasso di tempo in uno stato catatonico, in piedi, con lo sguardo vitreo e nel bel mezzo di uno shock.

Mi sentivo come se la realtà che osservavo fosse differente, come se la realtà attuale non fosse descrivibile nel mio stato di coscienza, così da indurmi in uno stato incosciente, che mi aiutava a non gettarmi in acqua per affogare l'incredulità della situazione irreale che mi ero pure impegnata ad osservare.

Una volta che la negazione e lo shock, palesatisi attraverso momentanea mancanza di respiro, lacrime incontrollate scese lievemente fin all'orlo del mento e completa assenza di pensieri, iniziarono a svanire, ribollì in me un senso di angoscia, di ira e rabbia, come se avessi compreso che la vita è stata decisamente ingiusta con me, appunto perché mi sembrava di esser pure nata da una manciata di minuti, e che fra altrettanti, avrei smesso di vivere.

Nessun altro a cui dare la colpa se non all'avversa sorte, non mi dava molta soddisfazione, così mi inginocchiai sul bordo terroso, e dopo aver visto il mio riflesso, cominciai a picchiare l'acqua con schiaffi, pugni ed anche se sapevo che l'acqua non aveva colpa, vidi in lei l'unica causa della mia sofferenza e non smisi di litigarci finché non cominciai a piangere ed urlare sentendo il bisogno di esternare tutto il male che sentivo dentro di me.

Le braccia mi facevano male, i palmi delle mani pulsavano ed erano visibilmente arrossati, la testa mi stava scoppiando e le mie lacrime, si erano plasmate all'immensità d'acqua verso la quale speravo di potermi avventare per più tempo prima di perdere le forze.

Affannosamente respirai dopo aver solo urlato a squarciagola e picchiato ciò che potevo della distesa d'acqua che mi circondava, rendendomi conto solo dopo essermi accasciata al suolo sfinita, d'aver aggravato la mia situazione, denotando solo dopo il frastuono nella mia mente, il silenzio che mi ammantava cominciando a sentirmi veramente sola al mondo.

-”E se il sole che sto osservando, potesse sentirmi, potrebbe aiutarmi in qualche modo, magari illuminandomi la direzione verso la quale cominciare a nuotare?”- ovviamente, il sole non rispose, la domanda sembrò fin troppo retorica anche per me.

Pensai a un qualche tipo di negoziazione da fare con il sole, con il cielo, con l'acqua e con la terra, ma poi pensai -”chissà dove sarei adesso, se avessi cominciato a nuotare fin da subito....”- però mi ricordai che non avevo la vista al principio, così mutai il discorso -”se non mi fossi scrostata gli occhi, chissà se avrei mai dato di matto....”-.

Dopo qualche attimo di silenzio mi domandai -”comincerei a nuotare, se il sole smettesse di brillare. Io, di conseguenza, lo prenderò come un segno e mi tufferò verso una direzione qualsiasi”-.

Peccato che cominciai a bruciarmi la retina continuando ad osservarlo, così, sbattei le palpebre e mi stropicciai gli occhi mettendomi seduta a deprimermi -”mi sento così vuota, che se bevessi tutta quest'acqua non mi sentirei colma”- sbottai realistica -”se mi annegassi non ci sarebbe nessuno che mi piangerebbe dato che non ho ricordi di me stessa, figuriamoci di altri”-.

Continuai a parafrasare discorsi suicidi mentre percepivo che perfino le lacrime avevano perso la voglia di farmi compagnia.

Accettai di conseguenza, il fatto d'esser solo io a decretare la realtà nella quale mi ero ritrovata.

Tutto era così calmo, fin dal mio risveglio, all'infuori di me, ma il susseguirsi di azioni, legate al fatto d'avere un corpo e i rispettivi sensi, mi ha portato al far fuoriuscire sentimenti implacabili e incontrollabili, facendomi percepire differenti realtà, mentre, lo scenario che mi faceva da sfondo, era rimasto immutato perfino col susseguirsi del tempo.

Capii questo, e decretai d'esser solo io ad avere in mano la situazione, dato che erano state le emozioni a farmi vedere la realtà, attraverso differenti punti di vista, benché la realtà fosse sempre stata la medesima.

Fu un momento di adattamento, un preludio necessario per acquisire una consapevolezza imposta da una verità inequivocabile quale la realtà assoluta.

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Capitolo 4
*** SALTO SPAZIO TEMPORALE ***


In seguito alla tanto teorizzata grande esplosione che diede inizio alla fine, si generarono i primi gas composti da particelle elementari che non possedevano alcuna logica apparente, spargendosi in direzioni plurime.

Ciò che avvenne successivamente alla fine dell'inizio, fu puramente una prolifica espansione materiale, antimateriale, atomica e subatomica.

Senza un destino predefinito, nacquero le prime stelle, i primi pianeti adatti alla formazione di alcune forme di vita, i primi sistemi solari che concessero ai pianeti d'avere orbite e stagioni, le prime galassie sferiche e brillanti tanto quanto il buio che le avvolgeva nel tutt'uno dell'universo in continua espansione.

Il primo pianeta, per fortuna o per sfortuna, a vedere forme di vita in evoluzione, fu definito dalla specie in essa nata e cresciuta, come Titano.

Il secondo, fu Olimpo.

Le due specie, svolsero una rapida evoluzione sui pianeti natii, causando nell'arco di cinque milioni di anni, mutazioni fisiche ed intellettuali così avanzate, da scoprirsi a vicenda.

Erano situati casualmente, non solo nella medesima galassia, ma persino nello stesso sistema solare, ritrovando nei rispettivi vicini di pianeta, una razza altrettanto evoluta e pacifista.

Constatarono le rispettive intenzioni austere verso la calma e la tranquillità dei rispettivi abitanti, decisero di comune accordo di non scambiarsi comunicazioni, se non in casi estremi.

Per loro sfortuna, il caso estremo, si presentò dopo circa un centinaio di anni, quando la gigante rossa attorno alla quale orbitavano, cominciò a modificare la propria gravità.

Le comunicazioni fra i due pianeti si fecero sempre più intense e ravvicinate, dato che, secondo i calcoli di entrambi, i rispettivi pianeti, nel corso di qualche anno, avrebbero colliso l'un contro l'altro.

La strategia utilizzata, fu quella di mandare una manciata di Titani ed una manciata di Olimpi, sul satellite naturale in comune, per decretare una soluzione ponderata ed attuabile per entrambe le specie.

Il fatto di non essersi mai incontrati di persona, ma avendo esclusivamente comunicato tramite frequenze semplici, scaturì un breve timore da parte di entrambi, che seppur momentaneamente contrari all'incontro, costruirono circuiti chiusi per viaggiare fino alla loro luna, un luogo neutrale ad entrambi.

Il loro incontro fu emozionante sotto molti punti di vista:

tecnologico perché unificarono i circuiti chiusi che utilizzarono per viaggiare dal rispettivo pianeta, alla luna, incontrandosi nel medesimo punto combinando i prototipi.

Mentale, perché le loro menti, seppur di specie nate su pianeti differenti, erano così inverosimilmente simili e comprensive.

Infine, sfortunatamente, anche fisicamente, e mediante quest'ultimo incontro, si attrassero a tal punto, da ingravidarsi.

All'incontro, ogni specie, si era detta di rendere partecipe sei coppie, che al concludersi degli studi durati due anni, nell'arco del quale, cibo e bevande venivano inviate settimanalmente, tornarono ai rispettivi pianeti, senza poter nascondere i dodici figli nati sulla luna.

Afrodite, Apollo, Ares, Artemide, Atena, Demetra, Efesto, Estia, Era, Ermes, Poseidone e Zeus.

I figli vennero divisi equamente, sei per pianeta, mentre la conclusione a cui arrivarono i genitori, riguardo all'imminente catastrofe, fu quella di cambiare sistema solare nella quale costituire un nuovo ed unificato regno eretto dalla loro progenie.

Peccato che le cose non vadano mai come si presuma vadano:

I figli, all'età di due anni, già arrivavano a comprendere le più complesse tecnologie mai inventate fino a quel momento, avevano un intelletto così sviluppato da imparare la lingua di entrambi i mondi nei primi tre anni di vita, potendo, a cinque anni, esser in grado di percepire le vibrazioni dei colpi viventi, materiali e perfino quelli astrali.

Arrivati all'età di sei anni, costruirono autonomamente, circuiti chiusi che potenziavano arti, che viaggiavano ben oltre la luna e a sette, decisero di incontrarsi con i propri fratelli e sorelle.

Gli venne concesso, dato che superavano di gran lunga la media intellettiva dell'intero pianeta sul quale abitavano, peccato, che il loro incontro, fu sulla loro luna, e nessun altro a parte loro, era presente.

-”Io so controllare il clima”- sbottò Zeus fiero del proprio potere -”io comunico con i cadaveri”- disse bisbigliando Ade -”io possiedo l'abilità di influire su qualsiasi liquido”- continuò Poseidone -”io faccio innamorare”- disse Afrodite felice di ciò che sapeva fare -”io fomento l'ira”- si limitò a dire Ares -”io salvaguardo la natura e la verginità”- disse Artemide come se avesse il potere migliore di tutti -”io so costruire qualsiasi cosa”- disse Efesto senza modestia -”io modifico a piacimento la terra”- disse Era mentre causava una piccola scossa -”io prevedo il futuro e modifico l'umore tramite la musica”- disse Apollo -”io sono forte e intelligente”- disse Atena spavalda -”mi baso sull'importanza dei doni che gettano nel fuoco come sacrificio, acuendo il mio potere di poter produrre scambi alchemici equivalenti”- disse Estia spiegando il suo potere come riusciva -”io so confabulare, induco baratti e mi piacerebbe fare il portavoce di questo gruppo”- sentenziò Ermes, soddisfatto d'esser colui che concluse le super presentazioni.

Ai dodici, bastarono le presentazioni per confermare il fatto di poter far molto meglio di quanto avessero mai fatto le specie, a quanto pare infime, dei loro genitori, decidendo istantaneamente, un sistema per debellare l'initile.

Goderono quando i pianeti dei padri e delle madri si scontrarono, beffardi e infingardi, avendo fatto il lavaggio del cervello a tutti per far credere che tutto si sarebbe sistemato utilizzando il potere di Apollo, salvando esclusivamente i loro genitori dal genocidio, tenendoli però, prigionieri nell'unico luogo indistruttibile, reso tale grazie al potere di Efesto, un monte di Olimpo, sul quale decisero di costruire la loro futura casa.

Vissero soli fino al loro ventesimo anno d'età decretandosi Dei e decidendo di vagare per il cosmo in cerca di altri pianeti sulla quale incontrare altre forme di vita, sperando in qualcuno intelligente quanto loro.

I genitori Titani e Olimpi, vennero torturati per estrapolare da essi, le conoscenze più antiche di entrambi i pianeti, dato che, sia su Titano che su Olimpo, gli Dei, scoprirono delle antiche rune incomplete riguardanti la trasmutazione molecolare e l'amplificazione delle capacità fisiche e mentali, ed essendo già superiori, desideravano scoprire come migliorarsi ancora, e l'aver lasciato che i pianeti si scontrassero, era stata una mossa volontaria per vedere se all'interno dei pianeti, ci fossero indizi, ma nulla, ergo, continuarono per anni a torturare i genitori ma senza mai ricevere informazioni.

All'età di 95 anni, non avevano ancora scoperto pianeti ospitati da altre forme di vita....

Dopo aver osservato così pacificamente, due pianeti ricolmi di gente esplodere, la loro vita divenne monotona a tal punto che nemmeno uccidersi serviva più a nulla, dato che Ade nel corso del tempo, acuì i suoi poteri, plasmando ogni tipo di terra, delle moltitudini che incontrarono nel loro, fino a quel momento, infruttuoso viaggio, per generare una figura rivestita da una tunica nera ed incappucciata chiamandola Morte, grazie alla quale, concesse immortalità a tutti i suoi fratelli e sorelle.

Quando tutti persero il conteggio degli anni che avevano, la situazione cominciò a farsi più adulta e meno divertente per tutti, ma qualcosa migliorò l'umore.

Un pianeta, nella quale forme di vita abbastanza stupide, laboriosi, tentavano di costruirsi armi per uccidere gli animali, mentre nemmeno avevano la manualità, ne l'intelligenza per sopravvivere senza uccidere.

-”io non servo nemmeno-” disse Ares stupendosi della stupidità di quegli ominidi così simili fisicamente a loro, ma così in dietro, rispetto a loro.

Tramite il monte Olimpo mobile, si stanziarono nel pianeta, facendosi bastare la compagnia di questa razza seppur nella culla dell'evoluzione.

Nel corso dei secoli, appresero le loro lingue seppur grezze e cominciarono a conformarsi fra di loro al solo scopo di formarli ed indirizzarli, dandogli il fuoco, dandogli armi migliori, dandogli ideali da seguire e approcciandosi a loro facendogli notare la loro superiorità, e con il passare del tempo, facendosi venerare da essi.

Ma un'inaspettata intromissione, fece allibire gli dei:

Alieni.

Una moltitudine di Alieni difficili da incontrare, erano soliti comparire schiavizzando i nuovi compagni degli dei, facendo loro costruire circuiti chiusi appuntiti e molte altre strane costruzioni.

Per loro sfortuna, che mai li aveva abbandonati dalla frammentazione di Titano e Olimpo, non riuscirono mai a incontrarli, ne a conversare con loro, cominciando a credere che potessero essere addirittura, superiori a loro.

Ma non cedettero, continuando ad aiutare la crescita di quella specie così malleabile facendosi pregare, decretandosi gli dei di tutto.

Un giorno, mentre gli dei erano in esplorazione sul pianeta terra, sempre nella disperata ricerca di ciò che mai avevano trovato sui pianeti dei genitori, incontrarono qualcosa che prese a schiaffi la fortuna:

Alcuni geroglifici, rune e altre strane simbologie attinenti alla chimica, alla fisica, alla tecnologia, come se, qualcuno avesse deciso di lasciare tutto il sapere acquisito, al prosperi.

Queste informazioni erano incise sulla pietra, alcune stampate sul terreno di ampi spazi erbosi, ed erano, alcune scritte in una lingua diversa da quella con la quale conversavano con gli umani, altri, erano simboli, altri ancora disegni, così, decisero di trasportare l'intera area all'interno della loro montagna per studiarla a fondo.

Ciò che scoprirono, fu incredibile:

Innestare nel DNA, genomi differenti, per causare mutazioni congegnate.

Esattamente ciò che speravano.... CONOSCENZA UNIVERSALE.

 

Per fortuna, o sfortuna, i primi pianeti aventi forme di vita, si evolsero, mutando in ominidi con una testa, due occhi, un naso, una bocca, due braccia, due mani, cinque dita per mano, un busto, un apparato digestivo, un apparato riproduttivo, due gambe, due piedi e un cuore, assieme a una moltitudine di altri attributi che gli permisero di costruire circuiti chiusi quali abitazioni confortevoli nei quali sfamarsi con le famiglie.

Il primo pianeta sulla quale proliferarono esseri senzienti, fu Titano, la cui orbita ellittica, contornava una gigante rossa, il secondo pianeta invece, fu Olimpo.

Entrambe le specie continuarono la loro evoluzione sui reciproci pianeti, quando si scoprirono non fecero nessun tipo di guerra, ma la sfortuna, aveva altri piani dato che, non solo abitavano nella stessa galassia, ma nel medesimo sistema solare essendo persino vicini di pianeta.

Peccato, che la fortuna dei principianti, dopo aver stipulato la completa e indiscussa pace, non si fece vedere, dato che, dopo centinaia di anni fra sviluppo psicologici, fisici e tecnologici, i Titani, scoprirono che la stessa, attorno alla quale stavano orbitando, stava cominciando a mutare la propria gravità, causando da li a pochi anni, una incontrovertibile collisioni fra tutti i pianeti presenti nel sistema solare.

 

Gli dei si erano ritrovati nel loro circuito chiuso, all'interno della montagna salvata dall'olocausto dei pianeti abitati dai loro genitori, dopo aver percepito all'unisono, la frequenza, trasmessa della persona, che tempo addietro, emanava la medesima frequenza -”suppongo sia cresciuto fratello”- disse con un filo di sarcasmo Poseidone, mentre se ne stava seduto comodo con le gambe accavallate sulla sua sedia personale, composta da pietre luminescenti dalla quale sgorgava acqua blu cobalto -”sei perspicace”- disse Ade, il fratello maggiore, seduto dall'altra parte del tavolo tondo composto, grazie alle caratteristiche modellabili del meteorite utilizzato, mentre seduto sulla sua sedia composta da pietre nere e lucide si prolungò asserendo -”il dilemma è comprendere il come sia riuscito ad uscire dal tartaro, dato che il problema del sopravvivere in esso, l'avevo risolto io facendo un patto con Morte”-.

Sopravvivere in esso, è stato reso possibile, dato che mi sono accertato divenisse immortale facendo un patto con Morte”- si continuò ad esprimere, mentre pensò a lei facendola comparire dietro la sua lucida sedia -”il fatto che il tartaro si trovi in una dimensione al di fuori della nostra, fa mettere in dubbio, il fatto che non abbia definitivamente perso la memoria, decidendo, arrivando ad una maggiore età, di fuggire da essa”- intuì il dio degli inferi mentre con lo sguardo, accusava il fratello minore di non esser riuscito a cancellargli la memoria come disse di aver fatto, quando si decretò che il compito di cancellargli la memoria, fosse esclusivamente il suo -”insinui”- rispose Zeus, sentendosi ovviamente preso in causa, mentre sedeva attorno al tondo tavolo, attorno al quale, anche i fratelli minori come Apollo erano presenti -”che sia stato più forte di me?”- domandò fremendo sulla sedia sulla quale sedeva, composta da nuvole tiepide contornate da piccoli fulmini -”o troviamo il colpevole in questo circuito chiuso, o il colpevole, è semplicemente riuscito a ri acquisire la memoria, fuggendo dalla dimensione del tartaro”- sbottò Poseidone, tentando di non incolpare nessuno dei fratelli, utilizzando come al suo solito, la strategia di colui che sta dalla parte di tutti ma non stando mai dalla parte di nessuno.

Una moltitudine di occhi, si scrutarono l'un l'altro, cercando di leggere sulla fronte dei fratelli e delle sorelle, una palese confessione, attraverso le espressioni facciali, finché il dio degli elementi atmosferici, esplicò un pensiero -”nessuno metta in discussione le mie azioni, dato che, piuttosto che ammazzarci a vicenda, cercherei un modo per sfruttare la cosa a nostro vantaggio”-.

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Capitolo 5
*** SALTO SPAZIO TEMPORALE ***


Aprì gli occhi stordito e ricominciai a prendere coscienza d’essermi appena risvegliato dalla mia prima notte al di fuori del convento, in una piccola camera sconosciuta, ovviamente di una ragazza data la colorazione delle pareti di un quasi nauseante rosa, all'interno di un letto decisamente comodo e coperto da lenzuola sottili color panna.

Ricalcolando gli eventi della sera precedente, notai che mi mancavano pezzi riguardanti l'incontro con delle persone di cui nemmeno ero riuscito a scorgerne i volti, ma il vago ricordo di come ero arrivato li ce l’avevo:

Le mie percezioni sensoriali, automaticamente, compresero che venni avvolto tramite una coperta, probabilmente, la stessa nella quale mi trovavo e che, anche se appena mi alzai controllai la coperta, ne era sporca per via dello sfregamento sulla sabbia, ne era spiegazzata, come se fosse stata lavata e stirata, anche se c’avevo dormito dentro tutta notte.

Un tuono squarciò il silenzio accompagnato da un rumore di vetri in frantumi, facendomi sobbalzare sul posto e ancora un po' stordito, schivai il tetto a spiovente affacciandomi alla finestra posta in obliquo anch'essa alla sinistra del letto scrutando fuori:

Mi trovavo al secondo piano di una piccola casetta di legno, dal quale potevo notare lo spiazzo erboso nel quale si era deciso di costruire.

Ad una distanza approssimativa di 20 metri, una colonia di alberi a perdita d'occhio, mi fece presumere d'essere all'interno di un bosco o di una foresta;

La cosa più strana che vidi, non fu la mancanza di altre case, o la decisione strategica di vivere esattamente in mezzo ad un bosco, ma fu la donna dai capelli argentei che presumibilmente, era uscita da una porta del pian terreno, che se ne andava tranquillamente mezza nuda, verso degli enormi cocci di vetro che notai subito dopo, sparsi non poco lontani dalla casa, impugnando qualcosa somigliante alle bacchette con le quali le suore, quelle rare volte che capitava, mi sgridavano agitandola manco fosse uno scettro del potere.

Era ammantata da un semplice vestito bianco semi trasparente, che faceva saltare agli occhi il pizzo nero e rosa che indossava sotto, e mi reputai abbastanza fortunato del fatto, d'aver incontrato lei e non un panzone obeso che viveva con la madre ed usciva a prendere il giornale con i peli scuri che uscivano dall'accappatoio indossando le mutande della nonna.

La situazione era strana e decisi di osservarla mentre alcuni svarioni mi stordivano ancora.

La signora dai capelli argentei si girò verso la casa, a cominciò ad urlare a qualcuno – “vai a svegliarlo intanto che sistemo. Tra 5 minuti voglio partire dato che con ciò che si ritrova ad avere, attira più super di quanti potessi immaginare”-.

La sua voce era quella di una madre premurosa che seppur indaffarata, sembrava riuscire comunque, a convivere pacificamente con la presumibile figlia che non le rispose, ma che sentì chiudere una porta al piano terra in segno di approvazione.

-”merda”- sbottai -”e se facessi finta di dormire?”- mi chiesi -”idea stupida, ha mandato la figlia a svegliarmi, quindi che io sia sveglio o meno, da li a poco, entrerà in camera”- riflettei mentre non riuscivo a scollare gli occhi dalla donna che ora, semplicemente agitando lo scettro del potere delle suore verso i vetri davanti a lei, li indusse a fluttuare ed unirsi fra di loro componendo una lastra di vetro sottile ma grande come la stanza nella quale mi trovavo, vedendola poi salire verso l’alto arrivando proprio a pochi metri da me, congiungendosi all’invisibile barriera di cui faceva parte e che apparentemente, circondava l'abitazione.

Non so il motivo per cui non ne rimasi sconcertato, forse perché credevo fosse un'allucinazione dovuta dal fatto, d'aver fumato la notte precedente, non informandomi molto sugli effetti collaterali della cannabis, forse perché mi tornò in mente il tizio incappucciato col mantello nero strappato che andava vagando per una spiaggia innevata, accompagnato dalla mia sensazione d'esser più giovane e basso, o forse perché pensavo più al quanto ci stesse mettendo la ragazza che avevo intravisto prima di svenire sulla spiaggia, ad arrivare in camera sua.

Dato che ancora non avevo schiodato lo sguardo dalla finestra, notai due ragazzi comparire dall'interno di un albero al confine del bosco, uno dopo l'altro, come se avessero aperto una porta dall'interno dell'abete.

Il primo era un ragazzo dai capelli biondi e neri, lunghi fino ai gomiti, e data la distanza tra noi, notai soltanto che era vestito di nero e che aveva una specie di cavigliera luminosa sulla gamba di sinistra, mentre il secondo, aveva una frangia che gli copriva gli occhi e una collana penzolante sul petto che brillava dello stesso colore di quella dell'amico, ed entrambi, non solo, non sembravano avere un buon umore, ma si avvicinavano verso la casa, come se non avessero buone intenzioni. -”Non dovreste essere qua”- sentì urlare la donna che non aveva avuto il tempo di rientrare -”so cosa pensate, ma non abbiamo ancora capito che super sia, quindi, potete pure andarvene. Essendo super, saprete che ogni nuovo super ha il diritto d'esser condotto al monte, ed è li che abbiamo intenzione di portarlo, quindi, non avanzate oltre. Cortesemente”- intimò la donna come se pensasse di poterli tenere lontani con le sole parole, e mentre sentii i passi della figlia arrivare sul mio piano, notando che stava avanzando lentamente, forse perché stava ascoltando la conversazione al di fuori della casa, il ragazzo dai capelli lunghi rispose fermandosi ad un passo dalla barriera di vetro, che in realtà avevo smesso di vedere subito dopo che la donna dai capelli d'argento l'aveva finita di ricostruire -”non abbiamo intenzione di distruggervi protezioni stregate”- rispose, facendomi chiedere come facessero loro a saperlo -”siamo in cerca di una persona e temiamo sia proprio colui che avete incoscientemente portato in questo luogo nemmeno tanto difficile da trovare”- disse il ragazzo con la frangia, sentendosi in disparte nel discorso -”non sono intenzionata ad abbassare le barriere”- urlò la donna tentando di far notare la sua fermezza più della sua paura -”non credo che avremo scelta se non quella di utilizzare la violenza se non collabori strega”- sentenziò il biondo mentre girò la testa verso il compagno cominciando a parlargli piano per non esser sentito.

La ragazza era arrivata lentamente dietro la porta della sua camera, ma il fatto che la madre ora, potesse aver bisogno di lei, la fece stare ferma e in silenzio, pronta a tornare al piano terra non appena avesse percepito una parola di protesta da parte dei due ragazzi appena comparsi.

-”Vorrei farvi notare, che vi portereste all'interno di un cerchio magico”- stava dicendo la donna che non vedevo più dato che aveva deciso di arretrare verso casa, mentre la figlia, si fiondò finalmente verso le scale percependo il pericolo”-.

La tensione si era fatta palese, ed osservando tutto dalla finestra, mi sembrava d'esser ancora addormentato seppur tutto sembrasse così reale -”ultimo avvertimento strega”- confermò il ragazzo con i capelli davanti agli occhi, mentre percorreva il perimetro della barriera verso la mia sinistra, tenendo d'occhio l'amico che gli aveva, poco prima, detto il piano da attuare per fare irruzione, mentre camminava sul fianco destro, facendomi venir un'idea abbastanza stupida da attuare.

Mentre i due ragazzi si allontanavano l'uno dall'altro ad un'andatura inquietante cercando probabilmente dei varchi nella barriera, e mentre madre e figlia ragionavano sul da farsi presumendo che stessi ancora dormendo, andai verso il letto unendo velocemente gli angoli delle lenzuola legando un'estremità alla ringhiera della finestra -”star dalla parte di qualcuno in questo momento non mi sembra la cosa più logica, non sapendo chi, delle due parti, mi protegge da chi”- mi dissi sottovoce gettando la coperta giù dal poggiolo solo dopo aver atteso che i ragazzi, raggiungessero una posizione dalla quale non gli sarebbe stato possibile vedermi -”e poi, che senso avrebbe avuto andarmene dal convento per crepare il giorno seguente”- continuai a bisbigliare mentre notai in un angolo della camera, la mia cartella contenente ricambi e canne -”non so chi sia sta gente, ma ho capito che qua tutti pensano che io sia più di una persona comune. Io non mi sento tale, quindi meglio andarsene dal litigio imminente prima di correre seri rischi”-.

Conversavo da solo mentre mettevo velocemente in atto il mio piano di fuga neanche ben congegnato, dato che, arrivato a scalare metà della corda composta dal lenzuolo e dalla coperta, notai di ritrovarmi proprio davanti alla finestra della cucina al pian terreno, dalla quale, una ragazza dai capelli scuri e lo sguardo sbigottito, mi stava fissando, mentre io, rallentai stupito di essermi fatto beccare osservandola allo stesso modo, finendo col poggiare i piedi in terra stupendomi d'aver continuato a scendere mentre ci guardavamo entrambi, stupiti alla stessa maniera.

Mi ritrovai proprio di fronte ai due scalini che precedevano la porta di legno che portava alla cucina e voltandomi, sentii un tonfo proveniente dal cielo e impaurito, alzai lo sguardo:

Un ammasso di muscoli neri alto circa 2 metri, era appena atterrato sulla cupola di vetro che ora, era divenuta visibile, probabilmente e a causa del peso dell'energumeno, che cominciò a martellarlo di pugni cominciando a generare crepe preoccupanti.

-”Pensi di mollarci qua a lottare per te, mentre te ne corri via?”- mi domandò la ragazza che avevo notato prima in cucina, che ora, era uscita dalla porta di legno e stava facendo gli scalini per venirmi in contro -”sinceramente non so dove sono, perché sono qua ne il chi siate voi”- le dissi un po' arrabbiato -”ne tanto meno, chi sono questi tre che mi cercano.... Volendo star proprio a vedere tutto, non so neanche chi sono io, quindi direi di salutarvi francamente, anche perché, andandomene, ne te ne tua mamma avreste di che preoccuparvi”-.

Ero visibilmente nervoso ed il mister muscolo che non smetteva di tirare pugni contro la cupola per aprirsi un varco non era proprio d'aiuto -”qua si fa così, fra super ci si aiuta, tralasciando l'ovvia situazione non molto confortevole. Ma dico davvero, mia mamma li farà ragionare e se non ci riuscisse, la cupola dovrebbe reggere per il tempo necessario per permetterci di avere una via alternativa a quella che probabilmente hai pensato tu....”-.

Era convincente e sincero il suo discorso, ma sentivo come qualcosa che mi spingeva ad andarmene, qualcosa che partiva da dentro di me, come l'idea di scappare dalla finestra -”mi potrei anche fidare di te e di tua mamma, ma dovreste spiegarmi un bel po' di cose, senza contare che quel tipo lassù, fra una decina pugni, riuscirà ad entrare, a discapito di ciò che mi hai appena detto riguardo alla resistenza della lastra di protezione”- dovendo solo attendere alcuni secondi, prima che i fatti, mi diedero ragione.

La ragazza mi prese per la maglietta e mi sorpassò correndo -”crolla tutto corriiiiii”- mi urlò facendomi cominciare a correre con lei mentre mi tirava per il colletto della maglietta, mentre immaginai il ragazzo corpulento, assieme ai frammenti di vetro, scendere verso il la zona al suo interno -“lo sai che stiamo andando in contro a una cascata di cocci di vetro, invece che nasconderci dentro la casa e che se andiamo da questa parte, lasciamo da sola tua mamma vero?!”- urlai mentre tentavo di correre senza volare addosso alla ragazza, dato che il suo passo era di molto inferiore al mio – “sa cavarsela”- controbatté lei mentre rallentava la sua corsa – “il problema”- continuò a dirmi fermandosi e mollandomi la maglietta – “è….”- continuò a dire, sfilandosi dalle tasche dei blu jeans, che indossava al di sotto di una maglietta nera, un piccolo scettro simile a quello della madre -”DISPERSIO”-.

Urlò quella strana parola, dopo essersi messa in posa, con il braccio destro che tendeva verso l'alto mentre, la mano che stringeva il piccolo scettro, era stata puntata verso il centinaio di vetri ad un metro dalle nostre teste, generando magicamente, un onda d'urto che fuoriuscì dalla sua punta, facendo allontanare ogni oggetto contundente dalla nostra direzione.

-”Il problema è che tu non ti sai difendere, quindi devo farlo io”- mi disse lei -”la barriera avrebbe dovuto durare almeno delle ore, quindi questi super sono più forti del previsto”-.

La ragazza era visibilmente spaventata per l'incolumità della madre che, guardando nella direzione verso il quale il ragazzo con i capelli lunghi, quello con la frangia davanti agli occhi stavano correndo ed il losco figuro stava precipitando, era visibilmente in inferiorità numerica, ma stringendo i pugni mi disse -”andiamocene”- puntando verso il bosco e l'albero dal quale erano fuoriusciti gli altri -”c'è un Einstein Rosen anche in casa, non ci incontreremo molto presto ma almeno ci incontreremo”- continuò a dire lei mentre cercava più di convincere se stessa che me -”e non chiedermi cos'è perché tanto ci stai per entrare”-.

Corremmo insieme per una decina di metri ed arrivati davanti ad un albero, che a me pareva normalissimo, la ragazza rallentò fino a fermarsi -”prima gli indifesi”- mi disse mentre con entrambe le braccia mi fece segno di andargli contro -”ne sei....”- stavo per domandarle, prima che lei mi prese per la maglietta lanciandomici contro, facendomi sparire al suo interno prima ancora di farmi finire la frase.

Atterrato in piedi in un qualche posto buio, cercai alla cieca di trovare qualcosa sul quale appoggiarmi per capire dove fossi -”attento alle mani ragazzo”- mi spaventò la voce della ragazza di prima, seppur avesse bisbigliato, dopo che le avevo palpando il gomito.

-”Dove siamo?”- le chiesi io bisbigliando di conseguenza -”quello che hai appena attraversato è un ponte spazio dimensionale che ti porta il un luogo predefinito. Non so come quei due ragazzi siano riusciti a trovarlo, ma, come lo hanno attraversato trovandoci, lo possono sempre utilizzare nuovamente per tornare qua, quindi sarà meglio andarcene prima che tornino”-.

Mentre la ragazza parlava, stavo avendo qualche strano problemino con il mio corpo dato che sembrava contrapporsi a me, come se stesse cominciando a decidere per conto suo, ma mi dissi che magari, era dovuto dal fatto che eravamo appena entrati in un albero, ricomparendo in un luogo completamente al buio.

-”tieniti a me”- mi sussurrò mentre sentì la sua mano cercare la mia -”non posso proprio permettermi di perderti in questo posto”-.

Era un po' sudata la sua mano, ma l'attaccarmi a qualcosa in quel buio al quale pareva difficile abituare gli occhi, era confortante.

-”devi solo tenere la mia mano e seguirmi va bene?”- la domanda era retorica perché cominciò subito a correre alla cieca, non sapendo che stavo proprio avendo dei problemi seri a far rispondere il mio corpo come al solito, ma stringendole la mano, tentando di non perdere completamente il controllo di me stesso, cercai di far correre il mio corpo anche se cominciava a irrigidirsi, obbligandomi a correre in maniera un po spastica.

Avevo palesemente qualcosa che non andava, dato che il rumore dei nostri passi sul pavimento riecheggiava nelle mie orecchie come se qualcuno stesse alzando il volume al massimo.

Mi sembrava di colorare il buio attraverso il ritmico suono dei nostri passi, chissà come, percependo i contorni di tutto ciò che mi circondava:

La strada era piana e liscia, quindi pensai fosse asfaltata e non era più larga di 5 metri, poiché captai anche le pareti che si ergevano dal ciglio del vicolo, alte una ventina di metri composte da mattoni e calce, le quali, ci imponevano di star molto attenti a non inciampare, se non volevamo finire con lo scartavetrarcisi contro.

Ovviamente la ragazza sapeva la strada, e correva senza problemi, ma io, oltre al fatto di correre in un vicolo stretto, completamente al buio, pur percependo il tutto che ci circondava tramite i suoni che mi si erano acuiti di colpo permettendomi di (per così dire) “vedere” persino nell'oscurità, continuavo ad avere difficoltà nell'impormi sulle mie gambe e più mi sforzavo, più era difficile continuare a tenere il passo.

Tenendo la mano alla ragazza con la quale ero appena scappato, ne captai il battito cardiaco altalenante, probabilmente a causa dei pensieri che le passavano per la mente mutando umore, in media, ogni 4 secondi, in base anche alla camminata che ogni tanto, seppur di poco, aumentava o diminuiva.

Pensai a cosa dirle per non farla più stare in pensiero per la madre, ma in quel momento, ero intento a capire cosa mi stesse succedendo, mentre tutto si faceva lontano, come se ricevessi solo un eco riguardante qualsiasi cosa accadesse;

Mi ritrovai a guardare tutto da uno spioncino e cominciai a soffrire di claustrofobia, rendendomi conto, che le azioni compiute dal mio corpo, ora, erano del tutto autonome dalle mie intenzioni.

Ero stato chiuso all'interno di me stesso per qualche losco motivo, ma notai di poter muovere un più piccolo corpo, il quale, mentre lo muovevo goffamente, toccò delle pareti che sembravano concave e fatte di un materiale simile al legno, facendomi così capire, non solo d'avere un corpo più piccolo a disposizione, all'interno del mio cervello, che osservava il corpo a grandezza naturale attraverso una piccola fessura, ma intuì d'esser chiuso all'interno di un contenitore, una cassa o qualcosa di simile, ma il come ci fossi finito, il perché ci fossi finito o il chi mi ci avesse spedito, erano domande senza risposta alcuna.

Era una sensazione claustrofobica e snervante che non capii fino in fondo nemmeno finché, non mi cominciai a stufare di rimanere in posizione fetale all'interno di una qualche specie di scatola, cercando con il mio momentaneo mini corpo nudo, di trovare un'uscita, mentre il corpo a dimensioni normali, era finito col correre all'interno di una piazza enorme e deserta, dove solo una piccola statua in movimento si ergeva al suo centro, raffigurante un bambino posto su un piedistallo dalla base tonda e cementificata, che grazie a qualche meccanismo interno, ruotava su se stessa.

Quel bambino, potendo esser ben analizzato dall'acuito udito del mio corpo tutt'ora in autonomia, mi ci fece trovare in esso, così tante somiglianze con me, che presunsi d'esser io, scolpito da piccolo, come se potessi essere quel famoso bambino intento magicamente, a dar vita ad un mondo all'interno dei suoi palmi, con il ripetitivo allontanamento e avvicinamento delle braccia.

C'era un inquietante silenzio, a parte i rumori composti dalla corsa verso la statua in movimento, che rieccheggiando sulle pareti degli edifici, plasmarono la piazza, indicando al mio indipendente corpo, 7 vicoli stretti che la circondavano simmetricamente.

-”se c'è ancora buio vuol dire che”- disse la ragazza che si arrestò proprio sotto il piedistallo della statua riprendendo fiato -”dovremo cercare la via giusta alla cieca”- concluse, mentre, nel frattempo, ero ancora intendo a spingere con tutta la mia forza il coperchio che mi teneva chiuso all'interno di me stesso, che seppur sforzandomi, non si era nemmeno mosso.

-”se mi dici in quale di queste vie dobbiamo addentrarci, posso aiutarti”- disse la mia voce senza che io le chiedessi di prendere la parola, facendo fermare il mio piccolo corpo che era ancora intendo a muoversi freneticamente per uscire, e facendo persino stupire la ragazza, che grazie al propagarsi del rumore generato dal suo ansimare per cercare di riprendere fiato a causa della corsa appena conclusa, vidi attraverso lo spiraglio, mentre cercava di guardarmi storto pur non vedendomi -”mi stai dicendo che vedi al buio ragazzo?”- domandò di seguito alla sua strana smorfia -”gli occhi non vedono, ma le orecchie hanno composto la planimetria della piazza mentre correvamo. Se mi dici quale via intraprendere, saprei indicartela e portartici”- si limitò a rispondere, nuovamente senza il mio consenso, la mia voce tranquilla, come se non ci fosse nulla di strano in se, in me....

-”Mia madre presumeva tu fossi un automa elfico di Santoriu ed Efestus, e ciò che hai appena detto mi fa credere che avesse intuito giusto, anche se ciò che si percepisce dalla tua aura, è qualcosa di ben al di là della tecnologia, seppur avanzata, costruita da quei due”- sentenziò lei facendo notare nel timbro della sua voce, una tranquillità che prima non aveva -”dobbiamo prendere il quarto vicolo a sinistra rispetto a quello dal quale siamo appena usciti”- informò accondiscendente facendo un piccolo sorriso di speranza.

-”Dopo averlo imboccato, noteremo delle luci al centro delle arcate sotto i portici ai nostri fianchi, nei quali, dovremo imporci di correre tenendo il capo chino per non incombere in pericoli derivanti dai super impazziti che bazzicano per quel vicolo durante la notte nel caso si sentissero osservati, ed infine, proprio di fronte a noi, potremo vedere le luci di alcuni lampioni che circondano una villa, e sarà in essa che dovremo entrare, dato che ci abitano Nicolay e Maiolo, amici di mia mamma che possono aiutar....”- si era espressa con così tanta naturalezza, che presunsi si stesse legando ad un ricordo che aveva, di quando la prima volta aveva dovuto andare da questi suoi amici di notte, ma quando mi resi conto che il mio corpo si era mosso alla velocità del pensiero, prendendo in braccio la ragazza e portandola a percorrere tutto il tragitto descritto nella frazione di un secondo, capì, che avrei potuto rimanere all'interno del mio cervello per sempre, se non mi fossi ripreso con la forza, ciò che mi era stato, senza un apparente motivo, tolto così facilmente. Il controllo della mia vita.

Il mio corpo, dopo aver oltrepassato anche i portici, troppo in fretta per scorgerne i loschi figuri in essi nascosti, volò su per quella gradinata ampia della grande villa, fermandosi solo arrivando davanti al grande portone dell'entrata, posto al centro di una rientranza sostenuta da colonne ottocentesche fiocamente illuminate dalla luce proveniente dai lampioni che circondavano l'abitazione.

Io presi coraggio, perché ok avere dei super poteri incredibili, ma se questo fosse il prezzo concesso solo di conseguenza alla totale perdita di controllo sul mio stesso corpo, non mi sembrava accettabile come baratto, dato che non provavo emozioni in quelle condizioni, somigliando ad un autistico che fa le cose come gli vengono senza pensare al, se è giusto o sbagliato fare e dire ciò che fa e ciò che dice, esprimendosi con voce robotica e agendo veloce quanto il pensiero stesso, così, arrabbiato per il fatto di non possedere il mio corpo e tutto ciò che concerne le movenze e gli atteggiamenti, poggiai i piedi nudi sul fondo del qualsiasi cosa mi contenesse e impressi i palmi sul soffitto di tale contenitore, imprimendo più forza che potei per liberarmi da una situazione divenuta improponibile ed insostenibile dopo aver compreso che il mio corpo a dimensioni normali, avrebbe continuato a condurre inesorabilmente una vita senza considerare me, il suo possessore, il suo comandante, la sua coscienza.

La ragazza, dopo esser tornata a toccare terra e non senza ringraziare il suo apatico conoscente, stava bussando al portone con fermezza, e mentre qualcuno dall'altra parte ci stava cordialmente aprendo facendo uscire la luce che proveniva dall'interno della villa abbagliandoci, io, cominciavo a provare una sensazione fantastica, riuscendo, sforzando ogni muscolo del mio piccolo e nudo corpo, ad alzare il coperchio della mia prigione riuscendo a sbirciare meglio il luogo nel quale ero capitato.

Dalla fenditura che tentavo di rendere più ampia, fuoriuscì una luce accecante, tanto quanto era accecante la luce che dall'interno della villa, ci stava illuminando la penombra nella quale ci trovavamo stando in piedi sulla soglia.

Fu come un'esplosione di energia, fu come accecarsi, fu un dolore unico anche se allo stesso tempo, mi sentii come se non fossi mai stato tanto forte, finalmente libero.

Il mio miniaturizzato corpo, urlò per lo sforzo grazie al quale scoperchiò il circuito chiuso nel quale si trovava, e continuando ad urlare a squarciagola, fisicamente si disgregò implodendo, seguendo l'eco del proprio urlo fra i meandri del proprio subconscio, riuscendo in qualche modo ad uscire da esso, penetrando in ogni connessione neurologica, in ogni arteria, in ogni muscolo, vibrando in ogni mia singola cellula come un urlo, come una luce, cercando di farmi obbedire, dal mio vero corpo, come sempre avevo fatto senza complicazioni.

Venni illuminato da un bagliore esterno e contemporaneamente, da uno interno, e la cosa, essendo non solo sincronica ma anche emotivamente nuova, mi fece spegnere completamente, manco fossi davvero un automa, un robot, una macchina troppo sovraccaricata che fonde e si spegne, infine, abbandonando ogni movenza cosciente ed incosciente, svenni, notando, in maniera molto sfocata, che il ragazzo che ci aveva aperto il portone, stava per prendermi prima di farmi schiantare al suolo.

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Capitolo 6
*** SALTO SPAZIO TEMPORALE ***


-”Sapevo che prima o poi avrebbe deciso di uscire allo scoperto, quando fosse stato pronto per il secondo round”- si limitò a dire Zeus, abbozzando un sorriso, dopo che Dionis, era tornato nel monte Olimpo, dando l'informazione riguardante la fuga dal convento, da parte del loro esperimento -”ho provato a cercarlo, ma la sua traccia sparisce sulla spiaggia, dove Morte l'aveva accompagnato 7 anni fa”- si scusò il dio del vino -”non preoccuparti”- lo tranquillizzò il dio dell'atmosfera, mentre se ne stava seduto sul suo trono soffice, composto da pompose nuvole bianche -”dopo la seconda guerra mondiale, nella quale siamo scesi in campo anche noi, avevo già previsto la sua fuga, quindi vai pure ad ubriacarti dove ti pare”- concluse Zeus facendo un gesto con la mano al fratello facendogli capire che poteva anche andarsene -”con il tuo permesso”- rispose lui, e dopo aver fatto un piccolo inchino, trasformò il proprio corpo, coperto da vesti bianche e viola, somigliante ad un mussulmano che faceva il prete, si spiattellò, come al suo solito, sul pavimento di cristallo del salone principale del monte Olimpo, lasciando di se, solo una macchia s di vino sul pavimento, che nei secondi successivi, evaporò e sparì.

Zeus era felice dato che aspettava quel momento da anni, e dopo essersi alzato dal suo morbido trono, lo fece sparire come al suo solito risucchiandolo come se le punte delle sue dita, fossero dei piccoli aspirapolveri, per poi incamminarsi spavaldamente, verso la voragine che lui stesso aveva creato grazie ad una scarica di fulmini sulla cima della montagna, per avere un poggiolo dal quale osservare il panorama composto dal sole lontano e dalle sue piccole amiche nuvole che, sparse qua e la nel limpido cielo di quel felice giorno, allietavano ancor di più il suo umore.

Osservò compiaciuto il paesaggio per qualche momento, finché, percepì l'arrivo di un altro dei suo fratelli, stavolta, uno di quelli di cui si fidava di più, e mentre la piccola poccia d'acqua si espanse fino ad irrigidirsi, alzandosi contro gravità verso l'altro, componendo una massa simile ad un corpo, il dio atmosferico, cominciò a parlargli, senza distogliere lo sguardo dalla nuvola più lontana di quel quieto paesaggio -”ho un compito per te Poseidone”- disse pacato -”devi portarmi l'esperimento, vivo preferibilmente dato che da morto non serve a un bel niente”-.

Appena il fratello maggiore finì di auto comporsi, rispose accondiscendente -”ovviamente vivo fratellino, ma, dato che potrebbe già esser, in qualche strano modo, arrivato a nascondersi nelle dimensioni da lui costruite anni fa, ti chiedo di acconsentire a far muovere anche le mie pedine”-.

A Zeus era sempre piaciuta la saggezza del fratello, come la sua impetuosità, rispondendo solo dopo essersi girato verso di lui guardandolo negli occhi -”stai solo attento a non perdere pedine ancora prima di cominciare la vera e propria battaglia, per il resto, sentiti libero come al solito nel prendere decisioni”-.

Zeus, indossava una lunga veste bianca, composta dalle sue nuvole più pompose, e come al suo solito, era circondato, da piccoli fulmini dorati che gli davano proprio un'aria da divinità, mentre invece, il fratello, indossava una veste lunga anch'essa, ma azzurra come il cielo o come l'oceano quando sono entrambi limpidi, circondato, come al suo solito, da sottili lastre di ghiaccio somiglianti a lunghi vermi bianchi che cercavano di mordersi la coda l'un l'altro.

La situazione era questa, divinità mitologiche che si divertivano a manovrare qualcosa di enorme come il mondo intero, dando importanza solo a coloro che decidevano loro, solo perché si definivano superiori rispetto alla razza abitante sul pianeta che li stava ospitando silenziosamente da secoli.

-”Comprendo l'importanza del suo ritrovamento fratellino”- continuò Poseidone -” ma ti informo che non utilizzerò il mio completo potere, ovviamente per non causare la malcapitata prematura apparizione di Morte nei riguardi dell'esperimento, riuscito a rimanere in vita fino ad ora”- ed espresso questo pensiero, il dio degli oceani, mutò in una pozza d'acqua, e come poco prima Dionis, finì con l'evaporare nel giro di qualche secondo lasciando nuovamente Zeus, a crogiolarsi nei giorni precedenti alla tanto attesa rivincita sul genere umano, alla quale, tempo prima, aveva concesso la mutazione genetica che gli permise di progredire, dallo stato di animale inutile, allo stadio di umano utile, che col passare del tempo, però, diede vita a forme di vita differenti, meno controllabili, i cosiddetti mostri, i cosiddetti super, i quali, inizialmente, popolavano la minima parte del pianeta, ma che, col passare del tempo, proliferarono, secondo lui, senza il suo consenso, dovendo semplicemente limitarsi, alla cieca obbedienza e ad una monotona vita, dovendo rimanere assoggettabili a piacimento.

Ma a causa della creazione dell'esperimento, che sarebbe dovuto essere la loro condanna, esso, senza nemmeno generare dubbi riguardo alla fiducia che le divinità riponevano in lui, fu in grado, grazie alla sua capacità di generare dimensioni alternative, di nascondersi e nascondere ai suoi occhi come a quelli dei suo fratelli e sorelle, le sue intenzioni assiame ai cosiddetti super, insultando il loro sforzo per far diventare, l'effimera razza, il loro gioco personale, contro il quale, avrebbero dovuto vincere a tavolino durante la seconda guerra mondiale.

Questi, come altre vagonate di pensieri, gironzolavano nella mente della divinità, che ora, si sentiva più vicina, di quanto si era sentita vicina al suo fine, quando crebbe, assieme alla sua famiglia, l'umano, definito esclusivamente come esperimento, 7 anni prima, dato che ora, il fatto che il ragazzo possedesse più vigore, fosse più grande e di conseguenza, più in grado di controllare i poteri che gli erano stati insegnati nei suoi primi anni di vita, gli diede la speranza che aveva perso, sempre per colpa dell'esperimento, durante la guerra.

Compiaciuto per l'imminente conclusione di tutto, si fiondò al di fuori della montagna scomponendosi in tanti fulmini che rimbombarono nel limpido cielo, volendo far parte di quel bel paesaggio, nel quale, a quanto pare, mancava la sua presenza.

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Capitolo 7
*** SALTO SPAZIO TEMPORALE ***


Ero sulla terra da qualche anno ormai e mi ero abituata al fatto che si vivesse più sott’acqua che sopra, anche al fatto di non poter fare a meno delle tecnologie quali tute, depuratori e veicoli. Eppure, c’era sempre qualcosa che mi mancava.

Di certo non gli amici, dato che avevo una connessione tecnologica con la maggior parte degli umani, di certo non mi mancava il rispetto, la salute e nemmeno la libertà, ma sentivo il bisogno di avere o essere, altro.

Non mi andava giù questa cosa.

I miei genitori adottivi mi dissero d’avermi trovata sulla terra mentre erano in esplorazione, all’età di vent’anni, ma pur sapendolo, non avevo idea di chi fossi stata per vent’anni, ne dove fossi stata per tutto quel tempo, dato che al massimo, sulla terra, ci si può vivere senza tute protettive solo per qualche ora, prima di beccarsi ustioni.

Sono 2 anni che vivo sott’acqua ora, e non me ne lamento certamente, pur vivendo sola, data la durata media di una vita di circa 105 anni e date le leggi (secondo il mio punto di vista) perfette, quali:

Rispetto, salute e libertà (le 3 leggi basilari dell’umanità in questo pianeta).

Vivo all’interno di cupole (io li chiamo circuiti chiusi).

Ogni essere senziente ha il proprio circuito chiuso, esso è governato principalmente da 2 intelligenze artificiali, ai quali è possibile dare un nome volendo.

Esse hanno un algoritmo incorporato che gli fa eseguire le 3 leggi principali e non vanno mai contro all’occupante della cupola, se non quando desidera intercedere a una delle leggi.

La vita è splendida.

Ci teniamo in contatto fra noi, ma volendo, ci sono persone che vivono girando il pianeta, sole.

Tutti abbiamo i nostri personali, oggettivi, inopinabili, reali e assoluti punti di vista, appunto sapendolo, ad ognuno è concesso, dato che l’organismo ne necessita, d’avere salute (beni materiali,, frutta, bagni, cucine, indumenti, stampanti 3D e due intelligenze artificiali che ti insegnano come funzionano le cose), dato che il corpo ne necessita, d'avere rispetto (nessuno fa lotte se non gli animali, ogni scoperta viene condivisa, nessuno ha più di qualcun altro dato che tutti hanno ciò che vogliono, ognuno ha rispetto per se stesso e per gli altri e alcuni presumono perfino, che siamo tutti dei di noi stessi), ed infine, ciò che serve a mente e corpo, libertà (non vuol dire esser liberi di uccidere, rubare, sporcare, dato che ciò andrebbe contro le prime due leggi, ma bensì, liberi di avere la nostra vita nelle vostre mani, presente e futura).

Essendo e avendo tutto questo a disposizione, però, sento come se mi mancasse qualcosa, o qualcuno e probabilmente (ne sono quasi certa), non solo i primi miei 20 anni, ma anche quelli di qualcun’altro.

 

Le angeliche (un gruppo di sacerdotesse vergini) mi hanno contattato esattamente due giorni fa chiedendomi di incontrare una donna, dicendomi di aver conosciuto qualcuno che potrebbe aiutarmi con il mio problema di “voracità” (intendendo dire che tutti abbiamo tutto il necessario, avere il necessario ti fa sentire “sazio” della vita, e quindi mi chiamano “vorace” presumendo che io non mi accontenti del fatto d’avere il necessario).

La cosa non mi disturba, comprendendo che il mio punto di vista personale, oggettivo, inopinabile e reale riguardo a me stessa, comparato con altri punti di vista, diventa soggettivo, opinabile, irreale e relativo.

Per gli altri sono definibile “vorace”, secondo il mio punto di vista, mi sento solo spaccata a metà, vuota dentro, nulla a che fare con l’essere vorace.

Sono appena arrivata al punto di incontro dopo due giorni di viaggio, e aspettandola mi faccio cucire, dalle intelligenze artificiali, un vestito per l’occasione, mi faccio cucinare qualcosa, mi lavo, mi vesto, mangio e attendo con impazienza.

La Sanfy è una ragazza un po’ eccentrica e con un umorismo tutto suo, dato che dopo aver collegato i nostri circuiti chiusi, si presentò tramite un alter ego.

Con alter ego, lei intende trascendere, uscire dalla sua mente ed entrare negli oggetti.

Curva talmente tanto la massa nel quale racchiude la sua coscienza, da potersi trasferire in qualsiasi cosa toccandola, a unica condizione, che siano oggetti (non può trascendere nelle stelle ne in cose altrettanto grandi, nemmeno nelle persone, potendosi trasferire, quindi, in ciò che non è provvisto di coscienza).

Ha una fissa per qualsiasi gioco della terra, tanto da essere ludopatica (patologica malattia del gioco d’azzardo), e per tutta la sua vita, trascende, anche perché restando in trascendenza, il suo corpo e la sua mente non invecchiano.

La parte brutta è che ha il potere di controllare solo cose inanimate, con questa coscienza e consapevolezza, però, vede il suo corpo e la sua mente come oggetti, pur essendo nata in loro.

Decidemmo di stare nel mio circuito per farmi stare più a mio agio, avendo non una, ma entrambe le intelligenze artificiali a proteggermi, nel caso si rivelasse aggressiva o violenta.

Appena i portelloni delle capsule collegate si aprirono, incontrai una ragazza giovane e bionda che spingeva una carrozzina con uno sguardo molto serio, su di essa, la stessa identica ragazza, con una smorfia sul volto, la lingua di fuori, mentre il resto del corpo era immobilizzato in assetto mantide religiosa.

Dopo aver conversato pacatamente con la ragazza seria, seduti su ciò che le intelligenze costruirono per farci conversare comodamente, mi raccontò queste cose di persona, spiegandomi d’essere in trascendenza facendomi un curioso scherzo, che lei ha definito necessario, per farmi capire meglio il suo potere.

Mi disse che due ragazzi nati sulla Terra, le avevano costruito l’alter ego come regalo d’amicizia, in tutto e per tutto uguale esteriormente al corpo d’origine, ma all’interno, completamente vuoto tranne la sua coscienza trascesa.

Mi spiegò, prima tramite l’alter ego, poi trascendendo nel corpo della ragazza in carrozzina, come funzionava il suo potere e come pensava di aiutarmi col mio problema.

-“Di terre ce ne sono infinite, solo in questa parte di universo”- mi disse guardando il corpo ora sdraiato del suo alter ego, trascendendo il lui, poco prima d’essersi lasciata in una strana posa e con una strana smorfia – “solo pochi però, sanno dell’esistenza di altri pianeti abitati”- continuò il discorso alzandosi dal pavimento –“ancora meno sanno attraversare tanto tempo e tanto spazio, essendo in grado, di viaggiare su altre terre”- mi informò seria -“per tua fortuna conosco chi sa viaggiare fra i mondi, essendo io qui, grazie a lui”- raccontò cominciando a sorridere.

Il bambino che le permise di esser qui con me, viveva sulla terra da cui proveniva lei, ricolma di umani, tanto quanto di Super .

I Super sono parte dell’umanità, ma non ne fanno esattamente parte.

Lei è un Super, come questo bambino prodigio che elogia appena ne ha l'occasione.

È stato difficile seguire i vari discorsi, ma ero talmente entusiasta e stupita del momento in cui ero e con chi ero, che avevo proprio intenzione d’acquisire ogni informazione utile, come avrebbe fatto ogni persona abituata alle leggi della mia attuale terra.

Mi svelò molto di ciò che sapeva, ma la realtà dell’universo, fu una delle realtà più interessanti che avevo mai ascoltato:

-“Una grande esplosione, all’alba dei tempi, cominciò a generare l’universo attuale ancora in espansione. Dalle galassie, ai sistemi solari, alle stelle, ad ogni essere vivente e ogni singola micro e macro particella e/o onda in esso”- mi esplicò ancora in trascendenza – “su uno dei primi pianeti abitabili che si creò, si svilupparono forme di vita intelligenti, ed avendo avuto circa 50 milioni di anni in più, per crescere e svilupparsi, rispetto ad altre forme di vita intelligenti su altri pianeti, furono i primi ad accquisire abbastanza intelletto da esser pacifisti dalla nascita fino alla morte”-.

Più la ascoltavo e più mi portava a vivere le esperienze di costoro, Olimpi, abitanti di Olimpo, e Titani abitanti di Titano.

Le due fazioni erano equamente intelligenti, non si erano mai fatti guerre l’un l’altro per reciproco rispetto, ma a causa dell'imminente scontro fra i loro pianeti, decisero di confrontarsi, finendo con far avvenire qualcosa che stravolse entrambe le loro specie.

-“semplicemente fecero sesso”- disse il vero corpo della Sanfy abbozzando un sorrisetto losco, mentre l'alter ego era afflosciato sul pavimento – “l’esplosione tra i due pianeti, non solo rischiò di far estinguere entrambe le specie, o anche solo una delle due, ma inaspettatamente, prima di arrivare ad una conclusione, plasmarono un nuovo genoma…. Gli Dei”-.

Col tempo, la minaccia di una collisione fra i due pianeti, perse momentaneamente d'interesse, dato che la preoccupazione più grande, cresceva fra di loro.

-“Gli abitanti di questo pianeta, come pure quelli del pianeta da cui provengo io, sono stati modificati a tal punto da evolvere con raziocinio e un fisico simile a quello degli Dei.... Possiamo definirci vivi solo grazie a loro, possiamo definirci tutti, figli loro”-.

 

La biondina che ora aveva la mia completa e assoluta attenzione, sembrava ricordarsi il discorso a memoria, come se il bambino che le aveva raccontato tutto, le avesse anche impresso nella mente, immagini riguardanti quegli avvenimenti, come se lui li avesse visti proprio mentre accadevano.

-“l’evoluzione avanzò in due direzioni: umani normali”- e dicendo normali fece il segno delle virgolette con le dita, appunto perché tanto normali non sono, dato che normalmente non sarebbero esistiti senza gli Dei – “e i Super. La prima specie non ha poteri, viene governata da se stessa nella quasi totale ignoranza, viene strumentalizzata dalla gerarchia piramidale nella quale si trova, la maggior parte di costoro, sopravvivono dipendendo psicologicamente e fisicamente dal valore di monete e denaro (soddisfatti non si sa come, pur sapendo di valere meno dei soldi), arricchendo la minoranza che li governa”-.

Ne era visibilmente schifata data la faccia che aveva durante la spiegazione – “i Super invece, vivono sullo stesso pianeta, ma si nascondono, sia degli umani, sia dagli Dei. Involontariamente, la mutazione genetica indotta, ha sortito effetti differenti da persona a persona, sviluppando poteri di vario tipo. Essi lavorano come gli umani, mantengono segreto il loro potere avendo già avuto perdite a causa del razzismo umano. Sono qualcosa che gli umani schifano, ma vengono schifati ancor di più dagli Dei che li definiscono errori involontari, visti da loro, solo come la prova che persino gli Dei possono sbagliare”-.

Mi parlò di big bang, pianeti e stelle, creature in fase evolutiva che si combinano prima di una collisione fra i loro pianeti, Dei superiori, di quasi tutto l’universo plasmato da costoro a loro immagine e somiglianza, potendo definire perfino me stessa come loro figlia, capendo che l’evoluzione indotta, ha portato mutamenti inaspettati creando umani e Super, dando a questi ultimi, poteri particolari, ma in grado solo di nascondersi dagli umani “normali” e dalla loro stupidità, mentre sperano di non farsi notare dagli Dei stessi che probabilmente, li annienterebbero con no chalance, come hanno fatto con i loro genitori e i rispettivi pianeti non appena capirono di averne l'opportunità, facendomi seguire i suoi discorsi solo in maniera approssimativa.

-“Colui che mi ha permesso di venir da te, è l’unico che ha il potere di generare entanglement: cambiamenti nello spazio e attraverso il tempo”- mi disse trasmutando nel suo originario corpo sulla sedia a rotelle, avvicinandosi, non curante dell’alter ego che nuovamente finì con la faccia a terra – “ti assicuro che pur essendo ancora un bambino è incredibile…. Come ti potrebbe sembrare l’intera faccenda, capisco, ma se sei interessata, pur non avendo poteri, credo tu possa centrare qualcosa in tutto questo e la somiglianza che hai con questo bambino non mi sembra essere qualcosa di ininfluente”-.

Tornando comoda sulla sedia, continuando a parlarmi con le braccia incrociate, la testa bassa e gli occhi chiusi, immersa nei suoi pensieri mentre gli dava voce, continuò – “le Angeliche mi incontrarono poco dopo il mio arrivo parlandomi del tuo problema di voracità, che io, definirei più come un problema di mancanza…. Non può essere che l'incontro con le Angeliche, ed il mio con te, sia casuale, dato che il bambino era molto metodico e conoscendolo, non mi avrebbe entanglammato in una galassia, ma nemmeno su un pianeta, diverso da quello sul quale avesse realmente intenzione di mandarmi”-.

Disse molto altro immersa nei suoi pensieri mentre cominciai a non capire alcune parole, poi alcuni discorsi, finché alle tante, smise di parlare completamente.

Spezzai il silenzio – “Sanfy ma cos'è l'entanglement? Come farai a tornare al tuo pianeta? Io come posso venir con te e poi, perché dovrebbe aiutarmi con i miei problemi tutto questo?”- avevo tante domande, ma queste furono le prime che mi vennero in mente, peccato che la ragazza strana conosciuta poco fa, si era abbioccata mentre pensava, oppure si era addormentata per lo sforzo di tutti quei trasmutamenti fra lei e il suo alter ego ancora afflosciato sul pavimento della mia capsula.

Attendendo il suo risveglio, alzai il suo stranamente leggero avatar, poggiandogli la schiena sulla sedia a rotelle, decidendo di andarmene a fare una pennichella attendendo il suo risveglio.

Mi fidavo di quella sconosciuta, non mi dava l’impressione di scherzare e chiedendo una opinione anche a Bodo e al Tita (le mie 2 intelligenzre artificiali), li trovai favorevoli alla sua permanenza momentanea nel nostro circuito, dicendomi che le avrebbero fatto trovare un bel pranzo sostanzioso al suo risveglio.

Io mi feci ricostruire, come ogni volta che desideravo dormire, un bel letto comodo e ricordai ai due, che anche io avrei avuto fame appena mi fossi risvegliata, lasciandomi poi, andare alla comodità e al sonno, seppur avendo avuto una conversazione ampia che mi dava molto da pensare, chiusi gli occhi, mi accomodai e crollai, manco avessi fatto chissà quale sforzo fisico, eppure, presunsi, mi aveva inferto un bel danno mentale il discorso della Sanfy, che mi affaticò tanto da non voler più pensare alla grandezza dell’universo per il momento, così crollando, senza preavviso, nel mondo dei sogni:

 

Il posto nella quale mi trovo è appuntito, angusto e umido.

Sono posta come una osservatrice nel sogno, che mi trasporta nel suo ineluttabile corso, alle spalle di un bambino dai capelli e dai peli delle braccia corti e arancio fluorescenti, che fungevano incredibilmente, come unica fonte di luce del luogo nella quale ci troviamo.

Il rumore ripetitivo generato dal protagonista del sogno, mentre si aggrappa e si lancia, da una stalagmite appuntita ad un'altra, non può fare altro che echeggiare nell'immenso silenzio che ammanta il buio che ci circonda, palesando l'immensità del posto, ed una certa fretta da parte del bambino luminescente di arrivare a destinazione.

Non posso osservare il viso della persona alla quale, sono appiccicata come fossi un angelo custode iper protettivo, mentre è impegnato, ad arpionarsi ad ogni appiglio con una agilità e destrezza impressionanti, ma posso notarne la corporatura, nascosta all'interno di un paio di pantaloni ed una maglietta dal colore simile al carbone, la statura, con la quale lo incasellai in una fascia d'età molto giovane, compresa fra i 6 e i 14 anni circa, il brillante e chiaro colore di capelli, che gli concedeva di proseguire, riuscendo ad illuminare le seguenti stalagmiti, abbastanza lunghe o spesse, sul quale appoggiarcisi per poi stringerne attorno le dita, agguandole bene solo per lanciandosi nuovamente, non rischiando di aggrapparsi a spuntoni meno resistenti o troppo appuntiti.

Dopo qualche altro spostamento, lo osservo, mentre rallenta gradualmente velocità, con una conseguente, diminuzione di luminosità emessa dal corpo, come se stesse girando la manopola di una lampadina interna, finendo con lo spegnersi, tenendo le gambe e le braccia tese per fissarsi al soffitto come una piccola stella marina forzuta, e completamente immobile, in silenzio, attende che accada qualcosa.

Stranamente, dovettimo aspettare parecchio prima che accadesse qualcosa e quasi mi addormentai nel mio stesso sogno per la noia, ma improvvisamente, come se il bambino avesse saputo il luogo, ma non esattamente anche il momento giusto al quale arrivare, in un punto lontanissimo al di sotto di noi, una luce tonda e bianca, illuminò il buco profondo nel quale si accese e cominciai a sentire qualche parola, seppur ovviamente in ritardo, dato il tempo che il suono ci metteva ad arrivare alle nostre orecchie riecheggiando.

-”Avevate detto che il ragazzo avrebbe funto da contenitore, ma rigetta il potere e mancano ancora i tre più importanti. Oltre che piangere sangue sembra perdere il controllo, ma abbiamo deciso di mandarlo sul campo di battaglia, anche se somiglia ad uno strumento rotto!”- urlava una voce arrabbiata di un uomo, che pareva famigliare -”magari l'avete preso troppo giovane”- rispose un'altra voce maschile ma sconosciuta, che arrivò come un bisbiglio dato che sembrava parlare a fatica -”c'eravamo accertati del fatto che i primi loro anni di vita, sono i più malleabili. Cosa dovrei fare, ucciderlo e ricominciare? Sapete quanti anni mi ci sono voluti per fargli apprendere ciò che sa fare ora?”- chiese la voce famigliare senza però attendere risposta -”con i fratelli e sorelle abbiamo decretato uno stato di quiete per quanto riguarda la guerra, ma incombe, e non abbiamo esattamente il numero esatto degli avversari, ne la conoscenza delle loro super....”-.

Lo sapete che ci dispiacerebbe andarcene dal pianeta dopo averlo abitato per milioni di anni, dovendo affrontare il fatto di aver fallito.... Per la seconda volta. Io non accetto un'altra sconfitta morale, e se per vincerla, stiamo seguendo un vostro consiglio, sperate quanto lo speriamo noi, che lo strumento non fallisca”-.

Intuì che lo strumento era quel bambino e che avrebbe dovuto affrontare una guerra da così giovane, che avrebbe dovuto uccidere, che avrebbe messo in una situazione probabilmente peggiore, coloro che avevano consigliato proprio lui per quel compito ed anche, che era li per sapere, se sarebbe dovuto scendere in battaglia anche lui o meno.

-”fratello”- disse un'altra voce distraendomi dalle mie intuizioni -”Ade, come mai anche tu qui?”- chiese la voce famigliare -”sapevo di trovarti qua.... dobbiamo parlare”- disse la nuova voce con pacatezza -”lo sai che questa guerra contro i super, o vedrà noi, vincitori, con la conseguente estinzione della razza per la quale provi tanto risentimento per colpa delle loro mutazioni involontariamente causate da noi, o vedrà loro, dispersi per il pianeta cercando di nascondersi fra gli umani. Ma entrambe le conclusioni, come ti ho già detto, vedono esclusivamente me come vincitore, dato che della loro vita, attraverso Morte, me ne ciberò in entrambi i casi, ma l'arancio.... Non può combattere per troppo tempo senza rischiare di morire o di perdere il controllo di se. Comprendo il tuo volere ma, non nego che quell'umano, abbia già sofferto abbastanza solo per aver appreso i poteri dei nostri fratelli e sorelle, e non possiamo appesantirlo anche con i nostri o morirà sicuramente e questo, fratello, non gioverebbe alla nostra situazione”-.

Si era espresso con molta calma e si era fatto ascoltare, ed in risposta, la voce che avevo già sentito parlare, arrivando a me solo come un sussurro, prese la parola nuovamente -”sappiamo come ci si sente dovendo prendere decisioni difficili per i propri figli, ma siamo tutti d'accordo ormai, lo strumento verrà utilizzato, altrimenti, aspettare una futura guerra mondiale terrestre, potrebbe portare i super, a proliferare ulteriormente. Ciò, va contro la vostra ideologia, secondo la quale, solo i primi esperimenti, esclusivamente umani, abbiano il diritto di vivere, essendo più facilmente controllabili, governabili e più utili, ragion per cui, lo sterminio della razza impura dei super, non può attendere oltre. Mi dispiace figlio mio, ma è necessario per il vostro scopo, e solo per ribadire, un suo successo, secondo il nostro patto, ridonerebbe a tutti noi, segregati all'interno di questa montagna, all'interno di questa prigione, la tanto attesa libertà”-.

Il bambino del sogno era ancora immobile, come se fosse rimasto impassibile a ciò che quelle persone stavano dicendo riguardo lui, ma percepivo il peso delle sue future scelte, come se quelle scelte, le dovessi fare anch'io e mi sentì così giù di morale che fui triste per tutto il resto del sogno.

-”Non verrai punito Ade, dato che il tuo punto di vista sulla situazione non è un punto di vista da prendere alla leggera come quello di un fratello qualsiasi, ma dato che la tua idea va contro tutte le nostre, riceverai comunque la tua punizione, e sarà quella di non poter far nulla per fermarci, dovendo star a guardare mentre il tuo protetto, assieme ai nostri fratelli e sorelle, utilizzerà i cunicoli per raggiungere la terra, finendo con il confondersi fra gli umani, combattendo dalla loro parte, solo finché non incontreranno super, ed in quel caso, vedrai cosa è in grado di fare lo strumento, ricevendo grazie a lui, più anime di quante te ne siano mai capitate”-.

-”Fratello, accetta il fatto che il nostro esperimento sugli omini, abbia portato a generare super entità, in grado di avere dei vantaggi su tutti gli altri. Accetta anche il fatto, che sarà proprio il nostro strumento a sterminarli sotto i nostri occhi. Agisci di conseguenza Ade, perché non hai potere decisionale attualmente, ne qui, nel tuo Tartaro, ne al di fuori, dato che le decisioni riguardo a ciò che sta per accadere, sono già stata approvate da tutti gli altri. Se il ragazzo dovesse fallire, saresti l'unico ad avere ragione, ma a quel punto, o lo ucciderò personalmente, oppure lo utilizzerò a mio piacimento per il resto della sua infima esistenza”-.

Gli interlocutori, concedevano a tutti di parlare senza interruzioni, peccato solo che il protagonista del sogno, fosse li ad ascoltarli parlare di lui, come fosse un loro strumento, insignificante al quale, imporranno di compiere un genocidio.

Mi dispiacque per lui, ed il fatto che stessi per svegliarmi, non mi aiutò ad esser meno in pensiero.

Nessuno dovrebbe decidere per nessun altro, a meno che, la scelta, non conduca la persona a stare meglio, ed in questo caso, era tutto il contrario, ma non potevo fare nulla per cambiare il sogno, nulla per far cambiare idea a quelle persone così lontane, da non vederle nemmeno.

 

Accompagnata dalla sconsolatezza, riaprì gli occhi, tornando a guardare il soffitto della mia cupola solitaria, accorgendomi di aver pianto mentre sognavo.

-”Finalmente ti sei svegliata”- mi disse l'avatar della Sanfy che mi guardava dal tavolo imbandito di cibo non troppo lontano dal mio letto -”Sanfy”- le dissi io sconvolta, mettendomi seduta -”quel bambinoo di cui mi hai parlato, quello che tramite entanglement ti ha portata da me, lo stesso che ti ha parlato di Dei e di tutte quelle cose di cui mi hai parlato....”- presi fiato per imprimere più serietà alla domanda e conclusi -”è possibile che stesse per andare in guerra?”-.

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Capitolo 8
*** SALTO SPAZIO TEMPORALE ***


-”sinceramente Sara, il ragazzo, appena si sveglia, lo farei andare al Monte”- disse una voce di ragazzo non poco lontano dal letto sul quale mi sentivo sdraiato -”credo che mia madre avesse la stessa idea”- disse l'oramai voce famigliare che aveva appena acquisito, per me, anche un nome, a pochi passi dal mio letto -”con il dovuto rispetto”- sentenziò un'altra voce da ragazzo, più lontana e rauca -”avviserei la cima....”-

Di quella discussione non sentì più nulla, dato che probabilmente svenni nuovamente, ma appena mi risvegliai, mi sentì meglio, ovviamente riposato, notando che Sara, la magica ragazza bruna, stava in piedi accanto al letto -”ragazzo che non so come ti chiami, ma eri giustamente spaventato e sconvolto da ciò che ti è capitato. Non dico che capita a tutti, ma molti non arrivano nemmeno a varcare un tunnel se veniamo scoperti da super randagi. Quindi non preoccuparti del fatto di esser svenuto, non è una cosa di cui dovresti stupirti dati gli insoliti eventi”- mi disse lei, facendomi intuire che i due ragazzi e l'omone, non solo erano ovviamente contro di noi, ma che erano super randagi, qualsiasi cosa volesse dire -”hai qualche domanda?”- stupendomi con un tranquillo sorriso.

Ero curioso di sapere qualcosa riguardante il dove fossimo innanzitutto, ma le dissi anche, che l'avevo sentita parlare con qualcuno mentre dormivo, finendo col chiederle anche di quello:

-”Ora ci troviamo all'interno della villa Nicolay e più precisamente al pian terreno, nella sua infermeria, anche se, date le piccole dimensione potrebbe non sembrare. Un posto decisamente sicuro, abitato dal secondo genito della famiglia di stregoni più conosciuta nella dimensione nella quale siamo entrati attraverso l'albero, l'Einstein-Rose, un portale, un cunicolo dimensionale che appunto, conduce chiunque lo attraversi, nella dimensione parallela rispetto alla quale si trova prima di entrarci”-.

-”Fra poco dovrai andare in un luogo, nel quale, persone con particolari abilità, vengono mandate. Più specificatamente, una montagna, insita in un una dimensione a artificiale, un luogo irraggiungibile se non per chi sapesse dove si trova o come arrivarci. Sulla cima di questa alta montagna, si è decretato di costruire una scuola per queste particolari persone, ma non una scuola babbana, o umana dovrei dire, bensì una scuola che aiuta i Super, a utilizzare le proprie abilità senza farsi ne far del male”- rispose lei di buon grado -”io e mia madre pensavamo di portartici subito dopo aver mangiato, ma dato l'ovvio inconveniente, dovrai andarci passando per un portale un po' inusuale che Nicolay ti sta appositamente preparando”-.

Capii, ma tutti questi salti tra una dimensione e l'altra, mi sembravano un po' troppo presi alla leggera, o forse, era semplicemente il fatto di non averne mai sentito parlare, che mi causava un po' di disagio.

Mentre Sara si prodigava a spiegarmi meglio che poteva, mi aiutava ad alzarmi con calma dal letto sul quale ero sdraiato da non sapevo quanto, e lei, accorgendosi che riuscivo a rimanere in piedi anche da solo, continuò a darmi spiegazioni, mentre mi fece cenno di seguirla al di fuori di quella piccola stanza chiamata infermeria, che non aveva bisogno di lampadine per esser illuminata, dato che i muri stessi, emanavano una fievole luminescenza giallastra in grado di renderla visibile nella sua piccola interezza, riempita solo dal mio letto che, mentre seguivo la ragazza ormai uscita dalla stanza, osservai fluttuare a mezz'aria, constatando il fatto d'essere veramente nella villa di uno stregone, dopo esser scappato da super randagi e dopo aver percepito la sensazione soffocante, di farmi piccolo abbastanza, da stare nudo all'interno di uno scrigno, posto dentro la mia stessa mente, osservando il mio corpo muoversi come se non gli servissi più io per decidere cosa fare nella mia vita.

-”Prima di arrivare nel salone, ti vorrei far incontrare anche il maggiordomo di casa”- mi disse la ragazza mora che mi faceva strada, alta poco meno di me, tentando di farmi ritornare ad osservare ciò che avevo davanti, cercando di farmi distogliere lo sguardo, da sogni ad occhi aperti riguardanti momenti precedenti lo svenire davanti ad una persona che apre la porta, e che dal tanto che la vidi sfocata, mi dissi, non avrei mai potuto riconoscerla, nemmeno fosse stato il maggiordomo che stavo per incontrare.

Le pareti degli spaziosi e lunghi corridoi a casa Nicolay, erano come le pareti dell'infermeria: brillavano, erano luminescenti, emanavano luce abbastanza, da rendere inutili, qualsiasi altro tipo di luminarie, dando un'atmosfera accogliente agli insoliti corridoi che attraversammo.

Notai anche il pavimento ed il soffitto, costituiti da lastre rettangolari nella quale mi ci specchiai.

Seguendo la ragazza, alla quale ancora non mi ero presentato, tentando di allontanare la claustrofobia che ancora sentivo addosso, un eco della sensazione provata quando compresi, di non esser più io, a controllare il mio corpo, mi resi conto di camminare in un corridoio uguale ai 7 appena attraversati, che come unica differenza, possedeva una tonda cornice di cemento, che faceva da porta, ad una stanza alquanto interessante che mi fece ritornare con i piedi a terra.

Non era una stanza normale, dato che al suo interno, intravidi dei numeri colorai che si rincorrevano, una successione di uno e zeri, e man mano mi avvicinavo, più accresceva la mia curiosità.

Sara passò oltre, come persa nei suoi pensieri tanto quanto io poco prima, ma io mi ci fermai davanti osservando all'interno, vedendoci un'indefinita dimensione costellata di numeri colorati, come se non avesse esattamente altezza, larghezza o profondità, notando, al suo interno, un ragazzo di media altezza, robusto, che non sentivo parlare, pur notando il palese muoversi delle sue labbra.

-”Sara....”- dissi senza pensare -”che stanza è questa?”- domandai senza distogliere lo sguardo da quell'attraente vivacità di colori in continuo movimento.

Sara si arrestò, accorgendosi che io mio ero fermato, e dopo averla vista con la coda dell'occhio, fare dietro front, mi rispose come se non si fosse mai persa a pensare ad altro -”quella è una stanza particolare. Anni fa, un amico del padre di Nicolay, creò questa enorme stanza per permettere la comunicazione tra questa dimensione e la cima del Monte”-.

Arrivata ad un passo da me, ero ancora sconcertato da quella scena, e notando la mia curiosità, lei continuò -”quello al suo interno è Maiolo, il maggiordomo. Noi non lo sentiamo, quanto lui non sente noi, ma da quella stanza, sta avvisando la presidentessa della scuola del tuo imminente arrivo”- e con tranquillità, ritornò sui suoi passi -”ora possiamo andare nel salone, Nicolay non dovrebbe avercene ancora per molto”-.

 

Per quella ragazza, e per quelle persone, vivere in certi posti, avendo a che fare ogni giorno con Super, deve essere una monotona ripetizione di eventi, ma temetti d'avere una crisi epilettica se avessi continuato a guardare quei numeri colorati , così, tornai a seguire Sara sperando di avere altre opportunità per osservare, ed entrare magari, in quella affascinante stanza.

Senza camminare ancora molto, finimmo per sbucare nell'entrata ampia della villa, dove una grande scalinata portava ai piani superiori e un ragazzo, che indossava un mantello blu metallizzato lungo fino ai piedi, mentre agitava la bacchetta che impugnava nelle sue mani, come se stesse mescolando la pasta, puntando le braccia verso il pavimento, stando in punta di piedi sul primo scalino a partire dal basso, generando con la sua stregoneria, un qualcosa simile ad una macchia di olio sul pavimento, facendo arrivare al macchia, fin quasi al portone d'entrata e ai nostri piedi appena sbucati dal corridoio.

-”Aspettavo proprio te! Vedi di sbrigarti ad entrare nel mio portale se non vuoi che ti ci spinga la carina ragazza che ti sta a fianco”- mi urlò quel giovane ragazzo coi capelli castani e dagli occhi azzurri, che parlando, mi ricordò la prima voce maschile che avevo sentito parlare, con Sara mentre stavo sdraiato sul letto fluttante.

-”Sentite, io credo solo di aver avuto un piccolo problema poco fa, ero scioccato, credo, e non credo di aver nessuna particolare abilità se non quella di svenire”- mi scusai io -”ragazzo”- mi parlò Sara che ora si trovava affianco a me -”anche se non so quale sia il tuo nome e anche se, ne mia madre, ne io, ne Nicolay o Maiolo, ti conosciamo, percepiamo un'aura attorno a te, ed è proprio l'aura di un Super”- mi disse lei sorridendomi pacatamente prima di esser interrotta -”ragazzo da adesso hai un paio di secondi, o ti ci butti tu o ti ci butta lei”- mi urlò Nicolay, evidentemente impegnato a continuare ad applicare impegno in qualsiasi cosa stesse facendo -”non so che dire”- riuscì a sussurrare, prima di esser spinto nuovamente in un portale dimensionale senza il mio consenso -”grazie”- riuscì a sillabare il secondo prima d'esser completamente immerso, sperando che quelle persone mi stessero davvero aiutando, facendomi venir dei dubbi, sul fatto che i buoni, potessero essere quei tre incontrati nella casa nel bosco, e con questo dubbio, sparì dalla villa con la sola speranza di non sortire gli stessi effetti che sortì il primo salto all'interno di un tunnel dimensionale.

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Capitolo 9
*** SALTO SPAZIO TEMPORALE ***


-”Il fatto che la donna sia fuggita prima di esser riusciti anche solo a parlarle, fa capire quanto siamo arrugginiti”- si lamentava Bolpa -”è sicuramente stato in questa casa, ma l'unico indizio che abbiamo, è che quella donna fosse o una strega o una maga, e nemmeno una di quelle sprovvedute”- commentò il principe dei vampiri cambiando discorso, mentre si dava una pettinata inserendo le dita fra i capelli tastandone la morbidezza.

Il corpulento amico, aveva cambiato forma, mutando nell'aspetto di un ragazzo che si sarebbe tranquillamente meritato un lavoro come buttafuori, e dopo aver perquisito l'abitazione ormai abbandonata, uscì dalla porta pensoso -”scusate la mia ignoranza”- si espresse mentre si avvicinava ai due -”ma Tone, non sarebbe meglio che tornasse al Monte? La donna ci ha espressamente detto che è lì che aveva intenzione di portarlo, e non solo dovrai avvisare il tuo regno del suo ritorno, ma anche gli altri piani e ovviamente, anche la cima”- disse, cominciando con una domanda ma concludendo con una affermazione che lasciò un triste silenzio fra loro.

-”Romix, a te quand'è che si è illuminato l'amuleto?”- chiese Bolpa incuriosito dal suo ritardo -”ha cominciato a brillare mentre ero al lavoro, fortunatamente dovetti aspettare solo una ventina di minuti prima che mi finisse il turno”- rispose lui toccando la collana nel quale era incastonato, evidentemente rammaricato di non esser riuscito a incontrarsi col loro prima che decidessero di andare a cercare il loro amico da soli.

-”Michael, Vasco e Lancio avranno sicuramente visto illuminarsi anche il loro, ma pare siano stati più impegnati persino di te”- sentenziò Bolpa mentre si sfilava da una tasca dei pantaloni, il telefono cominciando a pigiare tasti -”a questo punto, mi sembra di capire.... -” sintetizzò Romix visibilmente irritato dalla cosa -”che abbiamo fatto quello che potevamo. Credo che dovremmo aspettarci altre occasioni simili, dato il suo ritorno e lanciarci nell'inseguimento, pur sperando di ricomparire dove sono comparsi loro, ormai, non ce li farebbe trovare e ci farebbe correre rischi inutili, per di più, la ragazza mi sta aspettando e credo che anche voi abbiate le vostre vite sociali al quale tornare, anche solo momentaneamente”- concluse Romeo dispiaciuto fissando l'assassino intento, a quanto pareva, a scusarsi per messaggio con la morosa del suo ritardo.

Decisero quindi, come al loro solito, all'unanimità, di tornare alle loro notorie vite salutandosi con strette di mano, ed ognuno di loro, oltrepassò tunnel differenti:

 

Romeo per tornare a casa propria, dove incontrò la sua ragazza che lo attendeva li fuori preoccupata per il suo orario di rientro insolito.

Non le aveva mai parlato di nulla riguardo alla sua innaturalità, nulla, né dei suoi super amici, né di se, dal profondo....

Stava con lei, dopo che la guerra lo aveva distrutto emotivamente, dopo aver preso la difficile scelta di vivere fra gli umani, dopo aver trovato lavoro come metalmeccanico, dopo essersi preso un appartamento in affitto e dopo averla conosciuta quasi completamente per caso.

Ora, entrambi, hanno amici umani, lavori e vite monotone anche se, la sola loro relazione, rende entrambi abbastanza felici da farli star bene, tanto bene, da dirsi appagati dalla vita che svolgono, fra i loro sogni, fra i loro incubi e il loro amarsi.

 

Bolpa, per ritornare dai propri 3 gatti, dal proprio cane, dalla propria ragazza che lo aspettava già in pigiama nel letto matrimoniale, mentre leggeva uno dei suoi tanti libri di legge, con la quale fa l'amore, litiga, conversa e convive in un condominio dal panorama proteso su una strada principale ghermita da auto, camion, autobus, fortunatamente, non anche di notte.

 

Tone, per ritornare, sconfortato, nella dimensione dalla quale sperava di non tornare tanto presto dato che se l'era svignata senza informare nessuno, a parte la wicca che l'aveva aiutato, della sua improvvisata partenza.

Avrebbe ricevuto una bella ramanzina, ma il ritorno del Vecchio Drago, gli avrebbe dato la giusta scusa per la sua partenza improvvisata, dato che, avrebbe dovuto spiegare la situazione, non solo al suo regno, ma anche a tutti gli altri presenti all'interno del monte.

Sarebbe cambiato tutto da lì a poco, non solo per i Super, non solo per gli umani, ma soprattutto, per gli Dei, che probabilmente, lo avrebbero strumentalizzato, come tempo prima, se solo lo avessero trovato prima di loro.

 

Mentre si allontanavano da quella bella casa nel bel mezzo del bosco, erano accomagnati da pensieri che cambiavano da un momento all'altro, e dal brillio dei loro amuleti, che li avrebbe accompagnati per tutto il resto della loro personale vita, in qualsiasi luogo, in qualsiasi circostanza, tenendo accesa anche la loro speranza.

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Capitolo 10
*** SALTO SPAZIO TEMPORALE ***


Questa volta, finir all'interno di un portale dimensionale, mi scombussolò più del primo salto, forse perché non era esattamente un portale fisso ma era stato fatto attraverso la stregoneria, finendo col chiedermi come si componesse un cunicolo spazio-temporale, ma fortunatamente, in quel momento, mi schiantai di faccia su un terreno morbido, caldo e abbellito da corti filamenti d'erba, distraendomi dai miei pensieri.

Rialzandomi frettolosamente, stordito e sentendomi le faccia e le gambe di gelatina, persi l'equilibrio finendo col sedermi in terra goffamente, prendendomi bene ad osservare quindi, il luogo nel quale mi avevano spinto:

 

L'erboso manto vermiglio costituiva una gran parte del, sembrava, disegno che osservavo, mentre, una immensa montagna di cui non scorgevo la cima se non come un piccolo punto lontanissimo, stava lì, al centro di tutto quel ritratto splendidamente dettagliato, ed il riquadro, la cornice, era indefinita, non sembrava esserci una fine ma al contempo, il tutto era ben delimitato dalla mancanza di qualsiasi altra cosa al di fuori di quell'inaspettato luogo, avente un ché di maestoso, mellifluo e a

tratti, eloquente.

Restai allibito.

Non sento odori, sapori ne rumori, ma il tatto, sembra un aglomerato di tutte queste, e gli occhi, ammaliati dal quadro generale nel quale mi ritrovo, non sono motivati a placare il loro sgomento.

Il nulla che stracolma l'indefinibile riquadro, non ha colore, è intriso di vibrazioni impalpabili, come se, composto da sensazioni, emozioni, stati d'animo, che gorgogliavano nel cuore del pittore, mentre, pensai, avesse deciso di pennellare, non solo un bel posto, ma il suo posto.

Resto seduto, accorgendomi di alcuni dettagli fra le rocce, fra i corti fili d'erba, che non si sarebbero mai potuti disegnare realisticamente, facendomi rendere conto che tutto, era reale.

Una realtà virtuale, tanto vera, quanto falsa.

Indubbiamente vi ero all'interno, ma al contempo, percepivo qualcosa di irreale.

Non potevano essere i soggetti del dipinto dato che li percepivo, li potevo toccare, ed incuriosito dalla verità, mi alzai in piedi incamminandomi verso la montagna, toccandola dopo aver beatamente passeggiato per alcuni minuti in quel gigante giardino.

La roccia era vera come temetti, quanto i fili d'erba che mi abbassai a sfiorare nuovamente con le dita, quindi -”cosa, chi, dove, si trovava il virtuale?”- la falsità, la crepa -”certamente”- mi dissi -”mettere in dubbio la cornice”- colei che mi faceva percepire emozioni opposte, che mi faceva credere d'essere all'interno di un sogno, come se fossi un ologramma spinto a forza all'interno di un surreale effige -”non è opinabile”-.

Per quanto mi guardai attorno con gli occhi spalancati, per quanto sentii attraverso il tatto, nulla....

-”Pare sia reale, quanto irreale”- conclusi.

Non potevo rispondermi nient'altro, dato che il mio cervello percepiva la realtà, ma il mio cuore no.

Affrontai la montagna cominciando a scalarla, sperando di non morire provando a cercare quel qualcosa, che sembrava mancare, rendendo quella raffigurazione, incompleta.

Arpionandomi fra spuntoni e cavità, ricordai Sara mentre mi spiegava che il primo portale attraversato, collegava il mondo umano, ad una dimensione alternativa, mentre, il monte, risiedeva in un luogo differente.

-”Fra poco dovrai andare in un luogo, nel quale, persone con particolari abilità, vengono mandate. Più specificatamente, una montagna, insita in un una dimensione artificiale, un luogo irraggiungibile se non per chi sapesse già dove si trova”- così mi aveva detto....

Artificiale. Aveva usato proprio quella parola per descriverla e non poteva trattarsi di un caso.

Mi incespicai parecchie volte prima di raggiungere il primo piccolo spiazzo di roccia sul quale riposarmi, ed aver passato ore a scalare, pur non essendo riuscito ad avvicinarmi tanto alla cima da definirla meglio, mi fece respirare affannosamente, sudato ed impensierito, sia da quante volte avevo rischiato di cadere fino a quel momento e sia, da quante volte rischierò sempre di più, in caso decidessi, dopo il meritato riposo, di proseguire.

A tratti, ciò che avevo provato prima di svenir sull'uscio della villa, ricompariva, ed era come un sentore di nausea misto a liberazione, piacevole, ma nel frattempo, doloroso.

Riprendendo fiato, notai di poter guardare verso l'alto e compresi cosa mancava.

Il pittoresco affresco era illuminato, ecco perché non capivo cosa mi faceva credere d'esser all'interno di una finzione, ma data l'ormai palese mancanza del tipico caldo sole, compresi qual'era la domanda che mi stavo ponendo dall'inizio -”come fa ad essere tutto illuminato, se non c'è nulla che illumini?”-.

La domanda non ebbe risposta, benché non riuscissi a pensare ad altro, finché, sfortunatamente, le fitte, si fecero sempre più disagianti e frequenti all'interno della mia testa, causandomi difficoltà persino a pensare.

Mi dimenai con la testa fra le mani, graffiandomi con le rocce appuntite sul quale ero sdraiato, tentando di far smettere quelle fitte, che cominciavano a farsi sempre più nitide, più forti, alzandosi di volume, finendo col farmi sentire, non più solo il dolore lancinante e una ripetitiva pulsazione, ma proprio, come se qualcuno dall'interno, stesse giocando a suonare, come fossero corde di una chitarra, le connessioni fra i neuroni del mio cervello.

Non avevo più controllo.

Avevo chiuso gli occhi, e dopo averli riaperti, mi ero accorto d'esser tornato nudo nello scrigno, il quale però, ora, era stato lasciato aperto, ed il buio tutt'attorno, non mi persuadeva dal non provare ad uscire dal suo interno, facendomi fare da spettatore, nuovamente, della mia stessa vita:

Sbattevo le palpebre, mi scrocchiavo il collo, in poche parole, me la prendevo comoda.

Sembravo felice.

Per qualche motivo, mi incuriosì della sensazione, della percezione di me stesso, del non dovermi più preoccupare di sbagliare nella vita, potendo non perdere più tempo a pormi domande, alle quali non riuscivo a rispondermi, ritenendomi momentaneamente tranquillo, al sicuro, dentro me stesso, probabilmente, perché cominciavo ad inebriarmi della mancanza di responsabilità....

 

Conclusa l'iniziale comprensione, della capacità da marionettista, l'ora responsabile delle mie azioni, alza lo sguardo inclinando la testa, cercando con gli occhi la punta della montagna, e di conseguenza, senza nemmeno darmi l'impressione d'essersi dato una spinta, finisce con l'essere in movimento verso essa, mentre l'aria nella quale sembrava volare, generava un boato continuo, che sentivo rimbombare nel cervello, facendomi capire, d'esser all'interno di uno scrigno, nudo, all'interno di uno spazio vuoto, nel quale il suono, non faceva altro che riecheggiare.

Mi sentivo in un videogioco, tralasciando l'attuale frastuono ed il fatto che non potessi far muovere il personaggio a piacimento, osservando la scena come su stessi usando occhiali della realtà aumentata.

Per un lungo periodo, il mio corpo, fendette l'aria a velocità sostenuta fissando la sua destinazione, finché, arrivò alla cima senza problemi, dato che la spinta che si era dato, era stata data con accuratezza, una precisione millimetrica che gli consentì di poggiare delicatamente i piedi sull'innevata vetta, finalmente, facendo calare il silenzio.

Con semplicità sconvolgente, aveva percorso circa 300 volte, e 300 volte più velocemente, la distanza che avevo percorso io e senza alcuno sforzo, mentre, mi limitai a stupirmi, cercando una posizione comoda all'interno dello scrigno, ormai abbandonato all'idea, che qualcun altro, possa vivere meglio la mia vita.

 

Il panorama che avevamo davanti a noi, era una distesa di dune innevate a perdita d'occhio, accompagnate dalla mancanza di vento e da quel tipico silenzio prima della tempesta.

Attraverso il mio punto di vista ristretto, osservai il suo, mentre entrambi, pur restando fisicamente immobili, viaggiammo:

 

Perdemmo la percezione di ciò che avevamo davanti, dato che il nostro sguardo planò oltre le dune, sorvolò un enorme stabilimento, finendo con il farci dare un'occhiata da una prospettiva più alta, concedendoci di poter osservare la cima nella sua interezza.

Lo strano viaggio mentale durò un attimo, una frazione di secondo ma fu esaustivo.

Ora possedevamo la completa planimetria dell'area circostante ed il mio corpo, con tale sapere, si incamminò con indifferenza verso l'enorme stabilimento posto al centro della vetta.

 

Fino a quel momento mi ero sempre visto come un ragazzo dalla mente aperta, in grado di cavarmela anche in situazioni difficili, ma dopo quel viaggio illuminante, compresi che il punto di vista realista dal quale ero abituato a vedere la realtà, non era nemmeno comparabile, al punto di vista dal quale mi sembrava di guardare, seduto comodo, all'interno dello scrigno, con la schiena poggiata a uno dei suoi lati corti, con le braccia poggiate ai bordi e una gamba sdraiata sull'altra, proprio mentre stavo seduto comodo al suo interno e osservavo la mia vita scorrere, senza bisogno che io stesso, potessi sentirmene partecipe, interessato, il comandante, divenendo il giocatore, che vince se smette di giocare, di pensare, dato che in questi casi, era il corpo a comandarsi, io, non potevo far nulla, se non l'immedesimarmi in un tranquillo ragazzo nudo, che se ne sta comodo all'interno di uno scrigno, all'interno della propria mente, incapace di reagire mentre comprende, d'aver scambiato i comportamenti saccenti del proprio corpo, con un punto di vista alternativo, ricolmo di una triste consapevolezza della realtà, dalla quale, la osservava con risolutezza.

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Capitolo 11
*** SALTO SPAZIO TEMPORALE ***


La loro routine era contornata da amichevoli conoscenze, con le quali, verso fine settimana, ci si incontrava in qualche bar per confabulare e svagarsi, condita, con un lavoro che consumava tempo ed energie quanto provava ad appagare economicamente, resa speziata, nel caso di Santoriù da una ragazza con la quale però, ancora, non conviveva e della sua passione di creare programmi per i computer, a volte, distraendosi entrando in giochi virtuali, e nel caso di Efesto, dalla piacevole compagnia del suo modo di fare giocoso, e dalla capacità di automatizzare sistemi, costruire piccole macchine sapendo imporgli movimenti specifici, gli era porta, come pietanza ripetitiva, ogni giorno, abilitati all'esclusivo cibarsene, tentando di vivere felicemente, attendendo la possibilità di andar in cerca della propria libertà, al di fuori dell'ambito famigliare.

 

Però, in questo loop abituale di improcrastinabili scelte, quando, grazie a Tone, incontrarono il bambino dai capelli arancio, gli si ampliarono gli orizzonti personali, capitombolando in problematiche collettive.

 

Il bambino non era persuasivo o convincente, ma esclusivamente sincero, realista, e sentirsi dire da un bambino di 5 anni, che la propria comoda e legittimata vita distratta, avrebbe portato solo a personali felicità, indusse in entrambi, quella voglia, accomunabile a molti giovani, di fare qualcosa di bello, non solo per se stessi o per le persone a loro vicine, ma anche, per gli sconosciuti, per il bene comune, e presa quella scelta, non la abbandonarono, persino a seguito della sparizione del bambino dai capelli arancio, che ogni giorno, si era prodigato in spiegazioni ben oltre la soggettività e persino, ben oltre le consapevolezze generali della loro attuale società.

 

Tone, consigliato dal bambino stesso, lo presentò ai due, ma quando scoprì, dopo settimane di incontri singolari, che non si faceva più vedere ne sentire, sparì di conseguenza, lasciando i due camminare nella direzione a loro indicata, con la sola speranza, di far ritorno il prima possibile, ma anche con il desiderio, che potessero, persino da soli, immolarsi interamente a cambiare, in meglio, il loro umano mondo.

 

Santoriù ed Efesto, seppur le vicissitudini impellevano, sapevano bene cosa avrebbero dovuto fare, insieme, per il resto della loro vita:

Passare alla storia.

 

Costruirono il loro primo prototipo che avrebbe cambiato la vita a milioni di persone, e furono tanto estasiati da ciò che stavano creando, che lasciarono i loro differenti e abituali lavori, per prodigarsi completamente alla causa.

-”Il mercato delle energie rinnovabili non ha nulla di comparabile”- si erano detti dopo un anno di lavoro -”ma ancora non basta”- si risposero, mentre lo spirito del bambino che ribolliva in loro, non solo non si affievoliva, bensì, accresceva, ogni giorno, tanto, da dirsi -”miglioriamolo”-.

Erano riusciti a comporre un computer termodinamico completamente autonomo nell'arco di 12 mesi, il fatto è, che per costruirlo, hanno dovuto vendere molti dei loro beni materiali, ma la fortuna di vivere ancora con i genitori giocava a loro favore.

 

Lo chiamarono Follow (seguire), perché la loro speranza era quella di far capire e farsi seguire dalle persone di tutto il mondo in quell'impresa.

Era rozzo l'1.0, sembrando un piccolo armadio ad una anta, con sopra dei pannelli solari rettangolari posti a formare una piccola T, e la scatola nascosta dietro, nella quale avvenivano i processi principali della macchina, la facevano sembrare, un inusuale assemblamento di componenti e niente più, ma era la loro composizione, e solo per costruire quella, si imbatterono in non trascurabili problemi, ed i più impellenti, furono l'energia solare che essa riusciva ad acquisire, dato che, avendo inserito dei pannelli solari piatti, non ne assorbiva abbastanza da purificare molti litri d'acqua inquinata, e necessitava d'esser spostata, ogni qual volta, il sole cambiasse posizione.

 

Con Follow 1.0, andarono a molte conferenze, cercando qualcuno che notasse le potenzialità della loro macchina, e con loro stupore, più associazioni che finanziavano progetti per la ricerca e l'innovazione europea (start up), li contattarono, offrendogli un totale di 2 milioni di euro, per portare avanti la loro ambizione.

 

Arrivati a quel punto, ebbero bisogno di più mano d'opera nella loro impresa, cercando nella loro piccola cittadina, qualcuno con conoscenze nell'ambito meccanico, elettronico e informatico, seppur loro fossero bravi, dato che, era già passato più di un anno dalla scomparsa del bambino che gli infuse quella speranza, quel sogno, nei cuori e nelle loro menti, e speravano, un giorno, di incontrarlo, per dimostrargli quanto è stato importante per loro, l'averlo conosciuto.

 

Con l'aiuto di altri, avrebbero fatto molto di più, magari, anche più in fretta, e grazie al fatto di vivere in un paese ricolmo di fabbriche, non ebbero problemi a trovare gli aiutanti necessari:

Gioggio, Mirko, Bolla, Alagi, Fabio, Set e Jhan, furono i primi volenterosi aiutanti che si unirono alla causa dei due condottieri dell'impresa, prodigandosi insieme, al miglioramento di Follow, concludendo in poco più di 6 mesi, il 2.0.

 

La macchina conclusa, pareva una piccola cuccia per cani, ma era, di molto, migliore alla precedente:

Serbatoio per l'acqua sporca da depurare, più ampio;

Pannelli solari fatti a tubi, che si estendevano per la lunghezza della macchina, posti tutt'attorno;

Una svariata serie di altre cose, partendo da un designe impeccabile.

 

Avevano però, il bisogno di testarla in uno dei luoghi che il bambino gli aveva proposto di tenere in considerazione prima di sparire, se fossero riusciti a dar forma al sogno, così, grazie ai fondi, Efesto e Santoriù, finirono in Africa, in Ghana più precisamente, dove conobbero la gente nera del posto, apprendendo che l'acqua che loro bevevano, con la quale si lavavano, con la quale cucinavano, era sporca e pesantemente inquinata.

I due, sapevano che la loro macchina funzionava, quindi il loro, fu più un esperimento sociale più che scientifico, e per fortuna, tutti ne furono estasiati:

Purificava 100 litri di acqua e produceva 3kWh di energia elettrica in un giorno, non era mastodontica come macchina, anche se gli abitanti, ne furono ben più che appagati da quel magnanimo regalo.

 

Durante il tragitto percorso per ritornare a casa, i due ragazzi, composero mentalmente il terzo prototipo, e ritornati alla civiltà di sempre, riunirono il gruppo, e con essi, non attesero molto prima di prodigarsi alla sua realizzazione.

 

Mentre cercavano di migliorarsi e di migliorare Follow, vennero contattati dai primi acquirenti, ma i due amici che sorreggevano la baracca, non se la sentivano di vendere un prodotto che era ancora in fase di migliorie, così, fecero attendere i compratori, fino al completarsi della loro terza opera, dovendo attendere, circa 2 anni e mezzo.

 

In quattro anni complessivi, si erano fatti conoscere, si erano dati da fare credendo prima di tutto nei discorsi che solo loro si erano sentiti dire dal bambino dai capelli arancio, ma in seguito, tramutando tutto, in una questione di principi, e finalmente, poterono far vedere il loro oracolo tecnologico, persino, ad uno dei politici influenti della loro stessa nazione.

 

-”Follow 3.0”- disse Santoriù al politico presentandogliela -”stiamo già lavorando al 4.0”-.

-”Costei, alimentata dal sole, fa 3 cose principali”- cominciò ad elencare lui euforico -”purificare l'acqua da qualunque tipo di contaminazione, che essa sia chimica, fisica o batteriologica, genera elettricità, e si comporta come un dispositivo di telecomunicazione avanzato”- sintetizzò fiero.

-”E' un sistema solare, totalmente sostenibile, silenzioso e adesso”- continuò cercando di frenare il suo entusiasmo -”tu personalmente, potrai avere dimostrazione delle sue funzionalità”-.

Efesto, aveva preparato per l'occasione, un bracciale identificativo, attraverso il quale, il politico, poteva interagire con l'interfaccia di Follow, attraverso i sensori posti sopra i vari erogatori di servizi, e indossato, cominciò a testarla.

 

Essendo lunga 40 metri, i 3, le camminarono attorno per tutta la presentazione, ed arrivati di fronte al primo erogatore, Santoriù, non fece attendere spiegazioni -”all'interno di queste piccole 30 cabine, si trovano delle torce elettriche, caricate con la corrente che la macchina è riuscita ad assorbire tramite la luce solare. Esse, si comportano anche da batterie, e in caso si desiderasse averne una, basta appoggiare l'orologio al sensore apposito, così da far capire alla macchina, di cosa si ha momentaneamente bisogno”-.

Appoggiando il bracciale al sensore, il politico si stupì della veloce reazione dell'interfaccia, composta da uno schermo lungo e largo una decina di metri posto li affianco, che riconoscendolo, gli fece illuminare ed aprire, una delle piccole cabine che aveva di fronte, permettendogli di scollegare la piccola torcia in essa contenuta, dalla carica, potendo poi, accendendola, illuminarsi i piedi caricandosi wireless, lo smarthphone.

-”Qualora la batteria si esaurisca, si appoggia nuovamente il bracciale al sensore, e Follow, ti apre un'altra cabina, ti permette di prendere la batteria nuova, così da dover solo collegare quella scarica, ai cavi di ricaricamento al suo interno, richiudendola dentro”-.

 

Constatandone la funzionalità alquanto incuriosito, il politico fece domande, si interessò alle ulteriori applicazioni della macchina stessa, e facendosi accompagnare da Efesto e Santoriù verso il secondo erogatore, passeggiò affianco all'interfaccia, che ora, proiettava immagini di paesaggi aperti di varie parti del mondo, ed Efesto, notando la sua curiosità spiegandogli come furono giunti al proiettare determinate immagini, spiegò -” questa macchina è pensata per esser attivata in zone nelle quali, le persone non hanno ben chiaro ciò che c'è di bello nel mondo, quindi, abbiamo pensato a inserire solo immagini educative come paesaggi ghiacciati con alcuni animali del luogo, alla fine, decidendo di non inserire immagini delle città, arrivando alla conclusione, che i posti da far conoscere alla gente, fossero ben altri”-.

Il politico non si aspettava una spiegazione simile, ma lo aiutò a capire le persone con cui stava interloquendo.

 

-”Dato che in molti luoghi del mondo, le persone hanno il telefono, ma necessitano della carica non avendo elettricità nelle loro case, questa macchina agevolerebbe la comunicazione, ma non solo questo, è un problema da risolvere”- confabulò Santoriù -”un altro dei problemi da risolvere, che potrebbe aver trovato soluzione, è quello dell'acqua”- continuò a dire, prendendo in mano una tanica vuota che Efesto prontamente gli passò -”mentre la batteria precedente era comunitaria, nel senso che non appartiene all'individuo essendo esclusivamente in prestito, questa tanica, invece, è personale”- e dopo avergliela consegnata, continuò la spiegazione -”tramite un sistema RFID al suo interno, combina la personalità inserita nel bracciale, alla proprietà della tanica, così da insegnare alle comunità, l'importanza dell'etica, garantendo l'integrità del prodotto, non volendo, che si possa finire con l'andare con una tanica sporca a prendere l'acqua potabile, se no, non avrebbe un senso l'intera struttura”-.

Il politico era ben colpito dalla magnificenza di Follow e da come sembrava in grado di poter cambiare il mondo, così da ascoltare ancora, sempre più interessato, finendo di fronte ad una serie di fessure rettangolari, poste all'altezza della caviglie -”quelli che tentiamo di dare, sono servizi che persino la gente comune sarebbe in grado di prendersi facilmente, quindi, abbiamo pensato di far in modo che le taniche si potessero riempire solo grazie alla macchina stessa e solo inserendola in una di questi erogatori”- spiegava Santoriù, mentre il politico, avendo ormai appreso la sistematologia legata alle funzionalità della macchina stessa, si fece riconoscere appoggiando il braccialetto sull'apposita fessura, ed osservando lo schermo appena sorpassato, notò i paesaggi sparire per lasciar posto alle sua credenziali, e solo dopo aver atteso il via libera, inserì la tanica, ed attendendo che venisse riempita di acqua potabile, si espresse -”e' semplice, funzionale, ed il fatto che a costruirla siano stati dei ragazzi che hanno da poco passato la maggiore età, è ancora più sconcertante”- e detto ciò, guardò i due ragazzi, attendendo di vedere sui loro visi, un sorriso che non notò.

-”Non ci possiamo ancora definire appagati signore”- rispose dopo qualche secondo di silenzio Efesto -”questa è la terza macchina, e abbiamo constatato che le possibilità sono esponenziali. Il problema è che finché le persone muoiono di sete, possiamo solo dirci felici personalmente”-.

Allibito, il ministro dello sviluppo economico, ministro del lavoro e delle politiche sociali, nonché vicepresidente del consiglio dei ministri e vicepresidente della camera dei deputati, rispose con una frase che disse molto, almeno per i presenti -”se la politica facesse passi avanti in fretta quanto la tecnologia, non avremmo nemmeno il bisogno di queste prodigiose invenzioni”- e dopo esser tornato a rendersi conto di dove si trovava grazie al flebile suono di Follow, estrasse la tanica ora avente 2 litri di acqua depurata al suo interno, la aprì e ne bevve una lunga sorsata.

-”Incredibile”- si limitò a dire -”queste però sono solo due funzionalità”- lo apostrofò Santoriù -”se ci segue ancora per qualche minuto, le facciamo vedere l'ultima capacità esterna della struttura”-.

Accondiscendente e incredulo, Maio, seguì i due giovani imprenditori fino all'ultimo erogatore, sicuro d'esser stupito nuovamente.

Efesto quindi, si espresse continuando e concludendo lui il tour -”alla domanda, l'acqua, si può bruciare, ci rispondemmo con un si convinto, tramite l'ebollizione, scomponendola in ossigeno ed idrogeno”- spiegò il meccanico un po' scienziato al politico -”l'ossigeno viene rilasciato, ma l'idrogeno, viene inserito in bombole, che grazie al procedimento di riconoscimento, vengono concesse, come le batterie, a chiunque le richieda, ricaricabili all'occasione”- continuando dopo qualche secondo concesso per assimilare concluse -”con l'idrogeno carichi auto elettriche, cuoci i cibi e in caso si avesse freddo, si adopera per accendere un fuoco e non per vantarci, ma abbiamo pensato fosse una necessità darla a Follow, come optional di base, assieme all'elettricità, la connessione ad internet, e all'acqua”-.

 

-”Avete probabilmente progettato qualcosa che cambierebbe la realtà delle miliardi di persone al mondo in meglio se solo aveste i fondi per produrle in serie”- si limitò a dire Maio riguardo al 3.0 -”io sono un politico ma non ho possibilità di attingere aduna somma tale, da potervi permettere di salvare il mondo oggi, al massimo, qualche milione, anche se ne dubito, e questo mi rammarica, ma vorrei aiutarvi ad aiutarci, in qualche modo, quindi, vi darò un totale di denaro che potrà aiutarvi, ma molto inferiore a quello che speravate di ottenere.... E' il massimo che posso fare per voi, ma voi”- disse guardando entrambi -”in futuro, potrete darmi più di quanto io darò a voi, e questa è una mia personale speranza”-.

 

Pur avendo costruito un computer termodinamico tale, i due, non trovarono l'aiuto che si aspettavano di trovare, ma non procrastinarono molto sulle scelte future da compiere, ed il 4.0 nacque di li a poco, anche grazie al contributo politico.

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Capitolo 12
*** SALTO SPAZIO TEMPORALE ***


-”Parlami almeno tu che io non mi parlo più”-

 

-”Ho sempre scelto d'esser diverso pur dal diverso stesso, e pur avendo pezzi di me incastrati negli occhi, pur tentando invano di non guardarli di dimenticarli, li lasciai dove stavano senza più pensarli, così da farmi notare, quanto essi hanno continuato a sanguinare”-.

-”Me medesimo ha preso strane strade, quelle più sbagliate, le più lontane dalla principale, ultimamente, sempre troppo spesso, e per paura di ricordare, me ne sono stato in disparte, osservando il mio corpo percorrerle, mentre, parlandogli, non ho udito risposte, avendo, entrambi, problemi personali, generati da problemi generali”-.

-”Sprangando il circuito chiuso nel quale mi sono nascosto per anni, ho temuto di rimanerci fino alla morte, perdendomi in stesso, perché ho subito il male, che aggredisce senza far caso ai colpi che infierisce, tanto meno, a chi colpisce”-.

-”Mi sono accorto, che una sagoma indefinita, simile ad una persona, si stava avvicinando, facendomi sentire, seppur esso lontano, lo scricchiolio tipico della neve quando viene calpestata, ma la carnagione che notai, quando esso finì con l'entrare nel mio campo visivo, sbucando dalla cima della duna innevata di fronte a me, mi indusse a questionarmi, riguardo al fatto che esso, potesse essere di fatto, una persona”-.

-”Osservandone le fattezze, la carnagione color muschio, e le orecchie sottili allungate verso l'alto, ebbi la certezza d'esser non poco lontano da un elfo, che decretò appena mi notò, d'affrontarmi, per una motivazione, secondo il proprio punto di vista, giusta, senza tentar di capire, anche il mio punto di vista, persino, essendo differente rispetto al suo”-.

-”Ho me stesso, e lo utilizzerò al meglio per difendermi, pensai quando lo osservai, mentre, imperversò verso di me”-.

-”Nero, come il luogo da cui provenivo, era il colore predominante dei suoi occhi imperscrutabili”-.

-”Ergo lo fissai, ma l'assenza di informazioni acquisibili dal suo volto liscio, dalle sue orecchie appuntite, dalla sua cute verdognola, dai suoi lineamenti, scolpiti, esenti da imperfezioni e dai suoi inconsueti indumenti, confermarono la mia titubanza, così, mi imposi di concedermi altri secondi per ponderare le azioni da compiere:

-”Scannerizzai il suo intero corpo come se fosse visto da ogni direzione contemporaneamente, e l'irreale simmetria con la quale non indugiava intenzioni ostili, fece muovere me, con inerzia, verso quella forma di vita, palesemente, senza una coscienza”-.

-”Non ero esattamente partecipe di ciò che avvenne, pur essendomi sentito uscire dallo scrigno”-.

-”Ho riflettuto ed ho agito da quando vidi una luce provenire dallo spiraglio della porta che sprangata, mi segregava in me, immergendomi, speranzoso, completamente in essa”-.

-”Avevo cominciato prima di tutto a sentire, ritrovandomi in un vicolo stretto, per poi riuscire a muovermi, prendendo in braccio Sara, accompagnandola da Nicolay e da Maiolo senza farla incombere in situazioni sgradevoli durante il tragitto, bussando quindi al portone, ma attendendo che qualcuno aprisse, mi ritrovai al mio monte, nella mia dimensione, saltando sulla cima, mappandola per esser certo che le cose non fossero degenerate troppo, finendo con l'incamminarmi verso la scuola, rendendomi conto solo poco prima della disgregazione molecolare dell'elfo, d'aver nuovamente perso il controllo del mio corpo, pur potendomi definire, per certo, uscito dallo scrigno”-.

-”Le inerziali movenze dello strumento, sgretolarono l'elfo solo poggiando il dito mignolo della mano destra sul suo capo, prima ancora che esso, potesse concretizzare un volere artificiale che lo induceva a perforarci il cranio tramite le unghie opache, allungatesi quanto una mia spanna”-.

-”Ad un certo punto pensai ad una cosa che, mi dissi, avrei dovuto chiedermi fin dall'inizio, cioè al chi stesse, così saggiamente, utilizzando il mio corpo, pur non essendo nella cabina di pilotaggio”-.

-”Ho interloquito con me medesimo, ed avvertendo, finalmente, una risposta, ed essendo essa affermativa, mi sforzai di far smettere il corpo d'agire senza che si ponderasse sulle scelte che mi, ci, portarono, a fissare una realtà nella quale, la forma verosimilmente incenerita, unica svolazzate testimonianza della disgregazione molecolare appena avvenuta, svolazzava d'innanzi al nostro attonito, quanto indifferente, sguardo”-.

 

-”sii te stesso almeno tu, che io non lo sono più”-

 

Le parole che sentii, non uscirono dalla mai bocca, bensì da un luogo imprecisato della mente.

 

-”Frapponiti alla paura che ti atterrisce, io riesco solo a far lo spettatore, e soffrendone, non oso indugiare oltre la mia prigioniera mente”-.

 

Me medesimo sembrava al culmine della sopportazione, dato che lo sentivo come un sussurro, un bisbiglio, anche se l'importante, era sentirlo, sapere che c'era, che esisteva seppur sfinito.

 

Tutt'attorno a noi, le dune innevate, sembrarono timorate dalla lenta caduta della cenere su di loro.

 

Mi ero distratto, ed accorgendomene, mi stupì di sentire il precedente bisbiglio interiore, urlare.

 

Disperato, dolorante, rammaricato, incapace, da solo, di riprendersi ciò che non possedeva più:

Se stesso.

 

-”So come ci si sente”- mi dissi, mentre l'inerziale corpo, si prodigava imperterrito verso la scuola, oramai quasi in procinto di varcarne il cancello costituito da ….

 

Chiusi gli occhi, pur avendo avuto prova di non essere stato io stesso a muovermi, non avevo più intenzione di vedere lo strumento che si intercedeva a noi; io.

 

.”Inizialmente....”- sentii nitidamente dire da Me Medesimo -”mi sono sdraiato”- sintomo della sua quiete..

-”Ho creduto possibile, concedere a qualcun altro la responsabilità della mia vita”-.

-”Chiunque tu sia, ho visto quanto, sotto il tuo controllo, il corpo, possa fare, ma chiunque fosse, quel ragazzo verde, secondo me, non meritava di concludere la sua vita”-.

-”Tentando di oppormi a te, mi sono alzato in piedi, ho pianto, urlato, sono persino uscito dallo scrigno camminando alla cieca nel mio inconscio, ma una porta nascosta è riuscita a precludermi la libertà”-.

-”Questo mio piccolo corpo, temo, non sia più in grado di liberarsi dal male solo volendo”-.

-”Ti chiedo, chiunque tu sia, d'aiutarmi, perché sono sfinito, non ne posso più di questo opprimente senso di claustrofobica prigionia”-.

 

Me Medesimo continuò a confidarsi con me, incerto persino del fatto d'esser ascoltato e mi pregò, come fanno i credenti con i loro Dei, quando sono timorati dalla realtà sulla quale sentono di non avere il controllo.

 

Le uniche cose che avevo la possibilità di fare, erano tener chiusi gli occhi, e ascoltarlo.

 

Il connubio tra i sentimenti di Me Medesimo ed i miei, assunsero forme eteree, cominciando a mescolarsi con quelle emozioni impalpabili di cui è composta, l'atmosfera, ora, così splendidamente dettagliata, facendoci avvolgere da un ché di indefinibile.

 

-”Tutto dipende dal punto di vista, attraverso il quale io lo guardo”- espirò Me Medesimo -” ma “- bisbigliai -”tutto dipende, dal punto di vista, attraverso il quale, anche io, lo guardo....”- conclusi, per poi divenire un unico tutt'uno col tutto.

 

Siamo un tutt'uno, con noi stessi e quel malleabile sfondo teatrale indefinito, composto da sentimenti, emozioni, che ora, vibra attraverso noi, mentre noi, vibriamo attraverso lui.

 

Allontanammo, grazie ad una, ora condivisa mente, l'estraneo, almeno momentaneamente insieme, in equilibrio, tra un io, un Me Medesimo, il tutto che ci avvolgeva, e da quei mistici momenti passati vibrando con esso, in esso e per esso, capendo che, semmai si dovesse riaprire gli occhi, si sarebbe dovuto convivere, con tale triste consapevolezza.

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