Trentuno

di CHAOSevangeline
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***



Capitolo 1
*** I ***


La storia partecipa alla seconda edizione di 4 days angst & noir indetta da La Torre di Carta.
Prompt: 46. Se le cose fossero andate diversamente


Trentuno

I.

 
Giorno due.
 
« Stai dalla parte di chi salva le persone. Se entrambi gli schieramenti sono la stessa cosa, diventa almeno un brav’uomo. »
Le parole di una persona morta. Le parole di Odasaku. Del suo amico Odasaku. Quello di cui Dazai ha potuto udire le ultime parole, quello che si è spento fra le sue braccia, strappando una benda che ormai Dazai non porta più. L’ha riavvolta con cura intorno alla mano dopo aver lasciato Oda, Dazai, una calma e una freddezza disarmante nei gesti nonostante le mani tremassero.
Ha infilato la garza bianca in una tasca dell’impermeabile e ha atteso l’arrivo di qualcuno.
Di rinforzi, anche se ormai tardi. Degli uomini di Mori, per portare via il corpo. Di Chuuya, magari.
Di qualcuno, chiunque, a patto che lo strappasse da quel turbinio di pensieri, di dolore, di morte.
Interminabili sono gli attimi che Dazai ha speso fissando il vuoto, guardando il corpo di Oda senza vederlo davvero.
E poi gli uomini di Mori sono arrivati, neri come la morte che si è preso Oda. Neri come il suo impermeabile.
Hanno raccolto il suo cadavere e lo hanno portato via.
Dazai credeva ormai di essere immune a quella funesta signora, all’angoscia che provoca. Forse perché nessuno di davvero importante era mai morto.
Aveva di fronte la verità, ormai: se fosse rimasto nella mafia, prima o poi sarebbe sicuramente morto. Proprio come Oda.
Cosa gli resta, ormai?
L’assassino di Oda è stato giustiziato, pochi metri più in là. Sputare sul suo cadavere sarebbe liberatorio, ma non risolutivo.
Il suo amico è morto e Dazai è, si sente solo.
Si è sentito solo davanti al suo corpo morto e si sente solo seduto sul letto della stanza del motel che aveva affittato.
Ci va con Chuuya, di solito. Quella volta no. Quella volta vuole essere solo.
Spera che qualcuno lo salvi, ma allontana quel qualcuno isolandosi.
Che contraddizione, lui.
Dazai Osamu.
Gli resta solo la sua identità in quel momento. L’identità che ha scelto di non cambiare.
Odasaku gli ha chiesto di essere diverso, di non commettere il suo errore. Di vivere anche per lui.
Dazai ha maturato una disarmante, lucida certezza nel delirio del lutto: se fosse rimasto nella mafia, prima o poi sarebbe morto.
Finalmente, esala il suo cuore.
Nella penombra della stanza un lieve sussurro.
« Due giorni. »




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Questa piccola raccolta si compone di quattro capitoli, che sto pubblicando tutti insieme partecipando la raccolta alla corsa indetta in questo periodo dal forum "La Torre di carta".
Spero che queste brevi storie vi piacciano e vi vada di dirmi cosa ne pensate!

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Capitolo 2
*** II ***


Prompt: 18. “Quando scoprii che il mio concetto di felicità sembrava in pieno contrasto con quello d’ogni altra persona, fu tale l’angoscia che mi dibattei gemendo insonne nel mio letto per notti e notti di seguito. L’ansia mi spinse addirittura sull’orlo della pazzia. Mi domando se sono mai stato veramente felice.” [Lo Squalificato - Osamu Dazai]
 


II.
 

Giorno venti.

« Che hai che non va? »
Dazai la sente da una vita, quella domanda. Se lo sente chiedere da una vita con il tono che dice “cosa c’è in te che ti rende diverso?”.
Era un genio, per molti. Un genio è diverso. E se sei diverso agli altri fai paura, non ti capiscono.
Dazai avrebbe voluto essere diverso solo in quello, anzi, avrebbe voluto essere come tutti.
Chuuya non glielo ha chiesto con il tono disgustato di chi vuole ferire: Chuuya è preoccupato per lui, Dazai lo sente.
« Di solito dici che sono fuori di testa e ti accontenti di questa spiegazione, presumo. »
Dazai era rimasto identico. Non una cosa era cambiata da quando Oda era morto: esegue i compiti che Mori gli assegna, combatte al fianco di Chuuya. Lo punzecchia, anche, proprio come sempre.
È vivace, ma non vivo.
« Non intendevo questo e lo sai. »
Già, lo sapeva. Era troppo intelligente per non averlo capito.
Dopotutto Dazai non mangia, non dorme. E un amante, che ti abbia donato il cuore o solo il corpo, capisce.
Dazai e Chuuya dicevano di odiarsi, ma in fondo si guardavano le spalle a vicenda, anche da loro stessi.
Silenzio nella stanza.
« Adesso devo andare, ma ho intenzione di avere una spiegazione al mio ritorno. »
Dazai scrolla le spalle, perché una risposta a Chuuya non la darà, anche a costo di farlo infuriare. È bravo in questo, come è stato bravo a lasciarsi vivere per gli ultimi diciotto giorni.
Si è nutrito, ha dormito. Ha condotto la vita di un dignitoso essere umano. Ha persino smesso di tentare il suicidio e questo, a detta di Chuuya, è preoccupante.
Dazai ha sempre visto in Chuuya ciò che nemmeno il ragazzo vede di sé: è brillante e se lo riconosce poco, lo sfrutta poco.
Nel viavai sfumato e confuso di persone intorno a Dazai, fra Mori, Koyo e mille uomini della Port Mafia, che scorrono intorno a lui come il nastro sciolto di un videoproiettore, Chuuya è l’unico ad aver capito: Dazai non sta vivendo davvero. Sopravvive meccanicamente come un automa, è diventato un fantasma spento, cupo.
Non gli importa fare del male, non gli importa fare del bene.
Perché Dazai sta vivendo, sì. Ma una cosa ha perso: la speranza.
Potrebbe morire e non piangere, potrebbe vivere e non gioire.
È stato tradito dalla vita.
Perché Dazai Osamu sorride sempre, ha sorriso anche a Chuuya prima che chiudesse la porta. Ha sorriso un sorriso finto, sterile, ma che agli altri basta. È una cosa piccola, come quelle che sanno rendere felici tutti, ma non lui.
Non è mai stato davvero felice.
E nel vuoto di quella scarna stanza di motel, un guscio vuoto, Dazai si sente a casa.
Perché anche lui lo è: vuoto.

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Capitolo 3
*** III ***


Prompt: 15. “Essere vivi. Un’impresa immensa, insostenibile, di fronte alla quale non si può far altro che restare col fiato mozzo.” [Il sole si spegne - Osamu Dazai]
 


III.



Giorno trentuno.
 
Quel motel puzza di fumo di sigaretta. È colpa di Chuuya che ha fumato.
Dazai dovrebbe dirgli di smettere, ma non importa: in fin dei conti non tornerà più in quel motel.
C’è una piccola cucina che comunica con la stanza da letto. Dazai si trova lì, fermo, lo sguardo che osserva il linoleum scadente del pavimento. È scrostato qui e là. Dovrebbe dire al proprietario di farlo cambiare, ma non importa nemmeno questo.
Dazai tocca le bende, sistema il nodo dietro al collo e sospira. Un’azione meccanica, potrebbe averla ripetuta milioni di volte e farla ad occhi chiusi.
Fuori fa caldo, la nebbia della mattina si è alzata. Chuuya è uscito e chissà quando tornerà. Ma va bene, perché non importa.
Da tutta la vita a Dazai importa poco delle cose, anche di quelle più rilevanti. Forse anche per questo Dazai è diverso.
Esattamente sopra la testa di Dazai c’è una spessa trave, che sostiene lo stipite della porta.
Sotto c’è una sedia.
Su quella sedia Dazai ci sta in piedi, una robusta corda stretta intorno al collo.
La vita gli ha tolto il fiato, lo ha distrutto. Gli ha tolto più di quanto avesse e lo ha privato dell’ultimo barlume di speranza.
Le parole di Oda non sono bastate perché Dazai sente, crede di non poter fare la differenza.
La Mafia, l’Agenzia dei detective armati.
È la sua anima che è morta e un’anima morta non può cambiare nulla, non importa per quale causa combatte.
Non è mai stato un uomo buono, nemmeno con se stesso.
Dazai non ha mai desiderato morire davvero, perché altrimenti sarebbe già morto. Ottiene sempre ciò che vuole, dopotutto.
E ora, Dazai lo vuole.
Guarda fisso davanti a sé a quell’altezza innaturale.
« Giorno trentuno. »
Il numero di giorni che è riuscito a resistere prima di essere privato di ogni speranza, di abbandonarsi.
Dazai compie allora il passo che avrebbe potuto fare per cambiare vita, nel vuoto. La sedia cade e il cappio si stringe.
Mentre l’aria se ne va, Dazai non si ribella e ricorda: aveva la disarmante certezza che restando nella mafia sarebbe morto.
Non con un proiettile conficcato nel petto, non per un’esecuzione.
Restando nella mafia è morto, ma per mano propria.

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Capitolo 4
*** IV ***


Prompt: 13. “Il dolore apre squarci che consentono di guardarsi dentro. Ma io continuavo a guardare dalla parte sbagliata.” [Fai bei sogni - Massimo Gramellini]
 

IV.



Giorno trentuno.
 
La mente dell’uomo sa giocare dei brutti scherzi e a lungo, Dazai, si è reso preda di oscuri sipari.
Ha sognato, addormentato e ad occhi aperti, di perdere la vita. Lo ha desiderato, si è convinto che fosse l’unica possibilità per sé.
Sono passati trentun giorni dalla morte di Odasaku e Dazai riflette ancora sulle sue parole. Crede che sia la cosa giusta da fare, quella che gli ha consigliato.
Sa che nella Mafia morirà. Lo ha visto, anche se solo in sogno. E per la prima volta Dazai vuole vivere: vuole fare del bene, vuole essere felice.
Seduto, il corpo nudo coperto fino al ventre dal lenzuolo, si volta a guardare Chuuya accanto a sé: sta riposando, i capelli di raggi arancio sono sparsi sul cuscino.
Della maschera di orrore che Dazai ha visto nel sogno, fantasma accanto al proprio corpo penzolante, ora non c’è nulla.
Chuuya non stringerà le sue gambe prive di vita, non sarà costretto a questo.
Non lo merita.
Gli è stato vicino, Chuuya, in quel momento difficile. Gli è stato vicino in modi che Dazai nemmeno avrebbe osato chiedere.
Oda gli ha dato la soluzione, Chuuya lo ha aiutato a curare le sue ferite.
Con il corpo, con la mente. Con il cuore, anche se mai nessuno dei due lo ammetterebbe.
La stanza odora ancora di sesso e di sigarette, la pelle di Chuuya sembra ancora madida di sudore.
È stato un rapporto disperato, quello. Un rapporto in cui Chuuya lo ha stretto fino a quasi soffocarlo, per fargli capire di non essere solo. E Dazai ha bisogno di essere soffocato, per capire. Ha bisogno dell’esagerazione, di essere esasperato.
Ha sentito il corpo di Chuuya chiaro su di sé e Dazai ha capito, da quelle sensazioni, dal ricordo delle parole di Oda, che non è pronto a morire.
Che non vuole farlo.
Una mano raggiunge lenta la spalla di Chuuya, la carezza piano con il palmo bendato.
Avrebbe capito. Dopo quel rapporto, i loro corpi intrecciati in un groviglio di pura sicurezza, Dazai lo sa.
Per Chuuya la mafia funziona, è vitale. Per Dazai è la morte.
Sono sempre stati diversi, ma non per questo sbagliati. E lo sanno entrambi.
Sarà difficile, sarà doloroso. Ma deve funzionare.
« Chuuya? »
« Mh? »
Dazai voleva cambiare, fare del bene.
« Ho preso una decisione. »
Sono passati trentun giorni dalla morte di Oda.
E Dazai si è salvato.

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