Like A Prayer

di MackenziePhoenix94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Fox River (Nicole) ***
Capitolo 2: *** Ray Of Sun (Nicole) ***
Capitolo 3: *** Like A Prayer (Nicole) ***
Capitolo 4: *** Isolation (T-Bag) ***
Capitolo 5: *** I Deserve To Know (Nicole) ***
Capitolo 6: *** Alabama Monster's (T-Bag) ***
Capitolo 7: *** Riot (Nicole) ***
Capitolo 8: *** The Rabbit Hole's (T-Bag) ***
Capitolo 9: *** He Makes Me Feel Good (Nicole) ***
Capitolo 10: *** Don't Get Me Wrong, I'm Just A Friend (T-Bag) ***
Capitolo 11: *** Road Of No Return (Nicole) ***
Capitolo 12: *** One Less (T-Bag) ***
Capitolo 13: *** Drop Everything (Nicole) ***
Capitolo 14: *** Say 'Hi' To Him For Me, Will Ya? (T-Bag) ***
Capitolo 15: *** Broken And Empty (Nicole) ***
Capitolo 16: *** Beautiful Creatures (T-Bag) ***
Capitolo 17: *** We're Not Getting Out Of Here (T-Bag) ***
Capitolo 18: *** A Promise Is A Promise (Nicole) ***
Capitolo 19: *** Poker Face (T-Bag) ***
Capitolo 20: *** Tweener (Nicole) ***
Capitolo 21: *** Bad Day (T-Bag) ***
Capitolo 22: *** Sometimes They Come Back (T-Bag) ***
Capitolo 23: *** Your Biggest Mistake (Nicole) ***
Capitolo 24: *** Freedom; Prima Parte (T-Bag) ***
Capitolo 25: *** Freedom; Seconda Parte (T-Bag) ***
Capitolo 26: *** Freedom; Terza Parte (T-Bag) ***
Capitolo 27: *** Story Of My Life (Nicole) ***
Capitolo 28: *** Alexander Mahone (Nicole) ***
Capitolo 29: *** Complicit (T-Bag) ***
Capitolo 30: *** Utah (Nicole) ***
Capitolo 31: *** Pretty Face (T-Bag) ***
Capitolo 32: *** Double K. Ranch (T-Bag) ***
Capitolo 33: *** Still Alive? (T-Bag) ***
Capitolo 34: *** Five Millions (Nicole) ***
Capitolo 35: *** Ghosts Of The Past (Nicole) ***
Capitolo 36: *** Little Red Riding Hood And The Bad Wolf (T-Bag) ***
Capitolo 37: *** Revenge Is A Dish Best Served Cold (T-Bag) ***
Capitolo 38: *** You're Crazy Like Him (Nicole) ***
Capitolo 39: *** Denise (T-Bag) ***
Capitolo 40: *** So Close, And Yet So Far Away (Nicole) ***
Capitolo 41: *** The Address (T-Bag) ***
Capitolo 42: *** Teddy's Home (T-Bag) ***
Capitolo 43: *** Las Vegas (Nicole) ***
Capitolo 44: *** Epilogo: Sweet Home Alabama (T-Bag) ***



Capitolo 1
*** Prologo: Fox River (Nicole) ***


Sollevo gli occhi dal foglietto che ho tra le mani e guardo le imponenti mura che sorgono a pochi passi di distanza da me; è praticamente impossibile sbagliarsi, non possono che appartenere a Fox River, un carcere maschile di massima sicurezza.

 Mi avvicino al citofono, schiaccio il piccolo pulsante e resto ferma, in silenzio, in attesa di una risposta che non tarda ad arrivare sottoforma di un ordine: un uomo, sicuramente una guardia, mi chiede d’identificarmi.

“Sono la dottoressa Nicole Baker. Sono qui perché ho un appuntamento con il direttore” rispondo subito; frugo all’interno della mia borsa e poi posiziono un foglio, che dimostra la veridicità di quello che ho appena detto, davanti alla telecamera posta sopra il citofono.

Sento un rumore metallico, qualcuno apre l’altrettanto imponente cancello ed un uomo mi fa cenno di entrare velocemente: dall’altra parte c’è un lungo sentiero lastricato che conduce alla porta d’ingresso di un edificio grigio, mentre ai lati di esso ci sono due alte recinzioni, con tanto di filo spinato, che delimitano due prati tenuti con estrema cura.

 In entrambi ci sono delle tribune ed un campo da basket, capisco subito che sono i posti in cui i detenuti trascorrono il loro tempo libero e dentro di me tiro un sospiro di sollievo perché non sono arrivata proprio in quel momento.

Non sono ancora pronta all’idea di dover ignorare apprezzamenti pesanti o fischi; so che è una cosa normale per chi lavora in un posto simile dal momento che ci sono uomini che non vedono una donna da anni, ma preferisco posticiparlo il più a lungo possibile.

La guardia mi porta all’interno dell’edificio grigio situato alla fine del sentiero e mi conduce fino alla porta di un ufficio, bussa due volte prima che una voce femminile risponda; ci accoglie una donna con i capelli castani, corti, pettinati con estrema cura, che indossa un completo color cipria: a giudicare dal suo aspetto non può che essere la segretaria del direttore e poco dopo, infatti, mi dice che il suo Capo è pronto a ricevermi.

Apre la porta di un altro ufficio e quando entro resto totalmente spiazzata da un modellino, costruito a metà, del Taj Mahal che occupa quasi tutta la superficie di un pesante tavolo di legno scuro.

“Le piace?” mi domanda un uomo ormai vicino ai sessant’anni, con i capelli grigi lisciati con cura e con un paio di baffi della medesima tonalità.
“È bellissimo, chi lo sta facendo è davvero un artista” rispondo io, continuando ad ammirare la costruzione.

“Se ne sta occupando una persona di fiducia. È un regalo per mia moglie dato che a breve ci sarà  il nostro anniversario di matrimonio. Durante uno dei nostri viaggi è rimasta letteralmente stregata dall’originale”

“Immagino” commento a bassa voce, provando una punta d’invidia per la ricca coppia: per un momento penso a tutti i meravigliosi viaggi intorno al mondo che i due hanno sicuramente fatto, ma poi è lo stesso direttore a riportarmi alla realtà presentandosi.

“Henry Pope”

“Nicole Baker” rispondo prontamente, stringendo la mano che mi offre dall’altra parte della scrivania; mi domanda se ho incontrato difficoltà a trovare il suo carcere e quando rispondo con un cenno negativo della testa inizia a raccontarmi tutto ciò che devo sapere su Fox River: mi spiega che ci sono due Bracci (il Braccio A ed il Braccio B), che l’edificio dell’amministrazione è posizionato a sud mentre l’infermeria è situata dalla parte opposta del Braccio A ed è direttamente collegata ad esso.

“Questo perché lì dentro è concentrata la maggior parte dei nostri detenuti, ma lei non si deve preoccupare, dottoressa” precisa subito per tranquillizzarmi “in infermeria ci sono sempre delle guardie a controllare la situazione e quando un detenuto ha bisogno di cure prendiamo sempre tutte le dovute precauzioni. Da quando sono direttore non è mai accaduto nessun fatto grave e nessuno dei miei dipendenti è mai stato aggredito”

“In ogni caso so badare a me stessa”

“Sono contento di sentirglielo dire… Ahh… Dottoressa, c’è un’altra cosa che deve sapere”

“Mi dica, direttore” rispondo tornando a sedermi; il cuore inizia a battermi con più forza nel petto perché ho l’impressione di essere in procinto di sentire parole per nulla piacevoli.

“Io penso che ognuno abbia diritto ad una seconda possibilità, dottoressa, ma non dimentichi mai che ha a che fare con uomini che hanno commesso anche azioni più gravi di un semplice omicidio. Sto parlando di detenuti che sanno come manipolare le persone e che non si faranno scrupoli ad approfittare di una ragazza giovane come lei. E se dovesse capitarle una situazione poco chiara venga subito a riferirmela. Come le ho detto prima: da quando sono direttore non è mai accaduto nessun fatto grave e non voglio che la situazione cambi”

“Non si deve preoccupare, direttore. Farò esattamente ciò che mi ha chiesto”.

Non sono più una bambina da tempo, ormai, ed anche se questa è la prima volta che lavoro dentro un carcere so perfettamente che non bisogna mai lasciarsi abbindolare dalle parole di un detenuto; molti di loro lo fanno per passare il tempo o per riuscire ad estorcere qualche favore, raramente dietro c’è un vero interesse e comunque non è mai una buona idea avere una relazione sul posto di lavoro, soprattutto con una persona che, magari, è costretta a passare il resto della sua vita dietro le sbarre.

Non sono preoccupata da questa cosa, però, perché so che a me non accadrà.

Dopo la nostra breve chiacchierata Pope mi congeda e lo stesso fa la sua segretaria con un sorriso affabile; quando esco nel corridoio mi ritrovo faccia a faccia con una ragazza dai vaporosi capelli rossi che indossa una divisa azzurra, da infermiera: anche lei allunga la mano destra e si presenta.
“Sono Karla, ho il compito di accompagnarti in infermeria e di mostrarti il tuo Studio. Posso darti del ‘tu’? sei così giovane che mi farebbe strano darti del ‘lei’, anche se sei una dottoressa”

“Non preoccuparti, non sono una persona che guarda queste formalità” la rassicuro cercando di rispondere al suo sorriso; mentre c’incamminiamo verso l’altro edificio mi racconta che si trova a Fox River per un tirocinio di sei mesi e che la vita, qua dentro, non è così difficile una volta che ti abitui ai ritmi della prigione.



 
L’infermeria è una struttura simile a quella dell’amministrazione; si sviluppa in due piani: sotto c’è l’ingresso e la zona riservata alle guardie mentre sopra ci sono due piccoli uffici ed una stanza con diversi lettini per i pazienti.

Karla mi dice che a me spetta lo Studio situato a sinistra ed allora le chiedo a chi appartiene quello a destra.

“Alla dottoressa Sara Tancredi”

“Tancredi? Come il governatore?”

“Si, è sua figlia”.

La sua risposta mi sorprende, perché mai la figlia di una personalità così illustre ha scelto come posto di lavoro una prigione? Lascio che questa domanda senza risposta abbandoni la mia mente ed entro nel mio nuovo, piccolo, Studio personale, dotato appena di una scrivania, una sedia, un computer, uno scaffale ed una finestra con vista sul cortile del Braccio A.

Karla mi lascia da sola perché ha altro di cui occuparsi ed a me non resta che togliermi la giacca e la borsa a tracolla ed indossare il camice bianco che qualcuno ha gentilmente lasciato sull’appendiabiti; prendo posto dietro la scrivania e rivolgo lo sguardo verso la finestra.

Pope ha spiegato che il mio turno inizia alle nove di mattina e finisce alle nove di sera ed ho diritto ad una pausa pranzo dall’una alle due di pomeriggio; di conseguenza non posso fare altro che aspettare e sperare.

Dopo pochi minuti qualcuno bussa alla porta: si tratta di una giovane guardia con gli occhi scuri ed i capelli lunghi, che scendono in tante onde da sotto il berretto d’ordinanza fino a sfiorargli le spalle.

“Spero di non disturbarla, dottoressa. Volevo darle il benvenuto” dice sorridendo timidamente “mi chiamo Adam e mi devo occupare della sua sicurezza… Cioè… Della sicurezza sua e dell’infermeria… Perché io…”

“Ho capito perfettamente quello che volevi dirmi, Adam, ti ringrazio per la tua premura”

“L’ho fatto con piacere” risponde lui con un altro sorriso, prima di allontanarsi e lasciarmi nuovamente da sola.



 
Manca poco alla fine del mio primo giorno di lavoro a Fox River e proprio quando, ormai, ho perso ogni speranza, nel mio Studio entra una guardia e mi dice che hanno urgentemente bisogno del mio aiuto per un detenuto; mi alzo dalla sedia e lo seguo nella stanza affianco, dove dei suoi colleghi si stanno occupando di far sdraiare un uomo sul materasso di un lettino e di ammanettarlo con cura ad esso, in modo che non possa essere un pericolo per sé stesso o per noi dello staff medico.

“Che cosa è successo?” domando, noto che perde del sangue dal naso e che si regge lo stomaco con la mano destra, senza mai smettere un momento di lamentarsi.

“Non lo sappiamo. Lo abbiamo trovato in queste condizioni in uno dei capannoni e lo abbiamo portato subito qui. Questa è la sua cartella clinica. Vuole che restiamo, dottoressa?”

“No, uscite pure” dico, senza la minima esitazione, mentre prendo in mano la cartella rigida; la apro e cerco velocemente il suo nome “allora, signor Bagwell, che cosa le è successo? È in grado di raccontarmelo?”

“Ma non vedi che ho bisogno di un antidolorifico? Non c’è della morfina qui dentro? Qualcosa che non mi faccia più sentire questo dolore insopportabile?” risponde lui a denti stretti, continuando a lamentarsi, ed io già capisco di trovarmi davanti ad un caso complicato.

“Lasci che sia io a decidere quello di cui ha veramente bisogno, signor Bagwell. Ora dovrebbe smetterla di lamentarsi e stringere i denti perché così mi rende tutto più difficile. Devo visitarla per controllare se ha qualcosa di rotto e se non collabora sarò costretta a richiamare dentro le guardie e sono sicura che i loro metodi non saranno altrettanto gentili”.

Incredibilmente apre gli occhi, smette di gemere e distende le labbra in un sorriso che mostra due file di denti perfetti, bianchissimi.

“D’accordo, dottoressa, come vuole lei”.

Si lascia visitare senza più pronunciare una sola parola e questo comportamento è così strano che mi sfiora il sospetto che quella di prima sia stata solo una sceneggiata.

“Non sembra esserci nulla di rotto, ma per sicurezza le farò fare qualche esame più approfondito e per questa sera è meglio che rimanga qui. Può dirmi come è successo?”

“Posso avere un antidolorifico?”.

Queste sono le uniche parole che escono dalla sua bocca: decido di rimandare la conversazione ad un altro momento e di accontentarlo somministrandogli qualcosa che gli permetta di dormire senza sentire il dolore dei lividi che si stanno già formando sul  viso e sulle braccia; qualcuno lo ha picchiato selvaggiamente ma è impossibile dire se mi trovo davanti ad un semplice regolamento di conti tra detenuti o se dietro c’è altro.

Ritorno nel mio Studio, mi tolgo il camice, indosso di nuovo la giacca e prendo la borsa a tracolla perché per me è arrivato il momento di tornare a casa.

Quando appoggio la mano destra sulla maniglia della porta sento una voce che mi coglie di sorpresa e mi volto a fissare l’unica branda occupata.

“Si?” domando in tono gentile, cercando di mascherare la paura.

“Dottoressa, mi promette che il suo viso sarà la prima cosa che vedrò domani quando aprirò gli occhi?” mi chiede Bagwell, con il volto leggermente inclinato verso sinistra.

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Capitolo 2
*** Ray Of Sun (Nicole) ***


Soffro di attacchi di panico, non è una cosa semplice da ammettere a sé stessi o in presenza di altre persone, e dal momento che non ho amici mi reco almeno due volte a settimana da una psicologa, la dottoressa Megan Roan.

È brava e non prova mai ad insistere troppo per spingermi a raccontarle qualcosa di nuovo, anche se molto probabilmente ha capito che ci sono ancora tante cose che le tengo nascoste.

“Questa notte ho avuto l’ennesimo incubo” le confesso a pochi minuti dall’inizio della seduta “e quando mi sono svegliata non riuscivo quasi a respirare ed avevo il cuore che continuava a rimbombarmi nelle orecchie. Ho provato a seguire il suo consiglio di prendere una serie di profondi respiri, ma non ha funzionato. Ho iniziato a calmarmi quando…”.

Mi blocco all’improvviso perché non so se continuare.

“Quando?” m’incalza gentilmente lei, smettendo di scrivere chissà cosa nel suo taccuino nero e lucido.

“Quando ho preso il mio mp3 e mi sono messa le cuffie nelle orecchie. Ho selezionato una canzone e quando l’ho fatta partire mi sono sentita subito meglio. Lo so, è una cosa stupida, ma le giuro che è la verità”

“Non è una cosa stupida, Nicole. Ogni persona che soffre di attacchi di panico usa un metodo diverso per uscirne: ad alcuni basta prendere una serie di profondi respiri, ad altri basta chiudersi in una stanza completamente buia ed a altri ancora, proprio come nel tuo caso, basta ascoltare una canzone. Cerca di avere sempre con te il tuo mp3, in modo da non essere impreparata se un attacco ti coglie di sorpresa. Però, Nicole…” s’interrompe la dottoressa, togliendosi gli occhiali, ed io sento la stessa sgradevole sensazione che mi ha aggredita il giorno precedente, nell’ufficio di Pope “ormai sei una mia paziente da diverso tempo ed arriva sempre un momento in cui bisogna iniziare ad esplorare la ragione del loro malessere. Penso che sia arrivato il momento di esplorare la tua”

“Ed io dico che è ancora troppo presto” rispondo in un soffio, impallidendo vistosamente; Megan se ne  accorge ed infatti fa un passo indietro.

“Non sto dicendo che devi farlo adesso. Lo devi fare solo quando te la sentirai, senza nessuna costrizione, ma ricorda che più continuerai a posticiparlo, più continuerai a non vivere appieno la tua vita”.



 
Quando arrivo a Fox River le parole della psicologa ancora non hanno abbandonato la mia testa.

Il mio primo paziente sta dormendo e preferisco non svegliarlo; entro nel mio Studio ed il malumore e la confusione lasciano spazio alla sorpresa quando sulla scrivania noto una cartellina rigida, un bicchiere ed una busta marrone: prendo in mano la cartellina, la apro e trovo una lastra ed un biglietto scritto da Sara Tancredi in cui mi comunica che gli esami non hanno rilevato nulla di rotto e quindi Bagwell può tornare in cella dai suoi amici.

Poso tutto nuovamente sopra la superficie liscia e mi concentro sul bicchiere e sulla busta: il primo contiene del cappuccino caldo mentre la seconda un muffin ai mirtilli; qualcuno si è preoccupato di farmi trovare la colazione e penso anche di sapere chi è stato.

Adam.

Non so che idea si è fatto, ma non ho alcuna intenzione di illuderlo e così butto tutto dentro il cestino della carta; non ho neppure intenzione di ferire i suoi sentimenti e così cerco di nascondere il cibo con cura con alcuni fogli di carta stropicciati.

Esco di nuovo dal mio Studio, mi avvicino al mio primo paziente e cerco di svegliarlo, perché per lui è arrivato il momento di tornare dietro le sbarre.

“Ha mantenuto la sua promessa. È la prima persona che lo fa con me” mi dice non appena apre gli occhi, con un altro sorriso smagliante; preferisco non rispondere a queste parole e gli comunico la buona notizia.

“Le lastre non hanno rilevato nulla di rotto. Può tornare dai suoi amici, signor Bagwell, non sono intenzionata a trattenerla un solo minuto in più. Vado a chiamare subito qualche guardia”

“Ohh… E questa le sembra una bella notizia, dottoressa?”

“Perché non dovrebbe esserlo?” chiedo, incuriosita.

“Perché questo significa che dovrò trovare un modo per convincere i secondini a portarmi nuovamente qui” risponde lui, come se fosse la cosa più naturale al mondo.



 
Non vedo Karla fino all’ora di pranzo: è lei ad entrare nel mio Studio per propormi di andare a mangiare qualcosa in un ristorante italiano .

“Veramente… Pensavo di mangiare qualcosa delle macchinette”

“Dai, non puoi rimanere qui dentro per dodici ore consecutive. Ogni tanto bisogna staccare la spina altrimenti rischi di andare fuori di testa”.

Riesce a persuadermi ed insieme usciamo dall’infermeria; mentre attraversiamo il sentiero lastricato che porta al cancello sento diverse voci e qualcuno dei tanto temuti fischi ed apprezzamenti: tengo lo sguardo fisso davanti a me e capisco che la nostra ora di pausa per il pranzo corrisponde all’ora di aria all’aperto dei detenuti.

Karla mi assicura che non devo preoccuparmi di questa cosa, perché capita spesso anche a lei, alle altre infermiere ed alla dottoressa Tancredi; rispondo che so badare benissimo a me stessa, proprio come ho detto a Pope durante il mio primo giorno a Fox River.

 Entriamo nel ristorante italiano: i tavoli sono decorati con le classiche tovaglie a quadrati bianchi e rossi ed anche se non è la mia cucina preferita quando prendo in mano il menù non so davvero quale portata scegliere.

Alla fine optiamo entrambe per un piatto di pasta e quando un cameriere ce li porta hanno un aspetto semplicemente delizioso.

“Avevi ragione” dico dopo aver assaggiato una prima forchettata “si mangia davvero molto bene”

“Te lo avevo detto. Allora… Come ti trovi a Fox River?”

“Non è male. Anche se si è creata una situazione alquanto imbarazzante”

“Quale?” mi domanda subito lei con una luce curiosa negli occhi verdi; prendo un profondo sospiro, sistemo delle ciocche di capelli dietro le orecchie e poi le racconto dell’episodio della colazione e dei sospetti che ho su Adam; Karla si porta entrambe le mani alla bocca e sembra proprio una studentessa alle prese con un succoso pettegolezzo “ma lui ti piace?”.

“No, assolutamente no. Sembra un bravo ragazzo ma in questo momento non sono intenzionata né ad avere una relazione né tantomeno averne una sul posto di lavoro”

“E che cosa hai intenzione di fare se dovesse riservarti altre attenzioni?”

“Gli parlerò e metterò le cose in chiaro” rispondo in tono sicuro, perché è la verità: avere un uomo a mio fianco è assolutamente l’ultima cosa di cui ho bisogno in questo momento.

Quando l’ora di pausa finisce, ed io e Karla rientriamo in infermeria, mi ritrovo davanti alla terza sorpresa della giornata: durante la mia assenza qualcuno ha messo sopra la mia scrivania un vaso di vetro con dentro una rosa rossa; sul gambo spinoso del fiore c’è un biglietto attaccato ad una sottile cordicella.

 Lo stacco subito e leggo le due brevi righe, scritte con una penna nera.
 
‘All’unico raggio di sole
In questo mare buio di disperazione’
 
“Ma è una cosa dolcissima!”

“No, è una cosa fuori luogo che non deve accadere ancora” replico accartocciando il bigliettino e gettando anche quello dentro il cestino della carta; dico a Karla che può prendersi il vaso con la rosa, se vuole, perché a me i fiori non sono mai piaciuti e non sono intenzionata a tenere il regalo di una persona che mi è indifferente.

Per tutto il resto della giornata attendo che Adam si affacci al mio Studio, ma questo non accade e non mi resta altro che sperare di vederlo il giorno seguente, in modo da chiarire tutta la faccenda il prima possibile, prima che prenda una piega più seria; appena esco nel corridoio colpisco per sbaglio qualcosa con il piede destro: abbasso lo sguardo e mi accorgo che si tratta di un cappello a visiera, blu, che deve essere caduto sicuramente ad una guardia.

Lo raccolgo, lo ripulisco dalla polvere ed appena incontro Karla le chiedo se sa a chi appartiene, ma lei risponde che non lo ha mai visto.

“Giù c’è una scatola per gli oggetti smarriti, se pensi che sia di qualche guardia lo puoi mettere là dentro ed il proprietario lo ritroverà prima o poi”.

So che questa è la cosa più giusta da fare dal momento che questo cappello non è mio, ma è così bello che è un peccato lasciarlo ammuffire dentro una scatola insieme ad altri oggetti.
 

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Capitolo 3
*** Like A Prayer (Nicole) ***


Sto per uscire di casa quando sento i primi sintomi dell’ennesimo attacco di panico.

È una sensazione davvero orrenda: inizi a sudare, i brividi ti scuotono tutto il corpo, senti un peso nel petto ed hai la sensazione di soffocare, di non riuscire bene a respirare e più il tempo passa più i sintomi peggiorano anziché scomparire lentamente.

Così seguo il consiglio della mia psicologa; cerco il mio mp3, infilo le cuffie nelle orecchie, lo accendo e seleziono la mia canzone preferita: Like A Prayer, di Madonna.

Appena partono le prime note mi sento subito meglio, tiro un profondo sospiro di sollievo ed aspetto qualche minuto prima d’infilarmi la giacca e prendere la borsa a tracolla; lancio per puro caso un’ultima occhiata all’attaccapanni e noto il cappello che ho trovato la sera prima e che ho messo lì quando sono rientrata: lo prendo in mano, provo ad indossarlo e scopro con sorpresa che è quasi perfetto per la circonferenza della mia testa.

Quando varco il cancello di Fox River ho ancora le cuffie nelle orecchie e sto ascoltando di nuovo la stessa canzone: in realtà mi piace così tanto che potrei ascoltarla anche cento volte senza mai stancarmi o considerarla meno bella; sono quasi a metà del sentiero lastricato quando mi sembra di sentire una voce chiamarmi, una voce poco più forte di un sussurro che cerca di attirare la mia attenzione.

“Ehi… Ehi… Cocca… Nicole…”.

Tolgo le cuffie, mi guardo attorno e non è difficile individuare la persona a cui appartiene quella voce: si tratta di un detenuto che se ne sta a poca distanza da me, dall’altra parte della recinzione, con le mani appoggiate agli anelli metallici; indossa una tuta scura, simile a quelle che usano i meccanici, ed io lo riconosco subito.

“Signor Bagwell…” lo saluto avvicinandomi alla recinzione, mantenendo però una distanza di sicurezza per tre motivi: è un estraneo, è un detenuto e soprattutto non so per quale motivo è rinchiuso a Fox River “come si sente oggi? Vanno meglio i lividi?”.

Ha ancora una brutta macchia viola appena sopra la bocca ed un’altra che gli circonda l’occhio destro, che fatica a tenere del tutto aperto, ma non sembra essere minimamente preoccupato delle sue condizioni fisiche e lo dimostrano le parole che mi rivolge.

“Lei ha qualcosa che mi appartiene”

“Davvero?” chiedo, corrucciando le sopracciglia davanti ad un’accusa così bizzarra “e cosa le avrei rubato?”

“Quello” risponde lui, ed impiego qualche secondo prima di capire che si sta riferendo al cappello che indosso “deve essermi caduto mentre i secondini mi portavano in infermeria. Ci sono molto affezionato e lo vorrei riavere indietro”

“Come posso essere certa che questa non sia una bugia?”

“Perché non avrebbe senso mentire ad una persona che è stata così gentile con me ed ha mantenuto la sua promessa”

“Perché è qui da solo?”

“Non sono da solo, sono con il mio gruppo di lavoro. Ci stiamo occupando di sistemare la stanza delle guardie. Così quei poveretti avranno un posto dove riposarsi dopo tutto il duro lavoro che fanno”

“Noto del sarcasmo nella sua voce” dico senza riuscire a trattenere un mezzo sorriso e lui mi imita, passandosi una mano nel ciuffo di capelli castani che gli ricade sulla fronte.

“Andiamo, dottoressa, non sono in cerca di guai. Voglio solo riavere il mio cappello, ed ora che lo ha indossato lei avrà di sicuro il suo profumo e questo è un motivo in più per rivolerlo indietro. Così nei momenti di solitudine mi basterà portarmelo al viso, prendere un profondo respiro e mi sentirò subito meglio”.

Resto letteralmente senza fiato dinanzi alle ultime parole che pronuncia, sto per rispondere quando la mia voce si trasforma in un urlo terrorizzato: qualcuno spara un colpo con un’arma ed il proiettile colpisce la terra a pochi centimetri di distanza dalla gamba sinistra di Bagwell; indietreggiamo entrambi e sentiamo la voce di una guardia che urla attraverso un megafono.

“Bagwell, allontanati subito dalla recinzione o mi assicurerò che il prossimo proiettile ti colpisca in fronte!”.

Ritorno sul sentiero lastricato e rivolgo le ultime parole al mio primo paziente.

“Non posso passarle nulla attraverso la recinzione, signor Bagwell, credo di essere già abbastanza nei guai. Se davvero è suo questo cappello glielo posso restituire solo in infermeria”

“Le ripeto che non avrebbe senso, per me, mentire ad una persona che è stata così gentile. Se guarda dentro al cappello troverà un’etichetta su cui c’è scritto il mio nome, farò in modo di venirla a trovare oggi pomeriggio per riavere ciò che è mio, dottoressa”.

Mi volta le spalle e si dirige verso uno dei capanni ed io faccio lo stesso in direzione dell’infermeria, ma dopo qualche passo, non so per quale motivo, mi volto a fissarlo un’ultima volta ed avvampo violentemente rendendomi conto che lui sta facendo esattamente lo stesso.

Abbiamo avuto nello stesso istante lo stesso, identico, pensiero.



 
Quando entro in infermeria noto subito che lo Studio affianco al mio è occupato da una bellissima donna dai lunghi capelli rossi, che indossa un camice bianco; chiedo spiegazioni a Karla e la sua risposta conferma il mio pensiero.

“Quella è Sara”

“Ohh…” mi limito a dire, trovando sempre più strano il fatto che una persona come lei lavori in un posto simile “come mai è qui?”

“C’è stata un’emergenza. Un regolamento di conti. Molti detenuti hanno bisogno di cure urgenti e così Pope l’ha chiamata”.

Sposto la mia attenzione sul paziente di cui si sta occupando: è un ragazzo appena sotto i trent’anni, con i capelli completamente rasati e gli occhi così chiari che perfino a questa distanza è possibile vedere il loro colore; esattamente come con Sara anche con lui ho la medesima, strana, sensazione.

La sua presenza strida con il posto che lo circonda.

“E lui chi è?”

“Si chiama Michael Scofield, ha una situazione abbastanza particolare”

“Perché?”.

Karla mi spiega che il fratello di Michael, Lincoln Burrows, è rinchiuso nell’altro Braccio ed è condannato alla sedia elettrica perché ha assassinato il fratello della vicepresidente degli Stati Uniti, mentre Scofield deve scontare cinque anni per rapina a mano armata; sento un moto di compassione per quel giovane e posso solo immaginare quanto deve essere difficile per lui essere vicino al fratello e non poter fare altro che attendere il giorno in cui la sentenza verrà messa in atto.

Vado nel mio Studio per cambiarmi, perché i lettini occupati sono davvero tanti, ma mi blocco sulla soglia della porta perché vedo ancora un bicchiere ed una busta sopra la mia scrivania: dopo la prima colazione e dopo la rosa con la dedica Adam sembra non essere intenzionato ad arrendersi e questo mi fa capire che entro la fine del turno devo trovare assolutamente il modo di parlargli in privato perché questa storia deve finire; butto nuovamente il bicchiere e la busta dentro il cestino e indosso il camice.

Accantono momentaneamente Adam ed il suo corteggiamento indesiderato perché ci sono molti pazienti che hanno bisogno di essere visitati il prima possibile.



 
Bagwell mantiene incredibilmente la parola data e delle guardie lo conducono nel mio Studio nel pomeriggio: ha un taglio sul braccio sinistro che continua a sanguinare e gli chiedo subito come se lo è procurato.

“Tutti noi abbiamo in nostri segreti, dottoressa”

“O mi dice come è successo o sarò costretta a raccontarlo al direttore Pope. E non mi ha ancora detto chi l’ha ridotta in quelle condizioni due giorni fa”

“D’accordo… D’accordo…” risponde lui, alzando le mani “mi sono distratto mentre ero dentro un capanno e mi sono tagliato. Per quanto riguarda l’altro giorno avevo dei conti in sospeso con alcuni detenuti e sono stato attaccato alle spalle”

“Forse dovrebbe iniziare a stare lontano dai capannoni, signor Bagwell” gli dico, restituendogli l’ironia che ha usato con me finora; gli disinfetto il taglio che ha sul braccio e poi lo copro con della garza, assicurandogli che in pochi giorni non resterà più nulla, tranne un brutto ricordo.

Lo sto per congedare ma lui mi afferra per un braccio; non lo fa con violenza o con irruenza: semplicemente mi appoggia la mano destra sulla pelle per poi toglierla quasi subito.

“La prego, possiamo parlare ancora un po’? Non mi rimandi subito in cella”

“Sono contenta che le faccia così piacere la mia compagnia, ma ci sono altri detenuti che hanno bisogno di cure ed io non posso farli attendere e non posso scaricare tutto il lavoro alle infermiere o alla dottoressa Tancredi”

“Non le sto chiedendo tutto il pomeriggio. Solo altri cinque minuti, la prego. È da tempo che non trovavo una persona con un’affinità mentale così alta”

“Signor Bagwell, io non riesco a capire se quando parla è terribilmente sincero o se mi sta prendendo per il culo”.

Attendo una sua risposta in silenzio, con le braccia incrociate, ma lui sposta l’attenzione ad un altro argomento.

“Che musica stava ascoltando questa mattina?” mi chiede, guardandomi negli occhi senza quasi sbattere le palpebre; potrei chiamare delle guardie per farlo riportare in cella dal momento che mi sta disturbando e mi sta impedendo di svolgere il mio lavoro con chiacchiere inutili, ma c’è qualcosa nella sua voce e nel modo in cui mi guarda, qualcosa che non riesco a definire, che mi fa cambiare idea.

Like A Prayer

“Ahh, una scelta molto particolare”

“Per quale motivo?”

“Per via del testo… Per via del video… Non lo ha mai visto? Parla di questa ragazza che assiste in un vicolo allo stupro ed all’omicidio di una giovane da parte di una banda. Lei riesce a vedere in faccia il Capo del gruppo ma quando arriva la polizia loro sono già scappati ed arrestano un ragazzo innocente, che stava solo cercando di prestare soccorso alla povera vittima. La ragazza, allora, corre in una chiesa e là inizia a pregare la statua di un Santo affinché le dia la forza di andare a raccontare quello che è successo veramente”

“Lei mi lascia senza parole. Non pensavo che sapesse queste cose”

“Ho molto tempo libero, in qualche modo dovrò pur occuparlo”

“Mi ha fatto piacere parlare con lei, ma adesso deve andarsene altrimenti qualcuno potrebbe iniziare a preoccuparsi”

“D’accordo, ma si ricordi che la nostra chiacchierata è solo rinviata ad un altro momento” risponde prima di allungare la mano destra “adesso posso avere il mio cappello?”

“Non sono ancora sicura che sia suo”

“Non ha controllato l’etichetta?”.

Per fugare ogni possibile dubbio vado a prendere il cappello, guardo al suo interno e noto che effettivamente c’è una piccola striscia di stoffa bianca su cui qualcuno ha scritto un nome con un pennarello nero: T-Bag.

“Ma qui c’è scritto…”

“Si, è il mio soprannome. ‘T’ di Theodore e ‘Bag’ di Bagwell. Tutti in carcere hanno un soprannome”

“Allora, a questo punto, non posso fare altro che restituirle ciò che è suo” dico arrendendomi alla realtà dei fatti: quel cappello a visiera è davvero suo e quando glielo porgo le nostre mani si sfiorano per qualche breve istante.



 
Manca solo mezz’ora alle nove quando la porta del mio Studio si apre ed entra un uomo in divisa che vedo per la prima volta; il primo pensiero che mi passa per la testa è che assomiglia ad un grosso toro, o cinghiale, pronto a caricare a testa bassa la sua preda.

“Dottoressa Baker” mi dice in tono duro, freddo “sono il Capitano Bradley Bellick, sa per quale motivo sono qui?”

“In verità no”.

 Mento spudoratamente, perché in realtà una mezza idea ce l’ho.

“Uno dei miei uomini mi ha detto che l’ha vista parlare con un detenuto questa mattina. Che cosa le ha detto? Che cosa voleva da lei?”

“Assolutamente nulla”

“Dottoressa, le ho fatto una domanda e gradirei avere una risposta o sarò costretto a prendere seri provvedimenti”.

Lo guardo negli occhi; non mi piace il modo in cui mi fissa e di conseguenza non posso fare alto che raccontare la verità.

“Ieri, in infermeria, ho trovato un cappello. L’ho portato a casa e questa mattina l’ho indossato prima di uscire. Quando sono arrivata a Fox River un detenuto mi ha detto che era suo, ed io gli ho risposto che se lo voleva indietro, se veramente era suo, doveva venire in infermeria a prenderselo”

“Non deve accadere una seconda volta” mi ordina Bellick dopo una breve pausa, avvicinandosi in modo minaccioso ed autoritario “altrimenti andrò subito da Pope a riferirgli ogni singola cosa, sono stato abbastanza chiaro?”

“Si, molto” mi limito a rispondere, chinando in avanti la testa.
 

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Capitolo 4
*** Isolation (T-Bag) ***


Me ne sto sdraiato sulla brandina e tengo gli occhi chiusi nella speranza di addormentarmi, ma non ci riesco.

E questo non dipende dal casino che stanno facendo gli altri detenuti, ma dal rumore della porta scorrevole della mia cella che si apre ed infatti, poco dopo, sento l’eco di alcuni passi avvicinarsi a me, seguiti dalla voce di quel grasso maiale di Bellick che mi ordina di alzarmi subito.

Apro solo l’occhio destro, lo guardo e gli sorrido.

“Capo, a che cosa devo l’onore di questa visita?”

“Alzati, Bagwell, noi due dobbiamo fare una bella chiacchierata”

“Desolato, temo che dobbiamo rimandarla perché questo è il momento del mio riposino pomeridiano”.

Faccio appena in tempo a terminare la frase che Bellick mi afferra per la maglietta e mi sbatte con forza conto una parete; sento un dolore acuto per tutta la lunghezza della spina dorsale, ma non emetto un solo lamento perché non voglio dargli la soddisfazione.

“Non me ne frega un cazzo se questa è l’ora del tuo riposino pomeridiano o se è l’ora in cui ti diverti con qualcuno dei detenuti più giovani. Se io vengo nella tua cella perché ho bisogno di parlare con te per chiarire alcune cose tu devi limitarti a rispondere alle mie domande, d’accordo?”

“Si, Capo” rispondo e mi lascia finalmente andare “che cosa dobbiamo chiarire? Mi sono comportato bene oggi”

“Uno dei miei uomini mi ha detto che ti ha visto nel cortile, questa mattina, si può sapere che cazzo ci facevi lì e per quale motivo indossavi una delle tute da lavoro? Tu non fai parte del gruppo di Abruzzi, non sei uno di quelli che devono sistemare la stanza delle guardie. Ti do solo una possibilità per raccontarmi la verità, Bagwell, altrimenti giuro che ti troveranno di nuovo dentro un capanno e questa volta i soccorsi saranno inutili”.

Le parole di quel grasso maiale mi procurano un brivido nella schiena; mi mordo il labbro inferiore per prendere tempo, per pensare a cosa dire ed a come giocarmela dal momento che non ci tengo a ritrovarmi con la gola tagliata in una pozza di sangue.

“D’accordo, mi ha scoperto” rispondo alla fine, emettendo un lungo sospiro “non sono rientrato per l’appello mattutino e mi sono nascosto in uno dei capanni. Lì ho preso una tuta e ho cercato di avvicinarmi alla recinzione senza farmi vedere perché dovevo parlare con urgenza alla nuova dottoressa. Lei aveva il mio cappello ed io lo volevo indietro”

“Quindi… Tu mi stai dicendo che hai fatto tutto questo, rischiando un aumento di pena, per uno stupido cappello?”

“Ci tengo a quel cappello e poi per me non avrebbe fatto alcuna differenza avere degli anni in più. Devo scontare due ergastoli”.

Bellick mi colpisce allo stomaco con un manganello e resto letteralmente senza fiato.

È  evidente che non gradisce la mia risposta.

 Mi appoggio ad una parete, mi chino in avanti e sputo a terra quello che è un grumo di saliva mista a sangue.

“Sei proprio un animale, Bagwell, ti sei appena guadagnato un biglietto in prima fila per trascorrere dieci giorni in una delle celle d’isolamento”

“Ma io non ho fatto nulla, Capo! Ho semplicemente risposto alla sua domanda, le ho detto la verità!” protesto, offeso, perché i fatti si sono svolti esattamente in questo modo; lui, però, non è intenzionato ad ascoltare un’altra delle parole che escono dalla mia bocca e così mi afferra per il braccio sinistro e mi trascina fuori nel corridoio.

Tento ancora una volta di spiegargli che non mi sono preso gioco di lui ma non ottengo nulla, tranne di irritare Abruzzi, la cui cella si trova nel lato opposto al mio, nello stesso piano.

“Basta, T-Bag, smettila. Sei peggio di un bambino”.



 
Bellick mi spinge all’interno di una cella d’isolamento; chiude la porta senza dire nulla e si allontana, lasciandomi da solo nel buio più totale.

Le celle d’isolamento sono un posto orribile e se un detenuto è furbo cerca di fare qualunque cosa per non finirci dentro: non c’è luce, non c’è una sola finestra e l’unica aria che entra è quella che passa dalla fessura che c’è sotto la porta blindata; sono anche claustrofobicamente strette perché quando ti siedi sul pavimento con i piedi tocchi la parete opposta, e l’umidità è quasi insopportabile.

Ci sono solo due modi per resistere in un posto simile senza impazzire: o sei già pazzo oppure trovi il modo per distrarti e per far passare il tempo il più velocemente possibile, anche se pure in questo caso le opzioni non sono molte.

O pensi, o dormi o ti distrai con la mano destra.

O con la sinistra se una persona è mancina.

Mi siedo sul pavimento sporco, appoggio la testa contro la parete alle mie spalle e chiudo gli occhi; nella mia mente si forma subito il viso della nuova dottoressa: tratti infantili, occhi azzurri, capelli biondi ed un collo alto, da cigno.

Sembra una bambina cresciuta troppo velocemente e questo la rende ancora più affascinante.

E poi ci sono i suoi occhi.

Si dice che dallo sguardo di una persona si possono capire molte cose che le labbra non dicono; ed il suo nasconde tanti segreti che nessuno ha mai colto.

Ed io intendo scoprirli uno ad uno.

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Capitolo 5
*** I Deserve To Know (Nicole) ***


Trascorre più di una settimana in cui non vedo mai il mio primo paziente, ma tutto cambia nel pomeriggio dell’undicesimo giorno, quando delle guardie lo conducono nel mio Studio a causa di un taglio che ha sulla guancia destra; appena se ne vanno gli domando subito che cosa gli è successo perché, nonostante abbiamo parlato solo quattro volte per pochi minuti, ho sentito la sua mancanza.

“Il nostro piccolo incontro mattiniero mi ha procurato dieci giorni in isolamento”

“Mi dispiace, non era mia intenzione…”

“Non si preoccupi, dottoressa, almeno ho riavuto indietro il mio cappello. Lei ha avuto qualche ripercussione personale?”

“No” rispondo subito; esito per qualche istante mentre gli sto disinfettando il taglio e poi decido di raccontargli della minaccia velata di Bellick: non so esattamente perché lo faccio, ma c’è qualcosa che mi spinge a confidarmi.

Bagwell risponde con uno sbuffo e solleva il sopracciglio sinistro.

“E così anche lei ha conosciuto il nostro valido Capitano. Non si deve preoccupare, è solo un pallone gonfiato. Parla, parla, parla ma poi non da mai seguito alle sue minacce”

“Lo spero. Non ho intenzione di perdere il lavoro” copro il taglio con un cerotto e poi vado a lavarmi le mani, lasciando scorrere l’acqua forse per un po’ troppo tempo e poi trovo finalmente il coraggio di rivolgergli una domanda che occupa la mia mente da undici giorni “signor Bagwell, le posso fare una domanda?”

“Lei può chiedermi tutto quello che vuole, dottoressa” risponde lui con un sorriso.

“Quella mattina mi ha chiamata per nome. Come faceva a conoscerlo?”

“Ohh, le notizie passano velocemente di bocca in bocca in un carcere. Anche noi detenuti abbiamo orecchie per ascoltare ciò che i secondini dicono mentre camminano davanti alle nostre celle. Tutta Fox River sa che lei è la nuova dottoressa e che si chiama Nicole Baker. Non è un segreto per nessuno. A differenza della sua età…”

“Non ho nulla da nascondere” dico sforzandomi di sorridere, ma sento il mio cuore iniziare a battere più velocemente e la gola diventare improvvisamente secca “ho ventisette anni”

“Ne è sicura?”

“Perché mi fa questa domanda?”

“La dottoressa Tancredi ha quasi quell’età mentre lei sembra essere molto più giovane, ma può essere solo una mia impressione… Si… Deve essere così… Altrimenti non potrebbe neppure ricoprire il ruolo di dottoressa”

“Le sue insinuazioni sono del tutto infondate e fuori luogo” rispondo in modo secco, perché si è spinto troppo in là; ignoro le sue scuse e chiamo delle guardie, che lo riportano nella sua cella.

Nello stesso momento in cui la porta si chiude afferro il mio mp3, infilo le cuffie nelle orecchie e con le mani che tremano seleziono la prima canzone che compare nella playlist; chiudo gli occhi, appoggio la mano destra al petto ed inizio quasi subito a sentirmi meglio, mentre il battito torna lentamente regolare.

Evito appena in tempo un attacco di panico sul posto di lavoro.

Quando la canzone finisce mi tolgo le cuffie e ripongo il piccolo apparecchio tecnologico nella borsa; sento un rumore improvviso, mi volto di scatto in direzione della porta e vedo Adam che mi fissa con uno sguardo imbarazzato: non ho idea da quanto tempo è lì e che cosa ha visto.

“Nicole, stai bene?” mi chiede quando ritrova la voce; io annuisco e riesco perfino a sorridere, in modo da rassicurarlo.

“Ho avuto solo un piccolo mancamento, adesso mi sento già meglio”

“Ne sei sicura?”

“Si”

“D’accordo, ma se hai bisogno di qualcosa non esitare a chiedere”

“Adam!” lo richiamo prima che se ne vada; mi avvicino e mi ritrovo sovrastata dalla sua altezza: questa è la prima volta dopo diverso tempo che mi ritrovo faccia a faccia con lui e devo approfittarne per chiarire la questione del corteggiamento e dei regali, anche se può essere dolorosa “sei stato tu a farmi trovare quelle cose sopra la scrivania?”.

Adam arrossisce violentemente e già questa è una conferma delle mie ipotesi.

“Si, sono stato io. Mi hai beccato”

“Ti ringrazio per la colazione e per la rosa, sei stato molto gentile, non voglio ferire i tuoi sentimenti ma in questo momento non sono intenzionata a frequentare qualcuno ed avere una relazione sul posto di lavoro non è mai una buona idea e non credo neppure che sia permesso a Fox River. Mi dispiace, scusami” dico imbarazzata, perché non sono abituata a fare questi discorsi: lui incassa bene il colpo, ma i muscoli tesi della mascella mi fanno capire che lo sto pugnalando al cuore; quando parla, però, la sua voce è calma e non lascia tradire alcun tremore.

“Non ti devi preoccupare, capisco perfettamente il tuo punto di vista. Ho fatto una cazzata tremenda…”

“No… Non devi farti colpe che non hai”

“Però non capisco una cosa. Di quale rosa stai parlando?”.



 
“A lavoro è successa una cosa strana” confesso alla mia psicologa, giocherellando con la stoffa della maglietta che indosso; lei, ovviamente, mi incoraggia a proseguire ed a raccontarle cosa mi turba così tanto “una delle guardie più giovani mi ha corteggiata per qualche giorno e sopra la scrivania del mio Studio ho trovato per due volte la colazione ed anche una rosa. La rosa era dentro un vaso di vetro ed aveva un bigliettino attaccato al gambo su cui c’era scritto ‘all’unico raggio di sole in questo mare buio di disperazione’. Ho parlato con lui, gli ho detto che non sono intenzionata ad avere una relazione in questo momento e lui mi ha risposto che rispetta la mia scelta ma non c’entrava nulla con la rosa”

“Pensi che ti abbia mentito?”

“No, credo sia stato sincero. Ha ammesso di essere stato lui a farmi trovare la colazione, perché non avrebbe dovuto fare lo stesso anche con quel fiore?”

“Hai idea di chi possa essere stato, Nicole?” mi domanda, allora, Megan ed io mi limito a scuotere la testa.

Le uniche persone con cui parlo sono Karla ed Adam, con le altre guardie o infermiere non scambio una sola parola e lo stesso vale per la dottoressa Tancredi.

Proprio per questi motivi non capisco chi è il mio secondo ‘ammiratore segreto’.

Quando arrivo in infermeria trattengo il respiro alla vista di un pacchetto colorato posizionato sopra alcune cartelle cliniche; la mia reazione esagerata attira l’attenzione di Karla, che nota a sua volta il regalo.

“E quello?” mi domanda, infatti “da parte di Adam? Non è intenzionato ad arrendersi?”

“Non lo so” sussurro io; prendo in mano il pacchetto e mi accorgo che c’è anche una piccola busta: prendo il biglietto che c’è all’interno e lo leggo velocemente, muovendo appena le labbra.
 
‘Perdonami, raggio di sole’.
 
Il mio cuore inizia a battere più velocemente mentre nella mia mente s’insinua un terribile sospetto; apro il regalo con le mani che tremano e quando vedo il suo contenuto per poco non lo lascio cadere a terra con un grido: è una copia di un CD di Madonna, Like A Prayer.

Ogni dubbio scivola via e mi aggrappo con entrambe le mani alla scrivania per non cadere a terra; Karla vede che sono improvvisamente pallida e mi presta soccorso, spaventandosi esattamente come Adam il giorno precedente.

“Nicole? Stai bene? Che cosa ti succede?”

“Nulla. Nulla. Sto bene. È stato solo un momento di debolezza” rispondo deglutendo a vuoto; va a prendermi una bottiglietta d’acqua da una delle macchinette che si trovano nel corridoio ed io mando giù un breve sorso, che mi da una sensazione momentanea di sollievo.

Mi domanda ancora una volta come sto e che cosa mi è successo ma io la rassicuro con un sorriso e la prego di non proferire parola con nessuno del regalo, che nascondo dentro uno dei cassetti della scrivania.

C’è solo una persona che può essere responsabile di questo regalo, perché solo ad una persona ho detto che io adoro particolarmente quella canzone e così non mi resta che attendere il suo arrivo nel pomeriggio, cercando di non far vedere a nessuno il mio nervosismo: so che verrà ed oggi più che mai ha un motivo per farlo.

Quando le guardie lo portano nel mio Studio con l’ennesimo taglio superficiale da disinfettare mi trattengo dall’aggredirlo a parole, ma quando rimaniamo soli esplodo.

“Che cosa significa questo?”.

Gli mostro il CD, ma lui finge di non saperne nulla.

“Non lo so, dottoressa. Che cosa dovrebbe significare?”

“Perché me lo ha mandato? Come ha fatto?”

“Io non le ho mandato nulla”

“Non le credo. Lei è l’unica persona a cui ho detto che adoro questa canzone e nel bigliettino c’era scritto ‘perdonami’

“Ammetto che è una curiosa coincidenza ma dimentica una cosa fondamentale: io vivo dietro le sbarre di una cella, come avrei fatto a comprare quel CD ed a farglielo trovare sopra la scrivania?”

“E come fa a sapere che il pacchetto era sopra la mia scrivania? Io non l’ho mai detto”.

A questo punto sorride, fa una breve risata e si passa la mano destra tra i capelli castani.

“Lo confesso, sono io il colpevole. Può arrestarmi”.

So che dovrei incalzarlo a dirmi come ha fatto per poi riferire ogni cosa al direttore Pope, ma la domanda che esce dalla mia bocca è un’altra.

“Perché lo ha fatto?”

“Volevo farmi perdonare per il piccolo incidente di ieri pomeriggio”

“D’accordo” mormoro, deglutendo a vuoto, sentendomi leggermente a disagio di fronte a quegli occhi scuri “e perché… Perché mi ha mandato quella rosa?”

“Per ringraziarla di essersi presa cura di me, dottoressa. E perché lei è davvero l’unico raggio di sole qui dentro”.

Sento le guance cambiare rapidamente colore e prima che lui se ne accorga chiamo le guardie; mi avvicino al lavandino, mi bagno più volte il viso con dell’acqua fredda per riprendermi e per avere un aspetto nuovamente presentabile.

 Non capisco per quale motivo le sue parole mi procurano uno sconvolgimento così profondo, non capisco perché la sua sola presenza mi fa tremare, ma allo stesso tempo so che sto prendendo una strada senza ritorno.

“Dottoressa Baker?”.

Una voce maschile mi distoglie dai miei pensieri e mi accorgo che il Capitano Bellick è sulla soglia del mio Studio.

“Si?” domando cercando di apparire disinvolta, nascondendo i miei turbamenti dietro una maschera di normalità; appoggio l’asciugamano vicino al lavandino “che cosa posso fare per lei? Si sente male?”

“No, voglio solo parlarle. Non le ruberò molto, solo pochi minuti”

“Le dico subito che non ho nulla da nascondere e non ho più parlato con qualcuno attraverso la recinzione”

“No, no, no… Non si tratta di questo, ma ha a che fare con un detenuto che ha iniziato a frequentare molto spesso l’infermeria e penso che lei sappia a chi mi sto riferendo”

“Sta parlando del signor Bagwell? Si, in effetti lo vedo quasi ogni giorno perché ha sempre dei tagli sul viso o sulle braccia che si procura lavorando all’interno di uno dei capannoni”

“Ahh, davvero? Le ha raccontato questo? Peccato che T-Bag non faccia parte del gruppo di lavoro. Sa che cosa ho notato? Ho notato che lui ha bisogno di cure mediche sempre durante il suo turno e mai durante quello della dottoressa Tancredi. Ed è sempre lei, dottoressa Baker, ad occuparsi di T-Bag. Mai qualcuna delle infermiere”

“Non capisco che cosa sta insinuando” rispondo a denti stretti, con la speranza di non arrossire.

“Le consiglio di informarsi sulle persone di cui si occupa ogni giorno prima d’instaurare uno stretto rapporto confidenziale con loro”
“A me non importa sapere il motivo per cui i miei pazienti sono qui, Capitano, tutto quello che m’interessa è nella loro cartella clinica”

“Come vuole lei, dottoressa” risponde Bellick, sistemandosi il berretto l’ordinanza “ma ascolti il mio consiglio: quando tornerà a casa si metta davanti al suo computer e digiti su internet il nome ‘Theodore Bagwell’. Non se ne pentirà. Le auguro una buona giornata”.

Non rispondo al suo saluto e quando esce dal mio Studio mi preoccupo di sbattere con forza la porta.

Stringo le mani a pugno così forte che le unghie si conficcano nella pelle: lo so che Bellick ha detto quelle parole solo per provocarmi, perché io non ho voluto raccontare subito la storia del cappello, ma per tutto il resto del giorno continuo a pensare al suo consiglio e sono così nervosa che arrivo a maltrattare la povera Karla, le altre infermiere e perfino Adam.

Quando arrivo a casa mi tolgo la giacca, appendo la borsa all’attaccapanni ed accendo subito il mio portatile, sedendomi a gambe incrociate sul divano; mentre aspetto che si connette ad internet mi tormento il labbro inferiore con i denti: una parte di me continua a ripetermi che non devo farlo, che non devo dare la soddisfazione a Bellick, che mi pentirò nel momento stesso in cui digiterò il nome ed il cognome del mio primo paziente.

L’altra parte, però, mi dice che devo farlo perché, dopotutto, è un mio diritto sapere.
 

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Capitolo 6
*** Alabama Monster's (T-Bag) ***


Se si vuole sopravvivere in un carcere bisogna sempre avere un’arma con sé.

È praticamente impossibile portarla dall’esterno, i controlli sono fin troppo serrati, ma se una persona ha un po’ d’ingegno si possono trovare oggetti molto interessanti in posti come il cortine o la mensa: basta rompere una posata di plastica o togliere una vite dalle tribune, limarla con cura dentro la propria cella ed il gioco è fatto.

Se poi sei una personalità di spicco tra queste quattro mura hai dei vantaggi: John Abruzzi, per esempio, ha un pugnale che custodisce gelosamente come se fosse un figlio.

Io ho un punteruolo, il mio migliore e più fedele amico, che tengo sempre nascosto all’interno del materasso della mia brandina per ogni evenienza.

Lo prendo e l’osservo per qualche minuto: mi sono già procurato un taglio in un braccio ed un altro in una guancia, per cui ora la scelta ricade automaticamente sulla gamba destra.

Appallottolo la stoffa dei pantaloni fino al ginocchio e proprio lì affondo la lama del punteruolo e traccio un profondo segno rosso orizzontale; mi mordo il labbro inferiore per non lasciarmi scappare un urlo e ripongo l’arma bianca all’interno del materasso.

Il ginocchio inizia già a sanguinare e così zoppico fino alle sbarre e grido per attirare l’attenzione di qualcuno dei secondini; passano quasi dieci minuti prima che uno di loro si degna di apparire.

“Che cosa c’è, T-Bag?”

“Sono scivolato e ho sbattuto il ginocchio contro il ferro della brandina” dico, indicandogli la parte lesa; ormai sul pavimento della cella c’è una piccola macchia scarlatta che diventa più grande ad ogni secondo che passa.

Lui guarda la macchina con sufficienza e poi torna a fissarmi con il sopracciglio destro alzato.

“E allora?”

“E allora? Devo essere io a dire che cosa bisogna fare in situazioni come questa? Devi portarmi subito in infermeria o potrei dissanguarmi!”.

La guardia sbuffa contrariata, ma poi da l’ordine di aprire la cella, mi ammanetta e mi afferra per il braccio destro.

“Non provare a fare qualcosa di stupido” mi minaccia indicandomi il teaser che ha attaccato alla cintura.

“Puoi stare tranquillo, non ho intenzione di fare nulla di avventato” rispondo io, sorridendogli apertamente.

Ed è la verità, non ho assolutamente intenzione di fare una cazzata altrimenti posso giocarmi non solo la possibilità di andare in infermeria, ma anche qualcosa di più prezioso; dopotutto succede spesso all’interno di un carcere, soprattutto di uno maschile: un detenuto tira troppo la corda, il giorno dopo giace senza vita all’interno della sua cella e tutto viene classificato come suicidio.

Bellick mi odia con ogni fibra del suo essere e sono sicuro che sta aspettando solo l’occasione giusta per procedere con il mio suicidio.



 
Solitamente mi reco in infermeria al pomeriggio, ma da quando Bellick ha iniziato a fiutare qualcosa preferisco cambiare continuamente orario o fascia della giornata, alternando il pomeriggio alla mattina.

E poi, lo confesso, sento l’urgenza di vedere Nicole il prima possibile.

Quando varco la soglia del suo Studio noto subito che c’è qualcosa che non va in lei: è pallida, la pelle del suo viso è tirata ed ha delle ombre scure sotto gli occhi che non è riuscita a mascherare neppure con del trucco; non mi degna di una sola occhiata e rivolge tutta la sua attenzione al secondino.

“Si?” gli domanda e quando lui risponde che ho bisogno di cure mediche, ribatte con parole secche, spostando di nuovo la sua attenzione su una cartellina che ha tra le mani che tremano in modo appena percepibile “in questo momento sono molto occupata. Non è una ferita grave, ci penserà una delle infermiere”.

Non ho nemmeno il tempo di protestare che la guardia mi spinge fuori dallo Studio e mi ammanetta ad uno dei tanti lettini disposti in fila; io non ci faccio caso, non mi accorgo nemmeno dell’infermiera dai capelli rossi che si avvicina a me, continuo a tenere gli occhi puntati sulla porta dello Studio di Nicole, con la speranza che lei esca, ma questo non accade.

Sembra essersi letteralmente barricata lì dentro.

Non vuole avere nulla a che fare con me e non riesco a comprenderne il motivo.

“Mh?” mi limito a dire quando l’infermiera cerca di attirare la mia attenzione per l’ennesima volta e solo adesso mi rendo conto che anche lei è giovane e carina.

“Che cosa è successo? Come hai fatto a procurarti questo brutto taglio?”

“Ho sbattuto il ginocchio contro il ferro della brandina”

“Deve essere molto particolare la tua brandina se ti ha ferito in questo modo, anziché regalarti solo un brutto livido” risponde con un mezzo sorriso.

È furba, ma non altrettanto intelligente: una persona intelligente sa quando è meglio tenere la bocca chiusa.

L’afferro per un braccio e l’avvicino a me senza esercitare troppa pressione: non voglio farle male, voglio solo spaventarla; do una rapida occhiata al cartellino appuntato sul suo petto e poi la chiamo per nome.

“Karla, attenta a giocare con il fuoco. Rischi di rimanere bruciata”.

La lascio andare prima che qualcuno ci veda; Karla non pronuncia più una sola parola e si limita a disinfettare e bendare la ferita.

Chiama una guardia ed io ritorno nella mia cella senza vedere Nicole una seconda volta e senza capire per quale motivo non ha voluto occuparsi di me.



 
Per tutto il resto della mattinata me ne sto sdraiato sulla mia brandina a riflettere; mi alzo solo quando le porte delle celle si aprono automaticamente per permetterci di trascorre un’ora all’aria aperta.

Fox River è suddivisa in due Bracci per noi detenuti: il Braccio A ed il Braccio B; entrambi sono dotati di un cortile recintato per permetterci di sgranchire un po’ le gambe e tutti gli altri muscoli del corpo, per i più audaci c’è anche un piccolo campo da basket.

Io ci ho provato solo una volta: la mia carriera da giocatore è terminata nello stesso momento in cui il gomito destro di Abruzzi ha incontrato il mio naso.

Anche se il cortile è molto spazioso ogni gruppo ha il proprio territorio; il mio è costituito da un’ampia tribuna ed è proprio lì che vado a sedermi, con le mani infilate dentro le tasche dei pantaloni.

L’ho scelto cinque anni fa proprio perché è il posto migliore, da cui si può godere di un’ampia visuale, infatti dopo qualche minuto noto un piccolo gruppo di detenuti che si dirige verso uno dei capannoni; indossano delle tute da lavoro, come quella che io ho rubato per parlare con Nicole, ed anche a questa distanza riesco a riconoscerli: Scofield, Burrows, Sucre ed Abruzzi.

Sono loro il gruppo di lavoro che deve occuparsi di sistemare la stanza delle guardie, ma l’istinto mi dice che c’è ben altro dietro.

Qualcuno prende posto vicino a me, sposto la mia attenzione sullo sconosciuto e mi accorgo che si tratta di Westmoreland.

Charles Westmoreland è il detenuto più anziano di Fox River: dopo un colpo milionario ha investito ed ucciso una donna ed è stato condannato all’ergastolo; non ha mai confessato dove si trova il bottino, sempre se esiste veramente, ma tutti qui dentro gli portano rispetto.

Perfino Abruzzi preferisce non essere contro di lui.

“Lasciali stare” mi dice semplicemente, prima di aprire un giornale.

“Chi?”

“Lo sai a chi mi sto riferendo”

“Lo sai anche tu che stanno organizzando qualcosa, solo uno stupido non se ne accorgerebbe”

“Te lo dirò per l’ultima volta, ragazzo: lasciali stare” ripete prima d’immergersi nella lettura delle ultime notizie; non so se lo ha fatto volontariamente od involontariamente, ma le sue parole mi hanno appena dato la prova che cercavo: Scofield e gli altri stanno progettando qualcosa all’interno della stanza delle guardie.

Accantono questi pensieri quando vedo Nicole rientrare a Fox River in compagnia dell’infermiera dai capelli rossi; mi alzo dalla tribuna e mi avvicino alla recinzione, cercando di attirare la sua attenzione, ma lei ancora una volta non mi degna neppure di un’occhiata.

“Nicole… Nicole… Si può sapere per quale motivo non mi parli? Che cosa ti ho fatto? Nicole, penso di meritare una risposta!” dico ad alta voce, attirando l’attenzione di altri detenuti.

Karla si blocca e la guarda incerta, chiamandola a sua volta.

“Vai pure, arrivo subito” le risponde Nicole e solo quando l’infermiera si allontana, si volta verso di me e mi guarda finalmente negli occhi “che cosa vuoi?”

“Che cosa voglio? Vorrei delle spiegazioni, non credi?”

“Delle spiegazioni, delle spiegazioni…” inizia a ripetere, ridendo in modo isterico, e poi getta a terra con rabbia qualcosa che ha tra le mani “forse sono io quella che merita delle spiegazioni, Theodore. O preferisci essere chiamato ‘Mostro Dell’Alabama’?”.

Adesso capisco perfettamente per quale motivo non vuole né parlarmi né vedermi né guardarmi in faccia.

Entrambi restiamo in silenzio per diversi minuti.

“Nicole, lasciami spiegare… Quelle cose… Quelle cose appartengo al passato”

“Stai zitto” mi urla addosso, con tutto il fiato che ha in gola, mentre delle lacrime le scendono lungo le guance “hai stuprato ed ucciso sei boy-scout in Alabama. Sei un mostro. Sei un depravato. Mi fai schifo. Stai lontano da me”.

Mi volta le spalle e si allontana velocemente senza attendere una spiegazione o delle scuse, ed ha ragione.

Quello che ha letto è vero, io mi trovo a Fox River proprio per il motivo che mi ha appena urlato in faccia con disgusto; che senso ha mentire?

Abbasso lo sguardo e mi accorgo che dall’altra parte della recinzione c’è un piccolo oggetto colorato, dalla forma rettangolare; allungo la mano destra attraverso uno degli anelli, lo afferro e lo nascondo in una delle tasche dei pantaloni.

Quando torno in direzione della tribuna tutti mi stanno ancora guardando e qualcuno commette l’errore di lasciarsi scappare una mezza risata; mi volto di scatto a guardare il colpevole e lo raggiungo con pochi passi.

Non dico una sola parola ed inizio a picchiarlo con pugni e calci fino a quando qualcuno mi colpisce alle spalle con un manganello.

Delle guardie mi trascinano all’interno del Braccio e mi ritrovo in una cella d’isolamento a tempo indeterminato.

“Perché mi state facendo questo? Sono stato provocato, non avete visto? È stato lui ad iniziare!”

“Stai zitto, T-Bag, non pensi di aver già esagerato abbastanza?”.

Sento dei passi allontanarsi, sostituiti ben presto dal silenzio più assoluto; mi lascio scivolare a terra e tiro fuori dalla tasca l’oggetto che ho raccolto e che appartiene a Nicole: grazie alla poca luce che entra dalla fessura della porta riesco a capire che si tratta di un mp3.

Dal momento che non so per quanto tempo devo stare qui dentro provo ad accenderlo e quando ci riesco infilo le cuffie nelle orecchie ed abbasso il volume, in modo che nessun altro possa sentire la musica, altrimenti la mia situazione potrebbe aggravarsi ulteriormente.

Scorro velocemente tra le canzoni e finalmente trovo un titolo di mio gradimento.

Comfortably Numb, dei Pink Floyd.

È bella, è molto particolare e c’è una parte del testo che mi fa sempre tornare indietro con la mente, ai giorni della mia infanzia.
 
When I was a child
I caught a fleeting glimpse
Out of the corner of my eye
I turned to look but it was gone
I cannot put my finger on it now
The child is grown
The dream is gone
And I have become
Comfortably numb.
 
Da bambino
Colsi con la coda dell’occhio
Un rapido movimento
Mi girai a guardare ma era sparito
Non riuscii a capire cosa fosse
Adesso il bambino è cresciuto
Il sogno è finito
E io sono diventato
Piacevolmente insensibile.
 
Forse è proprio questo il mio problema, sono diventato insensibile a qualunque cosa.

O forse m’illudo di esserlo.

Tolgo le cuffie appena in tempo per sentire dei passi diventare sempre più vicini, seguiti dalle voci di due guardie.

“La nuova dottoressa ha avuto un crollo nervoso, un’ambulanza l’ha appena portata in ospedale”

“Non ne sono sorpreso, hai visto anche tu quello che è successo prima”

“L’hanno trovata dentro il suo Studio, raggomitolata a terra in un angolo. Stringeva in mano una forbice e sul pavimento c’erano alcune ciocche di capelli”

“Ecco perché le donne non sono adatte a lavorare in un carcere”

“Ehi… Ehi.. Ehi!” mi avvicino alla porta blindata e cerco di attirare la loro attenzione “che cosa è successo alla nuova dottoressa? L’hanno portata in ospedale?”.

Qualcuno apre lo spioncino che serve per far passare il vassoio con il pranzo e la cena; per qualche istante sono costretto a coprirmi gli occhi con le mani a causa della forte luce che entra dall’esterno.

“Si, T-Bag, hai capito benissimo. E tu sei l’artefice di tutto. Allora, come ci si sente quando qualcuno ti ricorda che cosa sei veramente e per quale motivo ti trovi a marcire in un carcere di massima sicurezza?”.

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Capitolo 7
*** Riot (Nicole) ***


Non so come è possibile, ma mi trovo nel salotto della casa in cui ho trascorso la maggior parte della mia infanzia.

Tutto è rimasto esattamente come ricordavo: le pareti sono completamente spoglie, al centro della stanza c’è un vecchio divano, logoro, posizionato davanti ad un’altrettanto vecchia TV a colori; a sinistra c’è una porta che conduce alla cucina, mentre a destra è posizionata una vetrinetta per le bottiglie degli alcolici.

Sento la fronte imperlata da un sottile strato di sudore freddo e le mie gambe iniziano a tremare quando una voce familiare giunge alle mie orecchie.

“Ragazzina! Dove sei? Dove ti sei nascosta? Esci subito o per te le cose potrebbero peggiorare”.

Qualcuno inizia a scendere i scalini che portano al piano superiore ed io so che cosa sta per accadere; voglio scappare, voglio andarmene da questo posto per sempre, ma non ci riesco perché i miei piedi sembrano essere incollati alle tavole del pavimento.

Un singhiozzo esce dalle mie labbra perché ormai è solo questione di secondi prima che quei passi raggiungano il salotto; quando ormai sembra essere tutto perduto qualcuno mi prende per mano e mi trascina con sé nella cantina, al sicuro.

Spalanco gli occhi quando vedo che si tratta di T-Bag: non indossa la divisa da detenuto, ma un semplice paio di jeans ed una maglietta bianca.

“Va tutto bene” dice a bassa voce, tentando di tranquillizzarmi “siamo al sicuro qui. Non ti accadrà nulla”.

Anziché allontanarlo da me e guardarlo con disgusto mi aggrappo a lui con tutte le mie forze: lo abbraccio ed affondo la testa nel suo petto, aspirando il profumo della sua pelle; T-Bag mi passa le braccia attorno ai fianchi e rimaniamo in quella posizione a lungo, senza dire una sola parola.

Mi lascio scappare un urlo quando qualcuno sfonda letteralmente la porta della cantina, ma la voce che sento mi fa alzare la testa di scatto.

“Nicole, non ascoltare le sue parole. È un bugiardo”.

A parlare è Michael Scofield, il bellissimo ragazzo con gli occhi chiari ed i capelli rasati.

“Io… Io non capisco…” mormoro scuotendo la testa; io e lui non abbiamo mai parlato e questa confidenza improvvisa mi lascia perplessa.

“Non ascoltare quello che dice, è un bugiardo. Sai quello che ha fatto, le persone come lui non cambiano mai”.

Torno a guardare Theodore e mi accorgo che il suo viso e la sua maglietta sono sporchi di sangue; abbasso gli occhi e con orrore noto che anche io sono nelle medesime condizioni.

“Va tutto bene” mi ripete una seconda volta, sorridendo, ignorando il sangue “siamo al sicuro qui. Non ti accadrà nulla, ma adesso devi svegliarti, Nicole”.



 
Apro gli occhi di scatto e sbatto più volte le palpebre con il fiato ansante.

Porto la mano destra al viso e  tolgo la mascherina per l’ossigeno in modo da riuscire a respirare più facilmente ed in modo autonomo.

“Nicole… Nicole… Calmati… Calmati!”.

Una voce richiama la mia attenzione: appartiene a Karla.

“Che cosa è successo? Dove mi trovo?”

“Sei in ospedale” mi spiega con calma, tornando a sedersi su una poltroncina “hai avuto un esaurimento nervoso e ti hanno portata qui”

“Non ricordo nulla” mento mordendomi il labbro inferiore, in realtà ricordo perfettamente che cosa mi ha portata ad avere un attacco così violento; mi passo una mano tra i capelli e sento che alcune ciocche sono più lunghe mentre altre sono molto più corte “credo di avere combinato un casino. Si nota molto la differenza?”

“Non ti preoccupare di questo. Nicole, vuoi dirmi esattamente che cosa è accaduto?”

“No” mormoro stringendomi nelle spalle e questa volta sto dicendo la verità: non mi sento pronta a raccontare tutto “che cosa ne sarà di me, adesso? Ho perso il posto a Fox River?”

“Non ne sono sicura, Nicole, tutto quello che so è che il direttore Pope vuole vederti non appena ti sarai ripresa”.



 
Per tutto il resto della mia permanenza in ospedale non ripenso mai allo strano sogno od a quello che è successo: la mia unica preoccupazione è costituita dall’incontro che mi aspetta con Henry Pope.

Dopo una settimana mi dimettono ed anziché tornare a casa mi reco subito a Fox River; appena scendo dalla macchina sento un brivido lungo tutta la spina dorsale, ma so che adesso non è l’ora libera dei detenuti e questo mi da la forza per andare avanti.

Non sono pronta a rivederlo, so che la cosa più giusta da fare è andarsene e cercare un altro lavoro, ma qualcosa m’impedisce di abbandonare questo.

Quando la segretaria di Pope mi fa entrare nel suo ufficio mi trovo davanti ad una scena curiosa e bizzarra allo stesso tempo: il direttore sta osservando in silenzio Michael Scofield che si sta occupando del Taj Mahal.

Quando si accorge della mia presenza lo congeda subito, affidandolo a due guardie, in modo da poter parlare in privato con me.

Quando Michael mi passa affianco, sfiorandomi, mi torna in mente il sogno che ho fatto in ospedale, quello in cui mi diceva di non fidarmi di T-Bag, ed un altro brivido mi percorre la schiena.

“Dottoressa Baker, mi fa piacere vedere che sta bene” mi dice in tono affabile “ha tagliato i capelli?”

“Si, in effetti si” rispondo io, accomodandomi, in realtà sono stata costretta a farlo a causa delle ciocche più lunghe e più corte: adesso i capelli mi sfiorano appena le spalle “Karla è venuta a trovarmi in ospedale e mi ha detto che lei voleva vedermi. So già quello che vuole dirmi e… Prima che inizi con il suo discorso… Io… Io volevo dirle che è stato tutto un brutto incidente che non accadrà una seconda volta, direttore. Glielo giuro. Mi piace questo lavoro, la prego, non mi licenzi”

“Apprezzo quello che mi ha detto, dottoressa. Ricorda quello che le ho detto quando ci siamo visti per la prima volta?”

“Si, ma…”

“Quando ci siamo visti per la prima volta le ho detto che secondo me tutti meritano una seconda possibilità. Il suo è stato solo un ‘brutto incidente che non accadrà una seconda volta’ come ha detto lei stessa. È normale un episodio come il suo quando non si è abituati a lavorare in un posto simile, ma deve promettermi che se non sarà in grado di reggere la situazione deve presentarmi le sue dimissioni”

“La ringrazio, non si preoccupi” mormoro con un sorriso, conscia del fatto di avere appena ricevuto una seconda possibilità che non si ripeterà ancora; il direttore mi chiede se voglio prendermi il resto della giornata libera, ma gli rispondo che sono pronta a tornare in infermeria.

 Dopotutto sono rimasta in ospedale per due intere settimane.

Nello stesso momento in cui arrivo nel mio Studio sento un rumore lontano, ovattato, simile a delle grida di protesta e chiedo spiegazioni ad Adam quando viene a farmi visita per sapere come sto.

“I detenuti” spiega, con una punta di nervosismo nella voce “non sappiamo per quale motivo ma si è rotta la ventola dell’aria e non vogliono rientrare nelle loro celle”

“C’è da preoccuparsi?” chiedo, mentre le urla diventano sempre più alte.

“No, stai tranquilla, Nicole. Ci sono già state situazioni simili a questa e siamo sempre riusciti a gestirle nel migliore dei modi, senza che qualcuno si facesse male. Non hai nulla di cui preoccuparti, te lo prometto” risponde prima di uscire in corridoio; le sue parole mi tranquillizzano a metà e così preferisco concentrarmi sul lavoro arretrato con la speranza che la situazione si risolva il prima possibile.

Ma dopo mezz’ora Adam spalanca la porta dell’infermeria ed il suo volto è pallido come un lenzuolo.

“Che cosa sta succedendo?” domando con il cuore che inizia a battere più forte nel petto; Karla mi raggiunge e con lei arriva anche la dottoressa Tancredi.

“Dovete chiudervi qui dentro, non accadrà nulla, è solo una precauzione. Però dovete farlo subito”

“Che cosa sta succedendo?” ripete Sara, preoccupata come noi due, ma lui non risponde: esce nuovamente dalla stanza e così non ci resta altro che obbedire al suo ordine ed attendere in silenzio.

I minuti trascorrono con una lentezza impressionante.

 La confusione e le urla diventano sempre più forti ed ormai è impossibile distinguere quali appartengono ai detenuti e quali alle guardie; poi, all’improvviso, sentiamo qualcosa di metallico che sbatte violentemente e le grida diventano quasi insopportabili e sempre più vicine.

Karla si porta la mano destra alla bocca e si lascia scappare un singhiozzo; ormai per lei, per Sara e per me è chiaro che la situazione è precipitata in modo irreparabile e che i detenuti sono riusciti a sfondare le sbarre che li separano da noi dello staff.

“Andate a chiudervi nello Studio, io vi raggiungo subito”

“Ma, Nicole…”

“Fate come vi ho detto, io arrivo subito”.

Entrambe si chiudono a chiave nello Studio di Sara ed io mi avvicino ad uno dei lettini; provo a tirarlo con tutta la forza che ho in corpo, ma il mobile non si sposta neppure di qualche millimetro.

 Tento una seconda volta, ma mi blocco quando qualcuno inizia a prendere a spallate la porta dell’infermeria.

“Nicole! Lascia perdere!” mi urlano dallo Studio, ma non sono intenzionata a fermarmi, perché abbiamo bisogno di qualcosa che impedisca ai detenuti di sfondare letteralmente la porta e fare irruzione; sento un peso nel petto e tento in ogni modo di scacciare questa terribile sensazione.

 So di essere in procinto di avere un nuovo attacco di panico e non posso permettere che accada.

Non in questo momento.

La porta si spalanca nello stesso momento in cui riesco a smuovere il lettino; lo lascio subito andare e mi volto di scatto, appena in tempo per sentire qualcuno che mi afferra per il braccio sinistro e mi trovo davanti ad un uomo che non ho mai visto prima.

“Ehi, bocconcino, noi due dobbiamo fare una lunga chiacchierata in privato” mi dice semplicemente prima di trascinarmi con sé, mentre gli altri del suo gruppo si occupano di sfondare anche la porta dello Studio di Sara.

Mi spinge all’interno di un piccolo ripostiglio che utilizziamo per i medicinali e cado a terra; l’impatto è così violento che i miei jeans si strappano all’altezza del ginocchio destro.

So quello che sta per accadere, so che non posso impedirlo in nessun modo perché quest’uomo è molto più forte di me; chiudo gli occhi tremando, pregando che tutto finisca il prima possibile e che non mi tagli la gola per essere sicuro di avere il mio silenzio.

Sento un verso strozzato ed il suono di qualcosa di pesante scivolare a terra; sollevo le palpebre e trattengo il fiato.

L’uomo che voleva divertirsi con me giace a terra con un profondo taglio alla gola; in piedi, davanti al suo corpo, c’è un altro detenuto che stringe nella mano destra un punteruolo affilato: ha il fiato ansante e la maglietta bianca che indossa è sporca di sangue.

È T-Bag.

“Ti prego…” mormoro semplicemente, senza riuscire ad aggiungere altro, perché so per quale motivo si trova qui: vuole farmela pagare per le parole che gli ho urlato attraverso la recinzione, perché gli ho detto che è un mostro e che mi fa schifo; invece lui mi prende per mano, mi aiuta ad alzarmi e mi costringe ad entrare nell’armadietto metallico che c’è nello sgabuzzino.

“Resta qui finché non sarà tutto finito. Non ti accadrà nulla” dice semplicemente, appoggiandomi le mani sulle guance; io sono troppo sconvolta per rispondere o per scoppiare in lacrime, non mi accorgo neppure che prende il mio mp3 da una tasca dei suoi pantaloni per accenderlo ed infilare le cuffie nelle mie orecchie.

Mi guarda per qualche istante e poi chiude le ante dell’armadietto.

Ed io mi ritrovo avvolta dal buio più assoluto.

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Capitolo 8
*** The Rabbit Hole's (T-Bag) ***


Caldo.

In quarantasei anni di vita non ho mai sofferto così tanto caldo.

Per qualche ragione sconosciuta la ventola si è rotta; l’aria all’interno di Fox River è semplicemente irrespirabile ed i secondini non vogliono farci uscire nel cortile perché siamo ancora tutti in punizione a causa di un regolamento di conti che è costato la vita di qualche detenuto.

C’è chi cerca di distrarsi o chi cerca ristoro in qualunque modo, magari sventolando il cuscino davanti al proprio viso, ma la verità è questa: abbiamo tutti i vestiti letteralmente incollati al corpo, i capelli bagnati e siamo al limite della sopportazione.

“Fateci uscire da qui” urlo all’improvviso, ottenendo un coro di approvazione “non potete lasciarci in queste condizioni disumane! Voglio parlare con il direttore!”

“Smettila di fare il bambino, T-Bag, non fa così caldo” risponde, seccato, uno dei secondini; si avvicina a me con un bicchiere in mano ed io lo guardo incredulo, con le sopracciglia corrucciate.

“Non fa così caldo?” grido, utilizzando le sue stesse parole, ed indico uno degli uomini di C-Note “questo tizio era bianco quando si è svegliato”.

Sento ancora un coro di approvazione alle mie spalle, ma le voci si spengono rapidamente nello stesso momento in cui il secondino rovescia il contenuto del bicchiere contro il mio viso.

“Te la sei cercata” dice semplicemente; lascia cadere a terra il bicchiere accartocciato e poi esce dalla zona delle celle con passo tranquillo: attorno a me c’è il silenzio più assoluto e questo perché tutti stanno aspettando una reazione da parte mia che non tarda ad arrivare.

Le guardie utilizzano una porta di ferro dotata di sbarre per accedere alla sezione delle celle: questa conduce direttamente alla loro sezione e ad un corridoio collegato all’infermeria; corro in direzione della porta ed afferro le sbarre senza avere la minima intenzione di lasciarle andare.

La maggior parte dei detenuti segue il mio esempio ed in pochi secondi mi trovo letteralmente schiacciato contro il ferro ma questo non ha alcuna importanza.

Urlo ancora una volta e finalmente compare Bellick, che mi affronta a muso duro, con il suo solito sorriso strafottente.

Inizia a blaterare alcune cose e nomina la mia famiglia: parla dell’uomo che mi ha messo al mondo e dei suoi gusti particolari; parla di come un giorno si è divertito con la sorella affetta da un grave deficit mentale e parla di come, da quell’incesto, sono nato io.

Lo so che lo fa apposta, lo so che non devo reagire, ma le sue parole mi mandano letteralmente fuori di testa ed inizio a colpire sempre più forte la porta, con l’intento di sfondarla; non so se è merito dei miei calci o della pressione che esercitano tutti gli altri detenuti, ma finalmente si spalanca sotto lo sguardo, ora terrorizzato, di quel grasso maiale e della sua squadra di luridi bastardi.

In un attimo si scatena il caos.

I detenuti si riversano nel corridoio e nella stanza delle guardie per vendicarsi di anni ed anni di soprusi; io stesso ho qualche sassolino che voglio togliermi dalle scarpe, ma prima mi dirigo verso l’infermeria perché ho urgente bisogno di parlare con Nicole e di sistemare questa faccenda.

Quando arrivo mi trovo davanti alla porta spalancata ed infatti dei detenuti stanno cercando di entrare nello Studio della dottoressa Tancredi: qualcuno ha trovato rifugio lì dentro e dalle voci terrorizzate e supplicanti capisco che si tratta proprio di Sara e dell’infermiera dai capelli rossi.

Sorrido.

Le avevo detto che non si deve mai giocare con il fuoco.

Lo Studio di Nicole è vuoto, eppure so che ha fatto ritorno a Fox River proprio oggi.

Sento dei rumori provenire da un’altra stanza, uno sgabuzzino, mi dirigo là e mi trovo davanti ad una scena che mi fa perdere quel poco controllo che è rimasto nel mio corpo: un altro degli uomini di C-Note è in procinto di divertirsi proprio con la nuova dottoressa.

Prendo il punteruolo che tengo in una tasca dei pantaloni e senza che abbia il tempo di rendersene conto gli taglio la gola, lasciando poi scivolare a terra il corpo.

Dio, quanto mi è mancata questa sensazione.

Nicole è completamente terrorizzata; di sicuro pensa che io voglia farle del male ed infatti mi supplica.

“Ti prego…” mormora con un filo di voce ed io leggo qualcosa nei suoi occhi che mi fa tornare indietro con la mente, a quando ero solo un bambino di otto anni; la prendo per mano, l’aiuto ad alzarsi e la costringo ad entrare nell’armadietto metallico che c’è all’interno dello sgabuzzino.

So che qui è al sicuro e glielo dico per tranquillizzarla, appoggiandole le mani sulle guance.

“Resta qui finché non sarà tutto finito. Non ti accadrà nulla”.

Ho ancora l’mp3 in tasca; lo prendo, lo accendo e le infilo le cuffie nelle orecchie prima di chiudere le ante ed uscire dalla stanza.

Passo nuovamente davanti allo Studio della dottoressa Tancredi e mi rendo conto che ormai manca davvero poco al piccolo gruppo di detenuti per entrare.

Esco senza alzare un solo dito in soccorso di Sara e Karla.

Dopotutto loro non sono affar mio.



 
A Fox River sono arrivati da poco dei nuovi secondini, uno di loro si chiama Robert Hudson, soprannominato Bob, ed è proprio lui che trovo mentre mi dirigo nella stanza delle guardie: qualcuno lo ha picchiato violentemente perché ha il volto tumefatto ed il labbro inferiore spaccato; prova a nascondersi in una stanza ma io lo afferro per il colletto della divisa e lo trascino nella zona delle celle.

Voglio tagliargli la gola, proprio come ho fatto con il porco in infermeria, ma prima voglio togliermi qualche sfizio nella mia cella.

Gli ordino di camminare e lo colpisco con un calcio in corrispondenza della parte bassa della colonna vertebrale; lui barcolla in avanti e poi cade contro l’asciugamano che qualcuno ha appeso davanti la propria cella, scomparendo dall’altra parte.

Quando un detenuto appende un asciugamano significa che è impegnato con un ‘amichetto’ e non vuole essere assolutamente disturbato, ma in questo caso me ne frego e passo a mia volta sotto il panno.

Ciò che vedo mi lascia senza fiato.

In ogni cella è presente un lavandino, ma quello di Scofield e Sucre è spostato e nella parete c’è un buco grande abbastanza da permettere ad una persona di passarci.

Non ho le prove, ma so che questo è collegato con il lavoro nella stanza delle guardie.

Adesso, finalmente, capisco ogni cosa.

Questi figli di puttana si stanno organizzando per evadere, ed a quanto pare lo vogliono fare a breve.

Sto per urlare a tutti quello che ho appena scoperto quando una mano mi copre la bocca, impedendomi di pronunciare una sola parola: mi trovo faccia a faccia con Abruzzi che si preme l’indice destro contro le labbra, facendomi capire che non devo fiatare.

“Se inizi a urlare giuro che ti taglio la gola” mi minaccia prima di togliere la mano.

Mi passo la lingua sulle labbra e poi sorrido.

“In effetti quell’asciugamano sembrava sospetto” dico con una breve risata; Scofield sbuca dalla galleria e Sucre gli comunica che hanno un grosso problema, anzi, due considerando Bob.

“Perché sei qui?” mi domanda Michael, senza scomporsi minimamente.

“Per puro caso. Volevo andare a divertirmi con il mio nuovo amichetto ma lui ha pensato di cadere dolcemente all’interno della vostra cella” rispondo, sorridendo di nuovo “ahh, Scofield, se la cosa può interessarti sono stato da poco in infermeria e la dottoressa Tancredi non sembrava essere in una situazione molto piacevole”.

Finalmente la sua espressione vacilla ed io so il perché: a Fox River non sono l’unico detenuto a frequentare assiduamente l’infermeria perché ha un debole per una dottoressa.

Resta in silenzio per qualche minuto, ma quando riprende a parlare la sua voce è calma e non tradisce la minima traccia di ansia o paura.

“Io torno tra poco. Fate in modo che nessun altro entri in  questa cella, gli altri detenuti non devono scoprire il buco”

“E riguardo a lui?” domando, indicando Bob.

“Non deve accadergli niente” risponde Scofield, categorico, prima di scomparire all’interno del tunnel.

All’interno della cella restiamo io, Abruzzi e Sucre e decido di divertirmi un po’ con il secondino, che per tutto il tempo della nostra discussione non ha fatto altro che tremare e singhiozzare, rannicchiato in un angolo.

Frugo all’interno delle tasche dei suoi pantaloni e trovo un portafoglio di pelle scura, molto elegante; non sono i soldi ad interessarmi ma qualcos’altro di più prezioso per lui, con cui minacciarlo.

Finalmente trovo una piccola foto che ritrae una ragazzina appena diciottenne: ha lunghi capelli castani, un sorriso luminoso ed indossa un abito rosso, con la gonna che sfiora appena le ginocchia.

“Questa è tua figlia, vero?” gli chiedo, mostrandogli la foto, lui non risponde ma la sua espressione dice già tutto “è molto carina. È davvero molto, molto, molto carina. È un fiore quello che ha al polso destro? Allora questa è una foto del Ballo della scuola, giusto? E tu lo sai, Bob, che cosa si dice della notte del Ballo, vero? Tua figlia è molto carina e quella sera, di sicuro, non è rientrata a casa. No. Lo ha fatto solo il giorno seguente. Il suo vestito era macchiato e per questo motivo lo ha subito nascosto all’interno della lavatrice di casa vostra. Si… Deve essere andata esattamente così…”

“Smettila” ordina Abruzzi, scostandomi con rabbia, occupandosi poi della guardia terrorizzata.

Gli urla in faccia le classiche minacce che solo un mafioso come lui può fare ed io alzo gli occhi al soffitto della cella.

È questa la principale differenza tra me e lui: io uso la testa, Abruzzi solo la forza bruta.

Ecco perché non andiamo d’accordo.



 
Scofield torna quasi dopo un’ora e le notizie che porta con sé sono a dir poco allarmanti.

“Il governatore Tancredi è qui e sono appena arrivate delle unità speciali per sedare la rivolta”

“E tu come fai a saperlo?” gli chiedo, poi spalanco gli occhi “sei stato sul tetto?”

“Di questo ne parliamo in un altro momento. Ognuno deve tornare nella propria cella, è questione solo di pochi secondi prima che facciano irruzione”

“E di lui che cosa ne facciamo?”.

Michael guarda Bob in silenzio prima di rispondere con assoluta tranquillità.

“Lo lasciamo andare. Sono sicuro che non dirà una sola parola”.

Lo guardo ancora una volta stupefatto, non posso credere che sia così stupido da commettere un errore simile e così mi oppongo.

“No, non possiamo lasciarlo andare assolutamente. Ha visto il buco, potrebbe spifferare tutto a qualcuno. Magari proprio a Bellick!”

“Se dovessimo seguire il tuo ragionamento, Theodore, dovremo uccidere anche te. Ma sfortunatamente dovremo dividere la stessa aria ancora per molto tempo” commenta Abruzzi, preparandosi a togliere l’asciugamano mentre Michael e Sucre sistemano nuovamente il lavandino al suo posto “hai sentito quello che ha detto Scofield: il secondino non si tocca. Adesso se ne andrà sulle sue gambe e tu faresti meglio a tornare nella tua cella prima che qualcuno di noi possa cambiare idea”.

Non rispondo e mi limito ad indirizzare un’occhiata poco amichevole a John.

Bob esce dalla cella illeso e poco dopo faccio lo stesso anche io, ma non torno nella mia.

Mi nascondo per qualche secondo in un’altra, il tempo necessario per far passare un gruppo di detenuti; ormai tutti sanno delle unità speciali e nessuno vuole essere trovato fuori dalla propria piccola abitazione.

Approfitto di un momento di caos generale e riesco a raggiungere il secondino; lo chiamo per nome e nello stesso momento in cui si gira lo pugnalo ripetutamente con il mio punteruolo.

Lui mi guarda per qualche istante stupefatto, con il sangue che gli esce copiosamente dal petto e dalla bocca; lo pugnalo ancora una volta all’altezza del cuore e poi, dal momento che le celle sono suddivise in due piani, lascio cadere il suo corpo ormai senza vita al di là del parapetto.

Mi pulisco il sangue dal viso, Westmoreland è poco lontano da me ed ha visto ogni cosa ma non m’importa, perché adesso sono io ad avere il coltello dalla parte del manico.

Torno da Scofield, che mi sta guardando con un’espressione indecifrabile.

“Hai visto?” gli ringhio contro “è così che si risolve un problema. Un punto per me”.



 
Il giorno seguente, mentre siamo nelle docce, affronto Abruzzi.

“Che cosa vuoi?” mi chiede lui, seccato, senza degnarsi di guardarmi in faccia.

“O mi fai entrare nel tuo gruppo di lavoro e passo attraverso quel buco insieme a voi o giuro che inizio a cantare come Johnny Cash” dico semplicemente, indossando la maglietta bianca della divisa; finalmente riesco ad ottenere la sua attenzione.

Mi rivolge uno sguardo sprezzante, ma poi è costretto ad arrendersi alla realtà.

“D’accordo, ma occupati tu della faccenda della guardia dal momento che hai avuto la brillante idea di ucciderla”

“Non ti preoccupare, John, ho già in mente un piano” rispondo con un sorriso.

Ho tenuto con me la foto della figlia di Bob e quando rientro in cella la nascondo sotto il cuscino del mio ‘coinquilino’; nel pomeriggio, grazie ad una soffiata anonima da parte mia, lo stesso Bellick trova il piccolo oggetto ed il presunto colpevole viene trascinato fuori per essere interrogato.

Un po’ mi dispiace per lui, ma la posta in gioco è troppo alta.
 

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Capitolo 9
*** He Makes Me Feel Good (Nicole) ***


Non so per quanto tempo resto rinchiusa dentro l’armadietto, ma quando Adam spalanca le ante la luce del sole non è più visibile.

“Nicole, non ti preoccupare, è tutto finito. Vieni con me” cerca di rassicurarmi togliendomi le cuffiette dalle orecchie; ha qualche taglio superficiale sul viso ma per il resto sembra stare bene.

Allunga la mano destra, mi aiuta ad alzarmi ed insieme usciamo da Fox River, finalmente al sicuro.

All’esterno regna il caos più totale: ci sono poliziotti, ambulanze, giornalisti e perfino un elicottero che vola sopra il carcere; tra la folla riesco a distinguere il governatore Tancredi che parla con Pope mentre poco più in là riconosco Bellick che spartisce ordini ai suoi uomini.

“Nicole!”.

Una voce grida di nuovo il mio nome, questa volta è femminile ed appartiene a Karla che se ne sta in disparte, in piedi, avvolta da una coperta che le ha dato qualcuno dei soccorritori.

Mi abbraccia con trasporto ed io ricambio, sollevata di sapere che anche lei sta bene.

“Come avete fatto tu e Sara…”

“Ci ha salvate Michael”

“Michael?” domando, corrucciando le sopracciglia “Michael Scofield?”

“Si, io e Sara non sapevamo cosa fare, i detenuti stavano per sfondare la porta quando qualcuno ha spostato uno dei pannelli del soffitto ed è comparso Michael. Ci ha aiutate ad entrare nel condotto e lì siamo state al sicuro”

“E per quale motivo era nel condotto?”

“Non lo so… Ha detto che lui ed altri detenuti hanno dovuto occuparsi di pulire le tubature. Per questo conosceva quel passaggio”.

La spiegazione di Karla mi convince solo a metà perché c’è qualcosa di strano nell’intervento tempestivo di Michael; ma la mia attenzione viene spostata altrove quando mi domanda come sono uscita illesa a mia volta.

“Sono riuscita a scappare da quell’uomo e mi sono nascosta dentro un armadietto” rispondo, omettendo la parte in cui T-Bag mi ha salvata; noto la sua espressione preoccupata e capisco che c’è qualcosa che non mi ha ancora detto “è successo qualcosa di grave?”.

“Si” mi risponde dopo una breve esitazione “una delle guardie è stata uccisa”.



 
Sono due settimane che non vado dalla mia psicologa a causa dell’esaurimento nervoso, del ricovero in ospedale e della rivolta a Fox River.

E sono molte le cose di cui sento il bisogno di parlarle.

“C’è stata una rivolta in carcere” le spiego dopo essermi sdraiata sul divanetto a disposizione dei clienti “la valvola dell’aria si è rotta per chissà quale motivo ed i detenuti si sono rifiutati di tornare nelle loro celle. Tutto è precipitato in poco tempo e… E alcuni di loro sono entrati in infermeria e io… Io sono riuscita a salvarmi perché mi sono nascosta in un armadietto, ma una guardia è stata uccisa”

“Come ti fa sentire quello che è successo?” mi domanda Megan, appuntando qualcosa nel suo taccuino.

“Ho paura, ho terribilmente paura. Forse farei meglio ad andarmene, forse non sono fatta per lavorare in un posto come un carcere ma non ci riesco. Non riesco ad andarmene” faccio una piccola pausa e poi riprendo a parlare, lentamente “ho… Ho conosciuto una persona. Io non… Io non so che cosa è la cosa giusta da fare. La mia testa dice che devo starle lontano il più possibile, ma il mio corpo… Il mio corpo dice altro…”.

Mi copro il viso con le mani e sospiro: ogni volta che si tratta di T-Bag mi sento così terribilmente confusa che non riesco neppure a formulare una frase di senso compiuto; fortunatamente la mia psicologa preferisce non indagare chiedendomi se si tratta di qualcuno dello staff od uno dei detenuti e mi pone un’altra domanda che non fa che peggiorare la confusione nella mia testa.

“Questa persona, quest’uomo, ti fa sentire bene?”.



 
Quando arrivo a Fox River sento il cuore che inizia a battere con più forza: non a causa di quello che è successo appena ventiquattro ore prima, ma perché so che oggi lo rivedrò.

Non so da dove nasce questa sicurezza, semplicemente sento che è così.

Durante il pomeriggio, infatti, due guardie entrano nel mio Studio insieme a lui: ha molti lividi sul viso, il labbro inferiore spaccato ed un taglio sulla guancia destra.

Si siede sul lettino per le visite senza dire una parola mentre le guardie lo ammanettano per sicurezza; quando restiamo da soli prendo posto a mia volta a suo fianco, senza smettere di fissare la parete davanti a me.

“Sai…” inizio schiarendomi la gola “quando sono arrivata a Fox River il direttore Pope mi ha detto una cosa molto importante. Ha detto che, secondo lui, tutte le persone meritano una seconda possibilità. Io non so se ha ragione, non so se è possibile perdonare qualunque crimine. Le uniche cose che so è che tu mi hai salvato la vita e che non sono pronta a rinunciare alle tue visite in infermeria”.

Appoggio la mia mano sinistra sopra la sua destra e la trovo incredibilmente calda; mi volto a fissarlo e lui fa lo stesso con me, mi guarda ancora per qualche istante e poi sorride.

Lo so che è un mostro, ma ha un sorriso così bello e luminoso che sarebbe in grado di sciogliere chiunque.

“Ti sei tagliata i capelli” dice poi, strappandomi una risata “quando riuscirò a vederti ridere più spesso?”

“Ed io quando riuscirò a vederti senza lividi o tagli?”.

Non risponde alla mia domanda ma stringe con delicatezza la presa sulla mia mano, ed io mi accorgo solo adesso che questo è il nostro primo contatto più intimo, che va al di là del semplice rapporto tra dottoressa e detenuto.

Finalmente riesco a trovare la risposta alla domanda della mia psicologa.

Si, quest’uomo mi fa sentire bene.

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Capitolo 10
*** Don't Get Me Wrong, I'm Just A Friend (T-Bag) ***


Le vecchie abitudini sono dure da cambiare.

A Fox River, almeno una volta a settimana, arrivano sempre le matricole e nella maggior parte dei casi sono composte da ragazzini che hanno commesso la più grande cazzata della loro vita, come ad esempio un furto.

Si riconoscono subito quando siamo tutti in cortine: hanno diciotto, al massimo vent’anni e si guardano attorno con occhi spaventati, timorosi di noi detenuti più grandi.

In casi come questo se una matricola è davvero furba ed intelligente accetta la protezione di uno di noi, se invece è stupida rifiuta, ma a questo punto la sua vita all’interno del carcere diventa un vero e proprio inferno.

Tra gli ultimi arrivati c’è un ragazzo di nome David Apolskis, soprannominato Tweener: ha un bel viso, ma un carattere terribilmente arrogante e proprio per questo motivo non riesce ad inserirsi in uno dei tanti gruppi od a crearne uno nuovo.

L’osservo in silenzio per qualche giorno e poi, quando si siede sulla mia tribuna, decido di raggiungerlo e di farmi finalmente avanti, offrendogli la mia protezione.

Fino a poco tempo fa c’era un altro ragazzino a mio fianco, ma tutto è finito il giorno in cui si è avvolto un lembo di lenzuolo attorno al collo e si è impiccato davanti a tutti; Scofield è ancora furioso con me per questo, perché pensa che la colpa è mia, che l’ho spinto io ad un gesto così estremo, ma la verità è che non me ne importa nulla.
Per un ragazzino che si suicida ce ne sono altri dieci che arrivano a Fox River.

“I bianchi non ti vogliono… I neri non ti vogliono… La vita in un carcere è dura se non hai un amico a tuo fianco” inizio, poi gli appoggio una mano sul ginocchio destro, risalendo lentamente verso la coscia “se vuoi posso aiutarti io…”.

A questo punto lui scatta, allontana la mia mano e si alza dalla tribuna.

“Stai lontano da me” mi urla contro, indietreggiando di qualche passo.

“No, no, no… Hai frainteso tutta la situazione. Tu hai bisogno di un amico qui dentro ed io sono pronto ad offrirti la mia protezione. Stai calmo”

“No, stai lontano da me!” mi urla ancora una volta, facendo girare diversi detenuti “sei solo uno schifoso finocchio pervertito! Se provi a toccarmi ancora una volta ti uccido”.

La sua espressione sicura vacilla nello stesso istante in cui pronuncia le ultime parole, perché solo adesso ha capito di essersi messo contro la persona sbagliata.

“Ho solo paura che sarai costretto a farlo” gli sussurro con gli occhi socchiusi, alzandomi a mia volta dalla tribuna; Tweener si allontana in direzione dell’uscita del cortile, perché la nostra ora all’aperto è terminata, ma io lo seguo, raggiungendolo dopo qualche istante “davvero vuoi uccidermi? Avanti. Provaci. Fatti avanti, puttanella, vediamo quello che sai fare. Sto aspettando”

“T-Bag, lascialo stare”.

L’intervento di Scofield permette allo stronzetto di tornare al sicuro nella sua cella, ma la questione è solo rimandata ad un altro momento.

“Michael, non sei nella posizione di intrometterti nei miei affari, ricordi? Se lo fai ancora una volta racconto a Bellick quello che ho visto nella tua cella” gli rispondo a denti stretti; sorrido davanti al suo silenzio e poi mi allontano, rientrando nella mia.

Nei successivi cinque giorni faccio qualunque cosa per rendere la vita di Tweener un vero e proprio inferno.

Ogni volta che lo vedo lo spingo violentemente a terra o gli sussurro delle battutine all’orecchio o gli do qualche pacca sul fondoschiena.

A mensa mi assicuro che il suo vassoio finisca sempre a terra, insieme al pranzo od alla cena mentre quando siamo nelle docce gli rubo i vestiti e glieli nascondo, oppure lo costringo a supplicarmi prima di restituirglieli; un giorno, in cortile, arrivo perfino ad abbassargli i pantaloni, sbeffeggiandolo poi insieme al mio gruppo.

Eppure in tutto questo lui non cede, ma io so che prima o poi lo farà, per il semplice motivo che io ottengo sempre ciò che voglio in un modo o nell’altro.



 
Anche se adesso faccio parte del gruppo di evasione di Scofield nessun membro vuole spiegarmi in modo accurato il piano: tutto quello che so è che dobbiamo scavare una buca nel pavimento della stanza delle guardie.

Non si fidano di me ma la cosa non mi tocca emotivamente, ciò che m’importa davvero è di avere un lasciapassare assicurato per uscire da questo posto.

Mentre ci dirigiamo verso il capannone noto un gruppo di detenuti che sta rientrando dal cortile, tra loro c’è Tweener e così ne approfitto per fargli l’occhiolino; Sucre se ne accorge e mi chiede spiegazioni.

“È solo uno stronzetto che si è messo contro la persona sbagliata” rispondo con un sorriso.

“T-Bag non riesce a resistere al richiamo della carne fresca” commenta Abruzzi con un tono carico di disprezzo; io mi limito ad alzare le spalle.

Non sono l’unica persona che fa queste cose all’interno di un carcere, anche a Fox River ci sono altri come me; il vero problema è che io sono io.

Sono T-Bag.

Quando entriamo nella stanza delle guardie Scofield afferra un piede di porco e mi colpisce con forza al ginocchio sinistro; io resto senza fiato, sia per il dolore che per la sorpresa, prima di accasciarmi a terra, stringendo con entrambe le mani la parte lesa.

“Figlio di puttana” impreco a denti stretti “questa l’hai voluta tu. Te lo avevo detto di non metterti in mezzo ai miei affari. Guardia! Guardia!”

“Dai, avanti” mi provoca Michael, inginocchiandosi a sua volta, in modo da potermi guardare in faccia “chiama la guardia, ma tutti noi sappiamo che non hai il coraggio di spifferare del piano. Sai perché? Perché ti sto offrendo una cosa che nessun altro può darti”

“Che cosa succede?” domanda un secondino, aprendo la porta, osservandoci uno ad uno; io resto in silenzio per qualche istante e poi mi alzo, sforzandomi di non gemere a causa del dolore che continua a pulsare.

“Nulla, Capo, colpa mia. Mi sono distratto e sono caduto a terra” rispondo sforzandomi di sorridere; quando restiamo nuovamente da soli Michael si para davanti a me per la seconda volta e spinge contro il mio petto una cartellina rigida ed una penna.

“Vuoi renderti davvero utile, T-Bag? Allora va fuori e fa in modo che nessuno si avvicini qui. E lascia stare Tweener, non devi importunarlo mai più se vuoi far parte di questo gruppo”.

Non rispondo, mi limito ad afferrare in modo brusco la cartellina e la penna ed esco dal capannone conscio del fatto di avere tutto il gruppo contro; mi appoggio alla porta di ferro , mi guardo attorno, ed inizio a scarabocchiare qualcosa sul foglio bianco, fischiettando.

Dopo qualche minuto sento delle voci: appartengono a Geary, uno dei secondini più anziani, ed a un suo collega, che sono impegnati a discutere su chissà cosa; lo scopro solo quando Geary mi chiama per nome e mi chiede se so a quale squadra appartiene un giocatore di cui non ho mai sentito parlare prima.

“Mi dispiace, Capo, io non seguo il football. Troppa violenza”

“Però scommetto che ricordi molto bene i culi di tutti i giocatori”.

Sorrido alla sua battuta, ma nella mia mente lo sto pugnalando in qualunque modo possibile; il colore scivola via dal mio viso quando sento che vuole entrare nella stanza delle guardie perché di sicuro Abruzzi conosce la risposta al suo quesito.

Non posso lasciarglielo fare e così, prima che spinga in giù la maniglia, grido il nome dell’unica squadra di football che conosco e per mia fortuna si rivela essere proprio quella giusta.

Quando i due secondini si allontanano mi appoggio per qualche istante alla porta, poi la apro ed infilo dentro la testa.

“Siete tutti in debito con me. Vi ho appena parato il culo” dico prima di richiuderla.



 
Il giorno seguente il ginocchio sinistro mi fa ancora così male che sono costretto a zoppicare.

Quando esco in cortile trovo Tweener ancora seduto sulla mia tribuna; si accorge della mia presenza e mi osserva terrorizzato, lo guardo a mia volta per qualche secondo e poi riprendo a camminare.

“Codardo” mi grida lui, ritrovando improvvisamente il coraggio, ma io lo ignoro apertamente e mi unisco al mio gruppo.

Che si diverta pure a fare il galletto, io tra poco sarò un uomo libero.

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Capitolo 11
*** Road Of No Return (Nicole) ***


Qualche giorno dopo la rivolta, Bellick compare sulla soglia del mio Studio, ed esattamente come è accaduto la prima volta le sue intenzioni non sono amichevoli.

“Dottoressa Baker, a quanto pare ha deciso di non seguire il mio consiglio, perché le visite di T-Bag in infermeria non sono diminuite. Anzi, se possibile sono aumentate. Mi domando che cosa facciate voi due dentro queste quattro mura con la porta chiusa…”

“Assolutamente nulla. Io mi limito a guarire le sue ferite, Capitano”

“Sta parlando di ferite fisiche o delle ferite del cuore, dottoressa?” tenta di provocarmi ancora una volta;  non sono intenzionata a cadere nella sua trappola e così, in tono cortese, gli dico di andarsene perché ho molto lavoro arretrato, ma lui non demorde e torna alla carica chiedendomi se mi sono informata con cura sul perché T-Bag è rinchiuso a vita a Fox River.

“Si, ho letto ogni singola cosa”

“E nonostante questo lei continua a parlare tranquillamente con un mostro simile?” domanda, stupefatto.

“Il direttore Pope ha detto che tutti meritano una seconda possibilità”

“E secondo lei la merita anche un deviato, bastardo, assassino, pedofilo?”

“Io non ho la facoltà di giudicare quello che Theodore Bagwell ha fatto, Capitano Bellick. Ed adesso le chiedo cortesemente di uscire dal mio ufficio, altrimenti sarò costretta a chiamare il direttore” rispondo a denti stretti, stringendo le mani a pugno; questa volta sembra recepire il messaggio perché si avvicina alla porta, ma prima di andarsene mi guarda negli occhi per rivolgermi quella che sembra essere sia una minaccia che un avvertimento.

“Lei è libera di fare quello che vuole, dottoressa Baker, ma ha appena imboccato una strada senza ritorno ed io la controllerò personalmente per tutto il tempo che rimarrà a Fox River”.



 
Quando T-Bag viene scortato nel mio Studio non ha uno dei soliti tagli sulle braccia o sul viso, ma bensì il ginocchio sinistro gonfio a causa di un piccolo incidente che ha avuto nella stanza delle guardie, come mi spiega lui stesso.

Gli applico una bustina di ghiaccio sul ginocchio e poi mi siedo a suo fianco; scoppio improvvisamente in lacrime, sfogando tutta la tensione accumulata giorno dopo giorno e mi stringo al suo petto, cercando conforto.

Lui in un primo momento è sorpreso, ma poi ricambia passandomi il braccio destro attorno ai fianchi, lasciandomi bagnare di lacrime la sua maglietta; resta in silenzio fino a quando riesco a calmarmi e solo allora mi posa la mano destra sotto il mento, sollevandomi il viso.

“Che cosa succede, Nicole?”

“Io non… Io non ce la faccio più” confesso, ricominciando a singhiozzare “questa mattina Bellick è entrato di nuovo qui e… E mi ha fatto capire che è a conoscenza delle nostre continue chiacchierate, ha detto che sa che non si tratta di un semplice rapporto tra dottoressa e paziente. E che fino a quando resterò a Fox River mi controllerà sempre”

“Non ascoltare quel lurido porco” sussurra, accarezzandomi una ciocca di capelli “c’è qui il tuo Teddy e nessuno ti farà male, soprattutto Bellick. E poi, in realtà, tra noi due non c’è mai stato nulla di… Fraintendibile, giusto?”

“Giusto”.

Tra noi due cala il silenzio più totale; Teddy avvicina lentamente il suo viso al mio, ma la porta si apre poco prima che le nostre labbra possano incontrarsi e così sono costretta a scendere rapidamente dal lettino.

“Nicole…” dice Karla, con gli occhi spalancati, ed io capisco che ha visto ogni cosa.

“Karla, puoi dire alle guardie di accompagnare il signor Bagwell nella sua cella?” le chiedo, prima che possa dire qualunque altra cosa; in questo modo riesco ad evitare l’argomento fino alla fine del nostro turno, perché siamo entrambe troppo impegnate per chiacchierare.

“Puoi spiegarmi quello che stava per accadere in infermeria?” mi domanda quando, ormai, abbiamo varcato il cancello di Fox River.

“Perché? Che cosa stava per accadere?”

“Tu e T-Bag stavate per…”

“Si, lo so” la interrompo all’improvviso, posizionandomi davanti a lei “lo so quello che stava per accadere, ma ti prego di non dirlo a nessuno. Nessuno lo deve sapere. Ti prego, Karla, se la nostra amicizia vale qualcosa per te”.

La supplico con lo sguardo e lei resta in silenzio, ma prima di allontanarsi mi lancia un’occhiata in cui leggo le stesse parole che Bellick mi ha detto.

Sto davvero percorrendo una strada senza ritorno.

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Capitolo 12
*** One Less (T-Bag) ***


“Io non entro lì dentro” dico con un tono che non ammette repliche; C-Note si affaccia dal bordo della buca, mi osserva con il sopracciglio destro sollevato e con un’espressione di scherno stampata sulla faccia.

“Sergente Sodomia, stai davvero dicendo che esiste un buco in tutta Fox River in cui non desideri infilarti?”.

Nel nostro gruppo in procinto di evadere c’è una piccola novità: ci sono due nuovi arrivati.

Il primo è Westmoreland: vuole uscire perché il direttore Pope gli ha comunicato che la figlia è gravemente malata ed i medici hanno detto che le restano solo due settimane di vita; il secondo, invece, è C-Note.

Ha notato il cemento sbriciolato che lasciamo cadere in cortile durante la nostra ora all’aperto, ha svolto le sue indagini personali e quando ha comunicato a Scofield i suoi sospetti è diventato, automaticamente, uno di noi.

La mia risposta non tarda ad arrivare sottoforma di dito medio, ma la nostra discussione viene interrotta da Sucre, che ci comunica l’arrivo di un secondino; copriamo velocemente il buco con un tappeto e ci posizioniamo sopra un tavolino esattamente una manciata di secondi prima che la porta si apra un’altra volta.

Fortunatamente si tratta di Michael di ritorno dal suo giretto in infermeria: a quanto pare ha bisogno di iniezioni quotidiane di insulina, o almeno questo è ciò che dice lui.

Ha un’espressione preoccupata che non fa promettere nulla di buono.

“Abbiamo un problema” dice, infatti, poco dopo con le mani infilate nelle tasche della tuta “ho calcolato il tempo che ciascuno di noi impiegherebbe per scavalcare le mura di Fox River. È troppo, non ce la faremo mai”

“E questo cosa significa?” domanda subito Abruzzi, dando voce ai pensieri di tutti.

“Significa che qualcuno deve abbandonare” risponde Scofield categorico.

Tra di noi cala il silenzio: nessuno è intenzionato a rinunciare ad un’opportunità simile ed ho l’impressione di essere già la vittima designata; proprio per questo motivo decido di procurarmi un ulteriore lasciapassare per la mia libertà.

In cortile ci sono alcune cabine telefoniche che noi detenuti possiamo utilizzare durante l’ora all’aria aperta per chiamare i parenti o gli amici, così il giorno seguente aspetto in fila il mio turno e poi digito il numero dell’unico famigliare a cui sono sempre stato legato: mio cugino.

“Come stai, James? Tutto bene? E come sta il mio bambino? Scommetto che cresce molto velocemente” gli domando, ridendo; attendo le sue riposte e poi gli comunico il motivo per cui l’ho chiamato “James… Ascolta attentamente quello che sto per dirti…”.



 
Quello stesso pomeriggio, mentre io ed il resto della squadra siamo all’interno del capannone, racconto della mia breve telefonata.

“Sei un figlio di puttana, Bagwell” mi apostrofa Abruzzi, puntandomi l’indice destro contro, ed io mi limito a sorridere, perché non può fare altro che minacciarmi con parole inutili.

“Ahh, io sono il figlio di puttana? Non voi che avevate già in mente di farmi fuori dal gruppo? Non sono io ad essere l’ultimo arrivato. Dovrebbe funzionare in questo modo! Ho detto a mio cugino che se cinque minuti prima dell’evasione e venti minuti dopo non riceve una mia chiamata, deve digitare il numero di Fox River e raccontare ogni singola cosa. Quindi io sono ancora dentro”

“Penseremo a questo in un altro momento, T-Bag, adesso vai fuori a renderti utile” interviene Michael lanciandomi la cartellina rigida; la sua espressione è sempre inscrutabile, ma so di aver fatto una mossa che non si aspettava.
Appena esco dal capannone sento il resto del gruppo iniziare a discutere animatamente, soprattutto John, ma proprio come ho detto a lui non possono fare altro, perché in questo momento sono pressoché intoccabile.



 
Il giorno seguente, quando le porte delle nostre celle si aprono automaticamente per lasciarci uscire, ricevo una visita del tutto inaspettata: mi trovo faccia a faccia con il direttore Pope, scortato da Bellick e da altri secondini, che mi chiede di aspettare ad uscire in cortile perché deve parlarmi con urgenza.

Mi dice di rientrare nella mia cella e di sedermi sulla mia brandina, e così capisco che è successo qualcosa di veramente grave, come mi conferma lui stesso poco dopo.

“C’è stata una sparatoria. Tuo cugino e tuo nipote…” dice, per poi bloccarsi; non sa come continuare e mi appoggia una mano sulla spalla destra “mi dispiace”.

Esce dalla cella senza dire altro e poco dopo faccio lo stesso, raggiungendo tutti gli altri detenuti in cortile.

Il dolore mi colpisce all’improvviso ed è così forte che cado a terra, in ginocchio; succede tutto così rapidamente che qualcuno pensa ad un proiettile sparato da una delle guardie che si trovano sulle torrette.

James non era solo mio cugino, era anche il mio migliore amico: da ragazzino trascorrevo sempre le vacanze estive da lui e questi sono gli unici ricordi felici che ho della mia infanzia; non mi ha mai abbandonato, neppure quando mi hanno arrestato e rinchiuso a marcire a Fox River.

Mio nipote aveva appena quattro anni.

Inizio ad urlare con tutta l’aria che ho nei polmoni e sento le lacrime bagnarmi le guance mentre realizzo, finalmente, che loro due non ci sono più; qualcuno del mio gruppo si avvicina a me, mi scuote per le spalle ma io non reagisco.

Alla fine due guardie mi afferrano per le braccia, mi costringono ad alzarmi e mi scortano in infermeria; prima di uscire dal cortile, però, riesco a lanciare un’occhiata in direzione di Michael, Sucre ed Abruzzi.

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Capitolo 13
*** Drop Everything (Nicole) ***


Karla mi propone di andare a pranzo insieme nello stesso ristorante italiano in cui siamo state già una volta, ed io accetto, già sapendo che vuole parlarmi.

Mentre usciamo da Fox River lancio un’occhiata al cortile del Braccio A, con la speranza di vedere Teddy, ma stranamente non c’è.

Quando ci sediamo davanti ad un tavolo decorato con una tovaglia rossa e bianca, Karla si passa entrambe le mani nei capelli.

“Ieri sera mi hai chiesto di tacere se la nostra amicizia vale qualcosa per me”inizia, mordendosi il labbro inferiore “e proprio perché ci tengo alla nostra amicizia mi sento in obbligo di avvisarti”

“Karla…” intervengo io, ma lei m’interrompe, continuando con il discorso che si è preparata.

“Ascoltami, Nicole, io sono qui da qualche mese e credo di aver capito come funziona all’interno di Fox River: ci sono detenuti pericolosi, detenuti meno pericolosi e detenuti innocui. Poi ci sono quelli che bisogna assolutamente evitare. T-Bag è uno di quelli. Io non so che cosa ti ha detto, ma sono sicura che si tratta solo di una lunga serie di bugie”

“Tra me e lui non c’è mai stato nulla…”

“E perché ieri stavate per baciarvi?”

“Non lo so. Non lo so. Stava semplicemente per accadere” mormoro scuotendo la testa, stringendo alcune ciocche di capelli tra le mani “io… Io ho bisogno di vederlo, capisci?”

“È proprio questo ciò che mi preoccupa. Il modo in cui parli di lui, lo sguardo che hai… Nicole, ti stai innamorando di una persona che ha commesso cose orribili e che passerà il resto della sua vita dietro le sbarre. Non voglio costringerti a prendere decisioni affrettate, ma forse è meglio se te ne vai da Fox River prima di ritrovarti con il cuore spezzato”.

Ecco, ha pronunciato esattamente le parole che temevo.

Abbandonare Fox River, dimenticare Teddy e ricominciare una nuova vita molto lontano, magari in un altro Stato.

“Ti prometto che ci penserò e quando avrò preso una decisione sarai la prima persona a cui la comunicherò” le rispondo, sforzandomi di sorridere e lei ricambia, già più tranquilla.

Poco dopo il nostro rientro in carcere, due guardie scortano T-Bag in infermeria ed io capisco subito che c’è qualcosa che non va: ha lo sguardo perso nel vuoto e nessuna ferita sul viso o sulle braccia.

“Non sappiamo che cosa è successo esattamente” dice una delle guardie, rispondendo ad una mia domanda “lo hanno trovato in cortile che urlava e piangeva come un bambino. L’unica cosa certa è che il direttore gli ha comunicato che hanno ucciso suo cugino e suo nipote”.

Mi volto a fissare l’uomo per qualche istante, sbalordita, prima di rivolgergli un’espressione di disgusto: ha appena descritto quello che è successo a T-Bag con estrema calma, come se fosse una cosa della minima importanza.

“Uscite immediatamente dal mio Studio”ordino a denti stretti ad entrambi; appena la porta si chiude gli appoggio le mani sulle guance e cerco di attirare la sua attenzione “Teddy… Teddy… Theodore… Riesci a sentirmi? Ti prego, rispondimi”.

Lui non risponde e continua a fissare il vuoto, ritento una seconda volta e finalmente socchiude le labbra per pronunciare quattro parole.

“So chi è stato”

“Come?”

“So chi è stato ad uccidere mio cugino e mio nipote” ripete una seconda volta, fissandomi con uno sguardo duro e freddo, lo stesso che devono aver visto le sue vittime “Abruzzi. È stato lui a farlo”

“Ma… Ma questo è impossibile… Lui è rinchiuso qui dentro…”

“Ma i suoi uomini sono fuori. Si, deve essere andata così… Ha ordinato a qualcuno di farlo…”

“E per quale motivo avrebbe dovuto ordinare l’omicidio di due persone innocenti?” gli domando.

Teddy non risponde e si chiude nuovamente nel mutismo più totale; non ho prove con me, ma so che mi sta nascondendo qualcosa di estremamente importante, e per la prima volta mi ritrovo a temere per la sua vita.

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Capitolo 14
*** Say 'Hi' To Him For Me, Will Ya? (T-Bag) ***


Mi trovo vicino ad un capannone quando qualcuno mi copre la bocca con una mano e mi spinge con forza al suo interno.

Due degli uomini di Abruzzi iniziano a picchiarmi senza risparmiarmi calci e pugni; si fermano solo quando è il loro capo ad ordinarglielo.

Mi bloccano i polsi con del nastro isolante e mi sbattono contro la superficie liscia di un tavolo.

Non sono né un novellino né uno stupido, so perfettamente in che situazione mi trovo; questo si chiama ‘regolamento di conti’: un detenuto ha un conto in sospeso con un altro e paga i secondini per avere il loro silenzio.

Ciò significa che in questo momento posso anche urlare fino a consumarmi le corde vocali ma nessuno verrà in mio soccorso, almeno non prima di ritrovarmi la gola tagliata od un pugnale conficcato nel petto.

“Lasciateci soli” ordina John; quando i suoi uomini escono si avvicina a me, solleva la manica sinistra della divisa e mi mostra quello che è un pugnale dalla lama piuttosto affilata.

Mi afferra per la maglietta ed io inizio a singhiozzare, con le lacrime che mi rigano nuovamente le guance.

“Hai ucciso mio cugino e mio nipote. Come hai potuto? Hai ucciso un bambino. Come hai potuto uccidere un bambino innocente?”

“Stai zitto” mi minaccia a denti stretti e con gli occhi spalancati, iniettati di sangue “non ti permetto di dire queste cose. Tu hai stuprato ed ucciso dei ragazzini senza provare il minimo rimorso. Dovrei ucciderti in questo stesso momento, dovrei tagliarti la gola e lasciarti qui ad annegare nel tuo stesso sangue. Ci sono sei famiglie distrutte dal dolore che aspettano solo questo”.

Appoggia la lama del pugnale contro il mio zigomo sinistro, appena qualche millimetro sotto l’occhio; deglutisco a vuoto ed un altro gemito mi scappa dalle labbra.

“Ti prego, John, ti prego… Hai ragione, merito proprio questo per ciò che ho fatto ma, ti prego, dammi un’altra possibilità. Ti prego. Dammi un’altra possibilità”

“Ti darò una seconda possibilità per redimerti, Theodore, ma c’è una cosa che voglio in cambio da te”

“Tutto quello che vuoi” sussurro, ripetendolo una seconda volta, sentendo la lama premere con più forza contro la mia pelle “tutto quello che vuoi. Ti prego, John, ti prego! Cambierò!”

“Chiamati fuori” mi mormora all’orecchio sinistro “va da Scofield, chiamati fuori dal gruppo e dimentica per sempre quel buco, hai capito?”.

Lo fisso per qualche istante in silenzio, senza fiato: uscire dal gruppo significa perdere l’unica occasione per tornare ad essere un uomo libero; Abruzzi mi afferra per la maglietta ed inizia a scuotermi violentemente perché vuole avere una risposta affermativa.

“D’accordo! D’accordo! Mi chiamo fuori! Mi chiamo fuori dal gruppo!”

“Giuramelo, Theodore, giura che lo farai! Giuralo su Dio!”

“Lo giuro, lo giuro su Dio! Lo giuro su Dio! Lo giuro su Dio!” ripeto urlando; inizio a singhiozzare più forte e mi appoggio al suo petto, supplicandolo di risparmiarmi la vita, di darmi effettivamente una seconda possibilità; lui mi abbraccia per qualche istante e poi mi lascia andare, spingendomi contro il pavimento del capannone.

“Sei un uomo libero. Mantieni la parola data e prega Dio perché abbia pietà della tua anima, Theodore, sempre se ne hai ancora una”.

John mi volta le spalle per nascondere nuovamente la sua arma bianca sotto la manica e così facendo commette il peggior errore della sua vita; mi alzo in piedi e sputo sul palmo della mano destra una piccola lametta che nascondevo sotto la lingua.

“Ohh, John, a proposito del tuo Dio…” gli dico, avvicinandomi “salutalo da parte mia appena lo vedrai”.

Nello stesso momento in cui si volta gli taglio la gola con la lametta; alcuni schizzi di sangue colpiscono una delle finestre ed Abruzzi si porta la mano destra sul collo, spalancando gli occhi, prima di crollare a terra come una bambola di stoffa.

Riesco a liberarmi dal nastro isolante, che ancora mi blocca i polsi, ed esco ignorando completamente i suoi versi strozzati.

Spero che quel figlio di puttana soffochi nel suo stesso sangue.

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Capitolo 15
*** Broken And Empty (Nicole) ***


Per tutta la notte non riesco a dormire: continuo a girarmi e rigirarmi sul materasso, ed ogni volta che chiudo gli occhi nella mia mente si forma la domanda a cui non ho avuto una risposta.

Teddy è convinto che suo cugino e suo nipote siano stati uccisi per ordine di John Abruzzi; è ovvio che vuole vendicarsi, l’ho letto nei suoi occhi in infermeria, ed è proprio questo a farmi paura.

Non conosco Abruzzi, ma non bisogna essere dotati di una mente geniale per capire che è una persona pericolosa e che è meglio non averlo come nemico: potrebbe intuire qualcosa e decidere di agire prima di Teddy; potrebbe torturarlo, ferirlo gravemente o ucciderlo all’interno di uno dei capannoni che ci sono nel cortile ed abbandonare là il corpo.

Per tutta la notte non riesco a dormire.

 Quando mi reco a Fox River, ho la testa che pulsa violentemente e faccio fatica a reggermi sulle gambe; Karla capisce che qualcosa non va con una semplice occhiata, mi segue nel mio Studio e mi domanda che cosa mi preoccupa.

“Va tutto bene” rispondo, sforzandomi di sorridere.

No, in realtà non va tutto bene.

Non va bene niente.

Non riesco a scrollarmi dalla pelle l’orribile sensazione di una catastrofe imminente.

Voglio vedere T-Bag; voglio parlare con lui, voglio abbracciarlo, ma non posso fare nulla di tutto questo: non posso ordinare a delle guardie di prelevarlo dalla sua cella e portarlo in infermeria per dei controlli fittizi, perché Bellick sta aspettando proprio un passo falso simile per andare da Pope ed assicurarsi di farmi perdere il lavoro.

Di conseguenza, non mi resta altro da fare che continuare a svolgere il mio lavoro, nascondendo il turbamento dietro una maschera di assoluta normalità ed aspettare una visita di T-Bag.



 
La giornata procede in modo tranquillo fino alle prime ore del pomeriggio, tutto cambia drasticamente quando Adam entra in infermeria, pallido e visibilmente agitato.

“Dovete venire subito” dice a me, a Karla ed a un’altra infermiera “hanno trovato un detenuto all’interno di un capannone. Qualcuno gli ha tagliato la gola. Abbiamo già chiamato un elicottero per il trasferimento in ospedale”.

Il mondo intero mi crolla sulle spalle.

Il mio pensiero va subito a Teddy e con gli occhi della mente vedo il suo corpo esanime, con il petto che si alza ed abbassa in modo appena percepibile, mentre la vita scivola rapidamente via ad ogni battito del suo cuore; stringo le mani a pugno per resistere all’impulso di correre fuori dall’infermeria e dico ad Adam di accompagnarci subito al capannone.

Lui ed altre due guardie ci scortano nel cortile ancora deserto ed io entro per prima, sforzandomi di non cedere alla tensione e crollare a terra.

Appena vedo il corpo a terra mi blocco.

Non è T-Bag.

È Abruzzi.

Non so per quanto tempo resto in quella posizione, ritorno in me solo quando Karla mi chiama per nome, facendomi capire che la situazione è davvero grave.

“Cercate di bloccare l’emorragia. Ci serve una barella per il trasporto. Andate a prendere una barella” ordino ad Adam ed alle altre guardie; poi mi avvicino ad Abruzzi e m’inginocchio sul pavimento “va tutto bene. Andrà tutto bene, te lo prometto”.

Lui mi fissa, ma non sono sicura che abbia sentito le mie parole.

Pochi istanti dopo lo spostiamo sulla barella e quando usciamo, l’elicottero del pronto soccorso è già atterrato e gli operatori si occupano di tutto il resto.

Nel frattempo gli altri detenuti sono usciti per l’ora all’aria aperta ed osservano la scena a debita distanza, grazie all’interno di diverse guardie e dello stesso Bellick; mi volto per cercare Teddy con lo sguardo e lo vedo in compagnia di un piccolo gruppetto di uomini, tra cui Michael Scofield.

Per qualche istante mi sembra di scorgere un sorrisetto compiaciuto sulle sue labbra, ma poi scompare, sostituito da un’espressione apparentemente preoccupata.
Quando entra nel mio Studio sono così arrabbiata che non sento più il bisogno di abbracciarlo e respirare nuovamente il profumo della sua pelle.

“Non sei contenta di vedermi?” mi domanda, limitandosi a sollevare il sopracciglio destro.

“Che cosa hai fatto?” gli chiedo a mia volta, tormentandomi le mani “che cosa hai fatto dentro a quel capannone?”

“Non capisco a che cosa…”

“Teddy, questa è la prima volta che lavoro all’interno di un carcere, ma non sono stupida. Ieri mi hai detto che ritieni Abruzzi responsabile per quello che è successo a tuo cugino ed a tuo nipote e oggi… Oggi succede questo… Il mio camice era sporco del suo sangue, capisci? Potrebbe non sopravvivere”

“Verserò le dovute lacrime”.

Mi passo entrambe le mani tra i capelli e poi riprovo una seconda volta.

“Se non mi dici quello che è accaduto andrò dal direttore a raccontare i miei sospetti”

“Ohh, davvero? Vuoi farlo davvero? Tu saresti pronta a tradire la fiducia che ripongo nei tuoi confronti per questo? Voi donne siete tutte uguali” risponde offeso “siete davvero tutte uguali. Fate promesse che poi non mantenete mai. Fate credere ad un uomo di essere amato e poi non vi fate problemi a sbatterlo fuori di casa dalla porta sul retro, come spazzatura. Ti credevo diversa, Nicole, ma ora penso di aver fatto solo un grave errore”

“Come posso fidarmi di te?” gli domando, rispondendo alle sue accuse, ed ottengo solo di farlo ulteriormente arrabbiare.

“Come puoi fidarti di me? Come puoi fidarti di me? Nicole… Io ti ho salvato la vita qualche giorno fa. Quell’uomo ti avrebbe violentata e poi ti avrebbe uccisa per assicurarsi il tuo silenzio. Io ti ho salvata e ti ho indicato un nascondiglio sicuro. Ero senza manette. Ero libero. Nessun secondino sarebbe arrivato in tempo per salvarti, ma io non ti ho tolto un solo capello”

“Lo so… Ma il tuo passato…”

“Ohh, certo. Il mio passato. Porterò questo peso con me fino alla fine, vero? Ecco il principale motivo per cui tutti ce l’hanno con me qui dentro. Il mio passato. Pope potrà anche dire che tutti meritano una seconda possibilità, ma la verità è che nessuno si sforza davvero di darla a me. Eppure mi sembra di averti dato una prova concreta, Nicole, ma a quanto pare per te non è stato sufficiente. Non ti dirò perché ho tagliato la gola ad Abruzzi e non tornerò qua fino a quando non cambierai idea, se mai accadrà. Chiama le guardie, adesso, voglio tornare nella mia cella”.

Sono letteralmente senza parole; per qualche istante resto immobile e cerco di pensare a qualsiasi cosa da dirgli per non lasciarlo andare in questo modo, ma alla fine sospiro ed assecondo il suo desiderio.

Quando esce, scortato dalle due guardie, lascio ricadere le braccia lungo i fianchi: qualcosa tra noi due si è appena rotto in modo irreparabile e questo mi fa sentire vuota.
 

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Capitolo 16
*** Beautiful Creatures (T-Bag) ***


Le donne sono creature stupende, ma terribilmente complesse.

Basta una sola parola per farle piangere di gioia o per spezzare loro il cuore.

E comunque, in ogni caso, è praticamente impossibile sapere che cosa passa nella loro testa.

Sto riflettendo proprio su questo argomento quando la porta della mia cella si apre ed entra Bellick, che porta con sé una notizia che mi sorprende.

“Hai una visita, Bagwell, alzati” mi ordina con un tono che non ammette né repliche né proteste; lo accontento senza pronunciare una sola parola, spinto dalla curiosità.

I detenuti possono ricevere solo una visita a settimana, durante un giorno prestabilito, e questi incontri si svolgono in due modi: i detenuti che non sono considerati pericolosi incontrano i loro familiari o amici davanti ad un semplice tavolo; quelli che, invece, sono considerati pericolosi devono stare all’interno di una gabbia e c’è uno spesso vetro che li separa dall’altra persona.

A quanto pare, io faccio parte della metà pericolosa perché Bellick mi spinge all’interno della gabbia; ma non è questo a sconvolgermi.

Dall’altra parte del vetro c’è una donna con i capelli neri, che fatica a guardarmi negli occhi.

È Susan, la mia ex compagna.

La stessa persona che mi ha denunciato alle autorità e che mi ha fatto finire qui dentro.

Non la vedo da cinque anni, non so per quale motivo è qui e proprio per questo me ne resto in silenzio, perché voglio che sia lei la prima a parlare.

“La mia terapista ha detto che mi avrebbe fatto bene venire qui… A parlare con te…” inizia con un filo di voce, fermandosi più volte per non cedere alle lacrime “ti ho fatto entrare nella mia casa. Ti ho fatto entrare nella chiesa che frequento ogni domenica… Per l’amor di Dio, ti ho fatto conoscere i miei figli”

“Susan, non li ho mai toccati”

“Non dire una sola parola” m’interrompe lei, ma io continuo perché ci sono cose che voglio dirle da cinque anni.

“Susan, io ti amavo. Ti amavo con la stessa intensità che solo un amore vero può avere. Con te a mio fianco ero rinato, ero un uomo nuovo” questa volta le lacrime che rigano le mie guance sono vere, insieme al tremore nella mia voce “ma tu non hai esitato un solo istante a sbattermi fuori da casa tua come se fossi un cane rabbioso. Io ero cambiato per te, ero pronto ad iniziare una nuova vita”

“No, Teddy, una persona che fa cose così orribili non può cambiare e merita solo di passare il resto della sua vita dietro le sbarre”.

Ascolto le sue ultime parole in silenzio, limitandomi ad annuire con la testa ed a mordermi leggermente la punta della lingua con i denti; poi mi avvicino di più al vetro, in modo che possa sentire meglio le mie parole.

“Forse hai ragione, Susie, perché nello stesso istante in cui mi hai sbattuto fuori di casa, quel bastardo che ha fatto quelle cose orribili è tornato. Io uscirò da questo posto molto presto. Te lo prometto. E quando accadrà, ti giuro che non avrò ancora dimenticato come sono fatti i scalini di casa tua”.

Finalmente solleva il viso per guardarmi negli occhi, anche se è terrorizzata dalla mia minaccia il disprezzo che prova nei miei confronti è più forte: sputa contro il vetro, si alza e si allontana velocemente.

Io resto immobile, con la mano destra appoggiata sulla superficie liscia e trasparente, fino a quando Bellick mi ordina di alzarmi ed uscire perché è arrivato il momento di tornare nella mia cella.



 
La mattina seguente sono ancora di pessimo umore e non pronuncio una sola parola per tutto il giorno; anche i membri della squadra si accorgono che qualcosa non va e C-Note ne approfitta per lanciarmi qualche battutina mentre continuo a scavare la buca.

“Che ti prende, T-Bag? Oggi non hai voglia di parlare? Sei triste perché non hai più un compagno di cella con cui fare il bucato?”

“Lascialo stare, Benjamin” interviene Westmoreland “oggi è uno di quei rari giorni in cui Theodore si degna di usare la testa. Non provocarlo, goditi il silenzio finché durerà”.

Ignoro la conversazione tra i due e continuo a scavare, almeno fino a quando lancio un urlo perché il cemento sotto i miei piedi cede ed io cado all’interno di quello che sembra essere un condotto che porta a due tunnel opposti.

“Hai qualcosa di rotto?” mi domanda Scofield, affacciandosi insieme a tutti gli altri.

“No, sto bene” rispondo a denti stretti, prima di afferrare la mano di Burrows “che cos’è?”

“Proprio quello che stavamo cercando. Voi restate qui, io torno subito”

“Ehi! Dove stai andando? Non puoi infilarti lì dentro! Se qualcuno dei secondini entra mentre tu sei ancora nel condotto siamo tutti fottuti!” protesto mentre Michael si cala all’interno del condotto e la sua risposta non tarda ad arrivare.

“Vuoi uscire da Fox River, T-Bag? Allora devi limitarti ad eseguire i miei ordini senza protestare” dice prima di sparire chissà dove.

Nessuno di noi pronuncia una sola parola fino al suo ritorno, siamo troppo tesi per tentare d’iniziare una conversazione.

Riesco a tirare un sospiro di sollievo solo quando la testa di Michael compare dal bordo della buca per chiedere al fratello maggiore di aiutarlo ad uscire.

“Allora?” domando, impaziente, appoggiandomi al tavolino che c’è alle mie spalle.

“Allora?” ripete Scofield, con il suo solito sorrisetto enigmatico “siamo pronti ad evadere. Lo faremo venerdì notte”.



 
La porta scorrevole della mia cella si apre per l’ennesima volta ma non appare quel grasso maiale di Bellick, bensì una guardia che non ho mai visto prima.

È giovane, deve avere al massimo una ventina d’anni, ed ha un viso molto, molto, molto carino.

Lo studio in silenzio e lui fa lo stesso, continuando a rigirarsi un piccolo flacone di plastica arancione tra le mani: è teso, probabilmente questa è la prima volta che si trova faccia a faccia con un detenuto e deve aver sentito parlare di me.

“Solitamente è vietato fare una cosa simile, ma la dottoressa Baker mi ha detto che si tratta di un’emergenza. Ecco… Le tue medicine per l’epilessia”

“Le mie… Medicine per l’epilessia?” ripeto, sbattendo le palpebre.

Non ho mai sofferto di epilessia in tutta la mia vita, ma lui annuisce convinto.

“Nicole mi ha detto così. È meglio se lo prendi prima che qualcuno mi scopra”.

Mi porge il piccolo tubicino facendo attenzione a non sfiorare la mia mano e poi da subito l’ordine di richiudere la porta scorrevole.

Mi lascio cadere sul materasso della mia brandina ed osservo con attenzione l’oggetto: mi sembra di scorgere qualcosa in mezzo alle pastiglie e così svito il tappo bianco e rovescio il contenuto sulla mia mano destra.

In realtà non sono pastiglie, ma semplici mentine che servono a nascondere un foglietto di carta ripiegato più volte con cura.

Lo apro, lo leggo e sorriso.

Nicole vuole che torni in infermeria, ma io lascio trascorrere due giorni prima di assecondare il suo desiderio.

Non voglio che mi consideri un disperato.

“Volevi parlarmi?” le domando, impassibile.

Lei si morde il labbro inferiore prima di rispondere, lo fa sempre quando è agitata ed è un gesto che, se possibile, la rende ancora più bella.

“L’altro giorno ho sbagliato ad aggredirti in quel modo, Teddy. Ho sbagliato a tradire la tua fiducia. Hai ragione. Tu mi hai salvato la vita ed in questo modo hai dimostrato che non hai intenzione di farmi del male. Ti ho mandato quel biglietto rischiando di essere scoperta solo per dirti che mi dispiace quindi, per favore, dimmi che cosa è successo qualche giorno fa dentro quel capannone. Adesso penso di avere il diritto di sapere”

“Sto per evadere” confesso, guardando Nicole negli occhi.

Lei impallidisce vistosamente, ma non abbassa lo sguardo per un solo istante.

“Che… Che cosa?” mi chiede poi, con la voce ridotta ad un sussurro appena percepibile.

“Sto per evadere insieme ad altri cinque detenuti, Nicole. È stato Michael Scofield ad organizzare tutto perché ritiene che suo fratello sia innocente e non vuole vederlo sulla sedia elettrica. Io non sapevo nulla fino al giorno della rivolta. Per puro caso sono entrato nella sua cella ed ho visto il lavandino spostato ed un buco nella parete” inizio a raccontare, senza esitare per un solo istante “qualche giorno fa Scofield ha detto che eravamo un gruppo troppo numeroso per riuscire in poco tempo a scavalcare le mura di Fox River e di conseguenza qualcuno doveva abbandonare l’impresa. Volevano spingere me a farlo e così ho chiamato mio cugino James per dirgli ogni cosa, per avere una garanzia, ma quando l’ho comunicato agli altri, Abruzzi ha deciso di uccidere sia lui che mio nipote. Poi ha ordinato ai suoi uomini di trascinarmi dentro un capannone per fare lo stesso. Nicole, sono stato costretto a tagliargli la gola… Mi ha minacciato con un pugnale…”

“Io non… Io non capisco… Come pensate di scappare?”

“Di questo non ti devi preoccupare”

“Teddy… Io… Questo…” balbetta scuotendo la testa “non avresti dovuto dirmi queste parole… Non avresti dovuto rendermi partecipe di questa cosa… Lo sai che dovrei informare il direttore…”

“Lo so, ma so anche che non lo farai. Nicole… Nicole, io devo trascorrere tutto il resto della mia vita all’interno di un carcere. Prova ad immaginare quanto tutto sarebbe più facile… Per noi due… Se fossi libero… Non hai mai pensato a questo? Neppure una volta?” le chiedo, sapendo di colpire il punto giusto.

Nicole si tormenta ancora una volta il labbro inferiore e poi prende posto a mio fianco sul lettino; i nostri visi sono così vicini che quasi si sfiorano.

“Ti prego, cerca di uscire vivo da Fox River” mormora; chiude gli occhi ed avvicina ancora di più il viso al mio ma io la blocco, appoggiando l’indice destro sulle sue labbra, e lotto contro l’impulso naturale di baciarla e possederla sopra questo stesso lettino.

“No” dico, passandomi la punta della lingua sul labbro superiore “voglio darti il nostro primo bacio da uomo libero”.
 

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Capitolo 17
*** We're Not Getting Out Of Here (T-Bag) ***


Sono agitato.

Questo non dovrebbe mai accadere in una situazione delicata come solo un’evasione può essere, ma è successo un casino ed adesso Lincoln si trova in una delle celle d’isolamento.

“Non m’importa se tuo fratello è nei guai” dico a Scofield, fronteggiandolo in cortile “tu hai promesso a me ed al resto del gruppo di evadere e lo faremo”

“Non ti preoccupare, T-Bag” risponde lui, con il suo solito sorriso enigmatico “ho già pensato a tutto. Lincoln verrà con noi. Limitati a fare la tua parte”

“Cerca di fare lo stesso con la tua” ribatto a denti stretti, in un sussurro minaccioso.

Mi allontano da lui, prendo posto sulla mia tribuna e resto lì per tutto il tempo, fino a quando termina la nostra ora all’aria aperta ed inizia il turno di lavoro per me e la squadra.

“Forza, abbiamo ancora molto da fare prima del grande momento” ordina Michael, porgendo una pala a ciascuno di noi; sta per dire altro, ma lo interrompo con una risata nervosa.

“Forse il nostro piccolo Michelangelo ha dimenticato un particolare poco rilevante nel suo geniale piano di fuga. Hai detto che scapperemo durante la notte, peccato che Bellick non ci lascerà mai organizzare il nostro allegro pigiama party… Allora, hai pensato anche a questo?”

“Si, ho pensato anche a questo” dice prontamente, senza la minima traccia di esitazione nella voce.

Si avvicina ad uno dei tubi dell’acqua ed inizia a colpirlo, con forza, con una pala; sto per protestare perché qualcuno dei secondini potrebbe sentire il rumore, ma un getto mi colpisce in faccia.



 
Siamo tutti seduti sul pavimento a gambe incrociate, con i vestiti completamente zuppi d’acqua, quando Bellick entra nel capannone per fare una delle sue sfuriate.

“Che cosa avete fatto, branco d’idioti?” domanda, con gli occhi spalancati, osservando il pavimento e le pareti bagnati “avete cinque secondi per rispondere prima che vi sbatto tutti nelle celle d’isolamento per un mese intero”

“La colpa è mia” interviene Scofield, assumendosi ogni responsabilità del bagno fuoriprogramma “ho rotto una delle tubature dell’acqua, ma non è un danno grave, lo ripareremo subito. Mi auguro solo che gli operai arriveranno presto domani, per ripulire ogni cosa”

“Per quale motivo?”

“Perché le pareti potrebbero ricoprirsi di muffa, ed a quel punto sarebbe tutto da buttare”.

Bellick osserva Scofield in silenzio, con gli occhi socchiusi, prima di ricominciare ad urlare per la seconda volta, sottolineando di nuovo la nostra totale incapacità.

“Siete un branco d’idioti! Non siete neppure in grado di svolgere un compito così semplice. Non m’importa se impiegherete tutta la notte a ripulire l’intera stanza, voi non vi muovete da qui finché avrete asciugato ogni singola cosa. Anche a costo di farlo con la lingua, sono stato abbastanza chiaro?”.

Non attende una risposta da parte nostra ed esce dal capannone, sbattendo con forza la porta; quando i suoi passi sono ormai lontani scoppiamo tutti a ridere.

Una vera risata genuina.

Mi avvolgo lo stomaco con le braccia mentre le lacrime mi rigano le guance.

“Se l’è bevuta. Se l’è bevuta tutta quel grasso maiale!”

“Forza, ripuliamo questo casino” ordina Michael, alzandosi per primo dal pavimento.



 
Eseguiamo il suo ordine senza pronunciare una sola parola ed impieghiamo l’intero pomeriggio per asciugare ogni singola goccia d’acqua presente nella stanza delle guardie; quando arriva sera ci sediamo nuovamente a terra a gambe incrociate ed attendiamo il momento perfetto per mettere in atto il nostro piano.

Non so esattamente che cosa stiamo aspettando, forse che il buio cali del tutto per facilitare la nostra fuga al di là delle mura di Fox River.

“Che cosa farete una volta fuori?” chiede Sucre, rompendo il silenzio, per far passare il tempo più velocemente “io andrò dalla mia ragazza. Maricruz. Aspetta un bambino”

“Io e Lincoln cercheremo di risolvere questa faccenda… E se qualcosa andrà storto o la verità non verrà fuori, andremo molto lontano” risponde Scofield, senza mai staccare gli occhi dall’orologio che porta al polso sinistro.

“Io andrò da mia figlia in ospedale” dice a sua volta Westmoreland, seguito poi da C-Note.

“Anche io tornerò dalla mia famiglia e cercheremo un posto sicuro, molto lontano dall’America”

“Io invece…” intervengo con un sospiro “andrò in un bar, ordinerò un’intera bottiglia di whiskey e me la scolerò da solo, assaporando ogni singolo sorso. E poi andrò ad occuparmi di un paio di faccende personali”

“E queste faccende personali includono, per caso, la nuova dottoressa?” mi chiede C-Note.

“Benjamin… Benjamin… Benjamin… A cosa devo queste illazioni?”

“Tutta Fox River è a conoscenza delle tue continue incursioni in infermeria. E poi non c’è un solo detenuto che non abbia assistito alla sfuriata della dottoressa”

“È arrivato il momento”.

La voce di Michael interrompe la nostra conversazione ed all’interno del capannone cala il silenzio.

È arrivato il momento.

Stiamo per uscire da Fox River.

Spostiamo il tavolo ed il tappeto senza fare alcun rumore ed entriamo a turno nel condotto: il piccolo Michelangelo è il primo della fila, perché è l’unico a conoscere il percorso da fare, mentre io sono l’ultimo.

“Non giocarmi qualche brutto scherzo” mi avvisa C-Note, voltandosi a guardarmi per qualche istante, e gli rispondo con un sorriso.

“Tranquillo, posso vivere anche senza il tuo culo”.

Attraversiamo tutto il condotto fino ad arrivare ad una deviazione che funge da scivolo, dato che porta verso il basso; tramite questa giungiamo in una stanza alta e stretta, con le pareti di cemento, sprovvista di finestre dal momento che ci troviamo a diversi metri sottoterra.

C’è una lunga corda che penzola da un buco rettangolare nel soffitto.

Scofield, ovviamente, è il primo ad arrampicarsi e noi lo imitiamo velocemente perché non possiamo sprecare un solo istante dato il tempo limitato che abbiamo a nostra disposizione: in qualunque momento una guardia potrebbe scoprire il buco all’interno del capannone.

Sbuchiamo in quello che sembra essere un piccolo ripostiglio, usciamo nel corridoio e ci spostiamo in una stanza simile cercando di non fare il minimo rumore; per non rischiare di essere scoperti evitiamo di accendere la luce e ci muoviamo nell’oscurità quasi totale.

Michael sale sopra al ripiano di uno dei scaffali metallici che ci sono nella stanza, allunga le braccia ed afferra un tubo largo, collegato ad un buco nel soffitto; prova a tirarlo un paio di volte e poi mormora qualcosa, scuotendo la testa.

“No… No… Non può essere…”.

Un brivido mi percorre la schiena perché per la prima volta sento una cosa nella sua voce che mi fa pensare al peggio: panico.

È nel panico.

“Papi, che cosa succede?” bisbiglia Sucre, raggiungendo quello che ormai è il suo migliore amico.

“Ogni settimana, da quando sono a Fox River, ho versato nel lavandino della nostra cella dell’acido perché corrodesse questo tubo, in modo da poterlo spostare facilmente. Qualcuno… Qualcuno deve averlo sostituito”

“Dovrà pur esserci un altro modo per raggiungere l’infermeria”

“No, Sucre, questo è l’unico. Lincoln ci sta aspettando lì dentro, non abbiamo molto tempo a nostra disposizione, dobbiamo trovare un modo per spostare questo maledetto tubo”.

Scofield afferra una sbarra di metallo e prova a fare leva con quella, ma non ottiene nulla, tranne di rompere l’oggetto.

Dall’altra parte Burrows capisce che c’è qualcosa che non va, ma può fare ben poco per aiutarci.

Commetto a mia volta un grave errore, perché lascio che il panico aggredisca anche me.

Afferro il punteruolo che ho nascosto in una tasca della tuta e lo punto contro l’artefice del piano.

“Scofield, giuro che se non mi fai uscire da questo posto ti taglio la gola come ad un maiale. Avevi promesso a tutti noi la libertà! Avevi detto che non dovevamo preoccuparci di nulla”.

Sto per scagliarmi contro di lui, ma qualcuno mi attacca alle spalle e mi sbatte a terra.

La vista mi si annebbia e riprendo conoscenza solo quando qualcuno mi scuote per le spalle e mi copre la bocca con una mano; sto per protestare quando un rumore improvviso mi fa capire che cosa sta succedendo.

C’è una guardia all’interno dello sgabuzzino.

Restiamo tutti in silenzio, nascosti dietro gli scaffali metallici, quasi senza avere il coraggio di respirare per timore di essere scoperti; riusciamo a rilassarci solo in parte quando l’uomo esce, ma ormai tutta l’intera operazione è compromessa e l’unica cosa che ci resta da fare è tornare nel capannone il prima possibile.

Sistemiamo il tappeto ed il tavolo appena qualche minuto prima dell’arrivo di Bellick e di altre due guardie.

Quando torniamo nelle nostre celle nessuno ha la forza di pronunciare una sola parola e tutti abbiamo lo sguardo rivolto al pavimento.

Non appena la porta scorrevole si chiude mi lascio cadere sulla brandina.

Mi copro il viso con le mani e scoppio in lacrime, lasciandomi andare alla disperazione più totale.

Non li posso vedere, ma so che anche il resto della squadra sta facendo lo stesso.
 

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Capitolo 18
*** A Promise Is A Promise (Nicole) ***


Sono così nervosa che trascorro l’intera notte con le cuffie infilate nelle orecchie, ma neppure la musica riesce a distrarmi dal pensiero che a Teddy può accadere qualcosa in qualunque momento.

Qui non ci troviamo in un film o in una serie TV a lieto fine.

Questa è la realtà.

E la realtà è crudele e spietata.

Nella mia mente continuano a formarsi immagini orribili che provo a scacciare con tutta me stessa, ma ogni volta tornano sempre con più prepotenza: vedo Bellick sparare a Teddy, i proiettili lo raggiungono in più punti nella schiena e lui cade a terra, esanime, negli ultimi spasmi di vita che gli restano.

Tutto è così insopportabile che quando arriva la mattina mi precipito davanti al televisore e lo accendo con le mani che tremano in modo quasi incontrollabile; controllo ogni canale alla ricerca di notizie di un’evasione a Fox River, ma non c’è nulla.

Assolutamente nulla.

Neppure nei canali in cui stanno trasmettendo un telegiornale ne parlano.

Questo non mi tranquillizza affatto, anzi, sento un peso nel petto che diventa sempre più opprimente ad ogni minuto che passa
.
Quando arrivo a Fox River mi precipito subito in infermeria, cerco Karla e la trovo impegnata a sistemarsi il cartellino con il suo nome sul petto.

“Karla, è successo qualcosa?”.

Lei, ovviamente, mi guarda senza capire.

“No, nulla”

“Nulla? Assolutamente nulla? Ne sei sicura?”

“Si… Perché mi fai questa domanda?”.

Non perdo tempo a darle una risposta ed esco in corridoio per cercare Adam, che trovo davanti ad un distributore di bevande calde.

Gli pongo la stessa domanda e lui scuote la testa, rispondendo in modo simile a Karla.

“No… No, non è accaduto nulla. Perché mi fai questa domanda, Nicole?”

“Già… Perché fa questa domanda, dottoressa?”.

Nella foga del momento non mi sono accorta della presenza di Bellick.

Ordina ad Adam di andarsene perché vuole continuare la conversazione in modo privato; quando restiamo da soli m’incalza per avere una spiegazione.

“A lei non capita mai di temere che sia successo qualcosa di brutto?”

“Si, ma non capisco da che cosa deriva la sua sicurezza e la sua ansia eccessiva. Mi sta dicendo che è a conoscenza di qualcosa che doveva accadere a Fox River?”

“No… Come può pensare una cosa simile?” chiedo, corrucciando le sopracciglia; gli volto le spalle per allontanarmi, ma lui mi afferra per il polso sinistro, stringendo con forza, strappandomi un gemito dalle labbra.

“Dottoressa, forse noi due abbiamo iniziato con il piede sbagliato, ma c’è una cosa che deve sapere: io odio le persone che cercano di fregarmi e le persone che fanno giochetti. Lei sta commettendo entrambe le cose. Io non so se questa sua preoccupazione è collegata all’incidente che c’è stato nella stanza delle guardie o a qualcos’altro che doveva accadere, l’unica cosa che so con certezza è che ha a che fare con Bagwell. Ed io lo scoprirò molto presto. Le avevo detto di non commettere passi falsi”

“Gliel’ho già detto una volta, Capitano: tra me e Bagwell non c’è assolutamente nulla”

“Può ripeterlo quante volte vuole, ma i suoi occhi raccontano una storia completamente diversa. Le auguro una buona giornata, dottoressa. Si goda la sua permanenza a Fox River e la sua storia d’amore, finché dureranno”.

Finalmente mi lascia andare lanciandomi un’occhiata di disprezzo; lo guardo allontanarsi e lotto contro l’impulso di sfogare la mia rabbia sul distributore automatico.



 
Teddy arriva in infermeria solo a pomeriggio inoltrato.

Ha il viso pallido, stravolto, e non ha voglia di parlare.

“Scofield ha fallito” sibila a denti stretti, come se avesse in bocca una medicina amara “quel figlio di puttana ha fallito completamente. Aveva detto che ogni cosa era sottocontrollo, che aveva studiato ogni piccolo particolare ed invece non è stato così. Qualcuno ha sostituito un tubo che dovevamo spostare per arrivare in infermeria e l’intero piano è fallito”

“E non c’era…”

“Un altro modo?” m’interrompe, parlando con sarcasmo “ohh, è esattamente quello che Sucre ha domandato a Michael, ma il nostro geniale architetto ha risposto che quello era l’unico modo per raggiungere la nostra via di fuga. Ho perso anche il mio punteruolo…”

“Tu hai un punteruolo?”

“Vuoi davvero soffermarti su questo particolare irrilevante? A quest’ora dovrei essere fuori di qui. A quest’ora dovrei essere un uomo libero, capisci? Invece no, sono ancora rinchiuso a marcire a Fox River!”

“Non credere di essere l’unico nei guai, Teddy” ribatto, offendendomi a mia volta “Bellick continua a pedinarmi. Credo abbia intuito qualcosa ed adesso è intenzionato a scoprire che cosa doveva accadere ieri notte. Tu e gli altri fareste meglio a cancellare ogni traccia del buco che c’è nella stanza delle guardie… Altrimenti questa potrebbe essere davvero la fine… Ma… Michael non ha un piano di riserva?”

“L’ultima volta che ho parlato con lui gli ho puntato contro il mio punteruolo. Penso che potrei strangolarlo in questo stesso momento… Non ti devi preoccupare di Bellick, Nicole, te l’ho già detto altre volte. Non può fare nulla se non ha qualcosa di concreto tra le mani e questo non accadrà”.

Resto in silenzio e chino la testa in avanti: c’è un’altra cosa che voglio chiedergli, ma ho paura di farlo.

“Quindi… Questo significa che tu non uscirai?”

“Non lo so” risponde T-Bag, dopo un altro breve silenzio.

Lo dice per non farmi perdere la speranza, ma non sono stupida, so che le sue parole equivalgono ad un ‘si, non uscirò mai da Fox River’; lo abbraccio ed appoggio la testa nell’incavo della sua spalla destra, per non fargli vedere che sto piangendo.

“Ti prego, promettimi che troverai un altro modo per uscire da questo posto. Non voglio continuare ad incontrarti solo per qualche minuto in infermeria, non voglio continuare ad affrontare i mormorii della gente. Voglio andarmene con te e ricominciare una nuova vita in un altro Stato. Promettimelo”

“Te lo prometto, Nicole” mi sussurra, accarezzandomi i capelli con la mano destra “ed io mantengo sempre le mie promesse”.
 

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Capitolo 19
*** Poker Face (T-Bag) ***


Nel film ‘Forrest Gump’ c’è una frase molto interessante, pronunciata dal protagonista.

‘La vita è come una scatola di cioccolatini: non sai mai quello che ti capita’.

Lo stesso principio può essere applicato anche alla prigione: non sai mai quello che ti capita tra i nuovi arrivati.

A volte arrivano persone normali, a volte arrivano persone meno normali ed altre volte arrivano creature impossibili da definire e disgustose.

Io e Sucre abbiamo un incontro ravvicinato con questo tipo di creatura mentre siamo in fila in mensa.

È strano, noi due siamo molto diversi, eppure abbiamo un rapporto che può essere quasi considerato un’amicizia.

“Ma come ci si può ridurre in queste condizioni? Non riesco a capire…”

“Io si. Per aggrapparsi ad un paio di pantaloni”

“Si è aggrappato ai tuoi?” mi domanda Sucre, sconvolto, ed io mi volto a fissarlo con il sopracciglio destro sollevato.

“È vero che sono una persona aperta, ma anche io ho un limite che non sono intenzionato a superare” rispondo, prima di scoppiare a ridere insieme a lui; prendiamo posto davanti allo stesso tavolo e mentre mangio i primi bocconi del mio pranzo noto che c’è qualcosa d’insolito “dov’è il nostro piccolo Michelangelo?”.

Sucre esita prima di spiegarmi che abbiamo un grosso problema.

“Michael è in cella d’isolamento”

“E per quale motivo è in una cella d’isolamento?”

“Stava studiando un nuovo piano per una nuova evasione e mi ha chiesto di procurargli una divisa da secondino per una delle sue incursioni all’interno del buco che c’è dietro il lavandino della nostra cella. Qualcosa è andato storto e quando è tornato aveva un’ustione sulla pelle”

“E come ha fatto?”

“C’èra una guardia, per non essere scoperto si è appoggiato ad uno dei tubi delle caldaie. L’ustione era così profonda che ha cancellato una parte dei tatuaggi che ha sulla schiena… Proprio il pezzo che serve a noi”.

Lo guardo senza capire e così Fernando mi racconta che i tatuaggi di Scofield non sono un semplice sfizio.

Ogni singolo disegno equivale ad una parte del suo piano di evasione e del piano di riserva.

Cazzo.

La mente di questo ragazzo è così stupenda che può essere paragonata solo al suo viso o al suo culo.

“Quindi mi stai dicendo che nella pelle bruciata c’era il percorso che noi dobbiamo fare per raggiungere il reparto psichiatrico? E questo cosa c’entra con il fatto che il tuo Papi è stato rinchiuso in una cella d’isolamento?”

“Quando è andato in infermeria per essere curato, la dottoressa Tancredi ha trovato dei piccoli pezzi di stoffa che appartenevano alla divisa”.

Sto per lasciarmi scappare un’imprecazione quando al nostro tavolo si aggiungono anche Westmoreland e C-Note.

“Ragazzi, anche se siamo ancora una squadra io ho una reputazione da mantenere e questo tavolo sta diventando un po’ troppo scuro per i miei gusti”

“Abbiamo un problema” dice C-Note, ignorando le mie parole, ed io sbuffo spazientito.

“Perché ultimamente continuo a sentire sempre le stesse parole?”

“Scofield è stato trasferito nel reparto psichiatrico. Non sappiamo se è andato veramente fuori di testa o se è solo una recita, ma abbiamo sentito che Geary ha indetto un’asta per affittare la sua cella”

“Ma non può farlo!” protesta subito Sucre, con un’espressione offesa e sconcertata “quel figlio di puttana non lo può fare! Non è solo la cella di Michael, è anche la mia! Che cosa vuole fare? Sbattermi fuori?”

“Potrebbe essere stato Bellick ad ordinarglielo. Nessuno di noi è nelle sue grazie, soprattutto T-Bag”

“Magari lo ha fatto perché sospetta qualcosa” ribatto a denti stretti, allontano in modo brusco il vassoio perché ormai ho lo stomaco completamente chiuso; Benjamin sta per rispondere, ma qualcuno lo interrompe e ci voltiamo tutti a fissare l’intruso.

È Tweener.

“Ehi, ragazzi… Quel posto è libero? Posso unirmi a voi?” domanda, mostrandoci il vassoio che ha tra le mani.

Gli basta una mia occhiata per abbassare il viso ed allontanarsi per cercare un altro tavolo libero.

“Dobbiamo assicurarci che Sucre resti nella sua cella” riprende C-Note “ho già parlato con Geary e mi ha detto che qualcuno gli ha offerto cinquecento dollari. Quindi, se vogliamo evitare che il buco venga scoperto da un nuovo inquilino, dobbiamo dargli settecento dollari entro due ore”

“Ohh, capisco. Non mi sembra nulla di complicato. Settecento dollari sono semplici da rimediare in un carcere. Andrò a fare un po’ di marchette offrendo il mio culo” commento con una risata sarcastica, ritornando poi subito serio “come cazzo pensi di racimolare una cifra simile? Se qualcuno di voi nasconde un forziere pieno d’oro sotto la brandina è il momento di confessarlo”

“Anziché sprecare fiato inutilmente, potresti accendere il cervello per una volta ed aiutarci a trovare una soluzione al nostro problema, non credi?”.

Restiamo tutti in silenzio a pensare.

All’interno di un carcere si possono rimediare molte cose, perfino la droga, ma quando si tratta di denaro la faccenda è completamente diversa.

Ecco perché le persone che, come me, offrono protezione ai nuovi arrivati chiedono in cambio dei favori sessuali.

Perché questa è l’unica moneta che abbiamo a nostra disposizione.

“Forse un modo c’è. È pericoloso però è l’unico che abbiamo a nostra disposizione per guadagnare molto denaro in pochissimo tempo”  dico, parlando per primo, poi abbasso la voce in modo che solo gli altri della squadra possano sentirmi “c’è un gruppo di detenuti che si occupa della gestione della cucina di Fox River. Il Capo, Jesus, organizza spesso delle partite di poker. Non lo dico per vantarmi, ma ci sono forse altre cinque persone al mondo che fanno le magie che faccio io con le carte”

“Pensavo che il tuo unico hobby fosse molestare bambini” commenta C-Note, con un sorrisino compiaciuto sulle labbra; la mia pazienza è ormai al limite e così afferro la mia forchetta di plastica e gliela punto contro.

“Stai attento a quello che dici, o potresti ritrovarti senza più una bocca per mangiare banane”

“Volete smetterla? Siete due bambini. Vi sembra questo il momento di litigare e di scambiarvi battutine? Theodore, che cosa dobbiamo fare per entrare nel giro?” mi domanda Westmoreland, esponendo in modo involontario un altro problema per nulla irrilevante.

“Se vogliamo entrare dobbiamo versare una piccola quota di partecipazione. E comunque non possiamo entrare tutti. Gli altri sanno che, ormai, siamo un ‘piccolo gruppo di amici’ e la cosa potrebbe apparire sospettosa. Jesus e gli altri potrebbero fiutare la fregature ed a quel punto per noi sarebbe la fine. Allora… Qualcuno di voi ha un oggetto di valore? Un qualunque oggetto di valore”

“Non guardate me” risponde subito Sucre, scuotendo la testa, la sua mano destra va automaticamente ad afferrare il rosario d’oro che porta sempre attorno al collo.

“Non accadrà nulla al tuo gingillo. Se vinceremo ci verrà restituito insieme a tutti i soldi”

“E se non vincerete? Non posso rischiare di perderlo”

“Prendete questo”.

Senza aggiungere un’altra parola Westmoreland ci mostra il suo orologio da taschino, prende una foto della figlia che custodisce al suo interno e lo getta sopra al tavolo; lo prendo in mano per osservarlo con più attenzione, per assicurarmi che non è un falso.

“Si” dico alla fine, posandolo di nuovo sulla superficie liscia “questo è perfetto. Chi si offre volontario insieme a me? dobbiamo essere in due. Farò in modo di dare io le carte, ma deve essere un’altra persona a vincere. Qualcuno di voi s’intende di poker?”

“Io” risponde Benjamin.

Sorriso, ed approfitto dell’occasione per restituirgli la frecciatina di poco prima.

“Credevo che il contrabbando fosse il tuo unico hobby” dico, passandomi la lingua sulle labbra “allora è deciso. Westmoreland cercherà di scoprire altro sull’asta della cella. Io e C-Note ci occuperemo di racimolare i soldi ma tu, Sucre, devi trovare un modo per chiudere il buco che c’è nella stanza delle guardie, dato che non lo dobbiamo più utilizzare. È meglio se lo fai il prima possibile, prima che lo scoprano, altrimenti siamo fottuti”.



 
Due ore più tardi io e C-Note torniamo nell’enorme stanza dove sono disposte tutte le celle del Braccio A.

Gli altri detenuti sono fuori dalle loro piccole abitazioni perché, oltre all’ora all’aria aperta quotidiana, abbiamo anche diritto ad un’altra piccola pausa per sgranchirci le gambe, sfortunatamente all’interno di Fox River.

“Allora?” ci domanda Westmoreland con uno sguardo che non riesce a celare del tutto l’ansia e la preoccupazione; attendo qualche secondo prima di mostrargli, con un sorriso soddisfatto, il rotolo consistente di banconote che occupa la mia mano destra.

“Settecento dollari, come promesso. E questo è il tuo orologio” rispondo, restituendogli l’oggetto a cui è particolarmente affezionato “siete tutti in debito con me dal momento che volevate farmi fuori dal gruppo”

“Non prenderti meriti che non hai, T-Bag. Se abbiamo vinto è stato solo per un colpo di fortuna: il nostro genio del poker è così bravo che una carta si è capovolta sul tavolo mentre le distribuiva e Jesus ha insistito per prendere un altro mazzo”

“Una piccola svista può capitare anche ai migliori, C-Note, non credi?”

“Smettetela, non è importante come siete riusciti a rimediare quel denaro. La cosa veramente importante è che abbiamo i soldi necessari per la cella di Michael e Sucre” interviene Charles, evitando l’ennesimo litigio.

C-Note concorda con lui silenziosamente, prende in mano il rotolo di bancone e poi si allontana per cercare Geary; ritorna da noi appena qualche minuto più tardi con il viso chino in avanti e le mani infilate nelle tasche dei pantaloni.

“Quel figlio di puttana si è preso gioco di noi. Ha detto che la cella andrà al primo offerente ed ha tenuto sia i soldi che l’orologio”

“Merda, merda, merda! Che figlio di puttana, cazzo!” esclamo, passandomi le mani tra i capelli.

I soldi vinti con la partita a poker erano davvero la nostra ultima possibilità.

“E adesso? Che cosa facciamo?” domanda Westmoreland dopo una lunga pausa.

“Non lo so” rispondo io, scuotendo la testa “che cosa facciamo? Aspettiamo che Scofield esca dal reparto psichiatrico e speriamo che accada prima che la cella venga assegnata ad un altro detenuto”.

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Capitolo 20
*** Tweener (Nicole) ***


Non ho intenzione di presentare le dimissioni, ma la mia situazione a Fox River diventa sempre più complicata: ho il terrore di fare un passo falso in qualunque momento o di pronunciare la parola sbagliata davanti a Bellick.

E poi c’è Karla, che può recarsi nell’ufficio di Pope in qualunque momento per raccontargli del bacio che c’è quasi stato tra me e Teddy.

Il flusso di pensieri che occupa la mia mente viene interrotto dall’arrivo di un detenuto che non ho mai visto prima e che suscita subito la mia curiosità: è giovane, molto giovane, deve avere diciannove o al massimo vent’anni e l’espressione di chi si trova nel posto sbagliato senza sapere esattamente come ci è finito.

Ha diversi lividi sul viso e le guardie che lo scortano mi confermato che, infatti, ha appena subito un pesante pestaggio da parte di un gruppo di altri detenuti.

Quando ci lasciano soli inizio a disinfettare i numerosi tagli che ha sulle guance e sulla fronte, ma poco dopo mi sorge spontanea una domanda da fargli, che non riesco a trattenere.

“Che cosa ci fa un ragazzo giovane come te in un posto come Fox River?”

“Mi sono fidato delle persone sbagliate e mi hanno rinchiuso a Fox River con l’accusa di furto aggravato. Devo scontare cinque anni… Non mi è andata così male. Devo solo resistere e quando uscirò di qui avrò venticinque anni ed una vita ancora davanti”.

La sua bocca pronuncia queste parola quasi con spavalderia, ma i suoi occhi azzurri raccontano una storia diversa e capisco subito che c’è qualcosa che non va, che c’è qualcuno che lo spaventa terribilmente; mi siedo a suo fianco e gli parlo con voce tranquilla, da amica.

“Se c’è qualche detenuto che t’importuna me lo puoi dire. Ho il compito di informare il direttore Pope di episodi simili in modo che lui possa prendere provvedimenti”

“Lo so, dottoressa, anche se sono da poco tempo in carcere ormai so benissimo come funziona. E proprio per questo motivo non posso fare nomi, altrimenti mi uccideranno”

“No, ti prometto che questo non accadrà se mi dici il nome della persona che rende la tua vita un inferno. Farò tutto il possibile perché il responsabile venga punito in modo severo e sono sicura che anche Pope condividerà il mio stesso pensiero”.

Il ragazzo chiude gli occhi, emette un profondo sospiro e poi confessa il nome del suo aguzzino.

“T-Bag. Non mi lascia stare dal giorno in cui sono arrivato”.

Sbatto le palpebre più volte per riprendermi dalla notizia, anche se non sono così sorpresa: una parte di me era già conscia del fatto che solo Teddy poteva essere responsabile di queste molestie.

“Che cosa ti fa?”

“Tutto. Qualunque cosa. Mi spinge, fa cadere a terra il mio vassoio quando siamo in mensa, mi abbassa i pantaloni, mi urla contro oscenità… Lo fa perché non ho voluto accettare la sua protezione ed io ho paura che un giorno potrebbe spingersi molto più in là… Non so se lei conosce i crimini che ha commesso, dottoressa, ma le posso assicurare che è una persona molto pericolosa e sono terrorizzato per la mia vita”

“Non ti preoccupare” ripeto ancora una volta e gli stringo la mano destra per infondergli coraggio “ti prometto che non accadrà nulla, ci penserò io”.

Non sono intenzionata ad andare nell’ufficio di Pope, ma voglio parlare con T-Bag di questa faccenda per risolverla in modo privato; quando arriva nel mio Studio, gli basta una sola occhiata per capire che non si trova in una posizione piacevole.

“Sei arrabbiata con me?” mi domanda, con uno dei suoi sorrisi affascinanti, ma io non sono intenzionata a cedere e lo affronto con uno sguardo severo.

“Sai che cosa è successo questa mattina? Delle guardie hanno portato un ragazzo che necessitava di cure mediche perché qualcuno lo aveva picchiato in modo piuttosto violento. E sai che cosa mi ha confidato?”

“Come posso saperlo se ero dentro la mia cella?”

“Mi ha confidato che sei tu il responsabile di quei lividi e di quei tagli. E mi ha anche detto che ti comporti come un bullo nei suoi confronti dal primo giorno che si trova a Fox River”.

Lui mi osserva in silenzio e poi si limita a pronunciare un nome a denti stretti, sputandolo come veleno.

“Tweener”

“Vuoi spiegarmi questa storia, Teddy? E perché ti comporti in questo modo da quando ha rifiutato la tua protezione? In che cosa consiste esattamente questa protezione?”

“Avanti, Nicole, non puoi essere così ingenua. Nessuno ti ha mai raccontato che succede all’interno di un carcere?”

“No” rispondo con sincerità, perché per me la prigione è un mondo ancora complesso e sconosciuto.

Esattamente come Teddy.

“D’accordo, te lo spiegherò con parole semplici: io sono bisessuale. Offro la mia protezione ai nuovi arrivati in cambio di un prezzo. E dal momento che in prigione non circola molto denaro, la moneta da pagare è un’altra. Non sono l’unico che fa queste cose, ma sono il più disprezzato a Fox River a causa del mio passato burrascoso. Nicole, in un carcere maschile di massima sicurezza non circolano molte ragazze belle e giovani come te, di conseguenza bisogna accontentarsi. Il mio racconto ti ha sconvolta?”

“Non sono sconvolta per quello che hai detto, ma per come lo hai detto. Parli di queste cose tranquillamente”

“Perché è così che funziona dietro le sbarre. Prendere o lasciare. Tweener non si è limitato a rifiutarmi, mi ha chiamato ‘finocchio pervertito’ e ha minacciato di uccidermi se avessi provato ad avvicinarmi di nuovo a lui. Quelli così, i ragazzini che entrano qui con presunzione, devono essere messi in riga. Capisci? Qualcuno deve insegnare loro chi comanda davvero e quale è il loro posto. Che cosa gli hai detto?”

“Che ne avrei parlato con Pope”.

T-Bag scoppia a ridere ed io lo guardo confusa.

“Hai intenzione di tradirmi?”

“No, assolutamente no! Ma non potevo dire a quel ragazzo che ne avrei parlato con te dal momento che ci vediamo ogni giorno! Ti ringrazio per la fiducia che nutri nei miei confronti!”

“Ohh, scusami se non mi fido delle persone, ma l’ultima volta che l’ho fatto mi sono ritrovato dietro le sbarre della mia cella a Fox River” mi risponde con un sorriso tirato.

Le sue parole mi fanno male, perché credevo di essere diversa dalle altre persone ai suoi occhi; invece lui non si fida di me.

“Sono stata costretta a dirgli quelle parole”

“E non hai pensato per un solo istante che potesse essere una trappola?”

“Una trappola? Che genere di trappola?”

“Prova a pensare: Bellick ti minaccia e per puro caso arriva Tweener in infermeria che piagnucola come una femminuccia e mi accusa di averlo molestato. Non ti sembra una strana coincidenza?”

“Ti posso assicurare che il terrore nella sua voce e nei suoi occhi era reale. Forse Bellick sarebbe capace di fare una cosa simile, ma dubito che il suo complice possa essere quel povero ragazzo. Quindi, Teddy, è meglio se la smetti d’importunarlo se vuoi continuare a venire in infermeria a trovarmi”

“Mi stai minacciando?” mi domanda subito, irrigidendo i muscoli della schiena.

“No, non ti voglio minacciare, ma voglio che lasci stare quel ragazzo! È solo una vittima”

“D’accordo, Nicole, come desideri” risponde semplicemente, prima dell’arrivo delle guardie, eppure c’è qualcosa nel suo sorriso e nella sua espressione che mi provoca un brivido lungo la spina dorsale.
 

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Capitolo 21
*** Bad Day (T-Bag) ***


Una giornata, all’interno di un carcere, può essere di tre tipi: buona, brutta o da dimenticare.

Tutto dipende da come un detenuto si pone nei confronti degli altri.

Tweener non lo sa, ma sta per trascorrere una giornata decisamente da dimenticare.

L’osservo in silenzio dalla mia tribuna, senza mai staccare gli occhi dalla sua figura, sorrido quando lo vedo avvicinarsi alla recinzione e scambiare qualche parola proprio con Bellick; solo quando si allontana in direzione del campo da basket mi alzo e lo raggiungo velocemente.

“Vieni, bellezza, noi due dobbiamo parlare” gli sussurro ad un orecchio, passandogli il braccio sinistro attorno alle spalle; lo conduco in una parte isolata del cortile e lo colpisco con un pugno allo stomaco “nessuno ti ha mai detto che non bisogna intromettersi negli affari delle altre persone?”.

Lui si piega in avanti, cade sulle ginocchia ed il pallone da basket gli scivola dalle mani; quando solleva gli occhi per guardarmi è terrorizzato, eppure trova ugualmente l’arroganza di fronteggiarmi.

“Ti conviene lasciarmi andare prima che qualcuno di molto potente venga a sapere quello che stai per fare”

“Ti riferisci a Bellick? Che curiosa coincidenza! È proprio di lui che dobbiamo parlare” dico con un sorriso, mi appoggio alla parete alle mie spalle e continuo il mio discorso “ho notato che hai iniziato a frequentare molto spesso l’infermeria e…”

“Forse vado spesso in infermeria perché qualcuno continua a picchiarmi da quando Scofield è stato trasferito nel reparto psichiatrico”.

Lascio a Tweener il tempo di finire la frase e poi gli sferro un secondo pugno, questa volta al naso.

Ho sempre odiato le persone che m’interrompono mentre sto parlando.

“Ho notato che hai iniziato a frequentare spesso l’infermeria durante il turno della dottoressa Baker. È una cosa normale dal momento che sei solo un ragazzo e lei ha appena qualche anno in più di te ed è molto, molto, molto carina. Però io sono a conoscenza di un altro particolare non indifferente: la stessa dottoressa mi ha confidato che Bellick ha il sospetto che ci sia qualcosa di tenero tra me e lei, ed è arrivato a minacciarla, dicendole che avrebbe fatto qualunque cosa per scoprire la verità. Sai che cosa penso? Penso che in cambio di qualche favore ti abbia ordinato di dirle che io ti stuzzico per vedere che cosa avrebbe fatto. Ho indovinato?”

“Tu sei pazzo, T-Bag” si limita a borbottare lui; si alza, prova ad allontanarsi, ma io lo spingo nuovamente a terra e gli faccio vedere il punteruolo che sono riuscito a procurarmi dopo aver smarrito il precedente.

“Sarò anche pazzo, ma non sono uno stupido. Ho quarantasei anni e non sarà un ragazzino di venti a fregarmi. Avanti, hai un’altra possibilità per parlare e se la sprechi di nuovo ti apro come uno scoiattolo”

“D’accordo… D’accordo… Si, è stato Bellick ad ordinarmi di dire quelle cose, ma non so il perché. Io mi sono limitato ad obbedire”.

L’osservo in silenzio per qualche secondo e poi ripongo il punteruolo in una tasca dei pantaloni.

“Ti credo” gli dico “ma devi andare da quel grasso maiale a dirgli che non hai scoperto nulla. Che non hai avuto le palle. Non m’interessa se poco fa gli hai detto tutto, devi ritirare ogni cosa”

“Non posso farlo!” protesta subito Tweener, spalancando gli occhi azzurri “mi ha minacciato! Se non faccio quello che ordina, Bellick mi metterà in cella con Avocado!”.

Avocado è un altro detenuto con cui condivido gli stessi gusti sessuali, ma la sua presenza è molto meno piacevole della mia.

Anzi, è praticamente disgustosa dal momento che può essere paragonato ad un enorme scimmione peloso.

Infilo la mano sinistra nella corrispettiva tasca dei pantaloni e rovescio la stoffa bianca, mostrandola a Tweener.

“Allora accetta la mia protezione”

“No”

“Perfetto. Goditi il tuo nuovo compagno di cella”.

Ripongo la stoffa all’interno della tasca e mi allontano, ma David mi raggiunge, mi blocca la strada e mi rivolge uno sguardo supplicante: la sua paura per Avocado supera il disprezzo che prova nei miei confronti.

“Ti prego, T-Bag, non possiamo trovare un accordo?”

“Un accordo? Io faccio accordi solo con persone che possono offrirmi qualcosa in cambio. Tutto quello che posso volere da te, Tweener, è il tuo culo. E dal momento che tu non vuoi adattarti alla vita in carcere, non troveremo mai un punto in comune. Ti conviene andare da Bellick e ritirare tutto quello che hai detto, perché la minaccia di poco prima è ancora valida” rispondo con un sorriso; lo spingo con violenza ancora una volta e poi torno alla mia tribuna.



 
Qualche ora più tardi, durante la nostra seconda ‘pausa’, Sucre entra nella mia cella con un’espressione agitata, proprio mentre sto cercando di riposare per qualche minuto.

“T-Bag, T-Bag, ho bisogno del tuo aiuto!” sussurra, inginocchiandosi davanti alla mia brandina, perché non vuole essere sentito dagli altri detenuti o da qualcuno dei secondini.

Mi spiega velocemente che sa come arrivare nella stanza delle guardie, tramite il passaggio nella sua cella, e che sa come chiudere il buco, ma ha bisogno di un diversivo che solo io posso procurargli.

“E in che cosa consiste questo diversivo?” domando, sospettoso.

Sucre mi trascina fuori dalla cella, e con un cenno della testa mi indica la creatura indefinita che qualche giorno prima abbiamo avvistato in mensa: si tratta di un uomo al di sopra dei cinquant’anni, con il volto pesantemente truccato e con un comportamento piuttosto lascivo.

Sicuramente lo hanno rinchiuso qui dentro perché sorpreso a battere sui marciapiedi.

“Se voglio chiudere quel buco devo farlo di notte, e quando uscirò dal capanno le guardie sulle torrette mi scoprano subito. Mi devono trovare con della biancheria intima femminile, magari delle mutandine, così potrò dire che mi sono nascosto in cortile perché la mia ragazza voleva farmi avere un piccolo regalo da parte sua”

“E per puro caso quell’essere indossa un paio di mutandine femminili fin troppo visibili… Scordatelo, Fernando. Te l’ho detto: anche io ho dei limiti che non ci tengo a superare”

“Per favore, Theodore! Ti prego, ti prego, ti prego!”.

Sucre inizia a supplicarmi con insistenza ed alla fine sono costretto a cedere alla sua richiesta.

“D’accordo, ma non lo faccio per te. Lo faccio per il piano, perché senza il mio aiuto non andreste da nessuna parte”

“Grazie, T-Bag, sono in debito con te”.

Mi passo le mani nei capelli, prendo un profondo respiro e poi mi avvicino al mio obiettivo, lottando contro la nausea che continua a salire dallo stomaco.

Afferro l’elastico degli slip rosa e lo tiro scherzosamente.

“Ehi…” sussurro, dopo aver attirato la sua attenzione “nessuno ti ha mai detto che sei proprio una bambina cattiva?”.



 
Torno da Fernando dopo una decina di minuti, e gli premo contro il petto la biancheria intima di cui ha tanto bisogno.

“Grazie, T-Bag, mi hai salvato la vita!”

“No, non ringraziarmi. Ricordati che sei pesantemente in debito con me e che l’ho fatto solo per l’evasione. Nessuno lo dovrà mai venire a sapere” gli rispondo a denti stretti, prima di sdraiarmi nuovamente sulla mia brandina.
 

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Capitolo 22
*** Sometimes They Come Back (T-Bag) ***


Tre giorni più tardi, durante la nostra ora all’aria aperta, Michael Scofield rientra ufficialmente nel nostro gruppo.

Tutti lo salutano e lui ricambia calorosamente; resto piuttosto sorpreso quando mi abbraccia, dal momento che i nostri rapporti sono sempre stati tesi.

“Sucre mi ha raccontato quello che hai fatto” mi sussurra ad un orecchio “tranquillo, nessun altro lo saprà. Il tuo sacrificio resterà il nostro piccolo segreto”

“Il tuo soggiorno nel reparto psichiatrico ha portato a dei risultati soddisfacenti?” domando, per spostare l’attenzione generale ad un altro argomento piuttosto delicato.

“Si, avevo bisogno di tempo per ricordare come è fatta la planimetria della prigione. Ed anche se il mio tatuaggio è rovinato, abbiamo questi a nostra disposizione” risponde Scofield, mostrando a tutti noi alcuni fogli su cui è disegnato un labirinto di tubi “e per quanto riguarda la faccenda di Geary è tutto sistemato. La cella appartiene ancora a me ed a Sucre. Ho detto al direttore che è stato lui a provocarmi l’ustione, in modo da dare una spiegazione soddisfacente ai pezzi di stoffa che hanno trovato. Purtroppo non ho potuto fare nulla per i soldi che avete perso”.

 “Dunque…” intervengo una seconda volta “ora siamo pronti ad andarcene da questo posto?”

“Si, Theodore, tra due giorni ce ne andremo da questo posto. E questa volta nulla andrà storto”.

Sorriso soddisfatto perché queste sono proprio le parole che aspettavo di sentire; mi giro verso la recinzione e noto un autobus parcheggiato: nell’euforia generale ho completamente dimenticato l’arrivo settimanale delle nuove matricole.

Mi distacco dal gruppo per poter osservare meglio la carne fresca, ma dopo qualche passo mi blocco, lasciandomi scappare un gemito dalle labbra.

Il primo detenuto ad uscire dal mezzo di trasporto non è un ragazzino impaurito, ma bensì un uomo alto e robusto; anche se ha i capelli molto più corti dell’ultima volta in cui l’ho visto, lo riconosco subito.

È Abruzzi.

Cazzo.

Sono fottuto.



 
Ho ancora la guancia sinistra ricoperta di schiuma da barba quando sento una voce alle mie spalle.

“Durante il mio ricovero in ospedale ho pensato molto a quello che è successo all’interno del capanno” dice Abruzzi, entrando nella mia cella “ma ho pensato anche al fatto che il Signore ha salvato la mia vita”.

Lo guardo senza capire, corrucciando le sopracciglia, forse il taglio alla gola od il rimorso per aver ucciso mio cugino e mio nipote lo hanno fatto andare completamente fuori di testa; allunga la mano destra ed ancora non riesco a capire che cosa vuole da me.

“Che significa?”

“Ti sto offrendo la mia mano, Theodore, noi due abbiamo iniziato nel modo sbagliato, ma non è ancora troppo tardi per ricominciare. Come ti ho già detto, ho pensato molto durante il mio ricovero in ospedale. Entrambi vogliamo uscire da questo posto per sempre, entrambi abbiamo i nostri validi motivi… Perché, allora, ostacolarci a vicenda?”

“Mostrami l’altra mano” rispondo, stringendo la presa attorno alla lametta che uso per radermi.

“Non offendere la mia intelligenza. Questa è un’offerta di pace, non colpirei mai un uomo a tradimento”.

Esito per qualche istante e poi allungo a mia volta la mano destra, stringendo con forza la sua.

John sembra soddisfatto perché, dopo aver mollato la presa, esce dalla mia cella senza aggiungere un’altra parola.

Io, però, non sono uno stupido.

L’ho detto anche a Nicole: non mi fido delle persone.

Così, la sera seguente, prendo il mio punteruolo e mi dirigo verso la cella di John; ma C-Note intuisce qualcosa e mi blocca a metà corridoio, appoggiandomi una mano sul petto.

“Togli subito quella lurida zampa da scimmia dal mio petto, Benjamin”

“Che cazzo stai facendo?”

“Ho dei conti in sospeso con Abruzzi”

“Hai la coscienza sporca per qualcosa che hai fatto, T-Bag?” mi domanda lui, facendomi capire che mi ritiene responsabile dell’incidente avvenuto all’interno del capanno; mi libero dalla sua presa e lo guardo con disgusto.

“D’accordo, John serve al gruppo perché è l’unico che ci può procurare un aereo per scappare in Messico, ma tu credi davvero che darà un passaggio a tutti? Sai come andrà? Sai cosa fanno gli uomini come lui? Quando arriveremo alla pista d’atterraggio, ucciderà tutti noi e garantirà un passaggio solo a Michael ed a Lincoln, perché ha un accordo con loro. Come puoi essere così stupido da fidarti?”

“Forse hai ragione o forse hai torto, T-Bag. Non posso saperlo, non sono dotato del dono della preveggenza. Quello che so è che in questo momento abbiamo bisogno di Abruzzi nella squadra, e se non mi dai subito quel punteruolo mi costringerai ad usare le cattive maniere”.

Osservo C-Note in silenzio, scoppio a ridere e gli porgo volontariamente la mia arma bianca.

“Lo faccio solo perché voglio andarmene” gli sussurro sorridendo e mostrando i denti “ma ricorda che ti sei messo contro la persona sbagliata, C-Note. Non sarà un punteruolo ad impedirmi di uccidere qualcuno se voglio farlo. So togliere la vita in molti modi diversi, anche senza avere una pistola o un coltello. Non dimenticarlo mai”.
 

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Capitolo 23
*** Your Biggest Mistake (Nicole) ***


È strano, ma da quando c’è Teddy nella mia vita non sento più la necessità di recarmi regolarmente dalla psicologa.

Non so se è la scelta migliore, ma quando vado da lei per l’incontro settimanale, le comunico che voglio interrompere le nostre sedute.

“Lei non c’entra con questa decisione, dottoressa Roan” dico, tormentandomi l’unghia del pollice sinistro “apprezzo tutto quello che ha fatto per me, ma credo di essere arrivata ad un punto in cui non ho più bisogno di parlare con un esperto dei miei problemi. Credo di… Credo di essere riuscita a sistemare ogni cosa”.

Megan chiude il taccuino che ha in mano e mi guarda con un’espressione preoccupata, quasi materna, prima di parlare.

“Nicole, non penso che questa sia la scelta migliore per te. Anzi. Penso che questo potrebbe essere il tuo peggior errore. No, non te lo dico per non perdere una cliente, ma perché non c’è stato un solo progresso che abbiamo fatto in questi mesi. Non ti sei mai aperta veramente con me, non hai mai provato ad affrontare il tuo passato e scommetto che gli attacchi di panico non sono diminuiti. La musica non può essere una soluzione. È un mezzo per renderli più sopportabili, ma non puoi continuare a scappare per tutta la vita. Se adesso ti alzi ed esci da quella porta, non tornerai mai più indietro. Non te lo sto dicendo da dottore a paziente, ma da madre a figlia”

“Lei parla in questo modo perché non sa quello che ho passato”

“Forse questa è l’occasione giusta per parlarmene, non credi?”.

Non rispondo, mi limito a scuotere la testa ed esco dallo Studio sbattendo con forza la porta.

Forse sono solo una vigliacca che non ha il coraggio di affrontare il passato per concentrarsi sul futuro, ma la dottoressa Roan non sa che cosa ho vissuto, non lo ha provato sulla propria pelle.

Per questo motivo non può capire.



 
A Fox River c’è un’aria piuttosto tesa, me ne accorgo nello stesso istante in cui varco la porta dell’infermeria.

“Bellick è scomparso” mi avvisa subito Karla “non si è presentato ad inizio turno”

“È scomparso o sta male?”

“Non lo sa nessuno, ma è strano. Ho sentito Geary dire che in trent’anni non ha mai saltato un solo giorno di lavoro, anche quando era malato”

“Forse ha l’influenza e non riesce ad alzarsi dal letto per fare una telefonata. Perché siete così preoccupati? Si tratta sicuramente di una sciocchezza” rispondo scrollando le spalle; Karla fa lo stesso, ma l’occhiata che mi rivolge prima di allontanarsi non mi piace.

Forse pensa che dietro la scomparsa di Bellick ci sia Teddy, forse pensa che io sappia qualcosa; ma la realtà è un’altra: sono all’oscuro di tutto, esattamente come loro.

Cerco Adam per scoprire se è a conoscenza di qualche particolare in più, ma anche per lui è un mistero.

“So che il direttore Pope ha chiamato la madre di Brad”

“E lei cosa ha detto?”

“Non lo so” si limita a rispondere Adam, scuotendo la testa; si toglie il berretto d’ordinanza e passa la mano destra tra i capelli neri e lunghi “ma sono sicuro che non c’è nulla di cui preoccuparsi. Mi auguro solo che non abbia avuto un malore mentre stava venendo a Fox River… Nicole… Ascolta… Vorrei parlarti di una cosa…”

“Si?” domando, sentendomi improvvisamente nervosa.

Esita per qualche istante, ma poi trova il coraggio per invitarmi fuori a cena.

“Mi domandavo… Mi domandavo se avessi impegni per questa sera, perché hanno aperto un nuovo ristorante in centro… Sembra molto carino, ma non avrebbe senso andarci da solo…”.

Spalanco gli occhi e lo guardo in silenzio, bloccata, senza essere in grado di deglutire a causa della gola secca.

Non sento nulla per Adam, non voglio illuderlo, ma so che molte persone all’interno di Fox River bisbigliano sul rapporto che lega me e Teddy, e non voglio che queste voci arrivino fino alle orecchie del direttore Pope; mi sforzo di sorridere allegramente e di essere sorpresa e lusingata.

“Non mi aspettavo una domanda simile. Si, questa sera sono completamente libera e mi farebbe piacere provare questo nuovo ristorante insieme a te”.

Anche lui spalanca gli occhi e sorride, felice come un bambino, ed io sento già un peso sullo stomaco perché lo sto ingannando.

“Allora… Perfetto. Vengo a prenderti alle nove e mezza, se mi lasci il tuo indirizzo”.

Strappo un foglietto dal blocco per appunti che ho in mano, e lo scrivo velocemente prima di consegnarglielo; quando torno in infermeria la strana scomparsa di Bellick passa in secondo piano per me.

Come reagirà Teddy quando saprà dell’appuntamento che ho con Adam?

So che non posso tenerglielo nascosto per molto tempo, ma quando entra nel mio Studio sposto l’attenzione ad un altro argomento.

“Sono tutti agitati perché Bellick non si è presentato a lavoro questa mattina. Tu sai qualcosa di questa faccenda?”

“Io sono un detenuto, Nicole, mentre lui è un uomo libero. Come posso far scomparire un uomo libero dall’interno della mia cella? È una cosa impossibile” risponde T-Bag con un sorriso, senza la minima esitazione, eppure nei suoi occhi leggo una storia completamente diversa; non posso fare altre domande, però, perché aggiunge una frase che mi lascia senza fiato “questa notte evadiamo”

“Cosa…”

“Scofield aveva un piano di riserva e questa notte lo metteremo in atto. Domani sarò un uomo libero, questa volta non sono parole al vento”

“E dove andrai? Voglio dire… Una volta fuori le mura…” balbetto, quando riesco a ritrovare le parole “Michael ha progettato anche quello?”

“Lui ed il fratello si sono accordati con Abruzzi per avere un passaggio in aereo, ma ho il sospetto che lo stesso non valga anche per il resto della squadra. Soprattutto per me, dal momento che io e John abbiamo sempre avuto diversi contrasti. Non ti preoccupare, Nicole, troverò un posto sicuro dove nascondermi, e appena le acque si saranno calmate, verrò a cercarti e ce ne andremo dall’Illinois”

“Ma, Teddy, se riuscirete a scappare sarà un’enorme bufera mediatica! Le luci non si spegneranno fino a quando tutti voi sarete di nuovo all’interno di Fox River o di un altro penitenziario! E se ti catturano in un altro Stato? E se ti uccidono? E se ti condannano alla pena capitale? Non hai pensato a queste opzioni?”

“Ci penserò quando arriverà il momento, adesso m’importa solo di evadere”

“C’è una cosa che devi sapere e riguarda proprio questa sera” dico prima che possa aggiungere altro, prendendo posto a suo fianco, come ormai faccio sempre durante i nostri brevi incontri; non posso avere segreti con lui se voglio riuscire a conquistare la sua fiducia “gran parte dello staff ha dei sospetti su noi due. Nessuno mi ha mai chiesto qualcosa, ma so quello che pensano e so anche quello che bisbigliano alle mie spalle. Karla, poi, ha anche visto il nostro bacio mancato. La colpa non è tua, è solo mia. Non sono stata abbastanza attenta e furba da tenere nascosta ogni cosa… Non potevo immaginare che proprio questa sera ci sarebbe stata la vostra evasione e quindi… E quindi ho accettato l’invito a cena di una guardia”.

T-Bag non dice nulla dopo aver ascoltato le mie parole, così mi affretto a spiegargli che Adam non suscita nulla in me e che lo uso semplicemente come copertura.

“Detesto quando le altre persone toccano qualcosa che mi appartiene, ma non potevi fare altro. Non sono arrabbiato con te, Nicole, ma devi promettermi che non ci sarà nessun dopocena o la situazione potrebbe cambiare drasticamente” mormora, allora, mordendosi appena la punta della lingua.

“Te lo prometto, Teddy. Credo che… Credo che per tutta la cena continuerò a pensare a te” sussurro a mia volta, lasciandomi scappare un sospiro.

So che cosa sta per accadere: ormai siamo all’interno del mio Studio da troppo tempo, e T-Bag deve tornare nella sua cella prima che qualcuno possa entrare e scoprirci seduti l’uno affianco all’altra sul lettino, ma allo stesso tempo non voglio lasciarlo andare senza ricevere qualcosa.

Non adesso che rischio di perderlo per sempre.

“Nicole”

“Si?” sollevo il viso, con uno sguardo ansioso, nello stesso istante in cui il mio nome esce dalla sua bocca; mi guarda e si morde nuovamente la punta della lingua.

“Ricordi quando ti ho detto che volevo darti il mio primo bacio da uomo libero?”

“Si”

“Dato che mi aspetta una notte molto impegnativa, credo sia meglio riscuoterlo ora”.

Appoggia la mano destra sulla mia nuca e mi attira a sé dolcemente, senza essere possessivo o violento; le nostre labbra finalmente s’incontrano, e questa volta nessuno entra nel mio Studio.

Non ho mai baciato un uomo e proprio per questo motivo sussulto quando sento la sua lingua che vuole farsi strada nella mia bocca; esito per qualche secondo, ma poi mi lascio andare, e tutto attorno a me scompare, ad eccezione di Teddy.
 

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Capitolo 24
*** Freedom; Prima Parte (T-Bag) ***


La tensione gioca brutti scherzi a chiunque, anche ai soggetti più forti, soprattutto quando sei in procinto di evadere da un carcere di massima sicurezza.

Scoppio a ridere improvvisamente e gli altri del gruppo si voltano a fissarmi.

“Che cosa c’è di così divertente?” mi domanda C-Note, in un tono tutt’altro che amichevole, ancora offeso perché qualche giorno prima ho paragonato la sua mano alla zampa di una scimmia.

“Quello” rispondo, indicando una guardia con un grosso cane lupo a guinzaglio “il magnifico piano del nostro Michelangelo ha una piccola crepa. Come facciamo con i cani? Se sentono il nostro odore non riusciremo ad andare molto lontano”

“Semplice. Togliamo il nostro odore dalle nostre celle. Usate quello che volete, ma cercate di farlo entro domani sera”

“Forse domani sera è troppo tardi” interviene Westmoreland, unendosi al nostro gruppo.

Qualcosa non va, me ne accorgo subito, perché ha una mano appoggiata al fianco sinistro ed il volto pallido, quasi cereo.

“Perché?”

“C’è stato un piccolo problema: Bellick ha scoperto il buco nella stanza delle guardie”

“Impossibile! L’ho ricoperto io, ho seguito tutte le istruzioni di Michael!” dice Sucre, sbalordito.

“Qualcuno ha fatto la spia” commenta, allora, Abruzzi.

“Non ha senso” rispondo io, appoggiandomi alla recinzione “tutti noi abbiamo solo da guadagnare con questa evasione… Perché qualcuno avrebbe dovuto spifferare ogni cosa a Bellick? Lui ha sempre sospettato che ci fosse qualcosa dentro la stanza delle guardie, ha semplicemente avuto fortuna”

“Dove si trova adesso?” domanda Scofield, con una punta di agitazione nella voce.

“Dentro al buco. Legato ed imbavagliato. L’ho colpito alla testa, quindi non dovrebbe risvegliarsi prima di un paio di ore”

“E se qualcuno vede la sua macchina nel parcheggio?”

“E se riesce a liberarsi dalle corde?”.

Il panico dilaga in pochi istanti e le domande si susseguono rapidamente, accavallandosi l’una con l’altra; io non pronuncio una sola parola, ma stringo con più forza gli anelli di metallo della recinzione, perché so di essere ad un solo passo da crollare a terra, e non voglio che gli altri mi vedano ancora piangere e tremare.

“Non accadrà nulla di tutto questo!” esclama Scofield, ponendo fine alla lunga serie di quesiti “scapperemo. E lo faremo questa sera alle nove, quando le porte delle celle scatteranno”

“E pensi che gli altri detenuti non vedranno noi sei che c’infiliamo dentro un buco nella tua cella? E tuo fratello? Hai dimenticato che si trova ancora in isolamento?” gli chiedo, scoppiando a ridere una seconda volta; Michael mi guarda e risponde senza la minima esitazione.

“Te l’ho già detto una volta, T-Bag: non preoccuparti di queste cose, limitati a fare la tua parte e non commettere sciocchezze, perché anche il più piccolo passo falso potrebbe compromettere l’intero piano. Se i tuoi nervi non sono abbastanza saldi per affrontare un’evasione e vuoi chiamarti fuori, questo è il momento di dirlo. E lo stesso vale per tutti voi. Questa è l’ultima occasione per ripensarci, poi non si potrà più tornare indietro”.



 
In mensa ognuno di noi pranza nella più totale solitudine, senza occupare lo stesso tavolo: abbiamo molto a cui pensare e dobbiamo trovare la giusta concentrazione per quello che dobbiamo affrontare tra poche ore.

Qualcosa cade sopra le mie gambe: abbasso lo sguardo e mi rendo conto che si tratta di un piccolo pacchetto marrone che Abruzzi ha appena lanciato; proprio a lui rivolgo uno sguardo perplesso.

“John… Pensavo avessimo già fatto pace… Non era necessario farmi un regalo. Aspetta… Non dirmi che ti stai dichiarando?”

“È più forte di te sparare cazzate ogni volta che apri la bocca, Theodore? Non è un regalo e non è da parte mia. Te lo mandano Michael e C-Note, sto distribuendo pacchetti come questo anche agli altri della squadra”

“E cosa contiene?”

“Una tuta da lavoro ed un sacchetto di plastica pieno di candeggina. La tuta l’ha procurata Scofield, mentre Franklin ha pensato alla candeggina. Dal momento che dobbiamo introdurci nel reparto psichiatrico per arrivare in infermeria, dobbiamo confonderci tra i pazienti. Loro indossano sempre una tuta completamente bianca”

“Mi stai dicendo che devo trascorrere l’intero pomeriggio a scolorire un indumento?”

“Si, T-Bag, se vuoi evadere devi fare la bella lavanderina. La tuta deve essere perfettamente bianca ed asciutta per questa sera” mi ordina Abruzzi, categorico, appoggia una mano sulla mia spalla destra e poi si allontana per dare a Westmoreland le stesse istruzioni; nascondo il pacchetto sotto la maglietta che indosso e finisco di mangiare la brodaglia all’interno del mio piatto.

Quando mi alzo per riporre il vassoio, lancio per puro caso un’occhiata ad un altro detenuto, seduto davanti ad un tavolo poco lontano, mi avvicino ed indico la ciotola di cavoletti di Bruxelles ancora intatti.

“Marcus… Posso?”

“Prendili pure, ma hanno lo stesso odore di una carcassa in putrefazione”

“Proprio quello che cercavo” mi limito a rispondere con un sorriso; ne afferro una manciata, e li infilo in una tasca dei pantaloni prima di allontanarmi.



 
Nello stesso momento in cui le porte scorrevoli delle celle si chiudono, appendo un asciugamano bianco davanti le sbarre, tiro fuori i cavoletti e li nascondo all’interno del materasso.

Mi siedo sul pavimento ed apro il pacchetto che Abruzzi mi ha consegnato: dentro, effettivamente, ci sono una tuta blu ed un sacchetto che contiene un liquido trasparente, simile all’acqua.

Il lavandino non è abbastanza profondo per un’operazione simile, così sono costretto ad usare la tazza del cesso: lascio cadere dentro l’indumento, rompo il sacchetto di plastica e svuoto tutta la candeggina, assicurandomi che neppure una goccia cada sul pavimento; un odore pungente mi aggredisce subito le narici, ma lo ignoro ed inizio a sfregare con forza la stoffa, in modo che il colore esca il più velocemente possibile.

Forse non sono il perfetto casalingo, ma so svolgere le faccende domestiche: quando ero solo un ragazzino dovevo occuparmi della pulizia della casa.

 Mia madre non poteva farlo a causa della malattia mentale, mentre l’uomo che ha contribuito alla mia nascita era sempre troppo impegnato a bere.

Non so per quanto tempo continuo a strofinare e sfregare la stoffa, ma quando finalmente sollevo la tuta da lavoro il colore non c’è più; la strizzo con cura per assicurarmi che non ci siano macchie, e poi la nascondo sotto la brandina.

Tolgo l’asciugamano, e lo utilizzo per pulirmi le mani e le braccia ancora intrisi dall’odore di candeggina.

Non posso andarmene da Fox River senza avvisare Nicole, e senza vederla un’ultima volta in caso qualcosa andasse storto nel piano, ma non posso neppure provocarmi qualche taglio perché C-Note ha ancora il mio punteruolo, e così sono costretto a dare una testata ad una parete: la vista mi si annebbia per qualche istante, sento qualcosa di caldo e viscoso scivolare lungo il lato sinistro del viso, e capisco di avere un taglio proprio sul sopracciglio.

Mi avvicino alle sbarre e urlo fino all’arrivo di un secondino.

“Lasciami indovinare…” dice lui, in tono strascicato “per qualche strana ragione quel taglio è apparso nel tuo sopracciglio sinistro e vuoi andare in infermeria per essere medicato?”

“Cavolo! Un secondino con un cervello ed il senso dell’umorismo? Credevo fosse solo una leggenda” commento con una bassa risata mentre la porta scorrevole si apre; lui non risponde, si limita ad afferrarmi per il braccio destro ed a trascinarmi lungo il corridoio, in direzione dell’infermeria.

Quando entro nello Studio di Nicole, mi basta un solo sguardo per capire che qualcosa la preoccupa.

“Sono tutti agitati perché Bellick non si è presentato a lavoro questa mattina. Tu sai qualcosa di questa faccenda?” mi domanda subito, senza un cenno di saluto o una parola dolce.

“Io sono un detenuto, Nicole, mentre lui è un uomo libero. Come posso far scomparire un uomo libero dall’interno della mia cella? È una cosa impossibile” rispondo, con un sorriso; non so se sospetta di me, ma non le lascio il tempo di dire altro “questa notte evadiamo”.

La sua espressione cambia radicalmente, ed inizia a balbettare, impallidendo.

“Cosa…”

“Scofield aveva un piano di riserva e questa notte lo metteremo in atto. Domani sarò un uomo libero, questa volta non sono parole al vento”

“E dove andrai? Voglio dire… Una volta fuori le mura… Michael ha progettato anche quello?”

“Lui ed il fratello si sono accordati con Abruzzi per avere un passaggio in aereo” le spiego “ma ho il sospetto che lo stesso non vale anche per il resto della squadra. Soprattutto per me, dal momento che io e John abbiamo sempre avuto diversi contrasti. Non ti preoccupare, Nicole, troverò un posto sicuro dove nascondermi e appena le acque si saranno calmate, verrò a cercarti e ce ne andremo dall’Illinois”

“Ma, Teddy, se riuscirete a scappare sarà un’enorme bufera mediatica! Le luci non si spegneranno fino a quando tutti voi sarete di nuovo all’interno di Fox River o di un altro penitenziario! E se ti catturano in un altro Stato? E se ti uccidono? E se ti condannano alla pena capitale? Non hai pensato a queste opzioni?”

“Ci penserò quando arriverà il momento, adesso m’importa solo di evadere”.

È tenero e quasi commovente vedere come Nicole si preoccupa per me: nessuno lo ha mai fatto prima, tranne Susan, almeno fino al giorno in cui ha scoperto chi sono e cosa ho fatto.

Con lei, invece, è completamente diverso perché è a conoscenza del mio passato.

“C’è una cosa che devi sapere e riguarda proprio questa sera” mormora poi, prendendo posto a mio fianco, sul lettino “gran parte dello staff ha dei sospetti su noi due. Nessuno mi ha mai chiesto qualcosa, ma so quello che pensano e so anche quello che bisbigliano alle mie spalle. Karla, poi, ha anche visto il nostro bacio mancato. La colpa non è tua, è solo mia. Non sono stata abbastanza attenta e furba da tenere nascosta ogni cosa… Non potevo immaginare che proprio questa sera ci sarebbe stata la vostra evasione e quindi… E quindi ho accettato l’invito a cena di una guardia”.

Pronuncia le ultime parole velocemente, quasi senza riprendere fiato, poi mi guarda in silenzio ed in attesa di una risposta o di una reazione da parte mia; stringo la mano sinistra attorno al bordo del lettino, e Nicole riprende a parlare, affrettandosi a dire che non prova nulla per il suo cavaliere galante.

Anche se non ha detto il suo nome, so che si tratta della stessa giovane guardia che mi ha portato il flacone con le finte pillole ed il bigliettino: solo una persona innamorata può rischiare tanto per un semplice favore.

“Detesto quando le altre persone toccano qualcosa che mi appartiene” rispondo alla fine, mordendomi la punta della lingua “ma non potevi fare altro. Non sono arrabbiato con te, Nicole, ma devi promettermi che non ci sarà nessun dopocena o la situazione potrebbe cambiare drasticamente”.

La minaccia non è rivolta a lei, ma non so se lo ha capito.

“Te lo prometto, Teddy. Credo che… Credo che per tutta la cena continuerò a pensare a te” sussurra, prima di sospirare.

So che per me è arrivato il momento di tornare in cella, ma non voglio andarmene.

Non  prima di avere ricevuto qualcosa che desidero da tempo.

“Nicole”

“Si?”.

La guardo in silenzio, e mi mordo di nuovo la punta della lingua.

“Ricordi quando ti ho detto che volevo darti il mio primo bacio da uomo libero?”

“Si”

“Dato che mi aspetta una notte molto impegnativa, credo sia meglio riscuoterlo ora” sussurro, con un sorriso appena accennato.

Non aspetto una sua risposta: appoggio la mano destra sulla sua nuca, l’attiro a me e la bacio, assaporando finalmente il gusto dolce delle sue labbra.

Mi muovo con delicatezza, senza essere troppo violento od invadente, perché ho la certezza che al primo scatto brusco o possessivo potrebbe tirarsi indietro, terrorizzata; scopro con piacere che lei ricambia in modo timido, come se fosse il suo primo bacio, e questo non fa altro che accrescere il mio desiderio.

Sono io il primo ad allontanarsi ed a porre fine al momento d’intimità; riprendo fiato e le sorrido ancora, ricevendo a mia volta un sorriso come risposta.

“Buona fortuna, Teddy” mormora muovendo appena le labbra, ancora umide; mi accarezza velocemente la guancia destra e poi fa entrare due guardie nel suo Studio.

Appena torno nella mia cella, mi lascio cadere sul materasso della brandina e mi passo la lingua prima sul labbro superiore e poi su quello inferiore, godendomi un’ultima volta il gusto della bocca di Nicole prima che sparisca del tutto.

Sono sicuro che anche il resto della squadra sta riflettendo su quello che li aspetta al di là delle mura di Fox River.

Sucre vuole ricongiungersi con la sua fidanzata per crescere insieme il figlio che sta aspettando.

Westmoreland vuole rivedere sua figlia un’ultima volta, prima che il cancro la divori completamente.

Abruzzi vuole uccidere Fibonacci, l’uomo che lo ha fatto rinchiudere qua dentro, prima di tornare dalla moglie e dai suoi due gemelli.

C-Note, a sua volta, vuole tornare dalla famiglia.

Scofield e Burrows vogliono raggiungere il Messico, ma sono sicuro che dietro c’è ben altro che hanno sempre evitato di raccontare nei minimi particolari.

Per quanto riguarda me, invece, ho dei conti in sospeso con Susan.



 
Le ore trascorrono con una lentezza quasi estenuante, e poco prima dell’inizio della nostra seconda pausa, arrivano due guardie che prelevano Scofield dalla sua cella, perché il direttore ha bisogno di parlargli con la massima urgenza.

Merda.

“Tic Toc, Scofield… Tic Toc…” gli sussurro quando passa davanti alle mie sbarre, per ricordargli che il momento dell’evasione si avvicina sempre di più; Michael non mi degna di una sola occhiata e l’espressione imperturbabile che ha in viso non cambia minimamente.

Circa dieci minuti più tardi, le porte scorrevoli si aprono automaticamente; indosso una felpa grigia perché in questi giorni il clima è piuttosto rigido, e sotto ad essa infilo la tuta bianca prima di raggiungere velocemente la cella di Scofield: Sucre, Abruzzi, C-Note e Westmoreland sono già arrivati.

“Ormai dovrebbe già essere qui…” mormora Sucre, visibilmente agitato, stringendo nella mano destra il rosario che ha sempre attorno al collo.

“È meglio che torni in fretta” dice a sua volta C-Note, muovendosi nervosamente “perché potremo avere un piccolo problema”.

Fa un cenno con la testa ed io rivolgo la mia attenzione all’altro lato del corridoio: l’ex gruppo di Benjamin ci sta osservando e non sembra avere buone intenzioni.

Hanno preso le distanze da lui nello stesso momento in cui lo hanno visto trascorrere sempre più tempo in compagnia mia e di Abruzzi.

Fortunatamente Michael fa ritorno dall’ufficio del direttore ed io non perdo tempo ad aggredirlo a parole.

“Si può sapere per quale motivo Pope aveva urgenza di vederti?”

“Diciamo che mi sono assicurato la presenza di Lincoln in infermeria” risponde con il suo solito sorrisetto indecifrabile “abbiamo un’ora a nostra disposizione. Dobbiamo sbrigarci”

“Io entro per primo” interviene Benjamin, ormai è così agitato che ha la fronte completamente imperlata di sudore “i miei ex compagni vogliono sistemare un paio di faccende con me, e sono sicuro che non saranno soddisfatti fino a quando vedranno il mio cadavere in una pozza di sangue. Entro io per primo nel buco”

“D’accordo” risponde Michael, senza opporre la minima resistenza.

C-Note entra nella cella e sposta il lavandino, mentre gli altri si posizionano in modo da coprire l’entrata, ed io fronteggio il gruppo.

“Spostati, T-Bag” mi ordina uno di loro “sappiamo che tu e gli altri del vostro gruppo state nascondendo Benjamin”

“Strano… Vedo la tua bocca muoversi ma sento solo versi animaleschi uscire” rispondo, con un’espressione confusa; vengo spostato bruscamente, ma quando entrano nella cella di Scofield e Sucre è ormai troppo tardi: il loro ex Capo è già dentro al buco ed il lavandino è di nuovo al suo posto.

Quando si allontanano, io e Michael sistemiamo con cura un asciugamano bianco davanti l’entrata della cella, spostiamo di nuovo il lavandino e Abruzzi, Sucre e Westmoreland s’infilano velocemente all’interno del tunnel.

Sto per fare lo stesso, quando l’asciugamano si solleva ed appaiono Tweener e quella palla di lardo di Manche, il cugino di Sucre.

“Anche loro sono nella squadra” dice Scofield, prima che io possa aprire bocca.

“E questo da quando?”

“Manche ha procurato le vostre tute e la divisa da guardia per me. E per quanto riguarda Tweener, ho un debito nei suoi confronti e sono intenzionato a rispettarlo. Vengono anche loro con noi”

“Bene” rispondo a denti stretti, per nulla entusiasta della novità, afferro David per la felpa e lo spingo verso il lavandino “tu entri prima di me, così posso assicurarmi che non giocherai qualche brutto scherzo”.

Aspetto che sparisca anche lui dall’altra parte del buco e poi, finalmente, arriva il mio turno di assaporare il primo passo verso la libertà.
 
 

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Capitolo 25
*** Freedom; Seconda Parte (T-Bag) ***


Appena arrivo dall’altra parte del buco, mi accorgo che il resto del gruppo indossa già la tuta bianca, e così faccio lo stesso mentre aspetto Scofield e Manche.

Quando tutti e nove ci troviamo all’interno del tunnel, sorge un nuovo problema: la tuta di David non è completamente bianca, bensì di un azzurro pallido, slavato.

“Razza di stupido ragazzino” lo ammonisco con uno sguardo furioso “se veniamo scoperti a causa tua, giuro che ti ammazzo con le mie stesse mani. Non sei nemmeno in grado di svolgere un compito così semplice”

“Ci ho provato! Ma più di così non sono riuscito a togliere il colore!” prova a giustificarsi; cerca con lo sguardo Michael per avere un supporto da parte sua, ma lui non risponde e ci ordina di restare in silenzio e di seguirlo, perché il conto alla rovescia è già partito ed un’ora può essere un lasso di tempo veramente breve per un gruppo di detenuti che sta cercando di evadere da un carcere di massima sicurezza.

“Fermi!” esclama Michael dopo diversi minuti “fermi! Zitti! Lo avete sentito anche voi?”.

Socchiudo gli occhi, e sento quello che sembra essere un gemito lontano e soffocato.

“Cazzo! Bellick!” dico, spalancando gli occhi “da dove provengono i lamenti?”

“Da questa parte… Almeno credo… Dobbiamo muoverci prima che qualcuno possa sentirlo”

“Lascia fare a me, Michelangelo” rispondo, superando lui e tutti gli altri; procedo lungo il condotto che si snoda a destra, ed arrivo appena in tempo per evitare che Bellick riveli la sua posizione: gli copro la bocca con la mano sinistra e con l’altra afferro un coltellino che porta appeso alla cintura “non provare a pronunciare una sola parola o ti taglio la gola come ad un maiale”

“Calmati, non saranno necessarie misure così drastiche” interviene Abruzzi, raggiungendomi insieme a Westmoreland e Sucre “lo porteremo con noi e lo lasceremo in un posto più sicuro, dove faticheranno a trovarlo, ma non possiamo ucciderlo”

“Eppure con un taglio alla gola sarebbe tutto più semplice”

“Vuoi davvero discutere di questa faccenda? Se non ci muoviamo a tornare dagli altri, se ne andranno senza di noi. Hai dimenticato che non abbiamo molto tempo a nostra disposizione?”.

Non rispondo, lascio la presa sul grasso maiale ed osservo in silenzio John e Sucre che gli legano nuovamente i polsi dietro la schiena, e gli coprono la bocca con un panno di stoffa; torniamo dagli altri e riprendiamo a percorrere diversi tunnel, fino a quando arriviamo sotto a quello che è un grosso tombino.

“Restate qua, io arrivo subito. Legate Brad ad uno di quei tubi ed assicuratevi che il nodo sia ben saldo” sussurra Scofield, prima di sparire nell’oscurità quasi totale; obbediamo ancora una volta al suo ordine e poi ci sediamo a gambe incrociate, in attesa del suo ritorno.

Lancio un’occhiata a Westmoreland, che si trova poco lontano da me: ha il respiro piuttosto affaticato e non so per quanto ancora potrà resistere; in verità non so neppure se riuscirà ad uscire da Fox River nelle condizioni in cui si trova ora.

Sento un basso singhiozzo provenire dalla mia destra e cerco Tweener con lo sguardo.

“Cerca di avere i nervi saldi. Te l’ho detto, se qualcosa va storto per colpa tua e torniamo dietro le sbarre, ti ammazzo con le mie stesse mani”.

La mia voce viene sovrastata dal suono di una sirena.

È scattato un allarme.

Nei nostri visi si dipinge la stessa espressione terrorizzata e tutti, probabilmente, facciamo lo stesso pensiero: Scofield è stato scoperto ed ha cantato come un canarino.

Invece, pochi istanti più tardi, il diretto interessato torna da noi, puntandoci contro il fascio di luce di una torcia.

“Sono riuscito ad azionare l’allarme antincendio del reparto psichiatrico. Dobbiamo aspettare che facciano evacuare l’intera struttura e poi possiamo uscire” c’informa, con lo sguardo rivolto verso il tombino.

Lo imitiamo e restiamo per lunghi minuti in silenzio, ad ascoltare il rumore di voci che gridano ordini ed il rumore di passi concitati; quando tutto si riduce ad un mormorio lontano usciamo dal nostro nascondiglio, ma prima rivolgo un largo sorriso a Bellick, che non può fare altro che assistere alla nostra fuga.

Michael ci guida in direzione del reparto psichiatrico, entra nell’ingresso principale e parla con un infermiere, dicendogli che siamo un piccolo gruppo di pazienti rimasto indietro.

Dal momento che in questo posto sono rinchiusi i matti, siamo costretti a comportarci di conseguenza, per non creare sospetti; abbasso lo sguardo ed inizio a mordere la manica destra della tuta, ed il resto della squadra compie gesti simili, passando velocemente davanti all’infermiere.

“Ehi!” esclama lui, all’improvviso, indicando Tweener “la sua tuta non è dello stesso colore delle altre. Non è uno dei pazienti”

“Hai ragione…” risponde Scofield, prima d’infilare l’ago di una siringa nel suo collo e premere fino in fondo lo stantuffo: l’uomo cade subito a terra, profondamente addormentato, a causa di un forte sonnifero e noi attraversiamo l’edificio quasi correndo, arrivando ben presto al corridoio che collega questa struttura a quella dell’infermeria.

Sucre controlla che sia completamente libero prima di farci cenno che possiamo percorrerlo.

Finalmente davanti a noi c’è la porta dell’infermeria.

È il nostro piccolo Michelangelo il primo ad aprirla, e scopriamo che dall’altra parte ci sono tre persone: Burrows, una guardia e la dottoressa Sara Tancredi.

“Vi prego” ci supplica l’uomo, alzando le braccia “il mio stipendio è così basso che non sono intenzionato ad ostacolare la vostra evasione!”.

Non ascolto le sue parole e lo colpisco con un pugno in volto; frugo all’interno delle sue tasche e quando trovo una piccola chiave, la passo a Scofield, in modo che liberi suo fratello dalle manette che lo tengono immobilizzato al lettino.

“Ammanetta la guardia” dice poi, passandomele, ed io lo faccio subito, ma quando mi accorgo che il secondino ha un altro paio di manette attaccate alla cintura, le sfilo e le nascondo dentro una tasca dei pantaloni, senza farmi vedere dagli altri.

Michael si avvicina a Sara, che per tutto il tempo è rimasta in silenzio, le blocca i polsi con una fascetta di plastica e le accarezza velocemente il viso, credendo di non essere visto.

Sapevo di non essere l’unico, ed ora ne ho avuto la prova.

Non solo tra Scofield e Sara c’è qualcosa che va oltre il semplice rapporto tra paziente e dottoressa, ma lui l’ha convinta a collaborare in silenzio con noi, sicuramente grazie alla promessa di un futuro insieme al di là delle mura di uno squallido penitenziario; esattamente come io ho fatto con Nicole.

Rivolgo la mia attenzione all’unica finestra presente nello Studio: al di là del vetro ci sono delle spesse sbarre metalliche.

“Non voglio rovinare questo bellissimo momento, ragazzi, ma abbiamo un altro piccolo problema, a meno che qualcuno di voi sia in grado di passare attraverso le sbarre. Come facciamo ad uscire? Hai pensato anche a questo?” domando a Michael, impaziente; lui non risponde, si limita ad aprire una vetrinetta ed a srotolare il tubo di una pompa che serve in caso d’incendio.

Ordina a Sucre ed a C-Note di prendere i materassi di due brandine, e di posizionarli sotto la finestra, mentre lui lega un’estremità alle sbarre di metallo e l’altra attorno alla maniglia che c’è all’interno dell’ascensore in corridoio; schiaccia un pulsante, esce dalla cabina ma l’ascensore, anziché partire, riapre le porte scorrevoli.

“Non è possibile!” esclama lui; tenta una seconda volta, ma ottiene lo stesso risultato.

Afferro il suo polso sinistro e do una rapida occhiata all’orologio che indossa.

“Quindici minuti, Michelangelo. Sono trascorsi già quindici minuti e noi siamo ancora all’interno di Fox River”

“Non capisco… Dovrebbe funzionare…”

“Lasciate fare a me!” esclama, allora, Tweener.

Entra nella cabina, stringe il tubo con la mano sinistra e con la destra preme il pulsante per la terza volta: finalmente l’ascensore si mette in funzione, e dopo qualche istante la pressione è così forte che le sbarre si staccano dalla finestra e cadono sui materassi, senza provocare il minimo rumore.

Dall’altra parte c’è un cavo piuttosto robusto che si collega ad un palo, molto probabilmente abilitato alle comunicazioni: attraversa tutto il cortile del Braccio A e passa vicino al muro da cui dobbiamo saltare.

La porta dello Studio si apre ed entra Tweener, con il fiato ansante.

“Chi è il primo a partire?”

“Lincoln. Ho organizzato tutto questo per lui, è giusto che passi per primo” risponde Michael, prima di dare una pinza al fratello maggiore “questa ti serve per tagliare il filo spinato, altrimenti non possiamo saltare”

“D’accordo” si limita a dire Burrows; stringe la pinza tra i denti, afferra il cavo con entrambe le mani e cerca di arrivare dall’altra parte il prima possibile, occupandosi del filo spinato prima di fare dei cenni a tutti noi.

“Adesso è il mio turno” si fa avanti Abruzzi, afferrando a sua volta il cavo.

“Ehi!” protesta subito C-Note “e questo chi l’ha deciso?”

“Io, dal momento che sono l’unico ad avere un mezzo di trasporto per la fuga in Messico… O te lo sei già dimenticato?”.

Benjamin non replica e nello stesso momento in cui John sparisce, la porta dell’infermeria si apre di nuovo ed appare un uomo che non ho mai visto prima: indossa una tuta completamente bianca, e questo significa che è un vero paziente del reparto psichiatrico.

Punta l’indice destro contro Scofield ed inizia a farneticare, pronunciando parole senza senso.

“Vengo anche io con voi… Me lo ha promesso lui… Me lo ha detto… Ero il suo compagno di cella… Vengo anche io o inizio a urlare…”

“Che cazzo vuole questo individuo?”

“Patoshik. È stato il mio compagno di cella quando Sucre non voleva far parte della squadra. Aveva intuito qualcosa riguardo al significato dei miei tatuaggi, per questo motivo ho fatto in modo di essere portato nel reparto psichiatrico. È stato lui a fare i disegni. Gli ho promesso che lo avrei fatto evadere insieme a noi, ma non credevo che…”.

Michael non riesce a terminare la frase perché scoppio a ridere.

“Che mossa geniale. Davvero una mossa geniale. Facciamo evadere tutta Fox River, dal momento che continua ad entrare gente nel gruppo!” esclamo, stringendo i pugni per resistere all’impulso di colpire la parete alle mie spalle.

“Neppure tu dovevi essere parte della squadra, T-Bag, eppure sei qui. Se apri ancora una volta la bocca per lamentarti, ti butto giù da questa finestra”

“Davvero, pesciolino? Ne saresti davvero capace?” domando a Scofield; mi avvicino a lui in modo che i nostri visi si sfiorino “secondo me non hai abbastanza palle per farlo. Tu sei una di quelle persone che non ama avere le mani sporche di sangue e fa fare tutto il lavoro agli altri. Anche adesso. Aspetti in silenzio di vedere che ci scanniamo tra di noi perché a te importa solo di Lincoln”

“Su una cosa hai ragione: voglio bene a mio fratello, ed anche se non ho mai commesso un omicidio, sono pronto ad ucciderti se provi ad ostacolarmi. Lui resta insieme a tutti gli altri. Te lo ripeto un’ultima volta: apri ancora la bocca per lamentarti e ti butto giù da questa finestra” sussurra lui, mentre Patoshik raggiunge Burrows ed Abruzzi.

La nostra discussione viene interrotta da un gemito improvviso: Westmoreland si è accasciato sul pavimento, la mano sinistra appoggiata al fianco ormai non riesce più a nascondere la macchia di sangue che continua ad espandersi; Michael lo raggiunge, gli chiede spiegazioni e Charles racconta, con un filo di voce, che è stato Bellick a ferirlo, dopo aver scoperto il buco nella stanza delle guardie.

“Sara può curarti, se le tolgo la fascetta…”

“No, Michael” lo interrompe Westmoreland, con il volto grigio “è troppo tardi per me, ma voglio che tu sappia una cosa. Le voci che circolano su di me sono vere solo in parte. Nello Utah, nel Double K. Ranch non ho seppellito un milione di dollari. Bensì cinque”.

Mentre Charles esala il suo ultimo respiro, cala il silenzio.

Io, Scofield, Tweener, C-Note, Sucre e Manche stiamo pensando la stessa cosa.

Cinque milioni.

Cinque fottutissimi milioni di dollari.

Una bella cifra per chi vuole ricominciare una nuova vita in un posto lontano.

“Non possiamo fare più niente per lui. Andiamo. Forza. Ci resta poco tempo”.

La voce del nostro geniale architetto pone bruscamente fine alle mie fantasie e mi porta alla realtà: siamo ancora in sei nella stanza, ed i minuti trascorrono sempre più velocemente.

Il mio turno arriva dopo quello di Sucre, C-Note e Tweener; afferro con entrambe le mani il cavo e cerco di arrivare dall’altra parte il più in fretta possibile, evitando accuratamente di guardare verso il basso: non so con esattezza quanti metri mi separano dall’erba del cortile, ma se mollo la presa nessuno mi salverà da un trauma cranico assicurato.

Burrows allunga la mano destra, riesco ad afferrarla e mi siedo sul bordo del muro.

“Che cosa devo fare?”

“Lasciati cadere, gli altri ti prenderanno”

“Che cosa?” domando a denti stretti, incredulo “stai scherzando, Burrows? Lo sai che se lo faccio nessuno mi afferrerà?”

“O scendi di tua spontanea volontà o ti spingo io”.

Non sta bluffando, glielo leggo nelle iridi scure, completamente diverse da quelle del fratello minore.

Chiudo gli occhi e mi lascio cadere nel vuoto.

Contro ogni mia previsione qualcuno mi afferra, evitandomi un violento impatto con l’asfalto; appena i miei piedi toccano il suolo, mi appoggio ai mattoni che formano le mura e prendo un paio di profondi respiri, per rilassare i muscoli ed i nervi: non c’è alcuna differenza tra l’aria che si respira all’interno di Fox River e l’aria che adesso soffia contro il mio viso, eppure mi sembra completamente diversa, come se avessi cambiato continente.

Il sollievo, però, sparisce subito perché i fari posizionati all’interno delle quattro torrette di sicurezza s’illuminano all’improvviso, seguiti da un’acuta sirena.

“Che cosa succede?” domando, anche se ho già capito tutto.

“Ci hanno scoperti” sussurra John “Michael è ancora dall’altra parte”

“Michael!”.

Ognuno di noi sente l’urlo carico di disperazione di Lincoln, ma è impossibile capire che cosa sia accaduto con esattezza; mi allontano di qualche passo, ma Abruzzi se ne accorge subito e mi afferra per il polso destro.

“Che cosa stavi facendo?”

“Dobbiamo andarcene, se restiamo qui ci troveranno! Ed io non sono intenzionato a tornare dentro, non ora che sono di nuovo un uomo libero!”

“O tutti o nessuno, Theodore. Finché tutti non saranno da questa parte nessuno muoverà un solo passo”

“D’accordo” ringhio, liberandomi dalla presa.

I minuti passano; Scofield e Burrows riescono a raggiungerci, ma con loro non c’è Manche.

“Dov’è mio cugino?” domanda subito Sucre.

“Il cavo si è spezzato e lui è caduto. Lincoln mi ha afferrato appena in tempo. Da questa parte” risponde Michael, indicandoci una strada secondaria.

Inizia a correre e noi sette lo imitiamo.

Ecco, penso per risparmiare fiato, ci siamo riusciti.

Siamo evasi da Fox River.

 Siamo liberi.

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Capitolo 26
*** Freedom; Terza Parte (T-Bag) ***


In tutta la mia vita non ho mai corso così velocemente; neppure quando ero solo un ragazzino e tentavo di sottrarmi alle pesanti attenzioni dell’uomo che ha contribuito a mettermi al mondo.

Ho il volto in fiamme, la schiena completamente bagnata di sudore, il fianco destro che pulsa dal dolore e le gambe che continuano ad implorarmi di fermarmi subito; Abruzzi, se possibile, si trova in condizioni fisiche peggiori perché non ha il mio stesso corpo scattante ed il mio stesso ventre piatto.

Eppure non è intenzionato a cedere.

Nessuno di noi lo vuole fare, anche perché il rumore degli elicotteri in volo e l’abbaiare dei cani si fanno sempre più vicini.

“Fermi… Fermi…” ci ordina Abruzzi, inginocchiandosi dietro un grosso albero; lo imitiamo, in mezzo alla folta vegetazione del bosco in cui ci troviamo, e ne approfittiamo per riposare e riprendere fiato “è quella la fattoria di cui vi parlavo”.

Poco prima dell’evasione, John si è messo in contatto con uno dei suoi uomini ancora liberi, affidandogli il compito di procurare un suv abbastanza spazioso, in modo da avere un mezzo di trasporto per raggiungere il prima possibile la pista d’atterraggio.

“Sicuro? Dove si trova la macchina? Non vedo nessuna macchina” chiede Tweener, con un gemito.

“Abbi un po’ di fede, ragazzo” mormora Abruzzi, facendoci segno di seguirlo.

Scendiamo una bassa collinetta, attraversiamo un piccolo fiume con il fondo roccioso, e quando arriviamo alla fattoria ci lasciamo sfuggire delle esclamazioni di sollievo alla vista del suv.

“Che cosa stai facendo?” chiede ancora una volta David, mentre Michael si sta occupando di rompere i fanali posteriori della macchina.

“Se vogliamo passare inosservati, dobbiamo prendere alcune precauzioni” risponde lui, scrollando le spalle, ed io salgo sul mezzo di trasporto, rilassandomi per la prima volta da quando sono uscito dalla mia cella.

Nessuno di noi è intenzionato ad avere Patoshik come compagno di viaggio, e così Lincoln ed Abruzzi gli giocano un piccolo scherzetto: lo fanno scendere con la scusa di cercare una chiave, e nello stesso momento in cui la portiera si chiude, Lincoln aziona il motore della macchina e parte con una sgommata.

“Manca qualcuno… Perché non c’è Tweener?” domando incuriosito, dal momento che Scofield ha insistito per averlo nella squadra, ed è proprio lui a rispondermi.

“Lui non prosegue il viaggio con noi. È stato Tweener a spifferare ogni cosa a Bellick”

“Quindi tu lo sapevi già da tempo, ma gli hai permesso ugualmente di uscire con noi?”

“Avevo un debito nei suoi confronti e l’ho pagato”

“Voi tutti avete ancora diversi debiti nei miei confronti, eppure non vi siete mai preoccupati di saldarli” mormoro, girando il viso in direzione del finestrino alla mia destra; sento un rumore alle mie spalle e sorrido, perché è proprio ciò che stavo aspettando.

Nello stesso momento in cui la canna di una pistola si posa contro la mia testa, tiro fuori, da una tasca dei pantaloni, le manette che ho rubato alla guardia: chiudo un’estremità attorno al mio polso sinistro e l’altra attorno al polso destro di Scofield; tutto accade così velocemente che né lui né Abruzzi hanno il tempo di reagire.

“Figlio di puttana!”

“John… John… John… Davvero pensavi che avrei creduto alla tua offerta di pace? Davvero pensavi che non avrei preso precauzioni?”

“T-Bag, prendi subito la chiave!”

“Ohh, questa?” domando, mostrando il piccolo oggetto che sembra brillare sotto la luce della luna.

Michael prova ad afferrare la chiave, ma io la infilo in bocca e deglutisco.

In un attimo si scatena il caos.

Scofield appoggia entrambe le mani sulla fronte, e per la prima volta lo sento imprecare ripetutamente; John, invece, mi afferra il volto con la mano destra ed inizia a urlare.

“Sputa subito quella chiave, Bagwell! Hai sentito? Sputa subito quella chiave, razza di pervertito idiota! Sputala!”

“Sono desolato, ma temo che passerà del tempo prima che la chiave esca dal mio corpo… E non sono sicuro che avverrà tramite la mia bocca” rispondo, scoppiando a ridere divertito, ottenendo solo di irritare maggiormente tutti.

Non volevo prendere misure così drastiche, ma non mi hanno lasciato altra scelta.

“Ragazzi… Questo non è il momento migliore per litigare” ci avvisa Lincoln, spegnendo il motore.

A pochi metri di distanza c’è un posto di blocco e dal momento che non possiamo sfondarlo, Burrows ingrana la retromarcia: non possiamo né tornare indietro né andare avanti, e così il mezzo deve procedere in campo aperto, ma il terreno è ancora umido a causa di un recente temporale, e le ruote del suv affondano nel fango.

Scendiamo dalla vettura, proviamo a liberare le ruote, ma ben presto siamo costretti ad arrenderci e continuiamo la nostra fuga nel bosco, correndo il più velocemente possibile; io e Michael restiamo presto indietro perché abbiamo ancora i polsi ammanettati e perché ho difficoltà a tenere il suo stesso ritmo.

Ha appena trent’anni, mentre io sono sempre più vicino ai cinquanta.

“Dove sono andati?” domando dopo qualche minuto, con il fiato che si condensa in tante piccole nuvole.

“Di qua” risponde lui, indicandomi un capanno per gli attrezzi; dentro c’è il resto della squadra che ci sta aspettando.

Quando il pesante portone si richiude alle mie spalle, corruccio le sopracciglia, perché nessuno di loro si è mosso di un solo millimetro.

“Che succede? Che diavolo sta succedendo?” domando, guardandoli uno ad uno.

Lincoln mi attacca a tradimento: mi sbatte con forza contro la superficie di un tavolo e mi blocca insieme a C-Note, mentre Sucre afferra un tronchese con cui prova a rompere le manette; ogni tentativo, però, si rivela vano ed alla fine getta a terra l’utensile, frustrato.

“Non funziona!” esclama, subito dopo.

Io scoppio a ridere, perché trovo la situazione terribilmente comica.

“Ohh, pesciolino, come dice il detto? Dio li fa e poi li accoppia” dico senza riuscire a fermarmi; la mia espressione cambia completamente quando sento un rumore poco lontano, e mi volto appena in tempo per vedere Abruzzi che solleva un’ascia dalla lama affilata “no! No! John! No!”.

Un dolore indescrivibile esplode nella mia testa e scivolo a terra urlando, in posizione fetale.

Poco lontano dal mio viso c’è un oggetto abbandonato, su cui spiccano delle macchie rosse; sbatto più volte le palpebre per riuscire a distinguerlo con più chiarezza, e quando ci riesco le mie urla s’intensificano.

È una mano.

La mia mano sinistra.

Quel figlio di puttana di Abruzzi me l’ha tagliata per liberare Scofield.

“Deve ritenersi fortunato” lo sento dire, con voce strafottente “non stavo mirando alla mano”.

Il dolore è così forte che inizio a piangere e gemere, senza vergognarmi delle lacrime che scendono lungo le mie guance; qualcuno mi copre la bocca perché hanno sentito un rumore provenire dall’esterno, e dopo qualche minuto escono dal nascondiglio correndo, abbandonandomi al suo interno, nonostante Sucre sia fortemente contrario.

Non so per quanto tempo resto all’interno del capanno e non so neppure come riesco a trovare la forza per alzarmi ed afferrare la mia stessa mano, ma esco a mia volta dalla struttura e m’inoltro nuovamente nel bosco.

Dopo qualche passo sono costretto ad appoggiarmi al tronco di un albero.

Faccio fatica a respirare, ho i vestiti zuppi di sangue ed ogni singolo muscolo del corpo continua a pulsare.

Si dice che un vero uomo sa riconoscere quando arriva la propria fine; forse non posso considerarmi un vero uomo per tutto quello che ho fatto, ma non sono uno stupido e so di esser spacciato.

Proprio per questo motivo mi lascio cadere a terra, mentre in lontananza sento il rumore di alcune sirene.



 
Non so per quante ore resto privo di conoscenza, ma quando sollevo le palpebre la notte ha lasciato posto ai primi raggi di sole del mattino.

Ho tutto il corpo indolenzito e riesco ad alzarmi a fatica, stringendo i denti.

Credo di essere ancora vivo perché il freddo rigido dell’inverno ha bloccato l’emorragia, ma lo stesso non vale per il mio arto imputato: la pelle ha già iniziato a cambiare colore, e ciò significa che devo trovare il modo per conservarlo intatto prima che inizi ad imputridire.

Lo raccolgo, ripulisco le dita dal terriccio e dalle foglie e riprendo il cammino.

Spero con tutto me stesso che quei bastardi non siano riusciti a salire sull’aereo.
 

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Capitolo 27
*** Story Of My Life (Nicole) ***


Non sono mai uscita a cena con un ragazzo, ma non è questo a farmi tremare la mano mentre mi trucco.

Nella mia mente continuo a rivivere il bacio che Teddy mi ha dato e non riesco a scacciare il terribile pensiero che potrebbe non esserci una seconda volta per ripeterlo; i brividi che mi percorrono il braccio sono così violenti che sono costretta a fermarmi con un sospiro.

Chiudo gli occhi ed appoggio la fronte contro la superficie liscia dello specchio, nella vana speranza di riuscire a calmarmi prima dell’arrivo di Adam.

Non sono pronta per affrontare questo appuntamento, ma non voglio neppure trascorrere l’intera serata nel mio salotto, tentando di combattere contro gli attacchi di panico e continuando a scorrere tutti i canali della TV.

Qualcuno, dalla strada, suona un clacson; mi affaccio dalla finestra della camera e vedo il volto di Adam sbucare dal finestrino abbassato di una macchina: mi fa cenno di scendere ed io gli rispondo con un semplice sorriso, che scompare nello stesso momento in cui m’infilo la giacca e prendo la borsa a tracolla.

“Ehi” lo saluto, mentre entro nello stretto abitacolo “cavolo… Sei davvero molto elegante”.

“E tu sei bellissima”

“Ohh, su questo mi permetto di dissentire. Se lo avessi saputo prima, magari avrei indossato qualcosa di diverso” rispondo, abbassando lo sguardo sul vestito nero che indosso, che non ha assolutamente nulla di speciale o elegante: in realtà è stata la prima cosa che ho trovato dentro l’armadio.

“Questa è per te”

“Per me?”

“Si… Un piccolo anticipo della serata che ci aspetta”.

Resto sorpresa quando il mio accompagnatore mi porge una bellissima rosa avvolta in una carta colorata e decorata con un fiocco azzurro; c’è anche un bigliettino appeso al gambo privo di spine, ma non lo prendo in mano né lo leggo perché non sono ancora pronta ad affrontare domande imbarazzanti.

“Sei davvero molto gentile” lo ringrazio, sforzandomi di sorridere “allora… Andiamo?”.



 
Il ristorante in cui entriamo è così lussuoso che mi sento subito a disagio: è uno di quei posti in cui ci sono sempre orchestre che suonano dal vivo, camerieri che indossano divise che non hanno la minima piega nella stoffa, signore ingioiellate con pellicce di visone attorno alle spalle e da cui non si esce senza aver pagato un conto a tre cifre.

“Adam!” esclamo, infatti, non appena prendiamo posto davanti al nostro tavolo “non avresti dovuto prenotare in un posto simile”

“Perché?” mi domanda lui, guardandomi con un’espressione confusa.

“Perché sembra essere molto costoso… Hai visto i prezzi del menù? Io non voglio…”

“Nicole, non ti devi preoccupare dei soldi. Voglio solo farti trascorrere una bella serata. Forse sono un po’ troppo indiscreto, ma ultimamente ho notato che a lavoro hai sempre un’aria stressata”

“Non è semplice lavorare in un carcere. Devo ancora abituarmi a molte cose” mormoro “cambiamo argomento. Come hai detto tu, forse è meglio pensare ad altro”.

In realtà, però, non ho voglia né di pensare né di parlare d’altro.

Ascolto Adam raccontarmi i motivi che lo hanno spinto a lavorare a Fox River, e di tanto in tanto annuisco o sorriso; ma la verità è un’altra: vedo solo le sue labbra muoversi e non sento alcun suono perché la mia mente continua ad essere occupata da una sola immagine, da un solo volto.

Il volto magro, forse fin troppo scavato, di un uomo che ha già superato i quarant’anni.

Il volto di un uomo dai capelli castani e dagli occhi scuri, magnetici, quasi ipnotizzanti, che nascondono chissà quanti segreti che le sue labbra non riveleranno mai.

Il volto di un uomo che, quando distende le labbra, sorride in un modo così allegro, sincero ed affascinante che fa dimenticare i crimini orribili e disgustosi che ha commesso.

Teddy.

Con gli occhi della mente rivivo il nostro primo incontro, e tutto mi sembra così lontano e sfuocato che faccio fatica a credere che siano trascorsi appena due mesi.

Due mesi.

Sessanta giorni.

Sessanta giorni sono bastati per stravolgere totalmente la mia vita e per legarmi ad un uomo condannato a due ergastoli; lo stesso uomo che adesso sta rischiando la vita per evadere da Fox River.

Adam interrompe all’improvviso il suo racconto e prende un piccolo oggetto da una tasca della giacca; l’osservo incuriosita dato che lampeggia ed emette un suono simile ad un ‘bip’.

“Oh… Cazzo…” sussurra lui, per non farsi sentire dagli altri commensali.

“Va tutto bene?”

“No, non va affatto bene. Dobbiamo andarcene subito”

“Per quale motivo?” domando, allarmata.

“Questo è il mio cercapersone. Me lo hanno dato durante il mio primo giorno a Fox River e serve per le emergenze”

“Cioè… Qualcuno si è sentito male?”

“No, significa che qualcuno sta cercando di evadere. Dobbiamo andare”

“Vengo con te” rispondo, infilando velocemente la giacca “lo so, può essere pericoloso, ma io sono una dottoressa e qualcuno potrebbe essere ferito”

“Nicole…”

“Insisto”.

Supplico Adam con lo sguardo ed alla fine acconsente a portarmi con sé.



 
La situazione è gravissima e lo capiamo entrambi alla prima occhiata: davanti l’ingresso principale di Fox River ci sono numerose vetture delle Forze Speciali, alcuni elicotteri sorvolano la zona e si sta formando una folla consistente di fotografi e giornalisti.

Io ed Adam riusciamo a fatica ad entrare e ci dirigiamo subito verso un piccolo gruppo di guardie a cui Bellick sta urlando degli ordini da svolgere.

“Vai subito ad indossare la tua divisa. Muoviti. Non c’è un solo momento da perdere” grida contro il mio accompagnatore, e quando lui si allontana mi rivolge uno sguardo furioso “ma che curiosa coincidenza… Nessuno ha chiesto il suo intervento, dottoressa. Si può sapere per quale motivo si trova qui?”

“Ero in compagnia di Adam quando il suo cercapersone ha iniziato a suonare. Che cosa è successo? Anche io lavoro qui ed ho il diritto di sapere” rispondo, alzando la voce a mia volta, perché non sono intenzionata a farmi intimidire ancora da quest’uomo.

Bellick si avvicina così tanto che sono in grado di contare i numerosi tagli ed ecchimosi che ha sul volto.

“Dieci detenuti hanno tentato di evadere. Otto di loro ci sono riusciti, uno è stato catturato ed uno l’hanno trovato senza vita in infermeria”

“A chi apparteneva il corpo?” domando, anche se non sono sicura di voler sentire la risposta; Brad sorride in modo quasi feroce prima di rispondere.

“A Bagwell”.

Lascio ricadere le braccia lungo i fianchi e spalanco gli occhi, sentendomi completamente annichilita da quelle due parole; inizio a scuotere la testa e sbatto più volte le palpebre per impedire alle lacrime di uscire.

“No… No… Questa è una bugia… Lui non… Voglio vedere il corpo con i miei occhi”

“Tu non vedrai proprio nulla, stupida puttanella. Ci sono cose molto più importanti di cui dobbiamo occuparci: ci sono otto detenuti in libertà e la gente è in pericolo” il Capitano Bellick mi afferra per il braccio sinistro ed ordina ad uno dei suoi sottoposti di scortarmi a casa perché la mia presenza è solo d’intralcio alle ricerche; provo a liberarmi con calci e pugni, ricorrendo anche a qualche morso, ma vengo ugualmente spinta all’interno di uno stretto abitacolo, e quando la portiera si chiude è impossibile aprirla dall’interno.

La vettura si ferma qualche minuto più tardi e solo allora la guardia mi fa scendere.

“Voglio tornare subito a Fox River! Non potete farmi questo! Sono una dottoressa!” gli urlo contro, ma non serve a nulla perché l’uomo risale in macchina e parte con una sgommata senza più degnarmi di una sola occhiata; resto per diverso tempo in piedi sul marciapiede, con gli occhi fissi nel punto in cui la vettura è scomparsa dal mio campo visivo, e poi rientro nel mio appartamento.

Sbatto con forza la porta e urlo, sfogando tutta la rabbia e la frustrazione che provo in questo momento.

Non so se Bellick mi ha raccontato la verità o una bugia ed io non so cosa fare, non posso neppure mettermi in contatto con Teddy perché non ha un cellulare; tutto quello che posso fare è aspettare e sperare di ricevere notizie positive.

Accendo la TV e trovo facilmente un canale in cui stanno comunicando l’evasione, ma le informazioni che danno sono pochissime e confuse: si sa appena il numero esatto dei fuggitivi perché non sono ancora stati identificati, almeno così dicono.

Ma io sono sicura che è una decisione del direttore Pope perché spera di risolvere questa faccenda il prima possibile, senza scatenare una vera bufera mediatica.

Mi lascio cadere sul divano e scoppio in lacrime, disperata, completamente svuotata da ogni energia.

Non trovo neppure la forza di prendere il mio mp3 ed infilare le cuffiette nelle orecchie; continuo a piangere fino a quando mi arrendo alla stanchezza: abbasso le palpebre e scivolo in un sonno tormentato, in cui regnano immagini sfuocate e urla.



 
Apro gli occhi la mattina seguente.

La TV è ancora accesa, ma non è questo a svegliarmi: sento dei passi provenire dall’ingresso e dopo qualche istante il rumore si ripete.

Mi alzo di scatto dal divano, mi avvicino ad uno scaffale ed afferro una statuetta che funge da soprammobile; cerco di non far scricchiolare le assi del pavimento, ma quando esco dalla stanza l’oggetto mi scivola dalle mani, e sono costretta a coprirmi la bocca  per non lasciarmi scappare un urlo che potrebbe attirare l’attenzione dei vicini.

Teddy è appoggiato alla porta: i vestiti che indossa sono zuppi di sangue ormai raffermo, ha il viso completamente pallido e sudato e nella mano destra stringe una cassetta di plastica, simile a quelle utilizzate per i pic-nic al parco.

“Nicole…” sussurra appena, con un filo di voce “devi aiutarmi”

“Teddy… Oh mio Dio… Sei vivo…” balbetto, incredula; lo aiuto a raggiungere il salotto e lui appoggia la cassetta sopra al tavolo prima di lasciarsi cadere su una sedia.

Mi avvicino esitando al contenitore, anch’esso macchiato di sangue, deglutisco e poi trovo il coraggio di sollevare il coperto; mi allontano di qualche passo e per la seconda volta devo trattenere un grido, questa volta d’orrore.

All’interno della cassetta c’è una mano amputata che galleggia in un liquido rosso, probabilmente ghiaccio sciolto.

“È stato quel figlio di puttana di Abruzzi ” ringhia lui, solleva la manica sinistra della felpa e mi mostra il moncone: la carne ha già iniziato a cambiare colore “mi ha ridotto in queste condizioni e poi se ne è andato insieme agli altri. Mi hanno abbandonato all’interno di un capanno perché… Perché mi credevano spacciato”

“Hai bisogno di cure urgenti. Dobbiamo andare subito in ospedale…”

“No, no, no… Noi non andiamo da nessuna parte. Tu sei una dottoressa, giusto? Riattaccami la mano”

“Teddy” rispondo, con uno sguardo sconvolto “io non sono un chirurgo e non ho gli strumenti necessari per eseguire un’operazione simile. Hai bisogno di qualcuno di esperto ed hai bisogno anche di prendere degli antibiotici per combattere l’infezione, o quella… Quella cosa potrebbe ucciderti”

“Nicole, non so quanto sangue mi resta in corpo… Non riesco neppure a parlare…” sussurra T-Bag, faticando a tenere gli occhi aperti “se andiamo in un ospedale mi riconosceranno subito e sarò costretto a tornare a Fox River. Non m’importa se non hai un sedativo o degli antidolorifici… Prendi un ago e del filo e riattacca subito la mia mano. Non te lo chiederò una terza volta”

“D’accordo… Ma non ti assicuro niente”

“Questa è la storia della mia vita” mormora lui, con un sorriso tirato.
 

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Capitolo 28
*** Alexander Mahone (Nicole) ***


“Ho finito” mormoro dopo quasi un’ora e mezza trascorsa a tentare di ricucire la mano sinistra ed il polso di Teddy al resto del suo braccio; nonostante gli asciugamani che ho posizionato sopra la superficie del tavolo il legno si è impregnato di sangue e lo stesso vale per il mio vestito.

Mi volto a fissare T-Bag con un’espressione preoccupata: per tutto il tempo dell’operazione nessun suono è uscito dalla sua bocca, ma il suo volto ha assunto una sfumatura grigiastra innaturale; osserva per qualche istante le cuciture e poi si piega in avanti, vomitando tutto il contenuto del suo stomaco sul pavimento.

Scivola a terra esanime ed io m’inginocchio a suo fianco; lo chiamo per nome, ripetutamente, fino a quando apre di nuovo gli occhi e riprende in parte conoscenza.

Lo conduco nella mia camera e lo aiuto a sdraiarsi sul mio letto per riposare.

Trascorro il resto della giornata a preparare continui impacchi di acqua fredda per pulire il sudore dal viso di T-Bag e nel tentativo di abbassare la febbre.

Quando cala la notte mi sdraio a suo fianco; non riesco ad addormentarmi e così trascorro le ore ad osservare i suoi lineamenti e ad accarezzargli i capelli bagnati: sono contenta di averlo finalmente a mio fianco senza essere costretta a trascorrere con lui qualche fugace minuto all’interno dell’infermeria di Fox River, ma allo stesso tempo sono terrorizzata dalla prospettiva reale e concreta di perderlo a causa di un arto infetto.

Teddy mi ha salvato la vita durante la rivolta nel Braccio A, non posso non fare lo stesso.

Il giorno seguente le sue condizioni non sono migliorate, ma neppure peggiorate.

Non voglio lasciarlo da solo nel mio appartamento, ma sono costretta ad uscire per comprare delle garze nuove ed altre medicazioni; quando esco dalla farmacia con una busta marrone in mano, si avvicina a me una donna vestita in modo elegante, che si presenta come un’agente dell’F.B.I.

“Agente Felicia Lang” dice, mostrandomi un distintivo “lei è la dottoressa Nicole Baker?”

“Si, sono io” rispondo, mordendomi il labbro inferiore.

“Deve venire con me. Abbiamo bisogno di rivolgerle alcune domande”

“Non posso seguirla… Io… Io ho molte cose da fare…”

“La prego, non mi costringa a fare qualcosa di cui potrei pentirmene” insiste lei, continuando a fissarmi con i suoi occhi scuri e freddi; sposto il peso del corpo da un piede all’altro e poi la seguo all’interno di una vettura nera.

Non posso tentare la fuga perché è un’idea stupida, ed attirerei solo l’attenzione su di me.

L’agente Lang si mette alla guida del mezzo ed accosta solo una decina di minuti più tardi; mi fa scendere e mi scorta all’interno della centrale di polizia, in una di quelle stanze sprovviste di finestre, utilizzate per gli interrogatori.

Chiude la porta alle mie spalle ed io mi ritrovo in compagnia di un uomo che non ho mai visto prima: indossa un completo nero, elegante, ed ha gli occhi di un azzurro così chiaro da essere quasi bianchi, proprio come quelli di Michael Scofield.

“La prego, dottoressa, si sieda… Si sieda…” mi dice subito, indicandomi una sedia vuota posizionata di fronte ad un tavolo; accetto l’invito senza mai staccare gli occhi dal viso dello sconosciuto, che suscita in me una forte diffidenza.

“Che cosa volete? Per quale motivo mi trovo qui?”.

Non risponde subito.

Prende in mano una cartellina, l’apre, ed inizia a disporre con cura sopra al tavolo otto foto segnaletiche, descrivendole una ad una.

“Michael Scofield, condannato a cinque anni di reclusione per rapina a mano armata. Lincoln Burrows, condannato alla sedia elettrica per l’omicidio del fratello della vicepresidente degli Stati Uniti. Fernando Sucre, condannato a cinque anni di reclusione per rapina a mano armata. John Abruzzi, Capo dell’omonima famiglia mafiosa, condannato all’ergastolo per associazione a delinquere. David Apolskis, condanno a cinque anni di reclusione per furto aggravato. Benjamin Miles Franklin, condanno a otto anni di reclusione per possesso di beni impropri. Charles Patoshik, condannato a sessant’anni di reclusione per omicidio di secondo grado. Theodore Bagwell, condannato a due ergastoli per il rapimento, lo stupro e l’omicidio di sei boy-scout in Alabama” fa una breve pausa prima di riprendere a parlare, presentandosi per la prima volta “io sono l’agente speciale Alexander Mahone e sono stato incaricato di catturare questi otto uomini prima che possano ferire o uccidere degli innocenti”

“Perché mi sta dicendo queste cose?”

“Perché, signorina Baker, lei ha lavorato nell’infermeria di Fox River negli ultimi due mesi e sono sicuro che abbia delle informazioni molto importanti. Informazioni così preziose che non può tacere”

“Io non so nulla” rispondo, aumentando la presa sulla busta marrone “non so nulla e non ho mai visto niente di sospetto in questi due mesi, altrimenti lo avrei riferito subito al direttore Pope”

“Ne è sicura?” mi domanda Mahone, fissandomi con i suoi occhi glaciali.

Afferra la foto segnaletica che ritrae Teddy e l’avvicina al mio viso; la prendo in mano e stringo i denti.

“Il volto di quest’uomo dovrebbe dirmi qualcosa?”

“Nelle ultime ventiquattro ore ho già interrogato diverse persone che appartengono allo staff di Fox River. Tra loro c’erano anche il Capitano Bellick ed un’infermiera dai capelli rossi di nome Karla, se la memoria non m’inganna. Sa che cosa mi hanno detto entrambi, signorina Baker? Mi hanno confidato che lei ha una relazione con il signor Bagwell che va ben oltre al semplice rapporto tra dottoressa e detenuto. Mi è stato riferito anche di un episodio in particolare, in cui siete stati visti in atteggiamenti molto intimi”

“Tutto questo è ridicolo. Forse ho visto questo detenuto qualche volta in infermeria… Forse ho medicato alcuni lividi che aveva sul viso, ma di certo non ho mai intrapreso una relazione sentimentale né con lui né con un altro detenuto. In verità, se proprio vuole saperlo, due sere fa sono uscita a cena con una guardia”.

Mahone continua a fissarmi senza rispondere alle mie parole; poi si avvicina ad uno scaffale, apre un cassetto e prende un’altra cartellina, da cui estrae una seconda serie di foto che dispone nuovamente sopra al tavolo: ritraggono diversi corpi martoriati, quasi impossibili da identificare, le immagini sono così cruente che sono costretta a girare il viso da un’altra parte per non vomitare.

“No” mormora Alexander, costringendomi a guardare di nuovo quegli orrori indescrivibili “deve guardare queste fotografie. Deve imprimerle nella sua mente. Queste sono alcune delle vittime di Bagwell. Sa che in alcuni casi la violenza carnale è avvenuta dopo l’omicidio?”

“Perché mi sta dicendo queste cose?” domando, senza riuscire a trattenere un singhiozzo.

Non voglio sentire altro, ma non riesco a muovere un solo muscolo e così continuo a stringere la busta.

“Le sto dicendo queste cose, signorina Baker, perché ho motivo di credere che lei stia mentendo riguardo ciò che la lega a Bagwell. Che cosa nasconde in quella busta?”

“Non sono intenzionata a rispondere ad un’altra delle sue domande, agente Mahone. Lei non ha alcun diritto di tenermi rinchiusa qui dentro. Me ne torno a casa”.

Riesco finalmente ad alzarmi dalla sedia e raggiungo la porta; appoggio la mano destra sul pomello, ma la voce autoritaria di Alexander mi spinge a voltarmi: non si è mosso di un solo millimetro, è ancora seduto dall’altra parte del tavolo ed i suoi occhi esprimono una calma inquietante, la stessa di un predatore che sa di essere sulla pista giusta per mettere in trappola la sua preda.

“Ho svolto alcune ricerche su di lei, mentre l’agente Lang la cercava. Sa che cosa ho scoperto? Nulla, assolutamente nulla. La dottoressa Nicole Baker sembra non esistere. Mi dica… Dove ha conseguito la laurea in medicina?”.
 
 

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Capitolo 29
*** Complicit (T-Bag) ***


A tutti, prima o poi, capita di fare i conti con un risveglio da dimenticare.

A quindici anni io e mio cugino James abbiamo fumato il nostro primo pacchetto di sigarette, seguito dalla nostra prima bottiglia di liquore: il giorno seguente ci siamo svegliati con la febbre alta e per un’intera settimana non siamo mai usciti dalla nostra camera da letto.

Questa volta, però, è quasi insopportabile aprire gli occhi e sbattere più volte le palpebre.

Ho il corpo completamente indolenzito ed il braccio sinistro continua a pulsare dolorosamente, aumentando d’intensità ogni volta che provo a muovermi, anche solo di pochi centimetri.

Dopo diversi tentativi riesco a sedermi sul bordo del letto per poi alzarmi, evitando accuratamente di guardare il mio arto martoriato: so che mi ritroverei a vomitare ancora una volta e voglio evitarlo.

Esco dalla stanza, percorro un piccolo corridoio ed entro in quello che sembra essere un salottino curato in modo quasi maniacale.

“Nicole? Nicole, dove sei?” domando più volte, ma come unica risposta ottengo solo l’eco della mia stessa voce.

Nicole non è in casa, probabilmente è uscita a comprare qualcosa da mangiare o qualche medicina, e così torno nel corridoio e cerco il bagno.

Quando lo trovo chiudo la porta alle mie spalle, giro più volte la chiave ed accendo il getto d’acqua della doccia; mi spoglio completamente dei vestiti sporchi di sangue, terriccio e vomito e li ammucchio sulle piastrelle del pavimento prima di entrare nello stretto abitacolo.

Chiudo gli occhi e sospiro, godendomi appieno il tocco benefico dell’acqua calda; finalmente trovo il coraggio di abbassare lo sguardo sul mio braccio sinistro e noto subito che è peggiorato dalla sera precedente: la pelle della mano non è più rosa, ma quasi del tutto viola, in alcuni punti perfino gialla.

Non riesco a muoverla perché Nicole non ha riparato le diverse terminazioni nervose.

Ho un pezzo di carne che sta andando rapidamente in decomposizione attaccato al mio braccio sinistro.

Distolgo lo sguardo e deglutisco più volte per scacciare la nausea.

Sono vivo e questa è la cosa più importante.



 
Quando esco dalla doccia mi avvolgo attorno ai fianchi un asciugamano pulito ed inizio a frugare all’interno di alcuni mobiletti.

Mi fermo solo quando riesco a trovare una confezione di acqua ossigenata: svito il tappo a fatica e poi verso l’intero contenuto sui miei capelli prima di risciacquarli con una dose abbondante di acqua fredda.

Esco dal bagno, mi dirigo in cucina e per la prima volta sento dei forti crampi allo stomaco.

Prendo una tazza di ceramica, una scatola di cereali per la prima colazione ed una bottiglia di latte dal frigo: riempio la tazza con i cereali ed il latte e poi mi siedo sul divano in salotto; cerco il telecomando e quando lo trovo accendo la TV.

Non appena appare un’edizione speciale di un notiziario inizio a consumare il mio pasto, seguendo con attenzione le ultime novità su di me e gli altri della squadra, ormai ribattezzati ‘Gli Otto di Fox River’.

Qualche minuto più tardi la porta d’ingresso si apre, ed appare Nicole con in mano due buste marroni; si blocca in mezzo alla stanza e mi guarda confusa.

“Che cosa hai fatto ai capelli? Perché sono biondi?”

“Ho usato dell’acqua ossigenata. Ti sei dimenticata che sono un ricercato?”

“Si,Teddy, ma non sono sicura che quei capelli biondi possano fare la differenza” risponde lei; arrossisce all’improvviso perché finalmente si accorge dell’asciugamano “indossi solo quello?”

“Si, ma se vuoi posso rimediare”

“Non voglio avere un uomo nudo nel mio appartamento. Tieni questi. Sono dei vestiti che ho preso prima di tornare. Faresti meglio a cambiarti subito ed a tornare qui perché ti devo parlare di alcune cose della massima urgenza, Theodore. Abbiamo poco tempo a nostra disposizione”

“D’accordo” dico io, afferrando la busta marrone “e ti ringrazio per esserti preoccupata delle mie condizioni fisiche”.

Torno in camera, svuoto il contenuto sul materasso e l’osservo in silenzio, con la mano destra appoggiata al fianco.

Nicole ha comprato una semplice camicia ed un paio di pantaloni chiari che indosso subito; incontro diverse difficoltà con i bottoni a causa della mano sinistra inutilizzabile ma alla fine ci riesco, da solo, e faccio ritorno in salotto.

Nicole è seduta sul divano ed ha lo sguardo perso nel vuoto, passa qualche secondo prima che si accorga della mia presenza.

“Stai molto bene… Ti piacciono? Ho indovinato la taglia?”

“Sono vestiti puliti e questo mi basta. Di che cosa mi devi parlare? Vuoi cacciarmi di casa? Se devo contribuire all’affitto posso aiutarti con i lavori domestici. Posso pulire, lavare, stirare… Posso essere il tuo schiavo, devi solo dirlo…”

“Puoi smetterla di dire cazzate, per favore? La situazione è seria!” esclama lei, in tono irritato, ed io decido di accontentarla.

Perfino le persone come me sanno che arriva sempre un momento in cui bisogna smettere di nascondersi dietro una corazza di strafottenza.

“Di che cosa mi devi parlare?” ripeto, questa volta in tono serio; Nicole mi guarda con i suoi occhi azzurri, grandi ed infantili.

Sono lucidi a causa delle lacrime che minacciano di uscire, ed il suo labbro inferiore trema in modo quasi incontrollabile prima che risponda.

“Sono uscita per comprare delle garze nuove e sono stata bloccata da una donna che si è presentata come un’agente dell’F.B.I… Voleva rivolgermi alcune domande e sono stata costretta a seguirla alla centrale di polizia. Mi ha portata in una stanza senza finestre, una di quelle utilizzate per gli interrogatori. Lì dentro c’era un uomo. Ha detto di chiamarsi Alexander Mahone. Mi ha mostrato delle foto segnaletiche che ritraevano voi otto evasi e mi ha detto che sa tutto di me e te. Io ho provato a negare in qualunque modo ma lui… Sono sicura che non mi ha creduto… Proprio per questo motivo è meglio se ce ne andiamo il prima possibile” racconta, senza mai riprendere fiato.

Ascolto in silenzio, mi passo la mano destra tra i capelli e mi limito ad annuire.

So che c’è altro che mi sta nascondendo e cerco di farla confessare senza metterle ulteriore pressione.

“Sei sicura di avermi raccontato tutto? Nicole… se c’è altro che devo sapere è meglio che me lo dici ora”

“Quando gli ho detto che tra noi due non c’è nulla ha preso una cartellina. L’ha aperta e mi ha mostrato diverse foto… Tutte ritraevano dei corpi senza vita ed erano… Ed erano…”.

Non riesce a concludere la frase: nasconde il viso tra le mani e scoppia in lacrime, probabilmente ancora sconvolta da ciò che quell’idiota le ha fatto vedere.

Mi avvicino a lei e l’abbraccio, stringendola contro il mio petto; nascondo il viso tra i suoi capelli biondi ed aspetto che si sfoghi prima di sollevarle il mento per guardarla negli occhi.

“Forse non sono l’uomo migliore sulla faccia della Terra, ma tu non devi credere a tutto quello che sentirai. Le persone ti racconteranno tante bugie per allontanarti da me. Devi credere solo a quello che esce dalla mia bocca, Nicole”

“Ma quelle foto, Teddy… Quelle foto erano raccapriccianti… Come hai…”

“Sai perché quell’uomo te le ha mostrate? Lo ha fatto perché sa di noi due. Sa che tu mi stai nascondendo e vuole fartelo confessare facendo leva sulla tua coscienza. Non mi tradire, per favore, dimentica quello che hai visto e scappiamo da questo posto prima che qualche agente bussi alla porta d’ingresso del tuo appartamento”

“D’accordo… D’accordo…” mormora lei, annuendo con la testa “io non ti voglio tradire. Voglio stare con te, ma devi promettermi una cosa”

“Tutto quello che vuoi”

“Promettimi che non ucciderai ancora”.

La sua richiesta mi coglie del tutto impreparato; mi passo la lingua sul labbro superiore e poi la faccio schioccare.

“Non capisco… Non capisco la tua richiesta, Nicole”

“Se vuoi stare con me e ricominciare una nuova vita devi distaccarti completamente dal passato. Io non voglio avere sulle mie mani del sangue innocente, Teddy. Io voglio…” s’interrompe per qualche istante prima di continuare “io voglio essere la tua ragazza, non la tua complice”

“Ma, bambina, guarda in faccia la realtà: nello stesso momento in cui le tue labbra hanno incontrato le mie nell’infermeria a Fox River sei diventata, in automatico, mia complice. Puoi ingannarti quanto vuoi ma la verità è questa”.

Nicole resta di nuovo in silenzio e mi guarda spaventata; forse non se ne è ancora resa conto, ma la realtà è questa: quando due persone intraprendono una relazione ciò che fa una ricade anche sulle spalle dell’altra.

È lo stesso concetto di quando si fa l’amore: i corpi si fondono in un unico essere fatto di carne, sospiri e orgasmi.

“Devi promettermi che non ucciderai più nessuno, Theodore”

“E se qualcuno dovesse riconoscermi?”

“Non lo so, ci penseremo in quel momento”

“D’accordo… Te lo prometto, Nicole. Le mie mani non si macchieranno ancora di sangue. Sei più tranquilla ora?” le domando, allora, con un sorriso.

Tengo molto a lei, ma non sono intenzionato a mantenere la promessa che le ho appena fatto.

Soprattutto ora che sono un ricercato e sopra la mia testa pende una taglia da centomila dollari.



 
Attendiamo che cali la notte prima di riempire due zaini, con vestiti e cibo, e scendere nel garage per prendere la macchina.

“Forse è meglio se ti sdrai nei sedili posteriori” mi dice Nicole, mordendosi il labbro inferiore “in strada potrebbe esserci qualche agente in borghese che aspetta solo un passo falso da parte mia. Non voglio che ti vedano”

“Sono scappato da un carcere di massima sicurezza, mi hanno tagliato una mano ed ho dormito con addosso dei vestiti sporchi di sangue e del mio stesso vomito. Credi davvero che per me sarà un problema acconsentire alla tua richiesta? È la cosa più piacevole che sono costretto a fare negli ultimi tre giorni” rispondo prima di obbedire; appoggio la mano destra dietro la nuca e ne approfitto per chiudere gli occhi.

Riesco perfino ad addormentarmi e quando sollevo le palpebre ormai siamo già in autostrada.
 

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Capitolo 30
*** Utah (Nicole) ***


Ci sono tante domande che voglio fare a Teddy, ma attendo pazientemente il suo risveglio e gli rivolgo le prime parole solo quando mi raggiunge nei sedili anteriori, prendendo posto in quello affianco al mio.

Lancio una rapida occhiata alla sua mano sinistra e quello che vedo è preoccupante.

“Lo sai che quel pezzo di carne non potrà rimanere attaccato per sempre al tuo braccio, vero? Se fa infezione saremo costretti ad andare in un ospedale…”

“Sto bene, Nicole, ho solo bisogno di qualche antidolorifico”.

Non è la verità, si capisce dal suo volto perennemente pallido e sudato, dice questo solo perché non vuole farmi preoccupare; preferisco non insistere e sposto l’attenzione su un altro argomento su cui ho riflettuto mentre dormiva.

“Come facevi a sapere il mio indirizzo?”

“Oh, semplice!” esclama lui, con il suo solito ghigno “nel cortile di Fox River c’erano delle cabine telefoniche che noi detenuti potevamo utilizzare per chiamare le nostre famiglie o i nostri amici. Ho chiesto a mio cugino James che ti seguisse, in modo da scoprire il posto in cui abitavi. Lui l’ha fatto e mi ha riferito ogni cosa”

“E… Per quale motivo gli hai chiesto di farlo?” domando dopo un attimo di esitazione, sconvolta da questa scoperta inaspettata: durante i due mesi che ho trascorso a Fox River non ho mai sospettato, neppure per un secondo, di essere seguita e controllata a distanza.

“Perché volevo conoscerti meglio”

“Avresti potuto chiedermelo”

“Ohh, davvero? E tu avresti confidato il tuo indirizzo ad un detenuto condannato a due ergastoli?” mi chiede, con una bassa risata; lo guardo nuovamente per qualche istante e poi torno a concentrarmi sulla strada.

“Dove siamo diretti? Hai già pensato ad una meta?”

“Utah”

“Utah? Che cosa c’è di particolare nello Utah?”

“Il nostro lasciapassare per garantirci una nuova vita in un posto lontano, nuove identità, una nuova casa e nessun problema economico”

“Cioè?” corruccio le sopracciglia, confusa “potresti fornirmi più dettagli?”.

T-Bag spegne la radio ed inizia il suo racconto.

“Nella nostra squadra c’era il detenuto più anziano di Fox River: Charles Westmoreland. Lo hanno arrestato con l’accusa di omicidio, ma circolavano voci che prima avesse compiuto una rapina milionaria e che si fosse lanciato da un aereo in volo dopo averlo dirottato. Nessuno ha mai saputo se quei soldi esistessero davvero e dove li avesse seppelliti, l’unica cosa certa era la cifra: un milione di dollari”

“Vuoi andare alla ricerca di un bottino dalla dubbia esistenza?”

“Aspetta… Il giorno dell’evasione Westmoreland è stato ferito da Bellick. Non è riuscito ad evadere insieme a noi perché le sue condizioni erano troppo gravi, ma prima di esalare il suo ultimo respiro ha detto a Michael che il bottino di quella rapina è nascosto in un ranch nello Utah. E non si tratta di un milione, ma di cinque milioni di dollari. Capisci, Nicole? Cinque milioni di dollari”.

Provo a deglutire, ma ho la gola improvvisamente secca: cinque milioni di dollari è una cifra da capogiro, perfetta per chi vuole ricominciare una nuova vita, anche se sembra uscita da un film.

“Cinque…Cinque…”

“Si, esatto”

“Sei sicuro che non si tratta di una bugia?”

“Perché il vecchio Charles avrebbe dovuto raccontare una bugia? Che cosa ci avrebbe guadagnato? Io sono convinto che quei soldi esistano ed aspettano solo di essere trovati da qualcuno. L’unico, vero, problema è che una parte della squadra ha sentito il discorso e quindi dobbiamo raggiungere quel ranch il prima possibile, perché c’è la concreta possibilità di trovare una buca vuota. Prova a pensarci, Nicole, è una destinazione perfetta. Quando un detenuto evade di prigione che cosa fa? Cerca di scappare in Messico per essere al sicuro. Tutti saranno convinti che quella è la nostra meta”

“E invece noi siamo diretti da tutt’altra parte” mormoro con un mezzo sorriso “è un’idea perfetta. Dobbiamo solo augurarci di essere i primi ad arrivare e di avere abbastanza soldi per il viaggio”.



 
Dopo due ore sono costretta a fermare la macchina nel parcheggio di un motel.

Non sono abituata a guidare di notte e gli occhi mi bruciano a causa della stanchezza; Teddy non protesta, ed insieme affittiamo una stanza fino al giorno seguente.

È piccola, ha un aspetto trascurato ed il bagno assomiglia ad uno sgabuzzino, ma non siamo nelle condizioni migliori per lamentarci o arricciare il naso.

“Non ti preoccupare, quando avremo quei cinque milioni nelle nostre mani tutto questo sarà solo un brutto ricordo” commenta T-Bag, lasciandosi cadere sul materasso: le molle cigolano per qualche istante e l’intero letto trema “credo che questo sia un pessimo posto per fare cose sconce”

“Resteremo qui appena qualche ora. Credimi, ho visto posti peggiori” rispondo, spegnendo la luce.

M’infilo sotto le coperte senza cambiarmi o togliermi i pantaloni perché, anche se attorno a me regna l’oscurità più totale, il solo pensiero di sdraiarmi più nuda che vestita affianco a Teddy mi fa arrossire violentemente.

Nella camera da letto cala il silenzio e proprio quando penso che lui si sia addormentato, la sua voce strascicata giunge di nuovo alle mie orecchie.

“Non mi hai ancora raccontato dell’appuntamento”

“Appuntamento?”

“Quello che hai avuto con il secondino”

“Ohh, in realtà non è stato un vero appuntamento perché abbiamo ricevuto la notizia dell’evasione e ce ne siamo andati dal ristorante poco dopo il nostro arrivo”

“Dove ti ha portata?” domanda ancora, ed io sorrido perché mi sembra di sentire una punta d’irritazione nella sua voce: gelosia, forse?

“In un bellissimo ristorante in centro. Molto lussuoso”

“Ahh, tipico dei ragazzini di vent’anni”

“Che vuoi dire?” domando; un debole fascio di luce entra dalla finestra e riesco a distinguere il profilo del suo viso.

“I ragazzi di quell’età hanno la tendenza a portare le loro coetanee in posti simili per conquistarle nel modo più semplice e veloce: un ristorante lussuoso, candele accese, un’orchestra che suona, coppe di champagne… Ohh, molto eccitante. Una ragazzina ci casca subito, ma si tratta solo di una facciata. Il tuo spasimante ha voluto utilizzare questa tecnica perché non ha personalità. Un uomo, invece, non ha bisogno di simili escamotage per conquistare. Lo fa semplicemente utilizzando uno dei poteri più antichi del mondo”

“E quale sarebbe?” sussurro, completamente rapita dal suo discorso.

“Il potere delle parole” mormora T-Bag.

Sento la sua mano destra sulla mia nuca e le sue labbra posarsi sulle mie; ricambio il bacio, ma quando diventa più profondo lo allontano da me bruscamente perché sento l’aria mancarmi, proprio come all’inizio di un attacco di panico.

“Scusami… Io… Non volevo…” mi mordo il labbro inferiore mentre penso a qualcosa di convincente; nella maggior parte dei casi è sempre meglio raccontare una piccola bugia piuttosto che una cruda verità “sei ancora debole, non credo che questa sia una buona idea, Teddy… Ci aspetta un lungo viaggio…”

“D’accordo” si limita a rispondere lui, nella sua voce non c’è né rabbia né irritazione “vieni qui. Dai”.

Mi accoccolo contro il suo petto e dopo qualche istante sento le sue dita che mi accarezzano i capelli con gesti lenti, dolci.

Quando si comporta in questo modo faccio sempre fatica ad identificarlo come il mostro che tutti gli altri vedono.
 

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Capitolo 31
*** Pretty Face (T-Bag) ***


So che Nicole mi ha raccontato una bugia e so che la spiegazione è racchiusa in ciò che ho visto nei suoi occhi durante la rivolta a Fox River; proprio per questi motivi preferisco non insistere e non farle pressione, perché voglio che sia lei la prima a parlarne.

Voglio che si confidi con me volontariamente.

“Lascia stare” le dico quando apre il cofano della macchina “è andata a puttane. Rischi di ustionarti la pelle con il calore”

“Ma noi abbiamo bisogno di una macchina se vogliamo arrivare nello Utah! Dovrà esserci un modo per ripararla!”

“Ohh si, un modo c’è, su questo hai ragione. Sai che cosa dobbiamo fare? Chiamare un meccanico  che ci raggiunga per valutare i danni del motore. Pagare il meccanico, pagare il trasporto della macchina, pagare la riparazione e pagare le notti che passeremo in albergo. Sei sicura che abbiamo denaro a sufficienza per tutte queste cose e per il resto del viaggio?”.

Nicole prende il suo portafoglio da una tasca dei pantaloni, conta velocemente le poche banconote che ancora abbiamo a nostra disposizione e fa una smorfia.

“E cosa dobbiamo fare? Raggiungere il ranch a piedi?”.

Qualcuno suona il clacson; una vettura parcheggia affianco alla nostra e dal posto di guida scende un uomo.

“Va tutto bene?” ci domanda “siete in difficoltà?”

“Si” rispondo subito io; mi passo la lingua sul labbro superiore e penso a come sfruttare l’occasione a nostro vantaggio “io e la mia ragazza dobbiamo andare nello Utah. Tra poco ci sposeremo e lei è incinta, ma sua madre non potrà partecipare alle nozze perché è molto malata. Vogliamo farle una sorpresa, ma il motore della nostra macchina ha deciso di fare i capricci…”

“Abbiamo la stessa destinazione” dice l’uomo sorpreso, ed io alzo il sopracciglio sinistro.

“Anche lei sta andando nello Utah?”

“Abito lì. Io e mia figlia stiamo tornando da una vacanza”.

Lancio un’occhiata alla macchina e noto solo adesso la ragazzina seduta sui sedili posteriori: ha lunghi capelli castani e deve avere quindici, al massimo sedici anni.

Sorrido e torno a fissare suo padre.

“Se non è un disturbo… Accettiamo il suo passaggio volentieri. Come le ho detto poco fa, la mia ragazza aspetta un bambino e non può affrontare un simile viaggio a piedi, soprattutto con questo caldo”

“Si, lo capisco” risponde lui, allungando una mano “Jerry”

“Adam. Lei, invece, è Karla. Vorrei ricambiare la tua presa, Jerry, ma a causa di un brutto incidente sul lavoro non posso farlo” commento con una bassa risata, mostrandogli la mano sinistra, quasi del tutto fasciata, prima di salire in macchina.

Nicole fa lo stesso, ma prima mi guarda in modo strano, sospettoso.



 
Assesto un pugno allo specchio che c’è in bagno e poi chiudo gli occhi, stringendo con forza i denti.

La mano sinistra non mi dà un solo attimo di tregua: continua a pulsare ed a tratti, proprio come in questo momento, sento delle fitte che percorrono tutto il braccio ed arrivano fino al cervello.

Prima della nostra fuga Nicole ha messo all’interno di uno zaino dei flaconi di antidolorifici e così svito il tappo di una delle piccole confezioni arancioni e ne prendo quattro, che deglutisco insieme a dell’acqua fresca.

So che non è saggio abusare di medicinali simili, ma rischio d’impazzire per il dolore.

“Come stai?” mi domanda la mia compagna di viaggio quando torno in camera.

 “Bene, ma spero di riprendere il viaggio il prima possibile. Stiamo solo perdendo tempo prezioso. Scofield e gli altri potrebbero già essere nello Utah a quest’ora”

“Teddy, non essere paranoico. Goditi questa pausa prima di ripartire. Hai bisogno di riposo”

“Si, forse hai ragione” rispondo, scostando una tendina della finestra “ma preferirei essere in macchina piuttosto che in questo motel”

“Goditi questa pausa” ripete una seconda Nicole, con voce assonnata.

Esco dalla camera solo quando sono sicuro che si è addormentata e mi avvio in direzione della piscina del motel, lo stesso posto in cui si trova Danielle.

È proprio vero che le vecchie abitudini sono terribilmente dure da cambiare: per quanto uno ci prova, e si sforza, loro sono sempre dietro l’angolo e tornano a tentarti quando meno te lo aspetti.

Mi tolgo le scarpe, i calzini ed immergo i piedi nell’acqua tiepida, imitando la ragazzina.

“È proprio una splendida giornata, vero? Dove si trova tuo padre?”

“Sta riposando” risponde Danielle, distogliendo gli occhi scuri dalla rivista per posarli sul mio viso.

Ha dei lineamenti molto belli.

Ormai è raro vedere una bellezza acqua e sapone.

“Immagino che sia molto stanco… Ci aspettano ancora molte ore di viaggio… Mi dispiace non poter dare una mano ma…” non termino la frase e le mostro il mio arto martoriato; lei si copre la bocca, ma non lo fa per il disgusto, bensì per non far uscire la risata provocata dalla mia battuta.

La imito di nuovo e ci ritroviamo a ridere entrambi.

“La tua ragazza è bellissima. Organizzerete il matrimonio nello Utah?” mi domanda poi, incuriosita.

“No, andremo solo a trovare la madre di Karla. Ci sposeremo in Florida, in riva al mare. Ci piacerebbe farlo al tramonto”

“Ohh… Deve essere molto romantico”

“Vedrai che un giorno anche tu avrai un matrimonio simile… Che cosa stai leggendo?” appoggio la mano destra sulla copertina della rivista ed osservo il titolo e le immagini con un sorriso “ma questa è roba per ragazzine. Tu non sei più una ragazzina… Ormai sei una donna adulta, ma scommetto che tuo padre la pensa in modo diverso, vero?”

“Si… Si… In effetti per lui resto ancora una bambina di dodici anni, anche se tra qualche mese ne compio quindici”

“I genitori sono fatti in questo modo. Ai loro occhi i figli restano sempre dei bambini, anche quando sono adulti… Scommetto che sei ansiosa di dimostrare a tuo padre che il vostro punto di vista è molto diverso” sussurro.

Passo il braccio destro attorno alle spalle di Danielle, ma la sua espressione cambia drasticamente: diventa prima confusa e poi disgustata.

“Che cosa stai facendo? Ci stai provando con me?”

“No, no, no, no… Sono solo un amico”

“Vado a chiamare mio padre” risponde lei, scostando il mio braccio.

Si alza di scatto dal bordo della piscina, provo a fermarla ma è più veloce di me e corre in direzione del motel; indosso nuovamente sia i calzini che le scarpe, e quando raggiungo la stanza di Jerry e di sua figlia è ormai troppo tardi: lei sta piangendo contro il suo petto e gli ha già raccontato del mio approccio.

“Posso spiegarti ogni cosa” dico, alzando entrambe le mani “io non le ho fatto nulla. Non l’ho toccata. Ha frainteso”

“Danielle, esci, vai a prendere qualcosa da mangiare”.

Jerry allunga una banconota a Danielle e lei esce dalla camera senza dire una parola, a testa china, evitando di passarmi affianco; quando la porta si richiude tento di convincere nuovamente l’uomo, ma lui prende in mano un ferro da stiro e capisco che le sue intenzioni sono ben diverse e tutt’altro che amichevoli.



 
Qualche minuto più tardi rientro nella camera che divido con Nicole e la sveglio, scuotendola per la spalla destra.

“Svegliati. Adesso. Dobbiamo andarcene”

“Che cosa succede, Teddy? C’è la polizia?” mi domanda lei, con voce assonnata.

“No, ma arriverà ben presto” rispondo, a denti stretti, cercando di riempire i due zaini che abbiamo portato con noi.

“Perché indossi degli altri vestiti?”

“Che cosa non hai capito delle mie parole? Alzati subito o finiremo entrambi dietro le sbarre, in due carceri diversi”.

Solo a questo punto, dietro la mia minaccia, Nicole si alza dal materasso e mi aiuta a sistemare le ultime cose dentro gli zaini; la prendo per mano e la conduco al parcheggio del motel.

Frugo all’interno di una tasca dei pantaloni e tiro fuori le chiavi della macchina di Jerry.

“Perché hai quelle chiavi?”

“Sali in macchina” ordino, mentre prendo posto sul sedile del guidatore.

Giro la chiave, aziono il motore ed esco dal parcheggio proprio nello stesso momento in cui la ragazzina fa ritorno con in mano la busta di un fast-food; i nostri sguardi s’incontrano per qualche istante prima che la sua bocca si spalanchi in un urlo.

“Si può sapere che cazzo sta succedendo? Perché indossi questi abiti? Perché abbiamo rubato la loro macchina?”

“Nicole, quell’uomo mi ha riconosciuto e sono stato costretto ad ucciderlo”

“Che cosa? Tu… Tu lo hai…” balbetta lei, impallidendo “che cosa hai fatto? Teddy, che cosa hai fatto?”.

Non rispondo subito alla sua domanda, mi passo la lingua sulle labbra e poi decido di raccontare la verità, perché non ha senso mentire; parcheggio il mezzo in un posto isolato e poi mi volto a guardarla.

“Ho tentato di approcciare sua figlia”.

Ricevo due schiaffi su entrambe le guance, ma non provo a difendermi perché me li merito.

“Come hai potuto?” mi urla contro Nicole, sconvolta, con gli occhi colmi di lacrime “come hai potuto farlo? Avrà avuto sedici anni. Una ragazzina. Una ragazzina, Teddy. Scommetto che lei è scappata dal padre e tu lo hai ucciso per questo motivo”

“Aveva preso in mano un ferro da stiro, mi sono semplicemente difeso”

“Ma hai toccato sua figlia!”

“Le ho solo passato un braccio attorno alle spalle” rispondo, alzando a mia volta la voce “è un reato passare un braccio attorno alle spalle di una persona? Non l’ho aggredita. Non ho abusato di lei!”

“Ma il tuo intento era proprio quello, Teddy, è per questo che sei stato rinchiuso a Fox River! Perché tu.. Perché…” si blocca, per riprendere fiato, ma non le lascio il tempo di continuare e finisco io la frase.

“Perché sono un pedofilo ed un assassino. Puoi dirlo, Nicole, perché è la verità. Tutti sanno che la verità sa essere cruda e spietata”

“Si, ma tu non stai facendo nulla per cambiare. Ed io credevo… Credevo che sarebbe stato diverso…”.

Scoppio a ridere, divertito dalla sua ingenuità.

“Ahh, ho capito qual è il problema di fondo. Tu sei una di quelle dolci ed innocenti ragazze che pensano di riuscire a cambiare davvero un uomo con il potere del vero amore. Apri bene gli occhi e le orecchie, Nicole, perché ti sto per dare una lezione di vita che non devi mai dimenticare: il vero amore non esiste. Non esiste l’amore. È solo una fregatura. Esiste il sesso ed i piaceri della carne. Gl’istinti primitivi, da predatore. Togliti dalla testa l’idea di un possibile ‘noi’. Perché noi due non saremo mai una coppia, non avrai mai una fede nuziale da indossare e non sarai mai la signora Bagwell”

“Tu mi hai presa in giro per tutto il tempo”

“Sei carina, ma la tua presenza non mi fa battere più forte il cuore. Al massimo fa affluire il sangue che ho in corpo verso il basso inguine” rispondo con un ghigno.
Esco dall’abitacolo perché ho improvvisamente bisogno di respirare aria fresca e mi appoggio al cofano; lei mi raggiunge dopo qualche minuto, non ha più gli occhi lucidi e quando mi parla lo fa con tono fermo e deciso.

“Ho capito che cosa hai provato a fare, Teddy. Tu non pensi davvero quelle cose, le hai dette solo con la speranza di allontanarmi da te. Le hai dette con la speranza di suscitare il mio odio perché sei semplicemente terrorizzato dall’idea di farmi del male, come poco fa. Io per te non sono solo uno sfogo. Se fosse davvero così mi avresti già uccisa, oppure non ti saresti fermato quella notte in motel. Vuoi proteggermi e per farlo vuoi allontanarmi da te… E solo un uomo innamorato lo farebbe”

“Beccato in pieno, vostro onore” mi limito a dire, trattenendo a stento un sorrisetto.

Ho capito fin dal primo momento che Nicole è una persona intelligente, ma non credevo fosse anche così perspicace.

“Theodore, ho scelto io di stare a tuo fianco nonostante tutto. Non provare mai più a fare una cosa simile” sussurra, abbracciandomi “non farlo mai più, ti prego. Potrei crederci davvero la prossima volta”

“Scusami” sussurro a mia volta, stringendola a me “Nicole... Io non riuscirò mai a smettere di uccidere, ma ti prometto che finché sarai a mio fianco nessuno ti toccherà. Ed io mantengo sempre le mie promesse”.
 

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Capitolo 32
*** Double K. Ranch (T-Bag) ***


Non è semplice riuscire a trovare cinque milioni di dollari, soprattutto quando nessuno conosce od ha mai sentito nominare il ranch in cui sono seppelliti.

Mi passo la mano destra sulla fronte e mi siedo su un basso muretto: il caldo, la fame ed il dolore all’arto amputato fanno apparire delle macchie grigie nel mio campo visivo e sono costretto a riposarmi per non crollare a terra svenuto.

Vedo Nicole attraversare la strada per raggiungermi: anche lei è accaldata e lo dimostrano la maglietta che ha appallottolato sotto il seno ed i capelli raccolti in un nodo sulla nuca.

“Niente” dice, scuotendo la testa “nessuno conosce il Double K. Ranch. Sei sicuro che Westmoreland non abbia sbagliato nome? Dopotutto lo ha confessato prima di esalare l’ultimo respiro, sicuramente non era lucido…”

“Fidati, Nicole, era lucidissimo quando ha parlato dei soldi. Sono trascorsi molti anni, forse la gente fa fatica a ricordare o forse abbiamo avuto la sfortuna d’incontrare molti turisti. Ciò che importa veramente è che non abbiamo incontrato nessuno della mia vecchia squadra e questo è un punto a nostro vantaggio” rispondo, alzandomi dal muretto “riposati un po’ in macchina, io vado a prendere qualcosa da mettere sotto i denti. Non ci vedo più dalla fame…”

“Sicuro che il problema sia la fame e non la tua mano?” mi domanda lei, sistemandosi un ciuffo ribelle dietro l’orecchio sinistro “forse è meglio se vado io a prendere qualcosa da mangiare. Sei un po’ pallido, Teddy”

“Sto bene, ho solo bisogno di mangiare qualcosa” provo a rassicurarla prima di allontanarmi.

Attraverso la strada e mi avvicino ad un distributore di bibite e snack, osservo a lungo i vari prodotti ed alla fine opto per un sacchetto di patatine.

Faccio ancora fatica a compiere molte semplici azioni con una sola mano e così, quando tento di aprire la plastica utilizzando i denti, metà del contenuto finisce sull’asfalto ed io esprimo il mio disappunto lasciandomi scappare un’imprecazione.

Svuoto l’altra metà direttamente nella mia bocca e, mentre mastico, noto un ragazzo uscire da un fast-food.

Indossa dei jeans chiari, la felpa di un’università ed un cappello a visiera, ma io lo riconosco subito.

Lo raggiungo e gli passo il braccio destro attorno alle spalle; lui si volta e spalanca gli occhi, sconvolto.

“Oh, mio…”

“Tweener… Tweener… Tweener… Anche tu in gita nello Utah? Che cosa ti porta qui? Senti la necessità di trascorrere qualche giorno in campagna? A respirare dell’aria fresca e pulita in un ranch?”

“Stai lontano da me” urla, liberandosi dalla mia presa “qui non siamo a Fox River, ed io non ho bisogno di protezione. Non puoi farmi nulla, T-Bag!”.

Aspetto che finisca con la sua sceneggiata e poi lo afferro per il collo, sbattendolo con forza contro un muro.

“Stupido ragazzino, urla un’altra volta e giuro che ti faccio ingoiare la tua stessa lingua. Devo ricordarti che siamo due ricercati e non possiamo attirare l’attenzione? Che cosa hai scoperto del ranch? Da quanto tempo sei qui? Hai visto qualcuno della squadra?”

“Fanculo” si limita a rispondere Tweener, liberandosi una seconda volta “te l’ho già detto: qui non siamo a Fox River e non ho bisogno di protezione. Non ho alcun debito né nei tuoi confronti né in quelli del resto della squadra. Ognuno pensa per sé, giusto?”.

Lo guardo allontanarsi e scuoto la testa: il carcere non è servito affatto a David; il suo carattere arrogante non è minimamente cambiato e questo, prima o poi, gli procurerà una pallottola nel cranio.

Quelli come lui, che non sanno adattarsi, sono destinati a fare una fine simile.

Sollevo il viso e noto un imponente edificio dall’altra parte della strada.

Si tratta del municipio.

So che devo tornare da Nicole prima che inizi a preoccuparsi per me, ma forse ho appena trovato il modo per scoprire dove si trova il Double K. Ranch.



 
Appena esco dal municipio sento qualcuno passarmi un braccio attorno alle spalle, ed una voce che conosco fin troppo bene giunge alle mie orecchie.

“Buongiorno, dolcezza, che ne dici di fare una passeggiata insieme?” mi domanda Scofield, con il suo sorriso enigmatico, mentre Burrows non accenna a mollare la presa dal mio braccio “la tua mano non ha un bell’aspetto”

“Forse perché qualche figlio di puttana mi ha abbandonato dentro un capanno dopo che Abruzzi me l’ha tagliata” ringhio a denti stretti; Lincoln mi sbatte con forza contro la parete di un negozio ed io sento gli occhi riempirsi di lacrime per il dolore “nessuno ti ha mai detto che un giocattolo si rompe se lo tratti in modo così brusco, Linc? Scommetto che ti piace usare la violenza anche sotto le coperte”

“Chiudi la bocca, T-Bag, non siamo in vena di sentire le tue stronzate. Tutti e tre ci troviamo qui per lo stesso motivo e sappiamo che tu hai la pagina con la planimetria del ranch” dice Michael, fronteggiandomi “siamo appena stati in municipio a cercarla nei catasti e sai che cosa abbiamo scoperto? Qualcuno ha strappato proprio quella pagina”

“Io non c’entro nulla in questa storia, anche io sono appena uscito dal municipio dopo aver fatto la vostra stessa scoperta. Non siamo in tre nello Utah, ma in quattro”

“Quattro?” chiede Lincoln, ed io riesco a percepire il suo sguardo confuso dietro le lenti scure degli occhiali da sole che indossa “che cosa significa che siamo in quattro?”

“Significa, mio caro Burrows, che c’è un altro membro della squadra. Tweener. L’ho incontrato poco fa fuori da un fast-food. Sono sicuro che è stato lui a strappare la pagina dal catasto”.

I due fratelli si guardano per qualche minuto; quando quell’orso di Lincoln mi afferra nuovamente sento una voce femminile alle mie spalle.

“Che cosa state facendo? Lasciatelo subito andare!” protesta Nicole, in mio soccorso.

“Purtroppo, dottoressa Baker, non possiamo farlo” risponde Scofield, per nulla sorpreso della sua presenza “T-Bag è una persona pericolosa e noi non possiamo permettere che ferisca o uccida ancora degli innocenti. Finché sarà con noi non potrà far del male agli altri. Lei costituisce una garanzia in più”

“Non provare a toccarla. Mi hai sentito, piccolo Michelangelo? Giuro che se provi a toccarla…”

“Stai calmo, io non sono un animale come te. Non sono intenzionato a strapparle un solo capello, a meno che tu non mi darai motivo per farlo”.

Mi mostra la pistola che nasconde all’interno della giacca e questa volta so che non sta scherzando: Michael ha già dimostrato che è disposto a fare qualunque cosa se di mezzo c’è la vita del fratello maggiore.

Sono costretto a seguirli fino ad una macchina parcheggiata a poca distanza da quella che io e Nicole abbiamo rubato e ad entrare nel portabagagli.

L’oscurità più totale mi avvolge, ed ancora una volta mi ritrovo a pensare alla mia adolescenza.

Io e James ci cacciavamo spesso nei guai e così, per punizione, mia zia ci chiudeva nello sgabuzzino di casa, al buio.

Quasi sempre la responsabilità era mia.

Inizio a ridere da solo; non a causa dei ricordi, ma perché sono riuscito a fregare i due fratelli: Tweener non ha con sé alcuna pagina perché sono io che l’ho strappata dal catasto.

Frugo all’interno di una tasca dei pantaloni e tiro fuori il foglio ed una piccola torcia che accendo subito; illumino la planimetria ed inizio ad osservarla con cura, ripetendo a bassa voce i nomi delle diverse strade che bisogna percorrere per raggiungere il ranch.

La natura mi ha generosamente regalato una memoria fotogenica, di conseguenza impiego pochissimo tempo ad immagazzinare ogni singola informazione; Scofield e Burrows non devono trovare il foglio al loro ritorno e così lo strappo e mangio i diversi coriandoli di carta.

Quando torno a vedere la luce del sole è rimasto l’ultimo pezzo nel palmo della mia mano destra; porto anche quello alla bocca e lo mastico tranquillamente, sorridendo.

Ho appena il tempo di deglutirlo che Lincoln mi afferra per la camicia e mi sbatte contro il terreno polveroso.

“Noto con piacere che siete riusciti a trovare Tweener” commento, con una bassa risata; Michael appoggia le mani ai fianchi prima di rispondere.

“Si, questa è l’unica cosa di cui dobbiamo ringraziarti perché lo avevano riconosciuto”

“Razza d’idiota” scatto subito io, rivolgendo uno sguardo furioso a David, che se ne sta con la testa china e le mani nascoste nelle tasche dei jeans “lo sapevo che non avresti fatto altro che procurare guai”

“Non agitarti, T-Bag. Tweener è stato riconosciuto dal proprietario di un negozio di giardinaggio. Lo abbiamo stordito, legato e rinchiuso dentro uno sgabuzzino. Passerà del tempo prima che qualcuno lo trovi. Per precauzione abbiamo anche appeso il cartello ‘chiuso’ sulla porta”

“Ohh, certo, questo ci dà un enorme vantaggio per raggiungere il ranch e per trovare i cinque milioni”

“Proprio per questo motivo faresti meglio a restituirci il foglio” mi minaccia Burrows, mostrandomi il pugno destro “abbiamo perquisito Tweener e non ce l’ha”

“Ma io non posso restituirvi nessun foglio dal momento che si trova nel mio stomaco” rispondo, appoggiando la mano destra sul mio ventre; non riesco a continuare il discorso perché qualcosa di duro si abbatte contro il mio viso: la vista mi si annebbia e sento un gusto ferroso in bocca.

“Basta! Smettila!” urla Nicole, interponendosi tra me e quell’orso manesco di Lincoln “Teddy, stai bene?”

“Si, sto bene” dico a denti stretti, sbattendo più volte le palpebre “ma potrei stare meglio se quell’imbecille mi avesse lasciato finire la frase. Si, ho mangiato quel foglio, ma dal momento che sono dotato di una memoria fotogenica ricordo perfettamente ogni singolo dettaglio. Purtroppo non ho avuto il tempo di farmi tatuare la mappa su tutto il corpo. Questo significa che se volete trovare quel ranch dovete portare anche noi due e non posso viaggiare dentro il bagagliaio”.

Michael e Lincoln si guardano per qualche istante, ma poi sono costretti ad accettare la realtà: se vogliono scovare quei cinque milioni devono mettersi in affari con me.

“Salite in macchina”.

Scofield ci indica la vettura con un cenno del capo, mentre Burrows costringe David ad entrare nel bagagliaio: non possiamo rischiare che venga nuovamente riconosciuto e poi merita una punizione perché a Fox River è stato lui a spifferare a Bellick dell’esistenza del buco nella stanza delle guardie.



 
I due fratelli seguono le mie indicazioni e quando arriviamo ai piedi di una collinetta di sabbia ed arbusti secchi scendiamo dalla macchina, ad eccezione di Nicole e Tweener.

Iniziamo ad arrampicarci e dopo qualche istante protesto, a causa del caldo e della debolezza.

“Potete rallentare il passo? Vi ricordo che sono un disabile a causa vostra e sono giorni che non mangio qualcosa di decente” commento a denti stretti, passandomi la mano destra sulla fronte sudata; non ottengo alcuna risposta e quando li raggiungo sulla cima della collina capisco il perché del loro silenzio “oh… Merda…”.

Davanti ai nostri occhi non c’è il Double K. Ranch, ma un complesso di villette eleganti.

“A quanto pare hanno demolito la struttura per costruire un nuovo quartiere”

“E adesso cosa facciamo?”

“Cerchiamo il punto esatto grazie alla tua memoria fotogenica”.

Torniamo alla macchina ed informiamo Nicole della spiacevole scoperta prima di riprendere la nostra ricerca.

“Quindi… Come facciamo a trovare i soldi?” mi domanda, mordendosi il labbro inferiore.

“Non ti preoccupare” tento di rassicurarla “li troveremo grazie alla mia memoria fotogenica, esattamente come mi ha ricordato il nostro piccolo Michelangelo poco fa”

“Mettila in funzione, allora” ordina Burrows, mentre accende il motore della vettura; mi rivolge nuovamente la parola mentre imbocca una vietta del quartiere “stiamo aspettando le tue istruzioni, genio”

“Pensa, Theodore… Pensa…” mormoro, picchiettandomi la mano destra sulla fronte “c’era una casa… Vicino ad un enorme silos… E c’erano tre… No… Due alberi… Due alberi che sorgevano ai lati della casa…”

“È quella!” esclama Michael con sicurezza, indicando una villa dall’altra parte della strada.

“Come fai ad esserne così sicuro?” gli domanda Nicole, corrucciando le sopracciglia, mentre si fa aria con una mano a causa del caldo insopportabile.

“Vedete quell’albero? Qualcosa gli ha impedito di crescere come l’altro”

“Qualcosa gli faceva ombra… Qualcosa di molto grande… Come un silos…” concludo la frase con una risata, intuendo il suo ragionamento.

Il sorriso, però, scompare velocemente dalle mie labbra quando una donna bionda esce dall’abitazione.

Cazzo.

Questo rende il tutto molto più complicato.
 

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Capitolo 33
*** Still Alive? (T-Bag) ***


 
Indosso un cappello blu a visiera e poi raggiungo Nicole, che sta facendo lo stesso.

Sono sicuro che la goccia di sudore che le riga la guancia destra non è causata dal caldo, ma dall’agitazione e dalla paura.

“Non temere” sussurro, in modo che solo lei possa sentire le mie parole “ti ho detto che finché ci sarò io a tuo fianco nessuno ti farà del male”

“Quando ho acconsentito a venire con te nello Utah credevo di dover scavare in un ranch abbandonato, non di mentire ad una donna per entrare nella sua abitazione e cercare cinque milioni di dollari nel suo scantinato”.

Sento del risentimento nella sua voce e così le accarezzo una guancia ed una ciocca di capelli biondi che spunta da sotto il cappello a visiera; Nicole chiude gli occhi, rilassa le spalle e deglutisce a vuoto.

“Sei arrabbiata con me?”

“No, ma ho paura di avere un attacco di panico… Io sono stanca di mentire, Teddy… Sento di essere vicina a un altro crollo nervoso”

“Cerca di resistere ancora un po’. Pensa alla nuova vita che ci costruiremo quando avremo tra le mani la nostra parte di denaro” mormoro ancora, prima di posarle un bacio casto sulle labbra; Nicole si limita ad annuire in silenzio ed io mi allontano, lasciandole il tempo necessario per riprendersi.

Tweener ci sta fissando, ma quando i suoi occhi incrociano i miei li abbassa velocemente, concentrandosi sulla cartellina che ha in mano; lo raggiungo e chiedo spiegazioni che arrivano sottoforma di un balbettio impacciato.

“Io non… Io non stavo facendo nulla di male, T-Bag”

“No, ho visto il modo in cui la guardavi. Non lo devi fare mai più, hai capito? Lei non è tua, non appartiene a te. È mia”

“Potete smetterla?” interviene Lincoln, interponendosi tra noi due “non mi sembra il momento migliore per iniziare una zuffa”

“Soprattutto ora che la fortuna è dalla nostra parte” commenta Michael con un sorriso, raggiungendoci “sono riuscito a convincere la padrona, Jeanette, che siamo qui per riparare una tubatura difettosa. Ha detto che il marito è via per un pranzo di lavoro, quindi dobbiamo andarcene nel primo pomeriggio. Fate come vi dico io e nessuno si farà male, d’accordo?”

“Ai suoi ordini, capo” rispondo io, mimando un saluto militare.



 
 
Jeanette Owens, la proprietaria della villa, è una di quelle classiche donne che non vogliono arrendersi al tempo che passa: capelli ossigenati, viso pesantemente truccato, vestitino striminzito e tacchi vertiginosi.

Vuole essere una Barbie, ma assomiglia di più alla matrigna di Cenerentola.

“Ragazzi, siete sicuri che non volete qualcosa da bere? Magari un bel bicchiere di limonata ghiacciata? Oggi è una giornata particolarmente calda” domanda, accompagnandoci fino allo scantinato: dentro, fortunatamente, c’è una porta secondaria che conduce al giardino posteriore della villa, in caso di una fuga improvvisa.

“Non si preoccupi, signora Owens, siamo abituati a lavorare al caldo” rispondo con un sorrisetto.

“Mi auguro che la temperatura non si alzi troppo allora” commenta lei, con un sorriso altrettanto furbo “io sono nel salotto. Per qualunque cosa potete venire lì”.

Quando esce dalla stanza emetto un lungo fischio di ammirazione.

“Quella donna aspetta solo che qualcuno di noi le spalanchi le gambe”

“Chiudi la bocca e aiutaci”

“Non posso farlo, Michelangelo, desolato” rispondo, indicandogli la mia mano sinistra.

Mi siedo sul pavimento mentre Michael, Lincoln e Tweener usano dei martelli per spaccare il cemento; Nicole, invece, fa da palo fuori dalla porta secondaria.

Dopo circa mezz’ora dall’inizio degli scavi torna da noi, con il volto pallido, per avvisarci che abbiamo visite.

Con mia grande sorpresa Sucre e C-Note entrano nello scantinato.

“Ho ricevuto il tuo messaggio” dice il primo a Scofield, abbracciandolo, ed io corruccio le sopracciglia perché non capisco a che cosa si stia riferendo “per puro caso ho incontrato Benjamin per strada e gli ho dato un passaggio. Sbaglio o avete bisogno di un paio di braccia in più?”

“Un paio di braccia in più equivale ad una fetta meno sostanziosa di denaro per ciascuno” commento irritato, per nulla contento dell’arrivo di altri due membri nella nuova squadra.

C-Note si accorge finalmente della mia presenza e si avvicina a me con un’espressione di totale sorpresa stampata sul volto.

“Amico… Sei ancora vivo? L’ultima volta che ti ho visto stavi piangendo come una femminuccia perché Abruzzi aveva appena finito di giocare al macellaio… Ti sei fatto riattaccare la mano? Ecco da dove proviene questa puzza”

“Forse ti stai confondendo con l’odore che emana la tua pelle, Benjamin”

“Quanto mi sei mancato, Theodore”

“Ragazzi, tutto questo è molto commovente, ma dobbiamo continuare a scavare se vogliamo davvero trovare i cinque milioni di dollari che Westmoreland ha nascosto qui sotto”.

Le parole di Michael ci riportano alla realtà: Benjamin si allontana da me, prendo nuovamente posto sul pavimento ed osservo in silenzio gli altri che riprendono a scavare.



 
Grazie al cielo nello scantinato c’è una piccola TV che decido di accendere per combattere la noia: nello schermo compare subito l’edizione speciale di un telegiornale.

John Abruzzi è stato ucciso in uno scontro a fuoco con la polizia perché non ha voluto arrendersi e posare la pistola che aveva in mano.

Sorrido soddisfatto perché quel figlio di puttana ha avuto esattamente ciò che meritava.

“Amen, pace all’anima sua!” esclamo, congiungendo le mani; corruccio le sopracciglia e socchiudo le labbra quando trasmettono le nostre foto segnaletiche “perché le foto mi fanno sempre sembrare uno psicopatico? Se lo avessi saputo prima mi sarei messo in posa”

“Sai, T-Bag” commenta C-Note, continuando a scavare con una pala da giardino “i tuoi genitori devono essere davvero orgogliosi di te. In un colpo solo hanno cresciuto un razzista, un pedofilo ed uno stupido”

“Almeno il mio scopo nella vita non è arrampicarmi sugli alberi alla ricerca di banane”.

Benjamin sta per ribattere alla mia battuta, ma non ha il tempo di farlo perché la porta si apre ed entra Jeanette, che reagisce con sorpresa ed irritazione quando vede Sucre e C-Note.

“E loro due chi sono?” domanda, infatti, inarcando un sopracciglio.

“Abbiamo dovuto chiamare dei rinforzi, signora Owens, purtroppo il problema è più grave di quello che avevano previsto” risponde Michael, senza esitare; la donna, però non sembra essere del tutto convinta.

“Quanto tempo impiegherete prima di sistemare tutto? Mio marito sarà a casa tra poche ore…”

“Non si preoccupi, sarà tutto sistemato entro il primo pomeriggio”.

Jeanette esce nuovamente dalla stanza ed io mi lascio scappare un verso frustato, gettando a terra il cappello che indosso.

“Non possiamo andare avanti in questo modo. Se la vacca continua ed entrare prima o poi capirà che non siamo degli idraulici. Qualcuno deve distrarla. E dal momento che non posso scavare mi sacrificherò io” dico, alzandomi dal pavimento, mi avvicino alla porta che conduce al resto dell’abitazione e Scofield mi afferra prontamente per il braccio sinistro.

“Non farle del male. Non voglio avere le tue vittime sulla mia coscienza”

“Michael, ti puoi fidare di me, non sono un principiante. So quando è necessario versare del sangue e quando non è affatto saggio farlo. Lasciami andare, stiamo perdendo tempo prezioso” rispondo in un sussurro, guardandolo negli occhi; non è convinto, ma mi lascia ugualmente andare perché è consapevole del fatto di non avere altra scelta.

Esco dalla porta, percorro un breve corridoio ed entro in quello che è un salotto decorato in modo eccessivo, forse perfino pacchiano.

La signora Owens è seduta su un divano color porpora: sta guardando una telenovela e, di tanto in tanto, si porta alle labbra un bicchiere di limonata con ghiaccio.

Quando si accorge della mia presenza mi rivolge un sorriso compiaciuto.

“È stanco di stare con i suoi amici?”

“Non posso essere molto d’aiuto a causa di un brutto incidente sul lavoro” rispondo, mostrandole la mano parzialmente fasciata “mi domandavo se l’invito per quel bicchiere di limonata è ancora valido, signora Owens”.

Lei sorride ancora una volta.

“Può chiamarmi semplicemente Jeanette. La preferisce liscia o corretta con della tequila?”

“Io amo il Messico”.

La seguo in cucina e mi accomodo su una delle sedie disposte attorno ad un tavolo di legno chiaro, dalla forma circolare, mentre prepara il mio drink ne approfitto per osservarle il fondoschiena, nascosto a fatica da una minigonna bianca.

Non è male, ma non è roba naturale.

“Ecco qua!” esclama soddisfatta qualche minuto più tardi, porgendomi un bicchiere alto, su cui ha posato uno spicchio di lime appena tagliato.

Lo prendo in mano, lo avvicino alle mie labbra e mi gusto qualche sorso prima di riprendere a parlare.

Ormai sono quasi sei anni che non assaporo qualcosa di alcolico.

“Jeanette, lei è una formidabile donna di casa. Suo marito è un uomo davvero molto fortunato… Non ho potuto non sentire il profumo che indossa… Posso…”

“Naturalmente” risponde lei, ed allunga il braccio destro.

Mi prodigo in un elegante baciamano e chiudo gli occhi, respirando il profumo dolce e costoso di fiori e liquirizia.

Un brivido mi percorre la spina dorsale.

“Questo profumo… Si chiama Angel?”

“Si, esatto… Come ha fatto ad indovinare?” mi chiede, per poi rivolgermi uno sguardo comprensivo “mi lasci indovinare… Lo indossava sempre una sua ex di cui è ancora innamorato”

“Ormai è una storia che appartiene al passato” sussurro, mordendomi la punta della lingua, mentre mi sforzo di non ripensare a Susan.

La mano sinistra di Jeanette che si posa sulla mia coscia destra mi riporta piacevolmente alla realtà.

“Lei è una persona discreta?”

“Nessuno è più discreto di me” rispondo, con un sorriso.

La signora Owens avvicina il viso al mio e sento le sue labbra sfiorarmi l’orecchio destro.

“Sa quel tipo grosso che è con voi? Quel tipo forte… Che non parla molto…” mormora, ed io capisco subito che si sta riferendo a Linc “potrebbe andare da lui e chiedergli se vuole bere qualcosa insieme a me quando il vostro turno sarà terminato?”.

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Capitolo 34
*** Five Millions (Nicole) ***


Anche se devo fare il palo in giardino riesco ugualmente a sentire ciò che dice il resto della squadra, e le parole che giungono alle mie orecchie non mi piacciono affatto.

Soprattutto i commenti pungenti che C-Note rivolge a Teddy.

“Ehi” mi dice Tweener qualche minuto più tardi, uscendo dallo scantinato, si passa una mano tra i capelli corti ed evita di guardarmi negli occhi “devo scendere in città perché il furgone che abbiamo rubato è quasi a secco di benzina e non possiamo rischiare che si fermi durante la fuga. Michael ha detto che devi prendere il mio posto a scavare finché non ritorno”

“D’accordo” rispondo, appoggiando la cartellina che ho in mano sopra un tavolino “fa attenzione”

“Si, certo” risponde lui, in tono schivo, prima di allontanarsi.

Entro in casa e chiudo la porta alle mie spalle; Scofield mi porge subito la pala di Tweener e tutto quello che dice è che devo imitare gli altri.

“Dov’è T-Bag?” chiedo, accorgendomi della sua assenza.

“Ohh, non ti preoccupare, dolcezza. Il tuo principe azzurro è andato a far compagnia alla padrona di casa, se capisci ciò che intendo” risponde prontamente C-Note, guardandomi con un sorriso; non dico nulla, ma stringo le labbra in una linea sottile.

La sola idea di quella donna che accarezza Teddy mi fa andare in bestia.

“Nicole” a distrarmi dai miei pensieri ci pensa la voce di Sucre, questa è la prima volta che mi rivolge la parola “come fa una ragazza giovane e carina come te a stare con una persona come T-Bag? Insomma… Lui è… Io e lui siamo sempre andati d’accordo a Fox River, ma… Lui…”

“Come fai a stare con una persona come lui?” interviene Lincoln, furioso “tu sai quello che ha fatto?”

“Conosco ogni singolo dettaglio del suo passato” rispondo in tono freddo, senza lasciarmi intimidire dal suo sguardo duro e lui mi risponde nello stesso, identico, modo.

“Allora questo significa che sei pazza quanto lui”.

Nello scantinato cala il silenzio e l’unico rumore che si sente è quello dei nostri respiri affannati e delle pale che spostano la terra; il tempo trascorre con una lentezza estenuante ed il nervosismo della squadra aumenta sempre di più perché non c’è traccia dei cinque milioni di dollari.

Michael continua a camminare rigirandosi una penna tra le mani, ma la sua preoccupazione è dovuta ad altro.

“Ci sta mettendo troppo…” inizia a ripetere a bassa voce “T-Bag ci sta mettendo troppo… Sentite? Nessun rumore. Vado a controllare”.

Esce senza aggiungere altro, a passo veloce, mentre noi continuiamo a scavare.

Trascorrono almeno dieci minuti di totale silenzio.

“Sta succedendo qualcosa” commenta Lincoln, rivolgendo gli occhi al soffitto “sta succedendo qualcosa e Tweener non è ancora tornato. Lo hanno beccato… Adesso vado a controllare… Giuro che se quel pazzo ha toccato mio fratello…”.

Non termina la frase perché dall’esterno giunge il rumore di una macchina che parcheggia; Sucre esce a controllare e torna quasi subito, agitato.

“Polizia”si limita a sussurrare.

“Tu resta qua” mi ordina Burrows “voi venite con me”.

Quando resto da sola stringo le mani attorno alla pala.

Ho paura, non so cosa fare e soprattutto non so dove si trova Teddy.

Riesco a tirare un sospiro di sollievo solo quando vedo quasi tutta la squadra rientrare nello scantinato, compreso il mio uomo.

“Allora?” domando, allentando la presa sulla pala.

“La figlia della padrona di casa. Una poliziotta. Non sembra una barzelletta?” risponde T-Bag, scoppiando a ridere “le abbiamo legate ed imbavagliate, Sucre si sta occupando di loro. Stanno entrambe bene e non è stato tolto loro un solo capello. Esattamente come promesso”

“Forza, riprendiamo a scavare” interviene Michael, con una punta di agitazione nella voce “il tempo a nostra disposizione è finito e dobbiamo…”

“Michael!” esclama C-Note, interrompendolo.

Io e gli altri ci voltiamo a guardarlo: dal terriccio sbuca un pezzo di carta verde.

Nessuno riesce a trattenere delle grida di eccitazione: Michael, Lincoln, C-Note ed io recuperiamo le diverse mazzette di banconote mentre Teddy si occupa di contarle con cura e di sistemarle all’interno di un grosso zaino azzurro.

“Cinque… Cinque milioni esatti” dice alla fine, ridendo “Westmoreland aveva ragione”

“Dio benedica quel figlio di puttana” commenta Burrows, con le lacrime agli occhi.

“Fermi tutti”.

L’umore dell’intera squadra cambia drasticamente quando Sucre compare dal corridoio e punta contro di noi la canna di una pistola.

“Amico, si può sapere che cazzo stai facendo? Avevamo detto di dividere i soldi” gli urla contro Benjamin.

“Spiacente, ma la mia ragazza sta per avere un bambino. Quei soldi servono a me per iniziare una nuova vita. Avanti. Niente scherzi. Passami quello zaino, T-Bag”

“Ti conviene scappare molto lontano, perché se ti trovo giuro che non mi limiterò a tagliarti la gola” dice a denti stretti Teddy, mentre gli passa il borsone.

Fernando non risponde e si allontana velocemente; nello stesso momento, dal viale, arriva il suono inconfondibile di alcune sirene.

Questa volta la polizia è davvero a pochi passi da noi.

T-Bag mi afferra per un braccio proprio quando il panico inizia ad immobilizzare tutti i muscoli del mio corpo: mi trascino fino ad una piccola macchia di alberi e mi ordina di non muovermi perché deve tornare indietro a recuperare qualcosa.

“Non puoi farlo! Potrebbe essere troppo pericoloso! Che cosa faccio se ti prendono?”

“Non accadrà” mi rassicura prima di scomparire dalla mia vista.

Aspetto il suo ritorno in silenzio, rigirandomi tra le mani un pezzo di stoffa della tuta, pregando di non essere scoperta da alcuni agenti.

Fortunatamente non è un uomo in divisa a spostare alcuni rami, ma Teddy che mi prende per mano.

Non so per quanto tempo corriamo, ma ci fermiamo solo davanti al recinto di un’abitazione ed io sono costretta ad appoggiarmi sui paletti di legno per non crollare a terra.

“Perché ci siamo fermati qui?” domando, con il fiato ansante.

“Non muoverti” risponde, senza fornirmi altri dettagli.

L’osservo entrare nell’abitazione e tornare dopo un quarto d’ora, a bordo di una macchina.

“Sali”

“E… Questa?” gli chiedo, mentre prendo posto sul sedile anteriore riservato al passeggero.

“Mentre cercavamo il ranch ho notato per caso questa macchina in vendita… Dal momento che la nostra è impossibile da raggiungere a piedi ho pensato che fosse una buona idea comprarla”

“Ma, Teddy, abbiamo quasi finito i soldi e Sucre ha rubato i cinque milioni…”.

Non riesco a terminare la frase perché lui scoppia a ridere ed io lo guardo sconcertata, sicura che sia totalmente impazzito.

“Sucre non ha rubato davvero i soldi. L’ho sentito parlare con Michael mentre io e C-Note legavamo quelle due puttane. Era tutta una sceneggiata per non dividere i soldi con noi, ma io sono più furbo. Prendi il borsone che c’è sui sedili posteriori e aprilo” mi dice, facendo un cenno con il capo, sorridendo.

Lo accontento e quando apro la cerniera del borsone spalanco gli occhi alla vista delle numerose mazzette di banconote verdi e fruscianti.

“Ma… Io…” riesco solamente a balbettare.

“La borsa che ha preso Sucre era piena di riviste. Quei cinque milioni sono tutti nostri, Nicole. Tutti nostri”.

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Capitolo 35
*** Ghosts Of The Past (Nicole) ***


“Sai…” dico, dopo aver bevuto un lungo sorso di birra “la prima volta che sono entrata a Fox River il direttore Pope mi ha ricevuta nel suo Studio. C’era un modellino del Taj Mahal che occupava quasi un’intera scrivania. Mi ha raccontato che era una sorpresa per la moglie per il loro anniversario, perché anni prima era rimasta incantata dall’originale. Ricordo che ho invidiato sia lui che la moglie perché io non ho mai avuto la possibilità di fare un viaggio”

“Questo non sarà più un problema” risponde T-Bag “abbiamo cinque milioni a nostra disposizione da spendere in qualunque modo vogliamo, Nicole”.

Ed è proprio ciò che abbiamo già iniziato a fare, dato che ci troviamo nella lussuosa suite di un hotel a cinque stelle.

“Theodore…” lo chiamo per nome dopo un lungo silenzio “ci sono delle cose che devi sapere su di me. Io non… Io non sono la persona che pensi di conoscere, da quando sono entrata a Fox River sono stata costretta a raccontare molte bugie”.

Deglutisco a vuoto.

Sto per confidare a Teddy ricordi che non sono mai riuscita a raccontare a nessuno, neppure alla mia psicologa.

Ricordi che ho provato a dimenticare, ma che non hanno mai abbandonato la mia mente; ricordi che sono sempre stati nascosti, rilegati in un angolo buio e lontano, ma pronti ad uscire in qualunque momento, soprattutto durante la notte, nei miei incubi.

Lui si limita a fare un cenno con la testa ed a pronunciare due semplici parole.

“Ti ascolto” mi dice, ed io so di avere la sua completa attenzione.

Abbasso gli occhi e mentre inizio il mio racconto stringo un lembo del lenzuolo nella mano sinistra.

“La mia infanzia e la mia adolescenza non sono state come quelle delle altre ragazzine. Vivevo in una casa di campagna con mia madre e mio padre. Mio padre non era solo un uomo violento e manesco. Era un mostro. E mia madre vedeva solo ciò che voleva. Dopo tutti questi anni non ho mai capito se si rifiutava di guardare in faccia la realtà o se era semplicemente terrorizzata da lui… Forse entrambe le risposte sono giuste. Trascorrevo ogni notte rannicchiata nel mio letto, Teddy, letteralmente paralizzata dalla paura di vedere la maniglia della porta che si abbassava. Quando accadeva… Chiudevo gli occhi e pregavo che tutto finisse il prima possibile” mi fermo per qualche istante perché sto per arrivare alla parte più difficile “a quattordici anni sono arrivata ad un punto di rottura. Non riuscivo più a sopportare quella situazione e non sapevo come cercare aiuto. Avevo l’impressione che tutti, in paese, sapevano quello che accadeva tra le mura di casa mia, ma preferivano tacere. E così ho deciso di risolvere la faccenda da sola”

“Che cosa hai fatto?”

“Io… Io volevo solo farla pagare a lui… Non volevo coinvolgere anche mia madre… L’intera casa ha preso fuoco…” scoppio in lacrime perché non riesco più a sopportare il peso del mio passato, ma quando Teddy prova ad abbracciarmi lo scosto in modo brusco “io non sono la persona che credi di conoscere. Nessuno ha mai sospettato di me, ma sono stata costretta a scappare per non finire in un orfanotrofio o in una famiglia affidataria. Non ho mai studiato medicina, tutto quello che so l’ho letto nei libri. Non ho mai preso la laurea, non ho mai finito la scuola. Non ho ventisette anni, ne ho appena ventuno e… E Nicole Baker non è neppure il mio vero nome… Io…”

“Nicole, basta, basta così” mormora T-Bag, appoggiando entrambe le mani sulle mie guance umide di lacrime “non devi tormentarti. Tuo… Quell’uomo meritava una fine così violenta e lo stesso vale per la donna che ti ha messa al mondo, perché non è stata in grado di proteggerti. Non m’importa se non sei una dottoressa, non m’importa se non hai ventisette anni e non m’importa se il tuo nome è un altro. Tu per me sei Nicole, la mia Nickie Q., tutto il resto non ha importanza”

“Si che ha importanza… Io non… Io non sono mai riuscita ad avere un rapporto intimo con un ragazzo a causa del mio passato, ecco perché quella notte ti ho bloccato. Io non so come… Non so come affrontare e superare questa cosa, Teddy, non so davvero come fare”

“Troveremo un modo” mi rassicura, accarezzandomi i capelli.

Nascondo il viso contro il suo petto e scoppio in lacrime; lui non pronuncia una sola parola e mi lascia sfogare tutto il dolore che ho represso per troppo tempo.



 
Non so esattamente come sono scivolata nel sonno, ma quando apro gli occhi nella camera regna il silenzio più assoluto.

“Teddy? Teddy, dove sei?” domando, ad alta voce, non ottengo alcuna risposta e così capisco che è uscito; accendo la TV, cerco qualcosa d’interessante mentre attendo il suo ritorno e mi alzo solo quando sento qualcuno bussare alla porta “si? Chi è?”.

Nessuno risponde e quando apro la porta resto sbalordita davanti all’enorme mazzo di rose che nasconde completamente la persona che lo regge in mano.

“Sorpresa, sorpresa” risponde la voce di T-Bag “volevo essere sicuro che il tuo fosse un risveglio piacevole. Ho comprato anche una scatola di cioccolatini, spero siano di tuo gradimento”

“Vuoi trasformarti nell’uomo perfetto?” chiedo, con una risata, appoggiando i fiori e la scatola sul materasso; trattengo il respiro quando riesco finalmente a vederlo: Teddy non indossa più i vestiti che ha rubato al cadavere di Jerry, ma un completo elegante, con una camicia blu scuro, ed un paio di scarpe nere e lucide “e… Questo?”

“Te l’ho detto: volevo essere sicuro che il tuo fosse un risveglio piacevole” dice lui con un sorriso; noto che posa qualcosa sopra un mobile, socchiudo gli occhi accorgendomi che si tratta di un girasole con un fiocco colorato allacciato sul gambo.

“E quel fiore? Che cosa significa? Per chi è?”

“Per… Una persona. Prima di pensare alla nostra nuova vita dobbiamo far visita ad una persona”

“E chi è questa persona?” domando, ed il mio cuore inizia a battere con più forza.

“La mia ex compagna”.

Mi alzo dal bordo del letto, mi avvicino a T-Bag e lo colpisco con uno schiaffo.

Tutto potevo immaginare, tranne che nella sua vita ci fosse già un’altra donna.

“Come hai potuto?” gli urlo contro “come hai potuto farmi questo dopo ciò che ti ho confidato ieri sera? Lo sai quanto è stato difficile per me raccontare quelle cose che appartengono al mio passato? Non le ho mai dette a nessuno, neppure alla mia psicologa. Tu sei il primo e l’ho fatto perché pensavo che avresti capito! Invece, neppure ventiquattro ore dopo, compri un girasole per la tua ex compagna e dici che dobbiamo andare da lei!”

“Nicole, bambina, hai frainteso tutta la situazione” risponde lui, massaggiandosi la guancia destra che ha già iniziato a cambiare  colore “non voglio avere di nuovo una relazione con Susan. Lei è la donna che mi ha denunciato alla polizia e mi ha fatto finire dentro Fox River. Ho dei conti in sospeso che sono intenzionato a chiudere il prima possibile”

“Vuoi… Ucciderla?”

“Voglio solo fare una chiacchierata con lei e con i suoi figli”.

Spalanco gli occhi perché finalmente capisco quali sono le sue vere intenzioni: vuole vendicarsi della sua ex compagna e della sua famiglia, sicuramente nel modo più brutale possibile.

“Teddy” mormoro, cercando di farlo ragionare “capisco quello che stai dicendo, ma sarebbe una mossa troppo rischiosa. Forse non collegheranno mai l’omicidio di Jerry a noi due, ma se fai del male a Susan ed ai suoi figli la polizia capirà subito che la responsabilità è tua. Ti prego, abbiamo i cinque milioni di Westmoreland, lasciamoci questa brutta storia alle spalle”

“Non posso farlo, Nicole”

“Cerca di vedere il lato positivo almeno”

“E quale sarebbe?” mi domanda T-Bag, incuriosito.

“Grazie alla sua denuncia noi due ci siamo conosciuti” rispondo, con un sorriso, riuscendo a contagiarlo.

Non conosco Susan, ma so che deve aver sofferto per il modo in cui è finita la sua storia con Theodore; questo, però, non mi tocca minimamente perché il suo rifiuto mi ha permesso di conoscere l’uomo di cui mi sto innamorando.

Anzi, di cui sono già innamorata.
 

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Capitolo 36
*** Little Red Riding Hood And The Bad Wolf (T-Bag) ***


Nicole è fortemente contraria a quello che sto per fare e mentre parcheggia la macchina non perde occasione per fare un ultimo, quasi disperato, tentativo.

“Teddy, sei ancora in tempo per cambiare idea. Non voglio vederti imboccare una strada senza ritorno” mormora, guardandomi con i suoi occhi azzurri, da bambina.

So che cosa sta tentando di fare: vuole impedirmi di fare l’ennesimo errore che mi porterà ad avere ancora del sangue innocente sulle mie mani.

In parte la capisco perché ogni donna innamorata vuole solo il meglio per il proprio uomo, ma io non posso chiudere gli occhi, voltare le spalle e fingere che nulla sia accaduto; lei non sa che cosa significa essere traditi da una persona che si ama veramente, con tutto il cuore.

Non sa che cosa significa vedere l’affetto sparire dai suoi occhi, sostituito dall’odio e dal disprezzo, ed essere sbattuti fuori di casa come un cane rognoso.

Per me è impossibile imboccare una strada senza ritorno: ci sono già dentro da tempo e non ho a disposizione una retromarcia da ingranare, posso solo continuare a spingere il piede sull’acceleratore e pregare di non trovare un ostacolo.

“Aspettami qui” mi limito a dire, mentre esco dalla macchina “cercherò di finire questa faccenda in pochi minuti”.

M’incammino lungo il vialetto deserto e stringo le dita attorno al gambo del girasole che ho con me.

Un modo piuttosto infantile per combattere l’ansia.

I ricordi cercano prepotentemente di farsi strada nella mia mente, soprattutto quelli legati alla notte in cui sono stato arrestato e condotto a Fox River, ma io li ignoro e continuo a camminare, preferendo concentrarmi su altro.

Ho già deciso le parole che dirò a Susan quando il suo viso comparirà davanti ai miei occhi.

Buonasera, signora Hollander. È davvero bellissima questa sera.

Lo stesso, identico, saluto che le ho rivolto cinque anni fa, poche ore prima del mio arresto.

Il fiore che ho in mano scivola a terra quando, nel giardino della mia ex compagna, vedo un cartello su cui spiccano delle lettere rosse.

Vendesi.

Attraverso la strada confuso, ma la realtà mi colpisce con la sua crudezza quando apro la porta d’ingresso e ad accogliermi è solo il silenzio che regna in una casa completamente disabitata, spogliata da ogni mobile e soprammobile.

Entro, chiudo la porta senza fare rumore e mi dirigo nella stanza che un tempo era il salotto.

Tutto ciò che trovo è una semplice sedia abbandonata al centro della stanza; mi lascio cadere su essa ed abbasso lo sguardo sulle assi del pavimento: Susan deve essersi trasferita dopo aver appreso della mia evasione in TV, ed adesso potrebbe essere in qualunque città degli Stati Uniti.

Non riesco a formulare altri pensieri perché qualcuno, o qualcosa, mi attacca alle spalle, colpendomi sulla nuca.



 
Non so per quanto tempo resto privo di sensi, ma quando sollevo le palpebre mi ritrovo nuovamente sulla sedia  con i polsi, le caviglie ed il busto immobilizzati da alcune corde spesse.

“Ma guarda, guarda… A quanto pare il nostro Teddy si è finalmente svegliato. Hai fatto dei bei sogni?”.

Nel mio campo visivo appaiono un uomo robusto, dall’aspetto trascurato, ed un ragazzo con i capelli neri e lo sguardo freddo, che non lascia trasparire la minima emozione.

Sono Bellick ed Adam.

“Ohh, Brad, sono davvero contento di vederti” dico, con una bassa risata “non immagini neppure quanto mi sei mancato. Sai… Ti penso intensamente tutte le notti”.

Dalla sua bocca esce un verso simile ad un grugnito; si avvicina a me e mi afferra con forza i capelli, costringendomi ad alzare il viso ed a guardarlo dritto nei suoi occhi porcini.

“Adesso ti racconterò una storia divertente, Theodore. Voglio che tu l’ascolti in silenzio, senza interrompermi, altrimenti sarò costretto a prendere dei provvedimenti poco piacevoli nei tuoi confronti” sussurra, prima d’iniziare il suo racconto “quando tu ed il tuo allegro gruppo di amichetti avete deciso di evadere da Fox River sono volate molte teste all’interno del personale, tra cui quella del direttore Pope e la mia. Mi sono ritrovato da un giorno all’altro a casa, senza un lavoro e con il peso della vergogna sulle mie spalle. Per colpa vostra sono stato ad un solo passo dal compiere un gesto estremo. Avevo un fucile carico tra le mie mani quando, in TV, ho sentito che su ognuno di voi pendeva una taglia sostanziosa di centomila dollari. E così mi sono chiesto: perché dovrei farla finita quando ho la possibilità di vendicarmi di quei figli di puttana e di guadagnare un bel po’ di soldi? Così ho riposto l’arma dentro l’armadio e mi sono procurato il partner perfetto per questa piccola avventura”

“Io e Brad abbiamo iniziato a seguire assiduamente i telegiornali ed a comprare qualunque giornale o rivista che parlasse della vostra evasione” continua Adam, incrociando le braccia all’altezza del petto, sempre con la stessa espressione impassibile “ed abbiamo subito notato una cosa alquanto strana e sospetta: nessuno di voi stava tentando di raggiungere il Messico ed i pochi avvistamenti erano avvenuti tutti in direzione dello Utah. Così abbiamo deciso di prendere anche noi quel sentiero, ed una volta arrivati a destinazione abbiamo avuto una curiosa conversazione con una donna che diceva di essere stata presa in ostaggio da un gruppo di finti operai che hanno scavato nella sua cantina. Questa donna ha anche detto che uno di loro, dall’aspetto particolarmente inquietante, le ha infilato una banconota da cento dollari nella maglietta prima di andarsene. Noi due non sappiamo con esattezza che cosa è accaduto dentro quella casa, ma gli elementi che abbiamo a nostra disposizione ci fanno dedurre che c’entra con un bottino piuttosto consistente”

“Tutto questo è molto affascinante, ma le vostre teorie sono assurde. Un bottino? Queste sono cose che si leggono in un libro o si vedono in un film. Non succedono nella vita reale” rispondo, con un ghigno.

Un pugno si abbatte contro il mio stomaco e sono costretto a piegarmi in avanti ed a sputare un grumo di saliva mista a sangue.

“Forse… Ma il cugino di Sucre ha detto di aver sentito Westmoreland parlare di cinque milioni di dollari nascosti in un ranch nello Utah… Mi sembra che tutto coincida, no?” prosegue il ragazzo, senza mai staccare gli occhi dai miei; Bellick rafforza la presa attorno ai miei capelli, ma dalle mie labbra non esce un solo gemito.

“Avanti, Teddy, sappiamo che sei tu ad avere quei cinque milioni. Dicci dove sono” interviene lui, in tono minaccioso.

“Vuoi sapere dove sono quei soldi? Li ho spesi tutti ieri notte in compagnia di tua madre”.

Esistono molti modi per provocare una persona, ma l’argomento ‘madre’ è sempre il migliore.

Il pugno destro del grasso maiale si schianta contro il mio naso, ed è solo il primo di una lunga serie che si abbatte sul mio viso e sul mio stomaco evitando, fortunatamente, il basso inguine.

Quando si ferma, qualche minuto più tardi, abbiamo entrambi il fiato ansante ed in bocca sento il gusto ferroso tipico del sangue; nonostante ciò dalle mie labbra non esce alcun gemito, anzi, le piego in un sorriso strafottente e trovo perfino la forza di scoppiare in una bassa risata.

“Così non funziona” dice Bellick, passandosi una mano sulla fronte “dobbiamo cambiare metodo. Vai a prendere il nostro piano B”.

Adam esce dalla stanza e quando fa ritorno il mio sorriso si spegne rapidamente.

Non è da solo, con lui c’è Nicole: ha una robusta corda attorno ai polsi e del nastro adesivo che le copre la bocca; i suoi occhi sono asciutti, ma non riescono a nascondere il terrore che sta provando in questo momento.

“Lasciatela stare, lei non c’entra nulla in questa storia” mormoro  a denti stretti, ed ovviamente ricevo una risata sprezzante come risposta.

“Rilassati, T-Bag, non vogliamo rovinare il bel faccino della dolce dottoressa Baker. Ma dal momento che tu non vuoi parlare lo deve fare qualcun altro” Brad le strappa il nastro adesivo dalla bocca con un gesto veloce e poi torna vicino a me; mi afferra di nuovo i capelli e sento qualcosa di freddo e appuntito contro la pelle della gola “ascoltami molto bene, dolcezza. Se non mi dici subito dove si trovano i cinque milioni di dollari che avete con voi taglierò la gola al tuo Teddy. Allora, che cosa vuoi fare? Vuoi vederlo ancora vivo o preferisci organizzare il suo funerale?”

“Nicole, non dire una sola parola”

“Si, abbiamo noi i cinque milioni” urla lei, ignorando il mio ordine “ma non so dove Teddy li ha nascosti. Ti prego, lascialo andare, ho detto tutto quello che sapevo”

“No, tesoro, non hai detto quello che Adam ed io vogliamo sapere. Devi dirci dove si trovano quei soldi” ripete una seconda volta Bellick.

Nicole non sta mentendo: non sa dove si trovano i soldi perché li ho nascosti in una cassetta di sicurezza alla stazione ferroviaria quando sono uscito per comprare i fiori ed i cioccolatini; non sa neppure che la chiave della cassetta è nascosta nel calzino destro che indosso.

Il maiale, ovviamente, non le crede: allontana la lama dal mio collo e ricevo un altro pugno che mi fa quasi perdere conoscenza una seconda volta.

“Questo è il meglio che sai fare, Brad?” domando, stuzzicandolo “da un uomo grande e grosso come te mi sarei aspettato qualcosa di meglio… Ahh, forse ho capito… Evidentemente il licenziamento ti ha rammollito. Si… Si, deve essere proprio così… Tutta la tua arroganza e tutto il tuo potere erano racchiusi nella divisa che indossavi. Togliendoti quella ti hanno tolto anche il resto, a partire dalla tua dignità”.



 
Esistono molti modi per provocare una persona, ma ne esistono altrettanti per torturare.

Sia a livello fisico che mentale.

Bellick ed Adam sono troppo rozzi per la sottigliezza e l’efficacia della psicologia, di conseguenza si limitano ad usare la forza bruta contro di me: non lo fanno solo per sapere dove si trovano i cinque milioni di dollari, ma anche per vendetta.

Non so quante ore trascorrono, ma quando finalmente si fermano il sole è sparito, perché dalle finestre entra solo la luce dei lampioni.

“Così non funziona! Che cosa facciamo?” domanda Adam, frustrato, rivolgendo poi la sua rabbia verso Nicole ed i suoi singhiozzi “stai zitta, cagna”

“Chiudi quella fogna e non provare mai più a chiamarla così” ringhio, guardandolo negli occhi: nella mia mente la mia mano sinistra è saldamente stretta al suo collo, mentre nella destra impugno un coltello che si abbatte ripetutamente contro il suo petto; la lama lucida affonda nei tessuti molli della carne provocando schizzi di sangue che colpiscono le pareti ed il soffitto.

“Hai proprio ragione, ragazzo, in questo modo non funziona proprio. Stiamo sbagliando tutto, ma forse ho già una soluzione al nostro problema… Che cosa hai detto prima, T-Bag? Hai trascorso tutta la notte in compagnia di mia madre? Allora, forse, è arrivato il momento di pareggiare i conti. Portala di sopra, divertiti con lei” ordina Brad al suo sottoposto.

I miei occhi si spalancano e trattengo il respiro mentre il colore abbandona il viso di Nicole; scatto in avanti e rischio di cadere a terra insieme alla sedia, ma la cosa non mi preoccupa minimamente.

“Non la toccare. Non permetterti di toccarla neppure con un dito”

“Si, Capo”.

Adam ignora le mie parole ed afferra Nickie per il braccio destro: lei prova a ribellarsi, ma viene ugualmente trascinata per le scale ed in pochi secondi sparisce dalla mia vista; tutto ciò che sento è il rumore di una porta che si apre e si chiude, poi il silenzio più assoluto.

Inizio ad urlare; un altro pugno mi colpisce allo stomaco e trasforma la mia voce in un rantolo.

“Che cosa c’è, Teddy? Ti fa male il cuoricino? Non dirmi che un mostro deviato come te ha iniziato a provare dei sentimenti per quella ragazzina. È così? Tutto era iniziato come uno sfizio e poi ogni cosa è cambiata, oppure è stato il classico colpo di fulmine? Ohh, il nostro Teddy sta sperimentando il vero amore” commenta Bellick con un ghigno divertito; va in cucina a prendere una sedia e poi si accomoda di fronte a me “hai mai notato che tutte le donne della tua vita si ritrovano a soffrire a causa tua? Prima c’è stata tua madre che ha sofferto perché ti ha concepito tramite uno stupro incestuoso… Riesci ad immaginare il dolore che deve aver provato? Sono sicuro che ogni volta che ti guardava negli occhi riviveva quegli orribili momenti… Ahh, dimenticavo, tua madre è una minorata mentale. Probabilmente non ricorda neppure di avere un figlio. Poi c’è stata Susan Hollander… Non immagini neppure quanto io e le altre guardie ci siamo divertiti a leggere tutte le cinquantadue lettere che le hai mandato durante i cinque anni in cui sei stato rinchiuso a Fox River. Ogni singola lettera è stata rispedita al mittente, lo sai? Che cosa vi divertivate a fare dentro queste mura? Scommetto che in camera da letto scatenavi le tue fantasie più perverse… Si, sono sicuro che andava proprio in questo modo… Le ordinavi di vestirsi da Cappuccetto Rosso e tu facevi il lupo cattivo”

“Non posso pretendere che un uomo che vive ancora con la propria madre capisca i meccanismi dell’amore” dico, interrompendo il suo monologo.

“E infine… Infine è arrivata la dottoressa Baker… Capisco per quale motivo hai messo gli occhi su di lei… Ha un viso molto bello, quasi da bambina… Scommetto che questo ti eccita terribilmente”

“Ho promesso a Nicole che non le sarebbe successo nulla fino a quando sarei stato al suo fianco. Io mantengo sempre le mie promesse, non costringermi a raccontare l’ennesima bugia… Per favore…” mormoro, sentendomi improvvisamente svuotato di ogni energia.

Pronuncio le ultime due parole senza vergognarmi del tono supplichevole che uso: qui non si tratta di me e della mia vita, si tratta di quella di Nicole.

La persona che ho promesso di proteggere.

Non posso permettere che quel figlio di puttana abusi di lei.

Non dopo ciò che mi ha confessato a bassa voce all’interno della suite, trattenendo a stento le lacrime che poi sono uscite ugualmente.

“Lo sai che cosa devi fare, T-Bag. Dove si trovano quei soldi?”

“In una cassetta di sicurezza alla stazione dei treni. La chiave è dentro il mio calzino destro” mormoro alla fine, svuotando il sacco.

Lui si alza, cerca il piccolo oggetto e quando lo trova sorride soddisfatto.

“Grazie della tua collaborazione, Theodore, è stato davvero un piacere fare affari con te” dice poi, con una bassa risata; esce dalla stanza, sparisce al piano superiore e ritorna quasi subito in compagnia di Adam, altrettanto compiaciuto.

Nonostante la stanchezza ed i colpi che ho ricevuto gli rivolgo uno sguardo carico d’odio.

“Se hai provato a toccare Nicole…”

“Hai ancora fiato per parlare?” m’interrompe Adam.

Si avvicina e mi sputa un grumo di saliva in faccia, come ulteriore umiliazione.

Non hanno ancora finito con me perché mi slegano dalla sedia, mi spingono a terra e legano il mio polso sinistro al termosifone che c’è nella stanza grazie ad una fascetta da elettricista; Bellick prende il suo cellulare da una tasca dei pantaloni, capisco subito ciò che vuole fare e provo a fermarlo, supplicandolo.

“No… Ti prego… Non farmi questo! Non posso tornare a Fox River! Non posso!”.

Ancora una volta ignora le mie parole: digita il numero della polizia e chiede l’immediato intervento di una pattuglia perché ha sorpreso un ladro nella sua abitazione.
“Non ti preoccupare, tra poco la polizia sarà qui e quando ti avranno identificato tornerai nella tua vecchia cella. E se, invece, verrai rinchiuso in un altro carcere sono sicuro che non faticherai a farti dei nuovi amichetti” commenta Brad, ridendo “ricordi l’ultima volta in cui ci siamo visti? Io ero imbavagliato e legato ad un tubo e tu mi hai rivolto quel sorrisetto strafottente prima di uscire dal tombino… Non trovi curioso il modo in cui la situazione si è completamente capovolta?”.

Non presto attenzione alle sue parole e nel momento stesso in cui escono dall’abitazione cerco di liberarmi dalla fascetta che imprigiona il mio polso: dal primo piano non proviene alcun rumore e so che ho a mia disposizione solo pochi minuti prima di sentire il suono inconfondibile della sirena di una macchina della polizia; tento più volte di tirare, sciogliere e perfino di mordere il nodo, ma la plastica è così dura che non riesco neppure a scalfirla.

Chiudo gli occhi per qualche secondo, cercando disperatamente una soluzione, quando sollevo le palpebre guardo i punti di sutura che legano il mio arto amputato al resto del braccio e capisco ciò che devo fare.

Non posso liberarmi della fascetta, ma posso liberarmi della mia mano.

Stringo i denti, tiro i fili uno ad uno e quando si spezzano la mano ondeggia leggermente a mezz’aria.

Distolgo lo sguardo da quella scena, che sembra essere uscita da un film dell’orrore, e salgo al piano di sopra, continuando a mormorare il nome della mia compagna di viaggio: la trovo nella stanza che un tempo era la camera da letto di Susan; è seduta con le gambe incrociate e sembra stare apparentemente bene.

Si volta di scatto con un’espressione terrorizzata negli occhi, ma quando mi riconosce rilassa i muscoli delle spalle.

“Teddy…” balbetta “che cosa ti hanno fatto? Dov’è la tua mano?”

“Dobbiamo andarcene, tra pochi minuti arriverà una pattuglia”.

L’afferro per il polso destro e la trascino fuori dalla casa; fortunatamente la nostra macchina è intatta e si trova ancora nel punto in cui l’abbiamo parcheggiata.

Occupo io il posto del guidatore, ma dopo pochi metri sono costretto a fermarmi nel parcheggio di un supermercato perché inizio a vedere delle macchie nere e grigie davanti agli occhi; appoggio la fronte contro il volante e sento le mani di Nicole sul mio viso: appoggia i palmi sulle mie guance e mi invita a voltarmi verso di lei.

È proprio a questo punto che i miei nervi cedono.

Non sono una persona che versa facilmente lacrime, ma tutti noi abbiamo un punto di rottura.

Inizio a singhiozzare e sento qualcosa di umido scivolarmi lungo le guance.

“Mi dispiace, mi dispiace…” ripeto, scuotendo la testa “avevo promesso che ti avrei protetta e non sono riuscito a farlo. Ti prego, non mi lasciare, ho perso mio cugino e mio nipote. Tu sei tutto ciò che mi è rimasto, non lasciarmi da solo”.

Appoggio la testa sulle sue gambe e continuo a gemere e singhiozzare, la stoffa dei jeans s’impregna ben presto delle mie lacrime, ma non riesco a smettere; Nicole mi accarezza i capelli, sussurra qualcosa probabilmente per consolarmi, ma non riesco a cogliere il senso delle parole che pronuncia.

Mi sembra di essere tornato un ragazzino.

Mi sembra di essere tornato a quei giorni in cui mi rannicchiavo sotto le coperte e piangevo, fino a quando vinceva il sonno.
 

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Capitolo 37
*** Revenge Is A Dish Best Served Cold (T-Bag) ***


Sono io il primo ad aprire gli occhi.

Nicole è ancora profondamente addormentata accanto a me: ha la testa appoggiata al finestrino ed alcuni ciuffi di capelli biondi le coprono il viso; il suo respiro lento e regolare li muove appena, come una leggera brezza.

Glieli sistemo con delicatezza dietro l’orecchio sinistro e mi soffermo ad osservare i suoi lineamenti, baciati dai primi raggi di sole.

È così bella che sento fremere ogni muscolo del mio corpo, tuttavia non provo l’impulso primordiale di possederla in questo stesso momento.

Dopotutto non è forse questo l’amore? Un sentimento puro, che va ben oltre la semplice attrazione fisica e l’accoppiamento animalesco; un sentimento che qualunque uomo o donna prova una, al massimo due volte nella propria vita.

Le accarezzo la guancia con la punta dell’indice destro, con delicatezza perché non voglio svegliarla, prima di uscire dalla macchina ed aprire il bagagliaio.

Non voglio lasciare da sola Nicole, ma ho un conto in sospeso che devo chiudere il prima possibile.

Prendo dei vestiti puliti, chiudo il bagagliaio e mi rifugio all’interno del bagno di una pompa di benzina: il completo che indosso è lacerato in diversi punti e sporco di sangue, di conseguenza non posso muovermi o rischierei di attirare subito l’attenzione.

Mi spoglio velocemente, indosso dei pantaloni da ginnastica, una maglietta ed una felpa; sistemo il cappuccio sopra la mia testa e frugo all’interno delle tasche fino a quando non trovo un piccolo oggetto metallico, con un display luminoso su cui spicca una luce rossa che si accende e spegne ad intermittenza.

Un altro acquisto di cui solo io sono a conoscenza.

Il segnale luminoso mi conduce ad un albergo lussuoso, uno di quei posti dove c’è sempre un portiere in uniforme ad accogliere gli ospiti; non posso usare l’ingresso principale e così entro tramite una porta secondaria, riservata al personale delle pulizie.

Percorro diverse rampe di scale e mi fermo davanti alla camera quattrocentocinque; controllo un’ultima volta lo schermo e poi busso due volte.

Sento dei passi avvicinarsi e qualcuno apre la porta: il volto allegro di Adam si trasforma subito in una maschera di terrore quando i suoi occhi si posano su di me; approfitto del suo smarrimento per entrare nella suite e punto l’indice destro contro tre ragazze, probabilmente delle prostitute, che mi guardano sconvolte.

“Voi. Fuori” sibilo, perché non voglio estendere la mia vendetta anche a loro.

Ho promesso a Nicole di non uccidere più persone innocenti, non voglio rimangiarmi la parola una seconda volta.

“Ti prego, T-Bag, possiamo trovare un’accordo… Una soluzione al nostro problema” balbetta quando restiamo da soli, allungando le mani davanti a sé, in una posizione di difesa; non lo ascolto e prendo in mano una bottiglia di champagne da un secchiello pieno di ghiaccio.

“Non m’importa se tu e quel grasso maiale di Bellick mi avete legato ad una sedia” dico a denti stretti “non m’importa se mi avete torturato ed umiliato. Non m’importa se avete rubato i cinque milioni. Non m’importa se mi hai sputato in faccia e se sono stato legato al termosifone. Non m’importa neppure se sono stato costretto a lasciare la mia mano dentro quella casa. Hai firmato la tua condanna nello stesso momento in cui hai afferrato Nicole per un braccio e l’hai trascinata in una stanza al primo piano”

“No! T-Bag! lasciami spiegare! Io non…”.

Non voglio ascoltare le sue parole, non m’importa delle sue scuse che non possono rimediare a ciò che ha fatto.

 Lo colpisco alla nuca con la bottiglia di champagne.

Impiego così tanta forza che il vetro si frantuma e si sparpaglia sul pavimento insieme al liquido frizzante; dalle labbra del ragazzo esce solo un flebile gemito: cade sulle proprie ginocchia e poi scivola di lato, mentre il sangue esce dalla profonda ferita che ha.

Profonda, ma non letale se medicata in tempo.

Ed io voglio assicurarmi che questo non accada.

Appendo fuori dalla porta il cartello con scritto ‘NON DISTURBARE’, accendo la radio ed alzo il volume quando trovo una canzone country, dal ritmo piacevole.

Nella suite c’è un divanetto di pelle rossa con affianco un tavolino su cui sono posati un bicchiere stretto, dal collo alto, riempito di champagne ed una scatola di cioccolatini; svuoto tutto il contenuto del bicchiere in un unico sorso e poi passo ai cioccolatini, senza mai staccare gli occhi dall’agonia che Adam sta vivendo.

Resto impassibile davanti alle sue suppliche, alle sue richieste d’aiuto e perfino alle sue lacrime; la mia espressione non cambia neppure quando, piangendo, inizia a ripetere la parola ‘mamma’.

Da ragazzino mi sono ritrovato spesso in situazioni simili, mai nessuno è venuto in mio soccorso.

Impiega quasi un’ora ad esalare l’ultimo respiro e finalmente posso spostare la mia attenzione altrove.

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Capitolo 38
*** You're Crazy Like Him (Nicole) ***


“Portala di sopra, divertiti con lei”.

Le parole di Bellick mi penetrano nel cervello come una lama affilata, di ghiaccio, che m’impedisce di ragionare a mente lucida; trattengo il respiro perché so che cosa significano.

Lo capisce anche Teddy e prova a ribellarsi; ogni tentativo, però, è inutile perché i nodi sono troppo stretti.

“Non la toccare” urla “non permetterti di toccarla neppure con un dito”

“Si, Capo” si limita, invece, a rispondere Adam.

Nello stesso momento in cui mi afferra per il braccio destro qualcosa scatta in me, ritorno di nuovo padrona del mio corpo e tento di colpirlo con una serie di calci, dato che ho i polsi bloccati; fallisco miseramente perché lui è molto più forte di me: riesce a trascinarmi al primo piano e mi spinge dentro una stanza vuota, come il resto della casa, chiude la porta alle sue spalle e per la prima volta, da diverso tempo, rimaniamo da soli.

Si avvicina a me e toglie il nastro adesivo che mi copre la bocca, ma non fa lo stesso con le corde che ho attorno ai polsi; lo guardo negli occhi e decido di fare la prima mossa.

Anche se non sono una vera dottoressa ho letto molti libri di psicologia.

Tutto ciò che devo fare è tentare di prendere tempo e sperare che Teddy riesca a liberarsi.

“Adam, ti prego, non farlo. Potresti commettere il peggior errore della tua vita” dico con voce calma, controllata, ma lui mi blocca ed esplode all’improvviso.

“Mi hai preso in giro per due mesi interi” urla, con il volto contratto in una smorfia di sofferenza “fin dal primo momento in cui ti ho vista ho cercato di essere sempre gentile e disponibile nei tuoi confronti, Nicole. Sono stato tra i primi a darti il benvenuto a Fox River e ti ho fatto trovare la colazione sopra la scrivania del tuo ufficio. Non ho mai dubitato di te per un solo secondo, sono quasi arrivato a litigare con Bellick e con le altre guardie quando dicevano che tra te e T-Bag c’era qualcosa. Ho anche consegnato quel flacone di medicine proprio a lui, solo perché sei stata tu a chiedermelo. Ti ho mandato un mazzo di fiori quando sei stata ricoverata in ospedale per il crollo nervoso e durante la rivolta mi hanno trattenuto in cortile con la forza quando ho saputo che eri ancora dentro al Braccio A”

“Ed io ti ringrazio per tutto quello che hai fatto per me, ma…”

“Ma non è stato abbastanza. Non è stato abbastanza per farti ricambiare il sentimento che io provavo per te. Come hai potuto innamorarti di quel mostro? Che cosa ha fatto? Che cosa ti ha promesso? Che cos’ha che io non ho?”

“Non mi ha fatto nessuna promessa, è successo e basta. Non ho scelto io d’innamorarmi di Teddy. Non odiarmi per questo, non mi sono mai presa gioco di te” mormoro, tentando di calmarlo, ma è tutto inutile.

“Non  ti sei mai presa gioco di me? Quindi questo significa che quando sei uscita a cena con me lo hai fatto per un vero interesse? O lo hai fatto per far allontanare i sospetti da te?” domanda Adam; resto in silenzio e lui scoppia in una risata amara, passandosi entrambe le mani nei capelli scuri “lo sapevo… Lo sapevo… Tu non sei diversa da tutte le altre ragazze… Ed io sono solo uno stupido perché avrei dovuto capire ogni cosa fin dall’inizio. Come hai potuto innamorarti di quel mostro?”

“Te l’ho già detto una volta: non è stata una cosa programmata, è accaduto e basta”

“Allora sei pazza come lui”.

Le sue parole mi colpiscono, perché sono simili a quelle che Lincoln mi ha rivolto qualche giorno fa, mentre cercavamo i cinque milioni di dollari.

Per la prima volta mi domando se sono loro due ad avere ragione.

Se c’è davvero qualcosa che non va in me.

Se c’è qualcosa di sbagliato, un ingranaggio rotto, che m’impedisce di vedere T-Bag nello stesso modo in cui lo vedono tutte le altre persone.

“No, io non sono pazza. Semplicemente ho fatto quello che nessuno di voi ha mai avuto il coraggio di fare: l’ho guardato negli occhi e ho capito molte cose. E non mi ha mai sfiorato con un solo dito” rispondo, sempre con voce ferma.

Non so se è causa delle mie parole o a causa del tono che ho usato, ma Adam colpisce la parete alle sue spalle con un pugno, creando così una piccola crepa nell’intonaco.

La porta si apre ed appare la figura robusta di Bellick; mi degna appena di una veloce occhiata prima di chiedere al suo sottoposto se ha finito con me.

“Si, me la sono spassata” mente lui, perché in realtà non mi ha toccata.

Forse non ha mai avuto la reale intenzione di farlo, ma non ne sono sicura.

Adam si avvicina a me e taglia la corda che ho attorno ai polsi con la lama affilata di un coltello; ci guardiamo negli occhi per pochi secondi prima che lui e Bellick spariscano nel corridoio.

“Chissà se lui ti vorrà ancora adesso che sei un giocattolo di seconda mano” dice l’ex capo delle guardie, con un ghigno, prima di chiudere la porta.

Sento i loro passi allontanarsi sempre di più, ma non mi muovo: resto seduta sulle assi del pavimento, con le braccia avvolte attorno alle ginocchia, senza riuscire a controllare un solo muscolo del mio corpo.

Quando trovo la forza per alzarmi la porta si apre e compare Teddy.

Il mio sollievo, però, svanisce dopo pochi istanti: il suo viso è una maschera di sangue raffermo, dai lineamenti irriconoscibili, l’occhio sinistro è gonfio, quasi completamente chiuso, ed è nuovamente sprovvisto della mano sinistra.

“Teddy…” balbetto “che cosa ti hanno fatto? Dov’è la tua mano?”

“Dobbiamo andarcene, tra pochi minuti arriverà una pattuglia” risponde lui, ignorando la mia domanda; mi afferra per il polso destro e mi trascina all’esterno della casa.

Saliamo in macchina, ma solo qualche minuto più tardi T-Bag è costretto a fermarsi nel parcheggio di un centro commerciale perché le sue condizioni fisiche non gli permettono di continuare a guidare.

Appoggia la fronte sul volante, senza dire una sola parola, ma io lo invito a girarsi verso di me ed a guardarmi negli occhi: non ha fatto nulla di cui vergognarsi, non deve sentirsi responsabile di ciò che è successo dentro quella casa, ma non ho il tempo di dirglielo perché mi sorprende per l’ennesima volta, mostrandomi un altro dei suoi lati nascosti.

Scoppia in un pianto disperato.

Non uno di quelli finti, con il volto nascosto tra le mani per celare un ghigno che preme per uscire.

Un pianto vero, con lacrime, gemiti e singhiozzi.

Per una volta lascia cadere tutte le barriere, ed io riesco a vederlo per ciò che è in realtà: un uomo solo, terribilmente solo e disperato, che ha imparato a sopravvivere indossando una maschera diversa a seconda della persona che ha davanti a sé.

Ma una maschera non può nascondere per sempre.

“Mi dispiace, mi dispiace” dice con voce spezzata “avevo promesso che ti avrei protetta e non sono riuscito a farlo. Ti prego, non mi lasciare, ho perso mio cugino e mio nipote. Tu sei tutto ciò che mi è rimasto, non lasciarmi da solo”.

Appoggia la testa sulle mie gambe e continua a singhiozzare violentemente; gli accarezzo i capelli per tranquillizzarlo, provo a mormorare qualche parole, ma è tutto inutile: la crisi passa solo quando si addormenta un’ora più tardi.

Lo guardo in silenzio, senza smettere di accarezzargli i capelli, mentre un velo di lacrime salate mi appanna la vista.

Adesso sono io ad essere vicina ad un crollo di nervi.

“Oh, Teddy” mormoro, trattenendo a stento un singhiozzo “quante cose avrebbero potuto essere diverse se ci fossimo incontrati prima”.



 
Ormai sono abituata a svegliarmi nella più completa solitudine, di conseguenza non sono sorpresa di trovare il sedile affianco al mio vuoto quando sollevo le palpebre.

La mia preoccupazione non nasce dalla domanda ‘perché Teddy non è con me?’, ma da un’altra di simile: dov’è Teddy in questo momento?

La risposta arriva appena qualche minuto più tardi, nello stesso istante in cui un uomo bussa al mio finestrino, mostrandomi la busta marrone di una colazione d’asporto.

“Buongiorno, signorina Baker. È davvero bellissima questa mattina” dice T-Bag con un sorriso.

È tornato ad indossare la sua solita maschera: l’uomo della notte precedente, che piangeva rannicchiato sulle mie gambe, è sparito e credo che non lo rivedrò mai più.

“Stavo per gridare! Credevo fossi…”

“Un maniaco?” mi domanda lui, con un sorrisetto compiaciuto, mentre entra nell’abitacolo.

“No, un poliziotto. Dove sei stato?”

“A prendere la colazione per entrambi, non è evidente?”

“Teddy, puoi anche fregare le altre persone, ma non provare a farlo con me. Dove sei stato?” gli chiedo una seconda volta; esita per qualche istante, probabilmente apposta, prima di infilare la mano destra nella tasca della felpa e mostrarmi un piccolo oggetto nero, su cui continua a lampeggiare una luce rossa.

Non ho mai visto nulla di simile e così corruccio le sopracciglia, chiedendogli poi spiegazioni.

“È un GPS. L’ho comprato quando sono uscito a prendere i fiori, i cioccolatini ed il mio completo”

“E per quale motivo hai comprato un GPS?”

“In caso qualcuno rubasse il nostro bottino” risponde Teddy, tranquillamente.

Spalanco gli occhi e socchiudo le labbra, perché finalmente capisco dove è stato mentre io dormivo.

“Hai ucciso Adam e Bellick?”

“No, non è andata in questo modo. Non ho trovato Bellick e non ho ucciso Adam. L’ho semplicemente colpito con una bottiglia di champagne ed ho aspettato che esalasse l’ultimo respiro. Non hai nulla di cui preoccuparti: nella suite dell’albergo ho trovato uno scontrino a nome di Brad… La colpa ricadrà sulle spalle di quel grasso maiale. Immagina la scena, Nicole: da capo delle guardie di un carcere di massima sicurezza a detenuto”

“Perché lo hai fatto?” chiedo, sconvolta al solo pensiero della sofferenza, del dolore e della paura che Adam deve aver provato “perché non lo hai ucciso con un colpo di pistola?”.

Teddy mi guarda con un’espressione sconcertata, come se avessi appena detto una follia.

“Un proiettile è un modo troppo semplice e veloce per togliere la vita ad una persona. Un colpo al cuore… Un colpo al cervello… Si, è vero, avrei potuto farlo. Ma quell’animale meritava una fine diversa dopo quello che ti ha fatto, Nickie”

“Ma lui non mi ha toccata!”

“Che vuoi dire?”

“Non ha abusato di me, credo… Credo che non ne abbia avuto il coraggio”

“Questo non cambia nulla. Lo avrei fatto comunque. Ormai erano entrambi una minaccia per noi”

“Mi avevi promesso di non uccidere più, sono sicura che c’era un’altra soluzione…” rispondo, passandomi entrambe le mani sul viso; T-Bag scoppia a ridere e scuote la testa: infila la mano destra nella busta di carta marrone e mi porge un muffin ai mirtilli.

“E quale soluzione, Nicole? Che cosa avresti fatto al posto mio?”

“Io non… Io non lo so” balbetto, facendolo ridere una seconda volta.

“Vedi? È proprio questo il succo del discorso. Ci sono situazioni in cui sei costretto a fare la scelta più estrema. Spesso equivale anche alla più sbagliata, ma non puoi tirarti indietro perché non esiste una seconda opzione” si blocca per qualche istante e poi mi guarda con gli occhi socchiusi “preferisci il cappuccino o la cioccolata calda?”.
 

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Capitolo 39
*** Denise (T-Bag) ***


Una persona può rinunciare a molte cose nella propria vita.

Può rinunciare ad un hobby, ad una macchina, o perfino ad un vestito troppo costoso; ma quando si tratta di un arto del proprio corpo la faccenda è completamente diversa.

Da quando non ho più la mano sinistra sono limitato in molte operazioni, ed in alcuni casi devo chiedere l’aiuto di Nicole; non riesco neppure ad indossare i pantaloni o ad abbottonare una camicia senza impiegare minuti interi.

Proprio per questo motivo decido di entrate in un bar frequentato da veterani dell’esercito, perché voglio trovare una soluzione definitiva al mio problema.

Mi siedo davanti al bancone, ordino una birra e poi mi guardo attorno sorseggiandola; i miei occhi si posano su un uomo impegnato a giocare a biliardo: al posto della mano sinistra ha una protesti di plastica dura, simile a quella dei manichini dei negozi.

Esattamente ciò di cui ho bisogno.

Mi avvicino a lui e mi passo la mano destra tra i capelli, scompigliandoli appena.

“Amico, tu ed io abbiamo una cosa in comune” dico, attirando la sua attenzione “non ho potuto non notare la tua mano. Mi stavo chiedendo se per noi eroi di guerra è un servizio gratuito o se bisogna pagare una cifra piuttosto sostanziosa”.

L’uomo mi guarda e si sofferma a fare lo stesso con i miei capelli biondi prima di rispondere.

“Se hai soldi da sprecare in tinte da finocchio puoi anche permetterti una mano nuova senza agevolazioni”.

Ecco, penso mentre sento il sangue ribollirmi nelle vene, questa è una cosa che non ho mai sopportato: essere chiamato con l’appellativo di ‘finocchio’.

Sorrido ed esco dal bar dopo aver pagato la mia ordinazione; mi nascondo all’interno di una piccola via secondaria, completamente avvolta dall’oscurità, ed attendo pazientemente che l’uomo esca a sua volta.

Quando accade, appena una decina di minuti più tardi, attendo che si avvicini al mio nascondiglio prima di afferrarlo per un braccio e spingerlo a terra; è molto più robusto di me, ed è un ex soldato graduato, ma non può far nulla contro un’aggressione a sorpresa.

Raccolgo un mattone e lo colpisco ripetutamente alla testa con quello; lascio cadere l’arma improvvisata solo quando il suo cranio è una poltiglia irriconoscibile e dalle sue labbra non esce più un solo lamento o gemito.

“Non sono un finocchio. Sono bisessuale” ansimo prima d’inginocchiarmi a terra, facendo attenzione a non sporcarmi i vestiti con il sangue fresco “e questa serve più a me che a te, amico”.

Sfilo la protesi dal braccio del cadavere e la indosso, osservandola in silenzio: è leggermente più grande della mano destra, ma è comunque perfetta come soluzione definitiva.

Quando torno in albergo mostro subito a Nicole il mio nuovo ‘acquisto’.

Lei osserva la protesi con un’espressione scettica, è evidente che sospetta già qualcosa.

“A chi l’hai rubata?” domanda, infatti.

“Ad un uomo che ho incontrato in un bar. Ho finto di essere un soldato che è stato congedato, gli ho chiesto che cosa dovevo fare per avere una protesi come la sua e lui è stato scortese”

“Perché? Che cosa ha risposto?”

“Ha detto che di sicuro i soldi non mi mancano dal momento che li spendo per tinte da finocchio”.

Nicole si porta una mano alla bocca, per nascondere un sorriso divertito, ed io mi volto a fissarla con il sopracciglio destro inarcato, chiedendole se sta davvero ridendo di me.

“Scusami”risponde lei, trattenendosi ancora “è solo che… Devo ancora abituarmi ai tuoi capelli biondi”

“Dici questo perché sono più belli dei tuoi”.

La mia battuta fa crollare definitivamente ogni suo sforzo perché scoppia in una risata divertita, tanto che alcune lacrime le rigano le guance; non sono offeso dalla sua reazione, tutt’altro, la osservo in silenzio, con il volto leggermente inclinato a sinistra, godendomi ogni singolo particolare della sua risata.

Mi avvento su Nicole, fingendo di aggredirla, e con la mano destra le stuzzico i fianchi, perché voglio sentirla ancora ridere.

“Smettila!” mi ordina lei, divertita, mentre prova a fare lo stesso con me, riuscendoci dopo qualche minuto di lotta.

Sono proprio i momenti come questo ad essermi mancati durante la mia infanzia e la mia adolescenza.

Quando entrambi ci fermiamo, per riprendere fiato, mi chino su Nickie e le bacio le labbra con delicatezza, senza approfondire il contatto con la lingua.

“Domani mattina devo uscire” dico poi, tornando serio.

“Vuoi che venga con te?”

“No, no. Resta qui, ti voglio sapere al sicuro. Devo occuparmi di una faccenda… Non dovrei impiegare molto tempo”.

Nicole non fa altre domande e si limita ad annuire con la testa; non insiste neppure per sapere che cosa è successo all’uomo a cui ho rubato la protesi.

Credo che una parte di lei voglia sapere questi particolari, ma credo anche che l’altra le stia ordinando di non farlo per non rovinare questo bel momento.



 
La seduzione è un’arte molto difficile.

Non basta qualche sorriso ed un bel regalo per conquistare una donna: ognuna di loro ha un carattere ed una personalità diversi, di conseguenza anche il lucchetto e la chiave per arrivare al loro cuore cambia.

A volte è semplice trovarla, altre volte è più complesso, ma se una persona sa come destreggiarsi questo momento prima o poi arriva.

Trascorro l’intera mattinata seduto su una panchina, con un giornale tra le mani, fino al momento in cui una giovane donna esce dall’ufficio postale: indossa un maglione largo, dei pantaloni da ginnastica ed ha i capelli biondi raccolti in una coda.

Attraversa velocemente la strada quando scatta il semaforo verde ed entra in una tavola calda; mi alzo dalla panchina ed entro a mia volta nel piccolo locale.

I tavoli sono quasi tutti liberi e lei è seduta vicino ad una finestra: sta sfogliando il menù e sembra indecisa su ciò che vuole ordinare.

Occupo la sedia di fronte alla sua e mi schiarisco la gola, per attirare la sua attenzione.

“Ormai è sempre più difficile trovare dei posti come questo in città, vero? Ci sono tantissimi ristoranti eleganti e fast-food, ma poche tavole calde che ti fanno sentire come a casa. Io, per esempio, mentre sono in pausa pranzo preferisco venire qua e mangiare un buon piatto di pasta piuttosto che un panino pieno di salse e pollo fritto”

“Anche io la penso in questo modo” risponde la giovane donna, arrossendo, molto probabilmente perché non è abituata a ricevere tutte queste attenzioni da un uomo “preferirei mangiare a casa, ma la pausa è troppo breve. A volte mi preparo un panino ed altre volte vengo in questo posto. Lo hanno aperto da poche settimane, ma ci sono già affezionata”

“Esatto. Esatto. Ed è proprio ciò che non dovrebbe mai accadere: ti affezioni ad un posto, ti rechi lì quasi ogni giorno e poi, una mattina, scopri che lo hanno chiuso e che stanno per aprire un negozio di… Intimo femminile!”.

La mia battuta funziona, perché scoppia a ridere, coprendosi la bocca con la mano destra, in un modo simile a quello di Nicole.

“Un… Un negozio di intimo femminile?” domanda poi, asciugandosi delle lacrime con il tovagliolo.

“Si, esatto! Un negozio di intimo femminile! Giuro che una volta è successo davvero! Ero così affamato che stavo per entrare e mangiare un paio di slip” rispondo, ridendo a mia volta “scusami, sono davvero maleducato, mi sono seduto al tuo tavolo senza chiederti il permesso e senza presentarmi. Scusami, tolgo subito il disturbo. Ti auguro un buon pranzo”

“No, aspetta! Non te ne andare! Pranzo sempre da sola… Se non… Se non ti dispiace mi piacerebbe ancora parlare…”

“D’accordo” dico, accomodandomi sulla sedia una seconda volta “quindi… Questo significa che è arrivato ufficialmente il momento delle presentazioni, giusto? Io sono Sam”

“Denise”

“Ohh, Denise? È un nome molto bello. Conoscevo una ragazzina con il tuo stesso nome… Dove lavori?”

“All’ufficio postale. Tu?”

“Al momento sono disoccupato a causa di un piccolo incidente che mi è costato la mano sinistra, però sono riuscito a ricavare un bel po’ di soldi da questa brutta situazione… Non voglio parlare di questo, però, altrimenti rischio di rovinare la tua pausa pranzo. Che cosa vuoi ordinare?”

“Non lo so. Stavo pensando ad un piatto di pasta” risponde Denise, tornando a fissare il menù; prendo anche io una copia in mano ed inizio a sfogliarla.

“Ahh, ti piace la cucina italiana? Sai che in Italia hanno l’abitudine di consumare un bicchiere di vino durante i pasti? Rosso e corposo quando viene servita della carne. Bianco e frizzante quando viene servito del pesce. Tu come preferisci il vino, Denise? Frizzante o corposo?”

“Vuoi ordinare del vino?”

“Ti sto chiedendo di uscire a cena con me”

“Ma non avevi detto di preferire le tavole calde?”

“Si, ma sarebbe uno spreco bere un bicchiere di vino in un posto simile, non credi?” sussurro con un sorriso, passandomi la lingua sul labbro superiore.



 
Non so con esattezza come accade, ma mezz’ora più tardi mi ritrovo sdraiato sul letto di Denise completamente nudo, a fumare una sigaretta.

Prendo una profonda boccata e mentre soffio fuori il fumo dalle labbra mi rendo conto che sono trascorsi anni dall’ultima volta in cui ho fatto sesso con una donna.

“È stato bellissimo” mormora lei, appoggiandosi al mio petto “non avevo mai conosciuto un uomo passionale come te, Sam. Dove hai imparato a fare quei giochetti?”

“Talento naturale” mi limito a rispondere, spegnendo il mozzicone dentro un posacenere “Denise, adesso devo andare perché ho alcune faccende di cui occuparmi. A che ora ti passo a prendere questa sera? Quando finisce il tuo turno?”

“Alle sette”

“Alle otto busserò alla porta d’ingresso” dico con un sorriso; le bacio le labbra, mi rivesto velocemente e m’incammino in direzione dell’hotel in cui Nicole mi sta aspettando da diverse ore.

So già che dovrò affrontare un duro litigio con lei e quando entro in camera la trovo seduta sul davanzale della finestra, apparentemente impegnata a guardare i tetti delle case; ma non appena la porta si chiude alle mie spalle mi trovo addosso il suo sguardo accusatore.

“Dove sei stato?” mi domanda, con freddezza “avevi detto che saresti tornato subito”

“Ho impiegato più tempo di quello che pensavo… C’è stato un piccolo contrattempo”

“Un piccolo contrattempo? Di che genere? Qualcuno ti ha riconosciuto?” chiede ancora; scende dal davanzale e si avvicina a me, per fronteggiarmi, i suoi occhi chiari si spalancano quando vedono un livido sul mio collo che non sono abbastanza veloce a nascondere “e quello cos’è?”

“Nicole, bambina, posso spiegarti ogni cosa”

“Sei un porco!” mi urla contro, colpendomi con uno schiaffo “con chi sei andato a letto? Dimmelo! Voglio sapere il suo nome!”

“Si chiama Denise e…” non riesco a finire la frase perché qualcosa mi sfiora l’orecchio sinistro prima di schiantarsi contro una parete; capisco che si tratta di un vaso di fiori e alzo entrambe le mani, mentre Nickie si prepara a colpirmi con un altro oggetto simile “Nicole! Nicole! Nickie! Lasciami il tempo di spiegarti ogni cosa, non è come sembra!”

“Non è come sembra?” urla lei, a sua volta, piangendo “adesso ti dico io come sono andate le cose. Non solo mi sono fidata dell’uomo sbagliato, che mi ha fatto perdere un lavoro sicuro e che è un bugiardo, ma mi ha appena tradita con un’altra donna perché non è in grado di controllare i suoi istinti primitivi e animaleschi!”

“Sono andato a letto con quella donna perché è un’impiegata delle poste”

“E questo che cazzo c’entra?”

“Lo faccio solo per avere il nuovo indirizzo di Susan”.

Nickie lascia ricadere le braccia lungo i fianchi, il vaso di vetro che ha in mano rotola sulla moquette, ma lei lo ignora completamente.

“Tu stai facendo tutto questo solo per avere il nuovo indirizzo della tua ex compagna?” domanda, in tono quasi calmo “Teddy, non ti è bastato quello che è successo nella casa di Susan? Forse la cosa migliore da fare è lasciarci alle spalle questa parte del tuo piano e scappare in un posto lontano. So che è stata quella donna a mandarti a Fox River, ma non voglio…”

“Adam e Bellick non sono più un problema, ricordi? Non sono intenzionato ad iniziare una nuova vita fino a quando non avrò chiuso tutti i conti in sospeso della precedente. Questo è l’ultimo che mi resta” rispondo, cercando di farla ragionare.

Ormai tutta la rabbia è sparita dai lineamenti del suo viso, sostituita dalla preoccupazione; si lascia cadere sul bordo del letto e china la testa in avanti, in modo che i capelli nascondano la sua espressione.

“In TV hanno detto che un altro di voi otto è stato ucciso perché non ha voluto arrendersi alla polizia. Non voglio che tu sia il prossimo”

“Questo non accadrà mai” provo a rassicurarla, sedendomi a suo fianco “chi hanno ucciso? Scofield? Burrows?”

“No, Tweener”

“Lo immaginavo. Era solo questione di tempo” commento con un sorriso, perché David era uno di quei ragazzi destinati a fare una fine violenta “sei ancora arrabbiata con me? Questa sera devo uscire a cena con Denise, ma…”

“Non dire altro. Non voglio sentire un’altra parola su questa faccenda. Fai ciò che devi fare, ma non venire ad elemosinare carezze o baci da me. Ho bisogno di una doccia”.

Nicole si alza dal bordo del letto ed entra in bagno, senza chiudere la porta a chiave.

Dopo qualche minuto mi avvicino alla porta; chiudo gli occhi ed appoggio la fronte al legno.

Nella mia mente si forma l’immagine del suo corpo nudo, accarezzato dalle gocce d’acqua e dal sapone: anche se il sentimento che provo non è solo una volgare attrazione fisica, in questo momento vorrei entrare e possederla, per farla totalmente e completamente mia; ma dimostrerei solo di essere un animale che non è in grado di controllare i suoi istinti primitivi.

Proprio come ha detto lei.

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Capitolo 40
*** So Close, And Yet So Far Away (Nicole) ***


“Non dire altro. Non voglio sentire un’altra parola su questa faccenda. Fai ciò che devi fare, ma non venire ad elemosinare carezze o baci da me. Ho bisogno di una doccia” mormoro in tono stanco, con un sospiro, sentendo per la prima volta sulle mie spalle il peso e la spossatezza delle ultime settimane.

Mi alzo dal bordo del letto ed entro in bagno, con la speranza che una doccia fredda possa aiutarmi a schiarire le idee.

Quando l’acqua mi colpisce il viso e le spalle trattengo il respiro, sentendomi subito meglio; ma è solo un sollievo passeggero perché la voglia di piangere torna ad impossessarsi di ogni fibra del mio corpo.

Provo a trattenere i singhiozzi, ma è tutto inutile perché escono da soli dalle mie labbra: mi ritrovo seduta sul pavimento della doccia, con le braccia avvolte attorno ai fianchi, a piangere come una ragazzina.

Non merito tutto questo, soprattutto dopo ciò che ho passato, ma sono così innamorata di Teddy che non riesco neppure a prendere in considerazione la possibilità di lasciarlo durante la notte, prendere i cinque milioni di dollari e scappare da sola; non posso farlo perché distruggerei l’ultimo briciolo di umanità che ancora c’è in lui.

Finirei solo per dargli il colpo di grazia e non voglio essere responsabile di questo.

Ma non voglio neppure continuare a soffrire per le sue azioni.

Esco dal piccolo abitacolo, mi asciugo e mi rivesto velocemente, ritornando poi in camera.

T-Bag è sdraiato sul letto, impegnato a leggere una rivista; prendo posto a suo fianco ed accendo la TV senza dire una parola, perché voglio che sia lui il primo ad iniziare un discorso.

Trascorriamo in questo modo il resto del pomeriggio: l’uno accanto all’altra, con i corpi che quasi si sfiorano, chiusi in un silenzio che ci allontana sempre di più ad ogni minuto che passa.

Continuo a fissare lo schermo, senza vedere veramente le immagini che scorrono, anche quando Teddy si alza e si prepara per il suo appuntamento elegante che avrà, sicuramente, un seguito sotto le lenzuola di un letto matrimoniale.

“Torno presto” dice, con la mano destra appoggiata alla maniglia della porta.

“Puoi anche risparmiarti queste cazzate. Andrai a cena con quella donna e poi te la spasserai a casa sua per tutta la notte. Anche se ho appena ventuno anni non significa che sono una stupida… E poi hai già fatto sesso con lei”

“Ti ho già spiegato per quale motivo lo faccio. I sentimenti non c’entrano, è solo per avere il nuovo indirizzo di Susan”

“E credi che questa spiegazione mi faccia sentire meglio? Perché vuoi rivedere la tua ex compagna? Vuoi davvero vendicarti di lei o sei ancora innamorato?” chiedo, dando finalmente voce ad un dubbio che mi tormenta da diversi giorni “non hai comprato quell’abito elegante per me, ma perché dovevi andare a casa sua. Mi hai comprato un mazzo enorme di rose ed una scatola di cioccolati, di solito un uomo lo fa perché sente di avere la coscienza sporca per qualcosa che ha fatto o che sta per fare”

“Tu credi che io sia ancora innamorato di lei?” domanda Teddy, allontanandosi dalla porta, incrociando le braccia all’altezza del petto.

“Ho paura che accadrà esattamente questo nello stesso momento in cui la rivedrai! Ho paura di essere abbandonata per lei”

“Questo non accadrà, Nicole”

“E chi me lo assicura?” ribatto alzando la voce “tu sei disposto a qualunque cosa per avere il suo nuovo indirizzo. Sei andato perfino a letto con una dipendente dell’ufficio postale ed adesso stai per uscire a cena con lei, anziché stare con me”

“Ho ucciso un ragazzo per te, ed ho fatto addossare la colpa dell’omicidio ad un altro uomo… Non è sufficiente? Hai bisogno di altre dimostrazioni da parte mia? Che cosa devo fare?” grida a sua volta, ormai esasperato.

“Volevo essere io la prima” esplodo, alla fine, scoppiando in lacrime “adesso che sei di nuovo un uomo libero volevo essere la prima a fare l’amore con te… E invece tu sei andato a letto con… Quella donna… E…”.

Non riesco a terminare la frase perché Theodore esce dalla camera sbattendo la porta con forza.

È chiaro che le mie parole lo hanno offeso, ma come posso fingere di non avere dubbi quando i suoi comportamenti scostanti continuano a crearne di nuovi ad ogni giorno che passa?

Quando parla di Susan c’è qualcosa nei suoi occhi che mi fa sempre tremare le mani: la odia per ciò che gli ha fatto, ma una parte di lui è ancora innamorata di quella donna.

Forse non lo vuole ammettere a sé stesso, ma la verità è questa ed io non posso fare nulla per cambiarla.

Posso solo sperare che ciò che prova per me sia più forte.

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Capitolo 41
*** The Address (T-Bag) ***


Sul volto di Denise appare un sorriso luminoso quando mi vede entrare nell’ufficio postale: non c’è nessun altro, ad eccezione di noi due, perché ormai è il momento della chiusura giornaliera.

“Ehi…” mi saluta, posandomi un bacio sulle labbra “va tutto bene?”

“Si” rispondo con un semplice monosillabo, scrollando le spalle: in realtà non va tutto bene, anzi, ogni cosa sta andando letteralmente a puttane perché sto perdendo Nicole.

Denise capisce che la mia è una bugia, così insiste, cercando di strappare la verità dalla mia bocca; mi passo la mano destra tra i capelli e poi sospiro, rivolgendo lo sguardo altrove.

“Sam, lo sai che puoi dirmi qualunque cosa. Lo so che ci stiamo frequentando da pochissimo tempo, ma se c’è qualcosa che vuoi dirmi… Qualcosa che devo sapere… Voglio che tu sia completamente sincero con me”

“Mentre venivo qua ho ricevuto una brutta notizia: ieri notte è venuta a mancare mia zia. Io e mia sorella eravamo molto legati a lei, sai… Da piccoli è stata nostra zia ad occuparci di noi due. Ci ha cresciuti come se fossimo figli suoi… Poi, a causa di un litigio, me ne sono andato da casa e non ho più rivisto né l’una né l’altra. Non prendermi per pazzo, ma sono venuto qui perché mi era stato riferito che mia sorella abitava proprio in questa città con i suoi figli… Però deve essersi trasferita… Scusami, la mia vita è un completo casino. Non voglio annoiarti con queste cose. Sono un uomo di quarantasei anni e devo imparare a risolvere da solo i miei problemi, senza coinvolgere altre persone” rispondo, con una bassa risata, agito la mano destra e cerco di cambiare argomento “allora… Ti va di fare una passeggiata?”

“Come si chiama tua sorella?”

“Susan Hollander”

“Forse posso fare qualcosa per risolvere il tuo problema. Solitamente noi impiegati non dovremo divulgare queste informazioni, ma in questo caso sono sicura che si possa fare un’eccezione”

“Ohh, Denise… No… No… Non voglio farti perdere il lavoro a causa mia”

“Siamo soli, non lo verrà mai a sapere nessuno” dice lei, con un sorriso; si siede davanti ad un computer ancora acceso, digita qualche parola e dopo pochi minuti mi porge un foglio appena stampato, su cui c’è scritto un indirizzo “sei fortunato, Sam. Tua sorella si è trasferita poco lontano da qui. Senti, sabato sera vengono a cena da me i miei genitori, che ne dici se…”.

Denise si blocca all’improvviso ed i suoi occhi azzurri si spalancano, sta fissando qualcosa alle mie spalle e capisco subito di che cosa si tratta: in una bacheca, su cui sono appesi diversi avvisi, spicca la mia foto segnaletica.

Nonostante i capelli biondi, lei mi ha riconosciuto subito.

“No, no, no” mormoro, amareggiato, scuotendo la testa “non avresti dovuto vedere quella foto, Denise. Adesso sono costretto a ucciderti”.



 
Al mio ritorno in albergo trovo Nicole profondamente addormentata; potrei rimanere intere ore in silenzio a fissarla, ma dobbiamo abbandonare la città il prima possibile.

Sono proprio queste le parole che le ripeto mentre cerco di svegliarla.

“Abbandonare la città?” domanda Nickie, con voce assonnata “perché dobbiamo abbandonare la città? Qualcuno ti ha riconosciuto?”

“No, ma sono riuscito ad ottenere ciò che volevo” rispondo, mostrandole il foglietto con il nuovo indirizzo della mia ex compagna; lei lo prende in mano, lo fissa, ed il suo sguardo si rabbuia improvvisamente.

Per un momento ho il timore concreto di vedere la carta trasformata in tanti piccolo coriandoli; fortunatamente questo non accade ed il foglio ritorna nella tasca della felpa che indosso.

“Bravo, sei riuscito a sedurre quella donna ed a ottenere l’indirizzo che volevi”

“In verità… I fatti si sono svolti in un modo leggermente differente” ribatto, scompigliandomi i capelli; Nicole solleva il sopracciglio destro e chiede ulteriori spiegazioni.

“Che cosa è successo?”

“Si, è vero, sono riuscito a sedurla e sono riuscito anche ad ottenere l’indirizzo, proprio come il mio piano prevedeva. La situazione è leggermente precipitata quando ha visto questa appesa in una bacheca nell’ufficio postale” tiro fuori da una tasca dei pantaloni la mia foto segnaletica “mi ha riconosciuto e sono stato costretto ad ucciderla. Avrebbe parlato. Non possiamo permetterci di avere la polizia alle costole”

“D’accordo” mormora semplicemente lei, mordendosi il labbro inferiore “se ti aveva riconosciuto non potevi fare altro”.

Per un momento, per un solo breve momento, mi sembra di vedere l’ombra di un sorriso compiaciuto sul suo volto: tutto, però, è così veloce che non capisco se è accaduto veramente o se è stato solo un parto della mia immaginazione.
 

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Capitolo 42
*** Teddy's Home (T-Bag) ***


È sempre così.

Una persona aspetta qualcosa con trepidazione, ma quando il momento finalmente arriva si sente mancare la terra sotto i piedi al solo pensiero di muovere un altro passo.

Controllo più volte l’indirizzo scritto sul foglio che ho in mano con quello inciso su un grazioso portalettere; appallottolo la carta, la lascio cadere a terra e mi tolgo il cappello, nero, che indosso.

Deglutisco a vuoto, sentendo la gola improvvisamente secca, poi salgo i gradini che conducono alla porta d’ingresso di una casetta a due piani e suono il campanello, con la speranza di ricevere risposta.

“Arrivo subito!” esclama una voce femminile, probabilmente dalla cucina, ed il mio cuore inizia a battere più velocemente, come accade durante una corsa.

È Susan.

La porta si apre, ed il sorriso gentile e affabile che le illumina il volto si trasforma in una maschera di paura.

“Salve, signora Hollander” sussurro, entrando in casa “dicono che è difficile trovare una brava donna perché si nascondono molto bene. Se questo detto è vero, allora, lei deve essere la migliore”

“Teddy…” mormora lei, incredula, senza riuscire a pronunciare un’altra parola; chiudo la porta dietro di me e torno a fissare la mia ex compagna: ha i capelli molto più corti dell’ultima volta in cui l’ho vista, ma è un taglio che le sta particolarmente bene.

In realtà Susan è una di quelle donne che starebbe bene con qualunque acconciatura, colore o taglio di capelli.

“No, lasciami parlare, Susie. Ci sono molte cose a cui ho pensato durante il tempo che ho trascorso a Fox River… E tu sei sempre stata al centro di tutto” mi blocco per qualche istante, lottando contro il nodo che ho in gola, prima di proseguire “all’inizio ero molto arrabbiato con te. Mi sentivo tradito, Susan, perché sei stata la prima donna che mi ha fatto capire cosa significa amare veramente un’altra persona. Non riuscivo ad accettare il tuo rifiuto ed ho provato a scriverti tantissime lettere in cui ti spiegavo perché ho taciuto molte cose, ma tu non hai mai risposto… Poi, però, a mente lucida ho capito una cosa. Quando… Quando sei venuta a farmi visita a Fox River e mi hai urlato contro quelle accuse… Lo hai fatto per un semplice motivo: solo una donna ancora innamorata può provare una rabbia ed una frustrazione simili”

“Ti prego, i miei figli stanno per tornare da scuola”.

Ha appena il tempo di pronunciare questa supplica che la porta d’ingresso si apre nuovamente ed un grido acuto, di gioia, giunge alle nostre orecchie.

“Zio Teddy! Zio Teddy, sei tornato!” esclama Gracey, abbracciandomi, mentre suo fratello chiude la porta e lascia cadere a terra lo zaino che ha sulle spalle.

Sono passati cinque anni dall’ultima volta in cui ho visto entrambi: all’epoca erano due bambini, adesso sono due preadolescenti di dieci e dodici anni.

“Da quanto sei tornato in città?” mi domanda Zack, curioso “mamma ha detto che eri andato a lavorare su una piattaforma petrolifera in mezzo all’oceano”.

Rivolgo un’occhiata a Susan e dal modo in cui ricambia capisco che i suoi figli sono totalmente all’oscuro sia del mio arresto che del mio passato violento; prima che possa rispondere Gracey mi tira la maglietta e trattiene il fiato, indicando poi la protesi che indosso.

“Zio Teddy, che cosa è successo alla tua mano?”

“Un piccolo incidente mentre ero sulla piattaforma, principessa” rispondo, prendendola in braccio “ma la compagnia per cui lavoro mi ha dato un minuscolo risarcimento per la mia perdita: un milione per ogni dito che la macchina ha tagliato”

“Ma questo significa che ti hanno dato cinque milioni di dollari per la tua mano!” interviene di nuovo Zack, lasciandosi scappare un fischio ammirato dalle labbra.

“Zio, quanti giocattoli si possono prendere con cinque milioni di dollari?”

“Ragazzi, Theodore ha fatto un lungo viaggio ed ha bisogno di riposare. Andate a giocare in camera vostra, vi chiamo quando il pranzo è pronto” dice Susan, cercando di apparire calma e tranquilla, ma la sua voce e le sue mani tremano leggermente; poso a terra la piccola e le dico di obbedire senza protestare.

“Mamma, lo zio può rimanere a pranzo con noi? Per favore! Per favore! Per favore!” esclama lei, rivolgendo uno sguardo speranzoso alla madre che, in risposta, impallidisce vistosamente e non sa come affrontare la richiesta.

“Gracey, no! Ho detto che Theodore è stanco e…”

“Per favore, mamma! Non lo vediamo da tanto tempo! Zio, vuoi rimanere a pranzo con noi?”

“Mi piacerebbe moltissimo. Avanti, Susan, accontenta i tuoi ragazzi. Non mi vedono da cinque anni, hanno il diritto di trascorrere un po’ di tempo con me, non credi?”

“D’accordo” mormora lei, stringendo nella mano destra un lembo di stoffa del grembiule da cucina.



 
Mentre siamo a tavola continuo ad inventare aneddoti divertenti sui cinque anni che ho trascorso sulla piattaforma petrolifera, facendo ridere sia Gracey che Zack.

Susan si sforza a sorridere di tanto in tanto, ma non tocca mai il cibo che ha sul piatto.

“Lascia che ti aiuti a pulire, Susie” dico alla fine del pranzo “sono sicuro che adesso Zack e Gracey devono andare in camera loro a fare i compiti, vero?”

“Si, si… Loro devono andare nelle loro camere. Subito” ripete lei; questa volta i ragazzi non ribattono e spariscono velocemente al piano superiore “Teddy, potresti portare questi piatti in cucina?”.

Il tono che usa è improvvisamente calmo, ed io rispondo nello stesso modo; porto le stoviglie sporche in cucina, le poso nel lavandino e poi torno nel corridoio cercando di non fare rumore: la mia ex compagna sta frugando in modo quasi spasmodico all’interno del cassetto di un mobile.

So che cosa sta cercando e sorrido, rivelando poi la mia presenza.

“Stai cercando questa?” chiedo, mostrandole la revolver carica che ho preso diversi minuti prima, ancora durante il pasto “che cosa avresti fatto se l’avessi trovata dentro quel cassetto, Susan? Avresti avuto davvero il coraggio di premere il grilletto ed uccidermi? Tu credi… Tu credi che io voglia fare del male a te ed ai tuoi figli?”

“Io mi baso su quello che so, Teddy. E quello che so è che tu sei stato condannato a due ergastoli perché hai stuprato ed ucciso sei ragazzini in Alabama”

“Per quanto tempo ci siamo frequentati?”

“E questo… E questo che cosa c’entra?” domanda lei, sbattendo le palpebre confusa.

“Ci siamo frequentati per quasi un anno. Se davvero avessi voluto far del male a te o a loro non credi che lo avrei fatto da tempo? Quante occasioni ho avuto a mia disposizione? Non ho mai fatto nulla perché non sono mai stato sfiorato dall’idea di torturarvi o uccidervi, capisci?” dico a denti stretti e poso la pistola tra le sue mani, puntandola contro il mio petto “so che non credi alle mie parole. Proprio per questo motivo ti sto dando la possibilità di porre rimedio al dolore che ho portato nella tua vita… Ma io… Puoi premere il grilletto, se lo vuoi davvero. Il proiettile trapasserà il mio cuore e non riuscirò a sopravvivere ad una ferita simile. Ma se provi ancora qualcosa per me, se senti anche solo un briciolo d’amore, posa la revolver e dammi la possibilità di rimediare a ciò che ho fatto”.

Finalmente trova il coraggio di guardarmi negli occhi e socchiude le labbra, probabilmente incredula per le parole che ho appena pronunciato; anche se mi odia e mi disprezza non trova il coraggio di sparare e abbassa l’arma, lasciandola poi cadere sul tappeto: si porta entrambe le mani al viso, coprendolo, emettendo poi un singhiozzo strozzato.

Gliele scosto con delicatezza, perché voglio ancora che mi guardi.

“Ti prego… Ti prego…”

“Ancora non hai capito che non voglio farti del male? Ti ho detto che voglio rimediare e questa ne è la prova”.

Tiro fuori da una tasca della felpa una busta sigillata e gonfia, e gliela porgo; la mia ex compagna la prende con mani tremanti e quando la apre spalanca gli occhi, non per la paura ma per l’incredulità.

“Ma questi… Questi sono…”

“Un milione di dollari per te, Gracey e Zack. Puoi spenderli nel modo che preferisci, Susan: per una vacanza o per mandare i ragazzi all’università. Non li ho rubati a qualcuno, non sono soldi sporchi di sangue” sussurro “forse non bastano per rimediare del tutto, ma in questo momento è il massimo che posso fare. Ti prego, non li rifiutare”

“Io non posso tenere questi soldi” risponde lei, scuotendo la testa, spinge la busta contro il mio petto ma io muovo un passo all’indietro, allontanandomi.

“No, ti prego, non li rifiutare! Susan, ti prego! Non farmi questo!” la supplico, congiungendo le mani.

“Che cosa vuoi allora?”.

Non si fida, glielo leggo chiaramente negli occhi scuri.

“Nulla, Susan. Non voglio nulla da te. Ti chiedo solo di non chiamare la polizia quando sarò uscito da casa tua. Non verrò mai più qui, non sentirai mai più pronunciare il mio nome e non lo leggerai mai più sui giornali. Lasciami la possibilità di iniziare una nuova vita, ti prego, non sono l’animale che credi di avere davanti ai tuoi occhi” rispondo, deglutendo a fatica “e se… E se posso chiedertelo… Vorrei avere un ultimo bacio da parte tua. So che non mi lascerai dire addio ai tuoi figli, ma almeno questo puoi concedermelo”.
 

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Capitolo 43
*** Las Vegas (Nicole) ***


Il tempo è un concetto molto soggettivo: quando ti diverti le ore passano fin troppo velocemente, ma quando attendi con ansia che accada qualcosa allora i  minuti trascorrono con una lentezza quasi estenuante.

Questo è esattamente ciò che sta accadendo a me.

Continuo a controllare l’orologio che porto al polso sinistro e lo specchietto retrovisore con la speranza di vedere spuntare Teddy all’orizzonte; questo, però, non accade e non posso fare altro che attendere il suo ritorno ascoltando qualche canzone alla radio.

Non devo lasciarmi andare al panico, ma quando il primo pomeriggio prende il posto della mattina i dubbi sorgono spontanei nella mia mente.

Non è l’idea che Teddy possa uccidere la sua ex compagna ed i suoi figli a terrorizzarmi, ma la possibilità che lei possa perdonarlo e che gli dica di ricominciare una nuova vita insieme; in un caso simile non potrei fare nulla per tenere Theodore a mio fianco, perché è ancora innamorato di Susan.

Non lo ha mai detto, cerca in ogni modo di tenerlo nascosto ai miei occhi, ma io so che questa è la verità: una parte di lui è ancora fortemente legata al passato, alla sua ex compagna, e credo non sia veramente pronto a lasciarla andare per sempre.

Finalmente, quando ormai inizio a perdere ogni speranza, vedo la sua figura riflessa nello specchietto: cammina senza alcuna fretta, con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni e la testa china in avanti; non sembra triste, in realtà appare quasi tranquillo quando sale in macchina.

Passa la mano destra sul viso, si scompiglia i capelli tinti e poi mi guarda negli occhi.

“Vuoi sapere quello che è successo?” domanda, sbattendo più volte le palpebre, senza aggiungere altro.

Mi mordo il labbro inferiore e poi scuoto la testa, lottando contro l’impulso di chiedergli spiegazioni.

“No. Sei qui, il resto non ha importanza”

“Ho chiuso definitivamente con il mio passato, Nicole. Adesso possiamo guardare al futuro e iniziare una nuova vita lontano da qui”

“Hai già pensato ad una destinazione?”

“Si” risponde lui, passandosi di nuovo la mano destra tra i capelli, un gesto che fa spesso quando è nervoso “ma prima dobbiamo fare una piccola variazione. Non è ancora nulla di confermato, però, perché dipende da te”

“Da me?” chiedo, incuriosita “e perché dipende da me? Dove vorresti andare?”

“A Las Vegas”.

La risposta di T-Bag mi lascia perplessa: Las Vegas è molto lontana dal luogo in cui ci troviamo ora e non riesco a capire per quale motivo vuole andare proprio nella città che non dorme mai.

“Ma… Perché?”

“Pensaci un momento, Nickie” dice lui, posando l’indice destro sulla mia fronte “che cosa c’è a Las Vegas?”

“I casinò” rispondo subito, perché è la prima cosa che mi viene in mente “non dirmi che vuoi giocare i nostri soldi per vincerne altri! Teddy, questa è una follia… Perderemo tutto…”

“No, non m’importa dei casinò! Rifletti meglio! Che cosa fanno le giovani coppie quando vanno lì?” insiste una seconda volta.

Seguo il suo consiglio, ma l’unica altra opzione a cui penso è troppo assurda per essere reale.

“Non dirmi che…” dico poi, senza riuscire a continuare la frase; Teddy mi precede e la conclude al mio posto.

“Voglio portarti a Las Vegas per sposarti?” mormora con un sorriso appena accennato,l’angolo sinistro della bocca leggermente incurvato all’insù “so che è troppo presto e che noi due ci conosciamo da appena due mesi, ma perché aspettare? Che senso ha? Abbiamo detto di iniziare una nuova vita, giusto? Facciamolo nel migliore dei modi allora! Io non posso sposarmi in una chiesa qualunque a causa… A causa del mio passato burrascoso e della mia condotta non perfetta… Ma a Las Vegas qualunque cosa è concessa. Lì tutto è diverso, ma non posso procedere senza il tuo permesso. Purtroppo durante il tragitto di ritorno alla macchina non ho avuto occasione per comprare un anello, quindi dovrai accontentarti di una semplice domanda: vuoi essere la unica e sola signora Bagwell, Nicole Baker?”.



 
Ogni ragazzina sogna il matrimonio perfetto, da favola: una chiesa traboccante di fiori, un abito da principessa con lo strascico infinito, un banchetto imperiale ed uno sposo altrettanto perfetto, tanto bello quanto buono e gentile.

Teddy è stato molto chiaro con me: è un ricercato ed un assassino, di conseguenza non può assicurarmi nessuna di queste cose; non possiamo scegliere una cattedrale antica, non possiamo comprare i fiori più belli da sistemare lungo la navata principale e tra le panche, e non possiamo scegliere una villa o un ristorante in cui organizzare il ricevimento.

Lui, poi, è tutto fuorché un uomo perfetto.

Ma queste, per me, sono tutte cose superflue.

Il matrimonio è un rito molto più importante e profondo: è la promessa di rimanere legati ad una persona fino al giorno in cui si esala l’ultimo respiro, la promessa di rimanerle fedele, di vivere insieme i momenti felici e di affrontare mano nella mano quelli difficili.

Il matrimonio è la promessa d’iniziare una nuova vita insieme, lasciando alle spalle il proprio passato, con lo sguardo rivolto solo al futuro.

Ed è proprio per questi motivi che non m’importa se mi trovo all’interno di una piccola chiesa a Las Vegas, una di quelle che utilizzano le giovanissime coppie quando non hanno il consenso dei genitori.

Non m’importa se indosso un semplice paio di jeans ed una maglietta a maniche corte e non m’importa neppure della pistola che Teddy impugna e che è puntata contro la fronte del funzionario che deve rendere ufficiale la nostra unione.

Quando l’uomo pronuncia le fatidiche parole passo una catenina d’argento attorno al collo di T-Bag: dal momento che indossa una protesi non può portare la fede e così la utilizza come ciondolo; prendo in mano un altro anello, sprovvisto di brillanti o pietre preziose incastonate, e lo infilo nell’anulare della mia mano sinistra.

Quasi contemporaneamente lui preme il grilletto della pistola ed il proiettile si conficca nel cranio del funzionario, uccidendolo all’istante.

Un po’ mi dispiace per il pover’uomo, ma non possiamo rischiare di essere riconosciuti e denunciati alle autorità.

Tutto accade così velocemente che sento la testa girare e per qualche istante chiudo gli occhi per riprendermi; io e T-Bag non ci siamo neppure scambiati il classico bacio tra novelli sposi, ma si tratta di un altro gesto superfluo.

“Sto bene” mormoro poi, rispondendo ad una domanda del mio compagno.

So che la definizione più corretta, ora, è ‘mio marito’ ma suona ancora terribilmente strano da dire.

Mio marito.

Theodore è mio marito adesso.

L’ho fatto davvero: ho sposato un uomo che conosco appena da due mesi e con cui ho una relazione altalenante, che non è mai andata oltre ad un semplice bacio.
“Vieni” risponde lui, prendendomi per mano “dobbiamo uscire da questo posto subito. Non possiamo rischiare che ci trovino in compagnia di un cadavere ancora caldo, e poi abbiamo un altro lungo viaggio d’affrontare. Ti prometto che questo sarà l’ultimo”.

Usciamo dalla chiesa correndo e saliamo in macchina; Teddy accende subito il motore ed io osservo le luci delle insegne che si trasformano velocemente in tanti puntini lontani, fino a scomparire del tutto.

Non so se nota qualcosa di strano sul mio viso o se è ancora preoccupato per il mio mancamento, ma dopo qualche minuto mi domanda se va tutto bene.

“Si” dico, pronunciando un semplice monosillabo.

“Sei sconvolta perché ho ucciso quell’uomo?”

“No, non avevi altra scelta. È una questione stupida, una sciocchezza. Mi sarebbe piaciuto trascorrere una notte in uno di quegli alberghi”

“Con tutti i soldi che abbiamo a nostra disposizione possiamo permetterci vacanze molto più lussuose. Possiamo anche comprare un’isola se lo desideri” risponde lui, tentando di farmi sorridere, ma non è questo il punto.

Non si tratta di soddisfare un mio sfizio personale, ma di una questione completamente differente.

“Non m’importa delle vacanze lussuose o di comprare un’isola. Volevo trascorrere qualche ora in albergo per consumare la prima notte di nozze in un posto indimenticabile” sussurro, abbassando la testa per non far vedere il rossore che mi scalda le guance; sento l’indice destro di Teddy sotto il mio mento, che m’invita gentilmente a sollevare il viso.

Sta sorridendo in un modo che non ho mai visto prima d’ora: nella sua espressione non c’è la minima traccia di arroganza o sarcasmo, può essere definita quasi dolce.

“Arriverà anche il momento di questo, e come hai detto tu avverrà in un posto indimenticabile”

“È lì che siamo diretti?” chiedo, mentre mi accarezza il collo.

“Si” conferma lui, con la voce rotta improvvisamente da un tremolio “è proprio lì che siamo diretti, Nickie”.
 
 

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Capitolo 44
*** Epilogo: Sweet Home Alabama (T-Bag) ***


Una persona può percorrere quanta strada vuole nella propria vita, ma arriverà sempre il momento in cui farà ritorno nel luogo in cui è nata e cresciuta; è una legge della natura non scritta, con cui tutti noi prima o poi dobbiamo fare i conti.

Dopo aver parcheggiato scendo dalla macchina senza preoccuparmi di chiudere la portiera alle mie spalle e mi avvicino ad una vecchia abitazione senza riuscire a staccare gli occhi dalle assi di legno; la mia mano destra trema quando afferro la maniglia della porta d’ingresso, ma non esito neppure un istante a spingerla verso il basso e ad entrare.

In un battito di ciglia mi ritrovo catapultato nel passato, in un loop temporale infinito: non è cambiato nulla dall’ultima volta in cui sono stato in questo posto, ad eccezione delle scritte irripetibili che qualche vandalo ha impresso sulle pareti con una bomboletta spray; i mobili, la carta da parati e le vetrinette sono gli stessi, sono semplicemente impolverati o ammuffiti.

Nicole entra subito dopo di me: si toglie gli occhiali da sole che indossa e si avvicina ad un muro per leggere con più attenzione le scritte, poi si volta verso di me e mi guarda con un’espressione corrucciata.

“Che posto è questo, Teddy?”.

Non le risposto, in questo momento non sono neppure in grado di parlare, mi avvicino al divano e lo sposto senza preoccuparmi del rumore che provoca sfregando sulle assi di legno: m’inginocchio sul pavimento, mentre con la mano destra percorro la carta da parati, fino a quando non trovo una piccola porticina che nasconde un vano portaoggetti.

L’apro, e ciò che trovo mi lascia senza fiato.

Quello che ho tra le mani è un vecchissimo dizionario di sinonimi e contrari: la mia famiglia era così povera che non poteva permettersi né giochi né libri per bambini, così trascorrevo la maggior parte delle mie giornate a sfogliarne le pagine, cercando di memorizzare più parole possibili.

Nicole mi chiama per la seconda volta, ma ignoro nuovamente la sua voce e mi avvicino ad una porta socchiusa; l’apro con delicatezza e ciò che appare davanti ai miei occhi è una camera da letto spoglia, arredata in modo essenziale.

La mia camera da letto.

Sento una mano posarsi sul mio braccio sinistro e finalmente riesco a parlare.

“Questa, Nickie, è la casa in cui ho vissuto fino ai quattordici anni” spiego, guardandola negli occhi “noi due abbiamo un passato molto simile”

“Vuoi parlarmene?” mormora, avvicinandosi di più a me, la sua mano continua ad accarezzarmi il braccio per rilassarmi e per infondermi coraggio, ma non è mai semplice dare nuovamente vita ai brutti ricordi.

“La mia vita è stata complicata fin dal giorno in cui sono nato, Nicole. Io sono il frutto di un incesto: l’uomo che ha contribuito a mettermi al mondo ha stuprato sua sorella e dopo nove mesi sono nato io. Ti risparmio maggiori dettagli della mia infanzia e della mia prima adolescenza” dico, con un sorriso tirato, guardo ancora una volta la mia stanza e rivivo un ricordo che avevo rimosso completamente dalla mia mente; vedo me stesso, a otto anni, sdraiato sul materasso in compagnia di mio padre che mi accarezza il ginocchio destro prima di alzarsi per chiudere la porta a chiave.

“Teddy”

“No… No, non interrompermi!” esclamo, allontanandomi dalla ragazza che ho sposato da appena qualche giorno “Nicole, mio cugino e mio nipote non ci sono più ed io sono l’ultimo componente ancora in vita dei Bagwell. L’ultimo componente di una razza corrotta e fortunatamente resterò tale”

“Che cosa vuoi dire?” chiede Nicole; non capisce il senso delle ultime parole che ho pronunciato perché si tratta di un argomento che non abbiamo mai affrontato prima.
In realtà è una cosa che non ho mai confidato a nessuno, neppure a Susan.

“Io sono sterile. Non posso avere figli. Grazie a Dio il mondo non vedrà un altro Bagwell e forse questa è la giusta punizione per i crimini che ho commesso” torno da lei e la prendo per mano “mi dispiace averti taciuto una cosa così importante per così tanto tempo, ma non sapevo come dirtelo. Se adesso sei arrabbiata con me puoi dirmelo, puoi anche urlare o picchiarmi, lo capirei. Se resterai a mio fianco non potrai mai avere una vita ed una famiglia come quelle di tante altre ragazze. Non sarai mai madre. Però… Però ti prometto che riuscirò a renderti comunque felice se me ne darai la possibilità, Nicole. Voglio buttare giù questa casa e farne costruire una nuova. Potrai arredarla nel modo che preferisci, ti lascio carta bianca. Ti prometto che cambierò e che diventerò un uomo buono. Ti prego, dammi la possibilità di dimostrarti che non sto raccontando l’ennesima bugia e che le mie intenzioni sono sincere”.

Appena finisco di parlare Nickie passa le braccia attorno alle mie spalle e mi bacia.

“Non voglio sentire queste cose” sussurra poi, allontanandosi di pochi centimetri dalle mie labbra “noi due siamo marito e moglie, ricordi? Non m’importa se non riusciremo ad essere una famiglia come tutte le altre, ho accettato di sposarti perché voglio trascorrere il resto della mia vita a tuo fianco. Non puoi avere figli? D’accordo, significa che adotteremo un cucciolo”.

Questa volta sono io ad avventarmi sulla sua bocca: non merito di avere a mio fianco una persona così, eppure non sono intenzionato a lasciarmela scappare.
Sollevo Nickie senza la minima difficoltà e l’adagio con delicatezza sul mio vecchio letto; mi sdraio sopra di lei e riprendo a baciarla, accarezzandole con la mano destra la coscia sinistra, risalendo poi lungo il fianco.

Mi blocco quando sento una mano premuta con forza contro il mio petto.

“Ho esagerato?” domando, con il timore di avere risvegliato in lei altri spiacevoli ricordi del passato; ma mi rassicura subito scuotendo la chioma bionda.

“No, no… Non si tratta di questo. Credo di essere pronta, Teddy, voglio fare l’amore con te”

“Sei sicura?”

“Si, ne sono sicura” risponde con voce decisa, ma il suo corpo è percorso da un brivido.

Le accarezzo una guancia per rassicurarla.

“Andrà tutto bene. Puoi fermarmi in qualunque momento se non te la senti di proseguire”

“Si”.

Chiudo gli occhi, prendo un profondo respiro e poi mi chino nuovamente per baciare la donna della mia vita.

Ormai sono trascorsi diversi giorni dall’ultima volta in cui ho avuto un rapporto sessuale e sento subito l’impulso di farla mia senza sprecare un solo minuto in più; le vecchie abitudini sono dure da cambiare, ma questa volta riesco a trattenermi ed a reprimere la parte più animalesca che c’è in me e che mi ha spinto più volte a commettere atti irripetibili.

Sfilo lentamente la maglietta a Nicole e poi faccio lo stesso anche con la mia e con la felpa che indosso; osservo in silenzio il suo petto ed il reggiseno nero, lei arrossisce perché non è ancora abituata a ricevere tutte queste attenzioni da parte di un uomo.

“Se non ti piace quello che stai vedendo posso chiamare qualcun altro a sostituirmi. Magari Scofield… Lui ha un fisico invidiabile” commento, cercando di farla ridere, per allentare la tensione che si è creata.

“Credi davvero che a me interessi solo l’aspetto fisico?” risponde Nickie, difatti, con una risata prima di tornare seria “Teddy, ti prego, fammi dimenticare tutto quello che ho passato. Voglio che il tuo corpo cancelli ogni cicatrice impressa nel mio. Ti prego”.

Adesso sono io quello a rabbrividire: la sua voce, il tono supplichevole e la disperazione che traspare dai suoi occhi azzurri sono un grido d’aiuto che non posso ignorare e che voglio far sparire per sempre.

I nostri pantaloni raggiungono ben presto gli altri vestiti sul pavimento, ed io mi blocco una seconda volta per ammirare il corpo della mia compagna, di mia moglie, trovandolo perfetto in ogni singolo centimetro di pelle: è così bella e così fragile, proprio come una bambola di porcellana, che vorrei prendere una macchinetta fotografica per imprimere per sempre la sua figura su un foglio di cellulosa.

“Non ti preoccupare, ti farò dimenticare tutto. Lo sai che mantengo sempre le mie promesse” mormoro, sfiorando con le labbra il suo orecchio destro; la sento rabbrividire di nuovo, ma questa volta è per il piacere, non per la paura e l’ansia.

Invito Nicole a sedersi sul materasso e lentamente, accarezzandole le spalle, abbasso le spalline del reggiseno, passando poi al gancetto, liberandola così da un ingombrante peso; le sue guance diventano di un rosso acceso ed il suo primo istinto è quello di coprirsi con le braccia, ma io la blocco in tempo, dicendole che non deve farlo, perché non ha assolutamente nulla di cui vergognarsi.

Soprattutto con me.

Bacio la donna della mia vita ancora una volta, sulle labbra, mordendole di tanto in tanto; con le mani scendo lungo i fianchi, sfilandole gli slip neri che indossa.
Trattengo involontariamente il fiato davanti al suo corpo completamente nudo.

“Non ti piace quello che vedi? Se vuoi posso chiamare qualcun’altra… Magari la dottoressa Tancredi” sussurra, con un sorriso appena accennato, restituendomi la mia stessa battuta; prima che possa dire altro mi sorprende con una mossa che non avevo previsto in alcun modo: mi toglie i boxer, lanciandoli contro la porta della camera.

Scoppio a ridere perché trovo il gesto terribilmente buffo ed eccitante allo stesso tempo.

“Vieni qui…” ringhio a bassa voce: l’afferro per i fianchi e ribalto le posizioni, tornando ad assumere quella dominante.

Chiedo ancora una volta a Nickie se è davvero pronta e quando ricevo una risposta affermativa, sottoforma di un cenno del capo, chiudo gli occhi e la penetro.

Un gemito esce dalle mie labbra, sento le sue unghie conficcate nella carne della mia schiena, ed inizio a muovermi con gesti lenti e misurati: non voglio farle del male, non voglio provocarle sofferenza in alcun modo possibile, voglio solo proteggerla.

Voglio solo farla sentire protetta e amata.

Non riesco a trattenere un altro gemito quando sento di essere vicino all’orgasmo e so che lo stesso vale anche per lei; è strano da spiegare, ma sento che è così.

Forse perché in questo momento entrambi siamo fusi in un unico corpo.

Le sue unghie mi graffiano la schiena nello stesso momento in cui rilascio il mio seme dentro di lei, ma dalla sua bocca non esce alcun suono, tranne quello di alcuni respiri spezzati.

Mi lascio cadere sul materasso: sento i capelli e la pelle completamente zuppi di sudore, ma non m’importa minimamente perché per la prima volta, da troppo tempo, ho fatto l’amore e non del volgare sesso.

Nicole si accoccola contro il mio petto, come una bambina, trascorre ancora qualche minuto prima che parli, mormorando tre semplici parole.

“Ti amo, Theodore”.

“Anche io ti amo” rispondo, chiudendo gli occhi a causa della stanchezza.

Sollevo le palpebre qualche minuto più tardi e mi alzo dal letto senza fare rumore, per non svegliare mia moglie; indosso solo i boxer e la maglietta, frugo all’interno di una tasca della felpa ed esco dalla stanza dopo aver trovato ciò che cercavo.

Mi siedo sui gradini del portico, prendo una sigaretta dal pacchetto che ho in mano, me la porto alle labbra e dopo un paio di tentativi riesco finalmente ad accenderla.

Aspiro una profonda boccata e rivolgo lo sguardo al sole che sta per tramontare sui cieli dell’Alabama.

Cazzo, penso mentre butto fuori il fumo, sono proprio questi i momenti della vita che vanno assaporati appieno, fino all’ultimo boccone.

Fanculo Scofield ed il resto della squadra.

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