La leggenda del fantasma rosso - II parte

di Ram92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo primo ***
Capitolo 3: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 5: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 6: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 7: *** Capitolo sesto ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo.
 
- Dietro un angolo. – ripeté il maggiore.
Il marine annuì con convinzione.
- In mezzo alla folla. – continuò l’altro con incompreso scetticismo. – E poi è sparita.
- L’ho vista solo con la coda dell’occhio, per un attimo, e aveva un lungo mantello verde con un cappuccio, ma sono assolutamente certo che fosse lei.
Il maggiore sospirò sconfitto e si limitò a rimettere mano ai documenti svogliatamente.
- E da cosa viene tutta questa sicurezza, se posso chiedere?
- Dalla katana.
Il marine continuava a rispondere alle sue domande con incrollabile sicurezza ed entusiasmo.
- Non potrei mai dimenticare quella lama, dovessi campare cent’anni.
La qual cosa, fosse dipeso da lui, non sarebbe mai stata così lontana dall’avverarsi, pensò il maggiore con una punta di veleno.
- Era la Shingetsu, ne sono sicuro.
Fu solo dopo che la porta si chiuse alle spalle del marine, che il maggiore si lasciò cadere mollemente sulla sua poltrona con un ennesimo sospiro. Diede un’ultima occhiata al foglio compilato con tutti i dati del caso. Un’altra indagine inutile. Un altro ‘fantasma’ del Mare Occidentale.
Prima erano venuti i pentiti di Ohara, poi quella storia della ciurma di Gekko Moria e poco dopo anche quel misterioso attacco di una supposta nave fantasma dei Pirati della Notte… il Mare Occidentale si stava riempiendo di visioni e leggende ogni giorno di più. E più le leggende crescevano e più gli uomini si facevano suscettibili e superstiziosi, pronti a gridare al miracolo non appena intravedevano un volto familiare tra la folla o un’ombra tra le onde. C’era chi raccontava che i morti amassero nascondersi nei riflessi del tramonto, e per questo andavano a ovest, dove il sole muore gettandosi in mare. Ora a quanto pareva anche pirati morti sette anni prima nel Nuovo Mondo venivano a far visita.
Fissò ancora per qualche istante il foglio e tutta la risma di documenti da compilare per inquadrare il caso. E decise che prima di ogni altra cosa aveva bisogno di un buon caffè.
Sulla sua scrivania il fascicolo abbandonato riportava a chiare lettere nell’intestazione il nome di Hitaki Midori, ultima affiliazione nota: la ciurma di Shanks il Rosso.







Ram's corner

Salve a tutti e benvenuti!
Per i nuovi che non hanno letto 'La leggenda del fantasma rosso - I parte': questa storia nasce come la continuazione di un filone unico, una sorta di secondo arco narrativo all'interno di un'unica vicenda. Nonostante questo, il mio consiglio è quello di provare a vedere se la trama vi interessa o meno, per il momento, quindi provare a leggere qualche capitolo da qui e poi, eventualmente, recuperare la prima parte. Il prequel, per così dire, è piuttosto lungo: ha molti capitoli, anche se sono tutti piuttosto brevi e può essere letto, volendo, come una storia a sé. 
Per chi invece già mi conosce e conosce la storia, ho invece una piccola ammissione da fare: non sono riuscita ancora a scrivere i cique capitoli che avevo detto. Sono sì e no al terzo, introduzione compresa e gli altri sono da risistemare. Ricominciare è stato più difficile del previsto.
Per tutti quanti: spero che la storia vi piaccia e vi prego di aver pazienza con me. I commenti sono ben accetti e, vi assicuro, aiutano moltissimo. Detto questo, ognuno è libero di fare quel che vuole, purché si diverta.
Spero di non deludervi e scrivere qualcosa di buono.

Alla prossima,
Ram.

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Capitolo 2
*** Capitolo primo ***


Capitolo uno.
 
- Non ci vado!
Il piccolo pugno fece tremare il tavolo, mentre briciole di cibo si irradiavano tutto intorno, dato che, nonostante le sue vibranti proteste, non si era data la pena di smettere di mangiare.
- E invece sì che ci vai. La signora Midori ha detto…
- No!
Quello che un tempo era stato parte di un boccone di frittata atterrò sulla guancia di Riku e questo fece traboccare definitivamente la sua pazienza già messa a dura prova fino a quel momento. Bastone alla mano, era già pronto a balzare sulla bambina che, da parte sua, impugnava la forchetta come un’arma e trangugiava il suo succo di frutta.
- La signora Midori mi ha affidato questo compito e io lo porterò a termine. – dichiarò lui in tono che non ammetteva repliche.
- Fatti sotto!
Mezzora dopo i due ragazzini camminavano in direzione del villaggio. Una piccola cordicella robusta si allungava tra la mano di Riku e il corpo della bambina che tentava ancora di divincolarsi rumorosamente.
- Lasciami andare! – protestava tra gli guardi sbigottiti dei negozianti del villaggio che si apprestavano ad aprire.
Riku proseguiva impassibilmente la sua marcia silenziosa.
 
- Buongiorno a tutti.
- Buongiorno signorina maestra! – risposero in coro i bambini.
- Non è ancora tornata la signora Midori? – chiese uno di loro.
- Anche oggi sostituirò la signora Midori e le due classi saranno accorpate. – annunciò la giovane maestra in tono di scusa. – Però per oggi abbiamo una importante novità. Dato il suo recente compleanno, oggi dovrebbe unirsi a noi…
La porta scorrevole si aprì di scatto e due ragazzini apparvero sulla soglia. Il più grande, capelli scuri e sguardo severo, si fece avanti trascinando la più piccola, legata e con le lunghe ciocche rosse che cadevano disordinatamente sull’espressione ribelle e decisamente contrariata.
- Buongiorno signorina, ci scusi per il ritardo. – salutò con un leggero inchino Riku facendo il suo ingresso in classe. – Qualcuno ha creato qualche difficoltà. – aggiunse lanciando un’occhiata tagliente alla ragazzina alle sue spalle.
La maestra li guardò perplessa e leggermente sconcertata.
- Tu devi essere Aki… - provò a dire sorridendo.
La bambina sbuffò ostinatamente.
 
In qualche modo, riuscì ad atterrare sulle proprie gambe, anche se dovette subito chinarsi per non perdere l’equilibrio.
La testa le girava e aveva lo stomaco sottosopra, senza contare quel travolgente torpore che la prendeva ogni volta che quei folli viaggi da una parte all’altra del pianeta duravano più del dovuto.
- Riesci a camminare?
Midori strinse i denti e si fece forza per riuscire ad alzarsi.
- Sì. – disse sistemando la katana a tracolla come era solita portarla quando era in missione.
Se il volto di Kuma fosse stato capace di esprimere una qualsivoglia espressione, lo sguardo che le rivolse probabilmente sarebbe stato uno sguardo di sorpresa.
- Se senti la necessità di riposare abbiamo abbastanza tempo per…
- Non è necessario. – lo interruppe la donna.
Nello stringere la pesante cintura, controllò che il piccolo pezzo di vivre card fosse al suo posto. Solo una leggera strinatura sui bordi, niente che avrebbe fatto preoccupare Shanks, valutò rapidamente. Del resto, al momento non era lui il problema più urgente.
- Ho già perso sin troppo tempo. – mormorò quasi tra sé, portando istintivamente lo sguardo verso ovest.
Il vento freddo del nord la riscosse dai suoi pensieri. Kuma la stava osservando in silenzio.
- Andiamo. – disse seccamente mettendosi in cammino.
 
- Ancora arrabbiata per il primo giorno di scuola? – chiese con un sorriso la signora Misato, ritirando il piatto vuoto dal bancone per sostituirlo con uno traboccante di riso con i gamberi.
La bambina continuò a trangugiare cibo limitandosi a bofonchiare qualche frase inintelligibile con la bocca piena. Al suo fianco, Riku si limitò ad accettare la nuova porzione con un leggero inchino impacciato, riservando alla ragazzina uno sguardo di silenzioso biasimo.
- E tu invece sei ancora capoclasse insieme ad Anne, da quanto mi dice. – aggiunse il padrone della locanda rivolto al più grande, il quale si irrigidì improvvisamente a quelle parole.
Il boccone gli andò di traverso e si mise a tossire e sputare chicchi di riso mentre un improvviso rossore gli imporporava le orecchie.
- S-sì. – riuscì a dire soltanto, lottando contro l’asfissia.
- ‘apocasse? – articolò interrogativamente Aki senza smettere di masticare.
- Qualcosa in contrario? – ribatté l’altro sul piede di guerra, punto nel vivo.
La signora Misato e suo marito si scambiarono uno sguardo d’intesa e li guardarono entrambi sorridendo con aria bonaria.
- Speriamo che la signora Midori torni presto. – mormorò la donna con dolcezza.
 
Midori raggiunse per prima il vecchio rifugio e si affrettò ad entrare. Dietro di lei, il vento ululava ormai furiosamente anche se Kuma non dava segno di accorgersene. E con la sera scendevano anche le temperature.
Si trattava di uno dei tanti edifici abbandonati che l’Armata Rivoluzionaria utilizzava da quelle parti. Nonostante la polvere e l’aria dismessa, Midori era certa che da qualche parte avrebbero trovato nascosti viveri e coperte.
- Dovremo passare qui la notte. – annunciò con un sospiro rassegnato. – Con questo freddo non possiamo proseguire oltre.
Per quanto le seccasse, non c’era niente che potesse fare al riguardo.
- Accendo il fuoco. – ribatté il gigante con la stessa voce atona di sempre.
Midori si limitò ad annuire, mentre pestando metodicamente il tacco della scarpa sul pavimento passava in rassegna l’intera stanza passo dopo passo. Presto le pareti del piccolo rifugio si tinsero di una nota calda. Il fuoco scoppiettava allegramente nel grande camino. 
Finalmente il legno risuonò a vuoto e da sotto le liste del parquet emersero scatolette e bottiglie in abbondanza. Midori prese un paio di quelle che avrebbero dovuto essere lattine di zuppa e ne versò il contenuto in una vecchia pentola perché si scaldasse sulle fiamme.
Fuori il buio era sceso senza alcun tramonto, il cielo era passato dal blu gelido e terso del tardo pomeriggio al grigio senza altra transizione di colore, pensò lanciando un’occhiata distratta all’unica finestra del rifugio. La luce del fuoco, però, illuminava la stanza di quella sfumatura che, nel tempo, aveva cominciato a trovare tanto rassicurante.
- Sembra che hai i capelli come me.
- A quest’ora sembra tutto più simile ai tuoi capelli, Aki.

Midori non poté fare a meno di sorridere tra sé.
Perdonami Aki, pensò lasciando cadere uno sguardo pieno di affetto sulle fiamme. Tornerò presto, te lo prometto.
 
Dall’altra parte del mondo un altro fuoco brillava negli ultimi bagliori del tramonto.
Dopo un’altra cena consumata in quell’inusuale silenzio, Riku non poté fare a meno di sbirciare la ragazzina raggomitolata e intenta ad osservare le fiamme, il grosso medaglione stretto tra le mani. Detestava ammetterlo, ma quel silenzio lo irritava forse ancor di più del caos che generalmente regnava in quella casa. Sospirò tra sé e sé. Era tempo di dire addio a quella quiete.
- Facendo così non diventerai mai un vero pirata. – disse tutto d’un fiato.
Aki si irrigidì impercettibilmente.
- Un vero pirata non si lascia scoraggiare da niente. – continuò Riku in tono severo. – Solo i bambini piagnucolano perché gli manca la mamma. – aggiunse pronto a qualsiasi reazione.
- Non sto piagnucolando. – protestò la più piccola alzando la testa di scatto.
- Invece sì. – infierì lui incrociando le braccia. – Nessun capitano vorrebbe un compagno così.
- Non è vero!
Aki era balzata in piedi, inviperita. Si trattava soltanto di darle il colpo di grazia.
- Mi chiedo cosa direbbe Shanks…
La bambina gli si avventò addosso, Riku si spostò appena in tempo e si preparò a contrattaccare.
  




Ram's corner

Scusatemi tantissimo!
Sto andando a rilento, lo so, ma stanno succedendo un po' di cose, di là, nella vita reale. Cercate di perdonarmi.

Alla prossima,
Ram.

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Capitolo 3
*** Capitolo secondo ***


Capitolo due.
 
- E’ così da tre giorni.
Midori osservò di nuovo la bambina rivoltarsi sotto alle pesanti coperte, tremante di febbre.
- Il normale decorso della malattia prevede febbre e un progressivo ispessimento della pelle accompagnato da rigidità che comportano difficoltà prima di movimento e poi respiratorie. – stava spiegando il medico del piccolo paese con voce stanca. – Muoiono dopo circa un paio di mesi. – aggiunse senza articolare enfasi.
La donna sbirciò brevemente il suo interlocutore.
Colorito pallido, profonde occhiaie. L’aspetto di un uomo che non dormiva da giorni.
Ricoprì la piccola paziente e rimboccò la coperta in modo che i movimenti della bambina non la facessero scoprire.
- Quanti altri malati ci sono?
- Altri due, tutti all’incirca della stessa età. Nika è stata l’ultima ad ammalarsi, gli altri sono ad uno stadio più avanzato.
Midori strinse le labbra.
- Qualche altro elemento in comune?
Il medico le rivolse uno sguardo interdetto.
- Credevo che l’avessero informata. – disse poi con voce greve studiando le sue reazioni con diffidenza.
Midori non si scompose e attese una risposta in silenzio.
- L’altro elemento in comune è che sono gli ultimi bambini di quell’età nati in questo villaggio rimasti in vita.
 
Un altro piccolo tonfo sordo. Un istante, e di nuovo il leggero grattare del metallo sul legno.
Riku strinse i denti e cercò di sopportare in silenzio.
Accanto a lui, anziché fare i pochi compiti assegnatele, Aki giocherellava distrattamente con il vecchio medaglione di Shanks facendolo girare come una sorta di pesante trottola sul tavolo.
- Riku. – lo chiamò con voce lamentosa. – Possiamo andare ad allenarci adesso?
- Dopo aver finito i compiti. – ribatté lui meccanicamente.
La bambina sospirò delusa e fissò sconsolata il foglio pieno di segni da copiare e imparare a memoria.
- Non possiamo farli dopo?
- Dopo si mangia.
Gli occhi di Aki brillarono per un istante.
- Ma solo – la interruppe Riku prima che potesse aprir bocca. – dopo aver finito i compiti ed essersi allenati.
La bambina tornò ad appoggiare la testa sul tavolo guardando con astio il pezzo di carta davanti a lei e riprendendo a giocherellare col medaglione.
 
Era impressionante persino per lei.
Per lei, che era stata medico di bordo sulle navi pirata per tanti anni. Per lei, abituata a ferite di battaglia, avvelenamenti e malattie mortali.
A riscuoterla dai suoi pensieri fu lo sguardo insistente del dottore. Si affrettò a posare delicatamente il braccio gelido del bambino sotto alle coperte e si allontanò insieme al collega cercando di evitare qualsiasi contatto visivo con i familiari riuniti attorno al letto. Un desolante silenzio riempiva la stanza. Nessun singhiozzo, nessuno strepito. Solo una snervante e dolorosa attesa.
- Questa situazione va avanti da ormai un anno. – continuò ad esporre con la sua voce stanca e inespressiva il medico. – I bambini hanno cominciato ad ammalarsi uno dopo l’altro. Abbiamo pensato ad un contagio, abbiamo provato ad isolarli, alcune famiglie hanno persino provato ad abbandonare il villaggio prima che fosse troppo tardi. La famiglia di Nika era una di queste.
- Nessun adulto ha sviluppato gli stessi sintomi?
Il dottore scosse la testa.
- Nessun adulto, nessun vecchio, nessun adolescente. Si ammalano soltanto i bambini tra i tre e i cinque anni circa. Prima i più grandi, poi i più piccoli.– fu forse solo un’impressione di Midori, ma la voce del collega sembrò incrinarsi impercettibilmente. – E i tempi sembrano stringersi.
La donna tacque. In quel momento aveva soprattutto bisogno di raccogliere quanti più dati le fosse possibile.
Al lumacofono, Dragon aveva insistito affinché studiasse il caso di persona, senza intermediari esterni. E aveva insistito perché andasse lei.
- I primi malati sono durati più a lungo. Il decorso della malattia era più lento. Al primo caso ci è voluto un mese e mezzo prima che la pelle cominciasse a irrigidirsi, altri due prima che morisse.
Lo sguardo del medico era altrove, le mani strette a pugno, con le unghie piantate nei palmi.
- Quando anche il secondo bambino ha cominciato a presentare gli stessi sintomi ho deciso di mettermi in viaggio verso la città più vicina in cerca di grandi ospedali e biblioteche specializzate. Non ho trovato nulla, e nessuno che sapesse aiutarmi. Un giovane medico cominciò ad interessarsi al caso e tornò insieme a me al villaggio per raccogliere campioni da analizzare poi nel suo laboratorio. – la voce del dottore tradiva ormai tutta l’esasperazione accumulata in un anno di lavoro e sofferenza. – Non è più tornato. – aggiunse sollevando lo sguardo su Midori.
La donna non reagì.
- Questo villaggio non ha bisogno di curiosi. – proseguì l’altro con freddezza. – Quindi se è venuta sin qui per analizzare dati e poi rinchiudersi in un laboratorio le devo chiedere di andarsene. E’ mia responsabilità non dare a questa gente false speranze.
- Hikari Yuri. – disse una voce alle loro spalle. – Era questo il nome del giovane medico, giusto?
Il gigantesco Bartholomew Kuma comparve stringendo tra le mani la solita Bibbia.
Il dottore annuì e Midori poté percepire il celato rancore che traspariva appena dalla tensione della mascella.
- Risulta disperso da otto mesi, è stato dichiarato ufficialmente morto da sei. – annunciò il Rivoluzionario senza la benché minima enfasi. – E’ come sparito nel nulla pochi giorni dopo il suo rientro in città. Così come tutto il materiale a cui stava lavorando. E’ stato questo a insospettire l’Armata Rivoluzionaria.
Midori continuava a fissare il collega. Lo vide impallidire e abbassare lo sguardo. Vide i pugni aprirsi, le spalle sciogliersi e un leggero tremito impossessarsi di lui.
- Voi potete aiutarci? – disse infine, volgendo sui suoi due ospiti gli occhi stanchi.
Midori sostenne quello sguardo con aria impassibile.
- Faremo il possibile.
 
Aki guardò Riku mettere da parte i libri di scuola e prenderne un altro dalla piccola biblioteca di casa.
- Non hai ancora finito? – si lamentò accasciandosi di nuovo sul suo foglio imbrattato e pieno di scarabocchi.
- Nemmeno tu.
La bambina si morse una guancia e lanciò uno sguardo carico d’odio all’ultima parte della pagina, ancora colpevolmente bianca, davanti a lei.
Riku sfogliò velocemente le pagine fino a dove era rimasto. ‘Assenza di calcio’ recitava l’intestazione del capitolo.
- Io ho fame. – borbottò Aki, afflitta.
La ignorò e si immerse nella lettura.
 
- Perché Dragon ha assegnato a me questo caso? – chiese quando finalmente si trovarono soli.
Kuma si voltò a dedicarle tutta la propria attenzione.
- Mi ritieni troppo importante se pensi che mi siano rivelate le ragioni di simili scelte.
L’indice di Midori scattò leggermente mentre tamburellava sulla manica del pesante giaccone che si era procurata.
- C’è qualche problema che devo riferire? – si offrì il giovane Rivoluzionario.
La donna sbuffò e si appoggiò alla parete alle sue spalle, lasciando correre lo sguardo lontano, oltre la finestra su quel mondo grigio di metà pomeriggio.
- Mi ricorda in qualche modo Fleavance. – mormorò quasi a sé stessa.
Kuma rimase immobile apparentemente in attesa di una risposta o di un ordine.
Midori sospirò stancamente.
- Devo mettermi a lavoro.





Ram's corner

Piccola nota linguistica: Kuma = Orso. E' la versione giapponese sia del nome dell'animale che del personaggio. Io sono abituata a sentirlo e leggerlo così (lingua anime giappo con sottotitoli inglesi, lingua manga inglese), per cui non mi viene da scrivere 'Orso'. Comunque è lui.

Al prossimo capitolo,
Ram.

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Capitolo 4
*** Capitolo terzo ***


Capitolo tre.

Aki guardò confusa il foglio pieno di segni rossi che la capoclasse le aveva restituito.
Spiò il compito del suo vicino di banco, ma lui si ritrasse risentito prima che potesse vedere chissà che. Del resto non ci capiva molto. Non le era affatto chiaro che cosa dovesse fare.
- Qualche domanda? – le chiese Anne con un sorriso incoraggiante.
La più piccola abbassò per un istante lo sguardo sul proprio foglio. E poi tornò a guardare la capoclasse imbarazzata. No, non aveva nessuna domanda, in realtà, a parte ‘cosa ci faccio qui’.
- Bene, allora oggi rivedremo insieme altre dieci lettere, in modo che Aki le possa imparare e tutti gli altri ripassare, d’accordo?
- Sì, signorina capoclasse! – esclamarono gli altri quattro bambini all’unisono.
Aki cercò di ascoltare, ma, come già era successo il giorno prima e quello prima ancora, la sua attenzione presto si perdeva dietro le tante cose che accadevano nel resto della stanza. In un altro angolo Riku, in quanto capoclasse come Anne, si prendeva la briga di stare dietro ad altri tre bambini che si passavano di tanto in tanto un grosso libro colorato da cui sembravano leggere qualcosa di interessante. Al centro della stanza, invece, la signora maestra aveva disegnato un grosso cerchio con una X nel mezzo e indicando la parte superiore del cerchio parlava di temperature tanto gelide da ghiacciare il mare e rendere impossibile la navigazione, al punto che i marinai erano costretti…
- Aki, mi stai ascoltando?
Anne e tutti gli altri bambini del suo gruppo la stavano fissando. Di nuovo. Aki sentì le guance avvampare ed assumere la stessa esatta tonalità dei suoi capelli.
 
- Per prima cosa avrò bisogno di un serio laboratorio di analisi.
Mani sui fianchi e maniche arrotolate fino al gomito, Midori si guardò intorno con aria critica.
- Pertanto cominceremo dallo svuotare completamente questa sala dell’ospedale per fare posto agli strumenti.
- Ma qui non abbiamo alcun… - provò a ribattere il medico del villaggio.
- Ed è qui che entra in gioco Kuma e la sua capacità di spostarsi e spostare gli altri velocemente. – lo interruppe la donna indicando il suo enorme compagno impassibile.
- Nel frattempo, voglio che siano convocati tutti i bambini al di sotto dei cinque anni e le loro famiglie, i genitori dei bambini malati e anche un campione delle famiglie che non hanno subito alcun contagio.
- Si tratterebbe in buona sostanza di tutto il villaggio. – commentò il medico.
- Ci sono provette per il sangue di tutti?
- C-credo di sì, ma…
- Perfetto, allora le affido l’incarico di organizzare le convocazioni. Entro tre giorni voglio riuscire a schedare una sufficiente campionatura di sangue per poterla poi analizzare. E’ tutto chiaro, dottor…?
- Dottor Amos… – balbettò ancora il medico, perplesso. – Ma come pensate di…?
- Ho bisogno di questi macchinari e queste sostanze. – continuò lapidaria Midori, porgendo una lista a Kuma e voltando impietosamente le spalle al collega. – Pensi di poterteli procurare nel giro di una settimana?
Il Rivoluzionario prese la lista senza nemmeno guardarla.
- Non posso assicurare la tua sicurezza, in mia assenza. – disse con l’usuale voce priva di emozioni. – Anche se fino ad ora il Governo non ha dato particolari segnali di interesse, non possiamo escludere che scelga di intervenire per evitare un’eventuale fuga di notizie.
Il sorriso che si dipinse sul volto di Midori fece rabbrividire il collega.
- Questo non sarà un problema. – disse sfiorando l’elsa della Shingetsu.
 
- Ed Eichiro? Continua ancora a chiedere in prestito libri e fumetti dalla biblioteca della scuola?
- Beh, sì… - riuscì a balbettare Riku in risposta. – Di tanto in tanto…
- Ne ero certa! – esclamò Anne entusiasta. – E’ stato il primo ad imparare a leggere, tanto gli piacevano le storie!
Pochi passi più indietro, lo sguardo di Aki denunciava tutto il disinteresse di cui era capace. Se non fosse stato per il pranzo, mai avrebbe acconsentito a condividere con la capoclasse un istante più del dovuto. Non capiva perché poi dovesse venire con loro a mangiare alla locanda della signora Misato. Va bene che era sua zia, ma una madre che le preparava il pranzo a casa sua lei ce l’aveva.
- E tu, Aki? Allora che ne pensi della scuola?
La voce sin troppo allegra di Anne interruppe bruscamente il cupo filo di pensieri in cui la bambina si era persa. Quando fece per parlare, notò lo sguardo tagliente di Riku che la fissava minaccioso.
- E’… difficile…. – optò diplomaticamente.
- Oh, non preoccuparti, sei solo all’inizio. Vedrai che appena comincerai a saper leggere diventerà tutto molto più divertente! – e dicendolo, Anne sfoderò l’ennesimo sorriso rassicurante che Aki iniziava ad associare a tutti i suoi sbagli. – E poi hai la fortuna di vivere insieme ad un capoclasse, per cui sono sicura che imparerai in men che non si dica!
Il volto di Riku avvampò a tal punto che le sue occhiatacce si fecero decisamente meno temibili.
Per sua fortuna, Anne non parve accorgersene e riprese a parlare dei suoi ex alunni marciando allegramente alla volta della locanda. Aki sospirò e cercò di concentrarsi sull’allettante prospettiva delle porzioni abbondanti della signora Misato.
 
I giovani pazienti e le loro famiglie furono i primi ad essere sottoposti all’esame.
Midori osservò la pelle spessa e squamosa del bambino febbricitante davanti a lei con aria critica.
- Non c’è modo di prelevare sangue dai pazienti più gravi. – aveva detto il dottor Amos. – Gli aghi non passano gli strati cutanei irrigiditi dalla malattia.
Ma, del resto, per quanto competente potesse essere, il dottor Amos non era certo un pirata. Non avrebbe ad esempio percepito quello sguardo insistente e curioso che la spiava dalla fessura della porta socchiusa alle sue spalle.
Midori fece finta di niente.
Tra le sue dita l’ago si tinse improvvisamente di nero, come per magia. Qualcuno trattenne il respiro. Un attimo dopo il sangue del piccolo paziente fluiva nella fiala senza alcun resistenza. Dei passi leggeri si allontanarono di corsa nel corridoio.
 
- Storia però è la mia materia preferita.
Aki finì di inghiottire la sua seconda porzione di ramen e porse il piatto vuoto alla signora Misato con uno sguardo supplicante.
- Tutti quei personaggi del passato, tutti quei racconti incredibili… non trovi che siano affascinanti?
Riku si strinse nelle spalle con un po’ di imbarazzo.
- Beh… - trovò il coraggio di mormorare.
- E poi ci sono talmente tanti vuoti ancora da colmare, ci pensi? – proseguì Anne con aria sognante, ignorandolo. - Chissà quante cose ancora non sappiamo.
- Uhm… - fece il ragazzino in tono vago.
- E la tua?
Come i grandi occhi azzurri di Anne si posarono su di lui, la gola di Riku si bloccò per un istante, rendendogli incredibilmente difficile ingoiare il boccone che aveva in bocca.
- Qual è la tua materia preferita?
Quando riuscì finalmente a deglutire, Riku assunse un’espressione seriosa, come accadeva sempre più spesso, e fissò intensamente il bicchiere che lo aveva salvato da un principio di soffocamento.
- Io… - mormorò senza trovare il coraggio di alzare lo sguardo. – Io non ho una materia preferita.
- Non ti credo. – sentenziò allora la ragazzina energicamente.
Riku la guardò senza capire.
- Per esempio, su geografia sembri sempre sapere tutto. A matematica, invece, non presti mai troppa attenzione. Questo significa che geografia è una delle tue materie preferite e matematica no, non ti pare?
- Non è proprio così…
Lo sguardo sempre più intenso di Anne gli faceva bruciare le orecchie in modo quasi insopportabile. Giocherellò con le dita con il bicchiere vuoto.
- E’ che… - provò a spiegare.
- Riku studia perché vuole diventare un bravo pirata. – si intromise improvvisamente Aki, sbucando da sopra la sua terza ciotola di ramen. – E la matematica non gli serve a niente.
- Un pirata?
Riku fulminò la più piccola con lo sguardo.
- Sì, per ritrovare suo padre. – continuò la bambina senza vederlo mentre spariva dietro alla ciotola per inghiottire le ultime gocce di brodo. – Era un pirata anche lui, proprio come Shanks e la ma-
Riku si alzò di colpo e afferrò Aki per il collo della maglietta prima che riuscisse a finire la frase.
- Dobbiamo andare. – disse soltanto.
- Ci vediamo doma… - provò a salutarlo Anne, ma non fece in tempo.
Riku era già uscito di corsa, trascinando la bambina con sé.



Ram's corner

Piccola curiosità: domani, 19 novembre, è il compleanno di Aki. Lo stesso giorno di Benn Beckman, mi hanno fatto notare, ma il fatto è che il 19 è il giorno in cui ho cominciato a scrivere la prima parte.

Alla prossima,
Ram.

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Capitolo 5
*** Capitolo quarto ***


Capitolo quattro.
 
Nonostante le proteste di Aki, solo quando arrivarono alla radura davanti alla casa di Midori Riku interruppe la sua marcia forsennata e lasciò andare la più piccola, scaraventandola a terra con poco garbo e suscitando parecchie lamentele.
- Non devi mai dirlo.
Quando Aki alzò lo sguardo su di lui ammutolì. Non lo aveva mai visto tanto serio, il che era tutto dire.
- Non devi mai dire che la signora Midori è un pirata.
- Ma è vero, lei era…
- Nessuno deve saperlo. – la interruppe il ragazzino con veemenza.
Aveva il fiato corto per la lunga marcia, ma il tono della sua voce era fermo. Ad Aki fece quasi paura.
- Prometti che non lo dirai mai più.
- Ma io… - provò a balbettare la bambina.
- Prometti che non lo dirai mai più.
Aki fece per ribattere ancora, ma lo sguardo di Riku la dissuase.
- Prometto… - borbottò infine a malincuore.
Riku la osservò ancora per qualche istante, poi si voltò diretto verso la piccola casa di legno.
- Ah, e un’altra cosa. – aggiunse senza voltarsi. – Non parlare mai più dei miei genitori.
 
Era stata una lunga giornata.
Mancavano ormai pochi campioni di sangue e il ritorno di Kuma con i macchinari per poter finalmente stabilire quale fosse la causa della malattia, o almeno eliminare alcune ipotesi.
Midori congedò gli ultimi pazienti che si erano diligentemente sottoposti al prelievo. Sin troppo diligentemente. Senza fare domande, senza esitare di fronte alle sue richieste. Poteva darsi che la sua esperienza con pirati prima e Aki poi l’avessero abituata a ben altri tipi di reazioni, ma sembrava quasi…
Captò un movimento leggero dietro la porta con la coda dell’occhio. Nascose un mezzo sorriso.
- Hai bisogno di qualcosa? – chiese senza voltarsi, mentre continuava a rimettere a posto le provette e le siringhe che aveva accumulato sul tavolo.
La bambina strabuzzò gli occhi e si aggrappò alla maniglia della porta, come a cercare riparo dietro a quell’esile barriera di legno. Ma non fuggì, notò Midori.
- Tu… tu sei un dottore?
La donna sentì di potersi finalmente girare per guardare in faccia la piccola ombra che l’aveva spiata tutto quel tempo. Due grandi occhi del colore dell’ambra la scrutavano incuriositi e diffidenti dalla soglia.
- Sì, piccola, sono un dottore.
La porta finì di aprirsi lasciando comparire un pesante cappotto blu e due lunghe trecce bionde, ancora prudentemente aggrappate alla sicurezza della maniglia. Secondo la sua esperienza con Aki, Midori calcolò che potesse avere all’incirca tre anni.
- E sei qui per far guarire mio fratello? – chiese ancora la bambina.
- Per il momento posso solo provare a capire che cosa ha. – disse la donna pesando bene le parole. – E dopo proveremo a capire se c’è una cura.
La situazione era critica. E lei non voleva dare a nessuno false speranze.
La bambina non reagì. Continuava a guardarla con occhi diffidenti e l’aria di aver ancora qualcosa da dire. Midori attese con pazienza, riprendendo a sgombrare il tavolo.
- Tu… - balbettò la piccola dopo un po’ aggrappandosi sempre più alla maniglia. – Tu hai… poteri magici?
 
Riku continuò a camminare.
Non aveva una meta, non sapeva nemmeno da quanto tempo avesse lasciato Aki e la radura. Sapeva solo che voleva continuare a camminare. Fino a che quella sensazione non fosse passata. Quella sorta di tremito, dentro, che lo spingeva ad accelerare il passo ancora ed ancora. Non era rabbia, non era paura. Era solo una promessa che non voleva mancare.
 
- Tornerò il prima possibile.
Ai flebili raggi della luna, la lama della Shingetsu brillò di una luce quasi tagliente prima di sparire dentro al suo vecchio fodero verde.
- Devi occuparti tu di Aki fino al mio ritorno.

La Goldfish, trattenuta a riva ormai soltanto da un’ultima cima, sciabordava facendo oscillare appena la figura sottile di Midori nella notte.
- Cerca di fare in modo che non si cacci in troppi guai.
- Cosa devo dire alla gente del villaggio?
- Puoi dire che ho ricevuto una chiamata di emergenza, in fondo è quel che è successo.
Non appena spiegate, le piccole vele si riempirono del caldo vento di terra.
- L’importante è che nessuno sappia. – aveva detto allora Midori, ammainando la vela nera di Aki e Yasop. - Hitaki Midori è un pirata morto tanti anni fa. Aki non ha bisogno anche di questo peso. – aveva aggiunto come parlando a se stessa.
Sciolta dall’ormeggio, l’estremità della cima tirava e bruciava tra le sue mani. La Goldfish scalpitava per partire.
- Riku.
Quando i suoi occhi incontrarono quelli della Maestra, il suo sguardo era insolitamente dolce.
- Lascia la cima. – gli aveva detto con un sorriso. – Tornerò. Hai la mia parola.
Aveva lasciato la presa.
 
Erano passate almeno due settimane, ormai. Lei avrebbe già dovuto essere lì. E non c’era.
Con un grido scagliò un pugno contro il tronco di un albero senza altra colpa di trovarsi a portata di tiro. E si bloccò, la mano dolorante, tremiti lungo la schiena e qualcosa di pesante in fondo alla gola. Si accasciò a terra. Lui aveva mantenuto la sua promessa. Lei dov’era?
 
- I bambini malati, e anche Koda, a loro non fanno mai le punture perché si rompono… - balbettò la piccola alzando la testa di scatto. - …io ti ho vista! Ho visto che l’ago è diventato nero e poi gli hai fatto una puntura e non si è rotto!
Gli occhi della bimba, di quel colore tanto insolito, dardeggiavano. Midori sorrise bonariamente. Doveva aver fatto appello a tutto il suo coraggio, per parlare con una strega con simili poteri, pensò. E a lei piacevano i bambini coraggiosi.
- Dici che ho fatto così?
Prese dal tavolo uno degli aghi da buttare e lo rivestì col colore dell’armatura. La bambina sgranò gli occhi.
 
Il vecchio Shingen sospirò seccato.
Da ogni lato la si guardasse, quel suo potere era sempre stato davvero una grande seccatura, per la maggior parte del tempo. Per la totalità del tempo da quando si era ritirato, o almeno aveva provato a ritirarsi, a vita eremitica.
Lui aveva fatto di tutto, aveva infestato il bosco, aveva fatto sì che circolassero voci di sacralità e terrore tra la gente del posto, pur di ottenere un po’ di pace. Ma da anni, come da sempre del resto, il problema era sempre lo stesso: pirati. Pirati all’apice del loro successo, ex-pirati, pirati presunti morti, aspiranti pirati, figli di pirati.
E quasi tutti quelli che circolavano in quel suo angolo di mondo sembravano avere a che fare con una certa testa rossa di sua conoscenza.
Accidenti a quello Shanks, pensò probabilmente ad alta voce. La prossima volta gli avrebbe dovuto rompere anche quell’altra, di gamba.




Ram's corner

Allora, in questo capitolo iniziano ad entrare in scena personaggi e anche un po' di questioni legate alla prima parte della storia. Per questo qualcosa può apparire un po' fumoso. Comunque per adesso niente di vitale, se volete continuare una lettura esplorativa.

Alla prossima (e scusate per la lentezza),
Ram

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Capitolo 6
*** Capitolo quinto ***


Capitolo cinque.
 
Koda continuava a peggiorare.
- Quanto tempo è passato dai primi sintomi?
Il respiro rasposo si era fatto più marcato. Segno che i polmoni stavano per bloccarsi definitivamente.
- Sono ormai sei settimane.
Un mese e mezzo, i tempi tornavano considerando il loro progressivo accorciarsi.
Midori cercò di auscultare il cuore al di sopra del fracasso che produceva ogni respiro amplificato dallo stetoscopio. Battito debole, lento.
- Gli antidolorifici?
A fianco del piccolo letto, la madre del bambino non si muoveva e non parlava. I gravi occhi chiari che non si muovevano dalla smorfia di dolore impressa sul volto del figlio.
- Siamo alla dose massima.
Midori si rimise lo stetoscopio sulle spalle.
Con la coda dell’occhio vide la piccola Riza, la bambina coraggiosa con gli occhi d’ambra, dormire raggomitolata in una coperta scura sull’altro lettino della stanza.
- Dategliene il doppio.
Il dottor Amos si affrettò a seguirla al di fuori della stanza.
- L’antidolorifico comincerà a danneggiargli il sistema nervoso. – disse a mezza voce. – E’ un principio base della medicina.
- Nella lista che ho dato a Kuma ci sono nuove scorte, non corriamo il rischio di rimanere senza…
- Abbiamo ancora una settimana. – continuò l’anziano medico. – Kuma potrebbe tornare in tempo.
Midori si fermò.
- Dobbiamo ancora scoprire qual è il problema e trovare una cura. – disse lapidaria. – Ci vorrà più di una settimana.
Quando riprese a camminare, il dottore non si mosse.
- Non sarò io a fare l’iniezione.
Midori strinse un pugno nella tasca del camice fino a piantarsi le unghie nella carne.
- Non è un problema. – disse soltanto, senza il benché minimo accenno di emozione nella voce. – Avrei dovuto pensarci io in ogni caso.
 
- Tutti pronti?
Aki si guardò intorno un po’ spaesata e a disagio.
- Davanti i più piccoli… stringetevi su!
Quella strana lumaca li fissava con occhi pigri e annoiati.
Aki non sapeva dove mettersi, in quella bolgia di bambini tutti intenti a mettersi accanto agli amichetti e comunque ben in vista.
- Avanti, veloci, prendete posto!
- Aki!
La bambina fece appena a tempo a voltarsi che la mano di Anne la trascinò con sé.
- Sorridete…
Aki guardò con orrore i grandi occhi tondi e spugnosi della lumaca proprio di fronte a lei, al centro del gruppo.
- …ancora un attimo…
La lumaca disse qualcosa di molto simile a ‘clatcha’ e strabuzzò ancora di più gli occhi per un istante. Aki non riusciva a smettere di fissarla con curiosità mista ad un certo disgusto.
- …e fatta. – annunciò allora il tipo che maneggiava la lumaca.
Gli altri bambini esultarono, gli occhi della bestia tornarono della loro misura iniziale e rivolsero ad Aki uno sguardo di sufficienza.
 
Erano bastate poche parole. La donna aveva capito e aveva annuito, prima di mettersi a piangere. Quando non la seguì dentro la stanza, Midori non si sentì di giudicarla. Non c'era nessuno ad affrontare tutto questo insieme a lei.
Dal primo cassetto prese una siringa, dal secondo una boccetta di un liquido trasparente. Sul fondo ne rimasero altre sei boccette identiche. Più di quante ne fossero necessarie.
- Sei qui per fare la magia?
La voce assonnata della bambina la colpì dritta allo stomaco, ma non disse niente.
- Posso vedere? – chiese Riza, alzandosi con ancora la coperta addosso senza darle il tempo di rispondere.
Midori sospirò e le fece spazio, poi la sua mano si colorò di nero e la siringa la imitò sino alla punta dell’ago. Riza la guardava affascinata, con un’espressione che raramente i bambini rivolgevano ad una siringa. Era decisamente una bambina coraggiosa. Quando l’ago bucò la pelle del fratello, Riza quasi sorrise e le rivolse un nuovo sguardo pieno di ammirazione.
- Ora Koda starà meglio?
Davanti all’espressione della piccola, Midori accennò suo malgrado un sorriso.
- Soffrirà meno. – riuscì a trovare la forza di dirle con una voce che si augurò suonare rassicurante.
La bambina la guardò perplessa e Midori lanciò un’occhiata alla madre appoggiata allo stipite della porta che le osservava in silenzio, gli occhi vuoti. Non poteva chiedere a quella donna di farlo. Toccava a lei.
- Tu sai che Koda è molto malato. – disse inginocchiandosi davanti a Riza fino a raggiungere la sua altezza. – Gli altri bambini nelle sue condizioni hanno resistito per poche settimane. Tuo fratello è stato bravo, ha lottato tantissimo, ma…
Quando la bambina le si buttò tra le braccia, Midori non poté far altro che stringerla e lasciare che piangesse. Con Aki aveva sempre funzionato.
Al di là della porta, gli sguardi che fissavano la scena adesso erano due. La poderosa sagoma di Kuma la attendeva pazientemente oltre la soglia.
 
- Ci vediamo a casa.
Aveva a malapena finito di mangiare, osservò Misato. Ed era qualche giorno che andava avanti così. Per fortuna, almeno Aki le dava un po’ di soddisfazione. Anche se fissava la porta da cui l’altro se n’era andato, le sue mascelle non avevano smesso per un solo istante di muoversi. Tutta suo padre, in questo.
- Anne mi ha detto che oggi è venuto il fotografo. – disse la donna cercando di ottenere l’attenzione della bambina.
- Fofogafo? – borbottò questa senza aspettare di inghiottire il boccone.
- Sì, il tizio con il lumografo. – insistette Misato con un sorriso gentile. – E’ stata la tua prima foto di classe, per ricordarti dei tuoi compagni…
- Fofo?
Un dubbio improvviso si fece strada nei pensieri de la proprietaria della locanda.
- Tu… sai cos’è una fotografia, vero Aki?
In tutta risposta, lo sguardo della piccola si fece più perplesso che mai.
 
- Mi fa male!
Oltre le lagne di Aki, la signora Midori lo aveva squadrato di sotto in su con uno sguardo lievemente minaccioso.
- Che cos’è, questa? – gli aveva chiesto perentoria.
Lui si era stretto nelle spalle.
- E’ solo un’erba che cresce nel bosco. Quando mi facevo male mi faceva guarire più in fretta le ferite.
Midori aveva continuato a fissarlo con sospetto.
- Non so come si chiama.
Aveva finalmente scoperto la ferita, che nel frattempo aveva smesso di sanguinare e sembrava sulla buona strada per rimarginarsi. La signora Midori l’aveva esaminata per qualche minuto, prima di fasciarla di nuovo con della garza pulita.
- Portami dove hai trovato questa erba.
Il tono era duro, ma aveva perso qualsiasi nota minacciosa. Riku si era limitato a fare strada.
- Chi ti ha insegnato queste cose? – gli aveva chiesto poco più tardi, con qualche ciuffo di quella erba arrotolato in un sacchetto di cotone.
Lui aveva scrollato la testa.
- Nessuno. Io so soltanto che funziona. O quello, o le pietre calde sotto al sole.
 
Riku si riscosse.
Il dito aveva scorso lungo tutta la pagina, ma non avrebbe saputo dire cosa era scritto oltre il titolo.
Era stata la prima volta, pensò, la prima volta che la signora Midori gli aveva prestato un libro di medicina. Un libro di erbe, per la precisione. La sua erba del bosco era a pagina 36 e aveva un nome preciso.
Se vuoi diventare davvero un pirata, aveva detto, qualche nozione di medicina ti potrebbe essere utile.
Era la prima volta che l’aveva sentita parlare della sua idea di diventare un pirata.
Riku chiuse il libro di scatto. Non riusciva a concentrarsi, nonostante quel raro e miracoloso silenzio. Fuori il cielo cominciava a tingersi di sfumature arancioni, e Aki non era ancora rientrata.
 
- Ecco qua!
Aki aveva guardato il piccolo pezzo di vetro e sughero che la signora Misato si era tanto data da fare ad appendere alla parete di fianco al bancone. Tirandosi in piedi sulla sedia per guardare da vicino, scorse tante piccole facce come disegnate, ed erano le facce degli altri bambini del villaggio con la maestra.
- E’ un vero peccato che Midori non sia ancora tornata. – si lasciò sfuggire la donna, riponendo il martello e i chiodi in un cassetto. – Ma non è un problema, tanto ne avrete un’altra anche l’anno prossimo! – si affrettò ad aggiungere.
La bambina continuava a guardare l’immagine con curiosità.
- Questa sono io? – chiese puntando il dito al centro esatto della foto e lasciando sul vetro l’impronta di una ditata.
Misato non poté trattenere un sorriso.
- E chi altro potrebbe essere con quei capelli? – disse scarmigliandole i ciuffi rossi pieni di nodi.
 
- E’ una specie di veleno.
Era tarda notte, la luna e la luce che filtrava dal microscopio erano le uniche luci nel piccolo laboratorio improvvisato e riempito di roba. Midori staccò gli occhi dalle lenti e accese la luce sopra la sua scrivania tirando giù un paio di libri dallo scaffale.
- Ce l’hanno tutti, grandi e bambini.
Kuma la osservava impassibile mentre lei sfogliava velocemente le pagine, un libro dopo l’altro.
- Le percentuali sono basse, forse è qualcosa che dagli adulti non viene assorbito…
Nella fretta di afferrare un nuovo libro, quello che aveva tra le dita le cadde di mano. Di riflesso chiuse la mano e le ultime pagine si strapparono, mentre il pesante tomo cadeva irrimediabilmente per terra.
- Forse dovresti riposare.
Midori alzò la testa di scatto, portando istintivamente la mano a cercare l’elsa della katana. Kuma era arrivato a toccarle il braccio senza che lei nemmeno lo avesse visto muoversi. Lo fissò per un lungo istante. Allentò la presa su Shingetsu. E poi successe. Si lasciò cadere in ginocchio, assieme al suo libro e fissò il pavimento fino a che non sentì la porta del laboratorio cigolare e i passi del rivoluzionario allontanarsi.
Solo allora si mise a piangere.

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Capitolo 7
*** Capitolo sesto ***


Capitolo sei.
 
- Non è giusto!
Eiji sorrise appena, lo sguardo intento a controllare il filo delle katane del dojo.
- Non è affatto giusto che tu abbia tutte queste katane e non è giusto che nostro padre insegni soltanto a te a combattere. Voglio combattere anch’io! Sono più forte di quasi tutti i bambini della mia età, è solo lui che pensa che non sia capace!
Con movimenti calmi e composti, Eiji ripose la lama nella sua fodera e si voltò per prendere Shingetsu, rimasta come sempre per ultima.
- Nostro padre non pensa che tu non sia capace.
La sua voce bassa e pacata colse Midori alla sprovvista.
Shingetsu sibilò appena mentre lui la sfilava dalla sua guaina verde osservandone la lama scura e lucente.
- Tu somigli a nostra madre più di quanto tu non possa immaginare.
- Però lei poteva combattere! – si infuriò la bambina. – A lei avevano insegnato e aveva una katana tutta sua! Era persino nella guardia del re!
Riflessi sulla lama di Shingetsu, Eiji vide i suoi occhi neri guardarlo come da un’epoca lontana.
- Shingetsu è una katana sorprendentemente leggera. – mormorò quasi in un sussurro. – Persino una ragazzina potrebbe maneggiarla, con una dovuta preparazione. – aggiunse quando vide Midori drizzare le orecchie.
Il suo volto si distese in un sorriso macchiato di sangue.
- Tanto a me non serve più…

 
Midori si svegliò di soprassalto solo per ritrovarsi nella penombra della stanzetta del piccolo ambulatorio del villaggio in cui il dottor Amos l’aveva ospitata. Dalle veneziane della finestra filtrava la fievole luce di un’alba del mare settentrionale. Si ricordò dov’era, e quanto tempo era passato da allora. Prese Shingetsu e si scostò le pesanti coperte di dosso.
 
Kuma posò una tazza di caffè fumante accanto al microscopio.
- Hai scoperto qualcosa?
I libri erano sparpagliati un po’ ovunque attorno al cerchio di luce della lampada sopra alla scrivania. Il giovane rivoluzionario lanciò loro una lunga occhiata senza poter fare a meno di chiedersi da quanto tempo quella donna fosse tornata a lavorare. Non una parola uscì dalle sue labbra serrate.
- Nei libri non c’è. – la voce di Midori richiamò il suo sguardo su di lei, ancora china sulla lente del microscopio, la tazza del caffè perfettamente immobile dove l’aveva lasciata.
- Questo può significare due cose: o non ha causato danni altrove o qualcuno sta nascondendo qualcosa.
Con gesti rapidi ed esperti, Midori aggiustò il fuoco della lente senza mai staccare gli occhi dall’immagine restituita dalla macchina.
- Ad ogni modo, sappiamo per certo che la causa è ambientale. E se…
Sotto la manica della camicia arrotolata fino al gomito, Kuma vide spuntare un cerotto. Sul tavolo giaceva ancora una siringa usata e una provetta piena di sangue. Una seconda siringa se ne stava appoggiata all’interno di un bicchiere pieno di quella che sembrava acqua.
Midori alzò lo sguardo dal microscopio.
- Chiama il dottor Amos.
 
- Sappiamo che la causa è ambientale e ancora attiva.
Kuma si guardò attorno. Il tempo di chiamare il dottor Amos e l’aspetto del laboratorio era cambiato radicalmente. I libri erano tornati sui loro scaffali, il microscopio era stato spento e spostato in un angolo assieme alla tazza del caffè ancora piena e non più fumante e una serie di fiale dei prelievi accuratamente etichettate.
- Tracce della sostanza che sembra causare la malattia si trovano in tutti i campioni di sangue analizzati, compreso il mio, benché con una minore concentrazione.
Con un gesto deciso, la donna srotolò il foglio che aveva tra le mani e che tornò ad occupare interamente lo spazio del tavolo da lavoro. Un vecchia cartina geografica di quello che a pria vista sembrava…
- Sono i dintorni del villaggio. – osservò stupito il dottor Amos. – Ma cosa…?
- E’ una resa inesatta.
La sua voce atona e incolore, come sempre accadeva, sembrò piombare sulla stanza spazzando via ogni altro tentativo di conversazione. Il dottor Amos lo guardò con uno sguardo smarrito, ma gli occhi di Midori brillarono. Se n’era accorta anche lei, pensò con sollievo.
- La disposizione degli edifici non corrisponde. – spiegò brevemente al dottore, che tornò a guardare la carta.
Ai suoi occhi era apparso subito evidente. Il villaggio raffigurato in planimetria sembrava più popoloso.
- La fila delle case si estende ben oltre l’agglomerato principale che sembra corrispondere al villaggio attuale.
- E’ una carta vecchia. – confermò Midori.
Gli stanchi occhi del medico sembravano accarezzare i tratti della mappa illuminati da una luce carica di malinconia. Le dita sfiorarono appena i bordi.
- Una volta ipotizzato che l’epidemia si limiti a quest’unico villaggio, la cosa più probabile era che si trattasse di una contaminazione del terreno. – riprese a dire Midori. – Una contaminazione per via aerea si sarebbe estesa più facilmente oltre i confini del villaggio. Oltre a questo, la progressione della sostanza nel mio sangue è stata troppo lenta. I polmoni l’avrebbero assorbita molto più in fretta.
Mentre parlava, la donna poggiò una mano sulle fiale di sangue. Due di esse riportavano il suo nome.
- E’ stato per questo che ho deciso di analizzare l’acqua.
Kuma ricercò con lo sguardo il bicchiere con la siringa che aveva notato quella mattina e lo trovò accostato al microscopio.
- Le tracce sono minime, ma sufficienti a creare danni a seguito di una esposizione continua e prolungata.
Gli occhi del dottore continuavano a rimanere posati sulla carta senza più vederla, le mani che tremavano appena.
- La mia ipotesi è che l’esposizione del villaggio duri da circa sette anni.
- Sette anni! – gridò il dottore alzandosi in piedi.
Sembrava senza fiato. Continuava a fissare la mappatura del villaggio, le mani tremanti sbattute sul tavolo con una violenza che lo avrebbe distrutto, se le energie dell’uomo non lo avessero abbandonato da tempo.
Midori non diede segno della benché minima reazione.
- Sette anni fa…
Il medico si accasciò nuovamente sulla sua sedia, lo sguardo febbricitante che non abbandonava le linee d’inchiostro della mappa. Strade, case, negozi che non c’erano più.
- Sette anni fa questo villaggio era ancora vivo. – le dita si strinsero graffiando la superficie del tavolo lasciando piccoli squarci irregolari sulla carta. – Non ricco, non lo è mai stato, ma vivo.
Kuma sbirciò Midori. Ascoltava attenta, come in cerca di qualcosa.
- Era un villaggio di semplici allevatori, con una buona posizione per raggiungere i pascoli, sopra la montagna, nei mesi d’estate. Poi…
Un sussulto costrinse il dottore ad interrompersi. Una lacrima cadde sopra la raffigurazione di una fila di case che non esistevano più.
- Poi gli animali hanno cominciato ad avere problemi, non è così?
Amos alzò lo sguardo stupito su Midori e annuì.
- I vitelli, gli agnelli, e dopo un po’ tutti gli animali… - mormorò continuando a guardarla come in cerca di conferma.
- Hanno cominciato a morire.
Il dottore annuì di nuovo.
Kuma osservava la scena con la consueta espressione indecifrabile, ma dentro di sé cominciava ad intravedere un senso dietro a tutta la vicenda.
- Gli erbivori sono stati i più esposti. L’acqua contaminata ha avvelenato l’erba, gli alberi e le piante, prima di arrivare alla carne. Il diverso metabolismo ha fatto il resto.
Midori continuava a parlare con calma, mentre Amos si prendeva la testa tra le mani, piangendo ormai senza ritegno.
- Alcuni allevatori hanno dovuto lasciare il villaggio, chi per cercare fortuna altrove, chi per trovare un nuovo mestiere in città o per mare. E dopo qualche anno i bambini hanno cominciato ad ammalarsi.
- Perché i bambini? – chiese Kuma con voce atona.
- La spiegazione più probabile è che la sostanza interferisca con il corretto sviluppo del feto in gravidanza. – rispose Midori senza mostrare a sua volta alcuna emozione.
I singhiozzi del dottore riempivano la stanza.
- L’evoluzione della malattia andrebbe studiata più a fondo, ma la questione della morte dei vitelli sembrerebbe già una prima conferma.
- Avrei dovuto…
Midori e Kuma interruppero la loro analisi.
Piegato e tremante, Amos parlava a denti stretti, le lacrime che gli rigavano il volto stravolto.
- Avrei dovuto capire subito…
- Non c’è niente che avrebbe potuto fare.
Il dottore si voltò di scatto verso la donna, gli occhi pieni di rabbia.
- Anche se avesse intuito la causa della malattia, avrebbe dovuto richiedere l’analisi del terreno e delle acque ad un laboratorio specializzato. – disse Kuma. – E’ stato probabilmente questo ad uccidere il giovane medico, Hikari. Avrebbe solamente ottenuto di fare la stessa fine, con la sola differenza che l’Armata Rivoluzionaria non avrebbe mai avuto alcuna notizia dell’accaduto e non sarebbe potuta intervenire. – aggiunse del tutto insensibile al peso delle sue parole.
Del tutto sconfitto, il dottore si accasciò sulla propria sedia.
- Ma chi avrebbe potuto fare una cosa del genere? – chiese soltanto.
- Non è questa la domanda giusta. – fece Midori in tono determinato. – A questo punto dobbiamo solo chiederci come riuscire a venirne fuori salvando più persone possibile. E lei deve darci una mano. – aggiunse rivolta al dottore.
Kuma osservò la donna e per la prima volta capì davvero la scelta di Dragon.
Amos deglutì e si rimise dritto sulla sedia.
- Ditemi che posso fare.
 
 







Ram's corner

Salve a tutti e scusate l'ennesimo ritardo e non solo.
Non sono particolarmente contenta di questo capitolo ed era un po' che lo scrivevo e riscrivevo. Credo di averlo un po' migliorato, ma ancora non mi convince del tutto. Mi scuso anche per la pesantezza, ma ho la necessità di velocizzare un po' questa parte della trama senza intermezzi più leggeri, per il momento.
Spero che tutto risulti abbastanza chiaro e non eccessivamente macchinoso - vorrei poterlo leggere con occhi nuovi, ma la riscrittura confonde un po' chi scrive, quindi se qualcosa non è chiaro o non torna segnalatemelo pure che cercherò di renderlo più chiaro.
Alcune parti, in particolare il sogno/flashback iniziale, si riferiscono anche ad alcune parti della storia già introdotte nella prima parte del racconto.

Detto questo alla prossima,
Ram.

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