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di bluepetrol
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Regola Numero Uno ***
Capitolo 2: *** Libri e corpetti ***
Capitolo 3: *** Un uomo elegante ***
Capitolo 4: *** Parchi&Pacchetti ***
Capitolo 5: *** Terreno nemico ***
Capitolo 6: *** Parole forti ***
Capitolo 7: *** Nessuna via di fuga ***
Capitolo 8: *** Pene d'amore ***
Capitolo 9: *** Il Dannato Anello ***
Capitolo 10: *** Protezione ***
Capitolo 11: *** Rimbombo ***
Capitolo 12: *** Valutazione sincera ***
Capitolo 13: *** La domenica dopo ***
Capitolo 14: *** Cambio di piani ***
Capitolo 15: *** Solo poco tempo ***
Capitolo 16: *** Venerdì sera ***
Capitolo 17: *** In mutande ***
Capitolo 18: *** Presunzioni ***
Capitolo 19: *** La Dannata Scadenza ***



Capitolo 1
*** Regola Numero Uno ***


Regola Numero Uno


Il sollievo l'attraversò non appena uscì dalla cenere del camino del Numero 12 di Grimmauld Place, e un sospiro le sfuggì dalle labbra. Le pareva di non aver fatto altro che sospirare per le scorse settimane: sospiri frustrati, sospiri comprensivi, di auto repulsione, smania, rammarico. Questo invece, di sospiro, era stato pienamente atteso da Hermione Granger. La Tana, amorevole, calda e accogliente com'era, non era il posto dove voleva essere in quel preciso momento.

Per tutta la settimana, da quando la Gazzetta del Profeta aveva sbandierato la notizia che le avrebbe rovinato il futuro, tutta la Tana le aveva rivolto occhiate comprensive e strette consolatorie; stava diventando irritante. Trovatasi di fronte a gesti e sguardi così amorevoli, non era stata capace a rispondere con la rabbia che si sentiva pienamente giustificata a provare. Voleva urlare e gridare e ridurre in cenere qualcosa a forza di maledizion
i* – preferibilmente uno tra gli impiegati dementi del Ministero che avevano permesso questa pagliacciata.

No, aveva bisogno di un posto tetro come il suo umore, e Grimmauld Place calzava a pennello.

Kreacher le passò di fianco strascicando, borbottando insulti senza realizzare o curarsene che lei potesse sentire.

"Buon pomeriggio, Kreacher," lo salutò educatamente.

Il vecchio elfo domestico la guardò in cagnesco, "Ci parla," borbottò. "La Mezzosangue ci parla."
"Chi è là?" domandò una voce forte, se
vera, nello stesso momento in cui la porta venne spalancata e il suo fidanzato irruppe nella cucina con la bacchetta sguainata. Accortosi di chi si trattava, Sirius riabbassò il braccio e le sorrise, "Hai fatto presto. Pensavo che saresti stata via per almeno un'altra settimana prima che riuscissero a farti scappare. Vieni, Remus sta aiutando a pulire. Un altro paio di mani è sempre ben accetto."
"Ah, essere di nuovo utili," sospirò beffarda. "Sapevi che fidanzarsi significa che non posso più fare niente? Sul serio, mi trattano come un'invalida."

"Non l'avevo realizzato," disse lui, prendendole la mano e carezzandola gentilmente. "Forse faresti meglio a sederti e berti un brandy, dunque."

La ragazza alzò gli occhi al cielo e lo oltrepassò, cercando di tenere a bada il sorriso che le provocava il suo comportamento. Sirius non era stato nient’altro che accomodante in tutto questo. Non aveva scelto lui di sposarla, e immaginava che non fosse particolarmente contento della situazione. Nonostante questo, non le aveva mai dato l'impressione che fosse risentito nei suoi confronti. Era una magra consolazione per lei, però.

Seguendo i forti colpi su dalle scale, trovò al terzo piano il suo vecchio professore che lottava con un corredo di tende muffite. Remus Lupin. Una settimana fa era la sua prima scelta come fidanzato, non perché ne fosse innamorata o nutrisse qualche affetto segreto, ma perché era intelligente e abile e si fidava di lui. Sfortunatamente, in quanto lupo mannaro, la sua proposta non sarebbe mai stata approvata dal Ministero.

"Ridecori?" chiese.

"Ci sto provando," diede alle tende uno sguardo d'odio prima di rivolgersi a lei. "Hermione..."

"Remus Lupin, se provi a consolarmi ti affatturo!" lo mise in guardia.

"Cosa? No, stavo per chiederti aiuto." Mentì in fretta e in modo affatto convincente, ma lei lasciò correre dopo aver visto quanti problemi gli avevano dato i tendaggi. Annuì e lo seguì dentro la stanza, lasciando Sirius a ridacchiare ai danni del suo amico inetto.

"Questa è casa tua, Sirius," si imbronciò Remus. "Dovrei lasciarlo fare a te."

"Ma tu sei molto più bravo di me," ghignò Sirius, andandosene.

"Cretino," mugugnò Remus. "Scusa, so che è il tuo fidanzato, ma è davvero uno scansafatiche. Ti avverto: detesta pulire. Una volta ha passato un anno senza lavare un singolo capo d'abbigliamento, comprando tutto nuovo ogni volta che diventava troppo sporco. ...Sospetto che sia stato fatto per una sfida."

Lei sbuffò, immaginando Fred e George fare qualcosa di simile. "Chi l'avrebbe sfidato a farlo?"

"James," disse lui, come se fosse ovvio.

"Qualcos'altro che dovrei sapere?"

Remus si interruppe per avvicinarsi agli arredi incriminati. "Beh, lui-" La tenda balzò fuori e gli si attorcigliò attorno alla testa, mozzando via l'informazione insieme al fiato. Dopo un momento di shock, Hermione mosse la sua bacchetta in direzione della tenda, lanciandoci contro ogni incantesimo che le passò per la mente. Uno di quelli funzionò e la stoffa cadde senza vita dalla faccia dell'uomo.

"Tenda maledetta!" Boccheggiò Remus. Il suo tranquillo e silenzioso professore di Difesa maledette il drappeggio altre due volte, per poi scagliarci contro un incantesimo che gli fece prendere fuoco. Con un sorriso gratificato guardarono le tende incenerirsi. "Giusto, cosa stavo dicendo?"

"Umm... di Sirius..." disse, cauta.

"Si. Fuma sul balcone quando pensa che nessuno guardi," disse Remus, la fronte aggrottata mentre rifletteva. "Lo troverai a parlare da solo, temo. Penso che conversi con suo fratello o James. Anche ora che è stato riscattato e può uscire liberamente, non è facile. Non tutti credono alla sua innocenza e altri non si sono tenuti aggiornati con le notizie. Quindi resta chiuso in casa più di quanto sarebbe sano.”

La ragazza si sentì improvvisamente in colpa. L’attuale stato di reclusione di Sirius non le aveva neanche sfiorato la mente. Aveva creduto, come tutti gli altri, che l’uomo avrebbe approfittato di ogni occasione per divertirsi ora che era libero. Non avrebbe mai immaginato che nessuno credesse alla verità.

Era ancora un prigioniero, solo in modo diverso, e lei si stava aggiungendo alla suo carico d’infelicità e stress.

Un'importuna parte di sé voleva trascinarlo all'evento mondano più vicino e forzare il pover'uomo ad interagire, ma si ricordò che non voleva essere il tipo di moglie assillante che cercava continuamente di migliorare suo marito. Ricordò anche che odiava le feste. Il Ballo del Ceppo era stato incredibilmente faticoso. Era pur vero però che era stata l'accompagnatrice del campione di Durmstrang ed era stata al centro di un sacco di attenzioni. Se avessero fatto un’uscita Babbana come andare al teatro o ad un museo, non sarebbe stato così male. Non lo conosceva nessuno nel mondo Babbano. La sua faccia non era apparsa nei notiziari per più di due anni, quindi probabilmente era stato dimenticato da tutti tranne i più accaniti interessati di crimini.

"Non ci pensare nemmeno." I suoi pensieri vennero interrotti dalla voce profonda dell'uomo in questione. "Conosco quello sguardo – l'ho avuto anch’io molte volte – e qualunque cosa tu stia pianificando: non farlo."

"Cosa?" Disse Hermione con una voce un decisamente troppo innocente. "Stavo solo rimuginando."

"Lo so," disse con quel suo ghigno familiare. "Non farlo."

"Sei qui per aiutare?" Chiese Remus.

Il ghigno di Sirius divenne malizioso. "No, stavo rimuginando anch’io." Prese la mano di Hermione e la portò giù dalle scale fino alla corridio d'ingresso. "Non abbiamo informato mia madre."

"Oh," Gli occhi di Hermione diventarono tondi come Galeoni non appena si posarono sulle tende nere e bucate che nascondevano la sua matta, fanatica madre. "Sirius, no. E' una brutta idea."

"Lo so," sogghignò lui, tirando via la tenda. "Sono sempre le migliori."

"VERGOGNA DELLA MIA CARNE! VATTENE DA QUESTA CASA!" strillò la donna.

"Madre!" Sorrise Sirius. "Vorrei presentarti la mia fidanzata, Hermione Granger. I suoi genitori sono Babbani."

"TRADITORE! INSOZZI LA NOSTRA FAMIGLIA CON QUESTA LORDURA! MEZZOSANGUE! PROFANI QUESTA NOBILISSIMA CASA-"

Sirius chiuse la tenda con un pigro gesto della sua bacchetta. Respirò profondamente, un sorriso soddisfatto sul suo volto. "E' andata bene."

"Davvero non puoi toglierla?" chiese Hermione, relativamente scossa.

"Ho provato ogni incantesimo che conosco, Lunastorta e Moody pure," scrollò le spalle. "Anche Silente non è riuscito a tirarla giù."

"Questi però sono tutti metodi magici. Chiaramente lei non si sarebbe mai immaginata di vedere un Babbano in casa sua. Non hai provato qualche metodo Babbano?" Vide il sorriso dell'uomo diventare un cipiglio, e lui aprì e chiuse lentamente gli occhi.

"Tipo quale?"

"Tagliare la tela," suggerì Hermione. "Gettarci diluenti... non saprei."

"Diluenti?" ripeté lui. "Cosa sono?"

Espirò lentamente, irritata. Purosangue... Odiavano il mondo Babbano, eppure lo conoscevano così poco. "E' un prodotto chimico che distrugge la pittura." Lui continuava a fissarla senza capire, così provò con un approccio diverso. "Ci sono dei negozi nelle vicinanze? Negozi Babbani, intendo."

"Si, a qualche vicolo da qui."

"Sarò di ritorno fra poco," gli disse, e uscì dalla porta d'ingresso, scuotendo la testa e quasi ridendo alla vista dell’espressione di totale confusione sul volto del suo fidanzato.
 
oOo

 
Hermione solcò la porta ansando quasi un'ora dopo. La borsa della spesa che stava portando era appesantita da diverse lattine di solvente provenienti dal negozietto di bricolage. Chiuse la porta ed entrò nell'atrio dove era rimasto Sirius ad aspettare. Remus si era unito a lui ed entrambi sembravano piuttosto perplessi, anche se Sirius aveva una sfumatura di aspettativa nello sguardo. La borsa s'increspò mentre ci scavava dentro, tirandone fuori una lattina di metallo.

"Felice Fidanzamento, Sirius," disse, lasciandogli cadere il barattolo in mano.

Lui lo squadrò incerto, leggendo la marca scritta in grassetto sul davanti, prima di aprirne il coperchio. "Oh, è disgustoso!"

La sua esclamazione fu sufficiente per far urlare nuovamente Walburga Black. Hermione le piazzò un incantesimo silenziante attorno ancor prima che il primo insulto le fosse uscito dalla bocca. Sirius sorrise compiaciuto ai suoi riflessi prima di riportare la sua attenzione alla lattina puzzolente. Sempre re della cautela e della sottigliezza, fece spallucce e cosparse la parte inferiore del ritratto.

"E' valsa la pena provare," disse lui quando la pittura non iniziò immediatamente a sciogliersi dalla tela. "Pranzo?"

"Si," disse Hermione, sconsolata. Aveva dato per certo che il mondo magico non avesse pensato a quel tipo di solvente. Andarono in cucina assieme e mangiarono in amareggiato silenzio.

"Io vado," annunciò Remus.

"Cioè, sei stanco? Stai invecchiando, Lunastorta," ghignò Sirius.

"Se è così, la stessa cosa vale per te."

"Ah, ma io ho una bella fidanzatina ad aiutarmi a sentirmi giovane," contestò, facendo un teatrale baciamano ad Hermione.

Remus spostò il suo sguardo paziente su di lei, "Ti avevo avvertito che è un cretino."

"E che fuma sul balcone e che è un po' eremita, ricordo," disse lei.

"Non sparlerete alle mie spalle in casa mia," Sirius scosse un dito in disapprovazione verso i due. "Regola Numero Uno: Non Ridere del Padrone di Casa!"

Remus sbuffò, ed Hermione scosse la testa. "Penso che noterai," disse, "che la Regola Numero Uno è di Non Fare Scherzi alla Moglie. L'abbiamo stabilito la settimana scorsa, se ricordi." Era vero. Sirius, diretto ed onesto com'era, aveva ammesso che Fred era stato scelto dall'Ordine per essere suo marito finché il suo gemello non si era fatto avanti, insistendo che la ragazza aveva sedici, quasi settant’anni*, e che Fred si sarebbe trovato i gioielli di famiglia maledetti al primo tentativo di scherzo. Quando lei aveva concordato che quella sarebbe stata il probabile esito, Sirius, tremolante, aveva stabilito la sua nuova Regola Numero Uno.

"Bene, Regola Numero Due, quindi," borbottò Sirius.

Remus sbuffò ancora. "E tu ti prendevi gioco di James per esser stato messo in riga."

Il padrone di casa lo guardò e indicò la porta. "Potete andarvene se tutto quello che fate è insultarmi, Messer Lupin."

"Come desiderate, Messer Black, signorina Granger," Remus s'inchinò e lasciò la stanza mentre Hermione faceva del suo meglio per non ridere delle loro stupidaggini. Provò ad immaginarsi come dovevano essere stati ad Hogwarts, senza gli anni e la guerra e la morte a farli maturare. Fred e George Weasley in confronto sarebbero sembrati noiosi.

"SIRIUS!" Urlò Lupin dall'ingresso.

Sirius si alzò dalla sedia e corse dall'amico, con la paura stampata in faccia e i movimenti scattosi, ma il lupo mannaro non si trovava affatto in pericolo. Stava di fronte al dipinto di Walburga, fissandolo a bocca aperta.

"Cosa diavolo?" Grugnì Sirius.

"Sirius," disse ancora Remus, quieto, incredulo. Indicò il quadro. Hermione e Sirius guardarono, e s’accorsero che i piedi della donna erano scomparsi. La vernice stava gorgogliando e formando bolle sulla tela, distruggendo il ritratto.

"Sapevo che avrebbe funzionato!" Esclamò Hermione, facendo un balletto della vittoria.

Sirius la strinse in un abbraccio spacca-costole, baciandole la guancia e rifiutandosi di lasciarla andare anche quando lei iniziò a lamentarsi di non riuscire a respirare. La teneva così vicina che riusciva a sentirgli battere il cuore in un ritmo trionfante e a percepire le vibrazioni della sua risata attraverso il suo petto fino al proprio.

"Ritiro ogni protesta che ho fatto a proposito di sposarti. Sono l'uomo più fortunato d'Inghilterra, e sto per comprarti l'anello di fidanzamento più ostentato che riesco a trovare. Lunastorta, a Diagon Alley!" La riappoggiò a terra dandole un altro bacio sulla guancia, prima di procedere verso la porta, agguantando il braccio di Remus e trascinandolo fuori di casa.

Hermione fu lasciata sola nella sala d'ingresso, a fissare Walburga sputarle addosso maledizioni mute. "Beh, volevo stare lontana da tutti," commentò.

 

*Intraducibile 1: She wanted to yell and scream and hex something to within an inch of its life 
*Intraducibile 2: Sixteen going on seventy

Se qualcuno trovasse errori, o delle traduzioni migliori per i due 'intraducibile', per favore mi avvisi!
-Capitolo revisionato (visto il livello d'inglese a dir poco dubbio che avevo quando l'avevo tradotto la prima volta).

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Capitolo 2
*** Libri e corpetti ***


Capitolo 2 - Libri e corpetti


Lo stomaco di Hermione le stava facendo sapere che Sirius e Remus ci stavano mettendo decisamente troppo tempo a Diagon Alley. Alzò lo sguardo dal suo libro e sospirò all'orario, le otto. I negozi sarebbero stati chiusi presto. Quante gioiellerie potevano esserci a Diagon Alley, comunque? Non più di tre, e, insieme, Sirius e Remus sarebbero dovuti essere capaci di prendere un solo anello, ormai.

Si chiese se sarebbe stato poco educato prepararsi la cena o se avrebbe dovuto tornare alla Tana. Nessuno l'aveva contattata via Metropolvere, quindi aveva presunto che tutti sapessero che stava bene.

"Forse avrei dovuto chiedere se mi aspettavano per cena," considerò.

L'idea di tornare in quella casa, sovraffollata di persone e piena di compassione, le fece bruciare la faccia dalla rabbia. No, avrebbe aspettato il ritorno di Sirius. Inoltre doveva tenere d'occhio il dipinto ed essere certa che Kreacher non provasse a ripararlo mentre era voltata di schiena. L'elfo domestico si era già trascinato là diverse volte, commentando a sé stesso che desiderava che lei se ne andasse, così l'avrebbe potuto aggiustare.

"Ti mancavo?" un sussurro arrivò così vicino al suo orecchio che la fece gridare e cadere dal divano.

"Dannazione, Sirius!" urlò rialzandosi. "Non è stato divertente!" schiaffeggiò il suo braccio e il suo petto e la testa e qualsiasi cosa riuscisse a raggiungere facilmente, ma lui continuò a ridere di lei. "Non devi avvicinarti così furtivamente!"

"Bene," disse lui mentre la sua risata di trasformava finalmente in una risatina divertita. "Ero solo sorpreso che fossi ancora qua."

Lei si morse il labbro. "Effettivamente, a proposito di quello. Posso restare la notte? Non voglio tornare a... lì."

"Cos'ha di così brutto?" si gettò sulla sedia, in qualche modo cadendo senza sforzo in una posa perfettamente elegante che Hermione non avrebbe mai potuto sperare di replicare.

"Tutti loro continuano a dirmi quanto gli dispiace," sospirò. "Molly è la peggiore, ma Frega esce ogni notte per dirmi che avrebbe desiderato parlare loro per sceglierti. Harry mi ha evitata da tutta la settimana fino ad oggi, quando mi ha chiesto se dobbiamo fare sesso," notò il suo lieve cipiglio all'idea. "Ma Ginny mi ha detto quanto fantastico sia che dovrò dormire con te."

"Oh?" inarcò il sopracciglio lui.

"Una volta si è imbattuta in te mentre eri sotto la doccia, la scorsa estete. Approva ciò che ha visto." "Naturalmente," sogghignò.

"Quindi mi piacerebbe almeno un giorno intero di niente. Niente scuse, niente compassione, niente discorsi sul sesso, niente."

Lui allargò le braccia, "Troverai un sacco di niente qui. Prendi una stanza, ti garantisco che non ci troverai niente. A parte la stanza di Fierobecco, c'è anche troppa merda là."

"Grazie," disse lei, facendo ricadere la testa sul divano. Seguì il silenzio. Lui non disse niente, che era precisamente ciò che lei aveva richiesto. "Oh, ho lasciato perdere il dipinto. Ho immaginato che volessi distruggerlo tu stesso. Pensavo che sarebbe potuta essere una sorta di catarsi."

Lui ghignò. "Vendetta."

"Pat-A-ta, pat-ah-ta*," agitò la mano. "A proposito, hai fame?" "Molta," disse. "Kreacher!"

Il decrepito elfo apparve accanto alla sua sedia.

"Si, padrone?"

"La cena è pronta?"

"Si, padron Black, sporco traditore del suo sangue," replicò questo.

"Bene, ceniamo adesso. Non toccare niente nella sala d'ingresso," Ordinò l'uomo. "E Hermione resterà con noi la notte, preparale un letto – senza sorprese o regali di sorta."

"Si, padron Black, vergogna delle carni di sua madre." L'elfo s'inchinò e sparì con un 'crack'.

"Sta migliorando, non pensi?" commentò asciutto Sirius, offrendole una mano per alzarsi. Lei la prese, conscia del fatto che non era indice della sua debolezza o incapacità do alzarsi da sola, ma solo un gesto da gentiluomo. Sorprendentemente lui la tenne per tutto il tragitto fino alla porta della cucina e al tavolo, dove la lasciò per spostarle la sedia con un inchino gentile.

"Grazie," disse lei incerta, leggermente preoccupata del suo comportamento. "Sirius... non hai avuto occasione di leggere romanzi rosa, vero?"

Lui inarcò un sopracciglio. "E se l'avessi fatto?" Lei aprì la bocca per dire qualcosa di leggermente dispregiativo circa la forma più bassa di finzione, ma ci ripensò. Era un uomo adulto, aveva il diritto di leggere ciò che gli piaceva... anche se era spazzatura. Gli era stata negata la libertà per quasi tutta la durata della sua vita, e doveva essergli permesso di trascorrere il suo tempo in ciò che voleva... anche se lo sprecava su sciocchezze.

"Chiedevo solo:"

"Non l'ho fatto." sorrise lui.

"Oh, grazie al cielo," rise lei. "Non so cosa farei se tutto ciò che leggi fosse a proposito di corpetti strappati."

Lui s'immobilizzò mentre la sua forchetta era a metà strada verso la bocca. "Fanno libri su quello?" Lei annuì e un cipiglio pensieroso si fece strada sul suo viso. "Come posso aver fatto passare tutto questo tempo senza conoscerli?" Lei rise ancora, arrossendo un po' per il suo sincero interesse verso i romanzi erotici. "Immagino fossi troppo impegnato a viverli." replicò.

"Questo è vero. Anche se non ricordo alcun corpetto..." porto la forchetta fino alla propria bocca e masticò mentre ci pensava. "C'è stato un bustino una volta. Mi ha fatto mettere a parte le bionde per un anno quando se l'è tolto dopo poche pinte," mormorò più a sé stesso che a lei. "E c'è stato un corsetto... ma era Halloween, quindi non conta." La guardò. "No, non un singolo corpetto."

"Che sventura per te," commentò lei, le sue guance rosa come contrasto al suo tono asciutto.

"Già," convenne con un cenno solenne. "Nonostante tu possa sempre rimediare a questa triste lacuna nella mia vita." Lui ghignò all'aumentare del rossore sulla faccia di lei.

"Pensavo fossimo d'accordo che non ci sarebbe stato niente," disse, tenendo gli occhi fissi sul proprio piatto. "Il che include niente discorsi sul sesso."

"L'hai tirato fuori tu, tesoro," le ricordò. "Tu e i tuoi libri sui corpetti strappati. Sto iniziando a farmi delle domande sul tuo fanatico amore per la lettura. Hai letto 'Storia di Hogwarts' anche troppe volte... ammettilo, c'è qualcosa di molto più interessante nascosto dietro quella noiosa copertina."

Lei schioccò la lingua in disapprovazione e ignorò l'insinuazione, concentrandosi sul suo pasto.

"Che ne diresti di una gita nella Londra Babbana?" chiese Sirius dopo molti minuti di niente.

"Perché?"

"Compere," rispose lui. Qualcosa nel suo tono e nel suo sorrisino la fece preoccupare.

"Di che tipo, precisamente?"

"Libri," sorrise l'uomo. "So che ti piacciono i libri." Lei lo studiò attraverso gli occhi socchiusi, aspettando che se ne uscisse con qualcosa sui corpetti strappati o sui romanzi erotici di nuovo, ma lui non disse niente. "Che tipo di libri?" "Qualsiasi cosa colpisca la mia fantasia," replicò con leggerezza l'uomo, aggiungendo un vago ed elegante movimento della mano alla sua aria da non-sto-complottando-in-alcun-modo. Hermione non gli credette per un minuto.

"Bene, potrei farlo per qualcosa da leggere," disse esitante, insicura di voler davvero andare con lui ma disperata per qualcosa che la tenesse occupata alla Tana. Si era anche ricordata che Sirius non si avventurava nel mondo spesso quanto avrebbe potuto. Che le avesse offerto volentieri di lasciare la casa era qualcosa di speciale, e sapeva che avrebbe dovuto approfittarne.

"Bene," sospirò. "Vada per le compere."

"Fantastico," sorrise lui. "Dove c'è una buona libreria?" Lei si accigliò. "Non lo so," dovette ammettere. "Non vado a Londra molto spesso. Potremmo andare a Oxford. Blackwell ha un'ottima selezione, e sono sicura che troverai qualcosa che 'colpisca la tua fantasia'." "Giusto," convenne lui. "Posso anche incontrare i tuoi genitori." "Oh, maledizione," gemette. "Mi sono completamente dimenticata di loro." La sua testa cadde sul tavolo con un solido tonfo, e là rimase mentre immaginava la debacle che si sarebbe sicuramente verificata quando l'unica figlia dei Granger sarebbe arrivata con un fidanzato di vent'anni più vecchio di lei.

"Passi una quantità di tempo considerevole lontana da loro," osservò Sirius. "Cattivi genitori?" "Cosa?" lei si sedette, incrociando le braccia sulla difensiva. "No! Sono fantastici." Lui inarcò un sopracciglio, dubbioso.

'Così tanto per niente.' pensò la ragazza, sospirando silenziosamente. "Mi hanno vista a malapena tre mesi all'anno, da quando ho iniziato Hogwarts," spiegò. "Non hanno avuto il tempo di realizzare quanto vicina io sia al diventare adulta, e mi trattano ancora come la loro bambina. E' fantastico per il primo giorno, ma dopo iniziano a chiedermi di dir loro dove sto andando e con chi e per quanto tempo, cercando di forzarmi in quest'idea che hanno di me.”

“Non mi sembri il tipo da concederlo. Ti ho vista intimidire Fred e George,” commentò lui. “Sono sicuro che neanche i tuoi genitori riuscirebbero a tenere duro contro di te a lungo.”

“Quello richiederebbe spiegare cose che li terrorizzerebbero solamente,” disse piano. “Dopo il primo anno, quando abbiamo affrontato tutte quelle sfide per raggiungere Voldemort, ho detto loro tutto. Ero così orgogliosa di mè stessa e di Ron e Harry, ma i miei genitori sono andati nel panico. Hanno passato tutta l'estate cercando di farmi cambiare scuola, di dimenticare di essere una strega e stare con loro, dove sarei stata al sicuro. Da allora non gli ho detto cos'è successo, neanche quando sono stata pietrificata. Non hanno idea di quanto la mia vita sia pericolosa, e mi piacerebbe che restasse così.”

Lui piegò la testa di lato, esaminandola. “Quindi cosa progetti di fare con noi?”

“Mentirgli.” replicò semplicemente.

“La verità potrebbe essere più semplice,” propose l'uomo. “E se sapessero perché ci sposiamo, non sembrerei un tale vecchio pervertito.” il movimento lascivo del suo sopracciglio che seguì un suggerimento così tetro la fece ridacchiare.

“Non sei vecchio,” sorrise lei. “Certamente non nella personalità, comunque.”

“Beh, grazie,” chinò beffardamente la testa. “Ricorderò questa bugia di buon cuore la prossima volta che mi chiederai se qualcosa ti fa sembrare il culo grande.”

“Idiota.” borbottò lei.

“Secchiona.” replicò lui, ancora sogghignando.

Ricaddero nel silenzio per il resto della cena, Hermione ancora preoccupata su cosa dire ai suoi genitori. Sirius aveva ragione; la verità avrebbe reso le cose decisamente più semplici. Philip e Martha Granger volevano il meglio per loro figlia, e sapere che Sirius stava soltanto facendo un passo per proteggerla li avrebbe fatti accettare l'uomo un po' di più. Sfortunatamente, per quel tipo di comprensione, avrebbe dovuto dir loro di Voldemort e dei Mangiamorte e di tutto ciò che le era successo negli ultimi cinque anni di scuola. Se l'avesse fatto probabilmente le avrebbero spezzato la bacchetta e rinchiusa nella sua stanza.

No, le bugie erano meglio. Le bugie li avrebbero tenuti al sicuro.

“Decisione presa?”

Hermione sbatté le palpebre e guardò l'altro capo del tavolo, dove Sirius sedeva guardandola. “Cosa?”

“Hai fatto una faccia piuttosto determinata,” spiegò. “Vuol dire che hai preso una decisione?”

Lei annuì. “Mentiremo.”

“Come desideri,” disse lui, spingendo una fetta di torta di mele verso di lei. “Ora, hai deciso riguardo ai corpetti?”

“No.”

“E' un 'no' per la decisione o un 'no' ai corpetti?” indagò innocentemente.

La ragazza roteò gli occhi e scosse la testa. Idiota immaturo. L'Ordine non aveva respinto Fred come suo fidanzato per la stessa ragione? Perché diavolo pensavano che Sirius sarebbe stato meglio? Almeno i suoi genitori avrebbero approvato più facilmente Fred, in quanto era di soli due anni più vecchio e la sua immaturità sarebbe stata più facile da giustificare.

“Kreacher,” chiamò Sirius, rompendo la concentrazione di Hermione. Il decrepito elfo domestico apparve al suo fianco, il suo pregiudizio lampante nello sguardo. “Si, padron Black?”

“Mostra a Hermione la sua stanza,” ordinò. “Vado a letto,” dichiarò. “Ci aspetta una grande giornata, domani.”

“Potrei pulire?” si offrì lei.

“E' per questo che c'è Kreacher,” rispose indifferente.

La ragazza si accigliò. “Non glielo chiedi neanche educatamente?”

Sirius la guardò un momento, l'incredulità evidente nella sua espressione. La sua faccia si scurì come lui si avvicinò. “Quella cosa ha quasi fatto uccidere te ed Harry. Ti odia. Non vorrebbe altro che vederti morta ai piedi di Voldemort, e tu pensi che dovrei essere educato con lui?”

A volte scordava quanto Sirius potesse essere duro con il suo elfo domestico. Era un piccolo mistero che quella cosa potesse essere ancora viva dopo lo sforzo che aveva fatto a giugno per aiutare Voldemort. Lei sapeva, però, che non era colpa di Kreacher se Walburga Black l'aveva corrotto, lasciandolo solo con il suo ritratto maldicente come compagnia. Era mezzo matto, ma comunque una creaatura con pensieri ed emozioni, comunque una creatura degna di compassione e rispetto.

“Si, lo penso.” replicò testardamente la giovane.

“Bene,” borbottò. “Kreacher, saresti così gentile da pulire la cucina?” la sua faccia era contorta e il suo tono aspro, che dava alle parole un senso ostile e odioso.

“Come il mio padrone desidera, traditore del sangue.” s'inchinò l'elfo domestico.

“Felice?” scattò lui.
“Non veramente, no.” sospirò Hermione. “Ma è un inizio.”

Sirius si girò e lasciò la cucina, sbattendo la porta dietro di sé. Hermione fissò il legno scuro per un momento, immaginando quante volte questa scena si sarebbe presentata nel corso della sua vita. Doveva avere la sua libertà, ma Sirius aveva ancora un caratteraccio la maggior parte delle volte. Se spinto in una discussione su un tasto dolente, sarebbe ridiventato abbattuto o livido come lo era stato nell'ultima settimana dei suoi arresti domiciliari. Kreacher, sembrava, era il tasto più dolente di tutti.

“Sporca Mezzosangue,” mormorò l'elfo. “Infetta questa nobile casa con la sua presenza.”

“Si, sarà divertente,” commentò, sarcasticamente a sé stessa. Sospirò e parlò ancora, più premurosamente. “Kreacher, in che stanza sono stanotte?”

“La stessa in cui ha dormito l'altra notte, signorina, sporca creatura.” rispose l'elfo domestico.

“Grazie,” disse lei con un sorriso forzato. “La troverò da sola. Grazie della pulizia.”

Hermione salì le scale, fermandosi sul pianerottolo fuori dalla stanza di Sirius. Poteva sentirlo imprecare attraverso la porta chiusa. Il rumore di qualcosa che s'infrangeva seguì un 'dannazione' particolarmente rumoroso, e dopo ci fu silenzio. Non era sicura se lui avesse messo un incantesimo silenziante o se avesse esaurito le cose da lanciare o l'energia per farlo. Qualunque fosse la ragione, si rifiutò di continuare ad ascoltare.

“Odio Voldemort.” disse alla sua stanza vuota, buttandosi sul letto, grata che Sirius avesse pensato di trattenere Kreacher dal lasciare qualche 'regalo'. L'ultima cosa che voleva trovare tra le lenzuola era un topo morto o un ciuffo guizzante di vermi.

Era davvero questo ciò da cui si sarebbe dovuta guardare per il resto della sua vita?




* "Pot-A-to, pot-ah-to,"  https://uk.answers.yahoo.com/question/index?qid=20110906045610AAi0Juw




[note della traduttrice]

Ritardo pazzesco, non dico altro.



 


 

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Capitolo 3
*** Un uomo elegante ***


Hermione si fermò davanti alla porta. Voleva davvero entrare? Non era andata via nel migliore dei modi il giorno prima, ma di sicuro la cosa non avrebbe avuto ripercussioni questa mattina.
Facendo un respiro profondo, aprì la porta.
„Buongiorno,“ disse Hermione il più allegramente possibile.
La Signora Weasley sobbalzò, mollando il tegame sul bancone con un ‚clang’, e correndo per la breve distanza che la separava dalla porta. Strinse la ragazza in un abbraccio spezza-ossa, come se Hermione fosse sparita per mesi anzichè per poche ore. „Oh, Hermione cara, ero così preoccupata quando non sei tornata più a casa.“
„Mi dispiace, avevo bisogno di tempo per pensare,“ si scusò dalla spalla della donna. „Remus non vi ha detto dov’ero?“
„Certo che l’ha fatto, cara. Ha detto che avevi bisogno di stare da sola per considerare la situazione. Hai da considerare.“ concordò Molly con compassione. Anche dopo un pomeriggio e una sera di nulla, quello sguardo pieno di compassione e quel tono comprensivo irritavano la ragazza, ma la  Signora Weasley si spostò prima di riuscire a rovinare completamente la mattinata di Hermione.
„Vuoi qualcosa da mangiare?“           
„Ho tempo di fare una doccia?“ chiese Hermione. Aveva dormito nei suoi vestiti e sentiva di averne urgente bisogno. La notte passata a piangere non aveva aiutato a migliorare il suo aspetto, oltretutto.
„Ma certo, cara,“ sorrise Molly. „Vai pure. Ti farò trovare qualcosa di pronto per quando avrai finito.“
Annuì, e salì nella stanza che condivideva con Ginny. La ragazza più giovane stava russando tranquillamente sopra una pila di riviste da sposa nuove fiammanti sparpagliate sul letto di Hermione. Vedendo la sua amica, Hermione ringraziò di essere fuggita a Grimmauld Place. Anche con lo stress provocato dai cambi d'umore di Sirius, la scorsa notte era stata più piacevole di come avrebbe potuto essere se fosse stata obbligata ad ascoltare i discorsi di Ginny su quale esatto vestito Hermione avrebbe dovuto comprare. La ragazza era più presa dal matrimonio di quanto non lo fosse la stessa Hermione.
Fece una calda e lunga doccia, si mise uno dei completi che sapeva sua madre amasse, e finì di fare colazione prima che qualcuno oltre alla signora Weasley sapesse che era tornata da casa di Sirius.
"Mi dispiace, signora Weasley," disse Hermione districandosi dalle braccia della donna, "Sirius ed io andiamo a visitare i miei genitori oggi. Devo proprio andare."
"Oh, torna stanotte," insistì la donna. "Odio pensarti sola in quella casa."
La ragazza, che si stava infilando la giacca, si ghiacciò, incredula. "Non sono da sola. Sono con Sirius."
Dov'era la preoccupazione per lui? Era tutto solo ogni notte, salvo per le rare occasioni in cui a Harry era concesso di fargli visita o quando Remus pensava avesse bisogno di compagnia. Nonostante tutto l’istinto materno, Molly sapeva essere piuttosto fredda.
"Si, ma non sei ancora sposata," disse la signora Weasley. "E' indecoroso."
Hermione potè solo alzare gli occhi al cielo ed entrare nella camino.
Per la seconda volta in una mattina, la ragazza fu dovette fermarsi, incerta, davanti alla porta di una cucina. In piedi da sola nella buia cucina di Grimmauld Place, Hermiore era sorpresa di trovarsi leggermente tremante dal nervosismo. Era terrorizzata da quel che avrebbe potuto trovare dall'altra parte. Sirius sarebbe stato così calmo e gradevole come lo era stato la sera prima? O sarebbe stato l’uomo duro e furioso che era scappato dopo cena? Era difficile da predirre con Sirius.
Attese un altro miuto per preparare i suoi nervi per qualunque cosa l'aspettasse dietro la porta.
"Okay, Hermione," disse. "Ce la puoi fare."
Sul viso una maschera di cordialità, si appoggiò alla porta e prontamente cadde. La sua faccia si imbattè nell'entrata quando la porta si aprì dall'altro lato. Fortunatamente, la sua caduta fu fermata da petto e braccia dell'uomo che l'aveva aperta.
"Hermione," la salutò Remus, stupito di avere il viso della ragazza seppellito nel suo maglione. "Sirius ha detto che te n'eri andata. Cosa ci fai qui?"
"Cado," disse lei, la sua compostezza seriamente danneggiata.
"Scusa," disse l'uomo, aiutandola a rimettersi sulle sue gambe, prendendosi un momento per studiarla. Hermione poteva vedere che stava lottando per trattenere quella dannata compassione lontana dalla sua faccia mentre la guardava. "Come va?"
Hermione non sapeva come rispondere. Era terrorizzata dall’idea di parlare ai suoi genitori, affrontare l'umore di Sirius, furiosa per tutta la compassione che stava ricevendo e stufa di dover ascoltare Ginny. Onestamente, voleva solo che il matrimonio diventasse cosa fatta e finita così che potesse tornare alla sua vita senza paura che i Mangiamorte le piombassero davanti cercando di sposarla e poi ucciderla.
"Va come va," rispose con una triste scrollata di spalle. "Come sta Sirius?"
"E' stato meglio," ammise Remus.
"E' per Kreacher?"
La bocca di Remus si accartocciò in un cipiglio profondo mentre ricominciava a studiarla. "No," disse l'uomo lentamente, come se non fosse sicuro se dovesse dirle di più. "Ma penso che il dipinto abbia decisamente aiutato il suo umore stamattina."
"Il dipinto?," ripetè la ragazza.
"La tua idea del diluente," le ricordò.
"Lunastorta?" chiamò Sirius. "Con chi stai parlando?"
"Con la tua fidanzata," urlò Remus di rimando. Hermione sgranò gli occhi, stupita da quanto facilmente quella parola era uscita dalla bocca di Remus, come se fosse la cosa più naturale del mondo che Hermione e Sirius fossero fidanzati.
Sirius entrò nella sala, le braccia incrociate in modo casuale e l'spressione mite. "Bentornata," sorrise. "Giusto in tempo per la mia 'catarsi'."
Sbrogliò le sue braccia, mostrando il delicato pennello nella sua mano. Era il tipo di pennello sottile, fine e setoloso che veniva utilizzato per applicare i dettagli finali, non per spalmare del solvente.
„Sicuro che sia il giusto tipo di pennello?“ investigò.
„Lo è per me,“ rispose lui, girandosi verso il ritratto furibondo di sua madre con un sorriso malvagio stampato sul volto.
La bocca della donna si muoveva senza fermarsi, maledicendoli tutti. Un incantesimo silenziatore evitava loro di dover ascoltare le sue invettive bigotte, ma quando incontrava i suoi occhi grigi, Hermione provava ugualmente brividi freddi. Erano così simili a quelli di Sirius quand’era di cattivo umore.
„Trattienilo dall’esagerare, okay?“ le chiese Remus.
„Posso provarci,“ disse, senza offrire promesse e guardandolo sparire nella cucina.
Quando si girò, Sirius aveva fatto comparire una scala. Stava sui pioli, squadrando con fare critico il dipinto. „Dove prima?“ chiese, anche se Hermione dubitava che stesse parlando a lei. „La bocca la farebbe tacere più velocemente, che ne dici, Madre?“
„FIGLIO DEGENERE!“ la voce della donna trillò non appena Sirius mosse la bacchetta per rimuovere l’incantesimo.
„Si, si,“ replicò l’uomo con tono annoiato. „E’ davvero l’ultima cosa che vuoi dirmi?“
„DISGRAZIA!“ urlò lei. „SPRECO DI CARNE E DI SPAZIO! TUO FRATELLO HA ONORATO LA SUA NOBILE DISCENDENZA!“
„Se lo dici tu,“ disse lui, intingendo il pennello nel solvente e tracciando una linea sottile sulla parte alta del dipinto.
„NO!“ strillò la donna.
Hermione guardava, affascinata da come Sirius dipingeva metodicamente la tela con il composto chimico, trascinando lentamente le setole dalla cornice verso l’interno. La stava intrappolando, rimuovendo la pittura attorno a lei con calma e avvicinandosi sempre di più al suo corpo. Questa era versa catarsi per lui, tormentare la rappresentazione di sua madre, la donna che l’aveva torturato, vendicarsi nell’unico modo che gli era rimasto.
Hermione e Remus fecero comparire delle poltrone, bevvero tè e guardarono lo spettacolo demenziale come se fosse qualche sorta di performance artistica all’avanguardia. Ci volle un’ora perchè il pennello si avvicinasse al volto di Walburga, entro la quale gli occhi di Sirius brillavano di vendetta e le urla di lei non avevano più alcun effetto su di loro.
„Addio, Madre,“ disse  debolmente Sirius, passando sopra il naso, la bocca, e finalmente gli occhi.
Lasciò cadere il barattolo vuoto di solvente insieme agli altri due che aveva usato per distruggere il ritratto, e scese dalla scala pulendosi le mani sulle vesti sporche, guardando il suo lavoro mentre la madre urlava la sua ultima. Il pennello sottile aveva fatto il suo gioco, lasciandogli il tempo di guardare la bolla di colore mentre faceva effetto. Fissò la bocca sciogliersi e i suoi occhi larghi di paura e rabbia unirsi ad essa, sul bordo della cornice.
„Ti senti meglio?“ azzardò chiedere Remus.
Sirius tenne gli occhi fissi sul ritratto mentre i resti della pittura scivolavano lasciando solo una tela vuota e bianca in una cornice ornata. Gli ci volle del tempo per parlare, ma quando finalmente lo fece, la sua voce era calma. „Non veramente, no.“
Hermione non sapeva cosa dire, ma sentiva di dover dire qualcosa. Il tempo passava mentre lei si sforzava di pensare a qualcosa che potesse aiutarlo o come minimo non farlo arrabbiare. Guardò Remus ma l’uomo scosse la testa, indicando che fosse meglio non dire nulla.
„Comunque,“ dichiarò ad alta voce Sirius dopo qualche minuto, „almeno adesso possiamo parlare con un tono di voce normale.“
„Questo è vero,“ concordò incerta.
„Quindi ora che mia madre è fuori dai piedi,“ sogghignò, continuando a guardare la tela vuota, „quando vorresti che venissi a parlare con i tuoi?“
„A cena,“ disse con convinzione. „I miei genutori bevono solo di sera, e tutti noi abbiamo bisogno di qualcosa con cui smaltire questo annuncio.“
Remus ridacchiò, „Molto pratico.“
„Abbastanza,“ concordò Sirius. Non era sfuggito all’occhio della ragazza che Sirius evitasse di guardarla anche quando stava palando di o con lei.
„Dovrai cambiarti,“ lo informò Remus. „Sembri un artista Bohemian pazzo. E non in senso buono.“
„Idiota,“ ghignò Sirius, lasciandoli per andare a cambiarsi.
„Devo andare ad occuparmi di, um, alcune cose per Silente,“ dichiarò in modo vago Remus, guardando da un’altra parte mentre parlava. „Tornerò più tardi in caso tu o Sirius aveste bisogno di me.“
„Professore,“ lo rimproverò Hermione, „Spero che non stia insinuando che il nostro pomeriggio non andrà bene.“
„Assolutamente no,“ le sorride, battendole una spalla per poi andarsene.
Hermione sospirò guardando il casino che Sirius aveva creato nel suo fervore di rimuovere definitivamente sua madre dalla sua vita. Per tutta la sua metodica e paziente applicazione del solvente non aveva pensato di proteggere il pavimento dalle bolle cadenti di pittura sciolta. In qualche modo, lo immaginava come il suo modo di fare, di pensare solo a quel che voleva fare e nulla dopo questo – gioia momentanea nel tormentare un rivale d’infanzia ma non pensando che lo scherzo l’avrebbe potuto uccidere, vendicarsi su un amico traditore senza realizzare che tenerlo in vita gli avrebbe ripulito il nome, accettare di sposarsi quando chiaramente odiava la sua fidanzata. Si, quello era Sirius.
„Lunastorta!“ urlò l’uomo dal piano di sopra. „Ho bisogno di aiuto qui!“
Hermione salì. „Remus è andato,“ gli disse dal pianerottolo.
„Dannazione,“ lo sentì maledire.
„Qual è il problema?“
Cif u un momento di silenzio, così immaginò che preferisse non parlarle. Si girò e iniziò a scendere le scale, ma finalmente le rispose. Il suo imbarazzo era evidente anche attraverso la porta chiusa. „Non so cosa mettere.“
„Stai scherzando.“
„Non ho mai dovuto incontrare i genitori di nessuno, prima d’ora,“ rispose sulla difensiva.
Un cipiglio le apparve sul volto al pensiero che Sirius avesse passato i trentasei senza neanche avere una relazione abbastanza lunga o seria da venir presentato ai genutori. Che razza di uomo stava sposando?
‚Non è questo il momento per preoccuparsene,’ si disse Hermione, focalizzandosi sul problema principale. Vestiti. Che tipo avrebbe spaventato i suoi genitori?
„Niente vesti,“ disse recisamente. „I miei genitori sono molto aperti, ma sarebbe meglio se ti vedessero più Babbano possibile.“
Premette l’orecchio contro la porta e ascoltò come si fece strada nel suo armadio per qualcosa di almeno vagamente Babbano da indossare. Paragonato agli altri maghi, Sirius tendeva a vestirsi in modo abbastanza mondano; le sue scelte di abbigliamento erano spesso eccentriche, ma non catturavano tanti sguardi straniti quanto lo avrebbero fatto quelli di Silente. In realtà, i panciotti di Sirius le piacevano anche quando stonavano orribilmente con qualunque camicia avesse deciso di abbinarci.
„I Babbani usano ancora le camicie con i bottoni?“ chiese lui.
„Si,“ rispose con una piccola risata.
„Cosa c’è di così divertente?“ domandò.
„Niente,“ si morse il labbro. „Sarebbe più facile se potessi semplicemente entrare.“
Si aspettava un altro lungo silenzio o che la informasse altezzosamente che non aveva bisogno del suo aiuto. La quantità d’attenzione che le stava riservando sicuramente non era segno di vera fiducia o stima delle sue opinioni; aveva chiamato Remus, non Hermione.
Nè il silenzio nè un rifiuto incontrarono le sue orecchie, ma invece la porta si spalancò. Sirius stava dall’altra parte, con una vestaglia addosso. „Come desideri,“ disse, lasciandola entrare.
„Grazie,“ disse la ragazza con incertezza.
„Pantaloni,“ disse Sirius non appena chiuse la porta dietro di lei.
„Si, penso proprio che ti serviranno.“
„Simpatica,“ replicò malamente. „Quali.“
Hermione seguì con lo sguardo la mano dell’uomo e vide dozzine di pantaloni sospesi nell’aria, tenuti lì dalla magia.
Era affascinata dal fatto che ne avesse così tanti in quella varietà. La maggior parte dovevano venire da Diagon Alley, poichè solo un mago o una strega avrebbe potuto pensare che dei pantaloni sarebbero risultati belli con dei simili colori, ma gli altri sarebbero perfettamente calzati in qualunque negozio di vestiti in Inghilterra. Tirò fuori la bacchetta e iniziò a fare la selezione.
„No“, disse, muovendo la bacchetta e spedendo le scelte scartate sul pavimento. „No; no; forse; colore tremendo; decisamente un’opzione; neanche in un milione di anni; no; no; forse se stessi andando a una festa ma non con i genitori; ooh, questi sono belli; no; forse; no; no; oh gesù, no...“ ci mise meno di due minuti a ridurre le scelte.
„Solo cinque paia?“ chiese Sirius mogio guardando il poco che gli aveva concesso.
„Facciamo quattro“, disse, levando un altro paio di pantaloni.
„E adesso che hanno di male questi?“ chiese.
„Hanno l’aria di essere troppo costosi“ disse, tacitando la sua replica con uno sguardo. „Sirius Black, sei abbastanza intimidatorio anche senza che i tuoi vestiti urlino quanti soldi hai in banca. I miei genitori non sono ricchi e li spaventeresti presentandoti con dei pantaloni che costano più di casa loro“.
Ghignò. „Intimidatorio?“
„Oh, taci e mettiti dei pantaloni,“ ordinò lei, girandosi per lasciarlo cambiare. „Vada per il khaki“ consigliò. „Piace a mio padre, e gli piace anche chi lo indossa.“
„Sai di avermi lasciato solo una scelta, vero?“
„Beh, renderà la tua scelta più facile“ ribattè con un sorriso trionfante. „Hai fatto?“
„Si“ disse. „Camicia – si, so di doverla mettere.“
„Impari velocemente,“ rispose, girandosi a guardarlo scrutare la sua scelta di camice. La mascella le cadde quando mise a fuoco il suo torso nudo. Era impressionata dal fatto che fosse riuscito a rifarsi un fisico così velocemente dopo la sua carcerazione, ma la densità e grandezza dei suoi muscoli non era ciò che l’aveva lasciata a bocca aperta. Lo era l’inchiostro nero che gli colorava la pelle. „Oh gesù, tatuaggi.“
Sirius si guardò il petto. „Saranno coperti.“
„Lo so, ma saranno ancora lì. Mamma lo saprà.“
„E come potrebbe mai?“ – inarcò un sopracciglio.
„Non lo so,“ sibilò Hermione. „Semplicemente lo saprà! Lo saprà e ti odierà per questo. Perchè ti sei dovuto tatuare?“
„Beh, mi dispiace tesoro, ma non avevo proprio preso in considerazione la madre Babbana della mia fidanzata al tempo,“ replicò. „In mia difesa, è successo almeno un paio d’anni prima che tu nascessi, quindi penso che la mia mancanza di lungimiranza sia giustificata.“
Hermione decise di ignorare l’ondata di sarcasmo. „Blu.“
„Cosa?“
„La camicia blu.“ Disse, recuperandola dalla pila su suo letto. „Farà risaltare i tuoi occhi. Forse, se siamo fortunati, mamma sarà troppo distratta dalla tua faccia per curarsi dei tatuaggi o della differenza d’età. Ridacchia ogni volta che vede il figlio del macellaio, quindi si spera che possa rimanere colpita anche da te.“
„Stai dicendo che sono carino?“ ghignò lui.
„Taci e vestiti.“ tagliò corto.

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Capitolo 4
*** Parchi&Pacchetti ***


La differenza d’età era già un problema, ma i tatuaggi… perché doveva avere dei tatuaggi?

Hermione percorse la lunghezza dell’ingesso, tormentandosi unghie e labbra. Almeno non doveva più preoccuparsi degli insulti della Signora Black. Il fatto che presto sarebbe stata lei la nuova signora Black non le sfuggì, nonostante la preoccupazione. Aveva solo dei problemi più urgenti – come quei maledetti tatuaggi.

“Pronta?” chiese Sirius.

Si girò a studiarlo. Camicia blu oxford, pantaloni cachi, scarpe marroni spazzolate quel tanto che suggeriva che ci avesse provato ma non così da farlo sembrare pretenzioso o arrogante. I suoi vestiti sembravano normali come quelli di chiunque avrebbe potuto incontrare per strada, il che indirizzava tutta l’attenzione verso il viso. Questo era l’effetto che aveva voluto… eccetto per il fatto che ora fosse preoccupata che i suoi genitori potessero non approvare i suoi capelli. Sfortunatamente, sospettava che l’avrebbe maledetta se avesse suggerito di tagliarli, quindi sarebbe dovuta restare l’unica sua stranezza.

“Ti sei ben camuffato,” commentò lei. “Nessuno sospetterebbe che sei un mago.”

“Ho passato parecchio tempo nella Londra Babbana,” disse lui, aprendole la porta. “Era l’unico posto dov’ero sicuro che mia madre non mi avrebbe trovato. Più o meno come te nel Mondo Magico.”

Assottigliò gli occhi in un riflesso automatico, facendogli intendere il suo fastidio. “Te l’ho detto. I miei genitori sono fantastici.”

“Beh, lo scoprirò stasera, giusto?” ghignò.

Il cervello di Hermione si riempì di immagini di Sirius nel soggiorno dei suoi genitori, un bicchiere di brandy in mano, che esponeva i pregi del volo con l’Ipprogrifo rispetto alla Metropolvere, e che raccontava storie di dissolutezza della sua adolescenza. Le uscì un lamento, “Ti comporterai bene, non è vero?”

“Mi comporto sempre bene,” insistette Sirius. La sua espressione sarebbe potuta essere perfettamente credibile se non fosse stato per il luccichio dei suoi occhi, che descriveva chiaramente il suo desiderio di mettere in imbarazzo i suoi genitori e far strillare lei.

Emise un sospiro. “Bene, andiamo.”

Gli afferrò il braccio e chiuse gli occhi mentre materializzava entrambi in una strada tranquilla di Oxford. Le ci volle un momento per realizzare dove si trovava, ma la sporcizia sotto ai suoi piedi e lo stretto fiume pieno di barche le diedero tutte le informazioni di cui aveva bisogno. Il parco universitario. Il centro della città era solo a pochi minuti a piedi da lì, così come casa sua.

“Blackwell non è distante. Da questa parte,” disse, lasciandogli il braccio e iniziando a camminare.

Lui la raggiunse, prendendole la mano e piazzandola nell’incavo del suo braccio. La domanda doveva essere stampata sulla sua faccia perché lui sorrise condiscendente. “Visto che hai deciso di mantenere la facciata di un matrimonio d’amore, dovresti abituarti a dimostrarlo,” la informò con un un colpetto sulla mano. “L’intero dannato matrimonio non reggerebbe se ti sentissi male all’idea di baciarmi, no?”

Le sue parole erano scherzose come l’espressione sul suo volto, ma avrebbe giurato che ci fosse qualcosa nei suoi occhi, un’intangibile tristezza che non aveva luogo né motivo. Perché avrebbe dovuto sentirsi ferito? Non aveva fatto nulla per ferirlo. Era stato lui a rifiutarsi di guardarla per quasi tutta la mattina, non lei.

“Giusto,” disse con un tono che indicava solo una parte della confusione che provava.

“Quindi,” rispose lui dopo un po’. “Come ci siamo conosciuti? Presumo che tu voglia evitare di menzionare la mia permanenza ad Azkaban, il che esclude la verità.”

Hermione considerò cosa dire ai suoi genitori. La verità era un po’ scoraggiante. Stava per sposare un fuggitivo, falsamente accusato, pluriomicida. Anche se era stato scagionato, Sirius era scappato con l’intenzione di uccidere qualcuno. Dubitava che i suoi genitori avrebbero accettato la cosa, e comunque avrebbe dovuto spiegare l’attacco di Voldemort a Harry. No, decisamente non era un’opzione.

“Suppongo,” disse piano, “che una parte di verità vada bene. Sanno di Harry, quindi immagino che ci siamo incontrati quando sei venuto a trovarlo a scuola.”

“Una bella versione della verità,” approvò. “E’ stato amore a prima vista?”

“No,” grugnì. “Non avrebbe senso. D’altronde, eri abbastanza spaventoso la prima volta che ti ho incontrato, per non parlare del fatto che avevo quattordici anni.”

“E adesso ne hai sedici, che differenza fa?”

Si accigliò. “Una piuttosto grande.” Lui semplicemente ghignò, irritandola da morire. “Sei tu quello che vuole evitare di sembrare un vecchio pedofilo.”

La sua risata era dolorosa da ascoltare, derisiva, ed era consapevole che l’odio che percepiva era diretto verso lui stesso. “Penso che non sia proprio possibile in questa situazione.” Replicò Sirius. “Ma sono abituato alle persone che vedono sempre il peggio di me.”

La guardò, lo stesso strano dolore nei suoi occhi. “Era diverso dallo sguardo spiritato che spesso aveva la sera tardi, quando i ricordi di Azkaban si riarrampicavano dalle ombre per perseguitarlo. Quelle erano le notti in cui tutti rimanevano fin tardi e lui si lasciava andare nel whiskey sperando di distruggere abbastanza cellule celebrali da far sparire i ricordi. Non era sicura di che dolore fosse questo, ma era certa che fosse diverso.

“Non penso che tu sia cattivo,” insistette lei. “E neanche Harry o Remus o chiunque abbia importanza.”

Lui rise di nuovo, e il suo viso assunse una serie di emozioni così complesse che riuscì a malapena a registrare, figurarsi comprendere. Il pensiero che aveva il resto della vita per capire cosa, esattamente, lo stesse tormentando le attraversò la mente; sempre che riuscissero a non uccidersi a vicenda prima.

“Pensavo che avessi detto che non era lontano,” disse lui dopo qualche altro minuto. “Camminiamo da secoli.”

“Non lo è,” replicò. “L’uscita è là davanti e dopo è solo mezzo miglio o giù di lì fino al centro della città.”

“Mezzo miglio?” Le fece il verso, incredulo. “Che problemi avete voi altri? Pensavo che aveste mezzi pubblici per questo genere di cose.”

Sospirò. “Come hai fatto a farti questi muscoli se sei così pigro?”

I suoi bicipiti si contrassero sotto le sue dita. Sospettava fosse successo di proposito, ma il suo viso non dava segni di orgoglio. “E’ diverso,” insistette. “Quella è fatica per un risultato. Questo è tedioso e basta.”

“E’ esercizio, e una passeggiata all’aria aperta,” sbuffò lei, irritata dal fatto che stesse svalutando il suo posto preferito a Oxford.

“E’ noioso e decisamente troppo lungo. Se avessi saputo che sarebbe stato così lontano, avrei comprato una dannata modo.” I suoi occhi si illuminarono, per poi spegnersi immediatamente. “Sarai quel tipo di moglie?”

“Che intendi?”

“Lo sai.” Le diede una gomitata nelle costole e assunse un tono nasale e beffardo mentre parlava come quel tipo di moglie. “Non salirai su quella trappola mortale.”

Sbuffò, nonostante quella fosse esattamente la sua opinione sulle moto. “Non mi piacciono particolarmente,” disse, vedendolo ingrugnirsi. “Ma visto che mi stai salvando, non mi sognerei mai di negarti ciò che più ami.”

Lui sorrise, “Quindi posso comprare una moto?” Lei annuì. “E continuare a bere?” Si accigliò ma annuì. “E fumare sul balcone?” Annuì ancora. “E fare sesso ogni notte con chiunque voglia?”

“Che?”

“Scherzo,” ghignò. “I matrimoni magici sono legati da un incantesimo di fedeltà. Andare a letto con chiunque altro che non sia la persona che hai sposato causerebbe dolori fisici insostenibili e, visto l’attuale condizione del Ministero, probabilmente l’incarcerazione. Per quanto ami rotolarmi nelle coperte, non tornerei ad Azkaban per quello.”

Hermione potè solo sbattere le palpebre e cercare di trattenere il rossore.

Eccolo. Sesso. Davvero non sapeva se se lo aspettasse da lei. Da quando Ginny aveva tirato fuori l’argomento, aveva letto la nuova legge parola per parola, cercando qualunque traccia o mancanza che facesse intuire che le coppie sposate fossero obbligate a fornicare. Non aveva trovato niente; la legge non lo chiedeva, ma sarebbero stati marito e moglie. Le coppie sposate facevano sesso - anche quelle non sposate, ma quello non la riguardava ora. Sirius non l’aveva mai menzionato, ma c’era la possibilità che lo desse per scontato data la vita matrimoniale o come compenso per averla salvata.

Imbarazzata e nervosa, era disperata di parlargliene. “Ehm…” iniziò, ma le parlò sopra.

“Finalmente, l’entrata!” Urlò, iniziando a camminare più velocemente. “Non credevo che questa maledetta natura selvaggia avrebbe mai avuto fine.”

Si guardò attorno, al prato curato e alle panchine dietro agli alberi potati.

“Natura selvaggia?”

“Che direzione?” Domandò, ochieggiando entrambe le strade avidamente.

“Sinistra,” disse, venendo quasi immediatamente trascinata dal fidanzato, che quasi correva facendoli oltrepassare i musei, il college di mattoni rossi e i muri di pietra pesante. Hermione era curiosa di sapere cosa lo rendesse così eccitato, se la nuova città, la libertà o qualunque cosa avesse intenzione di acquistare. “Gira alla prima a destra,”

Lui girò l’angolo e continuò ad un passo più ragionevole ora che poteva vedere i negozi.

“Mi aspettavo più persone,” disse, mentre una donna con un vestito colorato passava, tenendo in alto una macchina fotografica e scattando foto a qualunque cosa stesse ferma a abbastanza a lungo.

“I college sono chiusi per le vacanze estive,” gli spiegò Hermione. “Tutti gli studenti sono a casa, quindi rimangono solo i cittadini e i turisti.”

Lui annuì e guardò sorridendo i Babbani vagare senza meta. “Mi piace l’estate qui.”

Decise di non rispondergli e lasciargli vivere quel momento di pace, che durò finché non lo fece fermare davanti alla vetrina opaca della sua libreria preferita.

“Siamo arrivati.” Disse.

“Pensavo sarebbe stata più grande,” commentò lui, squadrando le vetrine. Scrollando le spalle, entrò nel negozio, con Hermione ancora aggrappata al suo braccio.

“Cosa cerchi?” Gli chiese vedendolo pensieroso mentre scorreva attraverso diverse sezioni senza trovare niente che lo interessasse.

“Non preoccuparti,” la rimproverò. “Vai a cercare qualcosa per conto tuo. Non voglio che rovini la sorpresa.”

“Potrei aiutarti a trovare ciò che stai cercando.”

“Va!” La cacciò. “Mi sono arrangiato da solo per molti anni prima che arrivassi.”

“Si, hai fatto un ottimo lavoro senza l’aiuto di nessuno,” commentò prima di girare i tacchi.

Hermione si accucciò dietro un tavolo di libri, guardando Sirius attraversare il negozio, prendendo cose a caso per poi rimetterle giù. Si sentiva come se fosse di nuovo ad Hogwarts, ad aiutare Harry pedinare un professore che sospettavano essere in combutta con Voldemort.

Sirius stava parlando alla commessa, una ragazza carina sui venti, bionda e sorridente. La donna gli toccò il braccio mentre si sporgeva in avanti per indicargli il retro del negozio. Lui fece l’occhiolino e sorrise in risposta a qualunque cosa gli avesse detto, ma lasciò la bionda in piedi da sola. Hermione lo lo stava seguendo più furtivamente possibile, ma lo vide salire le scale. Sarebbe stato impossibile non farsi notare e non sapeva a che piano stava andando. Blackwell era piuttosto piccolo visto dall’esterno. Quando era bambina credeva che fosse la magia a renderlo così ampio e alto quando dalla strada sembrava solo un negozietto da quattro scaffali con degli appartamenti al di sopra. Di norma amava quella stranezza, ma in quel momento si stava dimostrando piuttosto fastidiosa.

Si accigliò, infastidito dal fatto che Sirius stesse tramando qualcosa e non riuscisse a capire cosa.

Stizzata, iniziò a cercare, trovando diversi libri che avrebbe volentieri comperato se avesse avuto i soldi. Era lì da quasi un’ora senza aver visto traccia di Sirius, e stava iniziando a preoccuparsi che si forse perso o si stesse annoiando.

“Posso aiutarti?” Le chiede la donna bionda.

“No a meno che non sappia dirmi cosa stava cercando l’uomo.” Borbottò Hermione.

La donna sorrise. “Il bel tipo con i capelli lunghi? Ha detto che avresti potuto chiederlo e che se l’avessi fatto avrei dovuto dirti di smettere di toglierli tutto il divertimento.”

“Cretino,” brontolò Hermione, incrociando le braccia. “Dov’è?”

“Beh, non avevamo tutto ciò che cercava, quindi è andato giù a Waterstones,” la informò, controllando l’orologio. “Ha detto che vi potevate incontrare lì per un caffè a mezzogiorno, il che ti da venti minuti.”

“Cosa intende con ‘tutto ciò che cercava’? Quanti libri stava cercando?”

“Parecchi,” il sorriso della donna diventò malizioso. “Penso che apprezzerai la sua selezione.”

“Oddio, non ancora gli strappa-corsetti,” gemette lei. “Non avrei mai dovuto tirare fuori l’argomento.”

“No,” rispose. “Anche se ha chiesto se ci fosse un posto in città dove poterli comprare.”

Dopo una breve risata a spese di Hermione, che era ovviamente imbarazzata, la donna riprese il controllo e assunse la professionalità di prima. “Assicurati di prendere le tue compere alla cassa prima di andare.”

“Non ho comprato nulla,” disse Hermione confusa.

La donna sorrise. “Da questa parte.”

Hermione la seguì fino all’entrata del negozio, fermandosi di colpo alla vista della pila di libri ad aspettarla. Ogni libro che aveva preso e addocchiato con desiderio era lì.

“Come hai fatto?”

“E’ il mio lavoro,” la donna sorrise e segnò l’ordine, prendendo uno spesso blocchetto di acconti da una borsa nera e depositandolo nella cassa. Rimise il resto nella borsa e la avvicinò a Hermione, che la studiò un attimo, riconoscendola come una delle borse di scambio della Gringott. Sirius doveva aver lasciato dei soldi per lei.

La bionda fece scivolare i libri oltre il bancone consunto. “Buona giornata, e congratulazioni per il fidanzamento.”

“Grazie,” rispose Hermione debolmente. “Ehm… la parola Babbano le ricorda qualcosa?”

La donna sbattè le palpebre una, due, tre volte mentre rifletteva. “No, dovrebbe?”

“Ero solo curiosa se ci fosse un motivo per il quale è così brava nel suo lavoro,” commentò Hermione, andandosene prima che potesse chiederle cosa significava quella parola.

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Capitolo 5
*** Terreno nemico ***


Nonostante fosse abituata a camminare per lunghi corridoi e molti piani di scale con una piccola biblioteca sulle spalle, Hermione impiegò un tempo considerevole per percorrere la breve strada che separava Broad Street e il piccolo Cafè al secondo piano dell’altra libreria. Procedeva senza fretta attraverso il negozio, fermandosi per esaminare titoli che non aveva alcuna intenzione di comprare. Non era un vagare casuale; era solo un modo per ritardare il suo incontro con Sirius. Il regalo che le aveva fatto pochi minuti prima l’aveva resa consapevole della mancanza di equità nella loro relazione più di quanto già non lo fosse.

 

“Sei in ritardo,” la informò Sirius senza distogliere lo sguardo dal libro che stava leggendo. La sua affermazione attirò l’attenzione di alcuni clienti seduti vicini. Hermione abbassò la testa e si sbrigò a sedersi, prima che iniziasse a parlare ad alta voce, facendo sentire a tutti la loro conversazione.

“Vedo che hai trovato qualcosa di interessante,” commentò.

“Grazie,” disse Hermione. “Davvero non ce n’era bisogno.”

“Regalo di fidanzamento,” replicò distrattamente con una leggera scrollata di spalle, come se spendere più di cento sterline per un regalo fosse una cosa da tutti i giorni.

Corrucciata, appoggiò la pesante borsa sul pavimento. “Pensavo che avessi preso l’anello piò ostentativo che fossi riuscito a trovare.”

“Infatti,” concordò briosamente. “Quello, però, era un regalo per avermi aiutato a liberarmi di mia madre.”

“Non voglio che tu spenda così tanto per me;” disse, agitandosi nervosamente sulla sedia, evitando il suo sguardo. “Mi stai già salvando la vita sposandomi. Non potrò mai ripagarti.”

 

Sirius si appoggiò allo schienale e la guardò per un lungo minuto, posando il suo caffè prima di parlare. “Sembra che tu ti stia dimenticando di avermi salvato dai Dissennatori e Azkaban,” disse. “Se stai tenendo il conto, credo che questo matrimonio ci metta alla pari.”

“Oh,” disse Hermione, fissando la sua espressione ferma. Non si era dimenticata di quella notte nel suo terzo anno, ma non l’aveva mai considerata come un debito da ripagare. Salvare Sirius era sembrata semplicemente la cosa giusta da fare. Era per questo motivo che aveva acconsentito a sposarla? Legarsi a lei con qualcosa che essenzialmente era un Patto Infrangibile non le sembrava propriamente il modo migliore di liberarsi da quel debito, se era, dopotutto, ciò che stava facendo.

“Comunque—” iniziò.

“No.”

“No?”

“Niente ‘se’. Niente ‘ma’. Nessun’altra obiezione che potresti muovere,” disse, senza lasciarle modo di ribattere. “Sei finita con me, ed io farò il mio dovere cercando di rendere la tua vita il più sopportabile possibile. Visto che tutto ciò che ho da offrire sono i soldi, comprerò tutto ciò che ti piace. Sfortunatamente, ora come ora tutto ciò che so di te è che ti piacciono i libri.”

Hermione si morse il labbro, sentendo il familiare formicolio delle lacrime che si stavano accumulando minacciosamente nei suoi occhi. “E tu invece?”

“Io?” Disse con una risata caustica. “Non stavo facendo nulla della la mia vita in ogni caso. Da quando il mio nome è stato ripulito, sono a malapena utile a qualcuno. Almeno adesso posso dare una mano.” La guardò fissa negli occhi, negandole qualunque tentativo di lamentela.

“Quindi,” disse con un tono decisamente più allegro. “Comprerò qualunque cosa voglia a chiunque voglia ogni volta che ne avrò voglia, che ti piaccia o meno.”

“Okay.” Rispose lei.

“Okay?”

“Okay.” Ripetè lei.

“Non è stato difficile  come pensavo.” Sogghignò lui.

Hermione cacciò indietro le lacrime di compassione e la confusione che provava. I suoi cambiamenti d’umore erano estremamente disorientanti, e le sue opinioni erano difficili da contrastare. Iniziava a sospettare che a dispetto dell’argomento, Sirius avrebbe inevitabilmente vinto anche se avesse saputo di aver ragione.

Un caffè le venne posato di fronte, nonostante non avesse ordinato nulla, e lei lo bevve senza fare domande mentre considerava la situazione. Tutto questo stava diventando sempre più complicato di quanto non avrebbe voluto. Pensava che il loro sarebbe stato semplicemente un matrimonio di convenienza, per il quale avrebbero fatto la cerimonia per sviare il Ministero e i suoi genitori, e dopo del quale entrambi si sarebbero fatti i fatti loro. Da quando Sirius aveva deciso di essere un marito bravo e servizievole?

“Sei affamata?” Le domandò.

Lei annuì in silenzio, bevendo un sorso del suo caffè solo per trovarlo finito.

“A che ora cenano i tuoi?”

“Verso le sei, solitamente,” rispose lei. Ciò significava che avevano ancora più di cinque ore da far passare. Grugnì internamente all’idea di cosa avrebbero fatto in tutto quel tempo, ma Sirius sembrò avere la reazione opposta.

Si alzò e sorrise. “Un sacco di tempo per pranzare e per te di farmi fare fare un giro,” dichiarò prendendo la borsa dal pavimento. “Ho visto alcuni edifici che assomigliano in modo inquietante a Hogwarts. Devo visitarli.”

“Fare un giro per tutti quei college potrebbe essere costoso,” lo mise in guardia.

“Primo: sono ricco,” la informò compiaciuto. “E secondo: chi ha detto niente sul pagare un tour guidato?” Ghignò malignamente guidandola fuori dal negozio.

Hermione cercò di persuaderlo a pagare un vero tour, terrorizzata da cosa sarebbe potuto succedere se fossero stati beccati a girovagare senza avere le prove di essere del posto, ma Sirius rifiutò. L’uomo preferiva di gran lunga il suo modo di visitare, che includeva aprire ogni porta, che fosse chiusa o meno, e mettere le mani su qualunque antico artefatto apparentemente importante.

“Avremo gli Auror alle calcagna in cinque minuti,” insistette. “Finirò per sposare Fred perchè sarai di nuovo rinchiuso ad Azkaban.”

Quel pensiero quietò in parte il suo euforismo; smise di usare la bacchetta per aprire le porte ed entrò solo nelle stanze accessibili, il che comunque lasciava loro girare molto più di quanto non avrebbero fatto con qualunque guida. Nonostante tutte le gite scolastiche e le uscite in famiglia che aveva fatto esplorando quei college, non aveva mai visto la metà delle stanze, libri, quadri e statue che aveva visto quel pomeriggio con Sirius. Doveva ammettere che era più divertente ed emozionante come lo faceva lui, e decisamente più minuzioso. Ma non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, onde evitare d’incoraggiare ancor di più il suo fidanzato.

“Penso che questa sia l’ultima,” disse Sirius, posando la mano sulla maniglia d’ottone annerito di una porta nel cuore dell’All Souls College.

“Hey voi!” Urlò loro qualcuno dal corridoio. “Fermi là!”

Hermione si paralizzò.

Il corridoio era abbastanza simile a quello di Hogwarts da farla sentire come se fosse tornata a scuola e fosse stata beccata con le mani nella marmellata da Gazza. Sirius probabilmente provava la stessa cosa, ma la sua reazione non fu tanto quella di obbedire all’autorità del vecchio custode, quanto quella di sfrecciare via. Le prese la mano e scattò, tuffandosi in un corridoio laterale e nella prima stanza che riuscì a trovare, chiudendo bene la porta dietro di loro. Rimasero immobili nello scuro magazzino, cercando di non respirare troppo rumorosamente e ascoltando il vecchio portiere correre oltre. Hermione gli afferrò il braccio, percependo i muscoli tesi sotto le sue dita. Fece un respiro strozzato nel sentire il rumore dei passi stanchi sul pavimento di pietra del corridoio. Era a un soffio dal panico, ma Sirius la strinse protettivamente; la calmò abbastanza che quando il pomello della porta tintinnò, riuscì a non fare alcun rumore che li avrebbe potuti far scoprire.

“Dannati ragazzini,” sbottò il guardiano, andandosene.

Sirius rise nei suoi capelli e la abbracciò stretta. “Tieniti,” la avvisò, smaterializzandosi in un angolo buio vicino all’entrata. Sorridendo come se non fossero appena passati per metà dei corridoi e degli studi vietati al pubblico, uscì dall’edificio.

“Ci credi che mi manca Gazza?” Sospirò, scuotendo la testa.

“No,” disse Hermione. “Non potrei.”

Lui semplicemente sorrise di più, senza dubbio rivivendo tutte le volte che lui e i suoi amici erano riusciti ad evitare una punizione a scuola. Lo diresse lungo i marciapiedi lontano dal centro della città, più vicino a casa dei suoi genitori.

“Non voglio fare avere questa conversazione, davvero,” mugugnò Hermione, che una volta trovatasi di fronte all’imponente struttura Vittoriana cercò di girare sui tacchi. Le finestre erano luminose nella morbida luce serale, il che le diceva che i suoi genitori erano in casa.

Sirius la forzò a tornare sul ghiaietto, “Adesso o dopo, questa cosa va fatta.”

“Dopo,” decise Hermione, cercando nuovamente di andarsene.

“Adesso.” Disse Sirius, trascinandola avanti. “Ti porterò in spalla se sarà necessario. Hai visto i miei muscoli. Sai che posso farlo.”

“Smettila di vantarti dei - oh, dio, i tatuaggi, me n’ero scordata!” gemette. “Sono coperti?” Guardò intensamente il tessuto della sua camicia, per essere sicura che fosse completamente opaco, mosse il colletto per vedere se qualche traccia d’inchiostro arrivasse fin lì, arrotolò le maniche e sganciò i bottoni. Stava iniziando a lisciare le pieghe e togliere immaginari granelli di polvere dalle sue spalle solo per prolungare il momento in cui avrebbe dovuto bussare alla porta.

Sirius le cacciò via le mani. “Dannazione, ragazza, non c’è niente che non vada con la mia camicia!”

“Hermione?”

La ragazza, sentendo la voce, si girò di scatto, “Mamma!”

“Ero sicura che fossi tu! Come mai sei tornata?” La donna si affrettò ad abbracciare la figlia. “Ci sei mancata. Entra, entra. Anche il tuo amico.” Fece segno a Sirius di entrare, senza lasciare la presa su Hermione.

“Mamma, questo è Sirius,” disse la ragazza.

“Ti prego, chiamami Martha,” sorrise la donna, i suoi profondi occhi scuri brillanti mentre esaminava Sirius dalla testa ai piedi. Un rossore infantile si appropriò delle sue guance, mentre chiamava suo marito.

“Philip, Hermione è tornata per una visita ed ha portato un amico.”

L’uomo diede una forte stretta di mano a Sirius, salutandolo calorosamente. “Philip,” disse.

“Sei uno dei professori di Hermione?” Chiese Martha, la sua voce intrisa d’interesse e di un vago risolino. “Ci parla molto bene del corpo docenti.”

“No,” disse Sirius, venendo guidato senza commenti oltre l’ingresso dentro la casa. “Ma ne conosco alcuni. Un mio amico è stato professore per un periodo.”

La conversazione si sposto in cucina, dove la cena fu servita senza che a nessuno dei due venisse chiesto se la volessero. Hermione avrebbe adorato lanciare un ghigno da te-l’avevo-detto-che-erano-fantastici, ma era troppo nervosa.

“E quale tra tutti?” Chiese Philip.

“Lupin,” disse Sirius. “Remus Lupin. Insegnava Difesa Contro le Arti Oscure due o tre anni fa.”

“Oh, me lo ricordo,” annuì Martha. “Ci siamo incontrati a King’s Cross alla fine dell’anno scorso. Un uomo veramente gentile… bello, anche.”

“Mamma!” Hermione si strozzo sulla sua bibita, e arrossì violentemente sentendola parlare di un professore in quel modo. Si chiedeva se sua mamma sarebbe stata così complimentosa con l’uomo se fosse stato scelto lui come suo futuro marito; in qualche modo, ne dubitava.

“Beh, è vero cara.” Disse sua madre.

“Non potrei concordare di più,” sorrise Sirius. “Mia cugina ci ha puntato gli occhi da qualche mese ormai.”

Hermione sbatti le palpebre, fissandolo. “Tonks? Davvero? Non si assomigliano per niente.”

“E’ pazzesco quanto questo possa funzionar bene, a volte,” scrollò le spalle. “Sta cercando di non cedere, però. Pensa di essere troppo vecchio per lei - che è di tredici anni più giovane.”

Gli occhi della ragazza studiavano le espressioni sui volti dei genitori, cercando attentamente tracce di disapprovazione. La loro reazione fu critica. Martha si accigliò leggermente ma Hermione era certa che stesse pensando che a un bell’uomo fosse dovuto l’amore. Philip semplicemente annuì senza mostrare segni di disgusto.

“Beh, spero che smetta di fare il testardo.” Rise Philip, alzando il bicchiere di vino il un silenzioso augurio a Remus Lupin e la sua vita amorosa.

“Concordo,” sorrise Sirius.

“Quindi, se non sei un professore,” chiese Martha. “Chi sei? Come conosci Hermione?”

Sirius lanciò un rapido sguardo a Hermione prima di rispondere. “Sono il Padrino di un suo amico - Harry Potter.”

“Oh, mi piace quel ragazzo,” sorrise la donna. “Una tragedia quella dei suoi genitori.”

Lui annuì tristemente, “Erano brave persone.”

“Così mi è stato detto,” disse lentamente il signor Granger, guardando dalla figlia al suo amico, “Harry  vive con dei parenti antipatici. Come mai non con te?”

Hermione si sarebbe presa a calci da sola: non ci aveva pensato. Dopo aver detto tutte quelle cose dei suoi amici ai suoi genitori, avrebbe dovuto sapere che avrebbero fatto domande su Harry e Sirius.

Considerando lo scrutinio al quale stava venendo sottoposto, Sirius non sembrava affatto preoccupato. Se non avesse saputo la verità, non avrebbe mai immaginato che dietro il sorriso triste dell’uomo stavano molte bugie. “Sono stato via per parecchio tempo,” disse vagamente. “Sapevo quel che era successo, e ho tentato di prenderlo in custodia, ma la famiglia ha vinto. Non avrei mai immaginato che suo zio e sua zia lo trattassero così malamente.”

“Ma è sotto la tua custodia ora?” Chiese Martha, il suo sorriso speranzoso evidenza innegabile che il bel viso di lui stava avendo un considerevole effetto sulla sua opinione. Chiaramente nessuno di così bello avrebbe potuto lasciare un ragazzo come Harry a degli orridi parenti, almeno nella visione di Martha.

“Si e no,” disse Sirius. “Ufficialmente è a carico mio, ma non vive con me. La mia casa è a stento utilizzabile dopo essere stata abbandonata per così tanto tempo. Sta dagli Weasley come Hermione.”

“Ma sicuramente puoi risolvere la cosa istantaneamente con la magia,” insistette lei, sporgendosi verso di lui e sfiorandogli il braccio come faceva con il figlio del macellaio quando le spiegava quali erano i migliori tagli di carne per ogni piatto.

Lui semplicemente sorrise. “Anche con la magia, i parassiti sono difficili da rimuovere.”

“Quindi sei il padrino del migliore amico di nostra figlia,” ricapitolò Philip dopo una pausa e un drink. “Non riesco bene a mettere a fuoco la connessione che ti porta qua stasera. Non per lamentarmi, nota, sto solo facendo un’osservazione.”

Hermione sbiancò. Non aveva previsto che questa domanda arrivasse così presto.

Questo non era vero. Aveva immaginato che fosse la prima da sua madre, ma quando non era arrivata aveva sperato che riuscissero ad arrivare al pudding prima di doverglielo dire.

“Hermione?” Chiamò sua madre. “C’è qualcosa che non va?”

La ragazza si schiarì la gola più tranquillamente possibile, cercando di guadagnare il tempo per trovare un modo di dirlo che accontentasse i suoi genitori. “Beh,” disse. “Io… eh… Sirius ed io… noi… uh… lui…”

“Oddio, sei incinta!” Gridò Martha, facendo cadere la sedia per terra nella smania di allontanarsi da Sirius.

“No!” Urlò Hermione, scandalizzata dall’insinuazione. “Certo che no! Ci siamo solo fidanzati! Lo sai che non potrei mai!”

A seguito della rumorosa e terrorizzata accusa di gravidanza, la verità suonò piuttosto banale. Un silenzio seguì, in cui tutti fissarono il vuoto sbattendo le palpebre, cercando di capire se la novità fosse migliore o peggiore dell’idea di Hermione incinta di un bambino illegittimo a sedici anni.

“Fidanzata?” Ripetè Martha. “Sei fidanzata?”

“Si, mamma.” Replicò Hermione.

“Fidanzata con… lui?”

“Si, mamma.”

“Fidanzata col padrino del tuo migliore amico.”

“Si, mamma.”

Martha esalò un respiro tremante, si ricompose, e uscì dalla cucina con tutta la dignità che riuscì a trovare. Un momento dopo, la donna iniziò a gridare da una stanza sopra le scale. Una serie di rumori di oggetti rotti iniziarono a sentirsi, in segno della sua disapprovazione sugli oggetti inanimati più vicini su cui riuscì a mettere le mani.

“Non so cosa stia distruggendo, ma sono sicuro che non ne avessimo comunque bisogno,” borbottò Philip. “Altro brandy?” Disse versando l’alcol nei bicchieri senza neanche aspettare risposta.

“Non hai intenzione di urlare?” chiese nervosamente Hermione.

Suo padre scosse la testa. Anche se volessi farlo non lo farei. Sei una ragazza intelligente, Hermione,” sorrise. “So che non daresti il tuo cuore a chiunque.”

Hermione fece del suo meglio per non sembrare imbarazzata.

“Oltretutto, metà del tempo ti comporti come se fossi più vecchia di me ,” rise. “Non ho mai creduto che ti saresti innamorata di qualcuno della tua età. E non posso sgridarti per qualcosa che ho fatto io stesso, no? Tua madre ha nove anni meno di me. Diavolo, sua madre aveva quindici anni in più di suo marito.”

“Corre nel sangue, quindi?” Disse Sirius, non osando ghignare o alzare un sopracciglio.

“Si. E la tua?” Chiese, il viso più serio e la voce più pesante di quanto non fossero state da quando erano arrivati. “Cosa pensano della tua sposa bambina?”

“La maggior parte dell’antica casata dei Black,” schernì. “Non sarebbe troppo contenta, ma non me ne importa un accidente. L’unica famiglia di cui m’importa già le vuole bene.” Disse Sirius con assoluta onestà. Non si preoccupò di dire che l’età di Hermione aveva poco a che fare con la disapprovazione della sua famiglia, il che era un’informazione che era più che felice di aver omesso.

Il Signor Granger annuì in approvazione, bevendo un sorso del suo brandy. Hermione sapeva che stava aspettando, ma non riusciva a capire chi o che cosa. Aprì la bocca per spiegare meglio, ma suo padre scosse la testa e continuò ad aspettare. Ci vollero quarantacinque minuti, ma alla fine la sua pazienza venne ripagata quando Martha aprì la porta e si sedette al tavolo.

“Questa cosa non mi piace per niente, Hermione,” disse con una calma forzata.

“Lo so, mamma.” Replicò piano la ragazza.

“Prometti di non farla soffrire?”

“No,” disse Sirius, guadagnandosi un’occhiataccia sia dalla madre che dalla figlia. “Solo un idiota farebbe una promessa simile. Sa che non sono di certo la persona più semplice con cui può avere a che fare. Ci saranno giorni in cui preferirà scappare che affrontare i miei cambi d’umore. Come la scorsa notte.”

“Non è vero!” Protestò Hermione.

“Stamattina non c’eri, il tuo letto era intatto come se non ci avessi dormito, Hermione,” disse lui, la voce colorata dalla rabbia. “So che te ne sei andata piuttosto di affrontarmi stamattina.”

“Mi spiace molto di aver lasciato tutto in ordine,” sbottò. “Mi spiace molto che tutte le mie cose siano alla Tana e non volevo far visita ai miei genitori con i vestiti su cui avevo dormito! Sono tornata dopo la colazione. Sei tu quello che ha evitato di guardarmi tutta la mattina!”

“Perchè pensavo mi avessi lasciato,” insistette Sirius.

“L’ho fatto,” disse lei. “Ma poi sono tornata.”

Sirius la guardò un momento, dolore e imbarazzo ben visibili sul suo volto. “La prossima volta lascia un biglietto,” richiese.

Almeno sapeva il motivo della rabbia e del dolore che aveva visto ogni volta che l’aveva guardato quel giorno.

“Lo farò.”

Philip si schiarì la gola rumorosamente, riattivando l’attenzione sul fatto che non fossero da soli nella stanza. “Bene, sicuramente riuscite a gestire i litigi, ve lo concedo” disse, con un umorismo inaspettato. “Ti avviso, Sirius, la nostra ragazza è la regina del perdersi in un bicchier d’acqua. Meglio tenere la fedina pulita o rischi di darle ancora più motivi su cui arrabbiarsi.”

Hermione fece schioccare la lingua, infastidita, e tornò a concentrarsi sul suo pudding, ormai dimenticato e freddo.

“Dove lo farete?” Chiese Martha, il suo tono teso ma civile. “Il matrimonio, dove lo farete? E’ solo che il giardino sul retro è adorabile in questo periodo dell’anno e se voleste…”

“Grazie, mamma,” disse Hermione, gli occhi pieni di lacrime. “Sarà perfetto.”

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Capitolo 6
*** Parole forti ***


In seguito dello stress ulcerico che era stato informare i suoi genitori, poche cose riuscirono ad infastidire Hermione durante il resto dell’estate. Rimase per luglio e agosto alla Tana, andando occasionalmente a trovare i suoi genitori. Odiava stare distante da loro, ma era troppo pericoloso per lei stare nel mondo Babbano; l’Ordine e Silente insistevano che rimanesse al sicuro.

“Pensavo,” commentò verso metà agosto, “che La Dannata Legge avrebbe significato che sarei stata al sicuro per stare con i miei genitori.”

Avevano tutti preso l’abitudine di chiamare la nuova legge matrimoniale ‘La Dannata Legge’ dato il fatto che stava causando non poco trambusto nell’Inghilterra Magica.

E’ solo una precauzione in più, cara,” le assicurò la signora Weasley. “Non sai mai cosa potrebbero tentare i Mangiamorte. Potrebbero anche venire a sapere dei nostri piani.”

“Beh, Ginny non è stata esattamente discreta a proposito, non è vero?” Disse Ron. Lanciò uno sguardo a sua sorella. La ragazza era immersa nelle riviste da matrimonio e nei campioni di tessuto. Chiunque nel raggio di cinquanta miglia era sicuramente a conoscenza del fatto che ci sarebbe stato un matrimonio.

“Lasciala fare,” lo riprese Hermione. “Più lavoro fa lei, meno ho di cui preoccuparmi. Lo sai quanto faccio schifo su questo genere di cose. Posso gestire un singolo abito, ma un intero matrimonio… no, grazie.”

Ron sbuffò.

“E questo per che cos’era?”

“Sei la persona più prepotente che conosca,” rise lui. “Non importa quanto schifo tu faccia, entro settembre ti lamenterai che non è tutto come lo volevi.”

“Ronald Weasley, lascia in pace quella povera ragazza!” Gli ordinò la madre, dandogli un sonoro schiaffò sulla mano con i ferri da calza che stava usando.

Nonostante odiasse essere presa in giro, Hermione era sollevata dal fatto che Ron stesse reagendo al suo matrimonio come faceva con tutti i suoi progetti. Era lamentoso e condiscendente come lo era a proposito delle sue tabelle di studio, il che era stranamente confortante. Ora che lo shock iniziale e la rabbia e la depressione erano passate, tutti avevano realizzato che una volta che Hermione Granger sarebbe diventata Hermione Black non si sarebbe potuto tornare indietro.

Quindi caricarono la Ford Anglia del signor Weasley con i loro bauli di scuola e partirono per King’s Cross, fin troppo in ritardo, la mattina del primo settembre, dove Sirius li stava aspettando per vedere Harry. Fece un cenno col capo a Hermione, non diverso da quello che offrì a Ron - era abbastanza intelligente da capire che si dovevano comportare come al solito per evitare ogni sospetto in chiunque li potesse osservare. Era grata del fatto che i suoi genitori dovessero lavorare, altrimenti la mancanza d’affetto sarebbe stata molto difficile da spiegare.

Sirius si concentrò sul suo figlioccio, abbracciandolo stretto. “Divertiti,” sorrise. “Cerca di comportarti bene per una volta.”

Harry sbuffò, sapendo che Sirius probabilmente non si era comportato bene neanche una singola volta ad Hogwarts.

“Dico davvero,” lo avvertì l’uomo. “Non voglio venire a sapere che hai fatto esplodere bagni o messo caccabombe nella torre di Astronomia o…” si grattò il mento, pensieroso. “Che altro abbiamo fatto al sesto anno?”

“Incantato tutte le sfere di cristallo perché mostrassero film in bianco e nero,” disse Remus. “Scambiato le botti delle fontane dell’Ala Est con alcune piene di Veritaserum. Quelli sono stati due dei miei piani migliori.”

Sirius ignorò lo sguardo intimorito di Harry e continuò con i suoi ammonimenti paterni. “Si, nessuna di quelle buffonate. Sei un ragazzo sveglio, abbastanza per riuscire a inventare i tuoi stessi scherzi. Se non ci riesci, chiedi a Hermione. Sono sicuro anche abbia una mente deviata, nascosta da qualche parte.” Lanciò alla ragazza un occhiolino implicatorio, l’unico segno che potesse far pensare che la vedeva come qualcosa di diverso dall’amichetta secchiona del suo figlioccio.

Ron stava singhiozzando dalle risate e dovette correre sul treno prima di perdere il controllo della sua vescica.

“Ci vediamo tra un paio di settimane,” disse Sirius a bassa voce, salutando Hermione ed Harry dal treno con un mezzo sorriso.

“Un paio di settimane…” ripetè Harry, mentre le ruote del treno stridevano e ruotavano, finalmente trovando trazione sulle rotaie. “E’ arrivato velocemente, non è così?”

“Non è ancora arrivato,” replicò Hermione a bassa voce. “Evitiamo di parlarne. Non si sa mai chi potrebbe ascoltare.” Fece un segno significativo allo scompartimento occupato da Malfoy e i suoi amici. Non era per la sua immaginazione che i loro sguardi maliziosi avessero preso un tono decisamente più sconcio.

“Chi stanno squadrando?” Si incupì Harry.

“Me,” disse lei. “Per quanto ne sanno sono in gioco per qualunque purosangue lo chieda.”

“Questo fa solo schifo.”

“Immagina come mi sento,” disse, il tono sarcastico della sua voce ormai ammorbidito dalle settimane passate ad abituarsi all’idea della Dannata Legge e tutte le sue conseguenze.

“Preferisco evitare,” borbottò, avanzando nello stretto corridoio fino a trovare uno scompartimento. “Neville e Luna sono qui.”

“Vai, io devo andare nella cabina dei Prefetti,” disse. “Scusa, ti raggiungerò dopo.”

Lasciò il ragazzo sconsolato all’entrata dello scompartimento, e si affrettò a raggiungere la fronte del treno. Ron era già seduto, salvandole un posto, e aveva un’aria abbattuta. Hermione scoprì presto il motivo. Anche tra quegli studenti intelligenti e responsabili, la legge matrimoniale era l’unico argomento di conversazione.

“Ho sentito che stanno piazzando degli alloggi privati per le coppie sposate,” disse con fare cospiratorio Lucinda James, una Corvonero, lanciando un sorriso abbagliante al suo ragazzo, che distolse lo sguardo velocemente, chiaramente terrorizzato dal fatto che volesse una proposta.

La nuova Prefetto Serpeverde, una ragazza che Hermione aveva visto nelle sale ma con cui non aveva mai parlato direttamente, sbuffò. “Questo non ha alcun senso,” disse, parlando con fare autoritario, anche se probabilmente non ne sapeva più degli altri. “Non lascerebbero mai gli studenti sposarsi.”

“Sono maggiorenni, Hollie.” Disse un altro Prefetto del quinto anno, facendo intendere il suo pregiudizio dalla ragazza. “A scuola o meno, legalmente possono comunque sposarsi. Taci visto che non ha niente a che vedere con te.”

La ragazza aprì la bocca per replicare, in tipico stile Serpeverde, ma Ron si introdusse nella conversazione. “Legalmente previsti di sposarsi, intendi dire,” borbottò. “Dannata Legge.”

Molti annuirono in approvazione. “E’ una legge abbastanza strana,” concordò Margaret Lucas, Tassorosso. “E in che periodo… così presto dopo il ritorno di Voi-Sapete-Chi. Non so.” Si morse il labbro e aggrottò la fronte, pensierosa.

“Non dite sciocchezze soltanto perché non avete alcuna proposta,” fece capolino la fredda e annoiata voce di Draco Malfoy.

“Questo non era necessario, Malfoy,” lo guardò male Hermione.

“Forse, ma resta comunque vero,” ghignò. “E tu, Granger? Nessuno che ti giri intorno?”

Hermione si trattenne dall’alzarsi, rifiutandosi di lasciargli capire quanto la mettesse a disagio. Confrontarsi con Malfoy era come giocare a poker - l’apparenza era tutto. Mantenne un’espressione neutrale, rispondendogli. “Non vedo come la cosa possa riguardarti.”

“Tutto per essere la più brillante del nostro anno,” la derise, ma senza aggiungere altro.

Se solo tutti gli altri avessero preso l’esempio e lasciato perdere l’argomento. Ci volle uno sforzo monumentale da parte dei Capocasa per spostare la discussione su qualcosa di diverso dai matrimoni. Dopo quella che sembrò un’eternità, Hermione e Ron lasciarono lo scompartimento per pattugliare il treno.

“Sono io,” si accigliò Ron, passando oltre un compartimento pieno di studenti che chiacchieravano, “o si stanno comportando tutti in modo inquietantemente composto? E’ innaturale.” Hermione annuì, egualmente confusa dal fatto che non avessero ancora incontrato una singola caccabomba, una vittima delle Crostatine Canarine, litigi o anche una piccola scaramuccia. Di solito ne avrebbero trovati almeno tre di ognuna a questo punto del viaggio.

La porta di uno scompartimento si aprì e una Serpeverde del terzo anno corse nel corridoio, gridando da sopra la sua spalla. “Vado a chiedere a Millicent. Vedremo a chi darà ragione.”

“C’è qualche problema?” chiese educatamente Hermione. “Possiamo aiutare?”

La ragazza sghignazzò, ma si ricompose rapidamente fino ad assumere un’espressione quasi piacevole. “Si, è vero che le coppie sposate avranno più finesettimana ad Hogsmeade?”

“Come diavolo dovremmo saperlo?” Chiese Ron. “Maledetta Dannata Legge. Si è impossessata di tutta la dannata scuola!”

La ragazza, troppo scioccata dalle urla di Ron per rispondere nell’appropriato stile Serpeverde, si affrettò a nascondersi nello scompartimento. Ron sembrava pronto a inseguirla per continuare la sua filippica, quindi Hermione lo afferrò per il braccio e lo portò via. La cosa peggiorò solamente. Ogni studente che incontrarono aveva delle domande sulla Dannata Legge. I pettegolezzi circolavano più velocemente dei Boccini, e nessuno sapeva a cosa credere. Hermione sperava che Silente ne avrebbe parlato al banchetto, per chiarire le idee a tutti; Il Preside sembrava sapere sempre cosa succedeva a scuola, nonostante uscisse di rado dal suo ufficio, quindi immaginava che fosse consapevole della preoccupazione dei suoi studenti. Se non avesse tirato fuori per primo il discorso, gli alunni avrebbero fatto domande durante le lezioni, disturbando e infastidendo ogni professore.

Un piccolo ghigno le apparse sul volto, mentre immaginava qualche ignaro primino che provava a fare domande al Professor Piton.

“Cosa c’è di così divertente?” Chiese Ron.

Lei scosse la testa e continuò a camminare.

oOo

 

“Buona sera a tutti voi!” Disse Silente con un ampio sorriso. “Ai nostri nuovi studenti, benvenuti, a quelli vecchi, bentornati!”

L’uomo continuò a fare un discorso simile a quello dell’anno precedente, dando gentili benvenuti da parte sua e ammonimenti da Gazza, presentando un nuovo insegnante - questo sollevò alcuni mormorii quando si venne a sapere che Piton sarebbe stato il nuovo insegnante di Difesa, ma la cattedra continuamente scambiata era difficilmente un argomento urgente - e avvertimenti su Voldemort e i suoi Mangiamorte. Proprio quando sembrava stesse finendo, si schiarì la gola e smise di sorridere. “Avrete, ne sono certo, sentito della nuova legge emanata dal Ministero della Magia questa estate,” disse, e un fremito di eccitato chiacchiericcio corse lungo le tavolate. “Mentre ha poco riscontro in queste mura, ci sono alcuni di voi che ne saranno influenzati. Quelli che sono o presto saranno diciassettenni non hanno scelta se non quella di sposarsi se richiesti di farlo.” Fece una pausa per dare il tempo di assimilare il tono piuttosto duro della sua voce. “Pensare bene alla decisione che vi sta davanti. Il matrimonio è un impegno che dura tutta la vita, protetto da giuramenti e incantesimi che non possono essere spezzati, e che non va preso alla leggera.”

Lasciò loro rimuginare sul peso della responsabilità prima di continuare. “I vostri Capicasa saranno disponibili per ulteriori chiarimenti dopo le lezioni…”

Qualunque altra cosa disse poi, il cervello di Hermione non riuscì a registrarla. I matrimoni sarebbero stati permessi ad Hogwarts. Aveva in qualche modo pensato che Silente sarebbe stato in grado di bloccare il Ministero, di evitare che gli studenti venissero obbligati a sposarsi e che gli accordi fatti con Sirius fossero una semplice precauzione. Chiaramente si era sbagliata. Silente non poteva trattenere il Ministero per sempre. Il banchetto si concluse e con esso ogni speranza che aveva Hermione di non sposare Sirius. Arrancò per la la lunga distanza che la separava dalla Torre di Grifondoro, facendo i suoi doveri da Prefetto con tutto l’entusiasmo che poteva prima di buttarsi sul letto.

La colazione fu una tortura; dovette ascoltare Lavanda e Calì lamentarsi che non sarebbero state abbastanza grandi per sposarsi per un altro anno. Digrignò i denti e si precipitò in classe.

“Piton,” grugnì Ron come se fosse una parolaccia, appoggiandosi al muro della stanza di Difesa Contro le Arti Oscure.

Hermione era in realtà curiosa di sapere come lo stile taciturno di Piton sarebbe cambiato per insegnare Difesa a tempo pieno. La breve supplenza fatta mentre Lupin era malato non aveva messo l’uomo sotto la migliore luce, visto che aveva usato la sua posizione per rivelare il segreto del suo rivale.

Piton all’ingresso, tacitando il chiacchiericcio con uno sguardo.

“Dentro,” disse.

Entrarono velocemente e, dopo alcuni minuti di preambolo durante i quali Piton insultò ogni insegnante di Difesa che avevano avuto finora, li mise a lavorare sugli incantesimi non verbali. Era magia complessa nelle circostanze migliori, ma Hermione stava venendo distratta dalle risatine e dai sussurri delle sue due compagne di dormitorio. Anziché porsi l’una contro l’altra e cercare di maledirsi non verbalmente, stavano occhieggiando i ragazzi nella classe.

“Con chi pensi che starebbe meglio?” Sussurrò Calì, indicando Seamus.

“Ooh,” sghignazzò Lavanda. “Io non direi di no.”

Calì aggiunse il suo leggero risolino, continuando.

Piton era troppo impegnato a rendere la vita di Harry un inferno per notare la cosa, o così Hermione credeva. Mentre si avvicinava la fine della lezione, scivolò silenziosamente alle loro spalle mentre queste contemplavano chi tra Ron o Harry sarebbe stato un marito migliore per Lavanda.

“Miss Patil, miss Brown,” disse dolcemente, prendendo alla sprovvista le ragazze. “Visto che eravate troppo distratte dalla vostra stessa compagnia per partecipare in modo adeguato alla lezione di oggi, suggerisco di fare più pratica. Magari durante una punizione. Non m’importa quanto sciocche siate, anche voi potete riuscire ad afferrare il concetto di età. Finché non avrete l’età giusta per sposarvi, non discuterete di tali argomenti durante le mie lezioni. Dieci punti in meno a Grifondoro.”

Hermione abbassò la testa per nascondere il ghigno stampato sul suo volto. Piton non lo sapeva, ma Difesa era appena diventata la sua materia preferita.

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Capitolo 7
*** Nessuna via di fuga ***


Non c’era modo di sfuggirle.

Le chiacchiere sulla Dannata Legge erano ovunque. I quadri ne parlavano. I fantasmi ne parlavano. Anche Pix volteggiava in giro riempiendo gli studenti di riso - a volte cotto, a volte no. La cosa peggiore erano gli studenti che non facevano altro che entusiasmarsi per la Dannata Legge; anche i presumibilmente più intelligenti Corvonero parlavano di poco altro. Nonostante le raccomandazioni di Silente, diversi studenti del settimo anno si stavano fidanzando.

“Questo è ridicolo!” Sbuffò Hermione, guardando un gruppetto di ragazze sospirare su una rivista per sposa. “Non capiscono che il matrimonio è un Patto Infrangibile? Butterebbero di loro spontanea volontà la loro vita per una cotta!”

“Beh—“

“Taci, Ron,” lo ammonì Harry. “Non parliamone a colazione.”

“Hermione lo stava facendo,” disse il ragazzo sulla difensiva.

“Non stava per tirare fuori quello,” disse Harry. Il suo sguardo torvo e il tono altrettanto secco riuscirono in qualche modo a far intendere il significato nascosto dietro al matrimonio combinato della sua amica.

Hermione sbuffò. “Pronunci il nome di Voldemort nonostante la paura che provoca, ma ti spaventa dire la parola ‘matrimonio’?”

Ebbe un fremito. “E’ semplicemente sbagliato,” insistette.

“Lo sappiamo,” disse lei seccamente. “Credimi.”

“No, intendo è proprio sbagliato,” abbassò la voce fino a un sussurro quasi impercettibile. “Sarai la mia madrina, Hermione… lo capisci?”

Alzò gli occhi al cielo. “Ho avuto due mesi per pensare alla situazione, Harry. Ho scovato ogni singola sfaccettatura inquietante che ci potesse essere.”

“E’ arrivata la posta,” disse tranquillamente Ron, felice di interrompere qualunque litigio stesse iniziando tra i due.

Hermione alzò lo sguardo, non aspettandosi nulla. Fu sorpresa di vedere un gufo planare e depositare una lettera di fronte a lei. Volò via e fu prontamente seguito da un secondo, terzo, quarto e quinto.

“Cosa diavolo?” disse incuriosita, raccogliendo le buste.

“Hermione,” disse Harry, con un tono che verteva al riso. “Non ricordi che giorno è domani?”

Si accigliò. “No.” Disse lentamente, facendo mente locale sui suoi programmi. Non avevano compiti o nulla che dovesse venir ricordato, almeno per qualche settimana. Era solo il diciotto. Anche con i materiali di livello MAGO, le loro due settimane e mezza di lezioni non erano abbastanza neanche per tentare un test a sorpresa.

“Aspetta…” pensò. “E’ il diciotto.”

Sobbalzò, realizzando che giorno era. Era il giorno prima del suo compleanno, il giorno prima dei suoi diciassette anni. Abbassò lo sguardo sulle lettere che aveva in mano, inorridita, lasciandole come se fossero un roditore infetto che minacciava di morderla. Si affrettò a pulirsi le mani sulla veste.

“Quindi quelle sono…” Ron esitò, assumendo un colorito verdastro, “proposte di matrimonio?”

“Di sicuro,” disse Harry. Si sporse in avanti per prenderne una ma Hermione gli schiaffeggiò la mano.

“No!” Urlò.

“Hey! Perché no?”

La professoressa McGranitt percorse in fretta il corridoio verso di loro, il suo volto impassibile come sempre, ma la sua voce un ritratto dell’ansia che provava, “Signorina Granger, quelle lettere, per favore.” Hermione, rifiutandosi di toccarle, preferì usare la magia per spedirle oltre al tavolo fino al telo che la McGranitt teneva in mano. Dopo avere avvolto con attenzione le buste, l’anziana donna la scrutò pensierosa. “Suggerirei che si lavasse immediatamente le mani, signorina Granger.”

“E questo perché?” Domandò Ron.

“Proposte anticipate,” disse Hermione, inghiottendo un’ondata di nausea. “Potrebbero essere coperte di filtri d’amore per farmi scegliere loro.”

“Bastardi imbroglioni.”

“Immagino che tu non possa sfuggirne, quindi,” disse Harry, incupito. “Non se chiedono dal giorno prima. Sarai costretta a dire ‘si’ a qualcuno.”

Lei annuì, e riguardò il tavolo dei professori. Vedendo il Preside e la Vicepreside discutere con foga, sentì un dolore alla testa che non aveva provato da quando il Profeta aveva annunciato che la nuova legge era stata messa in vigore. Contrita verso nessuno in particolare, corse al bagno più vicino per strofinarsi le mani fino all’osso.

“Sembra che qualcuno qui si senta sporco,” echeggiò una voce derisoria nella stanza piastrellata. “Rassegnati, Granger, non riusciresti a pulirti con tutto il sapone del mondo. Lo sporco è nel tuo sangue.” Hermione non disse nulla, rifiutandosi di dare valore al bigottismo della ragazza con una risposta; Pansy non sembrò accorgersene né curarsene, avvicinandosi per continuare la sua provocazione. “Quindi, chi potrebbe averti mandato così tante lettere?”

“Lettere d’odio, probabilmente,” decise Millicent con una fredda risata.

“Oh, non essere così crudele,” ridacchiò l’amica. “Non è il tuo compleanno domani, Granger? Forse c’è qualcuno che si strugge per te, dopotutto.” Ghignò, come se una cosa simile fosse probabile quanto vedere Voldemort leggere una storia della buonanotte a Harry Potter.

“E se l’avessi?” Scattò Hermione. “E se avessi un ragazzo? Se ci fosse un purosangue che vuole sposarmi? Cosa importa a te?”

“E’ così disperata che si inventa le cose,” rise Pansy.

“Qual è il suo nome?” Le raggiunse un basso lamento dall’angolo dove stava l’ultimo cubicolo.

“Oh Merlino, non anche lei,” gemette Millicent. “Andiamocene prima che possano infettarci con i loro sporchi germi.” Con un sogghigno odioso, la ragazza afferrò l’amica e lasciò Hermione con lo spettro depresso.

Hermione sospirò e si accasciò sul pavimento, grata come mai della presenza del fantasma. “Grazie, Mirtilla.”

La voce fece nuovamente capolino dal gabinetto. “Te lo stai inventando?”

“No,” sospirò Hermione. Le novità sarebbero state ufficiali entro il giorno seguente, tanto valeva abituarsi a dirlo ad alta voce. “C’è qualcuno. Farà la proposta domani.”

“Qual è il suo nome?”

“Preferirei non dirlo, per adesso.” Disse in modo vago. “Non voglio che si scopra troppo presto.”

“Te lo stai inventando.” Decise Mirtilla.

“Vedrai.” Promise Hermione, chiudendo gli occhi e appoggiando la testa sul muro freddo nel tentativo di alleviare il suo mal di testa. “Vorrei che fosse già domani.”

 

oOo

 

Il diciannove arrivò molto più presto di quanto non avesse previsto Hermione, che sentì una delle mani ferme afferrarle le spalle e scuoterla per svegliarla. La ragazza sbatté le palpebre, trovandosi davanti il volto della sua Capo Casa.

“Che?” Domandò intontita, cercando di rimanere sveglia. “Cosa succede?”

“Si vesta, signorina Granger,” disse piano la McGranitt. “Il Preside desidera vederla il più presto possibile.”

“Perché? Che ore sono?”

“Le due del mattino,” disse la donna, la voce un sussurro ma comunque seria. “Buon compleanno, signorina Granger. Per favore, si sbrighi, il Preside sta aspettando.” Hermione non la vide uscire, ma il suono della sua vestaglia scozzese che frusciava verso la porta le disse che era andata via.

La ragazza si alzò lentamente, la pesante tenda davanti ai suoi piedi non d’aiuto per farla tornare nel mondo reale; era ancora mezza addormentata nonostante stesse arrancando verso la sua scrivania, come se quello fosse un sogno un po’ noioso. Nella stanza quasi completamente scura, da sola e vestita a metà, le parole della donna fecero finalmente breccia e la riportarono completamente e dolorosamente nella realtà. Buon compleanno… ora aveva diciassette anni, era maggiorenne.

Muovendosi il più velocemente possibile, la giovane donna si vestì e corse via dalla sua camera. Se l’avevano svegliata ad un orario simile, la tempistica doveva avere una certa rilevanza e non voleva far aspettare  il Preside o la Vicepreside.

Incontrò la Professoressa McGranitt nella sala comune e seguì il passo veloce della donna lungo gli scuri corridoi e i passaggi segreti. Nessuna delle due parlò finché non raggiunsero il gargoyle di pietra a guardia dell’ufficio, che si spostò di lato per lasciarle passare senza che la donna dicesse alcuna parola d’ordine. Questa si girò verso Hermione, stringendole le spalle in qualcosa di abbastanza simile ad un abbraccio; “Congratulazioni, signorina Granger. Le auguro tanta felicità.”

“Grazie, Professoressa,” rispose Hermione, intontita.

Felicità? Come poteva, la donna, credere che una cosa simile potesse essere possibile, si chiese Hermione. Aveva diciassette anni da due ore, ed era in piedi da sola sulle scale che la stavano portando nell’ufficio del Preside. Per quanto fosse giovane, non era abbastanza sciocca da pensare che un incontro a quell’ora del mattino fosse per ragioni piacevoli. Il Ministero aveva cambiato la legge? Avevano scoperto del suo accordo con Sirius? Un sacco di cose potevano essere successe, e lei le considerò tutte nel tragitto che la separava dall’ufficio di Silente.

“Signorina Granger, entri pure. Si sieda,” la salutò caldamente il Professor Silente. “Gradirebbe del tè?”

“No, la ringrazio,” disse, senza neanche cercare di nascondere il cattivo umore. “Perché mi trovo qui, Signore?”

Lui sorrise amabilmente. “Per scegliere il Suo fidanzato, ovviamente,” disse, indicandole la pila di lettere sulla sua scrivania. Le cinque di quella mattina si erano moltiplicate di almeno tre volte. Ricacciò indietro il nodo alla che le si stava formando in gola, occhieggiando la pila barcollante di buste. C’erano davvero così tanti Mangiamorte pronti ad adescarla?”

“Non era già stato deciso, Professore?”

“Non secondo il Ministero, no,” rispose bonariamente. “Una conferma formale va fatta nei confronti di una delle Sue numerose proposte. Solo dopo che un funzionario del Dipartimento degli Obblighi e Affari Matrimoniali avrà firmato il fidanzamento questo sarà ufficiale. Solo allora lei sarà al sicuro.”

“Ma sono le due del mattino,” disse, enfatizzando il concetto con un enorme sbadiglio. “Chi ci sarà ad approvare l’affare a quest’ora?”

Silente sorrise semplicemente, i suoi occhi brillanti nonostante l’orario indecente.

“Non dare niente per scontato con il vecchio Silente,” commentò la voce profonda di Sirius Black, che si buttò sulla poltrona a fianco a lei. “Se riesce a farmi alzare dal letto a quest’ora, può farlo fare a chiunque.”

Gli occhi del Preside brillarono, deliziati. “Eccellente. Ora che siamo tutti presenti, possiamo cominciare,” dichiarò. “Sirius, hai la proposta?”

Sirius gli porse un foglio. L’anziano uomo lo spiegò, rileggendolo per essere sicuro che tutto fosse in ordine. Hermione allungò il collo per dargli un’occhiata; si aspettava una dichiarazione scritta a mano, ma era solo un modulo prestampato da compilare. La cosa era abbastanza deludente.

“Perfetto,” disse Silente, alzandosi dalla poltrona e avvicinandosi al caminetto. Un fascio di luce verde più tardi, la lettera era scomparsa. Si rigirò verso di loro, “Non dovremo aspettare a lungo. Siete sicuri che non vi possa offrire del tè?”

“No, grazie,” ripetè Hermione. “Chi sarà lì ad aspettarla?”

“Mi andrebbe una tazza,” disse Sirius, appoggiandosi allo schienale. Avendo compiuto il suo dovere, poteva ora rilassarsi.

“Un amico,” disse Silente senza dilungarsi, agitando la sua bacchetta per far apparire un servizio da tè completo sul tavolo. “Serviti pure.”

Le fiamme verdi eruppero ancora una volta, facendo volare cenere e la busta nella stanza.

Silente la prese al volo, con la stessa mano che aveva usato per evocare il tè e indicare le proposte. Hermione realizzò la stranezza del suo improvviso favoreggiamento verso una singola mano rispetto all’altra, lasciata nascosta nelle falde della sua veste. Silente era, generalmente, un uomo di grande manualità; non riusciva a trovare un motivo per il quale avrebbe dovuto tenere nascosta la sua mano dominante.

Le sue osservazioni vennero interrotte dal Preside, che le porse la lettera. “Signorina Granger, credo che questo sia per lei.”

Hermione prese la busta e l’aprì. Il foglio all’interno non appariva più personale dell’ultimo, tutto regolare con spazi vuoti riempiti dai loro nomi, date di nascita e stato sanguigno. Lo rilesse due volte. “Devo solo firmarlo?”

“Si. Non si può dire che il Ministero non sia efficiente,” sorrise il Preside, aggiungendo dello zucchero al suo tè. “Nei campi di minore importanza, almeno.”

Prese una piuma dal tavolo e firmò sulla linea indicata, restituendo a Silente il modulo per ricevere la sua approvazione. Sembrava uno strano esame: c’era solo una domanda, e nessuna risposta giusta, ma l’avrebbe comunque perseguitata come nessun esame avrebbe mai potuto.

“Andrà benissimo,” disse l’anziano uomo.

La lettera, come quella precedente, fu spedita via Metropolvere. I minuti passarono, lasciandoli ad aspettare la conferma ufficiale. Sirius e Silente non sembravano minimamente disturbati dalla lunga attesa, entrambi felici del loro tè e del silenzio; parevano essere estremamente fiduciosi nella persona che avrebbe dovuto autorizzare il fidanzamento.

Le fiamme cambiarono colori un’ultima volta, e una pergamena fece ritorno. Questa, diversamente dalle altre lettere, era stata scritta con una grafia svolazzante.

“In data odierna, il 19 Settembre 1996, il Ministero della Magia con la presente riconosce l’approvazione della proposta di matrimonio a Hermione Jean Granger da parte di Sirius Orion Black.’ Firma ufficiale e blah blah blah,” lesse Sirius. “Bene, non c’è via di fuga, ora; sei bloccata con me.”

“Credo che sia il contrario,” commentò Hermione.

“Un simbolo dell’impegno imminente potrebbe essere appropriato,” suggerì Albus.

Hermione non riusciva a capire di cosa stesse parlando l’uomo. Sirius, però, sorrise, cacciando la mano nella tasca della giacca. “Non rimarrai delusa. Ti ho promesso l’anello più ostentativo che potessi trovare…” tirò fuori la scatolina, guardando da questa a lei e viceversa. Dopo una pausa, le prese la mano e la fece alzare.

“Cosa stai combinando?” Domandò.

“Potrò farlo una sola volta. Tanto vale farlo bene,” disse. Si accigliò, non capendo quello che stesse dicendo finché lui non si inginocchiò.

Venne presa dal panico alla vista di lui in una posa così formale; la sua mente scattò al ricordo del pomeriggio ad Oxford dove aveva reso chiari i suoi programmi per essere un bravo marito. Quello era risultato piuttosto strano, ma vederlo fare la proposta nel modo corretto era troppo, rendeva tutto troppo reale. “Questo non è affatto necessario,” protestò. “Alzati, non devi farlo.” Gli afferrò il braccio e tirò, cercando di farlo alzare.

“Taci,” disse, levandole le mani.

Si accigliò. “Non dovresti dire ‘taci’ alla ragazza a cui stai facendo la proposta di matrimonio.”

“Devo se la ragazza sei tu,” ghignò. “Hermione, vuoi sposarmi?”

Riuscì solo a fissarlo, troppo attonita per credere che quella fosse la sua vita.

“Prenderò quel silenzio impaurito per un ‘si’,” disse, infilandole l’anello.

Il metallo freddo sul dito era una prova abbastanza tangibile che quella fosse la realtà e non un sogno estremamente bizzarro. Si guardò le mani, piccole e sporche d’inchiostro come al solito, notando l’aggiunta di un rubino gigantesco, così grande che copriva la quasi interezza della prima falange del dito. Avrebbe potuto pensare che la singola pietra color sangue sarebbe stata sufficiente, ma apparentemente il gioielliere aveva creduto diversamente, e aveva perciò aggiunto qualche diamante per buona misura.

“Wow,” disse piano. “Questo è veramente ostentativo.”

“Sirius Black mantiene sempre le sue promesse,” le sorrise fieramente.

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Capitolo 8
*** Pene d'amore ***


Hermione cacciò la mano nella tasca mentre camminava per andare a fare colazione, decisa a nascondere alla vista di chiunque il dannato anello. Quello era il nome che gli aveva affibbiato nelle poche ore che era stata costretta ad indossarlo, Il Dannato Anello; un titolo piuttosto adeguato, dato che era per colpa della Dannata Legge che gliel’aveva messo al dito. Se avesse potuto se lo sarebbe tolto, ma il dannato coso era bloccato. Non importava quanto ci avesse provato, il Dannato Anello non si era mosso. Non era successo niente quando Sirius gliel’aveva infilato qualche ora prima, quindi non riusciva a capire perché adesso fosse così dolorosamente stretto sulla sua nocca. Era estremamente scomodo.

Cercò di imburrare il suo toast usando solo ma mano destra, ma il pane scivolò sul piatto, irritandola ulteriormente. Con uno sbuffo infastidito, tirò fuori la bacchetta rassegnandosi ad usare la magia per prepararsi la colazione.

Harry alzò gli occhi al cielo. “Oh, falla finita. Prima o poi lo vedranno, tanto,” le disse, pescandole la mano da dove la stava nascondendo. Strabuzzò gli occhi alla vista dell’anello di fidanzamento. “Questo affare è enorme.”

“E’ imbarazzante,” sibilò, nascondendo di nuovo la mano nella veste.

“Quanto ci avrà speso?”

“Non ne ho idea, ma sicuramente più del dovuto,” disse. “Tutto quel che fa è più del dovuto. Ti ho detto dei libri, vero? E di ieri notte?”

“Si,” annuì pensieroso. “Dubito che Fred avrebbe passato tutte queste rogne.”

“Non voglio essere una rogna,” insistette lei.

“Troppo tardi,” ghignò Ron.

Lo guardò torva, accasciandosi sulla panca, mangiando la sua colazione più compostamente che potè con una mano sola e lo stomaco sottosopra. “Andiamo,” ordinò appena finì di spiluccare il suo toast, borbottando per tutta la strana fino all’aula, prendendo un posto sul lato sinistro della stanza, mezzo in ombra, dove nessuno avrebbe potuto vedere il Dannato Anello anche se avesse tirato la mano fuori dalla tasca, cosa che non aveva comunque intenzione di fare.

Trasfigurazione procedette abbastanza bene, tutti erano occupati da quel che stavano facendo per poter notare il fatto che Hermione si fosse spostata dal suo solito posto al centro della prima fila, e che stesse accuratamente tenendo una mano seppellita nella tasca, non che qualcuno del loro anno facesse mai attenzione a lei. In ogni caso, la ragazza era piuttosto contenta che nessuno avesse realizzato la bizzarria del suo comportamento, e credette, per un breve istante, che sarebbe riuscita ad arrivare alla fine della giornata con il suo segreto intatto.

Credeva male.

Il suo lemure, un bell’esemplare maschio dal pelo bianco candido e dei distintivi cerchi neri sulla coda, prese il gusto per la sua bacchetta. Mentre gliela stava agitando davanti per ritrasformarlo nella vecchia copia della Dodicesima Notte di Sheakspeare che le aveva dato la McGranitt all’inizio della lezione, questi l’afferrò. Le sue agili zampetta riuscirono a strappargliela dalle mani e scappare sotto il banco di Harry.

“Torna qui!” Urlò, rincorrendo il lemure, buttandosi sotto al tavolo e facendoselo sfuggire per un soffio. Maledendolo, inseguì la coda cerchiata intorno alla stanza, riuscendo finalmente a fermarlo sul ripiano più alto di una libreria vicino alla cattedra della McGranitt.

“Signorina Granger,” la riprese la professoressa. “Ritorni al suo posto.”

“Ma la mia bacchetta, professoressa. Il mio voto!” Replicò, cercando di afferrare con entrambe le mani. Il lemure rimase giusto fuori portata in cima alla libreria.

“Ha completato la consegna,” la informò la donna. “Cosa fa la creatura dopo che l’ha creata non ha conseguenze sul suo voto. Ritorni al suo posto e le restituirò la bacchetta.”

Hermione si buttò sulla sedia, incrociando le braccia e borbottando qualcosa sui primati poco cooperativi, mentre il resto della classe sussurrava alle sue spalle. La donna lanciò uno sguardo severo, facendo tornare tutti a lavorare senza dover dire una parola. La ragazzo passò il resto della lezione ad esercitarsi sugli incantesimi non verbali, cercando di spostare la sua piuma da un lato all’altro del banco. Fu tempo sprecato.

Uscendo dalla classe, agitata dalla sua incapacità di muovere la piuma anche di un solo millimetro, Hermione si trovò la strada bloccata da un solido muro di studenti. Grifondoro e Serpeverde stavano gli uni affianco agli altro, tutti troppo concentrati sulla riccia Prefetto per curarsi di notare chi fosse al suo fianco. Dalla cortina intimidatoria avanzarono Pansy e Lavanda, con un’espressione così intensa da far arretrare la ragazza.

“Cos’è quello?” Domandò Lavanda.

“Cosa?” Hermione abbassò lo sguardo sulla sua veste, preoccupata di aver accidentalmente preso loro qualcosa.

Quello,” disse la Grifondoro, indicando la mano esposta di Hermione.

Sobbalzò, nascondendo la mano dietro la schiena, senza accorgersi della presenza di Calì. La ragazza le afferrò la mano, mettendola alla vista di tutti.

“Quello assomiglia ad un anello di fidanzamento,” dichiarò Calì ad alta voce.

Millicent sbuffò. “Fesserie,” insistette la ragazza. “Quale purosangue potrebbe voler sposare una così?”

“Uno niente male,” sbottò Ron, tirando via Calì dall’amica e ponendosi come una guardia davanti a lei. “Sparite, tutti quanti.”

“Chi è allora?” Domandò Pansy. “Se non te lo stai inventando, allora dicci il nome.”

“Cosa importa?” Chiese Harry. “Non lo conosci.”

“Beh, non ne sono sicuro,” disse Ron. “E’ apparso spesso sui giornali. E la sua famiglia è parecchio antica e ben connessa… potrebbero conoscerlo, magari essere anche imparentati.”

“Oh, smettila,” derise la ragazza. “Quante idiozie.” Girò i tacchi e se ne andò, seguita dalla maggioranza del gruppo quando questi realizzarono che Ron ed Harry non sarebbero andati via e che Hermione non avrebbe rivelato il nome del suo fidanzato.

Quando solo i loro amici rimasero, Lavanda si avvicinò e le prese nuovamente la mano. “E’ un anello meraviglioso. Chiunque esso sia, deve amarti davvero.”

Hermione liberò la mano, e corse più veloce che potè al bagno, non curandosi che fosse quello al secondo piano che le ragazze evitavano per un buon motivo. Si sciacquò il viso con dell’acqua fresca per calmare il rossore sulle guance.

“Si dice in giro,” uggiolò la voce incrinata di Mirtilla, “che sei fidanzata.”

“Per una volta, le voci sono vere,” disse.

Mirtilla fluttuò più vicina, facendo tremare la ragazza per l’aria fredda che emanava il suo corpo spettrale.

Esaminò la mano di Hermione proprio come avevano fatto tutti i suoi compagni vivi, incredula, e quasi sospettosa. La cosa stava iniziando ad urtarle i nervi; cosa, esattamente, c’era di così incredibile in un uomo che la corteggiava?

“Quindi quale idiota sei riuscita a Confondere per farlo proporre?” La raggiunse la voce strascicata di Malfoy, echeggiante tra i muri umidi del bagno.

“Un ragazzo!” Gridò Mirtilla, tuffandosi nel suo gabinetto. “Un ragazzo del bagno delle femmine!”

Ignorando la sezione immatura di Mirtilla, Hermione squadrò l’intrusero. “Diversamente da altre persone, non ho il bisogno di usare soldi o magia per conquistare qualcosa, Malfoy.” Ricordava di avergli detto qualcosa di simile al secondo anno, e ricordava di aver visto il suo sorriso compiaciuto sparire; si era voltato ad insultarla. Sgomenta come lo era stata a quell’epoca, una piccola parte di lei aveva goduto per aver colpito così bene nel segno. Quel giorno era diverso. Il suo sorriso borioso non aveva vacillato alle sue parole.

“No, non ne hai bisogno,” concordò, il tono secco in contrasto con il suo sorriso sicuro. “Alcune persone hanno semplicemente carisma, per quanto non se lo meritino, e il resto di noi devono lottare per il riconoscimento che ci rimane.”

“Che problemi hai, Malfoy?” Arretrò, più spaventata dalla confessione che dalla sua vicinanza. “Perché dovrebbe importarti chi ho scelto di sposare?” Sapeva, infondo, il perché. Voldemort la voleva nel suo controllo per indebolire Harry e punirla, per farla esempio a tutti i Nati Babbani parvenu, ma, nello specifico, non capiva perché Malfoy avesse alcun interesse in lei.

 

I suoi occhi lampeggiarono, e il suo sorriso finalmente scomparve. “Lo sai cos’è successo a mio padre, Granger? Cosa ci avete fatto tu e Potter? Mio padre è ad Azkaban per colpa tua. Ed ora lui sta punendo noi per quel che tu hai fatto.” Si avvicinò, costringendola ad allontanarsi ulteriormente dalla porta. “Volevo riconquistare la sua fiducia con te. Se ti avessi consegnata a lui, sarebbe stato tutto perdonato.”

“Molto spiacente di aver trovato una persona che voglio sposare, Malfoy,” replicò con un coraggio che non provava. Malfoy era chiaramente disperato; i codardi disperati utilizzavano ogni mezzo per avere ciò che volevano.

E lo fece.

Un’ondata invisibile di magia le si scaricò addosso, scaraventandola sul muro. Boccheggiò, senza aria nei polmoni come se le avessero tirato un pugno nello stomaco. Anche con la bacchetta salda nella mano, non riusciva a raccogliere abbastanza ossigeno da formulare un incantesimo difensivo. Malfoy agitò la bacchetta una seconda volta, spendendo la sua ultima speranza dall’altra parte della stanza, lasciandola tossente e lottante. Tirò fuori dalla tasca una fiala e le cacciò in gola il contenuto, che, nonostante l’avesse sputato, le fece girare la testa quasi subito.

“Granger,”  scattò Malfoy, attirando su di sé il suo sguardo ammaliato. Era molto bello, i suoi capelli quasi bianchi formavano un’aureola grazie alla luce delle lampade, facendolo sembrare un angelo, la luce calda delle fiamme ad aggiungere colore alle sua guance pallide.

Le sorrise. “Mi ami?”
Lei annuì con veemenza.

“Butterai quell’anello per sposare me?”

“Ovviamente,” disse senza fiato, i suoi polmoni ancora in cerca dell’aria persa. Con la promessa di un marito che amava veramente, afferrò emozionata l’anello, ma questi si rifiutò di venir via dal dito.

“Dammi qua,” domandò Malfoy, avvicinandosi.

Stando così vicini riuscì ad annusare la sua colonia; sapeva di erba appena tagliata e pergamena nuova, di libri, vecchi libri in pelle e di altri appena stampati come quelli che aveva ricevuto come regalo di fidanzamento, come un odore di agrume dolciastro che non riusciva bene a classificare. “Hai un profumo fantastico,” disse sognante.

Malfoy sbuffò, prendendole il polso, in una morsa così stretta che sentiva la pelle bruciare. Afferrò l’anello, tirando l’anello così forte che le ruppe il dito. Entrambi gridarono.

“Qual è il problema?” Chiese. Gli toccò dolcemente il viso, concentrata solo sulla suo benessere che non sulle pulsazioni del suo stesso dito.

“Non toccarmi!” La spinse via, ansimante dal dolore provocato per averle toccato le spalle.

Hermione gli guardò le mani. Calde e rosse vesciche si stavano formando sui suoi palmi come se avesse toccato metallo caldo anziché un freddo rubino.

“Che razza di magia è questa?” Disse il ragazzo a denti stretti, le sue dita bruciate che cercavano inutilmente di piegarsi mentre barcollava via da lei.

“Dove stai andando?” Gli chiese. Lo strinse, abbracciandolo stretto per far andar via il suo dolore e la sua rabbia. Lui si dimenò contro il suo affetto. Anche se ferito era fisicamente più forte di lei; se la tirò via di dosso e scappò dal bagno, lasciandola a piangere per il ragazzo che amava, come se non valesse niente. Il cuore troppo spezzato per vederlo deriderla con cattiveria, rimase semplicemente sul pavimento freddo a piangere.

“I ragazzi sono tremendi,” disse Mirtilla con un po’ troppa gioia nel tono di voce.

Ginny venne a cercarla un po’ dopo, trovandola ancora sul pavimento, ferita e in lacrime. “Hermione, cosa c’è che non va?” Le chiese, abbracciandola e rimettendola in piedi.

“Mi ha lasciata,” mugugnò Hermione, in modo molto simile alla residente spettrale di quel bagno.

“Chi ti ha lasciata?”

“Draco,” disse, non notando lo sguardo stranito dell’amica. La ragazza, avvilita tirò su con il naso, asciugandoselo su una manica, sussultando quando il dito rotto toccò la sua veste. “E’ tutta colpa del Dannato Anello. Il maledetto non veniva via.”

“Andiamo, Hermione,” disse Ginny con gentilezza. “Ti porto in infermeria.”

“Oh,” sorrise vivacemente. “Forse Draco si trova lì.”
“Perchè dovrebbe essere in infermeria?” Investigò Ginny.

“Si è ferito con l’orrendo anello di Sirius.” Sbuffò la ragazza, ricominciando a cercare di toglierselo, senza curarsi che la cosa le stava procurando nauseanti tremiti al braccio. Aveva fatto arrabbiare il suo amore così tanto da farlo scappare; se avesse avuto i suoi coltelli d’argento per pozioni si sarebbe tagliata il dito per rimuovere la dannata cosa da sé.

Ginny le tolse la mano dall’anello e la fece uscire dal bagno, tranquillizzandola con il tono mieloso che Hermione le aveva spesso sentito usare con Dean quand’era geloso. “Lascia perdere per il momento. Sono sicura che Madama Chips conosce un incantesimo che può rimuoverlo. Draco non vorrebbe che ti facessi del male, no? Vorrebbe che avessi le dita intatte per metterci il suo anello. Sono sicura che ne sarebbe molto felice.”

Con la speranza di trovare il ragazzo che amava ad aspettarla e rimuovere l’anello che l’aveva indisposto a quel modo, Hermione corse per la scuola fino all’infermeria. Scoprì, con gran disappunto, che Draco non era lì. Si buttò sul letto vuoto più vicino, desolata, ma senza più lacrime da versare sulla sua disgrazia.

“Qual è il problema, signorina Granger?” Le chiese Madama Chips. La sua bacchetta si illuminò, mentre eseguiva un incantesimo di diagnosi.

“Madama Chips, penso che Malfoy possa averle fatto qualcosa,” disse cautamente Ginny.

“Non parlare di lui in quel modo!” Urlò Hermione. “Lo amo. E’ fantastico e profuma… di tutto ciò che amo.”

“Come l’Amortentia?” Chiese Madama Chips, il tono duro e il viso consapevole. Lanciò un incantesimo per riparare il dito della ragazza mentre attendeva una risposta.

Hermione ripensò agli odori. “Non proprio, no. L’Amortentia non aveva quell’odore di frutta che ha Draco. Amo quell’odore.” Sospirò, riappoggiandosi al letto con il desiderio che lui fosse lì, così che potessero sentire quel favoloso odore di agrumi che le dava alla testa.

“Beva questo, signorina,” Le ordinò la donna, porgendole un calice traboccante di pozione. Hermione lo bevve senza fare domande, tossendo al sapore aspro che ora le ricopriva la lingua.

“Che diavolo era?” Domandò. La sua vista era offuscata dalle lacrime provocate dalla disgustante pozione, e la sua gola bruciava, sospettava dalla bile.

“L’antidoto,” replicò seccamente la strega. “Se fossi in lei sarei più cauta attorno a certi maghi fino al suo matrimonio, signorina Granger. Beva questo, l’aiuterà a riposare, nel frattempo informerò il Preside delle avance del signor Malfoy.”

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Capitolo 9
*** Il Dannato Anello ***


Il litigio raggiunse Hermione prima che questi fosse completamente sveglia, distogliendola dal suo mondo dei sogni, una bellissima, anche se surreale, libreria infinita con un tappeto d’erba appena tagliata e alberi d’arancio decorativi in piena fioritura. La libraria sparì, rimpiazzata dall’oscurità delle sue palpebre; cercò di tornare indietro, senza successo, venendo fermamente trattenuta dalle voci che l’ancoravano nella coscienza.

“Andate via,” mugugnò, schiacciandosi il cuscino sulle orecchie nel tentativo di ovattare le voci.

“Visto cos’avete fatto!” Disse arrabbiata Madama Chips. Hermione sapeva che stava agitando il suo dito accusatorio a chiunque stesse parlando a voce così alta, e ringraziò mentalmente la donna per i suoi sforzi.

“Hermione?” Chiamò Harry.

Sentì il materasso abbassarsi sotto il peso del ragazzo seduto di fianco a lei. “Sai benissimo chi sono. Perché stai urlando in infermeria?”

“E’ solo un dibattito vivace, tesoro.”

Si accigliò da sotto il morbido e sterile cuscino. Harry non l’aveva mai chiamata ‘tesoro’, e la sua voce non era neanche lontanamente così profonda, anche quando parlava piano come stava facendo ora.

“Sirius?” Chiese.

“Certo,” rispose, la voce allegra. La ragazza sbirciò da sotto le coperte, e lo vide in piedi vicino al Professor Silente, Piton e la McGranitt; Harry era sul suo letto; Ron, Ginny, Neville e Luna erano seduti sul letto vicino al suo. Percepiva l’elettricità che scorreva, un tangibile senso d’allerta con cui era familiare dopo tanti incontri dell’Ordine a Grimmauld Place, ma con una punta di paura. Erano preoccupati.

“Cosa sta succedendo?”

“Stanno discutendo della punizione di Malfoy,” la informò Ginny. “Personalmente ho votato per l’espulsione e lo sventramento, ma apparentemente il Professor Piton pensa che sia un po’ dura.”

Nonostante l’umiliazione che aveva provato, e la consapevolezza che Ginny non stava scherzando, Hermione rise. “Mi dispiace d’avervi fatto preoccupare, ma sto bene. Non ha preso l’anello e non lo sposerò.”

“L’ho detto!” Dichiarò trionfante Sirius. “L’idiota ha provato a rubarmi la fidanzata. Ho il diritto di dargli una lezione.”

“Il suddetto ‘idiota’ è sotto la mia responsabilità,” lo fulminò Piton. “Me ne occuperò io, non tu, Black.”

Hermione li guardò bisticciare, affascinata da come Sirius stesse prendendo l’incidente in modo così personale. Se c’era qualcuno che aveva il diritto di essere arrabbiato come lo sembrava essere, quel qualcuno era lei; se non avesse saputo, guardando la sua reazione avrebbe potuto pensare che fosse Sirius quello ad esser stato aggredito e umiliato. Sembrava livido dal fatto che Piton gli stesse negando la possibilità di vendicarsi; distolse lo sguardo prima di poter pensare troppo a fondo su cosa avrebbe potuto fare a Malfoy, guardando i suoi amici. “Perché siete tutti qui?”

“Siamo di guardia ai Perspanteri,” disse Luna gravemente. “Sono creature molto pericolose.”

“E aspettavamo che ti svegliassi per avere una copia del tuo orario di domani,” aggiunse Ron.

Aggrottò la fronte. “Conosci il mio orario, Ron.”

“No, intendiamo dire un programma dettagliato,” insistette Ginny. “Al minuto, tutto pianificato e organizzato in colori come fai sempre. Non ti lasceremo sola per un secondo se questo è il tipo di gioco che quei bastardi stanno giocando.”

“Linguaggio, Signorina Weasley!” La riprese la McGranitt dall’altra parte della stanza.

“Mi scusi, professoressa.” Replicò istintivamente.

“E’ solo un giorno,” insistette Hermione. “Posso cavarmela per un giorno.”

I suoi amici la guardarono male. L’idea che avesse bisogno di protezione la metteva a disagio; era la strega più brillante della sua età, capace di usare incantesimi che nessuno dei suoi compagni aveva neanche mai sentito. Perché aveva bisogno di protezione? Era un insulto. Le sue proteste finirono con altre occhiatacce; loro, i membri dell’Esercito di Silente che si erano scontrati con i Mangiamorte qualche mese prima, non si sarebbero tirati indietro di fronte a un loro stesso membro e lo sapeva. “D’accordo,” sospirò a malincuore, ricambiando i loro sguardi con altrettanta intensità. “Datemi pergamena e una piuma.”

Luna le passò gli oggetti richiesti, e tutti aspettarono impazientemente che compilasse la tabella. Gliela restituì, e iniziarono a controllarla per mettersi d’accordo sui cambi di turni o per avere sempre una ragazza a portata di mano che la potesse accompagnare al bagno.

“Abbiamo lezione, ma torneremo per portarti a cena,” disse deciso Harry. “Non pensare neanche di andartene senza di noi.” Grugnì la risposta, annuendo l’approvazione alla sua (riluttante) sottomissione.

Lasciata sola senza nessun altro oltre ai professori e Madama Chips, Hermione iniziò ad ascoltare il ‘dibattito vivace’. Guardare Sirius e i professori discutere non aiutava a migliorarle l’umore che stava via via peggiorando, ricordandole quanto poco controllo le era rimasto sulla sua stessa vita. Si ributtò sul letto, fulminandoli, cercando di esprimere attraverso espressione e postura ciò che non poteva fare a parole. Non funzionò, e loro continuarono a parlare di lei come se non fosse nella stanza.

La Professoressa McGranitt andò via per fare lezione, seguita da Piton, lasciando solo Silente e Sirius a discutere su che altri incantesimi avrebbero potuto proteggerla.

‘Odio Voldemort’ pensò per probabilmente la centesima volta da Luglio e dalla promulgazione della Dannata Legge.

“Bene, signorina Granger,” disse allegramente Silente. “Sembra che ci sia abbastanza protezione in atto. Ad ogni modo, chiederò ai ritratti di tenerla d’occhio per il resto della settimana.”

“Si, Professore,” rispose debolmente.

Sirius si appoggiò al letto a fianco al suo, le mani dietro la testa e caviglie incrociate, sembrando più a suo agio di quanto non avesse il diritto di essere. “Ti offrirei un brandy per far passare il resto del pomeriggio, ma Silente non me ne ha lasciato portare neanche un po’,” sospirò, facendola sorridere nonostante l’irritazione fosse ancora pulsante nelle sua tempie.

“Senza offesa, Sirius,” disse. “Ma perché sei qui?”

“Quell’idiota ha aggredito la mia fidanzata. Ho tutto il diritto di essere qua,” disse con un tono adatto ad un ragazzino.

“Ti hanno chiamato perché mi ha fatto bere dell’Amortentia e rotto un dito?” Chiese, scettica. La sua presenza sembrava completamente ingiustificata dato il danno di scarsa gravità. In realtà era più mortificata che ferita, il che difficilmente dava un senso alla sua presenza.

“No, non si sono neanche presi la briga di dirmelo,” ammise.

“Allora come hai fatto a sapere—“ si fermò, ripensando all’orrendo incontro nel bagno, l’urlo di dolore di Malfoy e le brutte vesciche che gli erano apparse sui palmi dopo che le aveva afferrato l’anello di fidanzamento. “L’anello! Cosa ci hai fatto?” Se lo avvicinò al viso, studiando ogni sfaccettatura del rubino e dei diamanti. Non sembrava avere nulla di strano, ma se era stato comprato a Diagon Alley tutto era possibile.

“Non ho fatto niente,” replicò, suonando abbastanza insultato dalla sua accusa, ma aggiungendo piano, dopo una pausa, “non ne ho avuto il bisogno.”

“Perché no? Che cos’è?” Domandò lei. “Perché non viene via? Come ha fatto ad ustionare Malfoy quando l’ha toccato?”

“Magia,” disse Sirius in modo vago.

Assottigliò gli occhi, stringendo minacciosamente la bacchetta.

“D’accordo. E’ un anello di fattura Folletta. Hanno intriso l’oro con degli incantesimi di fedeltà così che non possa essere rimosso una volta che la proposta è stata accettata.”

Avrebbe voluto avere qualcosa da tirargli dietro. Come osava fare supposizioni simili! Era già abbastanza brutto doversi sposare con qualcuno che non amava, ma averlo fare presunzioni sul suo comportamento era inaccettabile. Non era lei a fare commenti sornioni sul dormire con le persone. Se c’era qualcuno che meritava incantesimi simili, quello era Sirius. Furiosa, lo guardò negli occhi. “Cosa?”

Hai diciassette anni da neanche un giorno e già ti trovi ventitré proposte di matrimonio sulla scrivania di Silente e un dannato Malfoy che cerca di strappare quel coso dal tuo dito rotto,” replicò freddamente. “Penso di aver fatto una saggia mossa sotto quell’aspetto in particolare.”

Ancora una volta le venne ricordato che Sirius sarebbe riuscito a vincere ogni discussione; era esasperante. Non la lasciava neanche essere indignata. Incrociò le braccia, rifiutandosi di ammettere che avesse ragione. “Come ha fatto a scottarlo?”

Lui ghignò. “Che tipo di pietra è?”

“Un rubino,” si incupì, infastidita dal fatto che stesse cambiando discorso.

“Sbagliato. E’ un Diamante di Sangue.”

“Quello è come i Babbani chiamano i diamanti estratti in zone di guerra tramite lavori forzati,” disse.

“E’ anche come i maghi chiamano i diamanti fatti col sangue,” contestò lui.

Riguardò l’anello. La pietra rossa brillava ancora come avrebbe fatto qualunque rubino. Densa com’era, trovava difficile credere che fosse fatta di sangue, ma Sirius non le aveva mai mentito. Le si arricciò il naso, “Ew.”

“E’ magia antica,” continuò, sorridendo alla sua reazione infantile. “Come quella che Lily ha usato per tenere in vita Harry.”

“Magia del Sangue?” Staccò lo sguardo dalla pietra per guardarlo. Secondo un libro che aveva letto, la magia del sangue era la più antica conosciuta. Gli incantesimi legati al sangue erano alcuni tra i più potenti, anche se spesso tra i più difficili a causa della selettività di esso, specifico ad una sola persona. Se Voldemort avesse usato il sangue di un altro ragazzo per riacquisire il suo corpo, sarebbe stato ancora vulnerabile alla magia che scorreva nelle vene di Harry. Saperlo non l’aiutava a comprendere perché l’anello avesse bruciato Malfoy; doveva essere di una persona speciale per aver causato una reazione simile.

“Di chi è il sangue?” chiese.

Sorrise. “Mio.”

Sbatté le palpebre diverse volte; se non fosse stato per la curva all’ingiù delle sue labbra, sarebbe potuto sembrare che lo stesse facendo per lui. “Tuo?”

Annuì.

Le ricaddero gli occhi sull’anello. Il sangue di Sirius era sul suo dito, solidificato, tagliato e lucidato fino a rivaleggiare i diamanti vicino in bellezza e lustro, ma era comunque sangue. “Sto cercando di non dire ‘ew’ di nuovo.”

La sua risata canina riempì la stanza. “Può schifarti quanto vuoi, ma resterà proprio dov’è,” le disse. “Saprò quando un altro uomo - o, in questo caso, idiota - ti toccherà troppo a lungo. Se chiunque prova a rimuoverlo, lo sentirò come fuoco nel mio sangue.”

“Malfoy è stato scottato quando ha provato a toccare l’anello e me,” disse Hermione, fissando ancora la rossa pietra magica. Enorme ed intimidatorio com’era, l’onestamente denominato Dannato Anello stava diventando qualcosa di molto interessante. C’erano così tante cose su cui voleva informarsi, forme di magia che non conosceva e che desiderava studiare.

“Incantesimo di fedeltà più magia del sangue equivalgono a brutte notizie per qualunque uomo che non sia io,” la informò con un ghignò soddisfatto all’angolo della bocca. “Come ho detto, sei bloccata con me.”

“Oh. Mio. DIO!” Riempì la stanza uno strillo.

Sirius fu in piedi istantaneamente, la bacchetta sguainata verso l’intruso.

“Mettila giù,” disse velocemente Hermione, cercando di uscire dalla massa di coperte con cui l’aveva ricoperta Madama Chips mentre dormiva. “E’ solo Lavanda.”

La ragazza cacciò un urletto, puntando un dito eccitato verso i due. “Dimmi che ho veramente appena sentito quel che penso di aver sentito. Hai sul serio detto ‘sei bloccata con me’? Come se fossi il suo fidanzato?”

“E se l’avessi fatto?” Chiese.

“Beh, sei Sirius Black, giusto?” Osò, saltellando dall’emozione ma troppo nervosa per avvicinarsi. “Sei così diverso dal tuo manifesto da ‘Ricercato’.”

“Due anni ed un nome pulito hanno quest’effetto,” replicò, rigirandosi la bacchetta tra le mani, chiaramente incerto su cosa fare della ragazza sovreccitata.

“Lavanda, perché sei qui?” Intervenne Hermione prima che la ragazza avesse l’opportunità di chiedere qualcos’altro.

“Hm?” Distolse lo sguardo da Sirius, osservando le guance rosse di Hermione e il suo nervoso mordersi il labbro. “C’è stato un qualche incidente tra quelli del terzo anno che facevano pozioni avanzate in segreto o qualcosa del genere. Un casino. Abbiamo bisogno di Madama Chips.”

“Vado a chiamarla,” si offrì Sirius. Il suo desiderio di evitare la conversazione risultava ovvio ad entrambe le ragazze.

“Quindi… è lui?” Ghignò Lavanda, sedendosi al posto di Sirius, buttandosi così vicino al bordo che Hermione fu sorpresa da non vederla cascare sul pavimento. Gli occhi della ragazza rimasero fissati sul volto di Hermione con un’intensità che non avevano mai avuto finora. Era inquietante a dir poco. “E’ lui!” Quasi gridò Lavanda. “E’ il lui! Oddio! E’ stupendo! E così spaventoso! Sono praticamente svenuta quando si è alzato in quel modo così protettivo. Sei così fortunata!”

“Taci,” grugnì Sirius dalla porta, intimidatorio in un modo che Hermione non aveva mai sentito. Ebbe certamente effetto su Lavanda; la ragazza si cucì la bocca immediatamente.

“Poppy sta arrivando,” disse. “Ora vattene.”

La ragazza si affrettò ad uscire, fermandosi all’entrata per dare un’occhiata da dietro e fare a Hermione un silenzioso cenno d’apprezzamento prima di correre in aula.

“E’ fastidiosa,” disse recisamente Sirius. “Sono felice che tu non sia come lei.”

“Se lo fossi non dovresti preoccuparti di sposarmi. Sarei troppo insulsa per essere coinvolta o per essere di qualunque interesse per Voldemort,” replicò pesantemente. Quello era stato uno dei primi pensieri che aveva fatto a Luglio, dopo che la rabbia se n’era andata e la speranza negata.

Sirius si lasciò ricadere nel letto, il viso ancora indurito dai suoi stessi pensieri. “Non riesco ad immaginarmelo,” ammise. “E tendo a pensare che sia una buona cosa.”

“Grazie,” gli sorrise. “Questa è la cosa più bella che tu mi abbia mai detto.”

Ghignò. “Ora so come addolcirti. Ricordamelo ancora una volta, esattamente quanto in là mi porterà usare la dolcezza con te?”

“Cretino.”

“Secchiona.”

Un silenzio piacevole calò tra di loro, lasciando ad Hermione il tempo di pensare a quel che le era appena successo, precisamente a come non era riuscita a difendersi. L’aggressione era stata una sorpresa, si, ma se non fosse stata resa inabile dalla sua incapacità di respirare sarebbe tranquillamente riuscita a battere il ragazzo.

“Sei bravo con gli incantesimi non verbali?” Chiede, togliendo Sirius da qualunque pensiero lo stesse impegnando.

“Ovviamente,” venne la sua risposta compiaciuta. “Perché lo chiedi?”

“Beh, nel bagno,” disse lentamente, un po’ preoccupata dal fatto che parlargli dell’incidente potesse farlo arrabbiare, ma necessitando di spiegare così che potesse capire perché volesse imparare, “mi ha tolto il fiato, ma avevo ancora la mia bacchetta. Se avessi potuto usare gli incantesimi non verbali, non sarebbe riuscito ad avvicinarsi.”

Sirius annuì, aspettando che finisse.

“Ma non posso,” ammise. “Ho letto il libro di testo e mi sono esercitata, ma non ci riesco.” Tenne la testa bassa, sicura che stesse ridendo di lei. Una volta l’aveva chiamata la strega più brillante della sua età, ma ora non riusciva ad eseguire uno dei compiti più semplici del livello MAGO. Quel giorno stava diventando sempre più umiliante ad ogni minuto.

“Non è veramente difficile come pensi,” replicò, e lei non mancò di notare l’assenza di scherno nella sua voce. Suonava quasi come Remus mentre spiegava, “Pronunciare un incantesimo è semplicemente la cosa già naturale da fare. Lo diciamo quasi non appena ci attraversa la mente, quindi dimentichiamo la quantità di concentrazione che serve per eseguire la magia.” Fece una pausa, estraendo la sua bacchetta ed agitandola nell’aria, facendo apparire dalla sua punta un fascio di luce colorata. “E’ come reimparare a camminare. Se pensi a tutto ciò che devi muovere è impossibile riuscirci bene, ma una volta che lo fai veramente… è la cosa più semplice del mondo.”

“Ma cosa devo fare?” chiese.

“Chiudi gli occhi,” le ordinò, e così lei fece. “Pensa ad un incantesimo, qualcosa di semplice del primo anno.”

“Okay.”

“Pensa a tutto ciò che ne hai imparato - la pronuncia, i movimenti della bacchetta e la velocità, dov’eri quando sei riuscita ad usarlo, tutto. Visualizza te stessa che reciti l’incanto. Visualizzalo nella mente, le parole sulla tua lingua, le tue labbra che si incurvano sui suoni,” la incalzò, quasi seducente. “Ora afferra la tua bacchetta.”

Le sue dita si avvolsero delicatamente sul legno lucidato, percependo la magia solleticare la sua pelle come non aveva fatto da quando l’aveva scelta. Alzò la bacchetta, agitò e colpì.

Osando aprire gli occhi, fremette alla vista della piuma che aleggiava a qualche centimetro dal letto di fronte a lei. Avesse detto le parole ad alta voce, la piuma sarebbe stata ora sul soffitto. Debole com’era, aveva almeno funzionato abbastanza per stamparle un enorme sorriso sul volto. Ma come un coyote dei cartoni animati che correva oltre a un dirupo senza rendersene conto, la consapevolezza di averla fatta levitare fece ricadere la piuma sul piumone.

Si imbronciò, delusa dal fatto che l’incantesimo fosse finito.

“Questa è la mia ragazza,” disse raggiante Sirius. “Presto mi darai del filo da torcere senza dover dire una parola.”

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Capitolo 10
*** Protezione ***


 

Massaggiandosi il setto nasale, Hermione trasalì per una fitta di mal di testa. Lavanda non aveva perso tempo per divulgare i dettagli sul nome e la sensualità del suo fidanzato, e da quando aveva lasciato l’infermeria per la cena la sera prima era stato un continuo di sussurri e domande. Lei e il suo fidanzamento erano le notizie più interessanti da quando, meno di tre settimane prima, erano iniziate le lezioni.

Alzò lo sguardo e vide una ragazza che la guardava con aspettativa, rendendosi conto che le era stata fatta un’altra domanda. Chi fosse la ragazza e cosa le avesse chiesto, non lo sapeva. Non ascoltava più nessuno.

“Sto cercando di studiare,” rispose Hermione con tutta la cortesia che riuscì a raccogliere. Quello era vero. Aveva trovato un vecchio libro lacero sulla magia del sangue nella biblioteca e lo aveva trovato molto interessante prima che quella ragazza sconosciuta decidesse di iniziare a parlarle.

“Studi sempre,” disse la ragazza. “Fai una pausa.”

“Preferirei di no,” disse, ritornando al suo libro, ignorando ogni altro tentativo di conversazione.

“Hermione!” Disse Harry col tono più alto che osò usare.

“Cosa?” Scattò Hermione. “Sto studiando!”

Il ragazzo fece un passo indietro, stupito dalla violenza della sua reazione. “Ho notato,” disse con voce piatta. “L’ho notato quando mi hai ignorato per l’ultimo quarto d’ora.”

“Quarto d’ora?” Ripetè. “Mi dispiace, non ti ho sentito.”

“Beh, è ora di cena. Ginny ti sta tenendo un posto,” disse.

“Oh, bene,” sospirò.

Sedersi tra Harry e Ron in Sala Grande le provocò una sensazione di sollievo. Nonostante fosse infastidita dall’aver bisogno delle guardie del corpo, apprezzava lo scudo che le stavano facendo i suoi amici contro le continue indagini. Nessuno di loro le aveva posto una singola domanda sul suo imminente matrimonio o sul fidanzato. A Neville e Luna era stata detta la verità sull’accordo e Seamus, sebbene ignaro, era semplicemente poco interessato. Manteneva l’argomento delle conversazioni saldo sul Quidditch, i provini del Quidditch, e sul suo possibile ruolo nella squadra di Quidditch di quest’anno. Se non avesse pensato di poter causare un piccolo scandalo, Hermione l’avrebbe baciato per la sua fissazione.

Mentre i piatti dei dolci svanivano, una pergamena le apparve davanti.

“Silente?” Chiese Harry, guardando da sopra la spalla la familiare grafia sghemba.

“Organizzazione per il viaggio, sicuramente,” concordò, srotolando la pergamena. Lesse velocemente, e si alzò. “Meglio fare i bagagli. Ci aspetta nel suo ufficio tra un’ora.”

“Così presto?”  Si lagnò Ron. Sua sorella lo colpì in testa e seguì Hermione.

Anche se stava partendo solo per un fine settimana, metà del quale l’avrebbe passato in qualunque vestito a balze o vaporoso le avesse scelto Ginny, Hermione era indecisa su cosa mettere in valigia. Una volta messo la cosmesi in borsa, insieme ad un cambio di biancheria, non aveva idea di cos’altro portare. Doveva fare i bagagli aspettandosi di venir soffocata da sua madre o dalla Signora Weasley la mattina del matrimonio? Avrebbe mantenuto le apparenze passando la domenica con Sirius a Grimmauld Place? O Molly avrebbe trovato la situazione indecorosa, trattenendola alla Tana?  La sua scelta di vestiti dipendeva dalla situazione. Finalmente, si decise sul portare cambi per tutte e tre i casi, il che la ritrovò buttata sopra la sua valigia stracolma nella speranza di riuscire a forzare la zip.

“Si vede che sei nervosa,” La derise Ginny dalla porta. “Sei riuscita a dimenticarti di essere una strega.”

“Che?” Arrossì Hermione, realizzando un po’ in ritardo che la magia avrebbe facilmente rimpicciolito le sue cose, rendendo la sua valigia non solo facile da chiudere ma anche molto più leggera.

Qualche incantesimo più tardi la valigia, decisamente meno voluminosa, era a tracolla sulle sue spalle mentre scendeva le scale e attraversava la Sala Comune. I sussurri li accompagnarono all’uscita, come previsto; vedere quattro Grifondoro andarsene da Hogwarts per il fine settimana era decisamente insolito, soprattutto quando uno di loro era Harry Potter e un altra la sua amica recentemente fidanzata con un uomo incredibilmente bello e molto più vecchio.

“Pensi che i pettegolezzi finiranno una volta che mi sarò sposata?” Chiese.

“Ne dubito,” borbottò Ron, guadagnandosi il secondo schiaffo della serata. “Oi! Che c’è? L’ha chiesto!”

“Sei un idiota, Ron,” dichiarò la sorella, andando a capo del quartetto, marciando attraverso i corridoi verso l’ufficio di Silente a passo svelto.

Hermione sapeva che la ragazza era entusiasta del matrimonio. Si era comportata come se la cerimonia in arrivo fosse la cosa più bella che potesse accadere. Non importava che fosse un matrimonio combinato e privo d’amore, che fosse tutto un piano per non far torturare e uccidere Hermione da un marito Mangiamorte; Ginny non aveva mai, neanche una volta, trattato quel matrimonio come qualcosa di diverso da un fantastico avvenimento. Mentre la parata di riviste e campioni di tessuti le urtava i nervi e il testardo rifiuto di guardare in faccia la realtà la intristiva, Hermione era grata che quel matrimonio stesse rendendo felice qualcuno.

Anche se sospettava che la cosa che più piaceva a Ginny fosse la prospettiva di usare Hermione come una bambola vivente da vestire, sistemare e con cui giocare. Rabbrividì all’idea di quale vestito le avesse scelto.

“Avanti,” chiamò la voce del Preside.

Entrarono lentamente nell’ufficiò, non sicuri di cosa aspettarsi. In qualche modo l’idea di guardie del corpo e diversivi era penetrata nel cervello di Hermione, ma quello era probabilmente un risultato del troppo tempo passato a guardare Harry e Ron giocare a scacchi magici davanti al caminetto della Sala Comune. Quel che vedeva era il Preside in piedi da solo, con in mano un paraurti ammaccato e arrugginito di una vecchia automobile. Anche se Hermione era sollevata di non aver dovuto scomodare qualcun altro con quel matrimonio, sentì un vago senso di rabbia pungerle la gola, che dopo tutti quei piani e discussioni e precauzioni e diamanti di sangue non fosse degna di neanche una guardia.

“Non possiamo rischiare di viaggiare via Metropolvere, temo,” disse l’uomo con serietà e risolutezza. Appoggiò il paraurti al pavimento e ci puntò la bacchetta. “Portus!”

“Avvicinatevi,” ordinò. “La passaporta si attiverà a momenti.”

Questi obbedirono immediatamente, incalzati dalla cupa urgenza della sua voce. Prima che avesse anche un secondo per pensare al motivo per cui si stavano affrettando, sentì il familiare strattone all’ombelico e l’ufficio scomparse.

“Merlino, mi stavo preoccupando!” Urlò la Signora Weasley, correndo ad abbracciare i suoi figli.

“Gli altri?” Indagò Silente, con una punta d’allarmismo a coloragli la voce.

“Stanno piazzando delle misure di protezione intorno alla casa,” disse. “Non li ho più sentiti da quando se ne sono andati.”

“Cosa sta succedendo?”  Azzardò a chiedere Harry.

“Nulla di cui preoccuparsi, caro,” assicurò Molly pizzicandogli affettuosamente la guancia. “Andate a sistemarvi nelle vostre stanze. Preparerò del tè fra un momento.” Li sollecitò, correndo a trafficare in cucina.

“Cosa sta succedendo?” Chiese nuovamente.

Silente guardò il ragazzo, senza dubbio ricordando il danni che i suoi segreti avevano quasi provocato solo pochi mesi prima. “La notizia del matrimonio si è diffusa. Sembra che la rete d’informazioni della signorina Brown sia più estesa di quanto sospettassi.”

“Stanno tutti bene?” Chiese Hermione. “I miei genitori?”

“I suoi genitori stanno benissimo, signorina Granger,” disse. “Delle protezioni sono state piazzate nelle ultime settimane come precauzione. Remus e la signorina Tonks le stanno rinforzando con il pretesto di aiutare a preparare la casa per domani.”

“Ma perché sono tutti così in preda al panico?” Domandò Harry.

L’intenzione dell’uomo di dire la verità sembrò vacillare per un momento mentre esaminava i suoi studenti.

“Hanno attaccato Sirius,” disse Hermione. Desiderava poter rivendicare una gran connessione con il suo promesso sposo, ma la sua domanda non era arrivata da qualche legame amoroso. Era semplice logica. Dal momento che il tentativo di costringerla a cambiare fidanzato era fallito, sapeva che Sirius sarebbe stato l’ovvio successivo bersaglio. Rimuovi la competizione ed Hermione non avrebbe avuto altra scelta se non decidere un nuovo marito.

“E’ stato attaccato a Diagon Alley questa mattina,” disse a bassa voce Silente, probabilmente per non farsi sentire da Molly. “Non c’è bisogno di andare nel panico. Le sue ferite non erano gravi, ve l’assicuro.”

“E allora dov’è?” Chiese Harry.

“Si sta riprendendo,” disse con semplicità il Preside.

“Ma—“

“No, Harry,” insistette il Silente, con un tono gentile ma definitivo. “Non abbiamo bisogno di eroi stanotte.”

Harry fulminò tutti e mugugnò, ma non protestò più.

“Ora vi lascio nelle mani capaci della Signora Weasley,” disse, con un audace scintillio di ritorno nei suoi occhi azzurri. “Sono impaziente di vedere tutti voi domani.” Il vecchio paraurti s’illuminò di blu, ritornando ad essere una passaporta. Qualche secondo dopo era sparito, lasciandoli confusi e preoccupati nel salotto della Tana.

“Bene,” disse Ginny tranquillamente, “Se feriscono abbastanza Sirius da spaventarlo, dovrai sposare Fred e allora diventeremo sorelle.”

Hermione rise. Non riuscì a trattenersi.

“Questo non fa assolutamente ridere,” disse cupamente Harry. Se Hermione non fosse stata una ragazza sarebbe stata in serio rischio di venir schiaffeggiata.

Si sentiva in colpa. L’uomo era stato ferito a causa sua. Era anche la speranza migliore per Harry di avere una famiglia normale e che gli volesse bene. Sapeva che non avrebbe dovuto ridere, ma non riusciva a fermarsi.

“Hermione!” Gridò Harry, distendendo il cipiglio al suono della sua prolungata crisi di risatine. La inseguì per le scale, minacciandola di darle un motivo migliore per cui ridere, le sue dita che si allungavano e le solleticavano i fianchi, senza mai fermarsi lì per più di un secondo. La piccola parte del suo cervello che non era impegnata a cercare un modo per contrastare l’attacco di Harry si stava chiedendo se le sue dita si sarebbero scottate se si fossero appoggiate su di lei troppo a lungo. In quel momento, annaspando senza fiato e ridendo a crepapelle, sperava che si ustionasse.

“Ti sta bene!” Dichiarò trionfante Harry, la sua rabbia ormai dimenticata e trasformata in risate.

“Non è modo di trattare la tua futura Madrina, Harry Potter,” ansimò.

“Oh, si invece!”

Strillò mentre lui si lanciava contro di lei una seconda volta. La sua dichiarazione assicurava che nessun ammontare di suppliche o scuse l’avrebbero fermato finché non fosse diventata rossa e singhiozzante dal troppo ridere.

Tè, biscotti, un incantesimo anti singhiozzi e un cambio nel pigiama più tardi, trovava Hermione stesa sul letto, a fissare il soffitto. Sperava che Sirius stesse bene, e desiderava che ci fosse un modo per evitare di ferirlo ulteriormente.

‘Si potrebbe annullare tutto,’ pensò.

Uno sguardo all’orologio le disse che erano le undici, decisamente troppo tardi perché il matrimonio fosse evitato. La sua mente vagò invece sui modi in cui avrebbe potuto evitare a Sirius di venire ucciso. Chiaramente, i Mangiamorte la volevano e avrebbero fatto di tutto per arrivare a lei. Sospettava che non avrebbero avuto compassione per una vedova; avrebbero iniziato a spedirle petizioni, obbligandola a scegliere un muovo marito purosangue prima ancora che il suo corpo diventasse freddo.

Sentì la fitta alle tempie intensificarsi mentre le sue opzioni passavano da poche a nessuna.

La frustrava senza fine; non solo il fatto che la sua mano stesse venendo forzata, ma che Sirius fosse stato lasciato così vulnerabile. Lei era protetta da muri e incantesimi, professori e dipinti, incantesimi di fedeltà e magia del sangue mentre a Sirius era stato lasciata la sua abilità e una bacchetta. Forse se avesse avuto un modo per tenerlo d’occhio allo stesso modo che lui faceva con lei, si sarebbe sentita leggermente meglio a proposito del fidanzamento. Si, lui era un uomo adulto, ma uno con l’abitudine di fare cose piuttosto stupide senza pensarci. La sua impetuosità l’aveva portato a venir falsamente accusato di omicidio. Anche se, doveva ammetterlo, stava maturando su quell’aspetto; non era scappato, a Giugno, mezzo disarmato, senza dire a nessun altro dove stava andando o perché. Il vecchio Sirius, quello che era andato a cercare Peter Minus con intenzioni omicide, non avrebbe detto a Remus o a qualunque altro membro dell’Ordine che stava andando al Ministero a salvare Harry.

Anche con questo nuovo inizio verso la responsabilità, avrebbe preferito sapere subito che era stato attaccato invece di scoprirlo ore dopo quando il suo aiuto era inutile. Dopo il matrimonio, avrebbe iniziato la ricerca per fare un piano vero e proprio. Dopo il matrimonio, l’avrebbe messo al sicuro. Dopo il matrimonio, l’avrebbe reso felice.

“Dopo il matrimonio,” mormorò sonnolente, addormentandosi, l’obbiettivo in mente.

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Capitolo 11
*** Rimbombo ***


“SVEGLIATI!”

Hermione scattò in piedi, bacchetta pronta, gli occhi incrostati dal sonno a scrutare la stanza in cerca di pericoli. Tutto quello che trovarono fu Ginny che saltellava, sguardo brillante, guance rosse e un sorriso così largo da farla sembrare pazza.

“Cosa succede?” Domandò Hermione.

“E’ il giorno del tuo matrimonio!” Annunciò Ginny, attaccando la ragazza con un abbraccio soffocante. “Non sei emozionata?”

“No.”

“Non sei entusiasta?”

“No.”

Il sorriso di Ginny si strinse in una linea sottile e pericolosa. “Hermione Jean Granger, oggi ti sposerai. Non m’importa della sua causa, questo è il giorno più felice della tua maledetta vita e se non farai almeno finta di divertirti, te ne pentirai. La colazione è quasi pronta, quindi vedi di scendere.”

Malgrado l’ora assurda del mattino, il tavolo della cucina era completamente pieno, con Harry, Remus e Tonks seduti ai posti liberi dei fratelli Weasley più grandi.

Ginny gironzolava intorno a sua madre, aiutandola a sistemare la tavola e l’atmosfera. Nonostante l’entusiasmo della ragazza, Hermione riusciva a percepire l’ansia ronzare dietro i sorrisi e le chiacchiere, vederla nella tensione sul viso di Arthur e nelle spalle di Remus, udirla a malapena contenuta nelle battute di Fred e George.

 

Erano preoccupati.

Non poteva essere certa di cosa, esattamente. C’erano così tante cose a cui pensare che le probabilità che tutti si stessero concentrando sulla stessa era improbabile. Da parte sua, Hermione stava lottando per non vomitare; sentiva la gola stringersi e bruciare per la bile che stava risalendo.

“Bevi questo,” disse Remus, porgendole una tazza dall’altro capo del tavolo. Il suo stomaco si rivoltò al pensiero di bere qualche orrenda pozione per calmarle i nervi, ma quando abbassò lo sguardo vide che le aveva dato una semplice e fumante tazza di tè.

“Grazie,” disse, afferrando la calda porcellana con mani tremanti. Il solo tenerla in mano la calmò in parte.

“La colazione sarà pronta fra un momento, cara.” Disse la Signora Weasley

Non ebbe il cuore di dire alla donna che l’idea di mangiare le faceva venire la nausea. Guardandoli tutti riuniti attorno al tavolo, notò che nessuno di loro pareva particolarmente emozionato alla menzione del cibo, ma qualche minuto dopo Molly stava distribuendo piatti di uova e bacon per tutti.

“Che—?” Hermione restò a bocca aperta alla vista del suo piatto; le due fette di pane tostato, solitamente poco appetitosi, avevano un aspetto e un odore paradisiaco.

“Ricordo come mi sentivo il giorno del mio matrimonio,” sorrise Molly, baciando la testa della ragazza. “Mangia quello che riesci. Ce n’è ancora se vuoi.”

 

La donna si sedette al tavolo. “Oh, ricordi il giorno del nostro matrimonio, Arthur?” Sospirò con malinconia. “Ero così emozionata che ho a malapena dormito, ma una volta arrivata la mattina ero terrorizzata. Mia madre venne a svegliarmi e iniziò a farmi la filippica sui doveri e le aspettative. Dopo quella non riuscii più a connettere!”

“Troppo impegnata ad immaginare la notte di nozze?” Ghignò Tonks, alzando ed abbassando le sopracciglia suggestivamente.

“Eugh!” Ron sputò le sue uova, fulminando la giovane donna.

“Come avrei potuto?” Rise Molly, ignorando la reazione del figlio. “Oh, vorrei che avessi visto Arthur nel suo abito da cerimonia. Non ho mai visto nessuno così bello.” Ridacchiò come una ragazzina.

“Mamma! Non vogliamo sentire queste cose!” Protestò Ron, non venendo sentito da sotto gli incoraggiamenti di Tonks.

Arrossendo, si abbandonò ai ricordi per il resto della colazione, con grande disgusto di Ron e la gioia di Hermione.

Hermione si stava divertendo così tanto ad ascoltare la Signora Weasley che si dimenticò perché avevano cominciato a parlare di matrimoni. Quando Remus si alzò, le ricascò tutto addosso; la paura e il risentimento e il panico ritornarono nel momento in cui appoggiò le mani al tavolo e spinse indietro la sedia. Poi parlò e la cosa peggiorò solamente.

“Sarà meglio che vada ad assicurarmi che Sirius sia presentabile.”

Non c’era nulla di intrinsecamente negativo in quel che aveva detto; lo sapeva, davvero, ma una paura lacerante la invase mentre la sua mente balzava immediatamente all’attacco del giorno prima. Non aveva idea di quanto gravemente fosse stato ferito e le parole di Remus le facevano credere che forse fosse in uno stato peggiore di quanto Silente non avesse lasciato intendere. E mentre loro erano riuniti attorno al caldo ed accogliente tavolo degli Weasley, Sirius era tutto solo e dolorante.

“Voi ragazzi andate avanti,” disse la Signora Wesley, abbracciando ognuno dei suoi figli ed Harry come se fossero soldati in partenza per una battaglia già persa. Hermione sperava davvero che l’atmosfera lugubre fosse solo una sua immaginazione.

“Su, ragazze,” disse la donna indicando la porta. “La Signora Granger ci aspetta fra quarantacinque minuti e solo Ninfadora è pronta!”

Con più energia di quanto sembrasse possibile, Ginny afferrò Hermione per il braccio e corse su per le scale, trascinandosela dietro. “Lavati per prima,” insistette, spingendo la sposa nel bagno.

L’acqua calda le sciolse la tensione nei muscoli, ma non aiutò il dolore che persisteva nelle sue tempie. Avrebbe potuto stare tutta la mattina sotto il getto dell’acqua calda e rigenerante. Era lì da così tanto tempo che si chiese se non fosse già in ritardo e perché nessuno l’avesse ancora chiamata; non appena il pensiero le attraversò la mente, Ginny iniziò a battere sulla porta come se fosse un tamburo, ad un ritmo duro e veloce che le riempì le orecchie nonostante il sibilo del vecchio soffione echeggiasse e riecheggiasse nella stanza piastrellata.

Il rumore rimbombante prese il sopravvento, e le risuonò nelle orecchie mentre usciva dal bagno, mentre si vestiva, mentre premeva il palmo sullo stivale Wellington, mentre abbracciava i suoi genitori.

Il rimbombo stette con lei tutta la mattina, offuscandole i pensieri. Si sedette in stato di trance, mentre sua madre le sistemava i capelli e Ginny il trucco e il vestito. Le martellava nelle orecchie e batteva dentro al suo cranio mentre scendeva i gradini ed entrava nel giardino sul retro. Non riusciva a sentire la musica oltre quel rimbombo. Pestava nel suo cervello e le oscurava i volti seduti. Mentre camminava, i suoi piedi che si muovevano meccanicamente sulla navata verso Sirius, il rumore diventò più forte. Se l’avesse lasciata in pace avrebbe potuto giudicare quanto fosse ferito, ma continuò a diventare sempre più forte ad ogni passo. All’aumento della velocità del battiti, realizzò finalmente cosa fosse, perché era impossibile che fosse ancora il rumore di Ginny che bussava sulla porta del bagno. Era lei. Il suo cuore batteva forte, freneticamente nel suo petto come se fosse andato abbastanza veloce si sarebbe potuto liberare dalla gabbia delle sue costole. Saperlo non l’aiutò a calmare il martellio, e l’intensità continuò ad accrescere fino a quando i suoi piedi non si fermarono davanti al pastore, un uomo che rammentava vagamente dalla sua infanzia. Mentre questi, Vicario Martin se ben ricordava, iniziò a dare il benvenuto al gruppo eterogeneo di invitati, il silenzio prese posto nelle sue orecchie e nella sua testa. Dubitava che un uomo che conosceva a malapena, anche se un uomo di chiesa, avrebbe potuto calmare il ritmo incontrollabile del suo cuore con la sua mera voce e presenza, ed aveva ragione.

Il rimbombo non si era fermato con l’iniziare della predica sul significato del matrimonio, ma con la mano di Sirius fermamente aggrappata alla sua.

Era stato Sirius.

Lo guardò, aspettandosi di vederlo esternare un po’ di trepidazione o disagio nei confronti della loro involontaria unione. Invece lo vide ghignare verso di lei.

Ghignare ad un matrimonio.

Ghignare al loro matrimonio!

Con che faccia tosta!

“Cosa c’è?” Chiese con voce bassa ma inflessibile.

Lui si sporse, il ghigno ancora ben saldo, e rispose con un basso sussurro. “Quello ha l’aria di essere un corpetto.”

“Questo è completamente fuori luogo,” sibilò.

Lui sorrise semplicemente. “Non sono io ad indossare un corpetto. Dal taglio basso, anche. Vedo benissimo fin giù a Cornwall da quassù, sai.”

Il Vicario Martin si schiarì la gola, riattirando la loro attenzione verso la cerimonia. “Non appena siete pronti.”
“Ci scusi, Vicario,” Hermione abbassò il capo, realizzando che Sirius aveva ragione. Non solo indossava un corpetto, era anche così stretto e basso che la imbarazzava avercelo addosso. Era completamente inappropriato per un matrimonio. I suoi nonni erano lì e Ginny le aveva fatto mettere questo? A cosa stava pensando quando le aveva lasciato scegliere il vestito senza pretendere di approvarlo?

“Sirius Orion Black,” disse il Vicario Martin, alzando il tono della voce per pronunciare le promesse, “ripeti dopo di me:

“Dichiaro solennemente,”

Sirius disse le parole, senza in qualche modo suonare come se le stesse ripetendo a pappagallo senza pensarci.

“di non conoscere alcun legittimo impedimento,”

“per cui io, Sirius Orion Black, non possa essere unito nel matrimonio ad Hermione Jean Granger.”

Gli occhi dell’uomo di posarono su di lei. “Hermione Jean Granger, ripeta dopo di me.”

Lo fece, pronunciando le parole con la stessa sicurezza di Sirius, o almeno provandoci. L’insicurezza la tratteneva, facendole pensare che suonasse come una bambina che giocava a far finta con i suoi amici indossando un fazzoletto da tè sul capo al posto di un velo.

Il fatto che un fulmine non li uccise fu un segnale per Hermione che le cose sarebbero andate bene. Esalò il respiro che aveva trattenuto fin ora, scoprendo che non riusciva a respirare bene in quel dannato corpetto. Tolse la mano dalla presa di Sirius per spostare l’orrendo capo di abbigliamento, ma gliela riprese, forzandola a stare ferma mentre il vicario riprendeva la parola, chiedendo ai loro amici di farsi avanti o tacere per sempre. Hermione attese, aspettandosi di sentir sua madre uscirsene con una veemente protesta.

“Mi piace,” le sussurrò Sirius durante il breve silenzio. “Il corpetto, mi piace.”

“Vorresti,” disse, minacciosa. “Ucciderò Ginny.”
“Per averti fatta sembrare così sexy?” Chiese.

“Smettila di parlare in questo modo durante il nostro matrimonio!”

“Smettetela entrambi di parlare, punto,” disse il pastore Martin, con un tono reso in qualche modo educato dal tono morbido e le vesti solenni.

“Ci scusi,” dissero in coro, facendo alzare delle risate dagli invitati.

Gli occhi blu scuro dell’uomo si fermarono nuovamente su Sirius, un sopracciglio alzato ad indicare il suo disappunto verso il loro comportamento durante una cerimonia così sacra. “Sirius Orion Black, vuoi tu prendere questa donna come tua legittima sposa, e promettere davanti a Dio e a questi testimoni di amarla, onorarla e rispettarla, in ricchezza e in povertà, nella gioia e nel dolore, nella buona e nella cattiva sorte, finché morte non vi separi?”

“Ovviamente,” rispose con un sorriso.

L’altro sopracciglio si alzò sul viso dell’anziano uomo.

“Dillo nel modo giusto,” sibilò Hermione.

“Lo voglio,” disse in risposta sia al vicario che ad Hermione.

“Hermione Jean Granger,” l’uomo spostò il suo sguardo disapprovatorio sulla giovane donna, iniziando nuovamente a dire le promesse. Ripetè e rispose e promise e dichiarò e si chiese quante volte ancora avrebbe dovuto giurare onore e amore a Sirius quando la magia assicurava che tutto e niente potessero forzare l’altro.

Il Vicario Martin unì le loro mani con un  nastro di seta, dichiarando: “Coloro che Dio ha unito, nessun uomo separi.”

“Che dire di Signori Oscuri?” Borbottò Sirius.

“Taci,” gli disse piano, con voce leggermente tremante. La sua agitazione stava crescendo. Erano stati uniti fino alla morte, si erano dati gli anelli ed ora avevano le mani unite; il bacio sarebbe arrivato presto. L’anziano uomo iniziò a benedire gli ospiti, lasciando Hermione e Sirius legati assieme. Si ricordava, ora, del perché i suoi genitori avessero smesso di andare in chiesa regolarmente, le preghiere prolisse e la generale sensazione di indegnità… o forse era solo l’effetto del Vicario Martin sulle persone. Quando l’uomo finalmente ritornò a benedire la coppia, Hermione si avvicinò a Sirius.

‘E’ ora,’ pensò Hermione, sentendo il tamburo ricominciare a batterle nelle orecchie. Lo costrinse a calmarsi per sentire le parole, per sapere quando avrebbe dovuto alzarsi in punta di piedi per raggiungere le labbra di suo marito. Farfalle nervose iniziarono ad annidarsi nel suo stomaco mentre la preghiera finiva.

“Amen,” disse il pastore, allontanandosi dalla coppia, il suo lavoro ufficialmente concluso.

“Beh, è stato diverso,” disse Sirius, iniziando a sciogliere il nastro sulle loro mani.

“Lascialo!” Urlò Tonks. “Dobbiamo fare una foto!”

Hermione sbirciò da sopra la spalla, vedendo la donna correre verso di loro, i suoi capelli ora in morbide onde nere. Assomigliava a Sirius oggi, cosa che Hermione sospettava essere l’obbiettivo. Aveva una quantità deprimente di parenti a presenziare quel giorno. La donna vivace si fermò, puntando la macchina fotografica verso di loro e scattando foto dopo foto di loro fermi impalati. Abbassò l’obiettivo, accigliandosi. “Entrambi voi, avete intenzione di fare qualcosa?”

“Tipo cosa?” Chiese Hermione.

“Prova a sorridere,” borbottò Sirius.

“Cretino.”

“Secchiona.”
“Bacio!” Chiamò Ginny.

“Oooh! Si, fate il coro!” Ordinò Tonks, sorridendo maniacalmente, risollevando la fotocamera e facendo loro segno di avvicinarsi l’uno all’altra mentre centrava lo scatto.

“Sei pronta?” Chiese Sirius, il ghigno sparito dal viso.

Hermione si fece piccola, allontanandosi dagli invitati, notando per la prima volta che tutti i presenti li stavano guardando. I suoi genitori e nonni e zie e zii li stavano tutti fissando con aspettativa. Harry e Ron e Remus erano lì vicino, vestiti con completi formali e con delle espressioni miste tra il sollievo e un leggera nausea.

“Ci stanno guardando tutti,” fece notare. “E se—“

Sirius si sporse in avanti, catturandole la bocca proprio mentre si stava curvando sulle parole. Il battito le risuonò nuovamente nelle orecchie, ma riuscì comunque a catturare gli applausi. Non se ne approfittò, né le mordette o leccò le labbra. Non ne ebbe bisogno. Il casto, semichiuso massaggio di labbra fu abbastanza per farla arrossire di un color Grifondoro scarlatto, e farla lottare per trattenere il miagolio di piacere nella sua gola. Quel semplice, cattolicamente approvato bacio era meglio di qualunque sbaciucchiamento avesse fatto con Viktor al quarto anno, e, per un breve momento, le fece chiedersi quanto bravo sarebbe stato Sirius se l’avesse baciata nel modo giusto.

‘No!’ Urlò a se stessa Hermione. ‘E’ il tuo finto marito. Non vuole affatto baciarti, sciocca ragazza.”

Sirius si staccò. “Non male.”

“Cretino,” borbottò.

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Capitolo 12
*** Valutazione sincera ***


A Hermione mancava il rimbombo.

Senza quel forte, assordante battito a riempirle la testa, era troppo conscia di tutto e tutti intorno a lei. Vide sua zia Lisa parlare con Kingsley, con un’aria più che un po’ intimidita dall’altezza dell’uomo e dal suo dashiki notevolmente formale; vide Fred e George chiacchierare con sua cugina Louisa. Sentì sua nonna chiedere al Professor Silente come mai stesse indossando un costume ad un matrimonio e sua madre intimare a Tonks di tenere i capelli di un solo colore. Peggio di tutto, vide Sirius ghignare nella sua direzione.

“C’è qualche problema, Signora Black?” Chiese tranquillamente mentre danzavano.

“Stai ghignando,” disse, tenendo la voce bassa. “Puoi evitare di farlo quando mi guardi? I miei genitori crederanno che tu abbia strane idee.”

“Ho sempre strane idee.”

“Non su di me, no,” disse. “Non davanti ai miei nonni.”

“Quindi posso avere strane idee su di te a condizione che siamo in compagnia appropriata?” Ridacchiò. Riusciva sempre a far risultare i suoi ragionamenti ridicoli.

“Oh, taci,” Era un’impresa riuscire a non fulminarlo. Le coppie sposate solitamente aspettavano un po’ prima di guardarsi male, ne era certa. Teoricamente dovevano amarsi. Le persone innamorate non si fulminavano… oppure si? “Non ho idea di come dovremmo comportarci,” ammise. “Ma sono abbastanza certa che non dovremmo ghignare.”

Lui rise di nuovo, avvicinandosela un po’ mentre ballavano. “Giusto. Terrò i ghigni per dopo.”

Non aveva pensato a dopo.

Non sapeva neanche dove sarebbe stata dopo. Ovviamente, non poteva stare con i suoi genitori; pensavano che avesse sposato Sirius perché lo voleva, il che significava che i neo sposi avrebbero dovuto andare in luna di miele. La Signora Weasley probabilmente non si sarebbe opposta se le avesse chiesto di passare la notte ed il giorno seguente alla Tana, ma non era sicura che quella fosse la cosa giusta da fare.

E se Sirius voleva che stesse con lui? Doveva ancora chiederglielo.

“Um…”
“Posso intromettermi?” Chiese Philip Granger.

“Certamente,” sorrise Sirius, consegnando sua moglie al padre.

Philip danzò lentamente con la figlia, più per una mancanza di abilità che per tenere il ritmo della musica. Gradualmente, li guidò attraverso la temporanea pista da ballo verso la casa e più lontani da Sirius. Quando l’uomo fu fuori portata d’orecchio, Philip finalmente parlò. “Ce li ho.”

Il sorriso di Hermione diventò enorme. “Davvero?”

“Mi ci sono volute solo due partite,” disse, lanciandole uno dei suoi sorrisi sicuri di sé. “David non imparerà mai.”

“Quanto ti deve il Dottor Bradshaw?” Gli chiese, preoccupata che il padre lo stesse volontariamente conducendo verso un debito.

Philip fece un veloce calcolo, “Beh,” disse pensieroso, “deducendo il costo dei tuoi regali… credo che il Dottor Bradshaw, peggior giocatore di poker nella storia del gioco, mi debba ancora circa mille sterline.”
“Papà!” Lo rimproverò. “Questo è crudele! Potresti lasciarlo vincere una volta ogni tanto.”

“Gli fa bene,” insistette.

Si morse il labbro. Quello era ciò che diceva Ron diceva quando la obbligava a giocare a scacchi magici, sapendo che l’avrebbe battuta; adorava che ci fosse almeno una cosa che lei non fosse capace di fare, e occasionalmente si divertiva ad umiliarla. Le dispiaceva per il Dottor Bradshaw; l’uomo era bravissimo come pittore e storico dell’arte, ma chiaramente un pessimo giocatore e una persona che aveva un disperato bisogno di imparare ad arrendersi.

“Andiamo,” Philip trascinò via la figlia dalla pista. “Intanto che sta guardando da un’altra parte.” Si affrettarono ad entrare in casa, suo padre a guidarli. Fece le scale fino a raggiungere la camera degli ospiti, chiudendo la porta non appena il suo strascico finì di entrare nella stanza. “Li ho nascosti da tua madre,” ammise. “Insisteva per prenderti un tostapane.”

“Le ho detto che non abbiamo l’elettricità,” sospirò.

“Penso che volesse rimarcare un po’ la cosa.”

Hermione si morse la lingua, facendo sorridere l’uomo. “Sembri tua madre quando fai così, sai.” Vedendola incrociare le braccia, rise. “Anche in questo sei identica a lei.”

“Papà!”

“Si, Signora Black,” disse, ancora ridendo. “Chi sono queste persone, comunque?” Spostò il telo bianco dalle tele dipinte, guardando i ritratti fatti dall’amico.

Ad Hermione si mozzò il fiato. Erano perfetti. Le espressioni proprio come le aveva immaginate, lo scintillio vispo negli occhi, la bocca incurvata sicura di sè. Era ovvio il perché il Dottor Bradshaw da solo restaurava ogni dipinto degno di nota che passava per metà dei musei di Oxford. Quando riuscì a ritrovare la voce, rispose. “Amici perduti.”

Philip annuì come se avesse capito, nonostante non fosse a conoscenza di parecchi fatti. “Vuoi che li metta insieme al resto dei regali?”

“No,” disse, pensando al modo migliore per farglieli avere. “Voglio sorprenderlo.”

“Come si sorprende un mago?” Chiese Philip come se fosse una domanda filosofica, grattandosi il mento e stringendo le labbra pensieroso.

“Facile,” sorrise Hermione. “Chiedi aiuto ad un mago migliore.”

Raccogliendo la parte davanti della sua gonna, corse giù dalle scale fino al giardino, nascondendosi con attenzione dietro a grandi gruppi di ospiti finché non riuscì a raggiungere il Preside senza farsi notare da Sirius. “Professore, mi chiedevo se potesse aiutarmi con una faccenda,” gli chiede educatamente.

“Naturalmente, mia cara Signora Black,” disse Silente, i suoi occhi che brillavano luminosi mentre le offriva il braccio.

Novanta minuti dopo e una sessantina di miglia più ad est, Hermione era in piedi e sorrideva al lavoro di Silente, affascinata dal fatto che l’anziano mago riuscisse a demolire magicamente un muro e ricostruirlo nel giro di due ore senza fare alcuna fatica. Sperava di poter un giorno sapere come fosse riuscito a fare così tanto con così poco sforzo. Finché non avesse risolto quel mistero, si sarebbe dovuta accontentare della gratitudine. Grazie alle apparentemente infinite capacità del Preside, i due ritratti che il Dottor Bradshaw aveva realizzato erano appesi con orgoglio sul nuovo muro del corridoio d’ingresso del Numero 12 di Grimmauld Place, al posto della cornice vuota e della tela bianca di Walburga Black.

Bacchetta in mano, fisso intentamente i dipinti e pronunciò l’incantesimo che li avrebbe fatto prendere vita. “Animus!”

Mentre gli abitanti iniziarono a muoversi nelle loro cornici, lei sorrise, catturando la loro attenzione. “Ciao, chi sei?” Chiese l’uomo, guardandola incerto con i suoi occhi nocciola.

“Hermione Granger,” disse. “No, diciamo Hermione Black.”

“Black?” Ripetè. “Come in Sirius Black? Come in ‘non c’è modo in questa vita che possa sposarmi e condannarmi ad una vita di follia ereditaria’ Sirius Black? Come in-“

“Sì! Quel Sirius Black,” tagliò corto prima che potesse continuare.

“Oh… devi saperci fare. OW!” Piagnucolò, dopo esser stato colpito sulla testa dalla donna di fianco a lui.

“Ignoralo. Piacere di conoscerti, Hermione,” disse. “Cosa possiamo fare per te?”

Guardò la donna, notando il suo sorriso dolce. “State solo in silenzio quando arriva Sirius. Voglio sorprenderlo.”

“Oh, lo sarà di sicuro,” ghignò l’uomo, con un luccichio malefico nei suoi occhi.

“Lo terrò tranquillo,” promise la donna.

“Cos’hai intenzione di fare, esattamente?” Indagò, alzando ed abbassando le sopracciglia. La donna si sporse e lo baciò. “Ooh, mi piace questo piano del tieni tranquillo.”

La giovane donna alzò gli occhi al cielo alla stupidità del ritratto, girandosi verso l’altro dipinto. Il giovane uomo la stava guardando incuriosito da dentro la cornice, ma non disse nulla.

‘Sirius rimarrà scioccato,’ pensò con orgoglio.

“HERMIONE!”

“Il padrone di casa si avvicina,” sussurrò l’uomo dagli occhi nocciola.

Hermione gli fece segno di tacere, prima di abbassare le mani e girarsi verso la porta. “Sirius, cosa succede?”

L’uomo le corse incontro, stringendola in un abbraccio da boa constrictor e rifiutandosi di lasciarla anche mentre le urlava. “Cosa succede? Mi stai veramente chiedendo cosa cazzo succede?” Urlò. “Sei scomparsa! Qual è la grande idea nello sparire così? Pensavo che i Mangiamorte ti avessero presa!”

“Sto bene,” insistette. “Sul serio. Dovevo solo fare una cosa.”

“Da sola? Senza dire a nessuno dove stessi andando? Sei stupida, cazzo?”

“Questo non è modo di parlare a tua moglie, Felpato!” Lo ammonì il quadro, aggiungendo in un sussurro, “Credimi, ho dato a Lily della sorda una volta e mi ha incollato la bocca per una settimana.”

Il boa constrictor si strinse più forte. “Sto impazzendo.”

“Dato il nostro lignaggio, non ne dubito,” parlò l’uomo silenzioso. La sua voce era profonda come quella del fratello, ma con una nota di superiorità che a Sirius mancava.

“Sto decisamente impazzendo se sento di nuovo quella voce.”

“Sirius, non riesco a respirare,” annaspò Hermione.

“Ti sta bene per aver indossato un corpetto così stretto,” disse distrattamente, allentando però la presa.

“Quello è un corpetto veramente stretto,” concordò il ritratto di James Potter. “Ti sei sposata con quello? Monella!”

“Non ho scelto io questo dannato vestito!” Lo guardò mi cagnesco.

James si limitò a sogghignare.

“Sei una Nata Babbana?” Indagò Regulus, rimandando qualunque grande riunione con suo fratello in favore di studiare Hermione.

“Si. Perché?” Domandò, agitandosi nervosamente sotto il suo sguardo prolungato. Quando aveva deciso di dare a Sirius i ritratti di James, Lily e Regulus, non si era minimamente aspettata che si interessassero a lei.

“Immaginavo che avrebbe scelto una Nata Babbana,” replicò il giovane uomo con leggerezza. “Non ha mai avuto interesse per la tradizione.”

“Non avrei mai immaginato che si sarebbe sposato,” insistette James. “Avresti dovuto sentirlo parlare dei mali del matrimonio quando si è sbronzato durante il mio addio al celibato. Ti saresti profondamente vergognata di lui, ne sono sicuro, Hermione.”
“Oi!” Lo richiamò Sirius, liberandosi finalmente dello shock ora che lo stavano insultando. “Quello è successo diciott’anni fa! Mi è concesso cambiare opinioni in diciott’anni. Mi piace essere sposato.”

“Siamo sposati da sole due ore, Sirius,” borbottò Hermione. “Non vivo neanche qui. Come puoi affermare una cosa del genere?”

“Dov’è ‘qui’?” Chiese Lily.

“Grimmauld Place,” replicò Sirius, con evidente disgusto.

La donna assottigliò lo sguardo. “Perché quella faccia? Che razza di casa è questa?” Mani sui fianchi, marciò fuori dalla sua cornice, attraverso quella di Regulus e poi scomparve dalla loro vista.

“Non ne sarà felice,” commentò lui. “Forse avresti potuto ridecorare a tuo gusto.”

James sbuffò e rise dell’amico.

“Oi!” Sirius fece un gestaccio al quadro. “Non ridere di me, Potter.”

“Sei stato sottomesso!” Dichiarò James. “Sei nelle sue mani!” Ammiccò ad Hermione, che scosse la testa. Non avrebbe mai osato dire una cosa simile se sua moglie fosse stata nel quadro con lui. “Non avrei mai pensato di vedere Sirius Black entrare volontariamente nella vita matrimoniale.”

Hermione abbassò lo sguardo per nascondere il viso pieno di vergogna. Se non fosse stato per lei, Sirius non si sarebbe probabilmente mai messo la palla al piede. La reazione di suo marito, però, era tutt’altro che risentita. “Ho la mia moto, le mie bevute, le sigarette,” elencò compiaciuto Sirius, allungando velocemente la mano, afferrando Hermione e tirandola verso di sé. “e le scopate. La vita matrimoniale non è affatto male.”

“Ti maledico,” lo mise in guardia Hermione, venendo immediatamente rilasciata.

“Sottomesso,” ripetè James.

“L’ascolteresti se l’avessi vista scontrarsi con i Mangiamorte,” disse cupo. “E’ spaventosamente… creativa.”

James ghignò, preparandosi per un altro giro di risate, ma si fermò bruscamente quando sua moglie iniziò a gridare da un quadro in salotto. “SIRIUS BLACK! Questa casa è completamente inaccettabile! Non ci sono due stanze che siano neanche remotamente vivibili! E c’è un dannato ippogrifo che dorme di sopra!” Gridò, ritornando in vista. “Non porterai quella ragazza in questa casa.”

Gli uomini si ritrassero all’ira della donna, persino Regulus dalla sua cornice separata e Sirius, che non poteva venire fisicamente toccato da lei. La bocca di Hermione si incurvò in un sorriso mentre guardava la donna lamentarsi delle condizioni squallide, notando l’ironia del fatto che avesse ricevuto un regalo per aver rimosso la vecchia strega inveente, solo per rimpiazzarla con una più giovane.

“Perché sorridi?” Le domandò Lily.

“Niente,” replicò in fretta.

“Non starai in questa casa, e questo è quanto,” dichiarò la donna come se fosse l’autorità assoluta in materia.

“Che cosa?” Chiese Hermione, scioccata dal fatto che un quadro che aveva commissionato e animato osasse darle ordini. Qualcosa scattò. La rabbia le crebbe nel petto quando si rese conto che fosse in un vestito che non aveva scelto, prendesse ordini da un quadro che aveva creato per celebrare un matrimonio che non aveva voluto con un uomo che non amava. C’erano decisamente troppe cose fuori dal suo controllo, e ne aveva abbastanza.

“Vivrò dove cavolo mi pare!” Dichiarò ad alta voce. “Sono stufa che tutti decidano cosa devo fare, con chi e quando! Che venga dannata se lascerò di nuovo che tutti voi controlliate la mia vita!”

Andò via dall’ingresso a passo pesante, sbattendo la porta della cucina dietro di lei.

“Te l’ho detto,” sentì dire all’uomo.

Fortunatamente, l’uomo fu abbastanza sveglio da lasciarla in pace. Se avesse mostrato il suo viso, senza dubbio con quell’espressione comprensiva che usavano tutti attorno a lei, lo avrebbe maledetto. Così, inizio a distruggere la sua cucina - la loro cucina - lanciando ogni piatto, tazza, ciotola e piattino che riuscì a trovare con tutta la forza che possedeva, nel tentativo disperato di sfogare la sua frustrazione su qualcosa.

Si sentiva un po’ in colpa per aver distrutto le sue - le loro - cose, il che la fece infuriare ancora di più.

“Hermione?”

Si rimangiava tutto. Sirius non era sveglio.

“Stai bene?” chiese, azzardando ad infilare la testa in cucina.

Senza aspettare di vedere l’orrida compassione sul suo volto, afferrò la tazza sporca dal lavandino e gliela lanciò dietro. Lui si abbassò, lasciando volare la tazza oltre la sua testa e schiantarsi sul muro.

“Quella tazza mi piaceva, sai,” commentò senza vero rancore.

“La riparerò più tardi!” sputò. “Lasciami sola!”

“No,” disse, scavalcando le macerie dei suoi cimeli, spolverando una sedia e sedendocisi.

“Vattene e basta!”

“No.”

“Perché no?” Batté i piedi, odiando il fatto che il tallone non assorbisse l’impatto.

“Perché sono arrabbiato quanto te e anch’io merito la possibilità di distruggere qualcosa,” disse candidamente, spingendo un piatto giù dal tavolo con disinvoltura. Questo si schiantò sul pavimento, aggiungendosi al considerevole caos provocato dalla ragazza.

Hermione sbatté le palpebre, confusa. “Che?”

“Sono dannatamente furioso!” urlò. “Non volevo sposarti! Non volevo sposare nessuno, mai!”

“Non gridarmi contro! Non è colpa mia!” disse, lanciandogli dietro un bicchiere da vino.

Mentre il cristallo gli sfiorava la guancia, ringhiò. “Si, lo è! Tu e la tua maledetta intelligenza, che combatti guerre troppo grandi per te. Perché non potevi startene a scuola come dovresti, dannata secchiona?”

“Cretino!” sputò.

Si guardarono ferocemente, in mezzo ai cadaveri delle pregiate porcellane di Sirius, e la ridicolaggine della situazione colpì Hermione con l’intensità della rabbia qualche minuto prima. Cercò di trattenersi, di mantenere l’espressione inferocita, ma la risata si rifiutò di venir trattenuta. Le scivolò, inizialmente uno sbuffo involontario, poi una breve risata ed infine una pazza risatina. Sirius resistette più a lungo, ma la sua risata canina si unì presto a quella di lei.

“E’ un po’ tardi per questo, vero? Siamo così stupidi,” disse lui, lasciandosi ricascare sulla sedia.

“Penso che sia una valutazione onesta della situazione, signor Black,” disse, dando un’occhiata ai danni che avevano provocato. “Dì del perdersi in un bicchier d’acqua.”

Lui rise ancora, con un una nota leggermente derisiva che temeva potesse essere diretta a lei. Quando parlò, però, quella paura svanì. “Penso che preferirei perdermi in un bicchierino, al momento. Non so lei, Signora Black, ma mi andrebbe un drink.”

Lei annuì.

“Kreacher!” Chiamò.

L’elfo domestico apparve nella cucina, uno sguardo d’orrore a contorcergli i lineamenti sia dallo stato della cucina che alla vista di Hermione in abito da sposa. “S-si, Padron Black?”

“Vino, per favore, Kreacher,” disse Sirius. “E non disturbarti a pulire la cucina.”

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Capitolo 13
*** La domenica dopo ***


“Ow!” gemette Hermione, schiacciandosi il cuscino sul viso per bloccare la luce che le stava trafiggendo dolorosamente gli occhi. “Oh, la mia testa.!
“Ti sta bene,” dichiarò una voce allegra.
La testa di Hermione non era nella condizione di cercare di comprendere di stesse parlando, quindi scelse di non curarsene. “Vattene.”
“No, mi è stato detto che devi scendere per la colazione,” insistette l’uomo. “Pancake.”
L’idea del cibo le diede la motivazione di cui aveva bisogno per uscire dal letto. Si arrampicò fuori dalle coperte e sfrecciò verso il bagno, vomitando quel poco che aveva mangiato il giorno prima. Dato che non aveva mangiato quasi nulla, finì piuttosto velocemente.
Rialzandosi in piedi, rilasciò un singulto inorridito al fastidioso dipinto che le si muoveva davanti, per poi gemere quando vide che i loro movimenti combaciavano. Avvicinandosi, vedendo il vetro liscio, sapeva che non si trattava di una riproduzione magica di qualche quadro di Munch, ma del suo stesso riflesso.
“Oh, che hai combinato?” si chiese. Il trucco si era sciolto. I suoi capelli, un groviglio di velo, ricci e forcine, ricordava un nido di scoiattoli abbandonato. Abbassò lo sguardo e vide che aveva dormito nel suo abito da sposa, che aveva retto sorprendentemente bene, macchie di vino a parte. Gli schizzi di claret sul suo abito abito avorio le ricordarono le sue attività notturne. Lei e Sirius si erano ubriacati con un burgundy centennale, rotto ogni stoviglia rimanente e incespicato fino al letto. Si accigliò, il suo cervello non era ancora pronto alla sfida di pensare. Dove aveva dormito?
Il cipiglio si approfondì mentre la giovane donna scavava nelle memorie sfocate della notte passata, Sirius che le diceva ogni sorta di battuta sporca, ricordi affezionati del padre di Harry e alcuni delle sue più illustre gesta ai tempi della scuola e dei pochi anni buoni prima di Azkaban, che erano tutte risultate con Hermione che rideva fino ad avere la faccia che le faceva male. Ricordava vagamente le sue mani sui suoi fianchi, che l’aiutavano a stare dritta sulla tumultuosa via su per le scale, ma non riusciva a ricordare se fossero andate da qualche altra parte. C’era stato un discorso sulla sua giarrettiera, sul fatto che non fosse riuscito a togliergliela come da tradizione.
Alzò freneticamente gli strati della gonna, maledicendo Ginny per aver scelto un vestito così elaborato. Le sue mani si posarono sulle sue cosce nude. “Oh, porca miseria.”
Spalancò la porta e corse da dov’era venuta, tornando al letto nel qualche era stata cos’ rudemente svegliata. I suoi piedi si impiantarono di colpo sul duro legno, la mascella cadde mentre il suo cuore perdeva diversi battiti.
“Già,” ghignò James dalla cornice sul muro, “quello è il letto di Sirius.”
“Dove ha dormito lui?” sussurrò nonostante sapesse la risposta.
“Lì,” disse, indicando lo stesso letto. “Eravate così carini insieme, tutti ubriachi e coccolosi. Mi ha molto deluso che non abbiate sfruttato il vostro stato disinibito per fare qualcosa di cui vi sareste entrambi pentiti.” Sospirò, scuotendo la testa.
“Non l’abbiamo fatto?” Hermione ricadde sul letto dal sollievo. “Oh, grazie a Dio.”
“Non stenderti!” la riprese James. “Pancake!”
Grugnendo, si rimise in piedi e tornò in bagno per dare un senso ai suoi capelli e sciacquarsi il viso. Sfortunatamente non aveva vestiti con cui cambiarsi e fu costretta a scendere con quel dannato corpetto. Si fermò fuori dalla porta della cucina, temendo il disastro che avevano lasciato prima di andare a dormire.
“Hermione cara,” si illuminò la Signora Weasley non appena aprì la porta. “Mi chiedevo quando ti saresti unita a noi.”
“Noi?” sbattè le palpebre la ragazza, confusa dalla presenza della donna.
“Si, noi,” ghignò George dal tavolo. Era seduto tra il suo gemello e la sorella, di fronte a Harry e Ron; Remus e Tonks erano ai capi del tavolo, mentre Sirius era sulla sedia più vicina alla porta. Non vedeva così tante persone a Grimmauld Place dalla notte del fidanzamento.
La testa di Sirius ricadde come se non si stesse preoccupando di tenerla sollevata, e fece un’espressione di fastidio che solo lei poteva vedere. “Molly è venuta a per ‘portarti la tua valigia’,” la informò Sirius, facendo in aria le virgolette con le dita. “Voleva solo assicurarsi che non avessi provato a fare niente la notte scorsa.”
“L’ha fatto?” chiese Tonks speranzosa.
“No!” disse Hermione, anche se non poteva saperlo per certo e non poteva chiederglielo con tutti loro seduti là.
“Ho provato a farti ubriacare,” disse lui.
“E ci sei riuscito,” replicò, buttandosi su una sedia affianco a lui e lasciando la fronte schiantarsi sul tavolo. Era una prova del dolore nella sua testa che non sentì niente quando collise con il legno. “La testa mi sta uccidendo.”
“Bevi questo,” Sirius le passò una tazza riparata.
“E’ tè?”
“No, a che serve il tè? E’ whiskey,” disse. “Pelo di cane e tutto il resto. Solo finchè la pozione per la sbornia non sarà pronta.”
“Sei un uomo sveglio,” mugugnò, scolandola.
“Sarei sveglio se avessi pensato di aggiungere un'altra serratura alla porta prima di andare a dormire,” disse. “E invece sono stato svegliato ad un’ora indecente da Molly Fottuta Ficcanaso laggiù che strillava che ti avessi deflagrata quando eravamo entrambi chiaramente vestiti.”
“Cosa ci facevate nello stesso letto?” Molly gli agitò contro la spatola con fare minaccioso. “Ebbene?”
“Dormivamo, ovviamente,” sbuffò. “E’ quel che fanno di solito le persone sposate alle dannate sei della mattina di domenica, donna.”
Lei schioccò la lingua e tornò alle padelle.
“Chi ha ripulito il disastro?” chiese Hermione. Giudicando dalla sua incapacità di sedersi compostamente, dubitava che Sirius avesse trovato l’energia o l’ambizione di riparare tutte le cose che avevano rotto. L’uomo fece un gesto vago alla sua destra.
“Io,” disse Remus. Abbassò la voce e si sporse per non farsi sentire dalla Signora Weasley, “ho tentato di fermarla, ma sapete com’è fatta Molly.”
Sirius scacciò la scusa. “Non m’importa perché sei qui. Hai pulito il mio casino, Lunastorta, questo è ciò che conta.”
La conversazione continuò con il resto della tavolata, e divenne un ronzio nella testa dolorante di Hermione. Mangiò ma solo perché Molly insistette, e parlò ma solo quando Sirius le batteva sul fianco per farle prestare attenzione. Dopo un’ora al tavolo, non sapeva ancora perché la metà di loro si trovasse lì. Immaginava che fossero venuti per lo stesso motivo della Signora Weasley, per accertarsi che Sirius non le avesse fatto niente. Voleva dire che era l’idea più stupida che fosse mai passata per le loro menti, che l’uomo l’aveva sposata solo per tenerla al sicuro e non avrebbe approfittato di lei, ma, dopo i farfugliati e ghignati commenti sulla sua giarrettiera, non ricordava niente della notte fino a che James non l’aveva svegliata urlando.
Mentre pulivano i piatti e gli ospiti indesiderati cominciavano ad andarsene, Harry si trattenne indietro. “So che voi vi… eh… state sistemando… e tutto il resto,” disse con imbarazzo, “ma pensate che potrei restare un po’ e parlargli?”
Sirius lo abbracciò. “Puoi restare per quanto vuoi.”
Harry sorrise e abbracciò stretto il Padrino prima di correre attraverso il soggiorno per parlare con il dipinto dei suoi genitori.
“Non se ne andrà mai,” commentò Remus.
“Per me va bene,” sorrise, girandosi verso Hermione. “Allora, Signora Black, le andrebbe di unirsi a me nell’anticamera? Abbiamo un delizioso calderone fumante di rimedio post sbornia.”
Prese il braccio a lei offerto, ma non riuscì a raccogliere l’umorismo necessario per assumere di nuovo un tono scherzoso.
“Ti stai già pentendo di me?”
Si morse il labbro prima di sussurrare. “La mia giarrettiera, Sirius, dov’è?”
“Non lo so,” scrollò le spalle. “Dovunque l’hai lanciata.”
“L’ho lanciata io?”
La guardò con la coda dell’occhio. “Non reggi l’alcol, Hermione. Ho fatto una battutina sulla tradizione e sei partita con una qualche tirata femminista ubriaca sulle giarrettiere come un grillo parlante moderno o roba così. Sembrava che avessi preso come un affronto personale che volessi osare togliertela, quindi l’hai fatto da sola.” Si interruppe per ghignare maliziosamente. “Hai fatto anche un bello spettacolo.”
Arrossì. “Che ho fatto?”
Lui rise. “Niente, davvero, ma hai un bel paio di gambe.”
“Oh, taci,” abbaiò, incrociando le braccia mentre lui finiva la pozione e le dava il doppio del dosaggio raccomandato. Postumi curati, scappò via, troppo mortificata per curarsi di comportarsi come un’adulta nella situazione in cui si era messa da sola. Era umiliante. E peggio, il suo vestito si stava dimostrando d’aiuto come i suoi ricordi. L’unico completo formale che avesse mai indossato era stato l’adorabile vestito a balze che aveva scelto per il Ballo del Ceppo. Quello era stato semplice da manovrare, con una sola cerniera sul fianco. Questo aggeggio, al contrario, era impossibile. I bottoni erano minuscoli e posizionati sulla sua spina dorsale dove non poteva sperare di raggiungerli. Anche con la magia, non riusciva a slacciarli. Provò a direzionare un incantesimo allo specchio così da farlo rimbalzare sulla superficie riflettente dalla sua schiena, ma la sua mira era pessima e i bottoni erano semplicemente testardi.
Qualcuno bussò sulla porta della sua camera. “Hermione,” disse Sirius. “Lily ha detto che stavi lottando con il tuo vestito… e perdendo.”
“Vattene! Hai già visto abbastanza,” urlò.
“Ho visto una gamba, Hermione,” le assicurò trattenendo a stento il divertimento nella sua voce. “Una gamba, che vedo ogni volta che indossi la tua uniforme.”
“Oh, entra,” sbuffò. “Penso che la Signora Weasley l’abbia maledetto per non fartelo slacciare. Il dannato coso è bloccato.”
Uomo intelligente com’era, quando entrò, Sirius non rise. “Girati,” le ordinò. “Di che cosa ti stai lamentando? Non è maledetto.” Fece lavoro rapido degli irritanti bottoncini. Presyo Hermione dovette stringerselo addosso per tenerlo al suo posto, e Sirius stava ancora una volta vincendo uno sguardo ravvicinato a più pelle di quanta non avesse mai voluto mostrargli.
“Beh, forse hai solo fatto più pratica di me,” replicò.
“No, non posso dire di aver fatto molta pratica nel togliere spose dai loro abiti,” si accigliò più o meno come aveva fatto quando ripercorreva i ricordi in cerca di un corpetto. “Ho spogliato due damigelle dai loro, ma tu sei la prima sposa.”
“Non sono speciale?” tubò sarcasticamente. Sapeva che non avrebbe dovuto essere così condiscendente con lui, non con quest’uomo che aveva già sacrificato così tanto per tenerla al sicuro, ma stava discutendo la sua vita sessuale mentre riusciva a malapena a tenere il vestito su. Non era il tipo di situazione che invitava alla conversazione, civile o meno, a parer suo. Voleva solo che se ne andasse così da poter rimettersi dei vestiti normali.
Sirius, però, non sembrava affatto incline ad andarsene. Stava di nuovo ghignando. “Si, direi di si.”
“Cosa staresti insinuando?” indagò.
“Nulla,” sorrise, girandosi lentamente per andarsene. “Per curiosità, cosa pensavi di fare del vestito?”
Abbassò lo sguardo e per la prima volta pensò a cosa ne avrebbe fatto. Per tradizione, le spose mettevano via i loro vestiti come cimeli o ricordi, ma quello valeva solo per le spose normali. Hermione di certo non era una di queste. Non progettava di aver figli, quindi non avrebbe avuto nessuno a cui farlo ereditare. Ciò lo rendeva solo un grande, bianco, macchiato, impossibilmente abbottonato, ammasso di tessuto dal taglio seducentemente basso per cui non aveva alcun uso.
“Niente, davvero. Perché?”
“Curiosità,” disse, andandosene.
“E’ proprio strano,” disse tra sé e sé.
“Non ne hai idea,” commentò James.
“Te ne andrai mai!” urlò. “Non c’è niente da vedere!”
“Uno può sperare, no?”
 
oOo
 
Regulus la osservò entrare in soggiorno. “Stavi meglio con l’abito da sposa,” disse, senza maleducazione. “Questi ti fanno sembrare così… normale.”
“Concordo,” le prese in girò dalla sua posizione sul divano. “Più corpetti, direi.”
“Prendi una pausa, eh?” lo gomitò Harry, ritornando al dipinto dal quale gli sorrideva la madre.
Hermione cercò di non fulminare suo marito mentre si lasciava cadere su una sedia vacante. Harry e Sirius parlavano allegramente con i James e Lily dipinti, e lei finì il libro che aveva preso in prestito dalla biblioteca di Hogwarts. La magia del sangue valeva alrta ricerca, decise, mentre riponeva il libro per prendere la sua vecchia e  copia di Storia di Hogwarts. Un leggero cipiglio le comparse sulle labbra mentre apriva il libro rovinato; la spessa carta, con le orecchie e ammorbidita dalle innumerevoli volte che era stata letta, era diversa. Il suo nome scritto non c’era, forse solo perché la pagina del titolo non c’era. Si accigliò ancor di più e girò la pagina, e vide che il testo iniziava senza dar credito ad alcun autore o editore. Aveva sempre avuto una passione per le opere Anonime, trovando l’idea di un argomento così controverso che l’autore dovesse rimanere senza nome piuttosto eccitante. Ancora dubbiosa su come una cosa simile fosse finita nel suo libro, lesse le parole che avevano rimpiazzato quelle che conosceva a memoria.
‘INTRODUZIONE,’ era scritto. ‘potrebbe risultare curioso ad alcuni di apprendere di come Vatsyayana venne per prima cosa portata alla luce e tradotta in lingua Inglese. Accadde poi…’
Quindi era una traduzione di qualche antico testo Indiano, realizzò, ancora perplessa per come fosse finito nella sua copia di Storia di Hogwarts. Mai il tipo di persona che storge il naso a qualunque genere di informazione, continuò a leggere la storia di questo libro particolare, del quale titolo era ancora sconosciuto. Il testo risultava abbastanza comico, esponendo con un Inglese antiquato le nozioni acaiche su quale sorta di donna fosse degna di sposarsi e come sposarla. Doveva trattarsi di uno scherzo, anche se sembrava così innocuo rispetto agli standard di Fred e George.
Continuò a leggere, aspettando il momento in cui lo scherzo sarebbe risultato evidente. Forse avrebbe iniziato a volare per la stanza urlando citazioni o uno stendardo ne sarebbe scoppiato fuori.
Ci fu un’esplosione di sorta, ma di certo non arrivò dal libro.
Girando la pagina, gli occhi di Hermione si spalancarono alla vista di un’illustrazione rappresentante, con tutto il dettaglio che l’artista era riuscito a rappresentare, un atto molto privato tra un uomo e una donna. Chiuse di scatto il libro e mandò uno sguardo infuocato all’unico burlone nella stanza, uno che ghignava all’idea di corpetti strappati, uno che era andato a comprare libri che avevano fatto ridacchiare la commessa.
TU!” urlò.
Sirius sorrise placidamente, i suoi occhi grigi brillanti di delizia mentre lei cercava insulti da rivolgergli. “Problemi, tesoro?”
“Orrido- Infantile- Completamente- “ farfugliò, arrossendo furiosamente. Finalmente riuscì a trovare le parole giuste, brevi e dirette: “Regola Numero Uno!”
“Niente scherzi alla moglie,” ricordò a sé stesso, informando il curioso spettatore. “Davvero conta come scherzo?”
“SI!” strillò, lasciando cadere il libro, ringraziando che non si aprì su una delle illustrazioni esplicite.
“Penso di dover andare…” disse Harry, strisciando via. La sua voce li raggiunse dalla cucina un momento più tardi, a malapena udibile per Hermione dalla sua foga nonostante quanto forte avesse urlato il ragazzo, “Professore! Grazie a dio è qui! Sta per ucciderlo!”
A Hermione non importava quale professore avesse deciso di presentarsi in un momento così sfortunato. Aveva davvero intenzione di maledire i gioielli di suo marito per averla stuzzicata con così poco ritegno.
“Signora Black,” disse il Professor Silente con un sorriso sulle labbra e nella voce, “Forse tali attività sarebbe preferibile riservarle per dopo. Dobbiamo completare l’unione e prepararci per il ritorno a scuola.”
“Mi ero scordato dell’unione,” replicò con una calma irritante.
“Non ha alcun senso,” digrignò i denti. “Lo ucciderò prima che abbia la possibilità di tradirmi.”
“Comunque,” sorride Silente, imperturbato. “Le formalità del matrimonio vanno completate. Il Ministero sta aspettando quest’incantesimo anche ora.”
Al suo gesto si avvicinarono. Sirius sibilò mentre lei gli piantava le unghie nei palmi; Silente fece finta di non vedere. L’anziano uomo recitò, la saggia voce in aggiunta all’antica magia, mentre la sua bacchetta si muoveva intorno alle loro mani unite. La magia le fece venire la pelle d’oca mentre il nastro invisibile volteggiava intorno a loro, unendoli in un patto infrangibile. “Ed è fatta,” disse l’uomo.
“Posso ucciderlo ora?”
“Non ancora,” disse Silente. “Magari dopo pranzo.”
 




[Note traduttrice: non ho aggiornato perchè il mio computer è in riparazione, ora ne sto usando un altro; sfortunatamente non so quando potrò mettere il prossimo capitolo, in ogni caso sicuramente entro un paio di settimane! Scusate!]

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Capitolo 14
*** Cambio di piani ***


La Sala Grande era rumorosa come sempre. Studenti che ridevano e si urlavano l’un l’altro tra i tavoli, discutendo del prossimo fine settimana a Hogsmeade e dell’imminente stagione di Quidditch. Hermione era grata di non essere più di alcun interesse per nessuno. Il suo ritorno a scuola era stato relativamente quiete, con solo un minimo di sussurri quando i professori avevano iniziato a riferirsi a lei come ‘Signora Black’ al posto di ‘Signorina Granger’. Ad ogni settimana che passava, più e più ragazze del sesto e settimo anno venivano chiamate con nuovi cognomi, quindi Hermione non risultava poi così speciale su quell’aspetto. L’unica, notabile differenza era che lei non sbandierava il suo matrimonio come facevano le altre, che mostravano i loro anelli e le fotografie dei matrimoni, parlando ininterrottamente dei loro mariti e di quanto fantastico fosse essere sposati.
A parte per il nuovo nome e l’indirizzo, per Hermione non era cambiato niente. Era un sollievo.
 
La posta arrivò come sempre, e un gufo le fece cadere una busta davanti. L’aprì, curiosa di sapere cos’avessero da dirle i suoi genitori.
Hermione sbuffò alla lettera. “A quanto pare mia madre ha iniziato a chiamare Sirius ‘quel tuo marito’,” disse alla curiosa Ginny. Continuò a leggere finché un’esultanza non si levò da diversi studenti più anziani attraverso la sala. “Che succede?”
“Hermione, guarda,” disse Harry preoccupato, mettendole la Gazzetta del Profeta in mano.
L’intestazione diceva: ‘Legge Matrimoniale Riformulata!’
Scandagliò velocemente l’articolo, cercando la ragione per cui la notizia avesse procurato tale entusiasmo.
‘A causa dei precipitosi matrimoni di convenienza in cui molte streghe e maghi si sono uniti in seguito al decreto della Legge 65, 298-1/3, comunemente nota come “Legge Matrimoniale”, il Ministero ha deciso di attuare un emendamento. Questo decreta che le coppie unite dopo la promulga della Legge 65, 298-1/3 sono ora previste di consumare il loro matrimonio su una base bisettimanale. Secondo Warwick Whyte, Direttore del Dipartimento degli Affari e Doveri Matrimoniali al Ministero della Magia, “Lo scopo della legge è di creare una comunità magica più grande e varia. Le coppie che sfuggono alla loro responsabilità di produrre bambini magici dovrebbero essere rinchiuse ad Azkaban per il loro mancato servizio alla comunità.” Le coppie influenzate da questa ultima modifica verranno contattate via Gufo.’
“Bastardi,” disse Hermione. Alla faccia dell’unione agiata con Sirius. Non avevano fatto niente più che sfiorarsi da quando le loro mani erano state unite, eccetto quando l’aveva colpito per aver nascosto il Kama Sutra nella sua copia di Storia di Hogwarts. Non l’aveva neanche visto da quella domenica quasi tre settimane prima.
Altre dozzine di gufi entrarono silenziosamente dall’alta finestra, girando per la Sala Grande e facendo cadere una serie di buste davanti agli studenti più grandi. Un gufo particolarmente maestoso arrivò in picchiata e le fece cadere la lettera sul grembo, aggiungendo uno schiocco disapprovatorio del becco per buona misura. Riusciva benissimo a vedere l’emblema del Ministero impresso sulla ceralacca, e sapeva che aveva a che fare con l’emendamento e il suo ‘precipitoso matrimonio di convenienza’. Le sua mani stavano visibilmente tremando mentre apriva la lettera e iniziava a leggere l’ordine ufficiale dal Dipartimento degli Affari e Doveri Matrimoniali, la data e la scadenza e che le avevano dato.
Il piatto davanti a lei svanì, portandosi dietro la sua colazione. Non le importava; il suo appetito se n’era andato leggendo l’articolo. Il rotolo di pergamena abbandonato di fronte a lei era molto più apprezzato di quanto non lo fosse l’ormai scomparso pane tostato, giacché avrebbe riconosciuto quella scrittura ovunque. Buttò via il nastro che lo teneva chiuso e lesse la breve lettera, pensando che sarebbe stata di rassicurazione, che le dicesse che Preside aveva la situazione sotto controllo e di non preoccuparsi. Non era così.
“Cos’è?” chiese Harry.
“Vuole incontrarmi stanotte a proposito dell’emendamento,” rispose con tristezza, sprofondando nella panca mentre altre grida di gioia echeggiavano intorno a lei. “Odio Voldemort.”
 
oOo
 
Alle nove e un quarto, Hermione si incamminò sulla lunga via dalla Torre di Grifondoro fino all’Ufficio del Preside, intimorita da quel che le sarebbe stato detto una volta arrivata. Proprio come a luglio, non vedeva vie di fuga dalla Dannata Legge.
“Entra,” parlò Silente; come si avvicinò, la porta si aprì da sola. Le fece segno di sedersi, cosa che fece a malincuore, e le offrì tè e biscotti. Educazione formale e cerimosità non era ciò che ora voleva dall’anziano uomo. Voleva risposte, promesse, qualcosa a cui aggrappare le speranze visto che non le rimaneva più niente di suo. Invece si trovò ad aspettare. Dolorosi secondi ticchettavano ad una lentezza derisoria mentre il Preside rimaneva in silenzio.
Finalmente il camino sputacchiò e le fiamme diventarono di un verde brillante, eruttando un Sirius Black molto arrabbiato. “A che cazzo di gioco stanno giocando?” domandò, buttando una lettera sulla scrivania di Silente. Nessuno di loro dovette guardare per sapere che era una copia della lettera del Ministero che aveva ricevuto quella mattina.
“Calmati, Sirius,” lo placò Silente.
“No che non mi calmo!” calciò con rabbia una sedia per poi lasciarcisi cadere e ricominciare ad urlare. “Ci hanno dato una scadenza. Una cazzo di data di scadenza… letteralmente*!”
Hermione aveva visto la data stampata sulla lettera, letto il giorno e il mese così tante volte che lo shock era svanito. Avevano fino alla fine del mese, la mezzanotte del trentuno Ottobre, per adempiere ai loro doveri coniugali. Avevano dato loro tredici giorni prima che un impiegato del Ministero venisse a bussargli alla porta per trascinarli ad Azkaban o per costringerli a compiere il loro dovere. Era disgustoso, concordava, ma non aveva intenzione di urlare per questo. Era tutt’altro che felice della situazione, ma sbraitare e imprecare nell’ufficio del Preside sembrava eccessivo anche a lei, la ragazza che aveva rotto ogni piatto della cucina di Sirius il giorno del loro matrimonio.
Invece, la sua veemente protesta risvegliò la persistente sensazione di disagio che le aveva lasciato l’aver avuto gli incisivi troppo grandi e i capelli troppo gonfi. Era come se il problema di Sirius con l’emendamento non fosse tanto nell’ultimatum per la fornicazione, ma quanto più nella persona con cui ne era costretto.
“Ho spedito lettere a qualunque occhio volenteroso al Ministero da quando è uscita la notizia stamattina, e anche a qualcuno meno disponibile,” disse Silente per placare l’uomo incensato. “Non c’è niente che possano fare, temo. Ogni protesta che muoverete risulterà in un annullamento del vostro matrimonio, e verrete entrambi spediti ad Azkaban. Se dovesse succedere, la Signora Black sarebbe in mano di Voldemort.”
“Bastardi,” sbottò nuovamente Sirius, abbassando su di lei lo sguardo. “Non hai niente da dire?”
“Beh…” iniziò, ma dovette fermarsi per evitare di squittire sotto l’intensità del suo sguardo. “Non potremmo ingannarli in qualche modo? Hanno un paese pieno di neosposi; di certo non possono controllarli tutti.”
Sirius guardò speranzoso Silente, ma l’uomo scosse la testa. “Scordi, mia cara, che tu sei la sola ragione per cui questa legge è stata approvata,” disse l’anziano uomo. “Dato che Voldemort non è riuscito ad arrivare a te attraverso un matrimonio con uno dei suoi seguaci, ora sta cercando di farlo con Azkaban. Di tutti quelli sposati sotto questa legge, voi siete gli unici due che ha intenzione di controllare.”
“Questo è spaventoso,” rabbrividì Sirius.
“Mi dispiace,” mormorò. “E’ tutta colpa mia. Hai ragione; avrei dovuto starmene a scuola.”
“Se l’avessi fatto, ora sarei morto due volte,” disse, un’allegria fuori luogo a colorargli la voce. “Non mi sto lamentando.”
“Lo stavi facendo un attimo fa,” gli ricordò, riuscendo a malapena a trattenere l’astio.
“Non di averti sposata.”
“No,” concordò. “Solo di dover andare a letto con me.”
Lui si accigliò, aprendo la bocca per protestare, ma la voce annoiata del suo antenato riempì la stanza e prevenne la sua replica. “Potreste gentilmente limitare i vostri bisticci all’intimità della vostra casa dove appartengono? I Black non sbandierano la loro biancheria sporca in pubblico,” li riprese Phineas Nigellus, posando il suo sguardo severo su Hermione. “E, per quanto la cosa mi dia la nausea, tu sei una Black ora. Cerca di comportarti come tale.”
L’istinto o l’esperienza trovarono Sirius intromettersi prima che Hermione potesse dire quel che pensava al ritratto, o peggio. “Taci,” disse al dipinto, per poi girarsi verso Silente. “Perciò cosa facciamo?”
“Niente,” disse il Preside.
“Cosa?” urlarono in sincrono il Signore e la Signora Black.
“Lei ha sempre delle idee!” insistette Hermione.
“Quelli del Ministero sono idioti!” Sirius agitò una mano con condiscendenza. “Dev’esserci un modo per farla franca.”
“Non con Lord Voldemort che tira le fila, temo,” scosse la testa. “Per quanto possano essere dei burattini, sono burattini col potere di rinchiudere te e tua moglie abbastanza a lungo per vederti nelle mani dei Dissennatori e lei in quelle dei Mangiamorte.”
Sirius non riuscì a mascherare la paura che provava al pensiero di rincontrare i Dissennatori, ma allo stesso tempo borbottò qualche maledizione.
“Mi dispiace,” sospirò scoraggiata Hermione.
“Sirius, saresti così gentile da assicurarti che tua moglie raggiunga sana e salva la Torre di Grifondoro?” chiese Silente. “E’ passato il coprifuoco e devo sbrigare un’altra serie di faccende.”
Hermione era troppo depressa per preoccuparsi di far notare loro che fosse un Prefetto e, come tale, non necessitasse della supervisione di un adulto per tenersi fuori dai guai con Gazza. Anche se, visto che era raramente stata lasciata da sola nel castello dall’aggressione di Malfoy a settembre, sospettava che Sirius fosse lì per proteggerla da qualcosa in più del vecchio custode irritabile. Non era altro che un fardello, a quanto pareva. “Scusa,” borbottò nuovamente mentre camminavano.
“Smettila di scusarti,” ringhiò. “E’ troppo tardi per lamentarsi in ogni caso.”
“Non ti ha fermato,” osservò.
“Io sono diverso.”
“Lo sei,” concordò. “Quindi cosa facciamo?”
Lui sospirò, passandosi una mano tra i capelli con frustrazione. “Cosa possiamo fare?”
Considerò le opzioni, già scarse e rifiutate da Silente; se lui era certo che non gli rimanesse altra scelta, allora era sicura che avesse ragione. Dovevano obbedire alla Dannata Legge o tutto quel che avevano fatto finora sarebbe stato inutile. Sirius sarebbe tornato ad Azkaban e lei sarebbe stata sotto la Maledizione Imperio, inchinata ai piedi di Voldemort.
La sola idea la fece rabbrividire.
“Tieni,” disse Sirius, appoggiandole sulle spalle la sua giacca.
Avvolta nella calda pelle, lo guardò. Sirius Black, alto e bello. Affianco a lui, con indosso la sua giacca troppo grande, si sentiva una bambina. Era una persona che aveva bisogno di qualcuno che badasse a lei, non una che lui desiderasse. Sinceramente, non le importava un fico secco se Sirius la desiderava. Non fosse stato per la Dannata Legge, avrebbe potuto vivere il resto della sua vita senza preoccuparsi che Sirius volesse o meno andare a letto con lei.
“Stupida Dannata Legge,” ringhiò.
“Non parliamone qua, tesoro.”
Si stavano avvicinando alla Torre di Grifondoro; riusciva a vedere la scala che li avrebbe portati al ritratto della rotonda donna che stava guardia dell’ingresso. Avevano camminato per quasi un quarto d’ora e non avevano fatto alcun progresso nel risolvere il problema. Si fermò, non intenzionata a discutere la loro costretta vita sessuale di fronte al dipinto pettegolo. “Quindi ora cosa succede?”
“Pensavo di ubriacarmi,” disse Sirius.
Batté il piede per terra e trasalì, immaginando quanto infantile potesse sembrare. “Non sto scherzando!”
“Neanch’io,” disse, anche se con un sorriso che gli premeva la bocca. “Sono noto per aver fatto delle brutte decisioni da ubriaco – chiedi a Remus.”
“Passo.”
Sorrise alla sua risposta, ma riuscì a forzarsi a tornare sobrio prima di continuare, “Più della metà delle scopate che ho fatto erano mentre ero completamente ubriaco. Non è niente di cui essere orgogliosi, lo so, ma è un triste dato di fatto.”
“Se la cosa dovesse aver alcun senso…”
“Hermione,” disse l’uomo con serietà. “Sono andato a letto con il mio bel numero di donne, delle quali solo due pensavo potessi amare. Non sono così sciocco da pensare che per te sia la stessa cosa.”
Arrossì allo strano complimento che le stava rivolgendo. “Quindi, qual è il punto?”
“Il punto,” sorrise, “è che visto che sono andato a letto con così tante donne mentre ero ubriaco, se mi aspetto che tu venga a letto con me… è meglio che ti faccia sbronzare fuori ragione.”
La ragazza lo guardò, non certa se tirargli uno schiaffo o ridere. Era completamente serio nella sua proposta, il che era stranamente riguardoso per la sua visione personale sul sesso. Non era davvero il tipo da andare a letto con chiunque la guardasse con vago interesse. Era di gran lunga il suggerimento più rispettoso che avrebbe mai potuto farle, strano com’era.
“Quindi che dici?” ghignò. “Prossimo fine settimana – tu, io, una bottiglia di Ogden Stravecchio?”
Sbuffò. “Questa è la peggior frase da rimorchio di sempre.”
“Una volta ha funzionato,” si difese. “Ma tu sei mia moglie, teoricamente non dovrei usare alcuna frase da rimorchio con te.”
“Non significa che non apprezzi lo sforzo,” rise. “E lo apprezzo. Grazie.”
Sorrise, passandole un braccio intorno alle spalle mentre percorrevano il breve tratto che li separava dalla Torre di Grifondoro. “Vedrò di trovare qualche battuta migliore per la prossima volta.” Promise.
“Ottimo,” annuì. “Non ne userei proprio.”
“Perfettamente sensato,” concordò.
Erano di fronte alla Signora Grassa, che sembrava pronta a scappare dalla sua cornice. Sirius non era stato particolarmente gentile con la sua tela l’ultima volta che si erano incontrati, e lei non l’aveva ancora perdonato per il trauma che le aveva causato. “Parola d’ordine?” chiese con uno squittio impanicato.
“Semper mea,” disse Hermione, mordendosi il labbro per evitare di scoppiare a ridere per la donna, la quale aprì di tutta fretta il passaggio e corse al sicuro in un dipinto troppo alto perché Sirius potesse raggiungerlo.
“Buonanotte,” disse Hermione, facendo un passo verso l’entrata.
Più veloce della luce, Sirius la raggiunse e fece scontrare le loro labbra. Era come se fosse di nuovo il giorno del loro matrimonio, con lui che accorciava le distanze tra loro così velocemente da sottometterla con lo shock. Diversamente dal loro matrimonio, però, Sirius lasciò che la sua lingua si facesse strada oltre le sue labbra, stuzzicando la minuscola apertura finché non la lasciò entrare. Oh, aveva avuto ragione a pensare che fosse più bravo di Viktor. Era più bravo di gran lunga, così tanto che non voleva che si fermasse, e senza esserne cosciente gli mise le mani tra i capelli per evitare che scappasse.
Nonostante i suoi intrepidi sforzi, Sirius arretrò e le sussurrò sulle labbra. “Buonanotte, tesoro.”
“Mh-hm,” disse, restando lì stordita mentre lui se ne andava.
“Oh mio dio!” Squittì Lavanda, correndo verso di lei dal suo nascondiglio nell’ombra. “Questa è stata la cosa più eccitante di sempre! Ho appena lasciato Michael e non mi ha neanche baciata, figurarsi pomiciata fino allo stordimento. Sono così invidiosa, sei troppo fortunata!”
Le parole e la presenza della pettegola compagna spedirono sottoterra la sognante frastornazione di Hermione, che con un battito di ciglia tornò ad una realtà molto deludente. Ora sapeva che l’aveva baciata così solo perché l’altra ragazza li stava guardando. Si trattava di mantenere le apparenze, mantenere l’illusione.
“Già,” sospirò sconsolata Hermione. “Fortunata.”
 
 
 
 
*in inglese: “they gave us a deadline. A fucking deadline… literally!” Immagino che l’autrice abbia giocato con la parola, intendendo deadline come linea di morte, in quanto se non rispettassero la scadenza Sirius ed Hermione verrebbero sbattuti ad Azkaban e di conseguenza nelle mani di Voldemort, dunque sarebbero morti.


 

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Capitolo 15
*** Solo poco tempo ***


Come venerdì sera e la partenza di Hermione ticchettavano sempre più vicini, Lavanda prese l’abitudine di sedersi vicino alla ragazza nella sala comune. E in biblioteca. E al tavolo di Grifondoro nella Sala Grande. Le sussurrava ogni sorta di incoraggiamenti e consigli; la maggior parte dei quali erano ridicolmente sentimentali, anche se occasionalmente si avvicinavano al limite della volgarità.
“Un’altra cosa che ho letto in una rivista-“ iniziò Lavanda.
Hermione chiuse il suo libro di scatto. “Scusami, devo prendere un altro libro,” scattò, alzandosi in piedi e allontanandosi verso le scale del dormitorio delle ragazze più velocemente che poté.
Qualcuno bussò alla porta, e la testa di Ginny fece capolino prima che Hermione potesse rispondere. “Che fai?”
“Sto solo prendendo un altro libro,” rispose in fretta, arrossendo mentre si inginocchiava davanti alla sua libreria, certa che l’amica riuscisse a vedere attraverso la bugia. Si immerse tra i suoi libri, alla ricerca di qualcosa che la tenesse occupata nelle ore libere che le rimanevano quel pomeriggio. Aveva finito tutti i suoi compiti e i libri da leggere, e ancora aveva due ore da riempire prima dell’ultima lezione della giornata. Le sue dita toccarono una copertina familiare, un libro che aveva letto spesso e gradito. Era un libro Babbano, ma le dava una strana sensazione di magia. Lo prese dallo scaffale e si lasciò cadere sul letto per leggere.
“Non l’avevi appena finito?” indagò Ginny.
“Cosa? Amo questo libro,” insistette Hermione. Aprì la copertina, gemette e la richiuse di scatto.
“Un altro?” chiese Ginny con un’espressione di cortese curiosità, nonostante i suoi occhi bruciassero di contentezza.
“Come ci riesce?” si lamentò, ributtando il libro sul piumino. “Li ho controllati tutti, ma continuo a trovare manuali sul sesso.”
“Forse sgattaiola ogni qualche giorno,” suggerì l’amica. “Conosce i passaggi segreti dal villaggio, e non è difficile scoprire la parola d’ordine da qualcuno del primo anno.”
Hermione scosse la testa. Onestamente, non era un’esperta per quanto concerneva le abitudini di suo marito, ma sapeva che Sirius era scaltro e dignitoso abbastanza da non entrare nel castello per alterare i contenuti dei suoi libri solo per farla arrossire. Poteva averlo fatto una volta dopo aver visto la sua reazione al Kama Sutra, ma in continuazione… no, decisamente no.
“Probabilmente ci ha messo un incantesimo temporale o qualcosa del genere,” disse Ginny. “Quando raggiunge una certa data, si scambiano da un libro all’altro per sorprenderti.”
“Sono sicuramente sorpresa,” concordò solò in parte sarcasticamente. “E’ già abbastanza brutto avere Lavanda addosso sulla mia vita sessuale, non ho bisogno che me la ricordino anche i miei libri preferiti.”
Ginny si interruppe, prendendo un momento per pensare a come approcciare. “Hermione… a proposito di questo fine settimana… ho un regalo per te.” Tirò fuori un sacchetto da dietro la schiena. Il sacchetto di carta marrone era innocuo, senza loghi o marche scritte. “Fred e George hanno contribuito, ma non preoccuparti, non hanno idea di cosa mi hanno aiutata a comprare. Non voglio immaginare le conseguenze se sapessero che sono stata in un negozio simile.”
Un vago disagio s’impadronì di lei. Per che razza di regalo servivano soldi extra a Ginny? Che razza di regalo non voleva che scoprissero i suoi fratelli? Non certa di voler guardare, Hermione prese il sacchetto che le stava porgendo e lo aprì. Le parole le scapparono dalla bocca mentre guardava tra l’inorridito e l’affascinato i ridicolmente femminili strati di pizzo e nastro che le aveva comprato Ginny.
“E’ un regalo di matrimonio tardivo.”
Quello è per me?” riuscì a dire Hermione.
“Beh, probabilmente è più per Sirius, ma si.”
Hermione cercò di immaginarsi con… quello. La secchiona con i capelli crespi e i denti da castoro che indossava della lingerie così sexy. Era ridicolo.
“Non devi indossarla,” insistette Ginny. “Però portala con te. Non si sa mai…”
“Si che lo so,” disse, richiudendo con forza il sacchetto.
Ginny la squadrò come se fosse una psichiatra che studiava una paziente traumatizzata. “Hermione,” disse lentamente, sedendosi spaventosamente vicina a lei sul letto. Hermione si sentiva come se stesse rivivendo il mortificante pomeriggio in cui sua madre si era seduta a fianco a lei sul letto per spiegarle cos’era il sesso. Considerando quanto leggeva, non era sorprendente che a dieci anni avesse già saputo la teoria scientifica del sesso, completa di accurati diagrammi anatomici degli organi riproduttivi, ma avere sua madre che provava a spiegarglielo con pause imbarazzanti ed eufemismi floreali l’aveva trasformato da una basica funzione umana in qualcosa di imbarazzante.
Quello era ciò che ancora pensava del sesso; qualcosa che le persone facevano di nascosto e che non dovevano discutere in pubblico.
“Non ne voglio parlare,” disse con secchezza Hermione.
“Penso che dovresti,”
“No, non devo,” disse con tutta la fermezza che riuscì a trovare. “Andrò lì; ci ubriacheremo e faremo quel che dobbiamo fare.”
Ginny non provò neanche a lamentarsi. “Sei sicura che sia il modo in cui vuoi fare la tua prima volta? Voglio dire, certamente non saresti la prima ragazza al mondo a perdere la verginità bevendo troppo, ma di solito non è il genere di cosa che pianifichi!”
“Cos’altro posso fare?” gridò Hermione. “Non lo amo; di certo lui non ama me.”
“Ci hai provato?”
“Provato a far che?”
“Hai provato ad amarlo?” chiede Ginny. “E’ un ottimo partito. Dal mio punto di vista, ha tutto ciò che potresti mai desiderare. E’ anche piuttosto intelligente.”
Hermione alzò gli occhi al cielo. “Si, così intelligente che è riuscito a farsi incastrare per omicidio da un idiota come Minus.”
“Non cambiare discorso,” scattò. “Sirius è perfetto per te.”
“Non esagererei così,” temporeggiò Hermione. “E anche se fosse perfetto, io non lo sono.”
“Si, lo sei,” la rassicurò Ginny. “Hai solo bisogno di un po’ più di esperienza e fiducia in te stessa nella camera da letto. Forse è per questo che ti sta trasfigurando i libri.”
“Ha iniziato a farlo per ridere da prima dell’emendamento,” rispose con fermezza. “Non ha niente a vedere con noi che veramente lo facciamo.”
Ginny ghignò. “Ne sei sicura?”
Hermione si spostò, a disagio. Davvero non sapeva perché Sirius avesse deciso di nasconderle tutti quei manuali e trattati nei libri – quelli che leggeva di più oltretutto, quelli che era certa di riprendere in mano spesso. L’idea gli era di sicuro venuta in mente all’inizio del fidanzamento visto che li aveva comprati mesi prima che il Dannato Emendamento passasse. La sua bocca si spalancò al ricordo di uno degli elementi della sua lista di cose positive della vita di coppia, nonostante fosse un vanto calunnioso per tacitare James, che era l’avere le sue scopate. Aveva sempre avuto l’intenzione di andare a letto con lei?

“Vedi,” disse compiaciuta Ginny, come se sapesse esattamente a cosa stava pensando l’amica. “Ora, tu porterai il mio regalo con te e non ti ubriacherai per scopare come una puttana qualunque.”
“Sarebbe più semplice,” borbottò Hermione, nascondendo quella sottospecie di biancheria di pizzo nel fondo della sua borsa.
“E da quando sei quella che sceglie la via facile?”
Hermione guardò la ragazza più giovane, notando con un mix di sentimenti contrastanti le sue braccia incrociate e le sopracciglia sollevate. L’orgoglio per i suoi successi era secondo solo alla nausea mentre considerava il complimento e la sfida che Ginny le aveva suggerito. Era vero, di rado aveva scelto la strada più facile, decidendo di studiare in una scuola magica quando i suoi genitori l’avevano pregata di iscriversi in una normale, di studiare qualcosa che capissero, offrendole anche di spedirla nell’istituto più caro e prestigioso del paese. Era rimasta fedele al suo atteggiamento ostinato e prepotente, anche quando era stato la causa del suo rimanere senza amici. Si era scontrata con i suoi stessi migliori amici quando le loro azioni erano diventate troppo stupide o li avevano messi in pericolo. No, Hermione Jean Granger non aveva mai scelto la via più facile, quindi perché Hermione Jean Black avrebbe dovuto essere diversa?
Tra l’altro, ragionò, Sirius era riuscito a farli completamente ubriacare la notte del loro matrimonio e non era successo nulla più della rimozione della sua stessa giarrettiera. Il ritratto di James Potter l’aveva informata, con aria particolarmente offesa e insoddisfatta, che la coppia si era coccolata e aveva ridacchiato ma non un bacio era stato scambiato fra i due. Con la sua fortuna si sarebbero ubriacati e avrebbero rifatto esattamente la stessa cosa, finendo entrambi ad Azkaban perché era passato il termine mentre loro avevano le teste infilate nei rispettivi gabinetti.
“Odio Voldemort,” sospirò.
“Dovrei prenderlo come un sì?” ghignò Ginny.
“Si,” replicò seccamente Hermione, buttando il libro nella sua borsa. “Sarà meglio che Sirius lo faccia tornare come prima,”
Ginny continuò semplicemente a ghignare e lasciò Hermione sola a finire di fare i bagagli, cosa che fece in tempo record, lasciandole un’altra ora prima di Aritmanzia. Sirius era riuscito a nascondere i manuali in tutti i suoi libri preferiti, quindi non aveva nient’altro che sesso da leggere. Mentre non l’avrebbe mai ammesso a lui né a nessun altro, aveva letto alcuni del libri che aveva magicamente aggiunto alla sua collezione. Dopo le descrizioni grafiche del sesso nel Kama Sutra, gli altri libri con cui si era scontrata erano molto meno scioccanti ed avevano informazioni che aveva trovato sinceramente interessanti. Aveva apprezzato in particolar modo l’opera di Tara Tember sul perché le così chiamate pozioni d’amore non fossero in grado di forzare veri sentimenti amorosi nel bevitore.
Dato che non c’era nessuno a vederla, prese Storia di Hogwarts e iniziò a rileggerlo. Trascorse mezz’ora, maggior parte della quale con la testa piegata a metà, chiedendosi se il corpo umano fosse davvero capace di simili contorsioni, prima di rimettere il libro nella valigia stracolma e correre a lezione.
Purtroppo, la Professoressa Vector assegnò una pagina di calcoli che Hermione aveva già completato di suo, quindi non ebbe niente con cui tenersi impegnata in classe e finì per scandagliare tutti i possibili scenari che si sarebbero potuti presentare nel giro di qualche ora. Nessuno di questi sembrava probabile e tutti figuravano una Hermione molto più attraente di quanto non fosse realmente. Realizzando quanto sciocco fosse sognare ad occhi aperti così, aprì il libro all’ultimo capitolo e cercò l’esercizio più difficile per tenersi occupata la mente.
“Impressionante, Signora Black,” commentò Vector passandole affianco. “Dovrei pensare che insegnerà questa materia entro breve. Niente compiti per lei, dunque.”
“Oh, no professoressa,” disse preoccupata. “Non c’è niente di più avanzato su cui potrei fare pratica?”
“Vedrò cosa posso trovare per la prossima volta,” sorrise la donna, continuando a fare il giro.
Hermione sprofondò nella sedia. Aveva sperato di avere dei compiti con cui tenersi impegnata per almeno una parte di fine settimana. Ora come avrebbe fatto ad evitare Sirius? Mentire sembrava un’opzione ragionevole, eccetto per il fatto che sospettava che, essendo lui un combina guai nato, avrebbe facilmente visto tra le sue bugie.
‘Ti sta bene per aver fatto tutti i tuoi compiti così velocemente,’ si rimproverò da sola. ‘Ora non hai altra scelta se non passare il tempo con lui.’ Era vero, avrebbe dovuto sapere che finire i compiti quando aveva bisogno di qualcosa con cui tenersi distante da Sirius nel fine settimana non fosse una buona idea. Non poteva neanche ripiegare sui libri, perché Sirius vedendola leggere avrebbe saputo cosa si nascondeva dietro le innocenti copertine.
‘Cretino,’ ringhiò, nonostante lui fosse a centinaia di miglia di distanza e ignaro delle sue maledizioni. ‘Non potevi lasciare le mie cose in pace, vero? Dovevi per forza prendermi in giro.’
Si interruppe per pensare alla pulce che Ginny le aveva messo prima, chiedendosi se forse Sirius non avesse veramente avuto l’intenzione di andare a letto con lei da quando il matrimonio era stato organizzato. Sembrava improbabile. Non aveva mai mostrato particolare attaccamento nei suoi confronti prima del fidanzamento, dopo del quale l’aveva trattata allo stesso modo. Non aveva mai insinuato o suggerito o anche chiesto niente. Le sue mani non si erano mai allungate. L’aveva baciata solo quando era stato necessario. ‘O forse è solo un cretino che si diverte a farmi dannare.’
Si interruppe, ‘Ma sono stata dannata?’
Si, pensava di esserlo. Fissò il suo libro per un po’, pensando alla fonte della sua rabbia e agitazione, sapendo che a discapito di quanto ci provasse a crederci, Sirius non ne sarebbe mai stato la causa.  . Subdoli libri sul sesso a parte, le sue azioni fino ad ora non avevano fatto altro che metterlo in buona luce. Era stato carino.
‘Lui è carino,’ si ritrovò a pensare, qualche porzione del suo cervello chiaramente contagiata dai suggerimenti di Lavanda e i punzecchiamenti di Ginny.
‘E’ di mio marito che stai parlando!’ protestò veementemente Hermione, rabbrividendo subito dopo. Stava urlando a se stessa per aver pensato che suo marito fosse attraente. La Dannata Legge la stava facendo diventar matta. Questo era quanto. Anche se significava prendere una passaporta direttamente per la camera di Sirius, la lezione non riusciva a finire abbastanza in fretta dopo questo piccolo crollo nervoso.
 
 

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Capitolo 16
*** Venerdì sera ***


Fece un respiro profondo, gli afferrò il braccio e aspettò che finisse. Il quasi inudibile ‘pop’ le giunse all’orecchie e sentì la spiacevole sensazione di compressione prima che un altro ‘pop’ segnalasse il loro arrivo.
“Facciamo in fretta,” disse, tenendo ancora la bacchetta pronta e una mano sospesa qualche centimetro dalla sua schiena. Hermione si sbrigò a salire i gradini che portavano al Numero 12 di Grimmauld Place, fiancheggiata da Remus e Tonks. Le sembrava come se fosse di nuovo l’estate segreta prima del quinto anno.
“Bentornata!” Esclamò James non appena la porta si chiuse dietro di loro. “È da tutta la settimana che ti aspetto!”
“Grazie, ma perché?” domandò.
James ghignò, gli occhi brillanti di gioia sfrenata.
“Sta bene?” sussurrò a Remus.
“Si,” la rassicurò. “E anche se così non fosse, è un dipinto.”
“Oi! Potrò anche esserlo, ma posso ancora sentirti, Lunastorta!” James fece un gesto scortese al vecchio amico e marciò fuori dalla cornice.
“È così da tutta la settimana,” li informò Sirius, scuotendo la testa con tristezza.
Malgrado tutta la riflessione che aveva fatto su quel fine settimana, Hermione si ritrovò incapace di pensare, agire o parlare una volta confrontata con suo marito. Sirius stava appoggiato con disinvoltezza al muro, non facendo niente che avrebbe potuto lasciarla così svampita, ma il suo cervello aveva balbettato fino a spegnersi, fallendo nell’impresa di inviare un messaggio ai suoi piedi finché Tonks non la urtò apparentemente per sbaglio.
“La cena è pronta?” chiese con scioltezza la donna.
Sirius sorrise. “Il mio famigerato pasticcio di carne ubriaco è pronto quando lo siete voi.”
Un gridolino eccitato sfuggì a Tonks, che gli passò affianco correndo per reclamare il suo posto a tavola.
“Hai cucinato tu?” chiese Remus, sconcerto e preoccupazione pesanti nella sua voce.
“Il pasticcio di carne ubriaco è qualcosa che anche io non posso far male, Lunastorta.” Sirius scrollò le spalle, “E inoltre Kreacher è stato un po’ giù dal matrimonio.” Non diede loro ulteriori informazioni né compassione verbale per la creatura che l’aveva quasi ucciso, ma il fatto che Sirius avesse anche notato un cambiamento nel suo servo, che stesse cucinando da sé piuttosto che forzare l’elfo domestico a farlo quando non stava bene la diceva lunga per Hermione.
Seguì Remus attraverso la cucina e si sedette nell’unica sedia rimanente, che capitò essere molto vicina a quella di Sirius. Trovava il rimpicciolimento del tavolo e il posizionamento delle sedie piuttosto sospettoso, ma si rifiutò di iniziare il fine settimana col piede sbagliato.
Sirius le diede un colpetto al braccio. “Te l’avevo detto,” sussurrò, facendo un cenno con la testa all’altro capo del tavolo.
Seguì la direzione del suo subdolo gesto, guardando Tonks avvicinare la sedia ad un Remus arrossito, e il suo braccio sparire sotto al tavolo per appoggiarsi sulla gamba dell’uomo. Era la prima volta che Hermione li vedeva interagire privatamente, e si chiese se Tonks aveva flirtato con così poco pudore anche al matrimonio. Anche mentre li guardava, Remus si girò per guardare la donna di fianco a lui. Non dissero niente. A quanto pareva, non ce n’era bisogno. I loro occhi si incontrarono per molti, lunghi secondi, ed Hermione seppe che erano innamorati. Erano tanto diversi quanto umanamente possibile; potevano provare a litigare con i numeri e la ragione, ma ancora si amavano l’un l’altra.
“Un lupo mannaro e una mutaforma… riesci ad immaginare i loro figli?” le sussurrò Sirius nell’orecchio, facendola sorridere anche mentre scuoteva la testa. Lui si rischiarò sonoramente la voce, interrompendo Tonks e Remus prima che iniziassero a sbaciucchiarsi a tavola. “Quindi, Lunastorta, come sta venendo il libro?”
Remus staccò lo sguardo dalla donna di fianco a lui e rimise a fuoco la sua attenzione. “Lentamente, molto lentamente.”
“Libro?” chiese Hermione.
Siamo riusciti a convincere il buon Professor Lupin qui a scrivere un libro sui lupi mannari,” disse Sirius.
“Davvero?” sorrise. “È fantastico! Non crederesti a certa spazzatura che hanno pubblicato. Ero al Ghirigoro questa estate e il numero di libri veramente utile che hanno sulla licantropia è pietoso… ma sospetto che tu già lo sappia.”
Remus annuì e sorrise nel suo solito modo tranquillo e divertito. “L’ho notato,” ammise. “Rende le probabilità che qualunque cosa scriva venga pubblicato piuttosto basse.”
“Non ricominciare,” lo mise in guardia Sirius. “Sempre le stesse polemiche. Sono ricco, dannazione. Comprerò una casa editrice se devo.”
“Esibizionista,” borbottò Hermione, facendo ridere Tonks e Remus.
“Oi! Non si ride di me in casa mia! Quella era la Regola Numero Due.”
Le loro risa riempirono la cucina, eliminando il rimasuglio di disagio che ancora attanagliava le spalle di Hermione. La fulminò, ma poteva vedere che era una sceneggiata.
“Fantastico pasticcio,” commentò.
“Oh, adesso mi stai trattando con condiscendenza.”
Lei boccheggiò teatralmente. “Non oserei mai fare l’accondiscendente con un uomo come te!”
Sbuffò e aggrottò le sopracciglia, “Secchiona.”
“Cretino.”
“Dateci un taglio, voi due,” ordinò loro Remus.
Ghignando, Hermione riportò l’attenzione alla cena, che davvero era ottima. Se la cavava in cucina, a patto che avesse una ricetta da seguire, ma se questo era indice delle capacità culinarie dell’uomo gli avrebbe volentieri donato spatola e grembiule.
“Ooh,” esclamò eccitata Tonks. “Mi sono appena ricordata, Ginny ti ha già dato quel regalo di nozze tardivo?”
Strabuzzò gli occhi. Cercò di forzarli a una misura ragionevole, meno simile a dei fari, ma rimasero spalancati. Come voleva poter spedire i suoi pensieri all’altro capo del tavolo alla donna, dirle di smetterla di parlare di cose simili. L’ultima cosa che voleva era che Sirius scoprisse di quella ridicola specie di biancheria che non aveva alcuna intenzione di mettere.
“Regalo?” chiese Sirius.
Tonks annuì. “Beh, l’ho aiutata a scegliere e ti ho comprato qualcosa da abbinarci. Te lo darò più tardi.”
Sirius si accigliò e guardò le due, forse pensando che se avesse studiato le loro facce abbastanza a lungo, altre informazioni si sarebbero automaticamente presentate. “Che regalo?”
“Niente,” risposero in coro.
“È chiaramente qualcosa,” disse. “Cos’è? E perché non sono coinvolto?”
“Forse perché ti stai comportando come un bambino,” suggerì Tonks.
“Non è vero.”
La donna gli rispose trasformando il naso in un grugno e facendogli la linguaccia.
A cuor leggero com’era la conversazione che venne poi, l’umore di Hermione si rabbuiò di nuovo, facendole perdere l’appetito. Tutto ciò che riuscì a fare per il resto della cena fu spostare gli avanzi di pasticcio intorno al piatto. Se se ne accorsero, gli altri decisero di non commentare.
 “Tè?” chiese Remus.
“Per me si,” disse Tonks. “Lasciamelo nella teiera, porto su Hermione per un minuto.” Fece di fretta il giro attorno al tavolo, agguantò la ragazza e scappò dalla cucina prima che nessuno dei due uomini potesse protestare. La spinse su per le scale e nella stanza della ragazza, chiudendola, silenziandola e circoscrivendola prima di rigirarsi verso di lei. “Regali!”
Tonks si accucciò sotto al letto per tirarne fuori un sacchetto identico a quello che le aveva dato Ginny. L’apparentemente innocente carta marrone non la ingannava più; sapeva che genere di affari di pizzo erano probabilmente nascosti dentro.
“Davvero non dovevi,” disse, ma le sue deboli proteste furono perse nell’entusiastica spiegazione della donna sulla decisione di quale colore le sarebbe stato meglio.
“Ginny voleva andare di Grifondoro scarlatto, ma non penso sarebbe stato adatto,” disse la donna. “Voglio dire, è un colore piuttosto audace – non che tu non lo sia – ma in termini di lingerie, non era proprio per te. Oltretutto sei praticamente una Corvonero, quindi ho immaginato che il blu ti sarebbe piaciuto di più. C’è voluto del tempo, ma Ginny ha finalmente visto ragione.”
Hermione si fece cadere sul letto, certa che sarebbe stato una lunga storia, “Davvero?”
“Sono piuttosto convincente quando voglio esserlo, sai,” disse fieramente. “Ma poi non riuscivamo a decidere il taglio. Siamo andate in tre diversi negozi e ancora non riuscivamo a scegliere! Come fanno i Babbani senza trasfigurare la roba?”
Smise di ascoltare. La sua testa annuiva e dalla sua bocca uscivano ‘hm’ ad intervalli appropriati, ma non aveva idea di cosa stesse ancora parlando la donna, solo che risultava in venirle dato una serie di giarrettiere a nastrini e reggicalze che non aveva alcuna intenzione di indossare per nessuno, mai. Il suo cervello era ancora in modalità pilota automatico ben dopo che Tonks l’aveva lasciata, e aveva tutta l’intenzione di lasciarlo così. Erano rari e preziosi i momenti in cui il suo cervello taceva e la lasciava non pensare, ed ultimamente aveva avuto parecchie cose a cui avrebbe tanto voluto non pensare, delle quali non ultima era la ridicola biancheria di cui Ginny e Tonks avevano deciso avesse bisogno. Aveva intenzione di godersi ogni beato momento di vuotezza prima che la realtà della scadenza tornasse su di lei.
Dopo diverse ore passate a guardare la macchia sul tappeto che sembrava allo stesso tempo un bufalo indiano e un cavalluccio marino, a seconda di come girava la testa, il suo stomaco la riportò al pensiero cosciente. Aggrottando la fronte, discese le scale. La casa era scura; probabilmente era abbastanza tardi da essere già sabato, poiché di rado Sirius andava a dormire prima di mezzanotte quando aveva ospiti. Il suo cipiglio diventò più profondo mentre pensava a quando e come avesse assimilato quella banalità, dato che non aveva mai avuto intenzione di imparare le abitudini notturne di Sirius.
Aprendo la porta della cucina, barcollò fino a fermarsi. La luce era accesa e qualcuno stava frugando nella ghiacciaia. Tentò un passo in avanti, “Ciao?”
“Ah, Hermione,” disse Remus allontanandosi dalla portina del frigo ancora aperto.
Alla vista della quantità di cibo tra le sue braccia le si spalancò la bocca. “Come puoi essere così affamato?”
“La luna piena è domani,” scrollò le spalle.
“Oh.”
Prendendo il suo posto davanti al frigorifero aperto, guardò gli scaffali in cerca di qualcosa di appetitoso, decidendosi per il pollo arrosto.
“Quindi… come va?” le chiese con vaghezza.
“Come pensi che vada?” replicò cupamente, buttando il pollo arrosto sul bancone e scolpendolo mentre s’immaginava di fare lo stesso con i dipendenti cerebrolesi del Ministero che erano stati manipolati per far passare un simile abominio.
“Non bene, immagino,” borbottò. “Quel pollo ti ha offesa?”
Diede un’occhiata, e vide che aveva infilzato il pollo nel petto. “Tutta questa situazione continua a peggiorare. È già abbastanza brutto venire forzati a sposarsi, ma…” Gemette, estraendo il coltello dalla carcassa.
“Hermione,” disse con gentilezza. “Sei una strega brillante. Di certo vedrai la necessità in questo.”
“La vedo…” sospirò. “È solo che non ho mai… E non è esattamente qualcosa che posso imparare da un libro, no?”
Si massaggiò nervosamente la nuca, arrossendo. “Rimarresti sorpresa.”
Dopo un momento di riflessione, scoprì che aveva imparato un bel po’ dai libri che Sirius le aveva irriverentemente nascosto tra gli scaffali. In ogni caso, era più simile al volare su una scopa che Erbologia; il solo leggere il libro l’avrebbe aiutata fino a un certo punto.
“Senti,” disse Remus una volta svanito il suo dolce imbarazzo. “Pensalo come un’altra materia che devi imparare. Quando si tratta di questa materia in particolare, sospetto che ti sarebbe difficile trovare un insegnante migliore di Sirius. Ha speso più della sua buona dose di tempo in camera da letto.”
“Stai insinuando che sono uno facile, Lunastorta?” domandò Sirius entrando in cucina. La sua voce era dura, ma c’era un sorriso familiare sulle sue labbra.
Remus scosse la testa. “Nessuno oserebbe chiamarti un appuntamento a buon mercato. Ricordo una Silvia Dunn, che al settimo anno ha speso una fortuna per comprarti una giacca di pelle a Natale solo per attirare la tua attenzione. Povera ragazza.”
“Povera ragazza?” ripeté Sirius, scandalizzato. “Povero me! Aveva cosparso quell’affare di pozione libidinosa. Non sono riuscito a ragionare per un mese!”
Hermione rise. C’erano alcune ragazze ad Hogwarts che riusciva ad immaginare fare tali bravate.
“Non si ride di me nella mia stessa casa, dannazione,” li fulminò entrambi. Solo per questo, mi dovete un panino.” Batté la mano sul bancone come se fosse il Supremo Pezzo Grosso stesso.
“Chi di noi?” chiese Remus.
“Entrambi!”
“Beh, ora stai facendo l’idiota.”
“La mia casa, le mie regole. Ridete di me, mi fate un panino,” la sua dichiarazione solenne avrebbe potuto fare più impressione se la sua faccia non si fosse rotta in uno sbadiglio nel mezzo.
Remus scosse la testa. “Forse invece dovresti andare a dormire.”
“Questo ha l’aria di essere un piano migliore,” concordò. “C’è un sacco di spazio nel caso qualcuno avesse freddo stanotte.” Con questa strana offerta ad aleggiare nell’aria, guardò Hermione e se ne andò.
 
 

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Capitolo 17
*** In mutande ***


‘Entra e basta!’ si sgridò Hermione.
La sua mano era posata sulla maniglia della stanza di Sirius, ma, per quanto urlasse, pregasse, ragionasse o cercasse di autoconvincersi, la sua mano non riusciva a girarla. Quello era il suo quinto tentativo, e, come i precedenti quattro, tirò via la mano dalla porta e scappò in silenzio nella sua camera.
“Entra e basta!” Sussurrò con furia a se stessa. “Afferra, gira, spingi. Non è complicato! Probabilmente sta dormendo. Non saprà neanche che sei lì fino a mattina.” Guardò l’orologio. “Sono le cinque del mattino. Si sveglierà presto.”
Non certa se l’imminente alba fosse un fattore positivo o negativo alla sua polemica, iniziò ad fare avanti e indietro per la stanza. Sirius non avrebbe fatto quell’offerta se non avesse voluto che venisse, ma quando l’aveva detto era chiaramente mezzo addormentato e leggermente ubriaco. Quindi c’era una possibilità che le parole gli fossero uscite di bocca senza che lo realizzasse. Però, se erano scaturite dal suo cervello semi conscio, non le rendevano per questo ancora più sincere? Quando finalmente riuscì a decidere che la sua offerta di condividere il letto quella notte era stata fatta con intenzione, erano passate le sei e la luce nebulosa che anticipava l’alba stava iniziando a fare capolino all’orizzonte.
Raddrizzò le spalle e si impresse sulla faccia la massima determinazione. “Ultima chance, Hermione.”
Aprì la porta, marciò per il corridoio fino alla sua stanza, afferrò la maniglia di ottone antico e l’abbassò prima di avere l’opportunità di ripensare a quello che stava facendo. Aprì la porta di una fessura, sbirciando oltre. La stanza era piena di lunghe ombre, ma dopo un momento riuscì a distinguere il mobilio dal pavimento; Sirius che si rotolava l’aiutò in maniera considerevole a determinare dove fosse il letto.
Il suo muoversi nel sonno lo fece rotolare sotto ad un raggio di luce, e mugugnando quando questi lo colpì negli occhi, Hermione andò nel panico. ‘Niente maglietta. E se non avesse i pantaloni? E se fosse nudo?’
Fuggì correndo per l’ultima volta nella sua stanza, seppellendosi nei soffocanti e pesanti strati di coperte per compensare quelli mancanti a Sirius. Nascosta tra le lenzuola insopportabilmente calde, provò ad immaginar cosa sarebbe successo se non avesse passato ore a fare un andirivieni terrorizzato prima di riuscire a confrontarsi con la sua stanza, se fosse riuscita ad aprire la porta la prima volta che l’aveva avuta davanti cinque ore prima. Sirius sarebbe stato sveglio? Sarebbe stato in sua attesa? E se fosse stato nudo?
“Non posso farcela,” gemette, schiacciandosi il cuscino sulla testa, serrando gli occhi e lasciandosi, finalmente, lasciarsi rapire dal sonno.
 
 
“TROVATA!” Urlò qualcuno dalla sua stanza, facendo svegliare all’improvviso la povera ragazza.
Dei passi rimbombarono nel corridoio e la sua porta si aprì di scatto. “Dov’è?” Domandò Tonks.
“Lì,” disse James.
“Chi?” chiese Hermione.
“Tu!” Replicò Tonks, stringendola in un abbraccio soffocante. “Ti ho cercata dappertutto!”
Quando finalmente la lasciò andare, Hermione strizzò gli occhi per la luce troppo forte, cercando di mettere a fuoco il volto della donna. “Dove altro dovrei essere?”
“Con Sirius,” disse, come se fosse un’ovvietà. “Ma ha detto di essersi svegliato da solo. Non ti abbiamo vista sotto tutte le coperte, quindi abbiamo pensato che ti fossi fatta prendere dal panico e fossi scappata. Sirius e Remus ti stanno cercando per tutta Londra.”
“Questo è ridicolo,” disse la ragazza, lasciandosi ricadere sul cuscino. Aspettò che Tonks continuasse, ma seguì solo il silenzio. Lo sguardo della donna la trapassò, facendo sperare Hermione che dicesse qualcosa piuttosto che guardarla solamente.
“Quindi cos’è successo?” Chiese Tonks dopo che il suo scrutinio non riuscì a fornirle informazioni adeguate. “Ovviamente non sei andata in camera di Sirius stanotte.”
 
“Ci sono andata,” Insistette Hermione. “Solo non sono andata oltre la porta.”
La donna rise.
“Che c’è? Ho solo… Hai ragione; sono andata nel panico.”
“Lo immaginavo,” disse Tonks, facendola tornare seduta così da avvolgerla in un altro abbraccio stretto, quest’ultimo molto più piacevole del primo.
Hermione affondò il viso nella spalla della donna. “Non avevo mai davvero pensato a come sarebbe stata – la mia prima volta – ma non avrei mai potuto prevedere che sarebbe stata sotto minaccia di carcerazione.”
“Diavolo,” borbottò James. “Come puoi essere così mostruosamente articolata non appena ti svegli?”
La ragazza scoppiò in una risata amara. “Lo prenderò come un complimento.”
“Dobbiamo contattare i ragazzi,” disse Tonks. “Potrebbero essere dovunque, ormai. Penso che Sirius possa essere andato ad Oxford pensando che ti nascondessi lì.”
“Che?” chiese lei. “E come avrei potuto andare così lontano? Non posso neanche smaterializzarmi.”
Tonks la guardò di sbieco. “Se qualcuno potesse, saresti tu.”
Hermione schioccò la lingua. Era un complimento e avrebbe dovuto apprezzarlo, ma era ancora bloccata al pensiero ridicolo che Remus e Sirius la stessero cercando per tutta l’Inghilterra, quand’era nel suo letto a sole tre porte da quella di Sirius.
“Perché sono andati nel panico, comunque?”
“Davvero non lo sai?” Questa volta fu James a guardarla storta. “Si arrabbierà molto con me per avertelo detto…” disse il ritratto, avvicinandosi per quanto gli era possibile dal suo posto nella tela incorniciata, sussurrando, “In questo momento Sirius si sente un po’ insicuro.”
Hermione sbuffò. “Sirius non è insicuro.”
“Oh, si, lo è,” disse, come se avesse a che fare con un’idiota. “Ti sei rifiutata di fare sesso con lui… il che è una ferita enorme per il suo ego.”
“Che sciocchezza.”
James rise, derisivo. “Non dovresti essere intelligente?”
Hermione si scrollò via Tonks, fulminandolo.
“Lasciami tradurre il tuo rifiuto in termini semplici che tu possa comprendere,” disse, schiarendosi la gola e continuando con un tono alto e chiaro. “Il Ministero dice, ‘Fate sesso o finirete ad Azkaban’. Sirius ti offre il suo letto per la notte, indi: sesso, e tu non ti presenti. Quel che significa è che preferiresti andare ad Azkaban e finire nelle mani di Voldemort piuttosto che andare a letto con Sirius.”
I suoi occhi si assottigliarono mentre prendeva in considerazione James e le sue affermazioni. Non stava ghignando e i suoi occhi non avevano il solito luccichio da misfatto, ma non poteva, neanche per un secondo, riuscire a credere che quel che aveva detto fosse vero. Non era possibile che Sirius prendesse il suo terrore virginale e le sue proprie paure personali come qualcosa di diverso da quel che realmente erano. “Sciocchezze,” ripeté.
“Sei ufficialmente un’idiota,” la informò James. “Ora, se puoi scusarmi, penso che andrò a cercare mia moglie e dire a tutti di smettere di cercare visto che l’idiota è stata trovata.”
Hermione si girò verso Tonks, aspettandosi di vederla dire più o meno le stesse cose, ma questa sprizzava eccitazione proprio come la notte prima.
“Che c’è?” chiese nervosamente la ragazza.
“Ho un’idea,” disse lei, mordendosi il labbro per trattenersi dal trillare. “Forse se ti sentissi più sexy sarebbe più semplice. Ricordo che il mio primo tentativo è stato molto imbarazzante, ma la volta dopo mi sentivo una bomba sexy, il che ha reso tutto molto più piacevole.”
“La tua prima volta è stata imbarazzante?” chiese Hermione. Stranamente, non aveva mai pensato di parlare con Tonks della sua situazione. La donna aveva molta più esperienza di Ginny, quindi sarebbe stata capace di darle consigli più realistici senza sembrare troppo come sua madre o la signora Weasley.
“Oddio, troppo imbarazzante!” Gemette, coprendosi il volto. “Era un ragazzo del sesto anno che rimarrà anonimo; ho avuto una cotta per lui per mesi nonostante io fossi di un anno più grande. Ci siamo messi assieme alla Festa di Halloween e siamo andati nel suo dormitorio; abbiamo passato un’ora a limonare e ad armeggiare con i vestiti dell’altro. Finalmente ero completamente nuda, distesa sul suo letto…” Si interruppe per scuotere la testa al ricordo, “e vomitò alla vista!”
Hermione spalancò la bocca, “Scherzi.”
Lei scosse nuovamente la testa. “Scappò dalla stanza con i pantaloni alle caviglie. Gli ci volle un mese per convincermi a dargli un’altra chance.”
“Cosa successe?”
“La mia amica, Portia, mi fece credere che fossi una dea del sesso per averlo fatto reagire così, quindi andai pensando di non poter sbagliare,” rise Tonks, ripensando alla sua sciocchezza. “Non la volta migliore, ma di certo la più memorabile.”
“Oh,” disse Hermione. Non era del tutto sicura che il racconto della donna fosse applicabile alla sua situazione, ma era disposta ad ascoltarla. “E qual è la tua idea?”
“Visto che probabilmente non mi crederai se ti dico che sei una dea del sesso, hai bisogno di qualcos’altro che ti ci faccia sentire. I regali di matrimonio che Ginny ed io ti abbiamo dato,” disse con un sorriso. “Indossali.”
I suoi occhi si spalancarono all’idea di andare in giro con una cosa simile. “No, non credo di poterlo fare.”
“Hermione, sono solo mutande.”
“Fate di quasi solo pizzo, con nastrini e robe simili,” scosse la testa. “Non sono per me. Sono… delicata.”
“Bene, dunque,” sospirò Tonks. “Non ho altre idee. Quel che funziona per me, chiaramente non funziona per te.”
“Apprezzo lo sforzo. Davvero,” disse Hermione. Tonks fece un cenno col capo e tornò giù dalle scale, sicuramente per comunicare a Sirius e Remus che Hermione era viva e vegeta. Nuovamente da sola, Hermione iniziò a sentirsi in colpa per non star prendendo i consigli della sua amica più seriamente. Nonostante fosse completamente fuori strada rispetto a quel che Hermione fosse disposta ad indossare sotto ai vestiti, Tonks e Ginny avevano speso parecchio tempo, denaro e ingegno per comprarle quella biancheria.
 
Scavò nel fondo del suo baule, tirandone fuori il regalo di Ginny, stendendolo sul letto e valutandolo seriamente per la prima volta. Per quanto riguardava le mutande, non erano di certo le peggiori che avesse mai visto. Erano piuttosto carine e coprenti in tutti i punti che avrebbe voluto tenere coperti. Era la trasparenza del pizzo ciò che davvero la preoccupava.
“Oh, provali e basta,” disse Lily, esasperata.
Hermione emise un gridolino, girandosi di scatto. “Per quanto tempo sei stata lì?”
“Abbastanza a lungo da vederti fare la lista di pro e contro dell’indossare mutandine di pizzo,” disse la donna, con un sorriso a prendere posto sul suo volto austero. “Da quanto sembrava stavano vincendo i pro. Sbaglio? No di certo.”
“Forse,” la guardò torva la ragazza. “Ma i contro sono drasticamente appesantiti dall’imbarazzo.”
“Cosa c’è di così imbarazzante? Sono mutande. Sono fatte di pizzo. E allora?” Chiese Lily. “Per la mia prima notte preferirei senza dubbio indossare qualcosa di speciale che le mie noiose mutande e reggiseno da tutti i giorni. In effetti penso di aver avuto qualcosa di speciale per ogni giorno della luna di miele. James l’ha adorato.”
Hermione scoppiò in una risatina. “Ginny ha detto che era più un regalo per Sirius…”
“Ed aveva ragione,” disse Lily. “Ma immagino che tu non abbia mai avuto biancheria speciale. Aiutano molto a prepararti mentalmente. Mettiteli e basta. Vedrai.” Con questo uscì dalla cornice, canticchiando una melodia compiaciuta.
 
Ogni femmina a cui aveva osato chiedere aveva insistito che mutandine simili erano perfettamente accettabili. Più che accettabili, erano necessarie. Si accigliò, infilandosele nella tasca della vestaglia, ritornando poi in camera sua per cambiarsi. Sapeva, però, che doveva dare una chance al consiglio, così si sfilò la sua normale biancheria.
I nastrini che decoravano le mutande avevano senso; il satin evitava che l’elastico le pizzicasse la pelle mentre se le faceva scivolare lungo le gambe.
Quindi un punto tolto da quelli a sfavore.
Analizzando il suo riflesso, era sorpresa di vedere che il taglio non era per nulla imbarazzante. Okay, mostravano più pelle di quanto non fosse abituata, ma le avrebbe tollerate con gioia se fossero state di pieno cotone.
E con questo era un’altra delle sue proteste.
Il pizzo, però, era ancora un po’ un punto critico. Non trovava motivo per farselo piacere e si rifiutava di cedere sul suo scontento. Sfortunatamente la lista di contro era a corto di due punti. Oltretutto, se n’era aggiunto uno ai pro. Doveva ammettere che quella biancheria la facesse sentire carina e che stesse indossando qualcosa di speciale. Avvolta nella sua vestaglia, una sensazione di eccitazione si aggiunse al mix. Nessuno sapeva che razza di mutande stesse indossando. Aveva un segreto sexy e di pizzo di cui era l’unica a sapere. Tonks e Ginny l’avevano incoraggiata, ma non potevano immaginare cosa ci fosse sulla sua pelle. Una volta tornata nella sua stanza, diede ai nuovi regali la giusta considerazione.
“Decisamente no,” decise, riponendo tutto il resto nell’innocente sacchetto marrone. Si mise uno dei suoi normali reggiseni bianchi, per poi accigliarsi alla visione di sé stessa.
Non combaciavano.
Poche persone sapevano che l’organizzazione compulsiva di Hermione arrivava anche al punto di coordinare l’intimo. Vedere il reggiseno bianco e le mutandine di puzzo blu gridare il loro sbilancio di stile e lussuosità era troppo. Si tolse il reggiseno, lo lanciò nella valigia, e strappo il corpetto di pizzo abbinato dal sacchetto. “Tanto vale farlo bene,” sospirò, allacciando i vari gancetti.
 
 
 
 
Scusate ragazzi, sono andata in vacanza ed è iniziata la scuola, e mi sono concessa di oziare un po’. Non aggiornerò spesso come questa estate, ma neanche lentamente come ho fatto per questo capitolo. Sperando che vi piaccia, XX
 
 

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Capitolo 18
*** Presunzioni ***


Hermione scosse le spalle e i fianchi; se qualcuno l’avesse guardata avrebbe potuto pensare che stesse danzando a rallentatore su una melodia che solo lei sentiva, ma la realtà era che percepiva la biancheria estranea sotto ai jeans e al maglione. Nonostante i suoi vestiti apparissero normali, le davano una strana sensazione. Ogni volta che si muoveva, sapeva che c’era qualcosa di diverso.
“Avevano ragione,” ammise sottovoce Hermione alla cucina vuota.
Era vero ciò che Lily e Tonks avevano detto. La facevano sentire speciale. La facevano sentire bella. Ma neanche un corpetto di pizzo l’avrebbe potuta far sentire sexy.
“Due su tre è comunque un buon risultato,” riconobbe, agitandosi un’ultima volta prima di lasciarsi cadere su una sedia con in mano la sua fetta di pane imburrato e una tazza di thè. Mangiò da sola, giacché Tonks non era ancora tornata dalla sua caccia a Sirius e Remus. Considerando quanto poco Hermione conosceva Londra, era sorpresa che avessero anche preso in considerazione la possibilità che fosse scappata in città. Un’idea sciocca, davvero.
“Hermione?” chiamò Remus.
“In cucina!” gridò di rimando la ragazza.
Sentì passi pesanti risuonare sul pavimento, indice del fatto l’uomo stesse correndo dall’ingresso alla cucina. Grazie a dio Walburga era stata rimossa, altrimenti avrebbero avuto del da farsi per farla star zitta. Remus spalancò la porta e si precipitò nella stanza, tirandola in piedi e stringendola in un abbraccio. “Non osare mai più spaventarci così!” ordinò.
“Okay,” accordò, anche se l’incomprensione non era propriamente addebitabile a lei. Aveva dormito nel suo letto, esattamente dove avrebbe dovuto essere. Come poteva essere colpa sua che non si fossero preoccupati di spostare le coperte per vedere se fosse lì o meno?
“Eravamo così-“ le parole gli morirono in bocca mentre premeva la mano sulla sua schiena. Rimase paralizzato come le parole nella sua bocca, e seppe che aveva sentito i gancetti di metallo del corpetto sotto al suo maglione.
Sapeva.
Si scostò si scatto, concentrando lo sguardo con assoluta determinazione su un punto indefinito oltre la sua testa. Le guance dell’uomo assunsero un tono rosato che sospettava non avesse nulla a che fare con la sua corsa in quella fresca mattina autunnale. La ragazza si morse le labbra per l’imbarazzo, anche se, sorprendentemente, non ne sentiva molto da parte sua.
“Cosa succede, Lunastorta?” chiese Sirius.
“Nulla!” rispose velocemente l’uomo. “Sono felice che tu stia bene, ora me ne vado.” Girò sui tacchi e scappò via.
Gli occhi di Sirius seguirono la ritirata del lupo prima di tornare su Hermione. Non sembrava contento. “Felice che ti sia unita a noi,” disse, trattenendo a malapena un tono derisivo. Lo guardò andare alla ghiacciaia, con le spalle palesemente in tensione. Appoggiandosi sul bancone, con una bottiglia di birra in mano, continuò, “Pensavo che avessi detto che avresti lasciato un messaggio la prossima volta.”
“Si, e lo farò quando succederà,” disse, lasciando l’irritazione colorarle la voce. “Ma visto che non sono andata da nessuna parte, non capisco perché tu sia arrabbiato.”
“Mi sono svegliato da solo.”
“Dunque?”
“Mi sarei dovuto svegliare con te,” quasi gridò, sbattendo la bottiglia sul tavolo. “Cosa dovrei pensare se mi sveglio da solo dopo che ti ho offerto il mio letto?”
Lo guardò in cagnesco, cercando con tutte le suo forze di far prendere fuoco i suoi capelli con la sola forza della sua ira. “Di tutti i presuntuosi-“ sbuffò. “Ci vorrà più di un qualche suggerimento sonnolento e mezzo ubriaco per portarmi a letto, Sirius.”
“Evidentemente,” concordò sardonicamente. “Nonostante Azkaban si avvicini sempre di più, preferisci nasconderti nella tua stanza come un coniglio spaurito.”
“Sono vergine, bastardo!” lo schiaffeggiò in pieno volto con abbastanza forza da fargli ruotare la testa. “Ho il diritto di essere nervosa!”
Serrò la mascella, ovviamente cercando di combattere il desiderio di ricambiare l’assalto fisico. “Dovresti anche essere sveglia.”
“Sei assolutamente insopportabile,” dichiarò, o quantomeno provò a farlo. Era difficile parlare quando le loro labbra erano incollate. La sua lingua si fece strada nella sua bocca, portandosi dietro tutto il suo rancore e la rabbia fervente. Per quanto riguardava i baci, questo era di gran lunga il più piacevole che avesse mai dato, il che la rese ancora più arrabbiata. Voleva ricambiarlo, per passargli tutto il suo sdegno proprio come lui stava facendo con lei, ma sapeva che era ciò che l’uomo voleva. Si sarebbe nutrito della sua rabbia, l’avrebbe trasformata in desiderio, e senza alcuno sforzo sarebbero stati entrambi nudi e colti dagli spasmi di un sesso esilarantemente feroce. Senza dubbio sarebbe stato il migliore della sua vita, ma non era così che la sua prima volta doveva andare.
Con una forza di volontà monumentale, districò le dita dai suoi capelli e spinse via il suo petto, riuscendo solo a farlo appoggiare ancora di più, reclinandole la testa all’indietro e approfondendo il bacio.
‘Non bene,’ pensò, cercando disperatamente un modo per interrompere il bacio, sapendo che non si sarebbe mai fermato da solo. Rabbrividendo al pensiero di quanto si sarebbe arrabbiato, ricorse all’unico metodo che conosceva che avrebbe garantito risultati. Tirò una ginocchiata il più velocemente possibile, colpendo il bersaglio con spiacevole precisione.
“Cazzo!” boccheggiò Sirius, cadendo per terra, piegato su se stesso stringendosi l’inguine. “Cazzo… ow… merda…” 
“Sei un maiale!” Urlò, scappando via dalla stanza, sbattendo prima la porta della cucina e poi quella della sua camera.
Passarono diversi minuti che la videro accucciata dietro il suo letto, bacchetta pronta alla mano e occhi fissati sulla porta, aspettandosi di vederlo irrompere scagliandole dietro maledizioni varie, ma le sue orecchie tese colsero solo il rumore della porta d’ingresso sbattuta e un sonoro ‘crack’. Sirius doveva essere molto arrabbiato per aver fatto un tale rumore Smaterializzandosi; solitamente si smaterializzava non facendo praticamente rumore a segnalare la sua partenza. Si accigliò ancora una volta, chiedendosi quando, esattamente, aveva iniziato a notare quanto rumorose fossero le sue smaterializzazioni. Senza prestarci attenzione, accantonò la strana informazione.
“Non è andata bene,” sospirò.
Nessuno entrò in camera sua per il resto della mattinata, nemmeno Lily o James. Colse di sfuggita gli ordinati capelli corvini e i curiosi occhi grigi di Regulus far capolino dalla cornice e la tela del panorama dipinto appeso nella sua stanza, ma non disse niente, andandosene prima che potesse dire qualcosa. Non riusciva a capire cosa fosse venuto a vedere. Era seduta sul suo letto a leggere il suo libro di Trasfigurazione – wow! Così emozionante! Alzando gli occhi al cielo, tornò alla sua lettura.
Poco prima delle due del pomeriggio mise la testa fuori dalla porta. La casa era immersa in un silenzio tombale. La cosa la rendeva solo più nervosa. A passi felpati discese le scale, entrando in cucina, che era altrettanto silenziosa. Non volendo continuare in quello stato, afferrò tutto il cibo che poté, compreso il pollo arrosto che aveva infilzato viziosamente la notte prima. Carica al massimo con le razioni, si sbrigò a tornare nella sua stanza e ci rimase chiusa e sotto protezioni per il resto della notte.
Con l’avvicinarsi della mezzanotte, mentre giaceva distesa senza riuscire a dormire, il pavimento fuori dalla sua stanza scricchiolò sotto il peso di qualcuno decisamente più pesante di Kreacher. Chiunque fosse, camminò in direzione della stanza di Sirius; mezzo minuto dopo le assi scricchiolarono nuovamente. Il battito del suo cuore le riempì le orecchie del suo spaventato ritmo erratico, che non fece che velocizzarsi e diventare più frenetico quando vide le protezioni intorno alla porta illuminarsi mentre venivano rimosse. La maniglia ruotò lentamente, per poi fermarsi, il pavimentò ad indicare che Sirius – perché doveva essere Sirius - se ne stesse andando di nuovo.
Fissò la porta, aspettando che tornasse indietro e chiedendosi se l’avrebbe fatto davvero. Era quel tipo di uomo che si prendeva ciò che voleva e basta? Questo, ovviamente, implicava che la volesse.
‘No,’ pensò. ‘Non mi vuole. Vuole evitare Azkaban.’
Mentre rimuginava, lo sguardo fisso, la maniglia ruotò ancora.
Questa volta senza fermarsi.
Più velocemente che poté, prima che la porta venisse aperta, si appoggiò al fianco e cercò di modulare il respiro come se fosse immersa in un sonno profondo. Desiderava ardentemente aprire gli occhi, vedere se la porta fosse stata aperta, per sapere se fosse entrato nella stanza.
Sapeva come appariva ai suoi occhi – come una bambina, quella ragazzina di quattordici anni che aveva incontrato a malapena due anni fa, dagli enormi incisivi e dai capelli indomabili che volteggiavano come se fosse stata fulminata in un giorno umido. Doveva essere ciò che vedeva ora, ragionò, e il motivo per cui borbottò “Secchiona” alla stanza buia prima di lasciarla senza averla sfiorata. Osando dare un’occhiata, guardò la porta chiudersi dietro di lui. Non ritornò; lo sapeva perché restò sveglia tutta la notte a pensare a ciò che davvero la preoccupava.
Mentre odiava l’idea di dover perdere la verginità con un uomo che non amava per una costrizione, non era quello il problema. Immaginare ciò che Sirius vedeva quando la guardava le aveva mostrato ciò che la preoccupava. Aveva paura che non sarebbe stata abbastanza. Come aveva detto Sirius, lui aveva fatto la sua buona dose di scopate, mentre lei non era andata oltre al bacio, e per giunta con un solo ragazzo. Suo marito probabilmente si aspettava qualcosa di almeno decente, se non spettacolare, dopo averle fornito tutti quei manuali. Li aveva letti, era vero, ma non significava che potesse mettere in pratica tutta quell’informazione al primo tentativo.
Peggio di aver paura della sua stessa inadeguatezza, ora era spaventata dalla rabbia di Sirius. Si era comportata in modo pessimo, e per giunta infantile. Ad ogni modo, ad un certo punto tra Sirius che andava via dalla sua stanza e l’alba, quell’imbarazzo per come l’aveva trattato sfumò, e venne rimpiazzato dall’assoluta convinzione che Sirius avesse meritato quel tentativo di castrazione dopo averla insultata così cinicamente ed essersi forzato su di lei. Si era comportato come un bastardo, e la sua reazione era stata perfettamente comprensibile per gli standard moderni.
Si sedette e sbuffò per la maggior parte di quella domenica, senza nessuno a disturbarla finché il tardo pomeriggio non venne spaventata da un battito forte alla porta.
“Hermione?” urlò Tonks. “Sei lì? E’ ora di andare!”
“Sei da sola?” domandò la ragazza.
“Si,” replicò, confusa. “Dov’è Sirius?”
Hermione spalancò la porta. “Non lo so e non m’importa. Andiamocene prima che torni.” Afferrò la mano di Tonks e corse giù per le scale.
“Alla prossima volta!” gridò James mentre gli sfilava davanti.
Hermione gemette. “Non avevo pensato alla prossima volta.”
“Il sesso è stato brutto?” Chiese Tonks, visibilmente scioccata.
“Non posso saperlo.”
“Huh?”
“Fammi andar via da qui e basta!” ordinò, afferrando il braccio dell’altra così stretto da lasciarle un livido. Girarono sul se stesse, ed Hermione sentì la solita compressione mentre la magia le trasportava da Londra a Hogsmeade.
“Quindi…” iniziò Tonks, mentre camminavano per il sentiero tortuoso che portava al castello. “Cos’è successo?”
“Nulla,” replicò la ragazza con così tanta forza che Tonks non provò più a parlare finché non le venne offerto un ‘ciao’ imbarazzato al cancello d’entrata di Hogwarts.
Hermione marciò su per il sentiero, la rua rabbia che si gonfiava ad ogni passo. Una volta arrivata alla Torre di Grifondoro, fatta cadere la borsa per terra e marciato indietro alla Sala Grande, era oltre il livore e aveva iniziato a vedere Azkaban come un’alternativa perfettamente accettabile rispetto all’idea di spendere anche un secondo in compagnia di Sirius, figurarsi nel suo letto.
“Stai bene?” Chiese Harry vedendola infilzare la patata in camicia nel suo piatto.
“Il tuo padrino è insopportabile,” abbaiò.
“Oh,” replicò, con qualcosa di simile al sollievo a fargli capolino sul volto. “Avevo paura che saresti tornata tutta appiccicosa e Lavandosa per lui.”
Sbuffò aspramente. “Non proprio.”
“Ron era sicuro saresti stata completamente persa dopo… lo sai…”
Le sopracciglia della ragazza si incrociarono in un cipiglio profondo e scontento. Perché i suoi amici, i suoi amici maschi che parlavano solo di Quidditch e Voldemort, discutevano della sua vita sessuale in sua assenza? Focalizzò la sua ira su Harry prima di girarsi per guardare Ron. I suoi occhi caddero su un posto vuoto. Guardò all’altro lato di Harry, dove stava seduto Seamus. Il suo sguardo torvo svanì in favore di una sincera curiosità. “Dov’è Ron?”
“Lui è… uh… con Lavanda,” replicò sottovoce Harry. “Stanno uscendo insieme, più o meno.”
“Oh,” disse. “E’ una bella cosa.”
“Non sei arrabbiata?” chiese. “Pensavo vi piaceste.” Il ragazzo evitò il suo sguardo, scegliendo invece di concentrarsi sulle sue stesse, nervose mani.
“Sono arrabbiata,” sospirò, “ma non per quello. Solo perché la mia vita è stata distrutta dalla Dannata Legge non vuol dire che non voglio che i miei amici siano felici. Se si piacciono, allora va bene.”
Annuì silenziosamente per un minuto, il cipiglio delle sue sopracciglia che andava approfondendosi ad ogni movimento della sua testa. “E se non andasse bene a me?” Si avvicinò, calando il tono della voce ad un lieve sussurro. “Lavanda è davvero fastidiosa.”
Hermione rise, una risata pienamente rumorosa che le scosse il petto e le distorse il volto con un sorriso che le faceva male alle guance.
“Dico davvero!” insistette. “Gli parla come se fosse un bambino, e lo chiama ‘Ron-Ron’.”
“Oh, impagabile!” urlò Hermione, lacrimando. “Non vedo l’ora di vedere la faccia di Ron!”
Harry si accasciò sulla panca, rimanendo cupo per il resto della cena. Brontolò per tutta la strada fino alla sala comune, e gemette quando Ron e Lavanda si sedettero di fianco a lui sul divano, tubando e sbaciucchiandosi rumorosamente.
“Non sono fantastici?” ghignò Hermione.
Harry le colpì il braccio, sussurrando, “Non incoraggiarli!”
Ron e Lavanda sembravano completamente ignari del fastidio di Harry e dei canzonamenti di Hermione, e continuarono a pomiciare con trasporto anche dopo che Harry se n’era andato per la lezione privata con il Preside. Hermione rise per tutta la strada fino al suo letto, e dormì indisturbata da sogni di maniglie tintinnanti.
Harry stava ancora sbuffando a colazione, anche se forse la cosa aveva più a che fare con l’imminente lezione di Difesa Contro le Arti Oscure con Piton piuttosto che con la sua mancanza di solidarietà. La ignorò nei suoi tentativi di conversazione, non smuovendosi neppure quando gli chiese quali ricordi avevano esaminato lui e Silente la notte prima. Il ragazzo rimase taciturno nei suoi confronti per tutta la durata della lezione e per il resto della giornata.
oOo
“Non riescono a smettere neanche durante le lezioni?” gemette Harry mentre uscivano dalla sesta serra quel martedì. “E’ imbarazzante.”
Hermione annuì. Era grata che la coppia fosse ancora nella serra a venir rimproverata e assegnata una punizione dalla solitamente gioviale Professoressa Sprout. Non fosse stato quello il caso, i piccioncini avrebbero camminato di fianco a lei ed Harry, baciandosi sonoramente. Doveva ammetterlo, “Inizio ad essere un po’ stufa.”
“Ha!” dichiarò trionfante Harry. Sopportò i suoi ‘te l’avevo detto’ fino alla Sala Grande, dove il ragazzo si fermò di scatto. “Hey, c’è Sirius. Cosa ci fa qui?” 
Seguì con lo sguardo la linea del suo dito, finché i suoi occhi non si posarono sul bel volto di Sirius Black. Era seduto al tavolo dei professori, e parlava con Hagrid sfoggiando un sorriso disinvolto. Mentre lo osservava, lui si girò e li guardò, annuendo col capo al cenno e al largo sorriso che gli stava indirizzando Harry, prima di incontrare i suoi occhi. La mancanza di emozione mentre la guardava la diceva lunga su quanto fosse felice di vederla. 
“Bastardo,” borbottò, girando sui tacchi e tornando a passo pesante a rifugiarsi nella Torre di Grifondoro, chiudendosi nella sua stanza e non curandosi minimamente che le altre due ragazze con cui la condivideva non potessero entrare. Se non potevano loro, non poteva neanche Sirius. Si sedette sul davanzale, fissando il sentiero che portava al cancello principale, certa che prima o poi se ne sarebbe dovuto andare passando di lì. La schiena le s’intorpidì e le venirono i crampi alle gambe, ma si rifiutò di allontanarsi dalla sua postazione. Calì venne a bussare alla porta, e Ginny si unì poco dopo; Hermione negò ad entrambe l’accesso alla stanza. Finalmente, dopo otto lunghe ore e due pasti saltati, avvistò Sirius allontanarsi dal castello con il Professor Silente. I due uomini presero il loro tempo, passeggiando svogliatamente sul cammino consunto; Silente si fermò, indicando la Torre di Grifondoro. Era certa che stessero parlando di lei.
“Perché tutto questo?” chiese Ginny non appena la porta le venne aperta. 
“Da quanto tempo sei lì?”
“Da subito dopo cena,” le disse la rossa. “C’era anche Sirius. Perché tu no?”
Non le rispose.
“Il fine settimana non è andato bene?” provò ad indovinare Ginny.
“No,” disse Hermione.
“No, non è andato bene… o no, invece si?”
“Non è andato bene per niente,” sospirò Hermione. La ragazza più giovane aspettò, i suoi occhi e la sua espressione pretendenti informazioni che presto Hermione fornì.
“Ha fatto il deficiente, non è vero?” scosse la testa Ginny. “Alla sua età, uno si aspetterebbe che sappia come approcciare una ragazza.”
“A quanto pare non lo sa.”
“Beh, è meglio che impari in fretta,” commentò lei. “La scadenza è fra due giorni.”
Hermione grugnì, nascondendosi il volto tra le mani. “Non ricordarmelo!”
“Qualcuno deve farlo,” disse la ragazza, alzandosi in piedi. “Azkaban non è un posto che mi piacerebbe visitare. Specialmente se l’alternativa è andare a letto con un bellissimo uomo.”
Hermione sbuffò. “Sarà bellissimo, ma resta comunque un cretino.”
Ginny sorrise, lasciando Hermione da sola.
La Dannata Scadenza, ecco come aveva iniziato a chiamarla. La Dannata Scadenza per adempiere ai loro doveri sotto al Dannato Emendamento della Dannata Legge. Ne odiava ogni parte, ma questo non tratteneva questa dall’avvicinarsi ad una velocità spaventosa. Mercoledì passò, con il pomeriggio speso a sbollire nel bagno dei Prefetti dopo che Nick Quasi-Senza-Testa aveva commentato di aver visto Sirius dirigersi con determinazione verso la Torre di Grifondoro.
Il suo comportamento era infantile, e lo sapeva. Sapeva anche che si erano divisi nel modo peggiore possibile; si aspettava pienamente che l’uomo fosse arrabbiato con lei tanto quanto lei lo era con lui, e non voleva affrontarlo finché non fosse diventato strettamente necessario, che era il motivo per cui giovedì mattina trovò Hermione sbirciare oltre ogni angolo, cercando qualunque segno di suo marito sulla strada per dalla Sala Grande a Trasfigurazione.
“Chi stai cercando?” le sussurrò qualcuno nell’orecchio.
“Non sono affari tuoi!” sbottò, rifiutandosi di venir dissuasa.
“Lo sono se è me che cerchi,” replicò questi.
Si paralizzò. “Sirius?”
“Si,” replicò lui, mettendole con nonchalance un braccio attorno alla vita. “Tieniti forte,” l’avvertì mentre sentiva la presa di una Passaporta agganciarsi al proprio ombelico.

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Capitolo 19
*** La Dannata Scadenza ***


Hermione gli conficcò le unghie nel braccio, calciandogli allo stesso tempo le ginocchia, gli stinchi, e qualunque altra parte del corpo a cui riuscisse ad arrivare. “Lasciami andare, bastardo!” “La smetterai di farmi male ogni volta che sono vicino a te, maledizione!” urlò Sirius, spingendola lontano da sé. La ragazza si preparò a collidere con il pavimento, solo per veder la sua caduta interrotta da un morbido materasso. Si allontanò di scatto dal letto, cercando di riconoscerne le coperte, ma non era di nessuna stanza in cui fosse stata finora. “Dove siamo?” chiese, cacciandosi la mano in tasca in cerca della bacchetta. “Dov’è la mia dannata bacchetta?” “La mia stanza ai Tre Manici di Scopa,” le disse asciutto, passando la sua bacchetta graffi che gli aveva appena lasciato sul braccio. “Dovevi proprio sfregiarmi così?” “Dov’è la mia bacchetta?” chiese di nuovo, intenzionata a fargli sentire il panico che stava iniziando a provare. “Ce l’ho in mano,” replicò. “Sei cieca?” “Ridammela!” “Ci terrei a tenermi le palle, grazie tante,” disse con leggerezza. “E mi hai fatto abbastanza male anche senza magia, quindi la terrò per un po’.” Arrabbiata e sul limite dell’isteria, lo guardò mettersi la sua bacchetta in tasca e incrociare le braccia. “Riportami indietro,” richiese. “No.” “Ho le lezioni!” “E potrai metterti in pari più avanti. Minnie sa dove sei,” disse. “E anche Silente.” “Ti ha lasciato sequestrarmi?” boccheggiò, passandogli oltre fino ad arrivare la porta, girando e tirando la maniglia fino ad avere i crampi per lo sforzo vano. Sirius si mise a ridere, ma non per il suo tentativo di fuga fallito. “Pensi che sarei riuscito a procurarmi un permesso per una Passaporta con il Ministero nelle grinfia di Voldemort? Silente ha dovuto farne una per me.” Si girò, guardandolo attonita. Perché sembrava che tutti cospirassero contro di lei? La McGranitt aveva dato il permesso per farle saltare la lezione; Silente aveva facilitato la sua involontaria rimozione dal castello; Ginny e Tonks, anche la mamma di Harry, l’avevano spinta ad indossare quell’assurda biancheria. Era tutta un’enorme cospirazione contro di lei. “Abbiamo una scadenza che non ho intenzione di superare,” la informò con fermezza, senza ironia o minaccia nella sua voce. “Sono ancora arrabbiata con te,” osservò. “Bene, hai tredici ore per fartela passare,” disse. “Quindici,” lo corresse. “Mezzanotte è fra quindici ore.” “Beh, vorrei pensare che duri più di un minuto,” replicò con un sorrisetto. “Non cominciare!” lo avvertì. “Tu e la tua dannata vanità, e il tuo dormire con gente che non ami e i tuoi maledetti manuali sul sesso.” Stava vaneggiando e lo sapeva, ma era oltremodo furiosa. “E come diavolo fai a cambiare i miei libri?” chiese, battendo forte il piede a terra. “Quello?” ghignò, lanciandosi sul letto e incrociando le mani dietro la testa. “E’ stato facile. Ho imparato quell’incantesimo al terzo anno, trovandolo in qualche vecchio tomo polveroso in biblioteca. Lo usavamo per nascondere quel che stavamo davvero leggendo ai professori. Dannatamente utile quando abbiamo studiato per diventare Animaghi.” Si interruppe, facendole segno di sedersi, offerta che lei rifiutò senza neanche prenderla in considerazione. Facendo spallucce, continuò, “L’incantesimo è sorprendentemente semplice, solo una parola ‘mutaro’, ma devi avere entrambi i libri di fronte a te e concentrarti mentre muovi la bacchetta per modificare ogni pagina.” “L’hai fatto con ognuno di quei libri?” la sua faccia si contorse in un’espressione di incredulità. Ancora una volta scrollò le spalle. “Ero annoiato.” “Non lo eri,” insistette lei. “L’hai pianificato, sapevi che l’avresti fatto quasi da quando ci siamo fidanzati. Era premeditato!” “Il fatto che fosse premeditato non cambia la possibilità che fossi annoiato,” replicò, alzando le sopracciglia. “Non mi piace più uscire, dunque resto a casa. Ho letto tutti i libri nella mia libreria, e Lunastorta è via a fare qualunque ‘affare dell’Ordine’ si rifiuti di condividere con me. Avevo una fidanzata carina e pudica da indispettire, quindi ho iniziato a complottare. E’ ciò che faccio. Fattene una ragione.” “Aspetta…” disse. “Come hai fatto a mettere le mani sui miei libri, tanto per cominciare?” “Ho i miei alleati segreti,” sorrise. “Ginny.” “Non confermerò né negherò quest’accusa,” disse. “Quindi è così che continuavano a cambiare anche dopo che li avevo controllati tutti. E io che pensavo fosse qualche sbalorditivo incantesimo impostato a tempo,” sbuffò, sedendosi sulla sedia posta di fronte alla piccola scrivania, incrociando le braccia trionfalmente. “Mi offendi,” la guardò male. “E’ un meccanismo magico sbalorditivo e lo sai. E non era impostato a tempo; quelli sono per principianti.” “Oh?” lottò per mantenere un’espressione impassibile, sapendo che se avesse tentato con una annoiata lui avrebbe capito quanto fosse in realtà curiosa; l’uomo era davvero intelligente, su questo Ginny aveva ragione, ma non significava che dovesse dimostrargli il suo vero interesse per le sue prodezze magiche. “Si, qualunque cretino del secondo anno potrebbe cavarsela con un impostazione di tempo,” agitò la mano, come se per scacciare qualcosa. “Ma una parola d’ordine specifica ad una voce… quella è un’impresa.” “Hai rinchiuso il testo nascosto in un incantesimo dissimulato da una parola d’ordine?” la sua voce lasciava trapelare il suo stupore, ma non le importava. “Come hai fatto a non farla intercettare da i miei incantesimi rilevatori?” Lui sorrise, “Ancora più difficile, un Confundus localizzato.” “Ma non sono stata Confusa,” replicò. “Non tu,” agitò il dito. “La tua bacchetta. Le bacchette scelgono il mago, perciò hanno abbastanza coscienza per essere Confuse.” La strega aggrottò la fronte. “Non ho mai letto di una cosa del genere…” “Io neppure. Una volta ho tirato ad indovinare – molto tempo fa – e ho fatto un esperimento con un Confundus sulla bacchetta di Lunastorta, ed ho scoperto che avevo ragione.” La mascella le cascò senza che lo volesse. “Hai idea di quanto pericoloso avrebbe potuto essere? Fare esperimenti con le bacchette può essere pericolosissimo! Avresti potuto far saltare in aria mezzo castello!” “Ti ho mai detto di quanto fossi un giovane spericolato?” Ghignò. “Remus non era neanche lontanamente bravo a tenermi in riga rispetto a quanto lo sei tu con Harry. Ti ho mai ringraziata per questo, a proposito?” “Non osare fare il condiscendente con me,” abbaiò. “Qual è la parola chiave, e come faccio a far tornare i miei libri come prima?” L’uomo sospirò, “Va bene. La parola è ‘libro’. Poco creativo, lo so, ma ho immaginato che lo dicessi a sufficienza perché funzionasse a dovere. Ho pensato di usare il mio nome per innescare lo scambio, ma non volevo risultare presuntuoso e pensare che parlassi di me spesso abbastanza per esserla.” Si interruppe, sorridendole come se stesse aspettando che confermasse che ‘Sirius’ avrebbe potuto essere la parola d’ordine. Quando rimase zitta, sospirò nuovamente e continuò, “Per quanto riguarda il farli tornare come prima, ti lascerò risolvere l’arcano da sola. Ora che sai qual è il meccanismo, sono certo che riuscirai a trovare un modo per ripristinarli.” “Sei stato tu a creare questo problema; perché dovrei sistemarlo io?” S’impuntò. “Perché non porto rispetto per qualcuno che non sa risolvere un problema così semplice,” disse con un sorriso compiaciuto sulle labbra, chiudendo gli occhi e iniziando a canticchiare. Afferrando il primo oggetto che riuscì a trovare, glielo scagliò contro. “Come se m’importasse qualcosa di ciò che pensi!” Sirius riuscì in qualche modo ad evitare di venir colpito dal fermacarte, un vero peccato agli occhi di Hermione, e replicò con un tono più acido. “Ovviamente t’importa se quel che dico ti disturba così tanto.” “Mi disturbi perché sei un insopportabile, insensibile, cretino immaturo!” urlò, reincarnando ogni insulto al suo carattere con un oggetto indirizzato alla sua testa. Nessuno colpì il bersaglio, ma di certo riuscirono ad evidenziare il concetto. “Potremo essere sposati, ma questo non vuol dire che la cosa mi piaccia! O che mi piaccia tu!” Si lasciò ricadere nella sedia, girandosi verso il muro opposto. “Vattene e basta.” “Ho pagato per la stanza. Non vedo perché me ne dovrei andare.” “Allora sblocca la porta così posso andarmene io. Sono stufa di doverti guardare,” scattò, continuando a rifiutarsi di girarsi. Odiava tenere il broncio; quando si arrabbiava, preferiva urlare, lanciare cose, o maledire la persona in causa e scappare per sbollire per conto suo. Sirius le stava negando la possibilità di andarsene, il che le lasciava solo fulminarlo come opzione. “Beh, è un vero peccato allora, no?” Un silenzio del tipo più arrabbiato e scomodo possibile calò sulla stanza. Sirius ritornò sul letto, restando disteso nel comfort più totale mentre Hermione rimaneva seduta rigidamente sulla sedia, braccia incrociate strette sul letto e sguardo duro rivolto alla pergamena che aveva di fronte. I minuti silenziosi continuarono a passare ticchettando, diventando un’ora, poi due, poi tre. “Ah, il pranzo,” disse gioviale Sirius come apparse un vassoio sul tavolo di fronte a lei. “Passami un panino, ti va?” Afferrò un panino e cercò con tutte le sue forze di non lanciarglielo dietro. “Tieni.” “Grazie,” rispose. “Prego,” quasi urlò, furiosa che avesse ricordato simili convenevoli. “Quindi,” disse con grazia, “Ho cercato di capire dove va Remus ogni volta che sparisce per ‘gli affari dell’Ordine’ – non hai potuto vederlo da girata, ma ho appena fatto le virgolette. Pensavo che sgattaiolasse fuori per vedersi con Tonks, ma li ho sentiti parlare.” Si interruppe, forse per dare un morso al suo pranzo per darle il tempo di formulare una domanda appropriata. “Beh, sono molto deluso da Lunastorta. Ha respinto la ragazza,” disse tristemente. “Le ha detto di essere troppo vecchio per lei e troppo pericoloso e tutte quelle scemenze.” Fece un’altra pausa. “Se non si incontra con lei, allora deve star davvero andando ad un ‘affare dell’Ordine’ – ancora virgolette – e dev’essere piuttosto importante se non dice neanche a me di cosa si tratti,” sospirò Sirius. “Odio essere fuori dal giro.” Ci fu una lunga pausa che fece credere ad Hermione che avesse rinunciato a provare a continuare un monologo, ma che era in realtà un modo di dargli il tempo di masticare e deglutire, poiché riprese, “Ho preso in considerazione l’idea di intrufolarmi nella sua stanza, ma sospetto che sentirebbe l’odore… il cretino con il suo super olfatto. Sai, a scuola rovinava sempre la sorpresa su chi mi ero pomiciato. Riusciva a sentire il profumo su di me e lo diceva a tutti prima che ne avessi l’opportunità, l’idiota.” “La smetti di parlare?” disse Hermione. “Sto cercando di mangiare.” “Non riesci a masticare ed ascoltare allo stesso tempo?” chiese con un ghigno nella sua voce. “Non mentre cerco anche di combattere l’impulso travolgente di pugnalarti con un tagliacarte, no,” rispose tra i denti. “Come ti pare,” disse, per poi tacere. Sfortunatamente, la sua conversazione su Remus e i suoi ‘affari dell’Ordine’ le avevano dato qualcosa a cui pensare, e si ritrovò a rimuginare su che cosa stesse facendo l’Ordine della Fenice di cui anche Sirius fosse all’oscuro; era uno dei membri anziani dell’organizzazione, e se qualcuno aveva il diritto di conoscere informazioni di vitale importanza, quello era lui. Un’altra delle loro poche, preziose ore passò, durante la quale addentò lentamente entrambi i suoi panini e le informazioni a disposizione. Non aveva visto spesso Remus da quando era iniziato il semestre, c’era stato solo quel breve incontro quel venerdì sera. Non le era sembrato troppo stressato, no? Il loro arrivo era stato più nervoso del solito, con Tonks e Remus che saltavano ad ogni ombra. Era un segno che stessero aspettando un vero assalto? E se era così, chi era l’obbiettivo? “Hai provato a seguirlo?” chiese, girando la sedia per guardarlo. Sirius sbatté le palpebre per riprendersi da qualunque sogno ad occhi aperti in cui si era perso, “Chi? Ah, Lunastorta? Ci ho provato lunedì notte, ma l’ho perso quando si è smaterializzato giù a Notturn Alley.” “Perché ci sarebbe dovuto andare?” Si chiese. “Beh, non mi sorprenderebbe sapere che ci si sia accampato qualche lupo mannaro,” disse. “Ma credevo che l’Ordine avesse rinunciato a convincerli a non unirsi a Voldemort.” Si accigliò. “La cosa non mi piace.” “Neanche a me,” concordò, lasciando ricadere la sua testa sul cuscino per ricominciare a sognare ad occhi aperti. Hermione si rigirò verso la scrivania, ed iniziò a fare una lista di tutte le possibili cose che Remus avrebbe potuto fare per l’Ordine. La loro situazione era drasticamente cambiata dopo l’abrogazione della Dannata Legge. Era come se Voldemort avesse una nuova ossessione: lei. Un tremito la sfiorò al pensiero di essere il solo obbiettivo del mago oscuro. Se da una parte quello era un pensiero incredibilmente terrificante, per non dire totalmente egocentrico, non riusciva a pensare a nessun altro motivo per la stasi nell’attività dei Mangiamorte. Da quando era diventato il signore nascosto del Ministero, Voldemort non aveva fatto niente con quella sua autorità per portare avanti la sua causa o per ingrandire il suo potere. L’unica cosa che aveva fatto era stata creare la legge matrimoniale così che uno dei suoi tirapiedi potesse sposarla e portarla a lui in catene. Quando quel piano era fallito, aveva creato l’emendamento così che finisse ad Azkaban, perché avrebbe di certo preferito protestare piuttosto che fare sesso forzata. Il nuovo scopo di Voldemort era controllarla. Era l’unica spiegazione per quel cambio repentino nelle tattiche dei Mangiamorte. Ad ogni modo, non cambiava il fatto che Remus scomparisse a Notturn Alley, il covo dei maghi oscuri. “Odio doverlo riportare all’attenzione,” disse calmo Sirius. “Ma sono le otto e abbiamo una scadenza.” Sporgendo una piccola sveglia meccanica prima posata sul suo comodino. “Otto?” ripetè lei incredula, strappandogli l’orologio dalle mani. “Quando sono arrivate le otto? Cos’è successo alla cena?” Un sorriso compiaciuto fece le sua comparsa sulle labbra dell’uomo, “L’hai mangiato mentre te ne stavi aìseduta a fissare il vuoto. A che stavi pensando?” “Davvero?” abbassò lo sguardo sul piatto vuoto sul tavolo, per poi riportarlo su Sirius, che annuì. “Stavo pensando a Voldemort, devo aver perso la cognizione del tempo.” “Beh, ci rimangono quattro ore,” commentò lui. Lo fissò, le sue preoccupazioni iniziali subito di ritorno, umiliata al pensiero di quanto infantile potesse sembrare con la sua uniforme, dopo una sfuriata e dopo essersi persa nei suoi pensieri per così tante ore senza neanche rendersene conto. “Vai a farti una doccia o qualcosa per rilassarti,” le suggerì. “Non vado da nessuna parte.” Annuì la sua condiscendenza e di diresse in bagno, ricordandosi ad un certo punto tra lo sciacquarsi i capelli e il lavarsi i piedi che era stata arrabbiata con lui solo undici ore prima, e che ora stava obbedendo ai suoi ordini in silenzio. Voldemort l’aveva resa il centro delle sue attenzioni, e allora? Aveva solo diciassette anni e suo marito ne aveva trentasei, e quindi? Nulla cambiava il fatto che Sirius si fosse comportato da manigoldo. Buttandosi i vestiti addosso, sfrecciò in camera. “A che gioco stai giocando?” gli chiese. “Non ti sei ancora scusato con me!” “Questo perché non sono dispiaciuto,” disse, come dato di fatto. “Apprezzo come ti senti. Me vorrei che lo superassi, così che non finiamo ad Azkaban. Devo ricordarti che ci ho passato diverso tempo e so per certo che non è un posto che valga la pena visitare?” “Non m’importa della scadenze e di Azkaban,” ripeté. “M’importa che ti mi abbia trattato in modo orribile e non ti sia scusato. Si alzò languidamente, stirando le sue lunghe braccia mentre faceva il giro del letto. Fermandosi esattamente di fronte a lei, pensò alla sua rabbia persistente e sorrise. “Quando so di essere in torto, mi scuso,” le disse. “Non penso di esserlo stavolta.” “Tu-“ iniziò a rimproverarlo di nuovo, ma lui abbasso la testa e baciò le sue labbra imbronciate. “Ho bisogno di una doccia,” disse, girando intorno alla povera, stordita ragazza. “Come fa a fare sempre così?” domandò alla stanza vuota.


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