Smack

di johnnytruelove
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** True love ***
Capitolo 2: *** Per le anime dei cuori infranti ***
Capitolo 3: *** Un'ultima sigaretta ***



Capitolo 1
*** True love ***


La porta si apre: è la coinquilina, Mariène. Saluta in modo confusionale e va in camera sua a dormire. Nella stanza, Saki sdraiata sul letto che ascolta musica e fuma una canna. Le note sono degli Aerosmith, 'you see me crying', e la marijuana è una cream caramel. Livello di THC uguale al 20%, un valore perfetto per innescare sensazioni di rilassamento. Un ottimo antidepressivo, ma nel suo caso no. Tira, inspira e pensa, forse troppo. Come si dice, più pensi e più soffri.
E giù, giù di morale. Sta buttando via la sua vita e lo sa, ma non riesce a rialzarsi, letteralmente e metaforicamente. E' collassata sul materasso a fissare il muro come fosse uno maxi-schermo, che sta trasmettendo un film con le sue memorie. Episodi colmi d'odio e pianti e assenti d'amore e sorrisi.
Fa un tiro, butta fuori il fumo e con lo sguardo ne segue la traiettoria. E pensa.
Un'altra notte insonne per Saki. Starà sveglia ad ascoltare un pò di musica, scorrendo e spostando i vinili dal contenitore trasparente ma ricoperto di adesivi e spegnendo nervosamente le sigarette nel posacenere rubato all' 'Only-Holly', pub notturno del centro città, tormentata dai rimpianti di una vita che riemergeranno ed andranno a depositarsi sul cuore come la spesa in un sacchetto, rendendo il solo muoversi pesante, ingiusto, infelice.
Sta giungendo l'alba e Saki, persa nei suoi pensieri, si addormenta con 'Black' dei Pearl Jam.

Saki sta camminando tra le vie della sua città, un infimo labirinto di vie parallele e perpendicolari.
Procede con passo felpato e testa china. Senza voltarsi. Ha paura che ci sia qualcuno dietro a seguirla. Ad un incrocio, vede un barbone con due cani che fa l'elemosina. Per raccogliere i soldi non c'è un cappello o una ciotola ma una chitarra senza corde. Saki conosceva bene tutti i barboni del suo quartiere, si fermava spesso a parlare con loro, ma lui non lo aveva mai visto. Si avvicina e lancia due euro nella pancia della chitarra, una vecchia e consumata Martin acustica.
 << Grazie signorina, lei è molto gentile. >>
 << Come si chiama? >> rispose.
 << Può chiamarmi Rogue, e loro sono Eureka e Renton. >>
E' seduto a gambe incrociate con una grossa coperta che lo copre fino al collo, un'incolta barba nera, occhi neri e un cappello texano. Al suo fianco, vicini, i due cocker. Sembrano già avanti con gli anni.
 << E' un vero piacere Rogue, Eureka, Renton. Io mi chiamo Saki. >>
 << Hai un bellissimo nome, Saki. Dovrebbe significare "Fiore", giusto? >>
 << Esatto. Mio padre era un tipo stravagante.. >>
 << Mi dispiace! Come si chiamava? >>
 << Leonardo e mia madre Aurora. >>
 << Una famiglia con splendidi nomi. >> e sorride. Lei ricambia.
 << Come mai è finito qua signor Rogue? A mendicare in strada. >>
 << Scelte sbagliate, scelte persone sbagliate al mio fianco. Diciamo che questo era il mio destino. >>
 << Il vagabondaggio? >>
 << La vita mi ha riservato questa trama, cosa ci posso fare. >>
 << Magari provare a combattere.. >>
Rogue si toglie il cappello e le dice.
 << Lei ci sta provando? >>
Saki non sa come rispondere. Si è appena comportata come un'ipocrita, si sente stupida. Scoppia a piangere, non riesce a trattenere le lacrime che escono a fiumi. Comincia a piovere. Rogue si alza, mette il cappello in testa a Saki e la fa entrare con lui all'interno della coperta. Corrono sotto un porticato a ripararsi dalla pioggia, Eureka e Renton li seguono. Poi lui ritorna a prendere la chitarra, lo zaino, le ciotole e gli altri teli e li porta al riparo con loro.
 << Sei troppo bella per piangere Saki. >> E la fa rientare nella coperta, abbracciandola.
 << Sto male Rogue. Non riesco ad andare avanti. Non ho le forze per combattere, sono debole. Sto male.. >>
 << I deboli sono coloro con più cuore, quindi con più amore. >>
 << I giorni sono sempre più buii. >>
 << Accendi una candela e troverai la luce. >>
 << Mi sembrerebbe di essere in una bara. Inizierei a gridare e cercare aiuto ma nessuno riuscirebbe a sentirmi. >>
 << Tu grida più forte. >>
 << Non è rimasto più nessuno in grado di salvarmi. >>
Rogue guarda Saki nel foro della iride.
 << Hai paura di morire Saki? >>
 << No, ho paura di vivere. >>
Silenzio. Rogue la bacia dolcemente sulle labbra.
 << Devi combattere. Io credo in te. >> e sorride. Lei ricambia.
 << Prima ero solo io l'ipocrita, ma adesso lo sei anche te. >> inizia a ridere mentre con la manica della felpa si asciuga le lacrime.
 << Pensami.. >> e la bacia nuovamente.

Saki si sveglia con la stanza pervasa dalla luce del sole che filtra dalle persiane, zebrando tutta la parete. La puntina del giradischi sta grattando sulla carta di 'Ten'. Si rende conto che era solo un sogno, un bel sogno. Pensa. Chi era? Il suo angelo custode? L'amore?
Si gira e sul posacenere c'è ancora una mezza canna spenta. La prende, la accende, e fuma di gusto.

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Capitolo 2
*** Per le anime dei cuori infranti ***


 
 << Cosa ti prende mamma? >>
 << Niente amore! Sono solo stanca. >> rispose mia moglie a nostra figlia Saki.
 << Aurora vuoi che ci fermiamo un secondo? Sei pallida. >>
 << Vai tranquillo amore. Non dovrebbe mancare tanto! >> Ci chiamava ad entrambi amore..
Si vedeva che non stava bene. Era stata con l'influenza per alcuni giorni e non si era ancora ripresa, ma non voleva rovinarci le vacanze. Tutti e tre aspettavamo con ansia questa settimana per andare alla casa in montagna e per allontanarci per un pò dal caos della città.
Era ormai sera, pioveva e l'unica strada per arrivare a destinazione era un sentiero in mezzo al bosco.
 << Papà fai in fretta! Ho paura! Zia Patty mi ha detto che ci sono dei mostri in questo bosco. >>
 << Se ci fossero veramente, papà li ucciderebbe tutti! >>
 << Ma non sono tutti cattivi! >> mi rispose.
 << Allora solo quelli che provano a toccare te e la mamma! >>
Mi voltai per vedere il sorriso di mia moglie. Mi strinse la mano e ci guardammo nel profondo degli occhi. Riuscivo sempre a leggere lo sguardo di Aurora, e lei il mio. Quella volta, però, percepii una strana sensazione: dolore e rassegnazione, come fosse un addio programmato da tempo. Neanche il tempo di pensarlo che persi il controllo del volante e SBAM. La macchina si schiantò contro un albero.
Vuoto.

Aprii gli occhi e mi ritrovai ad una decina di metri circa dalla macchina, senza gravi ferite. Pensai solo di essere stato fortunato a non essermi fratturato qualche ossa, scaraventato fuori in quel modo, anche se perdevo copiosamente sangue dalla nuca; con la mano feci da tampone. Non avevo tempo di pensare alla dinamica dell'incidente o alla mia salute.
Dov'erano. In preda al panico iniziai a correre verso la macchina ma da dietro una voce: << Amore. >>
Mi voltai e vidi Aurora con indosso un vestito bianco. La guardai e mi sorrise. Non ci capii niente ed iniziai a correre verso di lei, anche se cosciente del fatto che si stava verificando una specie di visione extracorporea, ma in quel momento di paura, irrazionalità e colpevolezza, pensai solo di stringerla come non avevo mai fatto in vita. Non ci riuscii..
Improvvisamente, dal bosco si avvicinò un anima con una veste lunga e nera che lo ricopriva da piedi a testa; si poteva solo scorgere la grossa falce che portava sul fodero della schiena. Si affiancò a mia moglie e con un colpo secco fece un taglio netto al collo. La testa rotolò per qualche metro come fosse una palla deforme. Non ebbi neanche il tempo di gridare, riuscii solo a vedere l'ultima lacrima che scendeva sulla mezza luna del suo viso.
Il demone mi osservò per qualche secondo. Sembrava stupito che fossì lì come se non si aspettasse la mia presenza, in quel luogo e a quell'ora. Ma dopo, senza grossi indugi o atti di misericordia ( poi per quale motivo! ), me lo ritrovai di fronte come se si fosse teletrasportato.
La visuale era tutta bianca e nera, tranne il sangue di Aurora che colava dalla falce. Mi inginocchiai ed iniziai a piangere, tirando pugni per terra e arrendendomi al mio destino che evidentemente mi aveva voluto lì, in quel luogo e a quell'ora..
Mi alzai e gridai:
 << Falla finita figlio di puttana! >>
Tirò indietro la falce pronto ad aggiungere un nome alla sua lista e "SDEM".
Una forte esplosione mi scaraventò di nuovo per terra. Ma non mi colpì. Incredulo, alzai lo sguardo e vidi un altro demone con un kimono bianco che aveva bloccato il suo fendente.
Mi guardò e disse:
 << Non è ancora il tuo momento! >>
La luce, che si era creata dallo scontro delle spade e che circondava i loro corpi, andò piano piano a dissolversi sulla sua lama. Bella e splendente come un raggio di sole.  Il demone nero scomparì tra le tenebre.
Sicuro che se ne fosse andato, rimise con delicatezza e con soave eleganza la spada nel fodero. Anche lui era tutto coperto impedendomi di poter vedere qualche caratteristica estetica ma si notò subito la differenza: bianco e nero, bene e male, vita e morte.
Si girò e si incamminò verso il bosco.
 << LEI?? PERCHE' NON L'HAI SALVATA?? >>, gridai.
 << Mi dispiace non potevo fare niente. Era il suo momento! >> Me lo disse con voce sconsolata, sconfitta, come se fosse triste di non essere riuscito a salvarla.

 << Papà Papà svegliati ti prego! >>
Vidi una forte luce che mi offuscava la vista e ripresi conoscenza. Non ero più dentro l'incubo. Mia figlia si accasciò su di me, mi strise forte ed inizio a piangere.
Singhiozzando disse << Mamma è morta! >>
Io con la sola forza delle braccia la strinsi più forte che potevo, come non avevo mai fatto in vita, come non riuscii a fare con lei, Aurora.

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Capitolo 3
*** Un'ultima sigaretta ***


Prima mattina. Il sole che filtra radente dalle fessura della persiana, mi taglia l’occhio e sono costretto a svegliarmi. Il caldo è atroce e il letto inzuppato di sudore. Cerco di resistere ancora un pò perché non ho voglia di affrontare il mondo oggi, ieri e domani. Preferirei stare tutto il giorno a marcire nell’umido e fetido materasso fattomi su misura, piuttosto che indossare la felice maschera e distribuire sorrisi. Ma non posso, penso. O forse posso? Chiamo la mia segretaria Fendi, nome d’arte.
<< Buongiorno capo. >>
<< Ciao Fendi. Ascolta, cancella tutti gli appuntamenti di oggi che non vengo! >>
<< Certamente. Non si sente bene? Se ha bisogno che le vada a comprare delle medicine.. >>
<< No Fendi. Cancella tutto e sei libera anche tu oggi. >>
<< Grazie capo. Buona giornata. >>
Ok adesso ho, abbiamo, la giornata libera. Ma cosa fare? Raccolgo l’energia circostante, mi alzo dal letto e mi butto sul divano in salotto a guardare la televisione. Non faccio colazione. Fumo una sigaretta e faccio prima..

 

Sono le 2 di pomeriggio e non ho ancora mangiato niente. Non ho voglia di cucinare, come al solito. Spero nell’essenziale cartone di latte abbandonato nel frigorifero. Il cartone c’è, peccato che sia vuoto. Meglio uscire che con tutta questa negatività mi suicido per sei vite. 

Passeggio sul marciapiede del centro storico senza una destinazione. La gente cammina velocemente per rientrare a lavoro dopo il pranzo. Arrivo in piazza e ci sono dei ragazzi che ballano breakdance. Uno degli mc tiene sulla spalla un grosso ghetto-bluster che pompa musica hip-hop. Mi fermo a guardarli mentre inalo ed esalo il fumo di un’altra sigaretta. Vedendomi lì ad osservali con piacere, cercano di fare trick più virtuosi. All’headspin (rotazione sulla testa) del breaker più giovane, il gruppo esplode. Urla di acclamazione nascondono la musica già di per sé alta. Butto la sigaretta, applaudo timidamente e me ne vado facendo un cenno di saluto con la mano.
C’è un piccolo bar senza finestre sulla strada. Entro. Non c’è nessuno, neanche il barista. Lo sollecito suonando il campanello sopra il bancone. Un anziano sciupato in viso si sporge dalla cucina. Le rughe e la pelle penzolante vanno a fare da tendina agli occhi e alla bocca. Una brutta visione.
<< Salve! Un caffè per favore! >>
Ascolta e rientra in cucina farfugliando qualcosa. Questa volta si sporge un ragazzo.
<< Sì mi dica! >>
<< Salve! Un caffè per favore! >>
<< Le mando mia madre. Arriva subito. >>  Sembrano indaffarati tra i fornelli.
Aspetto e mi guardo intorno. Un bar antico, pieno di cimeli e vecchie foto in bianco e nero di famiglia. Arriva la madre. Sarà la volta buona che riesca a prendere questo caffè?
<< Buongiorno. Desidera? >>
<< Salve! Un caffè per favore! >>
L’anziana signora inizia a prepararlo armeggiando con la macchina del caffè. Aspetto.
Nel silenzio del vecchio bistrot si sente, dalla cucina, una sedia cadere e qualcuno gridare “No!! Ti prego!!”. Un colpo di pistola ci fa saltare in aria, con la signora che rovescia il caffè per terra. Non so se scappare o andare a controllare. Mi anticipa il ragazzo di prima che esce dalla cucina con una pistola in mano e il vestito tutto sporco di sangue.
Ci guardiamo per 3 secondi. Non mostro paura. Mi si avvicina e come la scena più noir mai stata girata, mi punta la pistola alla testa e dice,
<< Adesso tu vieni con me! >> Adesso ho un pò più paura.
Mi indirizza verso la cucina. Io davanti, lui dietro. Entro e due ‘armadi’ stanno portando via un corpo morto. L’anziano rugoso è seduto su una sedia, con i gomiti appoggiati sopra un tavolino.
<< Poi tornate qua! >> dice il ragazzo ai due armadi. Ho ancora più paura ma mantengo il sangue freddo e rimango lucido, con la postura e con lo sguardo.
<< Padre cosa facciamo di questo? Ha sentito tutto.. >>
La coppia povera di Don Vito Corleone farfuglia di nuovo qualcosa di incomprensibile, almeno alle mie orecchie, perché il ragazzo capisce.
<< Va bene padre! >> e mi punta di nuovo la pistola alla testa << Ti si concede la possibilità di pregare, se vuoi.. Siamo una famiglia religiosa.. >>
<< Un’ultima sigaretta? >>
<< Non ho detto un ultimo desiderio, ma un’ultima preghiera. >>
Decido di inginocchiarmi e di pregare per la prima volta in vita mia.
Prego pensando a Saki, mia figlia, che non vedo e non sento mai, chiedendo perdono per la mia negligenza come padre.
Prego pensando ad Aurora, mia moglie, morta anni fa in un incidente stradale, sperando di poterla rincontrare in cielo.
<< Sei pronto? >>
Lo guardo dritto negli occhi e sorrido, pensando che non sarebbe successo niente di tutto ciò se solo fossi andato a lavoro come al solito..

 

 

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