20~love moments \\ Shin-Ran

di Out of this world
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** white chocolate ***
Capitolo 2: *** jealousy ***
Capitolo 3: *** one last happy moment ***
Capitolo 4: *** friends ***
Capitolo 5: *** anger ***



Capitolo 1
*** white chocolate ***


Title: White Chocolate
Author: Lore (minako;)
Pairing: Ran Mouri/Shinichi Kudo
Fandom: Detective Conan
Rating:
Giallo
Note: come dice il titolo, questa sarà una raccolta di 20 momenti romanticosi (^^) fra Ran e Shinichi. Purtroppo sapete che fatico a postare con frequenza, però questa volta ho già pronti quasi tutti i capitoli, perciò aggiornerò spesso e in fretta! ** Ogni capitolo NON E’ COLLEGATO AL PRECEDENTE, sono tutti spezzettoni di momenti immaginati da me. Detto questo, vi lascio al primo capitolo! I commenti non so graditi, ma graditissimi. Accie’

 

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s h i n i c h i • r a n

 

 

[01] white chocolate

 

 

Sospirai, infilandomi sotto le coperte. Quella sera, a causa anche della neve copiosa che stava cadendo ormai da qualche ora, faceva fin troppo freddo.

Ma come stupirsi? In fondo, quella era la Vigilia di Natale.

Feci una smorfia: era la Vigilia di Natale e mi ritrovavo sola come un cane.

Anzi no, probabilmente i cani avevano più compagnia di me. Che so, magari qualche osso che gli distrasse dal resto. Io non avevo nessuno, non avevo niente, e soprattutto ero arrabbiata.

Sì, arrabbiata perché quello screanzato di mio marito, che mi aveva ESPRESSAMENTE dichiarato che per quella notte ci sarebbe stato, non era accanto a me, bensì all’aeroporto di Osaka, bloccato perché l’aereo che doveva prendere era stato sospeso a causa di una violenta bufera di neve.

E dire che lei glielo aveva detto di prendere quello prima! Ma no, Hattori di qua, Hattori di la, ed era rimasto ancora per una bevuta a casa sua.

Digrignai i denti, accendendo la televisione e tirandomi su ancora un poco le coperte.

Incredibile… la prima nostra Vigilia di Natale come marito e moglie e lui era in uno stupido aeroporto.

E dire che… e dire che…

Sentii le lacrime salirmi prepotenti, al pensiero della mia sorpresa di Natale sfumata. Dannato, dannato Detective stacanovista!

Per la collera, o chissà per altro, sentii una voglia assurda di cioccolata. Fu così che, scostate con una botta secca le coperte, uscii dalla stanza e feci le scale per arrivare in cucina, dove ben sapevo che c’era una tavoletta intera di cioccolata bianca. Perciò una volta lì, accesi la luce e mi diressi verso la credenza.

Aprì il cassetto e… e…

Sgranai gli occhi.

Dov’era? Dov’era?! DOV’ERA?!

Cercai freneticamente nel cassetto la cioccolata, svuotandolo addirittura da altro cibo.

Ma, scioccata, dovei ammettere a me stessa, se pur soffrendo, che non c’era. E un solo nome mi balenò in testa, facendomi venire voglia di prendere a pugni quella sua faccia da schiaffi.

Shinichi Kudo.

Me l’aveva mangiata lui! E chi altri, se no? Grrrrrr, la cioccolata! E io ne avevo voglia, una voglia matta!

A grandi passi andai verso l’attaccapanni e, infilatomi alla bene e meglio il cappotto pesante sopra la camicia da notte (che mi ero messa SOLO perché pensavo che Shinichi sarebbe tornato… tzè, che idee malsane avevo a volte), aprii la porta e uscii nella tormenta di neve.

Rabbrividendo, corse verso il cancello e, una volta fuori, mi diressi verso la casa accanto, dove le luci erano ancora tutte perfettamente accese.

Correndo ormai gelata, picchiai ferocemente il pugno contro la porta del Dottor Agasa.

Solo dopo pochissimo, sentì i passi frettolosi all’interno avvertirmi che stava per aprire la porta. E così fu, e all’istante mi catapultai all’interno.

«Ran-chan», alzò un sopracciglio Agasa, per poi chiudere in fretta la porta. «Che succede? Stai male?», mi domandò preoccupato. Scossi violentemente la testa.

«No, no, sto bene. Senta, non è che ha della cioccolata bianca?».

Agasa mi guardò come se fossi pazza. In risposta, arrossii.

 

***


 

Ed eccomi lì, sdraiata sul letto circondata da caramelle e dolciumi vari, a crogiolarmi nella mia disperazione neanche fossi Bridget Jones. Alla tv, stavano trasmettendo un vecchio film di Natale con tutti quei odiosi marmocchi che aprono i regali e ricevono ciò che avevano desiderato tutto l’anno, e puntualmente mi balenava in testa la domanda: “e perché diavolo io non ho ricevuto quello che volevo mentre quei vagabondi sì?!”. La risposta arrivava subito dopo: “perché loro non hanno sposato Shinichi Kudo, e tu si, tiè!”.

E, no, Agasa non aveva cioccolata bianca. In compenso, mi aveva sommersa di caramelle e cioccolatini extra calorici ed extra buoni. Ma la voglia di quella tavoletta bianca persisteva, eccome. Ma cercai di non farci caso. E guai se, tornato a casa, Shinichi mi avesse detto che in quei tre giorni nella quale si era assentato era ingrassato. Lì sarei andata dritta dritta da mia madre per chiedere il divorzio, dopo solo cinque mesi di matrimonio.

Sgranocchiai lentamente una nocciolina ricoperta di caramello, pensando, però, a come doveva sentirsi in quel momento Shinichi, da solo in uno squallido aeroporto. Stavo già per intenerirmi, quando presi a mangiare con più foga le noccioline. Al diavolo, era colpa sua!

E, quando fui sul punto di afferrare una brioche alla marmellata, sentii un dolore alla pancia. Feci una smorfia: forse avevo esagerato. Pigramente mi tirai su a sedere, facendo da parte con la gamba il resto del dolci. E irrimediabilmente mi diedi della stupida, quando ripensai nuovamente alla camicia da notte che indossavo. Era corta, fin troppo, visto che mi arrivava neanche a metà coscia; il colore era rosa pallido, di tessuto morbido.

Arrossii, affondando il viso nel cuscino come per cercare di cancellare i pensieri che mi ero programmata per quella serata. Pensieri decisamente arditi.

Deglutii, appoggiandomi meglio al cuscino. In fondo, anche se ero arrabbiata con lui per non avermi dato ascolto, mi mancava.

E il fatto che accanto a me non ci fosse nessuno, in quel letto matrimoniale, mi rattristò ancora di più. Doveva essere una serata magica, e invece mi addormentai senza neanche coprirmi, e senza le braccia di mio marito a cullarmi come di solito facevano, ritrovandomi la maglia del suo pigiama (adagiata in precedenza sotto il suo cuscino accanto a me) stretta contro il mio viso, per sentirne il profumo…

 

 

Qualcuno stava muovendo il materasso. Infastidita, mi girai dall’altra parte, stringendo più forte gli occhi. Ma alcuni rumori, piano piano mi svegliarono sempre di più. E fu quando aprii gli occhi che notai il volto stravolto del mio Shinichi, mentre si passava un asciugamano sulla testa.

«Shinichi?», bofonchiai confusa, attirando la sua attenzione. Infatti si voltò immediatamente con un’espressione colpevole in volto.

«Ti ho svegliata? Scusa, ho cercato di fare il più piano possibile. Ma c’erano troppi dolci da levare».

Sentii il volto andarmi a fuoco e, alzandomi su un gomito, notai infatti che intorno a me non c’era più alcun dolciume o carte vuote. Sospirai piano, per poi lanciare un’occhiata alla sveglia posta sul comodino vicino a me: segnava le undici a mezza.

«Come fai ad essere qui?», domandai sbadigliando. Lui indicò fuori dalla finestra.

«La bufera è passata da un bel po’, Ran. Hanno fatto partire l’aereo».

Guardai dove indicava, e notai anche io che in quel mentre stavano cadendo solo alcuni batuffoli di neve.

«Ti sei data alla pazza gioia?», mi domandò poi, spettinandosi i capelli bagnati, probabilmente a causa della neve. Abbassai il volto. Lui corrugò la fronte.

«Che c’è?», chiese confuso dal mio comportamento distaccato. Io riposi la maglia del suo pigiama dalla sua parte di letto, per poi tirarmi su fin al mento le coperte.

«Niente. Buona notte».

«Ehi, ehi», replicò Shinichi contrariato, tirandomi giù il lenzuolo da sopra la testa. «Che succede?».

Lo fissai negli occhi, per poi deglutire.

«Mi hai mangiato la cioccolata, vero?», mormorai piano, tanto che lui dovette avvicinarsi per sentire il resto della frase.

«Cioccolata?», ripeté frastornato. Annuii come una bambina piccola.

«Quella bianca. Stasera ne avevo voglia, e non c’era».

Si sedette sul bordo del letto, guardandomi preoccupato.

«Sì, l’ho mangiata io. Ma vuoi farmi credere che sei così per la cioccolata?», domandò.

«In realtà», sospirai, sedendomi sul letto, «devo ancora sbollire la rabbia per il fatto che tu non potevi venire da me stasera».

«Ma ora ci sono», rispose dolcemente Shinichi, sorridendo. «Visto? E non è neanche mezzanotte, possiamo ancora scartare i regali, no?».

Mi accigliai.

«Nah», replicò con un’alzata di spalle. Sorrisi piano: ma a chi voleva darla a bere? Aveva delle occhiaie talmente scure che si sarebbero viste a chissà quanta distanza.

«Non è necessario», gli accarezzai il braccio. «Sei stanco, va a farti una doccia e poi andiamo a dormire».

Ma se Shinichi Kudo prendeva una decisione, nessuno poteva fargli cambiare idea. Però, senza che gli dissi altro, si alzò si avvicinò alla borsa da viaggio posata di fronte all’armadio.

«Mentre ero ad Osaka», iniziò, prendendo in mano una busta blu scura, «li ho visti e ho pensato che ti sarebbero piaciuti».

Avanzò poi verso di me, porgendomi il sacchettino con un sorriso. Lo presi delicatamente.

«G-razie», gli dissi, aprendolo. All’interno, e il mio cuore ebbe un tuffo, c’erano due calzini piccolissimi. Li presi con mani tremanti, e guardai colta dal panico Shinichi.

«Credi davvero, amore, che non abbia visto quel test di gravidanza, la settimana scorsa, nell’immondizia?».

Sentii un calore avvolgermi, mentre stringevo nelle mie mani quei calzini così piccoli, color arancioni. Mi sentii all’improvviso in colpa.

«S-shinichi, i-».

Mi guardò teneramente, accarezzandomi la testa.

«Che c’è? Perché piangi? Non è meraviglioso?».

«Io volevo fartelo sapere in un momento migliore! E invece tu lo hai visto nella spazzatura», mi morsi un labbro. Ma come avevo fatto ad essere così stupida?!

«Ma a chi importa? Aspetti un bambino, Ran! E spero che sia mio, vero?», mi guardò sospettoso. E, in qualche modo, mi fece sorridere.

«Ah, non so», stetti al gioco, rigirandomi quelle calzine da neonato così carine fra le mani. «Dobbiamo fare il test del dna, potrebbe essere anche di uno di quegli altri quatt- EHI!».

Scoppiai a ridere, non appena lui mi diede uno spintone e mi fece cadere sdraiata sul letto.

«E’ così che si tratta la propria moglie che aspetta un bambino?», risi più forte, mentre appoggiava una mano alla mia destra e una alla mia sinistra per tenersi sospeso su di me.

«E’ così che si veste una moglie che aspetta un bambino?», rigirò la domanda, guardandomi con una scintilla di eccitazione nello sguardo. Avvampai.

«Perché è davvero un colpo basso», mormorò al mio orecchio, accarezzandomi il volto con i suoi capelli scuri.

Chiusi gli occhi, abbracciandolo. E quel calore mi avvolse in maniera così profonda, che con un sospiro appoggiai il volto al suo viso.

«Ti amo», mi accarezzò la spalla sinistra, per poi scendere lungo il braccio.

«Ti amo anch’io», risposi sottovoce, mentre la sua mano che continuava ad accarezzarmi mi dava brividi lungo la schiena dorsale.

Sporgendosi, poi, con la mano destra spense la lampada sul comodino, facendo cadere la stanza nel buio.

«Ti da fastidio se questa bella camicia da notte la faccio volare?».

Risi istericamente, mentre me la sfilava lentamente.

«Oi, Ran?», disse poi all’improvviso, meravigliato. «Sei ingrassata?».

Sentii i muscoli guizzarmi e, con uno sguardo fulminante, feci per tirargli uno schiaffo. Ma lui, ridendo fragorosamente, mi intercettò e mi prese la mano, fermandola.

«Baka», bisbigliò sulle mie labbra, prima di baciarmi. «Credi a tutto», aggiunse fra un bacio e l’altro, mentre mi riaddolcivo sotto le sue carezze che mi percorrevano il corpo. Tutto sommato, per quella volta, avrei fatto a meno di un modulo per il divorzio.

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Capitolo 2
*** jealousy ***


Title: Jealousy
Author: Lore (minako;)
Pairing: Ran Mouri/Shinichi Kudo
Fandom: Detective Conan
Rating:
Giallo
Note: è stata un po’ una delusione ricevere solo due commento, lo ammetto ^ Spero che questa raccolta non faccia così piangere <3 Va buò, voglio comunque dare un grande “smack” alle due anime buone che mi hanno dato un po’ di fiducia nel lavoro, cioè ad Ayumi Yoshida e evechan. Grazie mille, Ayumi-chan e evechan! **
E grazie anche alle due persone che hanno aggiunto il primo capitolo fra i preferiti, cioè akane_val e claudiaap. Ora vi lascio, spero che stavolta commentiate. Non vi costa nulla, vorrei avere anche delle critiche per migliorare… su!

 

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[02] jealousy

 

 

Non capitava spesso che io e ojisan fossimo in accordo su qualcosa.

Ma mentre fissavo con ira quel biondino pieno di se, notai che anche Kogoro accanto a me stava avendo la stessa mia reazione. Perciò in un qualche modo mi sollevai di morale: due contro uno!

Se poi quel socio che formava con me quella strana coppia era Kogoro Mouri, allora potevo pure rimanere sereno: visto che gli dava sui nervi, mai avrebbe incoraggiato Ran a stargli molto intorno.

Fiero di quell’alleato, tornai a mangiare. Tuttavia, inevitabilmente, i miei occhi guizzavano sempre verso Ran e quel poliziotto biondo.

Che aveva poi, di così tanto interessante? Solo perché aveva quel maledetto accento inglese, occhi verdi e capelli chiari poteva sentirsi così inesorabilmente attraente e, quindi, corteggiare Ran? Cosa credeva, che le ragazze giapponesi cadessero ai piedi di un tipo come lui?

Con foga per quel pensiero, masticai rabbiosamente la mia bistecca, sentendo accanto a me ojisan irrigidirsi come me.

«Ohi, Kudo-kun, sono contento che ormai siamo una squadra!».

Impugnai con ira il coltello, e quest’ultimo lo infilzai la mia carne. Megure… Megure… era tutta colpa sua! Colpa sua se aveva invitato me, Kogoro, Ran e quel nuovo novellino a cena. Cosa centrava poi, lui? Mi pareva che il caso lo avessi portato a termine io! D’accordo per ojisan e Ran, ma quell’americano disgraziato solo perché era nuovo e straniero bisognava portarcelo attaccato come un cagnolino col suo padrone? Tzè.

«Già, pure io. Contentissimo».

Uh, sì, contentissimo. Contentissimo che fossi a quella fottuta cena, contentissimo che quel Ryan non facesse che flirtare con la ragazza che io amavo, contentissimo che la ragazza che io amavo da quando la storia con l’organizzazione era finita e aveva scoperto di me e Conan ora si comportava in maniera distaccata con me, me! Me medesimo, il suo così detto “miglior amico”.

Dannata Mouri, e dannata gelosia! E guardatela, GUARDATELA come ride alle battute di quel pagliaccio! Ma fatti una plastica, ti sei visto come sei strano con quella faccia da uovo sodo?!

«Ehm… Kudo?».

Megure mi distrasse, indicando il mio povero pezzo di carne. Sotto la mia furia assassina, lo avevo così infilzato da farlo sembrare un ammasso di interiora.

«Oh, nessun problema», risposi iniziando a mangiare.

«Bè, io farei un brindisi. Alla nostra squadra, ma soprattutto a Shinichi Kudo! L’eroe giapponese!».

Ecco, ci mancava solo quello. “L’eroe giapponese”. Così i giornali, dopo aver saputo tutta la mia vicenda e del fatto che intrappolato nel corpo di un bambino ero riuscito a sconfiggere un’Organizzazione come quella degli uomini in nero, avevano iniziato a chiamarmi con enfasi. Si vociferava che sulla mia triste storia ci volessero fare pure un telefilm a puntate.

Ah, belli i tempi di Conan. Almeno al tempo in cui ero un moccioso non avevo tutti quei giornalisti attaccati al sedere, e Ran mi trattava come un essere umano.

Mettiamo le cose in chiaro, lei aveva detto di avermi perdonato per averle mentito, e fra noi non c’era mai stata una lite. Tuttavia, sebbene mi avesse detto che era tutto a posto, la nostra relazione non era tornata come un tempo. Anzi: non faceva che evitarmi.

Soffrendo quando notai che quel Ryan comediavolosichiamavadicognome la stava facendo ridere fragorosamente come mai io ero stato in grado, mi dissi che dovevo staccare la spina. Perciò, chiedendo scusa, mi alzai e mi diressi verso il bagno.

Una volta all’interno, nel silenzio e nella solitudine, mi sciacquai un po’ il volto, per poi guardare il mio riflesso allo specchio.

Che dovevo fare? Perché Ran si comportava così?

Ormai al culmine della disperazione, senza pensarci presi in mano il cellulare, e composi in fretta quel numero che, mi ero ripromesso, di non chiamare per quella situazione.

Uno squillo. Due squilli.

«Pronto?».

«Hattori, ora ti siedi e mi ascolti», mormorai arrossendo. Quanto ero patetico?

«Kudo? Che c’è?».

«Ran mi evita, okay? Mi ha detto che mi aveva perdonato, eppure non mi rivolge mai la parola, mi tratta come se fossi uno qualunque! E poi è tutta la sera che ciarla con quel biondo nullafacente!».

«Ehm… chi è il biondo nullafacente?».

«Hattori!».

«Okay, okay, era curiosità. Bè, e che ne so io? Magari si vergogna di qualcosa con te… che vuoi che ti dica, Kudo-kun? Ti sembro la conduttrice ossigenata di una reality d’amore?!».

Ma non lo stavo più ascoltando.

Magari si vergogna di qualcosa con te…
Cavolo. Cavolo. Cavolo.

Chiusi senza pensarci la telefonata, e mi portai una mano alla testa.

Cazzo. Cazzo. Cazzo.

 

“Shinichi mi piace tantissimo! Ma a lui non lo diciamo, okay? E’ il nostro segreto!”

 

“Oh, era così rilassante! Vero, Conan-kun? Amo le terme!”

“Posso dormire con te? Per favore, Conan-kun!”

 

Merda. Merda. Merda.

Era per quello? Era per quello?

Sbiancai.

Di sicuro si vergognava per tutte le cose che mi aveva detto come Conan, e tutte le cose che aveva fatto!

Arrossendo rammentai tutte le volte che mi aveva abbracciato, stringendomi al suo petto… e quella volta alle terme! Vogliamo, poi, parlare delle sue indirette dichiarazioni?

Stavo per buttarmi nello scarico del water e tirare la corda per la costernazione, quando mi squillò in mano il cellulare. Era Hattori.

«Cioè, fammi capire, io ti parlo e tu mi chiudi il telefono in faccia?!», ruggì con quel suo dannato accento di Osaka. Oh, gli accenti stranieri quella sera mi facevano infuriare.

«Lei aspetta che le dica qualcosa!», risposi frastornato.

«Chi?».

«Tua nonna», replicai sarcastico.

«Mia nonna è morta anni fa…».

Poi dicevano a me che ero tonno.

«Ma che tua nonna, RAN!».

«E che centrava mia nonna con Ran?».

«Hattori?».

«Oh?».

«Va a farti un bagno caldo, eh? Ciao».

Chiusi la telefonata, e per sicurezza spensi direttamente il telefonino. Poi, confuso e in colpa, uscii da quel bagno e, sistemandomi meglio la camicia scura, mi incamminai verso il tavolo.

A pensarci, forse, aspettava una mia vera mossa, o una mia dichiarazione.

Non che non ci avessi già provato, ma ogni volta accadeva qualcosa. Ma quale sarebbe potuto essere il momento giusto? Dannazione, quanto avrei voluto sedermi a quel tavolo, guardarla, così bella ed eccitante nel suo vestito nero, e urlare che l’amavo, che l’avevo sempre amata; e poi prenderla, baciarla così, di fronte a tutti, e ritagliarci un futuro insieme.

Ma non avevo il fegato di farlo. Così, non staccando gli occhi di dosso dal suo volto meraviglioso, mi sedetti al mio posto in quel grande tavolo rotondo, proprio di fronte al suo posto.

«Moccioso?».

Mi voltai sorpreso verso ojisan, che, con il tovagliolo premuto sulla bocca per affievolire le sue parole, mi guardava con occhi furenti.

«S-sì?».

Da quando aveva saputo della mia doppia identità di Conan, ad un tratto era divenuto ancora più perfido nei miei confronti, e ben poche volte mi rivolgeva parola. Irrimediabilmente per lui tutte le volte che ci eravamo lavati i denti insieme, non risultava essere poi sinonimo di un legame così stretto da non poter essere sciolto.

«Fa qualcosa».

Alzai un sopracciglio.

«Per cosa?».

Gemette isterico, per poi alzarsi di botto e strascinarmi per la collottola verso i bagni.

«Ma dove andate?», domandò meravigliato Megure. Perfino Ran, notai mentre mi voltavo per vedere l’ispettore, parve corrugare la fronte.

Kogoro mi portò esattamente nei bagni dove in precedenza mi ero rintanato e lì, con fare cospiratorio, si mise a parlare nervosamente.

«Senti moccioso, devi aiutarmi a staccare quell’americano da Ran. E’ tutta la sera che gli sta addosso, e lei sembra gradire. E io non voglio che si metta con quello!».

Lo fissai smarrito. Stava dicendo a me, di levare di torno Ryan belli capelli da Ran?

Abbassai lo sguardo.

«Perché dovrei?», domandai.

«Oh, sei tardo o cosa, moccioso?! Tu piaci a Ran, a te darà ascolto».

Arrossì un poco, sospirando.

«E perché non potrebbe stare con Ryana, ojis-».

Quando mi resi conto di ciò che stavo dicendo, mi irrigidii, e così fece Kogoro. Perciò scossi la testa.

«Scusami», borbottai. «Comunque, se piace a Ran non vedo perché dovrei allontanarla da lui», sospirai, allontanando di lui per uscire da lì.

«Forse perché è tutta la sera che la fissi».

Mi fermai. Tombola! Pure quell’impiastro di un detective fallito se ne era accorto.

«E Ryan è così… così… americano».

Tipico di ojisan. Ogni scusa era valida per allontanare qualcuno da sua figlia. In fondo, quando aveva scoperto di Conan, aveva fatto lo stesso con me.

Mi aveva chiamato “bastardo bugiardo”, e sapevo che la collera che provava nei miei confronti era niente in confronto all’umiliazione subita per avergliela fatta in tutto quel tempo, spacciandomi per un bambino.

«Ma perché, Mouri-san, dovrei farlo? In fondo, io sono un bastardo bugiardo», replicai acidamente, voltandomi appena per squadrarlo.

«Quell’appellativo te lo sei guadagnato».

«Ah, è così? Mi sono guadagnato la tua ira e il distacco di Ran perché sono un bugiardo e un bastardo? Bè, lo vedi questo?», mi alzai la manica della camicia, indicandogli la cicatrice lunga ed evidente sul mio braccio destra, «a quest’ora se non vi avessi detto niente per proteggervi, ce l’avreste anche voi!».

Quella serata mi stava fuggendo di mano.

Ran mi odiava; Kogoro mi odiava; io stesso mi trovavo ripugnante.

Mi rimisi a posto la manica della camicia e, poggiata la mano sulla maniglia della porta, abbassai il capo.

«Io amo tua figlia, ojisan».

Perfino io mi stupii delle mie parole. Perciò potei solo immaginarmi la reazione di Kogoro in quel momento alle mie spalle. Ma visto che lo avevo dietro, non vidi nulla.

«E se a lei piace quel tipo, o un giorno incontrerà un ragazzo che si vorrà sposare o altro, non le sarò d’intralcio. Infondo, chi vorrebbe un marito come me? Io sono solo un bastardo bugiardo».

Okay, ammetto che ero stato melenso. Anche tanto.

Ma comprendetemi, ero sconvolto. Ero talmente caduto in stato confusionale, che aprii la porta e mi diressi direttamente verso il tavolo con un’idea ben precisa.

Raggiunsi quel seccante tavolo rotondo, appoggiai le mani sulla mia sedia e, guardata negli occhi Ran che mi fissava incuriosita, sospirai.

«Ti amo».

Wow. Era stato più facile di tutte quelle volte che avevo provato di fronte allo specchio del bagno di casa mia. E ora eccola lì, a fissarmi incredula e inevitabilmente il bicchiere di acqua che aveva in mano cadde sul tavolo, frantumandosi.

Sentii dei passi affrettati dietro di me e, immaginando che potesse esse ojisan che voleva ammazzarmi per non aver fatto ciò che voleva, mi eclissai fuori da quella sala.

Mi ero appena infilato alla bene e meglio il cappotto, quando sentii qualcuno rincorrermi. Quasi con il cuore più leggero, mi voltai, sperando in Ran che mi correva incontro con i capelli al vento. Perciò quando notai una donnetta di mezza età al suo posto, immaginate che ci rimasi davvero male.

«Scusi, ma perché sta indossando il mio cappotto?», chiese sospettosa quella, guardandomi malamente. Solo allora mi accorsi dei merletti e del color rosa pallido di ciò che avevo addosso. Scandalizzato me lo levai, e lo buttai addosso a quella poverina che, offesa, se ne andò con il suo bel giaccone, pensando probabilmente che fossi un ladro.

Perciò, niente Ran che mi correva incontro, col suo bel vestito nero a incorniciarle il corpo longilineo, con i suoi bei capelli castani che le cadevano sul volto così delicatament-
Un momento. Ma quello che sto pensando sta accadendo. Oh, accidenti. E’ davanti a te, è davanti a te. Shinichi Kudo, tu ora devi pensare a una cosa intelligente da dire!

«Ehm… ho preso per sbaglio il giaccone di quella tizia. Me ne vado prima che chiami la polizia!».

In momenti come quelli, avrei tanto voluto essere uno di quei cadaveri nella quale mi imbattevo ogni santa volta che mettevo un millimetro di naso fuori casa.

Lei corrugò la fronte e, sistematosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, mi guardò col fiatone.

«Cosa hai detto?».

«Che ho preso per sbaglio il cappotto di quella la», ripetei ingenuamente. Lei abbozzò un sorriso.

«Prima, Shinichi», replicò con gli occhi che le scintillavano. Divenni scarlatto.

«Oh», deglutii, «quello».

«Già», rise, «quello».

Mi morsi un labbro, abbassando il volto.

«Bè, penso che tu ti riferisca a quel “ti amo”, vero?».

Lei sorrise emozionata, sospirando, per poi avvicinarsi a me.

«Sono mesi che aspetto, sono mesi che credevo che tu non provassi quello che avevo tanto… credo, dichiarato a Conan. Perché ci hai messo tanto?».

Mi persi in quegli occhi blu.

«Perché… perché… perché ti amo».

Arrossì, e un secondo dopo mi stava abbracciando forte, sfregando il suo volto contro il mio. Con il cuore che mi martellava nel petto, le cinsi i fianchi con le braccia, affondando nel suo collo profumato.

«Ho passato tutta la serata con quel Ron, sperando di farti ingelosire», ammise. Risi.

«Ryan», la corressi, accarezzandole la testa.

«Ah, Ryan», ripeté dolcemente.

«E quindi?», chiese incerto.

«E quindi, penso che il mio piano sia andato bene. Ti ho ingel-».

Prima che potesse continuare, mentre si staccava per guardarmi negli occhi, posai le mie labbra sulle sue. E mentre rispondeva con impeto, sentii in lontananza Ryan (che probabilmente avevo notato la scena) gemere deluso, e un ojisan impertinente scoppiare a ridere.

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Capitolo 3
*** one last happy moment ***


Title: One last happy moment
Author: Lore (minako;)
Pairing: Ran Mouri/Shinichi Kudo
Fandom: Detective Conan
Rating:
Arancione
Note: wow, quanti commenti XD più che altro mi fa piacere di averne ricevuti perchè in fondo non è un lavoro cortino e privo di impegno, perciò vedere che interessa mi da un motivo in più per continuarla con passione! Perciò grazie a:

rannina4ever

feferica

Ayumi Yoshida

youngactress

white_shadows

Mimiana

totta1412

E a chi ha aggiunto la raccolta fra i preferiti: accie’!!

1 - akane_val
2 - claudiaap
3 - evechan
4 - feferica
5 - Mimiana
6 - totta1412
7 - youngactress

Ma ora parliamo di questo terzo capitolo, che mi ha causato un po’ di problemi. Come vedete su c’è un bollino arancione, quindi per la prima volta mi sono dilettata a scrivere qualcosa di un po’… bo, come si dice in certi casi? Hot? XD No, a parte gli scherzi, non è niente di pornografico, però c’è qualche scena spinta. Per cui attenscione attenscione ** Niente alla Rocco Siffredi, ma tant’é che mi devo attenere al regolamento e avvertirvi *sisi* Spero gradirete, perché ho sudato sette camice per questo coso <3

 

 

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[03] one last happy moment

 

 

Lanciai un’occhiata sbieca al ragazzo seduto malamente sul divano di fronte a me.

In quella sala nella quale ognuno era impegnato in qualche distrazione leggera, lui era l’unico a rimanersene seduto con le braccia incrociate, con sguardo misto fra il nervoso e il furente.

La ragione per quell’espressione corrucciata e agitata era che il giorno dopo avrebbe affrontato…

Scossi la testa, tornando con l’attenzione al mio libro. Peccato che lo tenessi aperto da più di quindici minuti sulle stesse pagine. Sospirai, e sentii accanto a me mia madre e Kazuha irrigidite quanto me.

Vane erano state le richieste a quei testardi di Shinichi, Hattori-kun e papà di rimanere qui, in questo albergo per lasciare il lavoro all’FBI e alla polizia americana e giapponese. Ma tutti si erano opposti, e quanto mai noi tre eravamo in collera con i rispettivi… bè, penso “compagni”, anche se non era il termine più appropriato.

L’unica in quella sala a non essere nervosa, tuttavia, era la bella donna bionda seduta a Yusako Kudo, che sfogliava distratto un vecchio libro di gialli. Benché anche quest’ultimo avesse intenzione di partecipare alla missione per mettere fuori gioco l’Organizzazione, sua moglie Yukiko non pareva terrorizzata come me, Kazuha-chan e mamma. Ma probabilmente era tutta scena: più volte quella sera, infatti, avevo notato che lanciava occhiate ansiose sia a suo marito, sia a Shinichi, svogliato a guardare la televisione in quella sala deserta se non fosse stato per noi.

Sulla mia sedia scomoda ripensai agli avvenimenti che mi avevano portato a scoprire l’identità di Shinichi, esattamente una settimana prima.

Era stato inevitabile: vederlo trasformare di fronte a me aveva portato a galla tutto, e di conseguenza ci era stata detto a tutte la verità. Anche perché sarebbe stato scomodo, magari una volta tornati dallo scontro con quegli uomini, spiegare il perché tutti erano feriti e per colpa di un grosso colpo che sarebbe stato riportato di sicuro sui giornali. Perciò eccoci lì, tutte consapevoli della storia.

Abbassai lo sguardo, triste. Non mi importava molto delle menzogne che Shinichi mi aveva raccontato, quanto al fatto che il giorno dopo, perciò solo qualche ora da quel momento nella quale sedeva dinanzi a me, sarebbe stato in pericolo di vita.

Tirai su col naso, attirando l’attenzione di tutti, tranne del mio migliore amico, il quale, stringendo con rabbia il telecomando nella sua mano, si immobilizzò.

Ebbene sì, avevamo litigato furiosamente. Non avevamo mai bisticciato così, eppure era successo.

Mi ero attaccata con lui per cercare di distoglierlo dall’andare contro quegli uomini in nero, e la situazione era degenerata, così da farmi uscire di senno, e sputargli addosso cattiverie senza nemmeno pensarci.

Bugiardo; insensibile; cattivo amico; ti odio.

Ecco cosa gli avevo detto, ecco perché era in collera con me. Eppure quelle cose non le pensavo, non le pensavo! Ma in quel momento adrenalinico, dove lui testardamente aveva deciso di andare a farsi ammazzare, ero impazzita. E vederlo lì, così bello e di nuovo nella mia vita, senza che mi degnasse di uno sguardo mi sbriciolava il cuore. E il mio cuore di cose ne aveva dovuto sopportare.

Oh, il mio Shinichi.

Eccolo là, così meraviglioso, così… così… il mio Shinichi
Era troppo forte la voglia che avevo di averlo accanto a me, portarlo abbracciare, baciare, proteggere…

Proprio quando alzò lo sguardo e i suoi occhi incontrarono i miei, gemetti sottovoce. Strinsi le mani sul libro, e cercai di tenere gli occhi ben ancorati ai suoi, provando a non distogliere lo sguardo.

Pensai che se non l’avessi fatto io, probabilmente avrebbe cambiato direzione visiva lui, ma non accadde. Continuò a fissarmi intensamente, e solo dopo parecchio con un sospiro si alzò in piedi, interrompendo quel contatto.

«Vado a dormire. Ci vediamo domani mattina», mormorò e, infilandosi le mani nelle tasche dei jeans scuri, si avviò verso l’ascensore. Tutti lo fissammo infilarsi all’interno e sparire silenziosamente all’interno di quella cabina.

Fu allora che mi resi conto che forse quelli erano gli ultimi sereni momenti per parargli, per fare pace. Così, mormorando che avevo sonno, presi le scale e corsi verso il terzo piano, dov’erano le nostre stanze. Inutile dire che, dietro di me, sentii gli sguardi di tutti mentre facevo la prima rampa.

Col fiatone, feci quei gradini di corsa, rischiando più volte di cadere. E quando infine arrivai al terzo piano, notai appena in tempo la porta della stanza più lontana chiudersi con una botta.

Prendendo coraggio, mi avvicinai e, una volta calmato il respiro, bussai.

Alcuni passi moderati all’interno mi fecero sobbalzare il petto e, infine, mi ritrovai Shinichi davanti.

«Che c’è?», domandò freddamente. Feci un passo avanti.

«Ti devo parlare».

«Non credo», fece per chiudere la porta, ma Ran lo intercettò e, con tutta la forza che aveva, la spalancò, guadagnandosi da lui un’occhiata fulminante.

«Invece sì. Mi dispiace okay? Mi dispiace di averti insultato, mi dispiace di averti detto quelle cose! Ci sto male a vederti così con me, soffro sapendo che domani andrai là e rischierai la vita!», gli sputai in faccia facendolo arretrare, trovandomi così dentro la camera.

«Ti prego, perdonami, Shinichi, ti supplico», iniziai a singhiozzare. «Potrebbero essere gli ultimi momenti da passare insieme, e non voglio che siano così!».

Fissai smarrita i suoi occhi, che non si staccavano dal pavimento: sembrava titubante.

«Shinichi?», lo chiamai, avvicinandomi a lui.

«Mi hanno fatto male le tue parole», dichiarò, finalmente fissandomi. Trattenni il respiro per un po’, per poi, con le lacrime che mi bagnavano il volto, dirigermi verso la porta aperta. Ma prima di poter uscire, un braccio sbucò all’improvviso alla mia sinistra, afferrando la maniglia della porta per poi chiuderla con una botta secca. Stupita e anche un po’ spaventata, mi voltai e in quel momento Shinichi mi intrappolò nei suoi occhi blu.

«Pensi davvero quelle cose? Quelle cose che mi hai detto?».

«No», mormorai con un filo di voce.

«E perché me le hai dette, eh?».

«Oh, Shinichi! Ero sconvolta, fuori di me! Come puoi credere che pensi davvero quelle cose?», chiesi sperando di convincerlo. Ma lui con un gemito disperato si allontanò da me, portandosi una mano alla testa.

«Non lo so, Ran, io sono solo confuso», sospirò chiudendo gli occhi. Lui era in pericolo di vita; la nostra vita insieme era in pericolo. E in quel momento sentii l’urgenza di abbracciarlo, baciarlo, tenerlo stretto a me almeno per quei momenti prima di scoprire se potevano costruirci qualcosa.

Perciò, come un automa, mi avvicinai a lui e, strattonato piano per la camicia, una volta che si voltò gli presi il volto fra le mani e posai le mie labbra sulle sue.

La prima cosa che pensai fu che erano veramente dolci: dolci e morbide.

La seconda cosa che pensai, invece, fu che lo volevo almeno per quella notte. Sapere che non mi sarebbe sfuggito, sapere che avrei potuto stargli accanto quanto volevo, almeno per quella notte. Non mi importava niente se lui non mi amava, se in quel momento trovava ripugnante baciarmi. Quel desiderio era troppo forte per essere soffocato, così che disperata gli circondai il collo con le braccia.

Mi stupii non poco poi, quando, stringendomi la vita rispose impetuosamente. Talmente impetuosamente che, nell’atto di starmi più vicino, indietreggiai e caddi rovinosamente sul letto, mentre lui mi seguiva. Prese e sospirare sul mio volto, accarezzandomi una mia guancia bollente, mentre lo tiravo ancora verso di me.
«Shinichi», mormorai sul suo volto, mentre riprendeva a baciarmi le labbra più teneramente, cercando di non schiacciarmi col peso del suo corpo.

Le sue labbra sulle mie erano qualcosa di… di…

E pensare che stavo baciando Shinichi, proprio lui, mi fece scoppiare il cuore nel petto così vicino al suo. Quindi… lui mi amava? O stava assecondandomi solo per farmi stare calma?

Ma quando incrociò il mio sguardo, mentre mi accarezzava i capelli, seppi che non era così: i suoi occhi blu, così profondi e belli, splendevano nei miei.

A quel punto lasciarlo andare il giorno dopo sarebbe risultato ancora più doloroso.

Ma in quel momento non mi importava niente, avevo in testa solo il fatto che lui mi stesse tenendo così vicina a lui mentre mi accarezzava e mi baciava.
«Ti amo».

Quasi non mi accorsi neppure quando gli sussurrai all’orecchio quelle parole, perché fui subito presa dalla sua fugace risposta.

«Anch’io».

Fu in quell’istante che, letteralmente, mi sentii mancare; mi aveva davvero replicato così?

Felice oltre ogni immaginazione, sentii avvolgermi da un calore profondo, mentre lacrime di felicità mi colavano sul volto. Lui parve accorgersene, perché in un attimo si allontanò da me, lasciandomi da sola e infreddolita all’improvviso senza il suo corpo accanto al mio su quel materasso.

Smarrita mi misi a sedere sul letto, guardandolo preoccupata. Che avevo fatto?

«C-che ho f-fatto?», riuscii a balbettai infelice. Lui gemette frustrato.

«Niente. Semplicemente niente Ran, ma… è sbagliato».

«Sbagliato cosa?», domandai non riuscendo a seguire il filo del discorso.

«Sbagliato che sei qui, sbagliato ciò che stavamo facendo».

Mi sentii mancare, mentre gesticolava quelle parole insensate. Che stava dicendo?

«Ran, tu mi dovresti odiare. E so che lo fai, so che da quando hai saputo di me e Conan mi odi. Perciò non trovo giusto che solo per farmi cambiare idea per domani tu faccia simili cose che non vuoi».

«Ancora con questa storia? Ti ho chiesto scusa, dannazione, ti ho chiesto scusa!», quasi gridai, stavolta piangendo di umiliazione per essere stata respinta per quella ragione.

«Sei uno stupido, Shinichi Kudo, e non capisci niente!», gridai alzandomi di botto in piedi, per poi andare verso la porta e aprirla con un tonfo sordo, mentre mi dirigevo a grandi falcate verso la porta della mia stanza. Ma qualcosa, una mano, mi afferrò un braccio e mi impedì di proseguire.

«Che c’è?! Io ti odio, no, Kudo?», chiesi voltandomi gelida, sotto il suo sguardo perso.

«Quelle parole me le hai dette, Ran, e io non posso dimenticarle!», mi sbraitò contro. Perfetto. La seconda litigata in così poco tempo. Ormai avrei potuto dire addio all’amicizia o a quel che c’era fra noi.

«Fa come diavolo vuoi!», singhiozzai liberandomi dalla sua stretta e afferrando le chiavi della mia camera nella tasca dei miei jeans. «Fa come vuoi», ripetei frastornata, tirando maleducatamente su col naso. Ma ero troppo tremolante e scioccata per beccare il buco della serratura, così che, dopo alcuni secondi a innervosirmi, non resistetti e mi accasciai per terra. Le mani ancora sulla maniglia e la testa buttata giù, con il dolore che mi soffocava.

«Ran…».

«Vattene», soffiai, continuando a piangere. Sentii le sue mani calde liberare le mie da sopra la maniglia, e poi il suo petto contro la mia schiena a cingermi contro di lui in una morsa titubante.

«Mi dispiace», ammise con la testa sui miei capelli. «Mi dispiace, so che non pensi quelle cose…».

«Allora perché continui a battere ferro?», chiesi amareggiata, il suo respiro irregolare sui capelli.

«Non lo so, forse perché voglio stare male… sapere cosa ti ho sempre fatto patire… vorrei solo passarci anch’io per pagare ciò che ti ho causato».

Mi morsi un labbro, per poi girare il volto verso di lui.

«Mi ami?», chiese con un filo di voce, perdendomi nuovamente in quei suoi occhi così azzurri.

«Sì», deglutì teso.

«Allora ti prego», lo implora, accarezzandogli i capelli. «Ti prego, non respingermi».

Notai la sua insicurezza quando tenne rigido il suo sguardo nel mio. Poi,dopo quello che mi parve un secolo, mi passò una mano sotto le gambe e una sulla schiena, tirandosi in piedi con me in braccio.

«Come potrei respingerti di nuovo dopo aver sofferto così tanto la prima volta che l’ho fatto?», mi chiese cauto, rientrando in camera. Lì, dopo avermi adagiato sul letto, spense le luci e lo sentii sdraiarsi accanto a me. Fra di noi calò silenzio.

«Shinichi?».

«Mmm?».

«Ti ricordi quando da bambini dividevi sempre la merenda con me?».

Non rispose, probabilmente perso a ricordare.

«Perché lo facevi?», domandai. «In fondo, io avevo la mia. Eppure ogni volta mi davi metà della tua».

Che domanda idiota. Eppure lui dovette trovarla interessante, perché ci rimuginò su per un po’.

«Non lo so», mormorò. «Eri sempre così pallida… avevo paura che la tua non ti bastasse».

Mi misi su un fianco, appoggiando la testa al suo petto.

«Shinichi?».

«Sì?».

«Pensi che un giorno riusciremo a stare davvero insieme?».

Mi strinsi al suo petto di più, chiudendo gli occhi dopo aver posato l’orecchio vicino al suo cuore, che a quella mia domanda cominciò a battere irregolarmente.

«Sì, lo penso».

Il suo cuore rallentò piano piano, fino a tornare regolare. Il suo profumo, così famigliare, mi avvolgeva in un abbraccio dolce. Stordita da quella sensazione, alzai la testa, guardando il suo volto nella semi oscurità della camera, nella quale l’unica luce proveniva dalle tende non chiuse bene sul fondo della stanza.

Anche lui prese a guardarmi, e ricominciò ad accarezzarmi la guancia. Così estasiata da quel tocco, mi alzai un poco sul gomito, accarezzandogli il petto. E, non so come, dopo alcuni secondi mi ritrovai a baciarlo di nuovo con cautela, forse ancora spaventata che potesse scomparire. Ma ben presto, quando mi abbracciò e si mise sopra di me, risposi sicura alle sue labbra che si impossessavano delle mie con tenerezza.

Le mie mani, avvolte dietro al suo collo, gli solleticavano la nuca, dove alcuni ciuffi di cappelli si impigliavano nelle mie dita. E, mentre le sue labbra vagavano verso il mio collo, chiusi gli occhi cercando di non pensare al domani, ne a dove saremmo arrivati quella notte. Non mi importava niente se era pericoloso, ne se ci sarebbero state conseguenze.

In quell’istante riuscii solo e slacciargli i bottoni della camicia, e buttarla da qualche parte sul pavimento, con la sue mani che si muovevano sul mio volto accaldato. Lo abbracciai più forte, sospirando nell’incavo del suo collo nel mentre in cui mi accarezzava i fianchi. Leggermente, passai una mano sulla sua schiena, sentendolo rabbrividire. Perciò tornò sulle mie labbra, posando il suo naso sul mio con dolcezza.

«Se ojisan dovesse entrare ora», iniziò con la voce un po’ affannata, «penso che mi farebbe in poltiglia».

Risi piano sulla sua guancia, per poi staccarmi mentre faceva scivolare via la mia maglia. Intimidita, mi strinsi al suo petto, cercando di non farmi troppo vedere da lui. Ma poi mi ricordai delle terme, e lì avvampai.

«Ti stai surriscaldando, mi devo preoccupare?».

Ridacchiai, strofinando la mia testa contro il suo petto, le mani sulle sue spalle larghe.

«No, penso sia normale. Almeno credo…».

«Se prendi fuoco in corridoio c’è un estintore», sentii un sorriso nella sua voce.

«Se parli ancora ho un calzino nei piedi da metterti in bocca», replicai. Lui soffocò una risata fragorosa, per poi scendere verso i miei piedi.

«Ah, davvero?», chiese giocoso, afferrandomi per i piedi. Mi lasciai sfuggire un riso, strozzato da una mano che mi portai sulle labbra. In un batter d’occhio mi levò i calzini, e leggermente mi fece il solletico ai piedi, facendomi sobbalzare divertita.

«Mollami!», lo intimai, mettendomi a sedere sul letto. Vidi il suo sorriso sbieco grazie alla luce sottile che aveva su metà volto.

«S-shinichi», risi mentre, poi, si mise a gattonare verso di me con sguardo furbo. La voglia di ridere era troppo forte, così che cercai in ogni modo di soffocarla. E lui mi aiutò, baciandomi entusiasta.

Le mie mani, come mosse da un’altra entità, si ancorarono ai suoi fianchi, accarezzandoli delicatamente.

«Ora mi sembra che a surriscaldarti sia tu», gli bisbigliai all’orecchio, quando sentii il suo volto bollente appoggiarsi al mio collo. Parve non gradire quella battuta, perché poggiò le mani alle mia schiena e bruscamente si girò, facendo finire me sopra di lui.

«Baka», mi lasciai sfuggire, dandogli un pugnetto leggerlo sul petto. Sogghignò.

«Se non stai zitta, ti infilo un calzino in bocca», cantilenò. Feci una smorfia.

«Chissà da quanto non te li lavi, io non te li levo».

«Impertinente!», soffiò e con una spinta tornò sopra di me. Scossi la testa.

«Guarda che chiamo papà», lo minacciai.

«Provaci», mi sfidò, accarezzandomi lentamente la pancia.

«Ci provo?», cercai di resistere alle sue mani che salivano e scendevano intorno al mio ombelico.

«Così ti giochi tutto, e ti becchi un mio calzino in bocca».

«Che schifo, no!».

Con un sorriso riprese a baciarmi con vigore e, decisamente insicuro e titubante, posò le mani sui miei jeans. Nascondendo il mio volto scarlatto nel suo petto, deglutii quando piano me li sfilò. In quel momento, penso che la voglia di ridere e scherzare si dissolse in un lampo, e il desiderio dei suoi baci e delle sue carezza divenne un peso insostenibile. Sospirando impaziente, mi baciò ancora facendomi stordire, fino a quando non mi aggrappai ai suoi pantaloni, per poi toglierli con mani tremanti. Il calore su tutto il mio corpo a contatto col suo mi frastornò così tanto da farmi chiudere gli occhi con foga, mentre mi baciava la pancia. Poi non riuscii più a formulare nessun pensiero: in un attimo, ancorata al suo collo, dopo avermi levato gli ultimi indumenti, riuscii solo a dirgli che l’amavo.

 

***

 

«Allora, fate attenzione».

Yukiko Kudo guardò suo figlio e suo marito, mentre si infilavano i giacconi pesanti e ricambiavano il suo sguardo stranamente preoccupato con un sorriso tiepido. Poco lontano da loro, Eri Kisaki guardava sulle spine Kogoro, che le lanciava occhiate titubanti.

«Andrà tutto bene», la rassicurò suo marito, abbracciandola dolcemente. Aggrappandosi a lui, cercò di auto convincersi. Dopo quello che le sembrò veramente poco tempo, si ritrovò lontana da lui.

«Mamma».

Yukiko si voltò verso Shinichi, il quale si avvicinò stanco a lei. «Fammi un favore, ti prego», le mormorò in un orecchio. Lei alzò un sopracciglio.

«Dopo va in camera mia», le diede le sue chiavi. «E fa in modo che Eri non si accorga di niente».

Confusa, Yukiko guardò il figlio senza capire. Lui sorrise appena.

«Grazie», bisbigliò, dopo averle dato un fugace bacio sulla guancia. Poi, stanco e con gli occhi circondati da occhiaie pesanti, affiancò Heiiji, che salutava per l’ennesima volta una Kazuha che non faceva che ricordargli di tenere il loro amuleto proprio sul cuore.

«Te lo devi tenere lì! E non la in basso!», ripeté esasperante, facendolo sbuffare.

«Se è lungo lo spago come faccio a tenerlo lì?!».

«Te lo tieni con una mano!».

«Mi sembra logico, con un matto alle spalle pronto ad ammazzarmi io mi tengo questo diavolo di coso sul cuore!».

Shinichi scosse la testa, per poi guardare di soppiatto Kogoro al suo fianco.

«Ran non è venuta a salutarci…», notò con disappunto. Shinichi sospirò, aprendo la porta per uscire

«E’ solo stanca», mormorò, ma lui non lo sentì. Quindi, col cuore in gola, si buttò in quella mattina fredda. Sarebbe sopravvissuto? Non lo sapeva. Ma almeno aveva il profumo di Ran impregnato addosso ad addolcirgli quella pericolosa giornata.

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Capitolo 4
*** friends ***


Title: Friends
Author: Lore (minako;)
Pairing: Ran Mouri/Shinichi Kudo
Fandom: Detective Conan
Rating:
Giallo
Note: ho adorato scrivere questo capitolo XD Spero che vi divertirete come mi sono divertita io (in caso contrario sarete rimborsati *sisi*). E ringrazio anche voi fedeli recensori e lettori!!
Questo capitolo spero vada bene, perché vi avverto che forse i personaggi [visto che il contesto comico può dar rogne per questo] sono un po’ OOC. Quindi vi avverto, in modo che siate preparati se vi da fastidio questo tipo di fic. Comunque non è OOC pesante, spero sia okay comunque!
Ora vi lascio, ringraziando i recensori! Ciau!

 

evechan: accie’ per i compliments ** Addirittura commossa? Wow! xD Spero che questo capitolo di piaccia! Ciau ciau!
white_shadows:
in effetti concordo con te sul fatto che il capitolo precedente era un po’… polpettoso? xD Forse è il termine giusto, e concordo anche che lo stile era un po’ più basso dei precedenti. Ma come ho detto, guarda, per scriverlo ci ho impiegato veramente tanto, e – si sa – quando vuoi fare qualcosa che non è alla tua portata, alla fine di farci arrangiamenti non viene poi tanto bene. Apprezzo quindi il tuo commento ancora di più, perché è bello ricevere recensioni negative però che ti aiutino a migliorarti. Ora so con certezza che certe tematiche devo rivederle *sisi* Per i dialoghi pesanti… quello è un mio vizio, li faccio sempre così, anche se in effetti nella parlata comune non accade xD Cercherò di essere più leggera! Uhh, davvero Mi sa che ci siamo incollati ti è piaciuta? Mamma mia, sembra un’eternità fa che l’ho scritta! Grazie per i complimenti!! :)

feferica: spero di aver postato in fretta il capitolo, visto che eri impaziente! ** E spero ti sia piaciuto come quello precedente! Grazie per i complimenti! Ciau^^

totta1412: no no, Ran dormiva perché, poverina, sai com’è, con uno stallone (lol) come Shinichi dopo aver passato la notte con lui era pure stanca! xD Nessun ago, semplicemente ha fatto troppo sport! XD

rannina4ever: intanto grazie mille per i tanti complimenti! ** Sarò ben felice di darti consigli per la fic, non appena finisco di postare questo vado a leggere! Per il mio contatto msn, non mi piace dartelo qua, preferisco mandarti una mail. Però ti devo avvertire che non ci sono spessissimo!

 

 

twentylovemoments
s h i n i c h i • r a n

 

 

[04] friends

 

 

Non mi piaceva quella situazione. Proprio no.

E sapere che avrei potuto farne a meno, mi rese ancora più incollerito.

Fissai con astio il ragazzo accanto a me, entusiasta di avermi lì con lui. Dannato Hattori.

«Non è fantastico che siamo tutti qui?», domandò su di giri, fissando me e Ran pronto a ricevere una risposta positiva. Invece, ricevette da parte mia solo uno sguardo fulminante.

«Sì», replicai. «Fantastico».

Ran mi diede una gomitata nelle costole, facendomi sbuffare.

«Oh, non mi dire che adesso vorresti essere qui!», le sibilai, non facendomi sentire da Hattori.

Lei si rattristò un attimo, per poi acconsentire con un sospiro. Entrambi sapevamo cosa sarebbe successo che quel dannato Hattori non ci avesse telefonato la sera prima: i biglietti per una crociera romantica di una settimana erano ancora nella tasca dei miei jeans.

E dire che in quel momento saremmo potuti essere su una nave di lusso, completamente da soli a compensare quel mese nella quale mi ero assentato per andare in America per un caso. Che noia…

«Oh, ecco Kazuha!».

Mi voltai pigramente a guardarla venirci incontro con un pancione assurdo. Alzai un sopracciglio: e bravo Hattori, aveva colpito due volte in una botta. E così, solo che fra qualche settimana, avrebbe avuto due gemelli.

«Scusate il ritardo, ma non sono riuscita a scollarmi dal lavoro molto presto», si avvicinò a noi gioiosa, per poi posare un bacio sulla guancia a Hattori, che la fissò come incantato.

Incrociai le braccia.

«Tutto questo è molto commovente», cercai di non fare caso al piede di Ran che pestava il mio con ferocia, «ma non ho capito ancora perché dobbiamo venire anche noi», conclusi pestando a mia volta il piede di mia moglie.

«Bè, ci sentivamo un po’ imbarazzati ad andarci solo noi due, così abbiamo pensato: chi meglio di Kudo-kun e Ran-chan?», rise Toyama, mentre entravano nel portone di fronte a noi, dove si sarebbe svolto un incontro fra futuri genitori.

«Certo, chi meglio di noi due che non abbiamo nessuna esperienza?», borbottai al caldo dell’ambiente, togliendomi il giaccone per poi appenderlo all’attaccapanni lì accanto.

Una volta tolti i cappotti, andammo verso una saletta già un po’ affollata, dove ci accolsero con entusiasmo.

«Oh, due coppie di futuri genitori!», esclamò una donna sulla quarantina, probabilmente la dottoressa che avrebbe fatto la lezione, battendo le mani. Ran scosse la testa.

«No, no, noi accompagniamo loro due», spiegò indicando i due alle mie spalle che annuirono impetuosamente.

«Oh, allora mettetevi pure tutti e quattro lì per terra, in fondo», ci indicò uno spazio vuoto, dove ci andammo a sistemare.

Come avevo fatto ad accettare di accompagnarli, eh? COME?!

Forse perché ti senti incredibilmente in debito con Hattori per tutta la storia dell’organizzazione.

Schifosa coscienza interiore. Ma in fondo era vero: gli dovevo la vita, mi aveva aiutato a sconfiggere gli uomini in nero. Perciò avevo acconsentito mosso da ciò. Ma iniziavo a pentirmene amaramente.

«Comunque, ti ho chiesto di venire perché ci dovrai aiutare in futuro», si sedette per terra accanto a me Hattori, incrociando le gambe come gli indiani.

«Scusa?», chiesi confuso. Non dovevo adottare un suo marmocchio perché non ne voleva due, vero?

«Bè, sei stato bambino per così tanto, che avrai imparato molto sui marmocchi di oggi, no?».

Grugnii, mentre Ran ridacchiava. Bella moglie che avevo.

«Oh, che fatica», commentò con una smorfia di dolore Toyama, posando una mano sul pancione enorme. Sembrava una mongolfiera umana, ma mi guardai bene dal renderglielo noto.

«Tutto okay, Kazuha-chan?», domandò preoccupata Ran al mio fianco, sporgendosi in avanti per vedere l’espressione sofferente della sua amica. Perfino Hattori si irrigidì, voltando uno sguardo ansioso alla moglie.

«Oh, non è niente», commentò deglutendo lei. «E’ solo mal di stomaco, ho mangiato un po’ pesante oggi».

Mi venne da ridere al pensiero di Toyama che si ingozzava di hamburger con quella pancia al McDonals. Non potei trattenermi, e risi sottovoce per conto mio come un pazzo. Hattori, Ran e Toyama mi fissarono stralunati. Cercai di darmi un contegno.

«Ehm… scusate», dissi smettendo di ridere. Ma Toyama iniziava a respirare a fatica, così che l’attenzione di tutti fu su di lei.

«Tutto a posto, signora?», domandò la donna di prima, avvicinandosi. Toyama spalancò gli occhi.

«H-heiji», chiamò suo marito, voltandosi verso di lui, il quale era diventato di ghiaccio. «Heiji, penso sia il momento… Heiji? Ehi?».

Diedi un colpo sulla testa ad Hattori, cercando di farlo rinvenire. Ma l’avevamo penso, supposi, perché riuscì solo ad aprire la bocca nel panico.

«Hattori?», cercai di farlo tornare in vita.

«CAZZO, HEIJI, STO PER AVERE I TUOI FIGLI!», gridò fuori di se Toyama, facendo sobbalzare all’indietro dalla paura sia me che Ran, per non parlare poi del diretto interessato, che balzò direttamente in piedi guardandola come se venisse da Marte e i figli di cui parlava fossero del primo barbone che aveva incontrato per la strada.

«Presto, aiutiamola ad alzarsi!», ordinò la dottoressa, prendendola da sotto le ascelle. Hattori, ripresosi, l’aiutò mentre io a Ran spingevamo da dietro. Venti tonnellate dopo, era in piedi che sudava e gemeva.

«Okay, niente panico. Ora chiamo un’ambulanza», prese il telefonino Hattori con mani tremanti, tanto che in un atto compassionevole la chiamai io per evitare che sbagliasse ogni volta numero.

«Su, respira», ordinò la dottoressa, prendendola a braccetto per condurla fuori. Ran e io li seguimmo, ma l’occhiata rabbiosa di Toyama ci immobilizzò, e quasi non risposi al telefonino quando dall’altra parte dell’apparecchio mi rispose un’infermiera.

«Voi restate qua!», sbottò, appoggiandosi a Hattori, che la tenne su mentre continuavano a camminare verso l’uscita. Finita la telefonata all’ambulanza, guardai frastornato Toyama.

«Perché dovremmo restare?!», chiesi scioccato.

Già! Perché dovremmo restare? La nave per la crociera doveva ancora salpare, potevo salvare in extremis una settimana passionale con mia moglie dopo un mese di astinenza! Non c’era mica da scherzare!

«Sapete quanto abbiamo pagato?! Ora qualcuno se la gode questa cosa, e quindi ci state voi!».

Pare non si accorgesse che ne Ran ne io avessimo in grembo un moccioso, ma questo non sembrava preoccuparla. Anzi, ripeté che dovevamo rimanere anche quando arrivò l’ambulanza e salì con gemiti sconnessi. Hattori mi guardò.

«Fallo per il tuo migliore amico», mi supplicò.

Odiavo avere amici.

Annuii con un sospiro pesante.

Addio settimana romantica, addio notti insonni. Benvenuto corso per futuri genitori lunatici.

Rientrai con Ran, che notai fosse anch’essa insolitamente triste. Sfruttai quella situazione.

«La crociera deve ancora iniziare», le mormorò malizioso in un orecchio. Lei mi guardò con occhi illuminati da una luce entusiasta, ma poi scemarono quando la dottoressa ci spinse dentro.

«Ritornate ai vostri posti, su!».

La guardammo in cagnesco, e sconvolti tornammo a sederci.

«Dannazione», soffiai, ma il silenzio calò, e tutti dovemmo ascoltare la dottoressa.

«Allora, iniziamo finalmente. Futuri padri, fate sedere davanti a voi le vostre future mamme!».

Io rimasi fermo al mio posto, e così anche Ran, ma quando la dottoressa ci fulminò con lo sguardo, in fretta mia moglie volò di fronte a me, dandomi la schiena.

«Ma che posizione romantica», notai sarcastico, guardando le altre mamme con le gambe larghe per la pancia che evitava di tenerle chiuse. Ran strozzò una risata nella mano.

«Cara, come ti chiami?».

Ran si immobilizzò, arrossendo.

«Ehm… Ran», rispose. La dottoressa stramba la guardò con una smorfia.

«Apri le gambe, Ran».

«La cosa si sta facendo interessante», ridacchiai nascondendomi dietro di lei. Mi diede un pugno nello stomaco, facendomi semi soffocare. Imbarazzata, poi, seguì gli ordini.

«E ora, futuri padri, accarezzate la pancia con il bambino. Non è meraviglioso ciò che si muove nel ventre della vostra compagna?».

«Uhh, ecco il sushi che hai mangiato a pranzo che si muove», toccai la pancia di Ran, facendola ridere fragorosamente. Tutti si voltarono offesi verso di noi. Ci zittimmo all’istante.

«Eh ora», digrignò i denti la dottoressa stramba guardandoci male, «future mamme, provate a immaginare ciò che avete nel ventre».

«Mi sta venendo fame a immaginare il sushi», ammise nel mio orecchio, voltandosi appena verso di me. Tossì per mascherare un attacco di risa.

«E ora, per coinvolgere anche il vostro compagno, fra voi ricordate il momento del concepimento».

Tutti iniziarono a sussurrare fra loro, mentre io e Ran ci guardammo cercando di non ridere.

«Okay, decidiamo quando abbiamo concepito il sushi», feci finta di concentrarmi.

«Bè, è facile, a pranzo», rispose divertita.

«Bene, ricordiamo quel momento», chiusi gli occhi e lei fece lo stesso.

«Fatto».

«E ora?».

«Non so, ne discutiamo?», chiesi. «Per esempio devo dire che gli involtini erano un po’ salati».

«Pure io me ne sono accorta», annuì.

«Il resto era ottimo, però».

«Bene!».

«Ora parlate fra voi della vostra creatura. Per esempio, che nome gli darete o che sesso vorreste che abbia!».

«Chissà il sushi se era maschio o femmina», rimuginò sopra mia moglie.

«Bè, lui si chiama sushi in entrambi i casi», risposi.

«Ma quando crescerà i suoi amici non sapranno se chiamarlo sushi-kun o sushi-chan».

«Che problema», commentai.

«Puoi scommetterci!».

«Future madri, ora immaginate il momento in cui il vostro bambino uscirà da voi!».

«Che schifo!», commentammo all’unisono sottovoce sia io che Ran, storcendo il naso.

«Non provare a immaginarlo, che orrore, Shinichi!», mi ammonì, e fui grato a seguire il suo consiglio.

«Bleah», commentai.

«Voi vi chiederete, futuri papà, come potreste aiutare per far uscire la vostra dolce creaturina».

«Veramente no», risposi in un sibilo.

«Bè, dovrete tenere la mano della vostra compagna, e aiutarla psicologicamente».

«Scusa Ran, ho promesso di amarti per l’eternità e tutto quando, ma non penso di poter fare ciò che dire lei», le dissi.

«Sei perdonato», fece una smorfia.

«Domande?», chiese. Alzai la mano senza neanche pensarci.

«Mia moglie nella pancia ha solo il pranzo di oggi e qualche budella, potremmo andarcene?», domandai candidamente. La dottoressa stramba sospirò adirata, e indicò la porta. Felici ci alzammo in piedi, e prima che potesse cambiare idea, indossammo le giacche e fuggimmo da quell’edificio.

«Che ore sono?», chiese correndo verso la macchina Ran. Guardai l’ora.

«Manca un quarto d’ora!», gemetti.

«Le valige sono ancora in macchina?», chiesi. Lei annuì.

Volando adocchiammo la nostra macchina, e subito misi in moto verso il porto.

«Non dovremmo andare a vedere come sta Kazuha-chan?», chiese in colpa poi. La fissai male.

«Ran, per favore, eh!», sbriciolai qualsiasi panico che si era impossessato di lei.

Dieci minuti dopo, stavamo parcheggiando malamente la macchina per poi correre verso la nave che stava finendo di imbarcare i passeggeri.

Mi sentivo molto Leonardo Di Capro, in effetti, a correre così. Sperai solo che la nave avesse di fronte a lei un altro destino, un pelino più positivo del Titanic.

Una volta dentro, col fiatone ma felici, tirammo un sospiro di sollievo.

«Kazuha e Hattori-kun ci uccideranno», commentò, mentre cercavamo la nostra cabina.

«Oh, andiamo, lo sanno tutti che i bambini appena nati sono strabici, senza capelli e coperti di sangue. Non avrebbero voluto che vedessimo i loro marmocchi in quelle condizioni», risposi.

Lei fece una profonda smorfia che una volta dentro alla suite divenne meraviglia.

«All’improvviso, mi sono dimentica di Kazuha e Hattori», mormorò fissando l’eleganza della cabina.

«Sembra il Titanic».

A volte viaggiavamo proprio sulla stessa lunghezza d’onda.

«Senti, Shinichi», si voltò poi verso di me incerta. La fissai curioso.

«Stavo pensando...», cominciò sempre titubante. «E se… come dire… proviamo ad avere un bambino anche noi?».

Deglutii.

«Il sushi non ti basta?».

«Shinichi!», mi guardò frustrata. Sorrisi.

«Calma, calma, scherzavo!», l’abbracciai. «E poi abbiamo una settimana intera, no?».

Le mi guardò, insicura.

«Ma a te piacerebbe?».

La fissai un attimo.

«Come puoi pensare il contrario?», domandai. Lei sospirò rilassata.

«Davvero?», le si illuminarono gli occhi. Annuì.

«Davvero», acconsentì.

Batté le mani gioiosa, e risposi all’allegria con un sorriso, non potendo sapere che settimana avrei passato sotto le sue torture per rimanere incinta. Vi dico solo che arrivato a casa dormii due giorni per riprendermi. Ma almeno, qualche mese dopo, sentii qualcosa nella sua pancia, e non era sushi.

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Capitolo 5
*** anger ***


Title: Anger
Author: Lore (minako)
Pairing: Ran Mouri/Shinichi Kudo
Fandom: Detective Conan
Rating:
Arancione
Note: dopo tempi immemori, ecco il nuovo capitolo *____* Shinichi-Ran forever, niente da dire, niente da fare u.u Ora, questo capitolo lo dedico in particolare alla mia compagna di avventura Hiromi-non-mi-ricordo-il-numerino-a-fianco aka Fefe <3
E, naturalmont, a voi lettori stupendi e speciale ^_^
In particolare a quelle anime buone che commentano e mi danno un motivo in più per scrivere °_^ Lascio una risposta piccina picciò a ognuna/o di voi =)

 

Ai_Sellie : ma come sei dulse *.* Mi fa piacere che queste shot ti abbiano fatto ridere ed emozionato, un piacere immenso!! Grazie del commento =)

biccepingu : oddio, davvero non hai mai letto fan fiction più bella?! Sei troppo gentile, davvero!! Continuerò a scriverle, sta tranquilla ^.° Thanks for the comment ^^
Australia : grazie infinite per i complimenti, ma ti assicuro che ho ancora tantissimo (purtroppo -.-) da imparare! Però è grazie alle persone come te che mi fanno complimenti del genere che mi viene voglia di migliorarmi! Perciò, grazie *-*
white_shadows : che bello ricevere un commento positivo da qualcuno che in precedenza mi aveva esposto dei consigli da seguire *.* Questo vuol dire che sono migliorata, e tutto grazie a te ^^ Accie white!!!! =) =) Spero che anche questo capitolo sia fresco, ma ne dubito… però sappi che questo l’ho volutamente così :P XD Ciao, e grazie ancora per il commento ;)
feferica : sapere di averti fatto ridere mi fa tanto piacere!! Così so che il mio intento è stato raggiunto ;) Grazie per il commento!! =)
___MiRiEl___ : visto che amiamo tutte e due Shin-Ran, i love moment e detective conan… è impossibile non andare d’accordo XD Spero tantissimo che questo capitolo ti piacerà, perché tengo molto al tuo giudizio, ho visto anche che sono una fra i tuoi autori preferiti *____* Ma grazieeeeee <3
_Diane_ : certo che il mio scopo era farti soffocare, cosa credi XD (scherzo, per favore, non soffocare O.o). Grazie mille per aver aggiunto la fan fiction ai preferiti, per me è una grande cosa! Grazie del commentone =)

evechan : sono contenta che ti sia piaciuta, e sono anche contenta del tempo che hai trovato per commentarmi la storia! Accie mille =)
totta1412 : anche a te, un grazie enorme per il commento anche se non è il tuo genere!! Mi ha fatto piacere ricevere un commento anche da chi non apprezza la coppia o il genere! Il sapere di avere lettori di ogni idea e parere che possano apprezzare anche qualcosa che non apprezzano solitamente è bello! :) (che gioco di parole XD)
rannina4ever : grazie incredibilmente per il tuo bellissimo commento!!! *___* E, come hai visto, ho commentato la tua fic con un consiglio che, con piacere, ho visto che hai un po’ seguito!! =) Grazie ancora per il mio riferimento nella tua ficci XD Ciau!!

 

 

twentylovemoments
s h i n i c h i • r a n

 

 

[05] anger

 

 

Il rombo di un tuono non lo scalfì minimamente. Il freddo, le ossa ghiacciate, e il corpo zuppo, quelli si che erano un problema!
Tuttavia Shinichi Kudo pareva non curarsene, mentre guardava, sotto la pioggia che si abbatteva prepotentemente contro di lui, la vetrata del palazzo di fronte a lui.
Il collo iniziava a fargli male, visto la posizione scomoda che aveva da oltre un’ora. Eppure, neppure ciò gli interessava.
Sapeva solo che non se ne sarebbe andato da lì neanche se l’avessero trascinato di peso.

Il desiderio di vedere il volto di Ran da quelle vetrate era forte, così tanto che non si era sfumato neanche un secondo in quegli ultimi sessanta minuti.

La faccenda andava avanti da tre settimane, il periodo più lungo nella quale non si erano parlati.
Tre settimane… tre settimane da quando era tornato a essere totalmente Shinichi Kudo; tre settimane da quando avevano sbaragliato gli Uomini in Nero; tre settimane da quando Ran era venuta a conoscenza della verità… ancora, tre settimane da quando aveva litigato con Shinichi.
Ancora se lo ricordava, quel giorno…
Shinichi chiuse gli occhi, e di fronte a lui parve il volto arrossato della sua migliore amica, fuori di sé per la rabbia e la delusione.
Non aveva voluto sentire ragioni: a suo giudizio, l’aveva solo usata e illusa, presa in giro e umiliata.
Invano, le aveva detto che l’aveva fatto per il suo bene, e lei, pungente, gli aveva replicato che se voleva tenerla al sicuro non sarebbe andato a vivere sotto il suo stesso tetto.

E… aveva ragione. Così facendo, il giorno dello scontro, lei era stata messa in mezzo solo perché era con lui per la strada.
Strinse i pugni.

Gli veniva da piangere, ma si trattenne. Non voleva, non poteva, accidenti!
Con un nodo alla gola, rimase ancora lì, rabbrividendo. La chiamò, ancora.
- RAN!
Quanto desiderava vederla da quella vetrata… quanto! Però, non pareva averne intenzione.
- RAN!

Quasi gli parve una visione. Si costrinse a chiudere e riaprire gli occhi quando la vide aprire la finestra e sporgersi a guardarlo con le lacrime che le rigavano il volto.
- VATTENE! – urlò piangendo, tenendosi convulsamente alla finestra.
- NO! APRIMI!
Non avrebbe mollato. Non lo avrebbe fatto.
Ran, dalle vetrate dello studio di suo padre, non sapeva che fare.
Shinichi Kudo, il suo migliore amico, il ragazzo di cui era innamorata, l’aveva presa in giro, l’aveva usata.
Eppure… diceva di averlo fatto per il suo bene. In quei giorni nella quale era rimasta sola chiusa a chiave nella sua camera, aveva pensato e ripensato. Lo aveva fatto per lei… però… però… le dava così fastidio il fatto che uno come Heiji Hattori sapessi tutto, e lei no! LEI! La sua migliore amica!
Deglutì.
A guardarlo lì, sotto la pioggia, completamente bagnato con il naso all’insù per guardarla, però si sentì il cuore gridare il suo nome.
Shinichi, Shinichi, Shinichi…

Cosa doveva fare con lui?

La voglia di chiamarlo era grande, così come la voglia di baciarlo, stringerlo a sé, accarezzargli quel volto così disperato.
Sapeva che, se quel giorno gli avesse aperto la porta, non si sarebbe fermata. Il desiderio di tenerlo stretto era troppo forte.
Era anche per quello che era così restia a lasciarlo entrare. Perché, così bagnato e indifeso, le avrebbe addolcito il cuore, non dandole possibilità di essere ancora arrabbiata. Che doveva fare?

- RAN!
Basta! Non chiamarmi!
- RAN!

Smettila! Smattila!

Con una botta chiuse la finestra, lasciandosi cadere a terra. Lì si mise irrimediabilmente a piangere.
Stava così male, così tanto che avrebbe potuto anche perire lì.

 

 

Shinichi guardò frustrato il suo orologio. Due ore. Due ore che era lì.

Sospirò. La pioggia, ora, se possibile, cadere ancora più forte di prima. Si sentiva il corpo stranamente caldo e la testa scoppiare. Perfetto. Si era beccato qualcosa.
Detto fatto, starnutì un paio di volte. Con la testa che girava, la rabbia iniziò a impossessarsi di lui. Perché faceva così, cazzo?! L’aveva fatto per proteggerla, e anche se a lei non andava bene, non poteva trattarlo così!

Fu ciò che lo spinse finalmente a muoversi e andare verso la scala che portava allo studio di Kogoro, dove Ran non intendeva accettarlo.

Era così… così… così improvvisamente infuriato che, con un pugno, cominciò a battere contro la porta con violenza.
- RAN! APRIMI!

Doveva averla spaventata perché, alcuni secondi dopo, la porta si aprì di un millimetro in un cigolio sinistro. In quel momento, Shinichi ne approfittò e l’aprì completamente. Ran, dal canto suo, strabuzzò gli occhi arrossati dal pianto disperato di appena un’ora prima.

Shinichi aveva uno sguardo che poche volte gli aveva visto in volto. Era così spaesata, che quasi non si accorse che aveva fatto due passi avanti e ora era a pochissima distanza da lei.

- Dimmi dove ho sbagliato – sibilò Shinichi, stringendo i pugni.
- Dimmi dove ho sbagliato, perché non ci arrivo. Merito davvero di essere trattato così, quando ingenuamente volevo solo proteggerti?!

Sudava freddo. Non andava bene. Stava per perdere il controllo.

Shinichi chiuse gli occhi, appoggiandosi con una mano alla porta aperta. Come stava male, dannazione!

- A me ha dato fastidio il fatto che mi hai preso in giro! Quante volte mi hai vista star male per te, eh? Dimmelo, perché ormai ho perso il conto.

- L’ho fatto per te, per te!

Ran voltò la testa di lato, tirando su col naso. Che doveva fare? Accidenti, che doveva fare?!

-Ti ho già chiesto scusa, sono stato qui sotto la pioggia per due ore, in questi giorni ti avrò mandato mille messaggi! Che devo fare per farmi perdonare?!

- Niente. Semplicemente niente – pianse Ran.

- Vattene. Per favore, vattene! – pianse più forte, spingendo la porta per sbatterlo fuori.

- NO! Dannazione, no!
Con una botta aprì completamente la porta e dopo neanche un secondo stava abbracciando Ran, tenendola stretta contro il suo petto bagnato.

- Lasciami! – disse flebilmente lei, sapendo che da lì a poco non sarebbe più stata in grado di ragionare.
- No! Ora mi stai a sentire!
Ran alzò lo sguardo, per incontrare i suoi occhi fiammeggianti. Era così dannatamente bello, così dannatamente infuriato che un brivido le percorse la schiena.

Fu così che, senza neppure accorgersene, con un gemito sommesso, si alzò sulle punte dei piedi e poggiò le sue labbra contro le sue.

Sorpreso e ancora infuriato, Shinichi replicò a quel bacio con foga. Era così’ caldo, e lui aveva così freddo… le emozioni che provò in quell’istante lo accaldarono immediatamente, in maniera così appagante che l’abbracciò ancora di più, intensificando il bacio.

L’aveva desiderato così tanto, così intensamente che non gli pareva vero. Che fosse solo un semplice sogno?
La paura che tutto ciò non fosse reale, lo portò ad accarezzarle i capelli, così morbidi e setosi, e a esultare capendo che tutto era vero.
Dal canto suo, Ran lottava contro se stessa.

Da un lato, voleva ancora e ancora baciarlo, con la stessa se non superiore intensità; dall’altro lato, però, voleva mettere in chiaro le cose con lui, su come era rimasta davvero male quando, di fronte proprio a lei, si era trasformato.

Tuttavia in quel frangente non riusciva a pensare a niente se non al suo corpo freddo contro al suo, alle sue labbra così terribilmente dolci e morbide.

Lo amava, lo amava, lo amava così tanto da stare male.
Ma lui? La amava come l’amava lei?
E, come se volesse risponderle a quella domanda silenziosa, Shinichi parlò.
- Ti amo – le soffiò sul volto, mentre lo tempestava di baci. – Ti prego, perdonami.

Ran si sentì quasi svenire.

L’amava.

L’amava.
Al diavolo tutto, al diavolo il risentimento che aveva provato! Lo voleva, voleva ancora baciarlo, accarezzarlo, stringerlo senza sentirsi un peso sullo stomaco.

- Ti amo – mormorò ancora lui, per paura che lei non avesse capito.

- Scusami – singhiozzò Ran, affondando il volto nell’incavo del suo collo, annusando il suo profumo squisito misto a pioggia.

Con il cuore gonfio di felicità, Shinichi sospirò con il respiro decisamente accelerato.

Accidenti, ora convincersi che non era un sogno era davvero difficoltoso!

Eppure le mani che gli accarezzavano il collo erano quelle di Ran, e le labbra che lo baciavano erano le sue. Senza pensarci due volte, chiuse con un calcio la porta alle sue spalle, per poi ripensare a ciò che era accaduto tre settimane prima…

 

***

 

Il dolore lo opprimeva mentre, in quella cella fredda e sporca, era disteso a terra, con una mano sul cuore e l’altra distesa lunga di fronte a lui. Come pubblico di quel terribile spettacolo c’era Ran, Kogoro, due misteriosi uomini in nero e, ultima ma non per questo meno importante, Vermouth.

Gli veniva voglia di morire. Le uniche due persone che avrebbero dovuto essere al sicuro, erano state catturate con lui. E ora, lui si stava per ritrasformare in Conan, dopo che la pillola di Ai era durata appena ventiquattro ore.

Di fronte a loro due… di fronte a Ran. Che schifo… e, intanto, il suo corpo era scosso da spasmi.

- SHINICHI! – urlò in lacrime Ran, trattenuta a forza da un uomo in nero dietro di lei.
“Non guardarmi, non guardarmi” ripeteva nella testa Shinichi. Purtroppo per lui, non andò così…

 

***

 

Appoggiata con la schiena al muro, sentiva che da un momento all’altro sarebbe svenuta. Per fortuna a sorreggerla c’erano le braccia forti di Shinichi, che scendevano e salivano sulla sua schiena così lentamente da torturarla. Stava giusto per dirglielo, quando qualcuno aprì con una botta la porta a fianco a loro.
- Accidenti, che temporale incredibile…
Sonoko Suzuki, con in mano un ombrellino lillà, rimase sconvolta.

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