Tra amori e speranze

di iulia2001
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Genova, 9 settembre 1847 ***
Capitolo 2: *** Roma, 30 ottobre 1847 ***



Capitolo 1
*** Genova, 9 settembre 1847 ***


Le campane della chiesa del Gesù di Genova dovevano ancora suonare le ore sei del mattino del giorno 9 settembre 1847, quando il ventenne Giorgio Bacigalupo uscì con circospezione dal ricco portone della sua dimora, pregando che nessuno lo notasse.

Si era vestito al buio, frettolosamente, e solo dopo essersi allontanato cominciò a soffrire il fresco della frizzante aria degli ultimi giorni d'estate.Tentava di riscaldarsi aumentando la velocità di una camminata che, già normalmente, era assai rapida: i suoi ricci neri ondeggiavano a causa di quel cammino tanto simile ad una corsa.
 In meno di una decina di minuti giunse alla sua meta, uno dei tanti vicoli propri di Genova. Si guardò intorno, ma la persona da lui aspettata non era presente; ruotò su se stesso, ma ancora non la vide; camminò avanti e indietro nel vicolo, ma non c'era alcuna sua traccia. Possibile che la sua famiglia lo avesse notato? O, ipotesi ancora peggiore, che le guardie sabaude, dopo aver scoperto i nomi degli affiliati, lo avessero arrestato? No! Non lui, non lui!

"Giorgio!" Il giovane genovese subito trasalì ma, dopo aver riconusciuto la voce amica, si rilassò e smise di preccuparsi. "Marco!" esclamò il Bacigalupo, mentre i suoi occhi verdi fissavano severamente quelli marroni dell'amico "per quale dannato motivo sei in ritardo? Hai una vaga idea di quanto io sia stato in pena?".

"Mi davi già per spacciato, amico?" rispose subito il temerario amico "Tranquillo, faticheranno a prendermi. Comunque, se dovesse succedere, seguirei l'esempio del Ruffini". Giorgio inorridì immaginandosi Marco con l'aorta tagliata per un gesto suicida "Non farmi pensare al peggio" disse "so bene che tu stai cercando di deviare il discorso dal motivo del tuo ritardo".
Marco sbuffò, rendendosi conto di non avere alcuna alternativa "Ho dormito malissimo, mi sono svegliato tardi, mi dispiace". "Lascia stare" sospirò Giorgio, pensando che fosse inutile discutere ancora del latte versato. Marco ondeggiò da un piede all'altro, impaziente "Allora, dimmi, come è andata?"

Prima di permettervi di continuare a leggere questo modesto racconto, sono costretta  a narrarvi i fatti che lo hanno preceduto. I due giovani che abbiamo appena incontrato, come ovviamente i miei coltissimi lettori avranno già compreso, hanno deciso di vivere pienamente, soprattutto tramite l'impegno politico, il periodo storico nel quale erano stati costretti a nascere a causa dell'irrevocabile decisione condivisa dalla dea Fortuna e dalla Storia: Marco e Giorgio, come avrete sicuramente già inteso grazie ad un palese indizio, sono due mazziniani.

Spero di non tediare ulteriormente i miei lettori, che sicuramente conoscono come le loro tasche questo particolare periodo della nostra storia nazionale, facendo una breve digressione: Mazzini, nato in quella Repubblica di Genova che, dopo il congresso di Vienna, era stata obbligata a piegarsi sotto il giogo sabuado, era da tempo costretto a vivere in esilio in Inghilterra a causa delle sue idee unitarie, indipendentiste e, soprattutto, repubblicane, per le quali era stato condannato a morte nel territorio governato da Carlo Alberto.

E ora, abbandonata la Storia, torniamo ai nostri due protagonisti: il padre di Giorgio, il mercante Rodolfo Bacigalupo, aveva appena compiuto un viaggio a Londra. Giorgio, colta al volo l'occasione, pur non amando i lunghi viaggi, si era subito unito al padre per avere la possibilità di incontrare il suo idolo; Marco, costretto da motivi superiori a rimanere in patria, ha bisogno di conoscere se l'amico è riuscito a raggiungere il suo scopo.

Per le ovvie ragioni che i miei lettori avranno compreso, i due repubblicani non possono discutere ad alta voce di argomenti così scottanti senza utilizzare nessuna precauzione: sarebbe come prendere la rincorsa per gettarsi con foga dentro a un precipizio. Non li vedremo nominare quel nome che, benchè fosse veramente minima la possibilità di essere ascoltati a quell'ora,  se casualmente sentiti dalle persone sbagliate, avrebbe condotto loro o in prigione o di fronte a un plotone d'esecuzione.

Giorgio osservò la strada con la coda dell'occhio, per essere sicuro che di non essere nè guardato nè ascoltato; avvicinatosi a colui che, da parte di madre, era suo cugino rispose con un tono della voce talmente basso che poteva essere udito solo da coloro il cui orecchio era allenato: fortunatamente, Marco era uno di questi.

"Male" rispose Giorgio, più rattristato che mai "l'ho visto una sola volta, e soltanto di sfuggita: sono stato colto da un potente febbrone pochi giorni dopo il mio arrivo".  Marco si rabbuiò "Per quale motivo non me ne hai parlato nelle tue lettere? E non lo dico certo per il fallimento del nostro piano, ma perchè, caro amico mio, io voglio sapere quando stai male!". "Perdonami" si scusò Giorgio, che tanto si sentiva in colpa, "c'erano già molte cose a cui pensare, e non volevo darti altri affanni; comunque ora sono completamente guarito".

Marco sembrò meno arrabbiato di prima " Lascia perdere" borbottò aggiungendo parole in dialetto "Piuttosto... Hai saputo del Sud?". Giorgio smise di tormentare i suoi disordinati riccioli neri e guardò l'amico negli occhi "Certo che ho saputo" rispose preoccupato "e ci vorrei andare subito , ma non ho idea di come fare, non credo che esista un modo per andare laggiù in questo momento". Sono sicura che i miei lettori abbiano capito che probabilmente non era facile raggiungere una città in rivolta, come la  Reggio Calabria di allora. "E tuo padre conosce tutte le navi che attraccano o partono dal porto" concluse per lui l'amico.

"Non ce la faccio, Giorgio, non ce la faccio ad aspettare!" fu l'esclamazione improvvisa di Marco "Ci sono, me lo sento, sono certo che sta per succedere, che entro poco vedremo una nuova presa della  Bastiglia, e magari anche la nostra città dal sangue repubblicano si ribellerà ai Sa... ". "Taci, incosciente!" lo zittì Giorgio conficcandogli una gomitata nelle costole "vuoi farci arrestare prima che la rivoluzione cominci?". Non poteva permettere che le affermazioni repubblicane e un filino nostalgiche dell'amico li conducessero nelle regie prigioni. "Scusa" rispose Marco, contrito "non intendevo metterci in pericolo."

Giorgio, avendo notato sia l'aumento del numero di persone presenti in strada, sia la crescita dell'irruenza mazziniana di Marco, ritenne più che opportuno cambiare totalmente argomento. "Sai" disse "non mi ricordo se ti ho detto che io e mio padre abbiamo finalmente convinto i genitori di Emilia a venire da noi per Natale". Qui sono costretta a spiegare che Rodolfo, accompagnato dal figlio, cinque anni prima si era recato nello Stato Pontificio, dove il giovane Giorgio aveva conosciuto la giovinetta Emilia Felici. I due, diventati amici, avevano avuto un rapporto epistolare, finendo con l'innamorarsi l'uno dell'altra.

"Mi era sembrato strano che tu non mi avessi ancora parlato della tua Emilia" rispose Marco, avendo compreso le intenzioni dell'amico. "Non vedo l'ora di fare la sua conoscenza, fortunatamente" e qui il suo sarcasmo fu così poco velato che anche una persona qualunque residente a Torino, che avesse avuto lo sguardo rivolto, in linea d'aria, verso i due amici, lo avrebbe notato "grazie alla tua laboriosa narrazione, è come se già la conoscessi".
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Giorgio rise sentendo quelle parole "Allora siete in due, anche Emilia afferma di averti già conosciuto, attraverso le mie lettere". Marco lo guardò di traverso "Quindi tu parli di me nelle lettere per la tua amata? Povera martire che ti sopporta!".

Giorgio finse di sentirsi oltraggiato dalle parole poco carine dell'amico, pur sapendo che, in un angolo del suo cuore, a Marco aveva fatto piacere sapere che per lui fosse un persona a tal punto importante. Continuarono a camminare e a discutere di diversi argomenti, nessuno dei quali legato alla politica, mentre le strade ed i vicoli si riempivano di persone affacendate nei loro vari mestieri: superarono il Carlo Felice mentre, da ogni parte del centro, discorsi in dialetto si univano a discussioni in italiano.

L'uno accanto all'altro procedevano i nostri due giovani, ignari di ciò che la Fortuna e la Storia avevano già deciso per loro.

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Capitolo 2
*** Roma, 30 ottobre 1847 ***


Gli occhi di Emilia Felici raggiunsero finalmente la riga finale dell'ultima lettera ricevuta dal suo amatissimo Giorgio: nulla, in quel momento, avrebbe potuto renderla più felice di quell'epistola. Incapace di riporla dentro i fiori che decoravano la superficie del portagioe che da un lustro ospitava le lettere del genovese, Emilia continuava a fissare quelle frasi, quasi senza voler rendersi conto che non avrebbe trovato nessuna nuova parola.
Dopo attimi che parevano anni, riuscì a distogliere lo sguardo dai periodi dell'amato e a costringere se stessa a scrivere una risposta degna delle emozioni che la stavano consumando in quel preciso istante. Non fece in tempo a comprendere di dover intingere la piuma nel calamaio, che subito la porta dello studio in cui si trovava sbattè violentemente contro le mura della sua dimora: non ebbe bisogno di voltarsi, già aveva capito di chi si trattasse. "Mia cara Jessica" disse nell'atto di alzarsi, tentando di nascondere, a causa della provata intuizione dell'amica, i sentimenti che le corrodevano il petto " hai appena dato prova della tua grazia."

Jessica Piperno proveniva, insieme al fratello Gabriele, da una delle famiglie più agiate del ghetto di Roma. Sono sicura che i miei lettori siano a conoscenza del fatto che nell'anno che precede il presente del mio racconto, il 1846, era salito al soglio pontificio il papa Pio IX, da molti osannato perchè di sembianze liberali. Il pontefice aveva dimostrato anche una maggiore tolleranza nei confronti degli ebrei romani, che fino a quel momento, eccettuata la breve parentesi del periodo napoleonico, erano stati fortemente discriminati.

I genitori di Emilia, borghesi dalla formazione illuminista, erano partircolarmente affezionati alle idee espresse da Voltaire circa la tolleranza religiosa e avevano approvato fin da subito l'amicizia fra le due giovani, non soltanto per motivi morali, ma anche perchè speravano che ciò potesse giovare all'immagine della loro famiglia.

"E hai pure bisogno di una prova per sapere quanto io sia sgraziata? Non ci conosciamo forse da tutta una vita?" esclamò la giovinetta attraversando il più rapidamente possibile, per quanto le fosse concesso da quello scomodo vestito che, nel secolo decimonono, le donne che se lo potevano permettere erano obbligate ad indossare.

Contemporaneamente venne raggiunta da Emilia: le due amiche soffocarono in uno strettissimo abbraccio. Quando questo non era stato ancora completamente sciolto, Jessica, che già aveva adocchiato la lettera, si rivolse all'amica "Dunque, che cosa ti ha scritto quel poveretto di Giorgio?". Emilia arrossì così tanto da poter essere una valida sostituta, in quel momento, della banda rossa del tricolore italiano: tanto più tentava di non far trapelare alcuna delle sue emozioni, tanto più queste divenivano visibili sul suo volto.

"Per quale mistorioso motivo sei diventata rossa?" le domandò Jessica camminandole intorno nel tentativo di destabilizzarla "Che cosa c'è scritto in quella lettera?". Emilia non riusciva a proferire una sola parola, non perchè non volesse informare l'amica di una così immensa notizia, ma perchè non era ancora riuscita a capacitarsi che ciò che aveva letto appena pochi minuti prima fosse reale: tentò invano di pronunciare frasi di senso compiuto.
"Cosa mai" borbottava Jessica fra sè e sè "cosa mai può averti ridotto così? A meno che" l'amica alzò gli occhi, sicura di aver risolto l'enigma della Sfinge "a meno che non ti abbia chiesto di sposarlo". Se avesse potuto, Emilia sarebbe arrossita ancora, ma le sue funzioni vitali non lo resero possibile. "Ho indovinato?" trillò Jessica, privandola nuovamente del respiro con un abbraccio "Ma è bellissimo, è fantastico!".

Improvvisamente un pensiero sia affacciò nella mente di Jessica, che subito lo rese noto "Ma te lo ha chiesto per lettera?". "Non proprio" rispose Emilia che, per intervento divino, aveva finalmente ritrovato l'uso della parola, che sembrava essere scomparso nelle prime battute della conversazione "mi ha scritto di volermelo chiedere quando sarò a Genova". Jessica fissò l'amica "Ma, agendo in questo modo, ti ha rovinato la sorpresa". Emilia, dopo aver ascoltato la preccupazione di Jessica, ridacchiò "È megliò così, ho il tempo di prepararmi. Oh!" esclamò improvvisamente, gli occhi persi in un bellissimo possibile futuro, il migliore dei futuri possibili, quel futuro che ha sempre poche possibilità di divenire reale "amica mia, non immagini da quanto tempo aspetti questo momento".

"Veramente? Da cinque anni, da quando hai conosciuto quel genovese, sono costretta ad ascoltare i tuoi deliri su un tuo venturo matrimonio. E tu, proprio tu, adesso affermi che io non ti possa capire?" esclamò Jessica, fingendo di esser stata offesa mortalmente da colei che considerava la sua migliore amica. "Esagerata!" rispose dunque Emilia "Tu sai bene che mi sono innamorata di lui solo leggendo e rispondendo alle sue lettere". "Così dici tu!" fu la pronta replica dell'amica "ma io c'ero quando vi siete incontrati per la prima volta, vi siete innamorati subito, peggio di Romeo e Giulietta".

"Stai attenta con i paragoni" mormorò Emilia, quasi risentita "vorrei che il mio, il nostro, finale fosse diverso". "Certo che lo sarà!" la rassicurò Jessica "Magari un giorno voi due avrete figli: non vedo l'ora di giocare con tanti piccoli Giorgio" disse ridendo, utlizzando la gestualità tipica italiana per mostrare all'amica quanto sarebbero stati piccoli "o con tante piccole Emilia che mi chiameranno zia Jessica". Detto questo, ancora allegra, la fanciulla si diresse a chiudere la porta, ancora spalancata a causa della sua irruenza: saggiamente, controllò che nessuno le stesse ascoltando. "Sarà bellissimo giocare con quei piccoli repubblicani" disse dopo averla chiusa.

Emilia, udendo tale proposizione, trasalì e impalllidì così tanto che, se le fosse capitato, per ogni motivo possibile, di colorarsi di verde, sarebbe diventata la personificazione del nostro tricolore. "Jessica, sei forse divenuta più folle del solito? Vuoi farci arrestare?". Jessica sbuffò, mentre i suoi occhi brillavano di un luccichio indescrivibile da ogni umana parola "Adesso non c'è alcun pericolo, i tuoi genitori non sono in casa". "La serv..." provò a proferire Emilia, subito zittita dalla risposta pronta dell'amica "La servitù non si sognerebbe mai di denunciare la figlia dei padroni di casa, cara" e, girandosi verso la porta precedentemente chiusa "comunque ho già controllato: fuori non c'è nessuno".
Emilia non ebbe a sua disposizione nessun altro debole scudo per riuscire a contrastare la provata caparbietà dell'amica. "Che cosa vuoi sapere?" chiese tentando di non essere sentita nemmeno da se stessa. "Cosa sai della loro spedizione in Inghilterra? Vogliono nuovamente provare a incontrare Mazzini? Non mi hai più dato notizie, dopo l'ultimo insuccesso" Jessica aveva, una domanda dopo l'altra, chinato il busto sempre più avanti, sempre più verso l'amica, verso le sue future risposte.

"Non ne hanno la possibilità" rispose avvilita la futura fidanzata del genovese "Come sai non possono scrivere nulla di ciò per lettera, ma credo di aver compreso che suo padre, intuito il loro scopo, non abbia alcuna intenzione di essere accompagnato da lui in nessuno dei suoi futuri viaggi, non solo quelli in Gran Bretagna". Solo un miracolo potè impedire che il cancelliere austriaco Metternich, da Vienna, non udisse il sonoro sbuffo di Jessica "Che occasione abbiamo perso! Ma perchè hanno preso quest'iniziativa?".

"Jessica, sai bene che Giorgio ha sempre sognato di incontrarlo" fu la risposta della ventenne "gli ideali politici da lui promulgati sono divenuti la sua ragione di vita". "Oltre a te, cara" ribadì Jessica con un sorriso. "Già, almeno spero" disse Emilia, la cui espressione era meno allegra di quella dell'amica. "E poi" domandò Jessica, riportando la conversazione sul binario abbandonato poco prima "perchè non è andato con lui anche quel Marco, quello di cui tanto racconta nelle sue lettere?".

"Non ricordi? O forse non te l'ho detto? Marco soffre il mal di mare come nessuno al mondo: non avrebbe mai retto un viaggio così lungo" il tono di Emilia si fece improvvisamente molto più amaro "Ma per quale motivo" disse " vogliamo tanto la rivoluzione se già abbiamo quel brav'uomo di Pio IX?". L'espressione che il viso di Jessica assunse dopo aver udito quel nome fu talmente disgustata che nemmeno Dante, al nome di quel famigerato Bonifacio, avrebbe potuto fare di meglio. "Non osare parlarmi di...  Quello lì!" sbottò Jessica, adiratosi improvvisamente " ne ho già discusso troppo con mio fratello: non riuscirei a dibatterne ancora".

"Oh" rispose Emilia, realmente stupita "non ne avevo idea: dunque qual è l'opinione di tuo fratello?". "Gabriele crede che questo papa sia quello che più di tutti si sia dimostrato tollerante nei confronti degli ebrei" sputò una Jessica ormai inacidita e infastidita dalla piega che stava prendendo il discorso. "Immagino, amica, che tu non condivida affatto la sua opinione" replicò pacata Emilia,  che più di ogni altro conosceva gli ideali dell'amica.

"Come potrei condividerla?!" esclamò Jessica, incredula "È vero che questo è stato il primo pontefice a prendere provvedimenti di questo genere, ma non lo avevano fatto anche i francesi prima di lui? Pio IX ha solo reso suoi i meriti dei rivoluzionari!" e, piena di ardore, continuò ancora "Ovvio che stiamo molto meglio di quando eravamo umiliati nelle corse del carnevale o costretti ad indossare un copricapo giallo per essere riconosciuti a colpo d'occhio, ma ciò dovrebbe essere la regola, non l'eccezione! Sicuramente vi è un merito nell'essere tolleranti se circondati dalla tolleranza, ma sono forse meritevoli quei governanti che, avendo nelle loro mani il potere assoluto, fermano un'ingiustizia?".

"No, non credo, sono persone civili e ciò, almeno in questo secolo, dovrebbe essere la norma" asserì Emilia, annuendo visilbilmente "ma non hai espresso queste ragioni a tuo fratello?". "Ovviamente l'ho fatto!" rispose una piccata Jessica "Ma, purtroppo, non è servito a nulla" e, dette queste parole, si lasciò cadere, sfinita, su un delle sedie della stanza. Emilia, raggiuntala, comprese l'estremo avvilimento dell'amica e decise di dirottare la conversazione su argomenti più leggeri: ignare del futuro per noi  già scritto, le due giovinette discussero di amori e di speranze.

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