A SORT OF HOMECOMING

di Anja Smith
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ARRAS ***
Capitolo 2: *** UN CONTATTO ***



Capitolo 1
*** ARRAS ***



Mentre percorreva l’autostrada in direzione di Arras, Françoise avvertiva l’avanzare della tensione che le percorreva la spina dorsale come una sottile lamina d’acciaio. Le macchine a noleggio non le erano mai piaciute, impiegava troppo tempo ad abituarcisi e comunque riusciva sempre a trovarvi qualcosa che non andava: ora era la posizione della levetta dei fari, ora era quella delle frecce. Questa volta le era difficile trovare la giusta distanza tra il sedile di guida e il volante, e lo schienale rimaneva inesorabilmente troppo dritto per i suoi gusti, e sin dalla partenza era stata costretta a guidare poggiando il piede storto sul pedale dell’acceleratore. Provò di nuovo a raspare sotto il sedile mantenendo gli occhi fissi sulla strada: le sarebbero bastati solo pochi centimetri indietro per alleviare quei fastidiosissimi crampi che avvertiva alla caviglia e, se non ci fosse riuscita guidando, avrebbe dovuto assolutamente fermarsi e trovare una soluzione.
Improvvisamente il sedile scattò con un movimento brusco e rapido, sbalzandola indietro di diversi centimetri. D’istinto Françoise distolse gli occhi dalla strada e per una frazione di secondo staccò le mani dal volante: bastò quello affinché la macchina prendesse a sbandare oltrepassando la striscia bianca. Lei riacquistò immediatamente la calma e, come in una scena al rallentatore, sentì le sue mani riavvicinarsi al volante e i suoi occhi riprendere il comando della visuale. Dallo schermo che le offriva il vetro vide un enorme camion che le si avvicinava e le piombava addosso. Costruzioni edili Rocher, lesse, sorpresa dalla lucidità con cui osservava tutto questo. I fari della cabina di guida erano forti, chiarissimi, e le gocce di pioggia che cadeva incessante da quando si era messa in marcia amplificavano la luce come in un grosso specchio deformante. Sterzò violentemente a destra mentre il clacson del camion le perforava violentemente le orecchie; venne sbalzata in avanti e sbatté il mento contro lo sterzo, poi la cintura la bloccò respingendola bruscamente all’indietro; infine, quasi sobbalzando, la macchina si spostò dalla traiettoria del camion e si arrestò sul bordo della strada.
Un pugno chiuso emerse all’improvviso dal buio, picchiando rabbiosamente sul vetro.
- Ehi! -, gridava una voce concitata, - Che cazzo volevi fare, eh?
Lei si voltò verso l’uomo che sbraitava dietro al vetro, voluminoso come il giubbotto imbottito che lo avvolgeva. Aveva parcheggiato il camion più avanti con le quattro frecce inserite. Françoise pensò che avrebbe dovuto farlo anche lei e le dita della sua mano si allungarono a tentoni verso i pulsanti del cruscotto.
- Tutto bene? -, continuava a gridare l’uomo. Nonostante il volume della voce, il suo tono sembrava più impaurito che arrabbiato, e il suo volto paonazzo era imperlato di gocce di sudore che si confondevano con la pioggia.
- Sì -, annuì lei, rinunciando una vota per tutte a trovare le quattro frecce.
L’uomo picchiettò ancora il suo indice sul vetro.
- Potresti abbassare, eh? -, incalzò, - Cristo santo!! Lei premette il pulsante del finestrino elettrico e l’uomo infilò dentro la testa, paonazzo.
- Deficiente! -, inveí, - Sai che avresti potuto ammazzare tutti e due, eh? La gente come te non dovrebbe girare!
Françoise lo fissò desolata, annuendo.
- Mi dispiace -, disse, - Stavo cercando la levetta del sedile e mi sono distratta. Mi dispiace davvero.
Per un attimo l’uomo la fissò senza rispondere, con la bocca semiaperta.
- Ma certo, certo! -, esclamò poi ironico, - Ce la caviamo con un “mi dispiace”! Ma io mi prendo il tuo numero di targa, sai? E se ti becco di nuovo a fare casino...
Dette un colpo violento al tettuccio della macchina con il palmo della mano senza terminare la frase, poi si allontanò a larghe falcate verso il camion. Françoise lo vide arrampicarsi in cabina e accendere il quadro dei comandi, infine rimettersi in strada e ripartire spedito.
Lei si abbandonò all’indietro sullo schienale e chiuse gli occhi. Rivide tutta la scena: il manto stradale lucido di pioggia, le sue dita che annaspavano sotto al sedile, le grandi lettere dell’insegna del camion. Inspirò a fondo l’aria della notte novembrina, poi sollevò le palpebre e slacciò la cintura di sicurezza. Rimase seduta per qualche minuto, respirando a lungo e scostandosi diverse volte i capelli che le ricadevano umidi sulla fronte. Infine gettò uno sguardo al cruscotto, dal quale le cifre dell’orologio le mandavano rossi bagliori intermittenti.
Improvvisamente ripensò alla telefonata che aveva ricevuto quella mattina stessa e che oramai le sembrava essere avvenuta un secolo fa.
- Avvocato de Jarjayes? Sono la dottoressa Montpellier, non ci conosciamo ma ho in cura suo padre da diverso tempo. Purtroppo la chiamo per darle una brutta notizia....la salute di suo padre ha avuto un brusco peggioramento da qualche mese a questa parte e... ecco, questa notte ha avuto un ictus e le sue condizioni....
Con uno sforzo Françoise si raddrizzò sul sedile e afferrò saldamente il volante. Doveva ripartire, era quasi arrivata.



***********

Françoise scese dall’auto chiudendo lo sportello con uno scatto sicuro, nonostante i brividi che le scuotevano sottilmente tutto il corpo. Era così tutte le volte che tornava alla villa, e non era un caso che nel corso degli anni avessi cercato di limitare le sue visite al minimo indispensabile. Ora che ci pensava era trascorso un anno dalla sua ultima visita, e in quel lungo lasso di tempo suo padre non aveva fatto il minimo accenno alle sue condizioni di salute. Del resto le loro telefonate erano sempre rapidissime, quasi comunicazioni di servizio in cui ciascuno dei due si limitava a pochi convenevoli che avevano lo scopo di ammantare di lieve interesse quelli che in realtà erano rapporti ben poco più che civili. All’improvviso si rivide bambina, in piedi davanti a uno sguardo severo, e tutti gli anni di astio e incomprensioni le si scaraventarono addosso con un peso tale da farla quasi vacillare. Fece un passo indietro e allungò la mano a tentoni fino alla macchina: per qualche istante rimase con il palmo gelido appoggiato al metallo bagnato della carrozzeria, poi inspirò a fondo e si staccò dall’auto, sentendosi nuovamente adulta e padrona della situazione da affrontare, qualunque essa fosse.
Avanzò a passi decisi verso la silhouette scura della villa, e trasalì quando, oramai a pochi metri da lei, la luce si accese e la porta di ingressò si aprì con un movimento rapido.
Avrebbe riconosciuto la figura tra mille, forse centomila.
André.
Erano quasi due anni che non lo vedeva, ed era l’ultima persona che lei si sarebbe aspettata di vedere in quel frangente.
- André -, riuscì a dire solamente, cercando di tenere a freno i battiti convulsi del cuore.
- Ciao, Françoise -, la salutò lui semplicemente, stendendo il braccio per prendere il bagaglio di lei.
Lei deglutì a secco. Non era cambiato: le stesse spalle larghe, la stessa figura slanciata, lo stesso sguardo semplice e penetrante al tempo stesso. Le sembrava solo più mesto, più composto, forse più stanco.
- Anche tu....qui? -, domandò, rendendosi immediatamente conto della stupidità di quella domanda.
Lui annuì gravemente. Erano rimasti sulla soglia della porta come nel fermo immagine di un film; intorno a loro, la nebbiolina serale disegnava densi aloni carichi di pioggia.
- Ho avuto la tua stessa telefonata -, rispose, - Tra i numeri che tuo padre aveva consegnato alla dottoressa Montpellier c’era anche il mio.
Si interruppe per un momento e la fissò a lungo prima di proseguire.
- In fondo -, osservò poi, - Sono ancora tuo marito.....
Lei avvertì un tremito nelle gambe. Conosceva quello sguardo di lui, più volte era sceso nelle profondità dell’anima scandagliandola come nessun altro al mondo aveva saputo fare. E anche adesso lo sentiva esplorare dentro di sé, alla ricerca della parte più recondita di lei.
- E....-, cominciò, cercando di apparire sicura, - Sei venuto qui....senza avvisarmi? Senza....
Lui la fermò sollevando rapidamente una mano.
- Non sapevo come e quando saresti riuscita ad arrivare da Londra, Françoise -, spiegò, -
E da Parigi a qui il tragitto è più breve, ho pensato che sarei potuto essere utile subito. E ho preferito non informarti perché...non volevo caricarti di troppe emozioni. < br> - L’aereo è decollato da Heathrow con quasi un’ora di ritardo -, osservò lei, di nuovo pensando a come quell’informazione fosse del tutto inutile e inadeguata.
André annuì, con il borsone di lei ancora in mano.
- Forse dovremmo entrare -, le disse, appoggiandole la mano libera sul braccio.
Françoise rabbrividì a quel tocco che le evocava inesorabilmente molti ricordi.
- Hai l’aria stremata -, proseguì lui appena furono nell’ampio soggiorno, - Perché non ti siedi?
Françoise si lasciò cadere nella poltrona, al tempo stesso confortata e irritata da quell’aria di estrema familiarità che ancora lui riusciva a comunicarle.
Il momento è durissimo e so che vuoi aiutarmi.
Ma cazzo, André, in questo modo.
Come se non fosse accaduto nulla.
Come se non fosse finita come è finita.
Come se non ti avessi mai lasciato.

- Come sta? -, chiese, senza troppi preamboli.
André le si sedette di fronte.
- Principalmente dorme -, rispose, - Gli hanno prescritto dei sedativi molto forti, o almeno questo è quello che penso.
- Ti riconosce?
Lui scosse la testa, dubbioso. Françoise ebbe la sensazione che stesse scegliendo le parole.
- Non ne sono sicuro -, rispose, - Ha aperto gli occhi una volta o due. Ma è difficile dirti se mi abbia riconosciuto o meno; in realtà non so neanche se mi ha visto, ecco....
André tacque di colpo, poi le voltò le spalle e cominciò ad armeggiare al grande caminetto di pietra che campeggiava nella grande sala.
Lei si guardò intorno, ripercorrendo con gli occhi quell’edificio che conosceva molto bene. Era un’antica costruzione settecentesca, grande e dispersivo, ma ogni volta che lei vi faceva ritorno si stupiva di constatare quanto essa fosse piccola rispetto al volume dei ricordi d’infanzia che vi erano contenuti. Lei e André potevano giocare a nascondino per una giornata intera nei due grandi piani della villa, o infrattarsi nella sua soffitta e rimanere per ore a raccontarsi storie e mangiare cioccolata senza che nessuno riuscisse a trovarli.
Guardando la schiena curva di lui, intento a riattizzare il fuoco nel camino, Françoise si sentì travolgere da un’ondata di emozione. Lui si voltò di scatto come se avesse percepito il suo sguardo, la faccia arrossata per il calore.
- Mi dispiace non essere arrivata prima, André -, disse soltanto.
Per la prima volta da quando si erano rivisti lui le sorrise dolcemente.
- Non preoccuparti -, rispose, - Lo hanno dimesso solo stasera, e io ero già arrivato da un paio d’ore. E da quanto ho capito la dottoressa Montepellier è anche una cara amica e sarebbe rimasta qui fino all’arrivo di qualcuno di noi. Inoltre, con lui c’è un’infermiera che lo ha assistito anche in questi ultimi tempi. Lo sta preparando per la notte, e poi....
- Io non sapevo niente, André! -, sbottò lei improvvisamente, alzandosi in piedi di satto. Bagliori di luce emanavano violenti dai suoi occhi azzurri.
- Niente, capisci? Né dell’infermiera, né delle sue condizioni, né.....
André avanzò verso di lei e le posò delicatamente una mano sulla spalla, costringendola a rimettersi seduta.
- No -, le intimò, la voce pervasa da un’improvvisa intensità, - Non ora, d’accordo? Non ora.
Il suo sguardo era fermo e Françoise avvertì la tenera autorevolezza con la quale le rivolgeva quelle parole. La testa le ricadde sul collo come se fosse di piombo, e per qualche istante rimase in silenzio a fissare il tappeto sotto ai suoi piedi. - Lo hanno dimesso -, chiese poi, con voce ferma ma flebile, - perché....?
André annuì in silenzio, poi le si inginocchiò di fronte e le prese con forza le mani fra le sue.
- Non ne avrà per molto -, disse poi.
Lei deglutì a vuoto, annuendo a sua volta. Lo aveva saputo nel momento stesso in cui aveva ricevuto quella telefonata. Continuò a osservare il tappeto, senza sapere cosa dire. Alla fine era già stato detto tutto e non c’era molto da aggiungere. Per qualche minuto fu la pioggia la sola a parlare, con il suo insistente tichettío sui vetri delle finestre; poi fu André il primo a parlare, schiarendosi la voce prima di iniziare. - Vuoi salire....vuoi che saliamo a vederlo?
Françoise sollevò la testa di scatto, guardandolo negli occhi.
- Sì -, rispose ferma, - Sì.  

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Capitolo 2
*** UN CONTATTO ***



La camera da letto era immersa nel buio, densa di un caldo secco e intenso.
Pochi istanti prima, salendo, si erano imbattuti in un’agile figura dai corti capelli corvini che scendeva con passo svelto.
- L’ho preparato per la notte, signor Grandier -, aveva detto ad André in tono confidenziale, - Penso che non ci saranno novità fino a domani mattina.
André aveva annuito con fare cordiale, poi aveva indicato Françoise.
- Lei è la figlia -, aveva detto, e lei si era sentita intimamente sollevata perché non aveva specificato che era anche la sua ex moglie. Del resto, si era però detta subito, non sarebbe stato da lui, che aveva sempre trattato con estrema riservatezza gli affari privati delle persone, e i loro per primi.



L’avvocato Galhau avvicinò un plico di fogli davanti agli occhiali. Era una donna sulla cinquantina, piccola di statura e dall’espressione cordiale, che era stata consigliata da una collega dello studio in cui Françoise lavorava.
- Vi do lettura del documento che ho steso -, iniziò, - Ovviamente è di tipo standardizzato, come si scrivono per quasi tutte le separazioni; dopodiché potrete apportare ogni modifica che riterrete necessaria.
André incrociò le braccia all’altezza del petto, annuendo gravemente mentre fissava i fogli senza vederli realmente. Françoise accavallò le gambe e si sporse istintivamente verso il tavolo, come se questo la aiutasse ad ascoltare con maggiore attenzione.
- Dunque -, riprese l’avvocato, - Il signor André Grandier, nato a Parigi il 26 agosto 1982 e la signora Françoise de Jarjayes, nata a Parigi il 25 dicembre 1983, presso lo studio dell’Avvocato Galhau che li rappresenta entrambi in virtù di delega in calce al presente atto, PREMESSO CHE i coniugi hanno contratto matrimonio con rito civile in data 26 settembre 2015, trascritto nei registri dello stato civile....Da tempo i coniugi, per incompatibilità di carattere e incomprensioni non hanno più una unione affettiva e sentimentale, e, pertanto, essendo venuta meno la comunione materiale e spirituale tra loro, è interesse comune delle parti separarsi consensualmente ai patti e alle condizioni di seguito meglio precisati.
L’avvocato Galhau s’interruppe e abbassò i fogli, scrutando entrambi da dietro le lenti.
- Nessuna opposizione fino a qui? -, domandò.
Françoise raddrizzò la schiena, gli occhi improvvisamente fissi in quelli della donna che le stava seduta di fronte.
Sono stata io l’opposizione più grande, André, ecco tutto.
E adesso non si torna più indietro, non possiamo più.
- No -, rispose con voce ferma.
André si voltò appena verso la voce di lei, poi a sua volta tornò a rivolgersi all’avvocato. Continuava a tenere le braccia incrociate sul petto, un tutt’uno con il cappotto di lana grigio scuro.
- Nessuna opposizione -, disse solamente.




*********



La penombra era carica di un odore strano, che Françoise riconobbe all’istante ma al quale non seppe dare un nome preciso; e insieme a questo percepì una quiete profondissima, come non aveva forse mai sentito.
André accese la luce del comodino e insieme si voltarono verso il letto.
Françoise sobbalzò per la sorpresa. Quello non poteva essere suo padre, possibile che qualcuno avesse commesso un errore così assurdo? Dov’erano finiti l’alone di forza, la sua inconfondibile aria di autorità, il senso di capacità che da sempre la sua figura emanava? Davanti a sé aveva un uomo del tutto assente, un peso vinto dalla forza di gravità e sprofondato nel letto; un angolo della bocca era piegato di netto all’ingiù, e tutta la parte sinistra del viso sembrava essersi come afflosciata, quasi deformata. Di colpo lei si allontanò dal letto e uscì precipitosamente dalla stanza, fermandosi in cima alle scale.
Calmati, si disse, tenendosi al corrimano. Calmati immediatamente.
André le fu subito vicino.
- Stai bene? -, domandò.
Lei sollevò una mano in segno di assenso. Era di nuovo lucida adesso.
- Tutto a posto, André, ti ringrazio -, rispose, - Non ero preparata a vederlo così diverso.
Sono tante le cose a cui non ero preparata, André.
- Adesso vorrei tornare da lui -, proseguì, - Da sola, se non ti dispiace.
- Mi sembra giusto -, osservò André.
- Ho prenotato in un bed and breakfast non lontano da qui e penso che andrò a darmi una rinfrescata e a mangiare qualcosa. A meno che tu non preferisca che rimanga qui in caso di bisogno.
Lei scosse la testa con violenza, avvertendo il peso dello sguardo di lui su di sé.
No, André.
No.
Tu e lui, qui.
E io.
È troppo, adesso, per me.
No.

- Ti ringrazio, ma non occorre -, gli rispose, - Non mi dà nessun problema rimanere qui da sola.
- D’accordo -, concluse lui, - In ogni modo terrò il cellulare acceso per tutta la notte....chiamami se ci fosse necessità.
Françoise lo osservò mentre scendeva rapidamente le scale e raggiungeva il soggiorno.
- Grazie ancora, André -, lo salutò, - Ci sentiamo domani.


**********



Per due ore Françoise non si era praticamente mossa, e aveva osservato ogni respiro, ogni sollevarsi e abbassarsi di quel petto scarnito e piatto. Non si era resa conto del passare del tempo, concentrata com’era sulla veglia. Lo sconvolgimento causato dalla telefonata della Montpellier, dall’incidente con il camionista e dal trovarsi inaspettatamente di fronte ad André dopo due anni stava lentamente venendo meno per lasciar spazio alla consapevolezza della situazione, alla familiarizzazione con la realtà circostante.
Si alzò per riassettare lievemente il copriletto e tirare le tende con fare sicuro: quei piccoli riti le restituivano il possesso della situazione, la collocavano in un punto preciso del tempo e dello spazio e dissipavano mano a mano quel sentimento strisciante che l’aveva pervasa dalla mattina precedente, quella sensazione che la vita fosse sospesa in un punto lontano e irraggiungibile.
Quell’uomo coricato non somigliava a suo padre, eppure di quando in quando Françoise aveva l’impressione di riconoscere in quel viso devastato qualcosa di antico e di familiare, la postura ancora severa della mascella, l’assetto rigoroso delle sopracciglia. Purtuttavia sentiva di provare una tenerezza nuova, forse mai provata prima, davanti a quel corpo rigido avvolto nella vestaglia bordeaux che oramai costituiva quanto di più inutile e fuori luogo.
Forse era proprio da quella tenerezza che stavano ripartendo, si disse; e l’ironia della sorte era che stessero ripartendo proprio allora.
Improvvisamente l’anziano mormorò qualcosa e spostò appena le mani. Françoise si chinò su di lui, e alla fioca luce del comodino vide che le labbra dell’uomo erano molto secche e screpolate. Ripassò mentalmente il contenuto della propria trousse da viaggio, pensando all’eventualità di averci infilato un burro di cacao: era partita in preda alla confusione e non ricordava che cosa aveva portato con sé e cosa aveva invece lasciato a casa. In ogni modo non aveva intenzione di uscire dalla stanza per recuperare il bagaglio che André aveva lasciato in soggiorno.
- Troverò qualcosa di utile qui, vedrai -, disse sottovoce, stupita lei stessa del tono suadente con il quale si stava rivolgendo a suo padre.
Appoggiò la mano sulla fronte dell’anziano, improvvisamente contenta di ripetere un gesto che aveva visto fare mille volte dalla nonna di André quando uno dei due, da piccoli, era malato.
- Ma perché gli metti la mano sulla fronte? Gli hai appena misurato la febbre!!
- Lo si fa con le persone care, Françoise, quando non stanno bene. È un modo per dire che noi ci siamo....

Gettò uno sguardo intorno alla stanza, poi si abbassò davanti al comodino e tirò l’antina di legno che, con sua sorpresa, non cedette; tirò ancora una volta, più forte, e, dopo aver sortito lo stesso risultato, afferrò l’abat-jour per osservare con attenzione il telaio, illuminando lo spazio sopra e sotto la piccola maniglia dorata. Un’ombra le diede conferma di quello che sospettava: l’antina era stata chiusa a chiave. Per qualche istante Françoise rimase accovacciata sui talloni, immobile.



- Che cosa stai facendo? Sai benissimo che non devi frugare nelle cose che non ti riguardano!
Françoise era seduta per terra con l’aria colpevole, circondata da un assortimento di tesori. Una penna stilografica, alcuni moduli bancari, un fascicolo di documenti rilegato in un’elegante copertina di cuoio.
- Queste sono le mie cose, Françoise! E non devi assolutamente metterci le mani!
La bocca del padre era una linea serrata mentre le sue mani raccoglievano con astio gli oggetti dal lussuoso pavimento di legno.
- Adesso vai giù a giocare, svelta. E non permetterti mai più di entrare in questa stanza!




Un fastidioso formicolìo alle gambe la distolse dai suoi ricordi.
Era stato quello il giorno in cui suo padre aveva cominciato a chiudere a chiave il suo studio? Si sforzò di ricordare quanti anni potesse avere. Meno o più di sei? Era importante saperlo. Se ne aveva più di sei, André era già arrivato a casa sua, e allora sarebbe stato giusto che lei se ne fosse stata a giocare con un suo coetaneo piuttosto che ficcanasare nelle cose di suo padre. Ma se ne aveva meno ed era solo una bambina che voleva giocare con le cose del padre, non fosse altro che per sentirselo vicino?
Nel letto ci fu un movimento improvviso; lei si alzò di scatto e prese la mano del padre.
- Sono qui -, lo rassicurò.
Gli occhi del vecchio si aprirono tremolando, e d’un tratto la fissarono mentre dalla sua mano arrivò una lieve pressione.
- Tienile -, bisbigliò, muovendo a fatica il lato sano della bocca.
Françoise si sentì assalire dall’angoscia. Suo padre stava delirando e forse la fine era più vicina di quanto lei non si fosse aspettata.
- Non preoccuparti -, lo rassicurò ancora con dolcezza, - Rimango qui.
- Tienile -, bisbigliò ancora l’uomo. E questa volta lei scorse nei suoi occhi la vecchia fermezza, un guizzo di energia che di colpo gli illuminò il viso.
- Ma certo, lo farò -, gli rispose abbozzando un sorriso. Era certa di aver usato un tono convincente, e sapeva che il padre lo avrebbe colto.
Così come era iniziato, lo stato di coscienza dell’anziano si spense all’improvviso; ma se non altro, pensò Françoise, avevano stabilito un contatto. Suo padre si era lasciato rassicurare da lei, si era abbandonato al suo conforto. All’improvviso si sentì felice per quel pensiero, consapevole di dover portare a termine quello che le era stato richiesto: perché non era stato il vaneggiare di un uomo in fin di vita, no. Lo sguardo di lui era stato chiaro e diretto, le sue parole precise, la pressione della sua mano inequivocabile seppur leggera. Forse c’era una traccia nella stanza, e forse non sarebbe stato difficile trovarla: il problema era capire cosa fossero quelle “le” che lei doveva tenere.
Di nuovo Françoise si guardò intorno, ispezionando ogni singolo dettaglio della stanza. Era sicura che ci fosse una relazione tra quelle famose “le” e l’antina chiusa a chiave. Quale poteva essere, là dentro, il nascondiglio più sicuro per una chiave? Dove avrebbe potuto nasconderla lei?
Il suo sguardo si posò su un vecchio portaoggetti in mogano che si trovava sul cassettone; suo padre l’aveva acquistato molti anni fa da un antiquario perché aveva pressappoco la stessa età della villa. Sollevò il coperchio munito di cerniere e con estrema calma tirò fuori l’elegante ripiano rivestito di velluto rosso: sotto vi trovò un groviglio di spille da giacca, monete, perle di vetro cadute da chissà quale collana. Rovistò per qualche istante, poi, con un lieve brivido, riconobbe la forma di una piccola chiave. La infilò nella serratura e l’antina cedette immediatamente. Con una vaga sensazione di colpevolezza vi gettò dentro la mano, e le sue dita toccarono un oggetto grande e legnoso. Lo tirò fuori, esaminandolo alla luce dell’abat-jour. Una scatola portasigari, quella che lei e André gli avevano regalato per il suo settantesimo compleanno. Prima di sollevare il coperchio dette un’occhiata al letto dove la sagoma di suo padre giaceva immobile.
- È questa? -, domandò.
Al posto dei sigari ai quali era destinata, la scatola rivelò contenere due pacchi di buste bianche, legati con nastri di raso. Molto cautamente Françoise ne tirò fuori uno. Nella calligrafia elegante del padre c’era scritta la parola André con grossi tratti di inchiostro nero. Afferrò poi l’altro pacchetto, e, scritto nella stessa grafia, le balzò agli occhi il suo nome, Françoise .
Lo sapeva. Sapeva che la loro conversazione era cominciata nel momento in cui lei aveva appoggiato la mano sulla fronte del vecchio.
- Lo si fa con le persone care, Françoise, quando non stanno bene. È un modo per dire che noi ci siamo....
Ecco cosa le aveva voluto dire con quel Tienile: le lettere. Parlava delle lettere.
Ripose con cura il pacchetto di André nella scatola e la rimise al suo posto nel comodino, girò la chiave nella serratura e la risistemò nel portaoggetti. Poi si sedette e accarezzò con dolcezza la mano del padre.
- Le ho trovate -, sussurrò, - Le tengo.
L’anziano non si mosse. Françoise si chinò su di lui, desiderando con tutta sé stessa di poter vedere il suo prossimo respiro e trattenendo il proprio per la paura. Poi la vestaglia bordeaux si sollevò e si abbassò, lievemente come in un soffio.
Françoise si appoggiò allo schienale, pervasa dal senso del dovere. Sfilò la prima busta da sotto il nastro, stando ben attenta a non modificare l’ordine con cui erano state riposte le lettere, poi si avvicinò all’abat-jour.

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