Broken

di Bodominjarvi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Failure ***
Capitolo 3: *** Respect ***
Capitolo 4: *** So Much More ***
Capitolo 5: *** Precious ***
Capitolo 6: *** Duty ***
Capitolo 7: *** The Seventh Bride ***
Capitolo 8: *** Confession ***
Capitolo 9: *** Sorrow Within ***
Capitolo 10: *** The Unknown ***
Capitolo 11: *** Don't Forget Me ***
Capitolo 12: *** Numb ***
Capitolo 13: *** Parenting ***
Capitolo 14: *** Nothing But The Truth Pt.1 ***
Capitolo 15: *** Nothing But The Truth Pt.2 ***
Capitolo 16: *** What Is Love? ***
Capitolo 17: *** Happiness Is The Enemy ***
Capitolo 18: *** A Grave Of Fire ***
Capitolo 19: *** The Devil's Awakening ***
Capitolo 20: *** Homebound ***
Capitolo 21: *** Intels ***
Capitolo 22: *** Teaghlach ***
Capitolo 23: *** Lost ***
Capitolo 24: *** Ultimatum ***
Capitolo 25: *** ReBorn ***
Capitolo 26: *** Lucky Star ***
Capitolo 27: *** The Name ***
Capitolo 28: *** Suspicions ***
Capitolo 29: *** The Return ***
Capitolo 30: *** Roundtrip To Hell ***
Capitolo 31: *** Civilization Collapse ***
Capitolo 32: *** World War Now Pt.1 ***
Capitolo 33: *** World War Now Pt.2 ***
Capitolo 34: *** Kill ***
Capitolo 35: *** Death Becomes My Light ***
Capitolo 36: *** The New Dawn ***
Capitolo 37: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Broken

*

Alle volte vivere di sole convinzioni non basta. Bisogna sempre mettere in conto le avversità della vita, gli imprevisti, le perdite, i fallimenti. La felicità e la pace sono solo mere illusioni.

Bisogna essere sempre pronti al peggio, poichè al peggio non c'è mai fine.

Potrai piangere, urlare, disperarti, sentirti abbandonato dal mondo intero, tradito, trascurato, dimenticato...E scordarti di vivere.

Potrai lottare con tutte le tue forze, cercare di ricominciare da capo, sforzarti di capire dove hai sbagliato e cosa puoi fare per correggere la rotta errata che la tua esistenza ha iniziato a seguire..

Potrai arrenderti una, due, dieci volte, oppure definitivamente, perchè le soluzioni ai problemi più complicati sono cento volte più complesse.

Ma bisogna sentirsi rotti per trovare la forza di ricominciare...



"Crushed in the cold hands with no meaning, beautiful things can be easily broken..."

Norther - Cry


 
*


Note dell'autrice: Alla fine mi sono decisa a scrivere una storia su questo videogioco che tanto adoro fin da quando ero bambina. Ho rincominciato a giocare a Tekken lo scorso autunno dopo molto tempo e durante la campagna di Tekken 6 sono rimasta profondamente colpita dal rapporto creatosi tra Jin Kazama e Nina Williams, da sempre i miei personaggi preferiti. Sono poi passata al capitolo successivo della saga, lieta di rivedere la mia eroina in azione, ma allo stesso tempo delusa per il suo ruolo marginale e per il suo finale che mi ha lasciata sulle spine. Sono poi venuta a conoscenza del sito Fanfiction.net ed incuriosita dalla coppia ho provato a cercare delle storie su di loro: una che mi ha colpita in particolare è stata "The Devil's Bodyguard" di Wellsy 71, perchè era esattamente la trascrizione di come io me li immaginavo e di tutti i retroscena delle vicende accadute in Tekken 6. Purtroppo l'autrice aveva iniziato a scrivere il seguito, ma ha abbandonato l'idea a causa di scarsa ispirazione e dopo anni non è mai più stato ripreso. Pertanto se trovate delle similitudini tra questa storia e la sua, non stupitevi: non ho intenzione di copiare il suo lavoro, ma è innegabile che mi abbia ispirata parecchio e spronata a scrivere qualcosa di mio dopo tanto tempo. Come potete intuire il pairing principale sarà appunto JinXNina, ma non mancheranno gli altri personaggi apparsi durante l'ultimo atto del videogioco, in quanto anch'essi ricopriranno un ruolo fondamentale in questa storia. Sarà un progetto lungo e complesso e cercherò quanto più possibile di rimanere fedele alla vicenda orginale, limitando al minimo le incongruenze. Spero che questa fanfiction vi piaccia e di riuscire a portarla a termine come voglio. State certi che colpi di scena e le sorprese non mancheranno...A breve il primo capitolo! A presto...
 

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Capitolo 2
*** Failure ***


Rotta. Ecco come si sentiva al momento. Erano successe così tante cose in così poco tempo che la sua mente ad un certo punto aveva semplicemente smesso di registrare gli eventi e lasciato che le cose accadessero. Pensava di aver finalmente trovato una sorta di equilibrio in quella vita incasinata che aveva sempre condotto, ma come sempre le cose erano cambiate nel giro di pochissimi mesi, se non giorni, attimi, lasciandola sperduta in nuove realtà. Avrebbe dovuto essere abituata a tutto ciò, ormai. Sembrava ieri che quell'uomo dai capelli corvini che lei stessa aveva tentato di assassinare solo qualche anno prima, si era presentato da lei, offrendole il lavoro più difficile che le fosse mai stato proposto: diventare la guardia del corpo dell'uomo più ricercato sulla Terra. Allearsi con lui avrebbe significato guadagnarsi ancora più nemici di quanti non ne fossero già presenti sulla sua lunga lista! La retribuzione era decisamente spropositata, ma aveva svolto in passato incarichi decisamente meno pericolosi, che però le avevano comunque garantito abbastanza denaro sia per sopravvivere, che condurre uno stile di vita dignitoso. Quindi perché accettare un impiego potenzialmente suicida? Stava forse cercando nuove sfide senza nemmeno rendersene conto? Era davvero lei la donna bionda che aveva firmato quel contratto, sigillandosi ad un destino imprevedibile? 

Sospirò profondamente, osservando il suo riflesso distorto in quei pezzi di vetrate infrante, in mezzo ad un cumulo di macerie e nubi di polvere. Come aveva fatto a sopravvivere ad un'esplosione del genere era un mistero. Probabilmente lassù c'era davvero qualcuno che vegliava su di lei...O molto più semplicemente, aveva avuto un'immensa fortuna. L'incendio era quasi del tutto estinto, probabilmente i pompieri erano già sul posto ed erano riusciti a domare le fiamme. Forse era solo questione di tempo prima che qualcuno la trovasse...Eppure, nonostante delle gran contusioni e forse qualche costola incrinata (nulla di insopportabile, aveva sopportato traumi assai peggiori) che non l'avrebbero certo ostacolata nella fuga, non riusciva a trovare le forze per alzarsi e fuggire. Era come se non ne avesse voglia. Era ricercata dalla polizia, dagli uomini della G Corporation, ora probabilmente anche dalla Tekken Force della Mishima Zaibatsu e da quel tiranno di Heihachi e questo avrebbe dovuto spronarla ad allontanarsi quanto più possibile e rimettersi in sesto, ma nulla, non riusciva a smettere di osservare la sua figura in quei cocci di vetro che le avevano lacerato la tuta di pelle e la carne. Profondi lividi e numerosissimi tagli sanguinanti le decoravano la pelle diafana, i capelli erano sporchi di polvere e tutti arruffati, il viso da bambola era una maschera inespressiva, così come gli occhi cerulei: totalmente vuoti. 

In contrasto all'apatia esteriore, la sua mente era un vulcano in eruzione. Aveva fallito la missione che le era stata assegnata dall'uomo che le aveva strappato di mano quanto le era stato lasciato in eredità. Nonostante Mishima non fosse il suo cognome, era diventata lei il capo momentaneo di quella gigantesca impresa che era la Zaibatsu. Mai nella vita avrebbe immaginato di ritrovarsi in una tale posizione, eppure il suo predecessore era stato categorico nelle sue ultime volontà: "Mi fido di te!". Queste furono le sue parole prima di sacrificarsi per il bene superiore e andando ad autodistruggesi assieme a quel demone.  E così fu, aveva deciso di onorare questo suo ultimo desiderio, assumendo il controllo dell'azienda della famiglia più odiata della storia, senza sapere né cosa fare, né cosa dire. Si era semplicemente limitata a riorganizzare l'esercito in previsione di un attacco da parte dei numerosi nemici e a tentare di porre un freno alla guerra in corso. Si focalizzò principalmente su un solo obiettivo: rintracciare il precedente proprietario di quell'impero che le apparteneva, nonostante fosse stato considerato deceduto. Ma lei, a quell'ipotesi non aveva mai creduto, nemmeno per un secondo! Sentiva in cuor suo che lui era la fuori, disperso da qualche parte, ma ancora vivo. E l'avrebbe ritrovato, ad ogni costo. 

A strapparla dalla piena dei suoi pensieri fu uno scricchiolio sinistro: non fece nemmeno in tempo ad alzare gli occhi che alcune travi di acciaio crollarono, sollevando altri detriti e polvere a pochi metri da lei. Se fosse rimasta lì ancora per molto sarebbe morta sepolta dalle macerie. Doveva andarsene e anche in fretta. Ma nuovamente, alzando gli occhi verso il soffitto ormai inesistente e osservando il cielo nero trapuntato di stelle, ricadde ancora una volta nel suo vortice di riflessioni. Aveva fallito e lei non falliva mai. Non se le cose dipendevano esclusivamente da lei, per lo meno. Nella sua precedente vita non era riuscita a portare a termine gli omicidi di quelle due persone che non solo avevano stravolto la sua esistenza, ma il mondo intero. Forse non erano proprio alla sua portata.  Poi c'era stata quell' unica occasione nella quale era stata lei stessa a tirarsi indietro, mossa da un atto di pietà che mai avrebbe pensato di provare persino nei confronti del proprio figlio. Ma stavolta? Non aveva accettato per nemmeno un secondo la tirannia di Heihachi, non perché l'avesse privata del controllo della Mishima Zaibatsu, di cui tutto sommato non le importava granché, tuttavia non aveva avuto scelta. Quell'uomo poteva tenere in pugno chiunque. Lo aveva accompagnato nella sua trasferta in Italia per reclutare quell'esorcista nei suoi ranghi. Non era pienamente a conoscenza dei suoi piani, ma era comunque certa di non approvarli. Quasi si pentì di essere rimasta per poi ritrovarsi in una situazione del genere. Quando quel vecchio bastardo le aveva impartito l'ordine di recuperare il nipote, sottraendolo alla custodia della Violet System non potè tirarsi indietro: il piano era stato elaborato alla perfezione, eppure alla fine gli avversari si erano dimostrati ben più scaltri. Ma sarebbe davvero stata capace di consegnare il bersaglio ad Heihachi?

Sì, perché nel momento in cui entrò in quella stanza e scorse la figura incosciente di quell'uomo che ben conosceva, che giaceva inerme su un letto, tutte le sue sicurezze vacillarono in un istante. Ancora una volta il suo sesto senso non l'aveva tradita: lui era ancora vivo, ne aveva finalmente avuto la prova. Non era in forze, forse era seriamente ferito, ma ancora in vita. Era riuscito a sconfiggere Azazel e a sopravvivere e ciò aveva dell'incredibile. Tuttavia si rese presto conto che il suo tentativo di sacrificio si era rivelato totalmente inutile, in quanto quello spigoloso tribale era ancora impresso sul suo braccio sinistro, simbolo che la sua maledizione non lo aveva abbandonato. Si sentì male per lui, aveva rischiato la sua vita per nulla! Certo, quello spirito maligno era sicuramente stato debellato dalla faccia della Terra, ma la sua anima era ancora irrimediabilmente dannata. Rimase li immobile davanti a quel vetro che la separava da quell'uomo che nella sua vita aveva assunto un significato ed un'importanza che nessuno avrebbe mai né immaginato, né sospettato. Quegli occhi di cristallo non versavano lacrime da troppi anni, eppure per un istante avevano rischiato di cedere. Tuttavia non accadde, perché due uomini fecero irruzione dall'alto, sfondando il tetto e si affrettarono a legarlo e sollevarlo in aria verso l'elicottero. E se la missione fosse andata a buon fine? Avrebbe avuto davvero il coraggio di consegnarlo a quell'essere spietato che era suo nonno? O avrebbe cercato di rianimarlo per fuggire insieme a lei? E in caso, lui sarebbe stato disposto ad averci ancora a che fare?

Un altro scricchiolio ruppe il silenzio, stavolta seguito non da crolli, bensì da passi e voci maschili. Qualcuno stava arrivando e lei sarebbe stata scoperta, ma ancora non mosse un muscolo. Qual era il suo destino ora che non aveva un posto dove tornare, nessuno a cui fare rapporto? Ora che sapeva che lui era ancora vivo? Cosa le sarebbe successo? E cosa sarebbe successo a lui? Gli avrebbero fatto del male?  Si sarebbe risvegliato e avrebbe affrontato chi lo stava trattenendo? Si sarebbe arreso? Avrebbe pensato anche solo per un istante a lei? Ma ancora una volta prevalse il suo lato razionale, evitando che quegli strani e inusuali sentimenti prendessero il sopravvento. Cosa sarebbe successo al mondo ora?

"Cosa sperano di ottenere proteggendo Jin? Questo dovrebbe essere interessante da vedere..."


~

Riveduto e corretto: 26/12/2023

Note dell'autrice: ecco a voi il primo capitolo. Se avete giocato in modalità storia a Tekken 7 riconoscerete sicuramente la citazione finale: la vicenda infatti si sviluppa dopo il raid organizzato per recuperare Jin ed è appunto una trascrizione dei pensieri di Nina dopo aver fallito la missione e aver rivisto il suo ex capo. La scena dove lei lo osserva da dietro al vetro per qualche secondo mi ha colpita particolarmente, per cui mi sono divertita molto ad immaginare cosa le stesse passando per la testa. Circa la lunghezza dei capitoli alcuni saranno più lunghi rispetto ad altri: ho in mente uno schema ben preciso da seguire, ma ogni volta mi viene sempre in mente qualcosa da aggiungere e per non allungarli eccessivamente li spezzo in due parti. Al momento sono arrivata a scriverne circa 7, quindi non dovrete aspettare molto per l'uscita del prossimo. Inutile dire che recensioni e critiche sono ben accette, purchè quest'ultime siano motivate e costruttive. A presto! 

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Capitolo 3
*** Respect ***


"Da questa parte" urlò l'uomo ai suoi compagni, puntando la torcia contro la parete dove l'ombra di Nina venne instantaneamente proiettata.

"È lei?" chiese una voce gracchiante di rimando?

"Per forza! Muovetevi..." ribadì l'altro.

Nina sentì i passi sempre più vicini, probabilmente erano in arrivo almeno tre o quattro uomini. Che ne sarebbe stato di lei ora? Era stremata, non aveva nè forza, nè tantomeno voglia di combattere. Si limitò a socchiudere gli occhi e a girare il volto quando il fascio di luce la colpì in piena faccia.

"È qui! È viva!" fece l'uomo, avvicinandosi a grandi passi.

Si inginocchiò accanto a lei e le appoggiò due dita guantate contro la carodite per sentirne il battito. Rimase immobile mentre il soldato della Tekken Force cercava goffamente di capire quali fossero le sue condizioni vitali.

"Miss Williams, signora! Mi sente? È ferita? Sta bene?" 

Sbuffò di fronte a quella fiumana di domande ma se non altro il soldato non sembrava intenzionato a farle del male.

"Sto bene, Chomei." mormorò controvoglia, riconoscendo il tenente della Tekken Force. 

Stava decisamente meglio immersa nel silenzio. 

"Oh, grazie al cielo! Di qui ragazzi, Miss Williams è cosciente! Le serve una mano ad alzarsi, signora?"

"No, ce la faccio benissimo da sola!" replicò secca, senza però acennare a muoversi.

"Signora, sicura di sentirsi bene? Dobbiamo chiamare i soccorsi?" domandò concitatamente Gaho, spostando nervosamente il peso da una gamba all'altra.

"Ma che soccorsi e soccorsi..." sbottò malamente la bionda, costringendosi finalmente ad alzarsi in piedi. 

Purtroppo per lei non aveva messo in conto il fatto di essere rimasta immobile troppo al lungo, ergo i suoi muscoli non potevano dare risposta diretta, in più si scoprì più ferita di quanto pensasse: barcollò malamente e se non fosse stato per l'intervento repentino di Chomei, si sarebbe ritrovata nuovamente a terra.

"Dannazione" mormorò a denti stretti, cercando di guadagnare stabilità.

"Miss Williams, è sicura di..." ma come Hiroya, il terzo soldato presente, intercettò lo sguardo assassino della donna non osò proferire parola.

"Dobbiamo andarcene da qui! Gli altri si staranno domandando dove siamo finiti, dobbiamo ritornare alla base per fare rapporto!"

"Sei davvero così stupido, o hai solo battuto la testa?" sibilò Nina, che aveva finalmente riacquistato l'equilibrio e ora cercava invano di togliere la polvere dalla sua tuta irrimediabilmente rovinata. "Pensi davvero che rientrare alla base per fare rapporto a quel vecchio maledetto sia sensato? Forse se desiderate così tanto rimanere uccisi non avreste dovuto salvarvi dall'esplosione!"

"U...U..Uccisi?" balbetto Gaho, indietreggiando di un passo.

Nina come sempre riusciva ad incutere timore a chiunque, anche negli attimi di debolezza. La sua fama di donna glaciale e spietata la precedeva e le aveva fatto guadagnare la stima di chiunque all'interno della Zaibatsu, senza contare che era il braccio destro del precedente capo. Nessuno sano di mente avrebbe mai osato farle uno sgarro, o mancarle di rispetto. 

"Se pensate che Heihachi sia un uomo tollerante e compassionevole, bene, andate a fare rapporto. Io ho chiuso! Non vi lamentate però se nella migliore delle ipotesi finirete con tutte le osse rotte. Ma ricordate che potrebbe benissimo andare in modo peggiore!"

I tre uomini deglutirono all'unisono, consci che quanto detto dalla donna fosse verissimo. Il vecchio Mishima non tollerava i fallimenti, inoltre erano stati perentoriamente avvertiti prima di imbarcarsi nella missione: "Io non do seconde possibilità!". E se Nina stessa si rifiutava di rientrare ed affrontare quella bestia di uomo, non c'erano chances per loro di uscirne incolumi.

"Quindi cosa farà, signora? Come farà la Mishima Zaibatsu senza di lei?" domandò timidamente Chomei.

"Senza di me? Io fossi in voi me ne andrei il più lontano possibile da qui. Il mio tempo è finito, non avrei mai dovuto prendere in mano le redini di quella dannata impresa!"

"Ma il signor Kazama ha espressamente voluto che..."

Sentire quel nome fu come una doccia di acqua gelida. La bionda digrignò i denti, consapevole che quanto detto da Hiroya fosse vero, ma cosa poteva fare? Per quanto letale, forte e scaltra potesse essere, lei alla fine era una semplice umana e in quanto tale non avrebbe mai potuto contrapporsi a simili bestie quali erano i Mishima. Tuttavia quel promemoria le provocò un fastidio immane, che non riuscì a contenere.

"Jin...Kazama...Non gli devo più nulla, ormai!" ringhiò. "Non ho intenzione di ritornare e rischiare che quel pazzo mi uccida, per cosa poi? Non è mio diritto governare quella gabbia di matti, nè tantomeno mio dovere far finire questa dannata guerra. E se voi foste un minimo furbi fareste lo stesso!"

Seguì un silenzio assordante, carico di tensione. I tre soldati rimasero allibiti di fronte alla reazione della loro superiore, non avrebbero mai immaginato di vederla perdere le staffe in quel modo. Aveva pronunciato il nome del suo ex protetto con una tale ferocia che per un momento tutti  tre avevano avuto il timore che saltasse loro addosso e gli spezzasse l'osso del collo, come l'avevano vista fare molte volte durante i combattimenti. Lei non si era mai tirata indietro quando era ora di sporcarsi le mani, era sempre stata ammirata da chiunque per il suo stile aggraziato, ma letale, per la sua freddezza e astuzia che non le venivao mai a meno anche nelle situazioni più difficili. Ora non sembrava neanche lei, quindi immaginarono di aver toccato un tasto assai dolente.

"D'accordo, signora. Ha ragione, come sempre. Ma non possiamo lasciare i nostri fratelli soldati della Tekken Force. Ci sono cadaveri ovunque, l'unità è decimata. Hanno bisogno di noi, abbiamo giurato fedeltà all'armata e non possiamo tirarci indietro. Spero che lei capisca..." mormorò mestamente Chomei, chinando il capo. 

Gaho se avesse potuto sarebbe scappato seduta stante, seguendo il consiglio dell'assassina, ma venne trattenuto da Hiroya, che annuì alle parole del compagno. La  paura di rientrare era tanta, ma l'umiliazione di disertare era troppo da sopportare. Se avrebbero dovuto soccombere, meglio farlo da uomini e non da conigli. Ovviamente nessuno si azzardò ad esporre il paragone con lei. 

"Bhe, se non altro non siete un branco di rammolliti come ho sempre pensato. A voi la scelta, io vi ho comunque avvertito." sospirò, appoggiando una mano sul fianco come era solita fare. 

Nonostante quel piccolo sfogo, era sempre lei, Nina Williams, la guardia del corpo letale che avevano tutti imparato a rispettare e temere. 

"Lei che farà invece, Miss Williams? Se posso chiedere!" balbettò Hiroya.

Nina non rispose immediatamente, anche la domanda che le era stata posta non era particolarmente complicata. Già, cosa avrebbe fatto della sua vita da quel momento in poi? Ora che aveva conosciuto il potere, la fama, che si era come adagiata sugli allori? No, non sarebbe stato da lei rimanere nell'ombra. 

"Io me la caverò...Spero che riuscirete a fare altrettanto." concluse piccata, prima di avviarsi verso quella che una volta era l'uscita. 

"Miss Williams, signora..." la chiamò Chomei, dopo qualche passo.

Si girò lentamente e vide i tre uomini sull'attenti, come erano soliti stare durante le sue temibili ispezioni.

"Abbia cura di lei..."

Queste parole furono decisamente inaspettate, ma non riuscirono comunque a scalfire la fredda facciata della donna. Tuttavia le apprezzò, sapendo in cuor suo di aver fatto un buon lavoro. Da quando era salita al comando della Tekken Force le abilità dell'esercito erano migliorate incredibilmente e questo era solo merito suo. 

"Anche voi..." replicò.

Ne seguì un solenne saluto militare, prima di voltarsi e riprendere la sua via verso l'uscita da quel grattacielo diroccato. Alzò nuovamente gli occhi al cielo stellato, sapendo che quando tutti quegli astri sarebbero tramontati un'altra vita ancora sarebbe cominciata per lei.

~


Note dell'autrice: può a prima vista sembrare un capitolo abbastanza piatto ed inutile, ma purtroppo è una transizione necessaria per proseguire col racconto. Non accade praticamente nulla di rilevante e ammetto di aver avuto qualche difficoltà nel scriverlo, dal momento che i dialoghi non sono propriamente il mio forte, ma si riallaccerà ad un episodio successivo. Tenevo comunque a mettere in evidenza il rapporto instaurato tra Nina e questi soldati della Tekken Force, soffermandomi sul rispetto che essi nutrono nei suoi confronti. Se in Tekken 6 si limita prettamente a fare da guardia del corpo a Jin, nell'episodio successivo si vede quanto lei sia in grado di gestire un esercito di soldati in piena autonomia. È una bellissima macchina da guerra e questo accentua ancora di più il suo lato freddo e calcolatore che tanto la contraddistingue. Detto questo vi lascio in attesa del prossimo capitolo, che sarà decisamente più drammatico e introspettivo. A presto! 

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Capitolo 4
*** So Much More ***


Era una di quelle sere in cui era il silenzio a fare da padrone: in quei momenti la tensionenell'aria era talmente pensante da risulare palpabile, tanto che anche il solo atto di respirare era considerato chiassoso e di disturbo. Erano rientrati da qualche giorno da una trasferta in Egitto, dove lo aveva scortato in visita al quel vecchio tempio nel bel mezzo del deserto e assistito mentre si scontrava verbalmente con quella donna, Zafina. Ella era rimasta scioccata nel constatare che l'uomo sapesse esattamente cosa stesse accadendo, del fatto che fosse a conoscenza che la leggenda antichissima che il suo popolo si tramandava da generazioni si stava esattamente avverando come predetto. Nina si domandò distrattamente quanto dovesse essere provante vivere constantemente con voci malvage nella testa che ti incitano a fare cose orribili. In passato era capitato anche lei, quando il dio della guerra Ogre aveva preso possesso della sua mente, spronandola ad uccidere la persona che oggi aveva il compito di proteggere. Ironicamente fu proprio lui a salvarla dal giogo di quel mostro. Mai in vita sua si era sentita così debole, nemmeno durante l'amnesia post risveglio criogenico: doveva essere davvero terribile campare così! Eppure era ciò che lui faceva giorno dopo giorno, e più il tempo passava, più la situazione peggiorava. Jin se ne stava li, seduto alla sua scrivania, con il volto appoggiato ai palmi delle mani e occhi e labbra serrate. Era completamente immobile e più volte Nina fu tentata di controllare che effettivamente respirasse, ma rimase sempre seduta al suo posto su quell'enorme poltrona accanto al fuoco. 

Odiava con tutta se stessa quelle situazioni, la facevano sentire inutile ed impotente. Col tempo, infatti, aveva sviluppato una particolare empatia nei confronti del suo capo, tantè che in quei momenti si sentiva quasi un fallimento per non essere in grado di proteggerlo anche dai suoi demoni interiori. Lei e Jin, erano tanto diversi sotto certi punti di vista, quanto terribilimente simili sotto altri: entrambi avevano avuto un passato difficile, segnato dalla perdita della persona a loro più cara, entrambi si erano dovuti confrontare con un proseguimento di vita tutt'altro che semplice, entrambi avevano dovuto subire il torto del tradimento da coloro nei quali riponevano fiducia. Provenivano da due peasi distanti e anche da due decenni differenti, ma le loro storie erano quantomai analoghe...Travagliate e senza nessun lieto fine all'orizzonte. Loro non vivevano...Sopravvivevano. Era un condizione che ormai avevano accettato entrambi da tempo.  Per questo la bionda si sentiva così vicina al ragazzo, nonostante non si fidasse di nessuno e la sua professionalità e rigore nel lavoro fossero inossidabili. Ancora non riusciva a spiegarsi cosa fosse quel sentimento contrastante che provava assieme all'empatia. Jin le aveva rivelato poco tempo prima il suo piano, raccontandole in volo verso il Cairo il perchè avesse iniziato quella sanguinosa guerra e del fardello che si portava dietro fin dal giorno della nascita. Ella non potè che assecondare il suo desiderio, comprendendo quanto fosse insopportabile condurre una vita del genere e quanto fosse smanioso il suo desiderio di porre fine a tutto ciò. Allora perchè una parte di se sembrava essere in disaccordo? Perchè sperava che quel vaso ricolmo di odio, morte e disperazione non arrivasse mai a traboccare, permettendo quindi al demone Azazel di assumere forma materiale e quindi venire affrontato e distrutto assieme al Gene del Diavolo che dilaniava l'anima di Jin ogni giorno sempre di più? Come poteva essere così egoista? Ma perchè poi?

A strapparla dai suoi pensieri mentre osservava le fiamme danzare nel camino fu un gemito proveniente dal suo capo, che la fece scattare immediatamente in piedi. Come un fulmine si avventò verso la scrivania, avvicinandosi all'uomo che sembrava ora in preda ad una forte emicrania.

"Jin? Jin? Che succede?" domandò allarmata.

Egli non rispose, il suo respiro era accelerato, gli occhi erano serratissimi così come la sua mandibola. Nina fece per avvicinarsi, ma una forte aura la fece arretrare di qualche passo. Incredula lo osservò meglio e con orrore notò che i suoi denti stavano diventando più aguzzi, come quelli di un vampiro e dei segni neri stavano comparendo sulla sua fronte. 

"N...Nina...Va---vattene..."rantolò, la voce era diventata più bassa, quasi gutturale.

Andarsene? E dove? Non poteva lasciarlo così! All'improvviso si ricordò le sue parole durante quel lungo volo: "È dentro la mia testa. Alle volte riesco a controllarlo e tenerlo a bada, altre volte è molto più difficile. Lo sento impossessarsi di me, ed è terribile. Finora sono stato in grado di impedire che prendesse il sopravvento, ma ultimamente lo sento sempre più forte...Non so quanto reggerò ancora. Ma porrò fine a tutto questo!" 

Quelle parole improvvisamente assumero un senso, ma la situazione rimaneva comunque disperata. Se avesse perso il controllo stavolta? L'avrebbe uccisa? Avrebbe distrutto tutto quanto? 

"SC...SCAPPA, NINA!" urlò all'improvviso, scattando in piedi e  tenendosi la testa tra le mani, scuotendola disperatamente. 

Stava lottando con quel demone dentro di se e lei non sapeva cosa fare, ma non poteva nemmeno rimanere li a guardare! Il suo compito era proteggerlo, no? Nemmeno si rese conto di essersi riavvicinata a lui e di averlo stretto in un abbraccio. Si diede mentalmente della stupida per aver tentato un approccio del genere, ma in quel momento era decisamente a corto di idee e lasciò che a guidarla fosse l'istinto.

"Non farlo Jin! Non cedere! Tu sei più forte di lui, tu vali molto più di lui! Smettila!" urlò appoggiando la guancia contro la sua schiena, stringendolo più forte che poteva. "Non lasciargli prendere il sopravvento. Non farlo!"

Era tutto inutile. Jin iniziò a dimenarsi come una furia e urlare, il suo respiro era sempre più affannoso e come afferrò i bordi della scrivania per cercare stabilità, quelli si ridussero in tante piccole schegge che gli si conficcarono nelle mani. La situazione era disperata, e ben presto la bionda si rese conto che non sarebbero riusciti a resistere ancora per molto. Come aveva temuto il viaggio in Egitto e la visita al tempio avevano aumentato l'influenza di Azazel nella sua mente , caricandola di energia negativa. Lo sapeva, lo aveva detto che non era una buona idea recarsi fino a li, almeno non avrebbe scoperto tutte quelle cose orribili che il suo capo nascondeva. Se solo ci fosse stata ancora sua madre...

Un momento! Un flash nei pensieri di Nina le apparve come un'ancora di salvezza, riportandola su quell'aereo durante quella conversazione. 

"Come hai fatto a sopravvivere tutti questi anni senza percepire una tale forza dentro di te? E come riesci a domare quella bestia che vive dentro di te?" domandò incuriosita.

Non era nella sua natura ficcare il naso in certe questioni, ma quella storia aveva dell'incredibile. Jin sospirò e appoggiò la testa al piccolo oblò, scrutando l'orizzonte coperto di nuvole.

"È stato grazie a mia madre, Jun. Mi ha cresciuto completamente da sola, ed è stata l'unica cosa buona che abbia mai avuto in vita mia. Quando mi sembra di impazzire mi aggrappo al ricordo di lei che mi abbraccia...È la sola cosa vera che abbia avuto senso in tutta la mia esistenza." 

Ma certo! Forse quella minuscola rivelazione avrebbe potuto risolvere quella situazione critica. Jin ormai sembrava essere arrivato al limite e con orrore l'assassina si accorse che non solo che sulle mani gli stavano spuntando degli artigli, ma sulla schiena qualcosa stava cercando di sbucare, esattamente all'altezza delle scapole. Doveva sbrigarsi, o sarebbe stato troppo tardi!

"JIN, ASCOLTAMI...NON ARRENDERTI. NON LASCIARE CHE QUEL MOSTRO ABBIA LA MEGLIO! TUA MADRE JUN NON VORREBBE VEDERTI COSì!" gridò la bionda, dritto nel suo orecchio. "FALLO PER TUA MADRE....FALLO PER TE...FALLO PER ME, TI PREGO!"

Nell'udire quelle parole qualcosa scattò nella testa del ragazzo e improvvisamente rivide la sua adorata madre stringerlo tra le braccia e sussurrargli che sarebbe andato tutto bene. Le parole di Nina fecero il miracolo e dopo un altro intenso tremito sentì il suo corpo rilassarsi. Le mani tornarno normali, così come i denti e i segni neri sul volto erano spariti. Jin ansimò forte, come se avesse corso per kilometri e kilometri, la fronte era imperlata di sudore freddo, come se si fosse appena risvegliato dal peggiore degli incubi...Bhe, in un certo senso era così. Rimasero entrambi immobili la guancia di Nina era ancora appoggiata alla sua schiena e poteva benissimo percepire il battito cardiaco accelerato alla follia. Ce l'aveva fatta...Era riuscita a farlo calmare! Erano salvi, per il momento.

Lentamente l'uomo aprì gli occhi e notò subito le braccia avvolte attorno a se. Quell'abbraccio...Nella sua mente aveva rivisto Jun abbracciarlo, quel ricordo era sempre stato la sua ancora di salvezza in quei momenti bui, ma oggi le era sembrato più realistico che mai. Sapeva che dietro di lui c'era la sua fedele guardia del corpo, quella donna fredda e distaccata che pagava per proteggerlo ma che ultimamente era vista sotto una luce diversa. Nemmeno lui sapeva spiegarsi il perchè, ma la sola presenza della bionda, l'averla constatemente al suo fianco era diventato indispensabile per lui. Tanta gente aveva provato ad ucciderlo nei modi più banali, ma Nina aveva sempre stroncato sul nascere ogni più patetico tentativo di attentare alla sua incolumità. Tuttavia stasera fu la prima volta in cui gli salvò veramente la vita. Si voltò lentamente in quell'abbraccio e si ritrovò a fronteggiare la sua guardia del corpo: vide chiaramente in quegli occhi cristallini, solitamente impassibili, sia il sollievo, che un'ombra di paura. Se lei non fosse stata li, cosa sarebbe successo? Non voleva nemmeno pensarci!

"Nina..."

"Jin...stai bene?" mormorò sciogliendo l'abbraccio, ora visibilmente imbarazzata. 

Da sempre era restia al contatto fisico e quando si rese conto di stare ancora stringendo a se il suo capo si sentì improvvisamente stupida. Tuttavia non fece in tempo ad aggiungere altro, che fu la volta dell'uomo ad avvolgere le sue possenti braccia attorno alla sua vita. Sentì il rossore aumentare sulle sue guance ancora di più quando Jin gli nascose il volto tra l'incavo del collo e la spalla, tenendole la testa con una mano; nemmeno si rese conto di essersi aggrappata a quelle spalle forti.

"Nina...Oh, Nina...Mi dispiace, mi dispiace, ti prego...Ti prego, perdonami!" sussurrò Jin, stringendola ancora di più a se. 

"Jin..." balbettò, incerta.

Sentendo il tono di voce l'uomo sciolse immediatamente il contatto e arretrò di qualche passo, provando un profondo senso di vergogna e odio nei confronti di se stesso. Si stupì del fatto che lei fosse ancora li e non lo avesse lasciato a terra agonizzante, dopo averlo colpito selvaggiamente.

"Non volevo...Mi dispiace...Se vuoi andartene giuro che non..."

"Jin, non vado da nessuna parte." replicò fermamente, prendendogli le mani e costringendolo a guardarla negli occhi. 

C'era ancora un'ombra di spavento in quelle iridi chiare, ma lo sguardo era fermo e determinato, come solito. 

"Stai meglio?" domandò.

"Si, sto meglio...Solo grazie a te. Mio dio, se penso che avrei potuto..."

"Non farlo! Sono qui, non è successo nulla, è tutto passato ora!" lo rassicurò.

C'era una punta di dolcezza in quella voce autoritaria che lo stupì profondamente. Nessuno dei due si era reso conto di quanto in realtà fossero vicini: a Jin bastò chinare la testa per ritrovarsi la fronte appoggiata a quella della sua fedele bodyguard.

"Mi hai salvato la vita..." momorò, allungando una mano per sfiorarle la guancia. "Come potrò mai ringraziarti?"

"Non devi...È il mio lavoro. Sono la tua guardia del corpo dopotutto, no?" rispose mestamente, lasciando che quella grande mano si appoggiasse contro il suo volto. 

"No...Sei molto, molto di più..." concluse Jin, prima di poggiare le sue labbra su quelle di lei.

Quello fu il primo bacio tra il diavolo e l'assassina.


Nina si svegliò di soprassalto. La stanza era buia e odorava di chiuso e in un primo momento non si ricordò nemmeno dove fosse. Guardandosi attorno si rese conto di essere nel suo vecchio appartamento, che aveva preso in affitto quando si era trasferita a Tokyo l'anno prima per portare a termine una serie di omicidi che le erano stati commissionati. Poco dopo era stata assunta dalla Mishima Zaibatsu, e li si trasferì, senza più fare ritorno in quella piccola casa. Non ricordava nemmeno come aveva fatto ad arrivarvi qualche ora prima, indossava ancora la tuta di pelle nera logora e ormai il sangue che sgorgava dai numerosi tagli si era rappreso. Sospirando si tirò su dal letto e decise di farsi una doccia per cercare di ripulirsi da quello schifo. Nel girarsi le sue costole protestarono sonoramente, ma ignorò il dolore come era solita fare. Prima di dirigersi verso il bagno però buttò l'occhio verso la finestra che aveva forzato per entrare e notò che ormai era l'alba: l'orizzonte si stava tingendo di rosso e i primi raggi di sole fendevano l'oscurità. Rimase un secondo a fissare il panorama, notando una nuvola dalla forma insolita, che ricordava un grosso paio di ali nere. Sospirò pesantemente, portandosi incosciamente le dita alle labbra. Quel sogno sul suo passato nemmeno troppo lontano era stato deleterio per il cuore, ma nuovamente si sforzò di ricordare a se stessa che quella sarebbe stata l'alba di un nuovo giorno. Eppure avrebbe dato qualsiasi cosa perchè fossero state quelle labbra demoniache a destarla come erano diventato abitudinarie nel farlo negli ultimi mesi passati assieme...
 
~


Note dell'autrice: sì, in questa storia ci saranno tanti flashback: è una scelta stilistica che adoro e che ritengo necessaria al fine della narrazione (da leggersi come: sennò dovrei iniziare a raccontare la mia versione da Tekken 6 e non ho tutta sta sbatta :P) per far capire meglio eventi presenti, decisioni e conseguenze. Diciamo che come primo ricordo si parte subito col botto, ma questa è una scena che ho ADORATO immaginare. Come Nina nonostante la situazione disperata abbia mantenuto la calma, affrontando i rischi dell'ignoto e allo stesso tempo abbia ceduto alla sua parte più irrazionale e  di come Jin crolli sotto il peso della sua maledizione e si arrenda di fronte al fatto che la sua bodyguard sia diventata indispensabile per lui. Pure io mi sono sempre chiesta come Jin abbia fatto per anni a non accorgersi del Gene del Diavolo e a vivere serenamente e Jun Kazama è stata l'unica risposta sensata che son riuscita a darmi. Ovviamente la sua scomparsa per mano di Ogre (che in seguito sottometterà Nina stessa, facendogli quindi accrescere ulteriormente il suo senso di protezione verso di lei) e a seguito il tradimento da parte di Heihachi sono stati tutti fattori che hanno risvegliato la bestia che era rimasta assopita dentro di lui. Infatti, a differenza di Kazuya che ha volontariamente venduto se stesso al diavolo per salvarsi dopo la caduta dalla rupe, Jin è stato cresciuto da una donna pura di cuore ed animo, quindi penso che la sua influenza sia stata determinante. Detto ciò, vi rimando al prossimo capitolo...A presto! 

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Capitolo 5
*** Precious ***


"Questo era il tuo piano fin dall'inizio? Attirare i nemici e far saltare l'edificio?"

"Abbiamo Jin, quindi credo che tutto si sia risolto per il meglio." replicò l'uomo, scostando una ciocca di capelli argentei da davanti agli occhi. "Non preoccuparti...La Mishima Zaibatsu pagherà i danni...Con gli interessi!"

Il capo dei ribelli della Tekken Force non potè fare a meno di sogghignare udendo quelle parole. Lee Chaolan non si faceva mai troppi scrupoli quando si trattava di raggiungere un obbiettivo, rimanendo pur sempre buono d'animo, al contrario del padre adottivo e fratellastro. Crescere in mezzo ai Mishima gli aveva fatto capire come esattamente non avrebbe mai voluto diventare: era sempre stato ambizioso, ma mai assetato di potere. Esattamente come lui: nel suo sangue scorreva lo stesso di Heihachi, ma non avendolo mai conosciuto ed essendo cresciuto senza quella presenza malsana nella sua vita, era diventato un uomo leale e coraggioso con un forte senso di giustizia. Lars Alexandersson osservò i suoi soldati mentre si affrettavano a portare il corpo inerme di Jin all'interno della struttura. In tutto quel trambusto non si era mosso di un millimetro, l'unica prova della sua presenza nel mondo dei vivi era il respiro appena percettibile. Lo scontro con Azazel di tre mesi prima lo aveva oltremodo indebolito: era rimasto svenuto nel deserto per chissà quanto, fino a che i soldati di Raven non erano stati in grado di rintracciarlo. Ma anche li, il Gene del Diavolo che avrebbe dovuto essere eradicato era ancora in pieno possesso del corpo del giovane ed era riuscito a sgominare la truppa senza difficoltà alcuna. Quell'exploit di energia tuttavia aveva reso Jin facilmente rintracciabile, ma doveva essergli costata perecchio: l'ultima volta che lo svedese lo aveva visto sveglio fu quando lo aveva salvato al mercato in quello sperduto paesino del Medio Oriente. Da allora non si era più destato. Chissà se era semplicemente assopito in un sonno ristoratore e al suo risveglio sarebbe tornato più cattivo e spietato che mai? Lars deglutì al sol pensiero: purtroppo non era un'opzione così improbabile.

Al momento però si limitava a giacere su quel lettino da ospedale, collocato in una stanza che era un misto tra un laboratorio e appunto una stanza da ricovero. Grossi monitor mostravano i suoi parametri e funzioni vitali deboli, ma stabili. A scopo preventivo gli era stata infilata una spessa camicia di forza, per evitare reazioni improvvise una volta sveglio. Lee se ne stava seduto di fronte ad un gigantesco computer e controllava tutti i dati che le macchine stavano inviando ed elaborando.

"Come sta?" domandò Lars, avvicinandosi al proprietario della Violet System.

"Non benissimo. Non è il pericolo di vita, ma non sembra nemmeno recuperare. Pare quasi in letargo!" replicò Lee, appoggiando il mento sui pugni mentre studiava lo schermo. 

"Quando si sveglierà?" chiese Alisa, scrutando a sua volta quella carrellata di dati, imprimendoli a sua volta nella sua mente cibernetica.

"Chi lo sa? Con ogni probabilità non entro breve, è ancora troppo debole. Ma non possiamo nemmeno immaginare cosa ci sia in quella mente malvagia. Non dobbiamo perderlo di vista nemmeno per un secondo."

Il cyborg annuì e spostò lo sguardo sull'amico. Egli si mosse nuovamente verso la figura dormiente adagiata e legata sul quel letto e sommersa da cavi ed elettrodi. Soffocò una risata amara alla vista di quello che era di fatto suo nipote, pur avendo solo pochi anni di più. Una volta era al suo servizio e disposto ad eseguire ogni ordine da lui impartito, ma col tempo aveva iniziato a chiedersi a cosa avrebbe davvero portato condurre una guerra del genere. Vani erano stati i tentativi di dissuaderlo, persino la sua guardia del corpo non aveva voluto ascoltare le sue valide ragioni. Il conflitto era iniziato e il leader della Zaibatsu era fermamente convinto di portarlo avanti. Tutta quella distruzione... Ma a che prezzo? Non c'era davvero altro modo per distruggere Azazel senza spargere tutto quel sangue e stroncare migliaia di vite innocenti? Nonostante le intenzioni di Jin fossero buone, aveva comunque commesso azioni imperdonabili. Ora farlo fuori sarebbe stato fin troppo semplice, probabilmente ci sarebbe riuscito con un solo colpo ben assestato. Ma non poteva: nonostante l'odio e l'astio che provava verso il suo parente era conscio del fatto che solo lui sarebbe stato in grado di sistemare il disastro che aveva scatenato. Serrò i pugni e respirò profondamente cercando di calmarsi.

"Qualcosa non va?" domandò Alisa, osservando il suo corpo teso e la sua espressione combattuta.

"No,stai tranquilla...Hai subito danni, piuttosto?" 

"Quella Williams era davvero un osso duro. La granata ha danneggiato alcun dei miei circuiti, così come i suoi colpi. Ma Lee mi rimetterà in sesto presto, non appena avrà finito di stabilizzare il signor Kazama." replicò allegramente, col suo solito sorriso accondiscente.

"Meglio così." sospirò Lars, sorridendole a sua volta. "Dai, andiamo...Abbiamo entrambi bisogno di riposo!"

"Roger!" risposte Alisa, dirigendosi verso la porta.

Lui fece altrettanto, ma prima di andarsene si voltò per dare un'ultima occhiata al ragazzo.

"Questa guerra deve assolutamente finire. Per quanto riguarda te, Jin, mi servi per una cosa... A quanto pare per ora dovremmo rimandare il gran finale..."

~

Era di nuovo ricaduta nell'immobilismo. Se ne stava sdraiata sul letto, osservando il soffito senza nemmeno vederlo per davvero. Da quando era diventata così pigra e priva di iniziativa? Forse era l'effetto della piccola dose di morfina che si era iniettata per attenuare il dolore delle costole: andare all'ospedale non era certo un lusso che poteva permettersi. 

"Adesso mi alzo..." borbottò a se stessa, per quella che doveva essere la decima volta. 

Si sarebbe alzata, e poi? Che avrebbe fatto? Pulito casa? Cucinato? Il bucato? Per favore! La situazione era diventata talmente insopportabile che si tirò su di scatto, maledendosi in seguito per la fitta al petto che provò subito dopo. Iniziò a gironzolare per l'appartamento, aprendo le finestre per far entrare un po' di aria fresca e controllando che fosse tutto in ordine: ogni cosa era esattamente come lo aveva lasciata, i vestiti erano riposti ordinatamente nell'armadio e la dispensa era quasi vuota. Ma al momento non aveva fame. Si sedette nuovamente sul letto, studiando i capi di vestiario e cercando qualcosa da indossare, così...Giusto per ricordarsi come si vive e per togliersi quell'accappatoio che aveva ancora addosso dalla mattina. Non c'era una gran scelta e ben presto si ricordò che la maggior parte di tutti i suoi averi erano ancora nel suo appartamento alla Mishima Zaibatsu: tutti i vestiti, scarpe, biancheria costosa e firmata erano rimasti la, assieme alla sua moto e alla sua Lamborghini nera. Sbuffò scocciata, al sol pensiero di aver perso tutta quella roba; non era una persona materiale, ma si era inevitabilmente abituata a vivere nel lusso. Tuttavia per un attimo sentì il cuore pesante quando si rese conto di non avere più con se quella collana d'oro bianco e diamanti. Un gioiello da svariate migliaia di yen, di gran valore economico, ma soprattutto affettivo. Involontariamente la sua mente rievocò il momento in cui ricevette quel costosissimo regalo.

"E questo è quanto!" concluse la bionda, incrociando le braccia.

"Molto bene. Ottimo lavoro, Nina! Ma mi era parso di averti detto di non agire da sola e accettare protezione, appunto per evitare che tornassi piena di lividi!"

Nina sbuffò. Jin era troppo protettivo nei suoi confronti, sembrava non capisse che contusioni e graffi erano parte del mestiere e che comunque aveva subito danni ben peggiori in passato.

"E, correggimi se sbaglio, mi era parso di dirti più e più volte che me la sarei cavata benissimo da sola. Infatti eccomi qua." replicò con un sorrisino impertinente.

Il leader della Mishima Zaibatsu sospirò e decise di lasciare perdere. Poteva anche essere il capo di tutto quell'impero e l'uomo più temuto al mondo, ma ben presto aveva imparato che discutere con la sua guardia del corpo era una totale perdita di tempo. Aveva trovato qualcuno con la testa più dura della sua.

"Molto bene! Ora, e te lo chiedo per favore, vai a farti controllare dai medici del 27esimo piano. Li ho già avvertiti." 

"Ti preoccupi troppo, capo! Ho la pellaccia dura, io!" rimbrottò la bionda, ma stavolta decise di non contestare.

Rimaneva pur sempre una sua sottoposta. 

"Tengo seriamente all'incolumità della mia guardia del corpo, se mi permette, Miss Williams. Non vorrei che i suoi preziosi servigi venissero a meno!" sentenziò Jin, accomodandosi meglio sulla poltrona di pelle.

"Ah, certo! Lieta che i miei servigi siano considerati preziosi." replicò Nina, accentuando la parola "servigi". 

D'accordo che era il suo lavoro, ma non sopportava di essere trattata come un oggetto. Jin trattenne a stento una risata vedendo l'espressione contrariata della donna, ma decise di smetterla con quel teatrino e che era giunto finalmente il momento di premiarla per il suo aiuto.

"A questo proposito, rimanendo in tema di cose di valore..." fece, sporgendo il braccio verso il cassetto della scrivania, da cui estrasse una scatola rettangolare in velluto blu, per poi alzarsi in piedi e dirigersi verso di lei. "Direi che questo sia il minimo per l'eccellente lavoro che stai svolgendo per me." concluse porgendogliela.

Nina rimase immobile per un attimo, cercando di capire cosa stesse succedendo.

"Che cos'è?" domandò, prendendo il pacchetto tra le mani.

"Direi che per scoprirlo dovresti aprirla!" 

Gli lanciò un'occhiataccia per il sarcasmo ma come aprì la scatola il suo sguardo venne rapito dal luccichio intenso che conteneva. I suoi occhi studiarono ogni singolo dettaglio di quella magnifica collana in oro bianco, alla quale erano appesi ben cinque ciondoli a forma di goccia incastonati di diamanti. Doveva valere quanto meno una fortuna. Cosa significava?

"Jin...Cos...?" balbettò sconcertata da quel regalo esagerato.

"Nulla di che. Trovo sia un bellissimo gioiello, di grandissimo valore e molto, molto prezioso. Esattamente come te!" rispose, assicurandole la collana al collo. 

Nina rimase senza parole udendo quella frase. Quindi lui la considerava bellissima, di valore e preziosa? Oddio, no, non poteva arrossire, non davanti al suo capo!

"Io...Non so cosa dire..." mormorò osservando il suo riflesso nello specchio li vicino. 

Le stava d'incanto. Dietro di lei apparve la figura di Jin, che si limitò a sorriderle e ad appoggiarle le mani sulle spalle.

"Non devi dire niente. E ora su, l'infermieria di aspetta!" concluse.

Per la prima volta Nina Williams eseguì un suo ordine senza fiatare.



Scosse la testa al ricordo, mentre la morsa al cuore si faceva sempre più dolorsa. Doveva recuperare quel cimelio ad ogni costo. Ancora una volta però si rese conto della posizione in cui si trovava e soprattutto che doveva rincominciare una nuova vita da capo e procrastinare e rispolverare vecchi ricordi non avrebbe portato a nulla. Sospirando, si alzò in piedi e recuperò il portatile dall'altra stanza. Forse avrebbe dovuto trasferirsi in un altro stato? Cosa la tratteneva li ormai? Come lo schermo del pc si accese, una finestrella sul desktop le segnalò una quantità immane di email da leggere. Dannazione, doveva essere tutto spam, non lasciava certo il suo indirizzo di posta elettronica in giro. Tuttavia come aprì la casella notò un'email che risaliva solamente a tre giorni prima da parte di un certo signor Tanaka. L'oggetto recitava "richiesta urgente". Incuriosita la bionda aprì la lettera e scorse brevemente il testo.

"Gentilissima sig.ra Williams,
La sua fama di assassina infallibile è giunta alle nostre orecchie, per questo siamo qui a chiederLe cortesemente il suo aiuto circa..."


Nina rilesse il contenuto tre volte. Un altro omicidio eh? Bhe...Era comunque un modo per ricominciare, no? 

~
 
Note dell'autrice: e sotto col quinto capitolo! Nella prima parte ho voluto dare un po' di spazio a Lars, Lee e Alisa, visto che in Tekken 7 hanno un ruolo marginale, ma fondamentale. Inoltre saranno presenti più avanti nella storia, ma non voglio pronunciarmi più di tanto ;) La seconda parte invece è quasi interamente costituita da un altro flashback, meno drammatico e più fluff rispetto a quello del capitolo precedente, ma ugualmente introspettivo. Non ho mai visto Nina come una che sfoggia gioielli, a differenza di sua sorella quindi questa breve storia della collana mi è sembrata carina da inserire, come ulteriore testimonianza di quanto Jin tenesse a lei. Detto ciò, chissà il misterioso sig. Tanaka cosa le avrà proposto??? Lo scoprirete a breve... A presto...

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Capitolo 6
*** Duty ***


Odiava i ritardi, era una cosa che davvero non riusciva o tollerare. Considerava il non rispettare gli orari di appuntamento una grossa mancanza di rispetto, nonchè un'immane perdita di tempo. Non che avesse niente di meglio da fare, ma quell'inghippo la fece comunque imbestialire.

"Stai calma!" pensò, tamburellando nervosamente le unghie contro la superficie del tavolo.

Buttò distrattamente l'occhio fuori dalla vetrata di quel lugubre bar nel quale si trovava ad aspettare il fantomatico signor Tanaka. Nina era abbastanza sicura che in quel posto e soprattutto in quel quartiere dimenticato anche da Dio non avrebbe incontrato nessuna conoscenza, tuttavia detestava esporsi al mondo esterno più del necessario: rimaneva comunque un'assassina ricercata da parecchie persone e ora era sulla lista nera anche della G Corporation e con ogni probabilità quella della Mishima Zaibatsu. Dubitava fortemente che Heihachi sentisse la sua mancanza e avesse bisogno di lei, ma sicuramente se mai le loro strade avessero dovuto incrociarsi nuovamente non sarebbe finita bene per lei. Se solo lui l'avesse saputo...Chissà se stava bene, se si era risvegliato? Rivederlo così vulnerabile le aveva fatto molto male, non era abituata ad un'immagine del genere. Lui era forte e sprezzante di ogni pericolo e soprattutto non avrebbe mai e poi mai permesso che qualcuno le facesse del male, nonostante fosse lei la guardia del corpo di lui. 

Sospirò impaziente, attendendo il suo nuovo datore di lavoro. Dopo un breve scambio di email e una ancora più concisa telefonata, si erano accordati per ritrovarsi in quel posto e discutere del piano. Eppure il signore la stava faccendo attendere e ormai il ritardo sforava il quarto d'ora. Si augurò fortemente che non si trattasse di uno scherzo, la cosa l'avrebbe fatta arrabbiare e non poco, come se non fosse già stata abbastanza furibonda. Fortunatamente una manciata di minuti dopo un uomo vestito in modo fin troppo elegante per un posto del genere fece il suo ingresso all'interno di quella bettola. Non ci mise molto ad individuarla e come la vide si avvicinò al suo tavolo con un enorme sorriso. Indossava un elegante completo giacca pantalone color grigio fumo e una cravatta di raso rosso, adagiata su una camicia bianca perlata. Aveva con se una sorta di valigetta ventiquattro ore e un sorriso fin troppo smagliante per essere un criminale. Eppure si sa, l'apparenza inganna.

"Miss Williams! Incantato!" esordì porgendole la mano. "Mi deve perdonare per lo sconveniente ritardo, ma purtroppo sono stato trattenuto mio malgrado."

Nina lo squadrò dall'altro all basso, ma nonostante tutto ricambiò la stretta di mano.

"Piacere mio. Allora, di che si tratta?"

"Ah, subito al dunque eh? Sapevo di aver fatto la scelta giusta. Ma mi perdonerà nuovamente se prima ordino da bere. Gradisce qualcosa?"

"No, grazie!" replicò, secca. 

"Come vuole. Cameriere? Un the verde, per cortesia!" ordinò, prima di rivolgere l'attenzione verso la donna seduta di fronte a lui. "Molto bene. Come le ho già anticipato, sono il miglior wedding planner di tutta Tokyo..."

Nina ripassò mentalmente tutte le parole in codice che servivano come copertura per discutere della faccenda in luogo pubblico. Dovette ammettere che per essere un pezzo grosso della Yakuza, il signor Tanaka impersonava assai bene il ruolo.

"...E per il suo giorno speciale quando coronerà il suo sogno più grande, voglio proporle il meglio!" continuò estraendo dalla valigetta tutta una serie di cartelle di vari colori. "Partendo dalla location, visti i gusti particolari del suo consorte, amante del gotico e delle vetrate colorate, suggerirei questa chiesa ortodossa che direi faccia proprio al caso vostro! Ecco, dia un'occhiata." 

Aprì la cartella rossa e tirò fuori una serie di foto della suddetta chiesa, un edificio molto bello e particolare, con marmo ovunque, dai pavimenti alle scalinate. Intuì subito che quello sarebbe stato il luogo del delitto, perciò prese visione di tutte le possibili vie di fuga presenti. 

"Per quanto concerne il abito, oh, Miss Williams ho proprio il vestito che fa al caso suo, che mi venga un colpo se sbaglio!" continuò, estraendo una serie di disegni di un vestito da sposa.

Si trattava di un semplice abito bianco, liscio sul corpetto, con un'ampia frappa a separare il pezzo di sopra dall'ampia gonna. La parte inferiore, liscia anch'essa aveva un profondo spacco sul lato sinistro. A completare l'outfit un paio di lunghissimi guanti di seta bianca, uno ornato da una rosa con un fiocco e un velo di tulle lungo fino a metà schiena. 

"Come vede, la seta e il raso, sono a fare da padrone. Lo spacco sul lato sinistro della gamba è comunque discreto e non volgare, garantendole massima libertà di movimento durante il vostro primo ballo assieme."

Seta stava per la Magnum 44 che avrebbe nascosto nella giarettiera, mente il raso erano i fumogeni che avrebbero coperto la sua fuga. Forse un'arma da taglio in più non avrebbe fatto male. Inutile dire a cosa servisse veramente lo spacco: facile accesso alle armi e nessun impaccio durante la fuga.

"Io aggiungere un pochino di organza..." asserì Nina, guardando l'uomo dritto negli occhi.

Un sorriso benevolo gli si dipinse sul volto, capendo l'allusione al coltello a serramanico.

"Lei si che ha buon gusto, Miss Williams!"

Sogghignarono entrambi, ma vennero interrotti dal cameriere che servì loro il the. 

"Gentilissimo figliolo!" cinguettò, lasciando un'abbondante mancia al giovane, che chinò immediatamente il capo in segno di rispetto. "Tornando a noi, direi che ci siamo. Manca solo la parte più importante, ossia il consorte. Che uomo fortunato!" ghignò.

Nina drizzò le orecchie e si preparò a scoprire chi avrebbe dovuto far fuori.

"Aaaaah, il signor Liev Morozov, un tale uomo ricco sia di denaro, che di classe e spirito. Un'ottima scelta la sua, sono certo che sarà un'ottima moglie!"

La bionda osservò la foto che le venne messa davanti agli occhi: si trattava di un uomo, inconfondibilmente russo, alto e pallido come un cencio. I capelli probabilmente erano corvini, ma le striature grigio fumo ormai avevano assunto la colorazione dominante, e facevano pandant con gli occhi, giusto qualche sfumatura più chiara. Si trattava di un magnate russo che aveva fatto fortuna con le forniture di gas in tutta Europa e da quel che Nina aveva saputo aveva cercato di espandere i suoi affari anche in Oriente, incurante di pestare i piedi alla mafia giapponese. A quanto pareva Morozov, il cui punto debole erano le donne, era nuovamente alla ricerca di una moglie. Aveva ben 6 matrimoni alle spalle e svariate amanti, ma per lui erano solo giocattoli ed ora era alla ricerca della settima. Un tipetto viscido, non c'era che dire. 

"Già...sono proprio fortunata a diventare la futura signora Morozov."  asserì Nina, con un sorrisetto sadico.

Quel russo aveva i giorni contati.

"Meraviglioso, Miss Williams, splendido. Non si preoccupi, vedrà che nel giro di una settimana sarà tutto pronto per il grande giorno. Non per niente siamo i migliori della città perchè sappiamo organizzare un matrimonio con stile anche in così breve tempo. Sono certo che sarà...un successo!" concluse raccogliendo tutti i fogli e riponendoli nelle rispettive cartelle. 

"Assolutamente!" concluse l'assassina, intuendo che l'incontro era giunto al termine.

Entrambi si alzarono e si diressero verso l'uscita. 

"Le faccio i miei migliori auguri, signora. Noi ci rivediamo esattamente tra sette giorni, alle 13:00 in punto in sartoria, così potremmo vestirla e preparla al meglio! Sarà incantevole!" concluse Tanaka, esibendosi in un galante inchino, seguito da baciamano. "Le auguro una splendida giornata, Miss Williams!"

"Altrettanto..." ghignò Nina, prima di prendere la direzione opposta e far ritorno verso casa.

Dunque era questo il suo nuovo incarico: fingersi la futura sposa di un magnate russo, che si legava a donne senza nemmeno conoscerle e che stava mettendo i bastoni tra le ruote alla Yakuza. Normale amministrazione, nulla di complicato, nè tantomeno insolito. Sapeva come trattare sia quel genere di datori di lavoro, che il suo futuro maritino...

 
~
 
Note dell'autrice: ecco svelato il misterioso incarico che Nina dovrà svolgere. In Tekken 7 viene dichiarato che una volta separatasi dalla Mishima Zaibatsu, il suo compito è quello di infiltrarsi in un matrimonio mafioso, posando come la sposa e durante la cerimonia Nina riesce a far fuori tutti i suoi bersagli durante un conflitto a fuoco he farà intervenire la Tekken Force. In realtà qui le cose andranno diversamente, ma il motivo lo capirete in seguito. Come ho già detto, sto cercando di rimanere quanto più fedele alla trama del gioco, ma ci sto mettendo anche tanto del mio, visto che Harada non farà mai nulla di simile a ciò che vorrei vedere :P Nel prossimo capitolo inoltre ci saranno nuove comparse, chissà cosa accadrà? A presto... 
 
 

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Capitolo 7
*** The Seventh Bride ***


La notte prima della sua missione fu stranamente tormentata: Nina era inquieta e non riusciva a spiegarsi il perchè: non era la prima volta che le venivano assegnati quel tipo di incarichi, sarebbe stata una passeggiata, lei l'avrebbe fatta franca e la Yakuza le avrebbe garantito una cifra sufficiente per tirare a campare un anno senza fare assolutamente nulla nel frattempo. Non che ne avesse realmente bisogno...Dopottutto lavorare per la Mishima Zaibatsu le ha fatto guadagnare una somma di denaro tale da poter vivere di rendita, quindi si trattava semplicemente di tenere la mente occupata. Allora perchè non riusciva a dormire? Continuava a rigirarsi nel letto come un'anima in pena, senza riuscire a trovare una posizione comoda; continuava a coprirsi perchè aveva freddo e scoprirsi poco dopo perchè assalita da vampate di calore, il cuscino passava dall'essere troppo morbido a troppo duro nel giro di minuti. 

"Porca puttana, Nina, dormi! Che ti prende?" sibilò nel buio a se stessa. 

Per quanto facile come compito non poteva permettersi di presentarsi impreparata: aveva studiato il piano nei minimi dettagli, ma non era un buon motivo per non concentrarsi e prendere tutto alla leggera: gli imprevisti erano sempre dietro l'angolo. Inoltre doveva impersonare una sposa, non poteva certo presentarsi all'altare con le occhiaie! Smise di dimenarsi per un attimo e osservò la sveglia accanto a lei: segnava le 2:52. Si impose quindi di dormire, a costo di dover ricorrere a litri di camomilla. Si ricoprì e rimase immobile sperando che Morfeo avesse pietà di lei. Ma proprio quando stava per addormentarsi un improvviso conato di vomito le rivoltò lo stomaco, costringendola ad alzarsi di scatto e correre verso il bagno. Invani furono i suoi sforzi di trattenere la cena, e riversò tutto nel gabinetto a più riprese; tossendo e imprecando cercò di riprendersi e di raggiungere il lavandino per sciaquarsi il volto con acqua fredda e lavarsi i denti. Da quando in qua il pollo la faceva star male così? Era davvero così nervosa da farsi venire la nausea? Studiò il proprio riflesso nello specchio e notò di essere persino più pallida del solito: aveva assolutamente bisogno di riposare. Stancamente si trascinò di nuovo in camera sua, buttandosi sgraziatamente sul letto e affondando il volto nel cuscino; se non altro la nausea l'aveva provata abbastanza da farla finalmente addormentare...

~

A qualche isolato di distanza, un ragazzo biondo alto e muscoloso stava svuotando il suo secondo boccale di birra, in compagnia dei suoi due amici. Stava seduto tra quello che sembrava il classico biker americano, vestito con chiodo e pantaloni di pelle e anfibi, e un personaggio uscito da un film di kung fu. Il trio aveva deciso di recarsi in un bar per assistere agli incontri di box trasmessi quasi clandestinamente per televisione. Ormai qualsiasi programma veniva interrotto ogni 3x2 per trasmettere le ultime sanguinose notizie sul conflitto in corso. Il biondo sembrava essere quello più interessato di tutti al match, gli occhi ceruelei seguivano ogni singolo movimento dei due boxeur, immaginando di trovarsi al loro posto. Da quando quella maledettissima guerra era cominciata il giovane si era ritrovato praticamente disoccupato con una carriera in ascesa stroncata. Sembrava che al mondo non ci fosse più spazio per la box, e invidiò profondamente quei pugili che se le stavano dando di santa ragione. Poteva prevedere ogni loro singola mossa e aveva già in mente il relativo contrattacco. Avrebbe dato qualsiasi cosa per trovarsi al loro posto.

"Oh, però quel Maxwell è forte davvero! È il terzo gancio che gli molla!" constatò Paul Phoenix, tra una nocciolina e una manciata di patatine.

"Ha una gran scorza, secondo me vince lui!" concordò Marshall Law, annuendo vigorosamente.

"Non vincerà mai!" replicò secco il terzo, incrociando le braccia.

"Cosa stai dicendo? Non vedi che è in vantaggio?" replicò l'americano a bocca piena.

"Sto dicendo che tira ganci a tutto andare, ma la sua tecnica è completamente sbagliata, perciò il danno è minimo. Il suo punto forte è la velocità con la quale schiva i colpi, ma appena Gordon lo centra state certi che andrà K.O..  Tzè...E questi sarebbero professionisti?"

"Andiamo Steve, non sono manco delle mezze cartucce!" rispose Law, indicando lo schermo col dito. "Toh, guarda che fendente che gli ha tirato!"

"Scarso. Vincerà Gordon!" concluse il biondo, rimanendo immobile. 

Aveva le mani che gli prudevano, quello sport gli mancava troppo. Dannata Mishima Zaibatsu...

"Non ci credo! Se vince Maxwell mi offri un'altra birra!" sfidò Paul.

"Si, anche a me!" aggiunse Law.

Steve scosse la testa. Sapeva di aver ragione e infatti tempo dieci minuti e la situazione si era ribaltata, concludendosi con la vittoria schiacciante di Gordon.

"Nooo, accidenti! Poteva farcela!"

"Già, si è fatto fregare...Bhe, una birra me la offri lo stesso, Steve?"

"Credo che tu ne abbia già bevute abbastanza per stasera, Paul! Inoltre è tardissimo, è ora che vada!" replicò il biondo, alzandosi e infilandosi la giacca.

"Tardissimo? Sono appena le 3, come mai vai a letto così presto? La notte è ancora giovane!" disse Law, facendo cenno al cameriere di portargli dell'altro sakè.

"Ma lo sapete, ve l'ho già detto cento volte. Domani devo presenziare al matrimonio di quel russo, Morozov. Se veramente terrà fede alla promessa fatta, presto potrò partecipare al campionato di box in Russia. E quelli picchiano forte!"  spiegò Steve, con ovvietà. "Se sono fortunato nel giro di una settimana potrò essere nuovamente sul ring. Dice di essere rimasto molto colpito dalle mie capacità, spero di non deluderlo!"

"Ah già...Vero, le nozze di Moroskof...Certo! Bhe, oh, se è gnocca fotografa la sposa eh!!"

Steve alzò gli occhi al cielo di fronte a quella richiesta di cattivo gusto. Paul era sempre il solito.

"Certo, certo...Buonanotte ragazzi!" 

"Notte ragazzo! Magari butta l'occhio anche alle invitate, si sa mai che ci sia qualche gentile donzella anche per i tuoi amici!" sghignazzò Phoenix, prima di rigirarsi e ordinare l'ennesimo boccale.

Steve si affrettò ad uscire da quel locale e finalmente potè respirare un po' di aria fresca: quella del bar era a dir poco asfissiante. Si incamminò con le mani in tasca verso il piccolo motel dove passava la notte, procedendo a testa bassa, ma tenendo le orecchie ben aperte. Sarà pur stato un armadio di quasi 1,90 m pieno di muscoli, ma era sempre bene stare all'erta in quella città, coi tempi che correvano. Sperava con tutto se stesso che l'offerta di Morozov si rivelasse valida e che potesse finalmente riprendere a fare ciò che amava di più. Si era imbattuto nel russo quasi per caso e si stupì profondamente di venir riconosciuto da un uomo di tale rilievo. Pregò di essere all'altezza e di non deluderlo. All'improvviso venne brutalmente strappato dai suoi pensieri da un sibilio assordante e si nascose in fretta nel vicolo adiacente. Alzò gli occhi al cielo e vide passare i caccia della Mishima Zaibatsu, che sfrecciavano nell'oscurità, distruggendo il silenzio. Steve non potè fare a meno che digrignare i denti alla vista di quegli aerei militari...Chissà dove erano diretti? Chissà quanta distruzione avrebbero seminato? 

~

Il mattino giunse fin troppo in fretta. Dopo la notte travagliata che aveva passato sperava di poter dormire ancora un po' di più, ma quella maledetta sveglia e i raggi del sole che filtravano dalle tende si erano alleati per farla svegliare di cattivo umore. Si alzò lentamente da letto e spense quel dannato aggeggio con una manata. L'orologio segnava le 8:00 in punto: fino a qualche mese fa per quell'ora sarebbe già dovuta essere operativa da mezz'ora, eppure quel mattino non riusciva a svegliarsi. Si stiracchiò pigramente, soffocando uno sbadiglio e inclinò la testa di lato un paio di volte per risvegliare i muscoli del collo. Lentamente si tirò su, ma venne colta subito dopo da un capogiro che la costrinse a risedersi, seguito da un'altra fitta allo stomaco con conseguenze immediate.

"Oh no, no, no, non di nuov..." non fece in tempo a finire la frase che dovette correre nuovamente verso il bagno, con una mano sulla bocca per trattenere i conati. 

Non aveva più toccato cibo e il dover rimettere i succhi gastrici fu un modo orribile e disgustoso per iniziare la giornata. Che avesse preso un virus gastrointestinale? Forse il pollo era avariato? In ogni caso oggi proprio non poteva permettersi il lusso di stare male, aveva un compito da portare a termine. Si trascinò in camera e indossò una vecchia tuta grigia slavata. Il senso di nausea non le dava tregua, perciò decise di distrarsi allenandosi un po' prima di fare colazione. A corpo libero non poteva far granchè, quindi si limitò ad una serie di esercizi per migliorare la flessibilità e la resistenza. Quanto gli mancavano gli allenamenti in quel dojo dove poteva aver a disposizione di tutto, da pesi e attrezzi, a katane e armi di qualsiasi tipo. Grugnì, continuando le sue flessioni su una mano sola, ma la forza le stava venendo sempre più a meno. C'era sicuramente qualcosa che non andava. Decise quindi di rinunciare all'attività fisica e concedersi una tazza di thè caldo, con qualche biscotto nella speranza che le avrebbero aggiustato lo stomaco. Dopodichè si sarebbe fatta una bella doccia e poi avrebbe iniziato a prepararsi per la sua missione. Tuttavia quel senso di irrequietezza e malessere ancora non l'abbandonava e la cosa non faceva presagire nulla di buono...

 
~

Alle 13:00 spaccate Nina varcò la porta della sartoria, venendo accolta da una schiera di sarte che chinarono immediatamente il capo in segno di rispetto e da nientemeno che il signor Tanaka, vestito di blu cobalto per l'occasione. 

"Miss Williams, mia cara...Venga, venga...Il gran giorno è finalmente arrivato!" esclamò sorridendo. 

Se Nina stessa non fosse stata coinvolta in quel progetto forse persino lei avrebbe creduto a quella farsa. Sperò che tutto ciò finisse in fretta.

"Se vuole seguirmi in camerino sarò io stesso ad aiutarla a vestirla. Dopodichè ad attenderla ci saranno truccatrici e parrucchiere, anche se devo dire che la materia prima è già splendente al naturale. Prego, da questa parte..."

Tanaka la invitò a seguirlo nella stanza li di fianco, chiudendosi la porta alle spalle. Nina non era esattamente d'accordo col cambiarsi alla presenza di quell'uomo, ma purtroppo per lavoro si era ritrovata a fare ben di peggio. Iniziò a svestirsi, rimanendo in biancheria intima, mentre l'uomo si affrettava ad estrarre l'abito dalla sacca nel quale era stato riposto.

"Mi auguro che mi perdonerà se le dico che ha un corpo che sembra essere stato scolpito dagli angeli. Ad ogni modo, ci sono un paio di ultime cosette che lei dovrebbe sapere, prima di cominciare.

"L'ascolto." replicò Nina,alzando le braccia verso l'alto per permettere Tanaka di allacciare la cerniera del vesisto, posta sul fianco destro. 

"Intanto Morozov è noto per sposare donne anche a scatola chiusa, tuttavia ha richiesto specificamente una femmina caucasica sulla ventina, quindi direi che lei sia più che adatta a soddisfare questo richiesta. Lui non ha idea del suo aspetto, conosce solo il suo nome, ossia Ludmilla Padlova. Non se lo dimentichi!"

"Non lo farò! C'è altro?" domandò mentre il laccio di un paio di sontuose scarpe col tacco argentee le venne assicurato alla caviglia. 

"Si. Dovrà farlo fuori poco dopo il giuramento, nel momento in cui il sacerdote vi dichiarerà marito e moglie. In quel momento faremmo saltare l'organo della chiesa e sarà li che dovrà ucciderlo. Scelga lei il modo che preferisce. Questo è quanto."

Nina ripassò mentalmente quanto le era stato detto e annuì. Era tutto piuttosto semplice.

"Ed ora, mia cara, se vuole seguirmi, è ora del trucco e parrucco..."

~


Un'ora dopo si ritrovò a bordo di una lussuosa Rolls Royce, diretta verso la cattedrale ortodossa. Non aveva idea che un simile luogo di culto esistesse in Giappone, ma d'altro canto non aveva mai avuto modo di fare la turista. Osservò il suo riflesso sul vetro oscurato della vettura, studiando ogni più piccolo particolare della sua immagine. Il trucco era leggerissimo, giusto un velo di eyeliner, tanto mascara per accenturare le sue ciglia già lunghissime donandole uno sguardo da cerbiatta, un velo di cipria sulle guance e uno strato leggero di lucidalabbra. Tanaka aveva ragione: non aveva bisogno di nessun trucco, era già bellissima al naturale. I capelli erano raccolti in una coda bassa e laterale, che le ricadeva in morbide onde sulla spalla destra. Due ciocche auree erano state lasciate libere dall'acconciatura e ora le incorniciavano dolcemente il volto, conferendole un aspetto quasi angelico. Ma fu il vestito a farle più effetto: non aveva mai sognato di sposarsi, nemmeno da bambina, figurarsi da adulta. Indossare quel tessuto candido la faceva sentire strana, soprattutto perchè si ritrovò a pensare che forse le sarebbe piaciuto convolare a nozze con colui che aveva scoperto di essere in grado di amare. Scosse la testa amareggiata: non era ora di lasciarsi andare a certi pensieri. Infatti, poco dopo la macchina si fermò davanti alla chiesa: era giunto il momento. Si accertò per l'ultima volta che le armi che nascondeva sotto la gonna fossero ben celate dal tessuto e da quel gioco di frappe sul fianco e sistemò meglio lo spacco della gonna. Era pronta all'azione.

~

Tutti gli ospiti si trovavano già all'interno della cattedrale e attendevano impazienti l'arrivo della sposa. Steve aveva deciso di starsene in fondo, un po' in disparte; dopottutto non conosceva nessuno. Liev Morozov lo aveva salutato caldamente, ma poi si era perso in chiacchiere di poco conto con tutti gli invitati e ben presto il ragazzo si rese conto di quanto fosse vile e maschilista. Ingoiò il rospo e fece comunque finta di nulla: aveva una carriera da riscattare e se sopportare un uomo che faceva il cascamorto persino il giorno delle sue nozze era il prezzo da pagare, bhè, l'avrebbe rifatto cento volte. A distrarlo ulteriormente fu il suono dell'organo che riprodusse la celeberrima marcia nuziale: la sposa era finalmente arrivata. Tutti si alzarono in piedi sporgendosi verso l'entrata per poter vedere meglio la misteriosa futura moglie del magnate. Fece quindi il suo ingresso una donna, alta, snella e formosa, fasciata in quel semplice abito bianco che però la faceva brillare di luce propria. Avanzò lentamente verso la navata, col velo che le copriva parte del volto. Strano, eppure aveva un non so che di famigliare. A Steve venne la pelle d'oca e non seppe nemmeno il perchè, ma quella donna aveva qualcosa di strano. L'enigmatica sposa raggiunse finalmente il suo consorte che non le aveva tolto gli occhi di dosso per un momento. Come le sollevò il velo dal volto lo sguardo gli si illuminò, come se stesse contemplando un gioiello di valore inestimabile.

"Ludmilla...Incantevole." gracchiò, divorandola con gli occhi.

Nina si limitò a sorridere e ad accettare la mano che l'uomo le stava offrendo, prima di accomodarsi sul divanetto posto di fronte all'altare. Nel sedersi la donna girò il volto per aggiustare le pieghe della gonna e fu li che Steve potè finalmente guardarla in faccia. Gli si gelò il sangue nelle vene.  Non poteva essere, forse aveva visto male... Si stropicciò le palpebre e riprovò ad osservarla. Sbarrò gli occhi incredulo, mentre le gambe gli presero a tremare e il cuore battere all'impazzata. Avrebbe riconosciuto quel volto tra milioni di altri. Non c'erano dubbi, era proprio lei...

Ludmilla, la sposa...Era nientemeno che Nina Williams...la donna che stava cercando da mesi. 


 
~
 
Note dell'autrice:  lo so, non ho mezze misure sulla lunghezza dei capitoli, quanto sui tempi di attesa tra uno e l'altro! Perdonoooo! Mi sono particolarmente divertita a scrivere questo, si nota? É il preludio che porta all'azione e a tutti i cambiamenti ed eventi di questa storia, quindi d'ora in poi ci sarà da divertirsi. Non mi va di aggiungere altro, sennò finirei col spoilerare cose, chiedo scusa per averci messo così tanto ad aggiornare ma vivo per lavorare e il tempo libero è sempre poco. Inoltre non sono una di quelle persone col dono di saper scrivere a comando, mi serve del tempo per raccogliere idee ed ispirazione. Detto ciò, alla prossima! Un bacione!


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Capitolo 8
*** Confession ***


I presenti non riuscivano a togliere gli occhi di dosso dalla coppia di sposi seduti di fronte all'altare, in particolare era la bellezza eterea di Ludmilla ad attirare la maggior parte degli sguardi di uomini e donne.  Tutti sorridevano credendo di assistere al coronamento di un sogno di amore: tutti meno uno. Perchè Steve Fox aveva capito immediatamente cosa stava realmente succendo: sapeva che Nina lavorava per la Mishima Zaibatsu e che con ogni probabilità quegli erano gli ultimi attimi di vita di Morozov. Ancora una volta quella donna stava attentando all'incolumità di un innocente. Come poteva essere così crudele e spietata? Inoltre si rese ben presto conto che se avesse ucciso l'uomo avrebbe stroncato anche l'unica chance che aveva di tornare a combattere, ma nonostante quella consapevolezza non riusciva a muovere un muscolo. Lo sguardo gelido dell'assassina lo aveva letteralmente ibernato. Erano mesi che era sulle sue tracce, per la precisione dal giorno in cui si era infiltrato nei laboratori della Mishima Zaibatsu per cercare di scoprire quanto più possibile sul suo passato. Ovviamente non aveva trovato nulla se non un profilo con pochissime informazioni circa il suo conto, niente che lui non sapesse già. C'era una cosa però che lo aveva colpito particolarmente: la frase "Steve Fox è stato concepito attraverso inseminazione artificiale". Quindi non era solamente frutto di qualche esperimento scientifico, di fatto era nato come qualsiasi altro essere umano, ma l'identità dei suoi genitori biologici rimaneva tutt'ora un mistero. Inoltre il nome di quella donna, quella "Nina Williams" continuava a spuntare nelle liste di esperimenti dove era collocato anche il suo, quindi doveva per forza avere a che fare con lui in un modo o nell'altro. E il suo sesto senso gli diceva che lei sapeva qualcosa. Una forte fitta gli attraversò il braccio sinistro, dove sfoggiava quell'enorme cicatrice. Maledetti bastardi...

"Ed ora possiamo procedere all'unione di queste due anime innamorate." dichiarò il sacerdote.

Steve sobbalzò. Era talmente perso nei suoi pensieri da non essersi accorto che la cerimonia stava già volgendo al termine. 

"Vuole lei, Liev Morozov prendere come legittima sposa Ludmilla Padlova e promettere di amarla ed onorarla in salute e malattia, nella gioia e nel dolore, in ricchezza e povertà finchè morte non vi separi?" 

Morozov osservò Nina con quello sguardo famelico e sprezzante, prima di rispondere con uno spavaldo e sbrigativo "Si, lo voglio!", totalmente privo di sentimento.

"E lei, Ludmilla Padlova..."

Ormai era giunto il momento: nel giro di pochi secondi un sicario della Yakuza avrebbe fatto saltare l'organo e li sarebbe stato il momento di far fuori quel bastardo. 

"...Vuole prendere come  suo legittimo sposo Liev Morozov e..."

Ma il sacerdote non fu in grado di finire la frase che un boato assordante risuonò dal fondo della chiesa, facendo esplodere il portone e sparando schegge ovunque. 

"Cosa diavolo..." pensò la bionda.

Non era così che doveva andare, c'era qualcosa che non tornava! Pochissimi secondi dopo una truppa di soldati, circa una trentina fecero irruzione nell'edificio, armati fino ai denti e iniziarono a sparare all'impazzata. La donna riconobbe immediatamente quelle armature spigolose e quegli elmi neri come la pece e rossi come il sangue. Perchè la Tekken Force era li? Il panico si seminò in un batter d'occhio: la gente correva ovunque, urlando, cercando di schivare i colpi e di mettersi al riparo. Numerose vetrate di infransero a causa di granate lanciate da chissà chi dall'esterno. Nina si sentì strattonare per un braccio e nel girarsi vide il russo intento ad utilizzarla come scudo umano.

"Spiacente mogliettina...È stato un matrimonio breve, ma intenso." gracchiò, correndo verso l'uscita nascondendosi dietro di lei. 

Povero illuso, non sapeva con chi aveva a che fare: fulminea Nina rovesciò la presa gettandolo a terra e prima che l'uomo potesse rendersene conto si ritrovò con la testa già nella morsa letale delle sue mani.

"Concordo...Maritino!" sibilò l'assassina, prima di spezzargli l'osso del collo con un unico movimento secco, lasciandolo moribondo al suolo.

Successivamente diversi colpi di pistola raggiunsero il corpo del magnate, ma se non altro non era morto per mano della Tekken Force. La donna schivò agilmente i proiettili con una capriola all'indietro e con rapidità impressionante estrasse la Magnum 44 dalla giarettiera e fece fuoco, abbattendo cinque soldati in pochi colpi. 

"Fermi! Ma quella è la Williams!" gridò una voce vagamente famigliare.

"Si, è proprio lei! Quella traditrice! Prendetela! Serviremo la sua testa ad Heihachi su un piatto d'argento!"

La situazione era precipitata: poteva essere abile finchè voleva, ma non era certo in grado di sgominare venti uomini armati con così poco arsenale a suo disposizione; doveva giocare d'astuzia! Ormai l'avevano quasi accerchiata e se non avesse fatto qualcosa in fretta sarebbe stata in trappola. 

"Spiacente Williams. C'era stato ordinato di far fuori quel russo, così finalmente avrebbe smesso di dare filo da torcere alla Zaibatsu, ma chi l'avrebbe mai detto che si stava per sposare con te! Evidentemente la feccia segue altra feccia." la schernì il soldato che le stava puntando il mitra contro.

L'assassina non si scompose minimamente...Aveva riconosciuto quell'idiota, la sua impudenza e incopetenza le aveva dato un sacco di grane quando era lei seconda al comando. Faceva tanto il gradasso, ma in realtà era solo un povero mentecatto, assai facile da raggirare. 

"Hai proprio ragione, Ryu. La feccia va con la feccia, per questo presto gli farai compagnia."

Udendo quelle parole Ryu non ci pensò due volte e sparò alla donna, che agilmente rotolò di lato e ricambiò la pallottola, centrando in pieno petto quell'uomo insignificante. Accadde tutto così in fretta che i soldati non ebbero tempo di reagire: presto l'area fu totalmente ricoperta di fumo denso e di Nina Williams nemmeno l'ombra. Corse a perdifiato verso l'uscita, ma con sommo disappunto si rese conto che l'uscita era stata sbarrata e non aveva modo per forzarla. Prendere a spallate un portone di legno non era certo una buona idea, ma era anche vero che li non poteva restare; l'effetto del fumogeno non sarebbe durato al lungo, doveva trovare un posto dove nascondersi. Si avventò come un lampo su per le scale, che conducevano ad una sorta di secondo piano e ben presto avvistò la porta di quella che doveva essere la sagrestia. Senza pensarci due volte si nascose dietro di essa, ritrovandosi in una stanza buia e piena di armadi e testi religiosi. Sgusciò dentro uno di essi e chiuse le ante, sperando che nessuno la trovasse. Quello che doveva essere un semplice omicidio era diventata una missione suicida. Tirò un sospirò di sollievo, osservando il suo sontuoso abito la cui gonna era ormai ridotta a brandelli... Se non altro era ancora in grado di cavarsela nelle situazioni più disperate...

 
~

Il fumo si era diradato rivelando uno scenario di morte e distruzione: il pavimento di marmo era ricorperto di macerie, sangue e qualche cadavere ucciso da pallottole vaganti. Pian piano i soldati della Tekken Force stavano riprendendo conoscienza e raccogliendo le loro armi sparse in giro.

"E ora? Che facciamo?" domandò uno di essi, osservando il disastro che avevano causato.

"Torniamo alla base no?" rispose un altro, osservando il corpo senza vita di Morozov, accasciato contro gli scalini dell'altare. "Il russo è morto stecchito, la nostra missione è compiuta. Un seccatore in meno!"

"Si, ma la Williams? Lei è riuscita a scappare. Heihachi non sarà contento!"

"Il nostro compito era far fuori Morozov, la Williams non era contemplata in tutto ciò. Heihachi non lo saprà mai che era coinvolta. Ci saranno altre occasioni per farla fuori, oppure rimarrà semplicemente uccisa da qualcun'altro. La sua fortuna finirà il prima o poi." sentenziò l'uomo, con ovvietà.

Aveva ragione, chi l'avrebbe mai detto che si sarebbero imbattuti nella loro ex comandante? Chissà perchè era li?

"Hai ragione! Forza ragazzi, rientriamo. Abbiamo subito già abbastanza perdite. Che sia maledetta quella donna, sei dei nostri ha ammazzato! Sei!

"Tranquillo...La pagherà..."

 
~

Steve non poteva credere a quanto era successo. Era vivo per miracolo! Ancora una volta la Mishima Zaibatsu lo aveva messo in pericolo e seminato morte e distruzione. Sconsolato si guardò attorno, osservando tutti quei corpi senza vita. Poco lontano da lui c'era anche quello di Morozov: aveva numerosi proiettili conficcati nel petto e l'osso del collo spezzato. Quindi c'era riuscita! Per ucciderne uno, c'erano andati di mezzo troppi innocenti. Ma non aveva una coscienza quella donna? Doveva assolutamente trovarla, non importava quanto fosse pericolosa. La chiesa era deserta, ma Steve si domandò se, vittime a parte, gli altri invitati fossero riusciti a mettersi in salvo; buttò l'occhio distrattamente verso le scale e si accorse della presenza di un piano di sopra. Decise quindi di dare un'occhiata lassù: magari c'erano dei feriti anche li! Mentre saliva i gradini continuava a non capacitarsi di tanta devastazione, che vista dall'alto sembrava persino più terribile. Era orribile, e la cosa gli mise una grandissima ansia addosso. Avrebbe voluto urlare, prendere a pugni il sacco da box fino a distruggerlo per sfogare tutta quell'angoscia. Si girò di scatto per tornare indietro, ma qualcosa attirò la sua attenzione; qualcuno lo stava osservando! Fu solo allora che si accorse di una porta socchiusa sul fondo della parete e decise di andare a controllare. Nessuno sano di mente lo avrebbe fatto, anzi, sarebbe scappato a gambe levate da quel posto. Si avvicinò il più silenziosamente possibile e spalancò la porta della sagrestia, apparentemente deserta. Eppure, come una calamita l'occhio gli cadde su un armadio poco distante da lui, da cui sbucava un lembo di tessuto bianco: si avvicinò di soppiatto ma come fece per aprire l'anta quella si spalancò da sola. Neanche il tempo di processare cosa fosse successo che il pugile si ritrovò lungo e disteso a terra, con il mento che gli doleva per il forte pugno che aveva ricevuto. 

"EHI!" urlò, scattando in piedi per inseguire il suo aggressore.

Quando però capì di chi si trattava un fiotto di adrenalina prese a scorrergli nelle vene: o adesso o mai più!

"FERMATI!" urlò, inseguendo la donna che stava fuggendo giù per le scale a più non posso. 

Purtroppo per lei correre sui tacchi a spillo non era esattamente un'impresa semplice e furono proprio loro a tradirla sull'ultimo gradino, facendole perdere l'equilibrio e capitombolare al suolo. 

"Merda..." sibilò inferocita, tentando di rialzarsi ma invano.

Il ragazzo l'aveva raggiunta e le si parò davanti, sbarrandole la strada. Era nel pugno di una di quelle poche persone con le quali non avrebbe mai voluto aver a che fare. Steve dal canto suo si ritrovò improvvisamente spaesato: ora che il suo obiettivo era li, davanti a lui non sapeva nè cosa fare, nè cosa dire. Quegli occhi glaciali, così simili ai suoi lo stavano scrutando con un'intensità tale da trapassarlo da parte a parte. Aprì bocca un paio di volte, ma non ne uscì alcun suono; si stupì del fatto che lei rimanesse li ferma ad osservarlo, senza tentare di scappare, sembrava turbata a sua volta da quell'incontro. Decise quindi di sfruttare quel suo apparente momento di debolezza per poter finalmente parlare.

"Il mio primo ricordo è quello di un laboratorio della Mishima Zaibatsu..." cominciò, toccandosi involontariamente il braccio deturpato. "Non so nemmeno chi siano i miei genitori. L'unica persona di cui mi ricordo era la dottoressa Kliesen: è sempre stata gentile con me. Mi sono infiltrato nell'archivio alla ricerca di informazioni, ma sfortunatamente nessuna di esse mi ha condotto da qualche parte. Ma il TUO nome è apparso più e più volte...Quindi dimmi...Qual è il tuo collegamento col laboratorio? Con me?" 

Ne seguì un attimo di silenzio, durante il quale Nina si rialzò lentamente: le parole del ragazzo erano state dure e dirette e sapeva che ormai era giunto il momento che anche lui scoprisse la verità sul suo passato. Dopottutto lei stessa aveva sofferto di amnesia e sapeva quanto fosse frustrante non sapere nulla su se stessi. D'altro canto non avrebbe mai voluto trovarsi in una situazione del genere, ma era con le spalle al muro. Doveva rispondergli.

"Quei laboratori venivano usati dalla Mishima Zaibatsu per creare dei super soldati." cominciò lentamente, osservando il suo interlocutore dritto negli occhi. "Il loro scopo era quello di creare fisicamente e geneticamente il soldato perfetto. Ovviamente si rivelò essere un fallimento...Ma a giudicare dal tuo braccio sinistro tu devi essere uno dei sopravissuti."

La parole della donna lo colpirono profondamente. Dunque era quello il motivo per cui era venuto al mondo? Per diventare una macchina da guerra e servire quelle bestie per i loro scopi malvagi? In quel momento Nina sospirò profondamente e si voltò, dandogli le spalle.

"A quel tempo la Mishima Zaibatsu mi aveva catturata e costretta in un sonno criogenico... È solo recentemente che ho scoperto che i miei geni sono stati utilizzati nei loro esperimenti."

Quella rivelazione fu come un fulmino a ciel sereno! Nella testa di Steve tutti i pezzi del puzzle andarono finalmente al loro posto, mostrandogli l'immagine della verità che tanto aveva cercato.

"Aspetta...Questo significa che tu sei mia madre!" esclamò incredulo.

Ma la reazione che seguì non fu certo dolce.

"Non farti un'idea sbagliata!" scattò la bionda, allungando il braccio per mantenere le distanze."Non sarai MAI mio figlio, non potrebbe fregarmene di meno di te...Se non altro sei una spina nel fianco!" rispose secca, osservandolo con gli occhi socchiusi.

Ma nessuno fece in tempo ad aggiungere altro, perchè un proiettile li mancò di giusto un paio di centimetri. Alzando lo sguardo Nina vide due soldati della Tekken Force che gli stavano correndo incontro armati e seriamente intenzionati a far loro del male. Ma prima che potesse fare altro il braccio del pugile le fece cenno di stare indietro.

"Vattene da qui...Me ne occupo io!" rispose, correndo incontro ai due assalitori.

Nina rimase ad osservalo per un attimo, prima di seguire il suo consiglio e fuggire.

 
~
 
Note dell'autrice: iniziamo a dare fuoco alle polveri e a ricomporre il puzzle eh :D? Ok, invece che lodarmi da sola voglio scusarmi per la "carestia" di aggiornamenti. Quando ho iniziato a scrivere la storia avevo già tutta la trama in testa, tuttavia sono giunta ad un punto in cui mi sono resa conto che manca un punto chiave che ancora non sono riuscita ad immaginare come vorrei per ricollegare tutto quanto. Inoltre il lavoro non aiuta, mi occupa praticamente il 75% del mio tempo  sebbene abbia la possibilità di scrivere anche li, l'ambiente è poco d'ispirazione. Spero di riuscire a sbloccarmi al più presto, perchè il seguito è già scritto nella mia testa e deve solo finire sul PC. Quindi piuttosto che sparare tutti i capitoli già pronti a raffica, me li tengo un attimo buoni, portate pazienza :( Ora, basta con le scuse e veniamo al capitolo attuale: personalmente sono abbastanza soddisfatta per come è uscito. In Tekken 7 viene rivelato che dopo aver lasciato la Mishima Zaibatsu, Nina accetta l'incarico di infiltrarsi in un matrimonio di mafiosi impersonando la sposa, ma sinceramente ho preferito rovesciare le cose e far si che questi ultimi fossero i suoi datori di lavoro e che la conseguente sparatoria innescata fosse partita direttamente dalla Tekken Force. Come ho già detto, cerco di rimanere il più coerente possibile alla storia, ma non sono mica Harada, suvvia :D Infine il confronto tra Steve e sua madre è una parte che adoro e che spero riprendano almeno un minimo in T8. Li invece ho riportato fedelmente i dialoghi e chissà cosa succederà nel prossimo capitolo... ;) Spero che vi piaccia come si sta evolvendo questa storia, consigli e critiche sono sempre ben accetti! Bacione!

PS: sì, dopo setordicimila anni EFP ha approvato la mia richiesta di cambio del nickname. Non vi spaventate, sono sempre io, non troverete mai nessun XiaouXJin qua dentro :P 

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Capitolo 9
*** Sorrow Within ***


Si ritrovò circondato dall'oscurità più nera: più cercava di trovare qualcosa che spezzasse quelle tenebre, più quest'ultime lo inghiottivano. Era una situazione soffocante e claustrofobica, che lo rendeva sempre più inquieto, si sentiva come una bomba ad orologeria sul punto di esplodere. Chissà, magari esplodendo avrebbe rischiarato l'intera area, avrebbe visto un po' di luce...Forse...Tentò disperatamente di concentrarsi su qualcosa di positivo, piacevole, che potesse distrarlo e aiutarlo a non perdere completamente il senno, ma la sua vita era stata tutto fuorché facile: la morte della sua adorata madre, il tradimento di suo nonno, il padre che aveva sempre desiderato incontrare che lo voleva morto, l'intero mondo lo odiava per le sue azioni, nonostante avesse cercato di salvarlo dal male, la maledizione che si portava dentro sin da quando era solo un embrione....Era nato per soffrire, vivere nel dolore e rimorso, essere un cancro per la società. Kazama era solo un cognome; Essere un Mishima era la sua condanna. Ma la cosa peggiora era che la vita aveva deciso di ingannarlo di nuovo, offrendogli false speranze di viverla normalmente, per poi privarlo di tutto ancora una volta.

Prima delle poche amicizie che aveva, Xiaoyu e Hwoarang, contraddistinte dalla cotta non corrisposta che lei aveva per lui, e l'accesa, ma rispettosa rivalità del coreano nei suoi confronti. Poi quella donna misteriosa entrata nella sua vita, quell'angelo della morte che aveva assunto per proteggere sé stesso, finendo poi con il desiderare l'opposto. Proprio lei, l'assassina che aveva cercato di ucciderlo anni prima sotto l'influenza di Ogre e che ironicamente era stato proprio lui a salvare. Colei che aveva sbaragliato ogni avversario che si era ritrovata ad affrontare nei tornei. Che si era prima guadagnata il suo rispetto, poi la sua completa fiducia, fino a diventare l'unica persona al mondo che fosse a conoscenza delle sue vere intenzioni...E che alla fine aveva fatto breccia nel suo cuore. Perché per quanto potesse sembrare assurdo, persino Jin Kazama, con migliaia di vittime sulla coscienza, si era innamorato. Esatto, innamorato. 

L'unica forma d'amore che avesse mai conosciuto nella sua intera esistenza era quella per sua madre, l'unica persona che fino ad allora lo aveva amato incondizionatamente e aveva sacrificato la propria vita per salvarlo: il cuore di Jun era puro, gentile e generoso, lo aveva cresciuto da sola, insegnandogli il rispetto per la natura e per ogni altro essere vivente. Quanto sarebbe stata delusa se avesse visto che razza di mostro il suo adorato figlio era diventato? Un essere crudele e spietato, assetato di sangue e potere, esattamente come suo nonno Heihachi e suo padre Kazuya. Perchè era nato? Come ha potuto un'anima così immacolata concepirlo col diavolo stesso? Un altro demone era spuntato fuori dalla loro unione e negarlo era completamente inutile, era stata solo questione di tempo prima che la sua vera essenza si rivelasse per cosa fosse veramente. Tuttavia, il suo cuore di ghiaccio aveva incontrato qualcuno in grado di scioglierlo e, ironia della sorte, a riuscirci era stata una donna altrettanto glaciale. Ricordava perfettamente il momento quando lui stesso si era messo sulle sue tracce per offrirle un lavoro come guardia del corpo personale: i suoi freddi occhi l'avevano scrutato da capo a piedi, cercando di capire le sue vere intenzioni. Fu la prima volta in cui un semplice sguardo riuscì a intimidirlo. Quasi immediatamente si era reso conto di aver fatto la scelta migliore di sempre, le sue abilità e la sua professionalità erano oltremodo impressionanti e pian piano le aveva inconsciamente permesso di addentrarsi nella sua sfera emotiva. Certo, era una donna meravigliosa con un corpo perfetto e un viso angelico, ma non gli era mai importato davvero dell'apparenza: lei non era solo un'assassina, ma la cosa più cara che aveva.

Gli mancava tutto di lei: la sua lealtà nei suoi confronti, la sua sempiterna sincerità, il supporto che non mancava mai di dargli, il rimanergli accanto nei momenti più difficili, il fatto che potessero capirsi con solo un semplice sguardo, la loro complicità che tutti vedevano, ma che nessuno comprendeva. E di nuovo, tutti i momenti passati assieme, le serate trascorse nel suo ufficio a lavorare fino a tardi, le loro corse in moto per decretare chi fosse il più veloce, il rimanersi accanto in un confortevole silenzio...I suoi sorrisi, i loro abbracci, i loro baci all'inizio acerbi e rubati, divenuti bramati, le notti passate ad amarsi a ripetizione, fino ad addormentarsi l'una nelle braccia dell'altro, fino al loro risveglio il mattino successivo.

"Povero piccolo idiota..."

Una voce baritonale e malvagia risuonò nell'oscurità, congelandogli il sangue nelle vene. Tutto ormai apparteneva al passato, eccetto la sua maledizione, che era ancora viva nel presente.

"Sei davvero patetico, lo sai? Non pensavo ti fossi rammollito a tal punto da giocare a fare il supereroe per salvare questo stupido mondo. Ma guarda un po', hai perso...Io sono ancora qui!"

Le parole di Devil gli dilaniarono l'anima: distruggere Azazel era stato completamente inutile, quel dannato Gene del Diavolo era ancora lì, affamato di potere. Cosa doveva fare per cessare quell'agonia?

"Zitto!" urlò debolmente.

Una risata crudele lo schernì.

"Tu, zittirmi? Dovresti trattenere la lingua in mezzo ai denti, piccolo insolente e portarmi rispetto."

"Non ti devo un bel niente!" urlò, tenendosi la testa tra le mani.

"Tu mi devi TUTTO, Jin Kazama. Ricorda sempre questo: fintanto che esisto, tu vivrai con me e farai ciò che ti dico. Sarai maledetto in eterno."

Jin gemette udendo quelle parole. Il suo spirito si stava indebolendo, Devil aveva ragione. Se solo avesse avuto una ragione per combattere...

"Tranquillo mio schiavo..." sussurrò il diavolo "Resistere è inutile. Il mondo intero ti odia. E la tua adorata Nina ti ha già dimenticato, ma d'altronde cosa ti aspettavi da una come lei? Non c'è più niente ad attenderti"

 
~


Un sonoro beep catturò l'attenzione di Lee Chaolan, proprio mentre stava per assopirsi. Erano giorni che passava ore e ore a monitorare le funzioni vitali di Jin, che al momento rimanevano stabili. Alzò la testa e osservò lo schermo del computer di fronte a lui: il battito cardiaco era accelerato e l'elettroencefalogramma mostrava un aumento della sua attività cerebrale. Si alzò in piedi e corse verso il letto dove il ragazzo giaceva in coma. Notò che la sua fronte e la sua espressione non erano più rilassate come prima e le sue mani stringevano forte le lenzuola nei pugni, fino a sbiancare le nocche. Qualcosa stava succedendo nella sua testa, doveva immediatamente avvertire Lars. Ma tutto d'un tratto quel guizzo di vita svanì e i suoi parametri tornarono normali. Lee osservò il figlio del suo fratellastro per qualche istante, prima di tornare alla sua scrivania con un sospiro.

"Continua a combattere ragazzo...Sei l'unico che può mettere fine a tutto questo..."

 
~

L'oscurità l'aveva nuovamente avvolto nelle sue spire e si ritrovò a terra, sdraiato sulla pancia, mentre i suoi occhi stanchi osservavano i suoi pugni chiusi. Non ricordava nemmeno di essere caduto, improvvisamente le sue ginocchia avevano ceduto sotto il peso della disperazione. Devil aveva ragione, non aveva più niente per cui combattere, nessuno sentiva la sua mancanza. Nessuno lo voleva...Probabilmente nemmeno lei.

"Nina, dove sei? Per favore, salvami..."

 
~


Aveva passato i giorni seguenti al massacro nella chiesa ortodossa barricata in casa: in quel caos nessuno l'aveva notata mentre spezzava il collo a Morozov e ora aveva la Tekken Force alle calcagna, che la credeva colpevole di voler sposare un loro nemico. Inoltre l'attacco aveva avuto luogo in un luogo di culto e aveva causato decine di morti, perciò il clamore mediatico era enorme. La G Corporation naturalmente aveva colto la palla al balzo per fomentare ancora di più l'odio nei confronti della sua rivale e aveva disposto diverse truppe a controllare ogni angolo della città. Inutile dire che la controparte aveva adottato misure ancora più drastiche, disponendo a sua volta centinaia di soldati e imponendo un severo coprifuoco: chiunque l'avesse violato senza una valida ragione sarebbe stato arrestato immediatamente. L'intera situazione era fuori da ogni controllo: la lotta tra Kazuya e Heihachi stava degenerando e nell'aria aleggiava la consapevolezza comune che presto sarebbero accadute cose terribili. La G Corp stava ottenendo sempre più consensi da parte della popolazione, perciò gli avversari stavano facendo di tutto per introdurre misure sempre più drastiche, atte a ridurre la libertà personale a zero. E naturalmente Kazuya e quella poco di buono di sua sorella stavano utilizzando i media a loro vantaggio. Ciliegina sulla torta, l'omicidio di Morozov aveva scatenato l'inferno in Russia e ora numerose spie si stavano infiltrando nel paese per scovare il colpevole. Per evitare ogni rischio, la Mishima Zaibatsu iniziò a ispezionare ogni locale e casa privata di quelle persone che avrebbero potute essere coinvolte in qualche modo e le punizioni erano veramente severe. Questo significava solo una cosa: Nina doveva lasciare il Giappone il prima possibile. Non poteva continuare a vivere tra quelle quattro mura in eterno, nell'ansia di essere scoperta e arrestata. Se ne stava sdraiata nel letto con il suo laptop in grembo, cercando nuovi posti dove ricominciare con la sua vita e il suo lavoro, ma non riusciva a convincersi completamente. La terra del Sol Levante era diventata la sua casa, molto più dell'Irlanda, la sua terra natia. Il vecchio detto "casa è dove è il cuore" si era rivelato azzeccato. A Tokyo aveva incontrato quella persona che gli aveva completamente stravolto la vita, facendole cambiare idea su moltissime cose; sfortunatamente però quella persona non faceva più parte della sua vita.  Non sapeva nemmeno se si fosse risvegliato, o se alla fine fosse morto e il solo pensiero le riempiva il cuore di angoscia. Chiuse il computer con un sospiro e decise di coricarsi: negli ultimi giorni era diventata la soluzione momentanea ai suoi problemi, quei pensieri terribili la lasciavano talmente esausta da farla addormentare nel giro di pochi minuti. 
 
~


Era circondata da centinaia di uomini che puntavano i loro fucili contro di lei. Ai suoi piedi giaceva il corpo senza vita di un ragazzo dai capelli corvini: vani erano stati i suoi tentativi di rianimarlo e di proteggerlo. Se ne era andato. E lei era lì, disperata a vegliarlo mentre i soldati la tenevano sotto tiro. Ma non le importava, nulla aveva più senso...Chiuse gli occhi, abbracciando forte il suo amato e attese che le pallottole la facessero ricongiungere a lui...
 
~


Si svegliò di soprassalto col fiato corto. Un altro maledetto incubo, ancora più atroce dei precedenti. Questo le aveva davvero fatto male. Nascose il volto tra le mani, respirando profondamente per calmarsi. Sentiva ancora i brividi correrle lungo la schiena e non riusciva a smettere di tremare. Quando sarebbe ancora durato quel tormento? Decise di alzarsi per bere un bicchiere d'acqua, la sua gola era talmente asciutta da far male. Si trascinò stancamente verso la cucina senza nemmeno sollevare i piedi, i tremori ancora non l'abbandonavano e la facevano sentire debole e vulnerabile. L'acqua fredda fu un sollievo per la sua gola, ma non per la sua anima inquieta. Aveva uno strano presentimento, le sembrava di sentire qualcosa avvicinarsi, ma alla fine diede la colpa all'ansia. Ma quando fu sul punto di tornare in camera da letto udì nuovamente quello strano scricchiolio, stavolta forte e chiaro: lo sguardo le cadde sulla maniglia della porta e notò che effettivamente si stava leggermente muovendo. Qualcuno stava cercando di forzarla. Chiunque sarebbe andato nel panico, ma Nina Williams, persino nei suoi attimi di debolezza riusciva sempre a rimanere lucida e ad escogitare una strategia per sopravvivere. Scivolò nell'oscurità verso l'armadietto dove custodiva le sue armi e velocemente estrasse la sua pistola in calibro .22, grazie alla quale aveva completato numerosi incarichi in passato. Lo sparo non avrebbe fatto troppo rumore, ma sarebbe stato sufficiente ad uccidere. Controllò che fosse carica e si nascose in un angolo del corridoio in attesa: chiunque fosse l'intruso era riuscito ad aprire la porta e ora si stava introducendo furtivamente nell'appartamento. Ma non era solo, bensì scortato da altri due uomini. 

"Fantastico!" pensò infastidita. 

Aumentò la presa sul calcio e rimosse la sicura con un movimento fluido.

"Ragazzi, siete sicuri che questo sia l'appartamento?"

"Certo che sì, idiota. L'ho seguita fino a qua pochi giorni fa."

Bene, bene, a quanto pare era pure stata pedinata. Che diavolo ci faceva ancora in quella trappola di città?

"Ok, ma non è in casao?"

"Non lo so...Ma dobbiamo trovarla!"

"Risparmiatevi la fatica!"

I tre uomini ebbero a malapena il tempo per processare costa stesse succedendo, che si ritrovarono sotto tiro. Nina li aveva nel mirino e ci avrebbe impiegato pochissimo a farli fuori. Persino nell'oscurità il suo sguardo glaciale riusciva a terrorizzarli, come due iceberg mortali sulla propria rotta, pronti a distruggerti. Come poteva una donna così bella, con un viso così angelico, essere così pericolosa e mortale.

"In ginocchio, mani dietro la testa e forse posso prendere in considerazione l'idea di non piantarvi una pallottola nel cervello qui e ora. MUOVETEVI!" ordinò perentoria, avanzando di un paio di passi. 

"Per favore Miss Williams, non ci uccida, possiamo spiegare..."

Quella voce era fin troppo famigliare.

"Chomei?" chiese incredula, accendendo l'interruttore. 

La luce illuminò immediatamente la stanza e Nina riconobbe il tenente della Tekken Force, assieme a Gaho e Hiroya. 

"Che diavolo state facendo qua?" sbottò, abbassando leggermente l'arma, ma tenendola ben salda in mano. Non si fidava completamente di loro.

"La stavamo cercando, signora!" balbettò Gaho, abbassando la testa in segno di rispetto.

"Questo l'ho capito. Per quale motivo? Servire la mia testa su un piatto d'argento a Heihachi?" replicò asciutta, appoggiando la mano sinistra sul fianco come era solita fare durante le sue temute ispezioni. 

"N-n-no s-signora. Per avvertirla. Per dirle di mettersi in salvo. La sua relazione con Morozov ha peggiorato la sua posizione e ora lei è..."

"In cima alla lista nera della Mishima Zaibatsu, non mi dire... Beh, per vostra informazione ero lì per assassinarlo, non per sposarlo. La Yakuza mi aveva incaricata di farlo fuori, e dovevo farlo esattamente un istante dopo la vostra incursione."

I tre uomini tacquero immediatamente. Nutrivano seri dubbi che la loro ex superiore stesse veramente sposando un uomo che nemmeno conosceva, ma ovviamente non avevano potuto protestare. Erano felici che Nina non fosse in procinto di unirsi al nemico, ma questo non la rendeva fuori pericolo. 

"Quindi cosa volete che faccia?" la voce fredda della bionda interruppe i loro pensieri.

"Deve andarsene, signora. Scappare lontano e non tornare mai più!" disse Hiroya. "Heihachi sta pianificando un attacco estremo contro kazuya, presto qua attorno ci sarà solo fumo e macerie".

"Infatti...Inoltre il Signor Mishima è particolarmente agitato ultimamente, c'è un'atmosfera terribile. Ho paura che qualcosa di orribile stia per accadere." aggiunse Gaho.

Nina rimase in silenzio per qualche istante, per riflettere su quanto le era appena stato detto. Niente di diverso da quello che si aspettava. I soldati avevano ragione, era assolutamente stupido rimanere ancora in quel paese. 

"Signora Williams, per favore...Ci ascolti...Deve andarsene. Sa...Forse non le e importa e.…Ehm...Non vuole sentirselo dire, ma..." Chomei esitò per un istante prima di continuare. "Ma sono sicuro che il Signor Kazama non avrebbe voluto che lei rimanesse qua a rischiare la sua vita. Lei era così cara per lui...".

Quell'affermazione del tutto inaspettata ebbe il potere di farla riflettere e allo stesso tempo intristire. Avevano nuovamente ragione, Jin non avrebbe mai e poi mai voluto che vivesse un simile incubo, l'avrebbe portata lontano da quel disastro affinché non le accadesse nulla di male. Non disse nulla e rimase in silenzio, mentre nella sua mente i pensieri scorrevano come un fiume in piena, sapientemente celati dalla sua solita espressione impenetrabile. 

"La prego, ci ascolti Signora Williams. Se ne vada! Non passerà molto prima che venga localizzata, le nostre truppe stanno battendo a tappeto ogni angolo della città e al momento stanno controllando proprio il quartiere qua accanto, presto la troveranno! Fortunatamente siamo arrivati prima noi per pura fortuna. Scappi via, inizi una nuova vita, lei se lo merita...Lo faccia per il Signor Kazama, onori la sua memoria." concluse, frugandosi in tasca. 

Allungò la mano verso di lei e depositò un oggetto nella sua mano. Quando vide ciò che Chomei le stava porgendo rimase di stucco. Cinque diamanti purissimi e un sottile filo di oro bianco splendevano tra le sue dite diafane, catturando la luce e proiettando minuscoli arcobaleni sulle pareti. La purezza di quel gioiello sciolse per un istante il ghiaccio del suo cuore. Non avrebbe mai e poi mai sperato di rientrarne in possesso. 

"Sappiamo chi le ha donato quella collana, abbiamo accompagnato noi il Signor Kazama ad acquistarlo mentre lei era in missione in Europa. Purtroppo i suoi beni sono stati distrutti, mentre gli oggetti di maggior valore confiscati per rivenderli all'asta. Abbiamo pensato che fosse giusto rendere almeno questo alla sua legittima proprietaria."

Stavolta l'ombra di una lacrima le rotolò lungo la guancia, dettaglio che non sfuggì ai tre soldati. Un attimo di debolezza durato quanto un battito di ciglia, prima che riprendesse controllo di sé stessa. 

"Vi ringrazio, ragazzi. Grazie perché in questo inferno c'è ancora un barlume di speranza. Questo è ciò che Jin si auspicava: che alla fine di tutto fosse il bene a prevalere sul male e che quel maledetto sangue Mishima smettesse di corrodere il mondo. Vi ringrazio sentitamente da parte di entrambi. Sarebbe stato fiero di voi, e lo sono anche io."

Gli uomini arrossirono visibilmente udendo quelle parole inaspettate, ma fecero del loro meglio per rimanere impassibili.

"Grazie mille Signora, lei ci onora con le sue parole. Ora dobbiamo andare, tenteremo in tutti i modi di depistare le ispezioni e rallentarle per un paio di giorni, ma davvero, deve andarsene. Il più lontano possibile."

"Lo farò. Abbiate cura di voi!"

I tre uomini si congedarono con un saluto militare e uscirono dalla sua abitazione. Una volta rimasta sola, strinse a sé la sua adorata collana vicino al cuore. Le gambe le tremavano così tanto da non riuscire più a sorreggerla, perciò si accasciò in ginocchio, domandandosi cosa avrebbe dovuto fare. Non si era mai sentita così persa in vita sua.

"Jin...Dove sei? Ho bisogno di te, ora più che mai..."

 
~

Note dell'autrice: mi sono accorta di aver cancellato il capitolo e copiato quello successivo in fase di correzione. Ovviamente ho perso la chiavetta dove avevo salvato la storia, quindi molto furbescamente ho dovuto ritradurlo dall'inglese. W me XD! 

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Capitolo 10
*** The Unknown ***


Il silenzio più assoluto lo avvolgeva e nemmeno un alito di vento osava disturbare la sua meditazione. Sentiva tutta l'energia confluire dentro di lui e scorrergli come fuoco nelle vene, sprigionando un'aura oscura e percepibile da chiunque. Colui che avesse interrotto tutto ciò sarebbe andato incontro a morte certa. Ormai nemmeno lui stesso si considerava umano: lo era a tutti gli effetti, ma nel suo sangue vi era l'essenza del male. In molti si erano domandati da chi avesse preso, del resto il padre Jinpachi era noto per essere un uomo giusto e leale, nessuno si sarebbe mai aspettato che il suo primogenito diventasse il patriarca della famiglia più maledetta mai esistita. L'unico amore che provava era quello per il potere, la sete di gloria lo aveva reso un uomo cieco e senza scrupoli, che non si era fatto problemi a gettare suo figlio da una rupe quando era solo un bambino al solo scopo di provare una sua teoria. Eppure quel piccolo bastardo era sopravissuto, dimostrando che aveva ereditato dalla madre quell'essenza maligna che viveva in lei. Pensava di amare sua moglie, ma anche in quel caso non ci aveva pensato due volte a farla fuori: il vero mostro era lui.

Qualcosa si stava avvicinando, o meglio qualcuno. Poteva percepire nell'aria un'enorme fonte di energia, ma per quanto si sforzasse di riconoscerla non riuscì proprio a capire a chi potesse  appartenere, gli era completamente sconosciuta. La cosa non lo impressionò affatto: chiunque fosse non avrebbe potuto nulla contro di lui. Un'improvvisa folata di vento spalancò le porte dell'honmaru e invase la stanza, spegnendo di colpo tutti i fuochi che ardevano vivaci. Rimase ancora li, seduto a gambe incrociate con gli occhi chiusi. Ci voleva ben altro a scalfirlo.

"Chi diavolo sei?"

Heihachi sentì dei passi pesanti farsi sempre più vicini.

"Qualcuno i cui pugni non conoscono eguali" rispose una voce roca e profonda.

"Ah! A quanto pare possiamo saltare le formalità" replicò, alzandosi in piedi e girandosi per fronteggiare l'avversario.

Come si mise in posizione di battaglia una serie di scariche violacee attraversarono il suo corpo muscoloso segnato dal tempo, ma ancora pienamente in forze. Studiò l'essere sconosciuto di fronte a lui, che indossava solamente una tuta blu strappata, un paio di infradito e una bizzarra collana fatta di enormi palle di legno. I capelli rossi erano legati in uno chignon scomposto, mentre l'espressione truce e terrificante era resa ancora più temibile dai suoi occhi vermigli, che luccicavano di luce malvagia.

"Anche questo è destino..." commentò, prima di scagliarsi contro il capo dei Mishima, che immediatamente gli corse incontro per dare il via allo scontro. 

Fu una lotta violenta e feroce, senza esclusione di colpi, eppure nessuno riusciva a prevalere sull'altro: probabilmente si stavano ancora studiando. Continuarono ad attaccarsi senza sosta, ma la situazione continuava a rimanere alla pari. Heihachi si interruppe per un momento, osservando il suo avversario. Nella sua mente si palesò il ricordo delle parole di Claudio: "Ci è stato riferito che un essere disumano è apparso in Medio Oriente..." Ma certo, tutto tornava!

"Eri tu..." sussurrò.

Tuttavia venne interrottò da un tonfo sordo e in men che non si dica i due uomini si rittrovarono circondati da una schiera di robot ben conosciuti.

"Jack-6...Sei con la G Corp?" ringhiò Heihachi.

L'uomo non si scompose.

"Che cos'è?" 

No, a quanto pare non era in combutta con loro. Ma non c'era spazio per le domande, gli androidi lo avevano puntato ed erano pronti ad attaccare. C'era solo una cosa da fare, e uno spiacevole dejà-vu gli attraversò la mente. Promettendosi di non farsi fregare nuovamente, si schierò a fianco del misterioso guerriero e inizò ad abbatterli uno ad uno in un colpo solo. Era tutto fin troppo semplice per lui, ma anche per quell'uomo misterioso che li distruggeva con altrettanta facilità. Non era un avversario da sottovalutare. 

"Mi stupisci, devo ammetterlo." Commentò Heihachi, una volta che tutto i Jack furono ridotti ad un ammasso di rottami. "Dimmi il tuo nome..."

"Sono Akuma e sono venuto ad uccidere te e Kazuya, su richiesta di Kazumi!" rispose freddamente. "Tutto questo è per lei." 

"Cosa??? Kazumi?" scattò Heihachi, udendo il nome di sua moglie. "Stai dicendo che Kazumi ti ha chiesto di uccidere me e Kazuya? Ah, sciocchezze! Se fosse vero, perchè ti fai vivo solo ora?" domandò sprezzante.

"Stavo vanamente aspettando che diventassi più forte! Qui, adesso, menterrò la promessa che ho fatto a Kazumi!"

E in men che non si dica lo scontro riprese più feroce e violento di prima. Ora c'era in gioco la sopravvivenza, solo uno ne sarebbe uscito vivo, il loro scopo era distruggersi a vicenda. Heihachi non poteva credere a quanto gli era stato raccontato dal misterioso Akuma: per quale motivo sua moglie avrebbe dovuto chiedere a qualcuno di far fuori non solo lui, ma anche loro figlio, che lei adorava alla follia? Certo, lei stessa aveva provato ad ucciderlo dopo averlo accusato di essere diventato un mostro assetato di potere, ed era stato li che lui le aveva tolto la vita, spezzandole l'osso del collo, ma mai avrebbe immaginato che lo avesse chiesto anche a qualcun'altro. Questi pensieri gli costarono caro: in un attimo di distrazione venne colpito da un'ondata di energia violacea, che lo fece barcollare malamente e permise ad Akuma di sferrare il colpo di grazia!

"MUORI MILLE VOLTE!" urlò, prima di colpirlo con un pugno talmente forte da sembrarne cento. "L'inferno ti attende!"

Heihachi venne scaraventato all'indietro e quando sollevò gli occhi era già troppo tardi: vano fu il suo tentativo di difendersi, un altro fiotto di luce viola lo investì in pieno. Un urlo straziante squarciò la notte e poi fu di nuovo silenzio.

~

Dagli occhi dei Jack qualcun'altro a diversi kilometri di distanza aveva seguito tutto il combattimento, seduto comodamente sulla sua sedia di pelle. 

"Chi diavolo è quello?" domandò, osservando sui monitor la figura di quell'individuo che mai aveva visto prima.

"Non risulta nel nostro database" replicò un soldato, scartabellando tra centinaia e centinaia di file nel tentativo di identificarlo.

Kazuya appoggiò la guancia deturpata da quella vistosa cicatrice contro il pugno e osservò la scena pensieroso: chissà come se la sarebbero cavata? Non che si aspettasse chissà cosa da quegli ammassi di latta con troppi circuiti, ma sarebbe stato interessante studiare lo stile di combattimento di quello straniero. Come previsto fu una passeggiata per i duoi uomini sterminare i suoi robot e ora era intento ad osservare i due che si stavano studiando a vicenda.

"Mi stupisci, devo ammetterlo." esordì il suo odiato padre, scrutando il suo avversario.. "Dimmi il tuo nome..."

"Sono Akuma e sono venuto ad uccidere te e Kazuya, su richiesta di Kazumi!" rispose freddamente. Tutto questo è per lei." 

Quella risposta catturò improvvisamente la sua attenzione. Badò bene a non perdere nemmeno un frammento di quella conversazione e ciò che venne a sapere fu a dir poco spiazzante: sua madre, la sua adoratissima madre, lo voleva morto. Una delle uniche due persone delle quali si fosse mai fidato, colei che lo aveva messo al mondo aveva chiesto ad un completo sconosciuto di uccidere il suo unico figlio. Continuò ad osservare i due lottare e non battè ciglio quando Akuma se ne andò dall'honmaru distrutto dopo aver sferrato ad Heihachi il colpo di grazia. Forse se lo era tolto dai piedi per davvero: improbabile, ma non impossibile. 

"Un esplosione è stata confermata al Dojo dei Mishima! Abbiamo perso di vista Heihachi Mishima!" informò un soldato.

Ma Kazuya non lo stava ascoltando, era troppo preso dai suoi pensieri.

"Mia madre...Voleva uccidere me e Heihachi?" domandò retoricamente, nascondendo il volto dietro alla mano.

Prima che qualcuno potesse rispondergli scoppiò in una fragorosa e sprezzante risata.

"Che assurdità!" dichiarò, prima di incrociare le mani sul tavolo e lasciarsi andare alle sue riflessioni. "Ma chi questo tizio? E di quale potere è dotato?"

~
 
La pioggia continuava a cadere imperiosa sulle rovine del dojo che apparteneva ai Mishima. La distruazione che quello scontro aveva causato era impressionante! Solo uno ne era uscito vivo...O così sembrava!

"Per quanto ci provi proprio non riesco a capire...Akuma...Come poteva conoscere Kazumi?"

Un pugno emerse dal terreno seguito dal corpo di colui che era assetato di vendetta e risposte.

~

"Heihachi Mishima è morto!"

Quella frase stava tempestando i tabloid di tutto il mondo, era su ogni giornale e su ogni canale. Quel tiranno era scomparso all'improvviso a seguito di una misteriosa malattia, lasciando la Mishima Zaibatsu in mano a chissà chi. Nina sbuffò, spegnendo la televisione. Sapeva benissimo che si trattava tutto di una montatura colossale e che quel vecchio bastardo era vivo e vegeto e stava tramando chissà cosa. Se non altro quella notizia aveva allentato un po' il cappio che teneva sulla città e sul mondo intero: le ispezioni si erano interrotte e ora la vita era tornata ad essere un po' più facile. Ovviamente c'era il rovescio della medaglia, ossia che la G Corporation ne aveva approfittato per estendere il suo potere e guadagnare ancora più prestigio. Un tiranno valeva l'altro ormai, che fosse Heihachi o Kazuya a muovere i fili, il mondo sarebbe stato comunque condannato alla distruzione. Cosa stava architettando il primo, fingendosi morto? E il secondo credeva davvero a quella farsa? Ma soprattutto...Perchè lei era ancora li a Tokyo e non se ne era ancora andata?" 

La risposta gliela diede l'ennesimo sussulto del suo stomaco, che la costrinse a correre in bagno per l'ennesima volta. Erano due settimane che si svegliava ogni mattino con la nausea, che non riusciva a mangiare nulla senza vomitarlo subito dopo: si sentiva stanca, spossata, irritabile e debole: passava da momenti di determinazione ed euforia, dove preparava le valige e sembrava decidersi di andarsene, ad attimi di disperazione dove tutto quello che riusciva a fare era sdraiarsi sul letto e piangere senza motivo. Era una situazione pesante e frustrante, sicuramente aveva contratto un virus o qualcosa di simile, altrimenti non riusciva a giustificare tutto quel malessere. Dopo aver salutato la sua colazione, si rialzò lentamente in piedi, appoggiandosi al muro: in tutto questo anche le veritigini, i copogiri e i continui sbalzi di pressione si stavano dando da fare per metterla k.o.. Si trasciò verso il lavandino per lavarsi i denti, ma notò di aver finito il dentifricio. Tenendosi ben stretta al lavello per paura di cadere, aprì lo sportello dietro allo specchio per tirar fuori il tubetto nuovo, ma come frugò tra i vari oggetti lo sguardo le cadde su una scatola di cartone lilla. 

Sbarrò gli occhi alla vista di quell'oggetto innocuo, prendendolo tra le mani e rigirandolo per osservarne ogni lato. Lentamente fece dietrofront e si sedette sulla tavoletta abbassata del gabinetto, se fosse rimasta in piedi sarebbe sicuramente caduta: si sentiva letteralmente mancare la terra sotto ai piedi. La scatola era sigillata, il suo acquisto doveva risalire ad un bel po' di tempo fa: ma non era l'involucro esteriore a turbarla, quanto il contenuto. Poteva essere un'assassina di enorme talento, essere stata la guardia del corpo dell'uomo più tenuto al mondo, una formidabile lottatrice capace di sottomettere e guidare un esercito intero...Ma in fondo era pur sempre una donna. Una donna umana. E come tale si rese ben presto conto che un fenomeno normalissimo comune ad ogni essere femminile al mondo non le stava succedendo da tempo...Troppo tempo. 

Era lo stress! Sì, quello poteva influire benissimo sull'assenza di quella fastidiosa routine che soleva ripetersi ogni 28 giorni. E lei erano mesi che era sotto pressione, soprattutto durante gli ultimi due. Non c'era altra spiegazione per quell'assenza, o almeno, forse se avesse considerato le nausee mattutine e i continui sbalzi di umore, c'è ne sarebbe stata anche un'altra. Si sentì mancare di nuovo. Non poteva essere...Non doveva essere...E se invece fosse stato? Per la prima volta nella sua seconda vita, Nina Williams conobbe il sentimento della paura. 

 
~


Note dell'autrice: sto finendo la scorta di capitoli, argh! No, in realtà ho ritrovato l'ispirazione e mi sono sbloccata da quello stallo in cui mi trovavo. Ora continua solamente a mancarmi il tempo per scrivere :D Ci emme qu...Ho voluto riprendere le scene del 7 dove appare Akuma soprattutto per dare spazio anche agli altri personaggi, ossia Kazuya e Heihachi. Poi, da come potrete dedurre dal finale di questa parte seguiranno un po' di capitoli abbastanza incentrati su Nina, soprattutto gli ultimi che ho scritto, poi non dico che la metterò in standby, ma mi concentrerò per un po' su altre vicende. Come solito capirete sempre ai posteri, ho tutto nella mia mente contorta, quindi quando arriverò in fondo (spero prima che esca Tekken 8) tutti i tasselli andranno al loro posto! Abbiate fede ;D Detto questo, dopo aver sganciato la bomba sul finale, vi saluto! A presto!

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Capitolo 11
*** Don't Forget Me ***


Osservava in quello specchio il riflesso di una donna che non sembrava nemmeno lei. Gli occhi cerulei erano improvvisamente diventati vitrei e inespressivi, mentre scrutavano la sua figura che apparentemente sembrava essere la stessa di sempre. Eppure c'era qualcosa che non andava in lei, aveva una terribile sensazione che le gravava addosso e sentiva che ben presto le cose non sarebbero più state le stesse. Inconsciamente si portò le mani sulla pancia piatta, studiando il profilo del suo corpo, come se fosse in cerca di qualcosa. Qualcosa effettivamente c'era, non aveva ancora la certezza assoluta, ma in cuor suo sapeva già la risposta. E aveva paura. Sì, paura. Nonostante tutte le situazioni tragiche e drammatiche che aveva passato dopo il suo travagliato risveglio dal sonno criogenico non aveva mai provato quel sentimento. Aveva sperimentato la rabbia, la frustrazione, la disperazione e la tristezza, ma non questo tipo di terrore. Una fobia diversa da qualsiasi altra, quella di affrontare l'ignoto da sola con un enorme peso che le sue spalle non potevano sopportare. In quel momento avrebbe solo voluto scomparire, svegliarsi urlando dall'ennesimo incubo e trascinarselo dietro per tutto il giorno, ma stavolta non si trattava di un sogno, era tutto vero. Doveva togliersi quel dubbio atroce che la stava soffocando, ma non aveva il coraggio di farlo, perchè era già al corrente del fatto che si rivelasse fondato. 

"Non essere codarda, Nina!" rimproverò se stessa e il suo riflesso.

Rimanere li a ciondolare davanti allo specchio non avrebbe portato a nulla, se non a fomentare la sua ansia che ormai aveva raggiunto picchi spaventosi. Raccolse il cappotto, una sciarpa, un cappello e un paio di occhiali scuri e uscì di casa di corsa, come se avesse l'inferno alle spalle. Aveva una meta ben precisa in mente e si affrettò a raggiungerla a passo veloce, senza mai alzare la testa: non poteva essere scoperta, avrebbe già dovuto espatriare da almeno una settimana! Fortunatamente la farmacia non distava troppo dalla sua abitazione, quindi ben presto avrebbe avuto una risposta. Stringendosi ancora di più nel suo cappotto viola scuro, Nina afferrò al volo l'oggetto che le interessava e si recò immediatamente alla cassa per pagare.Quando la farmacista al banco vide cosa aveva acquistato le sorrise dolcemente mentre le batteva lo scontrino.

"In bocca al lupo e arrivederci!" la salutò cordiale.

"Grazie!" replicò la bionda a denti stretti, uscendo velocemente dal negozio.

Se da un lato non vedeva l'ora di scoprire la verità, dall'altro era terrorizzata a morte. E se fosse successo davvero quello che temeva? Non era così improbabile in realtà. Accellerò il passo, ma come voltò l'angolo si imbattè in una sorta di corteo che stava sfilando per la strada principale: i manifestanti sventolavano striscioni che rafficuravano il volto di Heihachi con sopra un'enorme croce rossa e inneggiavano a gran voce alla G Corporation, sostenendo che li avrebbe liberati da quella tirannia. 

"Poveri scemi..."mormorò tra se e se l'assassina. 

Tuttavia non poteva rischiare di imbattersi in qualche vecchia conoscenza, tante volte era stata vista accanto a Jin durante le trasmissioni dei suoi discorsi, perciò decise di fare una deviazione ed entrare nel bar che faceva angolo in attesa che quella mandria di illusi si dissipasse. Bhe, già che c'era tanto valeva bere qualcosa, no? Si accomodò in uno dei tavolini e ordinò una camomilla, nella speranza di calmare il suo subbuglio interiore. Sorseggiò lentamente la bevanda calda, osservando gli altri avventori che consumavano le loro ordinazioni, leggevano il giornale, o chiacchieravano tra di loro. C'era calma, troppa calma. Non si poteva essere così ingenui da pensare che la Mishima Zaibatsu avesse battuto in ritirata e che il leader della G Corp sarebbe diventato il buon samaritano che avrebbe placato la guerra. Eppure nell'aria aleggiava un ottimismo disarmante, ma Nina sapeva che non sarebbe durato molto: era solo questione di tempo prima che il sangue Mishima tornasse a mietere vittime. Al momento però aveva ben altro a cui pensare: la camomilla aveva fatto il suo effetto e ora doveva andare in bagno, il che significava che ben presto avrebbe scoperto la verità che tanto le faceva paura. Si trascinò verso il fondo del locale e chiuse la porta alle sue spalle. Estrasse con mani tremanti dalla borsetta quella scatolina rettangolare e un contenitore di plastica, preparandosi al peggio. 

Quei tre minuti furono i più lunghi della sua vita, aveva paura a scoprire cosa quella bacchettina che assomigliava ad un termometro per misurare la febbre avrebbe potuto rivelarle. Cercò di pensare positivo e in modo razionale, ricordandosi che dopo essersi risvegliata dal sonno criogenico aveva dovuto attendere diversi mesi prima che il ciclo mestruale le tornasse. Il suo corpo era perennemente messo sotto stress e sotto sforzo, quindi era abbastanza normale per lei passare lunghissimi periodi di tempo senza quella seccatura. Non era mai stata regolare, quindi la logica le imponeva di non preoccuparsi, si trattava di un ritardo come un altro...Ma tutti quei sintomi erano abbastanza palesi, dalle nausee mattutine ai repentini sbalzi di umore. Il tempo scadde, era giunto il momento della verità! Le mani continuavano a tremarle mentre si accingeva a prendere in mano la bacchetta e controllare il risultato: due barre rosse acceso erano comparse su quel piccolo display. Una coppia di stanghette scarlatte dal significato inequivocabile. Nina si sentì nuovamente mancare la terra sotto ai piedi. Aveva sperato fino all'ultimo istante di essersi sbagliata, ma ora aveva avuto la conferma a tutti i suoi sospetti e sensazioni. Tutto divenne immediatamente più chiaro mentre quella realtà la schiacciava inesorabile, era successo quello che non avrebbe mai dovuto succedere ed ora era in un mare di guai.

"Non posso credere...Di essere stata così...Così...Così incosciente..." mormorò tra i singhiozzi, tirando un pugno contro la parete. 

Ed effettivamente incoscienti lo erano stati entrambi a non pensare che quello che stavano facendo il prima o poi non avrebbe portato a conseguenze abbastanza prevedibili. Tenendosi la mano ferita, si accasciò contro la parete e rimase li in un angolo mentre la sua mente si abbandonava nuovamente ai ricordi.


 
Il viaggio verso l'Egitto era stato lungo e massacrante: nonostante viaggiassero su un jet privato dotato di ogni confort possibile ed immaginabile l'atmosfera che aleggiava era insopportabile per entrambi. Ormai lui aveva le ore contatte, più si avvicinavano alla meta e meno gli rimaneva da vivere, lei cercava di rimanere impassibile e composta, ma dentro di se il cuore le stava andando in pezzi. Nemmeno l'atterraggio fece aprire loro bocca, si limitarono a salire su una jeep blindata che li scortò dritti alla loro base militare non molto lontana dall'inizio del deserto. Una volta entrati nella loro enorme appartamento lui si era immediatamente chiuso in camera e lei non aveva avuto il coraggio di disturbarlo; si era limitata a trascinarsi nel lussuoso bagno optando per una lunga immersione nella gigantesca vasca, sperando che almeno quella sarebbe stata in grado di alleviare un minimo quella tensione. E così il giorno era arrivato, ancora non le sembrava vero che in meno di 24 ore sarebbe salita a capo dell'impresa più grande, potente e odiata del mondo.

Non aveva idea di come gestire un simile impero tutto da sola, tantomeno da che parte cominciare per sistemare tutto quel casino e danni che aveva provocato e recuperare la fiducia dell'intera popolazione. Vai a spiegare a quasi 7 miliardi di persone che quella sanguinosa guerra era stata scatenata per salvarli da un antico demone egizio che si era risvegliato dopo migliaia di anni per distruggere il pianeta? Spronfodò ancora di più nella vasca, con l'acqua e la schiuma che ormai le arrivavano sotto al naso. Non avrebbe mai voluto assumersi una simile responsabilità, ma era anche vero che quello era l'ultimo desiderio di quella persona che ora era rinchiusa nella stanza accanto a  fare chissà cosa: non c'era nemmeno stato bisogno che la supplicasse, era stato sufficiente uno sguardo categorico e allo stesso tempo pieno di dolore a convincerla ad accettare. Stava andando incontro ad una morte orrenda per il bene del mondo e tutti lo odiavano, come poteva rifiutarsi e voltargli le spalle anche lei?

Rimase immersa per quella che sembrava un'eternità, persa nei suoi pensieri fino a che tutta la schiuma non si dissolse e l'acqua non si raffreddò a tal punto da costringerla ad uscire. Si trascinò quindi fuori dalla vasca e si avvolse in uno dei morbidi accappatoi appesi li accanto. Mentre si asciugava osservava distrattamente la sua immagine riflessa nello specchio, rendendosi conto di quanto quelle occhiaie così inusuali le stessero segnando gli occhi e di quanto effettivamente apparisse stanca e provata da quella faccenda. Non poteva rimanere in bagno in eterno, il suo corpo reclamava a gran voce riposo in un letto morbido dopo tutte quelle ore passate sull'aereo, ma aveva come paura di andare di la, non sapendo in che condizioni potesse trovarlo. 

"Sembra che non abbia molta scelta..."si disse tra se e se, prima di uscire.

La porta della camera era ancora chiusa; esitò un attimo prima di bussare alla grande porta di legno scuro, tendendo le orecchie per captare anche il più minimo rumore. Non ne seguì risposta alcuna nemmeno dopo il secondo tentativo, optò quindi per entrare e verificare lei stessa cosa stesse succedendo. Le sue iridi cerulee scrutarono la stanza da cima a fondo, ma non riuscirono a vederlo da nessuna parte, il letto era intatto e sulle poltrone non c'era proprio nessuno. Fu allora che notò il tendone muoversi e realizzò che la finestra del balcone era aperta. Silenziosamente si avvicinò e fu allora che lo vide intento a scrutare l'orizzonte, con le braccia appoggiate alla ringhiera: essendo di spalle non riuscì subito a guardarlo in faccia, ma la sua postura era molto tesa . Doveva esserci proprio il peggiore dei caos nella sua testa! Senza dire una parola gli si avvicinò, assumendo la stessa posizione ed entrambi osservarono il sole tramontare dietro le dune sabbiose che presto sarebbero diventate la sua tomba.

"Ehi..." mormorò la bionda dopo un po' cercando di attirare la sua attenzione, quel silenzio era diventato insopportabile.

Jin si voltò, inchiodandola sul posto con quel suo sguardo ambrato che tanto la faceva impazzire. La sua espressione era indecifrabile, una maschera impassibile che non lasciava traspararire la più minima emozione, ma gli occhi non mentivano mai, erano lo specchio della sua anima tormentata e mostravano benissimo il suo disagio interiore. Quelle due gemme color ambra si rispecchiarono negli zaffiri di lei, e vi lessero dentro quanta ansia e tristezza stesse provando: questo bastò ad addolcire i suoi lineamenti e a forzarlo a sorriderle mestamente.

"Qualcosa non va?" le chiese, appoggiando la mano sulla sua.

Che domanda stupida! Era lui quello autocondannato a morte, che senso aveva chiedere a lei come stesse? Ma ancora una volta si stupì di quanto in realtà lo spietato Kazama avesse ereditato da sua madre la capacità di amare e l'altruismo. Che lo manifestasse in modo decisamente poco ortodosso era un altro discorso. 

"No, è che... Ero preoccupata per te!" replicò, abbassando lo sguardo, incapace di sostenerlo oltre.

Ed ecco invece la fredda assassina Williams sul procinto di perdere la sua classica freddezza e compostezza. Quella donna aveva il cuore d'oro, ma neppure lei era in grado di dimostrarlo. Il sorriso tirato di Jin si fece un po' più rilassato. 

"Vieni qui..."Mormorò attirandola in un abbraccio caloroso, stringendola a se e appoggiandole delicatamente il mento sulla testa. "Sai che non devi stare in pena per me! Presto sarà tutto finito e da domani vivrai in un mondo migliore!"

Quelle parole per lei erano insopportabili. Si aggrappò disperatamente a lui, come se avese paura che sparisse da un momento all'altro in una nuvola di fumo. Non era giusto! Perchè proprio lui doveva sacrificarsi?

"Jin...Non..." singhiozzò.

"Ne abbiamo già parlato, Nina! È giusto così, che paghi per il male che ho fatto e che debelli questa maledizione!"

Quell'affermazione non ammetteva obiezioni, inoltre sarebbe stato tutto inutile passare l'ultima sera assieme a discutere. Già, l'ultima sera.

"Come farò senza di te?" domandò con voce strozzata, stringendo tra le dita il tessuto della sua maglietta.

"Nina, sei una donna straordinaria, la persona più in gamba che io abbia mai conosciuto. Confido nel tuo buonsenso e nelle tue scelte, so che farai sempre la cosa giusta. La Zaibatsu ha bisogno di te!"la rassicurò, accarezzandole i capelli. 

Tutta quella fiducia che riponeva in lei era commovente, non sentiva di meritarsela. Da quando gli aveva permesso di diventare così importante, si sentiva incredibilmente fragile e debole, forse perchè aveva permesso che le basilari emozioni umane la scalfissero, cosa che era riuscita ad evitare per entrambe le sue vite. Non era abituata a provare certi sentimenti dopo la morte di suo padre e a sentirsi così... Così normale e sensibile. Non aveva più fiducia in se stessa come un tempo e il modo in cui stava reagendo ne era la prova. 

"E tu sei la persona più speciale e altruista di tutte, Jin! Non meriti tutto ciò, non è giusto!"

"Giusto o sbagliato devo affrontare il mio destino. Non posso permettere che questa mia croce continui a mietere vittime, ho già dovuto macchiarmi la coscienza e le mani del sangue di milioni di innocenti. Ora basta!" rispose categorico. 

Era per quello che non aveva mai permesso a nessuno di avvicinarsi a lui, eppure con lei aveva fallito: l'aveva accolta sempre di più nella sua vita e aveva finito col farle del male con la sua decisione di uccidersi. Non voleva contatti, nè affetti con nessuno, dopo sua madre nulla aveva avuto più senso...Ma purtroppo non era stato in grado di evitare di perdere la testa per lei. Gentilmente le sollevò il mento con due dita, per immergersi ancora una volta in quell'oceano gelido che erano le sue iridi, meravigliandosi una volta di quanto fossero belle ed espressive e domandandosi come il fuoco potesse ardere in mezzo a quel ghiaccio. 

"Se non altro qualcosa di bello in tutto questo l'ho avuto...Ce l'ho proprio qui, davanti a me!" mormorò, prima di appoggiare con dolcezza le labbra sulle sue.

Nina gli buttò le braccia al collo, mentre lui le teneva inclinato il capo leggermente per approfondire il contatto, mentre l'altra mano si era appoggiata sulla sua vita per attirarla a se. Quelle labbra lo facevano impazzire ogni volta, erano diventate la sua droga e la sua cura ai momenti più difficili. Nella sua mente riapparve per un istante il flashback di quella sera in cui aveva quasi perso il controllo e sarebbe successa una catastrofe se non fosse stato per lei. Le aveva rubato un bacio subito dopo, senza nemmeno rendersene conto fino a quando non realizzò che lei stessa lo stava ricambiando. Quanto gli sarebbe mancato tutto questo... Non voleva sprecare più nemmeno un momento di quel poco che gli rimaneva, voleva solamente stare con lei. Senza sforzo la sollevò da terra e rietrò in camera, chiudendosi la porta alle spalle, per poi adagiarla con delicatezza sull'enorme letto matrimoniale. I loro baci non si interruppero per nemmeno un instante, le loro labbra erano come due calamite incapaci di staccarsi l'una dall'altra. Facendo attenzione a non pesarle addosso Jin le rotolò sopra, accarezzandole la guancia e i capelli sciolti sparpagliati sul cuscino. 

"Sei stupenda..." mormorò, seminando una scia di baci delicati lungo la sua mandibola e sul collo. "Meravigliosa..." continuò, facendo scivolare le mani lungo la vita, ancora coperta dall'accappatoio. "Perfetta...Mia!" concluse prima di baciarla nuovamente, con ancora più passione.

"Oh Jin..." mormorò Nina tra un bacio e l'altro.

Lo voleva con tutta se stessa, voleva unirsi con lui ancora una volta prima che fosse troppo tardi. Con mani tremanti gli sfilò la t-shirt, rivelando il suo torace perfettamente scolpito passando le dita tra quei muscoli così ben definiti. Era così bello, con quel fisico statuario e quel volto meraviglioso, la faceva semplicemente impazzire. E la stessa cosa valeva per lui, che non vedeva l'ora di osservare il corpo da dea della sua amata, accingendosi quindi ad aprirle il laccio che teneva chiuso l'unico indumento che indossava. Erano entrambi fin troppo impazienti di arrivare al dunque e rapidamente lo aiutò a liberarsi del resto dei vestiti che aveva addosso, prima di trascinarlo a se e riprendere da dove si erano interrotti. Le carezze e i baci si sprecavano, ormai conoscevano alla perfezione l'uno il corpo dell'altra e sapevano entrambi cosa fare per far girare la testa al proprio partner. Nina gemette sommessamente quando Jin la prese col solito piglio deciso e iniziò a muoversi lentamente dentro di lei. Erano diventati una cosa sola, stretti in un abbraccio indissolubile con gli sguardi persi l'uno con l'altro. C'era un non so che di disperato nel modo in cui lei gli si aggrappava alle spalle e di come Jin le stesse particolarmente addosso, lasciandole quel minimo di spazio per non schiacciarla contro il materasso. Se per tutti erano un tiranno e un'assassina, in quel momento erano semplicemente due anime intente ad amarsi senza riserve. 

"Oh...Jin...T-t-ti prego..." rantolò, ormai prossima alla fine.

"Nina..." ansimò, aumentando il ritmo delle spinte, anche lui incredibilmente vicino al punto di non ritorno.

Il volume dei loro gemiti e ansiti andò sempre più in crescendo,fino a quando entrambi raggiunsero il culmine, chiamandosi a vicenda. Rimasero immobili e stretti l'uno all'altro, cercando di regolarizzare i loro respiri accelerati. Ben presto nell'aria risuonarono i singhiozzi strozzati di lei, che stava affondando le dita su quel bicipite marchiato da quel sinistro tribale, mentre lui cercava di calmarla con baci e carezze.

"Andrà tutto bene, vedrai..." mormorò appoggiando la fronte contro la sua. "Non piangere, mia adorata!"

"Jin...Io..Io..." singhiozzò Nina, incapace di trattenere le lacrime.

"Ti amo, Nina, non scordarlo! Non dimenticarmi mai..."


Già, non lo avrebbe dimenticato di certo, ora che aveva avuto la conferma che una parte di lui viveva dentro di se. Si accarezzò il ventre con fare assente, mentre si rialzò dal pavimento e si contrinse ad uscire da quel bagno e da quel locale. Sarebbe cambiato tutto e nulla sarebbe rimasto lo stesso. E la cosa peggiore era che che avrebbe dovuto affrontare l'ignoto da sola...
 
 
~
 
Note dell'autrice: salve, bella gente! Ed eccoci qua con un altro bel capitolo introspettivo, con tanto di flashback drammatico e fluff. Qui avete la conferma (come se ce ne fosse bisogno) che la nostra cara macchina da guerra Nina, è di fatto umana e in quanto tale starà per pagare le conseguenze per aver peccato di ingenuità. Forse penserete che la sua gravidanza sia una svolta banale e poco originale, ma fidatevi che non lo sarà, perchè questa non sarà certo la classica storiella di amore. Detto ciò, il caldo mi fa male e mi toglie la voglia di vivere, sono nuovamente ferma su un capitolo, ma confido di sbloccarmi quando avrò la chance di scrivere sotto ad un condizionatore. Spero che questo passaggio vi sia piaciuto e vi rimando al prossimo. A presto!

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Capitolo 12
*** Numb ***


Non aveva nemmeno la forza per piangere, figurarsi per tornare a casa: nella sua testa regnava una tale confusione da disorientarla a tal punto da farle momentaneamente dimenticare la strada verso la sua dimora. Continuava a sbattere contro pali della luce e pedoni, a inciampare nei suoi stessi piedi e a barcollare come un'ubriaca vagabonda. Anche se non fosse stata imbaccuccata dalla testa ai piedi per celare la sua identità, nessuno l'avrebbe riconosciuta in quello stato semicatatonico simile a quello nel quale si era ritrovata al risveglio dal sonno criogenico. La mente le si era completamente svuotata dalla razionalità, mentre continuavano a sfrecciarle davanti agli occhi flashback di un passato recente e immagini apocalittiche. 

"EHI! ATTENTA!" urlò una voce.

Non fece nemmeno in tempo a processare il messaggio che venne strattonata per un braccio.

"SEI IMPAZZITA? STAVI PER PASSARE COL ROSSO, VOLEVI FORSE FARTI INVESTIRE?" le inveì contro un passante.

Farsi investire? Bhe, forse avrebbe così risolto tutti i suoi problemi in un colpo solo? Da quando meditiva il suicidio? Forse ora date le circostanze sarebbe stata una buona opzione per abbandonare questo mondo in modo rapido e indolore, prima che qualcun'altro provvedesse per lei. 

"Prego eh! Ma guarda questa...." borbottò l'uomo che le aveva appena salvato la vita, allontanadosi da lei con sdegno.

Nemmeno quello scampato incidente riuscì ad interrompere il suo vagabondare, tantomeno il calar del sole sembrò destarla. Aveva camminato per tutto il giorno e ora non aveva seriamente idea di dove fosse finita. Si rese conto di essere in prossimità di un parco di cui ignorava l'esistenza, e vi si addentrò senza indugi. Tuttavia quando scorse una panchina in lontananza realizzò improvvisamente quanto fosse stanca: le gambe e i piedi le dolevano per il troppo camminare sui tacchi a spillo, inoltre la nausea e le vertigini non le stavano dando tregua. Si trascinò quindi verso di essa e vi si rannicchiò sopra in posizione fetale, chiudendo gli occhi e lasciandosi scivolare nell'incoscienza.

 
~

Steve si arrestò sul posto, appoggiandosi alle ginocchia cercando di riprendere fiato: era decisamente fuori allenamento e il lasciarsi andare alle notti bagorde con Paul e Law non aveva certo giovato al suo fisico, data anche la carenza di attività agonistica che lo obbligava a rimanere sempre in forma. Ora che anche l'occasione di riscattare la sua carriera grazie a Morozov era andata in fumo, dopo giorni di ozio e depressione aveva deciso di riprendere in mano il controllo della situazione e rincominciare ad esercitarsi. La gente credeva davvero che Heihachi fosse morto, ma lui non era per nulla convinto di quella frottola, quindi convenne con se stesso che era meglio non abbassare la guardia perchè il peggio non era certo passato. Rallentò il passo, ma non smise di muoversi, continuando a seguire il sentiero al centro di quel piccolo parco, una minuscola macchia di verde in mezzo a tutta quella civiltà e tecnologia: gli piaceva quel posto, trovava estremamente rilassante stare a contatto con la natura. Gli mancavano le lunghe passeggiate a Hyde Park che soleva fare ogni fine settimana quando ancora viveva a Londra, la città dove aveva passato gran parte della sua vita assieme ai suoi genitori adottivi. 

In realtà lui era nato proprio in Giappone, in modo tutt'altro che consensuale e felice. Lui non era venuto al mondo come frutto dell'amore di due persone, era stato creato in laboratorio con delle cellule in una provetta. La cosa lo riempiva di tristezza ripensando a quanto poco fosse sensata la sua esistenza: i primi anni di vita erano stati una vera e propria agonia in quel laboratorio e, probabilmente a scopo difensivo, la sua mente aveva rimosso tutti gli orribili esperimenti e soprusi ai quali quegli scienziati lo avevano sottoposto, come se fosse una semplice cavia. A salvarlo da quell'inferno fu la dottoressa Kliesen, che riuscì a farlo scappare e successivamente adottare da una coppia di coniugi inglesi. Emma era stata quanto di più simile aveva avuto ad una madre, era sempre stata dolce e gentile con lui e probabilmente lei stessa ad avergli dato quel nome, quando tutti si riferivano a lui semplicemente come "NT01", il codice del suo esperimento. Successivamente era passato in custodia ai Fox, delle brave persone residenti a Londra, ma nonostante le cure e il sostentamento che gli avevano donato non si era mai sentito veramente a casa con loro e non era mai stato in grado di considerarli davvero come la sua famiglia. Certo, gli era indubbiamente grato, ma nemmeno da parte loro c'era tutta quella manifestazione di chissà quale sentimento genitoriale: erano una semplice coppia di alto rango, strettamente religiosi e che non potendo avere figli loro erano ricorsi all'adozione per formare quella famiglia stereotipata da loro tanto voluta.

E poi due settimane fa la svolta. Il ritrovarsi faccia a faccia con la donna che lo aveva messo al mondo a sua insaputa, colei che condivideva parte del suo DNA, il cuo sangue scorreva nelle sue stesse vene. Per quanto tecnologicamente avanzata fosse la Mishima Zaibatsu, si erano comunque serviti di un essere umano per ottenere il materiale su cui svolgere i propri perversi esperimenti. Una donna come tante altre, intrappolata in un sonno profondo e indotto, che era stata brutalmente violata e obbligata a portare avanti una gravidanza senza nemmeno esserne conscia. Ogni donna aveva il diritto di decidere se avere figli o no mentre a lei era stato imposto. Per questo non aveva potuto biasimare la sua brusca reazione quando si erano ritrovati faccia a faccia assieme alla verità: lei non lo voleva, le era stata negata ogni libertà ed era stata utilizzata come un oggetto senza un minimo di valore. Considerando poi chi fosse sua madre lo stupore si era ridotto ai minimi termini: nessuno sano di mente avrebbe mai osato mettersi contro di lei, che lui sapesse era la donna più temuta di sempre. Ma rimaneva sempre sua madre e il toglierla dai guai era stato istintivo. Nonostante la fama di fredda e spietata assassina, gli aveva comunque risparmiato e salvato la vita in passato, quindi un minimo di umanità viveva in lei. Sperava in cuor suo che un minimo gli volesse bene, nonostante lo avesse definito "una spina nel fianco".

Sospirando pesantemente continuò a camminare, cercando di svuotare la mente da quella fiumana di pensieri, venendo eventualmente distratto da un forte vociare  che proveniva dalla direzione opposta. Ben presto davanti agli occhi si palesarono cinque uomini in divisa, intenti ad appendere agli alberi manifesti inneggianti a nientemeno che la G Corporation. 

"Fantastico, degli scagnozzi di Kazuya...Stanno ancora andando avanti quegli stupidi cortei?" pensò amaramente, evitando accuratamente lo sguardo di quei soldati.

Tuttavia la sua presenza non passò inosservata  ben presto venne importunato da quegli uomini, che gli rifilarono uno di quegli insulsi volantini pro G Corp.

"Tenga ragazzo! E si ricordi che la G Corporation non abbandonerà mai il popolo nel momento del bisogno. Assieme possiamo ricostruire il mondo dopo tutta quella distruzione!" dichiarò giulivo uno di loro.

Che mucchio di idiozie. Il pugile lottò con tutto se stesso per mantenere un'espressione neutra e ad annuire, sperando che lo lasciassero proseguire per la sua strada. Fortunatamente per lui quello fu sufficiente per sbolognarli e con passo svelto si avviò verso l'uscita del parco, si era fatto decisamente tardi.

"Si svegli, signorina e tenga...si ricordi che la G Corporation non abbandonerà mai il popolo nel momento del bisog....UN MOMENTO!"

Steve si arrestò sul posto e si voltò di scatto, udendo il soldato alzare così tanto la voce. Davanti a se si proiettò la scena dei cinque soldati di fronte ad una donna accasciata su una panchina, davanti alla quale era passato tante volte senza farci caso. Con ogni probabilità si trattava di una semplice senzatetto, per questo non ci aveva badato più di tanto. E invece...

"IO TI CONOSCO! IN PIEDI!" ringhiò l'uomo, strattonandola per un braccio e costringendola ad alzarsi. 

Quella, apparentemente priva di forze rotolò al suolo perdendo così in un sol colpo cappello e occhiali da sole.

"NON CI POSSO CREDERE! È NINA WILLIAMS!" urlò stupefatto.

"COSA? LA SORELLA DI MISS WILLIAMS?" replicò il secondo!

"PROPRIO LEI, MI VENISSE UN COLPO! ALZATI, MALEDETTA!" 

Con una cattiveria immane il biondo vide la donna venire nuovamente tirata in piedi contro la sua volontà, mentre uno dei soldati le puntava la torcia dritta in faccia per accertarsi della sua identità. Sembrava seriamente ammalata, il viso era una maschera di dolore e sotto agli occhi spiccavano delle vistosissime occhiaie violacee, ma era indubbiamente lei.

"Tu...." sibilò il capo dei soldati, stringendole il volto in una morsa dolorosa. "Tu sei nei guai, troia...Dopo tutti i soldati che ci hai fatto fuori e tutti i casini scatenati da te e Kazama...Kazuya e la tua cara sorella Anna saranno più che lieti
 di averti come ospite stasera!" 

Perchè Nina non reagiva? Non era da lei, avrebbe già dovuto abbattarli tutti in pochi colpi, senza contare che non si sarebbe mai esposta ad un simile pericolo in primis, facendo una cosa talmente stupida come addormentarsi su una panchina. Doveva esserle per forza accaduto qualcosa di brutto. Ma non era il momento di preoccuparsene. Steve aveva già fatto dietrofront e si stava avventando come una furia verso il quintetto che stavano tenendo in ostaggio sua madre.

"TU....LEVALE SUBITO QUELLE SUDICIE MANI DI DOSSO!" urlò, parandosi di fronte a loro, scrocchiando le nocche con fare minaccioso.

"Che diamine vuoi tu? Non sai che questa donna è una criminale e ha contribuito  a spargere sangue in questa guerra?" gli chiese rabbioso l'uomo, aumentando la stretta sulla donna e facendola gemere di dolore.

"Come se voi schifosi bastardi della G Corp foste meglio, con quell'essere ignobile e malvagio di Kazuya Mishima a comandarvi. Siete probabilmente peggio!" soffiò di rimando, continuando ad avanzare verso di loro. "Ora lasciala andare!"

"Ah, è così? Bene bene, due traditori in un colpo solo, che presto finiranno morti ammazzati dentro ad una fossa. Patetici" concluse il soldato, prima di assestare un pugno nello stomaco di Nina, facendola nuovamente accasciare al suolo.

Quello fu la goccia che fece traboccare il vaso. 

"Figlio di puttana..." ringhiò Steve, prima di scagliarsi con furia cieca contro gli uomini.

Non gli importava se erano cinque e lui uno solo, loro armati con fucili e lui solo dei suoi pugni. L'adrenalina gli scorreva irrefrenabile nelle vene, mentre finalmente poteva sfogare tutta la sua rabbia repressa su quei cinque scagnozzi, assestando ganci e pugni poderosi senza interruzione. Nessuno, nessuno poteva azzardarsi anche solo a sfiorare sua madre in quel modo, gli avrebbe fatto pentire di essersi arruolati nell'esercito di quella società governata da un uomo che sembrava posseduto dal demonio. Raramente si era sentito così furibondo in vita sua, si sentiva di poter abbattere 100 uomini da solo. Si fermò solo nel momento in cui si rese conto di aver messo k.o. tutti e cinque i soldati con estrema facilità. Osservando il risultato della sua collera ben presto scorse il corpo inerme dell'assassina e si affrettò ad andargli incontro per accertarsi delle sue condizioni.

"Nina...Nina...Riesci a sentirmi?" la chiamò, scuotendola delicatamente per le spalle.

Ma non vi fu risposta alcuna, il colpo all'addome l'aveva fatta svenire. Osservò attentamente il volto della sua genitrice, stupendosi di quanto sembrasse provata. Le era indubbiamente successo qualcosa di orribile per essere ridotta così male e incapace di difendersi da quell'assalto. Studiò ancora per un attimo quei lineamenti fini così simili ai suoi, meravigliandosi di come la sua bellezza fosse rimasta intonsa nonostante tutto. Con delicatezza la sollevò da terra e si diresse verso l'uscita del parco, dove aveva lasciato l'auto. Non poteva portarla in ospedale, avrebbe rischiato una replica di quanto era appena accaduto: sperando con tutto il cuore che non necessitasse di chissà quali cure mediche la caricò sulla macchina e guidò verso il motel dove alloggiava, li sarebbe stata al sicuro. 

 
~
 
Note dell'autrice: Finalmente ho trovato un attimo per betare il capitolo e postarlo, giusto il giorno prima delle mie brevi vacanze, quindi ho voluto postarlo prima di subito :D Capitolo cruciale per ciò che avverrà dopo. Vi avviso che i prossimi capitoli saranno condizionati da questo episodio, uno l'ho dovuto addirittura dividere in due parti perchè era troppo lungo, ma personalmente ne sono molto soddisfatta e non vedo l'ora di presenterveli. Inoltre ho scoperto che il lavoro che tanto sembrava un ostacolo alla stesura di questa storia in realtà si è rivelato un perfetto alleato quando mi capitano i turni di notte, dove posso scrivere sola e indisturbata (mole di lavoro permettendo, ovviamente). Quindi sì, sto andando come un treno, ma mi sono resa che sarà davvero una cosa lunga prima di arrivare alla fine. Spero di non deludervi. A presto!

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Capitolo 13
*** Parenting ***


"Ancora nessuna traccia del corpo di Heihachi, tantomeno di Akuma, signore!" riportò il soldato, badando bene a rimanere perfettamente immobile sull'attenti.

Già non portava buone notizie dopo giorni di ricerce a spron battuto e quando venne inchiodato dallo sguardo policromo e sinistro del suo capo per un attimo temette di venire incenerito sul posto.

"Quindi mi stai dicendo che entrambi si sono volatilizzati, non è così?" sibilò, incrociando le mani davanti al volto.

"No, no, no, signore! Ma Akuma potrebbe essere ovunque e il corpo di suo padre potrebbe essere andato distrutto." si affrettò a rispondere il povero uomo che si trovava al cospetto del diavolo in persona.

"Distrutto. Tsk, magari il cadavere di quel vecchio fosse diventato un mucchietto di cenere. Peccato solo che non sia stato io incenerirlo." pensò malignamente, mentre un sorriso sadico fece capolino sul suo volto inespressivo.

"Continuate a cercare Akuma. Scoprite tutto su di lui! Voglio sapere chi sia veramente, da dove proviene e che poteri possiede. Ora sparisci!"

"Sì, signore!" replicò il suo sottoposto, affrettandosi ad uscire da quell'ufficio.

Ma Heihachi era davvero morto? Chi era veramente quella creatura apparsa da chissà dove che sosteneva di essere stato mandato da sua madre per assassinarli? Forse era un Hachijo? Per quanto Kazuya si sforzasse di ricordare quel poco che sapeva sulla famiglia della sua genitrice si rendeva conto ogni volta che non era molto informato sul loro conto. Dopottutto l'aveva persa quando aveva solamente 8 anni e la maggior parte della sua infanzia l'aveva passata sotto l'ala protettiva di suo nonno Jinpachi quando non veniva maltrattato dall'uomo che lo aveva messo al mondo. Chiunque fosse Akuma era stato in grado di tenere testa a quella belva di suo padre, cosa che finora solo lui e suo figlio Jin erano riusciti a fare. Pur essendo umano al 100%, il capo dei Mishima era indubbiamente dotato di una forza inimmaginabile. 

"Spero per te che tu sia morto, bastardo...Altrimenti la prossima volta non sarai così fortunato, Heihachi..."

 
~

Anche a qualche kilometro di distanza si respirava la stessa aria di tensione, sebbene per motivi leggeremente differenti. L'ex ufficiale della Tekken Force abbassò il giornale che stava leggendo e osservò il paesaggio fuori dalla finestra con fare pensieroso. E così quel mostro di suo padre era davvero morto? Lars ne dubitava fortemente! Se così fosse stato, chi c'era a gestire la Mishima Zaibatsu in quel momento? Il suo primo pensiero andò immediatamente a Nina, colei che aveva provato a convincere a intercedere per lui con Jin per farlo desistere dallo scatenare quella guerra. Ma quella donna crudele e senza cuore si era limitata ad ignorarlo il più delle volte, fino ad arrivare addirittura di minacciarlo di piantargli una pallottola nella rotula se avesse continuato. Eppure lei aveva fallito la sua missione proprio a causa loro e pur non conoscendolo, lo svedese sapeva che suo padre non le avrebbe concesso altre chance e tollerato un simile fallimento. Poteva essere sottoterra in quel momento per quanto ne sapeva. Ma la domanda vera era un'altra: chi lo aveva fatto fuori? Se fosse stato il suo fratellastro chiunque lo avrebbe saputo perchè quella viscida di Anna Williams avrebbe raccontato alla stampa di tutto il mondo di come il suo capo aveva coraggiosamente sconfitto il tiranno che teneva la Terra nella morsa della guerra. C'era sicuramente sotto dell'altro e avrebbe dato i gradi per scoprire cosa. 

"Ti ho portato il caffè!" cinguettò Alisa, facendo la sua comparsa nella stanza, reggendo una tazza fumante tra le mani.

"Sei gentile, grazie Alisa!" le sorrise Lars, ripiegando il quotidiano. "Novità?" 

"Negativo. Le condizioni di Jin rimangono sempre le stesse, nulla di nuovo dopo quel breve accenno di ripresa." replicò il cyborg, accomodandosi accanto all'amico. 

Lars sospirò pesantemente, prima di soffiare sulla tazza. Quanto tempo gli serviva per riprendersi? Non che morisse dalla voglia di confrontarsi con suo nipote, ma alla luce di ciò che era appena accaduto era necessario che si riprendesse in fretta. Certo, correva il rischio che una volta sveglio Jin avrebbe ripreso da dove si era interrotto, ma era abbastanza certo che date le circostanze avrebbe preferito prima mettersi contro i suoi parenti. Come si dice? Il nemico del tuo nemico è tuo amico? 

"Sei dispiaciuto?" domandò di punto in bianco Alisa, fissando un punto non meglio definito del tavolo in vetro al quale erano seduti.

"Per cosa?" replicò l'uomo confuso.

"Per tuo padre. Insomma...Non c'è più..."

Lars avrebbe voluto rispondere sputando veleno sul genitore, ma si trattenne: l 'innocenza della sua amica, pur essendo di fatto un robot, andava ben oltre ogni immaginazione.

"No, non mi dispiace. Era solo un tiranno malvagio e spietato, il mondo non ha bisogno di uno come lui e nemmeno io. Inoltre non sono del tutto convinto che sia davvero morto!"

"Dici davvero? Pensi che sia ancora vivo?" 

"Non lo so...Ma farlo fuori non è per niente semplice e mi domando chi possa essere stato in caso. Kazuya no di sicuro, il che implicherebbe la presenza di una terza persona. E se la suddetta persona è stata in grado di far fuori Heihachi è sicuramente un altro problema che ci ritroveremo per le mani!" 

Alisa annuì al suo ragionamento. Effettivamente chi mai poteva essere stato? Eppure in quel momento stava regnando relativamente la pace, e la cosa la faceva stare bene.

"A me manca papà..." esordì dal nulla, osservando l'esterno con le mani sotto al mento.

Lo svedese inarcò un sopracciglio, ma non potè fare a meno di sorridere di fronte a quella affermazione. Il suo sguardo ceruleo incrociò per un attimo quello smeraldino di lei e senza aggiungere altro tornò a volgere lo sguardo verso l'enorme vetrata, sperando con tutto se stesso che presto tutto si risolvesse per il meglio. 

 
~

Una volta riaperti gli occhi e presa visione della stanza, si rese ben presto conto di non avere la più pallida idea di dove si trovasse. Quei muri giallognoli e quella finestrella minuscola coperta da una veneziana verde slavato non facevano certo parte della sua stanza. Dove diamine era finita? Cercò di alzarsi lentamente, ma una fitta lancinante all'addome la costrinse a sdraiarsi nuovamente sul materasso. Cosa era successo? Non riusciva a ricordare molto bene, era come se si fosse risvegliata dal peggiore degli incubi: l'unica cosa che la sua mente era riuscita a richiamare erano cinque uomini che la malmenavano selvaggiamente e la paura che aveva provato in quel momento quando uno di essi l'aveva colpita al ventre, proprio dove stava crescendo il suo... Rabbrividì ricordando finalmente per filo e per segno cosa fosse successo. Non era stato un brutto sogno, purtroppo.... Era tutto vero. L'angoscia tornò a scagliarsi su di lei, assieme all'irrefrenabile impulso di piangere tutte le lacrime che aveva in corpo.

"Nina! Sei sveglia finalmente!" esclamò una voce che tradiva una certa preoccupazione.

La bionda girò leggermente il volto verso destra e fu allora che si accorse della presenza del ragazzo alto e muscoloso seduto sulla poltrona, che era si stava affrettando ad avvicinarsi a lei.

"Grazie al cielo sei rinvenuta! Come ti senti?" domandò concitato.

"S...Steve..." riuscì a sussurrare, osservando la sua espressione ansiosa.

"Sono qui!" fece, appoggiandogli con delicatezza una mano sulla fronte per controllare la temperatura. "Hai fame? Hai sete? Senti dolore?"

Nina rimase spiazzata di fronte a quella fiumana di domande e soprattutto dinnanzi al figlio  che le stava addosso come se il genitore fosse stato lui.

"Cos..Cos..è successo, Steve? Dove mi trovo? Perchè sei qui?" chiese debolmente, cercando di non farsi abbagliare dalla luce della stanza.

"Sei nel motel dove risiedo Sei stata aggredita da dei soldati della G Corporation che ti hanno riconosciuta. E ora dimmi, che diavolo ci facevi addormentata su una panchina di un parco? Stai davvero così male?" 

Era spiazzante la preoccupazione e il tono colmo di apprensione con il quale lui le si stava rivolgendo. L'ultima volta che si erano visti lei lo aveva trattato malissimo, rinnegando la sua parentela, eppure lui non aveva esitato ad affrontare la Tekken Force per pemetterle di fuggire e ora le aveva salvato la vita. 

"N..no. Sto bene!" mugugnò cercando nuovamente di alzarsi dal letto, facendo del suo meglio per ignorare il dolore che stava provando.

"Aspetta, ti aiuto!"

Prima che potesse protestare le forti braccia del pugile l'avevano aiutata gentilmente a raddrizzarsi e ora la stavano sostenendo mentre l'assisteva nel rialzarsi. Le rimase per un attimo accanto assicurandosi che fosse stabile sulle sue gambe per poi allontanarsi leggermente, senza perderla un secondo d'occhio.

"Perchè Steve?" le chiese tutto ad un tratto, inchiodandolo con le sue iridi cerulee.

"Perchè cosa?" replicò confuso.

"Perchè mi hai salvata? Due volte!"

Il ragazzo rimase zitto per un secondo, prima di ricambiare quello sguardo gelido praticamente identico al suo.

"Perchè che ti piaccia oppure no, sono tuo figlio! E in quanto tale non permetto a nessuno di torcere anche solo un capello a mia madre!" 

Quelle parole la colpirono nel profondo, che per un attimo si sentì quasi mancare! Come era possibile che le volesse bene nonostante avesse cercato di ucciderlo e gli avesse detto tutte quelle cose orribili in quella chiesa? Lei non lo aveva mai voluto, lui era nato per costrizione e non aveva mai provato un briciolo di affetto nei suoi confronti! Ma era davvero così? Perchè qualche anno prima non era stata in grado di farlo fuori per davvero? Suvvia, non era adatta a fare la madre, chiunque accanto a lei avrebbe finito col farsi seriamente male. Ogni persona per la quale avesse provato sentimenti positivi le era stata brutalmente strappata via e nonostante ora fosse lei a dover la vita al figlio non era intenzionata ad costruire qualsiasi tipo di rapporto.

"Tu...Tu non sei mio f..."

"Oh piantala con quella farsa, Nina! Biologicamente lo sono, ed è innegabile. Senti, mi dispiace che ti abbiano fatto quello che ti hanno fatto e che ne sia uscito fuori io, ma non ho chiesto tutto questo! E il tuo essere così repulsiva nei miei confronti è solo una maschera. Io lo so che sotto quella scorza nascondi dei sentimenti anche tu!"

"TU NON SAI UN BEL NIENTE!" sbraitò furiosa, puntandogli il dito contro. "CHI DIAVOLO TI CREDI DI ESSERE PER INSINUARE UNA COSA DEL GENERE? A ME NON IMPORTA NIENTE DI NESSUNO, CHIARO?"

Steve rimase interdetto per un attimo ad osservare l'assassina. Non poteva credere che fosse così spietata e senza cuore, no, stava mentendo a lui e a se stessa perchè il suo orgoglio era troppo grande per ammettere il contrario, soprattutto in quel momento di fragilità dove era arcipalese che stesse per crollare da un momento all'altro. Decise quindi di giocare d'astuzia.

"Wow...L'aver lavorato così tanto tempo a contatto con quel bastardo di Kazama deve averti resa una bestia a tua volta! Dopottutto hai ragione, non sono nessuno, sono solo tuo figlio, perchè preoccuparsi? Pensavo solo che stessi ancora conservando quel briciolo di umanità con il quale mi avevi risparmiato, ma evidentemente anche senza quel demonio da servire è ormai morta e sepolta. Complimenti a lui, è ruscito a creare un mostro!"

Questo non avrebbe dovuto dirlo! Udire quelle parole pronunciate con una certa spavalderia da uno che non sapeva nulla di nulla di cosa ci fosse stato dietro a quella guerra e che ignorava il motivo per il quale Jin era sparito dalla circolazione la mandò letteralmente in bestia!

"Tu...Tu, non osare...Mai più...Fare certe insinuazioni, altrimenti..." soffiò feroce.

"Altrimenti cosa? Mi spari? Bene, accomodati!"

"SEI UN IGNORANTE IMPUDENTE! NON HAI LA PIù PALLIDA IDEA DI COSA LUI ABBIA FATTO PER NOI, DELLE RAGIONI PER LE QUALI QUELLA GUERRA È STATA SCATENATA. LUI CI HA SALVATI TUTTI E TU SEI SOLO UN INGRATO!" sbraitò, iniziando seriamente a vedere rosso.

Se avesse avuto a portata di mano una pistola probabilmente avrebbe concluso l'omicidio che le era stato commissionato da quei mafiosi. 

"Ah davvero? Ora quel mostro di Kazama è un eroe! Cavolo, questa si che è una notiziona!"

Quest'ultima affermazione fece ancora più male del colpo che aveva ricevuto ore prima. Il fatto che tutti ignorassero il sacrificio che Jin aveva fatto per il bene dell'intera l'umanità, che nonostante avesse messo in gioco la sua vita per salvare quella degli altri, veniva ancora visto come un essere crudele e spietato. Il mondo intero meritava davvero di morire.

"JIN NON È UN MOSTRO! LUI È..." ma non riuscì a finire che le lacrime le ruppero la voce.

Non si era nemmeno resa conto di quei rivoli che sgorgavano copiosi dagli occhi e le stavano rigando le guance di porcellana e osservò il volto del pugile che continuava a scrutarla impassibile. Steve, suo figlio...Non si rendeva nemmeno conto di cosa stesse davvero accadendo. Tra i singhiozzi Nina si avvicinò alla finestra scrutando l'esterno e rendendosi conto che aveva iniziato a piovere forte. Il meteo rispecchiava il suo umore mentre si rendeva conto che solo lei e sua madre Jun avevano conosciuto il vero Jin, mentre tutti lo detestavano. Rivolse un altro sguardo al ragazzo, che sostenne fieramente. Lentamente Nina sollevò il lembo della sua maglietta e si portò le mani al ventre, senza interrompere il contatto visivo col ragazzo per nemmeno un secondo.

"Sono incinta, Steve... E Jin è il padre..."

 
~
 
Note dell'autrice: TZAAAAN. TZAAAN. TZAAAAAAAAAAAN. Ecco il primo atto della serie di capitoli di cui vi avevo accennato in quello precedente! Carino eh? Tranquillo, piatto, senza colpi di scena e soprattutto senza introspezione :D Cazzate a parte, dove non arriva Harada arrivo io e mi sembra doveroso dare spazio al rapporto tra Steve e Nina, argomento troppo trascurato a mio parere. Da qui in poi il pugile diverrà a tutti gli effetti un protagonista della storia, senza più ricoprire ruoli marginali, ma per ora non vi dico altro. Anche perchè devono succedere ancora un sacco di cose, quindi scoprirete il resto solo vivendo. Spero apprezzerete anche i "siparietti" iniziali di Kazuya, Lars e Alisa, come sapete non voglio che questa ff sia completamente NinaXJin-centrica. Il finale invece, bhe...Ho cercato di fare del mio meglio nel dipingere la cocciutaggine e tenacia di una donna forte che si è ricordata tutto ad un tratto di essere umana e la volontà di acciaio di un ragazzo triste e coraggioso, che per tutta la vita non ha desiderato altro che l'amore vero di un genitore. Detto ciò spero che questo passaggio vi sia piaciuto e vi saluto tutti quanti! A presto!!!

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Capitolo 14
*** Nothing But The Truth Pt.1 ***


"Mamma, oggi a scuola Sophie ha detto che la sua mamma è incinta. Cosa vuol dire incinta?"

"Vuol dire che aspetta un bambino, Steve!" Replicò pacata Elizabeth Fox, intenta ad apparecchiare il tavolo per il pranzo, al quale sedeva già il marito.

"E quando arriva che succede?"

"Che avrà un fratellino o una sorellina" fu la risposta secca della genitrice adottiva.

"Che bello! E posso averne uno anche io?" Domandó speranzoso il piccolo biondo, che da sempre desiderava avere un compagno di giochi anche a casa.

Era un bambino gentile e vivace, ma per qualche motivo faceva fatica a legare coi suoi compagni di scuola, che lo evitavano, additandolo come strano. Eppure passava tanto tempo col quel dottore strambo, lo psicologo, che lo faceva parlare e che diceva che era perfettamente normale. Per un attimo ripensó alla dottoressa Kliesen...In quell'inferno dove aveva vissuto il suo sorriso era l'unica cosa che gli illuminava la giornata.

"Se tua madre potesse avere bambini non penso tu saresti qui, Steve!" Replicò Charles Fox, senza alzare gli occhi dal quotidiano.

L'entusiasmo nel piccolo si spense, così come quell'infantile barlume di speranza che qualcuno gli volesse bene.

~

Incinta. Incinta. Incinta. Quella parola gli rimbombava nella testa e nelle orecchie come un colpo di cannone, mentre la sua mente si rifiutava di associare lo stato interessante alla donna che aveva di fronte. La stessa donna che lo aveva messo al mondo contro la sua volontà, che lo aveva rinnegato, ora portava in grembo il figlio di uno degli uomini più spietati mai esistiti sulla faccia della terra. Perché sua madre aspettava un bambino da lui? Le aveva fatto del male? L'aveva forse costretta di nuovo ad offrire il suo corpo in nome di chissà quale scienza malata? O peggio, violentata? Le aveva fatto il lavaggio del cervello per farla acconsentire?

"Tu....Come puoi...Essere...?"

Il volto di Nina era una maschera di dolore, misto ad umiliazione, le guance erano rosse e gli occhi a stento riuscivano a trattenere le lacrime.

"Sono stata una stupida...Un'incoscente!" Balbettó, continuando a tastarsi nervosamente il ventre ancora piatto.

"Cosa ti ha fatto?" riuscì a chiederle, ancora incredulo.

L'assassina tirò su col naso un paio di volte, prima di lasciarsi cadere pesantemente sul letto. Le gambe non la reggevano più.

"Cosa abbiamo fatto, semmai..."

"Cosa...Come sarebbe a dire "avete"...?

Nina alzó lo sguardo verso il pugile e vi lesse sul suo volto dai lineamenti così famigliari tutto il suo sconcerto.

"Si, abbiamo!"

Caló nuovamente il silenzio per un attimo, durante il quale il ragazzo cercó di processare quanto gli era stato detto. Davvero la cosa era stata consensuale?

"Quindi Kazama non ti ha....Fatto del male?"

Nina scosse la testa, realizzando quanto tutto questo dovesse sembrare impossibile agli occhi e orecchie degli altri.

"No, Steve! Jin non mi ha fatto alcun male. Non mi ha costretta. Non mi ha nemmeno violentata, se è questo che ti stai chiedendo. Rimanere incinta non è stata una scelta consensuale e nemmeno voluta. Quindi questo dovrebbe farti capire cosa sia realmente successo."

"Mi stai dicendo che voi..."

"Siediti Steve..." disse la bionda, sospirando pesantemente. "Sarà una storia molto lunga..."

Il tono mite con cui lo invitó ad accomodarsi lo fece quasi trasalire, ma la curiosità di sapere cosa ci fosse dietro a tutto ciò lo stava divorando. Docilmente trascinó la sedia della scrivania di fronte al letto, dove Nina si era ranicchiata in posizione fetale ed era intenta a scrutare un punto indefinito sulla parete. Sospirò pesantemente pronta a riversare un fiume in piena di parole:

"Mi ero iscritta al quinto torneo per poter finalmente pareggiare i conti con mia sorella Anna...Poco dopo aver cercato di ucciderti di fronte all'Union Jack Hotel, mi ero ritrovata senza nulla da fare, poiché il sindacato era fallito. Come già sai ero rimasta intrappolata 19 anni in un sonno criogenico indotto, durante il quale sei nato tu. Furono gli uomini della Mishima Zaibatsu a catturarmi quando tentai di far fuori Kazuya Mishima, venendo tradita proprio dalla mia cara sorella, utilizzandomi quindi per l'esperimento del dottor Bosconovitch. Lei stessa si offrí di prenderne parte e rimase ibernata a sua volta...Probabilmente quella stronza vanitosa non avrebbe mai accettato il fatto di invecchiare mentre io sarei rimasta ferma nei miei 20 anni. Tuttavia quando ci risvegliarono lei non subí alcun effetto collaterale, ma io non fui altrettanto fortunata: avevo completamente perso la memoria."

Dunque era così che era nato. Per un attimo si sentí in colpa per essere stato messo al mondo in quel modo barbaro.

"Poco dopo la fine del quarto torneo e prima dell'inizio di quello successivo fui io stessa a contattare Anna per telefono. Non ci vedevamo da due anni durante i quali avevo semplicemente continuato ad uccidere per professione senza ricordare nulla del mio passato più lontano. Per circa un mese dopo il risveglio si era presa cura di me, riempiendomi la testa di quelle che erano menzogne e la bocca di farmaci per tenermi sedata, approfittando della mia amnesia. Fatto sta che nell'esatto momento in cui l'ho rivista qualcosa nella mia mente è scattato e sono finalmente stata in grado di ricordarmi tutto: la mia infanzia, adolescenza, i primi due tornei....E la morte di mio padre, che mi ha sempre rinfacciato di esserne la responsabile."

Il ragazzo osservó gli occhi della madre riempirsi di lacrime al solo nominare il genitore. Quindi suo nonno era venuto a mancare per colpa sua? No, impossibile. Non sapeva esattamente cosa fosse successo, ma qualcosa gli disse che non era stata colpa sua. Non conosceva nemmeno così bene sua zia, se per quello, ma non le aveva mai ispirato nulla di buono. La bionda si stropicció gli occhi prima di continuare.

"Ci siamo affrontate per giorni interi. Quelle poche pause che ci concedevamo erano più per ricaricare le armi che per riposare. Eppure nessuna delle due ha mai sferrato il colpo decisivo all'altra, probabilmente perché in cuor nostro sapevamo che non era quello che i nostri genitori avrebbero voluto. Decidemmo quindi di pareggiare i conti al King Of The Iron Fist Tournement che ci sarebbe stato da li a poco...Anche li combattemmo fino allo stremo, ma fui io a vincere. Avrei potuto farla fuori, davanti a migliaia di persone....Ma ho preferito umiliarla, lasciandola li a urlare e sbraitare per terra sconfitta e dolorante. Da li ho perso qualsivoglia interesse nei suoi confronti. Per me era un capitolo chiuso."

Che brutto doveva essere rimanere senza genitori e in feroce conflitto con l'unico famigliare che ti rimaneva. Steve era stato solo per la maggior parte della sua vita, perché nonostante fosse stato adottato, quella coppia non era mai stata affettuosa nei suoi confronti.

"Quindi per me era giunto il momento di ricominciare da capo per l'ennesima volta: sapevo nuovamente chi ero, sebbene qualche buco nella memoria fosse rimasto, però avevo tutte le carte in regola per andare avanti. Ero stata eliminata da Jin al torneo, dopo una lotta estenuante nella quale non avevo dato neppure tutta me stessa, perché ancora provata dallo scontro con mia sorella, ma non mi importava vincere....Tuttavia..." fece una breve pausa, cambiando posizione e sdraiandosi supina per osservare il soffitto. "Avevo deciso di ripartire entro la settimana successiva. Mi trovavo in giro per Tokyo per comprare indumenti per cammuffarmi e sfuggire ai controlli dell'aeroporto. Per tutta la mattina avevo avuto la spiacevole sensazione di essere seguita e osservata ed infatti sulla via di casa qualcuno tentó di avvicinarmi. Tentai di depistarlo in ogni modo, fino a quando decisi di non prendere in mano la situazione, nascondendomi in un vicolo per tendere un' imboscata al mio inseguitore. Era sveglio, ma non abbastanza...Ricordo ancora la sua espressione di terrore quando si è trovato la canna della mia pistola puntata alla tempia." 

Sorrise tra se e se ricordando la faccia di Chomei quando fu lui a ritrovarsi con le spalle al muro. Era così inesperto e i suoi addestramenti lo avevano reso un soldato e uomo più forte e migliore. 

"Lo costrinsi a vuotare il sacco e mi rivelò di essere un soldato della Tekken Force a servizio della Mishima Zaibatsu e che il suo capo aveva una proposta da farmi. Ovviamente dopo quello che mi avevano fatto era assolutamente fuori di discussione anche solo rivolgere loro la parola senza aprire il fuoco, eppure prima che potessi aggiungere altro apparve Jin in persona e mi disse che erano intenzionati a dichiarare guerra a Kazuya Mishima. Fu allora che scoprii che non solo aveva vinto il torneo, ma che era salito a capo dell'impresa."

"Quindi hai accettato la sua proposta e scatenare tutto questo putiferio solo per vendetta personale?" Domandó Steve sbigottito. 

"Oh no, c'è dell'altro..." Replicò la donna, con un sorrisino. "La storia è molto più complicata di quanto tu possa anche solo immaginare." Lo sguardo confuso che gli rivolse fu un invito a proseguire. "Devi sapere che la strada mia e di Jin si erano già incrociate anni prima, in occasione del terzo torneo del pugno di ferro. Probabilmente non crederai a mezza parola di quello che stai per sentire, ma ti garantisco che questo è niente...."

"Ah si? Vi hanno forse rapito gli alieni?" Commentó sarcastico, alzando gli occhi al cielo.

"Alieni....Molto divertente!" Ribattè l'assassina, lanciandogli un'occhiata di rimprovero. "Probabilmente sarebbero stati più innocui. Ad ogni modo....Mi ero appena risvegliata dal sonno e come già detto la mia mente era completamente vuota. Il che mi rese un bersaglio facile per Ogre."

"Ogre? E chi sarebbe?"

"Svariati anni prima Heihachi e la Tekken Force si era avventurati in Messico tra le antiche rovine di un tempio. Li i suoi uomini furono uccisi da Ogre, nientemeno che il dio della guerra che era stato risvegliato. Ovviamente quel vecchio pazzo constatando quanto fosse forte cercó di abbatterlo e utilizzarlo per i suoi scopi malvagi. Voleva fondere il suo DNA col proprio e diventare immortale. La sola idea faceva più paura del mostro stesso. Ma ovviamente Ogre non era certo una preda facile e inizió a dare la caccia ai migliori maestri di arti marziali al mondo per acquisirne le tecniche. Fino a che quattro anni prima del terzo torneo, non raggiunse l'isola di Yakushima dove viveva un quindicenne Jin, con sua madre, Jun."

Quindi ora si trattava dell'albero genealogico dei Kazama e Mishima? Steve davvero non capiva come tutto questo potesse centrare con la questione principale, ma rimase ad ascoltare attentamente ciò che sua madre gli stava raccontando, avido di sapere quanto più possibile sul suo passato.

"Avevo incontrato Jun Kazama nella seconda edizione del KOTIFT quando avevo il compito di uccidere Kazuya. Ricordo come mi mise in guardia da lui, di come era stata capace di mettermi in soggezione. C'era qualcosa di strano in quella donna, ma in senso estremamente positivo. Come abbia fatto a concepire un figlio con quel demonio rimane un mistero, eppure lei era convinta che ci fosse del buono in lui. Fatto sta che rimase incinta di Jin e Kazuya fu creduto morto per anni, quindi è stata lei a crescerlo, istruirlo e insegnargli l'arte del combattimento. Sono stati inseparabili fino a quell'orribile giorno in cui Ogre decise di fare loro visita..."

Lo sguardo gli si riempí nuovamente di tristezza. Era a conoscenza di queste cose perché era stato Jin stesso a raccontargliele e aveva scorso nei suoi occhi il dolore e la rabbia per quello che era successo. Non si era mai sentita così male per qualcuno come in quel momento.

"Jin aveva solo quindici anni, non poteva fare nulla. Jun l'aveva implorato di fuggire e mettersi in salvo, ma tentó lo stesso di difendere sua madre. Purtroppo fu tutto inutile: al suo risveglio la loro casa era ridotta ad un cumulo fumante di macerie e di sua madre non aveva nemmeno più il corpo da seppellire."

Per quanto odiasse Jin, Steve si sentí a sua volta spiacente per quanto gli era successo. Alla fine un genitore è sempre quello a cui devi la vita.

"Ho sempre pensato che Jun fosse dotata di qualche potere strano ed infatti aveva avvertito il figlio giorni prima dell'arrivo di Ogre che se mai le fosse successo qualcosa di andare a cercare suo nonno, Heihachi. E così Jin fece, credendo ingenuamente che fosse una persona affidabile. Effettivamente così sembró per i primi tempi, quando lo prese sotto la sua ala, dandogli un posto dove stare, cibo da mangiare, istruendolo e allenandolo, ma la realtà era ben diversa. Quel vecchio pazzo non aveva ancora rinunciato ai suoi piani deliranti e quattro anni dopo organizzó il terzo torneo per attirare Ogre. E ci riuscí. La finale si svolse infatti tra quest'ultimo è Jin, allora diciannovenne e fu lui ad uscirne vincitore."

"E questo con te che c'entra?"

"Ci sto arrivando...Vedi, Ogre si era reso conto che Jin era un ragazzo fuori dal normale sebbene non lo sembrasse. Uscire allo scoperto lo avrebbe reso preda facile di Heihachi...Quindi per eliminarlo ha pensato bene di servirsi della mente di una persona potenzialmente letale che in quel momento era nel suo stato più fragile....Una persona che non aveva più idea di chi fosse e che scopo avesse nella vita..."

Steve strabuzzó gli occhi realizzando cosa fosse successo realmente. Tutto ciò aveva dell'incredibile...Eppure Nina era tutto fuorché bugiarda. 

"Mi iscrissi con il solo scopo di uccidere Jin Kazama..."

~
 
 
Note dell'autrice: ehilà, sono tornata. Ringrazio la mia scorta di capitoli solo da betare, perchè ultimamente è proprio un periodo no e non ho un briciolo nè di tempo, nè di voglia e neppure di ispirazione per scrivere. Spero di sbloccarmi quanto prima, soprattutto perchè stavo per entrare nel vivo della vicenda, quindi mi dispiacerebbe molto fare una pausa proprio ora. Ma tornando a noi, ecco il primo dei capitoli mamma/figlio in cui Nina finalmente realizza quanto sia terapeutico parlare con qualcuno disposto ad ascoltarla, a maggior ragione se quel qualcuno è un figlio che desidera ricucire i rapporti. Come di consueto la storia dell'assassina sarà quanto più fedele alla realtà, ma ovviamente l'ho "condita" con la mia visione dei fatti, quindi spero che apprezzerete. Alla prossima!

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Capitolo 15
*** Nothing But The Truth Pt.2 ***


Non era nemmeno arrivata a metà del suo racconto, eppure Steve faticava già a processare quanto aveva appena appreso. Sua madre era un vero e proprio mistero per lui e mano a mano che si svelava scopriva delle cose al limite dell'impossibile. Un dio della guerra? Come poteva esistere una cosa del genere? E veramente voleva fare fuori Jin? Oh cielo, che confusione!

"Ma....Come sarebbe a dire che..."

"Ogre si era impossessato della mia mente e ne aveva assunto il totale controllo. Lo sentivo istigarmi a commettere l'omicidio di quel giovane di cui non avevo mai sentito parlare, promettendomi una grossa ricompensa se avessi portato a termine la missione. Ovviamente ero una preda decisamente facile e non ho opposto la benché più minima resistenza. Ho lasciato che quella bestia orrenda guidasse nelle mie azioni, mentre sbaragliavo un concorrente dietro l'altro, inclusa Anna. Ero più forte e determinata che mai e in men che non si dica arrivai al match finale. Ricordo ancora lo sguardo perplesso di Jin, che non si aspettava un simile impeto e ferocia da parte mia, ma soprattutto il suo sgomento quando il mostro si riveló. Li diventò lui una bestia furiosa, ma era palese che si stesse trattenendo nello sferrare i colpi per non ferirmi. Purtroppo dovette farmi molto male per mandarmi al tappeto, ma quando lo fece fu allora che Ogre uscì allo scoperto nella sua vera e propria forma. Quando si rese conto che ero stata posseduta e che stavo per venire uccisa perché ormai non servivo più, non ha esistato ad attaccarlo per proteggermi. Non dimenticheró mai lo sguardo compassionevole, tale e quale a quello di suo madre che mi aveva rivolto, nonostante avessi tentato di ucciderlo! Gli dovevo la vita."

Seguí una pausa di riflessione da parte di entrambi. Nina continuava a fissare il soffitto con lo sguardo perso nei ricordi, Steve invece osservava il suolo con le mani sotto al mento, mentre il suo cervello lavorava a raffica per processare tutto quanto e formulare domande.

"Io però non capisco...." esordí il biondo, alzando la testa. "Se Kazama era così buono, che diavolo gli è successo per macchiarsi le mani di tutta quella distruzione?"

"Che tu ci creda o no, stavo appunto per rivelartelo...." Replicò la donna, osservandolo con un sorrisino amaro. "Jin affrontò Ogre fino allo stremo, fu un incontro senza esclusioni di colpi, ma alla fine fu in grado di sconfiggerlo. Aveva vinto il torneo e suo nonno Heihachi comparve per la premiazione. Era davvero esausto e riusciva a malapena a reggersi in piedi, però trovó la forza di alzare il capo e sorridere all'uomo a cui era così grato. Non dimenticheró mai il sorriso disgustoso  del vecchio, che gli rivolse prima di estrarre una pistola, puntargliela alla fronte e sparargli senza pensarci due volte."

"COSA???" Urló il pugile incredulo.

Sapeva che Heihachi era spietato, ma non immaginava che fosse anche così vigliacco. 

"Lo so...Rimasi di pietra anche io. Non potevo credere ai miei occhi, infatti pensai di stare sognando. Ma quello che successe dopo fu ancora più assurdo, nonché la spiegazione a tutto il putiferio odierno."

Steve si irrigidí sulla sedia, ma con un cenno del capo la invitó a continuare. 

"Pensavo fosse morto. Era a terra, e la risata psicotica di Heihachi sovrastava ogni cosa. Gli voltó le spalle e se ne andò sprezzante, mentre i suoi scagnozzi si occuparono di far sparire il corpo. Accadde tutto in un lampo...." Nina si interruppe brevemente, impallidendo."Il corpo di Jin si alzó da terra di scatto e lanciò gli uomini lontano senza il minimo sforzo, ma c'era qualcosa di strano in lui. Era cambiato, era diverso....Gli erano spuntati degli strani segni tribali sul petto e sulla faccia e i suoi occhi...Erano diventati color ghiaccio. Si scagliò con furia omicida contro suo nonno e sfondó il muro di mattoni senza sforzo, scagliandosi lontano. L'ultima cosa che vidi prima di svenire furono un paio di enormi ali nere volare via nella notte..."

Tacquero entrambi per qualche minuto. Steve non poteva credere a quelle parole, erano assurde...I mostri non esistevano! Erano tutte leggende e sciocchezze inventate per scrivere libri dell'orrore....O no? Per quel poco che conosceva Nina sapeva che sempre maledettamente sincera e razionale, quindi se certe cose era lei stessa a raccontarle dovevano essere per forza di cose vere. Il pugile capí che aveva ancora tanto da dire, perciò si sforzò di ricomporsi e invitarla a continuare. 

"Quindi...Quella cosa era Kazama?"

"Sì...Vedi...Quando incontrai Kazuya Mishima per la prima volta capii che non era un essere umano come tutti gli altri. La sola presenza mi metteva a disagio e mi provocava un senso di angoscia, quando venni catturata dai suoi uomini e portata al suo cospetto prima di essere sottoposta all'esperimento, mi guardó in un modo che mi fece accapponare la pelle. C'era proprio un misto di odio per il mondo e pura malvagità in quegli occhi..." rabbrividí al ricordo.
"Quella trasformazione che Jin aveva subito fu dovuta alla presenza del Gene del Diavolo ereditato da suo padre."

"Gene....Del...Diavolo?"

"Esatto. Kazuya possiede questo particolare gene e letteralmente vive con un demone in corpo, che infesta la sua mente, gli conferisce una forza sovrumana e ovviamente lo rende malvagio e spietato. L'occhio rosso non è una lente a contatto colorata per vezzo estetico, ma la prova di quell'entita che vive in lui. Immagino che Heihachi ne sia portatore a sua volta, anche se non ha mai dimostrato caratteristiche peculiari a quelle del figlio. Inutile aggiungere che quando Jun ha concepito Jin con Kazuya, il Gene del Diavolo si sia tramandato anche a lui."

"Quindi mi stai dicendo che Jin in realtà....Non è umano?"

"Non esattamente. Kazuya e Jin di fatto sono umani, ma possiedono questa particolare mutazione genetica. La differenza tra i due consiste nel fatto che il padre abbia abbracciato il Gene, si sia lasciato possedere da esso fino a quando non sono diventati un tutt'uno, mentre il figlio è stato cresciuto dall'amore incondizionato di una donna pura di cuore e ha sempre odiato con tutto se stesso la sua maledizione."

"Ma se odiava essere malvagio, allora perché ha fatto quello che ha fatto? Uccidere quelle persone? Scatenare questa dannata guerra? Distruggere tutto? Come puoi difenderlo???" Sbottó all'improvviso il biondo, cercando disperatamente di trovare un senso a tutta quella pazzia.

"Datti una calmata, ci sto arrivando. Quando Ogre uccise Jun, Jin giuró vendetta. Quando Heihachi gli sparò in fronte fu invece la goccia che fece traboccare il vaso e che risveglio definitivamente il Gene che per anni era stato assopito grazie alla presenza di sua madre. Poco dopo il terzo torneo, Jin scappó in Australia e rinnegó con tutto se stesso il sangue Mishima, persino il loro stile di combattimento. Odiava con tutto se stesso la sua maledizione e il suo unico desiderio era quello di porre fine alla sua stirpe. Quando venne annunciato il quarto torneo, tornò in Giappone per vendicarsi di suo nonno e li conobbe suo padre, che era stato creduto morto per anni. Kazuya in quell'occasione tentò di assorbire la parte di Gene del figlio, ma non ci riuscí. Jin colto da un atto di pietà non uccise Heihachi per rispetto di sua madre. Poco dopo fu annunciato un quinto torneo e si scoprí che ad organizzarlo fu lo spirito di Jinpachi Mishima, il suo bisnonno. Heihachi rimase vittima di un attacco di Jack 4 e fu dato per deceduto, Jin invece vincendo il torneo diventò capo della Mishima Zaibatsu. E qui entro in scena io..."

L'eterna storia di Nina stava per giungere al termine, ma Steve capí che la parte forte stava per arrivare.

"Come già detto, fu Jin in persona a chiedermi di lavorare per lui, come guardia del corpo. Per quanto restia fossi riuscì a convincermi per diversi motivi: tanto per cominciare la paga era esorbitante, inoltre l'idea di farla pagare a quel bastardo di Kazuya era quantomai allettante. Infine, come già sai, era solo grazie a lui se ero ancora viva dopo essere sfuggita dalle grinfie di Ogre. A mia discolpa, non pensavo che ne sarebbe conseguita una simile guerra. Inizialmente il mio compito era quello di proteggerlo nelle apparizioni pubbliche, ma fin da subito mi resi conto di quanto fosse male organizzata la Tekken Force. Si decise a seguire i miei consigli e ben presto mi nominó seconda in comando e mi affidò l'addestramento delle truppe. Nel frattempo la G Corp inizió a metterci i bastoni fra le ruote e fu allora che scoprii che la mia cara sorella si era alleata con Kazuya." Una smorfia di disgusto nel nominare la sua unica parente rimasta in vita le deturpò per un secondo il viso perfetto. "La situazione peggiorava ogni giorno a vista d'occhio e iniziai a dubitare io stessa di Jin. Devo ammettere che a livello umano, superati i primi tempi in cui mi sembrava un ragazzetto amorfo e furioso col mondo, avevamo instaurato un bel rapporto di rispetto reciproco: venivo tenuta sempre più in considerazione e giorno dopo giorno lo vedevo aprirsi sempre un pochino di più nei miei confronti. Dal canto mio, invece, provavo sempre più empatia e ebbi modo di notare come la mia opinione lo influenzasse. Ben presto divenne la cosa più simile ad un amico che avessi mai avuto. Fino a che, un giorno non mi disse che saremmo partiti per l'Egitto e che mi avrebbe spiegato tutto durante il viaggio."

"E....lo fece?"

"Certo. Aveva finalmente deciso di rivelarmi il motivo per il quale aveva scatenato la guerra. Praticamente erano mesi che nella sua testa sentiva la voce di Azazel."

"Azazel?" 

E ora chi era questo?

"Azazel era un antico spirito antichissimo, generatore di ogni male della storia, che si era appunto risvegliato a causa di tutte le guerre e stragi che si erano compiute nel corso dei secoli. Jin pensava che fosse lui l'origine del Gene del Diavolo e solo chi lo possedeva era in grado di sconfiggerlo. Ma finché si trovava sottoforma di spirito non poteva farlo, doveva assumere nuovamente una forma materiale. E l'unico modo per far si che questo accadesse era riempire nuovamente il pianeta di energia negativa, cosicchè lui avrebbe potuto finalmente affrontarlo e distruggerlo assieme al gene una volta per tutte. Per questo motivo la guerra è scoppiata."

Tutto questo suonò ancora più assurdo della storia di Ogre.

"Cioè...Fammi capire...Kazama ha scatenato la guerra per poter uccidere questo Azazel? Ma è pazzo?"

"Proprio non capisci, Steve?" Lo riprese malamente la donna, scocciata. "Jin sapeva fin dal principio che per far fuori Azazel e debellare il Gene Del Diavolo dal mondo avrebbe dovuto sacrificarsi. Ha dato la sua vita per liberarci dal male, perché era convinto che sarebbe stato l'unico modo per riportare la pace nel mondo. Ha agito con le migliori intenzioni, nonostante il fine non fosse abbastanza da giustificare i mezzi. Ma è stato tutto inutile purtroppo...."Si bloccò nuovamente perché ora le lacrime le scorrevano copiose sulle guance e le strozzavano la voce. "Si, Azazel è stato sconfitto, ma il maledetto Gene esiste ancora e la guerra non è finita! Kazuya e Heihachi stanno distruggendo tutto quanto, Jin è stato catturato dalla Violet System e non so nemmeno se sia ancora vivo....Mi aveva promesso che avrei vissuto in un mondo migliore...Mi ha lasciata sola e io....Io non...Non so cosa fare, io....Non posso stare senza di lui..."

Il silenzio venne interrotto da un pianto disperato....
~
Note dell'autrice: sono vivaaaa! Innanzitutto buone feste (ormai andate) a tutti quanti. Mi spiace per la lunga attesa, io non sono morta, ma il mio computer sì e non ho avuto modo di postare finora (per fortuna che il file di questa storia è salvato sempre su chiavetta >_>)!  Inoltre gli ultimi mesi son stati un po' bui e difficili, quindi non ho avuto molto tempo per concentrarmi sulla ff. Ad ogni modo, ecco la seconda parte del racconto della nostra assassina preferita. Steve ha un bel po' di cose molto difficili per lui da comprendere sulle quali riflettere, prima di decidere da che parte schierarsi: se rimanere fedele alla sua morale, o approvvare le scelte poco ortodosse della madre, che attualmente si trova in una situazione assai difficile. Cosa succederà? Lo scoprirete presto (spero). Infine ne approfitto per augurare a tutti un felice anno nuovo! Alla prossima!

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Capitolo 16
*** What Is Love? ***


Ogni bambino piange. Piange perché ha paura del buio, dei temporali, degli insetti, dei mostri, dei fantasmi...E quando il terrore li sovrasta loro piangono più forte e la prima cosa che viene loro in mente è quello di cercare rifugio tra le braccia della propria madre, la quale li consola, li bacia sulla fronte e gli accarezza i capelli, dicendogli che va tutto bene e che non sarebbe successo loro nulla di male, perché lei era lì a proteggerli....Ma lui non ha mai avuto nessuno nella sua infanzia a fare tutto questo e ora i ruoli si erano invertiti.
 
Non si era nemmeno reso conto di essersi alzato in piedi, seduto accanto alla donna che lo aveva messo al mondo e averla stretta in un caldo abbraccio, mentre quella si stava lasciando andare ad un pianto liberatorio. Quando era stata l'ultima volta che si era sfogata e lasciato che le emozioni prendessero il sopravvento? Quanta confusione doveva esserci nel suo cuore e nella sua testa in quel momento? Quanti anni erano che quella donna d'acciaio non si lasciava andare alle basilari emozioni umane? Tutto quello che aveva appreso nelle ultime ore aveva dell'incredibile: divinità, demoni, spiriti malvagi...Tutto questo esisteva solo nei libri e nei film, non nella vita reale. Eppure....
 
Continuó a tenere tra le braccia il corpo tremante dell'assassina, che a sua volta lo stava stringendo disperatamente, come se avesse avuto paura di andare in pezzi.
 
"Nina..."
 
"Oh Steve....Lo so che odi Jin...Che ha fatto tante cose sbagliate, ma non era malvagio! Ha avuto un passato orribile, segnato da tantissimi eventi spiacevoli e non se li meritava!"
 
"Devi ammettere però che quello che ha fatto è imperdonabile! La guerra che ha scatenato è ancora in corso e la gente sta continuando a morire per quella sua decisione sconsiderata!"
 
"Ma non poteva saperlo! Lui ha cercato di salvarci tutti quanti, ha rinunciato a tutto per farlo...Persino a me!"
 
"Si può sapere cosa c'era tra voi due? Ti rendi conto in che guaio ti ha cacciata ora?" La rimproveró, cercando di farla ragionare. 
 
La bionda cercó di calmarsi, sospirando pesantemente un paio di volte.
 
"Cosa c'era tra noi? Qualcosa che non si può spiegare, Steve. Non avevo mai provato amore nei confronti di nessuno, tranne che per mio padre. Lui era il mio eroe, certo, volevo bene anche a mia madre, ma lui era tutta un'altra cosa. Io ero la luce dei suoi occhi e avrei fatto di tutto per renderlo fiero di me. Poi è rimasto ucciso e io ho perso tutta me stessa, ogni giorno sempre di più fino a che non mi è successa una disgrazia dietro l'altra. Ho sempre cercato di rimanere forte e inossidabile, di non lasciarmi scalfire da niente e nessuno per non farmi ferire ancora...Eppure Jin...Lui...Lui era la mia anima gemella. Entrambi abbiamo sofferto tanto e nessuno poteva comprenderci meglio di quanto non lo facessimo l'uno con l'altra. Nessuno mi ha mai fatto sentire come lui...Grazie a Jin ho scoperto cosa volesse dire amare...Abbiamo passato momenti indimenticabili assieme, mi manca svegliarmi alla mattina ancora tra le sue braccia dalla sera prima, dopo aver passato giornate orribili era l'unica cosa che avesse senso. Eravamo tanto innamorati, Steve. E per amore l'ho aiutato ad esprimere il suo ultimo desiderio, non abbandondolo nemmeno per un secondo e proteggendolo instancabilmente. L'idea che sia stato tutto inutile mi uccide."
 
Innamorati. Dunque lo spietato Jin Kazama e la fredda Nina Williams erano stati in grado di provare il più bello dei sentimenti. Mentre dispensavano ordini di distruzione, dall'alto della Mishima Zaibatsu loro se ne stavano immersi nella loro bolla di felicità. Ma soprattutto a spiazzarlo fu il fatto che sua madre fosse stata in grado di aprirsi e imparare ad amare..A che prezzo però! Steve respirò profondamente, mentre la sua mente lavorava senza sosta: ne aveva passate davvero di tutte i colori e quando finalmente aveva trovato la persona giusta quella le era stata strappata via dal destino crudele, segnato da una maledizione incredibile. Continuava a nutrire astio nei confronti di Kazama, non era certo perdonabile per aver giocato a fare l'eroe dannato, ma forse col tempo avrebbe anche potuto vagamente accettare quanto accaduto. Ora però aveva problemi più seri a cui pensare: che fare con Nina? Era pur sempre la sua genitrice ed era in un mare di guai, era suo dovere aiutarla a superarli. 
 
"D'accordo." esclamò dopo qualche istante, tempo che l'assassina si calmasse un minimo. "Ti credo. Ma ora abbiamo un problema molto più serio a cui pensare..."
 
L'assassina tirò su col naso e alzò leggermente la testa, osservando con sguardo interrogativo il pugile.
 
"A..Abbiamo?"
 
"Sì, abbiamo! Come ti ho già detto, sino a prova contraria sei mia madre e ora come ora ti trovi in una posizione in cui mettere da parte l'orgoglio e farti aiutare è la tua unica soluzione per sopravvivere."
 
"Ma..."
 
"Oh smettila, Nina!" sbottò all'improvviso, alzandosi in piedi di scatto. "Vuoi piantarla per una buona volta? Sei nei guai fino al collo, ricercata dalla G Corp e da chissà chi e pure incinta! Cosa pensi di fare da sola? Dove pensi di andare, quando tutto il paese è blindato? La vedo la paura nei tuoi occhi, sai? A fanculo i mostri, i demoni egizi e diavoli, tu sei umana, esattamente quanto me!"
 
Quella sfuriata lasciò la bionda di sasso. Sapeva benissimo che aveva ragione, e in cuor suo sapeva anche di aver davvero bisogno di supporto nel momento più difficile della sua nuova vita. Allora perchè non riusciva a chinare la testa e ammettere che quanto suo figlio le aveva appena detto era la pura e semplice verità? Sorrise mestamente per un attimo, realizzando che il sangue del suo sangue non solo era un eccellente combattente, ma anche una persona molto matura e premurosa. Forse nemmeno si meritava le sue attenzioni. Forse davvero non era nemmeno nato da lei.
 
"Hai ragione, sono umana..." replicò a bassa voce, passandosi la mano sinistra sul volto, per asciugare le ultime lacrime. "Sono umana e in quanto tale mi sono scoperta essere schifosamente fragile, quando sono sempre stata abitutata ad avere il totale controllo di qualsiasi situazione. Cosa penso di fare? Non ne ho idea, Steve..Non ne ho idea!" 
 
"Che ne diresti di utilizzare questa occasione per ricominciare finalmente a vivere?" domandò il pugile di punto in bianco. 
 
"Cosa vorresti dire?" replicò confusa l'assassina.
 
"Intendo dire...Kazama non c'è più. Questo paese è destinato a sparire anche dalle carte geografiche. Purtroppo il mondo non è più un posto sicuro, ma almeno ha senso vivere al massimo finchè si può,  da un'altra parte. E poi, c'è una vita che sta crescendo dentro di te. Un piccolo essere umano, frutto dell'amore tra te e Jin. Dovresti essere grata per questo, anzichè vederlo come una maledizione..."
 
"Ma Steve...Io non sono tagliata per fare la madre...Io non...Insomma, guarda...Guarda te! Ho cercato di ucciderti!"
 
"Ma non l'hai fatto! Ascoltami..."tornò ad accomodarsi di fronte a lei, prendendole le mani tra le sue e obbligandola a guardarlo in quegli occhi cerulei che erano l'esatta riproduzione dei suoi. "Lo so che sei spaventata. E lo so che non avresti mai voluto che io nascessi. Ma non ti posso certo biasimare: sono venuto al mondo in un modo barbaro, ti hanno usata come cavia da laboratorio contro ogni tua volontà e non è giusto. Non hai avuto scelta, io ti sono stato imposto. Ma ora è diverso! Certo, questa gravidanza è altrettanto indesiderata, ma stavolta avrai mesi per abituarti all'idea. Mesi per innamorarti del piccolo che porti in grembo, per capire quanto in realtà tu sia pronta a dargli tutto l'amore di questo mondo! Io lo so che ora dici così perchè sei terrorizzata, ma ci scommetto la carriera, non vorresti mai rinunciare all'ultima cosa che ti è rimasta dell'uomo che hai così tanto amato."
 
Nina rimase di gesso di fronte a quelle parole, mentre una stillettata dopo l'altra di sensi di colpa la ferivano nel petto. Quelle parole erano state quanto mai dolci e confortanti e non sentiva di meritarsele. Davanti agli occhi le passarono tutti i momenti della sua infanzia, soprattutto quelli passati col suo adorato padre, che la guardava sempre con lo sguardo colmo di affetto e orgoglio, che la sosteneva instancabilmente ed aveva sempre creduto in lei, fino alla fine dei suoi giorni. Era questo che voleva dire essere genitori? Era questo l'amore? Ripensò al terrore provato appena sveglia al pensiero che qulle percosse subite per mano dei soldati della G Corp avessero potuto far male al feto. Allora era vero! Allora le importava di quella piccola grande presenza nel suo ventre. Steve la fissava in silenzio, studiando la sua espressione meditabonda, domandosi di cosa le stesse passando per la testa. Doveva essere proprio un brutto momento per lei. Ma una cosa era certa: non l'avrebbe lasciata andare alla deriva.
 
"Steve, io...Hai ragione. Su ogni singola parola. Si, ho paura. Si, tengo al bambino. E sì, non intendo rinunciare all'unico ricordo tangibile che ho di Jin." dopo quella confessione si sentì subito più leggera, ma fu una sensazione passeggera. "Però non voglio che cresca in un mondo così disastrato. Non posso stare qui. E non ho idea di come affrontare tutto questo da sola!" ammise mestamente.
 
"Ma tu non sei sola!" rispose il pugile, passandole un braccio attorno alle spalle. "Te lo ripeto per la centesima volta: tu sei mia madre! E in quanto tale non potrei mai abbandonarti! Io ti voglio bene, Nina!"
 
Lui le voleva bene. Quelle cinque semplici parole furono un sollievo per l'anima.
 
"Ad ogni modo hai ragione. Ormai tutto il mondo è dannato alla distruzione e bisogna vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo, ma più lo si fa lontano dal Giappone, meglio è!"
 
"Li ho tutti alle costole..." constatò amaramente la donna, giocherellando con una ciocca di capelli. "Heihachi vuole la mia testa per aver fallito la cattura di Jin e alto tradimento. Tre soldati della Tekken Force, da sempre leali a  me e Jin mi hanno messa in guardia settimane fa, dicendomi di andarmene di qui, ma ho procrastinato e ora la G Corporation sa che sono ancora viva e non vede l'ora di consegnarmi a Kazuya. Sarà quasi impossibile per me ricominciare una nuova vita..."

"Bhe, dipende quanto lontano si va...Visto che la mia carriera grazie alla Mishima Zaibatsu è passata dallo stallo al tracollo io qui non ho più motivo di restare. Avevo pensato di riprovare a farla decollare negli Stati Uniti, ma ci sono troppe spie. Penso che dovrò dedicarmi ad altro..."
 
"Ok, ma dove? Non possiamo permetterci il lusso di dare nell'occhio!"
 
"In realtà un posto abbastanza sicuro ci sarebbe..." replicò il pugile, guardandola dritta negli occhi e accennando un sorriso.
 
"Cioè?"
 
"Non si sta poi così male in Irlanda..."

Note dell'autrice: alzi la mano chi, come me, leggendo il titolo non ha canticchiato "baby don't hurt meeee?". Ok, dopo questa cazzata immane, che dire??? Non sto nemmeno a cercare scuse per giustificare questa lunga assenza, semplicemente sono rimasta bloccata mesi su un capitolo (non questo) e nel mentre ho perso completamente voglia e ispirazione. Ho ancora li la mia scaletta con la struttura dei capitoli, i miei appunti...Chissà se un giorno riuscirò a collegare tutti i pezzi. Intanto spero che questo vi piaccia, che in generale questa storia possa piacervi anche se non siete fan del pairing (ahimè, XiaoyuXJin  sempre quello più quotato mannaggia). Alla prossima!!

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Capitolo 17
*** Happiness Is The Enemy ***


Buio. Buio. E ancora buio. Quanto tempo era che non vedeva altro attorno a se? Giorni? Settimane? Mesi? Quella sensazione nonostante così prolungata continuava ad essere dannatamente opprimente, non riusciva ad abituarsi. La solitudine lo attanagliava ogni minuto sempre di più, eppure che senso avrebbe avuto tentare di contrastarla? Non aveva più nulla ad attenderlo nel mondo dei vivi. Ma lui alla fine era morto? Probabilmente no...Ricordava a malapena lo scontro con Azazel, quel demone per il quale aveva scatenato l'inferno sulla Terra, al solo scopo di liberarla dalla maledizione del Gene Del Diavolo. Rivide se stesso correre incontro al mostro, circondato da un aura violacea che deviava ogni suo colpo mentre prendeva la rincorsa per scagliarsi contro di esso e sfondargli il petto con un pugno poderoso. Poi la caduta in quello scorcio e infine il nulla.

Qualcosa nella sua mente gli diceva che era successo anche dell'altro in seguito, ma non riusciva a richiamare nessuna memoria alcuna. Se così fosse aveva fallito miseramente il suo piano. Lui voleva morire, autodistruggersi per il bene superiore, non salvarsi! Lui doveva sparire dalla faccia della terra, portandosi dietro il fardello della sua maledizione e rendendo quell'essere spregevole di suo padre un comune mortale, facilmente contrastabile senza i poteri demoniaci. Si aspettava di finire a bruciare nelle fiamme dell'inferno, non a brancolare nel buio. Sapeva di essere ancora vivo e la cosa era insopportabile. Dove aveva sbagliato? Perchè era sopravvissuto?


"Perchè ci vuole ben altro per farmi fuori, mio caro!" ridacchiò sadicamente la solita voce dall'oltretomba che gli aveva rovinato l'esistenza.

Decisamente non era morto.

"Giuro su Dio che troverò il modo di farti fuori, Devil!" ringhiò il ragazzo, stringendo i pugni fino a farsi diventare le nocche bianche.

"Ah si? Illuminami, come pensi di fare? Se non erro hai fallito miseramente e hai gettato il mondo nel caos l'ultima volta che ci hai provato!"

"Tu...Come puoi essere ancora vivo?" sbraitò con ferocia al nulla. 

"Perchè le tue supposizioni erano completamente sbagliate, ragazzino! Io ho generato Azazel, non il contrario. Era lui che dipendeva da me e distruggendolo non mi hai minimamente scalfitto. Sono vecchio quanto la Terra, figurati!"

Jin sentì i conati risalirgli su per la gola. Voleva vomitare tutto il suo disgusto, ma non aveva nulla nello stomaco. La rabbia che provava in quel momento era indescrivibile, tuttavia era conscio del fatto che così avrebbe solo aumentato l'influenza di Devil su di se. Doveva distrarsi in qualche modo e non dargliela vinta! 

"Farai la fine che ti meriti..."

"Sto già tremando, piccolo illuso!"

 

Il giovane tentò di calmare i nervi e si sedette su quella sorta di pavimento color ossidiana, che non aveva una consistenza ben precisa. Effettivamente non sapeva neppure se stesse fluttuando nell'aria o la dimensione onirica in cui si trovava in quel momento fosse anche solo vagamente consistente. Doveva distrarsi ad ogni costo, o sarebbe uscito di testa con conseguenze ovviamente disastrose. Aveva passato anni della sua vita dopo la morte di sua madre a combattere contro il suo peggior nemico, ossia la parte di se stesso posseduta dal Gene del Diavolo che lo rendeva esattamente come Jun Kazama gli aveva sempre detto di non essere.

Jun...Se solo fosse stata con lui per sempre, a vegliarlo e proteggerlo tutti questi disastri non sarebbero mai successi: lui sarebbe rimasto pure di cuore e innocente come lei, non avrebbe mai conosciuto il tradimento per mano di quel bastardo di suo nonno e tolto il sigillo che racchiudeva la sua dannazione eterna. Se Ogre non gliela avesse portata via lui avrebbe vissuto una vita normale e pacifica, non si sarebbe mai iscritto a quello stramaledetto torneo, non avrebbe mai desiderato di uccidere la sua famiglia, non avrebbe mai e poi scatenato una guerra, non avrebbe mai...Quella fiumana di pensieri disordinati si interruppe quando realizzò che se non fosse successa anche solo una di quelle cose, non avrebbe mai e poi mai avuto la possibilità di avere nella sua vita Nina. 

Nina, quella splendida killer dagli occhi glaciali e di una bellezza mozzafiato, che tanto aveva amato e che tanto sentiva di amare ancora. Chissà dov'era adesso? Stava bene? Si era ripresa? Una morsa gli strinse il cuore quando si domandò anche se lo avesse già rimpiazzato con qualcun'altro. Sapeva che il loro amore era sincero e profondo, soprattutto perchè nato da due persone che avevano dovuto affrontare un passato atroce e questo li aveva resi più uniti che mai. Sapeva anche che solo lui finora era stato in grado di scalfire il ghiaccio di cui era apparentemente fatta. Eppure una donna brillante e speciale come lei meritava ben di meglio di un giovane dall'anima dannata. Un giovane cresciuto nell'innocenza, strappatagli poi brutalmente da un destino crudele, che sognava solamente di crescere, studiare, lavorare, magari diventare qualcuno, ma vivere una vita tranquilla accanto ad una persona speciale. Non avrebbe avuto nulla di tutto questo. Era arrabbiato, furibondo contro se stesso per aver fallito il suo piano che credeva perfetto. Forse addirittura aveva agevolato gli scopi malvagi di suo padre Kazuya, autoeliminandosi assieme ad un ostacolo ben più arduo. 

 

Kazuya...Come aveva potuto un essere umano dall'animo così immacolato e il cuore così gentile come sua madre ad avere a che fare col diavolo in persona? Per quanto fisicamente fossero simili, lui non aveva proprio nulla da spartire con suo padre. Con ogni probabilità aveva fatto soffrire Jun, forse lui era nato nemmeno per volontà sua...Non ne era certo. Non gli era mai stato raccontato molto su suo padre e sapeva che era solo per proteggerlo. Ma a fargli ribollire ancora più il sangue nelle vene era il fatto che quel verme avesse fatto un torto enorme anche alla sua amata Nina. Nonostante fosse accaduto prima che lui nascesse, l'aveva costretta come la più insignificante delle cavie ad un esperimento che l'aveva portata a mettere al mondo un figlio che mai avrebbe voluto.  L'aveva usata in modo rivoltante, causandogli anche una bruttissima perdita di memoria al suo risveglio rendendola un guscio vuoto. Senza rimorsi, senza il benchè più minimo briciolo di umanità. 

 

Aveva sempre ammirato la sua amata per il carattere forte e determinato che sfoggiava sempre, anche nelle situazioni più difficili. Quel suo temperamento glaciale e nervi d'acciaio l'avevano aiutata a costruirsi la reputazione di assassina infallibile e straordinaria combattente, l'aveva vista lottare e sbaragliare avversari anche molto più grossi ed esperti di lei con relativa facilità, era rimasto ipnotizzato dal suo stile elegante e letale...Per questo aveva deciso di averla come guardia del corpo a tutti i costi. Mai avrebbe pensato che sarebbe diventata la persona più importante di tutte e che lo amasse a tal punto da assecondare il suo desiderio più folle. Quanto l'aveva fatta soffrire? Le aveva chiesto egoisticamente di non dimenticarlo mai durante l'ultima serata passata assieme. Non sarebbe mai stato in grado di sopportare che il suo ricordo le svanisse dalla mente, essendo l'unica cosa positiva che la sua vita avesse avuto dalla morte di sua madre. Eppure in cuor suo sapeva che non aveva più diritto a pretendere che lei non si rifacesse una vita, nonostante la sua assai scarsa attitudine a socializzare. Sorrise amaramente richiamando alla mente una serie di ricordi di conversazioni avute con lei...

 

"Wow, commovente!" commentò sarcasticamente la bionda, spegnendo il televisore e sbadigliando annoiata.

"Cosa?" domandò il ragazzo distrattamente, intento a scrutare l'orizzonte dall'enorme vetrata del suo studio.

"Il solito ciarpame che passa per televisione. Le soap opera dove lui si innamora perdutamente di lei e viceversa e dopo mille peripezie riescono a stare assieme. Patetico e banale." replicò, alzandosi per versarsi una tazza di the.

"Concordo..." rispose il suo capo.

Si domandò distrattamente se la sua glaciale e stoica bodyguard avesse mai provato affetto per qualcuno all'infuori di suo padre. Forse solo sua madre.

"Come se la felicità esistesse davvero. Tutte illusioni..." aggiunse subito dopo.

"Il mondo in cui viviamo è troppo corrotto e perverso perchè la felicità possa esistere e diffondersi. La falsità della razza umana glielo impedisce, ma le persone preferiscono illudersi e credere il contrario."

Nina sollevò un sopracciglio incuriosita da quelle parole.

"Da quando sei così ottimista?" chiese sarcasticamente, prendendo un sorso di bevanda.

"Mai stato. E tu da quando sei così pessimista?"

"Mai stata. Sono realista, è ben diverso! Prima o poi la felicità sparisce in una nuvola di fumo e la gente come quella che guarda e crede a quelle stronzate che passano in tv sarà la prima a soffrire della loro ignoranza! La vita è traditrice!" 

Quelle parole erano veramente dure a tal punto che anche Jin se ne stupì. Sapeva molto poco sul passato dell'assasina, segnato dalla morte prematura dei genitori e dall'eterno conflitto con sua sorella. Ma era solo per quello che disprezzava la vita così tanto?

"Sei mai stata tradita?" domandò improvvisamente Jin.

Non seppe perchè le fece quella domanda, gli sfuggì e basta. Ed ora era curioso di sapere la risposta. Nina lo osservò perplessa, ma in pochi secondi recuperò la solita compostezza.

"Mi pare che mia sorella mi abbia giocato un bello scherzetto 20 anni fa. E lavorare per tuo padre non mi sembra certo un gesto dettato dall'altruismo...Quella troia..."

"Devo dire che per essere sorelle avete un modo tutto vostro per esprimere il vostro affetto."  commentò sarcasticamente Jin, con una risatina.

"É la verità. Falsa, invidiosa e incredibilmente facile! Un'insulsa gatta morta costantemente bisognosa di attenzioni e di qualsiasi cosa che avessero gli altri. Dai vestiti al fidanzato..."

Come, come, come? Fidanzato? Aveva sentito bene? 

"Cioè, stai dicendo che Anna..."

"Sì!" replicò seccata.

"Non oso immaginare come sia finita..." borbottò tra se e se.

"Bhe..." ridacchiò la bionda, un sorrisino sadico che non prometteva niente di buono. 

"Cosa?" incalzò Jin, non propriamente certo di voler sapere il resto.

"Anna si è ritrovata in mutande per una mattinata intera a scuola, visto che DISGRAZIATAMENTE era finita della supercolla sulla sua sedia che le aveva strappato la gonna nel tentativo di alzarsi. Oltre ai suoi vestiti preferiti bruciati una volta tornata a casa. Lui è finito in ospedale con una rotula rotta."

"Rotula rotta? E nessuno ti ha rimproverata?" 

"Nessuno ti può rimproverare se dici che sei caduto dalle scale. Le ossa vanno spezzate con metodo e criterio!" replicò soave la bionda, accomodandosi sulla poltrona di fronte alla sua scrivania, sempre con quel ghigno sadico sulle labbra. "D'altronde eravamo solo alle elementari..."

Il moro strabuzzò leggermente gli occhi udendo quell'affermazione, ma non ne fu troppo sorpreso, piuttosto estremamente divertito.


"E comunque quell'idiota è stata l'ennesima prova che l'amore è una fregatura. La felicità? Altrettanto! É un nemico! Ti indebolisce! Insinua dubbi nella tua mente...Se sei felice avrai sempre qualcosa da perdere..."

 

Come solito Nina aveva ragione. Avevano trovato la felicità assieme, toccato il cielo con un dito e scoperto quanto fosse bello essere amati...Solo per diventare sempre più vulnerabili, abbassare la guardia e infine perdere tutto quanto. Lei non avrebbe mai voluto innamorarsi, eppure lo aveva fatto e ora sicuramente stava pagando il prezzo per quell'azione che mai avrebbe dovuto compiere. Ma aveva senso odiarsi per aver reso felice una persona e essersi reso felice a propria volta? Sicuramente ci avevano rimesso entrambi. Sospirò profondamente, sperando con tutto il cuore che stesse davvero conducendo una vita migliore, lontana dai guai, dai pericoli e dalla disperazione. Pregò con tutto se stesso che lui, Jin Kazama, fosse riuscito a donare felicità a sufficienza per una vita intera alla donna che più l'avrebbe meritata al mondo...


Note dell'autrice: ciao a tutti! Mio dio, è passata una vita dall'ultimo aggiornamento...Ma visto che siamo tutti in quarantena forzata, perchè non trovare un modo costruttivo e creativo per passare il tempo come provare a proseguirla? Sì, ho ancora intenzione di portare questa storia a termine, non so nè come, nè quando, ma non mi corre dietro nessuno e va bene così. Per quanto riguarda il capitolo, bhe...Forse avrete riconosciuto il titolo e la citazione finale di Nina nel suo dialogo con Jin. Sì, è una frase del film "Rush" detta da l'attore che interpreta Niki Lauda, uno dei miei più idoli più grandi: trattasi di una frase potente e crudele, ma quantomai veritiera. E come i protagonisti di questa storia non potrebbero trovarsi d'accordo con essa, dopo tutto il dolore che hanno vissuto? Jin in questo momento si trova in una sorta di limbo, deve ancora risvegliarsi e capire cosa effettivamente sia stato di lui. Capitolo forse un po' breve, ma ho voluto comunque dedicarci del tempo. Per quanto riguarda la scenetta del flashback di Nina, bhe...Insomma, anche lei è stata bambina, no ;) ?? Un saluto a tutti, a presto! 

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Capitolo 18
*** A Grave Of Fire ***


Fuoco. Fiamme. Cenere e fuliggine. Fumo e zolfo. Due paia di occhi colmi di odio. Tra le nubi scure facevano capolino le sagome di due uomini che avevano abbracciato il male e si trovavano li col solo scopo di distruggersi a vicenda.

"Hai scelto un bel posto per morire" commentò il più giovane, con un ghigno sprezzante, osservando gli zampilli di lava attorno a se come se fossero bolle di sapone.

"Pensavo fosse appropriato." Ghignò beffardo il più vecchio, lanciando una palese frecciata all'altro, atta a rivangare in lui ricordi lontani e dolorosi.

Il sorriso sul volto di Kazuya si spense non appena realizzò che la scelta del luogo non era casuale, l'occhio vermiglio luccicò di luce assassina, era pronto a stroncare l'uomo a cui doveva la sua stessa vita e che durante tutto l'arco di essa egli si era impegnato a rendergliela un inferno.

"Sistemiamo questa storia. É giunto il momento della tua fine"

Tempo di terminare la frase che i due combattenti si corsero incontro pronti a sfogare tutti quegli anni di disprezzo, rancore, astio e desiderio di vendetta che avevano l'uno nei confronti dell'altro. Calci e pugni volavano frenetici, ogni colpo scagliato trasudava di desiderio di ferire e fare sempre più male. Come potevano padre e figlio bramare di annientarsi a vicenda? Umanamente si trattava di una concezione nemmeno lontanamente contemplabile, ma qui non si parlava già più di umani: da un lato c'era l'uomo più malvagio mai esistito sulla faccia della Terra. Dall'altro suo figlio, che aveva venduto l'anima al diavolo.

"Povero idiota" lo derise Heihachi infierendo con un colpo dietro l'altro, scagliandolo sempre più lontano, mentre nella sua mente affioravano i ricordi dei soprusi che aveva inflitto sul primogenito.

Ed anche nella di quest'ultimo stava accadendo la stessa cosa, la vista del padre in quello scenario di lava e rocce infuocate gli riportò alla mente di quando venne gettato nel cratere di un vulcano proprio da Heihachi, azione deliberata che lo mise fuori gioco per anni e gli fece perdere l'unica persona alla quale avesse mai tenuto al mondo. Una furia incontenibile lo accecò ancora di più, reagendo e lottando supportato dalla collera, ma Heihachi era un osso duro e con una testata poderosa lo scagliò lontano contro una roccia, riducendola in briciole. L'ira di Kazuya raggiunse un nuovo picco che mai avrebbe pensato di sfiorare e lasciò che il gene parassita che viveva dentro di lui sino dalla tenera età lo guidasse nella lotta contro il suo peggior nemico. Con un urlo liberatorio scagliò un potente raggio di energia, che costrinse il vecchio in un minuscolo fazzoletto di terreno, mentre tutto attorno a lui colava nel magma.

"Maledetto Kazuya!"

Il vecchio Mishima ancora non era deciso a darsi per vinto e rispose con grande tenacia ai colpi violenti del figlio, pur combattendo con una seconda entità al suo fianco che gli accresceva notevolmente la forza.

"Tutto qui?" lo sbeffeggiò, ricevendo subito come risposta un calcio sullo sterno. "Non ancora!"

"Perchè non muori e basta?" ringhiò il figlio, che iniziava seriamente a stancarsi. "Proviamo così..."

Era ansioso di porre fine a quel gioco che andava avanti da fin troppi anni. Voleva massacrare quel viscido verme e mandarlo all'inferno nel modo più doloroso possibile e per raggiungere il suo obiettivo non si sarebbe fatto scrupoli. Ripensò a sua madre Kazumi. Agli allenamenti barbari da bambino. Alla caduta rovinosa da quella rupe che gli sarebbe costata la vita se non avesse venduto l'anima al diavolo. Al rifiuto di essere collegato a quell'essere umano privo di qualsiasi sentimento positivo e al desiderio spassionato di vendetta, di togliergli tutto e ridurlo nel nulla. L'odio allo stato puro gli permise di cambiare forma e di lasciare che la malvagità prendesse il sopravvento: non era più Kazuya Mishima, ma quell'essere dalla pelle violacea, le grandi ali simile a quelle di un pipistrello, gli artigli da arpia, la coda a scaglie come quella di un drago e le corna sul capo: era Devil Kazuya, pronto a uccidere.

"Ecco quello che stavo aspettando" gongolò soddisfatto Heihachi, pronto a dimostrare che non gli serviva nessun gene demoniaco per essere invincibile.

La lotta rincominciò ancora, nessuno riusciva a sferrare il colpo decisivo all'altro, cosa che irritò l'animo già iracondo di Kazuya oltre l'immaginabile. Perchè quel vecchio bastardo non moriva? Era forse dotato di poteri dei quali era sempre stato all'oscuro? No, non poteva finire così, doveva pagare, doveva soffrire, doveva morire.

"Questo luogo sarà la tua tomba!" Urlò con tutta la rabbia che aveva in corpo, riempiendo il padre di colpi potenzialmente letali per chiunque, scagliandolo in aria e ributtandolo a terra. "É finita! Ora muori!" 

Un altro fascio potentissimo di lampi di energia violacea si diramò dal corpo di Devil Kazuya e colpirono Heihachi in pieno, causando un'esplosione impressionante, che sollevò una grande quantità di polvere e roccia. Ci vollero diversi minuti perchè tutta quella devastazione si quitasse e le nubi di polvere sollevate si dissipassero. Il demone osservò il corpo del genitore disteso a terra, gustando il sapore della tanto agognata vittoria...Sensazione che purtroppo durò molto poco, perchè le dita del vecchio si mossero, costringendolo a voltarsi.

"Eh?" mormorò incredulo, alla vista dell'uomo che si stava rialzando sulle sue stesse gambe. "Non stai dicendo sul serio!"

E invece sì, era tutto vero! Nel giro di qualche secondo il suo avversario era di nuovo in piedi di fronte a lui, più feroce e aggressivo che mai!

"Kazuya!" ringhiò, rimettendosi in posizione di combattimento.

"Fai silenzio, idiota!" replicò sprezzante il figlio, pronto a ricominciare la lotta più lunga ed estenuante della sua vita.

Era talmente basito dalla tenacia del padre che abbassò momentaneamente la guardia, permettendo all'avversario di infliggergli colpi durissimi come palle di cannone.

"Le tue illusioni di grandezza finiscono qui!" urlò, dopo l'ennesimo fendente poderoso che fece andare ad impattare Kazuya contro una roccia a svariati metri di distanza.

Quest'ultimo ne riemerse pochi istanti dopo, talmente provato da aver riacquisito la forma umana.

"Ancora vivo?"

Kazuya non poteva più sopportare quella situazione, non era possibile che quel bastardo fosse ancora vivo dopo una lotta del genere.

"Maledetto Heihachi..." sibilò trascinandosi incontro al suo peggior nemico, con il serio intento di farla finita una volta per tutte.

Un pugno. Due pugni. Tre. Quattro. Cinque. E tanti altri. Barcollavano, ma non mollavano. Ad un colpo devastante di Kazuya, ne seguì una testata micidiale da parte di Heihachi. Quella battaglia che andava avanti da quasi 50 anni sembrava essere destinata a continuare in eterno. Kazuya indietreggiò di qualche passo per osservare la sua nemesi, mentre altri ricordi della sua terribile infanzia gli ritornavano alla mente alla sola vista di colui che gliela aveva resa un martirio.

"Pensi di essere più forte di me? Ti spezzo in due." urlò il vecchio. "Le tue illusioni di grandezza finiscono qui!"

Quelle parole gli rimbombarono nel cervello, raggiungendo il punto di non ritorno.

"Mi riprenderò tutto!" mormorò.

E poi un urlo rabbioso. Una rincorsa. E il più forte dei pugni mai sferrato sulla Terra che colpì il vecchio Mishima dritto al cuore. Un'aurea violacea che lo circondò. Un rantolo smorzato. Una caduta rovinosa. E un ultimo respiro. Kazuya osservò il corpo senza vita di Heihachi con un'espressione impassibile e senza il più minimo rammarico. Lo sollevò tra le braccia e si avvicinò sull'orlo di una rupe, gettando il cadavere nella lava come fece suo padre con lui tanti anni addietro. Per la prima volta in vita sua si sentì finalmente realizzato. Ce l'aveva fatta. Lui, Kazuya Mishima aveva vinto.

"Nel combattimento conta solo chi rimane in piedi. Nient'altro."

~

A molti chilometri di distanza due uomini e un androide rimasero in silenzio attoniti e impotenti. Quanto avevano appena assistito aveva dell'incredibile e purtroppo anche del disumano. Heihachi Mishima era morto e stavolta per davvero. Ciò significava che Kazuya ora aveva in mano il mondo intero. Entrambi gli esisti di quella battaglia sarebbero stati disastrosi, ma l'opzione vincente era decisamente la peggiore. Ora sì, che erano tutti in grave pericolo e fu questo a turbare di più lo svedese, quanto l'essere rimasto definitivamente orfano.

"E così è finita..." mormorò il cinese dalla chioma argentea, anche lui fresco di lutto, ma quanto mai disinteressato alla perdita.

"Già..." replicò l'altro ragazzo con tono grave.

"Che succederà ora?" domandò il robot che sembrava semplicemente una giovane ragazza indifesa dall'animo gentile.

"Non lo so...Ma nulla di buono! Prevedo grossi guai all'orizzonte." replicò Lee, abbassando lo sguardo.

"Che facciamo?" chiese ancora Alisa, sempre più preoccupata.

"Nulla...Noi non possiamo fare assolutamente niente, siamo impotenti..." rispose Lars. "Solo una persona è forse in grado di fermarlo e in questo momento è in coma profondo alle nostre spalle." borbottò girandosi per osservare il nipote che vegetava da settimane su quel lettino, legato e sommerso da elettrodi.

Ma fu proprio nel momento in cui si voltò a guardarlo che si rese conto che i parametri vitali sullo schermo stavano cambiando.

"Lee...Lee, guarda!" esclamò avvicinandosi per osservare meglio.

"Non ci posso credere! Si sta risvegliando...Lars, raduna gli uomini! Non possiamo sapere come reagirà..."

Il capo della Violet System si affrettò ad attivare tutte le misure di sicurezza possibili. Se si stava risvegliando esattamente dopo il trionfo del padre era ovvio che quell'essere mostruoso che viveva dentro entrambi fosse in fermento. Pregando con tutto sé stesso che non susseguissero altre conseguenze catastrofiche, si strinse attorno a suoi alleati e osservò Jin Kazama sbarrare gli occhi con un sussulto... 
 

~


Sapeva che non era finita per davvero. Sapeva che una volta chiusa la faccenda con il suo odiato padre, ne aveva ancora altre due aperte: una col suo altrettanto detestato figlio. L'altra con quel mostro sbucato da chissà dove che millantava di essere stato mandato nientemeno che da sua madre Kazumi. Ed era consapevole della sua presenza silenziosa, ma letale e che si era goduto tutto lo spettacolo precedente. Fulmineo schivò il colpo lanciato alle sue spalle. Era da vigliacchi, ma anche in quella battaglia tutto sarebbe stato concesso.

"Immaginavo che non saresti rimasto morto al lungo..." commentò sprezzante.

"Non riposerò fino alla tua fine" rispose una familiare voce roca.

"Sarai tu a morire!" replicò Kazuya, riassumendo la forma demoniaca e scagliandosi contro il nemico.

Sarebbe stato uno scontro senza esclusione di colpi, ma mai in vita sua si era sentito così sicuro di sé e potente.

"Il mio potere è assoluto" affermò Akuma, senza darsi per vinto.

Ma era tutto inutile. Avrebbe potuto colpirlo con la forza di diecimila uomini che non sarebbe bastato. Era un avversario temibile e potente senza ombra di dubbio, ma non abbastanza per lui.

"Preparati!" urlò, pronto a scagliare l'ennesimo attacco.

Ma Kazuya non aveva paura, quel sentimento non aveva mai sfiorato il suo cuore da quando aveva venduto l'anima al diavolo.

"Sono io ad avere le redini" ribattè. "Questo posto sarà la tua tomba!"

Akuma venne colpito selvaggiamente e lanciato ovunque, ma ancora non cedeva. Era un osso duro.

"È finita! Adesso muori!"

Riuscì a sopravvivere miracolosamente al primo raggio d'energia che gli venne scagliato contro e barcollando si rimise in piedi nonostante i danni subiti.

"Cerco solamente il sangue della battaglia!" dichiarò, partendo nuovamente alla carica, incapace di darsi per vinto. "Fatti sotto, vieni da me come se ne dipendesse la tua vita" lo provocò.

Ma fu un errore. Non aveva ancora capito quanto potere il Gene del Diavolo potesse arrivare a sprigionare. Kazumi non avrebbe mai potuto prepararlo ad uno scontro del genere, nemmeno lei poteva immaginare cosa sarebbe diventato il suo amato figlio.

"Ti manderò dritto all'inferno!"

Accadde tutto in un attimo. Un fiotto accecante di luce viola scaturì da entrambi, ma uno fu di gran lunga più potente dell'altro. Più potente di qualsiasi altra cosa nell'universo intero. L'esplosione durò meno di un secondo, ma tanto bastò per rendere il corpo di Akuma un mucchietto fumante di cenere. Kazuya sorrise malignamente, contemplando il suo operato e rendendosi conto di quanto fosse diventato forte. Anche il secondo atto si era compiuto. Gli restava solo una cosa da fare e che stava rimandando da troppo tempo.

"Preparati Jin...Lo sento che sei vivo, ma ancora per poco...Tu sarai il prossimo..."
 

~


Note dell'autrice: capitolo aggiornato il 28/03/23 dopo essermi accorta di aver completamente dimenticato di riportare lo scontro finale da Kazuya e Akuma :') La vecchiaia mi gioca brutti scherzi. Bhe, ecco a voi il capitolo più noioso e banale che ci sia in versione aggiornata, ma giuro che sarà il primo e l'ultimo XD


 

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Capitolo 19
*** The Devil's Awakening ***


Occhi di ambra scrutavano il bianco luminoso dell'ambiente nel quale si trovavano, non riuscendo ad associarlo con nessuno dei ricordi stipati nella loro memoria. Era cosciente anche dell'azione più basilare, percepiva distintamente l'aria riempirgli i polmoni e uscire subito dopo, il sangue scorrergli nelle vene, le ossa pesargli nel corpo, il cuore battergli nel petto. Si sentiva rinato e totalmente estraneo alla realtà nella quale si trovava. Dov'era? Cos'era successo? L'unica cosa che riusciva a ricordare era lui che brancolava nel buio e la voce di Devil che lo annichiliva. Pensava di essere morto, ma si era reso conto che non era così, forse era finito in una specie di limbo...E ora dov'era? In paradiso? Impossibile, non avrebbe mai meritato di finirci.

Mano a mano che il suo cervello collegava i vari tasselli, si rendeva anche conto dell'ambiente che lo circondava: una stanza bianca senza finestre e poi monitor, computer, cavi...Fu quando provò a muoversi che si rese conto di indossare non solo una pesante camicia di forza, ma di essere legato ad un lettino dalla testa ai piedi.

"E così sei di nuovo tra noi!" esclamò una voce profonda, che proveniva dalla sua sinistra.

Quel tono gli era familiare e voltando il capo nella direzione da dove proveniva il suono si ritrovò di fronte tre individui altrettanto noti: il suo robot programmato per diventare una macchina da guerra con un semplice comando, un volto a lui ben noto della Tekken Force e suo zio. Rimase ad osservarli in silenzio, lasciando che la sua mente sbloccasse gradualmente tutti i suoi ricordi.

"Come ti senti?" chiese ancora Lars, con tono fermo.

Già, come si sentiva? Fisicamente bene, forse solo un po' interopidito. Mentalmente? Troppo presto per rispondere ad una tale domanda. Percepiva distintamente lo sguardo vigile dell'ex ufficiale puntato contro di lui in attesa che desse ulteriori segni di vita, probabilmente di un suo eventuale passo falso. Era ovvio che non si fidasse di lui e non poteva biasimarlo, ma sdraiato su quel letto poteva nuocere ben poco, visto che era legato dalla testa ai piedi da spesse cinture con fibbie enormi. Dal canto suo l'impazienza di Lars stava aumentando a livelli esponenziali, avido di risposte, spiegazioni, informazioni. Come aveva fatto a sopravvivere allo scontro con Azazel? Come era finito in Medio Oriente? Cosa c'era davvero dietro a tutta questa guerra? I come, i dove, i quando e i perchè? La frustrazione nel vedere il nipote non proferire parola mentre continuava a contemplare il soffitto lo stava divorando.

"Cos'è, il gatto ti ha mangiato la lingua?" commentò sarcastico, cercando di smuoverlo da quello stato di apatia.

"Lars, non essere irruento. D'altro canto il nostro caro Jin si è appena risvegliato da un lungo coma. Che ne sappiamo noi se ha avuto modo di riposarsi o meno?" replicò Lee, avvicinandosi al ragazzo con un sorriso beffardo.

E così c'era anche lui! C'era da aspettarselo. Chi se non il fratellastro di suo padre poteva essere in prima linea nel contrastare l'intera dinastia Mishima, nonostante gli dovesse la vita? Era un tipo strano Lee e Jin non era mai stato in grado di inquadrarlo a dovere: gli era per lo più indifferente, fin quando la Violet System non si era contrapposta alla Mishima Zaibatsu quando vi era a capo, per motivi a lui sconosciuti. Suo zio non era certo quello che si poteva definire un paladino della giustizia come Lars, sicuramente avrà avuto degli interessi da riscattare. Ben presto si rese conto che un terzo paio di occhi era intento a scrutarlo con impazienza e ancora più precisione, in quanto non umani: persino Alisa, il suo micidiale robot che lo aveva impunemente tradito era li in trepidazione. Boskonovitch aveva decisamente fallito nell'utilizzare il corpo della propria figlia come base per un androide spietato, quella maledetta coscienza latente gli era costata un prezioso alleato. Erano lì in tre e tutti volevano delle risposte da lui. Sì, ma su cosa? Non ricordava nulla di quanto accaduto e se anche ne fosse stato in grado non erano certo le persone giuste alle quali fare determinate confessioni. Eppure era inutile fingere e cercare di mantenere un tono di superiorità quando si era più inermi della pietra: erano loro ad avere il coltello dalla parte del manico.

"Che è successo?"

Il sopracciglio di Lars si alzò di sua spontanea iniziativa, dipingendo sul suo volto giovane un'espressione perplessa e allo stesso tempo corrucciata.

"Come sarebbe a dire che è successo?" replicò freddamente.

"Sarebbe a dire esattamente ciò che ho detto: cosa è successo?" fu la risposta secca di Jin, che ricambiò lo sguardo truce.

"Non provare a fare dell'ironia, altrimenti..."

"Lars, Lars, Lars..." lo interruppe Lee, appoggiandogli una mano sulla spalla. "Non vedi che è in evidente stato confusionale?"

"Affermativo. I suoi parametri vitali sono stabili, ma la sua attività cerebrale è lievemente confusa. É come se fosse affetto da amnesia, proprio come era successo a te dopo l'esplosione al laboratorio, Lars."

"Ti ricordi chi sei, ragazzo?" domandò il CEO della Violet System, squadrandolo da capo a piedi.

"So benissimo chi sono e chi siete voi! Non ho semplicemente idea di cosa sia successo negli ultimi..."

Già, negli ultimi? Giorni? Mesi? Anni? Quanto era rimasto intrappolato in quel limbo? Il tempo non passava mai e non aveva sinceramente idea di cosa fosse successo nel mentre nel mondo esterno.

"Tre mesi. Bhe in effetti ti sei perso un sacco di cose, vorrei poter dire piacevoli, ma purtroppo son tutt'altro."

Chissà perchè lo immaginava. Mentre lui lottava contro il suo demone nella dimensione onirica nel mondo reale erano successe cose terribili. Percepiva l'ansia e l'angoscia ben distintamente nell'aria e sapeva che tutto ciò era causato dalle conseguenze delle sue azioni.

"Che ne dici se ti sleghiamo da lì, ti sgranchisci un po' le gambe e ti spieghiamo tutto quanto davanti ad una bella tazza di tè caldo?"

"COS...Ti è forse andato di volta il cervello, Lee?" sbottò Lars, incredulo. "Vuoi che ci ammazzi tutti quanti?"

"Rilassati amico mio! Sono sicuro che il nostro Jin sia avido di informazioni a tal punto che non torcerebbe un capello a coloro che gliele possono fornire. D'altronde....Siamo tutti qui per merito suo, non è vero?"

Che diavolo gli prendeva? Si era rimbambito tutto d'un colpo?

"Dai, sul serio, non vorrai mica..."

"Ci troviamo all'interno del complesso della Violet System, che è di mia proprietà: se dovesse saltare per aria me ne assumerò la piena responsabilità." rispose l'uomo, passandosi elegantemente una mano tra le ciocche argentee.

"COME PUOI FIDARTI DI UNO COME LUI, NIPOTE DI HEIHACHI MISHIMA E FIGLIO DI..."

"Anche nelle tue vene scorre il sangue di Heihachi Mishima e so benissimo CHI ha messo al mondo Jin assieme a quella bestia di Kazuya. Guardie, slegatelo e lasciate che si alzi!"

Lars osservò incredulo il personale di Lee apprestarsi ad eseguire quegli ordini malsani, domandandosi cosa gli fosse preso tutto d'un colpo. Era convinto che fosse dalla sua parte e che odiasse Kazama tanto quanto lui, e invece eccolo li bello come il sole a slegarlo, fargli sgranchire le gambe e pure offrirgli il tè!

"Cosa significa tutto questo?" sibilò lo svedese, trascinando Lee in un angolo della stanza.

"Rilassati, mio caro! Possiamo fidarci!" replicò soave.

"Possiamo fidarci? Ti rendi conto che stai trattando come il migliore degli ospiti il peggiore dei criminali? Questo ha sparso sangue per quasi un anno in tutto il mondo e tu lo tratti da principe?"

"Lars..." rispose il cinese, inchiodandolo con sguardo fermo e deciso. "Non credere che mi sia bevuto il cervello! Lo so che hai ragione, lo so cosa ha combinato e credimi, sono il primo che gliela vuole far pagare. Ma è l'unico al mondo in grado di risolvere il guaio che ha combinato e mandare all'altro mondo quel demonio di nostro fratello. Non ci farà del male. Nelle sue vene scorrerà anche il sangue dei Mishima, ma è stato cresciuto da una Kazama e credimi, non hai idea di quanto pesi il cognome che porta. Fidati di me!"

L'ex ufficiale rimase muto a soppesare parola per parola. Che Jin fosse l'unico candidato a distruggere quella maledetta dinastia era un dato di fatto, solo che nel provarci aveva raso al suolo mezzo mondo e distrutto un numero inaccettabile di vite umane innocenti. Cosa importava ora il suo cognome? Lee era un tipo eccentrico e incline a stringere legami sbagliati, ma fino a che punto? Tuttavia non aveva molta altra scelta e decise di affidarsi a quello che sperava essere buonsenso. Osservò con sguardo grave il giovane dai capelli corvini rialzarsi e muovere i primi passi incerti, come un bimbo che impara a camminare. C'era un non so che di innocente in lui, anche se il suo passato diceva tutto il contrario. Ma di fatto quanto mai avrebbe potuto rimanere puro di cuore colui che era nato sotto il segno del diavolo?

"Preferisci un classico tè verde giapponese, o sei più un tipo da Earl Grey?" domandò Lee al nipote.

"Falla finita, Lee!" rispose secco Jin, roteando le spalle nel tentativo di sciogliere i nodi di tensione accumulati.

"Oh come siamo scorbutici! Un buon tè non si rifiuta mai, anche se a questo punto credo sia meglio una camomilla!"

"Invece che perdere tempo in convenevoli sarebbe meglio che mi spiegaste che cosa sta succedendo!" rincarò la dose, sempre più impaziente di conoscere la verità.

"Ogni cosa a suo tempo ragazzo, inoltre non si tratta di una storiella riassumibile in cinque minuti, se permetti vorrei mettermi comodo! Piantala di fare storie, qui siamo tutti sulla stessa barca ormai."

Il giovane Kazama non rispose, si limitò a continuare a sciogliere i muscoli intorpiditi dal coma. Cercava di mantenere un'espressione neutrale, ma probabilmente con scarsi risultati perchè dentro di lui ribolliva la smania di sapere tutto e subito. Eppure Lee aveva ragione: aveva bisogno di loro e probabilmente avrebbe anche dovuto scendere a compromessi: non avrebbe mai immaginato che il suo piano fallisse e di ritrovarsi in una simile situazione, a tal punto di doversi alleare con coloro che l'avevano ostacolato. Non li odiava in verità, non avrebbe voluto far loro del male, ma chiunque si fosse contrapposto tra lui e il suo obbiettivo sarebbe diventato automaticamente un nemico, un ostacolo da eliminare. L'uniche persone per le quali avesse davvero provato odio erano suo padre, suo nonno, Ogre e Devil. Non avrebbe mai voluto che la malvagità vivesse dentro di lui, anche se quest'ultima avrebbe potuto conferirgli poteri enormi. In quel momento ad interrompere la sua fiumana di pensieri fu una cameriera che fece il suo ingresso nella stanza spingendo un enorme carrello in argento, con tazze di tè fumante e pasticcini di ogni sorta. Non potè fare a meno di alzare gli occhi al cielo di fronte a quell'ennesima manifestazione di eccentricità.

"Molto bene, accomodati e serviti pure. Non mangi cibo solido da mesi, dovrai essere affamato..." cinguettò il cinese, sprofondando nella sua poltrona di pelle.

"Non ho fame." rispose secco Jin, iniziando a spazientirsi.

Quanto ancora dovevano tirarla per le lunghe?

"Bah, non sai cosa ti perdi. Comunque...Sei pronto?"

Lo sguardo truce che ricevette come risposta fu l'incentivo a smetterla di stuzzicarlo e venire al dunque.

"Mi duole dover iniziare iniziare con una domanda, ma è necessaria! Qual è il tuo ultimo ricordo?"

Il suo ultimo ricordo. Jin aggrottò le sopracciglia, frugando tra i suoi pensieri nella speranza di trovarvi una risposta precisa.

"Io che affronto Azazel. Che gli corro incontro mentre mi attacca e che gli sferro un pugno nel petto fino a farlo cadere nella voragine dalla quale era sbucato."

"Quindi quello che ci ha riferito Lars. Molto bene!" rispose Lee, soffiando sulla tazza. "Bhe ragazzo, sono spiacente, ma su che fine tu abbia fatto dopo quell'episodio o di cosa tu abbia combinato subito dopo, è un mistero anche per noi!"

"E allora perchè dovete farmi perdere del tempo?" sibilò di rimando Jin.

A che gioco stavano giocando?

"Il nostro racconto inizia un paio di mesi dopo l'accaduto quando il nostro Lars ti ha trovato moribondo in quel mercato in Medio Oriente. Ti ricordi di questo episodio?"

Medio Oriente? E come ci era finito? Scosse la testa amareggiato nel constatare quanti buchi nella memoria stesse riscontrando.

"Immaginavo. Bhe, tutto è cominciato una settimana dopo la tua presunta scomparsa: sebbene tu fossi sparito in quel dirupo col mostro appresso nessuno di noi in cuor suo credeva che tu fossi morto per davvero. C'era veramente troppa calma nell'aria, persino la G Corporation era rimasta buona nell'ombra, probabilmente aspettando il tuo ritorno. E dato che fidarsi è bene e non fidarsi è meglio, Raven, in accordo con Lars, aveva deciso di inviare delle truppe nel deserto per cercarti."

Raven? Quella spia cosa c'entrava con lui ora?

"Le ricerche si estesero a macchia d'olio: per una decina di giorni si rivelarono infruttuose, ma poi un soldato fece rapporto, riferendo di averti trovato mezzo seppellito tra le dune. Raven sopraggiunse per controllare ed effettivamente eri proprio tu. Diede l'ordine di recuperarti, se non che hai ben pensato, o quel mostro dentro di te, di sterminare quegli uomini innocenti e di sparire di nuovo chissà dove."

Il ragazzo sbarrò gli occhi inorridito, al pensiero di aver continuato a mietere vittime anche dopo aver distrutto Azazel. Perchè non era semplicemente finito a bruciare all'inferno?

"Ah già, e prima hai fatto anche saltare per aria un elicottero perchè il mostriciattolo ha fatto le bizze. Comunque sia..."

Il cinese si bloccò un attimo per godersi l'espressione terrificata del ragazzo: non era da lui essere così cinico e sprezzante e detestava fare ironia sulla morte di quelle persone, ma se voleva far leva sul quel briciolo di umanità e compassione che sperava che Jin avesse ancora doveva usare le maniere forti.

"Avendo scatenato un bel putiferio non sei certamente passato inosservato agli occhi della Tekken Force, che, per inciso, era tornata quasi subito sotto il controllo del tuo caro nonnino. Non c'è voluto molto prima che ti scovassero barcollante e malconcio in un mercato in Medio Oriente. Ma per tua fortuna il nostro Lars è stato più sveglio e bravo di loro ed è riuscito a salvarti e portarti qui al sicuro."

Jin alzò lo sguardo e per la prima volta dal suo risveglio incrociò quello dello zio. Lo svedese, dal canto suo, cercò di non fulminarlo, ma l'ostilità che nutriva nei suoi confronti traspariva palesemente dalle sue iridi.

"Come ben saprai, il vecchio Heihachi era un osso duro, non gli piaceva perdere e ancor meno che gli si intralciassero i piani. Quindi non si era dato per vinto e aveva spedito tutta l'artiglieria per cercare di recuperarti."

"E....?"

"Bhe, sei qui con noi! Quindi oserei dire che ha fallito di nuovo. Anche se ci ho rimesso la sede principale della Violet System."

"Quando dici "era"...Intendi che..."

"Heihachi è morto. Tu padre Kazuya è riuscito a farlo definitivamente fuori."

No, non poteva essere. Non era una sofferenza il fatto che quel maledetto tiranno fosse finalmente finito una volta per tutte all'altro mondo, ma era terribilmente angosciante il fatto che Kazuya avesse avuto la meglio: suo nonno era pericoloso, certo, probabilmente l'essere umano più forte mai esistito sulla faccia della terra. Ma suo padre era cento volte più letale, perchè condivideva con lui la medesima maledizione che aveva fatto scoppiare quel disastro. Con la sola e sostanziale differenza che con essa ci viveva perfettamente in una devastante sintonia.

"Inutile farti presente come questo epilogo della vostra faida famigliare sia incredibilmente grave per tutti noi. Kazuya non si fermerà più davanti a niente e nessuno, finchè non avrà ottenuto ciò che vuole, ossia dominare sul mondo intero. E siamo tutti abbastanza convinti e sicuri che in questo momento si senta più potente che mai, a tal punto che la sua parte di Gene del Diavolo sia talmente prorompente da aver risvegliato anche la tua, facendoti uscire dal coma."

Jin rimase in silenzio a riflettere su quella spaventosa conclusione. Tutto aveva senso, in effetti. Non poteva essere una mera coincidenza che il suo risveglio corrispondesse alla caduta di Heihachi e il trionfo di Kazuya. E adesso? Se pensava di aver affrontato un problema insormontabile con Azazel, questo si stava rivelando di gran lunga più ostico. Forse però poteva essere veramente la chiave per chiudere quella faccenda una volta per tutte. Gli tornarono alla mente le parole di Devil, quando si definiva vecchio come la Terra: eppue un modo per sconfiggerlo doveva esserci! Il modo più drastico non aveva comunque funzionato, forse la chiave per distruggerlo era imboccare tutt'altro percorso: per debellarlo aveva scatenato guerre, sparso sangue, stroncato vite, generato caos e dolore, il tutto per dargli una forma materiale da affrontare e sconfiggere. Ma se fosse stato fuori strada fin dal principio? Se l'unico modo per liberarsene fosse con la pace e non con la guerra?

Già, la pace! Quella che aveva sempre sognato, ma che oggettivamente parlando non aveva mai fatto nulla di realmente concreto per riprestinarla, o per lo meno, niente di convenzionale. Come poteva sperare di ottenere la pace e cancellare il male, provocandone sempre di più? Improvvisamente si rese conto di quanto fosse stato stupido da abboccare ai suggerimenti che Devil gli sussurrava subdolo nella testa. Già, per la prima volta in vita sua Jin Kazama doveva arrendersi all'idea che non poteva farcela da solo. Ovvio, Kazuya era spietato, malvagio e letteralmente indemoniato e non si poteva certo pensare che avrebbe accettato una resa con fiori e trattati di pace. Ma era anche vero che aveva bisogno dell'aiuto di persone che per il bene avevano sempre combattuto fino allo stremo.

Lars, Alisa e Lee notarono la sua espressione corrucciata, domandandosi cosa gli stesse passando per la testa. Ma fu proprio l'astuto cinese ad avere l'illuminazione al momento giusto.

"Venite con me. Sì, anche tu, Jin! Te la senti di camminare?"

Il moro rimase stupito da quella richiesta, così come le altre persone presenti nella stanza, ma accettò: aveva decisamente bisogno di sgranchire le gambe e la curiosità lo stava divorando.

"Dopo di te..." sibilò Lars, invitandolo ad avanzare con fare minaccioso.

Jin non battè ciglio. Pur avendo a sua volta sangue Mishima nelle vene, era in grado di stenderlo in pochi e semplici mosse, ma non era decisamente il caso. Il quartettò si diresse lungo un corridoio illuminato da luci fredde e asettiche dei neon appesi sui soffitti, fin quando non si trovarono di fronte ad una parete in acciaio. Per Lee fu semplice aprirla con uno scanner di impronte digitali e retina, rivelando un'immensa terrazza che si affacciava sulla città. E una volta varcata la soglia, lo sguardo apparentemente calmo di Jin si tramutò in men che non si dica in un'espressione di orrore. Tokyo, la sua città, era ridotta ad un campo di battaglia. Una sinistra luce rossastra illuminava macerie fumanti e ponti devastati, mentre la polvere saturava l'aria e la rendeva quasi irrespirabile. Quando era successo? Cosa era successo? Se non altro il piano di Lee aveva funzionato, mettendo davanti Jin all'orrore conseguito dalle sue azioni erano riusciti letteralmente ad aprirgli gli occhi.

Lars si avvicinò alla balaustra del palazzo e osservò l'orizzonte devastato, sentendo il sangue che tanto odiava ribollirgli nelle vene.

"Sembra proprio che la G Corp non abbia intenzione di finire la guerra." esclamò Lee, avvicinandosi allo svedese.

"Sì, diverse regioni stanno subendo invasioni! Le cose non si mettono bene..." Replicò Alisa.

"Questo è il mondo senza Heihachi, Jin..." dichiarò Lars, girandosi lentamente verso il suo interlocutore. "Tu sei colui che ha spedito questo mondo all'inferno, quindi ora spetta a te riportarlo indietro!"

E mai parole furono più vere. Sapeva che il suo zio acquisito aveva perfettamente ragione, sapeva che era ora di prendersi le sue responsabilità e che era giunto il momento di estirpare il male alla vera radice.

"Non c'è nessun'altro..." replicò avanzando verso di loro con passo deciso e voce ferma. "Sì, dipende tutto da me! Il sangue del diavolo mi scorre nelle vene..." mormorò alzando lentamente il palmo della mano, prima di stringerlo forte in un pugno, più furioso e determinato che mai a sistemare le cose e farla finita una volta per tutte. "...Quindi spetta a me uccidere Kazuya!"

Dei sinistri segni tribali neri gli comparvero sul viso, segno che la vera guerra era appena iniziata.




Note dell'autrice: ciao a tutti! Sì, come al solito passa una vita e mezzo tra un capitolo e l'altro, Harada nel mentre ha pure annunciato Tekken 8, ci sono già i trailer e presto questa storia che ho in mente dal 2017 non avrà più un briciolo di senso, perchè tutti i miei sogni di gloria verranno uccisi, lol. Pazienza. Spero che apprezzerete in ogni caso. A presto :)

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Capitolo 20
*** Homebound ***


L'aria insistente e frizzantina le solleticava il viso e le faceva lacrimare gli occhi. L'Irlanda non era certo nota per il suo clima mite, tutt'altro. Un rombo di tuono in lontananza e grossi nuvoloni grigio fumo facevano presagire l'imminente arrivo di un temporale in piena regola. Ma lei continuava a scrutare l'orizzonte dall'alto del dirupo sul quale si trovava, osservando le onde infrangersi contro le scogliere di Sliabh Liag. Il vento gelido cercava in tutti i modi di infilarsi in ogni anfratto e sotto ogni vestito, ma stretta nel suo cappotto di lana e colbacco di pelo tutto sommato stava bene. Le piaceva quel posto, nonostante il clima ostile: lasciava correre la mente a briglie sciolte e per un attimo si scordava di essere nella situazione nella quale si trovava. Quei prati verdi e acque blu le ricordavano l'infanzia, i bei momenti felici e spensierati passati assieme ai genitori e in particolare al suo amato papà. Ma lei era veramente mai stata davvero spensierata, o quell'ombra oscura nella sua anima era presente fin dalla nascita? Forse solo nel breve periodo passato da figlia unica, prima che la sua tanto odiata sorella venisse al mondo e stravolgesse quella che era la sua esistenza perfetta. Un lampo rischiarò il cielo a giorno, seguito da un boato fragoroso e ciò la convinse a rincasare. Sospirando pesantemente volse un ultimo sguardo al paesaggio prima di correre verso la macchina che aveva lasciato a valle. Non le andava tanto di guidare lungo quelle stradine con la pioggia battente, ora privata da quella visione bucolica aveva solo voglia di sdraiarsi sul divano davanti al camino con un buon libro e una tazza di tè. Una fitta alla pancia la fece sussultare.

"Sì, d'accordo, mangerò anche qualcosa!"  esclamò tra sé e sé.

Fortunatamente il viaggio fino al piccolo paesino di Carrick richiedeva poco più di una decina di minuti e tutto sommato non le dispiaceva guidare nel silenzio di una strada praticamente priva di traffico. Il villaggio di poche anime infatti che sorgeva nella contea settentrionale del Donegal, noto agli autoctoni come An Charraigh, ed era proprio il luogo perfetto dove rifugiarsi quando ci si trovava su diversi schedari della polizia. Le poche anime che vi risiedevano, pur conoscendosi tutte tra loro, tendevano molto a guardare al proprio orticello e pensare ai fatti propri. Inoltre era dicembre inoltrato, e quel poco di turismo che animava le strade era tutto concentrato nei mesi estivi. Non correva nessun pericolo, mancava dalla terra natia da più di vent'anni, nessuno si sarebbe ricordato di lei, né l'avrebbero mai riconosciuta. Non aveva destato sospetto nemmeno il fatto che si fosse stabilita nella villa appartenuta alla famiglia Williams, dove solitamente passavano le vacanze e festività, dato che al signor Richard piaceva molto andare a caccia e portarsi dietro la figlia più grande e la moglie era nata proprio in quel minuscolo centro urbano. Ma i coniugi Richard e Heather Williams erano morti da molto tempo, e delle due figlie ormai quarantenni si era persa ogni traccia. Nessuno avrebbe sospettato di lei, presentatasi come Agatha Walsh e l'aspetto da ventenne. Nessuno avrebbe fatto domande. Lì erano al sicuro.

Varcò l'imponente porta in legno d'ebano, chiudendosela alle spalle con un sospiro. Il tepore all'interno era piacevolissimo, grazie all'enorme camino al centro del salotto, dove le fiamme scoppiettavano vivaci. Alzò gli occhi al cielo, constatando che era uscito di nuovo senza spegnere il fuoco e si appuntò mentalmente di fargli una bella lavata di capo una volta rientrato. Ma in quel momento era sola e voleva godersi un po' di pace e tranquillità che da un mesetto ormai caratterizzavano le sue giornate. Era passata da una vita frenetica e pericolosa, sempre condotta sul filo del rasoio alla calma piatta e monotona, ma d'altronde che altro poteva fare? Doveva semplicemente accettare il cambiamento e prepararsi a quello che il destino le aveva subdolamente riservato. Se non avesse intrapreso questo sentiero, l'unica altra opzione plausibile sarebbe stata molto probabilmente la morte. A passi lenti e misurati si diresse verso la cucina per prepararsi un tè caldo, prima di coricarsi sul divano. Buttó distrattamente l'occhio fuori dalla finestra e constatò che aveva iniziato a piovere copiosamente. Forse la neve avrebbe presto preso il posto della pioggia, rendendo il villaggio ancora più inaccessibile: era necessario fare scorte di provviste il prima possibile, non voleva certo rimanere a corto di viveri con metri di neve attorno, oltre al fatto che meno si esponeva in pubblico e meglio era.

"Ad un certo punto sarà inevitabile..." constatò amaramente tra sé e sé.

Esausta anche dal dolce far niente si lasciò cadere sul soffice divano posto davanti al focolare. Recuperò il libro che aveva lasciato sul tavolino da caffè e sorseggiando la bevanda bollente riprese la lettura da dove l'aveva interrotta. "Cime Tempestose" non era propriamente il suo genere letterario preferito, ma avendo un sacco di tempo libero a disposizione e l'enorme biblioteca lasciata in eredità da sua madre che troneggiava su quasi ogni parete dell'immenso salone, aveva deciso di leggere quanti più volumi possibili per mantenere la mente occupata e allentata. Che peccato che i vecchi tomi di suo padre fossero rimasti nella loro villa a Dublino, che trattavano temi a lei più congeniali, come la caccia, la guerra, o le armi, ma visto che si trovava nella tenuta estiva della sua famiglia, sua madre non avrebbe mai e poi mai permesso al coniuge di portarsi dietro il lavoro anche durante le vacanze. Sorrise leggermente al ricordo dei battibecchi dei genitori a riguardo, dove nonostante l'autorità di suo padre, era sempre sua madre ad avere la meglio. Ma dietro a quei litigi c'era semplicemente una donna che si occupava di tirare su le figlie come meglio poteva quando il consorte mancava da casa per mesi per poterle mantenere e un uomo che amava le sue donne con tutte le sue forze, a cui non aveva mai fatto mancare nulla e che aveva sempre cercato di proteggere, finendo poi col rimetterci la sua stessa vita. Erano genitori severi Richard e Heather Williams. Severi, ma giusti e amorevoli, con un forte senso della famiglia. Erano coniugi rispettati da tutti, nonostante il lavoro di Richard, perché chiunque si imbattesse in loro riusciva a cogliere l'autorità di cui trasudava ogni loro azione e parola. Ma sarebbero stati fieri delle loro figlie? Nonostante i suoi tentativi di compiacere suo padre, aveva fatto davvero tutto il possibile per onorare la sua memoria ogni giorno?

La fiumana di pensieri venne interrotta dal suono di una chiave che girava nella serratura, seguito poi da passi pesanti e sbuffi.

"Hai lasciato di nuovo il camino acceso! Quante volte ti devo dire di spegnerlo quando esci? Vuoi dare fuoco a casa?" esclamò scocciata la bionda alla persona che era appena entrata.

"Uffff, scusa Nina, hai ragione, è che ero veramente di fretta. Sta piovendo da matti e dovevo assolutamente andare ad ordinare la legna e fare scorta di alimenti in scatola." replicò desolato il ragazzo, sedendosi sull'altro divano cercando di scaldarsi. "Inoltre si congela...Temo proprio che la neve arriverà presto, fortuna che la legna ci verrà recapitata in qualche giorno."

Nina non rispose, si limitò ad annuire e a scorrere distrattamente le pagine di cui alla fine non stava più leggendo nulla.

"Lettura impegnativa?" domandò il biondo, stiracchiandosi pigramente.

"Mh." mugugnò la donna.

Nonostante il rapporto tra i due fosse notevolmente migliorato, non si poteva certo dire che la donna fosse una di molte parole.

"Hai mangiato qualcosa?"

"No, mi sono fatta del tè. Di la c'è n'è ancora, se vuoi!" rispose secca.

"Come no?? E non hai fame??? Lo sai che devi mangiare per due!"

Nina alzò gli occhi al cielo, davanti all'ennesimo promemoria della sua attuale condizione. Era vero, doveva nutrire anche l'esserino che aveva dentro la pancia, e non aveva voglia di farsi riprendere né da suo figlio coetaneo, né tanto meno dalla ginecologa che l'aveva visitata e sonoramente rimproverata di non prendersi abbastanza cura della sua gravidanza.

"Sì, sì, lo so, non darmi però il tormento!"

"Devi essere in forze per entrambi, te l'ha detto anche la dottoressa! Quando hai il prossimo controllo?"

Quanto odiava quei terzi gradi.

"Tra tre settimane."

"A maggior ragione, allora! Dai, cucino qualcosa io! Di cosa hai voglia?"

Era inutile cercare di persuaderlo, era talmente entusiasta di aver riallacciato i rapporti con la madre biologica che avrebbe fatto di tutto per lei e per il feto che portava in grembo, nonché il fratellino, o sorellina che aveva sempre tanto desiderato avere. Poteva fare la scontrosa quanto le pareva, ma sapeva che in fondo si era affezionata a lui e gli era grata per averla aiutata a scappare dal Giappone e rifugiarsi in terra natia.

"Pollo thai." rispose senza pensarci due volte.

"Di nuovo? Come fanno a non darti fastidio tutte quelle spezie??"

Il sopracciglio alzato fu una risposta eloquente.

"Ma se volete il pollo thai, pollo thai sarà. Vado!" replicò velocemente il pugile dirigendosi verso la cucina.

"Steve!" lo fermò a metà strada.

"Si??" rispose prontamente l'altro.

"Grazie." e tornò a concentrarsi sulle pagine del libro.

L'uomo sorrise. Sua madre era veramente un osso duro, ma non gli importava: non l'avrebbe persa un'altra volta. Non poteva permetterselo, soprattutto perché nonostante i suoi silenzi, musi lunghi e grugniti aveva capito che di lui si poteva fidare e che nonostante avesse condannato la sua relazione con quell'uomo spietato quale era Kazama le sarebbe comunque stato accanto. Mentre cucinava si domandò distrattamente cosa ne sarebbe stato di quel bambino che portava in grembo se solo il suo vero padre, ammesso che fosse ancora vivo, avesse scoperto della sua esistenza. A detta di Nina, Jin in realtà era una persona amorevole e sensibile che doveva convivere con la sua terribile maledizione, ma Steve dubitava fortemente che avesse nei progetti futuri quello di mettere su famiglia, anzi...Non vedeva l'ora di estinguere la sua razza dalla faccia del pianeta. Era stato un bene che sua madre avesse accettato la sua idea di tornare in Irlanda, dove tutto sommato la vita andava ancora avanti, nonostante la guerra fosse ormai su scala mondiale e di cominciare una nuova vita, per quanto fosse loro possibile. La vecchia casa dei suoi nonni era il posto perfetto per nascondersi, dal momento che il primo centro abitato di larga scala era a quasi un'ora di macchina. Si erano presentati come fratello e sorella alla piccola comunità di Carrick e data la loro somiglianza impressionante nessuno stentava a crederci. Forse potevano avere un futuro in quel paesello sperduto. Ma tutto sommato a lui andava bene così, indipendentemente da quanto sarebbe durato tutto ciò, sentiva che finalmente aveva una famiglia nella quale stare e di cui prendersi cura.

"Wow, che profumino!" commentò la bionda, varcando la soglia della cucina. 

Si accomodò al piccolo tavolo nell'angolo della stanza, osservando le grosse gocce di pioggia infrangersi sul vetro e scivolare via, con una mano chiusa a pugno sotto al mento. Pur sfoggiando un aspetto malinconico rimaneva sempre e comunque di una bellezza disarmante. Nonostante fosse entrata nel secondo trimestre e lei fosse sempre stata longilinea il pancione si vedeva appena: Steve era preoccupato per la salute del nascituro, a volte le sembrava che sua madre non stesse affrontando la gravidanza con serietà, ma d'altronde poteva biasimarla dopo tutto ciò che le era capitato? Al prossimo controllo avrebbero inoltre scoperto il sesso del nascituro, eppure casa loro non era ancora minimamente attrezzata per accogliere un neonato. "Ci penserò a tempo debito." continuava a ripetere la bionda ogni volta che il pugile glielo faceva notare: ormai aveva deciso di rinunciare e assecondarla, lasciandola quanto più tranquilla possibile, ma cercando comunque di tenerla in riga. 
 
"Spero sia venuto bene. Dimmi basta." esordì Steve, riempiendo il piatto per la madre con un'abbondante porzione di riso e pollo. 
 
"Troppo!" rispose la bionda quando si trovò la pietanza davanti.
 
"Nina..."
 
"Steve!"
 
"Dai, per favore. Al massimo lo lasci li se proprio non te la senti, ma non puoi continuare a mangiare come un uccellino."
 
Alzando gli occhi al cielo l'altra decise di non ribattere per quieto vivere, si limitò ad affondare la forchetta nel cibo e soffiarvi sopra leggermente per non scottarsi. Iniziò a masticare lentamente osservando un punto indefinito sulla tovaglia a scacchi. Consumarono il pranzo in un silenzio rotto solo dal rumore delle posate contro la porcellana dei piatti. Il sapore era buono, Steve era abituato a cucinarsi i pasti da solo, soprattutto perchè Paul e Law con i quali aveva condiviso un appartamento, erano due disastri ai fornelli nonostante uno fosse figlio di un cuoco, ma Nina era una donna da palato fine, abituata a caviale e champagne e chissà quali pietanze prelibate che le venivano servite tutti i giorni alla Mishima Zaibatsu.
 
"É così terribile?" chiese timidamente per rompere il silenzio, notando come la madre stesse attaccando controvoglia gli ultimi bocconi.
 
Nina non rispose, si limitò a finire quello che era rimasto, prima di versarsi un bicchiere d'acqua, bere lentamente e infine alzarsi da tavola. Niente, quel giorno non era di tante parole. Rassegnato Steve si alzò a sua volta a testa bassa per sparecchiare, iniziando a raccogliere le stoviglie. Aprì l'acqua nel lavandino, aspettando che si scaldasse, quando girandosi si ritrovò la bionda porgergli la pila di piatti e posate. La tovaglia e i tovaglioli erano già stati ripiegati a regola d'arte. 
 
"Era delizioso." rispose accennando un sorriso, prima di congedarsi dalla cucina.
 
Il pugile rimase lì impalato con i piatti in mano. Sua madre era per certo la persona più imprevedibile che avesse mai conosciuto, nessuna sorpresa che fosse un'assassina così letale. Ma killer o no, rimaneva pur sempre sua madre, che comunque stava facendo enormi progressi nel migliorare il loro rapporto, anche se non sembrava. E lui, nonostante tutto, sentiva di volerle davvero, davvero bene. 
 


Note dell'autrice: salve a tutti? Ho già aggiornato, incredibile, no? In realtà devo essere sincera, l'annuncio di Tekken 8 mi ha dato la scossa che mi serviva per riprendere in mano questa storia (ecco, l'ho gufata). Cercherò in tutti modi di completarla e pubblicarla prima dell'uscita del gioco, soprattutto perchè mi sono accorta di aver perso un trailer e sono impazzita nel notare che certe scene sono esattamente come le avevo immaginate, quindi è bene che mi dia una mossa se voglio mantenere questa storia quanto più originale possibile (e con un minimo di senso, è stato bello sperare, lol). In base alla scaletta mi mancherebbero circa 7 capitoli da buttare giù, che probabilmente diventeranno 8/9. Quando mi metto a scrivere lascio che la mia mente e le mie dita diventino un tutt'uno e spesso esco fuori dai binari del piano originale, finendo per aggiungere e/o cambiare idee. Inoltre sono capitoli piuttosto difficili perchè si entra nel vivo dell'azione, perciò non so davvero che direzione prenderò. Ad ogni modo spero che questa storia piaccia a chi la legge, o che quantomeno la trovi un minimo originale. Ieri sera inoltre ho visto l'annuncio di Nina in Tekken 8 e pur essendo felicissima della sua conferma (sebbene fosse scontata), mi ha lasciato un po' con l'amaro in bocca. Spero che lei e Jin possano avere interazioni e che Tekken 6/inizio Tekken 7 non rimangano una parentesi. Detto questo, vi rimando al prossimo capitolo, che probabilmente arriverà nel giro di breve visto che ora sto scrivendo col proverbiale "pepe al cu...sedere" XD A presto!!!

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Capitolo 21
*** Intels ***


Sembrava fosse questione di poche ore prima che la nazione e poi il mondo intero venisse raso al suolo dalla furia distruttiva di Devil Kazuya, eppure dopo il feroce scontro con il misterioso guerriero Akuma un’insolita, nonché preoccupante quiete aveva iniziato a palesarsi. Tutti si aspettavano che ovviamente fosse la brevissima calma prima della tempesta, eppure si stava prolungando da diverse settimane. La gente nonostante fosse spaventata e profondamente provata dalla guerra e dalla distruzione aveva quasi rincominciato a sperare che tutti gli orrori fossero finalmente finiti. La G. Corp stessa si stava adoperando per aiutare la popolazione a ricostruire gli edifici crollati, dare un rifugio a chi era rimasto sfollato e sfamando tutte le bocche bisognose di cibo. Un cauto ottimismo aleggiava beffardo su un paese allo stremo delle forze ed ogni forma di aiuto era bene accetta, indipendentemente da chi provenisse.

Heihachi era morto per davvero e i poteri demoniaci di Kazuya avevano raggiunto lo stadio più elevato di sempre. Lo scontro con Akuma era stato devastante, eppure l’aver finalmente ucciso il tanto odiato padre era riuscito a conferirgli una forza e una stamina mai viste prima. Non era riuscito a scoprire il perché sua madre Kazumi lo avesse ingaggiato come sicario per sterminare la sua famiglia, ma poco gli importava. Le ultime parole dell’avversario prima di soccombere definitivamente ancora risuonavano nella testa di Kazuya…

“Il tuo potere non sarà mai degno degli Hachijō…”

Inizialmente quella frase aveva instillato in lui una certa curiosità, ma poi si era reso conto che se quell’affermazione fosse stata veritiera, sua madre non sarebbe stata uccisa così facilmente da suo padre. Avrebbe lottato e sicuramente sarebbe stata lei ad avere la meglio, perciò non si era fatto scrupoli nell’eliminare il penultimo avversario. Penultimo, già...Perché ne mancava ancora uno. L’ultimo Mishima sapeva che suo figlio era vivo ed era li fuori da qualche parte. Il suo obiettivo di recuperare la parte di Gene del Diavolo di Jin era ancora il suo chiodo fisso, ma ormai non aveva fretta: sapeva che il prima o poi, mosso dal desiderio di eradicare la loro razza dal mondo, sarebbe stato proprio suo lui stesso a farsi avanti. Per il momento si godeva la vittoria, osservando come la città faticosamente rinasceva dalle ceneri. Naturalmente non gli importava niente di quei insignificanti esseri umani e dei loro bisogni, ma sapeva giocare bene le sue carte. La sua immagine di benefattore gli era tornata utile in svariate occasioni e non vedeva l’ora di assumere il pieno controllo sull’intero pianeta per dare inizio al suo regno di terrore. Del resto un tiranno valeva l’altro e dopo le dittature di Jin e Heihachi chiunque avrebbe accolto come una benedizione qualsiasi altra alternativa. Sorrise malignamente, incrociando le braccia mentre continuava ad ammirare il suo dominio incontrastato. L’occhio rosso scintillava come un rubino di luce malvagia. La vittoria aveva un sapore dolcissimo…

“So che sei vivo, Jin… Fatti sotto… Tuo padre ti sta aspettando!”

~

 

A svariati kilometri di distanza gli occupanti della Violet System erano ben consci che quella rinascita era una messa in scena a regola d’arte, ma decisero di temporeggiare e rimanere ancora nell’ombra: Jin era ancora troppo debole e non sarebbe mai sopravvissuto ad uno scontro contro suo padre. Grossa parte dei suoi poteri erano andati persi durante la battaglia con Azazel ed ora il gene era altamente instabile in lui: riusciva a gestirlo meglio, ma si sentiva infinitamente più vulnerabile. Lars e Lee erano molto preoccupati: il giovane Kazama era il solo al mondo anche solo vagamente in grado di sconfiggere Kazuya e se non si fosse ripreso in fretta sarebbero stati guai. Non erano certi che quella calma sarebbe durata a lungo. Jin si allenava fino allo stremo tutti i giorni per ore e ore, sottoponendo il suo corpo a sforzi inumani, eppure non stava ottenendo risultati concreti: come era possibile che per tutta la durata del coma Devil non avesse fatto altro che annichilirlo e ora sembrava essere andato in letargo? L’unica testimonianza della sua presenza era il tatuaggio impresso sul braccio sinistro, che però aveva cominciato a sbiadire. D’altronde cosa mai ci si poteva aspettare da un’entità del genere? Jin aveva completamente fallito la sua missione, aveva scatenato una guerra di dimensioni epocali, non era riuscito ad eradicare il Gene del Diavolo e non solo non era morto nel tentativo, ma ne era persino uscito indebolito. Frustrato e demotivato come non mai distrusse con un solo pugno quello che era probabilmente il quarantesimo Combot messogli a disposizione durante l’allenamento quotidiano. Suo padre aveva ragione, la sua esistenza non aveva senso.

“Dovresti darti una calmata, ragazzo mio. Se continui così non riusciremo a stare al passo con la costruzione dei Combot e rimarrai senza nel giro di due giorni.” commentò Lee entrando nella stanza col suo solito fare baldanzoso, che a Jin dava oltremodo sui nervi.

“Non sono abbastanza forti...Non sono abbastanza forte!” replicò il ragazzo, asciugandosi il sudore dalla fronte con un asciugamano.

“Questa non è una scusa per sprecare anni e anni di risorse di magazzino. La forza ti tornerà, e, permettermi di ricordarti, che in un tale stato mentale non andrai da nessuna parte. Quella vera ti viene da dentro!”

Jin alzò gli occhi al cielo dinnanzi a quell’affermazione tanto scontata, quanto fastidiosa.

“É una frase vecchia come la Terra, Lee…”

“Ma mai come nel tuo caso possiede un fondo di verità: nessuno crede che Devil ti abbia abbandonato, molto più plausibile che te la stia facendo pagare per tutte le tue debolezze. Per quanto disprezzi ciò che hai fatto e sia convinto che tu debba pagare a caro prezzo tutte le tue malefatte, una per una, so che comunque un briciolo di umanità c’è in te. Ed è esattamente questo che ti rende incapace di controllare il gene, cosa che a tuo padre invece riesce benissimo.”

“E che cosa dovrei fare allora? Ricominciare a sterminare la gente?” sbottò frustrato, gettando l’asciugamano a terra.

“Ti saremmo grati se non lo facessi. E comunque non intendevo questo, ma ci dovrai arrivare da solo e con le tue sole forze. Ora se non ti dispiace, avrei bisogno urgente di te in laboratorio. Datti una sistemata però, sei sudato da fare schifo.” concluse il cinese prima di chiudersi la porta dell’arena alle spalle.

Jin si ritrovò nuovamente solo con i suoi pensieri e le sue angosce. Per quanto odiasse ammetterlo Lee aveva ragione, ma non poteva certo rischiare di perdere sé stesso di nuovo e provocare danni ancora più grandi solo per rafforzare quella bestia che viveva dentro di lui. Sospirò pesantemente e si trascinò verso gli spogliatoi per farsi una doccia rapida prima di raggiungere gli altri. Erano settimane che stavano cercando di infiltrarsi nei database della Mishima Zaibatsu ma senza successo; sembrava quasi che non fosse mai esistita e non sapeva se sotto ci fosse lo zampino di Heihachi, oppure di suo padre. Il getto di acqua calda riuscì in parte a lenire la tensione sui muscoli doloranti, ma non il suo costante mal di testa. Tuttavia continuare ad arrovellarsi sul medesimo problema era inutile, tanto valeva concentrarsi su altro, perciò si decise ad uscire dal box doccia, vestirsi e dirigersi verso il laboratorio.

“Però, ce ne hai messo di tempo…” commentò Lars quando lo vide varcare la soglia.

Jin lo ignorò. Nonostante fossero entrambi dalla stessa parte, i rapporti con suo zio non erano mai diventati né amichevoli, né cordiali. Sapeva che covava ancora un malcelato rancore nei suoi confronti per ciò che aveva fatto e francamente non poteva nemmeno biasimarlo.

“Allora, che succede?” domandò avvicinandosi al gruppo dietro all’imponente schermo del PC.

Notò che un lungo cavo era collegato direttamente alla schiena di Alisa, mentre Lee digitava sulla tastiera come un matto. Sul monitor scorrevano veloci centinaia e centinaia di codici binari, e altri simboli che Jin non riconosceva. Da giovane era appassionato di informatica e gli sarebbe piaciuto approfondire gli studi, ma purtroppo non ne aveva avuto occasione.

“Sì...Sì...Dai, ci siamo, forse ci siamo…” mormorava il proprietario della Violet System, totalmente concentrato su ciò che stava facendo al punto da ignorare le ciocche argentee di capelli che gli stavano oscurando parzialmente la visuale. “Alisa, stai ricevendo?”

“Affermativo, inizio a scaricare i primi dati!” rispose l’androide.

“BINGO!” esultò Lee, battendo le mani. “Eccellente…”

“Mi volete dire cosa state combinando visto che avete interrotto i miei allenamenti per farmi venire qui?” domandò Jin con una certa impazienza.

“Certo, certo...Vuoi una tazza di tè?”

“Lee!”

“Oh insomma…” rimbrottò, e con tutta la calma del mondo chiamò la sua segretaria per farsi portare una teira fumante di tè verde e pasticcini.

Godeva nemmeno troppo segretamente a tenere il ragazzo sulle spine, almeno dove poteva non aveva intenzione di rendergli la vita facile. Infatti dovette aspettare di essere ragguagliato solo dopo che una cameriera servisse quanto ordinato e che la bevanda diventasse della temperatura giusta per essere sorseggiata.

“Ci sono significative novità…” esordì dopo un estenuante quarto d’ora. “Siamo riusciti a penetrare parte degli archivi della G. Corporation e indovina un po’ cosa abbiamo trovato…?”

L’occhiata omicida di Jin fu un invito eloquente ad andare avanti e fare in fretta.

“Sono miracolosamente spuntati buona parte dei dati perduti della Mishima Zaibatsu. Man mano che riusciamo a ottenere informazioni, quelle vengono trasmesse ad Alisa e archiviate nella sua memoria in tempo reale. Centinaia e centinaia di file al minuto. Francamente mi aspettavo di meglio a livello di sicurezza informatica sia da parte tua, che di Kazuya…I vostri sistemi fanno acqua da tutte le parti”

“Ma se ci hai messo settimane!” replicò piccato e anche leggermente offeso.

“Si bhè, l’importante è il risultato no? Ad ogni modo...Sicuro di non volere dei pasticcini? Sono deliziosi!"

“LEE, PER L’AMOR DEL CIELO, VAI AVANTI!” stavolta fu Lars a sbottare e Jin gliene fu un po’ grato.

Persino lui pendeva dalle labbra del cinese ed era avido di informazioni.

“Come siete scorbutici...Dicevo...Molte informazioni sono già state trasmesse ad Alisa, altre sono molto più protette, ma ormai direi che posso arrivare ovunque, è solo questione di tempo. Il problema principale è che provengono dagli archivi della G. Corp, che probabilmente le ha acquisite dalla Zaibatsu dopo la morte di Heihachi. Pertanto c’è una grossa probabilità che molte di esse possano essere state alterate, occultate, o addirittura falsificate. Quindi, mio caro Jin, il tuo compito è semplice semplice…” il sorrisino maligno che si dipinse sul volto dell’uomo non prometteva niente di buono. “Visto e considerato che gran parte dei dati inseriti provengono dal periodo nel quali eri tu al comando, spetta a te verificare la veridicità di essi!”

Non aveva sentito bene. Non poteva essere serio.

“Lee, hai idea di quante…”

“Centinaia di migliaia di informazioni ci siano da controllare? Ma certo, mio caro. Ma non posso fare tutto io e chi meglio di te può dare riscontro attendibile.”

“Non se ne parla proprio!”

“Vedila così: è un ottimo allenamento per la mente e tu ultimamente sembri proprio averne bisogno!”

Jin digrignò i denti e strinse i pugni: non aveva tempo per certe sciocchezze. Kazuya era la fuori al massimo dei suoi poteri che architettava chissà cosa e lui non poteva certo permettersi il lusso di stare a spulciare gli archivi di anni e anni di informazioni. Senza contare che Lee ne avrebbe approfittato per ficcanasare e carpire segreti che nemmeno lontanamente poteva immaginare, ma d'altronde che altro poteva fare? Era ancora così schifosamente debole, e al momento non vedeva altre alternative. Sospirò profondamente, cercando di calmare i suoi poveri nervi come meglio poteva. Non gli interessava più nulla di riconquistare il suo vecchio impero, tutto ciò che gli importava era porre fine alla sua stirpe e alla sua maledizione una dannata volta per tutte. E non avrebbe mai lasciato nulla di intentato. Rassegnato si diresse verso la sedia imbottita che suo zio gli stava indicando col solito sorrisino beffardo e prese posto davanti al gigantesco doppio monitor: la sola visione di tutti quei codici gli faceva venire l'emicrania.
 
"Non preoccuparti, Alisa ti darà una mano..."
 
"Roger!" cinguettò l'androide, tutta contenta di rendersi utile.
 
Sarebbero state settimane infinite...
~

Nota dell'autrice: ciao a tutti! Ed eccoci con un nuovo capitolo...O meglio...Con più nuovi capitoli. Ebbene sì, ho preso una decisione drastica e anche molto impulsiva, ma mi sono convinta a postare tutto ciò che ho scritto in un colpo solo. Principalmente sono due i motivi che mi spingono a farlo, ossia: in primo luogo i trailer che continuano ad uscire mi hanno definitivamente fatto capire che è bene che lasci tutto per iscritto prima che esca quel gioco, onde evitare che si pensi che certe cose le abbia scopiazzate da lì. Ho ben chiara la trama di questa mia storia fin dall'inizio, dei personaggi che avrei dovuto e voluto coinvolgere, per renderla quanto più originale possibile e mi sto rendendo conto che iniziano ad esserci troppi dettagli che ho in qualche modo previsto (anche se quel cattivone di Harada non farà mai avverare il mio sogno di vedere Jin e Nina insieme, li mortacci sua...), ma che effettivamente non pensavo venissero poi inseriti nell'ultimo atto. Seconda motivazione, spero che postando tutto ciò che ho scritto finora mi spinga a smettere di procrastinare sul seguito, e mi sblocchi dato che ormai sono in fondo; è inutile che tenga ben 10 capitoli "di scorta" a "macerare" nelle bozze sulla casella email, perchè forse un domani potrebbero non convincermi più. Casomai così dovesse essere cercherò di apportare piccole modifiche, ma suvvia, ho iniziato questa storia troppi anni fa, direi ormai di averla tirata abbastanza per le lunghe. Detto questo, posterò tutto ciò che ho da parte nei prossimi giorni, sperando che la musa dell'ispirazione torni a bussare alla mia porta. Spero che apprezzerete ciò che avrò da raccontare :) A presto!! 

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Capitolo 22
*** Teaghlach ***


A migliaia di chilometri di distanza, il tempo sembrava scorrere in modo completamente differente: per quanto le giornate fossero lunghe e noiose, scandite dal brutto tempo e da una fastidiosa monotonia, i giorni e le settimane passavano inesorabili. Nonostante le giornate sul calendario fossero sempre più prossime alla primavera, il clima suggeriva tutt'altro. Del resto non è che avesse molto da fare nelle sue condizioni...Aveva divorato qualsivoglia volume presente nell'enorme villa e nonostante Steve le portasse a casa decine di libri nuovi ogni volta che rientrava dalla città per commissioni, li leggeva a tempo di record e si ritrovava più annoiata di prima. Tentava di tenere la mente occupata e i nervi saldi con yoga e meditazione, ma con scarsi risultati, perché il suo corpo era in pieno cambiamento e si sentiva sempre più goffa e impacciata: nonostante fosse dotata di forza notevole e un'invidiabile prestanza fisica, non riusciva più a controllare i suoi movimenti, si sentiva semplicemente un'estranea nel suo stesso corpo. Cosa che allo sguardo vigile e attento del pugile non era minimamente sfuggita e con la scusa che doveva riposarsi e non fare sforzi, non le permetteva di cimentarsi in alcuna faccenda domestica: puliva, cucinava, riordinava instancabilmente e non le faceva mai mancare nulla.
 
Onestamente non sapeva cosa pensare...Era troppo strano per lei vivere nella bambagia e venire servita e riverita in quel modo, soprattutto da una persona per la quale non aveva provato affetto e che aveva persino tentato di assassinare prima di scoprire chi fosse veramente. Non riusciva a spiegarsi il motivo per il quale Steve, nonostante la sua tendenza anaffettiva e le sue scelte di vita non condivise da lui, si ostinasse a cercare di instaurare un rapporto madre-figlio sano. Non si aspettava che il sangue del suo sangue fosse così tanto diverso da lei, nonostante avesse lui stesso passato esperienze orribili nel corso della sua giovane esistenza: era gentile, positivo, altruista e soprattutto maledettamente sincero. Steve non conosceva mezzi termini, né mezze misure: coi giusti modi non esitava un secondo a dire ciò che gli passava per la testa, in modo chiaro e diretto. Qualsiasi genitore avrebbe voluto un figlio così, o per lo meno...Qualsiasi genitore che avesse deciso di esserlo. 
 
Da quando era rinchiusa in quella casa appartenuta ai suoi nonni materni, con il figlio coetaneo e una nuova creatura che le cresceva in grembo, si era interrogata spesso sul significato della parola famiglia, visto che il destino aveva deciso di privarla di essa in giovane età. Passò distrattamente davanti alla sua vecchia cameretta, e si soffermò per un attimo sulla porta, con la mano sulla maniglia, ma decise di proseguire oltre. Non se la sentiva di entrare. Proseguì invece fino alla camera dei suoi genitori, che attualmente occupava lei, perché più spaziosa e comoda. L'enorme letto a baldacchino in legno di mogano e velluto color porpora che troneggiava al centro della stanza le era sempre sembrato un enorme taboo: da piccola Nina non era solita come tutti i bambini, correre a letto coi genitori in seguito ad un incubo, oppure per solitudine, o affetto. Nonostante fossero stati amorevoli nei suoi confronti, ci tenevano particolarmente a impartirle disciplina e controllo in modo tale che crescendo imparasse fin da subito ad essere autonoma...Questo finché non nacque Anna. Sua sorella non era forte e risoluta come lei, e in un modo o nell'altro riusciva a fare breccia nel cuore della madre con i suoi piagnistei e gli occhioni da bambola. Col senno di poi fu grata dell'educazione ricevuta, perché se fosse stato diversamente, non sarebbe mai e poi mai riuscita a cavarsela da sola una volta rimasta orfana. Osservò attentamente l'enorme dipinto ad olio appeso sopra all'enorme comò in rovere che ritraeva la famiglia Williams. Lo sguardo austero di Richard Williams riusciva ancora a trapassarla da parte a parte, come se fosse reale.
 
"Bhe, papà...Fai bene a guardarmi così...Sicuramente non saresti fiero di me adesso..." mormorò tristemente, allungando una mano per sfiorare il quadro.
 
Non appena la sua mano entrò in contatto con la tela però, il chiodo appeso al muro troppi anni prima improvvisamente cedette, facendolo scivolare. I suoi riflessi felini le permisero di afferrarlo appena in tempo prima che finisse dietro al mobile e si rovinasse irreparabilmente, ma la polvere sollevata da dietro la cornice la fece tossire sonoramente.
 
"Ma...lediz...ione..." imprecò, cercando di liberarsi la gola dalla polvere.
 
"NINA! Va tutto bene?"
 
Steve attirato dal frastuono entrò come un tornado dentro la stanza, pronto ad aiutare la madre.
 
"Che è successo?"
 
"Il qua...dro è caduto...Ho ingoiato polvere..." balbettò con le lacrime agli occhi, cercando disperatamente di riprendere fiato.
 
"Aspetta, corro a prenderti un bicchiere d'acqua!" replicò, fiondandosi di sotto in cucina.
 
Nina tentò di ricomporsi e appoggiò il quadro da una parte. Aveva il respiro mozzato e la gola le bruciava da morire. Fortunatamente il pugile fece ritorno in pochi secondi e trangugiò con estrema gratitudine l'enorme bicchiere di acqua fresca che le aveva portato, trovando finalmente sollievo.
 
"Va meglio?"
 
"Sì...Grazie Steve!"
 
"Di nulla! Dai, ti aiuto a riappenderlo!"
 
Tuttavia come alzarono gli occhi notarono un particolare insolito: dietro al quadro era celata una rudimentale cassaforte a combinazione.
 
"E quella?" domandò il pugile.
 
"Non so. Non avevo idea che fosse lì..." replicò la bionda, perplessa.
 
Cosa ci faceva una cassaforte nella loro villa sperduta? I Williams erano sempre stati una famiglia benestante, eppure che lei ricordasse tutti i loro beni erano rimasti a Dublino. Cosa mai poteva contenere di così prezioso? Rimase a fissare la parete in preda ad una curiosità quasi primitiva, mentre il ragazzo a sua volta era intendo a studiare l'espressione della donna: era palese che fosse stata sincera e all'oscuro sia della presenza dell'oggetto che del contenuto.
 
"Vuoi...aprirla?" chiese timidamente.
 
Nina rimase in silenzio ancora per qualche istante, prima di annuire.
 
"Ti aiuto a spostare il com..." ma Steve non fece in tempo a finire la frase che l'assassina si arrampicò agilmente su di esso, come se il pancione ormai ingombrante non esistesse.
 
"Tu mi sottovaluti un po' troppo ragazzo. Sono incinta, non malata!" gli ricordò con una smorfia.
 
Osservò nuovamente la cassaforte chiusa da un lucchetto, che ovviamente richiedeva una combinazione per essere aperto. Scassinarlo non sarebbe stato un problema, ma le dispiaceva rovinare qualsiasi cosa fosse appartenuta alla sua famiglia: nonostante gli agi i suoi genitori erano sempre stati dediti a lavoro e disciplina e mai si sarebbe permessa di venire meno ai loro insegnamenti. Già, ma quale poteva essere il codice per aprirlo? Rimase a riflettere per diversi minuti, conscia della presenza del pugile al suo fianco, probabilmente terrorizzato che scivolasse giù dal mobile e si facesse male.
 
Distrattamente si domandò come fosse possibile che le volesse così bene quando lei era stata tutto tranne che una buona madre nei suoi confronti, nonostante l'enorme aiuto e supporto che le stava donando senza chiedere nulla in cambio. Le aveva letteralmente salvato la vita ed era riuscita a trascinarla lontana dal Giappone dove rischiava di essere uccisa da un momento all'altro, l'aveva riportata in terra natia e l'aiutava in tutto costantemente. Tutto sommato le faceva tenerezza, anche se non lo dava a vedere; sapeva che Steve agiva in modo disinteressato, ma sotto sotto desiderava ardentemente l'approvazione della madre, che lei lo guardasse con lo stesso sguardo carico di orgoglio proprio come suo padre faceva con lei e che nonostante fosse sempre così autoritario e severo non mancava di ricordarle come fosse la cosa più bella della sua vita, assieme a sua moglie e di quanto fosse stato felice il giorno in cui era venuta al mondo...D'un tratto l'illuminazione la colse, e istintivamente fece scorrere le dita sulle cifre del lucchetto, andando praticamente a colpo sicuro. Quest'ultimo dopo un istante scattò, aprendosi un po' a fatica.
 
"Come hai fatto?" domandò Steve, esterrefatto.
 
Nina sorrise malinconica, sfilando il lucchetto e porgendoglielo.
 
"230161...Non capisco..."
 
"Sono nata il 23 Gennaio del 1961, è la data del mio compleanno."
 
Il biondo strabuzzò gli occhi. 
 
"Perché non me l'hai detto? Avremmo potuto festeggiare!" 
 
Nina si lasciò andare ad una risata amara.
 
"Non lo festeggio da prima ancora del sonno criogenico. Come vedi sono sopravvissuta ugualmente."
 
Steve tacque. Da bambino aveva sempre desiderato festeggiare il suo compleanno insieme ai suoi amichetti, invitarli a casa e mangiare la torta tutti assieme, aprire i regali e giocare a rincorrersi e a nascondino. Ma i signori Fox non l'avrebbero mai permesso. E inoltre, lui non aveva amici.
 
"Bene, bene..." Esclamò Nina afferrando la maniglia. "Vediamo che si cela qua dietro."
 
Una seconda nuvola di polvere si sprigionò non appena la bionda fece forza per aprire la cassaforte ormai arrugginita, ma stavolta era preparata. Non che si aspettasse di trovare chissà cosa, ma nemmeno l'unico oggetto che vi era presente all'interno, ossia un voluminoso tomo rivestito di pelle. Nessuna traccia di denaro, gioielli, o preziosi…Solamente quell'enorme libro che giaceva immobile e polveroso sul fondo. Delicatamente lo prese e si stupì di quanto in realtà fosse leggero. Sulla copertina marrone scuro erano incisa una maestosa W in mezzo ad un intricato decoro tutto in stile gotico. Sfiorò con le dita la superficie, incerta se indagare oltre o meno.
 
"Che cos'è...Se posso chiedere?" domandò timidamente Steve.
 
"Non so..." replicò, appoggiando il volume sul comodino accanto a sé e preparandosi a scendere.
 
Con lo sguardo fulminò il pugile, che era già pronto nell'assisterla nell'operazione, ma non disse una parola: poteva solo immaginare come una donna forte e indipendente come lei potesse sentirsi in gabbia in una situazione del genere, quindi la lasciò fare, ma senza scollarle gli occhi di dosso. Nina afferrò il libro e delicatamente lo aprì, scoprendo con enorme stupore che si trattava di un album fotografico: Tra una pagina e l'altra vi era un sottilissimo foglio velato, atto a proteggere le immagini ed evitare che queste si incollassero alla pergamena della quale erano fatte. Era indubbiamente un oggetto vecchissimo, ma francamente non certo qualcosa di valore inestimabile che meritasse di stare rinchiuso in una cassaforte. Eppure, si disse, se si trovava lì dentro un motivo doveva pur esserci, perciò si diresse lentamente verso il gigantesco letto e si mise a sedere a gambe incrociate con l'album in grembo.
 
"Bhe allora, io..." fece il biondo, dirigendosi verso la porta.
 
"Puoi restare, se vuoi..." lo interruppe l'assassina.
 
Era più che palese che anche Steve stesse morendo dalla curiosità, ma come al solito si sentiva di troppo. D'altro canto anche nelle sue vene scorreva il sangue degli Williams e sarebbe stato ingeneroso da parte sua mandarlo via dopo tutto quello che stava facendo per lei. Anzi, per loro.
 
"Ok..." replicò incerto.
 
"Dai, siediti."
 
Steve prese posto accanto a sua madre, mentre si accingeva a studiare la prima immagine. Tutte le foto erano in bianco e nero e ricoprivano quasi l'intera superficie del foglio, salvo lasciare una sottile cornice di pergamena tutto attorno. In basso a destra vi era una minuscola didascalia scritta a mano con un tratto sottilissimo, sicuramente con un pennino e calamaio. Nina riconobbe subito l'ordinata calligrafia di suo padre e il suo cuore perse un battito: se lo ricordava bene seduto alla sua scrivania a scrivere lettere e firmare documenti con la sua inseparabile stilografica e la boccetta di inchiostro accanto, sempre preciso e attento a non sbavare nemmeno una virgola. La prima foto ritraeva una coppia di signori, con l'inconfondibile cipiglio austero e autoritario tipico di famiglia. Nina li riconobbe subito.
 
"Questi sono i miei nonni paterni, Aidan e Siofra Williams. Questa foto deve risalire almeno agli anni 30..."
 
Al pugile brillavano gli occhi: stava scoprendo assieme a sua madre i volti dei suoi antenati e si stupì di come vagamente il suo bisnonno avesse dei lineamenti in comune con lui, dettaglio che non sfuggì nemmeno a Nina, che osservò prima il suo volto e poi quello del nonno un paio di volte prima di sogghignare leggermente. Chiunque fosse il padre biologico di Steve non aveva quasi minimamente influito sul gene predominante della madre e dei suoi avi, bastava guardarlo e non serviva alcun test del DNA. Il suo bisnonno era un uomo alto e muscoloso, con dei folti baffi a manubrio, occhi castani dietro un paio di occhiali sottili a montatura rotonda. I capelli erano sicuramente biondi, così come i baffi, mentre sua moglie, una donna bassa ed abbastanza esile sembrava averli o castani chiari, o biondo cenere. Nina scorse delicatamente le pagine, facendo attenzione a non rovinare nulla, studiando le foto dei suoi parenti, tutti appartenenti alla famiglia di suo padre. Alcuni li aveva conosciuti, ma della maggior parte di loro non aveva memoria: non era sicura se li avesse veramente incontrati davvero, o fossero gli ennesimi strascichi della sua amnesia post sonno criogenico. Giunse poi la prima foto dove ritraeva sua madre, risalente agli anni 50. Heather Williams era veramente bellissima, e assomigliava moltissimo sia a lei, che a sua sorella Anna. Nella foto veniva ritratta accanto a suo padre, entrambi vestiti in modo elegante; probabilmente si trattava di un'occasione speciale.
 
"Quella è la tua mamma?" chiese Steve, notando la fortissima somiglianza tra le due donne.
 
"Sì..."
 
"Siete quasi due gocce d'acqua!"
 
Nina sorrise appena, proseguendo a sfogliare l'album. C'erano altre foto dei suoi genitori durante il loro lungo periodo di fidanzamento. Ciò che la colpì particolarmente era lo sguardo carico di sentimento di Richard ogni qualvolta che fissava sua madre, oppure colmo di orgoglio quando posavano davanti all'obiettivo. Sguardo che si fece ancora più intenso quando si imbatté in una foto datata 30 Gennaio 1961, dove i suoi genitori posavano davanti all'obiettivo, con un'espressione di pura gioia sui loro volti. Tra le braccia Heather stringeva amorevolmente una bambina avvolta in una coperta, immersa in un sonno profondo. Rimase immobile ad osservare sé stessa, così piccola e innocente. Chissà se il destino aveva già deciso per lei di essere crudele e beffardo nel corso della sua vita, privandola di ogni cosa a lei cara? Girò l'ultima pagina, trovandosi di fronte ad una foto datata 21 Gennaio 1966 che ritraeva soltanto lei e suo padre nel giorno del suo compleanno. Lui l'abbracciava stretta, mentre lei sorrideva felice. Sul volto di suo padre, sempre così serio e composto, solo tanto amore e affetto. Sotto, scritta dal pugno di Richard Williams la didascalia "Nina: il mio tesoro più grande!".
 
Fu allora che non riuscì più a contenere le lacrime.
 
"Nina..." mormorò Steve, appoggiandole una mano sulla spalla.
 
"Scusami, sono...Sono gli stupidi ormoni..." provò a giustificarsi tra i singhiozzi.
 
Il biondo non rispose, si limitò ad abbracciarla delicatamente, aspettando pazientemente che si sfogasse e si riprendesse. Era così sensibile, nonostante avesse passato l'intera esistenza a costruirsi una corazza sempre più impenetrabile. Estrasse dalla tasca un fazzoletto pulito e glielo porse affinché si potesse asciugare gli occhi.
 
"L'ultima foto…É stata scattata quando ho compiuto 5 anni...Anna era già nata, eppure..."
 
"Eppure un genitore non dovrebbe avere preferenze, ma non è stato così. Lo capisco, ma non  potevi certo farci nulla."
 
"Non capisci Steve...Papà...Papà ha sempre voluto tanto bene anche ad Anna e amava tantissimo nostra madre...Io ero il suo tesoro più grande ma...Ma è stata tutta colpa mia se l'hanno ucciso..."
 
Calò un silenzio quasi assordante. Come poteva essere colpa sua?
 
"Andiamo Nina, sono sicuro che non è stata..."
 
"Sì, invece! Sono l'unica responsabile della sua morte, perché sono stata troppo debole, perché non ero forte abbastanza..."
 
"Non capisco..."
 
Nina tirò su col naso e respirò profondamente cercando di calmarsi.
 
"Nostra madre è morta quando avevo 8 anni. Cancro al seno fulminante, allora la medicina era a livelli molto rudimentali e la malattia non le ha lasciato scampo. Nostro padre ne fu distrutto, noi eravamo tutto ciò che gli rimaneva e avevamo pochissimi parenti ancora in vita con i quali però non avevamo rapporti stretti, perciò nonostante fosse ben conscio dei rischi iniziò a portarci con lui nelle sue trasferte di lavoro. Era un mercenario, perciò si limitava a lasciarci alla base, sbrigava il suo lavoro e poi tornavamo subito a casa, ma un giorno la sorte decise diversamente…"
 
Steve intuì che il peggio stava per arrivare. Nina non era una donna di molte parole, soprattutto quando si trattava di vicende strettamente personali, eppure sapeva che ora come non mai aveva bisogno di sfogarsi e di trovare supporto in qualcun'altro. Aveva sopportato un peso enorme di certi ricordi fin troppo a lungo.
 
"Stavamo viaggiando a bordo di un aereo sulle Alpi svizzere, quando ci fu un'avaria al motore e fummo costretti ad un atterraggio di emergenza. Non riuscimmo a raggiungere l'aeroporto e ci schiantammo, ma miracolosamente sopravvivemmo tutti all'impatto, in parte attutito sia dalla bassa quota, che dall'enorme quantità di neve fresca. Frastornati, doloranti e infreddoliti ci rimettemmo in marcia, ma come puoi immaginare per due bambine di 11 e 9 anni non fu certo una passeggiata. E fu lì che accadde il disastro..." Fece una breve pausa per asciugarsi gli occhi che si stavano nuovamente riempiendo di lacrime e proseguì. "Eravamo niente meno che due palle al piede che rallentavamo il gruppo che stava faticosamente cercando di sopravvivere in mezzo ad una tormenta, senza cibo, né abbigliamento adeguato. Infuriati gli altri mercenari intimarono a mio padre di lasciarci indietro, perché non potevano permettersi di rischiare di morire assiderati per aspettarci. Naturalmente mio padre reagì molto male di fronte ad una richiesta simile e ben presto scoppiò una rissa molto violenta. Io e Anna eravamo letteralmente atterrite, nonostante fosse molto forte non poteva nulla contro 7 uomini che gli davano addosso. Nella colluttazione perse il mitragliatore, la sua unica arma di difesa e atterrò proprio a pochi metri da dove eravamo noi. Papà mi urlò di passargli l'arma, ma rimasi immobile, completamente sotto shock...Era come se il freddo e la paura mi avessero tramutata in una statua...E questo gli costò caro, perché pochi istanti dopo gli spararono un colpo dritto al cuore."
 
Steve si sentì male. Per tutta la vita si era interrogato su chi fossero i suoi genitori, credendosi il ragazzo più infelice della Terra, ma quanto era successo a sua madre era un milione di volte peggio. Il trauma di aver perso la madre, di essere sopravvissute ad uno schianto potenzialmente letale, di aver assistito all'esecuzione di suo padre praticamente impotente, il sonno criogenico, la gravidanza imposta dalla quale era nato, la guerra fratricida con la sorella...Si rese immediatamente conto di quanto dolore avesse dovuto sopportare e non si stupì più né del suo atteggiamento freddo, cinico e scostante, né dell'essersi legata così tanto a Jin Kazama, la cui esistenza era costellata da perdite e disperazione in egual misura.
 
"Papà...Potrai mai perdonarmi di non essere stata forte abbastanza, così come mi hai sempre insegnato?" mormorò l'assassina tra le lacrime, osservando l'ultima foto dell'album che le aveva causato l'ennesimo crollo emotivo.
 
"Ti ha già perdonato, Nina! Non ha niente da perdonarti, non è stata colpa tua!" rispose il ragazzo, appoggiandole nuovamente una mano sulla spalla.
 
"Invece sì...Se solo gli avessi passato il fucile lui sarebbe ancora qui..."
 
"Avevi 11 anni! Potevi essere forte finché volevi, ma eri solo una bambina spaventata e indifesa e non puoi biasimarti, o sentirti responsabile. Anche se tu fossi riuscita a dargli il fucile, erano in 7 contro uno, no? Ed erano pure armati. Probabilmente non sarebbe sopravvissuto comunque, quindi non darti colpe che non hai, soprattutto di questa portata!"
 
Nina scosse la testa inconsolabile.
 
"Anna mi ha sempre rinfacciato di essere la responsabile. Lei è l'unica famiglia che mi è rimasta, ricordo ancora come mi strinse le mani quando crollai davanti al corpo di nostro padre e cercò di confortarmi. Ma quando venimmo tratte in salvo dai soccorsi e ci fecero rimpatriare in Irlanda le cose cambiarono drasticamente. Il nostro rapporto si è distrutto per sempre da quel momento in poi, ha avuto la sua rivincita fintanto che ho sofferto di amnesia, tentando in tutti i modi di ridurmi a niente più che un pupazzo amorfo alla sua mercè, ma le è andata male..."
 
"Non è vero che è l'unica famiglia che ti è rimasta! Hai me. E il piccolino che porti in grembo, che ti amerà incondizionatamente! Non sei più sola..."
 
"Steve, chiunque mi si avvicini finisce col farsi del male..."
 
"Bhe, non accadrà di nuovo. Non è mai troppo tardi per ricominciare...Guarda me, a 22 anni dopo una vita passata a cavarmela da solo sono tornato ad abitare con mia madre..." tentò di sdrammatizzare.
 
E ci riuscì, strappandole un sorriso tirato.
 
"22 anni...Non male, considerato che sono ferma a 24 anni, nonostante anagraficamente ne abbia 44."
 
Steve ridacchiò a sua volta. Seguì un lungo attimo di silenzio, dove entrambi rimasero a rimuginare su quanto si erano detti.
 
"Com'erano i tuoi genitori adottivi?" domandò Nina dal nulla.
 
Non sapeva il perché gli avesse fatto quella domanda, le era uscita di getto, ma ora era veramente curiosa. Steve sorrise amaramente.
 
"Non erano il massimo, ad essere sincero. Certo, sono molto grato che mi abbiano tirato fuori dall'orfanotrofio e mi abbiano dato una casa, una buona istruzione e mi abbiano permesso di intraprendere la carriera da pugile, però erano abbastanza freddi. Non mi avrebbero mai permesso di lottare se non fosse stato per il mio insegnante di educazione fisica che ci aveva visto lungo e gli aveva garantito che sarei diventato un campione, altrimenti mi avrebbero costretto a giocare a golf, o altri sport noiosi tipici dei borghesi."
 
"Erano severi?"
 
"Molto. Erano una coppia inglese con discendenze reali, anche se molto alla lontana. Mia madre adottiva, Elizabeth non poteva avere figli e per una famiglia di alto rango non era accettabile, quindi hanno deciso di adottarmi quando ero già grandicello perché pensavano di educarmi più facilmente e agli occhi della società e della chiesa che frequentavano sarebbero apparsi ancora più caritatevoli e meritevoli di rispetto. Ma da parte loro non ricordo nemmeno una carezza, né un complimento, nemmeno una pacca sulla spalla. Per loro ero solo un trofeo da esibire all'occorrenza e io avrei dovuto essere loro riconoscente per quanto mi stavano dando. Infatti appena la mia carriera ha iniziato a decollare li ho ringraziati e me sono andato via di casa."
 
Nina fece una smorfia dinnanzi a quelle parole. I suoi genitori erano molto severi, ma non certo anaffettivi. Heather era una madre amorevole e premurosa, e anche Richard a modo suo dimostrava affetto e orgoglio verso le sue bambine. Odiava l'ipocrisia delle famiglie altolocate dove la facciata era la sola ed unica priorità. Le dispiacque parecchio per suo figlio, anche lui non aveva avuto un passato facile, eppure era così dolce, altruista, comprensivo e soprattutto maturo. Era ovvio che avesse dovuto crescere da solo e in fretta.
 
"Credi...Credi che possa essere...Una buona madre?" domandò di punto in bianco, osservandosi il ventre.
 
Il biondo rimase sbalordito da una domanda del genere, ma si ricompose in fretta, felice di constatare come stesse cercando di migliorarsi e fidarsi del suo giudizio.
 
"Ne sono certo. Non sarà facile, ma chi meglio di te, sa cosa vuol dire crescere da soli e nel dolore. Sai esattamente cosa non devi fare e gli errori che non devi commettere, vedrai che tutto il resto verrà da sé. D'altronde fare il genitore è il mestiere più difficile del mondo."
 
Nina annuì e sospirando chiuse l'album fotografico. Era esausta dal pianto e da quel vortice inaspettato di ricordi ed emozioni che le avevano stravolto il pomeriggio. Eppure il suo ragazzo aveva ragione: non è mai troppo tardi per ricominciare, non poteva sprecare questa occasione.
 
"Vado a preparare la cena, ci vorrà un po'...Se hai bisogno sono di sotto, ok?" disse Steve, alzandosi dal letto.
 
"Vengo ad aiutarti, ti raggiungo tra un secondo..."
 
"Ma tranquilla, non è necessario."
 
"Ci tengo."
 
Il pugile ammutolì, ma poi le sorrise bonariamente.
 
"D'accordo allora. Ti aspetto, intanto preparo tutto l'occorrente."
 
E uscì dalla stanza. Rimasta sola con i suoi pensieri, Nina strinse a sé il tomo per qualche istante, prima di alzarsi dal letto. Prima di uscire a sua volta, osservò il quadro della sua famiglia che celava la cassaforte.
 
"Mamma...Papà...Mi impegnerò al massimo per essere un bravo genitore, così come voi lo siete stati per me. Ve lo prometto, vi renderò fieri di me!"
 
~

Note dell'autrice: "Teaghlach" in irlandese significa "famiglia"...E sembra proprio che qua ne stia nascendo una ;)

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Capitolo 23
*** Lost ***


Non si era mai annoiato e sentito in gabbia così tanto in vita sua. Il senso di impotenza e debolezza e le mastodontiche quattro mura dove ormai si rifugiava da settimane non facevano altro che accrescere la sua ansia e il suo tormento interiore, che ormai avevano raggiunto livelli insopportabili. Gli allenamenti massacranti non lo stavano aiutando a riacquisire i suoi poteri. Com'era possibile? Di fronte alla distruzione lasciata dal combattimento tra suo padre e suo nonno, aveva giurato di porre fine a quell'inferno e sentiva il Gene del Diavolo dentro sé stesso forte e vigoroso come non mai. Poi d'un tratto era tutto finito: erano sparite le voci nella sua testa, la sua forza fisica era notevolmente diminuita, il suo tatuaggio era sempre più sbiadito. Era come se semplicemente avesse esaurito le energie. Eppure lui sapeva che la sua maledizione stava semplicemente facendo finta di dormire per puro gusto di vendetta e spregio nei suoi confronti. Era conscio che Devil fosse ancora lì dentro in qualche angolo remoto della sua testa che si prendesse gioco di lui e godesse nel vederlo debole e disperato, pienamente consapevole del fatto che senza il suo appoggio non avrebbe mai e poi mai potuto sconfiggere Kazuya. E sicuramente passare le sue giornate davanti a monitor e centinaia e centinaia di faldoni contenenti le più svariate informazioni sul dannatissimo mondo intero non lo aiutava certo come aveva predetto Lee. Dopo solo un paio d'ore gli scoppiava la testa e gli bruciavano gli occhi, ma sapeva che doveva continuare. Non aveva altra scelta. Inoltre non mancava mai lo sguardo vigile ed inquisitore del suo ex sottoposto, che non lo perdeva di vista un attimo e questo gli dava oltremodo sui nervi: Lars non lo avrebbe perdonato per i suoi crimini, nemmeno dopo un milione di anni e sarebbe stato più che lieto di fargliela pagare se solo avesse fatto un passo falso...Debole com'era sarebbe stato un gioco da ragazzi per lui, senza nemmeno dover scomodare Alisa.
 
Eppure in tutta quella situazione opprimente un pensiero fisso continuava a tormentarlo, pensiero che ovviamente non poteva condividere con nessuno: che fine aveva fatto Nina? L'aveva già dimenticato? Se n'era andata? Aveva poi preso in mano le redini della Zaibatsu come gli aveva promesso? Era terrorizzato al pensiero che le fosse successo qualcosa, anche se in cuor suo sentiva che era ancora viva e vegeta da qualche parte: scaltra e talentuosa com'era non si sarebbe mai fatta prendere e avrebbe trovato il modo di salvarsi in qualsiasi circostanza. Tuttavia non poteva certo mettersi ad indagare su cosa le fosse successo, o dove si trovasse: era perennemente marcato stretto da Alisa e Lee, inoltre non poteva rischiare né che pensassero che fosse un atto di insubordinazione verso di loro nel nome di chissà quale tentativo di rimettere le mani sulla Zaibatsu e ancora di più di esporla a qualsiasi tipo di rischio. Se fosse sopravvissuto allo scontro con suo padre allora forse l'avrebbe cercata, ma per il momento la sua priorità era quella di tenerla al sicuro da ogni pericolo, così come lei aveva fatto instancabilmente con lui fino alla battaglia finale con Azazel. D'altronde sapeva di averle spezzato il cuore con la scelta di porre fine alla sua vita per il bene di tutti, ma non si sarebbe mai tirato indietro. Meritava di vivere in un mondo migliore...Meritava di ricominciare e chissà...Magari trovare qualcuno degno che potesse starle accanto. Per quanto lo facesse soffrire il sol pensiero di rinunciare all'unico amore della sua vita non poteva fare a meno di pensare che sarebbe stato meglio così, lui le aveva già causato fin troppa sofferenza. E naturalmente, nessuno al di fuori di loro due poteva anche solo immaginare cosa avessero condiviso. Non l'avrebbe mai dimenticata, eppure per amore avrebbe dovuto lasciarla andare...
 
Demoralizzato e sfiancato dall'ennesimo infruttuoso allenamento si trascinò di nuovo nella sala computer dove lo stavano aspettando per un'altra estenuante sessione di controllo dati. Non erano nemmeno a metà, ci avrebbero messo mesi prima di vedere la luce in fondo al tunnel.
 
"Ben arrivato Jin. Gradisci una tazza di tè?" cinguettò Lee, intento a versarsi la bevanda nella sua tazza di porcellana.
 
Il cinese eccelleva in tantissime cose e dargli suoi nervi col suo solito tono mellifluo era in cima alla classifica. Ormai avrebbe dovuto essere abituato...Esasperato accettò quella stramaledetta tazza di tè per poi prendere posto di fianco ad Alisa.
 
"Rallegrati ragazzo, oggi abbiamo file interessanti da analizzare!" esordì, schioccando la lingua contro il palato. "C'è da visualizzare tutte le schede dei concorrenti dei vari tornei del Pugno di Ferro dalla prima edizione fino all'ultima. Non dovrebbe essere troppo faticoso, a quanto pare erano informazioni presenti nei vostri archivi alla Mishima Zaibatsu, immagino che non ci metterai tanto a verificare che siano corretti o meno?"
 
"A che scopo, Lee? A cosa diavolo servono le informazioni dei vecchi combattenti, quando nessuno può nemmeno impensierire Kazuya?" sbottò esasperato di fronte a quella colossale perdita di tempo.
 
"Non ti interesserebbe leggere il file riguardante tua madre?" rispose subdolo.
 
Jin tacque. Gli interessava eccome, ma non vedeva cosa potesse esserci di così misterioso e a lui sconosciuto.
 
"Rilassati...Sarebbe controproducente nei nostri stessi confronti metterti al corrente dei nostri segreti più oscuri, quasi sicuramente niente di tutto ciò che è scritto li sarà nuovo per te. É un lavoro sporco che qualcuno dovrà pur fare, dobbiamo sapere se qualcuno a parte i soliti soggetti a noi noti come Anna Williams e Bruce Irvine possano in qualche modo aver a che fare con Kazuya. Dobbiamo tenere gli occhi aperti, di nemici ne abbiamo fin troppi."
 
Non aveva tutti i torti, sarebbe stato da stupidi correre rischi del genere. Rassegnato iniziò a scorrere i vari dossier su tutti i lottatori, suddivisi per edizione ed ordine alfabetico. Come sospettava il file di Jun Kazama non le fece scoprire nulla di nuovo sul conto di sua madre, servì solo a fargli ribollire il sangue nelle vene di fronte alla frase "collegamenti con Kazuya Mishima" e "status: deceduta, o presunta tale". Persino lo sguardo solitamente brillante di Jun sembrava malinconico in quella foto. Proseguì gomito a gomito con Alisa, che nel mentre confrontava le informazioni in tempo reale con gli archivi della G Corp, gli eventuali cartacei e quelli della Mishima Zaibatsu.

Quanta gente aveva incontrato lungo il suo cammino, di cui ora non aveva più notizie, come per esempio Hwoarang, uno dei suoi rivali più acerrimi in battaglia oppure la stessa Xiaoyu che gli aveva dato il tormento per anni. Sembravano essere passati secoli dai quei rosei giorni dove conduceva una vita normale, naturalmente addolorato dalla perdita di sua madre, ma tutto sommato normale, tra amici, scuola, sport e allenamenti. Quanto aveva perso in così poco tempo, quanto si sentiva già infinitamente vecchio, solo e finito a poco più di 21 anni... Sorseggiando distrattamente la bevanda, scorse col mouse fino al fascicolo successivo, per poi trovarsi di fronte nientemeno che quello di Nina. Un brivido gli percorse la schiena di fronte all'immagine della sua ex guardia del corpo, sentendosi come sempre in soggezione dai suoi occhi glaciali. Solamente lui poteva vantarsi di avervi visto ardere dentro il fuoco della passione e un sentimento di amore e rispetto smisurato. Nonostante conoscesse quanto scritto nel file a memoria, non potè fare a meno che provare una profonda tristezza quando rilesse la parte legata all'esperimento che aveva subito durante il sonno criogenico, dal quale era nato suo figlio Steve Fox: sapeva benissimo quanto Nina avesse sofferto una volta scoperto tutto e di quanto profondamente si vergognasse di essere stata usata e violata in quel modo. Un motivo in più per lui per odiare quel bastardo di suo padre che aveva autorizzato quell'oltraggio. Proseguì oltre tra il palmares delle sue vittorie, il nome di tutte le sue vittime, la lista di tutti i suoi incarichi...Poi improvvisamente il tempo si fermò.
 
Successe tutto a rallentatore: la tazza di ceramica si schiantò a terra con un tonfo, spargendo té e cocci ovunque. La sua postura si irrigidì repentinamente, la vista gli si annebbiò di colpo mentre le orecchie gli ronzavano. Il sudore freddo correva giù per la spina dorsale e lo percuoteva senza pietà da capo a piedi. Poi il fuoco: il tatuaggio sul suo bicipite iniziò letteralmente a bruciare come se gli avessero appoggiato sulla pelle del ferro incandescente e ben presto i brividi furono sostituiti da spasmi incontrollabili. Inutili furono le domande da parte di Lee, Alisa e Lars su cosa gli stesse succedendo, le loro voci erano troppo lontane, i loro sguardi atterriti non li vedeva nemmeno. Il dolore che invece gli stava stringendo il petto in una morsa a tal punto da non farlo più respirare era troppo forte. Erano bastate due semplici parole su quel file riguardante Nina a fargli il male più atroce che avesse mai subito, quasi a parimerito con la perdita di sua madre.
 
"Status: deceduta".
 

~


Note dell'autrice: sì, sono totalmente incapace di trovare una via di mezzo tra capitoli brevi e kilometrici, pazienza! Perdonami Jin, ma ti aspettano tempi bui...

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Capitolo 24
*** Ultimatum ***


Loro non capivano il suo stato d'animo, loro non sapevano i motivi che si celavano dietro di esso. Rimanevano li impotenti ad attoniti a fissarlo a bocca aperta, interrogandosi su cosa gli fosse successo così di punto in bianco. Non avevano minimamente idea di quanto dolore e disperazione stesse provando in quel momento. Non riuscivano a capire cosa lo avesse fatto scattare in quel modo... Non più capace di stare seduto sulla sedia, Jin era crollato in ginocchio in mezzo ai cocci taglienti della ceramica che gli stavano lacerando la pelle delle mani e tremava e rantolava come in preda ad una violenta crisi respiratoria: sembrava che il suo corpo fosse in balia di una scossa elettrica di altissimo voltaggio e più il tempo passava e più la situazione peggiorava.
 
"Che diavolo gli prende?" sbottò Lars, tenendo Lee e Alisa a distanza con fare protettivo.
 
"Non lo so, stava controllando il file di Nina Williams e ha iniziato a comportarsi così dopo aver letto che è deceduta..."
 
"Nina è morta???" esclamò Lee, completamente sotto shock.
 
Le orecchie di Jin erano sorde a tutto in quel momento, tranne che per quelle parole. Un urlo straziante gli nacque in gola e rimbombò per la stanza, facendo rabbrividire tutti i presenti. In quel momento solo Lars aveva capito il perché dentro la testa di suo nipote c'era l'inferno.
 
~
 
"Un vero peccato...Mi piaceva quella donna, così risoluta, così letale...Se solo non vi foste rammolliti tutti e due con i vostri inutili sentimenti di amore, forse a quest'ora sarebbe ancora viva..."
 
"ZITTO!"
 
Come immaginava! Ben lungi dall'essere assopito, Devil aveva di nuovo preso prepotentemente possesso dei suoi pensieri e ogni sua parola era carica di odio e sadismo. Era deliziato dalla reazione di Jin dinnanzi a quella scoperta e la sua disperazione lo aveva portato ad uscire allo scoperto per puro gusto di gettare benzina sul fuoco.
 
"Chissà come è successo? Dopotutto non era nientemeno che un'insignificante umana senza nessun potere...Era una brava assassina, non c'è che dire, ma se si è fatta ammazzare forse non era così eccellente come si pensava..."
 
"NON...OSARE..."
 
"Chissà come è morta? Forse sotto una raffica di colpi? É saltata per aria come un petardo? O magari l'ha fatta fuori il tuo caro nonnino...Chissà che non l'abbia anche stuprata prima di ucciderla...Dopotutto le hai lasciato un bel compito a gestire la Mishima Zaibatsu quando era ovvio che sia Heihachi, che Kazuya avrebbero provato a riprendersela con te fuori dai giochi. Dai, pensavi davvero che una donna da sola potesse tenere testa alla tua famiglia, idiota?"
 
A Jin venne da vomitare. Non ci poteva e nemmeno voleva credere che la sua Nina non ci fosse più. Però Devil aveva ragione: come aveva potuto essere così stupido e ingenuo da non pensare che la sua famiglia avrebbe sicuramente tentato di riprendersi l'azienda e che Nina sarebbe così diventata un bersaglio da eliminare? L'aveva esposta ad un pericolo enorme, ma era troppo concentrato sul suo scontro con Azazel per curarsi delle conseguenze della sua richiesta, dalla quale ovviamente lei non si era tirata indietro perché sempre così maledettamente sicura di sé e sprezzante del pericolo.
 
"Povero piccolo Jin...Vedi? Chiunque ti si avvicini troppo finisce per fare una fine orribile. Prima la tua cara mammina, ora la tua tanto amata Nina. É colpa tua sai?? Come ti senti ad avere sulla coscienza anche il peso della sua morte?"
 
Jin non replicò, strinse i denti tentando disperatamente di trattenere le lacrime. Era da quando era piccolo che non piangeva più, fatta eccezione quando si era reso conto di aver perso sua madre e ora si sentiva sul punto di esplodere, una rabbia cieca gli offuscava la mente e gli impediva di svolgere anche il più elementare dei ragionamenti. E questo Devil lo sapeva.
 
"Dimmi...Non ti piacerebbe vendicarla?" Il demone sapeva che tasti toccare per avere la sua attenzione in un momento del genere. "Pensaci...Il vecchio è già sottoterra, sei arrivato tardi...Ma il tuo caro paparino è ancora la fuori, vivo e vegeto, cosa che la tua dolce Nina non è più. Ripensandoci, forse è stato proprio lui assieme alla sua odiata sorella Anna a farla fuori. Poi ti ricordi cosa le ha fatto? L'ha usata come cavia da laboratorio e ha messo al mondo un figlio bastardo!"
 
Improvvisamente sentì le forze che per così tanto tempo gli erano mancate tornare e scorrere potenti in lui come fuoco nelle vene. Devil gliele stava infondendo nuovamente come linfa vitale, sfruttando tutto il dolore che provava per rinvigorirsi a sua volta. Sapeva che era solo questione di tempo prima che qualcosa lo turbasse a tal punto da renderlo di nuovo una preda facile e manipolabile, bastava solo fargli credere di essere diventato debole per poi renderlo nuovamente più forte al momento propizio. Il suo piano aveva funzionato ancora meglio del previsto, non avrebbe mai immaginato una simile reazione di fronte ad una notizia del genere. La più dolce delle notizie per le sue orecchie: Nina era sempre stata una vera e propria spina nel fianco per i suoi tentativi di controllare la mente di Jin e un po' gli dispiaceva che fosse passata a miglior vita non per mano sua. Ma non aveva più importanza, Jin era di nuovo uno schiavo alla sua mercè e avrebbe potuto fare di lui ciò che voleva; il suo obiettivo era sempre quello: recuperare la sua parte mancante e distruggere l'umanità.
 
"Così, bravissimo..." sussurrò subdolamente il demone "Lasciati andare a me...Gliela faremo pagare...Li faremo soffrire..."
 
~
 
Non poterono fare nulla per fermarlo, lo stupore e anche una buona dose di terrore in seguito a quell'urlo straziante aveva paralizzati tutti e tre. Osservarono basiti e immobili le grosse ali nere spuntargli dalle scapole e dispiegarsi pronte per il volo, i segni tribali apparirgli sul volto, gli occhi diventare vitrei e i canini affilati come quelli di una tigre. Non poterono fare niente per impedirgli di spiccare un balzo verso l'alto e sfondare il tetto per volare via nella notte chissà dove.
 
"JIN, NO!" urlò Lars, ma fu tutto inutile...
 
Ormai era già un puntino lontano, inghiottito dall'oscurità.
 
"Oh no..." mormorò Lee, osservando l'entità del danno con le mani tra i capelli.  Ma non era certo il buco nel tetto a preoccuparlo, quanto le conseguenze di quanto accaduto. "Cosa diavolo gli è preso? Non può essere stato certo per aver scoperto che la sua ex guardia del corpo non c'è più!"
 
"Non ne sarei così sicuro" replicò lo svedese, pizzicandosi il dorso del naso.
 
"Oh andiamo Lars, non vorrai dirmi che quei due..."
 
"Sì."
 
"Senti, conosco Jin abbastanza da definirlo come l'uomo più amorfo sulla terra e ancora meglio conosco Nina per poter affermare che niente è in grado di sciogliere quella donna! Niente! Lei non ha sentimenti. Lo proteggeva perchè la riempiva di soldi e basta!!" replicò il cinese.
 
"Normalmente ti darei ragione...Ma la sua reazione ha semplicemente confermato i sospetti che già nutrivo tempo fa. Quei due avevano un modo di guardarsi che andava ben oltre il rapporto capo-dipendente, nonostante non abbiano mai fatto trapelare nulla. Agli occhi di tutti erano due pezzi di ghiaccio col cuore di pietra. Ma ciò che Nina ha fatto per lui, il modo in cui lo proteggeva e non si è mai tirata indietro di fronte a nulla era troppo eccessivo se l'avesse fatto unicamente per la paga esorbitante che riceveva. Era assurdo quanto ovvio che fossero legati in un modo o nell'altro..."
 
Nessuno disse più una parola. Era tutto troppo strano.
 
"Sul fascicolo c'è scritto che è stata uccisa durante i rastrellamenti nei quartieri della città imposti da Heihachi, era accusata di alto tradimento." mormorò Alisa. "Non è specificato però che fine abbia fatto il corpo."
 
"Non ha importanza...Ora il problema più grosso è un altro!" rispose Lars, con tono grave. "Jin ha completamente perso il senno ed è di nuovo in piena balia del Gene del Diavolo. Non sappiamo se riuscirà mai a tornare in sé. Anzi...Non sappiamo se tornerà affatto..."
 
~
 
Non sapeva più né dove fosse e nemmeno quanto tempo fosse passato, aveva continuato a volare instancabile distruggendo qualsiasi cosa gli capitasse a tiro. La furia cieca non accennava ad attenuarsi e gli impediva di formulare qualsivoglia pensiero razionale, spingendolo a devastare tutto ciò che gli capitava a tiro. Non riusciva a fermarsi e in realtà nemmeno lo voleva, nessuna distruzione poteva compensare la sua interiore. Aveva il cuore a pezzi, l'odio e la disperazione offuscavano la sua mente come mai prima di allora. L'aveva persa. Aveva perso l'unico affetto che gli era rimasto dopo la morte di sua madre e tutto per colpa sua. Sapeva che Devil aveva pienamente ragione, era così concentrato nel raggiungere il suo obiettivo di scontrarsi con Azazel per distruggere lui e poi tutta la sua stirpe, che non aveva minimamente pensato al fatto che la sua amata guardia del corpo fosse semplicemente umana e in quanto tale vulnerabile come chiunque altro. Ancora una volta l'egoismo aveva compromesso irreparabilmente il suo metro di giudizio e non se lo sarebbe mai e poi mai perdonato. Continuò a volare per un tempo che parve infinito, quando improvvisamente si fermò in riva ad un lago sito in mezzo ad un bosco che mostrava i segni devastanti del suo passaggio. Studiò la sua immagine demoniaca riflessa nell'acqua e illuminata dalla pallida luce della luna piena, facendogli provare ancora più odio e disgusto nei confronti di se stesso.
 
"Non male come inizio, schiavo..." gli sussurrò Devil. "Hai fatto proprio un bel danno qua attorno. Come al solito non sei capace di fare altro se non distruggere, sono fiero di te!"
 
Jin non replicò. Semplicemente non ne aveva nè la forza, e giunto a quel punto nemmeno la volontà.
 
"Spero che il riscaldamento ti sia stato utile, il tuo spettacolo non è certo passato inosservato..." sghignazzò la bestia, sadico.
 
"Che vuoi dire?" rispose il ragazzo.
 
"Abbiamo visite..."
 
Fu allora che Jin si rese conto che la luce della luna non era più brillante come prima e soprattutto si accorse di un'ombra sinistra proiettarsi sulla superficie del lago. Una sagoma terribilmente e spaventosamente familiare...Un profilo oscuro di due enormi ali frastagliate e appuntite, simile a quelle di gigantesco pipistrello. Il sangue gli gelò nelle vene e solo allora comprese le parole di Devil. Di nuovo la sua ingenuità e il suo scarso autocontrollo avevano avuto conseguenze catastrofiche. Perchè di fronte a quell'exploit di energia, c'era un uomo che l'aveva percepita fin dalla nascita e ne aveva capito subito l'origine, che sorrideva maligno mentre scrutava il paesaggio dall'ultimo piano del gigantesco palazzo della G Corporation. Sapeva che era solo questione di tempo prima che venisse allo scoperto e non poteva certo perdere l'occasione per una riunione di famiglia. Devil Kazuya guardava sprezzante quello che era suo figlio, con un ghigno terrificante che gli sfigurava il volto già distorto dalla trasformazione: non aveva perso tempo, aveva subito assunto le sembianze demoniache ed era pronto più che mai a recuperare ciò che era suo di diritto, ossia la parte mancante di gene che aveva trasmesso involontariamente al frutto della sua passata relazione con Jun Kazama. Oh Jun, piccola, dolce, stupida Jun...Credeva davvero che il suo amore l'avrebbe cambiato, che sarebbe stato sufficiente a sconfiggere la maledizione che tanto lo aveva reso potente. Se solo non fosse stato gettato in quel maledetto vulcano e avesse saputo prima dell'esistenza del figlio se ne sarebbe occupato quando ancora non era in grado di nuocere! Ma non aveva più importanza: Jun era morta e presto quel bastardo di Jin avrebbe fatto la stessa pietosa fine. Quest'ultimo dal canto suo era come paralizzato. Non si aspettava un incontro del genere, non in quel momento, ma d'altronde si rese ben presto conto che l'attività crescente della sua parte del gene avrebbe inevitabilmente avvertito l'altra metà immediatamente. Era prevedibile, anzi, scontato! Eppure aveva sbagliato tutto di nuovo!
 
"Bene, bene, bene...Il verme è strisciato fuori, finalmente..."
 
Kazuya discese lentamente verso la superficie del lago, rimanendo sospeso pochi metri sopra di essa, quel tanto che bastava per osservare Jin d'alto e incutergli ancora più timore. La pelle violacea, gli occhi vermigli, le corna che gli sbucavano dalle tempie, le squame e la coda da drago erano tutti dettagli terrificanti, ma ancora peggio era l'aurea purpurea che sprigionava e gli faceva mancare l'aria.
 
"Sciocco da parte tua palesarti in modo così plaetale, soprattutto così debole! Sei sempre stato scarso, ma ora sembri proprio rammollito!"
 
Jin digrignò i denti, ma decise di non ribattere. Era nei guai...Non si sentiva ancora pronto a combattere contro suo padre, non era mentalmente stabile e inoltre uno scontro tra i due in quel punto avrebbe devastato chilometri e kilometri di territorio, provocando un numero di vittime spropositato: non sarebbe rimasto nulla, solo fumo, cenere e il vincitore, che era certo non essere lui.
 
"Come osi farti parlare in questo modo da quel bastardo? Come osi non reagire quando puoi avere accesso ai pieni poteri?" sbraitò Devil dentro la sua testa.
 
"N-n-no..."
 
"NO COSA? Osi anche ribellarti adesso?"
 
"Io non...Non posso..."
 
"Non puoi cosa? Non vuoi distruggere il tuo odiatissimo padre? Non vuoi eradicare la tua stirpe dal mondo? Non era il tuo piano fin dall'inizio? Bel modo di ripagare il sacrificio di Nina..."
 
Jin era disperato, ma Devil era furibondo. Non poteva tollerare una simile insubordinazione e codardia, soprattutto perché sentiva il potere straripante della sua parte mancante a pochi metri da lui e avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di ricongiungersi ad essa. Se solo il suo schiavo avesse collaborato...
 
"Sei pronto a fare la fine di tuo nonno e di quell'essere insignificante di Akuma?" urlò Kazuya sprezzante, scroccando le nocche.
 
"Guarda chi hai davanti! Lui, è lui il male di tutti i mali, colui che ha fatto soffrire tua madre Jun e poi Nina, le ha usate, torturate, fatto loro del male! E tu stai ancora lì impalato con le mani in mano???"
 
"S-s-smett-t-t-ila..."
 
"Lasciati andare a me e avrai poteri illimitati per farlo fuori. Lasciati andare e lo distruggerai una volta per tutte. FALLO!"
 
"NO!"
 
Seguì un silenzio quasi assordante. Kazuya osservava divertito la scena, perfettamente partecipe del dialogo interiore del figlio col gene del Diavolo. Quegli stupidi sentimenti sarebbero stati la sua rovina.
 
"Essia allora..." soffiò Devil. "Hai scelto di agire da vigliacco...E morirai da vigliacco..."
 
Un altro urlo squarciò l'aria, seguito da un tonfo di Jin che cadeva sulle ginocchia. Si sentiva debole come mai in vita sua, tanto da non riuscire nemmeno da reggersi in piedi. Scorse la sua immagine riflessa nell'acqua e con orrore si rese conto di aver di nuovo sembianze umane: Devil lo aveva abbandonato ancora e lui era di nuovo lì, inerme e al cospetto del male in persona. La situazione passò da critica a disperata.
 
"Patetico, davvero patetico...Sono contento che tu abbia preso il cognome di tua madre perchè non sei degno della stirpe dei Mishima! Sei solo un debole, infimo parassita...E i parassiti come te vanno schiacciati senza pietà..."
 
Jin avvertì un dolore lancinante allo stomaco. Devil Kazuya gli si era scagliato contro ad una velocità talmente incredibile che non si era nemmeno accorto del movimento e gli aveva sferrato un pugno potentissimo che gli aveva prosciugato i polmoni. Purtroppo per lui fu solo il primo di una lunga serie.
 
"Che fai, non reagisci? Combatti vigliacco, se hai il coraggio..."
 
Ma non aveva forze per combattere, non aveva più niente. Forse era davvero giunta la sua fine, forse bruciare nelle fiamme dell'inferno sarebbe stata una tortura più piacevole di tutta la serie di colpi e fendenti che suo padre gli stava infliggendo senza sosta e senza pietà. Sentiva le ossa rompersi, le viscere contorcersi, la pelle lacerarsi, gli occhi lacrimare senza sosta, eppure non riusciva a reagire. La tortura sembrò andare avanti in eterno, quando Devil Kazuya lo afferrò per il collo e lo sollevò senza sforzo, omaggiandolo di un'occhiata sprezzante e di uno sputo in pieno volto.
 
"Ma guardati...Così coraggioso e spavaldo prima, così inutile e miserabile adesso.Non meriti nemmeno di esalare un altro respiro!" soffiò, aumentando la stretta sulla trachea del ragazzo, impedendogli di respirare.
 
Era pronto a sferrare l'attacco finale, quando un bagliore argenteo improvviso nello sguardo moribondo del figlio lo fece desistere.
 
"Fermati!" gli intimò la voce del Diavolo nella testa di Kazuya. "Se lo uccidi ora, non riuscirai mai a recuperare la metà dei gene a pieni poteri!"
 
"Che cosa???" replicò sbalordito.
 
"Già...Si sta nascondendo e ha ridotto di proposito la propria energia al fine di non farsi catturare. Non possiamo ucciderlo ora e così facilmente, dobbiamo farlo fuori quando la sua parte sarà di nuovo furiosa, incontrollabile e potente. Solo combattendo il suo potere crescerà a dismisura... Altrimenti sarà tutto inutile!"
 
Il demone aveva ragione: non era da Jin non reagire e non aver nemmeno un briciolo di energia residua per sostenere un combattimento, che gli piacesse o no, era pur sempre un Mishima. Era ovvio che ci fosse qualcosa che non andasse e non aveva aspettato tutto quel tempo per ottenere una vittoria mutilata...Ma sì, che differenza avrebbe fatto attendere ancora un po'...Anzi, l'umiliazione di quella lotta impari lo avrebbe logorato ancora di più. Sorridendo sadicamente lo lasciò andare di colpo, facendolo capitombolare malamente sul terreno. Gli si accovacciò di fronte e gli afferrò i capelli, costringendolo a guardarlo dritto in quegli occhi dal colore del sangue fresco.
 
"Io ti ucciderò, Jin Kazama...Ti distruggerò...Ma non oggi! Non ha senso infierire su una creatura tanto infima come te...Ci rivedremo quando sarai all'altezza del sangue che ti scorre nelle vene!" concluse scagliando il volto del figlio contro una roccia li accanto, facendogli poi perdere i sensi.
 
"Sei stato fortunato Jin...Ma la prossima volta non ti andrà così bene..."
 
La luna venne di nuovo oscurata da quelle gigantesche ali nere, prima di rischiarare quella scena di desolazione e rovina.

~

Note dell'autrice: che ti avevo detto Jin?? Mi spiace averti fatto prendere un sacco di botte, davvero, ma la strada è ancora in salita....

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Capitolo 25
*** ReBorn ***


Era gravemente in fin di vita quando venne raccolto da Lars, Lee e Alisa in riva a quel lago, circondato da ettari di bosco carbonizzato. Il fumo ancora si sollevava dalle ceneri di quel disastro, disegnando motivi sinistri nell'aria e rilasciando una fortissima puzza di bruciato. Ancora una volta il maledetto sangue Mishima aveva causato enormi danni e la fine di tutto quel male non si intravvedeva nemmeno minimamente, anzi...Tutto era destinato a venire spazzato via. Quando lo adagiarono sulla barella respirava a malapena: si meravigliarono di come potesse essere ancora vivo dopo tutte quelle ferite gravissime riportate. Maneggiarono il suo corpo con estrema cura, perché avevano paura che si riducesse in mille pezzi ed effettivamente era ciò che stava per accadere. Ma la cosa più inquietante era che se il ragazzo era ridotto così male, quanto potente era diventato quel mostro di suo padre? E quanto effettivamente si era indebolito da non riuscire a tenergli più testa? Erano consci che a queste domande non avrebbero trovato risposte tanto presto, per salvargli la vita era necessario indurgli il coma nuovamente affinché quelle tremende ferite potessero guarire correttamente, infatti dovettero attendere pazientemente svariate settimane col cuore in gola, prima che Jin riaprisse gli occhi e riacquistasse conoscenza. Nuovamente i tre erano avidi di sapere come fossero andate le cose, ma l'interrogatorio si rivelò molto più breve di quanto pensassero.
 
"Mi sono ribellato al gene del Diavolo e ho perso i poteri." fu l'unica frase lapidaria ad uscirgli dalla bocca per far calare un tetro sipario sull'atmosfera già pesante.
 
In quello scontro contro il padre Jin non aveva potuto nulla contro di lui, era certo che sarebbe morto, eppure Kazuya gli aveva risparmiato la vita: era ovvio che ci fosse un motivo ben preciso dietro a quell'apparente sprazzo di pietà che di certo non gli apparteneva e questo, se possibile, lo angosciò ancora di più. Quella vita da incubo non era ancora cessata, aveva seminato nuovamente panico e distruzione e quel che peggio era il non essere più in grado di fermare suo padre, come si era ripromesso di fare. La sua guarigione procedeva lenta e le giornate erano letteralmente strazianti. Ogni volta che riapriva gli occhi rimpiangeva di non essere morto, avrebbe preferito bruciare all'inferno che continuare a condurre un'esistenza del genere. Aveva anche cominciato a rifiutare il cibo e Lee si vide costretto ad alimentarlo per endovena. Nessuno avrebbe mai immaginato un epilogo del genere.
 
"Lasciarti morire non risolverà le cose..." gli disse un pomeriggio Lars, con tono lapidario.
 
Come al solito si ostinava a tenerlo sott'occhio, temendo chissà quale cambiamento in lui, o qualsivoglia istinto di fuga, anche se allo stato attuale delle cose lui stesso iniziava a convincersi che era solo tempo sprecato. Avrebbe potuto impiegarlo in modo più costruttivo, per esempio aiutando Lars e Alisa nelle loro attività di spionaggio, o ancora meglio, ad allenarsi per diventare più forte. Se Jin era veramente fuori dai giochi, lui rimaneva l'unica speranza per distruggere l'odiato fratellastro ed era ben conscio che non sarebbe mai e poi mai stato in grado di farlo.
 
"Morire sarebbe così facile per te, non è vero? D'altronde quello che hai fatto sarebbe la fine che ti meriteresti..."
 
"Credimi, non desidero altro..." ribatté il ragazzo, osservando assente fuori dalla vetrata della sua stanza.
 
Il sole stava tramontando dietro gli enormi grattacieli e colorava di rosso e arancione l'orizzonte. Gli piaceva tanto osservarlo dall'ultimo piano della Mishima Zaibatsu, la in alto si sentiva potente, intoccabile, lontano da tutti i problemi.
 
"Non ne dubito. Ma invece vivrai, perché sei il solo che può tirare fuori l'intera umanità dal baratro dove l'hai brutalmente gettata, che ti piaccia oppure no!"
 
"Non posso! Non sono più in grado di combattere, ve l'ho detto! Devil mi ha abbandonato e.…"
 
"E non posso credere che il figlio di Jun Kazama debba fare unicamente affidamento alla sua maledizione per sconfiggere tuo padre! Bella delusione che sei, e gran bell' insulto alla sua memoria!"
 
Jin ammutolì. Questo era un colpo basso, ma sapeva di meritarselo tutto. Se sua madre fosse stata ancora viva non l'avrebbe nemmeno più riconosciuto come sangue del suo sangue, non importa quanto caritatevole e buona d'animo fosse. Sentiva di aver passato ogni limite umanamente accettabile e probabilmente avrebbe disgustato Satana stesso da quanto era caduto in basso.
 
"Non importa...Tanto sono solo capace di ferire le persone che mi stanno accanto, di fare loro solo del male...Prima mia madre, poi..." non riuscì a terminare la frase poiché gli morì in gola, ma allo svedese non sfuggì la sospensione di essa. Chi altro poteva aver ferito da renderlo triste?
 
"Poi...?" lo spronò a continuare.
 
Ma Jin tacque incapace di proseguire oltre; il solo pensiero gli faceva ancora più male delle ferite subite. Chiuse gli occhi cercando di trattenere le lacrime e serrò i denti fino a farsi male alla mascella, mentre nella sua testa esplodeva nuovamente il caos. Era terribile vivere così, era orribile pensare che lui era ancora lì e lei invece non c'era più a causa sua. Nascose il volto tra le mani, mentre i singhiozzi lo scuotevano da capo a piedi. Lars era palesemente stupito da una reazione del genere, ma decise di girare il coltello nella piaga per cercare di estorcere quante più informazioni possibili. Era quasi arrivato a provare compassione per lui, ma ora non poteva permettersela. Non adesso che dopo pomeriggi su pomeriggi passati nel silenzio assoluto finalmente poteva scorgere una crepa in quella corazza di mutismo e indifferenza.
 
"Piantala di frignare, sei patetico! Non è certo così che aiuti le fantomatiche persone che hai accanto ad uscire da questo mare di guai! Reagisci!"
 
Già, aveva pienamente ragione: era patetico.
 
"Non mi interessa più...Anche lei è morta..."
 
Lei. Ma certo...L'ex capitano della Tekken Force si diede mentalmente dello stupido per non esserci arrivato prima: forse perché, anche se davanti all'incredulità di Lee e Alisa di fronte alla reazione che ebbe settimane prima e che gli era costata cara, era stato l'unico ad aver capito cosa l'avesse innescata, lui stesso faticava a concepire una simile eventualità. Era semplicemente troppo assurda, troppo...Impossibile. Eppure...
 
"Stai parlando di Nina, non è vero?"
 
Il corpo del ragazzo passò da tremante per i singulti a immobile come la pietra. Fissava il vuoto e non aveva nemmeno il coraggio di incontrare lo sguardo inquisitore dello zio, un po' per imbarazzo, ma sicuramente anche per l'enorme dolore che stava provando. Quel silenzio tuttavia fu una risposta eloquente che non lasciava più spazio a dubbi; decise di continuare a battere il ferro finché era caldo, quindi prese una sedia e la trascinò accanto al letto dove il nipote riposava, girandola con lo schienale rivolto verso di lui e sedendosi a cavalcioni, in modo tale da appoggiare comodamente i gomiti e osservarlo meglio.
 
"Sputa il rospo, Jin. Che le è successo?" gli domandò a bruciapelo.
 
Ovviamente il ragazzo non rispose, ma il suo corpo parlava per lui: nonostante si ostinasse a fissare un punto indefinito sulla parete adiacente, era chiaro che stesse soffrendo e che nella sua testa un fiume di pensieri stesse scorrendo furioso. Pensieri oscuri, pensieri tristi, pensieri tormentati, tutte sensazioni che Lars poteva quasi vedere scorrergli nello sguardo vacuo. Sapeva che si sentiva responsabile in qualche modo del destino di quella donna, sapeva che era stato un colpo di grazia più duro persino di quello che gli avrebbe sferrato suo padre. Ma lui doveva capire, doveva sapere...
 
"Jin! Parla!" gli ordinò con una tale durezza nella voce, che riuscì nell'impresa di ridestarlo.
 
Jin sospirò pesantemente più e più volte, prima di lasciarsi andare sfinito sul materasso. Continuò ad evitare gli occhi del suo ex capitano, ma finalmente si decise ad aprire bocca.
 
"È colpa mia…È tutta colpa mia."
 
"Spiegati."
 
"Lei...Lei...Se solo non l'avessi coinvolta in tutto questo, sarebbe ancora viva, al sicuro. Non avrei mai dovuto chiederle di sostituirmi, non avrei mai dovuto chiederle di proteggermi...Non avrei mai dovuto..."
 
"...Innamorarti di lei?" concluse lo svedese.
 
Persino le sue stesse parole gli risuonavano assurde, eppure aveva terminato quella frase di getto, come se avesse potuto leggere i pensieri del nipote come un libro aperto. Il silenziò che susseguì fu nuovamente eloquente.
 
"Perché l'hai messa in mezzo se eri conscio del rischi?"
 
"Perché sono stato uno stupido, Lars. Perché ero certo che una volta eliminato me stesso e Azazel e con noi il Gene del Diavolo, Kazuya e Heihachi non sarebbero più stati una minaccia. Ero sicuro che si sarebbero distrutti a vicenda, che sì, sarebbero stati pericolosi, ma comunque due comunissimi essere umani. Sentivo di aver portato a compimento un piano infallibile sotto ogni punto di vista, per questo ho chiesto a Nina di prendere in mano la Zaibatsu e iniziare a rimediare a tutti gli orrori della guerra che avevo dovuto scatenare."
 
"Come potevi anche solo pensare che Nina, un'assassina spietata e calcolatrice come lei, potesse sistemare un simile disastro?"
 
"Tu la sottovaluti. Nina sì, era un'assassina professionista ed era maledettamente brava in ciò che faceva, ma non uccideva nessuno a sangue freddo senza che lo meritasse davvero. Aveva deciso di non accettare più incarichi che mirassero a far fuori innocenti, ma solo la feccia che popolava i sobborghi di questa città."
 
Parlare di lei al passato gli faceva malissimo. Lo sguardo dubbioso di Lars dinnanzi alle sue parole rischiò di fargli perdere le staffe, d'altronde chi era Nina per decidere chi fosse meritevole di vivere, o meno? Eppure dal giorno in cui aveva deciso di risparmiare la vita a Steve, qualcosa in lei era cambiato. Nonostante fosse sua complice in quella sanguinosa guerra, aveva comunque fatto tutto il possibile per limitare i danni e cercare di salvare quante più vite di civili possibili.
 
"Lei era una donna brillante, la persona più intelligente che io abbia mai conosciuto. Precisa, metodica, lungimirante e incredibilmente saggia. Puoi essere scettico quanto vuoi, ma se c'era anche solo una persona in grado di sistemare i miei casini e farlo egregiamente, quella era lei."
 
"E perché mai avrebbe dovuto accettare un'incombenza del genere? Come poteva un killer come lei provvedere a migliaia e migliaia di persone che avevano perso tutto, per colpa VOSTRA?" replicò piccato, sottolineando la parola "vostra" per enfatizzare il suo scetticismo.
 
Jin sorrise amaramente, mentre una patina opaca iniziò ad oscurargli lo sguardo ambrato.
 
"Perché glielo ho chiesto io come ultimo desiderio. Lei ha sempre saputo tutto, mi ha sempre appoggiato, non mi ha mai abbandonato noncurante dei rischi, è sempre stata sprezzante del pericolo, a volte fino a farmi morire di paura. Io l'ho pregata di farlo e lei ha acconsentito."
 
Un flashback attraversò la mente del soldato, quando di fronte a quell'enorme voragine che aveva inghiottito Jin e Azazel, Nina gli confessò di essere stata al corrente del piano del suo capo. Ricordava ancora il suo sguardo vuoto e la stanchezza e rassegnazione con la quale aveva pronunciato quelle parole. In realtà solo ora capiva che era stato il suo miglior tentativo di mascherare il dolore della perdita, perché una donna del genere, lei, Nina Williams, non avrebbe mai promesso a nessuno di ristabilire l'equilibrio delle cose, nemmeno per tutto l'oro del mondo. No, l'unico motivo per il quale doveva avere accettato era per forza diverso. 

Lars sospirò, finalmente tutto gli era chiaro. Aveva capito il motivo per il quale Jin non sarebbe mai e poi mai guarito. Non era la sconfitta ad averlo distrutto moralmente, non era l'umiliazione, non erano le ferite riportate: nel suo caos aveva trovato qualcuno che lo tenesse a galla, che tenesse viva la sua parte umana e che impedisse al suo demone di prendere il sopravvento, qualcuno di cui fidarsi, qualcuno da amare. Qualcuno che aveva poi perduto, provocandogli una ferita ancora più grossa ed impossibile da rimarginare. La scomparsa di quella donna gli pesava sulla coscienza e gli impediva di concentrarsi, di voler guarire, di voler sistemare le cose. Lo teneva ancorato ad un abisso di dolore e commiserazione, lo divorava giorno dopo giorno come una belva feroce, gli tormentava la coscienza e lo massacrava con i sensi di colpa.  Eppure Jin era davvero l'unico a poter risolvere quel disastro. Doveva assolutamente tornare in sé e per farlo rinvenire si doveva rischiare il tutto per tutto.
 
"Mesi fa, quando eri ancora in coma, Nina ha tentato di portarti via dalla nostra custodia..."
 
Jin strabuzzò gli occhi udendo quelle parole, rimanendo letteralmente a bocca aperta. Se non altro Lars sapeva di avere la sua attenzione.
 
"È così. Aveva fatto irruzione assieme ai soldati della Tekken Force, per cercare di recuperarti e portarti via. Frugando nel database della Mishima Zaibatsu l'altro giorno è saltato fuori che quella missione le era stata assegnata da Heihachi, che aveva già ripreso possesso dell'azienda. Tuttavia gli aggiornamenti da parte di Nina e altri tre soldati non corrispondevano minimamente a quanto riportato sul rapporto. Il momento dopo in cui ha dichiarato di non riuscire a trovarti e che probabilmente eri stato trasferito altrove, lei ti stava osservando attraverso il vetro."
 
Seguì un silenzio carico di tensione e di consapevolezza da parte di entrambi.
 
"Lei aveva intenzione di liberarti e di nasconderti chissà dove, mai avrebbe permesso che Heihachi ti torcesse anche solo un capello. Non si era venduta a lui come pensavamo all'inizio, lei voleva proteggerti. Per questo, in seguito a quella missione fallimentare, è stato diramato un mandato di cattura nei suoi confronti. Sicuramente sapeva che sarebbe finita sulla lista nera, eppure non ha esitato un attimo a mettere a rischio la sua vita nel tentativo di salvarti."
 
"Lei...voleva...Proteggermi."
 
Jin era sempre stato un ragazzo speciale. Da giovane mascherava le sue insicurezze dietro un'espressione corrucciata e una volontà ferrea, ma il figlio di Jun Kazama aveva un gran cuore, purtroppo oscurato dalla sua maledizione man mano che gli anni passavano. Aveva sopportato tanto e patito le pene dell'inferno, aveva perso sua madre, la sua casa, aveva conosciuto sulla sua pelle il tradimento del nonno e il disprezzo di suo padre. Ma grazie a Nina era riuscito a scorgere uno spiraglio di luce in tutte quelle tenebre, una boccata d'ossigeno dopo un'apnea durata anni. Quella confessione inaspettata ebbe il potere di scuoterlo da capo a piedi. I suoi occhi iniziarono ad appannarsi, mentre un paio di lacrime dispettose riuscirono a sfuggirgli e a rigargli le guance. Per quanto tempo aveva dovuto tenere i suoi sentimenti imbottigliati, belli o brutti che fossero. Per quanto tempo si era scordato cosa volesse dire sentirsi umani. Solo lei era riuscita a ridargli la forza per andare avanti. Una mano sulla sua spalla lo fece sussultare di botto, riportandolo alla realtà. Non poteva credere ai suoi occhi che fosse proprio Lars ad aver stabilito quel contatto fisico e che ora lo stava fissando con un'intensità e una fermezza tale da inchiodarlo sul posto.
 
"Io lo so che l'amavi, Jin. E ho capito che lei amava te. Hai cercato di eliminare il male generando altro male e ti sei reso conto di aver fallito, non era la strada giusta. Nina ha rischiato tutto per far sì che tu avessi una seconda possibilità e c'ha rimesso la sua stessa vita, fai in modo che non sia morta invano. Rendi onore al suo sacrificio, per una volta scegli di sconfiggere l'oscurità con la luce, non il contrario. Ammetti i tuoi errori, asciugati le lacrime, riprenditi e rincomincia. Glielo devi, Jin. Lo devi al mondo intero. È ora che ti rialzi. Jin Kazama, è ora che tu rinasca!"
 
~
 
E mentre quelle parole facevano breccia nella mente e nel cuore del giovane, che chiuse gli occhi, pronto a ricominciare da zero, a migliaia di chilometri di distanza, un paio di iridi cerulee si spalancarono in preda ad un dolore lancinante. L'urlo straziante che squarciò il silenzio di quella notte fece irrompere il pugile in camera della donna, notando con orrore un'enorme pozza di sangue che si stava formando sul materasso.
 
"NO, NO, NO, NINA..." urlò in preda al panico.
 
"Aiutami St-teve, n-n-on...N-on è il momento ora..."
 
"Resisti, resisti, chiamo un'ambulanza! Respira, respira a fondo, andrà tutto bene..."
 
Ma quelle parole non riuscì ad udirle. Era diventato tutto buio...
~

Note dell'autrice: certo che Lars è sempre stato un tipetto sveglio, non c'è che dire :D E ora per par condicio, anche Nina dovrà patire un po'...Coreggio ragazzi miei, sapete che vi voglio bene, ma ora devo essere un po' cattiva...
 

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Capitolo 26
*** Lucky Star ***


In tutta la sua esistenza non ricordava di aver mai provato un dolore simile. La testa le girava e gli occhi lacrimavano senza sosta mentre nella sua testa un turbine di pensieri le impediva di capire cosa stesse succedendo. I crampi che provava erano sempre più lancinanti, tanto da non lasciarle il tempo di respirare. E poi il sangue sul lenzuolo...Qualcosa non andava, non doveva essercene così tanto, ma soprattutto non era ancora giunto il momento. Mancavano 4 settimane. Eppure la creatura che portava in grembo sembrava essere pronta ad uscire. 
 
"Fate presto per favore!!!" sentì il ragazzo urlare al telefono in tono isterico. 
 
Vani erano stati i corsi pre-parto e le raccomandazioni dei medici, in quel momento l'agitazione e il terrore regnavano sovrani ed era quasi impossibile mantenere la calma.
 
"Resisti Nina, stanno arrivando." disse Steve, stringendole forte la mano e spostandole le ciocche di capelli dalla fronte sudata. "Cerca di fare respiri profondi, vedrai che presto starai meglio."
 
Fortunatamente udirono il suono delle sirene in lontananza dopo pochi minuti, ma era presto per cantare vittoria. Il biondo infatti si accorse con orrore che oltre al sangue c'era un altro liquido quasi incolore che continuava a sgorgare copioso. La rottura delle acque era avvenuta dopo soli 8 mesi di gestazione, com'era possibile che il feto fosse già pronto per venire al mondo? La paura che potesse nascere prematuro, o ancora peggio, rischiare la vita assieme a quella di Nina lo paralizzò dalla testa ai piedi. Le possibilità che qualcosa andasse storto erano altissime, dal momento che quella situazione non avrebbe dovuto verificarsi in primis, inoltre la donna stessa stava già soffrendo come se fosse già in procinto di espellerlo fuori. Fortunatamente arrivarono i paramedici, che subito la circondarono e si affrettarono a prenderle i primi parametri.
 
"Lei chi è?" gli chiese un uomo alto, con profondi occhi grigi. 
 
"Sono sui fi...Cioè suo fratello. Mi chiamo Stefan Walsh, lei è mia sorella Agatha, ma è presto, troppo presto, è di sole 36 settimane." 
 
Udendo quelle parole l'equipe si affrettò ancora di più a caricarla su una barella e a precipitarsi fuori.
 
"I vostri genitori dove sono?"
 
"Noi non...Non li abbiamo più, siamo solo noi due..." replicò il pugile, incapace di tenere stabile la voce.
 
"Capisco. Forza, prenda i documenti, il borsone e ci segua, sua sorella deve essere ricoverata d'urgenza!"
 
"S-sì signore!" balbettò il ragazzo, sconvolto.
 
Purtroppo il borsone ancora non era pronto, Nina non se l'era ancora sentita di prepararlo e lui non aveva voluto forzarla. Raccolse le prime cose che gli capitarono a tiro, tra pannolini, asciugamani e abiti di vario tipo e si precipitò fuori di casa, saltando sulla macchina e inseguendo l'ambulanza. Il Letterkenny Hospital che aveva seguito suo madre distava più di un'ora di macchina da dove si trovavano e in quelle condizioni era impensabile raggiungerlo. L'ambulanza si diresse quindi a sirene spiegate alla volta del più vicino Killybegs Community Hospital, meno attrezzato, ma raggiungibile nel giro di pochi minuti. La situazione era palesemente grave e doveva essere stabilizzata nel minor tempo possibile, entrambi stavano rischiando grosso. Giunsero a destinazione nel giro di una decina di minuti, complice la totale assenza di traffico essendo notte fonda. Steve si precipitò dentro la struttura, tallonando la barella che veniva spinta a tutta velocità verso il pronto soccorso.
 
"Mi spiace, deve attendere qui!" gli intimò un'infermiera, sbarrandogli la strada. 
 
"Ma mia sorella..." protestò, cercando di scavalcarla.
 
"Sua sorella ha bisogno di un intervento urgente, dobbiamo fermare l'emorragia e fare uscire il bambino. Non posso farla entrare!" replicò categorica, prima di fiondarsi a sua volta dietro le porte della sala operatoria.
 
Emorragia. Steve si sentì mancare la terra sotto i piedi. La testa gli girava e le orecchie gli ronzavano, aveva bisogno di aria, ma non riusciva a muoversi. Venne prontamente sorretto da due infermieri, che accortisi del suo pallore e del sudore freddo che gli imperlava la fronte, gli erano corsi incontro senza che nemmeno se ne accorgesse, mentre le gambe gli cedevano. Lasciò che lo adagiassero a sua volta su una barella del pronto soccorso, e si accasciò su di essa, mentre gli altri gli tenevano le gambe sollevate per cercare di rimandare il sangue al cervello. Non poteva finire così, non doveva andare così.

Sua madre era una donna forte, anzi, la più forte che avesse mai conosciuto, aveva subito traumi, ferite, infortuni terribili, non poteva spezzarsi proprio ora. Non poteva perderla, dopo tutti i mesi passati assieme a ricucire un rapporto che sembrava perduto in partenza. Man mano che i giorni passavano si era reso conto di volerle davvero bene, di sentirla a tutti gli effetti sua madre, nonostante da parte sua ci fosse sempre un certo distacco. Ma nonostante quello, era palese come anche lei avesse iniziato ad accettarlo come parte della sua vita e avesse iniziato a sua volta a volergli bene ed essergli grata per tutto ciò che stava facendo per loro. Lei gli aveva voltato le spalle e ciononostante lui le aveva comunque teso la mano nel momento di maggior bisogno. Aveva capito che nonostante il dolore e l'umiliazione che le avevano inflitto durante quel lunghissimo sonno criogenico, qualcosa di buono ne era comunque uscito. Un ragazzo sano, forte, gentile e premuroso, così genuino e sincero da lasciarla ogni volta spiazzata. Il calore del suo cuore era riuscito a sciogliere il ghiaccio che aveva sempre avvolto il suo. Non poteva finire così, la sofferenza non poteva avere di nuovo la meglio. 
 
"Va meglio?" gli domandò uno degli infermieri quando riaprì gli occhi.
 
"I-io...Sì, credo di sì." balbetto incerto.
 
"Tieni..." disse l'altro allungandogli un bicchiere di plastica. "Bevi questa, è acqua zuccherata. Ti farà bene. Ma se dovessi risentirti male temo che dovremmo somministrarti qualcosa di più forte." 
 
Steve accettò con gratitudine e bevve lentamente a piccoli sorsi. 
 
"Sto meglio, grazie infinite." rispose mettendosi a sedere sulla barella. 
 
I suoi occhi cercarono subito la porta della sala operatoria che aveva inghiottito sua madre. La luce sopra di essa era ancora accesa, segno che era in corso un intervento. Per un attimo si sentì mancare di nuovo, ma cercò di ricomporsi con tutte le sue forze.
 
"Come sta mia sorella?" chiese all'infermiere che in quel momento stava riponendo il prova pressione.
 
"Non lo so, mi dispiace. Normalmente una donna perde circa mezzo litro di sangue durante e dopo il parto, a meno che non si tratti di un cesareo. Francamente non ho mai visto nulla di simile, ma se si vuole arrestare quella perdita di sangue è necessario estrarre il feto."
 
Steve rabbrividì a quelle parole. Non era esperto di bambini, tutt'altro, anche se aveva provato a documentarsi il più possibile in quei mesi. Ciò che stava accadendo a Nina era anormale e sebbene non si potesse dire che fosse una persona credente, pregò con tutto il cuore ogni divinità affinché tutto filasse liscio. 
 
"Mi ascolti: so che è preoccupato da morire e ci mancherebbe, ma anche se siamo un ospedale piccolo abbiamo a disposizione degli ottimi medici. Le garantisco che faranno anche l'impossibile e che presto potrà riabbracciare sua sorella e il suo bambino. Abbia fede!" disse l'infermiere, appoggiandogli una mano sulla spalla e sorridendogli. 
 
Pur essendo conscio che la situazione era molto seria, quel giovane uomo aveva messo da parte la sua professionalità, in favore di un atto di umanità e compassione. Sentiva quanto quel ragazzo fosse in pena e in cuor suo sapeva che dare per scontato un esito positivo era un grosso azzardo, quasi immorale, eppure confidava nelle capacità dei suoi colleghi e nel buon dio che avrebbe sempre favorito la vita di fronte alla morte. Se non altro le sue parole parvero rasserenarlo un minimo, perciò, ringraziandolo di nuovo, scese dalla barella per uscire a prendere una boccata d'aria. Anche a primavera inoltrata di notte l'aria era ancora frizzante. Era una notte limpidissima, senza una nuvola, dove le stelle gareggiavano a chi fosse più luminosa e la luna brillava in tutto il suo fascino misterioso. Il pugile rimase al lungo a contemplare la volta celeste, cercando di contare quegli infiniti puntini luccicanti, così lontani, ma così di conforto. Anche gli astri avevano una vita, ma durante tutto l'arco di essa non mancavano mai di risorgere ogni notte e splendere. Ogni volta che il sole calava per lasciare spazio alle tenebre, loro erano sempre lì ad illuminare la via di chi l'ha smarrita. Era stato così per lui e nonostante la paura, sentiva che sarebbe stato così anche per sua madre, perché sapeva che avrebbe lottato per la vita con tutte le sue forze e alla fine sarebbe tornata, bella e raggiante come non mai. Sospirando rientrò dentro e si mise a sedere su una delle seggiole di fronte alla sala operatoria. Il pronto soccorso era semideserto, perciò nessuno gli chiese di spostarsi. Rimase a fissare quell'infisso per minuti infiniti, che sembrava diventassero ore in metà del tempo e a pregare che una di quelle stelle la fuori splendesse anche per loro. 
 
Dopo un lasso di tempo che sembrava infinito la luce sopra la porta si spense. Fu allora che Steve ricominciò a contare i secondi, lottando con tutto sé stesso per rimanere calmo e impedire che l'agitazione prendesse il sopravvento. Questi continuarono a passare incessanti,  a diventare un numero sempre più grande, eppure scandirli nella sua mente lo aiutava a rimanere coi piedi per terra. Arrivò fino a 660, ossia 11 minuti, poi la porta si aprì e uscì un medico sulla cinquantina. Indossava un paio di occhiali da vista a mezzaluna dietro i quali vi era uno sguardo stanco e indecifrabile.
 
"Sei Stefan Walsh?" gli chiese avvicinandosi.
 
Steve deglutì.
 
"Sono io!" rispose con voce tremante.
 
"Buonasera, sono il dottor Byrne, ho gestito e coordinato l'operazione di sua sorella Agatha."
 
"Come sta? E il bambino?" chiese agitato.
 
Dallo sguardo del medico non riusciva ad evincere nulla e iniziò veramente a temere il peggio.
 
"Sua sorella ha avuto un' importante emorragia antepartum, dovuta al distacco della placenta, la cui causa va attribuita all'eccessiva quantità di liquido amniotico."
 
Steve rimase in attesa.
 
"Normalmente un feto si ritiene idoneo alla nascita a partire dalla 37esima settimana, tuttavia considerata la gravità della situazione, abbiamo ritenuto fosse troppo rischioso aspettare e abbiamo praticato un cesareo d'emergenza."
 
"La prego, mi dica come stanno..." implorò il pugile, ormai sull'orlo delle lacrime.
 
"La signorina Walsh è stata stabilizzata e l'emorragia arrestata. Al momento si trova ancora sotto sedazione e l'intervento sembra essere riuscito. Sia ben chiaro che non possiamo ancora ritenerla del tutto fuori pericolo, ma ha buone possibilità di recupero, essendo molto giovane e in buona salute...Per quanto riguarda il feto, bhe..."
 
"Bhe...Cosa??"
 
"Devo ammettere che in tanti anni non mi è mai capitato di vedere nulla del genere." rispose il medico, con una certa perplessità nella voce.
 
"Che intende?" replicò Steve allarmato.
 
"Solitamente i bambini nati prematuri, ossia prima della 37esima settimana, possono avere problemi al momento della nascita. Tuttavia, in questo caso, il feto sembrava essere completamente formato e in salute, come se fosse nato a termine. Ciononostante abbiamo deciso di tenerlo sotto stretta osservazione, pertanto sia lui che la madre rimarranno ricoverati per almeno una settimana…Anche se tutto sommato, mi sembra che il quadro per entrambi sia abbastanza positivo, se consideriamo la gravità della situazione nella quale si erano presentati e rischi che entrambi hanno corso."
 
Finalmente, dopo ore, Steve ricominciò a respirare. Era fatta. Vero, dovevano entrambi riprendersi ed era troppo presto per cantare vittoria, ma in cuor suo sapeva che sarebbe andato tutto bene. Nina era viva. Il bambino era vivo. Qualsiasi cosa sarebbe successa dopo l'avrebbero affrontata insieme ed era pronto a dare tutto il supporto possibile.
 
"Io...Io la ringrazio di cuore dottor Byrne, lei, tutta la sua equipe e tutto il suo ospedale. Le sarò sempre e infinitamente grato per quello che ha fatto." disse, con gli occhi lucidi per l'emozione.
 
"Dovere ragazzo, dovere..." replicò il medico, finalmente distendendo le labbra in un sorriso. "Anzi, le faccio le mie congratulazioni, per la nascita del suo nipotino. Sarà uno zio molto tosto!"
 
Zio...Se solo avesse saputo la verità. No, non sarebbe stato uno zio tosto, ma un fratellone leale, premuroso e affettuoso. Tutto d'un tratto si era reso conto che uno dei più grandi sogni della sua vita, quello di avere un fratellino, o una sorellina si era improvvisamente avverato. Non se lo sarebbe mai aspettato, nemmeno lontanamente immaginato, eppure era successo. Ringraziò nuovamente di cuore tutti i professionisti che man mano uscivano dalla sala operatoria e si raccomandò caldamente di venire avvisato subito non appena Nina avrebbe ripreso conoscenza. Non era ancora possibile vedere il bambino perchè lo stavano sottoponendo a tutti i controlli e le visite del caso, ma avrebbe pazientato. Sorridendo uscì nuovamente dall'ospedale, per osservare il cielo che iniziava a tingersi di arancione e violetto. In lontananza una stella faceva ancora capolino nel cielo. Era ormai sulla via del tramonto, ma Steve sorrise con le lacrime agli occhi mentre la osservava, conscio che sarebbe ritornata esattamente al suo posto la notte successiva e avrebbe continuato a splendere ancora e ancora. 
 
"Grazie..." mormorò semplicemente, asciugandosi una lacrima che era riuscita a sfuggirgli. 
 
Dopo una vita piena di oscurità, finalmente anche i suoi occhi e quelli di sua madre, stavano per conoscere la luce. 
 
 
 
~
 
Note dell'autrice: allora, inizio col dire che sto capitolo sul parto da scrivere è stato....UN VERO PARTO. Lol. Premetto che non so proprio niente di gravidanze e parti in generale, perciò mi sono affidata al buon vecchio Google. Spero di non aver scritto boiate, in caso perdonatemi, apprezzate lo sforzo e ricordatevi che quel bambino che è nato è per un quarto un Mishima, quindi tutto è concesso xD parlando seriamente, ho pensato e ripensato a come scrivere questo capitolo, sono stata ferma per mesi a pensare e ripensare a come svilupparlo, alle interazioni tra Steve e Nina, a questo benedetto bambino che doveva nascere....E niente, alla fine mi sono messa davanti al PC e mi è uscito questo di getto. Ma sapete cosa? Va bene così, sono soddisfatta. Ci penserò in seguito a recuperare cosa avrei voluto mettere...

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Capitolo 27
*** The Name ***


Sprazzi di colori scuri, immagini sfocate dai contorni distorti, suoni sinistri fatti di fruscii e rombi di tuoni che da lontani si facevano sempre più vicini e infine fuoco e fiamme che ardevano vive di vita propria. E poi una voce.
 
"Svegliati!" 
 
Nina sbarrò gli occhi, trasalendo. Il cuore le batteva a mille dopo l'ennesimo sogno apparentemente senza senso. Erano mesi ormai che quella visione infestava il suo sonno, eppure non era ancora riuscita ad interpretarla in nessun modo. Nessuno di quei fotogrammi confusi le era familiare, eppure il senso di inquietudine accresceva ad ogni risveglio. Sentiva che non erano semplici incubi, tutt'altro, avevano un sapore di presagio sinistro e imminente. E poi quella voce. Quella voce che le sembrava di averla già sentita, così delicata e allo stesso tempo decisa, categorica. Deglutì a fatica e iniziò a guardarsi intorno, prendendo coscienza della sua posizione attuale. Ben presto si rese conto di non essere più nella sua stanza, bensì adagiata su un letto con le sponde in una camera di un bianco asettico. Indossava una specie di vestaglia bianca a pallini azzurri e ben presto si rese conto della presenza ingombrante di un ago infilato nell'incavo del suo gomito sinistro. Si portò lentamente una mano sul ventre, rendendosi conto che mancava qualcosa. Immediatamente il suo cervello ricollegò tutto quanto e si rese conto di trovarsi in un ospedale: il panico l'assalì dopo aver constatato che il suo pancione non c'era più e quando provò a muoversi una fitta al ventre la costrinse a rimanere sul materasso. In quel momento la porta si aprì e fecero il suo ingresso due infermiere, una che reggeva una cartellina e un'altra asciugamani, spugne e una bacinella.
 
"Signorina Walsh, è sveglia. Come si sente?" domandò la prima, una ragazza giovane sulla trentina che si apprestò ad avvicinarsi per controllarla meglio.
 
"Io...Cos'è successo?" chiese confusa, sentendo l'ansia montare dentro di lei.
 
"Stia calma e non si agiti, o rischia di far saltare i punti."
 
I punti? Quali punti? Istintivamente si rese conto della ferita nel basso ventre, che iniziava a pulsare e bruciare. 
 
"Sente dolore? Le abbiamo somministrato della morfina, ma ormai l'effetto deve essere terminato. Se è insopportabile possiamo somministrargliene dell'altra, ma vorremmo evitare a meno che non sia strettamente necessario."
 
"Sto bene." replicò spiccia, in attesa di risposte.
 
Quel taglio vistoso significava una cosa sola e un'unica domanda ora le rimbombava nella testa.
 
"Dov'è?" chiese con tono quasi isterico.
 
Le donne le sorrisero premurose, mentre le controllavano i parametri e appuntavano tutto sulla cartella clinica.
 
"Non si preoccupi, il suo bambino sta benone. Essendo nato prematuro lo stanno sottoponendo agli ultimi esami clinici per accertarci che tutto sia nella norma, ma tra poco potrà vederlo, non si preoccupi. Ora, se lo permette, vorremmo aiutarla a lavarsi, non deve assolutamente fare sforzi."
 
La bionda annuì distrattamente, lasciando che le due infermiere l'assistessero in toto. Stava bene. Il suo piccolo stava bene. Presto l'avrebbe finalmente conosciuto, avrebbe finalmente scoperto il colore dei suoi occhi, dei suoi capelli, il profumo della sua pelle. Era agitata. Non era pronta a tutto questo, era accaduto tutto così in fretta da non lasciarle il tempo di prepararsi mentalmente. Era nato il suo secondo figlio e nemmeno stavolta aveva potuto vederlo appena uscito e ascoltare il suo primo vagito. Era convinta che quell'esperienza nuovamente negata avrebbe impattato sul primo incontro e iniziò ad avere seriamente paura di ciò che l'aspettava. Se non fosse stata all'altezza del compito? Se non fosse stata in grado di fare la madre, avendo fallito in toto con Steve? Se, se, se e altri mille se continuarono a turbinargli in testa, frastornandola sempre di più.
 
"Ecco fatto. Mi raccomando, se ha bisogno di qualsiasi cosa non esiti a suonare il campanello, è quel bottone rosso lì di fianco, lo vede?"
 
Nina deglutì a vuoto, annuendo vigorosamente con la testa. L'infermiera si accorse del suo stato d'animo turbato e le sorrise dolcemente.
 
"Stia tranquilla signorina Walsh, il peggio è passato. Deve solo portare pazienza ancora per un pochino e presto conoscerà il suo piccolo miracolo. Ma prima c'è qualcun altro impaziente di vederla."
 
"Chi?" domandò con voce quasi stridula.
 
"Suo fratello. Non è nemmeno rientrato a casa, è rimasto qua da ieri sera ad aspettare che si risvegliasse. Spero non si offenda se le dico che oltre ad essere un bellissimo ragazzo, è anche estremamente premuroso e gentile, lei è proprio fortunata." sospirò la ragazza con aria sognante.
 
Nina rimase senza parole. Ancora una volta Steve le era rimasto accanto, sebbene non fisicamente, e non l'aveva abbandonata. Tutto ciò aveva dell'incredibile.
 
"Posso farlo entrare? È abbastanza provato." chiese, prima di congedarsi.
 
"S-sì, certo." rispose farfugliando.
 
"D'accordo, glielo chiamiamo. Tra poco la raggiungerà anche l'ostetrica. Arrivederci!"
 
Le donne la salutarono con un sorriso prima di uscire dalla stanza. Passò a malapena un minuto prima che il pugile entrò come un tornado, fiondandosi da lei.
 
"Nina...Oh, grazie al cielo stai bene!" esclamò, abbracciandola di getto.
 
Fu un abbraccio forte e delicato allo stesso tempo, ma carico di affetto e sollievo, che la lasciò ancora più spiazzata. Non era abituata e certe manifestazioni di tenerezza, non più per lo meno. Steve dal canto suo sapeva quanto la donna tenesse ai suoi spazi, ma era stato più forte di lui. L'angoscia l'aveva divorato nelle ore precedenti, sapendo quanto avessero rischiato, e ora poteva finalmente rilasciare tutta la tensione accumulata. Quando sentì la mano della donna appoggiarsi timidamente sulla sua spalla per avvicinarlo un po' di più gli sembrò di sognare. Tuttavia decise di tornare coi piedi per terra, conscio di quanto fosse delicata in quel momento sua madre. 
 
"Come stai?" gli chiese accucciandosi al suo fianco.
 
"Diciamo che ho avuto momenti peggiori, ma senza dubbio anche di migliori..." sospirò, cercando di ignorare il pizzicore fastidioso dei punti di sutura. "Cos'è successo, Steve?"
 
"Oddio, è stato terribile. Hai avuto un distaccamento della placenta, che ti ha causato una fortissima emorragia. Avete rischiato la vita entrambi, ma l'equipe di medici ha fatto un lavoro egregio. E finalmente posso dire che tutto è andato per il meglio."
 
"Tu...Tu l'hai..."
 
Ma non riuscì a finire la frase che qualcuno bussò alla porta.
 
"Avanti." risposero all'unisono.
 
A passi lenti e misurati entrò una donna sorridente, che reggeva un fagotto di coperte tra le braccia.
 
"Buongiorno signorina Walsh. Sono la dottoressa Kelly, la sua ostetrica. Scusi per l'interruzione, ma qua c'è qualcuno che non vede l'ora di conoscerla."
 
Gli occhi di Nina e Steve si illuminarono, quando la donna si avvicinò al letto, porgendo quanto stava sorreggendo. Istintivamente le braccia della bionda si allungarono per accoglierlo tra le sue, e per la prima volta i suoi occhi si posarono su quella creatura.
 
"Congratulazioni, è proprio un bel maschietto. Ci ha fatto un po' dannare e onestamente non ho mai visto un bambino così grande nato con così tanto anticipo sul termine, ma il mio mestiere mi ha insegnato che non si finisce mai di imparare."
 
Nina osservò suo figlio con il fiato sospeso, studiando ogni singolo particolare del suo giovanissimo volto. L'ostetrica aveva ragione, era già grande e perfettamente formato come se fosse un bambino di pochi mesi. Eppure sembrava così piccolo e indifeso tra le sue braccia...Dormiva stringendo la coperta tra i piccoli pugni, il visino era aggrottato in un'espressione quasi corrucciata. Eppure nonostante le pochissime ore di vita, i suoi lineamenti erano così ben definiti da lasciarla senza parole. C'erano tanto di lei in lui e c'era anche tanto di suo padre, come i capelli folti e corvini e il viso a punta. La bocca e gli zigomi invece erano identici ai suoi di quando era bambina, se lo ricordava dalle foto viste nell'album di famiglia che suo padre Richard custodiva così gelosamente. Il piccolo improvvisamente mugugnò, probabilmente aveva percepito lo spostamento e iniziò lentamente ad aprire gli occhietti leggermente a mandorla. Un azzurro splendente e cristallino lasciò entrambi a bocca aperta. Gli stessi occhi di Nina e di Steve ora stavano fissando per la prima volta sua madre e suo fratello, imprimendo i loro volti nella sua giovanissima mente.
 
"S-s-sei...Bellissimo..." mormorò la donna, incapace di distogliere lo sguardo dal suo bambino, così simile a lei, così simile al suo amato Jin.
 
"Lo è.…" aggiunse Steve, emozionatissimo.
 
"Sono d'accordo, è veramente un bambino splendido. Ha già deciso il nome?"
 
Il nome. Ma certo, come aveva potuto scordarselo? In realtà Nina aveva passato gli ultimi mesi a cercarne uno, ma nessuno sembrava convincerla per davvero. Essendo nato con un mese di anticipo non le aveva lasciato il tempo di finire di cercare e di decidersi su come si sarebbe chiamato. 
 
"Io, veramente...Non ancora..." confessò in imbarazzo. "N-non ero ancora pronta e..."
 
"Ma ci mancherebbe, signorina Walsh. Questo piccino aveva così tanta fretta di venire al mondo, ma per certe scelte ci vuole più tempo. Non si preoccupi, date le circostanze, possiamo tranquillamente registrarlo domani, se lo riconosce come suo." le disse l'ostetrica in tono dolce e rassicurante.
 
Nina sospirò di sollievo. 
 
"Io...Certo, lo riconosco."
 
""Molto bene allora. Vuole provare ad allattarlo?"
 
Ecco un'altra incombenza che Nina non avrebbe mai pensato di dover affrontare nella vita e che invece ora gli si presentava tra capo e collo. 
 
"Io non credo di sapere come..."
 
"Non c'è problema, sono qui per questo. Le spiego come fare."
 
"Io vi lascio sole allora." disse Steve, conscio del fatto che sua madre avesse bisogno di privacy in un momento così importante e delicato.
 
Uscì dalla stanza ancora euforico. Stavano entrambi bene e il suo fratellino era un vero e proprio gigante. Si sentiva così fiero e felice e non vedeva l'ora di passare del tempo assieme. Già si vedeva assieme a lui tra qualche anno a correre nei prati, giocare a pallone, a nascondino, ad aiutarlo a fare i compiti. L'oscuro pensiero della guerra che ancora si consumava furiosa gli attraversò per un momento la testa, ma non fu sufficiente a rovinare la sua felicità. Avrebbe vissuto la vita al massimo fintanto fosse stato loro possibile e li avrebbe protetti sempre, anche a costo della vita. Rientrò nella stanza di Nina una buona mezz'ora dopo quando l'ostetrica uscì e la trovò sdraiata sul letto col piccolo appoggiato sul petto. Per un attimo si sentì quasi geloso di quella visione, ma si rese subito conto che era una reazione semplicemente immotivata. Non voleva che il suo fratellino passasse quello che aveva dovuto subire, era veramente contento che sarebbe potuto crescere diversamente. Prese posto di fianco a sua madre e rimase ad osservarli in silenzio con le mani sotto al mento.
 
"Bhe...è decisamente un Williams." commentò Nina sorridendo, mentre spostava una ciocca di capelli al piccolo.
 
"Già. Buon sangue non mente." rispose sorridendo il pugile. "Davvero non hai pensato ad un nome?"
 
Nina sospirò. Steve sapeva che il bambino sarebbe stato un maschio, ma non si era intromesso nella questione nome per rispetto, dal momento che la donna stessa non aveva mai toccato l'argomento. Ora però era veramente curioso.
 
"Ho letto parecchio nell'ultimo periodo, ma non ho incontrato un singolo nome che mi piacesse davvero. Onestamente i nomi irlandesi non mi hanno mai fatta impazzire, vorrei qualcosa con un significato ecco..."
 
"Pensavi ad un nome straniero?"
 
"In realtà vorrei che portasse due nomi e il secondo l'ho già deciso. Se devo essere onesta, vorrei dargli un nome giapponese."
 
Steve annuì. Non aveva voce in capitolo, e se sua madre voleva comunque omaggiare le origini del padre del bambino non poteva assolutamente impedirlo.
 
"A dirla tutta, nemmeno i nomi giapponesi mi piacciono un granché, ma c'è n'è uno che mi è rimasto impresso più degli altri."
 
"Di che nome si tratta?" domandò il biondo.
 
"Keiichi. Ha diversi significati in base ai kanji utilizzato, ma quello che più mi ha colpita è benedizione, felicità. Anche "unico nel suo genere"."
 
Keiichi. Non era male e il significato era molto dolce e deciso. In tutta onestà gli sembrava un nome perfetto.
 
"A me piace molto, ha un bel suono, non è eccessivamente lungo e un significato profondo. Secondo me è azzeccato."
 
"Tu dici?" chiese la donna, senza staccare gli occhi di dosso dal secondogenito, che dormiva pacioso sul suo seno.
 
Steve annuì. Nina continuò a studiare il volto del suo piccolo, rendendosi conto che effettivamente il nome ideale lo aveva in mente già da tempo e ora che lui era lì tra le sue braccia aveva ancora più senso.
 
"Sei un bimbo fortunato, lo sai? Ti chiedo di perdonare la tua mamma perché sarà un un po' un disastro, ma hai un fratellone davvero speciale che ti vuole tanto bene. Sei tanto amato, Keiichi Richard. Sei tanto fortunato..."
 
E finalmente si rese conto che anche lei, dopotutto, era veramente fortunata. E soprattutto che non sarebbe stata più sola.

~

Note dell'autrice: Steve è così carino e coccoloso che mi viene quasi voglia di abbracciarlo...Capitolo un po' sdolcinato, ma suvvia, concediamo a sti poveretti un momentino di tregua :') Per quanto riguarda il nome del baby Kazama ho spulciato per mesi e mesi Google alla ricerca di un nome giapponese con un significato adatto al contesto che mi piacesse. Devo dire che Keiichi non mi fa troppo impazzire, ma è il più decente che ho trovato imho xD E poi un tributo al buon Richard era doveroso <3.

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Capitolo 28
*** Suspicions ***


Il paesaggio era di nuovo oscuro, ma molto meno confuso. Si trovava in una specie di foresta, dove gli alberi scuri e spogli allungavano i rami scheletrici verso il cielo. Non una stella e nemmeno un raggio di luna rischiaravano il paesaggio, non c'era niente a definire i contorni di quel groviglio di piante e radici nodose. Era confusa: non aveva memoria di quel posto e il buonsenso le intimava di fuggire, ma qualcosa la tratteneva. Continuò a camminare avvolta dalle tenebre, meravigliandosi di non essere ancora inciampata, dirigendosi verso quello che sembrava la fine di quel labirinto. Ed effettivamente fu così. Nina si ritrovò all'interno di una radura e ciò che la colpì di più fu un fortissimo odore di bruciato. Come se i suoi occhi fossero come quelli dei felini, persino al buio riuscì a riconoscere distintamente i contorni di quelle che sembravano macerie di una casa andata distrutta dalle fiamme. Nell'aria, oltre al fumo si percepiva chiaramente morte e disperazione. Perché si trovava lì? Chi c'era in quella casa? In lontananza risuonò un debole pianto disperato di un bambino, i cui singhiozzi venivano spezzati ogni volta dalle troppe lacrime. Eppure non vedeva nessuno...Il suo riscoperto istinto materno la indusse a cercare quel bambino ovunque, desiderava così tanto aiutarlo a lenire il suo dolore. Corse in direzione di quel rumore, riaddentrandosi nella foresta. Sentiva il pianto disperato farsi sempre più vicino, ancora pochi metri e l'avrebbe raggiunto...Eppure superata quella breve distanza scoprì di essere nuovamente nella radura della casa incendiata.
 
"Dove sei?" urlò.
 
Ma nessuna risposta. Il pianto si fece sempre più flebile, fino a scomparire. Un silenzio assordante circondò l'intera area. Persino la foresta tacque.
 
"Non puoi ancora aiutarlo." disse improvvisamente una voce che sembrava provenire da ovunque.
 
"Chi sei???" domandò Nina, girandosi di scatto.
 
Ovviamente non c'era nessuno.
 
"Presto capirai...Presto saprai cosa fare...Ma ora SVEGLIATI!".
 
~
 
Nina sobbalzò udendo il pianto del piccolo Keiichi, che si era svegliato nel cuore della notte per l'ennesima poppata, ma non era certa che fosse stato veramente lui ad interrompere il suo sonno. Di nuovo quegli incubi...Di nuovo quella voce. Ogni volta che le veniva ordinato di svegliarsi questo accadeva, lasciandola sempre più confusa. Stremata, avvicinò il piccolo al seno, lasciando che si attaccasse: aveva un appetito veramente notevole e da quando erano rientrati a casa da qualche settimana, non riusciva più a riposare come le era stato prescritto. La ferita del cesareo ci stava mettendo più tempo del previsto a rimarginarsi, tra l'altro gli era stata praticata sopra il taglio dal quale era stato estratto Steve, perciò la guarigione era ancora più lenta e dolorosa. Nonostante il suo primogenito l'aiutasse parecchio durante il giorno per permetterle di riposarsi al massimo, alla notte gli aveva imposto di non intervenire, conscia che anche lui avesse bisogno di dormire il sonno dei giusti. Cosa che a lei, a quanto pare, non era concessa.

Mentre cullava il bambino cercò invano di capire cosa significassero quei sogni che la perseguitavano da ormai un paio di mesi. Notò che col passare del tempo erano sempre più nitidi, tuttavia non riusciva ancora a trovarci un senso. E poi quella voce di donna, che era certa di aver già udito in un tempo lontano, ma che non riusciva ad attribuirle un volto, per quanto si sforzasse. Probabilmente si trattava di qualcuna conosciuta prima della sua amnesia, perciò le probabilità di ricordarsi di lei erano estremamente basse. Ma chi doveva aiutare? Cosa doveva capire e cosa doveva fare? Una volta finito di nutrire Keiichi e cambiato, lo rimise a dormire nella sua culla e gli rimboccò la copertina. Osservò il volto di suo figlio, così sereno e innocente, così incredibilmente simile a quello di suo padre. Chissà cosa avrebbe pensato di lui? Se non fosse stato dannato, sarebbe stato felice di diventare papà? Avrebbe desiderato farsi una famiglia con lei? Non avrebbe mai potuto saperlo, ora il bambino era la sua priorità e il suo compito era quello di proteggerlo. Sospirando osservò la luna piena fuori dalla finestra che brillava in tutta la sua maestosità.
 
"Oh Jin...Se solo potessi sapere come stai...Dio solo sa quanto vorrei che tu fossi qui..."
 
~
 
Diverse ore prima, dall'altra parte del mondo qualcun'altro aveva osservato la stessa luna. Anche lui era inquieto, ma per altri motivi. La sua controparte maligna, da giorni era sempre più agitata. Bramava sangue, bramava distruzione, ma soprattutto bramava potere come mai in vita sua. Dal canto suo, Kazuya era sempre più impaziente di recuperare ciò che riteneva essere suo di diritto, ma ormai nemmeno quello sembrava bastargli più. La smania di ottenere sempre di più era quantomai ardente e iniziava per la prima volta a faticare a tenere a bada il suo Gene Del Diavolo. Sapeva che la parte di gene di suo figlio era assopita e nascosta in qualche angolo recondito della sua mente al solo scopo di non farsi trovare per venire acquisita, perché nonostante fossero due facce della stessa medaglia, l'una cercava sempre di prevalere sull'altra. Si era reso conto che nemmeno una condizione disperata come quella dell' essere sul punto di morte era stata sufficiente a farlo reagire. Perchè Devil, che abitava il corpo di suo figlio, era ben consapevole che non avrebbe potuto ucciderlo, col rischio di perdere ciò che desiderava di più. Kazuya digrignò i denti, osservando Tokyo con le mani dietro la schiena.
 
"Lo so che anche tu non vedi l'ora di fare fuori quel piccolo bastardo. E lo faremo. Ma devi aspettare." rispose Devil.
 
"Quanto ancora? Quanto?" ringhiò, mentre il suo occhio rosso iniziò a brillare di luce maligna. "Sono stanco di aspettare i comodi di quel moccioso, ne ho abbastanza della sua codardia e del suo volere fare l'eroe. Lo distruggerò con le mie stesse mani."
 
"Rischiando di mandare tutto a monte? No, non ne vale la pena, sai benissimo che non reagirebbe. Tuttavia, c'è qualcosa di strano nell'aria..."
 
"Che intendi?" interrogò l'ultimo dei Mishima.
 
"Non riesco a capire, eppure da qualche settimana c'è qualcosa che non mi torna. Come se..."
 
"Se?"
 
"Come se ci fosse un'altra entità a noi simile."
 
"Che stai dicendo?" abbaiò. "Non è possibile, lo sai benissimo. Heihachi è morto, Akuma è morto, non c'è nessuno a parte me e Jin con questo potere, o qualcosa di simile. Persino Lars è un comunissimo essere umano. Sono solo sciocchezze."
 
"È vero, tuttavia, sebbene molto debole e lontana la riesco a percepire distintamente."
 
"Ti stai sbagliando. Piuttosto, concentriamoci su Jin, è lui la priorità assolut..."
 
Non fece in tempo a finire la frase che una fitta lancinante alla testa lo costrinse a terra sulle ginocchia.
 
"IO..." ringhiò Devil "Non mi sbaglio mai, Kazuya Mishima. Io ti ho reso ciò che sei, non il contrario, ricordatelo! Se io ti dico che c'è qualcun'altro come noi, così è, senza se e senza ma. Sono stato chiaro?"
 
Kazuya digrignò i denti, borbottando un "sì" che gli costò uno sforzo enorme. Lentamente si rialzò in piedi e tornò a scrutare l'orizzonte e il cielo, mentre una rabbia furibonda gli divorava le viscere.
 
Qualcun'altro come loro, che diavoleria era mai quella? Non era possibile, era assolutamente impensabile che il gene si fosse trasmesso a una terza persona, seguendo la via ereditaria. Jun era morta, Jin non aveva nessuno...
 
"O forse no..." sussurrò malignamente Devil, prima di congedarsi nella sua mente.
 
L'uomo sbarrò gli occhi colpito improvvisamente dalla consapevolezza. Non è vero che Jin non aveva nessuno. Certo, amorfo e determinato com'era nel porre fine alla sua stirpe era praticamente impossibile che avesse commesso un errore simile. Ma ora che il seme del dubbio era saldamente piantato nella sua testa, doveva a tutti i costi accertarsi che le sue supposizioni fossero fondate. Si diresse verso la sua scrivania, e compose un numero di telefono interno. Un solo squillo, poi riattaccò. Chi c'era dall'altra parte della cornetta sapeva cosa fare. Pochi istanti dopo la porta del suo ufficio si aprì, illuminando brevemente la stanza. Un rumore di tacchi ovattato risuonò sulla moquette, man mano che si dirigeva verso la sua scrivania.
 
"Mi hai cercata?"
 
Kazuya non rispose davanti a quell'ovvietà. Non si degnò nemmeno di voltarsi.
 
"Trova tua sorella."
 
Tre parole, un imperativo categorico assoluto.
 
La donna alle sue spalle rabbrividì, ma cercò di non mostrarlo. Che significava tutto ciò?
 
"Ma mia sorella è morta, lo sai...Era sui fascicoli della Mishima Zaib..."
 
La voce le morì in gola, quando il suo capo si voltò e la inchiodò sul posto col suo sguardo malvagio. L'occhio rosso era più ardente e iniettato di sangue che mai.
 
"E allora, portami qui il suo cadavere, se è necessario."
 
L'ordine impartito era stato chiaro e nessuna replica sarebbe mai stata ammessa.
~
 
Note dell'autrice: altro capitoletto breve, ma necessario per spezzare un po' la narrazione e non focalizzarmi troppo su alcuni personaggi. Mi piace l'idea di dare una visuale a 360 gradi dell'intera vicenda. Il prossimo invece è un capitolo che adoro e che non vedevo l'ora di scrivere, ho quasi l'ansia a postarlo xD

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Capitolo 29
*** The Return ***


Ancora quella foresta, ancora quel buio, ancora quel pianto di bambino. Ancora quella casa distrutta dalle fiamme, ancora quella puzza di bruciato, ancora quella sensazione di angoscia e smarrimento. L'incubo continuava a ripetersi tutte le notti. Un appuntamento puntuale con una visione sempre più opprimente e con sempre meno senso. Nina aveva corso in ogni direzione, salvo poi tornare al medesimo punto di partenza, intrappolata in un loop senza fine. Ma quella notte qualcosa cambiò: era lì, che cercava di capire da dove provenissero quei lamenti infantili, quando si decise a dirigersi verso quel cumulo fumante di macerie a cercare qualche indizio.

Ed effettivamente qualcosa trovò: annerito dalle fiamme e dalla cenere, scorse un lembo di tessuto. Con mani tremanti lo raccolse per studiarlo meglio: nonostante fosse sempre buio pesto, era miracolosamente in grado di vedere comunque in quella dimensione. Quel pezzo di tessuto, una volta di un bianco splendente, era una semplicissima fascia per capelli, simile ad altre centinaia. Non aveva proprio nulla di speciale, e non capiva come avesse potuto finire lì. Forse apparteneva alla precedente proprietaria della casa, che purtroppo aveva perito nell'incendio. O forse era stato il vento a portarla lì. Un oggetto comunissimo, senza nessun valore, allora perché Nina ne percepiva una certa importanza? Oppure forse apparteneva a quel bambino piangente? Eppure era certa che fosse una voce maschile.
 
"Mamma..." sentì d'un tratto tra i singulti.
 
La bionda si voltò di scatto, in direzione di quella voce, ma anche stavolta sembrava impossibile capire da dove provenisse. Risuonava semplicemente ovunque. Chi poteva essere? Non certo il suo Keiichi, non era ancora in grado di dire una sola parola. Ma allora chi è che chiamava la sua mamma? Strinse tra le mani la fascia per capelli e decise di cercare quel bambino ovunque, a costo di girare in tondo per sempre, ma fu allora che un flashback le attraversò la mente. Osservò nuovamente quell'oggetto all'apparenza così normale tra le mani. E finalmente capì. Capì dove si trovava. Capì di chi era quella casa. Capì soprattutto a chi apparteneva quella fascia. Un fruscio la costrinse a voltarsi di scatto, venendo investita improvvisamente da una brezza fresca e dal forte sentore floreale. Fiori di ciliegio. E poi scorse un corvo. E poi due. E poi tre. Quattro. Cinque. Così tanti da divenire un piccolo stormo, che volteggiava verso di lei con grazia.
 
"Finalmente sei riuscita a ricordare, Nina. Sono contenta che tu non mi abbia mai dimenticata e abbia capito chi sono."
 
Nina sbarrò gli occhi. Il sospetto divenne certezza assoluta. Il vago ricordo divenne vivido come un tuffo nel passato. Conosceva quella voce, ora sapeva benissimo a chi apparteneva. L'incredulità prese il sopravvento.
 
"N-n-on può essere..." mormorò sconvolta.
 
Lo stormo di uccelli iniziò a diradarsi sempre con eleganza, rivelando ciò che stavano nascondendo. La figura di una donna alta e snella le si delineò davanti a lei. Procedeva a passi lenti e misurati, con una grazia e una delicatezza uniche al mondo, tipiche sue. Non era cambiata di una virgola dall'ultima volta che si erano viste, ben 22 anni prima: la sua bellezza era rimasta totalmente immutata, così come il suo portamento fine e i suoi lineamenti dolci. Indossava una tuta intera molto semplice, di colore bianco. Lungo la gamba sinistra vi erano disegnati dei corvi, che proseguivano ordinati verso il petto. A completare il tutto, dei semplici sandali neri e una stola dello stesso colore che le avvolgeva le spalle. Mancava soltanto una cosa, ossia la fascia per capelli corvini che Nina aveva trovato pochi istanti prima. Non poteva essere lei per davvero, eppure era lì davanti, forte, fiera e bellissima come non mai.
 
Jun Kazama le sorrise benevola, come faceva con chiunque. Si fermò a poco più di un metro e mezzo, proprio di fronte a lei, lo sguardo dolce e gentile la osservava con enorme attenzione. Sapeva leggere le emozioni e l'anima di chi aveva davanti meglio di chiunque altro, pur essendo umana era dotata di una spiritualità fuori dal comune. Ma soprattutto quello che lasciò Nina davvero senza parole era l'incredibile somiglianza con suo figlio, che con gli anni si era ancora più accentuata.
 
"So che sei confusa e spaventata, mia cara. So che hai mille domande per la testa e che speri che io abbia milleuno risposte da darti. Ma purtroppo non è rimasto molto tempo ormai, dobbiamo agire in fretta..."
 
"C-che significa? Tempo per cosa?" replicò l'assassina, sempre più sconcertata.
 
"Per fermare questa guerra. Per salvare l'intera umanità." rispose con una certa premura.
 
Nina tacque completamente spiazzata. Lei? Salvare l'umanità? E come mai sarebbe stato possibile, era solo una comunissima umana...
 
"Jun, ti prego, spiegati. Sono mesi che mi appari in sogno, cosa stai cercando di dirmi?" implorò, ormai esasperata da quella situazione e quelle notti insonni.
 
La donna le rivolse uno sguardo carico di compassione, ma non fu sufficiente a tranquillizzarla.
 
"Oh Nina, mi spiace così tanto...Non ti avrei mai coinvolta in una missione così difficile, ma sei l'ultima speranza. Correte un gravissimo pericolo, tutti quanti, quindi per favore, ascolta attentamente tutto ciò che ho da dirti, perché sarà cruciale."
 
Nina annuì, nonostante fosse semi paralizzata da una paura quasi primitiva. Ora che aveva davvero troppo da perdere la percepiva ancora più amplificata di quanto non l'avesse mai sentita prima. Eppure non smetteva di interrogarsi su quella donna che aveva di fronte, che le era riapparsa davanti come se niente fosse, dopo anni e anni a pensarla perduta.
 
"Sei davvero reale?" le domandò con filo di voce.
 
"No, Nina. Il mio corpo è stato distrutto da Ogre quella dannata notte, proprio davanti a quella casa che hai alle spalle. Quel mostro era troppo potente per me ed è riuscito a catturare il mio spirito e fonderlo col proprio, per sfruttare la mia energia e le mie conoscenze. Ero un bersaglio facile, tuttavia non gli ho permesso di fare del male a mio figlio quando si sono ritrovati faccia a faccia alla fine del terzo torneo. È stato lì, quando Jin l'ha sconfitto, che è il mio spirito e quello di tutti gli altri prima di me che erano caduti in battaglia sono stati liberati. E sempre in quell'occasione ne ho approfittato per spostarmi nel suo corpo nel tentativo di continuare a proteggerlo."
 
Nina non disse nulla, era completamente sbalordita, anche se giunta a quel punto non avrebbe più dovuto stupirsi di niente. Jin aveva passato anni a cercare sua madre e a non darsi pace per ciò che le era accaduto, ma lei era sempre stata lì.
 
"Ma allora...Come fai ad essere qui? Come sei riuscita ad entrare nei miei sogni?"
 
"Se ben ricordi, all'epoca Ogre aveva preso possesso anche della tua mente, approfittandone dell'amnesia che ti aveva colpita. Ciò ha fatto si che anche anche parte del tuo spirito si trasferisse in lui, ed è stato allora che ho stabilito un legame con te. Ma non solo..."
 
Jun avanzò ancora, andando a colmare la distanza che le separava. Lentamente appoggiò la mano sulla guancia di Nina, senza perdere il contatto visivo per nemmeno un secondo. Quel tocco era così gentile, materno, ma soprattutto così dannatamente reale, tanto da percepire il calore della sua pelle contro la propria. Come poteva essere possibile?
 
"Quando dico che sei l'ultima speranza, lo intendo per davvero. Perché di fatto lo sei. Sei stata l'unica persona nella vita di mio figlio a fargli conoscere e provare sentimenti positivi dopo la mia morte. Sei stata colei che finalmente, gli ha insegnato cosa fosse l'amore. Il Gene del Diavolo ha corrotto la sua anima sempre di più nel corso degli anni, alimentato da tutte le vicende terribili che gli sono accadute e dalla controparte che vive dentro suo padre e che lo reclama fin dalla nascita. Eppure, anche in procinto di sprofondare nell'abisso più nero, anche quando io stessa stavo per fallire nel tentativo di mantenere vivo un briciolo di umanità in lui, tu sei stata in grado di alimentare una fiamma di speranza. Senza di te, Nina, Jin avrebbe ceduto al male molto prima e la sua anima sarebbe andata perduta per sempre. E sempre grazie al tuo ricordo se ora è ancora vivo e cerca con tutto se stesso di trovare una soluzione per porre fine a questa dannata guerra."
 
Il suo amore. Mai nella vita Nina si era sentita in grado di trasmettere un simile sentimento, i lutti e le disgrazie l'avevano demolita sempre di più, rendendola una donna di ghiaccio. Eppure con Jin era stato così naturale lasciarsi andare. E ora che era diventata mamma di nuovo, si era resa conto che il punto era proprio quello: lasciarsi amare. Questo l'aveva scoperto proprio grazie a Jin, a Steve e al piccolo Keiichi. Le vennero in mente le parole di Jun di una ventina di anni prima, quando le aveva intimato di lasciar perdere la sua missione di uccidere Kazuya.
 
"Quindi quando 22 anni fa mi hai detto di stare lontana da Kazuya..."
 
"...Era per proteggerti. Kazuya non è per nulla diverso da Jin, per quanto incredibile possa sembrare. Hanno più cose in comune di chiunque altro. Purtroppo la faida con suo padre e la sua scomparsa per tutti quegli anni mi ha impedito di salvare la sua anima. Io stessa sono stata uccisa ignara che fosse ancora vivo. Lo so che lo odi, che ti ha causato una sofferenza atroce, so benissimo cosa ti ha fatto. Ma ti prego di credermi che non è stata colpa sua. Il Kazuya che ho conosciuto io e che ho amato purtroppo temo che non esista più e il non averlo salvato sarà per sempre il mio più grande rimpianto. Per questo non posso permettere che accada la stessa cosa con nostro figlio, non posso tollerare il fatto che sia suo padre stesso a togliergli la vita."
 
Non sarebbe mai cambiata. Jun era totalmente incapace di provare odio, avrebbe perdonato e trovato un barlume di bontà in chiunque. Nina odiava Kazuya per mille motivi: per aver usato sua sorella contro di lei, per averla costretta in quella maledetta vasca per 19 anni e violato il suo corpo, per ciò che aveva fatto al mondo e a Jin. Non era assolutamente in grado di empatizzare con quanto aveva appena udito, ma non era tempo di concentrarsi su quello. L'urgenza nella voce della donna era palese.
 
"D'accordo. Vai avanti...Cosa sta succedendo?"
 
"Jin crede che tua sia morta. Ciò lo ha distrutto mentalmente, è uscito allo scoperto dalla custodia di Lee e Lars e ciò ha attirato Kazuya. L'ha quasi ucciso, ma a farlo desistere è stata la parte di Gene di Jin, che si è nascosta per evitare di essere assorbita. Questo gli ha salvato la vita, ma ha reso Kazuya ancora più furibondo e impaziente di ottenere il pieno potere del Gene del Diavolo. Ora sta cercando di riprendersi, ma non ci riesce...È molto debole, eppure si sta aggrappando a l'unica luce che ormai gli è rimasta: il tuo ricordo."
 
"Io? Morta? Non capisco..."
 
"Qualcuno deve aver coperto la tua scomparsa e diffuso la notizia che tu fossi morta. Si sente terribilmente in colpa e si sta addossando tutta la responsabilità di ciò, ma allo stesso tempo il desiderio di vendicarti, ma soprattutto di ricordarti, è ciò che lo sta tenendo vivo. Purtroppo però temo che non sia sufficiente...E che tu debba affrontare una questione ancora più grave."
 
Cosa poteva esserci di ancora più grave di tutto questo? Nina lo capì subito quando vide gli occhi di Jun farsi lucidi.
 
"Mi dispiace tanto...Ma anche Keiichi corre un enorme pericolo. Anche lui è marchiato."
 
Nina si sentì morire. Anche se in cuor suo sapeva che il rischio era concreto, motivo per il quale Jin non avrebbe mai voluto avere figli nelle sue condizioni, aveva deciso di farlo nascere. Tuttavia la consapevolezza del fatto che anche suo figlio fosse portatore del Gene del Diavolo la colpì più forte di uno schiaffo in pieno volto.
 
"T-ti prego Jun...Non dirmelo..." farfugliò, iniziando a piangere a sua volta. "N-no...Lui no...Ti prego..." esclamò disperata, accasciandosi a terra e lasciandosi andare ad un pianto disperato.
 
Non poteva finire così, era pronta a proteggere suo figlio da tutto e tutti, ma sapeva anche che contro Kazuya non avrebbe potuto fare niente. Jun si inginocchiò accanto a lei e la cinse in un abbraccio rassicurante, che ebbe il potere di calmarla dopo svariati minuti.
 
"C'è ancora una possibilità, ma dobbiamo agire in fretta." sussurrò, asciugandole le lacrime del volto e prendendoglielo tra le mani. "Il Gene del Diavolo ha percepito la presenza di un'entità a lui simile, ossia la parte che risiede in Keiichi. Tuttavia è ancora dormiente, perché fortunatamente non è ancora successo nulla che possa scatenargli una reazione tale per cui il Gene si risvegli in lui. Per il momento è al sicuro, ma dobbiamo assolutamente impedire che questo accada. Il fatto che sia un neonato gioca a nostro vantaggio, perché non è ancora in grado di ricordare, tuttavia avrai notato come cresca molto più in fretta rispetto ad un bambino normale e come reagisca già agli stimoli. Al momento Kazuya ne è al corrente, ma è troppo concentrato su Jin, a tal punto che ha sottovalutato le parole di Devil per la prima volta in vita sua. Ti sta dando la caccia, questo è vero, ma al momento non sei la sua priorità e questo dovrebbe farci guadagnare tempo."
 
"Cosa vuoi che faccia? Sono solo una stupida umana." replicò tra un singhiozzo e l'altro. "Non posso nulla contro tutto questo."
 
Jun le mise le mani sulle spalle e la scrollò leggermente come per farla rinsavire.
 
"Tu sei colei che salvato mio figlio dall'oblio e te ne sarò grata in eterno. Sei colei che di fronte alle avversità della vita ti sei sempre piegata, ma mai spezzata. Sei colei che con coraggio ha superato le sue paure e ha scelto finalmente di seguire la luce."
 
"Non pensi che io sia solo una spietata e fredda assassina?"
 
Jun scosse il capo.
 
"No, Nina. Non lo penso. Io credo che nonostante i crimini che tu abbia commesso, anche nel tuo cuore arda vivo il sentimento d'amore e di giustizia. Altrimenti non saresti mai stata in grado di aiutare Jin come hai fatto. Io non sono nessuno per giudicare e non è mai troppo tardi per fare ammenda e cercare di rimediare ai propri errori. Ora ascoltami bene: lo so che è rischioso e so che ciò che sto per dirti può suonare come senza senso e tremendamente pericoloso, non nego che lo sarà, ma...Devi rientrare in Giappone, Nina. Jin deve sapere che sei viva, deve vederti coi suoi occhi, per riuscire ad uscire dal vortice nel quale è stato inghiottito. Il Gene del Diavolo è estremamente sensibile ai cambi di umore della mente che lo ospita e si alimenta delle emozioni negative. Se queste gli vengono a meno si indebolisce. Se queste scompaiono, man mano si assopisce. Fintanto che Jin è rimasto con me, la sua maledizione è rimasta dormiente, e se Ogre non ci avesse mai attaccati quasi sicuramente non si sarebbe mai risvegliata. Inoltre in Keiichi il gene, pur essendo presente, è di gran lunga più debole, in quanto nelle sue vene scorre sangue Mishima solo per un quarto. Per questo motivo Kazuya non lo avverte ancora come una minaccia. Tuttavia il piccolo è come se fosse una bomba ad orologeria, per questo motivo è fondamentale che mio figlio riesca a sconfiggere suo padre. Se Kazuya venisse annientato e Jin riuscisse a rimanere lucido e non corrotto rinunciando a reclamare l'altra parte di Gene, la sua si indebolirà fino a scomparire. E una volta dissolta la sua, varrà lo stesso per Keiichi. Purtroppo l'unico modo per debellare quella dannazione è far sì che perda potere a tal punto da annientarsi da sola, come una candela che consuma tutto l'ossigeno. Non esistono bacchette magiche, non esistono rituali, non esistono preghiere. Non abbiamo altra scelta."
 
La bionda annuì, completamente frastornata da quell'incontro, da quelle parole, da quell'enorme senso di responsabilità che ora le gravava sulle spalle. Aveva solo voglia di buttarsi a terra e piangere, stringere il suo bambino a sé, prendere Steve e scappare lontano, fino in capo al mondo. Ma purtroppo non esisteva posto dove nascondersi da tutto questo. Non aveva altra scelta che affrontare il suo destino, Nina Williams non avrebbe mai ceduto alla codardia e alla paura.
 
"Credi che funzionerà?" le domandò.
 
"Mi spiace mia cara, vorrei darti certezze, ma questo non è in mio potere. Sappi però che non sarai sola, io stessa farò la mia parte. Ricordati sempre che finché Jin sarà in vita, il mio spirito vivrà in lui e lo guiderà verso la luce. Ma non ce l'avrei mai fatta senza di te...Non sai quanto sono felice che le vostre strade si siano incrociate e che dal vostro sentimento sia nato qualcosa di così bello. Sai, l'idea di essere diventata nonna mi riempie il cuore di gioia, ho sempre voluto dei nipotini." rispose affettuosamente la donna, sfoggiando uno dei suoi migliori sorrisi. "Naturalmente avrai capito che quel pianto che sentivi era Jin che mi cercava dopo che Ogre aveva distrutto le nostre vite in modo irreparabile. Ma facci caso, adesso che sai non piange più. Ora si sente al sicuro."
 
Era vero, i lamenti erano cessati.
 
"Non avrei mai immaginato di essere così...Così...Importante, cruciale per qualcuno." ammise Nina, osservando le macerie fumanti. "Mi sono sentita un guscio vuoto per tutta la mia vita, è tutto così assurdo."
 
"Tutti noi siamo fatti di luce e di buio, Nina. Io stessa ho scoperto mio malgrado di possedere un lato oscuro, ed è stato proprio quello ad attirare Ogre."
 
"Sul serio?" replicò sgomenta.
 
"Giuro. Ma vedi, ognuno di noi possiede una parte buona e una malvagia, tutto sta nel decidere da che parte stare, se scegliere una strada, piuttosto che un'altra. Quanti uomini e donne si sono fatti corrompere dalla sete di potere...Ma pensa anche a quanti sono ritornati sui propri passi. Non è mai troppo tardi per cambiare idea e il nostro dualismo non deve spaventarci in alcun modo, perché siamo sempre e solo noi a scegliere. Nessun'altro può farlo per te."
 
"Ti ringrazio Jun...Avevo bisogno di sentirmi dire queste parole..." ammise l'assassina con gratitudine.
 
Si ripromise che se mai sarebbero sopravvissuti a quel delirio, avrebbe decisamente cambiato carriera. Era una donna così brillante e piena di doti positive, poteva fare molto di più.
 
Jun sorrise amorevolmente, ma qualcosa le fece immediatamente cambiare espressione.
 
"Oh no..." esclamò allarmata.
 
"Che succede???" domandò Nina, notando quel cambio così repentino.
 
"Sta per succedere...No, non ora...Perchè Kazuya, perchè?"
 
"Jun, parla, cosa sta accadendo???" urlò Nina, scuotendola per le spalle.
 
"Il tempo a disposizione è finito." dichiarò con voce lugubre. "La guerra è ricominciata. La G Corp ha scoperto che sei ancora viva e stanno arrivando in Irlanda per cercarti. Non c'è un secondo da perdere, Nina...Dovete andarvene di qui!"
 
Il panico l'assalì scuotendola dalla testa ai piedi.
 
"Jun, aspetta, non te ne andare! Io non so ancora cosa devo fare..."
 
"Non posso trattenermi oltre. Segui e ascolta il tuo cuore, sempre. E ora...Svegliati..."
 
~
Nina sbarrò gli occhi, risvegliandosi in una pozza di sudore. Keiichi piangeva di nuovo, ma lo ignorò. Si precipitò fuori dalla stanza con talmente tanto impeto che finì col svegliare anche Steve, che la raggiunse in soggiorno con gli occhi gonfi di sonno.
 
"Nina, che diavolo sta succedendo???" domandò sfregandosi gli occhi, frastornato.
 
Ma la donna non gli rispose. Afferrò il telecomando e accese il televisore sintonizzandosi sul canale satellitare che trasmetteva le notizie in tempo reale.
 
"No....No.…" mormorò dinnanzi alle immagini apocalittiche che si palesarono sullo schermo.
 
Tokyo era nuovamente sotto attacco. Le case bruciavano, la gente fuggiva, gli aerei sfrecciavano in cielo sormontando le urla della popolazione. Come predetto da Jun, Kazuya non era riuscito a trattenersi e aveva scatenato nuovamente la guerra.
 
"Si contano già migliaia di morti nel solo distretto di Aoyama. Sale ancora il numero delle vittime in quello di Odaiba, dove i raid aerei proseguono incessanti da un paio d'ore. Nel frattempo sono state rilevate decine e decine di invasioni in Francia, Germania, Repubblica Ceca, Inghilterra e Irlanda da parte delle truppe della G Corporation, che..."
 
Irlanda. Il gelo calò nella stanza. Erano già arrivati. Il pugile venne ridestato dallo stato di trance nel quale era piombato da sua madre, che gli stava stringendo vigorosamente l'avambraccio.
 
"Steve...Dobbiamo tornare in Giappone. ADESSO...."
 
~
 

Note dell'autrice: FINALMENTE, NON VEDEVO L'ORA CHE ARRIVASSE QUESTO MOMENTO. Ma da tipo inizio storia...Sicuramente la comparsa di Jun può sembrare scontata, però ora capite perchè mi sono messa a postare 10 capitoli in una volta sola xD?? Sì, il suo trailer uscito oggi mi ha messo un bel po' di pepe al cul0 XDDD Ora che il quadro è completo e che la cara Jun ha dato la giusta dose di suspance e ansia, posso andare avanti :D Sono proprio felice che sarà presente in Tekken 8, vi lascio solo immaginare le mie urla isteriche quando l'hanno annunciata :') Ma credo di non essere stata l'unica... 

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Capitolo 30
*** Roundtrip To Hell ***


Non riusciva a smettere di fissarla, completamente sgomento. Cosa diavolo stava farneticando? Rientrare in Giappone significava cacciarsi nei guai di proposito, quell'affermazione non aveva senso. A che scopo rischiare così tanto?
 
"Nina...Sei impazzita?" le disse con tutta la schiettezza di cui era capace. "Ti rendi conto di cosa mi hai appena detto?"
 
"Steve, devi ascoltarmi! Lo so che sembra assurdo, ma dobbiamo tornare là. Devo aiutarlo a fermarlo. Non possiamo aspettare..."
 
"Aiutare chi a fermare cosa? Nina!!!"
 
Ma la bionda non lo ascoltò. Si era già fiondata al piano di sopra, aperto una valigia e iniziato a buttare dentro vestiti alla rinfusa.
 
"NINA!" urlò il ragazzo, afferrandola per le spalle e scrollandola. "DEVI RIPRENDERTI, STAI VENEGGIANDO!"
 
"Tu...Tu non..." ma fu incapace di ribattere di fronte allo sguardo duro e severo del figlio, totalmente identico al suo.
 
Si accasciò a terra, tenendosi il capo tra le mani, mentre le parole di Jun le rimbombavano ancora nella testa.
 
"Sei l'unica speranza…Segui e ascolta il tuo cuore, sempre."
 
Per la seconda volta in vita sua si ritrovò in preda al panico, totalmente incapace di mettere assieme le idee in un ragionamento coerente. Jun le aveva affidato un compito terribilmente difficile, ma non le aveva minimamente spiegato come fare. Era davvero sufficiente che Jin la vedesse viva e vegeta per recuperare la sua forza e sconfiggere suo padre una volta per tutte? Steve si rese conto di averle letteralmente sbraitato in faccia in un momento di palese debolezza e si sentì terribilmente in colpa. Si accucciò accanto a sua madre, cercando di farla ragionare.
 
"Mi dispiace Nina, non volevo urlare. Ma devi capire che quanto stai dicendo è assurdo. Per quale motivo ti è saltata in mente una cosa del genere?"
 
La donna tirò su col naso, scuotendo la testa amareggiata.
 
"Non mi crederesti mai..."
 
"Bhe, provaci! Ti sei svegliata nel cuore della notte e hai acceso la televisione sul notiziario senza nessun motivo logico apparente. Penso di averti dato prova delle mie capacità di comprensione." le disse con ovvietà.
 
Il dover scendere a patti col fatto che mostri, diavoli e geni malvagi esistessero non fu facile, soprattutto senza averci avuto a che fare in prima persona, ma Steve era disposto ad ascoltarla ancora una volta.
 
"Sono mesi ormai che faccio sempre lo stesso sogno tutte le notti…"
 
"Lo stesso sogno? E perché non me ne hai mai parlato?"
 
"Perché io stessa non avevo idea di cosa volesse dire. Era solo un insieme informe di contorni sfuocati, oscurità e desolazione, ma solo di recente ha preso forma e solo stanotte ho capito tutto quanto."
 
"Cosa hai capito?"
 
"Chi c'era dietro e cosa volesse dirmi. Mi è apparsa in sogno la madre di Jin, Steve! E non era un sogno qualsiasi, lei era perfettamente cosciente e mi ha messa al corrente di quanto sta succedendo in Giappone "
 
Il biondo rimase allibito.
 
"Jun Kazama? Ma come è possibile? Mi avevi detto che è morta anni fa, uccisa da quel mostro..." esclamò.
 
Nina sospirò e pazientemente, ma con una certa urgenza nella voce gli spiegò per filo e per segno il suo sogno e la conversazione avuta con Jun, cercando di non omettere nemmeno il più piccolo dei dettagli. Parlò senza sosta per diversi minuti, ripetendo più e più volte i passaggi più salienti. Steve la ascoltava in silenzio e sebbene fosse palese che stesse cercando di mantenere un'espressione neutra, il suo sguardo tradiva un certo scetticismo.
 
"Pensi che io sia impazzita, non è vero?" sbottò quando suo figliò non riuscì a trattenere l'ennesimo sopracciglio alzato.
 
"No, Nina, non lo penso. " sospirò paziente. "E ti dirò di più, per quanto tutto questo suoni assurdo, io ti credo. Ma non puoi assolutamente raccattare due cose e precipitarti nel pericolo come se niente fosse, a maggior ragione esponendo ai rischi anche i tuoi figli, di cui uno ancora in fasce. Sono certo che in battaglia non avresti mai e poi mai agito di pancia senza un piano ben preciso."
 
Quelle parole ebbero il potere di placare il suo panico come una doccia fredda e finalmente bloccarla per farla ragionare. Era vero. Se la G. Corp era seriamente sulle sue tracce non poteva assolutamente correre in aeroporto come se niente fosse, nonostante i documenti falsi rischiava di venire identificata comunque. Dovevano muoversi diversamente, inoltre il piccolo Keiichi costituiva purtroppo un ostacolo in caso di fuga, aveva ancora troppi bisogni da soddisfare in continuazione.
 
"D'accordo." sospirò cercando di mettere in ordine le idee e dar loro una coerenza. "Cerchiamo di capire come abbandonare l'Irlanda anche se temo che sarà necessario farlo via nave e poi di identificare i paesi ancora liberi da quei bastardi per prendere un volo."
 
"Vado a prenderti il portatile." disse Steve, lasciandola da sola.
 
Era incredibile che la stesse assecondando in quella follia, ma come poteva sapere che la guerra era scoppiata nel momento stesso in cui la notizia è stata comunicata per la prima volta in Irlanda, perfettamente in punto col fuso orario? Erano immagini in tempo reale quelle che venivano trasmesse, perciò Jun Kazama le era veramente apparsa in sogno. Ma cos'è che sua madre avrebbe dovuto fare esattamente? E soprattutto, domanda ancora più spinosa e importante: che ruolo avevano lui e suo fratello in tutto questo? Fiducioso che presto avrebbe capito come muoversi, consegnò il PC alla donna, che immediatamente lo accese e iniziò ad iniziò a tamburellare le dita sulla tastiera come un martello.
 
"Non sapevo fossi anche un hacker..." commentò scrutando lo schermo.
 
"Ho dovuto imparare ad esserlo e non sono nemmeno una delle migliori. Fortunatamente ricordo ancora tutte le chiavi di accesso e le procedure per occultare il proprio indirizzo IP e per infiltrarmi sui vari portali del governo." rispose senza staccare gli occhi dal monitor.
 
Steve rimase a fissarla e ad appuntare nomi di paesi, aeroporti, coordinate geografiche e ogni cosa che la bionda gli dettasse per minuti interi, che divennero ore. Superato il momento iniziale di totale smarrimento era tornata ad essere la stoica e organizzatissima Nina Williams, la cui fama la precedeva per metodicità, precisione ed efficacia. Anzi, sapendo quanto fosse alta la posta in gioco, era ancora più concentrata e determinata a trovare una via di fuga. Nemmeno Keiichi poteva permettersi il lusso di essere una distrazione in quel momento, infatti ci pensò il fratello maggiore a nutrirlo con del latte in polvere e cambiarlo: sapeva che quella della bionda non era negligenza, ma solo puro istinto di sopravvivenza che per la prima volta in vita sua estendeva su altre persone, oltre che sé stessa. Non poteva, né doveva fallire.

Le prime luci ambrate segnalarono l'arrivo dell'alba filtrando attraverso il tendone color porpora del salotto. Era stata una nottata estenuante per tutti, ma il riposo era ben lontano. Nina era riuscita ad organizzare un percorso per lasciare il paese e rientrare in patria, tenendo conto di tutte le variabili ostili del caso: truppe, controlli, perquisizioni. Avrebbero raggiunto l'Inghilterra in traghetto, da lì si sarebbero recati in Finlandia, passando per la Danimarca. Avrebbero quindi preso un treno per San Pietroburgo e poi guidato fino a Mosca, dove li attendeva il volo per Tokyo. Gli aspettavano giorni di viaggio durissimi e interminabili, ma era l'unico modo per abbassare drasticamente le probabilità di venire intercettati dalla G. Corporation. Ciò che la preoccupava di più era eludere i controlli in uscita dall'aeroporto di Haneda, ma sperava che i documenti falsi e i soliti travestimenti sarebbero stati sufficienti. Il saper contraffare passaporti e carte d'identità col tempo era diventata un'altra voce nel suo curriculum e grazie alle risorse della Mishima Zaibatsu era riuscita a imparare piuttosto bene il mestiere. Si augurò con tutto il cuore che filasse tutto liscio e che sarebbero arrivati a destinazione sani e salvi. Tuttavia un dubbio la colse alla sprovvista come un fulmine a ciel sereno: aveva passato ore e ore a studiare un piano d'azione quanto più infallibile possibile, considerando tutti i pro e contro, e d'un tratto si sentì incredibilmente stupida a non aver calcolato un fattore cruciale. Osservò con attenzione Steve, che giocherellava con la penna, tamburellandola sul tavolo e mordendo il tappo di tanto in tanto, poi il suo sguardo si spostò su Keiichi, che si era riaddormentato nel suo passeggino dopo il lauto spuntino. Aveva parlato e pensato al plurale per tutto quel tempo, ma non le era passato per la testa di chiedere al diretto interessato cosa ne pensasse. Doveva esserle andato di volta il cervello.
 
"Quindi, ricapitolando..." sospirò il biondo, stancamente. "La nave per l'Inghilterra salpa nel tardo pomeriggio, quindi dobbiamo partire di qua per raggiungere il porto al massimo per le 10:00, considerando le code e gli esodi, anzi, facciamo per le 9:00 e...Nina?"
 
Si interruppe di fronte all'espressione costernata della donna che sembrava essersi tramutata in una statua di sale.
 
"Mi hai sentito? Che succede adesso?" chiese allarmato.
 
"N-on...Non posso." mormorò con la voce rotta dall'angoscia.
 
"Cosa non puoi?" le domando, scuotendo il capo.
 
"Perdonami, sono una stupida!" esclamò, nascondendo il viso tra le mani.
 
"NINA? Che ti prende, parla per l'amor del cielo!!!!"
 
Si alzò e rapidamente fece il giro del tavolo, accucciandosi accanto a sua madre, il cui corpo non riusciva a smettere di tremare.
 
"Non so cosa mia sia preso! Ho passato tutta la vita a pensare a me stessa, ma ora non posso. Non esisto più solo io, capisci?"
 
"Che vuoi dire?"
 
"Che non posso, non devo e soprattutto non voglio che tu e Keii corriate pericoli. Non ti ho chiesto nulla e vi ho coinvolti in una missione suicida che nemmeno vi riguarda. Che razza di madre sono, se non penso a proteggere in primis la mia famiglia?"
 
Steve sbarrò gli occhi, udendo quelle parole. Non tanto per la veridicità di quelle affermazioni, quanto per la preoccupazione sincera che traspariva. Era veramente in pena per loro. E aveva ragione, era priorità di qualsiasi genitore proteggere i propri figli da ogni minaccia. Eppure loro erano diventati una famiglia e Steve si era ripromesso che niente e nessuno li avrebbe separati.
 
"È vero, proteggerci è la tua priorità. Ed è esattamente ciò che stai facendo, con tutti i rischi annessi e connessi."
 
"Steve, la mia è una missione suicida, non..."
 
"Oh Nina, per favore!!! Hai sentito la televisione no? La guerra è riscoppiata ed è di nuovo su scala mondiale! Non esiste angolo su questa Terra che si possa considerare al sicuro, se devo andare all'altro mondo preferisco farlo cercando di lottare, non fuggendo. E no, non hai bisogno di chiedermi nessun' opinione, perché ho già deciso di seguirti ovunque. Ne ho voglia? Onestamente? NO! Ho altre alternative? Sì, le avrei, mi basterebbe prendere Keiichi con me e rinnegarti, d'altronde risulterei anche credibile. Ho intenzione di farlo? NO! Ho intenzione di abbandonarti, lasciarti sola, rischiare di perderti di nuovo? Porca puttana, NO! Quindi, come vedi, non ho molte altre alternative."
 
Seguì un silenzio carico di tensione. Nina non avrebbe mai pensato molte cose nella vita, in primis di diventare madre di due figli. Ma ancora di più, che uno dei due le ricordasse in modo spaventoso suo padre Richard, per forza d'animo, determinazione, coraggio e attaccamento alla famiglia. Lo aveva perso perché voleva proteggere lei ed Anna a tutti i costi. Steve era disposto a fare altrettanto, nonostante tutto. Il cuore continuava a martellarle nel petto, così forte da sembrare di essere sul punto di esplodere. Non avrebbe mai voluto ritrovarsi in una simile situazione, ma non aveva alternativa. Steve Fox era un uomo adulto e aveva già scelto. Non sarebbe mai riuscita a fargli cambiare idea.
 
"D'accordo." disse con voce ferma. "Ma ad una condizione."
 
"Sentiamo." incalzò.
 
"Ho abbastanza esperienza per valutare le singole situazioni e fiutare i pericoli. So come cavarmela, e farò di tutto per proteggervi. Ma mi devi giurare, qui davanti a me e ora, che se ti dirò ti prendere Keiichi e scappare, tu lo farai. Se ti dirò di abbandonarmi e mettervi in salvo, tu lo farai. Non provare a disobbedirmi, sicuramente è la mia testa che vogliono una volta che si renderanno conto che sono ancora viva. La tua sola ed unica priorità sarà quella di proteggerti e prenderti cura di tuo fratello. Sono stata chiara?"
 
Il tono perentorio non ammetteva repliche di sorta. Steve soppesò le parole di sua madre, fortemente combattuto. Osservò prima lei, poi il suo amato fratellino, ancora pacificamente addormentato e poi di nuovo lei. Le sue parole erano vere, lui poteva avere più possibilità di salvarsi, anche se avrebbe preferito morire, che lasciarla sola. Sapeva anche quanto fosse testona e che non sarebbe mai scesa a patti. Ma lui era sangue del suo sangue e testardo tanto quanto. Si limitò quindi ad annuire, guardandola dritta negli occhi. Si sentì male nel mentirle così spudoratamente, ma era una bugia a fin di bene. Quelle condizioni non poteva accettarle, ma per il momento doveva fare buon viso a cattivo gioco. Tuttavia sembrò convincerla, e ciò che accadde dopo ebbe dell'incredibile: lentamente Nina si alzò in piedi e per la prima volta, lo strinse a sé in uno stretto abbraccio. Fu un contatto caldo, rassicurante e disperato allo stesso tempo, come se in quell'attimo stesse cercando con tutta sé stessa di comunicargli i suoi sentimenti come non era mai stata capace di fare. E ci riuscì, Steve li percepì tutti. La strinse a sua volta, mentre una lacrima gli sfuggì dagli occhi e gli rigò dispettosamente la guancia. In quell'abbraccio entrambi racchiusero tutti loro stessi, consci di quanto erano riusciti a costruire e di quanto rischiavano di perdere. La bionda lo sciolse dopo qualche istante e il pugile notò che anche lei aveva gli occhi lucidi.
 
"Molto bene allora. Prepariamo le valige e diamoci una mossa."
 
Il viaggio verso l'inferno stava per cominciare.
 
~
 
 
Un altro rombo. Un'altra scossa. La terra non voleva smettere di tremare sotto quell'assedio di fuoco e colpi, il fumo era così denso e scuro da risucchiare dentro le sue spire tutta la luce e rendere l'aria irrespirabile. Le urla dei civili erano ormai scomparse, soppresse dallo scoppio di proiettili e ordigni che distruggevano le loro vite. C'erano dolore e disperazione in quell'inferno, c'era distruzione e morte, eppure qualcuno ne gioiva. Kazuya non stava più nella pelle e la sua poca pazienza nell'aspettare una ripresa del figlio era finita. Non gli importava più di distruggere il pianeta, se ciò significava riprendersi ciò che gli spettava, ormai era schiavo del suo perverso obiettivo e niente e nessuno l'avrebbe più fermato dal conseguirlo. Sapeva che era solo questione di tempo prima che Jin, volente o nolente, si facesse il vivo, era ben conscio che avrebbe sopportato un'apocalisse del genere solo fino ad un certo punto. Si era divertito a fare il grande e lo sbruffone, scatenando una guerra col solo intento di risvegliare Azazel e sconfiggerlo, convinto di portarsi dietro la sua stirpe, quando in verità era poco più che un ragazzino ancora schiavo delle sue emozioni e dei suoi patetici ricordi. Abbassare la guardia quella notte con Jun era stato uno degli errori più gravi che sentiva di aver commesso, la nascita del loro figlio era stato un autosabotaggio in piena regola. Ma avrebbe trovato una soluzione ai suoi sbagli, avrebbe rimesso a posto le cose come avrebbero dovuto sempre essere. Jun era morta. Quel bastardo di suo padre era morto. Akuma era stato distrutto. Quel piccolo parassita era l'ultimo ostacolo al compimento del suo malefico progetto che cercava di portare a termine da tutta la vita. Non si sarebbe arrestato davanti a niente, nemmeno alla morte stessa. Era ad un passo dal divenire persino più potente di essa. Il diavolo fatto uomo osservò compiaciuto quello scenario di devastazione, con un sorriso sadico a distorcergli il volto. L'occhio rosso brillava di una luce maligna e sempre più accesa. Ormai l'atto stava per compiersi...
 
"Vieni fuori, Jin, se hai il coraggio...Ti sto aspettando..."
 
~
 
 
E nascosti in un bunker di massima sicurezza nei sotterranei della Violet System, altri quattro paia di occhi osservavano desolati ed inorriditi il disastro compiersi. Quante persone avevano già perso la vita e quante ancora sarebbero scomparse. Il tempo era scaduto, non poteva più tirarsi indietro. A nulla servirono le suppliche dei suoi compagni, nel tentativo di farlo desistere sul fatto che non fosse ancora pronto, aveva accettato il suo destino e con la morte nel cuore si preparò mentalmente ad affrontare l'ultima battaglia, la più importante e difficile della sua vita. Nessun'altro avrebbe potuto farlo al posto suo.
 
~
 
Ed infine, un altro paio di occhi blu si sbarrarono di fronte all'immagine proiettata su un monitor di un comunissimo PC. Non aveva potuto opporsi alla richiesta categorica del suo capo e aveva passato gli ultimi giorni a cercare in ogni modo di rintracciare sua sorella, ricostruendo i suoi ultimi spostamenti. In cuor suo sapeva che non poteva essere morta veramente, era sempre stata una fuoriclasse nel cavarsela e in ogni caso la buona stella di loro padre non l'avrebbe mai abbandonata. Odiava sua sorella, che sembrava avesse 9 vite come i gatti, ogni volta, anche nelle situazioni più disperate era sempre riuscita a scampare il pericolo. E lei voleva stanarla e consegnarla a Kazuya, per sentirsi fiera di sé stessa per aver portato a compimento la sua missione, per sentirsi importante... Fino ad un secondo prima di vedere quel fotogramma rilevato da una telecamera di sicurezza di una farmacia. L'avrebbe riconosciuta tra mille persone, e dietro mille travestimenti, ma aveva anche riconosciuto l'oggetto che aveva acquistato in quell'occasione, risalente a quasi 9 mesi prima. Non poteva essere vero. No, sua sorella...Impossibile...No. Ed improvvisamente capì tutto quanto. Capì perché il suo capo le aveva affidato quel compito. Capì le sue intenzioni e si rese conto di cosa ci fosse veramente dietro a quella richiesta. E tentennò. Per la prima volta in vita sua, senza nemmeno capire il perché, Anna Williams desiderò proteggere la vita di sua sorella...
 
~

Note dell'autrice: ebbene, signore e signori, la mia scorta di capitoli termina ufficialmente qui, e come direbbero gli inglesi "shit is going to hit the fan". Sono bloccata da settimane sul prossimo e la cosa mi innervosisce parecchio perchè i successivi si scriverebbero praticamente da soli, ma giunti a questo punto non voglio buttare giù cose a caso solo per finire prima. Mi ci sono voluti anni per arrivare a questo punto e ora che Tekken 8 è sempre più vicino non mi va di farmi rovinare il gusto di portare a termine questa storia. I personaggi ci sono tutti, le vicende sono delineate, perciò esigo dare a questa mia creazione il finale che merita. E se siete arrivati fino a qua a leggere il frutto delle mie idee e i miei deliri, io vi ringrazio davvero di cuore. Anche se la storia non vi piace, io vi ringrazio comunque. Perchè mai nella vita sono arrivata a scrivere una cosa del genere e già per me è un successo così. Spero vivamente di riuscire a sbloccarmi e continuare a sorprendervi. Un abbraccio a tutti!
Ps: ho aggiornato il capitolo 18 "A Grave Of Fire" perchè l'altro giorno mi sono resa conto di aver completamente ommesso lo scontro finale tra Kazuya e Akuma. Non aveva senso ommetterlo, sebbene abbia riassunto il tutto alla belle e meglio in poche righe, ma non mi andava proprio di lasciare un buco di trama così grossolano. Portate pazienza, non sono una scrittrice, non lo sarò mai, ma sto cercando di fare le cose per bene XD. 

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Capitolo 31
*** Civilization Collapse ***


Era un sabato mattina come tanti, la neve aveva reso il paesaggio candido e luminoso alla luce del sole. Natale era alle porte e l'albero riccamente decorato troneggiava maestosamente nel loro salotto, assieme alla pila di regali disposti ordinatamente ai suoi piedi. Anna venne risvegliata dal profumo di biscotti al burro appena sfornati e si precipitò in cucina con un sorriso a trentadue denti stampato sul visino.
 
"Buongiorno. Sei già in piedi, tesoro?" le domandò Heather, sorridendole amorevolmente mentre cospargeva i dolcetti di zucchero a velo.
 
La piccola annuì, scuotendo animosamente la folta chioma bruna. Si accomodò a tavola composta come suo solito, mentre sua madre le preparava una tazza di latte caldo con il miele e una porzione di biscotti. Gustò felice il sapore delizioso di quell'impasto, e una volta finito aiutò la donna a riassettare la cucina.
 
"Dov'è papà?" domandò dopo qualche istante, notando l'assenza del genitore dalla solita poltrona che occupava per leggere il giornale.
 
"È uscito all'alba con Nina, lo sai." rispose, riponendo gli ultimi piatti puliti nella credenza.
 
Giusto, con Nina...Come sempre. Era la stessa identica storia ogni weekend, quando suo padre Richard le prometteva che le avrebbe portate a pattinare sul ghiaccio, oppure a cavallo e alla fine usciva solamente con sua sorella più grande per insegnarle a sparare. Anna sbuffò sonoramente, mentre la delusione si faceva strada sul suo volto.
 
"Cosa succede, tesoro?" le domandò sua madre, notando il suo muso lungo.
 
"Papà non mi vuole bene, ecco!" brontolò, aggrottando la fronte.
 
"No, ma che dici?" la rimproverò senza cattiveria, inginocchiandosi di fronte a lei. "Anzi, questa mattina ha pure messo sotto l'albero un altro regalino per te!" le fece notare, indicando un pacchetto voluminoso incartato con una carta rosso cremisi.
 
"E allora perché non vuole mai stare con me? Perché è sempre con Nina?" piagnucolò, sfregandosi gli occhi.
 
"Non devi essere gelosa di tua sorella, Anna! Lei e papà passano tanto tempo assieme perché le insegna a sparare e per fare escursioni nei boschi. E poi non è vero che non vuole mai stare con te, e ti dirò di più, ieri sera ha persino riaffilato le lame dei pattini per portarti oggi pomeriggio."
 
"Dici davvero?" chiese, tirando su col naso.
 
"Certo, piccola!" le rispose Heather, asciugandole le lacrime con un fazzoletto di seta. "Anzi, sai che ti dico? Corri di sopra a prepararti, che intanto andiamo a pattinare io e te. Papà e Nina ci raggiungeranno più tardi."
 
"Va bene!" rispose rincuorata. "Mamma?"
 
"Sì?"
 
"Sei la mamma più buona, bella e brava del mondo!" disse, buttandosi tra le braccia della bionda. "Quando sarò grande, voglio essere anche io una mamma speciale come te!"
 
"Oh, amore mio..." sospirò Heather, stringendola forte a sé e posandole un bacio sulla guancia. "Lo sarai, Anna. Ne sono certa!"
 
Eppure, dopo quasi 40 anni, il suo desiderio non si era avverato, anzi...L'immagine in bianco e nero di sua sorella che effettuava quell'acquisto continuava ad ossessionarla. Perché Nina sì, che non sapeva nemmeno cosa fossero i sentimenti e lei invece no? Perché anche in questo aveva dovuto batterla e farla sentire umiliata? Lei aveva avuto Steve, ma lo odiava...Era stata scelta per quel progetto perché fisicamente più forte e di gran lunga più capace in battaglia. Persino più fertile, nonostante anagraficamente più grande. Anche in quello era arrivata seconda. Dio, quanto la detestava...Eppure qualcosa la tratteneva dal rivelare quanto aveva scoperto a Kazuya. Aveva già tradito sua sorella in passato, le aveva voltato le spalle senza pensarci due volte, perché ora non riusciva a fare ciò che le era stato ordinato?
 
"Nina...Ancora mi rovini la vita...Perché non sei morta per davvero e basta...?"
 
~
 
Non poteva crederci di essere arrivata viva a destinazione. Tokyo era completamente irriconoscibile: il fumo e la cenere saturavano l'aria, rendendola al limite del respirabile e il cielo aveva assunto un'inquietante sfumatura rossastra come se si fosse bloccato in un perenne imbrunire. L'aeroporto in entrata era quasi deserto, il conflitto era entrato così nel vivo che i tanto temuti controlli erano stati superficiali, per non dire inesistenti. La gente voleva fuggire e basta da quel putiferio, nessuno si curava di chi ci si buttava dentro a capofitto. Il suono incessante delle sirene unito a quello dei clacson in lontananza li accompagnava passo dopo passo, man mano che si addentravano in quell'inferno, una serenata straziante che tormentava i loro animi.
 
"Mio dio..." sussurrò Steve, orripilato da quella terribile visione.
 
Nina non rispose, ma fulminea lo strattonò per un braccio per trascinarlo in un vicolo.
 
"Che sta..."
 
"Shhhh!" lo zittì accucciandosi dietro ad un bidone della spazzatura. Pregò con tutto il cuore che Keiichi non si svegliasse, maledicendosi per aver trascinato il suo bambino così piccolo nel bel mezzo del caos. Ma non aveva avuto scelta: abbandonarlo in un orfanotrofio in Irlanda sarebbe stata l'opzione più sensata, ma non altrettanto sicura, dal momento che la nazione era stata invasa e attaccata dalla G. Corporation. Brutalmente ed egoisticamente aveva deciso che sarebbe stata lei a proteggerlo da tutto e tutti, così come aveva fatto suo padre fino al suo ultimo respiro, ma no, non l'avrebbe lasciato solo. Non c'erano molte speranze di sopravvivenza, tanto valeva stare insieme fino alla fine. Osservò la processione di carri armati che sfilavano lungo la via principale, in una lenta e rumorosa processione. Il pugile non si era nemmeno accorto del loro arrivo a causa del frastuono e si meravigliò con immensa tristezza di come sua madre fosse in grado di muoversi bene in un contesto di guerra. Ma sarebbe bastato a salvarli?
 
"Che facciamo ora?" domandò il biondo, stringendo a sé il suo fratellino.
 
Non ne ho idea. Così avrebbe voluto rispondergli, ma non poteva permettersi il lusso di farlo. A nulla erano serviti tutti i loro piani di azione di fronte ad uno scenario come quello. Improvvisare era un rischio, ma non potevano nemmeno permettersi il lusso di perdere ore di tempo prezioso a nascondersi per elaborare strategie che alla fine non sarebbero nemmeno servite, in quanto non avevano la minima idea di cosa li avrebbe aspettati. Buttarsi nella mischia e pregare, ecco cosa poteva e doveva fare. E naturalmente, proteggere la sua famiglia.
 
"Tanto per cominciare rubiamo una macchina..."
 
"E poi?" domandò il pugile.
 
"Poi mi verrà in mente qualcos'altro..." mentì spudoratamente Nina.
 
Perché in realtà la bionda in parte aveva in mente un piano ben preciso. Certo, non sapeva né come, né dove e nemmeno quando palesarsi a Jin, ma non avrebbe esposto Steve e Keiichi a nessun rischio. Li avrebbe portati lontano, in un posto sicuro e poi sarebbe andata incontro al suo destino. Una volta accertatasi che nessuno fosse più nei paraggi, utilizzò uno dei tanti calcinacci sparsi sull'asfalto per sfondare il vetro di una vecchia jeep Mitsubishi che giaceva abbandonata lungo la strada. La carrozzeria era semidistrutta, ma le gomme erano ancora in uno stato accettabile e Nina pregò che lo fosse anche il motore. Ci volle qualche tentativo prima che il veicolo riprendesse vita, collegare i fili per avviarlo non era un'impresa così immediata come succedeva nei film, ma quantomeno riuscirono a partire.
 
"Dove siamo diretti?"
 
"Ginza. Avevo un appartamento, per il momento possiamo nasconderci lì. È una delle zone più ricche della città, spero che l'abbiano risparmiata per razziarla in un secondo momento."
 
Steve annuì e decise di focalizzare lo sguardo su Keiichi, per evitare di riempirsi gli occhi di scenari di morte e distruzione. Fino a qualche giorno fa viveva felice in Irlanda, nel completo anonimato, in un paesino di poche anime assieme a sua madre e suo fratello ed era il ragazzo più felice del mondo. Certo, l'ombra ingombrante di una guerra mai finita era sempre in agguato, eppure era riuscito a staccare la testa dai pensieri negativi e a vivere attimo per attimo, assaporando la gioia e la beatitudine di avere una famiglia vera attorno. Ma si sa, la vita è fatta di istanti e basta solo un secondo per cambiare le cose in modo irreparabile. Era bastato un solo momento per precipitare dal paradiso all'inferno. E Steve era purtroppo convinto che da quell'inferno probabilmente non sarebbero mai risaliti. Perso nei suoi pensieri cupi non si rese nemmeno conto di quanto quel viaggio fosse infinito: Nina doveva cambiare strada in continuazione ed evitare gli snodi principali per non essere intercettati, ma miracolosamente riuscirono ad arrivare a destinazione. Probabilmente si trattava solo della calma prima della tempesta, in guerra le pause non creano sollievo, ma solo ansia in vista dell'attacco successivo. L'appartamento di Nina faceva parte di un gigantesco condominio, anonimo come tanti altri, ma era proprio la banalità a fornire all'assassina un nascondiglio perfetto. Come previsto la zona era stata momentaneamente risparmiata dai bombardamenti, ma l'aria era comunque irrespirabile tanto era satura di fumo e polvere. E nonostante l'edificio fosse ancora in buone condizioni appariva completamente disabitato: se n'erano andati tutti. Chissà in quanti avevano perso la vita nel tentativo di mettersi in salvo...A testimonianza di ciò vi erano i numerosi oggetti persi lungo le scale e i corridoi, che ora giacevano dimenticati: scarpe, occhiali, borse, fogli, peluche e giocattoli di varie forme e colori. Esistenze una volta normali, forse anche monotone, ma prive di quella paura di scomparire da un momento all'altro. Nina proseguì lungo le numerose rampe di scale, la corrente era stata staccata e l'ascensore era fuori uso, ma non gli pesò. Non aveva fretta di buttarsi nella bocca del leone, e passo dopo passo si sentiva sempre peggio con sé stessa per ciò che avrebbe dovuto compiere a fin di bene. Giunti però di fronte alla porta del suo vecchio appartamento si rese conto che era stata forzata. Le possibilità di trovarvi dentro qualcuno non erano altissime, ma non poteva rischiare.
 
"Aspettatemi qua..." intimò a Steve.
 
"Ma..."
 
"NO! Niente ma. Aspettatemi qua." ripeté categorica.
 
Il pugile non poté fare altro che ubbidire, tenendo però occhi e orecchie ben aperti per captare ogni singolo rumore, o movimento. Trattenne il fiato quando Nina si avventurò da sola all'interno della casa, pregando che non ci fossero trappole ad attenderla dietro l'angolo. Dal canto suo, una volta entrata, la donna si rese subito conto che non esisteva più un ambiente che non fosse stato messo completamente a soqquadro. I cassetti erano aperti, i cuscini del divano squarciati, le ante dei mobili divelte. Non c'era davvero più nulla che fosse in ordine. Desolata continuò ad ispezionare le stanze, fortunatamente deserte, finchè non arrivò alla sua vecchia camera. La luce della torcia illuminava l'ambiente, evidenziando un consistente strato di polvere ormai depositato ovunque, finchè il fascio luminoso non rischiarò il letto, facendole notare ciò che prima era celato dall'oscurita. Nina venne colta completamente di sorpresa, tanto che la torcia le scivolò maldestramente dalle mani, finendo sul pavimento con un tonfo sordo. La bionda imprecò, rimettendosi subito in posizione di attacco, ma ben presto si rese conto che quella sagoma era completamente immobile. Con cautela, senza levarle gli occhi di dosso e a passi misurati si avvicinò al letto dopo aver recuperato la torcia e la esaminò. Sbarrò gli occhi quando vide il corpo di una donna in tutto e per tutto identica a lei che giaceva sul materasso in una pozza di sangue rappreso che aveva macchiato il lenzuolo sottostante. Erano veramente due gocce d'acqua la sua esatta riproduzione. Ma qualcosa non tornava. Nina aveva visto tanti cadaveri in vita sua, lei stessa aveva tolto la vita ad un numero ormai imprecisato di persone, eppure c'era un particolare molto strano in questo. La stanza, disordine a parte, era intatta e senza danni strutturali e la stessa polvere presente sui mobili era depositata anche sul corpo della vittima, il che significava che era lì da molto tempo. E allora come mai non c'era la benchè più minima traccia di decomposizione, soprattutto con una temperatura interna troppo alta affinchè un corpo potesse conservarsi? Puntando la torcia contro la sua sosia osservò le diverse ferite e bruciature presenti sul corpo, sia tagli che addirittura colpi di arma da fuoco che sembravano essere stati sparati da una distanza piuttosto ravvicinata. I residui di sparo erano infatti presenti, ma c'era anche altro...Schegge metalliche. Di istinto le sollevò le palpebre. Era esattamente come pensava. Avrebbero potuto ingannare chiunque, ma non lei.
 
"Nina??? Tutto bene lì dentro?" domandò Steve, ormai preoccupato.
 
Era dentro da almeno una decina di minuti e ancora non aveva detto nulla.
 
"Sì...Vieni..." le rispose, continuando ad esaminare la sua copia.
 
"Meno male stavo iniziando a preocc..WHAAAA" urlò, alla vista del cadavere sul letto. "MA CHE COS..."
 
"Stai calmo Steve!" le rispose senza scomporsi troppo.
 
"M-m-ma quella donna...S-s-ei t-t-t-u..." balbettò terrorizzato.
 
"Hanno fatto un lavoro sopraffino, devo ammetterlo...Ma non c'è assolutamente motivo di preoccuparsi."
 
"Che vuoi dire?"
 
"Avvicinati e vedrai..."
 
Steve fece una smorfia, se non fosse stato per la calma imperturbabile di sua madre sarebbe già scappato a chiedere aiuto, ma si sforzò di fare quanto gli era stato detto. La visione era raccapricciante e il cuore e lo stomaco gli si strinsero in una morsa dolorosa al sol pensiero che quella era la copia esatta di Nina. Quell'immagine lo avrebbe perseguitato per mesi. Notando la sua riluttanza, Nina sollevò di peso il corpo per mostrarglielo meglio.
 
"Lo so che la somiglianza è impressionante, ma è solo un manichino."
 
"C-c-come?"
 
"Osserva..." disse, estraendo un coltello dalla tasca dei pantaloni.
 
Fulminea lo piantò dritto nello stomaco, mettendoci una discreta dose di forza, ma quello dopo aver perforato la carne non affondò se non per una manciata di centimetri. La punta della lama infatti aveva raggiunto un sottile strato in metallo.
 
"Guarda bene anche gli occhi, sono molto realistici, ma sono di vetro. La pelle è sintetica, puoi notarlo dagli squarci. E ovviamente questo sangue è finto, in più non ci sono praticamente schizzi, il che è assolutamente incompatibile su ferite come queste."
 
"Vuoi quindi dire che qualcuno ha orchestrato tutta questa messa in scena ad arte? Qualcuno che voleva coprirti?"
 
"Già...Ma chi?"
 
Nina si guardò intorno attentamente, in cerca di qualche dettaglio che potesse svelare quell'enigma. Certo era che non fosse opera di Jin, lui pensava fosse morta. Di Lars e Alisa dubitava fortemente, per non parlare di Lee. Non si erano fatti scrupoli nel coinvolgerla in un'esplosione potenzialmente fatale. Chi poteva essere stato a voler simulare la sua morte? Era talmente impegnata a rimuginare che ci volle un po' prima notare una serie di kanji incisi sul legno della testiera del letto. E finalmente capì. Sorrise col cuore colmo di gratitudine, ricordando le parole di quei tre fedeli soldati che l'avevano messa in guardia sulla sorte che l'attendeva se fosse rimasta "...cercheremo di depistare le ispezioni e rallentarle di qualche giorno, ma lei deve andarsene Miss Williams...". Soltanto un paio di giorni dopo Heihachi avrebbe finto la sua morte e lei avrebbe realizzato di essere incinta. Quante cose erano successe, quante erano cambiate, ma soprattutto quanto era cambiata lei. Della vecchia Nina Williams, assassina a pagamento e seconda in comando di Jin Kazama alla Mishima Zaibatsu non era rimasto quasi niente, ma tutto sommato non le dispiaceva. In cuor suo sapeva di aver lasciato alle spalle un passato sbagliato e i suoi due figli l'avevano aiutata a capire il valore della vita, dell'amore e della famiglia. L'unica altra cosa che avrebbe desiderato sarebbe stata avere Jin al suo fianco e trascorrere il resto dei suoi giorni assieme al loro bambino e a Steve. Ma Jin sarebbbe stato disposto a farlo, o il suo cuore aveva infine ceduto al male del Gene Del Diavolo? Era già troppo tardi? Questi pensieri la riportarono immediatamente con la testa sul suo obiettivo. Non poteva indugiare oltre, aveva già perso troppo tempo. Silenziosamente estrasse una siringa dalla tasca dei jeans. Osservò con lo sguardo colmo di dispiacere il suo primogenito, ancora intento a studiare la verosimilità di quel fantoccio. Posò poi gli occhi sul piccolo Keiichi, che giaceva ancora addormentato nel marsupio. Avrebbe combattuto per loro fino allo stremo, li avrebbe protetti anche a costo della vita. Una lacrima rotolò silenziosamente lungo la sua guancia, mentre sospirando profondamente si preparò a colpire.
 
"È davvero incredibile come possano creare un manichino così sim..."
 
Il biondo non riuscì a finire la frase che si ritrovò braccato alle spalle, con la testa immobilizzata.
 
"Nina, ma che cos..."
 
"Perdonami Steve..." sussurrò prima di conficcargli la siringa nel collo e premere lo stantuffo fino in fondo.
 
Il ragazzo barcollò e tentò in ogni modo di divincolarsi, ma la forte stretta di Nina gli impedì sia di capitombolare a terra, che di liberarsi. Nel giro di pochissimi istanti la vista gli si annebbiò completamente e le gambe gli cedettero sotto il suo stesso peso. Il sonnifero iniziò inesorabilmente a fare il suo effetto e l'assassina lo accompagnò a terra, per evitare che cadesse e potesse farsi male. Era un farmaco potente, ma la dose era piccolissima e sarebbe stata appena sufficiente per tenerlo addormentato per una decina di minuti. Ma sarebbero bastati, per allora sarebbe già stata sufficientemente lontana. Lasciò accanto al corpo del pugile una lettera, e con gli occhi pieni di lacrime lo salutò con una carezza sulla fronte. Baciò Keiichi un paio di volte e lo strinse ancora una volta al petto con delicatezza per evitare che si svegliasse. Non c'era più tempo. Non poteva più voltarsi indietro, o non avrebbe più avuto la forza di andarsene.
 
"Perdonatemi...Addio figli miei..." mormorò tra le lacrime, uscendo di corsa dalla casa.
 
Corse a perdifiato giù dalle scale e si fiondò dentro la jeep, partì sgommando in direzione della Violet System, sperando con tutta sé stessa che Jin fosse ancora sotto la custodia di Lee. Non aveva idea di cosa gli avrebbe detto, o cosa avrebbe dovuto fare una volta che si sarebbero ritrovati faccia a faccia...Non sapeva neppure se ce l'avrebbe mai fatta a rivederlo vivo. Pigiò ancora più a fondo il piede sull'acceleratore, mentre la sua mente era un turbine di pensieri e ricordi. A breve Steve sarebbe rinvenuto e si sarebbe accorto della sua assenza. L'avrebbe odiata, ma non poteva fare diversamente, non gli avrebbe mai permesso di rischiare la vita. Era conscia che alla fine avrebbe prevalso in lui il buonsenso e avrebbe accettato di prendersi cura del suo fratellino, senza esporlo ai pericoli. Eppure non riusciva a smettere di piangere. Dopo circa mezz'ora di viaggio che parve infinita, scorse all'orizzonte il profilo imponente della Violet Systems.
 
"Ci siamo!" pensò.
 
Ma non fece in tempo a concludere la frase che un boato squarciò l'aria e la jeep sbandò improvvisamente. Nina non fu in grado di mantenere il controllo sul veicolo, che andrò a schiantarsi contro un idrante, interrompendo la sua corsa. L'impatto fu molto duro, ma fortunatamente sembrava essere ancora tutta intera, fatta eccezioni per ecchimosi e tagli. Che diavolo era successo? Un forte odore di benzina le investì le narici, perciò si sbrigò ad uscire, presagendo il peggio. Le faceva male la gamba e zoppicava, eppure riuscì ad allontanarsi giusto in tempo prima che la macchina venisse avvolta dalle fiamme. 
 
"Mi dispiace...Ma la tua corsa si interrompe qua. Non puoi proseguire oltre." risuonò una voce alle sue spalle, a lei fin troppo famigliare.
 
Un brivido le corse lungo la schiena, quando capì di essere finita nel bel mezzo di un'imboscata. E naturalmente ad architettarla era stata lei. Sempre lei. Come sempre.
 
"Non mi stupisce che tu abbia deciso di trascinare nel baratro i tuoi figli portandoli qui, ma loro non ci sono più a darti la forza...E soprattutto non c'è più nulla che tu possa fare..."
 
Nina deglutì a vuoto, udendo quelle parole. Avrebbe dovuto immaginare che presto o tardi ci avrebbe lasciato lo zampino, era stato tutto fin troppo semplice, dall'uscire dall'aeroporto al nascondersi nella sua vecchia casa. Aveva semplicemente aspettato il momento giusto per attaccarla, certa di avere in mano tutte le carte vincenti. La bionda aveva una sensazione terribile, ma non poteva vacillare. Doveva essere forte, mollare adesso significava condannare il mondo intero all'oblio. Non le importava di morire alla fine, ma avrebbe fatto di tutto per assicurare un futuro migliore ai suoi figli e quella voce era un altro dannato ostacolo da eliminare affinché fosse possibile. Lentamente si costrinse a voltarsi, pronta a combattere l'ennesima battaglia, contro la sua più acerrima rivale...

~

Note dell'autrice: sì bhe, diciamo che sono ancora viva, i trailer mano a mano che escono mi fanno sempre più passare la voglia di finire questa storia, ma vabbè...Ho dovuto completamente stravolgere il mio piano originale, altrimenti non mi sarei mai sbloccata. Vedo la luce in fondo al tunnel, ma è ancora lontana...E niente, spero di aver messo assieme un capitolo decente XD Alla prossima! 

PS: il titolo non c'entra quasi niente col capitolo, ma stavo ascoltando Civilization Collapse dei miei amatissimi Kreator mentre scrivevo la parte descrittiva di Tokyo in guerra e niente, si vede che la mia fantasia è agli sgoccioli??? XD
 

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Capitolo 32
*** World War Now Pt.1 ***


"See the pain, hear the cries, seeds of hate sowed by lies, darkest times hold your ground, as the tyrants scream it out "World War Now"..." - Kreator

~

Se Nina era la fotocopia di sua madre, fatta eccezione per gli occhi azzurri di Richard, la sua tanto odiata sorella Anna era esattamente l'opposto. I perforanti occhi blu come quelli di Heather la stavano scrutando da capo a piedi, uno sguardo carico di centinaia di emozioni diverse, ma tutte negative: odio, disprezzo, risentimento...Non batteva ciglio mentre la teneva sotto tiro puntandole la pistola contro, la mano stringeva talmente tanto forte il calcio dell'arma da sbiancarle le nocche. Lei invece era disarmata, non aveva nulla con sé, eccezion fatta per il piccolo coltello a serramanico che aveva usato per squarciare il manichino. Se sua sorella le avesse sparato a bruciapelo, non avrebbe potuto fare nulla per difendersi, solo pregare che i suoi riflessi fossero più veloci di una pallottola. Tuttavia Nina sapeva come prendere tempo e quali tasti dolenti toccare per distrarla a sufficienza dai suoi obiettivi.

"Non imparerai mai a non impicciarti in cose che non ti riguardano, eh Anna? Quanti stupidi vestiti e borsette deve averti promesso Kazuya per renderti così determinata?"

La mora sbarrò gli occhi, chiaramente infastidita dall'affermazione della sorella, ma non si mosse di un millimetro.

"AH! Kazuya...È un uomo potente, ma io non mi faccio comprare..."

"Ah no? Ma davvero??? E allora perché sei qui a mettermi i bastoni tra le ruote per l'ennesima volta? Perché da brava non ti fai da parte e non lasci che siano gli adulti a risolvere i problemi?"

L'ultima frase fu una frecciata molto ben assestata. Richard liquidava spesso Anna con l'espressione "sono cose da adulti, fatti da parte", ogni qualvolta che esprimeva il desiderio di aggregarsi a lui e la sorella durante i loro allenamenti. A nulla serviva fargli notare che nemmeno Nina lo era, perché puntualmente riceveva come risposta "lei è molto matura e sa cosa fare". Più matura. Più brava. Più intelligente. Più atletica. Più tutto. No, non si sarebbe lasciata mettere i piedi in testa di nuovo, stavolta aveva i suoi assi nella manica da sfoderare.

"E tu saresti l'adulta vero? Quella matura? Molto maturo infatti citare le risposte di papà per destabilizzarmi. Ma permettimi di rinfrescarti la memoria..." un ghigno sadico si dipinse sulle sue labbra scarlatte. "Papà non diceva anche che la famiglia è tutto e che non si abbandona nessuno? Perché mi pare che in questo tu non eccella particolarmente…”

Stavolta fu il turno di Nina di vacillare. Come si permetteva di insinuare una cosa del genere, lei che non sapeva niente di quanto aveva vissuto negli ultimi mesi? Ormai era ovvio che era stata tenuta sotto osservazione probabilmente dal momento stesso in cui aveva rimesso piede in Giappone, eppure doveva negare. Se Anna avesse capito quanto in realtà le stavano a cuore i suoi figli, avrebbe avuto un'arma di ricatto troppo grande e loro avrebbero rischiato troppo.

"Oh già, ti chiedo scusa per averti mandato al diavolo, dopo che per mesi e mesi  nei quali ti sei divertita a manipolarmi mentre ero in preda ad un'amnesia, amnesia causata da TE e i tuoi amici dopo avermi messo in quella maledetta vasca per quasi vent'anni! Mi dispiace così tanto per averti fermata ogni volta che hai cercato di ostacolarmi, o ancora peggio uccidermi...Nulla di personale, sia chiaro, sei sempre stata incapace di lasciare in pace le persone e non morire di invidia..."

Il ghigno di Anna si fece ancora più ampio.

"Bel tentativo, sorellona. Ma sai benissimo di cosa sto parlando..."

"Ti sbagli, so perfettamente che il tuo ego così spropositato..."

"So che non sei arrivata qua da sola. So dove li hai nascosti. E, cosa che tu non sai, ma io sì,  so che ora non sono più lì..."

Nina sentì il sangue congelarsi nelle vene. Che diavolo stava dicendo? Cosa significava che non erano più lì? Il silenzio che seguì da parte sua fu fin troppo eloquente.

"Pensavi davvero di riuscire a tenere Steve fuori da giochi? Così forte, così coraggioso così...Maledettamente voglioso di immolarsi come paladino della giustizia ed essere il cocco della mamma...E come si sentirà adesso il povero Steve, dopo che la sua adorata mammina gli ha mentito ed è scappata chissà dove, lasciandolo solo con, oh mio Dio, mai avrei pensato di dirlo ma, il suo fratellino? Accidenti, non posso crederci, quanto forte devi aver battuto la testa per fare un altro figlio??"

"Tu...Tu sei fuori di testa..." replicò, distogliendo lo sguardo, incapace di ribattere in modo più deciso. 

"Oh, smettila con questa farsa, sorellona. Pensi davvero di potermi mentire? Quel fantoccio nel tuo appartamento avrà anche fregato la Tekken Force che ti ha dichiarata deceduta, ma non me. Sai, ti confesso che all'inizio erano riusciti a ingannarmi, ma in cuor mio sapevo che eri ancora viva, la fuori, da qualche parte a farti i fatti tuoi, e davvero, mi stava anche bene. D'altronde con te finalmente lontana e fuori dai giochi avrei finalmente potuto vivere la mia vita tranquillamente...Ma hai deciso di strisciare fuori dal buco nel quale ti eri nascosta, per cosa poi? Per salvare quel ragazzino che "proteggevi" e che, a quanto vedo, ti ha pure messo incinta? Davvero Nina? Cosa pensavi di fare? Cosa pensi di ottenere? Perché, giuro su Dio, per voi non ci sarà nessun "vissero felici e contenti"" ringhiò, sparando un colpo proprio vicino ai piedi della sorella.

Nina fece un balzo all'indietro, ma cadde a causa dell'asfalto semidistrutto. Era nei guai. Anna sapeva tutto e per la prima volta nella sua vita non era sicura di poter avere la meglio su di lei. Non le aveva mai fatto paura, sapeva che non avrebbe mai avuto il coraggio di finirla, ma stavolta qualcosa le diceva che il rischio che sarebbe potuta andare diversamente, era terribilmente concreto. C'era un non so che di diverso in sua sorella: odio, astio e rancore nei suoi confronti erano sempre stati una costante, ma stavolta c'era dell'altro. Anna era inspiegabilmente ferita da questo suo ritorno, ed era come se stesse combattendo una battaglia interna contro sé stessa, ma Nina non riusciva a capirne la ragione. Perché aveva puntato di proposito la pistola e sparato vicino a lei e non contro di lei? Cosa la stava fermando?

"La mia vita non ti riguarda Anna, né prima, né ora e né mai! Per quale motivo mi ostacoli, se sai che sto andando incontro ad una missione suicida? Che possibilità posso avere contro Kazuya eh, dimmelo? Pensi davvero che possa fermarlo?"

"PERCHè SEI UN'IDIOTA, NINA!" urlò, improvvisamente fuori di sè. "PERCHè UNA MAMMA NON DOVREBBE MAI ABBANDONARE I PROPRI FIGLI, PER NULLA AL MONDO!"

Come? Aveva capito bene?

"Tu...Tu...Avresti potuto...Avresti dovuto stare fuori da tutto questo. Invece sei tornata...Se talmente egoista da non renderti conto di quanto la vita ti abbia dato, così cieca e orgogliosa, la grande, fredda e spietata Nina Williams, che non sa cosa sia l'amore, ma che ha due figli!  E invece di proteggerli cosa fa? Li porta nel pieno della guerra. Per cosa Nina, per cosa? Possibile che tu sia così marcia dentro da ignorare tutto e tutti e perseguire solo i tuoi scopi?"

"ADESSO BASTA!" urlò a sua volta la bionda, rialzandosi. 

Uno sguardo feroce le sfigurò il volto, mentre avanzava a passi lenti e misurati verso sua sorella, incurante del fatto che fosse armata e pronunciando parole pacate, ma cariche di veleno.

"Tu non sai niente, Anna. Eppure parli. Mi fai la morale, mi critichi, mi urli addosso, mi dai dell' egoista, senza sapere NIENTE di come stanno le cose. E mi ostacoli, ancora una volta. E sia, fai pure! Ma non permetterti mai più di riempirti la bocca di parole sui MIEI FIGLI."

Lo sguardo che si scambiarono fu colmo di tensione, di frasi non dette, di conflitti irrisolvibili. Ma una cosa era certa: quel giorno avrebbero messo la parola "fine" alla loro guerra personale. Inaspettatamente, senza levarle gli occhi di dosso, Anna getto la pistola lontano in mezzo alle macerie di un palazzo e si mise in posizione di combattimento. Nina fece lo stesso, senza battere ciglio.

"Risolviamo questa faccenda una volta per tutte..." disse la mora.

"Sì...Stavolta per sempre..."

~

Lui era lì, ad attenderlo a braccia conserte e con un ghigno beffardo sul volto. Il ghigno e lo sguardo di chi sapeva di avere la vittoria in pugno. Aveva atteso questo momento da anni, il suo corpo fremeva dall'impazienza di rimettere le mani su ciò che gli spettava di diritto. Poi avrebbe preso il resto del mondo e l'avrebbe fatto suo, gettandolo nel terrore e nella distruzione. Le grosse ali violacee da pipistrello gli avvolgevano il corpo possente, mentre un ghigno di sfida e scherno gli sfigurava il volto mostruoso, mentre osservava dall'alto il figlio, finalmente uscito allo scoperto. Jin aveva ancora sembianze umane, il tatuaggio sul braccio era quasi completamente scomparso, il che significava che il Gene Del Diavolo era ancora dormiente in lui. Nonostante ciò la sua espressione era diversa, non sembrava più affranto come l'ultima volta che l'aveva visto. Sicuramente aveva qualcosa in mente, ma Kazuya non se ne preoccupò: sarebbe stato tutto estremamente semplice.

"Sciocco da parte tua presentarti così. Senza un briciolo di forza, senza un minimo di potere residuo."

Jin digrignò i denti e strinse i pugni di fronte a quella sfrontatezza. 

"Non ho bisogno di poteri malvagi e oscuri per farti fuori!" replicò piccato.

Kazuya scoppiò in una risata sguaiata da far gelare il sangue.

"E come pensi di fare, eh?" lo schernì. "Sei debole, stupido e patetico...Ti ridurrò in briciole in meno di un minuto."

Il ragazzo non disse nulla. Non poteva ribattere, solamente affrontare le conseguenze delle sue azioni, accettare il suo destino e affrontarlo a testa alta. Lui aveva scatenato quella guerra in primis al solo scopo di sfidare Azazel, per distruggere l’origine della loro maledizione, ma a quanto pare non era stato sufficiente. Tuttavia avrebbe comunque combattuto, era stanco di nascondersi nella speranza che qualche miracolo accadesse, lui non era un vigliacco. Se la sua fine era imminente, ebbene lui non si sarebbe comunque sottratto al suo dovere di provare a fermare suo padre. Sfidandolo con lo sguardo, conscio di andare incontro ad una sconfitta bruciante, si mise in posizione di attacco. Kazuya rise ancora, atterrando di fronte a lui a pochi metri di distanza.

"D'accordo, fatti sotto..."

~

"Caro Steve:  non ci sono parole per descrivere la mia gratitudine nei tuoi confronti e nemmeno l'affetto gigantesco che mai avrei pensato di provare per te. Sei un ragazzo forte con un’anima meravigliosa e sarai un fratello maggiore perfetto per il mio piccolo Keiichi. Pur essendo tu il figlio e io la madre, mi hai insegnato così tante cose in così poco tempo, cose che mai avrei immaginato di imparare…Spero di averti reso orgoglioso...E sappi che io sono tanto, tanto fiera dell'uomo che sei diventato. Ti prego di perdonarmi, ma non posso permettere che vi accada nulla di male, farò l'impossibile per proteggervi. Addio figli miei, vi voglio bene e ve ne vorrò per sempre. Con amore, Nina"

Le parole di quel biglietto, scritte con quella calligrafia sottile e ordinata continuavano a rimbombargli in testa, mentre guidava a sua volta un’auto rubata a velocità folle, senza nemmeno sapere se la direzione presa fosse giusta. Aveva un oscuro presentimento e pregò con tutto sé stesso di ricordarsi la strada in quel gigantesco labirinto che era la città di Tokyo, soprattutto quando i cartelli erano neri di fuliggine e i punti di riferimento rasi al suolo. Perché sua madre l'aveva messo fuori da giochi così? Entrambi avevano mentito a fin di bene, eppure era in collera lo stesso. Perchè nemmeno lui avrebbe mai permesso che Nina rischiasse la vita, non poteva perderla, non senza aver lottato. Qualsiasi infausto destino li avrebbe attesi, sarebbero rimasti insieme. Insieme fino alla fine.

~


Note dell'autrice: ho deciso di splittare questo capitolo di riunioni famigliari in due parti per non farlo diventare eccessivamente lungo e lasciare un po' di cliffhanger. Ovviamente, per quanto personalmente trovi il personaggio di Anna abbastanza insignificante e fastidioso, creato appositamente per rompere le scatole a sua sorella, non potevo assolutamente omettere la sua presenza in questa fanfiction, d'altronde la sua presenza è sempre stata una costante per Nina, per la sua storia e per il suo sviluppo. Comunque c'ho messo una vita a scrivere questa parte perchè mi ero intestardita di descrivere le scene dei combattimenti, pur non essendo assolutamente capace. Indovinate un po' come è andata a finire? Bhe, dopo settimane di stallo, c'ho rinunciato :D A presto con la seconda parte! 

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Capitolo 33
*** World War Now Pt.2 ***


"See the pain, feel the fear, plants of hate sieged frontier, darkest times, hold your ground as the tyrants scream it out "World War Now..." - Kreator
 
~
 
Jin venne scagliato contro il muro di un edificio poco lontano per l'ennesima volta. Rantolando, tentò di rimettersi in piedi, tossendo polvere e sputando sangue. Lo scontro contro il suo odiato padre era impietoso. Non riusciva a colpirlo, non riusciva a difendersi, poteva solamente incassare fintanto che il suo corpo glielo avesse concesso. Kazuya lo caricò di nuovo, continuando a sferrare calci e pugni poderosi, che andavano a segno uno dopo l'altro.
 
"Quanto fai pena...Non c'è nemmeno gusto..." lo canzonò, mentre l'altro cercava disperatamente di riprendere fiato. Probabilmente non aveva più nemmeno una costola integra.
 
"Arrenditi Jin, dammi ciò che mi spetta e ti grazierò con una morte rapida..."
 
"VAI ALL'INFERNO" sbottò a fatica.
 
"No, mio caro...Ci andrai prima tu e io sarò comunque lì a impartirti la lezione."
 
La pazienza di Kazuya era ormai agli sgoccioli: se Jin fosse morto non avrebbe più potuto recuperare la parte del suo Gene mancante. Tuttavia era conscio che peccare di avidità in questo caso sarebbe stato controproducente, perché con suo figlio fuori dai giochi non avrebbe più avuto un singolo rivale sulla faccia della Terra. Sarebbe stato comunque il più potente di tutti e avrebbe sottomesso l'umanità intera ugualmente. Gli conveniva eliminare l'unico fastidioso ostacolo fintanto che era nelle condizioni di farlo con estrema facilità. Accontentarsi o non accontentarsi? Questo sì che costituiva un bel dilemma per l'essere più malvagio del mondo. Tuttavia il suo sesto senso continuava ad avvertire una minaccia nell'aria e non era certo Jin, che in quel momento giaceva mezzo moribondo su un mucchio di macerie. E allora, cosa c'era che non andava?
 
"Sì, lo sento anche io...È strano, molto strano." commentò Devil dentro la sua testa. "C'è qualcosa di anomalo ed è vicino. Esattamente ciò che sospettavo..."
 
"Cosa può essere? si informò, guardandosi attorno con circospezione.
 
"Guai..." replicò gelido.
 
L'uomo non fece in tempo a chiedere ulteriori spiegazioni, che una luce argentea lo abbagliò. Solo un istante di indecisione lo aveva separato dal raggiungimento del suo obiettivo. E quel solo istante gli era costato caro: la figura di Devil Jin si palesò di fronte a lui, i lividi, i graffi e i tagli completamente scomparsi.
 
"NO..." pensò furibondo. "Come è potuto succedere??"
 
"È potuto succedere perché tu, IDIOTA, hai sottovalutato le mie parole!"
 
"Che significa???"
 
"Ricordi quando ti ho detto che avevo percepito un'entità a noi simile?"
 
"Sì..."
 
"Hai mai avuto conferma ai tuoi dubbi, o hai continuato dritto per la tua strada, scordandotene completamente?"
 
Kazuya ammutolì. No, non aveva mai avuto conferma.
 
"Già...Beh, vedi...Qualsiasi cosa sia, è qui ed è vicino...E il tuo caro figliolo che giaceva mezzo morto, ora è di nuovo in piedi, perché la mia controparte ha deciso di uscire allo scoperto di fronte a ciò!"
 
Ed era andata esattamente così. Il Gene di Jin aveva a sua volta percepito quella presenza, quella anomalia che mai avrebbe dovuto manifestarsi. Di fronte ad un evento del genere, per quanto stesse aspettando che il suo ricettacolo umano cedesse alla disperazione e implorasse di aiutarlo, non poteva continuare a rimanere nell'ombra. 
 
"Cosa sta succedendo?" mormorò Jin, osservando incredulo gli artigli d'acciaio tipici della sua trasformazione. 
 
Poteva percepire distintamente il peso delle grandi ali nere sulle sue spalle e delle corna ricurve sulle sue tempie. Scorse il suo sinistro riflesso nei cocci di una vetrata rotta, i segni tribali su petto e fronte, le catene, le labbra nere, gli occhi argentei e vitrei. Il tatuaggio sul braccio era più vivido che mai.  Non mancava nulla, la sua trasformazione in Devil Jin era effettiva e completa. 
 
"Perché non me lo dici tu?" ringhiò Devil nella sua testa.
 
C'era un insolito panico e agitazione nel suo tono di voce e questo mise Jin ancora più in allarme. 
 
"Che cosa hai fatto, stupido ragazzino??? Che cosa hai combinato???"
 
"Non so di cosa tu stia parlando!!!" replicò nervoso.
 
"MALEDIZIONE!".
 
Quell'imprecazione uscì dalle bocche di entrambi i Devil e Kazuya stesso. Quest'ultimo spicco un balzo e volò via a velocità folle in chissà quale direzione.
 
"CHE SUCCEDE? DOVE STA ANDANDO?" urlò Jin, completamente spaesato.
 
"A risolvere i tuoi casini, idiota!"
 
"Che significa?"
 
"Proprio non ci arrivi? Sei davvero così stupido???" Non seguì replica alcuna a quella domanda. "In origine io e il Gene di tuo padre eravamo una cosa sola. Poi, incautamente, Kazuya ha commesso l'imperdonabile errore di cedere alla sua debolezza umana quando ha conosciuto tua madre e indovina un po'...Sei nato tu, mutilando l'essere perfetto che ero e privandomi di parte dei miei poteri!"
 
Jin ancora non riusciva a capire dove volesse andare a parare, ma aveva un presentimento orribile.
 
"Ora c'è qualcun'altro come noi. Lui ha imparato la lezione. Tu che hai da dire a tua discolpa?"
 
La consapevolezza lo investì in pieno come un treno in corsa, quando finalmente comprese ciò che tra le righe Devil gli stava dicendo. Non era possibile, non poteva essere vero. O no? Ma allora...
 
"Ti conviene muoverti e fermare Kazuya, prima che succeda l'irreparabile..." gli intimò il demone, più in collera che mai.
 
Ma a Jin non servivano altri incentivi, doveva assolutamente togliersi quel dubbio atroce, che a quanto pareva, tanto dubbio non era. Schizzò in aria e volò più veloce che poteva all'inseguimento di suo padre. 
 
~
 
"NINA!" 
 
Quella voce...Così famigliare...No, non poteva essere. Era talmente malconcia e ridotta male da quello scontro da riuscire a malapena a sollevare il capo e rivolgere lo sguardo verso la direzione dalla quale quella voce inconfondibile proveniva.  E infatti lo vide, col suo fratellino saldamente avvolto sulle spalle, che correva a perdifiato verso di lei. Lo scontro con Anna era durissimo e per la prima volta si era trovata in enorme difficoltá nel tenerle testa. D'altronde era fuori allenamento da diverso tempo e il parto aveva indubbiamente indebolito il suo fisico. Non era così che sarebbe dovuta andare!
 
"S-s-Stev-ve...No..."
 
"NINA! OH, GRAZIE AL CIELO SEI VIV..."
 
"VATTENE SUBITO DI QUI!" urlò, con tutto il fiato che le era rimasto nei polmoni.
 
"NO, CHE NON ME NE VADO! COSA PENSAVI DI FARE, EH?" replicò, sbraitando a sua volta, prendendola tra le braccia e aiutandola a rialzarsi. 
 
Purtroppo però le ferite che aveva riportato erano troppo serie e reggersi in piedi ormai le costava una fatica inimmaginabile.
 
"Ma tu guarda, non avrei mai pensato di ritrovarmi in una riunione di famiglia..." li sbeffeggiò Anna.
 
Steve girò la testa di scatto e osservò per la prima volta sua zia dritta negli occhi. E stranamente non provò nulla se non un grande disprezzo, sentimento che raramente gli apparteneva.
 
"Si può sapere che diavolo vuoi?" ringhiò.
 
"Però, che caratteraccio. Proprio come quello di tua madre!"
 
"Non abbiamo tempo da perdere con te, fatti da parte!" 
 
"Dovresti essere tu a toglierti di torno, io e Nina abbiamo ancora un conto in sospeso da regolare."
 
"Oh no, no, no..." replicò il biondo, alzandosi in piedi e scrutando fieramente la donna. "Non mi importa niente del vostro conto in sospeso. Non mi importa niente se sei mia zia, hai scelto di stare dalla parte sbagliata, ma spero che un giorno capirai e ammetterai i tuoi errori. Però nessuno, e ripeto, NESSUNO, può torcere un capello a mia madre, o dovrà vedersela con me!"
 
Anna tacque, di nuovo in difficoltà e di nuovo in balia dell'invidia e della gelosia. Nina l'aveva rinnegato, trattato male, messo KO e ancora il pugile la difendeva a spada tratta. Contro ogni previsione, tra i due si era creato un legame ormai indissolubile. Lei, Steve e quel piccolino che ora la scrutava da sopra la spalla del fratello, con gli stessi occhi di sua sorella e di suo padre Richard. Occhi che l'avevano sempre messa in soggezione, uno sguardo che le aveva sempre fatto capire tutto senza bisogno di parole. Occhi che l'avevano sempre messa al suo posto. Alla fine aveva recuperato la pistola, non ci avrebbe messo davvero niente a farli fuori tutti e tre e quella battaglia fratricida si sarebbe finalmente conclusa, ma qualcosa dentro di lei l'aveva nuovamente bloccata. Osservò la sua odiata sorella, che nel mentre era riuscita miracolosamente a rimettersi in piedi, zoppicare a fianco dei figli, osservandoli con gli occhi colmi di orgoglio e amore. Sentimenti che dentro le iridi di Nina non aveva mai visto prima. Possibile che fosse cambiata a tal punto? Possibile che lei fosse di nuovo rimasta indietro?
 
"ORA BASTA!" urlò fuori di sé, puntando l'arma contro i tre. "Ne ho abbastanza di voi! Avreste potuto vivere una vita felice lontano da qua, ma avete preferito andare incontro alla morte e ora vi accontenterò!"
 
"No, che non lo farai!" replicò Nina, parandosi davanti a Steve e Keiichi, con le braccia spalancate. "Tu non vuoi farlo, Anna. Non hai mai voluto, perché io sono sempre rimasta l'unica famiglia che ti è rimasta. Mi hai tradita più volte, ostacolata, torturata, ma sai cosa? Non sarai mai in grado di uccidermi. Non faresti mai un torto del genere a nostro padre e a nostra madre. Tu non mi hai mai voluto morta per davvero Anna...E ti giuro qui, davanti a loro, che nemmeno io ho mai voluto che tu morissi..."
 
Era sincera Nina. Era maledettamente sincera. Le lacrime iniziarono a scorrere sul volto della mora e non poté fare nulla per fermarle. 
 
"Tu hai sempre avuto tutto ciò che desideravo per la mia vita. Al diavolo i soldi, il lusso, il potere...Io avrei solo voluto una famiglia che mi volesse bene per davvero, senza mai essere seconda a nessuno...Un compagno che mi amasse come papà amava mamma, dei figli da accudire, senza mai fare preferenze e farli sentire in difetto come è successo a me...Avrei tanto voluto conoscere l'amore, quello vero e provarlo sulla mia pelle e sul mio cuore. Non ho mai avuto niente di tutto ciò. Tu Nina, sì...E per quanto ti possa odiare e invidiare, non posso distruggere tutto questo..."
 
"Ci riuscirai Anna...Ne sono certa."
 
Di nuovo la massima sincerità trapelò dalle parola della bionda. Sincerità che nè una, nè altra avevano mai percepito nel parlarsi a cuore aperto. Affranta, Anna abbassò la pistola e crollò in ginocchio in preda ai singhiozzi. Nina avrebbe voluto avvicinarsi, non le sembrava la solita scenata finta per cercare di abbindolarla, o attaccarla alle spalle, ma qualcosa la bloccò. Il pallido sole si era oscurato di colpo. Alzò gli occhi e il suo sangue nelle vene gelò. Il diavolo in persona era lì.
 
"Ne ho abbastanza dei tuoi piagnistei, Anna..." ringhiò.
 
Accadde in un attimo. In meno di un secondo Kazuya fu addosso a sua sorella, sollevandola per il collo senza il minimo sforzo. La presa della sua mano si stava facendo sempre più stretta, mentre i rantoli della donna aumentavano.
 
"NO, ANNA!" urlò Nina.
 
Ma non riuscì a muovere un passo verso di lei. Kazuya le scagliò contro il corpo esanime, che atterrò ai suoi piedi come una bambola di pezza. Un enorme pozza di sangue iniziò a formarsi sull'asfalto e Nina si accorse con orrore che gli artigli del Diavolo erano affondati così tanto da perforare la carotide. 
 
"A-a-a-nna..." balbettò, inginocchiandosi accanto a lei, prendendola tra le braccia e cercando di tamponare la ferita come meglio poteva, ma senza risultato. "Resisti, ti prego!"
 
"M...m...i dis-s-s-piace---N-n-ina..." sussurrò, guardandola per l'ultima volta negli occhi. Una lacrima rotolò lungo le guance di entrambe. Poi, sorridendo leggermente, chiuse gli occhi per non riaprirli mai più.
 
Nina rimase a contemplare il corpo ormai senza vita della sorella senza riuscire a vederlo davvero, mentre il sangue le imbrattava le mani e gli abiti. Nella testa una fiumana di ricordi si rincorrevano tra loro senza sosta: i giochi che facevano da piccole, le pattinate sul ghiaccio coi genitori, il tragico incidente sulle Alpi costato la vita a loro padre, il risveglio dal sonno criogenico, i tornei.... Anna era sempre stata una costante della sua vita, onnipresente davanti , o dietro le quinte, nel bene e nel male. Molti dei suoi ricordi erano andati perduti a causa dell'amnesia, eppure era certa che non si erano sempre odiate, che una volta anche loro erano state due bambine spensierate, due sorelle come tante. Poi le loro strade si erano divise inesorabilmente, la morte di Richard era stata la rottura definitiva e mai sistemata nel loro difficile rapporto. Eppure, si era resa conto troppo tardi che quell'odio era solo la reazione più semplice, più scontata, più banale che potessero provare. Lo aveva capito grazie ai suoi figli, che le avevano insegnato a mettere da parte sé stessa e a lasciarsi voler bene. Ma mai nella vita avrebbe pensato che l'invidia di Anna non fosse scatenata dal successo e dal potere, bensì dal desiderio di avere una famiglia tutta sua per riscattarsi. Famiglia che una volta aveva e che il destino crudele le aveva distrutto e minato e che il loro orgoglio aveva impedito di ricostruire. Solo in quel momento Nina capì quanta solitudine ci fosse nella vita di sua sorella. Non poteva crederci che non l'avrebbe rivista mai più. 
 
"Bene, bene, bene..." la gelida voce di Kazuya la ridestò, facendole alzare la testa di scatto. "A quanto pare non mi ero sbagliato...C'è davvero un altro bastardo in questo mondo di cui devo occuparmi..."
 
La bionda sbiancò quando si rese conto che lo sguardo del demone non era rivolto né a lei, né a Steve...Keiichi stava osservando a sua volta quell'essere terrificante, senza battere ciglio. Era solo un neonato, eppure i suoi occhi così puri e innocenti, ora brillavano di una luce inquietante.
 
"NO" urlò la donna, parandosi nuovamente di fronte a loro. "STEVE, SCAPPATE!" 
 
"Oh non credo prop..."

Improvvisamente un fiotto di luce accecante li coinvolse in pieno, scaraventando Kazuya lontano una decina di metri da loro. Nina corse da Steve e prese il piccolo tra le braccia.
 
"Stai bene?" urlò il pugile.
 
La donna fece cenno di sì col capo.
 
"Ma cosa è stato?"
 
Nina sentì una scossa elettrica pervaderla dalla testa ai piedi. Una sensazione stranissima, ma famigliare...Alzò gli occhi al cielo e lì lo vide.
 
E lui vide lei...
 
L'azzurro dei suoi occhi incontrò l'argento di quelli del Diavolo. 
 
E l'argento del Diavolo, di iridi ora sbarrate, divenne per un istante ambra liquida...

~
 
Note dell'autrice: non me ne vogliate per aver fatto schiattare Anna, ma in tutta sincerità non credo che lei e Nina avrebbero mai potuto riappacificarsi. Inoltre Tekken 8 non l'ha nemmeno annunciata per ora, quindi non credo che avrà un ruolo cruciale nemmeno nella realtà...Ormai siamo in fondo, ancora 2/3 capitoli, per i quali non ho la minima idea di come scriverli, ma vabbè, qualcosa mi inventerò, non ne posso più XD A presto con la prossima puntata di "Affari di Famiglia Mishima-Kazama-Williams-Fox XD

 

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Capitolo 34
*** Kill ***


Nient'altro aveva senso in quei momenti. La pelle di Nina era sempre incredibilmente setosa e profumata, e non riusciva a fare a meno di riempirsi le mani di essa man mano che i vestiti finivano a terra, di passarvi le labbra sopra, di sentirne il calore avvolgente a contatto con la propria. Era la sua droga più potente contro la solitudine, l'oblio, la disperazione. Quando era con lei il Diavolo taceva, la sua mente si svuotava, il suo cuore diventava incredibilmente leggero. I suoi occhi erano ciechi a qualsiasi cosa tranne che al suo viso delicato e al suo corpo perfetto, le sue orecchie erano sorde ad ogni rumore, fatta eccezione per quello della sua voce. Corpo che sembrava modellarsi alla perfezione al suo, voce che lo implorava di non smettere, di non fermarsi, di non andarsene. Parole che gli rivelavano suadentemente tutti i suoi sentimenti e tutte le sue emozioni. Ogni momento passato con lei era un dono del cielo, ma ciascun istante dove si abbandonavano l'uno a l'altra erano delle vere e proprie benedizioni per la sua anima maledetta. Le aveva promesso che sarebbe andato tutto bene senza averne la certezza, quando l'unica certezza che gli era rimasta era proprio lei. Era pronto a dare la vita affinché vivesse in un mondo migliore. Ma il tempo poteva aspettare. Il mondo poteva pazientare ancora. Non se ne sarebbe andato senza prima donarle tutto sé stesso un'ultima volta, continuando ad amarla senza sosta fino alle prime luci della sua ultima alba...
 
Il suo cuore ricordava ancora il dolore straziante provato nel saperla morta. Non solo aveva fallito miseramente il suo piano, ma involontariamente era stato anche il boia a farle pendere l'ascia sopra al capo. Non era passata notte dal giorno di quell'orribile scoperta senza che gli incubi lo tormentassero: il suo corpo martoriato e straziato continuava ad apparirgli in mille modi diversi, grondante di sangue, sfigurato, o semplicemente freddo come il ghiaccio, alimentando un odio ancora più feroce verso sé stesso. Lars aveva ragione: avrebbe dovuto rialzarsi e combattere, lo doveva all'umanità intera costretta a subire le conseguenze delle sue scelte scellerate, lo doveva a lei, che aveva sempre fatto di tutto per proteggerlo, fino a sacrificare la sua stessa vita. Eppure adesso lei era lì, sotto i suoi occhi. Dolorante, ferita, ricoperta di sangue e polvere, ma viva. E sapeva che non si trattava di un miraggio, perché da trasformato i suoi sensi si acuivano a tal punto da poter percepirne il calore del sangue che le scorreva nelle vene, il suo respiro affannoso e il battito accelerato del suo cuore. Ma non fu l'unica cosa a spiazzarlo in quel momento. Non fu nemmeno Steve, sebbene ignorasse il motivo per il quale era assieme a lei in quel momento. C'era quell'esserino tra le braccia di Nina, stretto al suo petto, che in quel momento lo fissava con uno sguardo glaciale, carico di interesse. Era solo un neonato dai folti capelli corvini, eppure quegli occhi leggermente a mandorla perforavano. Lo inchiodavano sul posto, totalmente incapace di reagire. Era stato immediato attaccare suo padre non appena era rientrato nel suo campo visivo, ma mai si sarebbe immaginato che stesse puntando ad uno scenario simile. Avrebbe dovuto domandarsi chi fosse quel bambino, ma non lo fece. Lo sapeva già. Ora aveva capito.
 
"Complimenti ragazzino, la somiglianza è notevole, ma avresti dovuto evitare che un disastro del genere accadesse." disse Devil, con tono rabbioso. "Non bastava mutilarmi una volta con la tua inutile esistenza...Hai dovuto infierire ancora."
 
Jin non rispose. Devil aveva ragione, avrebbe dovuto evitare. E pensava davvero di averlo fatto, d'altronde lui e Nina erano due adulti coscienziosi e mai avrebbero corso un rischio del genere senza le dovute precauzioni, ma a quanto pare qualcosa doveva essere andato storto. E il risultato di quell'errore ora era lì davanti ai suoi occhi, più vero che mai.
 
"Piccolo abominio...Fortunatamente è ancora debole! Coraggio, sbrigati, fallo fuori! Così almeno possiamo recuperare una parte di poteri, prima che lo faccia tuo padre."
 
Ma ancora una volta il ragazzo non replicò. Sebbene Devil avesse ragione sul dover agire in fretta per evitare che Kazuya diventasse ancora più forte e pericoloso, non riusciva a muovere un muscolo. E non certo per paura. Era sopraffatto da un sentimento nuovo, qualcosa mai provato prima ad ora che non riusciva a decifrare. Non erano solo gli occhi di quel bambino ad averlo paralizzato, ma anche quelli di Nina, totalmente identici, che lo guardavano per la prima volta con uno sguardo carico di orrore. Nemmeno la prima volta che la sua natura nascosta si era palesata di fronte a lei aveva visto un'angoscia simile nelle sue iridi. Avrebbe voluto urlare di non temere, che non le avrebbe mai fatto del male, ma non ne fu in grado. Si sentiva nuovamente perso.
 
"Quanto ho atteso di vedere quel terrore nei suoi occhi...Ma ora basta. Uccidilo Jin. Uccidili tutti! E stavolta non ti ribellerai al mio volere."
 
Una fitta lancinante gli attraversò le tempie. Era come se il suo cervello avesse preso la scossa. Tutto d'un tratto era diventato un burattino nelle mani del diavolo, e non poté far nulla per fermare il suo corpo dal fiondarsi verso di loro in picchiata e atterrare a pochi metri di distanza. Coprì ulteriormente la manciata di metri che li separava avanzando con passi lenti e ben distesi, nonostante cercasse con tutto sé stesso di fermare il suo incedere le sue gambe non gli davano più retta. Kazuya nel mentre si era rialzato, ma si trattenne dall'attaccare per godersi sadisticamente la scena di suo figlio incutere terrore a quella donna e quei bastardi. Un momento memorabile.
 
"Jin..." disse Nina, tentando con tutta sé stessa di controllare il tremolio nella sua voce. "Fermati."
 
Ma non servì a nulla. Ancora un passo nella loro direzione, impietoso come i precedenti.
 
"Jin!" riprovò la bionda, ormai in preda alla disperazione. "Non farlo...Ricordati chi sei!"
 
Un altro passo ancora. Non c'era più nulla da fare. Forse era davvero tutto perduto, Jin, il suo Jin, sembrava essere definitivamente scomparso per sempre, inghiottito nell'abisso che viveva dentro di lui. Non c'era più quel rassicurante riflesso ambrato nei suoi occhi argentei, le labbra erano serrate in una linea dura che rendeva il suo volto ancora più inespressivo. Nina non aveva altra scelta.
 
"Steve..." mormorò dandogli Keiichi in braccio e parandosi di nuovo di fronte loro per proteggerli.
 
Il pugile prese il fratellino con mani tremanti, ormai era anche lui divorato dalla paura. L'odore della morte aleggiava pesante, Anna era stata la prima, loro sarebbero stati i prossimi. Devil Jin avrebbe potuto farli fuori in un secondo. Il sentimento di odio nei suoi confronti che era stato accantonato per rispetto a sua madre si fece nuovamente strada dentro di lui: non batteva ciglio di fronte alla donna che tanto aveva giurato di amare e quello che palesemente era suo figlio. Davvero di quell'essere buono e caritatevole che Nina giurava di aver conosciuto, non esisteva più niente? Nemmeno un briciolo di umanità era rimasto in lui?
 
"Perdonami Jin..." sospirò l'assassina, guardandolo dritto in faccia e rimettendosi ancora una volta in posizione, pronta a combattere. "Ma non ti permetterò di far loro del male. Dovrai prima uccidermi..."
 
Sul fondo di quel baratro l'anima di Jin era a sua volta dilaniata dalla disperazione. Stavolta Devil era riuscito a controllare completamente il suo corpo e la sua mente, soggiogandoli al suo perverso volere. Ma era stato sadico abbastanza da lasciargli quel briciolo di coscienza per rendersi effettivamente conto di quanto stava accadendo, per farlo soffrire ancora di più e, di conseguenza, trarre potere e ristoro dal suo dolore. Era stanco di essere oltraggiato dai suoi patetici sentimenti e gli avrebbe fatto pagare cara la sua insolenza nel ribellarsi. Si beò dell'espressione di pura angoscia della donna quando una sinistra aura argentea iniziò a manifestarsi attorno al suo corpo, sprigionando elettricità. Avrebbe voluto tenerla in sospeso nel terrore per sempre, ma aveva già perso troppo tempo. Levò la mano contro di lei, pronto a colpirla, ma venne fermato da una stretta poderosa sui polsi. Era stata così veloce da sopraffarlo, d'altronde non l'aveva sentita arrivare, tanto concentrato qual era sul suo bersaglio.
 
"No, Signor Kazama, non è lei il suo obiettivo!" dichiarò Alisa, allontanandolo con un calcio in pieno petto.
 
"Alisa!" esclamò Nina incredula. "Ma come..."
 
"Come sta Miss Williams?" domandò l'androide atterrando con grazia accanto a lei. "Il suo corpo ha riportato numerose ferite, i suoi parametri vitali non sono stabili!"
 
"Non mi dire..." replicò con una certa punta di sarcasmo nella voce, ma infinitamente grata per averla scampata ancora.
 
"ALISA!"
 
Avrebbe riconosciuto quelle due voci maschili tra mille altre. Lars e Lee stavano giungendo di corsa nella loro direzione, ma si bloccarono alla sua vista.
 
"Non è possibile...Nina!" sbottò Lars.
 
"Sei viva, ma come???" aggiunse Lee, con altrettanta incredulità.
 
Quella farsa doveva essere stata davvero convincente, la stavano fissando come se avessero visto un fantasma. Tuttavia fu la vista di Steve e Keiichi ad impietrirli ancora di più.
 
"Non ci credo..." esclamò lo svedese, sbalordito.
 
"Lars!" lo riprese Lee. "Abbiamo problemi più importanti ora!"
 
"Esattamente!" tuonò la voce di Kazuya, palesemente infastidito da quelle sgradite comparse. "Mancavate giusto voi a completare il quadro degli scocciatori. Vorrà dire che dovrò stroncare anche le vostre inutili esistenze!" concluse ammiccando con la testa al corpo senza vita di Anna.
 
"NO!" urlò Lee, non appena la vide esanime. "Me la pagherai, maledetto!"
 
Kazuya rise sguaiatamente.
 
"Ma certo, sto già tremando. Fatti sotto, parassita!"
 
"FERMATI, LEE..." urlò il compagno, ma fu tutto inutile.
 
Il cinese si era già fiondato contro il fratellastro, accecato dalla rabbia per la perdita della sua vecchia fiamma. Ma Lars non poté fare nulla per fermarlo, perché nel mentre anche Devil Jin si era rialzato e si stava dirigendo nuovamente verso di loro.
 
"Che stai facendo??? Ti è dato di volta il cervello eh??" urlò l'ex comandante della Tekken Force, schierandosi a protezione di Nina assieme ad Alisa. "Eri così distrutto dall'idea di averla persa e ora l'attacchi? Vuoi davvero fare del male alla donna che dicevi di amare così tanto?"
 
"La sua attività cerebrale è compromessa. È completamente soggiogato dal Gene." riportò Alisa, preparandosi alla difesa sfoggiando le motoseghe assicurate alle sue braccia.
 
"Maledizione! JIN, DEVI TORNARE IN T..."
 
La frase rimase incompiuta, Jin riuscì con due semplici calci a scagliarli lontani una decina di metri. Non aveva occhi che per Nina in quel momento, ma le sue intenzioni erano ostili. Alisa si fiondò nuovamente su di lui, mentre Lars riversava ancora al suolo, in mezzo ad un mucchio di macerie. L'androide l'attaccava con tutte le sue forze, ma riusciva sempre a schivare tutti i colpi con estrema facilità. Se solo avesse impiegato tutto quel potere nell'affrontare e sconfiggere suo padre, invece che i suoi cari. Sferrò un pugno deciso al volto di Alisa, rispedendola lontano. L'impatto fu così devastante da distruggere parte del suo volto, rivelando il metallo e i circuiti che si nascondevano sotto quella pelle così realistica. Eliminato quell'ennesimo ostacolo fastidioso, Devil poté finalmente rifocalizzarsi sulla sua preda, che cercava in ogni modo di rimanere impassibile per non dargli nessuna soddisfazione. Ma lui la sua paura la percepiva così distintamente, era una sensazione inebriante e terribilmente piacevole. Per la prima volta era riuscito a piegarla, dopo centinaia di tentavi infruttuosi. Per la prima volta l'aveva in pugno, completamente alla sua mercè. Ancora si ostinava a mantenere una posizione di attacco, ma fu sufficiente un semplice movimento del braccio per mandarla a terra. Era così indifesa, così patetica, così...Umana. Vederla giacere al suo col terrore dipinto sul volto era quanto di più soddisfacente potesse provare in questo momento. Ancora di più della petulante voce del suo ricettacolo umano, che urlava disperato di lasciarla stare in un angolo remoto della sua mente.
 
"Finalmente..." sibilò, mentre un ghigno malvagio gli sfigurava il volto.
 
Dispiegò le grandi ali nere e planò sopra di lei, posizionandosi sopra il suo corpo tremante, le braccia a lati della sua testa e lo sguardo puntato contro il suo, che la inchiodava sul posto e le impediva di reagire.
 
"Recita le tue ultime preghiere..." mormorò sadico, leccandosi i canini aguzzi e inebriandosi del suo terrore.
 
Lento e inesorabile alzò il braccio destro, puntando il palmo della mano come se fosse stato una spada all'altezza del suo cuore. Aveva fantasticato così tanto su come ucciderla e finalmente aveva trovato una soluzione che gli permettesse di non perdersi nemmeno un secondo della sua agonia, voleva vedere quegli occhi così pieni di fastidiosa determinazione appannarsi fino a diventare vitrei e sentire il suo ultimo respiro sulla pelle, mentre la vita l'abbandonava.  Gli artigli scintillavano minacciosi, pronti a colpire. Le avrebbe fermato il cuore a mani nude, così finalmente quel maledetto organo pieno di vita e sentimenti avrebbe smesso di battere e di mettersi in mezzo ai suoi piani di conquista.
 
"Un ultimo desiderio?" le chiese con voce suadente e glaciale.
 
"Sì..." replicò la bionda con voce ferma, nonostante tutto. "Torna in te!"
 
Devil Jin rise sguaiatamente udendo quelle parole. Illusa! Alzò ancora di più il gomito verso l'alto, un solo istante e il suo sangue avrebbe finalmente dipinto quella tela di morte che portava il suo nome sopra. Era fatta ormai! Nina trattenne il respiro, ma non chiuse gli occhi. Non gli avrebbe dato la soddisfazione di chiuderli in preda alla disperazione. Devil era pronto a colpire. Un solo movimento nel silenzio più assoluto.
 
Un urlo straziante squarciò il cielo...
 
~
 
Note dell'autrice: cioè io boh, tardo di un giorno a postare il capitolo e stamattina spunta il trailer di questa Reina che attacca Kazuya come Jin attacca Nina. Ma sti qua della Bandai come si permettono??? Nulla, volevo sdrammatizzare questo capitolo molto molto triste, perchè d'ora in avanti saranno dolori. D'altronde sta fan fiction mica l'ho intitolata "Rose e Fiore", eh! A presto, prima che altri trailer mi sabotino male xD

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Capitolo 35
*** Death Becomes My Light ***


"This must be my destiny, death becomes my light. The only true reality, death becomes my light. And in fear devils take my life away. And in peace all the angels sing to me "let us free you from this Earth", death becomes me, death becomes my light..." - Kreator
 
La morte quando si presenta lascia dei segni tangibili: il tempo sembra improvvisamente fermarsi, mentre la mente diventa un nastro riavvolto di pensieri, ricordi, sentimenti, emozioni provati nel corso della propria vita. Davanti alla morte si può solo chinare la testa, accettare il proprio destino e lasciare che questa ti prenda per mano per portarti via per sempre. Davanti a lei si diventa tutti uguali, i buoni, i cattivi, le vittime, i carnefici, gli innocenti, o i colpevoli. Magari si può fuggire da essa una, due, anche più volte, ma la propria ora arriva sempre e per tutti. E nessuno può opporsi a ciò, tanti la possono sfidare, ma mai nessuno la può vincere. Dicono che pentirsi in punto di morte basti per espiare le colpe di una vita intera. Dicono che in punto di morte si vede la stessa luce accecante della nascita, venendo inghiottiti completamente. D'altronde, cos'è la morte se non l'alba di un nuovo inizio?
 
C'era morte negli occhi di Steve: la visione di sua madre che veniva trafitta da quegli artigli metallici che le estirpavano il cuore ancora pulsante, in un enorme fiotto di sangue. Sangue che ora colava tra quelle dita mostruose e che era schizzato sul volto di quel demone, intento a leccarsi le labbra soddisfatto della sua opera. Aveva giurato a sé stesso che avrebbe combattuto al suo fianco, che l'avrebbe protetta, che nessuno le avrebbe fatto del male...Ma le sue erano state solo parole al vento. Aveva fallito. L'aveva persa per sempre. Il Diavolo ora puntava loro col suo sguardo assassino. Il ghigno sadico sul suo volto terrificante si fece ancora più ampio. Lui e suo fratello sarebbero stati i prossimi...
 
Un urlo straziante, un pianto disperato destò il pugile dal suo stato di trance. Keiichi, che non aveva perso un solo secondo di quanto stava accadendo dinnanzi ai suoi occhi, era scoppiato in lacrime e urlava con quanto fiato aveva in gola. Era solo un bambino, eppure sembrava aver capito benissimo la situazione, allungando la manina aperta in direzione di sua madre, sporgendosi dalle braccia di suo fratello come se volesse raggiungerla. Tutti stavano trattenendo il fiato. La mano di Devil Jin si era improvvisamente bloccata a pochissimi millimetri dal petto di Nina, così vicino da sfiorarlo con i suoi artigli. Il pianto del bambino lo aveva fermato sul filo del rasoio, gli rimbombava in testa come se provenisse da un potente amplificatore. Persino Devil non riusciva a spiegarsi il motivo di quell'arresto improvviso e soprattutto perché ora lui stesso non riusciva più a muoversi. Un ricordo nella mente di Jin riaffiorò prepotentemente, un ricordo che aveva seppellito volutamente nei meandri più reconditi della sua testa, confinandolo dove non gli avrebbe più potuto fare del male. Gli sembrava di sentire nuovamente l'odore di bruciato nelle narici, il fumo che ancora si sollevava dal quella pila di legno arso e pietre annerite dalla fuliggine, il vento che soffiava leggero, ma che non portava nessun rumore a rompere quel silenzio assordante. Era rimasto solo in quell'inferno. Aveva perso ogni cosa. Le lacrime che iniziavano a scendere copiose dai suoi occhi, rigandogli le guance sporche di cenere e piene di graffi. La foresta che taceva. Il cielo silente a sua volta. Il vento non alitava più. Lenti, ma inesorabili, i suoi singhiozzi interrompevano quella quiete, in un crescendo di angoscia. Un requiem di lacrime e dolore risuonava in quella notte di luna nuova, senza nemmeno una stella in cielo a brillare per dargli un minimo di conforto. Il pianto di Keiichi era identico in tutto e per tutto al suo di quella maledetta notte. La notte dove tutto era cambiato.
 
"Mamma..." mormorò d'istinto.
 
Quelle parole gli uscirono dalla bocca da sole, esattamente come in quella occasione, nella quale l'aveva chiamata a gran voce, nella speranza vana che riapparisse. Quella notte la vita della sua adorata madre era stata strappata brutalmente via da Ogre. Ora lui stava per fare lo stesso con la donna che amava. Con la madre di suo figlio.
 
"Fermati, tesoro...Nina ha ragione, ricordati chi sei..."
 
Quella voce. Non era possibile...Il corpo di Devil Jin si accasciò su un lato, permettendo finalmente a Nina di muoversi e di respirare. Non aveva osato emettere un fiato, certa che avrebbe esalato il suo ultimo respiro da lì a pochi istanti. L'istinto le urlava di scappare lontano, prendere i suoi figli e mettersi in salvo, invece si chinò sul corpo del ragazzo, che in quel momento era in preda a spasmi incontrollabili, mentre si teneva la testa stretta tra le mani. Era appena sfuggita alla morte per un soffio, eppure sapeva che qualcosa in lui stava cambiando. Sentiva che da qualche parte il suo Jin era ancora vivo e ora stava lottando con tutte le sue forze per prendere il sopravvento sul Gene.
 
"Coraggio Jin, non mollare...Combatti! Riprendi in mano la tua vita!" urlò, scrollandolo vigorosamente. "Ritorna in te, ti prego!"
 
"Ascoltala..." aggiunse quella voce melodiosa nella sua testa.
 
"Sei tu? Sei davvero tu?"
 
"Certo, tesoro mio..."
 
"Ma d-d-dove sei?"
 
"Con te Jin...Sono sempre stata qui..."
 
Un'abbagliante luce argentea avvolse il corpo del ragazzo, facendo arretrare Nina, che fu costretta a coprirsi gli occhi per non restare accecata. L'aria improvvisamente cambiò consistenza, divenendo più leggera, mentre un delicato aroma floreale si sprigionava tutto attorno a loro, avvolgendoli come una coperta calda. Quando il fascio di luce iniziò gradualmente a diradarsi la bionda cercò di mettere a fuoco la scena surreale che si stava verificando: dalle enormi ali nere di Jin iniziavano a staccarsi delle piume, piume che a loro volta diventavano corvi, fino a formare un piccolo stormo sopra la sua schiena. Un flashback di quella notte di pochi giorni prima le permise di comprendere a pieno cosa stesse accadendo, impedendo all'incredulità di condizionare il suo giudizio. Il profumo di fiori di ciliegio, i corvi, la brezza delicata...Non c'erano più dubbi. Quando gli uccelli volarono via, la figura di Jun Kazama si palesò davanti ai loro occhi esterrefatti. Ciò che era accaduto aveva dell'incredibile, del paranormale...Ma d'altronde nessuno ormai avrebbe più dovuto stupirsi di nulla.
 
"M-m-mam-m-ma..." gracchiò Jin, alla vista della donna.
 
Stentava a credere ai suoi occhi, eppure non si trattava di un miraggio. Jun gli sorrise dolcemente, inginocchiandosi accanto a lui e rivolgendogli uno sguardo colmo d'amore.
 
"So che esisti ancora figlio mio...Continua a combattere affinché il male che ti affligge non prenda più il sopravvento."
 
Allungò la mano per accarezzargli la fronte, con quel suo tocco etereo e terribilmente reale allo stesso tempo, ma l'idillio ebbe vita breve.
 
"Tu..."
 
Jun non si scompose udendo quella singola parola, pronunciata con un tale veleno da ferire da sola. Si rialzò in piedi e a testa alta e cipiglio determinato si voltò in direzione di quella voce.
 
"Io." rispose fieramente, sostenendo l'occhiata assassina di Devil Kazuya, senza battere ciglio. "Mi si spezza il cuore a vederti in questo stato, Kazuya...Non avresti dovuto ridurti così..."
 
"AH! Così come? Potente? Indistruttibile? Invincibile?" replicò sprezzante, incrociando le braccia con fare di sfida.
 
"Vile. Spietato. Corrotto." fu la sua risposta piccata.
 
L'uomo rise fragorosamente.
 
"Ma per favore! Ma guardati Jun...Scompari nel nulla e dopo anni riappari così, come se niente fosse. E soprattutto hai il coraggio di presentarti dinnanzi a me quando percepisco che sei così debole..."
 
"Ti sbagli! Non sono mai stata così forte prima d'ora! E te lo dimostrerò!"
 
"E come? Sei poco più di un fantasma senza un briciolo di potere. Pensi davvero di riuscire a fermarmi?"
 
"Peccare di presunzione è sempre stato il tuo difetto più grande, lo sai? Ma non sei sempre stato così: c'era gentilezza e bontà nel tuo cuore. Perché hai scelto il male Kazuya, perchè?"
 
"Te l'ho già detto, per il potere! È l'unica cosa che conta."
 
"L'amore, la giustizia e il rispetto per la vita sono le sole cose che contano! Se solo fossi riuscita a...."
 
"A cosa, Jun?" la interruppe bruscamente. "A salvare la mia anima? Beh, allora avresti dovuto impegnarti di più. Erano giorni che eri scomparsa, prima che Heihachi mi buttasse in quel maledetto vulcano. Ti avevo cercata in lungo e in largo! E ora dopo più di vent'anni osi piagnucolare di fronte a me? Anche se col senno di poi ho capito il motivo..." concluse lanciando un'occhiata di puro disgusto a Jin.
 
Jun tacque per un istante. Il suo sguardo si era improvvisamente incupito, le parole di Kazuya l'avevano ferita nel profondo. Era vero, una volta essersi accorta di essere rimasta incinta, lo aveva evitato per paura della sua reazione. Erano entrambi molto giovani e troppo diversi, lei aveva molti sogni, Kazuya invece non aveva altro obiettivo nella vita che farla pagare a suo padre. Aveva cercato di prendersi del tempo per riflettere su come approcciare un argomento così delicato, dal momento che non avrebbe mai rinunciato alla sua gravidanza, ma il destino infausto si era messo in mezzo prima del tempo.
 
"Kazuya..."
 
"Tu mi hai mentito Jun! Se veramente avessi voluto salvarmi, non saresti scomparsa così! Io..." tentennò per un attimo, incerto se continuare o meno. "Io...Io speravo di avere il tuo supporto prima di quella maledetta finale. Dov'eri, eh Jun? Dove ti eri nascosta per tenermi all'oscuro di lui???" urlò improvvisamente fuori di sé.
 
Non era il Gene a parlare in questo momento, bensì l'uomo stesso, che stava sfogando anni e anni di sentimenti repressi contro la donna per la quale serbava così tanto rancore.
 
"...Ho avuto paura..."
 
"No, Jun." replicò l'altro, dopo un eterno istante di silenzio, durante il quale il suo volto venne ulteriormente sfigurato dall'odio. "Tu non sai davvero cosa sia la paura...Io stesso, ora, qui, ti mostrerò cosa si prova veramente..."
 
Un'aura violacea avvolse nuovamente il suo corpo, talmente intensa da far tremare la terra. L'aria si caricò nuovamente di elettricità, mentre il cielo si oscurava. Il suo Gene non aveva mai raggiunto livelli di potenza simili, nemmeno durante il suo ultimo scontro con Heihachi.
 
"Dicevi di voler salvare la mia anima, ma hai solo contribuito a peggiorare la situazione. E sai cosa c'è? Che sono felice che le cose siano andate in questo modo. Il potere è tutto ed è nelle mie mani. E ora la pagherai per avermi voltato le spalle!"
 
Poteva uno spirito rabbrividire, tremare, piangere? Il volto di Jun si fece ancora più pallido, mentre gli occhi le si riempirono di lacrime perlacee. Poi sospirò profondamente, si asciugò gli occhi col palmo della mano e recuperò la sua innata compostezza ed eleganza, nonostante avesse il cuore in pezzi.
 
"Mi dispiace tanto Kazuya...Ma non posso permetterti di distruggere tutto quanto. Non posso permetterti di fare del male a nostro figlio e nostro nipote. Jin ha dovuto patire l'inferno affinché il Gene diventasse così potente da permettere al mio spirito di distaccarsi da lui e riprendere vita...Non renderò vana la sua sofferenza!"
 
"Non puoi nulla contro di me, Jun! Distruggerò ciò che rimane di te, così capirai come ci si sente..."
 
"NON TOCCARLA!" 
 
Come un fulmine a ciel sereno, Jin si frappose tra i genitori, a difesa della madre. Aveva passato anni e anni della sua giovane vita a incolparsi per la sua fine, a crederla morta, e pensare che non avrebbe mai più rivisto i suoi occhi gentili che infondevano coraggio, il suo sorriso dolce capace di calmare ogni tormento e sentire la sua voce calma e rassicurante. Aveva passato notti e notti insonni a piangerla e altrettante ad odiarsi, mano a mano che la sua anima scendeva sempre più in basso, verso il nero abisso della malvagità e della corruzione del Gene. Si vergognava profondamente delle sue azioni, sapeva che non le avrebbe mai appoggiate, eppure si era semplicemente lasciato andare alla disperazione e al desiderio sfrenato di farla finita, incurante delle conseguenze. Il mondo era in ginocchio per causa sua, centinaia di migliaia di persone erano morte, o avevano perso tutto e lui ne era colpevole. Eppure lei pensava ancora che da qualche parte quel ragazzino innocente che aveva lasciato solo quell'infausta notte esistesse ancora, nonostante avesse appena cercato di uccidere la donna della quale era perdutamente innamorato. Una mano gentile si appoggiò sulla sua spalla, facendolo sobbalzare e strappandolo alla sua fiumana di pensieri.
 
"No Jin, tuo padre ha ragione. Ho sbagliato con lui, sono in parte responsabile se siamo giunti a questo punto. " disse Jun, schierandosi nuovamente accanto a lui. "Vedi, se io fossi rimasta al suo fianco, forse le cose sarebbero andate diversamente. Forse gli avrei fatto capire che l'odio e la vendetta non l'avrebbero portato da nessuna parte. Forse avremmo potuto essere una famiglia come tante altre, con i suoi alti e bassi, ma ti avremmo cresciuto assieme, donandoti tanto amore. Purtroppo così non è stato e il passato non si può cambiare..."
 
"Balle!" abbaiò Kazuya. "Non ti avrei mai permesso di far nascere un altro abominio come..."
 
"Come chi, Kazuya? Come te, forse? Nessuna vita è un abominio, nessuno nasce con il male nel cuore! In questo momento esistono 3 persone portatrici del Gene, ma una di loro è ancora immune dalla sua corruzione!" replicò volandosi, e indicando Keiichi, che in quel momento era stretto al petto di sua madre. "Guardate voi stessi! Nelle vene di quel piccolo scorre il vostro stesso sangue Mishima, sangue che voi considerate maledetto. Ma sono state le vostre azioni a renderlo tale! Keiichi è nato e sta crescendo amato e protetto e fintanto che sarà così, non sarà mai schiavo di niente e nessuno! Heihachi invece ti ha rovinato la vita, ha ucciso tua madre, ti ha condannato ad un'esistenza di violenza e soprusi e ha minato anche la vita a nostro figlio, ma il male non si combatte con altro male! Tu hai deciso di seguire i suoi scellerati passi, Jin stava per fare la stessa fine..."
 
"TUO figlio non è un santo, Jun!"
 
"NOSTRO figlio ha conosciuto l'amore, la compassione, il rispetto e nonostante la sua discesa nel baratro gli abbia fatto commettere atrocità a sua volta, è riuscito a conservare un briciolo di umanità!"
 
Jun Kazama non urlava mai, non perdeva mai la calma. Eppure in quel momento stava tirando fuori tutta la grinta e le parole non dette che si teneva dentro da sempre.
 
"Non mi importa nulla delle tue prediche, risparmiamele. Ormai è troppo tardi...Per voi è finita."
 
Fulmineo Devil Kazuya si scagliò contro di loro, ma Jin riuscì a fermarlo e difendersi. Un nuovo scontro violentissimo iniziò, senza esclusioni di colpi, mentre tutti i presenti rimanevano in disparte ad osservare impotenti ed attoniti. Jin sembrava aver ritrovato forza e vigore, eppure non abbastanza da sopraffare l'altro: la loro forza era esattamente alla pari e nessuno riusciva a prevalere. Avrebbero dovuto approfittare di quella lotta all'ultimo sangue e scappare, ma nessuno riusciva a muovere un muscolo e a distogliere lo sguardo dalla battaglia finale. D'altro canto non esisteva più posto sulla Terra che avrebbe potuto tenerli al sicuro.
 
"Finalmente ti sei deciso a fare sul serio!"esclamò Kazuya tra un pugno e l'altro. "Ma non sei ancora abbastanza...Non lo sarai mai!" Concluse assestando al figlio un colpo in pieno volto.
 
"E ha ragione!" sbottò Devil dentro la sua testa. "Stupido, maledetto ragazzino, i tuoi inutili sentimenti ci stanno facendo avere la peggio!"
 
"TACI!" ruggì Jin, contrattaccando con ritrovato vigore. "Non starò ad ascoltarti un secondo di più, Devil!"
 
"Piccolo verme...Senza di me non sei niente!"
 
"Ti sbagli! TU, senza di me non esisteresti nemmeno! Io ti occorro Devil, ma non sarò mai più il tuo schiavo!"
 
"È così?? E allora che ne dici se ti privassi nuovamente del mio potere, lasciandoti in balia del tuo caro paparino?"
 
"Non lo farai...Se io muoio, ti trascinerò all'inferno con me!"
 
Le cose stavano prendendo una piega decisamente sbagliata per i gusti di Kazuya e della sua controparte di Gene. Non era così che doveva andare: Jin gli stava tenendo testa come mai prima di allora e l'euforia data dal senso di onnipotenza di poco prima stava iniziando a scemare. Da dove proveniva tutta quella forza e quella grinta, se aveva Devil stesso contro? Pur essendo completamente trasformato, Jin sembrava essere totalmente in pieno controllo della sua mente e delle sue azioni. A terra i pochi presenti cercavano di seguire quello scontro, trattenendo il respiro. L'esito sarebbe stato cruciale: se avesse vinto Kazuya sarebbe stata la fine per tutto e tutti. Ma cosa sarebbe potuto succedere se a trionfare fosse stato Jin? Nina non riusciva a distogliere lo sguardo da lui, come se solo fissarlo fosse sufficiente per infondergli forza e coraggio. Persino Keiichi, che aveva smesso di piangere, teneva gli occhi puntati verso l'alto, completamente rapito.
 
"Jun..." mormorò la bionda, avvicinandosi a lei. "Così non va però! La situazione è perfettamente alla pari, questo scontro rischia di non finire mai."
 
"È la battaglia finale, mia cara." replicò la donna. "Potrebbe durare ancora un minuto, o mille giorni. Non finirà in parità e non si distruggeranno a vicenda. Ne rimarrà soltanto uno."
 
"Sì, ma chi??" replicò l'altra esasperata da quella risposta così criptica. "Mi stai dicendo che non è detto che Jin riesca a batterlo?"
 
"Confido che il suo cuore segua la strada della luce e da essa trovi la forza per avere la meglio."
 
Nina voleva urlare. Provava un enorme rispetto e gratitudine nei suoi confronti, ma dopo tutta la fatica e i pericoli ai quali si erano esposti, avrebbe voluto avere un minimo di certezze.
 
"Quindi dobbiamo rimanere qua a fare le belle statuine a guardarli combattere fino allo stremo e sperare nel miracolo? Qual era il mio fantomatico ruolo in tutto questo, Jun? Qual è il tuo?" urlò spazientita.
 
La mora non si scompose dinnanzi a quello scatto d'ira. Continuava a seguire lo scontro con un'espressione concentrata, come se fosse in attesa di chissà quale momento propizio.
 
"JUN!"
 
"È già cominciato tutto...È già in movimento...Non si può arrestare il corso degli eventi, il destino ha già deciso l'epilogo di questa battaglia..."
 
"Pensavo fossimo noi stessi gli artefici del proprio destino..." replicò duramente Nina.
 
Jun sorrise debolmente.
 
"È esattamente così..."
 
Nina fece per replicare, ma ciò che vide la interruppe, lasciandola a bocca aperta. Le grosse ali nere di Jin stavano gradualmente assumendo una sfumatura sempre più chiara. Da nero pece divennero grigio fumo, poi cenere, fino a diventare perlacee. Ali di corvo, divennero colomba. L'oscurità che avvolgeva il suo corpo, divenne luce.
 
"Che sta succedendo?" fu la domanda che si posero tutti i presenti, nello stesso preciso momento.
 
Il fascio luminoso che avvolgeva il corpo di Jin lo proteggeva come una barriera dagli attacchi feroci di Devil Kazuya. Uno scudo impenetrabile si frappose tra i due, facendo indietreggiare l'uomo ogni volta che provava a ferirlo.
 
"Che stregoneria è mai questa?" ringhiò, furibondo.
 
"Un disastro!" rispose il demone dentro la sua testa.
 
"Che significa?"
 
"Significa che hai perso, Kazuya!" rispose Jin. "Tu e il Gene, avete perso!"
 
La voce del ragazzo uscì pulita e non distorta. Le corna erano sparite. I segni tribali stavano sbiadendo, mentre il sinistro bagliore argenteo dei suoi occhi stava gradualmente scomparendo, lasciando il posto ad una calda sfumatura ambrata. Jun aveva ragione, era dovuto sprofondare all'inferno per risalire. Era convito che al peggio non ci fosse fine, aveva pianto, urlato, si era sentito disperato ed abbandonato, tradito, trascurato, dimenticato. Si era completamente scordato di vivere. Aveva sempre lottato con tutte le sue forze, si era sforzato di ricominciare da capo, di capire dove aveva sbagliato e cosa fare per correggere la rotta. Si era arreso una, due, dieci volte ed era quasi arrivato al punto di farlo definitivamente...Aveva dovuto rompersi in mille pezzi per ritrovare la forza di ricominciare...Ma alla fine c'era riuscito. Aveva sconfitto il diavolo e ritrovato sé stesso.
 
Un'ondata di energia incredibile investì in pieno Kazuya, facendolo schiantare contro un palazzo. L'impatto fu talmente violento da fargli sputare del sangue e fuoriuscire tutta l'aria che aveva nei polmoni. Annaspando, tentò goffamente di rimettersi in piedi, ma sentì qualcosa trattenerlo. Abbassò lo sguardo e notò un paio di braccia diafane che gli stringevano la vita con una forza sovraumana, impedendogli ulteriori movimenti. Un lieve profumo floreale gli investì in pieno le narici. Gli occorse qualche istante per capire, ma quando giunse alla conclusione era già troppo tardi.
 
"Che stai facendo?" ringhiò furibondo.
 
Dove aveva trovato tutta quella forza per tenerlo immobilizzato? Girò la testa e vide il volto sorridente di Jun. Ma non era un sorriso di scherno, bensì una sincera manifestazione di affetto e soprattutto compassione. I suoi occhi brillavano come stelle e luccicavano di lacrime perlacee.
 
"Quello che avrei tanto voluto fare molti anni fa...Salvarti.
 
"LASCIAMI SUBITO ANDARE JUN, NON SERVE A NULLA..."
 
Ma lei non lo mollò. Nonostante si stesse divincolando come un pazzo, la sua stretta non accennava a diminuire, divenendo quasi soffocante. La pelle violacea di Devil Kazuya stava iniziando a bruciare come se fosse avvolta dalle fiamme. Il cuore sembrava sul punto di esplodergli nel petto e il suo battito divenne se possibile ancora più frenetico, quando, con orrore, si accorse di cosa stava accandendo. A pochissimi metri di fronte a lui la figura di suo figlio si faceva sempre più prossima. Le enormi ali, una volta nere, erano di un bianco lucente, quasi abbagliante, così come l'aura luminosa che il suo corpo continuava ad emanare.
 
"Coraggio tesoro mio...Sai cosa fare..." mormorò Jun, incoraggiandolo.
 
Jin ebbe un attimo di esitazione, mentre i suoi occhi iniziavano a loro volta a brillare.
 
"Mamma...Ma tu..."
 
"Non importa tesoro, non importa. Lo ripeto, ognuno è artefice del proprio destino. Il mio è quello di salvarvi. Il tuo è quello di salvare l'umanità intera."
 
Jin strinse gli occhi per tentare di trattenere le lacrime e distolse lo sguardo per un istante. Aveva ben chiaro cosa era necessario fare e se avesse indugiato ancora, non ne sarebbe più stato in grado. Aveva passato così tanti anni a sperare in cuor suo che la sua adorata madre fosse ancora viva e ora stava per perderla nuovamente. Però aveva ragione: era giunto il momento di porre fine a tutto quel male e distruzione. Ad ogni costo.
 
"Non esitare più Jin...Vai..."
 
No, non avrebbe atteso oltre. Asciugandosi gli occhi col palmo della mano, si preparò all'atto finale. I suoi occhi erano ciechi a qualsiasi cosa tranne il suo obiettivo. Le sue orecchie erano finalmente sorde alle grida di Devil, che ormai sconfitto gli intimava di fermarsi.
 
"No...NO!" urlò Kazuya.
 
Jun lo strinse ancora più forte, senza smettere di sorridere. Appoggiò amorevolmente la guancia contro la schiena dell'uomo che nonostante tutto aveva amato con tutta sé stessa, cercando di infondergli calore e conforto.
 
"Non temere, Kazuya...Presto sarai libero anche tu."
 
Accadde tutto in un istante. Jin si scagliò contro suo padre, sferrandogli un pugno poderoso all'altezza del cuore. Così come aveva tolto la vita al suo odiato genitore, Kazuya subì la stessa sorte per mano del sangue del suo sangue. Era destino dei Mishima quello di tradirsi e distruggersi a vicenda. Una luce accecante li avvolse tutti e tre, inghiottendoli completamente assieme a tutto ciò che li circondava. L'oscurità venne spazzata via dall'alba...La prima alba del primo giorno in cui il sangue Mishima non avrebbe mai più potuto ferire...
 
~
 
Note dell'autrice: che dire signori e signore, che dire...Ci sono quasi. Ancora un capitolo e poi l'epilogo, non mi sembra vero. Sono abbastanza certa di terminare questa infinita fan fiction entro fine anno. Se da un lato sono felice, dall'altro ho già un po' di malinconia. Ma non è tempo di fare queste valutazioni. Questo capitolo ha impiegato ben più del previsto a prendere forma, sono stata praticamente bloccata per quasi un mese all'inizio della lotta tra Kazuya e Jin, incerta su come continuare, perchè se da un lato me l'immaginavo dall'altro non ero in grado di descriverla in modo che mi soddisfacesse. Poi ho deciso di puntare tutto sull'introspezione, che è ciò che preferisco...Le lotte, i calci e i pugni li lascio al videogioco...E nulla, vediamo cosa succederà nel penultimo capitolo.... A presto!

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Capitolo 36
*** The New Dawn ***


22 anni prima.
 
"E il vincitore è...Kazuya Mishima"
 
La voce dello speaker risuonò potente dalle casse e rimbombò per tutta l'arena. La risposta del pubblico si divise in due fazioni ben distinte: c'era chi fischiava, perché quel Kazuya era proprio insopportabile, odioso, spocchioso, esattamente come suo padre e a volte fin troppo crudele quando infieriva sugli avversari senza alcun motivo. Ma c'era anche chi lo acclamava, inneggiando il suo nome a squarciagola, perché era forte, potente, risoluto e incredibilmente misterioso, carismatico e affascinante. Ma al diretto interessato tutto ciò interessava ben poco. Aveva appena sbaragliato l'ennesimo avversario in quell'infinito torneo e finalmente poteva concedersi una serata di meritato riposo dagli allenamenti massacranti ai quali si sottoponeva quotidianamente. Quel ninja, Yoshimitsu, era stato un degno avversario, forte e leale, ma non abbastanza. Nessuno in realtà lo impensieriva quanto il suo obbiettivo finale. Persino King, il lottatore con la maschera da giaguaro, l'americano Paul Phoenix e il poliziotto Lei Wulong, che sulla carta apparivano come combattenti fortissimi gli destavano la minima preoccupazione. Loro non erano come lui. Non erano che vili e semplici esseri umani, privi di qualsiasi potere. Nulla avrebbe potuto sbarrargli la strada verso il traguardo che tanto smaniava per raggiungere. Erano solo delle formalità da sbrigare, delle futili perdite di tempo. Asciugandosi il sudore dalla fronte con un asciugamano, Kazuya si diresse a passo deciso verso gli spogliatoi, incurante dei fischi del pubblico che lo odiava, ma anche degli elogi, dei complimenti e anche delle lodi di alcune donne che gli venivano rivolti e infine dei giornalisti che ogni volta tentavano di intervistarlo, facendogli sprecare il suo prezioso tempo.  Proseguire sempre dritti per la propria strada, mai voltarsi indietro, mai abbassare la guardia, questo era il suo motto. Entrò nel suo camerino personale, sbattendosi la porta alle spalle, ma solo dopo essersi sincerato che il cartello "non disturbare" fosse ben visibile sullo stipite. Agguantò una bottiglietta d'acqua e bevve l'intero contenuto in pochi sorsi, accartocciando la plastica vuota e gettandola in un angolo. Non si diede pena di riporla nel cestino, qualcun'altro l'avrebbe fatto al suo posto. Fece lo stesso con i suoi vestiti e si buttò sotto la doccia, venendo accolto da un ristoratore getto di acqua fresca, che diede sollievo ai tagli e graffi freschi di quell'ultima battaglia. Quel maledetto ninja era riuscito più volte a ferirlo con la sua spada, ma in modo abbastanza superficiale. Una volta disarmato, aveva tentato con tutte le sue forze e tecniche sconosciute di sopraffarlo, ma alla fine era riuscito a piegarlo abbastanza facilmente. Sorridendo tra sé e sé, Kazuya lasciò che l'acqua fredda lo rigenerasse ancora un po', rimanendo immobile sotto il getto della doccia, poi girò i rubinetti e attese che l'acqua si scaldasse per potersi lavare accuratamente. Persino mentre si massaggiava il corpo col bagnoschiuma la sua mente non riusciva a rilassarsi, tanto era concentrata sulla sfida finale. Perché sebbene avesse superato brillantemente i quarti e dovesse ancora disputare la semifinale, già sapeva che sarebbe arrivato in fondo e che finalmente avrebbe regolato i conti con suo padre. Non vedeva l'ora di sconfiggerlo e umiliarlo davanti a tutti, togliergli tutti i suoi averi e spogliarlo del denaro, del prestigio e della sua immensa arroganza. L'avrebbe annichilito e distrutto con le sue stesse mani. Quel patetico torneo che ormai andava avanti da settimane si sarebbe concluso col suo trionfo assoluto. Sempre con un ghigno stampato in volto, Kazuya chiuse l'acqua e uscì dalla doccia. Avvolse il suo corpo muscoloso in un paio di morbidi teli e iniziò ad asciugarsi in fretta. Si sarebbe concesso una bella cena abbondante, e poi una bella dormita ristoratrice per il suo fisico. Non avrebbe tollerato scocciatori. L'indomani si sarebbe allenato con ancora più vigore, perché no, non poteva permettersi di adagiarsi sugli allori. Voleva arrivare di fronte a quel bastardo nella sua miglior forma di sempre. A strapparlo dal suo idilliaco programma e dai suoi pensieri, furono tre tonfi secchi. Qualcuno stava bussando alla porta, incurante dell'avvertimento affissato. Kazuya ignorò seccato quel suono fastidioso, sicuramente era qualche giornalista, o qualche fan che di soppiatto aveva eluso la sicurezza per infilarsi negli spogliatoi e cercare di interagire coi lottatori. Un' altra bussata. L'uomo fece ancora finta di nulla, nonostante il suo nervosismo aumentasse. Se li ignoro, capiranno che dovranno andarsene, pensò tra sè e sè. Ma contrariamente alle sue aspettative, il suono si fece ancora più insistente. Esasperato, Kazuya si diresse verso la porta, ben intenzionato a farla pagare a chiunque avesse osato disturbarlo. Spalancò l'uscio con impeto, pronto a riversare tutta la sua rabbia.
 
"SAI LEGGERE? NON VEDI IL CARTELLO CHE DICE "NON DIST..." ma si interruppe alla vista della persona dall'altro lato dello stipite. "Ah, sei tu..." borbottò, abbassando immediatamente il tono e spostandosi per farla entrare.
 
"Avresti potuto chiedere chi è, anziché sbraitare così."
 
"Se ho appeso quel maledetto cartello un motivo ci sarà..." replicò scocciato, riprendendo a sfregarsi l'asciugamano sui folti capelli corvini.
 
"Sei sempre il solito scorbutico..." 
 
Kazuya sollevò gli occhi al cielo e osservò la donna che aveva fatto entrare. Indossava una camicetta bianca e un paio di jeans scuri, i capelli color pece, lunghi sino alle spalle, erano tenuti indietro da una fascia e le incorniciavano il volto dalle proporzioni pressoché perfette. Ma ciò che trovava più affascinante in lei erano i suoi occhi caldi color nocciola, con una leggera sfumatura ambrata, che brillavano sempre, in qualsiasi circostanza, di una luce particolare, ma confortante.
 
"Beh, che ci fai qui?" domandò continuando ad asciugarsi. 
 
"Volevo congratularmi per il tuo ultimo incontro. Anche se avresti dovuto evitare di infierire così..."
 
"Tsk..." fu l'unica risposta che ricevette in cambio, mentre lasciò cadere gli asciugamani bagnati a terra.
 
Jun Kazama distolse lo sguardo, arrossendo vistosamente di fronte alla noncuranza dell'uomo nel mostrarsi senza niente addosso. A Kazuya non sfuggì questo particolare e sghignazzò beffardo di fronte a quell'improvvisa timidezza.
 
"Strano, di solito non arrossisci così tanto quando sei tu a togliermi i vestiti..." la canzonò, con uno sguardo di sfida.
 
La donna arrossì ancora di più e attese pazientemente che si rivestisse.
 
"Tieni, ti ho portato dei panini. Avrai fame immagino!"
 
L'altro non replicò, si limitò ad annuire e a prendere il cibo che gli stava porgendo, salvo poi fare una smorfia una volta scartato l'involucro.
 
"Ma sono tutti alle verdure!"
 
"Lo sai che non mangio carne! E comunque ti fanno bene."
 
Kazuya rispose con l'ennesimo grugnito, ma si avventò su di essi e divorò il tutto in pochissimi bocconi. Erano ottimi, ma non l'avrebbe mai ammesso.
 
"Pensavo...Hai programmi per stasera?" chiese casualmente, sedendosi accanto a lui sulla panchina di metallo.
 
"Sì, cena e a letto presto. Domani voglio triplicare tutti i miei massimali e.…"
 
"Non puoi continuare a stressare il tuo fisico così Kazuya!" lo rimproverò, con sguardo severo. "Il corpo ha bisogno del giusto riposo e anche la mente!" 
 
"Sciocchezze, il mio corpo sta benissimo e sabato c'è la semifinale."
 
"Oh andiamo Kazuya...Che male c'è se invece domani per pranzo andiamo a fare un pic-nic da qualche parte e ti rilassi un po'?  Ti farà bene, dico davvero!"
 
"Non posso permettermelo, Jun!"
 
"Ma..."
 
"Niente ma! Ho detto no."
 
Jun tacque, sconfitta. Non sarebbe cambiato mai, perché ancora ci provava? Era così testone, così concentrato sul battersi contro suo padre, che tutto il resto non contava. Nemmeno lei.
 
"D'accordo..." mormorò alzandosi. "Ti lascio ai tuoi programmi allora..."
 
L'uomo sospirò. Perché quella donna riusciva ad influenzarlo così tanto? Per lui le femmine erano solo un divertente passatempo sul quale indugiare di tanto in tanto, ma il più delle volte erano solo fastidiose distrazioni, sempre e perennemente alla ricerca di attenzioni e moine. Ma lei era diversa, lei era capace di toccarlo nel profondo e di fargli provare sentimenti e sensazioni nuove...Come il sentirsi in colpa in quel caso. 
 
"Jun, fermati!" esclamò. "Ti va di cenare insieme?" 
 
Lei sbarrò gli occhi di fronte a quella proposta inaspettata. Nemmeno lui sapeva il motivo per il quale l'aveva avanzata, ma il suo sguardo deluso e mortificato era insopportabile. 
 
"Me lo stai chiedendo perché lo vuoi davvero, o perché ti faccio pena?" replicò, seria.
 
Quel maledetto vizio di rispondere alle sue domande con altre domande non l'avrebbe perso mai.
 
"Perché..."
 
Dannazione, perché con lei era sempre così difficile? Perché doveva sempre cavargli fuori le parole dalla bocca?
 
"Perché?" lo spronò, alzando un sopracciglio in attesa.
 
"Perché lo voglio davvero! Contenta adesso?"
 
Sì, decisamente lo era. A prova di ciò fu il sorriso luminoso come le stelle che si dipinse su quel bellissimo volto. 
 
"Dove vorresti cenare? Forse è meglio rimanere un po' leggeri, sei stata male ieri..." le chiese, raccattando le sue cose e riponendole nel borsone.
 
Jun rimase sorpresa da quella affermazione. Effettivamente erano un po' di giorni che non si sentiva bene, un fastidioso senso di nausea e capogiri la coglievano all'improvviso, lasciandola esausta. Poi tutto d'un tratto sparivano, come se nulla fosse successo. Ma quell'improvvisa manifestazione di riguardo nei suoi confronti da parte sua le aveva sciolto il cuore e condizionato il suo giudizio. Erano così rare e per questo sempre così belle...
 
"Non preoccuparti, sto molto meglio!" mentì. "In ogni caso domattina vado dal medico, ho il mio check up trimestrale di esami e analisi che devo presentare al lavoro. Se c'è qualcosa che non va ti faccio sapere."
 
Kazuya annuì e insieme lasciarono lo spogliatoio. Lasciò che uscisse per prima, tenendole aperta la porta e si incamminarono verso i parcheggi interni all'arena. Sarebbero usciti dal retro, così nessuno avrebbe potuto intercettarli. Inoltre, nonostante le umili origini di Jun la facessero sentire a disagio, decise di portarla in uno dei ristoranti più lussuosi di Tokyo.
 
"Ma Kazuya, lo sai che..."
 
"Non voglio scocciatori." replicò secco. "E inoltre, fanno un flan di verdure che sicuramente ti piacerà..."
 
Jun gli sorrise nuovamente. Con le labbra, con gli occhi e col cuore. Lasciò scivolare la sua mano delicata sopra quella forte e ruvida di Kazuya, che era appoggiata al cambio della sua automobile. Lui non la scansò nemmeno per cambiare le marce.  Arrivarono in uno dei suoi ristoranti preferiti, collocato ai piani alti di un enorme grattacielo. Oltre al cibo raffinato, si godeva di una vista mozzafiato. I suoi programmi originari erano completamente stati stravolti da Jun, eppure in quel momento non gli importava. Vederla felice, sorridente, con gli occhi luccicanti, timida e raffinata nei modi allo stesso tempo, ma senza mettere da parte la sua umiltà e la sua dolcezza era molto più rilassante di una cena in solitaria e una dormita. Erano un balsamo per la sua anima tormentata, al quale si stava pericolosamente assuefacendo. Nessuno dei due aveva voglia di lasciarsi dopo il sakè, entrambi avevano ancora bisogno della reciproca compagnia. Infatti Jun non disse nulla quando Kazuya si diresse verso il suo appartamento. Non ribatté minimamente quando famelico incollò le labbra alle sue, inchiodandola alla parete non appena chiusa la porta di casa. Si lasciò andare completamente a lui, mentre veniva sollevata, portata in camera e adagiata sul suo letto, senza smettere di baciarsi. Quando lui era con lei, si sentiva al settimo cielo. Quando lei era con lui, il Diavolo taceva. Entrambi avrebbero voluto che quei momenti di pura gioia non finissero mai...Ma ahimè il crudele destino per loro aveva in serbo ben altro...
 
~
 
La luce dell'alba rischiarò quello scenario apocalittico. Nessun edificio si era salvato da quella furia cieca nel raggio di chilometri. La polvere continuava a sollevarsi verso il cielo, ma i raggi del sole stavolta riuscivano splendere senza farsi oscurare. A terra, in mezzo alle macerie, il corpo di due uomini giacevano a terra, immobili. I presenti li osservavano da poco lontano, mano a mano che i loro occhi si riprendevano dal bagliore accecante che li aveva investiti poco prima. Tutti si domandavano se fosse realmente finita, se dentro a quei due corpi ci fosse ancora un alito di vita. Erano al sicuro? O era solo il preludio della fine? Il male era sopravvissuto, o il bene aveva finalmente trionfato? E suddetto bene, lo era davvero? Ma ciò che li incuriosiva ulteriormente era una donna. Quella magica donna dai capelli corvini e dal cuore puro, così piena di vita e vigore fino a pochi istanti prima, ora invece sembrava sempre più eterea. I pochi testimoni di quanto era appena accaduto erano ancora tutti lì a fissarli, con gli occhi pieni di incredulità. Lee era rimasto seriamente ferito dallo scontro contro il suo odiato fratellastro, aveva una gamba rotta ed era pieno di lividi e tagli; era sostenuto da entrambi le parti da Alisa, col volto sfigurato e semidistrutto dal pugno ricevuto e Lars, molto più incolume, ma con sicuramente un paio di costole fratturate. Dall'altra parte però, poco distante, c'erano loro: Steve, impolverato, dolorante e ancora visibilmente spaventato, Nina, ancora più pallida in volto e ricoperta a sua volta di polvere e sangue della sua defunta sorella, il cui corpo straziato giaceva su un lato del marciapiede. Le avrebbero dato una degna sepoltura, nonostante tutto. E poi c'era quel piccolino, che rispondeva al nome di Keiichi, l'unico uscito indenne da quell'inferno. Era incredibile come un neonato era riuscito a sopravvivere. Ma era un neonato qualsiasi, oppure una nuova minaccia? Tutti trattenevano il fiato, in attesa. A rompere il silenzio furono solo i rantoli dei due uomini a terra. Padre e figlio, uno di fronte all'altro, sotto allo stesso cielo. Che ne sarebbe stato di loro? 
 
"Kazuya..." sussurrò Jun, inginocchiata al suo fianco. 
 
Aveva il volto rigato dalle lacrime eppure sorrideva. Un sorriso strano, dolceamaro. La sua mano stringeva quella dell'uomo, ma la presa di entrambi era sempre di più debole, segnò che ormai non appartenevano più a questo mondo. Lo spirito di Jun aveva ormai esaurito ogni energia residua, i contorni della sua sagoma erano sempre più sfocati. Della donna di prima rimaneva poco più che un miraggio. Eppure lei sorrideva ancora. Sorrideva perché significava che l'anima di suo figlio era riuscita a vincere sul Gene. A lei rimanevano solo pochi minuti prima lasciare definitivamente il mondo dei vivi, mentre Jin avrebbe avuto davanti la vita intera per potersi riscattare. 
 
"J-j-j-un..." mormorò l'altro, stringendo debolmente quella mano sempre più impercettibile. "P-per-" 
 
Si interruppe un istante per tossire sangue. Per la prima volta dopo anni, a fissarla erano due occhi scuri. Non c'era più quell'iride rossa a gelare il sangue nelle vene. Non c'erano più ali, corna, pelle violacea, artigli e code. C'era solo un uomo morente, ma finalmente libero dalla maledizione che gli aveva tolto tutto.
 
"Per-p-erd-Perdonami..." esalò, chiudendo definitivamente gli occhi. 
 
La mano gli ricadde sul petto. L'ultimo respiro lasciò il suo corpo, scandito dall'ultimo battito del suo cuore. 
 
"Kazuya...Amore mio..."
 
Jun pianse. Pianse tutte le lacrime che aveva, riversandole sul corpo senza vita dell'uomo che avrebbe dovuto odiare per tutto il male che aveva commesso, ma che in cuor suo non aveva mai smesso di amare. L'uomo che avrebbe voluto salvare ad ogni costo e che le aveva fatto il regalo più bello che potesse mai ricevere: suo figlio Jin. Jin, il cui corpo iniziò lentamente a muoversi, a riprendere coscienza del suo essere incredibilmente vivo. Alzò la testa dalla polvere e vide sua madre, che teneva tra le braccia suo padre, ormai spirato. Tutto si aspettò meno di provare un profondo senso di pena dinnanzi a quella scena. Era riuscito a sconfiggerlo, eppure nel suo cuore non vi era alcuna gioia. Solo dolore. Persino da vincitore. 
 
"Mamma..." sussurrò, tentando di rialzarsi in piedi.
 
"Oh Jin..." rispose lei tra i singhiozzi.
 
Barcollando si avvicinò a lei e alle spoglie di Kazuya, lasciandosi stringere in un abbraccio inconsistente, ma pieno di sentimento. 
 
"Ti prego tesoro mio, perdona tuo padre per ciò che ha fatto. Perdonami se non sono stata in grado di proteggervi e salvarvi. E soprattutto perdona te stesso e sii grato per la vita che ti aspetta e tutto l'amore. Sono i doni più preziosi che avrai..."
 
Jin non disse nulla. La voce gli era morta in gola, mentre i singhiozzi si facevano strada a sua volta.
 
"Mamma io...Io non merito di..."
 
"Shhh, ascoltami bene, tesoro..." lo interruppe. "Ormai non mi rimane molto tempo, penso che te ne sia accorto. Ma voglio dirti questo: hai sbagliato, lo so. Hai commesso degli atti gravissimi, così come Kazuya. Ma alla fine, scegliendo la giusta via, sei riuscito a sconfiggerlo e a salvare dall'oblio il mondo intero. Hai capito finalmente che l'odio può essere sconfitto solo dall'amore, che l'oscurità si vince solamente con la luce. Avrai tutto il tempo di guarire, di capire, di accettare, ma soprattutto di perdonarti...E di amare. Nina..."
 
Jin e Nina sobbalzarono, quando Jun convocò la bionda. Con un cenno della mano la invitò ad avvicinarsi e Jin per la prima volta riuscì a guardarla con occhi liberi da ogni forma di possessione. Era esattamente come la ricordava e il cuore prese a battergli furiosamente nel petto. Si sentì male nel ricordare cosa aveva rischiato di farle poco prima. Stava per ucciderla, mosso da quel Gene maledetto che gli aveva avvelenato l'esistenza. Solo il pianto di quel bambino era riuscito a fermarlo. 
 
"Nina, poco fa mi hai chiesto quale fosse il tuo ruolo in tutto questo. Del perché proprio tu, tra tanti, saresti stata cruciale in questa lotta. In realtà la risposta è talmente ovvia, ma è importante spiegarvela lo stesso: Nina come ti dissi già quando ti sono apparsa in sogno, se tu, col tuo amore, non avessi tenuto viva la parte umana di Jin, sarebbe stato tutto perduto. Io sarei stata perduta, soppressa definitivamente dalla sua maledizione. Jin, vedi, ha dovuto patire tanto, più di quanto umanamente sopportabile. Sapevo che farti esporre sarebbe stato un grosso rischio, ma è stato necessario. Il pianto di vostro figlio è stato il trigger definitivo per lui, affinché potesse finalmente ritrovare sé stesso. Quel Jin adolescente, convinto di avermi persa per sempre, proprio quell'istante prima che il Diavolo iniziasse la sua malvagia opera di persuasione, mettendo le prime velenose radici nella sua mente. Hai amato e protetto mio figlio quando aveva il mondo intero contro. Hai creduto nel vostro amore e non hai rinunciato a Keiichi. Hai fatto tutto ciò che io non ho potuto fare e anche di più e se ora siamo tutti salvi è anche grazie a te."
 
Anche grazie a lei. Nina non si sentiva un'eroina. Non si era mai definita tale. Eppure per la prima volta in 43 anni si sentì finalmente realizzata nell' aver fatto del bene. Era una sensazione nuova, che la riscaldava da capo a piedi. Si voltò e osservò per un istante Steve e Keiichi e in cuor suo capì che ogni cosa sarebbe andata al suo posto.
 
"Jun...Grazie..." mormorò, commossa a sua volta.
 
"Grazie a te, donna leale e coraggiosa. Sarai una madre splendida..." replicò sorridendo, prima di volgere nuovamente lo sguardo verso suo figlio. "Quanto a te Jin...Il mio tempo è finito. Hai sconfitto Kazuya. Hai sconfitto il Gene. Tu sei salvo. Keiichi è salvo. Promettimi che avrai cura di te e quando ti sentirai nuovamente solo, triste, arrabbiato, o in difficoltà, rimani sempre te stesso, fino alla fine. Ricorda il dolore, perché solo così non commetterai più gli stessi errori. Non perderti più. Non sei più solo..."
 
Jun lo abbracciò, stringendolo a sé più che poteva. Ormai era poco più di un alone, eppure Jin percepì perfettamente tutto il calore e il sentimento di sua madre. Avrebbe voluto che rimanesse per sempre, ma ormai aveva capito che avrebbe dovuto lasciarla andare.
 
"Ti voglio bene mamma...Grazie di tutto..." mormorò.
 
"Ti voglio bene anche io figlio mio, te ne vorrò sempre...Addio..." 
 
Un fruscio si alzò da terra e in battito di ciglia Jun scomparve. Abbassando lo sguardo però, Jin notò che sul petto di suo padre vi era una piuma di corvo, segno tangibile che sua madre era davvero stata lì e non era stato solo un sogno. D'istinto si osservò il braccio e constatò che il suo tatuaggio tribale era completamente svanito, senza lasciare nemmeno un'ombra sbiadita. Era davvero finita. 
 
"Jin..."
 
Una voce a lui ben nota lo costrinse a voltarsi. Nina era davanti a lui, con un'espressione indecifrabile sul volto. Un misto tra ansia, preoccupazione, sollievo e anche dolcezza. Quegli occhi cerulei che tanto lo facevano impazzire lo stavano fissando impazienti, dopo mesi e mesi senza un confronto. Occhi che pensava di non rivedere mai più e che invece splendevano posati su di lui. Era cambiata tanto, lo sentiva, eppure era rimasta la stessa. Nina, la sua Nina, era proprio li davanti a lui, in attesa di nemmeno lei sapeva cosa.
 
"Nina..." rispose, alzandosi in piedi e muovendo qualche passo nella sua direzione. 
 
Calò il silenzio tra i due, mentre un metro di distanza si frapponeva ancora tra loro. Nessuno dei due sapeva esattamente cosa dire, e allo stesso tempo avevano un milione di domande. C'era ancora qualcosa però che li bloccava: la paura nel caso di Nina. La vergogna per ciò che aveva fatto, nel caso di Jin.
 
"Nina...Io...Tu...Sei viva, io credevo che..."
 
"Sì, lo credevano in tanti..." replicò sorridendo leggermente. 
 
C'era quasi dell'imbarazzo tra i due, ed entrambi stavano aspettando che l'uno o l'altra tirassero fuori l'argomento. Fu Jin a cedere, divorato dal desiderio di sapere.
 
"Quindi...Lui è..." domandò timidamente, accennando col capo alle persone dietro di lei.
 
"Sì..." rispose, sorridendo leggermente e abbassando gli occhi prima di voltarsi. "Steve...Vieni..."
 
Il biondo sobbalzò, sentendosi chiamato in causa. Era così concentrato a non perdersi nulla di quella scena, da esseri quasi dimenticato di respirare. Sua madre gli aveva dato un ordine ben preciso, eppure le sue gambe rifiutavano di muoversi. Strinse ancora di più a sé il fratellino, totalmente incapace di fare anche solo un passo.
 
"Steve!" ripeté la donna con un tono più deciso. "Va tutto bene, fidati di me. Avvicinati. Lui ha diritto di sapere!" 
 
Il pugile non poté più opporsi a quella richiesta. Avanzò lentamente verso i due, mentre il bambino agitava le manine verso sua madre, desideroso di raggiungerla. Era così piccolo, eppure sembrava aver perfettamente capito cosa stesse succedendo. Nina gli andò incontro e lo prese tra le braccia, voltandosi nuovamente di fronte a Jin, affinché potesse vederlo meglio. Quest'ultimo trattenne il fiato, rimanendo impietrito. Gli occhi erano di Nina, così come alcuni lineamenti, ma il solo osservarlo non lasciava assolutamente spazio a dubbi. 
 
"Perdonami Jin...Non avrei voluto tenerti all'oscuro, ma è stato necessario. So che ho preso una decisione che riguardava entrambi senza il tuo consenso...Ma Keiichi era l'unica, nonché l'ultima cosa che mi rimaneva di te..."
 
Keiichi. Suo figlio. Lui, Jin Kazama, aveva un figlio. Non sapeva esattamente come sentirsi a riguardo. Fino a pochi istanti prima l'avrebbe odiato, in quanto l'ennesimo portatore di Gene da eradicare. Ma ora il Gene non esisteva più. Quel piccolo era sangue del suo sangue, e di quello di Nina, l'unica donna che avesse mai amato. E quanto l'ha amata! Avrebbe dato la sua stessa vita per lei. E l'aveva fatto, promettendole che avrebbe vissuto in mondo migliore. Poi quella scoperta e il pensiero che fosse morta l'aveva dilaniato dentro. Invece era viva, nascosta chissà dove, a dare la luce e crescere loro figlio. Di punto in bianco aveva di nuovo una famiglia. Una famiglia che non odiava. Esattamente ciò che aveva sempre desiderato per sé stesso, prima di sprofondare nell'oblio. Osservò il piccolo in braccio a sua madre, che lo fissava di rimando, con gli occhi pieni di curiosità. Avrebbe voluto dire così tante cose, ma le parole non uscivano. Il silenzio tra i due era diventato così pesante, da essere insopportabile. E fu Nina a spezzarlo.
 
"So come ti senti Jin..." esordì dolcemente, ridando il figlio in braccio a Steve. "Lo so, è tutto troppo. E non ti posso imporre le mie scelte di vita in alcun modo. Vedi..." disse, voltandosi leggermente e indicando Steve e Keiichi. "Loro mi hanno insegnato così tanto in poco tempo. Steve mi ha salvato la vita due volte, mi ha aiutata e supportata senza chiedere nulla in cambio. Mi ha donato affetto e serenità, nonostante l'avessi rinnegato, ha distrutto tutte le mie barriere, messo a nudo le mie debolezze e mi ha aiutato a superare i momenti più difficili. Se siamo qui è solo grazie a lui. Ma credimi non è stato facile e tu Jin..." fece una breve pausa e sospirò, cercando di evitare che il pianto le spezzasse la voce. "Tu Jin hai vissuto l'inferno e hai bisogno di tempo per guarire...Io ho scelto cosa è giusto e cosa è meglio per la mia vita e non ho rimpianti...Ora è giunto il momento che tu faccia lo stesso."
 
Con gli occhi lucidi, Nina gli accarezzò dolcemente la guancia. Sapeva che non era pronto a tutto ciò e non avrebbe mai immaginato che questo momento sarebbe arrivato. Pensava semplicemente di continuare a vivere in Irlanda con i suoi figli, lontano da tutto e da tutti, con una nuova identità. Invece il destino aveva fatto sì che le loro strade si incontrassero nuovamente e per amore aveva rischiato qualsiasi cosa, pur di aiutarlo a salvarsi. Ma ora non poteva più mettere da parte la sua vita e ciò che aveva di più caro al mondo. A volte per amore bisognava anche saper lasciare andare. E Jin non era pronto a tutto questo.
 
"Addio Jin...Abbi cura di te..."
 
Lenta e inesorabile, gli voltò le spalle, raggiungendo i suoi figli, pronta ad uscire dalla sua vita. Aveva fatto la sua scelta, col cuore a pezzi, ma senza rimorso. Avrebbe lasciato uno spiraglio aperto al futuro, ma ora le sue priorità erano altre. Non poteva permettersi di farsi condizionare dai sentimenti irrazionali, ora aveva troppo da perdere. Jin la osservò andare via. Lo stava davvero permettendo? La paura dell'ignoto l'aveva immobilizzato. Era tutto troppo, si sentiva sopraffatto. Gli mancava l'aria. Nina aveva ragione, non era pronto, doveva prima guarire, doveva prima capire. Per amore gli aveva concesso di rimettere assieme i cocchi della sua vita, senza che le sue scelte lo condizionassero in alcun modo. Aveva così tante cose su cui lavorare e così tante ferite che dovevano guarire, che non poteva permettersi di assumersi ancora più gravose responsabilità, come quella di un figlio, concepito e venuto alla luce quando lui ne era completamente all'oscuro. Poi però gli vennero in mente le ultime parole di sua madre: ricordarsi del dolore. Non perdersi più. Non era più solo. E così fece: la sua memoria rievocò lo strazio del loro ultimo giorno assieme, delle sue lacrime che non si fermavano quando si erano detti addio prima che affrontasse Azazel e poi l'agonia nel credere che fosse stata uccisa, che avesse perso la vita per causa sua. Si era sentito così distrutto...Così perduto. Ma Jun aveva ragione: ora non era più solo. Non lo sarebbe mai più stato. Fulmineo coprì la distanza che li separava, Nina sobbalzò quando venne strattonata per un polso e costretta a voltarsi, ma lo spavento venne ben presto sostituito dal calore delle sue braccia che la stringevano. Con dolcezza le sollevò il mento, costringendola a guardarlo dritto negli occhi.
 
"Dovessi pagare per ciò che ho fatto, ora e qui, accetterei il mio destino. Dovessi vivere in eterno per espiare le mie colpe, lo farei due volte. Dovessi morire adesso, me ne andrei in pace. Ma fintanto che rimarrò qui, su questo mondo, non voglio più vivere un solo istante senza di te!"
 
"Jin..." 
 
Non gli importava dei presenti, non gli importava di avere tutti gli occhi addosso, di sembrare debole e sdolcinato. L'aveva già persa troppe volte. Non l'avrebbe mai più lasciata andare.
 
"Ti amo, Nina! Ti amerò sempre!" 
 
Lei non rispose. Non poteva farlo. Le sue labbra erano finalmente sulle proprie, dopo tanto tempo, come una boccata d'ossigeno. Jin la stava stringendo a sé, come se avesse paura che potesse scomparire. Ma lei era lì, e non sarebbe andata da nessuna parte. Non senza di lui. Sorridendo, col volto rigato da lacrime di pura gioia, coinvolse in quell'abbraccio anche i suoi figli. Per la prima volta Keiichi si rifugiò tra le braccia di suo padre, che lo guardava con uno sguardo colmo di meraviglia, mentre il piccolo gli appoggiava le manine sul volto e rideva felice. Una nuova famiglia si era formata. In quella nuova alba, un nuovo inizio stava per cominciare...
 
~
 
"Now the new dawn arises and we have it all..." Ensiferum 
 
~
 
Note dell'autrice: FINITOOOOOOOAHNOSPE, manca l'epilogo, lol. Ma a confronto a tutto questo sarà una passeggiata. La storia è finita, aspettate solo l'ultimissimissimo capitolo che spero di scrivere e postare la prossima settimana, per andare in pace e vedere che fine faranno i nostri eroi. Spero apprezzerete il flashback di Jun e Kazuya, volevo assolutamente inserirne uno, ma come al solito non avevo idea del come, dove e quando e niente, mi è uscito così XD. I ringraziamenti e le considerazioni li rimando alla prossima, che ora non saprei nemmeno che scrivere XD. A presto col capitolo finale ❤️ 
 

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Capitolo 37
*** Epilogo ***


10 anni dopo...
 
Le sfide e le battaglie gli causavano sempre una scarica di adrenalina, che correva fulminea nelle loro vene. Il cuore pompava sangue più velocemente, i sensi si acuivano, la concentrazione era al massimo. I muscoli erano tesi fino allo spasmo. Entrambi si misero in posizione di attacco, in attesa che qualcuno facesse la sua mossa. Chi avrebbe attaccato per primo? A che parte del corpo avrebbe mirato? E soprattutto chi avrebbe avuto la meglio? L'istinto suggeriva di colpire, il buonsenso di attendere e schivare, o difendersi. Entrambi si studiavano a fondo, socchiudendo gli occhi e trattenendo il respiro. Contarono mentalmente fino a tre. Al due nessuno si muoveva ancora. Una frazione di secondo prima dell'uno invece si mossero entrambi. Ogni calcio e ogni pugno veniva parato. Ogni presa e ogni leva rigirata. Una situazione di estrema parità caratterizzava sempre lo svolgimento dei loro incontri. Sebbene fossero entrambi estremamente competitivi, nessuno combatteva con l'intenzione di ferire l'altro: le loro lotte erano una danza sinuosa e ben coordinata di movimenti puliti e veloci. Ma alla fine c'era spazio per solo un vincitore. E quel vincitore fu lei, che rapida come il vento, riuscì a sottometterlo con una delle sue solite prese. Aveva tolto la vita a tante persone in passato, agendo in quel modo letale. Ma a lui non avrebbe mai torto un capello.
 
"Ho vinto. Di nuovo." sussurrò divertita all'orecchio del suo avversario, che giaceva immobilizzato al suolo.
 
Il collo e il braccio erano saldamente ancorati tra le sue braccia, mentre il torace era avvolto dalle sue gambe muscolose. L'altro rispose con un grugnito, ma non poté fare a meno di sorridere a sua volta.
 
"Sei diventato lento. Stai invecchiando." lo canzonò, beandosi della sua espressione corrucciata.
 
Ma fu una distrazione fatale, perché l'altro ne approfittò per liberarsi da quella morsa e a ribaltare la situazione, ritrovandosi sopra di lei e tenendole saldamente i polsi ancorati al suolo.
 
"Dicevi?" ghignò, col viso a pochi centimetri dal suo.
 
Stavolta fu il turno di lei di sbuffare, ma il broncio durò poco. Nel giro di pochissimi istanti scoppiarono entrambi a ridere. Le liberò i polsi e si sdraiarono all'ombra di un gigantesco albero della loro proprietà, che si estendeva fino ai confini della foresta di sugi, tipica dell'isola di Yakushima. Il vento soffiava leggero e portava con sé il profumo dei rododendri in fiore e della brezza marina, un vero toccasana in quell'afosa giornata estiva. La bionda appoggiò il capo sul petto del ragazzo, che l'avvolse in un delicato abbraccio ed insieme si goderono ad occhi chiusi quel momento di pace, riscaldati dai raggi del sole, rinfrescati dal vento e cullati dal cinguettio degli uccellini che si rincorrevano tra i rami e volavano alti nel cielo terso. Tuttavia la quiete ebbe vita breve, perché ben presto un vociare a loro famigliare li destò dalla loro siesta.
 
"Invece no!"
 
"Invece sì!"
 
"Invece no!"
 
"E invece sì!"
 
"MAMMAAA!"
 
"Dai ragazzi, non litigate!"
 
Nina si alzò e si mise a sedere, pronta a gestire l'ennesimo battibecco che Steve non era riuscito a sedare. Jin fece lo stesso, accomodandosi a gambe incrociate accanto a sua moglie. Due bambini corsero nella loro direzione, seguiti a ruota dal loro fratello maggiore, palesemente sudato e col fiatone. Nonostante fosse un atleta con ancora una carriera sfavillante nel mondo del pugilato, tenere d'occhio quelle due pesti era fisicamente più sfiancante di qualsiasi allenamento. Soprattutto quando facevano comunella contro di lui.
 
"Che succede adesso?" domandò, sospirando.
 
"Keiichi dice che ho barato!" esclamò la più piccola.
 
"È vero, non ha saltato l'ultimo ostacolo e ci ha girato intorno!" replicò il bambino più grande.
 
"Non è vero, è che sono molto più veloce di te!"
 
"Elly basta, eravate praticamente alla par..."
 
"Invece no, io ero in testa e lei ha imbrogliato!"
 
"Tu sei lento!"
 
"Adesso basta!" intimò la bionda, alzandosi in piedi.
 
"Ma mamma..."
 
"Niente ma! Punto primo, non voglio che litighiate per delle stupidaggini del genere. Punto secondo, Steve ha detto che eravate alla pari, quindi basta accusarvi a vicenda!"
 
Erano solo due bambini di 10 e 6 anni, era vero, ma per Nina vederli litigare era un riaprirsi ogni volta delle sue vecchie ferite. Anche lei e sua sorella Anna avevano cominciato così, con l'invidia e competizione, fino a rovinare definitivamente il loro rapporto. E nonostante fossero passati così tanti anni dalla sua scomparsa, ancora si pentiva di non essere mai riuscita a ricucire in alcun modo il rapporto con lei, se non durante i suoi ultimissimi istanti di vita.
 
"Punto terzo..." intervenne Jin a sua volta. "Va bene un po' di sana competizione a spronarvi, ma ricordatevi che allenarvi e migliorare nello sport così come in qualsiasi altra cosa, è un piacere che fate a voi stessi, non un pretesto per prevalere sugli altri!"
 
E poi c'era Jin, che con poche e semplici parole riusciva a rimettere tutto sotto la giusta prospettiva. Indubbiamente Nina era la più severa, ma anche incredibilmente giusta e imparziale. Lui invece era decisamente più malleabile, ma sempre fermo sui punti cardine sui quali avevano eretto la loro famiglia: rispetto, fiducia e comprensione. I due bambini continuavano a fissarsi in cagnesco, stizziti l'uno con l'altro, ma anche profondamente meditabondi. Erano entrambi due testoline calde, ma si volevano un gran bene. Keiichi era sempre lì per Eileen, quando complice la differenza di altezza lei non riusciva ad arrivare ai pensili per recuperare i cereali e lui li prendeva per entrambi, o quando cadeva dalla bicicletta e si sbucciava le ginocchia, lui era sempre accanto a lei per aiutarla a rialzarsi. E poi anche Eileen non mancava mai di condividere le sue caramelle con lui, o di prestargli le sue matite colorate e i suoi mattoncini Lego. Stavano crescendo entrambi così in fretta da dimenticarsi di quanto in realtà si volevano bene. A volte gli serviva quella spintarella in più e quando non intervenivano i loro genitori c'era sempre il loro fratellone Steve a vegliare su di loro.
 
"Coraggio ragazzi...Se vi scusate a vicenda e fate la pace, dopo vi porto al cinema. Ci state?"
 
"Al cinema?" esclamò Eileen, illuminandosi di colpo.
 
"Andiamo a vedere il nuovo film dei Gundam?" chiese Keiichi pieno di speranza.
 
"Certo!" replicò il pugile, sorridendo. "MA...Dovete dare ascolto a quello che mamma e papà vi dicono e naturalmente chiedere loro il permesso."
 
"Oh mamma, papà, vi prego, possiamo?"
 
"Dai, dai, per favore..."
 
Nina e Jin tacquero un istante, scambiandosi uno sguardo di intesa.
 
"Avete sentito quello che vi ha detto Steve, no? Dovete prima chiedervi scusa." disse Jin.
 
"E soprattutto dare retta a quel che vi abbiamo detto. Ci promettete che farete i bravi?" rincarò la dose la bionda.
 
"Sì, sì, sì! Scusa Keii se ho detto che sei lento!"
 
"Scusa Elly se ti ho dato dell'imbrogliona"
 
I bimbi si abbracciarono, dimenticando ogni malumore e battibecco, sotto lo sguardo benevolo della coppia.
 
"Beh che state aspettando? Andate a lavarvi e cambiarvi, il film inizia tra due ore!" li esortò il padre.
 
"Sìììì, grazie papà!!!" disse Keiichi, correndo ad abbracciare entrambi i genitori per poi fiondarsi verso casa.
 
"Sììì, siete i migliori!" rincarò la dose Eileen, facendo lo stesso, ma indugiando tra le braccia di suo padre qualche istante di più, omaggiandolo anche di un sonoro bacio sulla guancia.
 
Nina sogghignò, per nulla gelosa di quella manifestazione di affetto non equa nei suoi confronti. Eileen Jun, quel piccolo follettino pazzo dai capelli dorati e gli occhi colore dell'ambra, era stata l'ultimo tassello a rendere perfetta la sua famiglia e a mandare completamente in brodo di giuggiole suo marito. Jin era un padre fantastico, sempre presente, attento e premuroso e sapeva quanto gli fosse dispiaciuto non esserle stato accanto mentre era in attesa di Keiichi. Nonostante lo smarrimento iniziale nell'aver scoperto di essere padre di un bambino già nato, non si era minimamente sottratto dalle sue responsabilità, esaudendo così uno dei suoi desideri più grandi, in modo totalmente insperato. Tuttavia nonostante le circostanze funeste allora non l'avessero permesso, rimpiangeva profondamente di non aver potuto seguire Nina fin dal suo primo momento nel viaggio della maternità. Qualche anno più tardi però, una sera dopo aver passato ore ad amarsi e a rotolarsi nel letto, Nina aveva appoggiato la fronte sulla sua, l'aveva guardato dritto negli occhi e gli aveva fatto una confessione che avrebbe nuovamente stravolto la loro vita. 
 
"Sono incinta." 
 
Jin non avrebbe mai e poi mai dimenticato quel momento e di quanto l'aveva stretta forte a sé, singhiozzando silenziosamente in preda all'emozione e alla felicità col volto nascosto nell'incavo della sua spalla. Sebbene la seconda gravidanza fosse stata decisamente più tranquilla e meno travagliata della precedente, Nina per la prima volta si sentì in imbarazzo nel vedere il suo corpo cambiare nuovamente. Nuove smagliature, nuovi sbalzi ormonali e di umore, nuovi kili di troppo da smaltire e il suo fisico perfetto che cominciava pian pianino a cedere. Addirittura aveva cominciato quasi a sentirsi a disagio nel mostrarsi a suo marito . Ma quest'ultimo era troppo rapito e troppo affascinato dal suo corpo in mutamento per notare quei difetti: ai suoi occhi Nina era ancora più bella di prima e non mancava di viziarla, coccolarla e fare di tutto per farla sentire divina. Ed infine era arrivata lei, la loro bambina, che cresceva bella, forte e sana ogni giorno sempre di più. Proprio come suo fratello maggiore, Eileen era estremamente intelligente e adorava tantissimo gli animali. Guarda caso, proprio come sua nonna paterna, di cui portava il nome come secondo. 
 
E poi c'era Steve, che col tempo era riuscito a lasciarsi alle spalle gli orrori del passato e a stringere un rapporto di profondo rispetto e stima con Jin. La sua carriera di pugile era finalmente decollata e ogni anno collezionava medaglie su medaglie e una vittoria dietro l'altra. Ma quando non era in giro per il mondo a calcare i ring e disputare tornei, viveva assieme a loro come una famiglia normale, anche se di normale aveva ben poco. Era praticamente coetaneo di Jin e sebbene sua madre anagraficamente fosse ben oltre i 50 anni, era ancora una bellissima donna sulla trentina. Ma a loro non importava. Erano riusciti a creare la loro isola felice all'interno delle loro mura domestiche e a vivere una vita piena di amore e serenità, anche di fronte alle piccole sfide quotidiane. Nina a tutti gli effetti era una madre per lui, gli dava consigli, gli stava vicino, lo supportava e parlavano liberamente di qualsiasi cosa. Con Jin le cose erano ovviamente un po' diverse, certamente lui poteva immolarsi come figura paterna nei suoi confronti, ma non mancavano i momenti tra di loro nei quali si confidavano a vicenda i propri sogni e le proprie paure. E Nina non avrebbe potuto chiedere di più.
 
"Ti hanno fatto tribolare oggi, non è vero?" domandò Nina, tornando ad accomodarsi al suolo.
 
"Quei piccoli teppistelli sono pura dinamite. Però sono felice che nonostante tutto siano così legati..." commentò il biondo, aprendo una bottiglietta d'acqua. "Almeno pur essendo in off season mi aiutano a tenermi in forma."
 
Tutti risero a quella battuta.
 
"Grazie che li accompagni al cinema. Se non altro stasera dormiranno..."  scherzò Jin, lanciando un'occhiata eloquente a sua moglie, che quest'ultima colse perfettamente.
 
"Piuttosto..." esordì la bionda. "Ci fa un sacco piacere che passi così tanto tempo con tuo fratello e tua sorella, ma non credi sia il caso di richiamare Julia e uscire con lei questo fine settimana?"
 
Steve tossì fragorosamente.
 
"E tu che ne sai di Julia?" domandò sorpreso.
 
"Intuito femminile..." replicò sorniona. "È una brava ragazza...Stareste bene assieme..."
 
"Confermo. Pensa che sua madre Michelle era molto amica con la mia, hanno collaborato spesso assieme per diverse cause ambientali." aggiunse Jin, con aria di approvazione.
 
"Beh..." replicò il pugile, che vistosamente arrossito "In effetti la trovo una tipa decisamente interessante...Mi piace passare del tempo con lei."
 
"Portala da qualche parte e divertitevi domani, allora. Alle pesti ci pensiamo noi!"
 
"Grazie Jin."
 
"E mi raccomando, controlla solo che quei due non si ingozzino di schifezze al cinema, la prossima settimana hanno il dentista." aggiunse Nina.
 
Steve sorrise ad entrambi.
 
"Sì, mamma! A più tardi!" rispose congedandosi.
 
Mamma. Non più Nina, ma mamma. D'altronde questo lei era per lui e mai avrebbe pensato di esserne così felice e orgogliosa. Osservò il ragazzo allontanarsi verso casa, per poi lasciarsi andare di nuovo tra le braccia di Jin, con un profondo sospiro. Quest'ultimo la accolse e insieme si sdraiarono nuovamente sul prato, mentre le accarezzava dolcemente i capelli. Quanto era cambiata la loro vita in così poco tempo...Capitava spesso che i mostri del passato si presentassero alla loro porta, ma fintanto che sarebbero rimasti insieme nulla diventava insormontabile. Jin soprattutto aveva passato dei periodi molto bui, divorato dai sensi di colpa durante il giorno e dagli incubi alla notte per ciò che aveva fatto, ma grazie all'aiuto di Nina e a tanta terapia, pian piano era riuscito a scenderne a patti. Il passato non si poteva cambiare, molte persone ancora lo odiavano, altre lo avevano perdonato perché avevano riconosciuto in Kazuya la vera minaccia, della quale erano riusciti a liberarsi solo grazie a lui. Aveva capito che indietro non si poteva tornare perciò aveva fatto del suo meglio per migliorare il più possibile e cercare di rimediare ai suoi catastrofici errori. 
 
Per prima cosa aveva ripreso in mano le redini della Mishima Zaibatsu e messo ogni sua risorsa a disposizione dell'umanità intera per aiutarla a rialzarsi in piedi, ricostruendo città intere, devolvendo enormi somme di denaro a favore di chi non aveva più nulla e promuovendo iniziative benefiche di ogni sorta per far sì che nessuno venisse lasciato senza sostegno. Fatto ciò aveva deciso di cederne il comando a Lee, Lars e Alisa, lasciando che la Violet Systems l'acquisisse e la guidasse, sempre a favore del progresso per aiutare gli altri. Lui e Nina avrebbero continuato a farne parte, ma da dietro le quinte, in modo tale che tutto il progetto non venisse ulteriormente messo in discussione. Negli anni era riuscito almeno in parte a redimere il suo nome, e l'aver avuto due figli l'aveva spronato ancora di più a migliorarsi, per evitare che a causa sua potessero venire additati, o discriminati. Sapeva che un giorno sarebbero cresciuti, avrebbero scoperto tutto e gli avrebbero fatto delle domande sul suo passato: per allora sperava solo di essere pronto per dargli tutte le risposte. 
 
Del resto del potere, del denaro, della fama e della gloria non gli importava più nulla. Non c'era più quell'orribile tribale a deturpargli il braccio e a avvelenargli la mente. Ora c'era solo lui, con il suo giudizio, i suoi punti di forze e le sue paure. Tuttavia come gli disse la sua adorata madre prima di andarsene definitivamente, non era più solo. E aveva avuto ragione. Aveva accanto la donna dei suoi sogni, della quale era perdutamente innamorato e alla quale doveva tutto. La donna che gli aveva regalato due figli stupendi, e che da anni chiamava orgogliosamente moglie. Aveva i suoi bambini, dai quali imparava tantissimo nonostante fosse lui il genitore, e per i quali avrebbe fatto qualsiasi cosa affinché vivessero una vita felice e serena. E giorno dopo giorno aveva imparato anche a fare pace con sé stesso e col suo passato, cercando di tenere fede all' ultima promessa che aveva fatto alla sua adorata madre. 
 
Era stata così dura dirle addio di nuovo. Aveva lasciato dietro di sé solo una piuma di corvo, come prova tangibile del suo ritorno dopo averla creduta persa per anni. Ora quella piuma era sepolta sempre lì, a Yakushima, nel punto dove sorgeva la casa dove un tempo vivevano. Quel gesto gli aveva permesso di mettere la parola fine a quel doloroso capitolo della sua vita. Non era stato facile, ma Nina era lì con lui durante quel momento difficile, a stringerlo forte mentre si lasciava andare a mille lacrime e singhiozzi. L'abbraccio di sua moglie era sempre un balsamo per la sua anima nei suoi momenti di crisi, il suo calore, il suo profumo e tutto il sentimento che provava per lui lo aiutavano ogni volta a non crollare. Ma ce l'aveva fatta. Era riuscito ad andare avanti senza più voltarsi indietro. E così avrebbe continuato a fare. Aveva dovuto sopportare l'infermo. Aveva dovuto sentirsi distrutto per trovare la forza di ricominciare. Ma ora andava tutto bene...Ora non dovevano più sopravvivere, ora potevano finalmente vivere...
 
~
 
Note dell'autrice: il primo capitolo di questa storia è stato postato il 7 febbraio 2018: quando ho iniziato a scriverla avevo già più o meno in mente la trama e i personaggi che avrei voluto includere: Tekken 7 mi aveva lasciato così tanto l'amaro in bocca sia per Nina che per Jin, dopo il lavoro stupendo che avevano fatto con il 6, da spronarmi a scrivere qualcosa su di loro, ovvero la mia versione di ciò che avrei voluto che invece succedesse. Chiaramente al buon Harada idee di questo tipo non passano nemmeno per l'anticamera del cervello, giustamente il gioco essendo un picchiaduro si incentra sulle lotte e sulla saga della famiglia Mishima, che è il fulcro principale. Quello che però mi ha sempre fatto innervosire è il non caratterizzare i personaggi, soprattutto quelli storici. Nina è presente dal primo capitolo della saga e ha addirittura uno spin off completamente dedicato a lei, nel 6 ha avuto un ruolo di spicco e nel 7 che succede? Le fanno fare la figura dell'incapace e le mettono addosso un ridicolo vestito da sposa per depistare il matrimonio di sua sorella. Detto ciò, nonostante avessi le idee abbastanza chiare, ho impiegato quasi 6 anni per portare a compimento questa fan fiction e vi dirò, probabilmente sarei ancora a metà se non fosse sbucato fuori Tekken 8 a mettermi il pepe al culo. In corso d'opera mi sono bloccata per mesi e mesi su punti che mi sembrano insormontabili, perché non sapevo come collegare i tasselli. Non sono brava a descrivere le scene di lotta e non mi piace nemmeno farlo, eppure in alcuni momenti erano necessarie. Non sono una scrittrice e ho un rapporto molto conflittuale con la consecutio temporum (credo si veda), eppure mi sento abbastanza soddisfatta di ciò che ho fatto. Alla fine è stata solo questione di mettermi davanti a Word e semplicemente scrivere, avessi aspettato il lampo di genio perfetto più di metà della storia sarebbe ancora da buttare giù...Sono conscia che la coppia Jin x Nina non sia apprezzata, che tutti lo vedano meglio con Xiao (che fastidio di donna), Asuka, Julia, Lili addirittura...Nina per la maggior parte delle persone è solo un'assassina a pagamento spietata, la regina di ghiaccio per eccellenza. Per me no, per me è molto di più, una donna forte, risoluta, letale e bellissima, ma umana come tutti noi, con le proprie debolezze e soprattutto meritevole anche lei di essere felice. Spero di non averla snaturata troppo, ma è proprio sulle sue insicurezze, sul suo passato e sul suo lato umano che ho voluto fare luce. Idem per Jin, che prima di venire distrutto dalla sua maledizione era un ragazzo normale, che viveva una vita normale, con sogni e paure. Non so cosa ci riserverà il prossimo e credo ultimo capitolo della saga, ma per quel che mi riguarda che escano pure tutti i trailer del mondo adesso, my job here is done XD Infine vorrei ringraziare quelle poche persone che hanno letto e seguito questa storia, anche se non hanno lasciato commenti. Significa che comunque un minimo sono riuscita a destare la loro curiosità. Ringrazio per tutte le recensioni, che mi hanno sempre fatto un sacco sorridere. Ci ho messo una vita ad arrivare qui, non ho mai scritto una storia così lunga (e credo che non accadrà mai più XD), ma per quel che mi riguarda ne è valsa la pena. Ora, con tutta la calma del mondo, posso pensare di scrivere delle one shot sempre sul mio pairing del cuore, che chiaramente, saranno tutte collegate a questa storia (pre-durante-dopo). Perché alla fine i personaggi sono di Harada e della Namnco, ma la libertà di sognarli e immaginarli diversamente è di tutti. Per tutto il resto ci sono i disclaimer XD Di nuovo grazie a tutti, spero che abbiate apprezzato. A presto 🙂 
 

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