Io ti troverò

di fedegelmi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Io ti troverò ***
Capitolo 2: *** Il siero ***



Capitolo 1
*** Io ti troverò ***


Premessa: questa è la storia che fino ad ora ritengo la più delicata. Nonostante io nuoti sempre in acque piuttosto tetre, in questo caso il tema trattato va oltre ai miei standard. Questa volta si andranno a toccare aspetti particolarmente forti, pertanto sconsiglio la lettura alle persone sensibili. Dovrebbe avere il rating rosso, ma non l'ho messo solo per permettere alle persone che mi leggono senza avere un account di EFP di leggere anche questa storia. In qualunque caso tutte le avvertenze si trovano nella descrizione della storia. Detto questo, buona lettura.
 

Lenta e agonizzante la prigionia.
Qui nessuno può vedermi, nessuno può sentirmi.
Mi sembrano passati anni, ma non possono essere passati più di tre giorni: la fame mi attanaglia lo stomaco, costringendomi a stendere prona sul pavimento freddo e umido, ma non è ancora così intensa.
Non vedo altro che buio, nessuna finestra mi suggerisce il passare del tempo, il bunker nel quale mi sono rinchiusa mi protegge e mi uccide.
Nemmeno i topi raggiungono questo luogo angusto, non un insetto.
Sono completamente sola, sono al sicuro.
Sento un rumore quasi impercettibile, punto i palmi delle mani a terra sollevando flebilmente il busto da terra.
«Chi c’è?» chiedo. La voce roca, così debole da sembrare perlopiù un sussurro.
Probabilmente nessuno, mi rispondo stendendomi nuovamente, le braccia lungo i fianchi.
Ormai sono condannata, non ho più molte speranze di vivere.
Ha ucciso tutti, uno ad uno; come un predatore li ha scovati tutti, li ha stanati dal loro nascondiglio e ha preso la loro vita con la stessa facilità con cui si prende un bicchier d’acqua.
Ricordo ogni singolo messaggio lasciato a tutti dopo ogni omicidio.
Quando mi arrivò il primo non ci detti peso, fino a che non lessi sul giornale la notizia: donna ritrovata morta sulle rive del fiume. Non lo scrissero nero su bianco, ma sapevo com’era stata uccisa, il messaggio trovato nella casella delle lettere lo diceva chiaro e tondo, senza mezzi termini, senza risparmiare alcun dettaglio. Confessò senza ritegno ogni cosa, di come avesse stretto una corda attorno al suo collo, di come l’avesse aperta da parte a parte con un coltello mentre soffocava, di come l’avesse buttata nell’acqua in fin di vita, agonizzante.
Una settimana dopo il secondo biglietto. Tremai quando lo ricevetti. E puntualmente lessi la notizia sul giornale: un uomo, questa volta. L’aveva torturato, aveva tagliato un pezzo di lui alla volta, mai troppo a fondo perché potesse morire in fretta. Aveva lasciato che la vita lo lasciasse lentamente, nell’agonia.
Ne ricevetti altri quattro, ogni volta una morte lenta e dolorosa, nessuna pena; ma c’era una frase iniziale che accomunava ogni bigliettino: “Puoi avvisare la polizia, se lo desideri, puoi consegnargli questo bigliettino senza esitazione. Ma io lo verrò a sapere e allora ti verrò a prendere. Te ne pentirai nel secondo esatto in cui mi vedrai arrivare.”.
Non ho mai voluto sapere cosa sarebbe accaduto, ma un giorno la risposta mi arrivò non richiesta. Allegata alla solita frase, ne era apparsa un’ultima che mi fece rigettare il secondo dopo in cui la lessi: “So che te lo chiedevi, ardevi dal desiderio di sapere cosa avrei potuto fare alla persona che avesse tradito la mia fiducia. Quando la notizia sarà su tutti i giornali non la riconoscerai. E come potresti, dopotutto?  Ma io te ne darò un assaggio, un assaggio del quale non dimenticherai il sapore.”. Aveva descritto quello che sarebbe stato l’unico omicidio diverso dagli altri, l’unico che mi avesse fatto impaurire come nessun’altro prima. Quando mi arrivò pensai fosse diretto a me e urlai. Poi mi resi conto che il contenuto era diverso: due bigliettini. Uno per me, il solito, l’altro quello della vittima, che aveva inviato a lui come a noi per darci prova della sua rabbia.
“Quando leggerai questo biglietto sarà tardi; io sarò già in casa tua, ti starò già seguendo da tempo. Ma soprattutto, grazie alla tua paura, avrò già prelevato alcune persone a te care. Non ti aiuteranno i due agenti fuori dalla porta e se dovessero farlo, moriranno. Vedo le gocce di sudore freddo che corrono lungo il tuo collo, sento l’odore della tua paura fino a qui. Ora ti darò due istruzioni che dovrai seguire per non peggiorare la tua situazione. Sei prossimo alla morte, accoglila con onore. Primo: alzati dalla sedia su cui ti sei appoggiato per sostenerti in piedi, per non cadere. Secondo: vieni verso di me.”.
Dovetti accasciarmi a terra sopraffatta dai singhiozzi e dai sussulti. Mi chiedevo se sarebbe arrivata anche a me una lettera così.
Il giorno dopo per prima cosa lessi il giornale, ma nulla.
Lo lessi il giorno dopo ancora, ma nulla.
Quando il terzo giorno lo lessi nuovamente mi accorsi di un dettaglio che mi era sfuggito prima.
Corsi a recuperare gli ultimi due biglietti e rilessi quello indirizzato a me, la “non ancora vittima”.
“Chissà cosa si prova a vedere il proprio figlio uccidere ogni persona a lui cara davanti ai tuoi occhi. Sua sorella, suo marito e i suoi figli, poi suo fratello, sua moglie e i suoi figli. E ancora sua moglie e i suoi figli. Infine vederlo avvicinarsi a te, ricoperto del sangue del tuo stesso sangue, aprire una lunga ferita sul tuo corpo e guardarti sanguinare fino a morire. Chissà cosa si prova a uccidere la propria famiglia, ti chiederai. Perché io lo so, non ho bisogno di chiedermelo.”.
Non avevo colto il nesso.
Eppure tre famiglie, una di seguito all’altra, erano state trovate uccise nelle loro case.
Non avevo bisogno di leggerlo per sapere che erano morte per dissanguamento.
Non avevo bisogno di rileggerlo per sapere che erano loro.
Quella notte non dormii, vomitai.
Il giorno dopo lo ricevetti.
Me lo scrisse lui stesso: sono l’ultima.
Tiro fuori dalla tasca dei pantaloni il biglietto che mi ha fatto completamente impazzire.
Lo rileggo.
“Complimenti, sei la prescelta! Hai osservato e studiato ogni biglietto e articolo con attenzione. Anche se hai dato di stomaco più volte di quanto avessi voluto vedere, hai affrontato la situazione esattamente come mi aspettavo che facessi. Era da tempo che cercavo una persona come te. Sei impazzita così gradualmente che quasi hai fatto impazzire anche me, mi hai fatto eccitare più di quanto ogni omicidio che abbia compiuto non abbia mai fatto. Anche se ora mi leggi dove tutti possono vederti, non sperare di sfuggirmi. Una preda come te è esattamente quello di cui ho bisogno. Scappa pure se lo desideri, non farai che incrementare la mia eccitazione. Sto venendo a prenderti.”.
Se non fosse per lo stomaco vuoto vomiterei ancora.
Mi sento così leggera, come se potessi rompermi con un soffio di vento.
Avevo preso l’abitudine di leggere i bigliettini nell’atrio del palazzo per essere pronta alla fuga in caso di necessità. Ed è per questo che ora, mentre sono stesa a terra affamata e distrutta, indosso ancora i vestiti che avevo messo quel giorno in ufficio.
Sento un altro rumore.
Ormai non posso più illudermi.
Mi ha trovata, come promesso.
Sento lo scatto della serratura, la maniglia che si abbassa lentamente.
Il sangue mi pulsa nel cervello, è come se stesse per esplodermi la testa.
«Te l’avevo detto che ti avrei trovata».
La sua voce è un colpo al cuore, le sue mani che mi afferrano per i capelli lo sono ancor di più.
Mi sbatte a terra supina, estrae un coltello e mi taglia i vestiti.
Sento il suo tocco ruvido scorrermi sul corpo, non ho la forza di aprire gli occhi e di guardarlo.
Tremo per il freddo e per la paura mentre lo sento spogliarsi.
Mi sale ancora la nausea, ma questa volta il mio corpo trova qualcosa da rigettare. Giro la testa di lato e sento un forte dolore in gola mentre vomito. Socchiudo gli occhi e vedo il sangue, mi metto a piangere. Mi cade lo sguardo sui miei vestiti a brandelli, sparpagliati sotto e attorno a me, infine lo vedo.
Dare un volto alla voce acuta e sinistra che ho sentito e mi sono sempre immaginata è peggio di quanto pensassi.
Chiudo nuovamente gli occhi, non posso guardarlo ancora, non mentre lo sento avvicinarsi a me, non mentre lo sento entrare in me.
Ogni colpo è come un coltello infuocato che mi trafigge, sempre di più, sempre più a fondo.
Le lacrime copiose che mi tagliano il viso sono vita per il mio corpo, mi rendo conto di esserlo, ancora per poco.
Posso tenere gli occhi chiusi, ma non riesco a tapparmi le orecchie, vorrei strapparmi i timpani per non sentire i gemiti della bestia che mi sta sopra.
Non riesco a respirare, mi manca la forza di farlo.
Boccheggio alla ricerca di un po’ d’aria, spalanco gli occhi.
Incrocio il suo sguardo malefico, malato.
Seguo i suoi lineamenti fino ad arrivare al braccio, proteso verso il mio collo. La sua mano gli è attorno, preme forte contro di esso, mi priva dell’aria che tanto ricerco. Il dolore che provavo era talmente intenso da non farmi percepire nemmeno la fonte della mia incapacità di respirare.
Ma ora il dolore sta scomparendo e con esso la mia capacità di rimanere cosciente.
Se la morte può dare un freno a questo incubo, allora sono pronta ad accoglierla.

 

Se sei arrivato fino a qui, grazie. Puoi lasciare una recensione, se ti va. Più recensisci, più miglioro!
Spazio autore: avevo una mezza intenzione di dare un breve continuo a questa storia. Il finale che ho proposto può avere due alternative: la morte della protagonista o solo il suo svenimento temporaneo. Sono molto indecisa sul dafarsi, per questo chiedo un consiglio da parte vostra. Lasciare la storia con un finale aperto all'immaginazione oppure definirne uno (che già ho in mente)? Grazie in anticipo per il consiglio.

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Capitolo 2
*** Il siero ***


È stato difficile trasportare il corpo di Diana all’esterno, su per le lunghe scale a pioli, ma ripensandoci ce l’ho fatta abbastanza velocemente.
Ringrazio la mia defunta madre per avermi odiato talmente tanto da avermi costretto ad allenarmi ogni giorno fino allo sfinimento; tutto quell’odio represso è stato utile anche quando ho ucciso lei. Un corpo diventa così pesante quando è senza vita.
Comunque è grazie a Diana se sono riuscito a caricarla così facilmente sul mio furgone, senza fretta né occhi indiscreti: ha avuto la brillante idea di nascondersi in una casetta abbandonata, sotto alla quale era stato costruito un bunker sottoterra, tempo fa.
Non so come abbia fatto a pensare che non l’avrei vista, che non me ne sarei accorto.
La osservavo persino mentre leggeva la sua ultima lettera: era scappata immediatamente dal palazzo, senza nemmeno passare per il suo appartamento. Come poteva pensare che non l’avrei seguita?
Quando ho visto dove si era diretta ho atteso: volevo controllare se sarebbe uscita.
Ho capito che non l’avrebbe più fatto quando sono entrato nella casetta per colpirla alla sprovvista e l’ho trovata vuota. Quasi subito ho notato la botola ai miei piedi, nascosta malamente, di fretta; l’ho socchiusa per spiare senza farmi notare e l’ho vista seduta a terra, raggomitolata su sé stessa.
Si mormorava parole di conforto.
Capii che stava impazzendo, anzi, che lo era già, ma non abbastanza.
Così ho deciso di richiudere la botola e aspettare ancora un paio di giorni.
Non sapevo quanto rumore arrivasse fino a laggiù, ma cercai di non farne mai troppo, volevo che ne percepisse poco, giusto per farla rimanere nel dubbio.
Passati due giorni ero arrivato al limite, ero eccitato di scendere e non avevo più intenzione di aspettare.
Adesso sono nella mia stanza preferita.
La casa dei miei genitori l’ho sempre odiata, è così colma di orribili ricordi, eppure da quando è diventata mia dopo la loro morte ho cominciato ad amarla. Ho rivoluzionato ogni stanza, cancellato ogni ricordo. È come se, né mia madre, né mio padre, ci abbiano mai vissuto.
Solo una camera è rimasta invariata, nessuno ci è mai entrato da quando sono morti, nessuno eccetto me.
Lo scantinato è il luogo più scontato dove rinchiudere una persona, lo è stato durante la mia infanzia e lo è ancora adesso.
Stessa stanza, prigionieri diversi.
Perché fai questo?, mi aveva chiesto mia madre poco prima che le togliessi la vita.
Beh, mamma, hai deciso tu di plasmarmi così.
Io mi sono solo adattato.
 
Diana
 
Mi sveglio, ho freddo. Buio.
Sento un forte dolore nel basso ventre, inizialmente non ricordo.
Mi rannicchio sperando di fermare il dolore, ma non riesco a muovermi, sono bloccata.
Ho gli occhi pesanti, come se non dormissi da giorni, come se non potessi aprirli, ma mi sforzo; li socchiudo facendo un’immensa fatica. Che il mio corpo non reagisca più ai miei comandi?
Vedo una luce bianca abbagliante, il soffitto, poi cedo, di nuovo buio.
«Sei sveglia, finalmente» una voce terrificante rompe il silenzio.
Rabbrividisco.
Un pugno di ricordi mi colpisce diretto allo stomaco e mi sale un conato.
Non ho più niente da rigettare, ormai sono completamente vuota, come un guscio.
Vorrei parlare, ma il mio corpo non mi ascolta, non riesco ad emettere alcuna parola, solo un rantolo. Mi sento stordita, mi fa male tutto.
«Non ti allarmare, ormai sei quasi pronta. Tra poco tutto il lavoro che abbiamo fatto insieme sarà completato».
Non posso vederlo, ma lo sento spostarsi nella stanza nella quale ci troviamo.
Un ticchettio, un orologio.
Un tintinnio, delle chiavi?
Cerco di captare ogni suono che riesco, impiego al massimo l’unico senso che mi è permesso usare.
Non riesco a sentire gli odori, non posso muovermi e nemmeno aprire gli occhi. Sento solo dolore.
Provo a parlare. Cosa vuoi farmi?, vorrei chiedergli.
Ma riesco a produrre solo un rantolo incomprensibile e impiego quasi tutte le mie forze per emetterlo.
«Non ti agitare, tra non molto sarà tutto finito».
Mi sale un altro conato, voglio morire.
«Ciò che ti ho iniettato nel braccio è ormai in circolo in ogni parte del tuo corpo, ma forse tu lo senti già. L’ho testato diverse volte prima di provarlo su ti te, non volevo che la dose sbagliata ti uccidesse».
Un colpo al cuore.
Non posso morire, voglio morire.
Sento la sostanza infettare ogni singolo centimetro del mio corpo, fino a quando non sento più nulla.
Mi sento stranamente piatta: non provo dolore, non sento pressioni. Mi sento finalmente libera dalla tortura alla quale mi stava sottoponendo.
Il mio corpo si rilassa, sospiro sollevata.
«Ha fatto effetto, sei pronta» esordisce scrivendo febbrilmente su un blocchetto.
Apro gli occhi, lo vedo.
«Cosa mi hai fatto?» riesco a chiedergli senza sforzo, girando la testa verso di lui.
«Vedi, Diana cara, quello che ti ho iniettato è un siero sperimentale, sono anni che ci lavoro. Mia madre mi ha sempre dato contro con questo progetto, non ha mai voluto credere in me, per lei ero solo un inetto. Ma adesso che finalmente sono giunto alla buona riuscita del siero su una cavia umana, le posso dare quel che si merita. La soddisfazione che provo nel poter dire di avercela fatta è ancora più grande di quella che provai nel toglierle la vita. Dall’inferno che si è scavata con le sue stesse mani starà rodendo, e non solo per il caldo delle fiamme. Il primo essere umano sul quale l’ho provato è stato quel sempliciotto morto prima di te. Ha fatto tutto ciò che gli ho detto di fare, ma vedevo che riusciva a malapena a sopportare il dolore. Gli avevo dato una dose troppo sbilanciata: era cosciente, sotto il mio comando, ma quasi impossibilitato dal dolore. Per fortuna è riuscito a finire il lavoro e infine si è ucciso. Ho adorato vedere il dolore e la sofferenza nei volti e nelle urla di quella famiglia. Non soffrirà più nessuno di loro, nessuno si rimpiangerà a vicenda. Sono stato molto accomodante e misericordioso nei loro confronti, non trovi? In qualunque caso ora il siero è perfetto, le dosi sono equilibrate e tu ora non provi assolutamente alcun dolore, dico bene?»
Allunga un ago pulito verso la mia gamba e mi punge con la punta.
Non sento nulla.
«Sei perfettamente cosciente e capisci tutto ciò che ti sta accadendo intorno».
«Sono perfettamente cosciente e capisco tutto ciò che mi sta accadendo intorno» ripeto annuendo, non so nemmeno perché l’abbia fatto.
«Infine, farai tutto ciò che ti ordinerò».
«Farò tutto».
 

Se sei arrivato fino a qui, grazie. Puoi lasciare una recensione, se ti va. Più recensisci, più miglioro!
Spazio autore: siccome mi piace da impazzire lasciare un po' di suspence, ho deciso di dividere questo capitolo a metà. O meglio, l'ho fatto soprattutto perché tra questo e il prossimo (che dovrebbe essere l'ultimo) ci sarà uno sbalzo temporale e sarà strutturato con molti flashback, non so se nello stile del primo capitolo o in un altro. In qualunque caso, mi scuso con tutti per il tempo che è passato da quando ho pubblicato la prima parte della storia, sono stata molto inattiva su EFP ultimamente. Spero di poter recuperare.

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