Human Human

di SparkingJester
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Un lampo di luce spezzò la monotona oscurità dello spazio.
Ne apparve un piccolo vascello di appena sessanta metri di lunghezza, affusolata e schiacciata sul muso, con ali dritte e larghe. Sulla fiancata color ocra vi era impresso il nome: Opticon, ed affianco la sigla “C.C.”.
La Opticon aveva un lungo curriculum di missioni esplorative e di catalogazione completate con successo e competenza. L’obiettivo era sempre lo stesso: classificazione di pianeti possibilmente abitabili non ancora confermati dal governo, secondariamente lo studio di fauna e flora locali in favore della ricerca scientifica e del soddisfacimento di una delle più grandi passioni dell’uomo, la curiosità.
Al termine del breve salto nell’iperspazio, il loro nuovo obiettivo gli si parò davanti in tutta la sua imponenza: un grosso pianeta di un blu intenso visibilmente dovuto alla fitta vegetazione, grande almeno cinque volte la Terra, con alte e visibili creste rocciose sparse qua e là sulla crosta, come tante cicatrici fresche, traboccanti di un liquido denso e arancione.

«Ci siamo, signori miei.»
L’anziana voce del professor Juris Ozols, scienziato dalla grande fama e da pochi anni capitano della Opticon, spezzò il silenzio dei suoi colleghi e compagni d’avventure, ancora ammutoliti dalla bellezza e maestosità del pianeta che avevano di fronte, visibile da grandi pannelli dalla cabina di comando.
L’ormai cent’ottantenne umano, col naso a pochi centimetri dal pannello trasparente e ancora sorridente, si voltò per osservare le espressioni del resto dell’equipaggio ancora alle loro postazioni.
Dean Azure, un giovane ragazzo umano dai folti capelli spettinati e neri, si alzò menando i pugni sulla console sotto di lui, spalancando la bocca ed urlando per lo sgomento.
Era il più giovane e la mina vagante del team d’esplorazione: un semplice assistente, senza nessun altro ruolo se non quello di affiancare il professor Juris ma fin troppo scalmanato ed immaturo per poter fare carriera. Nonostante ciò il professore apprezzava la sua presenza poiché portatrice di calore e serenità nonché del fattore più importante per un vero esploratore: l’avventatezza. Senza di essa, con troppa cauzione, non era possibile scoprire tutte le stranezze di quel vasto universo.
Dean, continuando ad esultare, lanciò occhiate verso la sua irraggiungibile innamorata, in piedi alla sua postazione da analista e le mani portate alla bocca per la commozione: Methra Saxena, la migliore in quanto a calcoli, portava lunghi capelli lisci e neri, con pelle olivastra ed il viso dai lineamenti morbidi, capace di suscitare tenerezza in qualsiasi uomo.
Ma l’equipaggio non era composto da soli umani.
Dopo l’entrata sul palcoscenico dei grandi imperi galattici, il genere umano si riunì sotto un unico nome: il Clan Celeste. Come i primi ominidi si riunirono in tribù e clan per poi confrontarsi tra di loro, così l’uomo moderno scelse finalmente di riappacificarsi coi suoi simili per affrontare nuove tribù provenienti da altri mondi, abbracciando il colore del loro pianeta natale.
Il Clan si fece subito nuovi amici, così come nuovi nemici; nuovo governo, nuove tecnologie e soprattutto nuovi mondi da esplorare, per espansione, per potere o solo per scienza.
Orca Valis, geologo e medico della spedizione, era un classico esempio di integrazione aliena nei progetti militari del Clan: gli Irtus, creature dotate di due cervelli concentrici ed estremamente intelligenti, erano grossi umanoidi anfibi dagli arti tozzi, con mani a quattro dita e senza unghie, la pelle umida in varie sfumature di verde, le gonfie teste somigliavano a quelle dei pesci, prolungate e con vividi occhi senza palpebre. Anche la sua bocca era aperta per lo stupore, emettendo un debole sibilo e mostrandone l’interno, liscio, privo di denti e lingua.
Il team iniziale era composto da solo tre individui, Orca, il professor Juris e Methra. Successivamente vennero introdotti Dean, come assistente, ed un altro alieno, amico del professore ed invitato direttamente da esso con la promessa di nuove ed eccitanti scoperte.
Il professore ed ingegnere specializzato Pundu, un Nidoriano alto per la sua specie ma con appena un metro di altezza non lo si poteva dire per gli umani. Proveniente da un pianeta con leggi fisiche distorte, atmosfera acida e flora locale composta sostanzialmente da funghi ed enormi fiori luminosi, colse subito l’occasione per allontanarsi dalla monotonia del suo pianeta e dalle sue limitate stazioni spaziali.
Gli umani se non altro erano stati riconosciuti come carpentieri eccellenti e rapidi. Le loro flotte non erano niente a confronto di quelle dei maggiori imperi galattici ma sicuramente sapevano ricostruire in fretta le unità perse, imparare dagli errori e dai morti subiti, migliorarsi costantemente e contrattacare il tutto ad una velocità assurda e questo era appunto motivo di invidia da parte di molti ma soprattutto paura e odio nei confronti di questa brutale razza espansionista.
A causa delle leggi del Clan, fu costretto a scegliere un nome pronunciabile nella lingua terrestre, ed un cognome, per lavorare tra i suoi ranghi, così come fece Orca Valis, prendendo ispirazione da una strana creatura marina terrestre che gli somigliava molto.
Pundu scelse dunque Violet, poiché era il colore della sua pelle nella lingua umana.
I due professori si divertirono a tal punto che Pundu invitò anche sua moglie, Arzem Violet, seconda biologa del team dopo il professor Juris e grande amante degli animali.
Anche loro erano esterrefatti dalla vastità e dal colore del nuovo pianeta e lo osservavano entrambi, Purdu seduto cavalcioni sulle spalle della sua “donna”.
Le femmine nidoriane, a differenza dei bassi maschi dalla forma e tratti facciali simili a quelli umani, erano alte due metri, con arti lunghi e sottili, dotata persino di una grossa coda, spessa e coriacea che toccava terra e fungeva da organo riproduttore. Anch’esse viola, avevano un lungo collo che sosteneva una testa ovale ed un viso intagliato come fosse una maschera umana bianca e priva di tratti, fatta di una sostanza in grado di cambiare forma a piacimento con l’unico scopo, per la loro specie almeno, di rendersi più attraenti nei confronti dei maschi.
Ma c’era ancora un piccolo gruppo di umani su cui si posarono gli occhi del professore, incuriosito nel poterne finalmente vedere una reazione di sincero stupore: il Maggiore Jean Kakkurus, noto per essere un uomo freddo e dedito completamente al suo lavoro, apparentemente privo di umanità. Era entrato a far parte del team proprio il giorno della partenza, accolto con stupore ed imbarazzo generale da parte degli altri che avevano a che fare non più con amichevoli e familiari scienziati ma con militari professionisti e che incutevano un certo timore a causa del loro aspetto bellicoso.
Il visore della sua tuta rossa da battaglia altamente tecnologica si aprì in tre sezioni dal centro della faccia, mostrando il viso di un quarantenne dai lineamenti duri e gli occhi chiari. Rilassò persino i muscoli delle braccia che reggevano il suo amato railgun ed avanzò lentamente verso il pannello della navetta.
Alle spalle, i suoi scagnozzi: Urtus Bak, un omone dotato di un armatura nera più articolata e resistente di quella del Maggiore ed equipaggiato con mitragliatrice vulcan grande quasi quanto lui, e Matricola 64, un novellino talmente più zelante del suo capo da scegliere di non utilizzare il suo vero nome per evitare attaccamenti personali. Portava ancora con la corazza nera del soldato semplice, protetta solo su busto, braccia e cosce e si apprestava a svolgere la sua prima missione dopo il diploma all’accademia militare
Il trio armato era supportato da due droni umanoidi dotati di IA: Conte e Barone, bianchi e con caschi invece di teste, erano sempre stati la squadra addetta alla sicurezza della Opticon.
Il Maggiore Kakkurus si rivolse al capitano della navetta:
«Professore, devo riconoscerlo. Se non mi avessero affidato a lei, non credo avrei mai visto un pianeta così… incontaminato.»
Il suo sguardo era ammaliato e fisso sul globo blu, quello del professore era invece fisso su di lui. Sembravano parole sincere, finalmente.
«L’avevo avvisata, giusto? Bene…»
Infine Methra spezzò la calda atmosfera con la sua voce bassa e dolce:
«Professore, credo sia il momento.»
«Oh, certo. Comincia pure, Methra.»
«Galassia Orco Blu, sistema Teryos, pianeta 0365XX-Un963. Verifica disponibilità coloniale?»
Dean, eccitato, accontentò subito la collega:
«Territorio Vasculiano, lo considerano un pianeta di quarta categoria ed è presente nelle liste coloniali condivise. Classificato attualmente come “non reclamato”. Tuttavia ha un divieto di terraformazione.»
Continuò ancora Methra:
«Dottor Valis, iniziare scansione superficiale. Priorità a crosta e analisi termica. Dottoressa Arzem, analisi radiazioni e particolato in uscita dall’atmosfera. Professor Pundu, non vedo alcuna zona d’atterraggio al momento se non quei promontori. Cosa suggerisce?»
Juris osservava tutto con compiacimento, si rimise gli occhiali sul viso, facendoli calare dalla spaziosa fronte rugosa. Si passò una mano tra i pochi capelli bianchi rimasti e iniziò a pensare.
Il momento arrivò:
«Professor Juris, siamo pronti. Il pianeta classificato 0365XX-Un963 è ufficialmente pronto per essere studiato e schedato. La scelta del nome, rimane a lei.»
Gli occhi del Maggiore si abbassarono sulla figura del professore, così come quella di tutti i presenti, in attesa del verdetto. Il professore, con la mano ancora impegnata a corrucciarsi il mento, sorridente esclamò:
«Ci sono… Ember!»
Gli occhi di tutti i presenti, divennero prima euforici e sorpresi, poi seri e determinati.
Partì un breve applauso, a seguire il dottor Valis:
«Analisi. Completa. Incandescente. Dentro. Dean…?»
Gli irtus erano creature in teoria capaci di comunicare solo con ultrasuoni. Un ostacolo evoluzionistico che li ha resi poco idonei ai lavori di squadra ma alcuni individui, se vivevano a lungo con un’altra specie, potevano imparare ad imitarne suoni e linguaggio semplicemente aprendo la bocca e modulando con accuratezza il suono, seppure con lentezza estenuante e visibile difficoltà.
Dean infatti continuò per lui, leggendo sulla console i dati che Valis inviava:
 «Il pianeta ha solo quattro milioni di anni circa, è ancora giovane. Il blu che vediamo non sono altro che enormi e alte foreste, professore. Il suolo è roccioso, particolarmente denso, e rileviamo radiazioni ad almeno due kilometri sotto la crosta. Sembra che quel magma arancione nei crateri sia estremamente radioattivo e che scorra in tunnel sotterranei, dove a giudicare dalle radiazioni degli alberi stessi, nutrano la vegetazione locale. Ma non emette calore ne vedo segni di corrosione a parte infertilità nei dintorni delle crepe, strano. Oh, quasi dimenticavo: la gravità è uguale a quella terrestre, esattamente uguale! Penso abbia solo questo di positivo.»
«Vedi pfosti dove pfoter apfterrare?»
Intervenne la voce acuta, metallica e monotona del professor Pundu.
«Questa pfaccia del pfianeta non ha radure e non voglio scendere vicino quelle crepfe.»
Dean rispose: «Effettuo subito una mappatura, ma credo bisognerà aprirsi un varco.»
A quelle parole, il Maggiore Kakkurus si voltò verso il novellino: «Sessantaquattro, ai cannoni. Resta in attesa.»
«Sissignore!»
Il giovane soldato scattò con violenza in un saluto militare, come sempre, e corse attraverso la porta della cabina, lungo tutta la nave fino alla coda. Entrò in un portellone ai piedi del corridoio e si calò in una piccola cella di vetro temprato dotata di cloche e comandi per muovere due piccoli cannoni posti sul ventre della nave e puntati a prua.
Il professor Juris stavolta non ebbe da ridire, altre volte nacquero dispute accese sull’uso di armi su un pianeta sconosciuto senza averne prima studiato le proprietà.
La Opticon era destinata alla scoperta di pianeti da classificare come abitabili o meno. Il destino di nuove generazioni e, catastroficamente parlando del genere umano, potevano risiedere nelle sue mani se solo avesse trovato qualcosa di appetibile.
Ma il professore considerava l’uomo come l’ultima delle bestie e per questo non si fidò mai del Clan Celeste. I pianeti più belli, immacolati e ricchi di vita che la Opticon visitò nel corso delle sue missioni non vennero catalogati come tali. All’inizio nessuno se ne rese conto, ma le falsificazioni dei rapporti erano qualcosa di serio e, un giorno, il Clan venne a scoprire dei suoi tranelli per preservare le bellezze dell’universo. Così, il Maggiore venne ingaggiato per tenere sotto controllo la situazione, almeno per un po', e valutare un possibile rimpiazzo con qualcuno di più “affidabile”. Questo era almeno quello che gli era stato detto il giorno in cui il Maggiore si presentò al laboratorio.
Continuò proprio Juris, da buon biologo:
«Dottoressa Arzem, forme di vita?»
La voce della femmina nidoriana fortunatamente non era così apatica e metallica come quella del marito, bensì più calda e riecheggiante, quasi come se un lento eco vada ad esaurirsi al termine di ogni parola.
«Rilevo grosse creature, predatori, organizzati in branchi e svariate specie di dimensioni nettamente più piccole abitare praticamente tutta la superficie del pianeta. Anzi ne rilevo una estremamente grande rispetto alle altre, forse la più grossa del pianeta. Dovremmo prestare attenzione praticamente ovunque, suggerisco di lanciare un razzo calorifero per allontanare la fauna se proprio dobbiamo usare i cannoni.»
«Ho trovato una zona a bassa densità animale grazie ai dati della Dottoressa. Professor Pundu?»
«Allora andiamo sopfra quel pfunto e facciamo un pfo' di spfazio coi cannoni. Matricola, mi ricevi?»
«Sissignore.»
Nel mentre Pundu fece traslare la navetta, rivelando altre sfaccettature  del pianeta con crepe arancioni e aloni blu intenso, quasi ipnotico.
«Spfara una pfunta termica alle coordinate, adesso.»
«Sissignore!»
Uno dei cannoni si ritrasse indietro per poi sparare con un tonfo un proiettile lungo e pesante. L’attrito causato dall’atmosfera con il particolare materiale di cui era fatto il proiettile, diedero fuoco al dardo che si schiantò sotto le fitte fronde, rilasciando un lampo di luce, caldo agli occhi dei sensori termici che registravano decine di creature in fuga dall’area.
«Faccia fuoco…. Ora!»
I condensatori dei cannoni iniziarono a caricarsi insieme stavolta: «Sissignore!»
Un rumore sordo di piccole esplosioni riempì la cabina di comando, insieme a fasci di raggi blu che trivellavano la vegetazione sottostante mentre la navetta scendeva nella direzione dei laser.
La discesa in atmosfera non fu brusca con l’uso dei cannoni e particolari stabilizzatori appositamente costruiti per la fragile Opticon e il team di ricerca si apprestò all’atterraggio.
La navetta smise di sparare, si raddrizzò con la prua verso lo spazio infinito ed infine spense i motori lasciandosi cadere. A pochi metri da terra, i motori si riaccesero a tratti, limitando la velocità di caduta fino all’atterraggio su quattro cavalletti appuntiti.
Tutti erano indaffarati a preparare le tute e gli strumenti per il loro prossimo soggetto di studio.
«Ed eccoci arrivati. Salutate la vostra nuova casa per il prossimo anno, signori! Ember, il pianeta… incandescente! Hahahah!»
Scoppiò in una solitaria risata, mentre gli altri accorsero, carichi di zaini ed attrezzature in braccio, a dare un’occhiata attraverso i pannelli laterali, diventati trasparenti per l’occasione, prima di mettere piede sul nuovo pianeta: possenti alberi dalle foglie di sfumature tra il viola e il blu, alti più di venti metri, tozzi e di un  tronco verde scuro e malsano torreggiavano su un sottile strato di muschio color giada.
In lontananza, arbusti del colore degli alberi iniziarono ad agitarsi.
Ne fuoriuscirono piccole creature giallastre, dalla pelle porosa, di varie dimensioni anche se tutti uguali tra loro: con un occhio enorme al centro di un corpo quasi conico, con un ciuffo di peli sulla punta e zampe lunghe e ricurve sul terreno come quelle di una rana.
Le creaturine corsero prima in direzione della navetta, sbatterono violentemente sul pannello della nave emettendo uno strano squittio e poi si rialzarono per fuggire in direzione opposta.
«E credo che avremo mooooolto lavoro da fare…»
Concluse Dean.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Appena furono pronti, il portellone della navetta si aprì dall’alto, poggiandosi sul terreno come una liscia passerella. Tutti indossavano un casco trasparente fatto con campo magnetico, collegato direttamente alla tuta tramite due piccole sfere metalliche cucite nel colletto.
Durante la discesa, si guardarono attorno. La dottoressa Arzem parlò per prima:
«Tesoro, puoi scollegare il casco.»
Gli umani si voltarono verso di lei, Pundu invece disattivò il casco toccando la sfera destra ed esponendo il capo all’ambiente nonostante il volto del professore nidoriano fosse spesso coperto da una maschera da saldatore con una visiera longilinea.
«Aaaaccidenti, mi sento una meraviglia!»
Esclamò Pundu, con tutta la virilità che aveva in corpo. Continuò la moglie:
«L’atmosfera possiede alte concentrazioni di fosforo e metano. Letale per voi umani. Suggerisco di verificare l’integrità dei vostri caschi ogni quindici minuti. Dottor Orca per lei il classico Inibitore 5, applicato con almeno il triplo della dose però.»
Orca Valis fece un cenno col capo: gli irtus erano suscettibili alle atmosfere di altri pianeti, inclusi interni di navi spaziali o edifici. Dovevano sempre applicare sul loro corpo uno speciale unguento, differente in base alle necessità, che idratava la loro pelle e non permetteva a particolato di entrare. Simile alla respirazioni dei rospi terrestri, con pori su tutta la pelle.
A quelle parole infatti tornò dentro la navicella, andando subito ad applicare l’unguento.
Tutti ormai erano sparpagliati intorno alla Opticon: i due robot guardiani portarono enormi casse piene di oggetti metallici, antenne e armi.
Ogni membro del team si mise a maneggiare coi rispettivi attrezzi, preparando il campo intorno alla navetta le cui ali stavano lentamente ruotando, mostrando il dorso dell’ala verso l’alto per fare ombra, come una tenda. Il Maggiore Kakkurus divise dei paletti coi suoi subordinati e con Conte, per poi dividersi in quattro direzioni diverse, a dieci metri dalla navetta, e posizionarli a terra.
D’un tratto, la punta della navetta si illuminò d’azzurro e quattro raggi d’energia partirono dritti verso i centri delle piastrelle, distruggendo i rami sul loro cammino e creando un campo di forza tra di essi, trasparente e azzurro, a quattro angoli con al centro la navetta.
«Scudo difensivo, operativo.»
Disse la Matricola, freddo e rapido, mentre tutti ormai erano pronti alle loro postazioni, girati verso il professor Juris che ancora era ai piedi della rampa, intento a leggere dati su dati attraverso i particolari occhiali digitali che gli mostravano tutto ciò che con la sua mente era in grado di richiamare.
«Bene signori, ho analizzato un po' la mappa del luogo e ovviamente ora chiamerò le prime squadre.»
Tutti formarono un ferro di cavallo intorno a lui ed attesero.
Estrasse dalla tasca una scatolina nera, ne cliccò un tasto e la mise a terra.
Venne proiettata la mappa dell’intero pianeta, in scala e con un livello di dettaglio incredibile.
Il professor Juris continuò a parlare, agitando le mani davanti a sé per richiamare informazioni e mappe locali dalla proiezione:
«Professor Pundu: lei, sua moglie, Conte e Barone andrete verso Nord-Ovest. A circa trecento kilometri da qui dovrebbe esserci una di quelle creste che trasudano lava arancione. Sembra essere scarsamente popolata ma fate comunque attenzione. Non faccio venire con voi Orca solo perché temo per la sua salute. La lava non sembra calda ma l’atmosfera circostante potrebbe intossicarlo. Ma dovrete prendere dei campioni ecco perché userete la Odd-1, stabilirete il vostro solito campo beta e farete rapporto ogni sei ore.»
«Ce la caveremo benissimo! Tu vedi di venirci a trovare ogni tanto eh, pfrofessore.»
Rispose carico Pundu, voltandosi e andando ad attivare la Odd-1: un mezzo di trasporto grande un quarto della navetta si staccò dal ventre della Opticon, lasciando le torrette al loro posto. Il velivolo era dotato di quattro posti e un vano spazioso, si muoveva velocemente attraverso enormi ventole che puntavano il terreno, fluttuando e scivolando nell’aria. I droni aiutarono Pundu ed iniziarono a caricare tutto il necessario, incluse armi quali due pistole per i coniugi e due fucili e pistole per i droni, in caso di necessità. Nel frattempo, vennero chiamati altri:
«Dottor Orca, dottoressa Methra: voi, Dean e immagino la Matricola andrete verso Sud. C’è una grande densità di piccole creature e c’è anche da attraversare la foresta in effetti. Avrete modo di dare un’occhiata a quello che sembra essere il solo scenario del pianeta. C’è anche una sorta di lago e il segnale della enorme creatura vista dalla dottoressa Arzem sembra essere ancora lì, o almeno credo. Non la vedo più ma non ci sono segni di spostamenti, voglio che indaghiate. Signor Bak, vuole accompagnarli? Con una creatura così grande lei potrebbe essere più… adeguato.»
Si riferì all’omone corazzato al servizio del Maggiore. Ma Bak rispose negativamente:
«Il novellino se la caverà benissimo, o non avrà la cena. Hahahah. Scherzo, ma credo che il Maggiore mi voglia di guardia qui, signore.»
Kakkurus intervenne in sua difesa:
«Professore, ho bisogno che rimanga con me. Si fidi.»
«D’accordo, faccia come desidera. Bene, ragazzi. Io, il Maggiore e il Signor Bak rimarremo qui ancora per po'. Poi voglio fare un giro anche io e spero che uno di questi gentiluomini accompagni un povero anziano a fare una passeggiata.»
Il team si preparò alla partenza.
Dean esultò dentro di sé, fremeva dalla gioia di poter ancora una volta stare insieme alla sua amata e voltava lo sguardo verso Methra di tanto in tanto, che lo ignorava bellamente, concentrata sui suoi bagagli.
Urtus Bak rientrò nella navetta, lentamente e in un momento in cui il professor Juris era distratto ad osservare il cielo di quel pianeta visto dalla sua superficie: sembrava non ci fosse atmosfera, stelle bianche su sfondo nero come nello spazio aperto, eppure vi era luce, donata da un sole molto distante.
Il Maggiore lo seguì all’interno e dopo pochi minuti ne uscirono insieme.
Il professore sospettava qualcosa ma fece finta di niente e continuò ad ordinare dati e letture sugli schermi davanti a lui, girando ogni tanto gli occhi sulle due figure armate e corazzate che confabulavano tra di loro, dandogli le spalle.
Una volta partiti tutti e rimasto solo, incalzò:
« Si può sapere cosa sta succedendo, Maggiore? Sappiate che ho notato la manomissione ai radar. So che c’è un segnale “familiare” da queste parti. Parli, Maggiore Kakkurus, non ho paura di uomini come lei.»
I due soldati si guardarono per un attimo e poi Kakkurus rispose:
«Bene, professore. La faccenda delle falsificazioni e del tenervi d’occhio sono solo per far tacere alcuni membri del consiglio. La mia vera missione è un’altra…»
Gli occhi del professore rabbrividirono alle sue parole e rimase in silenzio ad ascoltare.
 
Arrivarono per primi le due coppie, di alieni e robot, sfrecciando sulla Odd-1 sopra il livello degli alberi e saltando quando essi non coprivano più il verde terreno.
Una folata di vento e il velivolo atterrò, con alle spalle un fitto bosco e davanti una montagna rocciosa traboccante di fluido arancione alla sommità, come una ferita insanguinata.
Pundu verificò le letture sullo schermo e fece cenno ai droni che estrassero il fucile da dietro le spalle e scesero, impugnandolo dritto davanti a loro come soldati.
«Pfossibile fauna aggressiva, resto in pfosizione con la Odd. Tieni a pfortata le pfistole, cara.»
«Non essere sciocco, non c’è odore di morte.»
Disse con decisione, mentre lei e Pundu osservavano ancora l’affascinante orizzonte.
Scesero infine, ordinando ai due droni di preparare il loro piccolo campo dotato anch’esso di scudo di forza.
«Dovremo avvicinarci alla montagna pfrima o pfoi cara, non credi? Ma ci sono quei bestioni laggiù.»
«Non preoccuparti, caro. Dai rapporti vasculiani sembra non mangino carne.»
«Oh…Allora tutto ok!»
«Ma posseggono poche informazioni, ne hanno sterminati un bel po' a quanto vedo. Voglio avvicinarli al più presto. Sembra che le voragini ai piedi del crinale siano le loro tane e che siano fortemente territoriali. Devo farmi riconoscere da loro se voglio avvicinarmi e prendere un campione.»
«E dov’è il pfroblema? Abbiamo tempfo per giocare con quei… Come li chiamano?»
«Briedi.»
«Pfer il Grande Pfrofeta Fungino… Che nome orribile!»
La dottoressa si voltò di scatto, come se si sentisse osservata, e scrutò l’interno della foresta. Ma non vi era niente se non fitti alberi e silenzio, nemmeno un sibilo di vento o uno scrosciare di foglie.
«Mettiamoci a lavoro.»
A quelle parole, lo scudo di forza si attivò e con un lampo di luce azzurra avvolse l’accampamento.
D’un tratto delle piccole scosse distrassero i presenti, i droni estrassero le armi e le puntarono verso il crinale roccioso alle spalle dei due alieni.
«Arriva qualcosa!»
Gridò Pundu, mentre i droni scattarono verso Arzem in sua difesa.
Dopo un trotto sempre più pesante e sonoro, una creatura enorme e terrificante gli si parò di fronte: sei zampe artigliate reggevano un corpo dotato di coda lungo circa dieci metri, somigliava ad una lucertola dal ventre pallido ma dal dorso corazzato da scaglie dello stesso colore delle foglie degli alberi intorno; la testa era sorretta da un collo possente, armata di fauci acuminate e bavose e con indosso una corona, fatta di ossa che partivano dal centro del cranio come raggi di una ruota per poi incurvarsi all’insù all’altezza degli occhi.
Il briedi assunse una posa fiera, tirando su la testa e guardando il gruppo con aria di superiorità.
«Siamo morti…»
Suggerì Pundu, mentre la moglie lo interruppe subito:
«State fermi, voi due! Non sparate! Tesoro, ti prego sii uomo una volta tanto. Con i droni lo si può ingannare, ma serve che non gli dimostri paura o debolezza. Possono fiutarla e scrutarla tra i tuoi occhi, anche se hai la visiera.»
Pundu allora gonfiò il petto, motivato dal velato insulto della moglie che leggeva sempre di uomini prodi e valorosi nella letteratura umana e restò in silenzio ad osservare gli avvenimenti.
La creatura sembrò chinare il collo, diventando meno aggressiva. Fece un paio di lenti passi in avanti e avvicinò il muso all’essere più grosso della zona: la Odd-1, parcheggiata fuori dal campo difensivo.
«Hey, hey! Sciò, via da lì!»
Provò Pundu, che era a pochi passi dalla navetta e dalla creatura.
«Caro, non lo disturbare!»
Provò a sgridarlo Arzem ma il mostro non sembrò dare attenzioni a Pundu.
Annusò per un po' il mezzo di trasporto, la toccò con la punta del muso e poi piegò la testa verso il piccolo professore alieno che intanto gli intimava di andar via come fosse una mosca.
La creatura diede ascolto a Pundu ed anzi sembrò fare un sorriso con il taglio della bocca. I nidoriani se ne accorsero e pensarono ugualmente nelle loro menti che fosse una personale impressione. L’attenzione però fu ancora distolta da altri tremori: al trotto, arrivarono altre due creature, simili al gigante che avevano di fronte ma più piccole e dalla corona dai corni di altezza diseguali. Il gigante si unì a loro e lasciarono in pace il piccolo gruppo.
Infine i due ordinarono ai droni di continuare col loro lavoro, si diedero poi ad effusioni: Pundu saltò in braccio alla sua donna e, levatasi la maschera, iniziò a baciarle il bianco ed inespressivo viso con la sua faccia viola e piena di punti gialli costellati qua e là.


A piedi, il ritmo del secondo team era scandito dal passo costante e cadenzato della Matricola, seguita dalla dottoressa Methra ed infine da Orca e Dean a chiudere la fila che marciavano in direzione del lago.
Strani ragni, grossi e ricoperti di arbusti, li avevano avvicinati durante il tragitto con fare guardingo ma curioso. Methra lesse i dati raccolti dai vasculiani e sembrava che le creature non mangiassero altro se non i Grik, i bipedi conici che si erano allegramente schiantati contro la navetta. In effetti non le parvero carnivori e Orca Valis, con alcuni impulsi sonori, li aveva avvicinati sempre più facilmente. Sembrava che non gli piacesse il contatto col suolo, preferivano rimanere sugli alberi finché qualche elemento coraggioso decise di saltare in groppa a Dean, generando urla di terrore e suscitando l’attenzione della Matricola che puntò il fucile verso il ragno:
«Non si muova, signor Dean. Me ne occuperò io.»
«No, aspetta Matricola! Dean, anche tu per favore non esagerare. I Maol non mangiano altro che grik, tu sei un grik? Lascialo in pace e non ti morderà.»
Alcuni esemplari di maol iniziarono a cadere dagli alberi per agganciarsi con le zampe alle spalle, altri più piccoli alle gambe o sulla testa del team. Ormai la dottoressa li considerava innocui, a differenza di Dean che continuava ad avere una faccia schifata ed Orca che lo osservava ridacchiando mentre accarezzava uno dei maol. La Matricola invece fu stranamente gentile nel rimettere i ragni che aveva addosso sui rami, non desiderava essere toccato.
Proseguirono fino all’incantevole lago dal diametro di almeno duecento metri, dal fondale quasi dorato e dalla superficie spumosa e bianca: le creature coniche che ore prima si erano schiantate sulla loro navetta, ora popolavano le rive della pozza. Alcuni si tuffarono giocosi e poi ne riuscirono leggermente più grandi, sembrava fosse il loro modo per nutrirsi e crescere.
«Accidenti, questo non c’era scritto nei rapporti vasculiani. Ma che razza di idioti… Non si prendono nemmeno la briga di riportare cose così evidenti?»
La dottoressa rimase affascinata dal gran numero e dalle dimensioni che alcuni di quegli esemplari raggiungevano come uno da tre metri d’altezza con al seguito altri piccoli. Ma qualcosa la distrasse ancora:
«Ehm… Dove sono finiti i maol?»
Le creature che si portavano in groppa svanirono nel nulla, silenziose e senza che nessuno lo notasse al tatto. Con la coda dell’occhio notò muoversi qualcosa sul terreno verde giada e subito un ragno sbucò dal nulla, azzannando uno dei grik più piccoli.
Le foglie sulla pelle dei maol divenne del colore del terreno e ingannando l’unico occhio dei deboli grik, iniziò una specie di battuta di caccia in cui i predatori afferravano a colpo sicuro e le prede rimanenti fuggirono saltando o correndo in tutte le direzioni dentro la foresta.
Però qualcosa iniziò a far tremare il terreno, il liquido del lago iniziò a vibrare e ad oscillare per poi far gorgogliare qualcosa al suo interno.
I ragni che avevano catturato la loro preda, le trascinarono lentamente verso l’interno del bosco; quelli invece che avevano fallito si diressero verso il gorgoglio nel lago e ad un tratto ci fu come un’esplosione: un grik di dimensioni nettamente differenti si librò in volo per poi schiantarsi sulla sponda opposta del fiume, ovvero quella degli scienziati, schiacciando i ragni restanti.
Era alto sui quindici metri, Dean e Methra avevano lo sguardo puntato in alto verso il suo unico grande occhio che li fissava a sua volta, mentre Matricola e Orca indietreggiarono.
La creatura conica però non vide aggressività nei loro occhi e piegando le zampe saltò in alto per poi schiantarsi qualche kilometro più a Sud con un piccolo terremoto.
«Ok… Questo è stato pericoloso.»
Aggiunse Dean, poi continuò Methra:
«Ragazzi, prendiamo qualche campione in fretta. Voglio tornare al campo e chiedere a Urtus Bak di accompagnarci a cercare quel gigante.»
«Sei sempre la solita, tu. Ma non ci bastano i grik più piccoli?»
«Tecnicamente si, ma vuoi lasciarti scappare l’occasione di vivere un’altra avventura… con me?»
Il ragazzo chinò il capo, Orca sghignazzò e la Matricola si mise a verificare la sicurezza dell’area.
Esplorarono un po' la zona: Orca raccolse campioni di fluido dal lago, di sangue e resti di grik e maol uccisi, Methra ordinò i dati e fece qualche altra ricerca, la Matricola fece un enorme turno di guardia e Dean aiutò i due dottori finché non ebbe qualche minuto di libertà mentre i due finivano i preparativi per il rientro. Così decise di fare una passeggiata tra gli alberi vicini.
«Signor Dean, non si allontani troppo, la prego.»
«Tranquillo, amico mio. Voglio solo dare un’occhiata.»
Methra ascoltò in lontananza, lanciò uno sguardo a Dean e poi alla Matricola che lo stava fissando a sua volta. Gli fece un cenno col capo e il soldato iniziò a tenere d’occhio l’assistente.
Dean vagabondò tra gli alberi, i maol e i grik erano spariti e lui poté quindi saltellare e fare rumori con la bocca per la noia, mentre si guardava intorno.
Un luccichio lontano però riaccese la sua attenzione. Il ragazzo si fermò e si zittì, Matricola non si fece notare ma non notò a sua volta ciò che Dean vide: una figura umana, femminile, avvolta in un mantello lo stava osservando per poi nascondersi dietro il tronco del lontano albero.
Dean non poté credere ai suoi occhi. Verificò l’integrità del casco e notò che alcuni parametri tra cui l’ossigeno erano sfasati di poco. Riequilibrò la tuta ed effettivamente sentì una sensazione di freschezza e benessere. Si concentrò ancora su quel lontano punto e non vide più la ragazza.
Phewww, dannazione ci mancavano solo le allucinazioni.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Il secondo team rientrò dopo dodici ore dall’atterraggio della Opticon, quello invece del dottor Pundu rimase al crinale. Al loro arrivo, il campo era vuoto:
«Hey, dov’è il professore?»
«Sarà andato a farsi la famosa passeggiata, Dean. Sta tranquillo torneranno.»
Matricola rimase un po' allibita:
«Strano, secondo il protocollo dev’esserci almeno un uomo di guardia qui alla navetta.»
«La Matricola ha ragione, non ti pare un po' strano? Credi gli sia successo qualcosa?»
La dottoressa non seppe cosa rispondere. Ordinò agli altri di stilare i rapporti e di catalogare il materiale.
«Bhé, non ci resta che attendere.»
Dopo un paio d’ore infatti i tre assenti rientrarono.
Il professore, con alle spalle i due soldati, aveva una faccia sconvolta e immersa nei pensieri.
«Professor Juris, finalmente! Dove siete stati?»
Incalzò Dean ma non ebbe una risposta immediata. I due soldati si guardarono tra loro e Kakkurus sussurrò:
«Professore…»
«Oh, oh. Hey, ragazzi! Com’è andata la spedizione? S-scusatemi mi sono addentrato troppo, ignorando gli avvisi del Maggiore e abbiamo fatto tardi.»
Le parole del professore destarono sospetto in Methra, mentre Orca e Dean lo raggiunsero allegramente informandolo delle novità e parlandogli dell’enorme grik.
Il professore finse interesse ma i due erano troppo ingenui per capirlo, Methra però intuì che qualcosa non andava e iniziò a fissare il Maggiore con uno sguardo torvo di sfida.
I soldati la guardarono di rimando e la ignorarono, rientrando nella navetta.

La notte e il giorno non esistevano su Ember ma potendo mantenere i ritmi circadiani nella navetta, gli umani andarono a dormire nei loro alloggi. Gli unici a rimanere svegli furono Urtus Bak di guardia all’esterno della navetta, il professor Juris  impegnato a bere whisky in solitaria nel suo alloggio personale e Orca Valis intento a creare un nuovo intruglio per la sua pelle.
Un dolore lancinante al cervello svegliò di colpo Dean, facendogli emettere un gridolino. Sudato, il ragazzo si alzò dal letto e si affacciò all’oblò della sua stanza che dava all’esterno verso i boschi.
Che diavolo è stato? Di solito non ho mai incubi o sogni… Maledetto pianeta.
Si passò le mani tra i capelli chinando il capo per poi rialzarlo e rimanere sbigottito: la ragazza era lì, tra gli alberi. Gli sorrideva e lo guardava dritto negli occhi di rimando.
Il ragazzo rimase paralizzato, sbatté le palpebre e la ragazza svanì. La cerco a destra e a sinistra ma d’un tratto sbucò dal basso, proprio davanti al suo oblò.
«Oh, cavolo!»
Il cuore stava per esplodere, lo sentiva chiaramente.
Impossibile, impossibile! C’è il campo di forza, come ha fatto?
La ragazza sembrava nuda sotto il grigio mantello ed incappucciata, le si potevano vedere le punte dei mossi capelli rossi. Aveva dei lineamenti graziosi e degli occhi azzurri che misero in dubbio il suo amore per Methra. Ormai stava con le mani contro il pannello, a bocca aperta. La ragazza lo fissò e gli sorrise ancora per poi poggiare la sua mano sopra la sua.
D’un tratto la sua testa si voltò a sinistra, notò il pericolo e fuggì dalla parte opposta.
Dean guardò prima a destra, poi verso ciò che l’aveva spaventata: la Matricola, con in braccio un fucile, che veniva nella sua direzione. Stava facendo la guardia da ore ormai ma in quel momento non sembrò turbato dalla presenza di qualcuno, stava solo pattugliando l’area.
Il cuore del ragazzo si calmò sapendo che almeno la ragazza non era stata scoperta.
Rimase ore ed ore in attesa che la rossa si ripresentasse, gli vennero le occhiaie e a causa della mancanza del giorno e della notte, non udì il bussare alla sua porta nei primi minuti.
«Sveglia, Dean! Vuoi fare tardi? Guarda che è per queste cose che vieni pagato così poco!»
Il ragazzo si svegliò dal torpore. Si accusò di essere uno stupido e di aver sognato ad occhi aperti.
Andò alla porta, la aprì e con l’aria di uno a cui mancavano parecchie ore di sonno, disse alla collega:
«Non… non credo di star bene. Vado da Orca e sarò subito da voi.»
Lo disse con stanchezza e per la prima volta, senza entusiasmo nel rivolgersi alla sua amata Methra.
«O-ok, Dean. In effetti ti vedo un po' provato. Io però sto bene, hai forse toccato o ingerito qualcosa che non dovevi nel bosco vicino al lago? Matricola però ha detto di non averti…»
«Sto bene, Methra. Scoprirò cosa mi prende da Orca. Ora se vuoi scusarmi…»
La interruppe per congedarsi e chiudere la porta. Dean si passò ancora le mani tra i capelli, stringendoli stavolta e tirando per sentire dolore.
Che cavolo hai!?
La porta dell’infermeria si aprì, facendo entrare uno stanco Dean dalle occhiaie nere.
Orca lo salutò con un verso:
«No. Sonno? Vieni. Orca. Aiuta.»
«Guarda che non devi chiamarti Orca anche davanti a me se non vuoi.»
L’irtus preparò una speciale pistola che poteva scansionare il cervello dell’umano, facendo un lieve sorriso.
«Ti avviso subito che non ho dormito ma non sono entrato in contatto con questa stupida atmosfera. Voglio dire, il professore e Methra stanno bene. Io però credo di avere le allucinazioni.»
«Allucinazioni?»
«Si. Credo di aver visto un altro umano su questa roccia inesplorata.»
Valis emise un suono che per la sua specie equivaleva ad una risatina affettuosa.
«Tu. Forse. Pazzo. Davvero.»
Passò la pistola scannerizzando il suo cranio e ne lesse i risultati, per poi mostrare lo schermo anche al ragazzo.
«Tu. Bene. Forse. Pscicologia? Arzem. Serve.»
«Lo so, lo so. Ma che ci posso fare allora? Prenderò gli integratori SC-4 e spero che mi aiutino. Le allucinazioni sono comuni tra i viaggiatori, no?»
«Non più. Da tempo. Ma succede.»
«Ma guarda che sfiga… Senti, posso dormire un paio d’ore qui? Una visita di ore è un po' esagerata ma puoi sempre dirgli che sono svenuto, no?»
Il ragazzo e l’irtus si scambiarono un sorriso. Dean si poggiò sul lettino della sala operatoria ed iniziò a prendere sonno mentre Orca continuò il lavoro sugli unguenti.
Qualche ora dopo, i due giovani si incontrarono nel mezzo dei loro compiti:
«Dean, dove sei stato? Sono ore che non ti vedo. Non avrai dormito ancora, spero.»
«No, sta tranquilla. Te l’ho detto, sono passato da Orca e poi mi sono messo a lavoro con dei carichi nella stiva. Cose che servivano a lui. Tu, piuttosto? Ti vedo nervosa.»
«Penso… penso ci sia qualcosa che non va con questa missione.»
«Prego?»
«Il Maggiore e i suoi uomini, la loro presenza qui. Non può essere solo per tenerci d’occhio.»
«Ma di cosa stai parlando? La Matricola mi ha detto tutto.»
«Tutto cosa?»
«Che sono qui per tenere d’occhio il professore, non voleva si sapesse ma io lo sai riesco a far parlare tutti.»
«Ma che… No, assolutamente no!»
«Cosa?»
«Quella dev’essere una copertura. Deve esserlo!»
«Methra, per favore spiegati!»
«Circa un’ora fa ho visto il professore uscire dalla cabina del sonar. Deve aver analizzato qualcosa con le strumentazioni lì.»
«E quindi?»
«Ma sei scemo? Il professore non ha MAI fatto una scansione o altre analisi di persona, le ha sempre fatte fare a me. A me! Non che mi senta scavalcata ma… Ci sta tenendo nascosto qualcosa.»
«Oddio, sei davvero così malata per il protocollo?»
«Dean, non prendermi in giro. Sono seria. L’ho visto parlare col Maggiore Kakkurus subito dopo ed ha ordinato ad Urtus di prendere la lancia di terraformazione.»
«Li hai sentiti tu? La lancia non la usiamo da tempo e non possiamo nemmeno usarla qui!»
«Si che li ho sentiti! Proprio per questo è strano! Quell’arnese potrebbe usarlo solo Orca oppure uno grosso come Urtus. Non credo si tratti di campioni ed esperimenti, Dean. Vogliono scavare. Stanno cercando qualcosa!»
«Calmati, Methra, non gridare.»
«Si, certo, scusami.»
La ragazza era visibilmente turbata, ingenua in quanto a imprevisti. Temeva il peggio in situazioni a lei sconosciute.
Il ragazzo però non se ne accorse poiché gli tornò in mente la visione di quella notte, la ragazza:
Può essere? No, che c’entra? Loro vogliono scavare. Ma allora, forse non era un’allucinazione. Se la stessero cercando? No, nessuno sa di lei. Urtus non l’ha notata. Avrebbero già fatto qualcosa se fosse così.
La sua testa era immersa in una miriade di ipotesi mentre il dialogo tra i due fu interrotto proprio dal Maggiore Kakkurus: i tre si lanciarono occhiate di sfiducia e sospetto mentre il soldato superava i due, distogliendo lo sguardo e dirigendosi verso il professore in lontananza.
«Ma-maggiore!»
La ragazza trovò il coraggio di parlare mentre Dean la guardò come se avesse appena fatto l’errore più grande della sua vita:
«D-dobbiamo parlare. Andiamo dal professore.»
Il Maggiore la guardo freddamente ma non ebbe da ridire e si fece seguire.
«Professore, non so cosa sta succedendo ma lei e questi… bruti, state nascondendo qualcosa.»
Il professore e il Maggiore si guardarono:
«Glielo dirò, Jean. Non posso tenerli lontani come vedi, non sono bravo nemmeno a mentire.»
C’era del risentimento nelle sue parole; si tolse gli occhiali e guardo i due giovani sconvolti.
«Ho analizzato un oggetto per loro. Presto io e il Maggiore saremmo partiti verso il bosco ma… A questo punto credo di dovervi invitare. Sarà meglio che lo vediate coi vostri occhi, piuttosto che spiegarvelo.»
I due si guardarono con aria interrogativa, il Maggiore invece vide in lontananza, alla spalle dei due che non si accorsero di nulla, dei lampi di luce intermittenti.
«Professore, credo sia ora di partire. Portate pure i ragazzi, la cosa importante dovreste sapere qual è.»
«Terremo la bocca chiusa, glielo prometto.»
Disse Dean. Il professore concluse il rapporto davanti ai presenti, decretando il pianeta come non abitabile a causa dell’atmosfera e del divieto di terraformazione per renderla tale.
«Stavolta me lo permette, vero Maggiore?»
«Certo, professore. Sono testimone della bellezza e dell’altrettanta inospitalità di questo pianeta. Ma è ora che i ragazzi sappiano qual è il vero obiettivo della missione.»
I tre si prepararono e scortati dal Maggiore uscirono dall’accampamento, lasciando la riposata Matricola a guardia.
Dopo un estenuante cammino verso Sud, voltarono ad Est e si addentrarono con precisione nel bosco. Sembrava che il Maggiore ed il professore fossero già stati qui. Non si accorsero delle creature che gli stavano intorno, delle particolari forme di alcuni alberi e di qualche curioso grik. Il soldato era dedito alla sua missione ed il professore troppo impensierito per lasciarsi trasportare.
Arrivarono infine di fronte ad uno spettacolo raccapricciante: Urtus Bak era già sul luogo, seduto su una roccia e con a fianco il suo vulcan ancora fumante e la lancia di terraformazione; alle sue spalle vi era il colossale grik che Methra e Dean videro il giorno prima solo che ora era inerme a terra, crivellato di buchi neri causati dai proiettili radioattivi di Bak.
La dottoressa ebbe da ridire:
«Oh, no! L’avevamo incontrato ieri! Volevo cercarlo e voi…voi…»
Dean la confortò afferrandole le spalle:
«Sta tranquilla, Methra. Non potevamo farci niente fin dall’inizio.»
Il gigante corazzato si alzò e fece il saluto militare al suo superiore per poi condurre il gruppo verso quella che sembrava essere la ex tana del grosso grik: una voragine profonda e con un alone arancione si apriva di fronte a loro. La fossa era poco più grande del suo inquilino e sul fondo vi scorreva un sottile strato di lava ma non era quello che turbò i due giovani.
Da un lato della fossa, sporgeva la punta di una navetta spaziale: una capsula di salvataggio logorata dal tempo, visibilmente fabbricata da mani umane. Una scritta era appena leggibile da sotto quello che sembrava essere lo sporco pannello della cabina: Daughter.
Sembrava che Urtus avesse scavato tutta la notte, lasciando un doppio turno di guardia per la Matricola.
Aveva provocato ed ucciso l’enorme grik ed ora, davanti agli sbigottiti occhi dei presenti, si apprestava ad agganciare un cavo collegando la sua cintura alla punta del relitto.
Cliccò sul piccolo schermo posto sul braccio sinistro e fece detonare una piccola carica nel terreno sopra la navetta, dopodiché si librò in volo con due propulsori dalla fiamma azzurra posti ai fianchi della tuta.
Con la spinta dei razzi, la sua immensa forza e l’esoscheletro di potenziamento sollevò in aria l’ormai libera navetta: la afferrò in volo con entrambe le braccia e discese lentamente per poi poggiarla sul terreno come un fosse leggera e maneggevole.
Il ragazzo rimase impressionato dal potere di quella tuta; prese la mano della collega e si avvicinò al relitto.
Il professore li seguì mentre Urtus aprì la cabina forzandola con le mani.
La Daughter era lunga poco più di tre metri, solo una capsula di salvataggio a due posti.
Il suo contenuto stupì tutti: vi era un umano morto e quasi perfettamente conservato, con venature blu sulla grigia pelle ed un uniforme della prima era del Clan Celeste. Si trovava sdraiato ed inerme in una sorta di lettino, la seconda postazione invece era vuota e tutti i collegamenti della capsula erano bruciati o assenti. Non sarebbe mai potuta ripartire.
Il professore fu in grado di vivere a lungo grazie alle nuove tecnologie in campo medico ma i due presenti erano comunque troppo più giovani di lui, appena una trentina d’anni ciascuno.
Gli avvenimenti storici nel tempo potevano essere distorti o ignorati e la leggenda della Foundress rimase tale dopo una serie di scandali per confermarne la veridicità.
Si affiancò ai ragazzi e domandò loro se sapevano qualcosa riguardo quella navetta.
I due negarono. Così si sentì in dovere di narrare tutto l’accaduto:
«Non credo in effetti che abbiate letto della Foundress, la fondatrice, all’accademia. Accadde più di tre secoli fa ed il Clan Celeste non ci mette niente a cancellare le cose che non vuole che la gente sappia. Io lo so perché ho le conoscenze giuste ma… lasciate che vi spieghi.
La prima missione del Clan Celeste, subito dopo la sua fondazione, fu quella di inviare una enorme colonia umana in giro per la galassia. Team come il nostro erano incaricati di esplorare i pianeti vicini e decretare la possibilità o meno di lasciare dei coloni sul luogo. Tutto questo in volo, orbitando nei dintorni della Foundress che non poteva mai fermarsi. I motori furono progettati per non essere mai spenti e non potendo saltare nell’iperspazio visto l’ingente carico di umani e attrezzature, avrebbe dovuto volare a velocità di crociera per diverse centinaia forse migliaia di anni terrestri.
La capacità credo fosse sui due miliardi di umani, di ogni sesso, età e mestiere. Doveva davvero essere una “fuga” con l’intenzione di trovare più spazio altrove ed iniziare ad espandere il territorio umano.
Ma qualcosa andò per il verso sbagliato. Ci fu una cospirazione globale ai danni del Clan stesso.
Per una volta, finalmente per una sacrosanta volta, le menti migliori del pianeta, artisti, scienziati e rivoluzionari, unirono le forze per falsificare ogni documentazione e corrompere ogni uomo possibile per ingannare l’occhio del Clan.
Così il giorno della partenza, a intraprendere quel lungo viaggio di speranza ed in gran segreto, furono persone non selezionate col solo obiettivo di fuggire da quel pianeta e da quella società imbarazzante e ottusa e per poter avere una ventata d’aria fresca.
Rubarono la Foundress e vagarono nell’universo sconosciuto, utilizzando i protocolli originari ed esplorando i dintorni. Sembra che la Daughter sia venuta qui per cercare un buon posto in cui sistemarsi ma credo abbia fallito.
Comunque sia, si persero le tracce della gigantesca nave spaziale. Nessuno l’aveva vista eppure era davvero colossale! Niente segnali radar o termici o avvistamenti da parte di satelliti o altro, svanita.
In seguito si seppe, o almeno si arrivò a capire che, la Foundress si era schiantata su un pianeta. Nessuna delle navette che mandò in esplorazione tornò con buoni risultati ed alcune non tornarono affatto.
Sta di fatto che il Clan non volle accettare l’onta subita e cancello dai registri gli avvenimenti della Foundress, spacciandone lo smarrimento come un guasto tecnico e l’annullamento della missione.
D’altro canto, nessuno di quelli che sarebbe dovuto partire, partì effettivamente. Quindi tutti se la bevvero, ignorando la scomparsa di quelle persone che tutti avrebbero comunque ignorato.
Ebbene, credo che abbiano rilevato un segnale da questa navetta e che abbiano incaricato noi e il Maggiore di occuparci della questione e scoprirne qualcosa.
Non hanno molte informazioni, questo potrebbe fruttarci quanto meno qualche soldo in più visto che dovremo tenere la bocca chiusa.»
I due non poterono credere a quelle parole, si guardarono tra loro, poi uno sguardo al Maggiore ed infine al contenuto della capsula. Ma lo sguardo di Dean era certamente più sconvolto della collega:
Non può essere… Lei è…
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Dopo l’accaduto, solo Orca venne informato del duplice obiettivo della missione, mantenendo il segreto invece per i coniugi nidoriani, distanti ed ancora innocenti.
L’atmosfera entusiasta e allegra che normalmente pervadeva i membri della Opticon svanì gradualmente con lo scorrere del tempo fra studi, raccolte di campioni e interazione con le bizzarre specie aliene.
Pundu e Arzem non tornarono mai all’accampamento base, bensì studiarono il comportamento dei briedi e si tennero in continua comunicazione con Orca, il quale invece analizzava comodamente dal suo studio i campioni di roccia e lava che finalmente la dottoressa Arzem era riuscita ad ottenere.
Methra divenne fredda e svolse il suo lavoro con il broncio e come un automa.
Il professore e i tre soldati scambiavano spesso dialoghi segreti; si sapeva avessero parlato col governo centrale, comunicando la scoperta del relitto e ricevendo l’ordine di indagare ancora e trovare il secondo corpo o un indizio su quale poteva essere stata la meta successiva della ormai perduta Foundress.
Le cose più strane invece accaddero a Dean: dopo aver visto la Daughter e aver collegato l’assenza del secondo corpo, senso di colpa, curiosità, amore e dovere si mescolarono nella sua testa.
Il suo animo si spense come quello degli altri, soprattutto dopo le innumerevoli notti passate in piedi ad attendere una nuova manifestazione di quella splendida ragazza dai capelli rossi.
Dopo due mesi le sue speranze trovarono un minimo di conforto: la ragazza si presentò ancora all’accampamento, senza avvicinarsi all’oblò stavolta. I due passarono ore a scambiarsi dolci sguardi finché lei decise di svanire ancora.
La terza volta fu dopo un altro mese, stavolta Dean fu incaricato di scaricare le latrine e svuotarle in un piccolo orto che il professor Orca aveva creato per le sue erbe, essenziali agli unguenti.
Finito di scaricare i secchi, udì un frusciare di rami; i ragni maol non osarono più avvicinarsi all’accampamento ed i suoi colleghi erano indaffarati e lontani.
Si voltò lentamente e all’esterno del campo di forza vi era la ragazza: dalla pelle candida e avvolta nel suo mantello grigio. Lo salutò con un cenno della mano, sorridendogli.
Dean lasciò cadere i secchi a terra, col cuore in gola. Si avvicinò al campo di forza e disse:
«T-tu sei… Quella che stanno cercando.»
Una voce molto femminile e acuta gli rispose:
«E’ così che ci si presenta ad una signorina?»
«C-cosa?»
Le guance di lei arrossirono un po', poi continuò:
«Bhé… Piacere, sono Katy.»
«D-Dean. Ma cosa… No, aspetta. Sei umana?»
«Certo che lo sono. Non proprio come intendi tu, ma si. Lo sono.»
«Che vuoi dire?»
La ragazza aprì il mantello, mostrando il nudo corpo privo di capezzoli all’agitato ed ormai eccitato assistente. La morbida pelle del ventre si increspò per poi separarsi sull’ombelico e rivelandone le interiora: circuiti, tubi e cavi con led che brillavano ovunque.
«Oh, Dio mio. Sei un cyborg!»
«Non un cyborg, un’umana. U-M-A-N-A.»
«Ma allora…»
Balbettò indicando il suo ventre.
«Ti spiegherò, un giorno. Ora devo andare, quando c’è quel bestione non riesco ad avvicinarmi.»
«No, no aspetta! Dove vai? Dove vivi? Come fai piuttosto a non essere morta con quest’aria.»
«Sono umana ma il mio corpo è artificiale al novantasette percento, posso vivere anche nello spazio aperto caro mio. E non ho certo bisogno di mangiare, bere o dormire.»
Disse sorridendo e riducendo gli occhi ad una fessura.
«Sento che sto per svenire. Non ci capisco più niente.»
«Allora andrò via, prima che ti venga un infarto.»
Lei ridacchiò maliziosa, lo salutò con un cenno della mano e fece un occhiolino per poi girarsi e svanire nella foresta.
Dean la vide letteralmente svanire, probabilmente dotata di un mantello mimetico che la rendeva invisibile.
Il giovane assistente non disse mai a nessuno dei suoi incontri segreti, ma il tempo scorreva in fretta. Circa due volte a settimana i due riuscivano a vedersi o tramite l’oblò o ai confini del campo quando gli altri non guardavano.
Lei però si fece più coraggiosa e chiese di poter entrare nei suoi alloggi, un giorno o l’altro.
E l’occasione non tardò ad arrivare al sedicesimo incontro, il quinto mese: approfittò del turno di guardia della Matricola che puntualmente andava in bagno alla stessa ora. Lei riuscì ad intrufolarsi nell’accampamento come faceva di solito quando raggiungeva l’oblò e Dean non riuscì mai a farsi spiegare come facesse ad eluderlo. Si incontrarono fuori e si presero per mano; lui la portò attraverso il portellone e fin dentro la sua stanza dove entrarono sorridenti ed entusiasti.
«Ssshhh, vuoi che ci sentano? Finirò nei guai se ti trovano!»
I due passarono quella e successive notti a parlare del più e del meno.
«Sai, noi siamo sopravvissuti alla fine.»
«Bhé, lo vedo. E siete tutti cyborg?»
«Si, tutti tutti. E siamo umani, accidenti a te!»
Parlarono degli eventi storici passati di cui lei non era a conoscenza così come della misteriosa fine della Foundress la quale davvero si era schiantata contro un pianeta.
Fortunatamente per la nuova colonia, gli narrò Katy, riuscirono a trovare un pianeta adeguato.
«Dovevi vedere i comandanti e gli scienziati, erano davvero contenti. Non trovammo mai niente di interessante se non quel pezzo di roccia deserto. Aveva l’ossigeno necessario ed anche dell’acqua, ti rendi conto? Acqua!»
«Aspetta, ma quanti anni hai?»
Dean ascoltava sempre con attenzione e un sorriso stampato sulla faccia, chiaramente innamorato della rossa, nuda e selvaggia sconosciuta.
«Poi ci evolvemmo ancora. Sai, senza religione e governi tradizionalisti, raggiungemmo un livello tecnologico superiore. Davvero, oltre ogni tua più fervida immaginazione. Ti basti pensare che abbiamo tutti questo genere di corpo! Siamo più forti e veloci, processiamo idee e calcoli ad una velocità nettamente superiore. Il nostro stesso pianeta è diventato un ammasso di metallo fumante, con palazzi che hanno superato ormai l’atmosfera. Sai, non siamo diventati poi così diversi dagli umani da cui ci siamo allontanati.»
«Ma allora, perché sei qui? Mi hai detto che non sei tu quella che cercano.»
«No, io sono stata mandata qui successivamente. Vedi, io, come altri, sono stata esiliata.»
«Esiliata?»
«Si, esiliata. La pena di morte non esiste e siamo abbastanza forti da poterci difendere da soli quindi l’unica cosa per eliminare i problemi a Megacy è l’esilio. Io ed altri siamo stati mandati via poiché volevamo… ecco, mi vergogno un po' a dirlo dopo tutto ciò che abbiamo causato ma… volevamo tornare umani, in carne e ossa non in metallo ed elettricità.»
«Ed immagino sia proibito, da voi.»
«Esattamente. A Megacy sono odiate le due C: Carne e Confronto. C’erano alcuni di noi che avevano capito come regredire la mutazione delle nostre carni in materiale solido e freddo ma vennero banditi, così come quelli che provarono a condividere le nostre nuove scoperte sia con le altre specie aliene che con i vecchi umani. Credo che la maggior parte di loro ora sia al relitto della Foundress, in una città di fortuna a vivere come meglio possono.»
I racconti andarono avanti per i mesi a seguire, con un Dean sempre più coinvolto. Finché non si arrivò a veri e propri atti sessuali. I due si erano rivelati ogni loro lato nascosto ed era nato un rapporto di piena fiducia, totalmente all’oscuro del resto del team.
Un giorno però un incidente destò pesanti dubbi nella mente di Dean.
Una notte, durante il solito turno dell’ignara Matricola, Dean e Katy uscirono dalla navetta come se nulla fosse, ridacchiando e dimenticando la ronda del giovane soldato e mentre il resto del team riposava.
I due si fermarono, lui si parò davanti a loro col fucile puntato sulla ragazza.
«Chi è lei? Signor Dean, risponda o dovrò arrestarla.»
Lo sgomento e la vergogna presero il sopravvento. Dean notò uno sguardo assassino negli occhi della sua nuova ragazza e non fece in tempo a fermarla:
Oh, merda.
«Aspetta…!»
Con una velocità fulminea e un violento schianto, l’umano potenziato scattò davanti al soldato e lo colpì con un pugno in piena visiera, scaraventandolo qualche metro più in là.
Dean restò a bocca aperta, era nei guai.
La Matricola in qualche modo si rialzò, con l’elmo scheggiato e fiotti di sangue che sgorgavano dall’interno; barcollante, provò a puntare ancora il fucile ma Katy fu più veloce e gli arrivò alle spalle, trapassandogli il cuore con la mano.
«Lascia che me ne occupi io, mio caro Dean. Ma tieni la bocca chiusa o siamo morti entrambi.»
Nelle parole di lei, oltre al sinistro sorriso, c’era qualcosa che non aveva mai percepito, forse perfidia.
Tornò nei suoi alloggi senza dire una parola, si strinse ancora i capelli e guardò fuori dall’oblò dove poté osservare la sua Katy trascinare via il corpo della Matricola.
Sto impazzendo, vero? Ormai abbiamo superato da un pezzo la fase dell’allucinazione…
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Il professor Pundu preparò gli zaini e le razioni e raggiunse la moglie che attendeva fuori dall’accampamento, stringendo fra le braccia un cucciolo di briedi ancora privo di corna.
«Oh, tesoro non ci sarà bisogno di quello. Porta solo la videocamera, ti mostrerò qualcosa di strepitoso.»
Il nidoriano poggiò tutto a terra e lei continuò:
«Oggi è il nostro terzo luniversario annuale amore, non te lo sarai dimenticato spero.»
«Certo che no, sciocchina.»
Rispose con imbarazzo poiché lo aveva dimenticato.
«Ma stavo tempforeggiando pfer inventarmi un regalo.»
Mentì alla compagna mentre lei lo rincuorò:
«Oh, ma sta volta ci ho pensato io. Vieni con me.»
Si presero per mano ed avanzarono verso il crinale. La moglie lo condusse sulla sommità di una bassa cresta, dal quale però si poteva godere di ottimo panorama dell’altro versante.
Estrasse due visori per zoomare verso il branco di creature che abitava quelle terre ed iniziò a spiegare:
«Vedi, questo giorno è speciale anche per loro. I briedi si nutrono di quella linfa arancione che sgorga dalla terra. Lo bevono e ci immergono le uova dei cuccioli ma oggi… oggi viene eletto il Re!»
Alcuni briedi di dimensioni medie e dalle corna irte e robuste andarono a formare un ferro di cavallo intorno ad una sporgenza rocciosa che veniva fuori dalla parete del crinale e si innalzava per una ventina di metri come una spina.
Un maschio enorme iniziò ad avanzare dalle retrovie, circondato da cuccioli in festa i quali, ancora privi di corna, ammiravano quelle del fiero mastodonte: normalmente le corna erano ossa separate che si innalzavano a formare una corona ma questo esemplare aveva sviluppato dei setti ossei tra un corno e l’altro, creando un grosso calice spinato.
«Guarda attentamente caro, ora viene spillato il primo sorso della loro stagione fertile.»
Il nuovo Re si fece strada fin sotto la deformazione rocciosa ed emise un potente ruggito al quale i sudditi chinarono il capo.
«Ora creerà una vasca e ci spillerà dentro le riserve per l’anno. Rilascerà fluido per almeno tre mesi prima di richiudersi.»
Dopo quelle parole, Pundu poté effettivamente osservare il mastodonte mentre schiacciava il terreno sottostante con le sue sei zampe, incrinando e sbriciolando il terreno.
Infine, emise un altro ruggito e si alzò sulle ultime due zampe posteriori, arrivando col collo piegato e le corna vicino la punta della spina di roccia per poi colpirla con un’incornata e riversandosi addosso lava arancione.
Il briedi alfa infine si poggiò a terra e lasciò che il fluido gli scorresse dentro il calice osseo che aveva in testa e, una volta pieno, si spostò lasciando cadere il flusso nella nuova vasca.
«E ora promuoverà i nuovi alfa e benedirà i maschi maturi più giovani.»
Il mastodonte chinò la testa in direzione dei sudditi che la dottoressa aveva descritto, riversando un sorso nelle bocche di ciascuno. Quelli che ne bevevano avevano un’aria del tutto diversa dai soliti sguardi gelidi a cui Pundu era abituato e ne rimase estasiato.
Il rituale ebbe termine e notò che il restante fluido nel calice del briedi venne risucchiato al centro della testa tramite una sorta di valvola.
«E quello? Hai visto che ha fatto? Lo sapfevi questo?»
«Oh, certo che lo sapevo sciocchino. Hanno un’altra bocca lassù, in caso fossero costretti a bere dall’alto come con quella spina di roccia.»
«Affascinante.»
I due si goderono qualche minuto di pace prima che la radio d’emergenza squillasse:
«Si? Pfrofessore? E’ successo qualcosa?»
«Pundu, per fortuna… Senti, dobbiamo parlare. Tornate all’accampamento, smontate tutto. Devo parlarvi.»
La dottoressa Arzem ascoltò e rispose per il marito:
«Professore?»
«Dovrei… ecco, svelarvi un segreto. Ed inoltre la Matricola è scomparsa. Se per caso doveste notare qualcosa di strano nella via del ritorno, vi prego di farmelo sapere.»
I due coniugi si guardarono e si affrettarono alla Odd-1, dove comandarono subito a Conte e Barone di fare i bagagli ed attivare radar termici e di onde radio.

«Impossibile, impossibile! Dove diavolo si è cacciato?»
Le urla del Maggiore Kakkurus svegliarono Dean, ancora intorpidito e confuso dalla nottata.
Si alzò, si vestì ed uscì per capire perché ci fosse tutto quel baccano. Una volta fuori però, vide il team discutere animatamente con sguardi spaventati, altri arrabbiati, altri sconcertati. Il ricordo della notte precedente gli balenò davanti come se avesse provato a dimenticarlo: la sua Katy aveva fatto fuori un membro della spedizione e ne aveva nascosto il cadavere senza lasciare nemmeno le tracce di sangue.
Le relazioni di Dean con il resto dei colleghi si erano deteriorate col passare del tempo; non parlava più di cose personali con Orca come una volta, non usava più modi gentili con Methra ed eseguiva gli ordini del professore come un drone. Sbrigava ogni suo compito col solo scopo di aspettare la notte e rivedere la sua bella Katy.
La discussione sembrava accesa e qualcuno lo notò:
«Eccoti, Dean. Ancora una volta ti sei alzato tardi.»
Il ragazzo non rispose alla provocazione del professore.
«Matricola è scomparso. I suoi dati vitali sono offline e non abbiamo idea di dove sia. Tu sai qualcosa? Sicuro di aver dormito ieri notte?»
Dean si accorse degli sguardi puntati su di lui e rispose con aria fiacca e sguardo privo di energie:
«Si, ho provato a dormire ma non ne so niente. E poi cosa vuol dire svanito? C’è il campo di forza.»
«E’ proprio questo il punto, ragazzino.»
Rispose il Maggiore, mentre Methra lo scrutava con diffidenza.
«E poi stiamo parlando di Matricola. DEVE essergli successo qualcosa, non violerebbe mai il protocollo. Avrebbe avvisato per ogni suo spostamento fuori dal campo. Dobbiamo cercare.»
In giornata rientrarono anche il professor Pundu e sua moglie e furono prontamente aggiornati della situazione, nello sconforto generale. Il restante tempo, così come il giorno dopo ed il successivo vennero impiegati per cercare il corpo della Matricola dentro e nei dintorni del campo.
Ma non se ne seppe nulla ed i giorni passarono ancora. La squadra sembrava un gruppo di fantasmi, provati dalla difficile divisione tra il loro dovere e i loro obblighi.
Ancora un mese di studi sul relitto, sugli animali e sulla ricerca del corpo di Matricola con particolari radar mandati a zonzo per il pianeta.
Ma Dean non vide più la sua amata ed il senso di colpa scavò a fondo nel suo cuore fino a trovare la forza per confessare e testimoniare.
Devo farlo, devo. Affronterò le conseguenze, ma loro la troveranno, giusto?
Raggruppò prima i militari ed il professore e parlò. Parlò di lui e delle visioni e di Katy e dell’incidente con la Matricola. Si scusò innumerevoli volte sotto lo sguardo dispiaciuto del professore e quello furente del Maggiore che lo accusò:
«Urtus, sbattilo in cella. Andiamo a cercare questa sgualdrina.»
Vi prego, non fatele del male.
E l’obiettivo cambiò ancora, con Dean in cella stavolta. Sporco ancora del sangue che Urtus gli aveva fatto versare a suon di pugni per la perdita del commilitone e la codardia.
Dopo un altro mese, venne inviato uno speciale rapporto al governo centrale del Clan.
Il Maggiore aveva novità per tutti: aveva trovato l’umana.
Urtus Bak la portò davanti al campo, sotto gli occhi di tutti. Nessuno proferì parola e la prigioniera venne fatta sfilare sorridente fin dentro la sua cella, affianco quella di Dean.
Katy?
«
Katy!»
Il ragazzo non la vedeva dai tempi dell’omicidio e passò ore intere a guardarla, come incantato.
Lo sguardo di lei si alternava tra il suo e quello degli scienziati che la osservavano ormai da ore:
«Povero. Dean. Lui. Malato.»
«Malato? Di più… Non capisco cosa gli abbia fatto quella strega.»
Disse quasi piangendo Methra, nel vedere il suo ex spasimante ridotto così.
Stupida Methra, non ti impicciare.
«E’ artificiale, quel corpo è completamente cybernetico. Vi rendete conto? Sono sopravvissuti!»
Bastarono poche scansioni al professore per capire il corso degli avvenimenti.
Si, è un cyborg. E allora?
Nonostante la ragazza non proferì mai parola durante i minacciosi interrogatori dei soldati, diede involontariamente informazioni a causa dei continui attacchi hacker che il professore usava per scavare nella sua mente.
Il professore preferiva tenere nascosta questa sua abilità informatica ma ora più che mai era desideroso di scoprire la verità, almeno per trarre vantaggio della difficile situazione in cui era stato coinvolto.
Si collegò agli ultimi dati di memoria, rivelando tutti gli incontri segreti tra i due, compresi quelli più intimi e tutti i loro discorsi. Così tutto il team e, con un altro rapporto anche il Clan Celeste, vennero informati della situazione attuale.
In gran segreto dal resto del concilio, venne inviata una squadra militare aggiuntiva alle coordinate del team, il quale non poteva fare altro che attendere il loro arrivo e i successivi ordini di cui il Maggiore era già a conoscenza: forzare la prigioniera a condurli al relitto della Foundress.
Dopo giorni di isolamento e silenzio, forse Katy si impietosì dello sguardo del giovane ragazzo:
«Sta tranquillo, Dean. Ho tutto sotto controllo.»
Il ragazzo la sentì parlare dopo giorni di silenzio nelle celle:
«Oh, ma io mi fido ciecamente di te.»
«Anche se non rivelerò mai la posizione della Foundress, il professore la troverà comunque nella mia mente. Ma possiamo ancora salvarci.»
«Non intendo salvarmi, senza te.»
«Ormai sei stato catturato e verrai incarcerato o giustiziato una volta tornato a casa. I tuoi compagni non si fidano più di te e l’intera missione è andata in fumo. Ma io posso salvarti, posso farti diventare come me. Quando il momento verrà, tu lasciati solo trascinare. Ci allontaneremo da tutto questo, staremo insieme e sempre insieme torneremo a Megacy e diventerai uno di noi!»
La amo.
Non passarono molti giorni prima che il professore riuscì effettivamente ad estrapolare qualcosa di utile dal cervello bionico di Katy. Apprese di Megacy ma non riuscì a localizzarne la posizione, solo quella della Foundress: schiantata su un pianeta lontano almeno venti anni luce.
Il tempo trascorse inesorabile e monotono per il team finché un incrociatore umano fece ombra sull’accampamento senza entrare in atmosfera.
La Opticon venne agganciata da due droni volanti ed insieme all’equipaggio venne trainata fin sopra l’atmosfera e dentro la Prophet, l’enorme vascello che ora prendeva il comando.
Gli scienziati vennero sistemati ognuno nei loro alloggi, marciando in fila tra i corridoi del vascello scortati da decine di soldati con la divisa dell’ormai dispersa Matricola.
Dean e il cyborg vennero rinchiusi in isolamento nell’ala penitenziaria e lì i due continuarono di tanto in tanto a scambiarsi qualche parola, fiduciosi di riuscire a fuggire insieme stando al piano che Katy aveva illustrato al ragazzo.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Durante uno degli interminabili giorni di viaggio, Dean si svegliò ancora legato alla panca della cella ma notò l’assenza della ragazza.
«Katy? Katy ti prego dimmi che sei invisibile.»
Portò istintivamente le braccia al vetro che divideva le loro celle e si bloccò a causa del cavo ma poté accorgersi di uno strana incisione sul suo avambraccio: “Chiama Bak. Fidati di me. Quando ne hai l’occasione, corri nell’area 21, settore 2, lab C. Metti questa chiavetta nella grossa console nera.”
Il ragazzo non seppe cosa pensare, le parole sembravano incise col laser e non sapeva nemmeno spiegare come avesse fatto Katy a procurarglielo o ad uscire o perché avesse una chiavetta nella mutande dato che non poteva nemmeno allontanare i polsi.
Ma ubbidì e urlò a gran voce:
«Bak, Bak! Presto vieni!»
L’omone era incaricato di sorvegliare i due giorno e notte, supportato da due guardie all’esterno del settore, ma spesso restava fuori dall’anticamera delle celle, tenendoli d’occhio da un’altra vetrata.
Accorse subito, la porta si aprì e la corazza ambulante si avvicinò minacciosa al ragazzo:
«Dove diavolo è la tua amichetta? Dio mio, mi addormento per un attimo e guarda cosa succede. Se non la ammazzo finirò nei guai, adesso.»
«Cosa? No, perché devi ucciderla? Vi serve ancora, no?»
«Non proprio, ragazzino. Abbiamo ciò che ci serve. Il consiglio la vorrebbe vedere di persona ma non è obbligatorio, diciamo.»
Mentre Urtus era intento a parlare, Katy si materializzò nuda alle sue spalle e lo spinse violentemente con un calcio contro la cella di Dean, mandandola in frantumi e attivando l’allarme generale.
Le porte dietro di loro si bloccarono, un allarme rosso e assordante riempiva il posto. La ragazza nuda parlò, mentre l’omone si rialzava lentamente.
«Ora tocca a te, Urtus Bak. Nessuno ti rivedrà mai più.»
«Brutta…»
Urtus scattò come una furia, armato solo coi suoi grossi pugni. La ragazza lo attese, schivò due montanti e fu colpita da un terzo che la sbatté contro il muro alle sue spalle. Urtus estrasse rapidamente una pistola e scaricò una batteria di verdi fasci d’energia contro l’agile robot.
La donna infine si difese lanciando un’onda elettromagnetica dalla bocca: la tuta del soldato iniziò a lampeggiare e fare strani suoni, bloccando i movimenti del gigante; la porta si aprì, permettendo a Dean di fuggire.
«Adesso Dean, vai!»
Vado, volo!
Katy schivò colpi in abbondanza e i pochi che la colpirono non lasciarono altro che lievi scottature sulla sua pallida pelle. Ora che però Dean era andato via, toccava a lei contrattaccare: le dita della mano destra si ripiegarono su se stesse, lasciando spazio ad un raggio di luce che uscì dal centro del palmo e colpì in pieno petto.
Aera 21. Area 21. Veloce. Veloce.
Urtus perse per un fatale attimo l’equilibrio dopo il colpo e non fece in tempo ad evitare un calcio dritto in faccia che lo scaraventò a terra.
«Ora, ora mi arrabbio sul serio.»
Si rialzò e continuò a sparare estraendo una seconda pistola.
Settore 2. Settore 2. Eccolo.
La donna sembrava non cedere ai colpi e non perdere energie. Ma l’armatura di Bak stava ormai per cadere sotto i formidabili pugni della donna, così spinse un bottone sullo schermo del braccio sinistro e delle strane fiale fuoriuscirono dall’armatura ed iniettarono una sostanza nel sangue del soldato.
Alcuni pezzi dell’armatura si sganciarono dopo l’iniezione, lasciando spazio a poderosi muscoli.
Lab C. Console nera. Chiavetta? Inserita. Vediamo… Accesso consentito. Trasferimento completo. Trasferimento? Accetta.
La battaglia sembrava al culmine, passi di soldati si udivano in lontananza.
L’uomo caricò in avanti e Katy preferì affrontarlo per avere l’opportunità di sferrargli un altro pugno nello stomaco. Ne ebbe l’occasione e Urtus incassò ma non sembrò soffrirne molto, piuttosto il pugno del possente soldato scaraventò la donna contro una parete, mandandole in frantumi parte del ventre e della spina dorsale.
Urtus si avvicinò a lei per finirla, schiacciandole le gambe sotto i pesanti stivali. Ma Katy sorrise e aprì la bocca come per sbadigliare: le labbra robotiche si mossero in avanti come pannelli e dalla gola ne uscì una grossa canna metallica.
«Stronza…»
Il cannone fece fuoco e formò un buco con rivoli di sangue al centro della faccia di Bak. Il corpo cadde a terra con un tonfo e le guardie sciamarono all’interno della stanza.
Dean tornò troppo tardi, soldati sorvegliavano l’ingresso alle celle ed altri lo afferrarono da dietro ammanettandolo. Il corpo del cyborg venne portato fuori, seguito da quello dell’enorme Bak.
«Katy! Oh, oddio. Stai bene? Ma cosa hai fatto? Come farai a salvarmi così?»
Dean era in lacrime ed iniziò ad opporre resistenza all’arresto. Il corpo metallico della donna sembrava spento, nessuna ultima parola e nessun modo apparente per rianimarla.
Poco dopo, decine di soldati armati fino ai denti puntavano i fucili contro Dean, ancora insanguinato e afflitto dalla perdita senza senso della sua ragazza.

Due giorni dopo, Dean venne prelevato ed accompagnato dalla sua cella verso la cabina di comando della Prophet. Sembrava che il Maggiore volesse parlare con lui a proposito dell’incidente e di cosa aveva fatto con quella chiavetta. Si era appena ripreso dall’accaduto ma continuava ad avere un’aria triste e spenta.
In formazione, Conte, il suo vecchio drone preferito, conduceva una scorta per lui. A seguire in ordine: un soldato, Dean e Barone alle sue spalle.
D’un tratto però si sentì afferrato alle spalle, un braccio metallico superò il suo viso e sparò dietro la testa del soldato di scorta, poi alla faccia di Conte.
«Non preoccuparti, sono ancora qui con te. Grazie a te.»
Impossibile, amore!
Dean non poteva credere alle sue orecchie: era la voce di Katy.
Il drone senza lineamenti trascinò di corsa il ragazzo attraverso un altro corridoio. Le telecamere ormai li avevano notati e l’allarme era già attivo. Svoltarono parecchie volte, scambiarono dei brevi colpi di arma da fuoco e dovettero sbloccare molte porte e bloccarne altre, collegandosi alla rete, per impedire l’avanzata di ulteriori guardie.
Arrivarono infine alla loro destinazione, le capsule d’emergenza, tutte dalla forma di una pillola ed in fila coi portelloni bloccati.
Dean iniziò a pensare a ciò che aveva detto la ragazza, sul fuggire insieme e sul salvargli la vita promettendone una migliore, così lasciò che il drone con la personalità di Katy sbloccasse una delle capsule e si fece spingere al suo interno.
«Ecco, guida tu. Segui queste coordinate.»
Si sedettero uno di fianco all’altro, l’interno era uguale a quello che trovarono su Ember pochi mesi prima. Devo guidare? Dove andiamo?
«Dove andiamo?»
«Megacy, amore. Li verrai accettato come meriti ed io potrò finalmente rientrare.»
«Rientrare? Ah, eri stata esiliata.»
«Questa volta mi faranno entrare. Ho ucciso almeno un centinaio di umani e gliene sto portando uno.»
«Cosa?»
«Niente, amore. Guida.»
Ha ucciso centinaia di umani? Di che parla?
«Sissignora.»
Così si lanciarono nello spazio, viaggiando perpendicolarmente alla rotta della grande Prophet. Katy si era anche assicurata, con quella chiavetta, che nessun allarme avrebbe rilevato una capsula d’emergenza in fuga né con radar né con rapporti automatici di volo.
Destinazione Megacy.
La notizia della fuga di Dean con un drone ed una capsula non tardò a diffondersi. I colleghi rimasero delusi ma c’era freddezza nei loro sguardi, come se ormai non importasse. Avevano un cattivo presentimento.
Il Maggiore Kakkurus confortò il professor Juris, ultimamente attaccato in modo morboso allo studio di questi umani potenziati.
«Mancano pochi giorni all’arrivo, vedremo con chi o cosa avremo a che fare e voi verrete rispediti a casa. Siamo d’accordo professore?»
Lui sembrò non ascoltarlo.
«Professore, mi ascolti. Vi avremmo dovuto uccidere tutti al termine dell’investigazione e non lo dica anche agli altri. Ma è grazie a lei se ho vissuto questa particolare avventura ed ho compiuto la mia missione. Si consideri fortunato e salvo, sia lei che gli altri. Ora vada, le abbiamo mandato altri dati da controllare.»
Il professore annuì ciecamente e si diresse nei suoi alloggi, mantenendo un’aria assente.
Infine la Prophet raggiunse il traguardo: un enorme pianeta era stato colpito e distrutto per metà, sostituito dal rottame della Foundress, grande quanto il pianeta stesso, permettendogli ancora di poter ruotare sul proprio asse e mantenere una gravità accettabile.
Altri detriti e rocce orbitavano attorno ad esso, furono però prontamente eliminati dai cannoni del grosso vascello per facilitarne la discesa in superficie.
I radar localizzarono forme di vita, umanoidi anche se non completamente.
Il Maggiore e il professore concordarono sul fatto che fossero altri umani sopravvissuti e dal corpo cybernetico. Lo confermavano le scansioni, le foto di superficie e i dati che avevano estratto dalla testa della ragazza.
Così, la nave si appresto a scendere e venne subito anticipata da colonne di fari luminosi che indicavano il tragitto da seguire per una sicura zona d’atterraggio.
Ricevettero un inquietante caldo benvenuto: uomini e donne dai corpi atletici ma dai visi di età non corrispondenti, nudi e vestiti col mantello grigio della ragazza su Ember, li accolsero in festa presentando loro vecchie razioni di cibo della Foundress, ancora perfettamente conservati e lontani alla scadenza.
Né il Maggiore né altri seppero come comportarsi, accettarono i doni con l’aria allibita, riuscendo persino a comprendere il loro linguaggio nonostante nessuno avesse aperto bocca del team.
Si presentarono effettivamente come esiliati, col motivo di voler tornare ad essere proprio come gli umani che avevano di fronte, in carne ed ossa. Erano felici di poter incontrare altri membri della loro specie, quelli originali che non si erano lasciati trasformare dal metallo.
Li accolsero nei resti della Foundress, facendoli alloggiare dentro o fuori in baracche di fortuna.
Vennero nutriti e si permisero di scambiare informazioni su com’era diventata la Terra durante quegli anni, cos’era il Clan Celeste e come erano finiti su quel pianeta sperduto.
Rivelarono di aver seguito le indicazioni di una certa Katy, tenendoli però all’oscuro della fine che aveva fatto e del modo in cui l’avevano trovata.

Si fece finalmente sera, o almeno così sembrava dato che l’atmosfera del pianeta permetteva almeno dei cicli accettabili ai ritmi umani. Ci fu un grande banchetto all’interno, con musica dei tempi perduti e umani che mostravano le loro parti meccaniche ad altri umani; risero, bevvero alcool creato nei serbatoi della Foundress e furono finalmente a proprio agio, persino Orca Valis sembrò felice potendo finalmente parlare tramite impulsi sonori, comprensibili agli umani modificati da speciali sensori; Pundu conversò amabilmente di ingegneria con due che sembravano anziani solo dal viso mentre Arzem e Methra ebbero l’occasione di fare conversazione con altri esseri femminili.
Fu una meritata pausa dopo gli infernali avvenimenti passati. Ma il Maggiore Kakkurus non sembrava soddisfatto. Effettuò un rapporto in totale segretezza e diede la posizione al governo centrale, rimanendo in attesa di ordini.
Il professor Juris però lo trovò, nascosto dietro un portellone caduto dal fianco della Foundress.
«Sarebbe stato questo il momento in cui ci avreste ucciso?»
«Esattamente, professore. La prima notte di riposo. Ma continueremo col nostro piano, ovvero domattina li faremo tutti fuori meno che cinque campioni.»
«C-cosa? Volete ucciderli?!»
«Certo. Abbiamo ciò che vogliamo. Sappiamo di poter estrarre altre informazioni dai crani di quelle… creature, anche da morte. Troveremo questa famosa “Megacy” e poi sarà il governo a decidere cosa farne.»
«N-non posso permetterlo!»
Il professore era su tutte le furie. Si lanciò sul Maggiore e lo afferrò per il colletto della tuta, con lo sguardo incattivito.
«Si calmi professore.»
Lui scostò il vecchio con facilità, colpendo il braccio di lui col suo ed estraendo velocemente la pistola per poi puntarla alla testa:
«Non mi faccia cambiare idea. Ed ora mi segua.»
Rinfoderò l’arma e fece cenno al professore di seguirlo. Fiancheggiarono la Foundress arenata, passando tra le baracche donate come alloggi ai loro uomini.
«Non deve assolutamente lasciarsi sfuggire questa informazione, professore. Vada subito a dormire.»
«Perché deve sempre spezzare il cuore di questo povero vecchio? Spero almeno che il mio silenzio valga la protezione dei miei compagni. E che il Fato si prenda cura del povero Dean, oh ragazzo mio. Ho fallito come mentore.»
I due si addentrarono tra i vicoli, diretti al portellone principale, ma qualcosa non andava.
Il Maggiore si voltò di scatto e notò due cyborg seduti uno davanti all’altro.
Si insospettì ed avanzò.
«Professore, aspetti qui.»
«Cosa?»
Nel raggiungere la coppia, un altro cyborg donna uscì da una delle baracche e ciò che vide Jean Kakkurus lo segnò per il resto della sua ormai breve vita: il cyborg aveva il braccio nidoriano della dottoressa Arzem attaccato al posto del suo e camminava poggiandosi su una coda viola e tozza.
Lo sguardo saettò insieme alla pistola in direzione della coppia seduta che si voltò a fissarlo.
Quello che gli dava le spalle stava rimestando con degli organi freschi, cercando di inserirli nella cavità del ventre; l’altro aveva appena smesso di cucirsi una gamba umana con ancora attaccata la tuta di un soldato.
Al Maggiore venne un conato di vomito e stava per urlare quando venne sorpreso per l’ultima volta.
Il professore si lasciò cadere delle lacrime una volta compreso tutto.
Delle voci metalliche uscirono da dietro alcune lamiere, mostrando due cyberumani armati.
«Addio, compagni umani. E grazie per aver donato i vostri corpi alla nostra causa.»
Le pistole spararono ed aprirono un buco sul cranio di entrambi che caddero a terra privi di vita.

La battaglia era appena iniziata, si potevano udire colpì di laser, proiettili e bagliori ovunque nell’accampamento. I soldati usavano i rottami come copertura per i loro fucili ma i loro nemici erano più forti ed agili, nonché resistenti. Sembravano inarrestabili, scalavano le pareti della Foundress con velocità fulminea cadendo alle loro spalle e squarciandoli con artigli affilati. Altri usavano le loro braccia come cannoni carbonizzando i pochi soldati a cui non era stata tagliata la gola alle spalle.
Orca riuscì a resistere per qualche minuto, bloccato nei bagni e circondato spalle al muro da un gruppo di aggressori. L’irtus spalancò la bocca ancora una volta emettendo un’onda sonora ad alta frequenza che distrusse alcuni terminali dei cyberumani, ma altri resistettero e gli saltarono addosso, afferrandogli le mandibole e strappandogli il cranio a metà.
Pundu andò su tutte le furie quando scoprì che la moglie fu ridotta in quello stato, a pezzi, vedendo i suoi arti strappati via ed il corpo esploso per metà di Methra che giaceva a terra al suo fianco, ancora con gli occhi aperti per la sorpresa.
L’ingegnere estrasse due pistole simili a quelle in dotazione ai soldati ma modificate da lui stesso per emettere onde diverse. Combatté con onore, disattivando, bruciando, lacerando e frantumando con pistole e martello tutti i folli che osavano attaccarlo. Ma nonostante l’agguerrito nidoriano ne avesse falciati in abbondanza, venne infine placcato da due donne e la sua testa venne separata dal corpo in un’esplosione di sangue giallo e denso.
Il viaggio della Opticon e ora della Prophet erano ormai terminati.
Dean non avvertì stimoli durante l’intero viaggio; gli sembrò infinito ed ogni tanto era stuzzicato dalla sua Katy che ormai non osava più guardare dopo che si era trasferita in un drone privo di forma.
«Siamo arrivati, caro.»
Siamo arrivati? Dove? Cara Katy, perché sei così ora?
Erano arrivati già da un po', Katy spense i motori minuti prima ma Dean era ancora imbambolato a credere di guidare. Stavolta però sollevò lo sguardo e vide con orrore il pianeta Megacy: un ammasso di rottami e colonne di ferro con piccole fessure torreggiavano sulla superficie ormai invisibile del pianeta. Non c’era un solo angolo che non fosse occupato da una qualche struttura metallica ed il cielo circostante, dentro e fuori l’atmosfera, era denso di detriti, fumo nero e razzi in movimento.
«Ora ci faranno entrare, riconosceranno il mio codice. Vedrai. Non temere. Mi perdoneranno.»
Dean si permise di svenire.
Quando riaprì gli occhi, vide il volto di Katy come in un sogno. Sorridente e pallida come la ricordava, sullo sfondo una stanza bianca e degli attrezzi sollevati in aria.
Cosa sono quelli?
«Amore, c-cosa succede? Dove sono?»
Tentò di muoversi, ma era saldamente legato ad un lettino.
«Sta tranquillo, tesoro. Sto mantenendo la mia promessa, ti sto dando una nuova vita.»
Nuova vita? No, aspetta.
Una siringa enorme venne conficcata nel cuore del giovane che cacciò un urlo disperato di dolore. Guardò poi la sua amata:
«Amore…»
No, no, no.
Poi ancora un altro urlo ed il ventre fu messo in mostra, con gli organi ancora pulsanti. Una serie di strumenti affilati e dalla forma strana si avvicinarono al corpo del ragazzo, un pannello anti-sangue si posizionò sopra gli attrezzi e l’operazione ebbe inizio.
«Presto sarai come me.»
La coscienza del giovane abbandonò il corpo mentre convulsioni e sangue zampillante presero il suo posto.
Tra rumori di carne tagliata, di scariche elettriche e di piastre saldate Katy riuscì ad udire le ultime parole del suo innamorato:
«Arrivo…»
 

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