The tale of the ghost on the shore

di Voglioungufo
(/viewuser.php?uid=371823)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Yes, I know that love is like a ghost ***
Capitolo 2: *** But it feels like there's oceans between you and me ***
Capitolo 3: *** All who sail off the coast ever more Will remember the tale of the ghost on the shore ***



Capitolo 1
*** Yes, I know that love is like a ghost ***


I
Yes, I know that love is like ghosts
 
 
 
 
A trentadue anni, Sakura Haruno poteva vantarsi di aver realizzato la sua vita: era indipendente, aveva una famiglia che amava e il lavoro per cui si era laureata. Negli alti e bassi nella sua vita questi tre punti erano i galleggianti che le impedivano di affondare nei momenti bui. E ne era orgogliosa.
Aveva dovuto lottare con le unghie e con i denti per essere presa sul serio, per riuscire a trovare il suo posto nell’ospedale di Konoha come psicologa. Un po’ per l’ancora presente diffidenza nei confronti di quella materia fraintesa dai più, un po’ per la ristretta mentalità maschilista del luogo del lavoro e un po’ per la sua giovane età. Era stata una vera e propria guerra, ma alla fine aveva vinto.
Ovviamente non era un lavoro tutto rosa e fiori, c’erano periodi in cui la pesantezza emotiva le rendeva difficile separare il lavoro dalla vita privata, a volte restava coinvolta un po’ più del necessario.
Era, per esempio, il caso del paziente che aveva davanti in quel momento. Quando le avevano detto che avrebbe dovuto relazionarsi con un uomo che aveva perso la memoria aveva seriamente tremato, temendo di non essere all’altezza.
Naruto Uzumaki era un ragazzo di ventotto anni con il sorriso più luminoso e spontaneo che avesse visto e forse era stato proprio quello a convincerla ad accettare. Sorrideva anche se non aveva un singolo ricordo del proprio passato, conosceva il proprio nome solo perché era scritto nella carta d’identità. Per scoprire il resto avevano dovuto cercare.
Naruto non era nato a Konoha, ma a Uzu, un’isola sperduta immersa nella natura e con un solo paese. Lì aveva passato l’infanzia con il nonno a causa della prematura morte dei genitori. Aveva frequentato le elementari, le medie e le superiori serenamente, senza che nessun evento particolare venisse segnalato. Poi, suo nonno era morto d’infarto e, forse per scappare dal dolore di quella perdita, aveva venduto tutto per fuggire a Konoha, la grande città portuale e universitaria. Si era iscritto all’università, ma nemmeno dopo un anno la sua permanenza nella città era stato coinvolto in un incidente. L’incidente che gli avrebbe cancellato la memoria, l’incidente causato solamente da una stupida distrazione alla guida. Il guidatore del piccolo camion stava mandando un messaggio con lo smartphone, così da non notare il ragazzo attraversare la strada sulle strisce pedonali. Il resto era facile da immaginare.
Grazie un pronto intervento dell’ambulanza era riuscito a sopravvivere, anche se era caduto in un lungo coma. Si era risvegliato due anni dopo, quando tutti credevano che non ci fossero più speranze. Si era risvegliato, ma senza sapere nulla, né il proprio nome o la propria lingua. C’era voluto un anno di riabilitazione perché tornasse a ricordare le conoscenze basilari, come scrivere o leggere o le nozioni imparata alle elementari. Un anno perché diventasse un essere umano autonomo, ma senza ricordi di chi fosse.
Una situazione davvero delicato che Sakura aveva seguito dall’inizio e continuava a seguire tutt’ora a distanza di quattro anni dal suo risveglio. Era rimasta intenerita da quel ragazzo spaesato, che chiedeva spiegazioni su ogni cosa, anche quelle che Sakura aveva imparato a dare per scontate. In un certo senso era stato come accompagnare un bambino per mano alla scoperta del mondo. Naruto non aveva ancora recuperato la memoria, ma ormai in quei quattro anni era riuscito a formare dei ricordi su cui sostenersi.
Erano riusciti a ricostruire comunque il suo passato, ma Sakura sapeva che non era la stessa cosa di ricordare personalmente. Chissà quanti dettagli erano ignorati nel resoconto che avevano stilato, soprattutto perché c’erano buchi enormi. Ma la cosa che più aveva incuriosito la psicologa era che nessuno era mai venuto a trovarlo durante la sua permanenza in ospedale.
Era vero che Naruto era ormai un orfano senza famiglia e che si era trasferito da poco a Konoha, ma a Uzu doveva esserci per forza un amico, un insegnante, qualcuno a cui importasse di lui.
Zero.
Naruto sembrava letteralmente privo di qualcosa che lo legasse al suo passato. Ma Sakura non aveva mai voluto farlo notare, temeva una brutta reazione da parte del paziente, che invece si mostrava sempre più reattivo a ogni seduta. In quattro anni aveva fatto passi da giganti, ormai Naruto era un perfetto essere umano funzionale. Da un anno e mezzo aveva ottenuto anche il permesso di vivere da solo e aveva trovato lavoro come commesso in una libreria non poco distante dal suo appartamento.
Andava decisamente tutto bene, ormai le loro sedute assomigliavano sempre di più a chiacchierate fra amici, in cui le raccontava quello che succedeva durante la giornata,i propri sogni e insieme cercavano indizi che potessero aiutarlo a sbloccare la memoria.
Sakura era certo di poterlo fare.
“Domani è il mio giorno libero” disse Naruto seduto sul divanetto con fare sciolto “Sono felice, potrò fare quello che voglio per tutto il giorno”.
“Lo passerai con Sasuke?” gli domandò facendo un piccolo sorriso, mentre il volto del ragazzo si illuminò.
“Credo di sì, non lo so. Fra un po’ inizia la sessione per lui, è un po’ nervosetto” ridacchiò.
Perché tra le tante novità che erano successe, c’era anche quella di aver trovato l’amore della sua vita – come sosteneva teatralmente Naruto ogni volta che ne parlava.
Sasuke era un universitario poco più giovane di Naruto, nonché il suo fidanzato. Per Sakura all’inizio era stata una sorpresa scoprire che il suo paziente preferito fosse gay, ma poi aveva accolto serenamente la novità e aveva seguito quella storia d’amore con interesse.
All’inizio Sasuke si era presentato solo come uno scorbutico cliente che lo faceva sempre andare ai matti con le sue richieste assurde su libri sconosciuti, ma poi a una seduta Naruto le aveva rivelato che gli aveva chiesto di uscire.
“Perché lo hai fatto?” aveva chiesto Sakura sorpresa.
“Perché mi piace quando non fa lo stronzo” era stata la risposta, poi aveva fatto una faccia imbarazzata, quella che faceva quando pensava di aver fatto qualcosa di sbagliato “Ho fatto male?”
No, aveva fatto bene perché Sasuke aveva accettato e ormai stavano insieme da otto mesi. Quella era la prima relazione che aveva, almeno che ricordasse, quindi ci si era buttato a capofitto senza nessun paracadute, come si fa a ogni primo amore. Quel suo gettarsi con cuore e anima aveva fatto preoccupare Sakura, temeva come il novello fidanzato potesse reagire una volta scoperta la situazione di Naruto, temeva lo ferisse.
Non era mai stata così felice di sbagliarsi, non solo Sasuke si era dimostrato comprensivo e tranquillo con la faccenda, ma aveva supportato Naruto nel suo percorso e, recentemente, era perfino riuscito a sbloccargli un ricordo.
Era il primo ricordo da quando si era risvegliato.
Da un lato Sakura era stata gelosa che a riuscirci fosse stato un ragazzo conosciuto nemmeno tre mesi prima, ma in realtà quella era stata una delle telefonate più belle della sua vita.
Era un ricordo molto breve, di Naruto da bambino e riguardava quando i genitori erano ancora vivi, perché lo vedeva protagonista mentre diceva loro una poesia che aveva imparato a scuola. A quanto pare Sasuke l’aveva accennata mentre conversavano e lui si era ricordato di averla già sentita.
Una meravigliosa coincidenza che Sakura sperava avesse reso la memoria di Naruto più elastica.
“Sono certa che troverà del tempo per te” gli assicurò intenerita.
“Ma certo, dattebayo!” confermò con quell’espressione che aveva coniato quando ancora faticava a pronunciare certe parole “Anzi, appena finisce la seduta ci troviamo”.
“Viene a prenderti?” domandò interessata. Nonostante i due si frequentassero da otto mesi, lei non lo aveva ancora incontrato. A sentire Naruto era un tipo davvero solitario che non parlava mai con nessuno e odiava stare nei luoghi affollati, li evitava come la peste. In più non aveva ancora fatto coming out e aveva proibito a Naruto di andare a trovarlo all’università o passare nell’appartamento che condivideva con un collega.
Infatti scosse la testa. “No, ci troviamo da me. oggi facciamo la serata thailandese e Disney”.
“Ogni tanti potreste andare in un ristorante…” buttò lì casualmente.
Naruto le sorrise imbarazzato. “No, non importa. Mi piace stare a casa con lui” e fece un sorriso imbambolato, come se la sua mente si fosse persa in mari profondi. Mari che Sakura non voleva approfondire, almeno non in veste di psicologa. Aveva deciso da tempo di non voler sapere nulla dell’intimità tra i due, nonostante la curiosità.
“Allora direi che è arrivato il momento di lasciarti andare” scherzò indicando l’orologio “Vorrai prepararti”.
Naruto allargò il sorriso scendendo dal lettino. “Prima devo passare in libreria, ho dimenticato le chiavi di casa lì” ridacchiò.
Ridacchiò anche Sakura, perché nonostante tutto la sbadataggine di Uzumaki in quei quattro anni era rimasta invariata.
“Allora a venerdì?”
“Solita ora, solito posto” confermò alzandosi a sua volta. Invece di stringergli la mano come faceva con gli altri pazienti lo abbracciò affettuosamente. “Mi raccomando, comportati bene”.
Naruto le rivolse un ultimo sorriso smagliante prima di uscire. “È quello che faccio sempre” assicurò.
 
**

La libreria in cui lavorava Naruto si chiamava “Sotto il mare” a causa della sua vicinanza alla spiaggia. Konoha era una città marittima, che in estate attirava frotte di turisti per l’ampio litorale tra le scogliere; mentre l’inverno era sempre presa d’assalto dagli studenti, visto che era una delle poche città della regione del Fuoco ad avere un’ampia scelta universitaria.
A Naruto piaceva il posto dove lavorava, perché aveva un’ampia vetrata che si affacciava direttamente sul lungomare e nei momenti di noia era piacevole osservare fuori il via e vai dei passanti.
All’inizio il proprietario, Kabuto, lo aveva assunto solo per un motivo di integrazione e riabilitazione, perché era stata la direttrice dell’ospedale in cui era ricoverato a chiederlo, ma doveva aver fatto una buona figura perché non lo aveva ancora cacciato. Era un bel posto e aveva fatto amicizia con i colleghi.
Quando entrò era quasi l’ora di chiusura, quindi tra gli alti scaffali non girava quasi nessuno. Riuscì a trovare subito Ino, una delle sue colleghe, appoggiata a una stipite con un sorriso sornione sul volto, su un dito faceva roteare un mazzo di chiavi.
“Cercavi queste, ragazzo meraviglia?”gli domandò compiaciuta.
“Ops” ridacchiò “Allora sono rimaste davvero qui”.
Ino gliele lanciò e lui le prese al volo.
“Dovresti fare più attenzione, un giorno rischierai di perderla davvero” lo rimproverò. Teneva i capelli biondi legati in una coda alta, ma alcuni ciuffi sfuggivano a coprirle parzialmente un occhio azzurro contornato da matita nera e mascara.
Spesso i clienti chiedevano se fossero fratelli. Anche Naruto aveva scompigliati capelli biondi che sembravano non vedere un pettine da anni e gli occhi del colore dell’oceano, un volto attraente e squadrato. In più entrambi erano accumunati da un carattere frizzante ed esplosivo.
“Vai dal tuo ragazzo?” domandò Ino lisciandosi una ciocca. Probabilmente si stava annoiando e voleva qualche pettegolezzo per aspettare più serenamente l’orario di chiusura.
Annuì. “Si mangia thailandese oggi”.
“Ogni tanto potresti anche portarlo qui e presentarmelo, sai?” si lagnò “Anche solo per capire com’è la sua faccia, per approvartelo, ecco”.
“È venuto qui un sacco di volte” le fece notare esasperato “Non ci credo che tu non lo abbia mai visto”.
“Negativo” incrociò le braccia al petto “Nemmeno Kabuto l’ha mai visto. O Shikamaru, o Choji… sicuro che sia reale?”
Si permise una risata compiaciuta. “Fidati, è molto reale” disse con un tono carico di sottintesi.
Il volto dell’amica si illuminò immediatamente di malizia. “Reale come? Andiamo, raccontami”.
Scosse la testa ridendo e cercò una rapida fuga, ma Ino lo afferrò prontamente per la maglia.
“Dai, non lasciarmi così, voglio sapere!”
“Ti lascio immaginare” le suggerì.
“Ti lancio un libro dietro!” lo minacciò.
“Così Kabuto ti licenzierà”.
Ino sbuffò dal naso, ma almeno lo lasciò andare.
“La prossima volta che trovo qualcosa di tuo in giro lo butto via” asserì seria “Così impari”.
“Andiamo, Sasuke è riservato. Si arrabbierebbe se dicessi certe cose in giro…”
“Uffa” lo guardò contrariata “Almeno portalo domani sera”.
Naruto corrugò gli occhi, sorpreso dalla proposta. Il 31 Agosto ci sarebbe stata una festa nella zona del lungomare, con bancarelle e artisti di strada, al porto erano state anche montate delle giostre da lunapark. Loro con gli altri due commessi della libreria avevano pensato di andarci, visto che erano liberi.
Si immaginò con Sasuke in mezzo alla gente, a comprare lo zucchero filato, provare i giochi con le freccette e andare poi sulla ruota panoramica. Era una bella scena.
“Gli chiederò” promise.
Ino esultò stringendo le mani a pugno. “Fantastico, finalmente sapremo chi è la persona che ti ha rubato il cuoricino”.
Le sorrise accondiscendente e la salutò, riuscì finalmente a lasciare la libreria. Sasuke era un pignolo assurdo ed era capace di infuriarsi per un solo minuto di ritardo.
Certo, però, era strano che Ino non lo avesse mai visto. Prima di uscire insieme, quando Sasuke era solo il cliente stronzo, era entrato molto spesso nella libreria. Per dire, anche solo al loro primo incontro avevano fatto abbastanza confusione che era impossibile che la collega non li avesse notati.
 
Naruto stava sistemando i libri appena arrivati sugli scaffali, salendo e scendendo dalla traballante scaletta in metallo. Mentalmente cantava una canzoncina che aveva sentito alla radio ed era estraniato dall’ambiente circostante. Era il tramonto e loro stavano per chiudere, infatti nel negozio c’era solo Ino alla cassa per registrare i conti di quella giornata. O almeno così credeva.
Agilmente scese la scaletta fischiettando. Qualcosa gli si parò improvvisamente davanti. Sussultò per lo spavento e fece un passo all’indietro, rischiando di inciampare sulla scaletta.
Era un ragazzo, forse un liceale visto i tratti giovani ed eleganti del volto dalla pelle liscia, pallida e priva di qualsiasi imperfezione. I capelli erano lisci, lucidi e scuri come le ali dei corvi, e dello stesso colore erano anche gli occhi a mandorla, grandi e profondi come l’abisso dell’oceano. Il naso era una linea dritta e sottile, equilibrato e poco vistoso in quel volto d’alabastro e le labbra sembravano essere state disegnate con un pennello.
Naruto pensò che quel ragazzo fosse bellissimo e inquietante, perché continuava a guardarlo fisso in volto senza dire niente, senza mostrare una sola espressione.
Deglutì, chiedendosi se gli servisse qualcosa, ma prima di riuscire a porre quella domanda ad alta voce, il ragazzo parlò.
“Naruto?”
Provò un secondo di smarrimento nel chiedersi come conoscesse il proprio nome, ma poi ricordò che Kabuto aveva preteso portassero una targhetta con il proprio nome sulla divisa e si maledì per essersi lasciato suggestionare.
“Sì?” domandò pronto ad ascoltare la richiesta di quello che sembrava essere un potenziale cliente.
Il ragazzo rimase zitto e continuò a fissarlo da capo a piedi, studiandolo con sguardo critico. Cominciava a sentirsi in imbarazzo.
“Ti serve qualcosa? Cerchi un libro? Posso aiutarti?” snocciolò a disagio.
Gli occhi scuri tornarono a puntarsi su di lui e Naruto avvertì un brivido di disagio scivolare lungo la schiena.
“Mi chiamo Sasuke” disse lentamente alla fine il ragazzo. Aveva una voce più dura e secca di quello che aveva immaginato. Prima di riprendere fece una lunga pausa che lo lasciò sulle spine “Puoi aiutarmi, sì. Sto cercando il libro The tale of the ghost on the shore. L’autore è Jeremiha Huron e voglio l’edizione della casa editrice Trails del 1887”.
Lo guardò sbigottito qualche secondo. “Uhm… io…” esitò guardandosi tra gli scaffali titubante “Non so se lo abbiamo…”
“Non te lo ricordi?”  domandò sprezzante.
Fu un’infelice scelta di parole, perché accostate a quel tono lo fecero sentire mortificato, ma ebbero anche il risultato di farlo infuriare. Il che era ridicolo, quel ragazzo era solo arrogante, non poteva minimamente immaginare la sua situazione.
“Non ricordo tutti i libri presenti nel negozio” rispose cercando di rimanere professionale, nonostante volesse gridargli contro “Dammi un secondo e vado a controllare nell’archivio”.
Fumante di rabbia si diresse da Ino e le chiese di guardare al computer, dandole le informazioni ricevute dal ragazzo.
“Non lo abbiamo” rispose dopo qualche minuto.
“Possiamo ordinarlo?”
“Mh, è per un cliente?” domandò incerta “Perché non lo ristampano da più di vent’anni, devo vedere se riusciamo a trovare qualche copia…”
Annuì. “Ho capito. Tu provaci, nel caso gli diremo che non è più disponibile”.
Tornò dal ragazzo, che lo aveva diligentemente aspettato dove lo aveva lasciato.
Gli spiegò brevemente la situazione, lo stomaco chiuso in una morsa che non riusciva bene a comprendere.
“Se ci lasci il tuo numero di telefono ti chiameremo o ti manderemo un messaggio quando ci arriverà” gli propose.
Ma Sasuke scosse la testa. “Passerò io”.
“Ma…”
Non aveva potuto protestare oltre, perché lo aveva salutato con gesto della mano e chiamandolo per nome, le labbra piegate in un sorriso compiaciuto.
Ed era stato di parola, nel mese successivo era passato in libreria ogni giorno con altre assurde richieste, spedendo Naruto ai matti, ma facendolo anche innamorare di lui.
Il libro, in ogni caso, non era ancora arrivato.
 
**
 
Nonostante il calore di fine estate e l’aria umida che caratterizzava la città di Konoha, a Naruto piaceva stare sotto le coperte leggere e sfatte, a contatto con il corpo nudo del suo ragazzo.
L’orologio digitale segnava le 20:56, ma loro due non avevano ancora cenato, appena Sasuke si era presentato alla sua porta con le borse di plastica del thailandese e la maglietta in cotone leggero aveva saputo fare solo una cosa: tirarselo contro e baciarlo. Sapeva che erano finiti in camera da letto in qualche modo, ma tutto quello che ricordava erano le sue mani che si muovevano frenetiche sul suo corpo, le sue labbra voraci che gli divoravano prima la bocca e poi il collo e i loro corpi a contatto in cerca di una frizione.
Naruto non sapeva se fare sesso fosse così bello in generale o solo con Sasuke, certo era che sentiva il costante bisogno di toccarlo e assicurarsi che fosse davvero lì con lui, che non stesse sognando.
Gli baciò una spalla, strofinando poi la guancia contro la curva del collo. Sentì Sasuke intrecciare le loro dita e poi ruotò la testa a guardarlo con un sorriso sbieco.
“Già stanco dopo un solo round?” lo derise.
“Io? Ma figurati” ricambiò il sorriso impertinente “Posso continuare tutta la notte”.
“Eccellente” approvò con finta serietà, forse imitando un qualche suo professore universitario “Era la risposta che volevo sentire, signor Uzuamaki”.
Naruto rise e si sporse a baciarlo, appoggiando una mano sulla guancia liscia dell’altro, sembrava non gli crescesse mai la barba e un po’ lo invidiava per questo.
Sasuke aveva un odore pungente che lo faceva sempre impazzire, era lo stesso che si respirava in spiaggia alle prime luci del mattino o la sera tardi. L’odore del mare, un odore salato e umido che gli solleticava sempre le pupille gustative e gli provocava un languore allo stomaco. A volte la pelle ne era talmente pregna che sembrava fosse appena tornato da una lunga immersione nell’oceano. Era un sapore così buono che spesso desiderava poterlo divorare, farlo entrare sotto pelle e incastrarlo nei propri vestiti per sentirlo sempre con sé.
Sasuke rispose al bacio con altrettanta voracità, spalancando le labbra e lasciando che loro lingue si rincorressero fra loro, gli accarezzò a sua volta una guancia immergendo la punta delle falangi tra i ciuffi biondi ribelli.
Quando si staccarono aveva sul volto un’espressione pacifica, mentre Naruto aveva un sorriso sognante che gli illuminava lo sguardo. Gli scoccò una lunga serie di baci soffici e casti sulle labbra, finché non sbagliò mira e finì a baciargli il mento.
Si sistemò meglio su un fianco, reggendosi la testa con una mano e appoggiando l’altra sul petto glabro e pallido del fidanzato, dove con le dita cominciò a disegnare invisibili ghirigori.
“Com’è andata oggi?”
Sasuke fece un verso poco impegnato. “Studiato, studiato e studiato. Aspetta, ho anche tentato di uccidere il mio coinquilino”.
Rise. “Niente di nuovo, quindi” lo guardò di sottecchi “Potresti venire a stare qui, lo sai”.
Sasuke non lo guardò nemmeno. “Casa tua è un buco, dobe”.
“Ma non c’è il tuo coinquilino rompicoglioni” gli sorrise smagliante.
“Però ci sei tu, come rompicoglioni” lo canzonò, ma pensò bene di farsi perdonare con un bacio a stampo “Stai troppo lontano dall’università, dovrei prendere la metropolitana”.
Già, la metropolitana, un altro dei luoghi che Sasuke evitava come la peste.
“Potrei farmi la patente e comprarmi una macchina. Ti accompagnerei io” buttò come proposta.
Ricevette un’occhiata divertita. “Un dobe al volante è un pericolo costante” lo baciò ancora prima che potesse protestare, dopo otto mesi aveva imparato che quello era l’unico modo per zittirlo “Lascia stare, un anno ancora e poi saluterò anche la magistrale”.
Naruto mugugnò qualcosa e per dispetto gli pizzicò il fianco.
“Tu, oggi?”
“Lavorato e cercato di far ragionare alcune madri assatanate” sospirò, con la fine dell’estate la libreria era stata presa d’assalto dai libri di testo scolastici e genitori che cercavano di comprarne il maggior numero al minor prezzo possibile “Poi sono stato da Sakura, per la solita seduta… Quando hai intenzione di conoscerla?” gli domandò con tono scherzoso, anche se era una domanda a cui ci teneva avere una risposta.
Lo sguardo di Sasuke si fece improvvisamente evasivo. “Magari una delle prossime volte ti verrò a prendere e la conoscerò” borbottò disimpegnato.
Naruto non ci credeva molto, perché erano mesi che riceveva quella risposta e poi non succedeva mai.
“Sai chi altro vorrebbe conoscerti? Ino e gli altri” si rispose prima che potesse farlo l’altro “Domani sera andiamo in centro per la festa, vieni?”
“Devo studiare…”
“Di sera? Come no” sbuffò, lo punzecchiò al fianco “Dai, cosa ti costa? Stare in mezzo alla gente non è poi così terribile…”
Sasuke lo guardò come se lo avesse appena schiaffeggiato.
“Non voglio” s’impuntò con la sua voce capricciosa.
“Ma dai” strinse le labbra in una linea “Ogni tanto sarebbe anche carino uscire con te. E intendo: uscire fuori, non rintanarci sempre a casa mia. Nessuno dei miei amici ti ha mai visto, vogliono conoscerti”.
Sasuke fingeva di non ascoltarlo, guardando con insistenza il soffitto, ma Naruto non si lasciò scoraggiare e provò a buttarla sullo scherzo.
“Stanno cominciando a credere che io mi sia innamorato di un fantasma, non ci facciamo mai vedere insieme e…”
“Se volevi un ragazzo trofeo da sbandierare in giro credo che tu abbia sbagliato persona” lo interruppe secco.
Naruto si ammutolì, rendendosi conto di aver parlato troppo e, soprattutto, di essere stato frainteso. Sasuke aveva serrato la mascella e tutto il suo corpo si era irrigidito, poteva avvertire la tensione dei muscoli contratti sotto la pelle.
Si alzò dal materasso e salì su di lui a cavalcioni, stendendosi un poco in avanti. Appoggiò una mano sulla sua fronte e gli tirò dietro la frangia sudata e cercò il suo sguardo, ma Sasuke lo stava evitando accuratamente.
“Io non voglio un ragazzo trofeo” disse seriamente “Io voglio te” e gli baciò la fronte.
Sasuke continuava a evitare il suo sguardo, ma era avvampato sulle guance come ogni volta che si imbarazzava o emozionava.
“Voglio te anche con le tue fisime mentali sulle persone e i luoghi affollati”.
Vedendo che continuava a non ricambiare lo sguardo e che restava chiuso nel suo silenzio offeso si mise a canticchiare.

Yes I know that love is like ghosts

Oh, few have seen it, but everybody talks
Spirits follow everywhere I go
Oh they sing all day and they haunt me in the night”

Prevedibilmente quello catturò l’attenzione dell’altro ragazzo, che gli rivolse un sorriso di riconciliazione.
“Vuoi forse assordarmi? Cos’è questa lagna?” domandò mentre Naruto ridacchiava e si spalmava ancor di più su di lui.
“È una canzone” rimarcò l’ovvio “L’ho sentita questa mattina in negozio, non è bella?”
“Cantata da te decisamente no” soffocò una risata e intrecciò le dita delle loro mani, segno che non ce l’aveva più con lui.
“Sono un cantante provetto” protestò ricambiando la presa “Bah, almeno posso vantarmi di essere tra quei pochi che hanno visto l’amore. E un fantasma” aggiunse ridacchiando, abbassò la testa per baciargli l’angolo delle labbra “Io non ho un ragazzo trofeo, ho un ragazzo fantasma”.
Sasuke sbuffò.
“Non voglio costringerti a fare nulla” continuò con serietà, si morse le labbra “È solo… sono i miei amici, mi hanno aiutato tantissimo in questi anni e vorrei che tu li conoscessi. E che tu conoscessi loro. Siete le persone a cui più tengo al mondo”.
Ottenne una faccia pensierosa e un poco colpevole.
“A che ora vi troverete?”
“Alle otto al porto” rispose efficiente.
Sasuke aveva preso a giocherellare con la stoffa del copriletto leggero.
“Mh, ci penserò” chiosò e Naruto sapeva che quello era il massimo che poteva ottenere, ma che ci avrebbe pensato sicuramente.
Gli rivolse perciò un sorriso enorme, felice, e tornò a baciarlo approfonditamente, stringendo i suoi capelli serici fra le dita, si dondolò contro il suo bacino avvertendo qualcosa cominciare a premere sotto i tuoi glutei.
Ridacchiò quando staccandosi dalle sue labbra ricevette un mugugno scontento.
“C’è qualcosa che si sta risvegliando…” notò con una falsa espressione ingenua, dondolandosi con più insistenza.
Sasuke appoggiò con possessività le mani sui suoi fianchi, dettando il ritmo del suo dondolare.
“Sei nudo, su un letto e seduto sopra il mio pene” gli fece notare “Sono stato già fin troppo paziente” gli rivolse un’occhiata machiavellica prima di invertire le posizioni, facendolo scivolare sotto di sé. Si sistemò meglio fra le sue gambe aperte “Se non sbaglio ora è il mio turno”.
Naruto allacciò le mani dietro il suo collo, spingendolo fino a far sfiorare le loro fronti. “Non dovremmo mangiare prima? Non hai fame?”
In risposta Sasuke cominciò a baciargli il collo, suggendo la pelle sia con le labbra che con i denti.
“Al momento non è il mio bisogno primario…”
 
**

Terminato il secondo round era stato letteralmente impossibile trattenere Naruto a letto, ormai stava morendo di fame e il suo unico pensiero era rivolto al cibo da scaldare con il microonde. Per questo era schizzato veloce ancora nudo verso la cucina, mentre Sasuke era rimasto a impigrire fra le coperte. Il letto era pregno dell’odore dei loro umori, era confortevole e cullante. Fissò i due preservativi usati sul comodino distrattamente, mentre pensava alla faccia che avrebbe fatto Naruto una volta scoperto cos’altro c’era nella borsa del thailandese.
Dalla porta lasciata aperta sentì un tono sorpreso, li aveva trovati quindi.
Si stiracchiò e si alzò dal letto con passo lento e calcolato, pregustandosi già la reazione del fidanzato al regalo e la sua espressione felice.
Invece, trovò Naruto davanti al tavolo della cucina immobile, con l’espressone congelato sul volto di shock e confusione. Come se il tempo avesse improvvisamente smesso di correre.
Sasuke aveva già visto quella faccia una volta: Naruto aveva ricordato qualcosa.
Gli si affiancò immediatamente, ansioso. Teneva fra le mani la composizione di calendule arancioni come se fossero fatte di vetro e temesse di romperle, con una delicatezza che contrastava con il suo irrigidimento.
Non sapeva se toccarlo o meno, chiamarlo o fissarlo solo in silenzio, magari funzionava come con i sonnambuli. Ma la sua espressione congelata e sconvolta non cessava, perciò non resistette.
“Naruto!” lo chiamò appoggiando una mano sulla sua spalla.
Lui sussultò, stringendo di colpo le mani con forza, stropicciando i petali arancioni delle corolle. Aveva il respiro accelerato.
“Hai ricordato qualcosa?” domandò subito ansioso.
Deglutì, faticando a trovare la voce. “No… n-non lo so” balbettò “È una sensazione… questi fiori mi fanno pensare a qualcosa di doloroso” si morse le labbra “Fa male, ma non so perché”.
Il volto di Sasuke si oscurò, gli prese delicatamente i fiori della mani.
“Mi dispiace, non avrei dovuto regalarteli. Credevo che…” s’interruppe scuotendo la testa “Scusami”.
A quelle parole Naruto parve tornare in sé, perché lo guardò come se fosse la sola cosa importante nella stanza.
“Non scusarti!” disse di getto “È stata una sorpresa bellissima, grazie! E poi mi hanno quasi riportato a galla un ricordo…”
“Doloroso” lo bloccò Sasuke “Volevo farti una sorpresa, non stare male”.
Naruto lo abbracciò, schiacciando i fiori sempre più maltrattati tra i loro corpi.
“È comunque qualcosa del mio passato, sono felice di averlo conquistato” gli sorrise fiducioso “Dopo mando un messaggio a Sakura, lei saprà di certo cosa fare”.
Sasuke si mordicchiava il labbro distrattamente, lo sguardo pensieroso ma anche improvvisamente malinconico.
“E se nel tuo passato ci fossero solo cose tristi?” domandò in un sussurro “E se fosse qualcosa di terribile che sarebbe meglio non ricordare? Forse…”
Naruto lo bloccò con un sonoro bacio prima che potesse continuare con quello stupidaggini.
“Non mi importa, voglio comunque conoscerlo. Niente è terribile come non avere ricordi su se stessi” lo guardò dolcemente “Voglio ricordare tutto, le cose belle come quelle brutte, voglio capire meglio chi sono”.
Sasuke svincolò dall’abbraccio. “Io voglio solo stare con te” dichiarò serio.
Le sue dichiarazioni erano sempre inaspettate, quando le riceveva Naruto rischiava sempre di restare imbambolato.
“Questo è sicuro” riuscì a reagire “Noi staremo insieme, non importa cosa è successo nel mio passato, te lo prometto”.
La reazione di Sasuke fu del tutto inaspettate, i suoi occhi si fecero improvvisamente freddi e anche il resto della sua espressione si tese.
“Non fare promesse che potresti dimenticare” sibilò stizzito.
Cosa?
“Non…”
“Lascia stare” tagliò corto, improvvisamente di cattivo umore. Prese la busta di plastica sulla tavola e la portò in cucina “Scaldiamo questa schifezza, non stavi morendo di fame tu?”
Per Naruto a volte era davvero impossibile riuscire a stare dietro al’umore altalenante del suo compagno.
 
 
**

– Dove sei?
Il porto quella sera era ghermito di gente e luci violette, diverse musiche si sovrapponevano fra loro schiacciando il cacofonico brusio delle persone. Era molto caldo in mezzo a quella folla, perciò Naruto aveva legato la giacca in jeans leggera alla vita. Erano lì già da due ore, avevano comprato dolci, giocato con le freccette dove il fidanzato di Ino era riuscito a vincerle un peluche, ed erano stati sugli autoscontri. Ora erano in fila per lo zucchero, oltre a Ino e Sai – il suo ragazzo – c’erano anche altri sui colleghi, Shikamaru con la sua ragazza Temari, Choji e Kiba, e altri due suoi compagni di palestra, Rock Lee e Gaara. Aveva iniziato a frequentare la palestra per la riabilitazione fisica, dopo essersi svegliato aveva i muscoli deboli e anche solo stare in piedi per lui era faticoso, aveva dovuto lavorare duramente per rinforzarli; anche se ora non ne aveva più bisogno continuava a frequentarla.
Si stavano tutti divertendo tantissimo, compreso lui, ma continuava a tenere lo sguardo incollato al telefono e a mandare messaggi a Sasuke.
Gli aveva detto che sarebbe venuto, perché non si presentava? Una parte di lui temeva si fosse perso, ma allora perché non rispondeva ai suoi messaggi?
“Scusate, mi allontano un attimo” disse distrattamente agli altri continuando a tenere lo sguardo sullo schermo. Uscì dalla fila senza attendere una risposta e cercò un punto dove il rumore non fosse troppo frastornante.
Digitò il numero e attese, ma dopo pochi squilli la voce registrata gli disse che il numero era irraggiungibile. Provò ancora, ma il risultato fu lo stesso.
“Cazzo” borbottò sentendo gli occhi che bruciavano dalla delusione. Gli mandò un altro messaggio, pregando qualsiasi dio si trovasse in cielo di ricevere una risposta.
 Ehi, appena ci sei chiamami per favore. Fra un po’ andiamo sulla ruota panoramica, vorrei salirci con te.
Si chiese se fosse troppo melenso, ma poi decise che non gli importava. Voleva solo che arrivasse, voleva  presentarlo ai suoi amici, dividere lo zucchero filato con lui e baciarlo in cima alla ruota panoramica.  Era chiedere troppo?
“Naruto!” Ino comparve al suo fianco, tenendo due stecchetti di zucchero filato rosa. Gliene tese uno scrutandolo un attimo preoccupata. “Il tuo ragazzo…?” domandò titubante.
Fece un sorriso smagliante, scacciando la smorfia delusa.
“È solo in ritardo, ma sta arrivando. Nel frattempo andiamo sul bruco?”
“Ma è una giostra per bambini!”
“A me piace, dai!” la tirò per un braccio per raggiungere il gruppetto.
Sasuke non venne. E non rispose neanche a un messaggio.
 
**

Avere il turno di mattina quando la sera prima eri stato in giro fino a tardi a fare baldoria con gli amici era sempre qualcosa di distruttivo per Naruto, che aveva passato il tempo in libreria con la testa a ciondoloni. Per non parlare dell’umore nero che lo accompagnava come una nuvola pregna di pioggia da quando si era svegliato. Sasuke non si era fatto sentire, nemmeno per rifilargli una scusa, e lui era rimasto con il fiato sospeso per tutta la sera.
Ricevette notizie dal ragazzo solo quando tornò a casa e sentì il telefono vibrare. Vedere il suo nome sullo schermo lo aveva fatto infuriare e per un momento aveva vagliato la prospettiva di buttargli giù, ma non voleva togliersi la possibilità di gridargli contro.
“Oh, Sasuke, stai finalmente rispondendo a una delle mie cinquanta chiamate?” domandò cercando di fare un tono amabile, ma inevitabilmente finì per ringhiare.
Ci fu un’esitazione dietro la cornetta.
“…Sei arrabbiato”.
Fece una risata gelida. “Complimenti per la perspicacia”.
Stavo studiando, avevo spento il telefono” si giustificò.
“Alle dieci di sera stavi studiando” sbottò incredulo “Facciamo finta che ti creda”.
Perché non dovresti credermi?!”
Lo ignorò. “Lo sapevi che ti stavo aspettando, che ti avevo chiesto di venire. Almeno il telefono sottomano per rispondere potevi tenerlo, dirmi che avevi cambiato idea… Mi hai piantato in asso!”
Credevo che il silenzio fosse una risposta chiara” replicò stizzito, anche lui cominciava a scaldarsi.
Naruto prese un lungo respiro per evitare di dirgli qualcosa di cui poi si sarebbe sicuramente pentito.
“Avevi detto che saresti venuto, ti ho aspettato tutta la sera” disse lentamente, mentre gli tornava in mente il modo dispiaciuto in cui lo avevano guardo i suoi amici quando era stato chiaro a tutti, tranne che a lui, che Sasuke non sarebbe venuto.
Non l’ho mai detto” lo corresse Sasuke “Ho detto che ci avrei pensato. Ci ho pensato e la risposta è stata no”.
“Vaffanculo” sbottò.
“Naruto, fra una settimana inizia la sessione e ho cinque esami da dare se voglio riuscire a laurearmi quest’anno. Credi che io abbia tempo da perdere?”
“Era una sera, era una cazzo di sera” inspirò bruscamente “Se ti avessi chiesto di venire da me, solo noi due da soli, non te ne sarebbe fregato niente dello studio”.
Non…”
“Dimmi che non è vero” lo provocò. Sentendo che non rispondeva continuò: “Non è la prima volta che mi dai buca e ogni volta succede quando ti chiedo di andare fuori o incontrare i miei amici. Ogni volta mi lasci come un cretino, oppure disdici all’ultimo”.
Sasuke continuò a restare cocciutamente in silenzio.
“A volte ho davvero la sensazione che tu non voglia essere visto con me” mormorò amaramente “Che tu voglia restare nascosto. Sasuke, perché? C’entra qualcosa la tua famiglia…”
Non gliene parlava quasi mai, poche volte era riuscito a strappargli qualche informazione; non sapeva niente di loro, se non che fossero ricchi e costantemente impegnati all’estero per il lavoro.
La mia famiglia non c’entra niente” disse lui improvvisamente aggressivo “Ti stai facendo solo inutili paranoie. Lo sai che non mi piacciono i posti affollati”.
“Quindi se questa sera chiedessi ai miei amici di venire da me per un film, solo noi, tu verresti?”
Silenzio. La risposta gli fu subito chiara.
Sentì gli occhi bruciare. “Sasuke, sinceramente, fottiti”.
Chiuse la chiamata prima che potesse replicare alcunché e si gettò a peso morto sul divano, desiderando venire inghiottito da esso. Guardò il soffitto sentendosi patetico e con un grumo di lacrime incastrate in gola. Eppure non gli sembrava di star chiedendo troppo, non gli sembravano nemmeno richieste irragionevoli, perché Sasuke doveva essere così… così?
Capiva il suo essere riservato, ma c’erano così tante cose su di lui che non sapeva e aspetti della sua vita dove non poteva entrare. Non era mai stato a casa sua, non lo aveva mai accompagnato all’università e in generale sembrava che la loro storia d’amore esistesse solo fra le mura di casa sua, soprattutto nella stanza da letto.
Si sarebbe lasciato volentieri crogiolare in quelle considerazioni da damina afflitta fino all’ora di cena, ma qualcuno suonò alla porta, costringendolo ad alzarsi.
Nessun riposo per i cuori spezzati, considerò andando allo spioncino. Nel pianerottolo c’era un uomo che non conosceva, dall’aspetto giovane e con dei capelli castani tenuti su in una coda, la pelle era scura e deturpata da una cicatrice orizzontale sul naso.
Aprì titubante.
“Sì? Le serve qualcosa?” domandò facendo la stessa faccia che assumeva con i clienti in libreria.
L’uomo lo scansionò da capo a piedi con interesse, poi tornò a guardarlo in volto.
“Sei Naruto, giusto?”
Annuì nervoso, si grattò una guancia aspettando che aggiungesse altro.
Quello addolcì lo sguardo, come se finalmente realizzasse qualcosa di triste. “Quindi è vero, hai perso la memoria?”
S’irrigidì davanti a quella domanda diretta e non trovò nessuna risposta da dare, si limitò a fare un solo cenno esitante con il capo. Improvvisamente si sentì prendere dall’ansia allo stomaco e desiderò chiudergli la porta in faccia e ripararsi a casa propria. Ma l’uomo riprese a parlare prima che potesse fare qualsiasi cosa avventata.
“Mi chiamo Iruka Umino, sono stato il tuo maestro alle elementari”.
 
 
L’unica cosa che gli era venuta in mente di fare, una volta che l’uomo si era accomodato a casa sua, era stato fare il tè. Aveva anche mandato un frettoloso messaggio a Sakura per chiederle consiglio. Non sapeva cosa fare, sul suo divano c’era un uomo che per lui era uno sconosciuto, ma che in realtà apparteneva al suo passato. Era stato il suo maestro, lo aveva conosciuto da bambino e lo aveva educato.
Aveva così tante domande da fargli, voleva assolutamente sapere qualcosa di se stesso da piccolo, quale fosse il suo coloro preferito, se fosse bravo a scuola e ubbidiente, o se invece fosse una peste. Se aveva amici, quali fossero i suoi giochi preferiti e la materia in cui riusciva meglio. Ma non sapeva da dove iniziare.
Fortunatamente, fu Iruka a toglierlo dall’impiccio e tirò fuori dallo zaino che portava
una busta di plastica.
“Ho ricevuto l’e-mail della dottoressa Haruno dove mi informava della tua situazione, ma in quel momento era all’estero e ho potuto leggerla solo recentemente. Mi dispiace averti fatto aspettare tutti questi anni”.
Naruto si avvicinò curioso con le due tazze di tè, dando all’ospite quella che di solito usava Sasuke.
Iruka sorrise. “Vedo che continua a piacerti l’arancione”.
Si illuminò. “Era il mio coloro preferito?”
“Avevi almeno un vestito con quel colore ogni giorno” confermò, poi lo guardò dispiaciuto “Non ricordi proprio niente? Nemmeno tuo nonno?”
Scosse la testa. “No… da poco mi sono ricordato una scena, io che dico una poesia ai miei genitori” si domandò se parlare delle calendule, ma poi lasciò perdere perché non erano un vero e proprio ricordo.
“Vi facevo imparare molte filastrocche a scuola…” annuì “Ma a volte tu ne imparavi per conto tuo, eri un bambino… speciale” esitò un poco “Vivevi nel tuo mondo con la testa fra le nuvole, ero molto affezionato a te”.
Naruto sentì gli occhi farsi umidi a quelle parole, aveva un groppo in gola e una strana nostalgia. Voleva ricordare, voleva disperatamente ricordare quelle cose.
Ancora una volta fu Iuka a riprendere la conversazione. Gli tese la cartellina.
“Ho cercato qualcosa di tuo a casa. Non è molto, è passato tantissimo tempo, però ho ancora alcuni tuoi compiti, il tuo quaderno dei temi, dei disegni e delle fotografie di classe”.
Lo prese impaziente di riappropriarsi di quei tesori perduti, era la cosa più concreta su cui metteva mano da quando si era svegliato.
Sfogliò il primo quaderno emozionato, sul punto di scoppiare davvero a piangere. Aveva una calligrafia completamente diversa di quella che aveva detto, era ancora disordinata e caotica, ma da bambino aveva tentato di imitare le eleganti lettere stampate, anche se il risultato era del tutto discutibile. Lesse alcune righe con avidità.
Oggi ho aiutato il nonno ha cercare le cose in soffitta. C’era tanta polvere e era buio, quindi abbiamo preso una lampada vecchia. C’era mobili rotti, una bicicletta e tanti libri. C’era anche il  Il nonno ha detto che posso tenere un libro, parla di fate e folletti. Non vedo l’ora di leggerlo.
Cercare di non piangere fu decisamente inutile e una goccia bagnò la carte sottile, sbavando un poco l’inchiostro. Si passò una mano sulle ciglia e tirò su con il naso.
“Scusami, io…” mormorò imbarazzato.
Iruka gli passò comprensivo un fazzoletto. “Va tutto bene”.
Si soffiò il naso, ma poi riprese a guardare il contenuto della cartellina. C’erano tanti disegni dalle proporzioni sbagliate, fatti con i pennarelli o con la matita; erano grotteschi, ma allo stesso tempo erano anche la cosa più bella che avesse visto. Poi arrivarono le fotografie e il cuore gli mancò qualche battito. Fu strano vedersi così piccolo, con i capelli sempre spettinati e il grembiulino. C’era una foto di lui su un’altalena leggermente sfocata, poi lui su un banco a scuola pieno di matite colorati e un astuccio fatto a rana, con la punta del naso sporca di colore azzurro. C’era poi una foto di classe, dove era circondato da tutti i suoi compagni. Studiò minuziosamente i loro volti, probabilmente tra di loro c’erano i suoi amici d’infanzia, magari riusciva a riconoscere qualcuno di loro, ma le facce erano troppo piccole per distinguerle bene.
Passò alla foto successiva e impietrì di colpo. Il se stesso bambino non era da solo, accanto a lui c’era un altro bambino dai capelli neri e il volto pallido, un volto che nonostante la morbidezza infantile conosceva molto bene.
Mostrò la foto a Iruka, un sudore freddo lungo la schiena.
“Chi è questo bambino?”
Guardò appena un secondo la foto, poi fece un sorriso entusiasta.
“Il tuo migliore amico, eravate inseparabili. Si chiama Sasuke Uchiha”.
 
 
 
 
 
Note:
Per la canzone del capitolo qui
 
Buonasera anime belle! Ho fatto una maratona di due giorni di scrittura per riuscire a pubblicare questo capitolo entro la scadenza xD
Come avete letto dall’introduzione, la storia partecipa alla Challenge estiva del gruppo facebook SASUNARU FanFiction Italia a cui consiglio di entrare nel caso non lo abbiate ancora fatto ^^
La storia sarà di tre capitoli che spero di pubblicare a distanze ravvicinate, dipende dal tempo che mi lascia lo studio xD L’ho scritta a cuore aperto, magari trattando un po’ ingenuamente la tematica della perdita di memoria, non mi sono nemmeno documentata a sufficienza su come venga gestita in ospedale e ho sbirciato solo qualcosa in internet. Ma nonostante questo mi sono già affezionata alla storia :’)
Spero vi possa piacere, io sono stata folgorata da questa idea, e sono curiosa di sapere le vostre impressioni!
Un bacio,
Hatta
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** But it feels like there's oceans between you and me ***


II
But it feels like there's oceans between you and me
 
 
C’era una macchia d’umidità sul soffitto, proprio sull’angolo a destra ed era quella che Naruto, disteso sul proprio letto, guardava da almeno mezz’ora. L’umidità era sempre stato un grande problema per Konoha, visto che ne era satura a livelli quasi inconcepibili e creava abbastanza disagi. In estate era soffocante, si appiccicava alla pelle e rendeva ogni movimento pesante; in inverno invece creava delle nebbie fitte e gelide, che ti davano la sensazione di immergerti nell’oceano e non poter respirare più.
Naruto non sapeva se il suo essere completamente sudato, però, fosse solo causato dall’insopportabile caldo umido. Era più probabile che si trattasse dello shock della nuova scoperta.
Sasuke Uchiha.
Quello non era il cognome del suo Sasuke – Sasuke Blackwood – ma la somiglianza tra i due era evidente, sembravano davvero la stessa persona. Era una cosa assurda.
Una coincidenza? Nemmeno lui era così stupido da crederlo, anche se gli sarebbe piaciuto.
Chiuse gli occhi, ripercorrendo con la mente la conversazione avuta due ore prima.
 
“Il tuo migliore amico, eravate inseparabile. Si chiama Sasuke Uchiha”.
Sasuke. Il cuore di Naruto rimase in silenzio per quelli che gli parvero secoli e l’improvvisa assenza di respiro gli rese impossibile articolare qualche suono. Rimase semplicemente in silenzio a guardare la fotografia.
“Ho già sentito questo nome…” sussurrò alla fine, non sapendo cosa dire e come spiegare.
Iruka fece un sorriso nervoso, ma non lo notò troppo impegnato a osservare la vecchia foto.
“Sicuramente lo avrai sentito in questi anni. Suo zio, Madara Uchiha, fa parte del consiglio amministrativo della regione. È un uomo politico molto influente, spesso compare in televisione”.
Naruto era troppo incasinato con la sua vita per preoccuparsi di politica, ma ogni tanto gli capitava di sentirlo alla televisione. Sì, poteva essere una spiegazione.
“Dov’è adesso?” si stupì di come la sua voce uscisse secca e monotona, quasi appartenesse ad un automa.
“Chi?”
“Sasuke Uchiha” scandì “Dov’è adesso? È a Uzu?”
Iruka fece una faccia imbarazzata. “Non lo so” ammise “Finite le elementari si trasferì qui a Konoha con tutta la famiglia. Dovettero trasferirsi perché suo fratello era gravemente ammalato e nell’isola non abbiamo un ospedale sufficientemente attrezzato, so che avevano chiesto a un dottore famoso. Non so se sia tornato o se sia rimasto qui, non ne ho idea” ripeté “Poco dopo aver avuto la vostra classe sono stato chiamato a studiare all’estero”.
Annuì. “Crede che ci sia un modo per ritrovarlo? Mi piacerebbe conoscerlo”.
“Non lo so, forse… forse nelle pagine bianche potresti trovare qualcosa…”
“Cercherò”.
 
Iruka si era trattenuto ancora per qualche ora, in cui aveva cambiato argomento e gli aveva raccontato aneddoti della sua infanzia. Li aveva ascoltati interessato, nella sua testa il mosaico che aveva cominciato a costruire con Sakura stava diventando un poco più chiaro, anche se c’erano così tante cose che continuava a non capire. Nonostante l’interesse sincero, però continuava a restare distratto da quel pensiero. Lo stesso pensiero che lo stava sopraffacendo anche in quel momento.
Conoscevo già Sasuke?
Se lo avesse scoperto i primi mesi sarebbe scoppiato di gioia, l’idea che Sasuke appartenesse al suo passato lo avrebbe reso felice come mai; ma ora, dopo otto mesi di silenzio, lo faceva solo infuriare. Perché era stato in silenzio? Perché aveva finto che fossero due sconosciuti?
Sapeva che l’unica cosa sensata da fare era chiamare il ragazzo e fargli tutte quelle domande che lo opprimevano direttamente. Ma non poteva farlo dopo il modo in cui si erano lasciati con l’ultima chiamata, era ancora troppo arrabbiato con lui per essere obiettivo ed era sicuro che lo stesso valesse per Sasuke.
Però non gli piaceva stare con le mani in mano.
Si alzò e prese il computer, accendendolo. Fuori stava scendendo la sera e la stanza era avvolta dalla semioscurità, lo schermo bianco era l’unica luce.
Digitò Sasuke Uchiha su google e scorse il console tra i risultati. Erano per lo più indirizzi di facebook, ma nessuno era quello che cercava, e subito gli veniva il suggerimento Madara Uchiha. Lo ignorò scendendo sempre di più con la pagina finché non trovò qualcosa che potesse essergli utile.
Era il link di un vecchio articolo di giornale, probabilmente durante la campagna elettorale, perché diceva: “Nonostante i tanti impegni per le elezioni in arrivo, il ministro Madara Uchiha riesce comunque a trovare del tempo da passare con la famiglia”. C’era una sua foto, era in quello che pareva essere un lussuoso ristorante ed era circondato da altre persone simili a lui per lineamenti; tra di essi c’erano anche due bambini. Prese la sua foto con Sasuke Uchiha e le confrontò. Non c’erano dubbi, uno dei due bambini era la stessa persona della sua infanzia.
Lesse velocemente la didascalia sotto la foto di giornale: Madara Uchiha con il cugino Fugaku, la cugina acquisita Mikoto Uchiha e i nipoti Itachi e Sasuke.
Naruto deglutì, ricordando le parole di Iruka.
“Dovettero trasferirsi perché suo fratello era gravemente ammalato e nell’isola non abbiamo un ospedale sufficientemente attrezzato, so che avevano chiesto a un dottore famoso”.
Itachi, era quello il nome del fratello ammalato. Da quello che aveva scoperto lui, il suo Sasuke non aveva né fratelli, né sorelle, gli aveva chiaramente fatto capire di essere figlio unico con continue allusioni alla faccenda.
Scrisse quel nome nella ricerca e vagò per ore fra i risultati inconcludenti. Provò allora con Madara Uchiha e questa volta la pagina caricò una miriade infinita di risultati, ma nessuno di essi era collegato alla sua vita privata. C’erano al massimo riferimenti a visite di parenti o articoli di gossip, ma niente che portasse ancora il nome di Sasuke Uchiha o ne facesse riferimento indiretto.
Corrugò la fronte, il principio di un’emicrania gli stava facendo pulsare le tempie, ma continuò a tenere lo sguardo sul monitor finché non trovò un articolo che catturò la sua attenzione. Anche lì non c’era nessun riferimento all’altro Sasuke o a suo fratello, ma lo colpì lo stesso: la notizia riportava la vincita di una causa giuridica di Madara contro il dottore Orochimaru, che aveva dovuto pagargli una multa salatissima. Basta, non c’era nessun altra informazione, nemmeno su cosa trattasse la causa.
“Dovettero trasferirsi perché suo fratello era gravemente ammalato e nell’isola non abbiamo un ospedale sufficientemente attrezzato, so che avevano chiesto a un dottore famoso”.
Un dottore. Poteva trattarsi dello stesso?
Questa volta mise il nome del dottore in internet e google, a differenza delle precedenti ricerche, non fu avaro di informazioni. Trovò perfino il suo portfolio.
Kujira Orochimaru, dottore di psichiatria.
Spalancò gli occhi, non più tanto sicuro che si trattasse del dottore che aveva curato Itachi Uchiha. O forse sì? Forse…
Si morse il labbro con gli incisivi, scorrendo sul suo profilo ma non trovò nessun riferimento a Itachi.
 Era come se qualcuno avesse voluto cancellare dall’internet i nomi dei due fratelli Uchiha, con l’unica eccezione di quell’articolo, come se fosse stato dimenticato.
In compenso trovò la struttura dove lavorava Orochimaru e un numero per contattarlo. Si ritrovò con il proprio telefono in mano e il numero composto prima ancora di rendersi pienamente conto di cosa stesse facendo. Fu solo al primo tuu che si accorse di non avere un piano, che cosa gli avrebbe detto? Non fece in tempo a trovare una soluzione che avvertì dall’altra parte una voce femminile quasi meccanica.
“Salve, studio psichiatrico dell’Ospedale privato Oto, come posso esserle utile?
“Salve, sono Naruto Uzumaki” di certo presentarsi era una cosa educata e giusta “Sto cercando il dottor Orochimaru, vorrei parlargli”.
Buonasera signor Uzumaki” salutò “Intende che vuole prendere appuntamento per una consulenza con il dottore?
“Ehm… Qualcosa del genere”.
È a conoscenza del costo di una semplice visita di consulenza?
“No” ammise, sbiancò quando sentì il prezzo “Sta scherzando?”
Non c’è motivo di scherzare” replicò spazientita la segretaria, forse si era appena resa conto di star parlando con uno sprovveduto.
“Non potrebbe passarmelo a telefono, per favore?” sperò “Devo solo fargli una domanda”.
Mi dispiace, il dottore non è presente in studio a quest’ora”.
Naruto lanciò uno sguardo all’orologio e spalancò gli occhi nel costatare quanto fosse tardi, era già un miracolo che avesse ricevuto una risposta.
Riferisca pure a me la domanda, nel caso non riesca a rispondere la farò recapitare al dottore”.
Tutto sommato era gentile e paziente.
“Si tratta di un suo paziente, vorrei…”
Lo interruppe: “Le informazioni sui pazienti sono materiale riservato, serve un’autorizzazione”.
“Mi basta sapere se questa persona sia stata un suo paziente o meno”.
Anche questo non posso riferirlo, sarebbe violazione della privacy. Se non ha altre…
 “Si tratta di Itachi Uchiha!” gridò di getto, temendo che gli mettesse giù.
Seguì un silenzio sorpreso ed esitante.
Bingo.
Lei…” mormorò poi la segretaria guardinga “Lei è un giornalista?”
“No” disse con il tono più sincero del suo repertorio.
E allora perché cerca questa informazione?”
Esitò nel rispondere, ma non riuscì a trovare nessuna bugia convincente, perciò ammise sincero: “Un trauma mi ha causato un’amnesia totale, non ricordo niente della mia vita prima di svegliarmi da un coma quattro anni fa. Oggi sono venuto a sapere che Sasuke Uchiha era un mio amico d’infanzia, abbiamo frequentato le elementari a Uzu insieme. Sto cercando informazioni su di lui, ma non c’è… niente. Ho solo trovato il nome di suo fratello e un suo possibile collegamento con il dottor Orochimaru”.
Ci fu un lungo silenzio e Naruto temette di non essere stato creduto, in fondo non poteva biasimarla visto quanto era strana la sua storia.
“La prego, le giuro che sono innocuo” decise di aggiungere “Faccio il libraio e fino a tre anni fa non sapevo nemmeno scrivere il mio nome, si figuri un articolo. Sto solo cercando di ritrovare un vecchio amico, di ricostruire la mia vita. Non c’è nessun altro motivo”.
Ci fu un altro lunghissimo silenzio, stava quasi per perdere la speranza quando finalmente sospirò rassegnata.
Resti in linea”.
Naruto attese altri interminabili minuti, mangiandosi la pellicina del pollice. Era in ansia, cominciava a temere di essersi gettato in qualcosa più grande di lui, magari un affare mafioso.
O forse ho visto troppi thriller.
Trattenne il fiato quando la segretaria tornò alla sua chiamata.
Il dottore ha acconsentito a un appuntamento. Domani mattina alle nove e mezza, le raccomando la puntualità”.
Gli uscì uno sbuffo incredulo e si portò una mano fra i capelli.
“Grazie, sarò puntuale” disse, ma poi ripeté perché non gli sembrava di aver dimostrato quanto le fosse davvero grato: “Grazie, è stata gentilissima, non so come ringraziarla”.
Dovere” rispose con un tono addolcito la segretaria “Le auguro una buona serata, signor Uzumaki” lo salutò più stancamente.
“Anche a lei” ricambiò prima che mettesse giù.
Naruto cominciò a muoversi nervoso e sovraccaricato per la casa in penombra, si sentiva il corpo agitato come se avesse ingerito litri di caffeina. Era certo di quello che stava facendo? Assolutamente no, ma ormai ci si era buttato impulsivo come suo solito ed era inutile ripensarci.
Cominciò a immaginarsi l’ipotetica conversazione con il dottore, si appuntò le domande da fargli, gesticolò con l’aria mentre improvvisava il dialogo e spiegava la sua situazione.
Senza rendersene conto arrivò in cucina e vide sopra il piano, vicino ai microonde, ciò che restava del thailandese. Istantaneamente ogni pensiero per il giorno dopo venne spazzato via dalla delusione per Sasuke. Ormai erano passate ore dall’ultima volta che lo aveva sentito, da quando gli aveva malamente attaccato in faccia, ma il ragazzo non si era ancora fatto sentire. Non gli aveva mandato un messaggio e non aveva tentato di richiamarlo o altro.
Naruto non era abituato ai silenzi così lunghi, durante la giornata lo tempestava sempre di messaggi per sapere cosa stesse facendo, come stesse o semplicemente informarlo su pensieri random. Cercava sempre di non essere troppo invadente, ma Sasuke non gli aveva mai chiesto di darci un taglio o almeno ridimensionare la cosa, quindi non pensava ne fosse infastidito.
Era da quando si erano messi insieme che non stavano un intero pomeriggio senza sentirsi.
Guardò il telefono titubante, chiedendosi se fosse ora di rompere quel silenzio. Poi si ricordò che era sempre lui a cercarlo, a ogni discussione era sempre lui ad abbandonare le armi per primo e ad offrire una richieste di pace; lui che metteva da parte l’orgoglio e si scusava, lui che cedeva sempre per primo.
Non questa volta.
Appoggiò il telefono sulla mensola, poi cambiò idea e decise di spegnerlo direttamente per non cedere alla nostalgia. Per una volta doveva essere Sasuke a scusarsi, a dimostrare che ci teneva alla loro relazione.
E se non lo facesse?
Scivolò sul pavimento, abbracciandosi le ginocchia al petto. In quei quattro anni non era stato difficile solo imparare a relazionarsi con il mondo esterno, ma soprattutto con il suo interno. Ogni emozione che provava gli sembrava qualcosa di incredibile, che non capiva pienamente, qualcosa di inconoscibile. Era stata Sakura a insegnagli i nomi di quelle sensazione, a spiegargli cosa fossero, perché nascessero e come gestirle. Gli aveva detto che ci sono gradi d’intensità diversi, che a volte possono essere effimere come la vita una farfalla, altre volte così potenti da portare alla pazzia, se non la morte. In tre anni aveva sperimentato sulla propria pelle quelle emozioni, imparando a riconoscerle e a trattarle nel giusto modo, ma non aveva mai compreso come qualcosa di così poco concreto, di invisibile e inconsistente come l’aria, potesse arrivare a uccidere.
Poi… be’, poi aveva conosciuto Sasuke ed era cambiato tutto.
Ogni volta che credeva di aver imparato a gestire la gradazione più alta, una nuova ondata di emozioni e sentimenti lo investiva come una tsunami e lui si ritrovava ad affogare impotente fra le correnti. Emozioni del genere non si potevano semplicemente gestire, erano troppo potenti e forti, anche se non avevano un corpo con cui schiacciarlo fisicamente.
I sentimenti erano qualcosa di distruttivo e, come capì raggomitolato a terra con gli occhi pieni di lacrime, a volte poteva esserlo al punto di arrivare ad ucciderti.
 
**
 
La sala d’aspetto era gradevole, dai colori caldi e con quadri dalle vedute rilassanti, fatta così proprio perché mettesse a proprio agio i pazienti in attesa. Uscendo dal proprio studio, Sakura si era aspettata di trovarla vuota dal momento che per quella mattina non erano previsti altri appuntamenti e nel pomeriggio non sarebbe stata di turno, ma fu spiazzata nel trovare un posto occupato. La sorpresa venne cancellata quando l’uomo si alzò e le tese una mano, presentandosi in modo garbato.
“Sono Iruka Umino, ieri ci siamo sentiti per e-mail” aveva una voce calda e gentile che ben si agglomerava all’ambiente circostante “Le avevo chiesto un appuntamento per poter parlare riguardo…”
“Naruto” completò per lui visto che aveva esitato sul finale, ricambiò la stretta della sua mano con una altrettanto salda “Piacere di conoscerla, sono felice che sia qui. Sono la dottoressa Haruno, Sakura Haruno”.
Iruka la guardò attentamente e quella che ricevette fu una chiara occhiata di apprezzamento perciò, onde evitare futuri fraintendimenti, si spostò una ciocca di capelli dal volto e nel farlo mostrò casualmente la fede infilata all’anulare.
“Il mio turno è finito, stavo per andare a casa. Ma se vuole possiamo fermarci un poco al bar al piano di sotto, così l’aggiorno un poco sulla situazione e su come stia Naruto”.
“Diamoci pure del tu, Sakura” disse, poi annuì “Sì, molto volentieri”.
Mentre raggiungevano il bar Iruka si scusò per non aver potuto rispondere prima alla sua e-mail e le spiegò che era stato all’estero negli ultimi anni, quindi si scusò ancora nonostante Sakura lo rassicurasse.
“Organizzerò al più presto un incontro con Naruto, sarà ansioso di vederlo dopo tutto questo tempo” disse alla fine, quando presero posto e lei aveva un confortevole cappuccino tra le mani.
“Veramente l’ho già incontrato, ieri”.
Crack. Sakura fu quasi certa di aver rotto la tazzina di caffè visto quanto aveva stretto la presa.
“Cosa?!” esalò incredula, gli occhi spalancati “In che senso vi siete già incontrati?”
Iruka fece una faccia imbarazzata, forse rendendosi conto che la sua improvvisazione non era stata particolarmente gradita.
“Non dovevo? Sono andato a casa sua e abbiamo parlato”.
Si massaggiò la fronte, strofinando il pollice sulla voglia violacea al centro.
“Come ha reagito quando ti ha visto?”
“Bene” esitò “Mi ha offerto il tè”.
“Bene” ripeté sarcastica, sul punto di sbottare e perdere le staffe. Era una cosa che le succedeva spesso quando non palava con i propri pazienti. Secondo suo marito era un effetto collaterale della sua infinita pazienza a lavoro.
“Ti rendi conto di cosa avresti potuto causargli? Poteva finire sotto shock!” prese fiato “La situazione di Naruto è delicatissima, bisogna stare attenti e ogni interfaccio con il suo passato deve essere bilanciato correttamente perché non sappiamo come potrebbe reagire!”
“Mi dispiace” mormorò Iruka sinceramente pentito “Non immaginavo minimamente una cosa del genere”.
“L’amnesia di Naruto è totale, in quattro anni non è praticamente migliorato. Ha solo recuperato un frammento. Vedersi sbattuto in faccia il proprio passato potrebbe romperlo dentro” lo guardò dritto in volto con i suoi determinati occhi verdi “Ora voglio che tu mi dica tutto quello che è successo nel vostro incontro, voglio sapere ogni sua reazione e… tutto, non devi tralasciare niente”.
Iruka si prodigò per accontentarla il più possibile, tentò di essere sia conciso che esauriente e di portare alla memoria tutti i dettagli di quel breve incontro. Sakura ascoltava vigile, gli occhi intelligenti che lo scrutavano così fissi da metterlo quasi in soggezione. Sembrava molto più giovane di lui, ma la sua figura emanava una tale forza e autorità da farlo sentire sotto esame.
Una parte del resoconto colpì immediatamente Sakura, che lo interruppe.
“Sasuke hai detto?”
Annuì e la dottoressa cadde in un piccolo silenzio meditativo.
“E Naruto come ha reagito?”
“Effettivamente, ora che ci penso… sembrava un po’ frastornato” ammise “Ma non ha detto niente e ha continuato a sfogliare le foto”.
Sakura tamburellò le dita preoccupata. “Sasuke è anche il nome del suo attuale ragazzo” rivelò.
Iruka ci mise un poco a registrare l’informazione.
“Oh” commentò preso contropiede “Non immaginavo avesse un… un ragazzo. Cioè, per me non fa nessuna differenza, non discrimino”.
“Questo rende le cose molto più semplici, Naruto è molto innamorato del suo ragazzo” fece una pausa meditabonda “Mi viene naturale chiedermi se sia davvero una coincidenza, magari inconsciamente ha riconosciuto qualcosa del suo passato in Sasuke, il suo nome, e questo lo abbia portato a legarsi…” scosse la testa “Dovrei consultare i miei libri per questo. Naruto da piccolo era molto legato a questo Sasuke?”
“Era il suo migliore amico” ripeté, poi parve ripensarci “Era il suo unico amico”.
Inarcò una sopracciglia scettica. “Unico amico? Non è un po’ esagerata come…”
Non conosceva il Naruto del passato, era vero, però conosceva il Naruto di adesso, spontaneo e ottimista, che con la sua allegria e i suoi sorrisi era riuscito ad acchiapparsi l’affetto di tutto il reparto. Anche alla libreria aveva fatto amicizia con i suoi colleghi e in generale riusciva a creare legami ovunque andasse.
“Era un bambino molto solo” confermò invece Iruka, improvvisamente sembrava nervoso “A parte Sasuke, non aveva amici. Anche gli adulti lo evitavano”.
“Ma perché?”
“Era speciale e diverso. Nell’isola la diversità non è mai stata ben accettata. Per questo Naruto era solo e per questo lo era anche Sasuke”.
Sakura odiava il tergiversare e si rendeva perfettamente conto che Iruka stava cercando di nasconderle qualcosa.
“Anche Sasuke era speciale come Naruto?” domandò pacata.
“Non allo stesso modo” la sua riluttanza nel parlarne era evidente “Ma Sasuke era figlio di un importante politico, la sua famiglia ci teneva alla privacy e faceva di tutto per tenerlo isolato. Anche lui era solo, non aveva amici”.
Annuì, comprensiva.
“Naruto lo aveva considerato un’anima sé affine” riprese il discorso Iruka “E per questo era riuscito a superare tutte le barriere che la famiglia aveva messo intorno a Sasuke e, allo stesso modo, Sasuke era l’unico che comprendeva le stranezze di Naruto e le accettava. Erano inseparabili, almeno finché Sasuke non lasciò l’isola”.
Sakura era silenziosa e valutava quelle nuove informazioni, ma poi scosse la testa.
“Ho come la sensazione che tu non voglia dirmi quale sia questa stranezza” dalla faccia colpevole di Iruka capì di aver indovinato “Devi dirmelo, non possiamo dare il nostro massimo se non abbiamo tutte le informazioni, lo capisci vero?”
“Sì, ma…” si passò una mano sul viso “Naruto non era pazzo, aveva solo troppa immaginazione e la gente non lo capiva”.
Quel preambolo la mise un poco in ansia. “Cosa intende?”
Lo sguardo di Iruka era mortalmente serio quando parlò.
 
**
 
Per qualche motivo era subito chiaro alla vista che quello che Naruto stava attraversando non era un ospedale pubblico, ma un privato. Un ospedale privato per ricconi, o almeno lo testimoniavano le lussuose autovetture ferme nell’ampio parcheggio. Naruto ci era arrivato con i mezzi pubblici.
Allo stesso modo con i capelli sconvolti perché si era svegliato troppo tardi per avere il tempo di pettinarli, una felpa arancione che a ben notare aveva una manica macchiata di dentifricio e i bermuda verdi da spiaggia era decisamente fuori luogo. Meno male aveva optato per le converse che per le iniziali infradito.
Mancava pochissimo alla mezz’ora e lui non aveva ancora trovato lo studio del dottor Orochimaru, a dirla tutta non aveva la più pallida idea di dove si trovasse.
Chiese aiuto a delle infermiere che trovò per i corridoio e bene o male trovò la strada, anche se così si guadagnò molte occhiate scettiche e cariche di rimprovero.
Si fermò davanti alla signorina seduta dietro una scrivania moderna.
“Ehm, io…” iniziò chiedendosi come presentarsi, ma non ce ne fu bisogno, perché la segretaria lo bloccò.
“Il signor Uzumaki?” al suo annuire gettò un’occhiata all’orologio e fece un mezzo sorriso soddisfatto, erano le nove e ventinove “Entrate pure, il dottore vi aspetta”.
La ringraziò, chiedendosi se fosse la stessa che gli aveva risposto al telefono, e attraversò la porta alle sue spalle.
Lo studio gli trasmise subito un senso di freddezza, con le pareti bianche spoglie, decorate solo da fotografia in bianco e nero. Una lucida scrivania in legno chiaro era addossata sotto un’ampia finestra, ma le tende tirate permettevano alla luce di entrare solo in maniera soffusa e per questa la lampada nera sul piano era accesa.
“Signor Uzumaki?” domandò l’uomo seduto dietro la scrivania.
Con un brivido Naruto pensò a quanto assomigliasse a un serpente, con brillanti occhi gialli, il volto pallido un poco schiacciato e lucidi capelli neri sciolti sul camice. Aveva lineamenti eleganti, quasi effeminanti, ma c’era un modo in cui sorrideva calcolatore che lo rendeva letale.
“Salve, scusi il disturbo e il poco preavviso, io…” iniziò a gesticolare affrettato, già dimentico del discorso che si era preparato e ripassato nella mente.
“Si sieda” lo interruppe Orochimaru. Proprio come la stanza, anche la sua voce era fredda e asettica.
Fece quanto ordinato e si sedette su una delle sedie davanti alla scrivania lucida, rimase con le mani in grembo in silenzio, non sapendo più come riprendere la parola. Si sentiva in soggezione sotto quello sguardo giallo.
Fu il dottore a interrompere per primo quel silenzio.
“Non mentiva, lei non è un giornalista”  costatò.
Si grattò la guancia nervosa. “No, non lo sono” confermò “È solo una questione personale, l’ho detto alla sua assistente”.
“Amnesia totale” Orochimaru lo guardava affascinato “Da quanto?”
“Quattro anni” rispose.
“Nessun ricordo? Nemmeno frammenti?”
“Solo uno” borbottò con l’orribile sensazione di esporre la carne nuda a un predatore “Senta, non mi va… Sono qui solo per sapere qualcosa di più su Sasuke Uchiha” e gli spiegò brevemente della foto che lo ritraeva a Uzu con l’altro Sasuke e delle ricerche inconcludenti che aveva fatto.
Orochimaru lo interruppe ridendo. “Non troverà nulla di quella famiglia, Madara Uchiha è stato ben attento a cancellare ogni cosa su di loro. Nemmeno io so come sia finita quella storia”.
Naruto stava sudando e si pentì di essersi messo una felpa, era certo che sotto le ascelle si fossero formati aloni scuri.
“Che storia? Itachi era un malato di mente?” si accorse di aver formulato malissimo la domanda e cercò di rimediare “Ecco, intendevo…”
“Intendevi benissimo” lo interruppe ancora divertito e disgustato insieme “Quella famiglia è composta solamente da malati mentali, ma Itachi lo era anche clinicamente”.
“Lei era il suo dottore? Non l’ha curato? Per questo Madara Uchiha lo ha fatto multare?”
“Itachi era una psicopatico, un abilissimo manipolatore” lo interruppe palesemente disgustato “È riuscito a ingannare tutti, non solo me. Perfino lo stesso Madara”.
Non ci stava capendo gran che, gli sembravano solo informazioni confuse.
“Potrebbe essere più chiaro?”
“Sa cos’è uno psicopatico, signor Uzumaki?”
“Uhm, a grandi linee” borbottò ripensando ai film che aveva visto insieme ai suoi amici “È uno che non prova empatia o rimorso per la propria aggressività?”
“A grandi linee” confermò “Ma non è questa la cosa importante, la cosa importante è che avere un nipote con una tale disturbo mentale per Madara Uchiha era una cattiva pubblicità, giusto?”
“Giusto” esitò nel dirlo, non sapendo dove voleva andare a parare.
“All’inizio provò semplicemente a tenerlo nascosto, a isolarlo esiliandolo in un’isola sperduta dell’oceano” continuò Orochimaru  con quel sorriso strisciante, che gli faceva accapponare la pelle “E poi provò a curarlo, rivolgendosi al sottoscritto, ma nemmeno quello funzionò e allora semplicemente cancellò l’intera famiglia dalla memoria di tutti”.
“Li ha uccisi?” raggelò.
Ricevette un’occhiata sconvolto. “Per Dio, assolutamente no. Intendo che fece in modo che nessuno potesse avere loro notizie. Tu sei incappato proprio nel risultato di questa decisione. Per il mondo, Itachi, suo fratello e la sua famiglia sono alla stessa stregua di fantasmi”.
“Ma non era rischioso farle causa?” domandò confuso “Voglio dire, è comunque una notizia, sono arrivato fino a qui grazie quell’unico indizio”.
Orochimaru scrollò le spalle. “Non fu nulla di eclatante. Nemmeno l’ospedale voleva cattiva pubblicità, quindi si trovò un accordo che non raggiunse per nulla l’interesse dell’informazione pubblica”.
Naruto non sembrava molto convinto.
“Se su questa famiglia vige il segreto, perché me ne sta parlando?”
E il dottore fece un sorriso enorme, orribile e deforme su quel viso serpentino.
“Madara Uchiha è un pezzo di merda” disse maligno “Mi è stato proibito dai miei superiori di parlarne con giornalisti, ma lei non lo è, dico bene?”
Annuì a disagio.
“Be’, ma se anche lo fosse, sarei solo felice di vederlo al centro di uno scandalo”.
“Sa cos’è successo ora a Itachi e la sua famiglia, dove si trovino?”
“Se non sbaglio, Madara li ha impacchettati e rispediti a Uzu” meditò Orochimaru “Ma sono passati così tanti anni, chissà se nel frattempo non è riuscito a spedirli in un paese del terzo mondo”.
Naruto aveva i brividi nonostante il caldo soffocante e il modo in cui ne parlava il dottore non gli piaceva nemmeno un po’, gli faceva solo venire voglia di vomitare. Voleva andarsene da lì, specialmente ora che aveva ottenuto le sue risposte.
“La ringrazio per la disponibilità” disse.
“Dovrei dirle di non divulgare queste informazioni private, ma… be’, se decidesse di andare da qualche giornalista a venderle le darei la mia benedizione” gli rivolse un’altra occhiata attenta “Un’amnesia totale da quattro anni, nessun miglioramento”.
“No” confermò neutro, non gli piaceva per nulla la  nuova piega della conversazione.
“Potrebbe valutare l’ipotesi di rivolgersi al nostro centro”.
“Io mi… Sono a posto così” balbettò non sapendo trovare un modo educato per rifiutare “Mi trovo bene al pubblico”.
Orochimaru rivolse uno sguardo attento al suo vestiario, poi piegò le sopracciglia in una piega indispettita. Fortunatamente non aggiunse niente e si limitò ad accompagnarlo alla porta.
“Oh, dimenticavo” disse con quel finto tono sbadato che si fa quando solo si finge di aver scordato qualcosa “Itachi è morto e, se non hanno mentito anche su questo, è stato il fratellino a ucciderlo” fece un sorriso cordiale “Arrivederci, le auguro buona fortuna con la sua amnesia”.
 
**

Naruto passò il resto della giornata come un automa. Nemmeno si rese conto di essere arrivato alla libreria, di aver lavorato e risposto alle domande dei clienti. Capì che il tempo era passato, che ormai era sera e non si trovava più nell’ufficio del dottor Orochimaru, quando lo vide seduto per terra sul pianerottolo, davanti alla porta del suo appartamento.
Sasuke. Il suo Sasuke.
Sasuke che aveva alzato lo sguardo su di lui non appena lo aveva sentito arrivare. Aveva i capelli spettinati e gli occhi erano circondati da occhiaie, non lo aveva mai visto così stanco e con uno sguardo così preoccupato.
“Sasuke” riuscì solo a dire turbato “Che cosa ci fai qui?”
Il suo ragazzo si alzò da terra. “Non rispondevi ai miei messaggi, alle chiamate… Non sapevo che altro fare”.
“Io… ho il telefono scarico” mentì, ricordando che non lo aveva più riacceso dalla sera prima. Era ancora arrabbiato con lui, ma aveva un’aria così fragile in quel momento, come se non avesse dormito per tutta la notte.
Mi ha cercato. È venuto fino qui. Ci tiene a me.
Sasuke lo guardò dritto in volto, come se cercasse qualche indizio.
“Sei ancora arrabbiato con me?” domandò alla fine, lo vide esitare, come se avesse paura a porre la domanda successiva “Mi vuoi lasciare?”
Ebbe lo stesso effetto di un pugno allo stomaco.
“No” disse veemente “Sono ancora arrabbiato, ma… ti amo, non riuscirei mai a lasciarti”.
Sasuke annuì, palesemente sollevato da quella dichiarazione.
“Ti amo anch’io, mi dispiace di essere così incasinato. E l’università mi sta facendo uscire pazzo, è come se risucchiasse tutte le mie energie” appoggiò la testa al muro alle sue spalle, prendendo un lungo respiro “Sono esausto”.
Naruto non riuscì più a tenere il punto sulla faccenda, quella confessione fu il via libera e sentì la rabbia svaporare completamente. Gli passò una mano attorno alle spalle e se lo tirò contro e Sasuke, per tutta risposta, gli conficcò il naso sulla giugulare, inspirando il suo odore.
“Puzzo di sudore” gli fece notare imbarazzato, perché stava indossando la stessa felpa della mattina.
“Un pochino” confermò con voce sommessa contro la sua pelle “Ma non importa, anzi profumi”.
“Come no”ridacchiò “E di cosa?” ansia e inquietudine, probabilmente.
“Casa”.
E ogni sentimento negativo che aveva provato, tutta lo smarrimento, la delusione e la confusione evaporarono davanti a quella semplice parolina. Ricambiò l’abbraccio con forza, annusando a sua volta l’odore salmastro incastrato fra i ciuffi corvini, quel giorno più forte del solito. Fu così sollevato di risentirlo, dopo solo due giorni in cui non si erano visti o sentiti, che si rese conto di come la sua fosse una dipendenza bella e buona. E dal modo in cui ricambiava Sasuke, lo stesso sembrava valere per lui.
Ma non gli importava, non gli importava più nemmeno il motivo per cui aveva litigato inizialmente con lui. Sasuke era incasinato, ma anche Naruto alla fine dei conti lo era. Erano entrambi due incasinati, potevano esserlo insieme.
Cercare di rubargli un bacio gli sembrò la cosa più naturale del mondo. Si baciarono a lungo, ma gli parve comunque pochissimo. Era decisamente assuefatto dal suo odore, dalle sue labbra.
Voleva riprendere a baciarlo e sbatterlo contro il muro, ma con la coda nell’occhio vide la dirimpettaia uscire sul pianerottolo. La vecchietta lanciò loro uno sguardo sbigottito e sospettoso, poi se ne andò velocemente borbottando qualcosa contro i giovani d’oggi.
“Dovremmo entrare” mormorò Naruto temendo che qualche altro vicino potesse uscire e vederlo. Non era riservato quanto Sasuke, ma non gli andava a genio l’idea di dare spettacolo.
“No” borbottò,  dispotico come al solito, aumentando la presa su di lui come se fosse un pupazzo “Sto bene così”.
Non ci fece nemmeno caso, non con Sasuke così arrendevole tra il suo petto e il muro, soprattutto perché il ragazzo lo stava distraendo con soffici bacetti sul collo.
“Se non la pianti ti prendo qui in mezzo alle scale e la signora Terumi vedrà tutta la scena” lo minacciò serenamente, guadagnandosi una mezza risata.
Sentì le sue mani scivolare sui suoi glutei e stringerli, per poi inserire le dita dentro la tasca posteriore.
“Sarebbe una scena interessante” considerò, ma poi sfilò le chiavi dalla tasca e le fece tintinnare accanto al suo orecchio “Ma forse è il caso di lasciar perdere”.
“È il caso” confermò placido afferrando le chiavi e le infilò nella toppa.
Non fu mai così felice di sentire la porta chiudersi dietro di sé, ma forse il bacio appassionato con cui Sasuke lo aggredì aiutò.
 
Alla fine si era fatta l’ora di cena senza che se ne rendessero conto e allora l’unica soluzione era stata chiamare l’asporto, visto che nessuno dei due aveva la forza di alzarsi dal letto per cucinare. I vestiti erano sparsi per la casa, dalla porta al letto, e Naruto seguì quel bizzarro filo d’Arianna per cercare il proprio telefono nella tasca dei pantaloni.
Finalmente lo accese e, proprio come aveva detto Sasuke, si trovò sommerso da chiamate perse provenienti dal suo numero. C’era anche una chiamata di Sakura.
Si chiese cosa volesse e se fosse il caso di richiamarla, ma decise di aspettare il giorno dopo che ormai era troppo tardi.
Chiamò la pizzeria e litigò un poco con l’uomo dall’altra parte – perché non potete fare la pizza con il ramen, dattebayo? – finché non sentì Sasuke muoversi per la sua stanza.
Con un brivido si ricordò che non sapeva dove avesse messo la foto datagli da Iruka e appena mise giù schizzò in camera, per controllare cosa stesse facendo.
“Ehi, prepariamo la tavola?” domandò precipitoso, appoggiandosi allo stipite con fare casuale.
Sasuke gli lanciò un’occhiata perplessa, forse il suo arrivo non era sembrato poi tanto casuale.
“Arrivo” disse rimettendo giù un libro che aveva iniziato a sfogliare.
“Senti, Sasuke…” iniziò esitante “Tu hai un fratello?”
Con quella domanda catturò la sua attenzione.
“No, sono figlio unico. Non te lo avevo detto?”
Si grattò la guancia imbarazzato. “Lo avevi accennato, ma non ne ero sicuro”.
Fece una smorfia amara. “È già tanto che i miei genitori siano riusciti a fare me, non credo ci sia stato il tempo per un altro pargolo”.
Sasuke aveva sempre quella piega corrucciata quando parlava della sua famiglia, sembrava sempre più vecchio e stanco quando lo faceva. Si pentì di aver posto quella domanda e lo afferrò per i fianchi, portandoselo davanti e scoccandogli un bacio sulla fronte.
Prevedibilmente ricevette un’occhiata divertita. “Non devo essere consolato, dobe” gli fece presente, ma non si divincolò dalla sua stretta.
“Scusa, mi piacerebbe sapere molto di più sulla tua infanzia, ma non vorrei che parlarne per te sia…” non sapeva quale fosse la parola adatta.
“Se non ne parlo è perché non è importante” gli disse neutro, ma vedendo che non lo aveva convinto roteò gli occhi “Togliti qualsiasi immagine di violenza minorile tu ti stia facendo, imbranato. È solo la storia di un bambino lagnoso che dava il massimo per farsi notare dai genitori che non lo degnavano di un briciolo di attenzione, deprimente vero?”
Fece un verso disimpegnato. “Non mi stavo facendo nessuna immagine di violenza minorile” precisò.
Ricevette uno sguardo divertito.
“Sei sempre vissuto qui a Konoha?” chiese ancora.
“No, a volte mi portavano con loro nei viaggi. Finché non sono cresciuto abbastanza da cavarmela da solo”.
“E gli amici a scuola?”
Si accigliò. “Non ne avevo. Non sono mai stato un tipo socievole. Perché mi fai tutte queste domande?”
“Curiosità” celiò, ma non pareva affatto convinto. Sospirò, perché non gli piaceva giocare quella carta. “Vorrei sapere la tua infanzia, visto che non posso ricordare la mia”.
Sasuke di adombrò e sciolse l’abbraccio, ma non si allontanò perché gli prese la mano e la strinse forte.
“Su questo ti invidio, lo sai?” confessò a bassa voce “Anche io vorrei dimenticarla”.
Ritrasse la mano di scatto, come se fosse stato scottato da quella presa.
“Non dire certe cose” borbottò “Non avere ricordi… è una cosa che non augurerei a nessuno”.
“Ma così si ha la possibilità di ricominciare, no?” inarcò un sopracciglio “Nella tua vecchia vita avresti potuto aver fatto o detto qualsiasi cosa, ma ora non avrebbe più importanza”.
Naruto fece un passo indietro e si stupì per primo nel farlo, ma alla luce delle nuove rivelazioni quelle confessioni lo turbavano. Sasuke era lì davanti a lui e fino a cinque minuti erano stretti a baciarsi, a fare l’amore, a fondersi l’uno con l’altro, eppure non lo aveva mai sentito così distante.
“Sai…” iniziò cauto “Quando parli in questo modo mi fai pensare che noi due ci conoscessimo già… che ti conoscessi prima di perdere la memoria”.
Vide Sasuke irrigidirsi impercettibilmente, incrociò le braccia al petto e gli rivolse un sorriso triste.
“Se ti avessi avuto al mio fianco decisamente non vorrei dimenticare” gli disse piuttosto fiaccamente “Vorrei tantissimo averti trovato prima, fidati”.
Sembrava sincero, ma non sapeva se fidarsi. Una parte di lui voleva tirare fuori la foto e sbattergliela in faccia, pretendere una spiegazione su quella somiglianza innegabile.
“Me lo diresti, vero?” domandò.
“Cosa?”
“Che ci conoscevamo già. Non avresti motivo per non farlo, vero?”
Sasuke ora lo guardava accigliato, visibilmente preoccupato. “Naruto, è successo qualcosa?” fece un passo verso di lui e Naruto dovette mordersi le labbra per non arretrare a sua volta. Ma Sasuke se ne accorse e per un secondo accennò un’espressione ferita. Sparì subito e continuò: “Dimmi cosa c’è, sono qui”.
Per un momento pensò che gli avrebbe gridato contro, che gli avrebbe detto della visita di Iruka, della fotografia e del racconto di Orochimaru.
Ah, dimenticavo: Itachi è morto e, se non hanno mentito anche su questo, è stato il fratellino a ucciderlo.
Si sentì investire dalla nausea, non era molto certo di volerlo sapere. Era come se una parte di lui lo supplicasse di tacere, di non continuate. E di scappare lontano, anche se non capiva perché.
“Non c’è niente” mentì.
Sasuke fece per ribattere, ma il campanello trillò nell’aria spezzando l’aria tesa che si era creata.
“Oh, la pizza! È già arrivata” considerò Naruto, felice di trovare una scappatoia “Vado ad aprire, tu metti la tovaglia per favore”.
Gli diede le spalle, andando all’entrata e per questo non vide Sasuke sospirare stanco, girarsi verso la mensola e prendere un libro apparentemente a caso. Apparentemente, perché quando lo aprì senza nessuna esitazione fece scivolare fuori la fotografia di Naruto bambino e la nascose in tasca.
 
 
 
 
 
Note:
1.      Nome del doppiatore di Orochimaru, l’ho usato come suo primo nome.
La canzone che dà titolo al capito qui
 
 
Scommetto che non mi aspettavate così presto, ma devo seguire l’onda dell’hype finché c’è e provare a finirla il prima possibile. Del resto, il prossimo è già l’ultimo e avremo tutte le risposte finali.
Qualche supposizione? Ora ci sono più informazioni da vagliare c:
 
Vi ringrazio per il calore con cui avete accolto quest’idea, mi avete dato un’energia assurda <3 un bacio!
Hatta
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** All who sail off the coast ever more Will remember the tale of the ghost on the shore ***


Buon halloween!
Lo so, sono in un ritardo disastroso e sono stata una bruttissima persona ad abbandonarvi così, per tutto questo tempo. Ma cosa posso dire, dall’ultimo aggiornamento è successa la sessione di settembre, è successa l’università, un trasloco e vengo da un’altra sessione. Già, sono stata un poco impegnata xD Mi sono concentrata su Nihonshoki, che è la storia su cui sto investendo la maggior parte delle mie energie, e una storia-cazzeggio random. Però questo breve racconto dovevo finirlo, quindi sono qui. In realtà lo avevo concluso un po’ di tempo fa, ma visto che è un light-horror ho deciso di aspettare Halloween. Ed eccomi qui :D
Spero che l’attesa sia valsa la pena, vi ringrazio per la pazienza e la disponibilità a leggerlo. Recensioni sono sempre ben gradite ^^
Buona lettura.
 
 
 
 
III
All who sail off the coast ever more
Will remember the tale of the ghost on the shore

 
Quando Naruto si svegliò la mattina dopo trovò l’altra metà del letto vuota, fredda, e anche il resto della casa privo della presenza di Sasuke. Non ne fu né deluso né sorpreso, era una situazione a cui era abituato fin da quando erano stati insieme la prima notte; dire che la cosa lo lasciava indifferente era una bugia – per una volta gli sarebbe piaciuto svegliarsi e trovarlo ancora lì, pronto a qualche coccola mattutina – ma la delusione veniva smorzata sempre da piccoli gesti che l’altro si lasciava dietro, come un cornetto, un bigliettino o un pomodoro. Anche quella mattina andando in cucina trovò un bicchiere di centrifuga alla frutta e un piccolo muffin.
Li consumò sedendosi sul ripiano della cucina, scorrendo con sguardo assente le storie di instagram dei suoi contatti – non molti in realtà. Si era fatto instagram spinto da Ino, ma non ne trovava una grandissima utilità. Sasuke non aveva nemmeno un social, che fosse instagram, facebook o twitter; li evitava come la peste.
Ha senso, se suo zio vuole far cancellare le sue tracce.
Si bloccò nel momento esatto in cui formulò quel pensiero. Inconsciamente aveva cominciato a dare per scontato che il suo Sasuke e l’altro Sasuke fossero la stessa persona, anche se la sera prima il suo ragazzo gli aveva detto di non averlo conosciuto prima dell’incidente.
Ha mentito per proteggermi.
Aveva maledettamente senso. Suo zio era un pazzo maniaco del controllo, stava tenendo nascosta l’esistenza dei suoi familiari solo per una maledetta carriera politica e Sasuke era uscito dal buio solo per lui. Per stare con lui.
Suo zio approvava? Sicuramente no, soprattutto perché era una relazione omosessuale. Quindi tutta quella segretezza era mirata sia dal non allarmare Madara Uchiha, sia per continuare a restare nascosto come voleva lo zio.
Ah, dimenticavo: Itachi è morto e, se non hanno mentito anche su questo, è stato il fratellino a ucciderlo.
Perse la presa sul bicchiere con la centrifuga e quello si schiantò inevitabilmente a terra, frantumandosi in migliaia di schegge. Naruto le guardò imbambolato, così tante emozioni contrastanti ad agitarlo da non riuscire a districarle tra loro.
No, Sasuke non è un assassino. Il mio Sasuke non riuscirebbe a uccidere qualcuno, soprattutto suo fratello, anche se fosse un pazzo.
Il suo Sasuke gli preparava la colazione prima di andare via, gli regalava fiori e libri, dava da mangiare ai gatti randagi e buttava sempre la spazzatura degli altri che trovava per terra in cestino. Un assassino non faceva azioni del genere con una tale naturalezza.
Non sono la stessa persona, no, decise con forza. Scese con attenzione dal ripiano per evitare i pezzi di vetro e prese uno scopino per spazzare il disastro combinato. Poi andò in bagno a prepararsi per il turno alla libreria. Dimenticò il telefono in cucina anche quando uscì dalla casa, in ritardo come al solito.
Così non vide nessuna delle chiamate di Sakura.
 
**

Alla libreria erano arrivati tantissimi scatoloni con i libri nuovi, Naruto passò tutta la mattina e trasportarli in giro per gli scaffali sbuffando per la fatica, mentre Ino se ne stava comodamente davanti al computer a catalogarli. Shikamaru invece era andato a nascondersi da qualche parte, così il lavoro pesante toccava tutto a lui.
Non è giusto, ‘bayo!
“Naruto!” lo chiamò la collega, sbucando da uno scaffale.
Per un momento sperò fosse venuta ad aiutarlo, ma ovviamente era chiedere troppo.
“Ti ricordi quel libro che avevi ordinato secooooli fa?” gli chiese con un sorriso smagliante “The tale of the ghost in the shore, no? È arrivato!”
Naruto spalancò gli occhi, si era completamente dimenticato di quel libro e di averlo ordinato su richiesta di Sasuke.
“Davvero?”
“Sì, dopo solo otto mesi. Adoro la velocità dei nostro fornitori…” si commosse ironica.
“In quale scatolone è?” domandò non ascoltandola. Andarono a controllare sul computer, in comune accordo di fare una pausa, e poi cercarono fra gli scatoloni ancora chiusi. Anche lì toccò a Naruto il lavoro pesante, rischiando più di qualche volta che dei pacchi gli finissero in testa.
Alla fine lo trovarono e Naruto lo prese tra le mani, non riuscì a capire se fosse deluso o meno: dopo tutti quei mesi si aspettava quasi che fosse un libro preziosissimo, dalla copertina ricamata e antico. Invece era un libricino sottile, con semplici illustrazioni tipiche dei libri per bambini; non aveva nulla di particolare e si chiese perché Sasuke lo avesse richiesto.
“Glielo spediamo?” domandò Ino distraendolo.
“A chi?”
“Ma come a chi? Al tuo fidanzato, scemo” fece un verso esasperato.
Corrucciò lo sguardo, poi lo abbassò imbarazzato. “Non so il suo indirizzo”.
Ino fortunatamente non commentò quell’ammissione patetica, anzi gli diede una pacca incoraggiante sulle spalle.
“Ma sì, invece. Te lo ha dato la seconda volta che è venuto qui, lo hai registrato vicino all’ordinazione del libro. Vieni, torniamo al computer”.
Se lo era dimenticato quel particolare, ma d’altronde era successo più di otto mesi prima quando loro due non stavano ancora insieme e non si interessava così tanto a quello strambo cliente.
Tornarono indietro al bancone e cercarono al computer, finché non lo trovarono.
“Ecco” picchiettò Ino con l’unghia finta lo schermo “Allora, glielo spediamo con un bigliettino?”
Naruto guardò quell’indirizzo stampandoselo nella mente, poi scosse la testa.
2531 Sharingan Avenue. Konoha.
“No, voglio portarglielo di persona”.
 
 
**
 
Appena Naruto finì il turno alla libreria andò alla metropolitana, deciso a raggiungere Sasuke quanto prima. Era quasi l’ora di pranzo, magari poteva fargli una sorpresa e mangiare qualcosa insieme. Nemmeno per un secondo gli passò per la mente di poterlo fare arrabbiare.
Ci mise molto per raggiungerlo, perché l’indirizzo era nel quartiere Universitario, si sorprese che Sasuke dovesse fare tutta quella strada ogni volta, soprattutto perché odiava i mezzi pubblici.
Alla fine riemerse in superficie e si ritrovò quasi subito circondato da propri coetanei, se non ragazzi più giovani, raggruppati tra loro a chiacchierare vivacemente e con le cartelle sulle spalle.
Stando alle ricerche fatte con Sakura lui aveva frequentato un anno l’università, ma ovviamente non poteva ricordarselo. Vedendo quei ragazzi, intenti a parlare di esami e libri da comprare, corsi da registrare e appuntamenti da non perdere, si sentì ancora una volta come se fosse stato derubato di qualcosa di fondamentale.
Si morse le labbra con uno strano magone a stuzzicargli la gola, ma poi decise di ignorarlo e mise l’indirizzo di Sasuke su google maps.
Seguì le istruzioni sullo schermo, girando ogni tanto su se stesso per assicurarsi di star seguendo la direzione giusta. Alla fine si infilò in una via secondaria con gli edifici tutti uguali di un piano, sembravano essere degli appartamentini costruiti appositamente per gli studenti. Rimise il telefono in tasca e guardò i numeri neri scritti sulle porte in targhette d’ottone mentre camminava.
2527,2528, 2529, 2530, 2532…
Si fermò di colpo sbattendo le palpebre confuso. Guardò la porta a destra con il 2530, poi quella a sinistra con il 2532.
Dov’era il 2531?
Rimase immobile per una manciata di secondi senza la più pallida idea di come reagire a quel fatto stranissimo. Riguardò il foglietto dove aveva scritto l’indirizzo per assicurarsi di non aver letto male, ma la sua calligrafia disordinata riportava 2531 Sharingan Avenue. Però il 2531 non c’era!
Forse mi sono sbagliato a scrivere, ipotizzò. Andò alla porta del 2530, suonò al campanello e attese nervosamente di ricevere una porta.
“Sì?” sentì al citofono.
“Uhm” annaspò passandosi una mano dietro al collo “Cerco Sasuke Blackwood. Abita qui?”
“No, mi spiace” disse la voce “Hai sbagliato indirizzo, bello”.
“Già” commentò a disagio “Scusa il disturbo”.
“Figurati” e chiuse il contatto.
Provò allora al 2530, questa volta la porta si aprì rivelando una ragazza in pantaloncini e top.
“Ciao, ti serve qualcosa?” domandò.
“Ciao” ricambiò “Per caso qui abita Sasuke Blackwood?”
Non fu sorpreso della risposta negativa dal momento che il fidanzato gli aveva detto di avere un ragazzo come coinquilino.
“Avrai sbagliato indirizzo” lo liquidò la ragazza con un’alzata di spalle.
“Come mai dopo il 2530 c’è subito il 2532?” domandò comunque.
“Il 2531 non esiste”.
“Ma in che senso?”
Alzò ancora le spalle. “Si sono sbagliati ad assegnare gli indirizzi. Hanno saltato, non lo so come mai. Tecnicamente nei registri l’edificio 2531 è segnato, ma a conti fatti non c’è. Si sono sbagliati” ripeté “È tipo un indirizzo fantasma, hai presente no?”
Annuì e la ringraziò, quella notizia gli aveva fatto venire un giramento di testa, perciò dovette sedersi su una panchina lì vicino. Prese un lungo respiro, gli tremavano le mani e il cuore batteva così forte che gli sembrava pronto a sfondare la cassa toracica.
Il 2531 non esiste.
Sasuke gli aveva mentito sull’indirizzo? A questo punto, cosa gli garantiva che non avesse mentito anche su altro? Forse non frequentava nemmeno l’Università.
Se era davvero l’altro Sasuke, allora doveva essere per forza così: Madara Uchiha non poteva aver cancellato ogni sua traccia e poi avergli permesso di frequentare un’università pubblica.
Non sopportava l’idea che gli avesse mentito così sfacciatamente, quante volte aveva usato la scusa dell’università per svincolare alle sue richieste?
Doveva capire cosa stesse succedendo, quella situazione di impotenza lo stava mandando in panico e il restare in quel limbo di incertezza era logorante. Doveva capire ed era ovvio che Sasuke non lo avrebbe aiutato, non gli avrebbe mai detto la verità e lui non voleva sentire altre bugie. Era una cosa che doveva fare da solo.
Secondo Orochimaru, Sasuke Uchiha era tornato a Uzu. Ci mise appena un secondo a prendere la sua decisione.
Era giunto il momento di tornare sulla sua isola natale.
 
**

Uzu era abbastanza distanza da Konoha: per raggiungerla ci voleva un intero pomeriggio, tutta la notte e buona parte della mattina. Per andarci Naruto avrebbe perso ore di lavoro, fortunatamente era riuscito a mettersi d’accordo con i suoi colleghi, disposti a sostituirlo. In cambio al suo ritorno li avrebbe sostituiti fino a recuperare le ore perse. Kabuto lasciava che si organizzassero da solo su quello, purché non litigassero.
Per Uzu partivano dei traghetti solo una volta al giorno nel pomeriggio. Era riuscito a procurarsi un biglietto, era corso a casa a fare un bagaglio con l’indispensabile e poi aveva raggiunto di nuovo il porto per prendere il traghetto appena in tempo.
Guardò la costa di Konoha allontanarsi con il vento che gli schiaffeggiava la faccia, i capelli agitati e gli occhi un poco lucidi per il fastidio. Era aggrappato alla ringhiera del parapetto talmente forte da avere le nocche sbiancate. Non riusciva del tutto a eliminare l’ansia che lo aveva sostenuto per tutta la giornata, che lo aveva portato a prendere quella folle decisione. Ma allo stesso tempo si sentiva euforico.
Senza dire niente a nessuno, senza parlarne con Sakura o Sasuke, era partito. Stava andando a Uzu. Stava andando a casa sua.
Era la cosa più folle e autonoma che faceva da quando si era svegliato.
L’odore del mare era forte, il vento ne era pregno e l’umidità era più fitta. Respirò a pieni polmoni l’aria carica di iodio e chiuse gli occhi, concentrandosi sul ronzio del traghetto e lo sciabordio delle onde che si aprivano al passaggio della chiglia. I passeggeri erano davvero pochi, soprattutto dei vecchiette e una famiglia di turisti che cercava inutilmente di tenere una cartina aperta lottando contro il vento.
Era talmente concentrato a osservare quella divertente scena che non si accorse subito del telefono che vibrava nella tasca e per poco persa l’ennesima chiamata di Sakura.
“Pronto?”
Naruto!” la ricezione era disturbata, ma riconobbe subito il tono esasperato “Si può sapere perché non mi hai mai richiamata?
Con una fitta di senso di colpa si rese conto di aver ignorato completamente le sue chiamate perse troppo preso dai suoi drammi personali.
“Ho avuto da fare” mormorò colpevole “Scusami, sono successe un po’ di cose”.
Sakura fece una pausa.
Iruka è venuto a trovarti, lo so” disse, poi sospirò “Domani ne parleremo”.
Un campanello d’allarme suonò nella sua mente. “Domani?”
Sì, è venerdì. C’è la seduta”.
Se lo era completamente scordato preso dagli ultimi avvenimenti e sentì l’ansia aumentare, gli si strinse lo stomaco. Improvvisamente aveva il mal di mare.
“Domani non posso” balbettò.
Sei di turno in libreria?” domandò ignara Sakura “Non  preoccuparti, chiamo Kabuto così ti cambia…
“No… Non è per il lavoro” mormorò, si portò una mano alla bocca. Decisamente aveva il mal di mare.
Sakura fece un altro lungo silenzio, poi: “Naruto, dove sei? Perché la ricezione è così disturbata?
Deglutì, ma alla fine sganciò la bomba.
“Sto andando a Uzu”.
Tu COSA?!” la reazione di Sakura fu immediata “Stai scherzando!
“Torno fra tre giorni, io…”
Naruto!” lo interruppe sconvolta “Non puoi andare a Uzu! Non così all’improvviso! Potrebbe succederti qualcosa, potrebbe scatenarti uno shock… non sei pronto! Non ne hai mai parlato alle nostre sedute, cosa… cosa…”
“Mi dispiace” sussurrò “Ci sono delle cose che devo capire, starò bene”.
No, tu non capisci!” sbottò la dottoressa “La tua situazione è troppo delicata, andartene da solo è una follia e…” la ricezione divenne disturbata al punto che capì solo alcune parole frammentarie,  finché la linea cadde del tutto.
Guardò lo schermo, non c’era nessuna linea di segnale.
Alzò lo sguardo, accorgendosi che era scesa la nebbia e che era solo sul ponte. Era solo in mezzo all’oceano, tra la nebbia, e finalmente realizzò la portata della sua azione.
Sto tornando a casa.

**

Viaggiare per mare non faceva per lui, lo capì quando con gioia mise piede sulla terraferma. Durante la notte non aveva chiuso occhio a causa della nausea e del mare agitato.
Aveva visto Uzu in depliant e immagini su google, credeva che vedendola dal vivo provasse una sensazione di familiarità. Ma la terra che lo accolse gli sembrò totalmente estranea.
Il cielo era coperto da pesanti nuvole che davano una luce grigiastra e lugubre alle cose, il vento continuava imperterrito a soffiare gelido. Il porto era deserto, fatta eccezione per alcuni pescatori e i gabbiani che sfidavano le correnti celesti; l’odore del pesce marcio era insopportabile, Naruto provò la tentazione di coprirsi il naso con le dita.
Aveva lo stomaco in subbuglio e il trovarsi completamente solo in quell’isola grigia quasi lo mandò in panico. C’era qualcuno che poteva riconoscerlo? Come avrebbe reagito? Quei pescatori… lui non li conosceva, ma se in realtà nella sua vita prima li avesse conosciuti? Sentì la testa girargli e dovette aggrapparsi saldamente al borsone che si era portato dietro, stava per avere un attacco di panico. Capì perché Sakura avesse avuto quella reazione allarmata: non era pronto ad affrontare tutto quello e, quel che era peggio, era solo.
Cominciò a camminare perché temeva che il restare fermo sulla banchina come un cretino potesse attirare l’attenzione di qualcuno.
A passo spedito si diresse fuori dal porto, verso la spiaggia. Era un lungo litorale sabbioso che da quale che vedeva procedeva sinuoso fino a delle alte scogliere. Si tolse le scarpe da ginnastica, lasciando che la sabbia umida di incollasse alla sua piante del piede e proseguì sul bagnasciuga con le onde che di tanto in tanto gli lambivano le caviglie. Si concentrò sul proprio respiro per regolarizzarlo e pensò a immagini positive e rilassanti, proprio come gli aveva suggerito Sakura.
Provò il forte desiderio di chiamare Sasuke, di sentire la sua voce – era sempre in grado di rassicurarlo – ma era lui il motivo per cui aveva iniziato quel viaggio e il telefono non aveva un solo segnale di connessione. Uzu sembrava essere tagliata fuori dalla realtà, perciò si concentrò solo sullo scrosciare delle onde sulla battigia.
Quando si calmò aveva ormai raggiunto le scogliere. I faraglioni si innalzavano altissimi su di lui come dei giganti, assottigliando gli occhi riusciva a vedere i nidi dei gabbiani.
Sasuke…
Era inutile, non riusciva a toglierselo dalla testa e ogni volta che ci soffermava il suo cuore aveva un sobbalzo. Non aveva la più pallida idea di cosa lo aspettava e questo lo terrorizzava, non sapeva nemmeno come agire, dove andare…
Andare a Uzu era stata un’idiozia, uno dei suoi tanti colpi di testa.
Andò a sedersi tra la sabbia asciutta, era calda nonostante i raggi del sole bucassero a malapena le nuvole. Il riflesso del mare era comunque fastidioso.
Aprì la borsa e tirò fuori il libro di Sasuke. Se lo era portato dietro senza nessun motivo, durante l’attraversata aveva provato a leggerlo ma il mal di mare lo aveva fatto desistere. Pensò di riprovarci nel silenzio di quella spiaggia sterminata, ai piedi della scogliera.
Come avevano lasciato intendere le illustrazione, il libro non si rivelò altro che una fiaba per bambini. Era la storia di un ragazzo e una ragazza innamorati e pronti per sposarsi, ma poi lui venne chiamato a combattere in una guerra e dovette lasciarla con la promessa che sarebbe tornato; da parte sue, lei promise di aspettarlo e di non innamorarsi di nessun altro. Ma lui morì in guerra e non poté più tornare, così lei continuò ad aspettarlo in cima a una scogliera, finché anche lei morì. Rimase solo il suo fantasma in attesa di qualcuno che non sarebbe mai venuto.
Era una storia troppo triste per essere raccontata a dei bambini e lasciò a Naruto, che era fin troppo sensibile, dei lacrimoni intrappolati fra le ciglia. Non osava immaginate quanto fosse terribile aspettare per l’eternità qualcuno.
Forse era stato preso troppo dalla lettura, perché quando alzò lo sguardo gli parve di scorgere una figura sulla punta della scogliera. Il cuore gli schizzò subito in gola per la paura e sbatté gli occhi per vedere meglio contro il riflesso accecante delle nuvole.
La figura non c’era più.
Mi sto facendo influenzare troppo, considerò e fece per tornare al paese. E dimenticò il libro sulla sabbia.
 
**

Grazie a un vecchio autobus sgangherato raggiunse il centro della città di Uzu, dove si mise a cercare un ostello dove passare la notte. Nonostante  negozietti turistici, per le vie non c’era nessuno, forse perché era quasi ora di pranzo. Pochissime automobili vecchie erano parcheggiate e le case avevano tutte il legno usato e i tetti spioventi tipici di quelle zone nordiche. L’aria era più fresca rispetto a Konoha, perciò si avvolse in una delle sue giacche sgargianti. Era l’unica punta di colore in quella città grigia e scura.
Trovò un albergo economico non troppo distante dalla piazza principale, si fece registrare da una ragazzina che sembrava essere perfino più giovane di lui. Quando sentì il suo cognome aggrottò le sopracciglia.
“Uzumaki? È uno dei cognomi più diffusi dell’isola” gli disse.
“Oh, ehm…” non voleva dire la verità, quindi optò per una mezza bugia “I miei genitori erano di qui, sono tornato a fare una sorpresa ai miei nonni”.
La ragazza non disse altro e gli diede la chiave della stanza. “La 98, secondo piano”.
Andò ad appoggiare il suo unico bagaglio. La stanza puzzava di chiuso, perciò aprì le finestre per lasciar girare un po’ l’aria. Il bagno era in comune con tutto il pianerottolo e il letto era duro, con un lenzuolo ruvido. Nella stanza c’era poi un armadio, un comodino e uno specchio, nient’altro. Non era affatto accogliente e il soffitto era pieno di macchie d’umidità.
Tornò giù alla reception.
“Scusi, per caso sa dove abita la famiglia Uchiha?” domandò facendo la sua miglior faccia da sprovveduto.
Finalmente ricevette un’occhiata interessata dalla ragazza. “Gli Uchiha? Non ci sono più da anni…” mormorò “Sei un giornalista?” domandò sospettosa.
Scosse la testa. “Erano vecchi amici dei miei nonni, tutto qui” in quei giorni aveva detto così tante bugie che cominciava a sentirsi esperto a riguardo.
La ragazza sembrava indecisa tra il credergli o meno, ma alla fine parve decidere che non erano affari suoi.
“Abitavano fuori città, nella Villa che c’è nella via Indra; ma ormai la casa è abbandonata da anni”.
“Grazie mille!” le sorrise cordiale, la salutò prima di uscire per cercare un passaggio che lo portasse fuori città.
Una donna più anziana raggiunse la reception, lo sguardo rivolto al punto in cui era uscito Naruto.
“Che cosa voleva quel ragazzo, Rosemary?” domandò con una punta di sospetto nella voce.
Quella scrollò lo spalle. “Non so, cercava la casa degli Uchiha”.
La donna sussultò a quel nome. “Ma chi è? Un giornalista?” la sua voce era preoccupata, ma anche mitigata da una malizia pettegola.
“No, ha detto un amico” fece una faccia scettica “Si chiama Naruto Uzumaki”.
La comare si irrigidì e spalancò gli occhi. “Come hai detto, cara?”
 
**

Aveva provato ad aspettare uno degli autobus urbani che in teoria attraversavano la città, ma dopo essere rimasto un’ora sotto la fermata senza vederne passare nemmeno uno aveva rinunciato. Cartina in mano, si era diretto verso la Via Indra a piedi armato solo di buona volontà. Fortunatamente quel paese era un quarto del centro di Konoha, così raggiunse la periferia in poco tempo. Cominciava a temere che fosse abitato solo da fantasmi quel luogo, perché a parte qualche vecchietto in bicicletta non aveva visto nessuno. in più, man mano che si allontanava dal centro, la strada si faceva sempre più desertica e la case più rare.
Trovò la Villa indicata dalla ragazza alla reception dopo aver girato a vuoto per mezz’ora; aveva la maglietta sudata incollata al petto e i capelli spettinati per il vento forte. Sapeva già che gli sarebbe venuto un malanno, ma sul momento non gli importò. Era troppo concentrato a studiare quella vecchia casa.
Che fosse abbandonata si vedeva lontano un miglio, il giardino era incolto e le erbacce alte, un roseto aveva avvolto il cancelletto stringendolo un abbraccio mortale fatto di spine. L’intonaco della facciata era usurato dal vento salato, e le finestre erano tutte impolverate. Sembrava la casa di un film horror. La targhetta si vedeva a malapena tra i rovi.
Villa Uchiha.
Era quella la casa in cui aveva abitato Sasuke? Perché non c’era più nessuno? Orochimaru aveva visto giusto quando aveva ipotizzato che Madara avesse trasferito la sua famiglia in un paese del terzo mondo?
Si rifiutava di credere di aver fatto tutta quella strada solo per vedere un vecchio rudere. Ma cosa si aspettava? Di trovare Sasuke in giardino, sorpreso per essere stato scoperto, o di ritrovare improvvisamente la memoria? Quel luogo gli era estraneo, non faceva scattare in lui niente di niente.
“Cosa cerca?”
Sussultò quando avvertì una voce aspra alle proprie spalle. Si girò di colpo, il cuore era schizzato in gola alla velocità della luce dove ora batteva forsennato.
Di fronte alla Villa, c’era una casetta più sobria e stretta, malandata allo stesso modo, ma con il giardino curato. Oltre il cancelletto in ferro una donna con occhiali spessi come fondi di bottiglia lo guardava sospettosa. Era magra e piccolina, con un collo rugoso simile a quello di una tartaruga.
“Ehm…” non sapeva nemmeno lui cosa dire, ma non ce ne fu bisogno perché la nonnina spalancò la bocca esterrefatta.
“Ma per i numi”  esalò “Sei Naruto! Il piccolo Naruto Uzumaki, ma quanto sei diventato grande! Sei tutto tuo padre, sì”.
Lo conosceva? La cosa, invece che rassicurarlo, lo mandò in panico, perché al contrario lui non aveva la più pallida idea di chi fosse quella donna.
“Io…”
Ancora una volta fu interrotto. “Non ti ricordi di me? Sono la signora Jeckins, da piccoli tu e il signorino Sasuke venivate sempre a prendere il tè da me”.
Al sentire il nome di Sasuke qualcosa scattò in lui come una molla e si avvicinò all’altra casa con la sensazione di star camminando sopra il filo di un rasoio.
“Signora Jeckins?” ripeté per assicurarsi di aver capito bene, quegli occhi enormi oltre gli occhiali lo mettevano in soggezione “Io… Ecco, mi dispiace, ma non mi ricordo di lei”.
Quell’ammissione parve indispettire la donna. “Cosa intendi, caro?”
Non aveva senso mentire o girare intorno alla faccenda, quella vecchietta poteva essere una sua alleata.
“Io ho perso la memoria” ammise.
 
**

La casa della signor Jeckins puzzava di tè e muffa, era piena di cianfrusaglie polverose e oggetti in ceramica, Naruto si sentì impacciato nel muoversi al suo interno. Tutto sembrava sul punto di rompersi e lui era sempre stato un imbranato.
La vecchietta dopo aver ascoltato la sua storia in silenzio lo aveva fatto entrare in casa proprio e gli aveva offerto del tè. Gli aveva creduto subito e ora lo guardava apprensiva e dispiaciuta mentre armeggiava con il pentolino dell’acqua calda.
Naruto non disse niente per tutto il tempo, si limitò a osservare un gatto acciambellato sul divano accanto a sé. Era a disagio e voleva tornare a casa, quel posto lo stava mandando nello sconforto totale.
“Che brutta storia, ragazzo” mormorò la signora Jeckins tornando con il suo tè, gli tese la tazza in ceramica scheggiata che afferrò un poco titubante “Non ci è affatto giunta la notizia, qui. Povero ragazzo, quello che ti è capitato è terribile”.
Lo sapeva già e non gli piaceva l’idea che qualcuno lo sottolineasse davanti a lui, ma non disse nulla e si limitò a prendere un sorso di tè.
“Signora…” domandò un poco incerto “Io e Sasuke Uchiha eravamo amici?”
“Oh, cielo, se lo eravate” sbuffò divertita “Eravate come pantalone e camicia, inseparabili. Non hai idea di quante volte siete stati in questa stanza a prendere del tè con me. All’epoca mi occupavo del giardino dei signori Uchiha, era la meraviglia della via”.
Rimase in silenzio, in attesa che continuasse, ma quando non lo fece si schiarì la voce.
“Dove si sono trasferiti? Volevo rincontrare Sasuke”.
Ricevette uno sguardo dispiaciuto. “Gli Uchiha non si sono trasferiti, sono morti”.
Il fiato gli si congelò nei polmoni.
Cosa?
Non ci fu bisogno di porre la domanda ad alta voce, l’anziana signora riprese da sola a parlare mentre guardava il proprio tè spaesato.
“È stata una disgrazia che nessuno è riuscito a evitare… Il fatto più triste è stato il non poter celebrare nemmeno un funerale, il signor Madara Uchiha si è solo preoccupato di nascondere la faccenda. Solo pochi qui nell’isola sanno quello che è davvero successo”.
Aveva un tono di voce pettegolo, come se stesse rivelando un segreto su cui per lungo tempo era stata costretta a tacere e non vedesse l’ora di tirare fuori lo scheletro dall’armadio.
“Cosa è successo?” gli tremava la voce.
“Oh, povero ragazzo” sospirò Jeckins con quel suo modo teatrale “Itachi Uchiha, il fratello maggiore di Sasuke, non era molto… a posto. Aveva qualcosa che non andava, ecco, ma noi non lo avevamo capito, era sempre così impeccabile…” la voce le mancò e andò a prendere un fazzoletto con cui si asciugò gli occhi. Naruto si sentiva sul bordo del precipizio, ma non osava spronarla a continuare. Non ce ne fu bisogno, perché riprese da sola.
“All’epoca ero stata licenziata, i signori non volevano più estranei nel loro giardino. Era davvero triste, il signorino sembrava chiuso in una prigione, non poteva nemmeno dirti che era tornato nell’isola. Come se non fosse già brutto così, sentivamo continue grida. Oh Dio, sì! Sembrava che in quella casa ci fossero delle torture, sembrava stregata. Era spaventosa. E il piccolo Sasuke… sempre più magro, sempre più triste” scosse la testa sconsolata “Poi, una notte, abbiamo sentito tutti delle grida. Il signor Itachi aveva perso definitivamente la testa e accoltellato i suoi genitori. Abbiamo chiamato al polizia, ma nessuno di noi aveva il coraggio di uscire e la polizia arrivò troppo tardi. Così non abbiamo potuto evitare nemmeno il resto.
Il signorino Sasuke era riuscito a scappare, sicuramente per evitare che Itachi uccidesse anche lui. Dicono che abbiano raggiunto le scogliere e che Sasuke avesse dietro una pistola del padre. Oh… povero ragazzo, costretto a fare una cosa del genere” si asciugò gli occhi.
Naruto immaginava perfettamente quello che fosse successo dopo, nelle orecchie sentiva la voce del dottore Orochimaru, la sua frase di commiato.
Ti prego, basta, non lo voglio più sapere.
“Povero ragazzo, dover sparare al proprio fratello… Non c’è da sorprendersi che poi si sia gettato giù dalla scogliera, era così giovane….”
Perse la presa sulla tazzina. Cadde a terra, spargendo il tè sul tappeto. La vecchietta si bloccò con un sussulto.
Ma Naruto era bloccato, non si accorse di nulla di tutto quello, rimase semplicemente immobile con lo sguardo stravolto.
Sasuke Uchiha era morto.
 
**
 
“Sasuke, Sasuke!” gridò il bambino dai capelli biondi, facendo girare un altro bambino poco distante seduto sul marciapiede “Guarda cos’ho trovato”.
“Non gridare” commentò Sasuke con una smorfia, ma fissò curioso il libro che l’amico gli stava porgendo.
“The tale of the ghost on the shore” rispose quello “È una storia di fantasmi”.
“Ma dai, non lo avrei mai detto” lo prese in giro.
Naruto s’imbronciò. “È una storia d’amore, di due persone che hanno continuato ad amarsi anche da morte. Una di loro è diventato un fantasma in attesa dell’altro, perché potessero tornare a stare insieme. Ma non è mai successo”.
“Macabro” commentò sfogliandone le illustrazioni, sussultò quando l’amico appoggiò una mano sulla sua spalla “Ma che fai?”
Le parole gli morirono in gola nel vedere quanto fosse serio lo sguardo negli occhi blu. Erano così adulti.
“Sasuke, io non ti abbandonerò mai” assicurò.
“Cosa…”
“Se tu dovessi morire, io morirò con te” lo ignorò “Non permetterò che tu resta un fantasma per sempre costretto ad aspettarmi come in questa storia. Te lo prometto, ti raggiungerò subito”.
Sasuke era raggelato a quelle parole. “Ma cosa stai dicendo, non…”
Gli Altri dicono che nessuno di noi due è destinato ad avere una vita lunga. Lo hanno anche detto i miei genitori, per questo sono sempre così tristi. Ma non m’importa, perché se morirò con te, per te, allora io sarò felice e andrà bene così”.
Rabbrividì alla menzione dei fantasmi. “Non ti chiederei mai una cosa del genere”.
“Invece sì, lo vorresti. Perché non si è mai così soli come quando si è morti, lo dicono gli Altri. Dicono che il freddo si sente anche senza un corpo, ma niente può più toccarli perché sono soli.” fece un sorriso “Ma non devi avere paura, tu non sarai solo. Verrò io con te! E lo sai che mantengo sempre le promesse”.
 
 
“Ho come la sensazione che tu non voglia dirmi quale sia questa stranezza” dalla faccia colpevole di Iruka capì di aver indovinato “Devi dirmelo, non possiamo dare il nostro massimo se non abbiamo tutte le informazioni, lo capisci vero?”
“Sì, ma…” si passò una mano sul viso “Naruto non era pazzo, aveva solo troppa immaginazione e la gente non lo capiva”.
Quel preambolo la mise un poco in ansia. “Cosa intende?”
Lo sguardo di Iruka era mortalmente serio. “Naruto diceva di vedere i fantasmi dei morti e di parlare con loro”.
Sakura spalancò la bocca. “Cosa?”
“Gli raccontavano cose strane, gli mettevano in bocca cose che un bambino non dovrebbe dire. Lui li chiamava gli Altri e diceva che erano sempre attorno a noi, che solo lui poteva vederli. Ma era solo la sua fantasia, il suo modo per superare la morte dei genitori, diceva di vederli per avere l’illusione di essere ancora con loro. Però certe volte quello che diceva era così dettagliato… metteva i brividi”.
“Allucinazioni” mormorò “E cosa dicevano questi… fantasmi a Naruto?”
“Quando sarebbe morto”.
 
 
Sasuke guardò il porto un’ultima volta, deluso. Fece per girarsi e salire sulla barca, dove lo stavano aspettando i suoi genitori, ma poi sentì quella voce.
“Sasuke!”
Era venuto, ci era riuscito. Vide Naruto correre verso la banchina e perdifiato, la sciarpa che si agitava dietro di lui per vento. Non pensò di chiedere il permesso, gli andò incontro. Era l’ultima volta che potevano vedersi ed era stato tutto così improvviso.
“Quindi è vero?” domandò Naruto “Te ne vai?”
Annuì e lo vide sul punto di scoppiare a piangere.
“Mi dispiace”.
“Mi mancherai” tirò su con il naso “Senza di te sarò davvero solo”.
Sasuke lo sapeva ed era questo a rendergli così odiosa quella partenza.
“Tornerò presto, sono sicuro che…”
“Ma certo che ci rivedremo” lo bloccò con impeto Naruto, deciso. C’era una certezza nei suoi occhi così vivida da essere sconcertante.
“Gli Altri hanno detto che nessuno dei due vivrà ancora a lungo, presto ci rivedremo dall’altra parte”.
“Ancora con questa storia…”
“È importante!” s’impuntò. Si tolse lo zainetto dalle spalle e ci frugò dentro affrettato, poi gli tese il libro. The tale of the ghost on the shore, la fiaba che leggevano sempre insieme.
“Questo libro è il pegno, la dimostrazione che devo mantenere la promessa. Gli Altri hanno detto che è importante, che sarà questo a farmi tornare da te una volta morti”.
Era tutto così sbagliato, inquietante… un bambino che parlava della sua morte. Ma Sasuke non era spaventato, Sasuke gli credeva.
Prese il libro e lo aprì, dentro c’era una calendula gialla.
“Il fiore dei morti?” sorrise triste “Ma io sono ancora vivo”.
Anche Naruto sorrise triste. “Ancora per poco” sospirò “Quando succederà torna qui, cercami. Io potrò vederti e poi…”
Sasuke lo interruppe, gli scoccò un bacio sulla guancia.
“E poi niente ci dividerà e non saremo più soli” concluse per lui.
**
 
Fu come risvegliarsi da un sogno.
Il vento marino lo schiaffeggiò in faccia, agitava i suoi capelli e faceva sbatacchiare la giacca colorata che teneva aperta. Gli lacrimavano gli occhi e si sentiva sospeso in una dimensione separata dalla realtà.
Ricordava tutto.
Ogni ricordo che aveva cercato così disperatamente in quei quattro anni gli si presentò davanti con una naturalezza tale da essere sconvolgente, come se fosse sempre stato presente nella sua mente. Come se non lo avesse mai dimenticato.
Era uscito dalla casa della signora Jeckins per prendere aria, si era sentito soffocare in quel salotto pieno di ciarpame, ma poi aveva iniziato a camminare in preda allo shock, incapace d stare fermo. Come se fosse un sonnambulo. Aveva lasciato che fossero i piedi a guidarlo, perché ogni cosa ormai era dolorosamente familiare. Faceva male.
Senza rendersene conto aveva raggiunto la scogliere, la stessa che aveva visto dalla spiaggia. Il promontorio si tendeva verso l’orizzonte come se fosse la fine della terra, il mare ne segnava il limite con l’orizzonte.
Guardò il mare che si gonfiava e gettava contro le rocce appuntite con foga, come se stesse combattendo una lotta millenaria con la terra. Era terribile, a ogni attacco le onde si rompevano in gocce di sangue bianco e spumoso, ma non inutile: a ogni ritirata portavano via un pezzo di roccia, un solo brandello. Ma quell’erosione lenta e sanguinolenta un giorno avrebbe portato alla vittoria del mare e quella terra sarebbe stata scavata dalla sua forza.
Naruto non aveva avuto quel privilegio, nessuna lenta tortura. La sua roccaforte era resistita per quattro anni alle sferzate del mare dei ricordi, ma ora era bastata una sola onda a farlo crollare in macerie.
“Ora lo sai?”
Il vento parve fermarsi nel secondo in cui quella voce parlò, per poi riprendere a soffiare più forte. Ogni gesto che compì gli parve lentissimo, mentre batteva le palpebre, deglutiva e si girava poi verso la voce alla sue spalle.
Lui era lì.
Sasuke era in piedi fra l’erba secca e l’erica a fronteggiarlo. I capelli neri non erano agitati dalle raffiche, i fili lisci restavano ordinati e immobili al loro posto, estranei al vento che si agitava attorno a loro. Aveva lo sguardo malinconico, tristissimo, era una pugnalata al petto per Naruto. E la sua pelle era raggrinzita, come se fosse stato troppo tempo immerso nell’acqua salata.
“Ti ricordi di me?” domandò. Non sembrava sorpreso di trovarlo lì, era solo… rassegnato. E triste, infinitamente triste.
Vederlo con quell’espressione corrucciata era dolorosa, Naruto si ritrovò a camminare verso di lui come se non potesse fare altrimenti.
“Ricordo tutto” confermò, trattenne il fiato e poi: “Sasuke, tu sei un fantasma?”
Un piccolo sorriso increspò appena le labbra sottili. “Lo sono” ammise, si guardò le mani con i polpastrelli rugosi “Sono morto, ma continuo a restare in questo mondo”.
“Perché?”
“Perché tu sei ancora qui”.
Silenzio. Il rumore del vento era fortissimo, assordante, ma quando Sasuke parlava sembrava calmarsi, farsi un ricordo lontano.
Sasuke, che nessuno dei suoi amici riusciva mai a incontrare; che odiava i posti affollati, che sembrava sparire ogni volta nel nulla, che gli aveva mentito per tutto quel tempo. Sasuke che lo amava.
“Perché?” domandò ancora, anche se non sapeva a quali dei tanti perché gli affollavano la mente chiedesse risposta.
“Ti ho cercato per tanto tempo, Naruto…” mormorò il fantasma “Avevi una promessa da mantenere, ora capisco cosa intendevi con quelle parole. Non voglio questa solitudine, non voglio sopportare il peso della morte da solo”.
“Sasuke…”
“Sapevo che potevi vedermi, hai sempre avuto questo dono. Tu potevi capirmi ancora. Ma quando ti ho trovato tu non ricordavi nulla. Non mi riconoscevi nemmeno. Avevi perso la memoria, anche il ricordo di quella promessa fondamentale” lo ignorò “Che cosa dovevo fare? Ha valore una promessa per una persona che non ricorda nemmeno di averla posta? No, ovvio che no. Dovevo fartela ricordare, ma davvero volevo farlo? Davvero sono così crudele? Farti ricordare qualcosa solo per farti morire poi?”
Aveva freddo, gli era venuta la pelle d’oca e quel discorso lo stava facendo sprofondare nella disperazione.
“Ti prego, Sasuke…”
“Otto mesi. Sono rimasto otto mesi in questo limbo e non sapevo cosa fare, ma forse… mi stavo abituando, sai?  Tutto quello mi illudeva di essere ancora vivo” socchiuse gli occhi “Non hai idea di quanto mi manchi essere vivo”.
Il vento non agitava i suoi capelli, non gonfiava i suoi abiti, il suo corpo era inconsistente. Eppure Naruto lo aveva toccato così tante volte, aveva seguito con le labbra ogni punto segreto di quella pelle ed era tangibile, vera. Era carne e sangue, come poteva essere un fantasma.
Sasuke sembrò leggere nella sua mente. “Eri tu, sei sempre stato tu. Mi hai strappato dalla solitudine da bambino e lo hai continuato a fare anche quando sono morto. Credevo potesse durare per sempre, se non avessi ricordato… se non lo avessi scoperto” si interruppe e prese un respiro, una lacrima rotolò sulla sua guancia “Se non lo avessi scoperto potevo essere ancora vivo, con te”.
Ma ora ricordo tutto.
Al di là della tristezza, della confusione e della frustrazione, provò una forte paura viscerale, un terrore arcano che lo spinse a fare un passo dietro di sé. Il suo cuore batteva fortissimo, vivo, come se sapesse già quello che stava per succedere e volesse scappare via.
Scosse la testa.
“Sasuke, non…”
“È stato bello, Naruto” lo interruppe ancora, fece a sua volta un passo verso di lui “Ma non poteva durare per sempre”.
Indietreggiò ancora. Non voglio morire.
“Sasuke, ti prego” supplicò.
“Tu mantieni sempre le promesse” anche il tono di Sasuke era di una supplica. “Anche questa, soprattutto questa”.
Non voglio morire. Non voglio morire, ti prego.
Era sul bordo, dietro di lui non c’era più terra. Solo il mare in tempesta. Si accorse di star piangendo. Non riusciva a parlare. Sarebbe morto. Non voleva morire.
Non voglio morire. Voglio vivere.
“Non devi paura, non fa male. È solo un momento” continuò a camminare verso di lui. Gli fu a un palmo di distanza e appoggiò la mano sul suo petto, a sinistra. Il cuore batteva furioso contro la cassa toracica. Perché riusciva a toccarlo se era morto?
“Per un momento sarà il vuoto” sussurrò “Ma poi sarai di nuovo con me. Saremo ancora insieme. Tu mi ami, no?”
Lo amava, ma… voglio vivere.
V o g l i o  v i v e r e
Sasuke sorrise. “Ti amo anche io”.
Lo spinse. Cadde.
Il boato del mare lo ingoiò.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3790659