The tale of the ghost on the shore di Voglioungufo (/viewuser.php?uid=371823)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Yes, I know that love is like a ghost ***
Capitolo 2: *** But it feels like there's oceans between you and me ***
Capitolo 3: *** All who sail off the coast ever more Will remember the tale of the ghost on the shore ***
Capitolo 1 *** Yes, I know that love is like a ghost ***
I
Yes, I know that love is like ghosts
A
trentadue
anni, Sakura Haruno poteva vantarsi di aver realizzato la sua vita: era
indipendente, aveva una famiglia che amava e il lavoro per cui si era
laureata.
Negli alti e bassi nella sua vita questi tre punti erano i galleggianti
che le
impedivano di affondare nei momenti bui. E ne era orgogliosa.
Aveva
dovuto lottare con le unghie e con i denti per essere presa sul serio,
per
riuscire a trovare il suo posto nell’ospedale di Konoha come
psicologa. Un po’
per l’ancora presente diffidenza nei confronti di quella
materia fraintesa dai
più, un po’ per la ristretta mentalità
maschilista del luogo del lavoro e un
po’ per la sua giovane età. Era stata una vera e
propria guerra, ma alla fine
aveva vinto.
Ovviamente
non era un lavoro tutto rosa e fiori, c’erano periodi in cui
la pesantezza
emotiva le rendeva difficile separare il lavoro dalla vita privata, a
volte
restava coinvolta un po’ più del necessario.
Era, per
esempio, il caso del paziente che aveva davanti in quel momento. Quando
le
avevano detto che avrebbe dovuto relazionarsi con un uomo che aveva
perso la
memoria aveva seriamente tremato, temendo di non essere
all’altezza.
Naruto
Uzumaki
era un ragazzo di ventotto anni con il sorriso più luminoso
e spontaneo che
avesse visto e forse era stato proprio quello a convincerla ad
accettare.
Sorrideva anche se non aveva un singolo ricordo del proprio passato,
conosceva
il proprio nome solo perché era scritto nella carta
d’identità. Per scoprire il
resto avevano dovuto cercare.
Naruto
non
era nato a Konoha, ma a Uzu, un’isola sperduta immersa nella
natura e con un
solo paese. Lì aveva passato l’infanzia con il
nonno a causa della prematura
morte dei genitori. Aveva frequentato le elementari, le medie e le
superiori
serenamente, senza che nessun evento particolare venisse segnalato.
Poi, suo
nonno era morto d’infarto e, forse per scappare dal dolore di
quella perdita,
aveva venduto tutto per fuggire a Konoha, la grande città
portuale e
universitaria. Si era iscritto all’università, ma
nemmeno dopo un anno la sua
permanenza nella città era stato coinvolto in un incidente.
L’incidente che gli
avrebbe cancellato la memoria, l’incidente causato solamente
da una stupida
distrazione alla guida. Il guidatore del piccolo camion stava mandando
un
messaggio con lo smartphone, così da non notare il ragazzo
attraversare la
strada sulle strisce pedonali. Il resto era facile da immaginare.
Grazie
un pronto
intervento dell’ambulanza era riuscito a sopravvivere, anche
se era caduto in
un lungo coma. Si era risvegliato due anni dopo, quando tutti credevano
che non
ci fossero più speranze. Si era risvegliato, ma senza sapere
nulla, né il
proprio nome o la propria lingua. C’era voluto un anno di
riabilitazione perché
tornasse a ricordare le conoscenze basilari, come scrivere o leggere o
le
nozioni imparata alle elementari. Un anno perché diventasse
un essere umano
autonomo, ma senza ricordi di chi fosse.
Una
situazione davvero delicato che Sakura aveva seguito
dall’inizio e continuava a
seguire tutt’ora a distanza di quattro anni dal suo
risveglio. Era rimasta
intenerita da quel ragazzo spaesato, che chiedeva spiegazioni su ogni
cosa,
anche quelle che Sakura aveva imparato a dare per scontate. In un certo
senso
era stato come accompagnare un bambino per mano alla scoperta del
mondo. Naruto
non aveva ancora recuperato la memoria, ma ormai in quei quattro anni
era
riuscito a formare dei ricordi su cui sostenersi.
Erano
riusciti a ricostruire comunque il suo passato, ma Sakura sapeva che
non era la
stessa cosa di ricordare personalmente. Chissà quanti
dettagli erano ignorati
nel resoconto che avevano stilato, soprattutto perché
c’erano buchi enormi. Ma
la cosa che più aveva incuriosito la psicologa era che
nessuno era mai venuto a
trovarlo durante la sua permanenza in ospedale.
Era vero
che Naruto era ormai un orfano senza famiglia e che si era trasferito
da poco a
Konoha, ma a Uzu doveva esserci per forza un amico, un insegnante,
qualcuno a
cui importasse di lui.
Zero.
Naruto
sembrava letteralmente privo di qualcosa che lo legasse al suo passato.
Ma
Sakura non aveva mai voluto farlo notare, temeva una brutta reazione da
parte
del paziente, che invece si mostrava sempre più reattivo a
ogni seduta. In
quattro anni aveva fatto passi da giganti, ormai Naruto era un perfetto
essere
umano funzionale. Da un anno e mezzo aveva ottenuto anche il permesso
di vivere
da solo e aveva trovato lavoro come commesso in una libreria non poco
distante
dal suo appartamento.
Andava
decisamente tutto bene, ormai le loro sedute assomigliavano sempre di
più a
chiacchierate fra amici, in cui le raccontava quello che succedeva
durante la
giornata,i propri sogni e insieme cercavano indizi che potessero
aiutarlo a
sbloccare la memoria.
Sakura
era
certo di poterlo fare.
“Domani
è
il mio giorno libero” disse Naruto seduto sul divanetto con
fare sciolto “Sono
felice, potrò fare quello che voglio per tutto il
giorno”.
“Lo
passerai
con Sasuke?” gli domandò facendo un piccolo
sorriso, mentre il volto del
ragazzo si illuminò.
“Credo
di
sì, non lo so. Fra un po’ inizia la sessione per
lui, è un po’ nervosetto”
ridacchiò.
Perché
tra
le tante novità che erano successe, c’era anche
quella di aver trovato l’amore
della sua vita – come sosteneva
teatralmente Naruto ogni volta che ne parlava.
Sasuke
era
un universitario poco più giovane di Naruto,
nonché il suo fidanzato. Per
Sakura all’inizio era stata una sorpresa scoprire che il suo
paziente preferito
fosse gay, ma poi aveva accolto serenamente la novità e
aveva seguito quella
storia d’amore con interesse.
All’inizio
Sasuke
si era presentato solo come uno scorbutico cliente che lo faceva sempre
andare
ai matti con le sue richieste assurde su libri sconosciuti, ma poi a
una seduta
Naruto le aveva rivelato che gli aveva chiesto di uscire.
“Perché
lo
hai fatto?” aveva chiesto Sakura sorpresa.
“Perché
mi
piace quando non fa lo stronzo” era stata la risposta, poi
aveva fatto una
faccia imbarazzata, quella che faceva quando pensava di aver fatto
qualcosa di
sbagliato “Ho fatto male?”
No,
aveva
fatto bene perché Sasuke aveva accettato e ormai stavano
insieme da otto mesi.
Quella era la prima relazione che aveva, almeno che ricordasse, quindi
ci si
era buttato a capofitto senza nessun paracadute, come si fa a ogni
primo amore.
Quel suo gettarsi con cuore e anima aveva fatto preoccupare Sakura,
temeva come
il novello fidanzato potesse reagire una volta scoperta la situazione
di
Naruto, temeva lo ferisse.
Non era
mai
stata così felice di sbagliarsi, non solo Sasuke si era
dimostrato comprensivo
e tranquillo con la faccenda, ma aveva supportato Naruto nel suo
percorso e,
recentemente, era perfino riuscito a sbloccargli un ricordo.
Era il
primo ricordo da quando si era risvegliato.
Da un
lato
Sakura era stata gelosa che a riuscirci fosse stato un ragazzo
conosciuto
nemmeno tre mesi prima, ma in realtà quella era stata una
delle telefonate più
belle della sua vita.
Era un
ricordo molto breve, di Naruto da bambino e riguardava quando i
genitori erano
ancora vivi, perché lo vedeva protagonista mentre diceva
loro una poesia che
aveva imparato a scuola. A quanto pare Sasuke l’aveva
accennata mentre
conversavano e lui si era ricordato di averla già sentita.
Una
meravigliosa
coincidenza che Sakura sperava avesse reso la memoria di Naruto
più elastica.
“Sono
certa
che troverà del tempo per te” gli
assicurò intenerita.
“Ma
certo, dattebayo!”
confermò con
quell’espressione che aveva coniato quando ancora faticava a
pronunciare certe
parole “Anzi, appena finisce la seduta ci troviamo”.
“Viene
a
prenderti?” domandò interessata. Nonostante i due
si frequentassero da otto
mesi, lei non lo aveva ancora incontrato. A sentire Naruto era un tipo
davvero
solitario che non parlava mai con nessuno e odiava stare nei luoghi
affollati,
li evitava come la peste. In più non aveva ancora fatto coming out e aveva proibito a Naruto di
andare a trovarlo
all’università o passare
nell’appartamento che condivideva con un collega.
Infatti
scosse la testa. “No, ci troviamo da me. oggi facciamo la
serata thailandese e
Disney”.
“Ogni
tanti
potreste andare in un ristorante…”
buttò lì casualmente.
Naruto
le
sorrise imbarazzato. “No, non importa. Mi piace stare a casa
con lui” e fece un
sorriso imbambolato, come se la sua mente si fosse persa in mari
profondi. Mari
che Sakura non voleva approfondire, almeno non in veste di psicologa.
Aveva
deciso da tempo di non voler sapere nulla
dell’intimità tra i due, nonostante
la curiosità.
“Allora
direi che è arrivato il momento di lasciarti
andare” scherzò indicando
l’orologio “Vorrai prepararti”.
Naruto
allargò il sorriso scendendo dal lettino. “Prima
devo passare in libreria, ho
dimenticato le chiavi di casa lì”
ridacchiò.
Ridacchiò
anche Sakura, perché nonostante tutto la sbadataggine di
Uzumaki in quei
quattro anni era rimasta invariata.
“Allora
a
venerdì?”
“Solita
ora, solito posto” confermò alzandosi a sua volta.
Invece di stringergli la
mano come faceva con gli altri pazienti lo abbracciò
affettuosamente. “Mi
raccomando, comportati bene”.
Naruto
le
rivolse un ultimo sorriso smagliante prima di uscire.
“È quello che faccio
sempre” assicurò.
**
La
libreria
in cui lavorava Naruto si chiamava “Sotto
il mare” a causa della sua vicinanza alla spiaggia.
Konoha era una città
marittima, che in estate attirava frotte di turisti per
l’ampio litorale tra le
scogliere; mentre l’inverno era sempre presa
d’assalto dagli studenti, visto
che era una delle poche città della regione del Fuoco ad
avere un’ampia scelta
universitaria.
A Naruto
piaceva il posto dove lavorava, perché aveva
un’ampia vetrata che si affacciava
direttamente sul lungomare e nei momenti di noia era piacevole
osservare fuori
il via e vai dei passanti.
All’inizio
il proprietario, Kabuto, lo aveva assunto solo per un motivo di
integrazione e
riabilitazione, perché era stata la direttrice
dell’ospedale in cui era
ricoverato a chiederlo, ma doveva aver fatto una buona figura
perché non lo
aveva ancora cacciato. Era un bel posto e aveva fatto amicizia con i
colleghi.
Quando
entrò era quasi l’ora di chiusura, quindi tra gli
alti scaffali non girava
quasi nessuno. Riuscì a trovare subito Ino, una delle sue
colleghe, appoggiata
a una stipite con un sorriso sornione sul volto, su un dito faceva
roteare un
mazzo di chiavi.
“Cercavi
queste, ragazzo meraviglia?”gli domandò
compiaciuta.
“Ops”
ridacchiò “Allora sono rimaste davvero
qui”.
Ino
gliele
lanciò e lui le prese al volo.
“Dovresti
fare più attenzione, un giorno rischierai di perderla
davvero” lo rimproverò.
Teneva i capelli biondi legati in una coda alta, ma alcuni ciuffi
sfuggivano a
coprirle parzialmente un occhio azzurro contornato da matita nera e
mascara.
Spesso i
clienti chiedevano se fossero fratelli. Anche Naruto aveva scompigliati
capelli
biondi che sembravano non vedere un pettine da anni e gli occhi del
colore
dell’oceano, un volto attraente e squadrato. In
più entrambi erano accumunati
da un carattere frizzante ed esplosivo.
“Vai
dal
tuo ragazzo?” domandò Ino lisciandosi una ciocca.
Probabilmente si stava
annoiando e voleva qualche pettegolezzo per aspettare più
serenamente l’orario
di chiusura.
Annuì.
“Si
mangia thailandese oggi”.
“Ogni
tanto
potresti anche portarlo qui e presentarmelo, sai?” si
lagnò “Anche solo per
capire com’è la sua faccia, per approvartelo,
ecco”.
“È
venuto
qui un sacco di volte” le fece notare esasperato
“Non ci credo che tu non lo
abbia mai visto”.
“Negativo”
incrociò le braccia al petto “Nemmeno Kabuto
l’ha mai visto. O Shikamaru, o
Choji… sicuro che sia reale?”
Si
permise
una risata compiaciuta. “Fidati, è molto
reale” disse con un tono carico di sottintesi.
Il volto
dell’amica si illuminò immediatamente di malizia.
“Reale come? Andiamo,
raccontami”.
Scosse
la
testa ridendo e cercò una rapida fuga, ma Ino lo
afferrò prontamente per la
maglia.
“Dai,
non
lasciarmi così, voglio sapere!”
“Ti
lascio
immaginare” le suggerì.
“Ti
lancio
un libro dietro!” lo minacciò.
“Così
Kabuto ti licenzierà”.
Ino
sbuffò
dal naso, ma almeno lo lasciò andare.
“La
prossima volta che trovo qualcosa di tuo in giro lo butto
via” asserì seria
“Così impari”.
“Andiamo,
Sasuke è riservato. Si arrabbierebbe se dicessi certe cose
in giro…”
“Uffa”
lo
guardò contrariata “Almeno portalo domani
sera”.
Naruto
corrugò gli occhi, sorpreso dalla proposta. Il 31 Agosto ci
sarebbe stata una
festa nella zona del lungomare, con bancarelle e artisti di strada, al
porto
erano state anche montate delle giostre da lunapark. Loro con gli altri
due
commessi della libreria avevano pensato di andarci, visto che erano
liberi.
Si
immaginò
con Sasuke in mezzo alla gente, a comprare lo zucchero filato, provare
i giochi
con le freccette e andare poi sulla ruota panoramica. Era una bella
scena.
“Gli
chiederò” promise.
Ino
esultò
stringendo le mani a pugno. “Fantastico, finalmente sapremo
chi è la persona
che ti ha rubato il cuoricino”.
Le
sorrise
accondiscendente e la salutò, riuscì finalmente a
lasciare la libreria. Sasuke
era un pignolo assurdo ed era capace di infuriarsi per un solo minuto
di
ritardo.
Certo,
però, era strano che Ino non lo avesse mai visto. Prima di
uscire insieme,
quando Sasuke era solo il cliente stronzo, era entrato molto spesso
nella
libreria. Per dire, anche solo al loro primo incontro avevano fatto
abbastanza
confusione che era impossibile che la collega non li avesse notati.
Naruto stava
sistemando i libri appena arrivati sugli
scaffali, salendo e scendendo dalla traballante scaletta in metallo.
Mentalmente cantava una canzoncina che aveva sentito alla radio ed era
estraniato dall’ambiente circostante. Era il tramonto e loro
stavano per
chiudere, infatti nel negozio c’era solo Ino alla cassa per
registrare i conti
di quella giornata. O almeno così credeva.
Agilmente scese
la scaletta fischiettando. Qualcosa gli
si parò improvvisamente davanti. Sussultò per lo
spavento e fece un passo
all’indietro, rischiando di inciampare sulla scaletta.
Era un ragazzo,
forse un liceale visto i tratti
giovani ed eleganti del volto dalla pelle liscia, pallida e priva di
qualsiasi
imperfezione. I capelli erano lisci, lucidi e scuri come le ali dei
corvi, e
dello stesso colore erano anche gli occhi a mandorla, grandi e profondi
come
l’abisso dell’oceano. Il naso era una linea dritta
e sottile, equilibrato e
poco vistoso in quel volto d’alabastro e le labbra sembravano
essere state
disegnate con un pennello.
Naruto
pensò che quel ragazzo fosse bellissimo e
inquietante, perché continuava a guardarlo fisso in volto
senza dire niente,
senza mostrare una sola espressione.
Deglutì,
chiedendosi se gli servisse qualcosa, ma
prima di riuscire a porre quella domanda ad alta voce, il ragazzo
parlò.
“Naruto?”
Provò
un secondo di smarrimento nel chiedersi come
conoscesse il proprio nome, ma poi ricordò che Kabuto aveva
preteso portassero
una targhetta con il proprio nome sulla divisa e si maledì
per essersi lasciato
suggestionare.
“Sì?”
domandò pronto ad ascoltare la richiesta di
quello che sembrava essere un potenziale cliente.
Il ragazzo
rimase zitto e continuò a fissarlo da capo
a piedi, studiandolo con sguardo critico. Cominciava a sentirsi in
imbarazzo.
“Ti
serve qualcosa? Cerchi un libro? Posso aiutarti?”
snocciolò a disagio.
Gli occhi scuri
tornarono a puntarsi su di lui e
Naruto avvertì un brivido di disagio scivolare lungo la
schiena.
“Mi
chiamo Sasuke” disse lentamente alla fine il
ragazzo. Aveva una voce più dura e secca di quello che aveva
immaginato. Prima
di riprendere fece una lunga pausa che lo lasciò sulle spine
“Puoi aiutarmi,
sì. Sto
cercando il libro The
tale of
the ghost on the shore. L’autore
è Jeremiha Huron e voglio l’edizione della
casa editrice Trails del 1887”.
Lo
guardò sbigottito qualche secondo.
“Uhm… io…” esitò
guardandosi tra gli scaffali titubante “Non so se lo
abbiamo…”
“Non
te lo ricordi?”
domandò sprezzante.
Fu
un’infelice scelta di parole, perché accostate a
quel tono lo fecero sentire mortificato, ma ebbero anche il risultato
di farlo
infuriare. Il che era ridicolo, quel ragazzo era solo arrogante, non
poteva
minimamente immaginare la sua situazione.
“Non
ricordo tutti i libri presenti nel negozio”
rispose cercando di rimanere professionale, nonostante volesse
gridargli contro
“Dammi un secondo e vado a controllare
nell’archivio”.
Fumante di
rabbia si diresse da Ino e le chiese di
guardare al computer, dandole le informazioni ricevute dal ragazzo.
“Non
lo abbiamo” rispose dopo qualche minuto.
“Possiamo
ordinarlo?”
“Mh,
è per un cliente?” domandò incerta
“Perché non lo
ristampano da più di vent’anni, devo vedere se
riusciamo a trovare qualche
copia…”
Annuì.
“Ho capito. Tu provaci, nel caso gli diremo che
non è più disponibile”.
Tornò
dal ragazzo, che lo aveva diligentemente
aspettato dove lo aveva lasciato.
Gli
spiegò brevemente la situazione, lo stomaco chiuso
in una morsa che non riusciva bene a comprendere.
“Se ci
lasci il tuo numero di telefono ti chiameremo o
ti manderemo un messaggio quando ci arriverà” gli
propose.
Ma Sasuke scosse
la testa. “Passerò io”.
“Ma…”
Non aveva potuto
protestare oltre, perché lo aveva
salutato con gesto della mano e chiamandolo per nome, le labbra piegate
in un
sorriso compiaciuto.
Ed era stato di
parola, nel mese successivo era
passato in libreria ogni giorno con altre assurde richieste, spedendo
Naruto ai
matti, ma facendolo anche innamorare di lui.
Il libro, in
ogni caso, non era ancora arrivato.
**
Nonostante
il calore di fine estate e l’aria umida che caratterizzava la
città di Konoha,
a Naruto piaceva stare sotto le coperte leggere e sfatte, a contatto
con il
corpo nudo del suo ragazzo.
L’orologio
digitale segnava le 20:56, ma loro due non avevano ancora cenato,
appena Sasuke
si era presentato alla sua porta con le borse di plastica del
thailandese e la
maglietta in cotone leggero aveva saputo fare solo una cosa: tirarselo
contro e
baciarlo. Sapeva che erano finiti in camera da letto in qualche modo,
ma tutto
quello che ricordava erano le sue mani che si muovevano frenetiche sul
suo
corpo, le sue labbra voraci che gli divoravano prima la bocca e poi il
collo e
i loro corpi a contatto in cerca di una frizione.
Naruto
non
sapeva se fare sesso fosse così bello in generale o solo con
Sasuke, certo era
che sentiva il costante bisogno di toccarlo e assicurarsi che fosse
davvero lì
con lui, che non stesse sognando.
Gli
baciò
una spalla, strofinando poi la guancia contro la curva del collo.
Sentì Sasuke
intrecciare le loro dita e poi ruotò la testa a guardarlo
con un sorriso
sbieco.
“Già
stanco
dopo un solo round?” lo derise.
“Io?
Ma
figurati” ricambiò il sorriso impertinente
“Posso continuare tutta la notte”.
“Eccellente”
approvò con finta serietà, forse imitando un
qualche suo professore
universitario “Era la risposta che volevo sentire, signor
Uzuamaki”.
Naruto
rise
e si sporse a baciarlo, appoggiando una mano sulla guancia liscia
dell’altro,
sembrava non gli crescesse mai la barba e un po’ lo invidiava
per questo.
Sasuke
aveva un odore pungente che lo faceva sempre impazzire, era lo stesso
che si
respirava in spiaggia alle prime luci del mattino o la sera tardi.
L’odore del
mare, un odore salato e umido che gli solleticava sempre le pupille
gustative e
gli provocava un languore allo stomaco. A volte la pelle ne era
talmente pregna
che sembrava fosse appena tornato da una lunga immersione
nell’oceano. Era un
sapore così buono che spesso desiderava poterlo divorare,
farlo entrare sotto
pelle e incastrarlo nei propri vestiti per sentirlo sempre con
sé.
Sasuke
rispose al bacio con altrettanta voracità, spalancando le
labbra e lasciando
che loro lingue si rincorressero fra loro, gli accarezzò a
sua volta una
guancia immergendo la punta delle falangi tra i ciuffi biondi ribelli.
Quando
si
staccarono aveva sul volto un’espressione pacifica, mentre
Naruto aveva un
sorriso sognante che gli illuminava lo sguardo. Gli scoccò
una lunga serie di
baci soffici e casti sulle labbra, finché non
sbagliò mira e finì a baciargli
il mento.
Si
sistemò
meglio su un fianco, reggendosi la testa con una mano e appoggiando
l’altra sul
petto glabro e pallido del fidanzato, dove con le dita
cominciò a disegnare
invisibili ghirigori.
“Com’è
andata oggi?”
Sasuke
fece
un verso poco impegnato. “Studiato, studiato e studiato.
Aspetta, ho anche
tentato di uccidere il mio coinquilino”.
Rise.
“Niente di nuovo, quindi” lo guardò di
sottecchi “Potresti venire a stare qui,
lo sai”.
Sasuke
non
lo guardò nemmeno. “Casa tua è un buco,
dobe”.
“Ma
non c’è
il tuo coinquilino rompicoglioni” gli sorrise smagliante.
“Però
ci
sei tu, come rompicoglioni” lo canzonò, ma
pensò bene di farsi perdonare con un
bacio a stampo “Stai troppo lontano
dall’università, dovrei prendere la
metropolitana”.
Già,
la
metropolitana, un altro dei luoghi che Sasuke evitava come la peste.
“Potrei
farmi la patente e comprarmi una macchina. Ti accompagnerei
io” buttò come
proposta.
Ricevette
un’occhiata divertita. “Un dobe al volante
è un pericolo costante” lo baciò
ancora prima che potesse protestare, dopo otto mesi aveva imparato che
quello
era l’unico modo per zittirlo “Lascia stare, un
anno ancora e poi saluterò
anche la magistrale”.
Naruto
mugugnò qualcosa e per dispetto gli pizzicò il
fianco.
“Tu,
oggi?”
“Lavorato
e
cercato di far ragionare alcune madri assatanate”
sospirò, con la fine
dell’estate la libreria era stata presa d’assalto
dai libri di testo scolastici
e genitori che cercavano di comprarne il maggior numero al minor prezzo
possibile “Poi sono stato da Sakura, per la solita
seduta… Quando hai
intenzione di conoscerla?” gli domandò con tono
scherzoso, anche se era una
domanda a cui ci teneva avere una risposta.
Lo
sguardo
di Sasuke si fece improvvisamente evasivo. “Magari una delle
prossime volte ti
verrò a prendere e la conoscerò”
borbottò disimpegnato.
Naruto
non
ci credeva molto, perché erano mesi che riceveva quella
risposta e poi non
succedeva mai.
“Sai
chi
altro vorrebbe conoscerti? Ino e gli altri” si rispose prima
che potesse farlo
l’altro “Domani sera andiamo in centro per la
festa, vieni?”
“Devo
studiare…”
“Di
sera?
Come no” sbuffò, lo punzecchiò al
fianco “Dai, cosa ti costa? Stare in mezzo
alla gente non è poi così
terribile…”
Sasuke
lo
guardò come se lo avesse appena schiaffeggiato.
“Non
voglio” s’impuntò con la sua voce
capricciosa.
“Ma
dai”
strinse le labbra in una linea “Ogni tanto sarebbe anche
carino uscire con te.
E intendo: uscire fuori, non
rintanarci sempre a casa mia. Nessuno dei miei amici ti ha mai visto,
vogliono
conoscerti”.
Sasuke
fingeva
di non ascoltarlo, guardando con insistenza il soffitto, ma Naruto non
si
lasciò scoraggiare e provò a buttarla sullo
scherzo.
“Stanno
cominciando a credere che io mi sia innamorato di un fantasma, non ci
facciamo
mai vedere insieme e…”
“Se
volevi
un ragazzo trofeo da sbandierare in giro credo che tu abbia sbagliato
persona”
lo interruppe secco.
Naruto
si
ammutolì, rendendosi conto di aver parlato troppo e,
soprattutto, di essere
stato frainteso. Sasuke aveva serrato la mascella e tutto il suo corpo
si era
irrigidito, poteva avvertire la tensione dei muscoli contratti sotto la
pelle.
Si
alzò dal
materasso e salì su di lui a cavalcioni, stendendosi un poco
in avanti.
Appoggiò una mano sulla sua fronte e gli tirò
dietro la frangia sudata e cercò
il suo sguardo, ma Sasuke lo stava evitando accuratamente.
“Io
non
voglio un ragazzo trofeo” disse seriamente “Io
voglio te” e gli baciò la
fronte.
Sasuke
continuava a evitare il suo sguardo, ma era avvampato sulle guance come
ogni
volta che si imbarazzava o emozionava.
“Voglio
te
anche con le tue fisime mentali sulle persone e i luoghi
affollati”.
Vedendo
che
continuava a non ricambiare lo sguardo e che restava chiuso nel suo
silenzio
offeso si mise a canticchiare.
“Yes
I know that love is like ghosts
Oh,
few have seen it, but everybody talks
Spirits
follow everywhere I go
Oh they sing all day and they haunt me in the
night”
Prevedibilmente
quello catturò l’attenzione dell’altro
ragazzo, che gli rivolse un sorriso di
riconciliazione.
“Vuoi
forse
assordarmi? Cos’è questa lagna?”
domandò mentre Naruto ridacchiava e si
spalmava ancor di più su di lui.
“È
una canzone”
rimarcò l’ovvio “L’ho sentita
questa mattina in negozio, non è bella?”
“Cantata
da te
decisamente no” soffocò una risata e
intrecciò le dita delle loro mani, segno
che non ce l’aveva più con lui.
“Sono
un
cantante provetto” protestò ricambiando la presa
“Bah, almeno posso vantarmi di
essere tra quei pochi che hanno visto l’amore. E un
fantasma” aggiunse
ridacchiando, abbassò la testa per baciargli
l’angolo delle labbra “Io non ho
un ragazzo trofeo, ho un ragazzo fantasma”.
Sasuke
sbuffò.
“Non
voglio
costringerti a fare nulla” continuò con
serietà, si morse le labbra “È
solo…
sono i miei amici, mi hanno aiutato tantissimo in questi anni e vorrei
che tu
li conoscessi. E che tu conoscessi loro. Siete le persone a cui
più tengo al
mondo”.
Ottenne
una
faccia pensierosa e un poco colpevole.
“A
che ora vi
troverete?”
“Alle
otto al porto”
rispose efficiente.
Sasuke
aveva
preso a giocherellare con la stoffa del copriletto leggero.
“Mh,
ci penserò”
chiosò e Naruto sapeva che quello era il massimo che poteva
ottenere, ma che ci
avrebbe pensato sicuramente.
Gli
rivolse
perciò un sorriso enorme, felice, e tornò a
baciarlo approfonditamente,
stringendo i suoi capelli serici fra le dita, si dondolò
contro il suo bacino
avvertendo qualcosa cominciare a premere sotto i tuoi glutei.
Ridacchiò
quando staccandosi dalle sue labbra ricevette un mugugno scontento.
“C’è
qualcosa
che si sta risvegliando…” notò con una
falsa espressione ingenua, dondolandosi
con più insistenza.
Sasuke
appoggiò
con possessività le mani sui suoi fianchi, dettando il ritmo
del suo dondolare.
“Sei
nudo, su
un letto e seduto sopra il mio pene” gli fece notare
“Sono stato già fin troppo
paziente” gli rivolse un’occhiata machiavellica
prima di invertire le
posizioni, facendolo scivolare sotto di sé. Si
sistemò meglio fra le sue gambe
aperte “Se non sbaglio ora è il mio
turno”.
Naruto
allacciò
le mani dietro il suo collo, spingendolo fino a far sfiorare le loro
fronti.
“Non dovremmo mangiare prima? Non hai fame?”
In
risposta
Sasuke cominciò a baciargli il collo, suggendo la pelle sia
con le labbra che
con i denti.
“Al
momento non
è il mio bisogno primario…”
**
Terminato
il
secondo round era stato letteralmente impossibile trattenere Naruto a
letto,
ormai stava morendo di fame e il suo unico pensiero era rivolto al cibo
da
scaldare con il microonde. Per questo era schizzato veloce ancora nudo
verso la
cucina, mentre Sasuke era rimasto a impigrire fra le coperte. Il letto
era
pregno dell’odore dei loro umori, era confortevole e
cullante. Fissò i due
preservativi usati sul comodino distrattamente, mentre pensava alla
faccia che
avrebbe fatto Naruto una volta scoperto cos’altro
c’era nella borsa del
thailandese.
Dalla
porta
lasciata aperta sentì un tono sorpreso, li aveva trovati
quindi.
Si
stiracchiò e
si alzò dal letto con passo lento e calcolato, pregustandosi
già la reazione
del fidanzato al regalo e la sua espressione felice.
Invece,
trovò
Naruto davanti al tavolo della cucina immobile, con
l’espressone congelato sul
volto di shock e confusione. Come se il tempo avesse improvvisamente
smesso di
correre.
Sasuke
aveva
già visto quella faccia una volta: Naruto aveva ricordato
qualcosa.
Gli
si affiancò
immediatamente, ansioso. Teneva fra le mani la composizione di
calendule
arancioni come se fossero fatte di vetro e temesse di romperle, con una
delicatezza che contrastava con il suo irrigidimento.
Non
sapeva se
toccarlo o meno, chiamarlo o fissarlo solo in silenzio, magari
funzionava come
con i sonnambuli. Ma la sua espressione congelata e sconvolta non
cessava,
perciò non resistette.
“Naruto!”
lo
chiamò appoggiando una mano sulla sua spalla.
Lui
sussultò,
stringendo di colpo le mani con forza, stropicciando i petali arancioni
delle
corolle. Aveva il respiro accelerato.
“Hai
ricordato
qualcosa?” domandò subito ansioso.
Deglutì,
faticando a trovare la voce. “No… n-non lo
so” balbettò “È una
sensazione…
questi fiori mi fanno pensare a qualcosa di doloroso”
si morse le labbra “Fa male, ma non so
perché”.
Il
volto di
Sasuke si oscurò, gli prese delicatamente i fiori della mani.
“Mi
dispiace,
non avrei dovuto regalarteli. Credevo che…”
s’interruppe scuotendo la testa
“Scusami”.
A
quelle parole
Naruto parve tornare in sé, perché lo
guardò come se fosse la sola cosa
importante nella stanza.
“Non
scusarti!”
disse di getto “È stata una sorpresa bellissima,
grazie! E poi mi hanno quasi
riportato a galla un ricordo…”
“Doloroso”
lo
bloccò Sasuke “Volevo farti una sorpresa, non
stare male”.
Naruto
lo
abbracciò, schiacciando i fiori sempre più
maltrattati tra i loro corpi.
“È
comunque
qualcosa del mio passato, sono felice di averlo conquistato”
gli sorrise
fiducioso “Dopo mando un messaggio a Sakura, lei
saprà di certo cosa fare”.
Sasuke
si
mordicchiava il labbro distrattamente, lo sguardo pensieroso ma anche
improvvisamente malinconico.
“E
se nel tuo
passato ci fossero solo cose tristi?” domandò in
un sussurro “E se fosse
qualcosa di terribile che sarebbe meglio non ricordare?
Forse…”
Naruto
lo
bloccò con un sonoro bacio prima che potesse continuare con
quello
stupidaggini.
“Non
mi
importa, voglio comunque conoscerlo. Niente è terribile come
non avere ricordi
su se stessi” lo guardò dolcemente
“Voglio ricordare tutto, le cose belle come
quelle brutte, voglio capire meglio chi sono”.
Sasuke
svincolò
dall’abbraccio. “Io voglio solo stare con
te” dichiarò serio.
Le
sue
dichiarazioni erano sempre inaspettate, quando le riceveva Naruto
rischiava
sempre di restare imbambolato.
“Questo
è
sicuro” riuscì a reagire “Noi staremo
insieme, non importa cosa è successo nel
mio passato, te lo prometto”.
La
reazione di
Sasuke fu del tutto inaspettate, i suoi occhi si fecero improvvisamente
freddi
e anche il resto della sua espressione si tese.
“Non
fare
promesse che potresti dimenticare” sibilò stizzito.
Cosa?
“Non…”
“Lascia
stare”
tagliò corto, improvvisamente di cattivo umore. Prese la
busta di plastica
sulla tavola e la portò in cucina “Scaldiamo
questa schifezza, non stavi
morendo di fame tu?”
Per
Naruto a
volte era davvero impossibile riuscire a stare dietro
al’umore altalenante del
suo compagno.
**
–
Dove sei?
Il
porto quella sera era ghermito di gente e luci violette, diverse
musiche si
sovrapponevano fra loro schiacciando il cacofonico brusio delle
persone. Era
molto caldo in mezzo a quella folla, perciò Naruto aveva
legato la giacca in
jeans leggera alla vita. Erano lì già da due ore,
avevano comprato dolci,
giocato con le freccette dove il fidanzato di Ino era riuscito a
vincerle un
peluche, ed erano stati sugli autoscontri. Ora erano in fila per lo
zucchero,
oltre a Ino e Sai – il suo ragazzo –
c’erano anche altri sui colleghi,
Shikamaru con la sua ragazza Temari, Choji e Kiba, e altri due suoi
compagni di
palestra, Rock Lee e Gaara. Aveva iniziato a frequentare la palestra
per la
riabilitazione fisica, dopo essersi svegliato aveva i muscoli deboli e
anche
solo stare in piedi per lui era faticoso, aveva dovuto lavorare
duramente per
rinforzarli; anche se ora non ne aveva più bisogno
continuava a frequentarla.
Si
stavano tutti divertendo tantissimo, compreso lui, ma continuava a
tenere lo
sguardo incollato al telefono e a mandare messaggi a Sasuke.
Gli
aveva detto che sarebbe venuto, perché non si presentava?
Una parte di lui
temeva si fosse perso, ma allora perché non rispondeva ai
suoi messaggi?
“Scusate,
mi allontano un attimo” disse distrattamente agli altri
continuando a tenere lo
sguardo sullo schermo. Uscì dalla fila senza attendere una
risposta e cercò un
punto dove il rumore non fosse troppo frastornante.
Digitò
il numero e attese, ma dopo pochi squilli la voce registrata gli disse
che il
numero era irraggiungibile. Provò ancora, ma il risultato fu
lo stesso.
“Cazzo”
borbottò sentendo gli occhi che bruciavano dalla delusione.
Gli mandò un altro
messaggio, pregando qualsiasi dio si trovasse in cielo di ricevere una
risposta.
– Ehi,
appena ci sei chiamami per favore. Fra un po’ andiamo sulla
ruota panoramica,
vorrei salirci con te.
Si
chiese se fosse troppo melenso, ma poi decise che non gli importava.
Voleva
solo che arrivasse, voleva presentarlo
ai suoi amici, dividere lo zucchero filato con lui e baciarlo in cima
alla
ruota panoramica. Era
chiedere troppo?
“Naruto!”
Ino comparve al suo fianco, tenendo due stecchetti di zucchero filato
rosa.
Gliene tese uno scrutandolo un attimo preoccupata. “Il tuo
ragazzo…?” domandò
titubante.
Fece
un
sorriso smagliante, scacciando la smorfia delusa.
“È
solo
in ritardo, ma sta arrivando. Nel frattempo andiamo sul
bruco?”
“Ma
è
una giostra per bambini!”
“A
me
piace, dai!” la tirò per un braccio per
raggiungere il gruppetto.
Sasuke
non venne. E non rispose neanche a un messaggio.
**
Avere
il turno di mattina quando la sera prima eri stato in giro fino a tardi
a fare
baldoria con gli amici era sempre qualcosa di distruttivo per Naruto,
che aveva
passato il tempo in libreria con la testa a ciondoloni. Per non parlare
dell’umore nero che lo accompagnava come una nuvola pregna di
pioggia da quando
si era svegliato. Sasuke non si era fatto sentire, nemmeno per
rifilargli una
scusa, e lui era rimasto con il fiato sospeso per tutta la sera.
Ricevette
notizie dal ragazzo solo quando tornò a casa e
sentì il telefono vibrare.
Vedere il suo nome sullo schermo lo aveva fatto infuriare e per un
momento
aveva vagliato la prospettiva di buttargli giù, ma non
voleva togliersi la
possibilità di gridargli contro.
“Oh,
Sasuke, stai finalmente rispondendo a una delle mie cinquanta
chiamate?”
domandò cercando di fare un tono amabile, ma inevitabilmente
finì per
ringhiare.
Ci
fu
un’esitazione dietro la cornetta.
“…Sei
arrabbiato”.
Fece
una risata gelida. “Complimenti per la perspicacia”.
“Stavo studiando, avevo spento il telefono”
si giustificò.
“Alle
dieci di sera stavi studiando” sbottò incredulo
“Facciamo finta che ti creda”.
“Perché non dovresti credermi?!”
Lo
ignorò. “Lo sapevi che ti stavo aspettando, che ti
avevo chiesto di venire.
Almeno il telefono sottomano per rispondere potevi tenerlo, dirmi che
avevi
cambiato idea… Mi hai piantato in asso!”
“Credevo che il silenzio fosse una risposta
chiara” replicò stizzito, anche lui
cominciava a scaldarsi.
Naruto
prese un lungo respiro per evitare di dirgli qualcosa di cui poi si
sarebbe
sicuramente pentito.
“Avevi
detto che saresti venuto, ti ho aspettato tutta la sera”
disse lentamente,
mentre gli tornava in mente il modo dispiaciuto in cui lo avevano
guardo i suoi
amici quando era stato chiaro a tutti, tranne che a lui, che Sasuke non
sarebbe
venuto.
“Non l’ho mai detto”
lo corresse Sasuke “Ho detto che ci
avrei pensato. Ci ho pensato
e la risposta è stata no”.
“Vaffanculo”
sbottò.
“Naruto,
fra una settimana inizia la sessione e
ho cinque esami da dare se voglio riuscire a laurearmi
quest’anno. Credi che io
abbia tempo da perdere?”
“Era
una sera, era una cazzo di sera” inspirò
bruscamente “Se ti avessi chiesto di
venire da me, solo noi due da soli, non te ne sarebbe fregato niente
dello
studio”.
“Non…”
“Dimmi
che non è vero” lo provocò. Sentendo
che non rispondeva continuò: “Non è la
prima volta che mi dai buca e ogni volta succede quando ti chiedo di
andare
fuori o incontrare i miei amici. Ogni volta mi lasci come un cretino,
oppure
disdici all’ultimo”.
Sasuke
continuò a restare cocciutamente in silenzio.
“A
volte ho davvero la sensazione che tu non voglia essere visto con
me” mormorò
amaramente “Che tu voglia restare nascosto. Sasuke,
perché? C’entra qualcosa la
tua famiglia…”
Non
gliene parlava quasi mai, poche volte era riuscito a strappargli
qualche
informazione; non sapeva niente di loro, se non che fossero ricchi e
costantemente impegnati all’estero per il lavoro.
“La mia famiglia non c’entra niente”
disse lui improvvisamente aggressivo “Ti
stai facendo solo inutili paranoie. Lo sai che non mi piacciono i posti
affollati”.
“Quindi
se questa sera chiedessi ai miei amici di venire da me per un film,
solo noi,
tu verresti?”
Silenzio.
La risposta gli fu subito chiara.
Sentì
gli occhi bruciare. “Sasuke, sinceramente, fottiti”.
Chiuse
la chiamata prima che potesse replicare alcunché e si
gettò a peso morto sul
divano, desiderando venire inghiottito da esso. Guardò il
soffitto sentendosi
patetico e con un grumo di lacrime incastrate in gola. Eppure non gli
sembrava
di star chiedendo troppo, non gli sembravano nemmeno richieste
irragionevoli,
perché Sasuke doveva essere così… così?
Capiva
il suo essere riservato, ma c’erano così tante
cose su di lui che non sapeva e
aspetti della sua vita dove non poteva entrare. Non era mai stato a
casa sua,
non lo aveva mai accompagnato all’università e in
generale sembrava che la loro
storia d’amore esistesse solo fra le mura di casa sua,
soprattutto nella stanza
da letto.
Si
sarebbe lasciato volentieri crogiolare in quelle considerazioni da
damina
afflitta fino all’ora di cena, ma qualcuno suonò
alla porta, costringendolo ad
alzarsi.
Nessun
riposo per i cuori spezzati,
considerò
andando allo spioncino. Nel pianerottolo c’era un uomo che
non conosceva,
dall’aspetto giovane e con dei capelli castani tenuti su in
una coda, la pelle
era scura e deturpata da una cicatrice orizzontale sul naso.
Aprì
titubante.
“Sì?
Le
serve qualcosa?” domandò facendo la stessa faccia
che assumeva con i clienti in
libreria.
L’uomo
lo scansionò da capo a piedi con interesse, poi
tornò a guardarlo in volto.
“Sei
Naruto, giusto?”
Annuì
nervoso, si grattò una guancia aspettando che aggiungesse
altro.
Quello
addolcì lo sguardo, come se finalmente realizzasse qualcosa
di triste. “Quindi
è vero, hai perso la memoria?”
S’irrigidì
davanti a quella domanda diretta e non trovò nessuna
risposta da dare, si
limitò a fare un solo cenno esitante con il capo.
Improvvisamente si sentì
prendere dall’ansia allo stomaco e desiderò
chiudergli la porta in faccia e
ripararsi a casa propria. Ma l’uomo riprese a parlare prima
che potesse fare
qualsiasi cosa avventata.
“Mi
chiamo Iruka Umino, sono stato il tuo maestro alle
elementari”.
L’unica
cosa che gli era venuta in mente di fare, una volta che
l’uomo si era
accomodato a casa sua, era stato fare il tè. Aveva anche
mandato un frettoloso messaggio
a Sakura per chiederle consiglio. Non sapeva cosa fare, sul suo divano
c’era un
uomo che per lui era uno sconosciuto, ma che in realtà
apparteneva al suo
passato. Era stato il suo maestro, lo aveva conosciuto da bambino e lo
aveva
educato.
Aveva
così tante domande da fargli, voleva assolutamente sapere
qualcosa di se stesso
da piccolo, quale fosse il suo coloro preferito, se fosse bravo a
scuola e
ubbidiente, o se invece fosse una peste. Se aveva amici, quali fossero
i suoi
giochi preferiti e la materia in cui riusciva meglio. Ma non sapeva da
dove
iniziare.
Fortunatamente,
fu Iruka a toglierlo dall’impiccio e tirò fuori
dallo zaino che portava
una
busta di plastica.
“Ho
ricevuto l’e-mail della dottoressa Haruno dove mi informava
della tua
situazione, ma in quel momento era all’estero e ho potuto
leggerla solo
recentemente. Mi dispiace averti fatto aspettare tutti questi
anni”.
Naruto
si avvicinò curioso con le due tazze di tè, dando
all’ospite quella che di
solito usava Sasuke.
Iruka
sorrise. “Vedo che continua a piacerti
l’arancione”.
Si
illuminò. “Era il mio coloro preferito?”
“Avevi
almeno un vestito con quel colore ogni giorno”
confermò, poi lo guardò
dispiaciuto “Non ricordi proprio niente? Nemmeno tuo
nonno?”
Scosse
la
testa. “No… da poco mi sono ricordato una scena,
io che dico una poesia ai miei
genitori” si domandò se parlare delle calendule,
ma poi lasciò perdere perché
non erano un vero e proprio ricordo.
“Vi
facevo imparare molte filastrocche a scuola…”
annuì “Ma a volte tu ne imparavi
per conto tuo, eri un bambino… speciale”
esitò un poco “Vivevi nel tuo mondo
con la testa fra le nuvole, ero molto affezionato a te”.
Naruto
sentì gli occhi farsi umidi a quelle parole, aveva un groppo
in gola e una
strana nostalgia. Voleva ricordare, voleva disperatamente ricordare
quelle
cose.
Ancora
una volta fu Iuka a riprendere la conversazione. Gli tese la cartellina.
“Ho
cercato qualcosa di tuo a casa. Non è molto, è
passato tantissimo tempo, però
ho ancora alcuni tuoi compiti, il tuo quaderno dei temi, dei disegni e
delle
fotografie di classe”.
Lo
prese impaziente di riappropriarsi di quei tesori perduti, era la cosa
più
concreta su cui metteva mano da quando si era svegliato.
Sfogliò
il primo quaderno emozionato, sul punto di scoppiare davvero a
piangere. Aveva
una calligrafia completamente diversa di quella che aveva detto, era
ancora
disordinata e caotica, ma da bambino aveva tentato di imitare le
eleganti
lettere stampate, anche se il risultato era del tutto discutibile.
Lesse alcune
righe con avidità.
Oggi
ho aiutato il nonno ha cercare le
cose in soffitta. C’era tanta polvere e era buio, quindi
abbiamo preso una
lampada vecchia. C’era mobili rotti, una bicicletta e tanti
libri. C’era
anche il Il
nonno ha detto che posso
tenere un libro, parla di fate e folletti. Non vedo l’ora di
leggerlo.
Cercare
di non piangere fu decisamente inutile e una goccia bagnò la
carte sottile,
sbavando un poco l’inchiostro. Si passò una mano
sulle ciglia e tirò su con il
naso.
“Scusami,
io…” mormorò imbarazzato.
Iruka
gli passò comprensivo un fazzoletto. “Va tutto
bene”.
Si
soffiò il naso, ma poi riprese a guardare il contenuto della
cartellina.
C’erano tanti disegni dalle proporzioni sbagliate, fatti con
i pennarelli o con
la matita; erano grotteschi, ma allo stesso tempo erano anche la cosa
più bella
che avesse visto. Poi arrivarono le fotografie e il cuore gli
mancò qualche
battito. Fu strano vedersi così piccolo, con i capelli
sempre spettinati e il
grembiulino. C’era una foto di lui su un’altalena
leggermente sfocata, poi lui
su un banco a scuola pieno di matite colorati e un astuccio fatto a
rana, con
la punta del naso sporca di colore azzurro. C’era poi una
foto di classe, dove
era circondato da tutti i suoi compagni. Studiò
minuziosamente i loro volti,
probabilmente tra di loro c’erano i suoi amici
d’infanzia, magari riusciva a riconoscere
qualcuno di loro, ma le facce erano troppo piccole per distinguerle
bene.
Passò
alla foto successiva e impietrì di colpo. Il se stesso
bambino non era da solo,
accanto a lui c’era un altro bambino dai capelli neri e il
volto pallido, un
volto che nonostante la morbidezza infantile conosceva molto bene.
Mostrò
la foto a Iruka, un sudore freddo lungo la schiena.
“Chi
è
questo bambino?”
Guardò
appena un secondo la foto, poi fece un sorriso entusiasta.
“Il
tuo
migliore amico, eravate inseparabili. Si chiama Sasuke
Uchiha”.
Note:
Per
la canzone del capitolo qui
Buonasera
anime belle!
Ho fatto una
maratona di due giorni di scrittura per riuscire a
pubblicare questo
capitolo entro la scadenza xD
Come
avete letto dall’introduzione, la storia partecipa alla Challenge estiva del gruppo facebook SASUNARU
FanFiction
Italia a cui consiglio di entrare
nel caso non lo abbiate ancora
fatto ^^
La
storia sarà di tre capitoli
che
spero di pubblicare a distanze ravvicinate, dipende
dal tempo che mi lascia lo studio xD L’ho scritta a cuore
aperto, magari
trattando un po’ ingenuamente la tematica della perdita di
memoria, non mi sono
nemmeno documentata a sufficienza su come venga gestita in ospedale e
ho
sbirciato solo qualcosa in internet. Ma nonostante questo mi sono
già
affezionata alla storia :’)
Spero
vi possa piacere,
io sono stata folgorata da questa idea, e sono curiosa
di sapere le vostre impressioni!
Un
bacio,
Hatta
|
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Capitolo 2 *** But it feels like there's oceans between you and me ***
II
But it feels like there's oceans between
you and me
C’era
una macchia d’umidità sul soffitto, proprio
sull’angolo a destra ed
era quella che Naruto, disteso sul proprio letto, guardava da almeno
mezz’ora.
L’umidità era sempre stato un grande problema per
Konoha, visto che ne era
satura a livelli quasi inconcepibili e creava abbastanza disagi. In
estate era
soffocante, si appiccicava alla pelle e rendeva ogni movimento pesante;
in
inverno invece creava delle nebbie fitte e gelide, che ti davano la
sensazione
di immergerti nell’oceano e non poter respirare
più.
Naruto
non sapeva se il suo essere completamente sudato, però,
fosse solo
causato dall’insopportabile caldo umido. Era più
probabile che si trattasse
dello shock della nuova scoperta.
Sasuke Uchiha.
Quello
non era il cognome del suo
Sasuke – Sasuke Blackwood – ma la somiglianza tra i
due era evidente,
sembravano davvero la stessa persona. Era una cosa assurda.
Una
coincidenza? Nemmeno lui era così stupido da crederlo, anche
se gli
sarebbe piaciuto.
Chiuse
gli occhi, ripercorrendo con la mente la conversazione avuta due
ore prima.
“Il
tuo migliore amico, eravate
inseparabile. Si chiama Sasuke Uchiha”.
Sasuke. Il cuore di Naruto rimase
in silenzio per quelli che gli parvero secoli e l’improvvisa
assenza di respiro
gli rese impossibile articolare qualche suono. Rimase semplicemente in
silenzio
a guardare la fotografia.
“Ho
già sentito questo nome…”
sussurrò alla fine, non sapendo cosa dire e come spiegare.
Iruka fece un
sorriso nervoso, ma
non lo notò troppo impegnato a osservare la vecchia foto.
“Sicuramente
lo avrai sentito in
questi anni. Suo zio, Madara Uchiha, fa parte del consiglio
amministrativo
della regione. È un uomo politico molto influente, spesso
compare in
televisione”.
Naruto era
troppo incasinato con la
sua vita per preoccuparsi di politica, ma ogni tanto gli capitava di
sentirlo
alla televisione. Sì, poteva essere una spiegazione.
“Dov’è
adesso?” si stupì di come la
sua voce uscisse secca e monotona, quasi appartenesse ad un automa.
“Chi?”
“Sasuke
Uchiha” scandì
“Dov’è
adesso? È a Uzu?”
Iruka fece una
faccia imbarazzata.
“Non lo so” ammise “Finite le elementari
si trasferì qui a Konoha con tutta la
famiglia. Dovettero trasferirsi perché suo fratello era
gravemente ammalato e
nell’isola non abbiamo un ospedale sufficientemente
attrezzato, so che avevano
chiesto a un dottore famoso. Non so se sia tornato o se sia rimasto
qui, non ne
ho idea” ripeté “Poco dopo aver avuto la
vostra classe sono stato chiamato a
studiare all’estero”.
Annuì.
“Crede che ci sia un modo
per ritrovarlo? Mi piacerebbe conoscerlo”.
“Non
lo so, forse… forse nelle
pagine bianche potresti trovare qualcosa…”
“Cercherò”.
Iruka si
era trattenuto ancora per qualche ora, in cui aveva cambiato
argomento e gli aveva raccontato aneddoti della sua infanzia. Li aveva
ascoltati interessato, nella sua testa il mosaico che aveva cominciato
a
costruire con Sakura stava diventando un poco più chiaro,
anche se c’erano così
tante cose che continuava a non capire. Nonostante
l’interesse sincero, però
continuava a restare distratto da quel
pensiero. Lo stesso pensiero che lo stava sopraffacendo anche in quel
momento.
Conoscevo
già Sasuke?
Se lo
avesse scoperto i primi mesi sarebbe scoppiato di gioia,
l’idea che
Sasuke appartenesse al suo passato lo avrebbe reso felice come mai; ma
ora,
dopo otto mesi di silenzio, lo faceva solo infuriare. Perché
era stato in
silenzio? Perché aveva finto che fossero due sconosciuti?
Sapeva
che l’unica cosa sensata da fare era chiamare il ragazzo e
fargli
tutte quelle domande che lo opprimevano direttamente. Ma non poteva
farlo dopo
il modo in cui si erano lasciati con l’ultima chiamata, era
ancora troppo
arrabbiato con lui per essere obiettivo ed era sicuro che lo stesso
valesse per
Sasuke.
Però
non gli piaceva stare con le mani in mano.
Si
alzò e prese il computer, accendendolo. Fuori stava
scendendo la sera
e la stanza era avvolta dalla semioscurità, lo schermo
bianco era l’unica luce.
Digitò
Sasuke Uchiha su google
e scorse il console tra i risultati. Erano per lo più
indirizzi di facebook, ma
nessuno era quello che cercava, e subito gli veniva il suggerimento Madara Uchiha. Lo ignorò
scendendo
sempre di più con la pagina finché non
trovò qualcosa che potesse essergli
utile.
Era il
link di un vecchio articolo di giornale, probabilmente durante la
campagna elettorale, perché diceva: “Nonostante
i tanti impegni per le elezioni in arrivo, il ministro Madara Uchiha
riesce
comunque a trovare del tempo da passare con la famiglia”.
C’era una sua
foto, era in quello che pareva essere un lussuoso ristorante ed era
circondato
da altre persone simili a lui per lineamenti; tra di essi
c’erano anche due
bambini. Prese la sua foto con Sasuke Uchiha e le confrontò.
Non c’erano dubbi,
uno dei due bambini era la stessa persona della sua infanzia.
Lesse
velocemente la didascalia sotto la foto di giornale: Madara
Uchiha con il cugino Fugaku, la
cugina acquisita Mikoto Uchiha e i nipoti Itachi e Sasuke.
Naruto
deglutì, ricordando le parole di Iruka.
“Dovettero
trasferirsi perché suo fratello
era gravemente ammalato e nell’isola non abbiamo un ospedale
sufficientemente
attrezzato, so che avevano chiesto a un dottore famoso”.
Itachi,
era quello il nome del fratello ammalato. Da quello che aveva
scoperto lui, il suo Sasuke non
aveva
né fratelli, né sorelle, gli aveva chiaramente
fatto capire di essere figlio
unico con continue allusioni alla faccenda.
Scrisse
quel nome nella ricerca e vagò per ore fra i risultati
inconcludenti. Provò allora con Madara
Uchiha e questa volta la pagina caricò una miriade
infinita di risultati,
ma nessuno di essi era collegato alla sua vita privata.
C’erano al massimo
riferimenti a visite di parenti o articoli di gossip, ma niente che
portasse
ancora il nome di Sasuke Uchiha o ne facesse riferimento indiretto.
Corrugò
la fronte, il principio di un’emicrania gli stava facendo
pulsare
le tempie, ma continuò a tenere lo sguardo sul monitor
finché non trovò un
articolo che catturò la sua attenzione. Anche lì
non c’era nessun riferimento
all’altro Sasuke o a suo
fratello, ma
lo colpì lo stesso: la notizia riportava la vincita di una
causa giuridica di
Madara contro il dottore Orochimaru, che aveva dovuto pagargli una
multa
salatissima. Basta, non c’era nessun altra informazione,
nemmeno su cosa
trattasse la causa.
“Dovettero
trasferirsi perché suo
fratello era gravemente ammalato e nell’isola non abbiamo un
ospedale
sufficientemente attrezzato, so che avevano chiesto a un dottore
famoso”.
Un
dottore. Poteva trattarsi dello stesso?
Questa
volta mise il nome del dottore in internet e google, a differenza
delle precedenti ricerche, non fu avaro di informazioni.
Trovò perfino il suo
portfolio.
Kujira
Orochimaru,
dottore di psichiatria.
Spalancò
gli occhi, non più tanto sicuro che si trattasse del dottore
che
aveva curato Itachi Uchiha. O forse sì? Forse…
Si morse
il labbro con gli incisivi, scorrendo sul suo profilo ma non
trovò nessun riferimento a Itachi.
Era come se qualcuno avesse
voluto
cancellare dall’internet i nomi dei due fratelli Uchiha, con
l’unica eccezione
di quell’articolo, come se fosse stato dimenticato.
In
compenso trovò la struttura dove lavorava Orochimaru e un
numero per
contattarlo. Si ritrovò con il proprio telefono in mano e il
numero composto
prima ancora di rendersi pienamente conto di cosa stesse facendo. Fu
solo al
primo tuu che si accorse di non
avere
un piano, che cosa gli avrebbe detto? Non fece in tempo a trovare una
soluzione
che avvertì dall’altra parte una voce femminile
quasi meccanica.
“Salve,
studio psichiatrico
dell’Ospedale privato Oto, come posso esserle utile?”
“Salve,
sono Naruto Uzumaki” di certo presentarsi era una cosa
educata e
giusta “Sto cercando il dottor Orochimaru, vorrei
parlargli”.
“Buonasera signor Uzumaki”
salutò
“Intende che vuole prendere
appuntamento
per una consulenza con il dottore?”
“Ehm…
Qualcosa del genere”.
“È a conoscenza del costo di una
semplice visita di consulenza?”
“No”
ammise, sbiancò quando sentì il prezzo
“Sta scherzando?”
“Non c’è motivo di scherzare”
replicò spazientita la segretaria, forse si era appena resa
conto di star
parlando con uno sprovveduto.
“Non
potrebbe passarmelo a telefono, per favore?” sperò
“Devo solo fargli
una domanda”.
“Mi dispiace, il dottore non è
presente in studio a quest’ora”.
Naruto
lanciò uno sguardo all’orologio e
spalancò gli occhi nel costatare
quanto fosse tardi, era già un miracolo che avesse ricevuto
una risposta.
“Riferisca pure a me la domanda,
nel caso non riesca a rispondere la farò recapitare al
dottore”.
Tutto
sommato era gentile e paziente.
“Si
tratta di un suo paziente, vorrei…”
Lo
interruppe: “Le informazioni sui
pazienti sono materiale riservato, serve
un’autorizzazione”.
“Mi
basta sapere se questa persona sia stata un suo paziente o
meno”.
“Anche questo non posso riferirlo,
sarebbe violazione della privacy. Se non ha altre…”
“Si tratta di
Itachi Uchiha!”
gridò di getto, temendo che gli mettesse giù.
Seguì
un silenzio sorpreso ed esitante.
Bingo.
“Lei…”
mormorò poi la
segretaria guardinga “Lei
è un
giornalista?”
“No”
disse con il tono più sincero del suo repertorio.
“E allora perché cerca questa
informazione?”
Esitò
nel rispondere, ma non riuscì a trovare nessuna bugia
convincente,
perciò ammise sincero: “Un trauma mi ha causato
un’amnesia totale, non ricordo
niente della mia vita prima di svegliarmi da un coma quattro anni fa.
Oggi sono
venuto a sapere che Sasuke Uchiha era un mio amico
d’infanzia, abbiamo
frequentato le elementari a Uzu insieme. Sto cercando informazioni su
di lui,
ma non c’è… niente. Ho solo trovato il
nome di suo fratello e un suo possibile
collegamento con il dottor Orochimaru”.
Ci fu un
lungo silenzio e Naruto temette di non essere stato creduto, in
fondo non poteva biasimarla visto quanto era strana la sua storia.
“La
prego, le giuro che sono innocuo” decise di aggiungere
“Faccio il
libraio e fino a tre anni fa non sapevo nemmeno scrivere il mio nome,
si figuri
un articolo. Sto solo cercando di ritrovare un vecchio amico, di
ricostruire la
mia vita. Non c’è nessun altro motivo”.
Ci fu un
altro lunghissimo silenzio, stava quasi per perdere la speranza
quando finalmente sospirò rassegnata.
“Resti in linea”.
Naruto
attese altri interminabili minuti, mangiandosi la pellicina del
pollice. Era in ansia, cominciava a temere di essersi gettato in
qualcosa più
grande di lui, magari un affare mafioso.
O forse ho visto
troppi thriller.
Trattenne
il fiato quando la segretaria tornò alla sua chiamata.
“Il dottore ha acconsentito a un
appuntamento. Domani mattina alle nove e mezza, le raccomando la
puntualità”.
Gli
uscì uno sbuffo incredulo e si portò una mano fra
i capelli.
“Grazie,
sarò puntuale” disse, ma poi ripeté
perché non gli sembrava di
aver dimostrato quanto le fosse davvero grato: “Grazie,
è stata gentilissima,
non so come ringraziarla”.
“Dovere” rispose con un tono
addolcito la segretaria “Le auguro
una
buona serata, signor Uzumaki” lo salutò
più stancamente.
“Anche
a lei” ricambiò prima che mettesse giù.
Naruto
cominciò a muoversi nervoso e sovraccaricato per la casa in
penombra, si sentiva il corpo agitato come se avesse ingerito litri di
caffeina. Era certo di quello che stava facendo? Assolutamente no, ma
ormai ci
si era buttato impulsivo come suo solito ed era inutile ripensarci.
Cominciò
a immaginarsi l’ipotetica conversazione con il dottore, si
appuntò le domande da fargli, gesticolò con
l’aria mentre improvvisava il
dialogo e spiegava la sua situazione.
Senza
rendersene conto arrivò in cucina e vide sopra il piano,
vicino ai
microonde, ciò che restava del thailandese. Istantaneamente
ogni pensiero per
il giorno dopo venne spazzato via dalla delusione per Sasuke. Ormai
erano
passate ore dall’ultima volta che lo aveva sentito, da quando
gli aveva
malamente attaccato in faccia, ma il ragazzo non si era ancora fatto
sentire.
Non gli aveva mandato un messaggio e non aveva tentato di richiamarlo o
altro.
Naruto
non era abituato ai silenzi così lunghi, durante la giornata
lo
tempestava sempre di messaggi per sapere cosa stesse facendo, come
stesse o
semplicemente informarlo su pensieri random.
Cercava sempre di non essere troppo invadente, ma Sasuke non gli aveva
mai
chiesto di darci un taglio o almeno ridimensionare la cosa, quindi non
pensava
ne fosse infastidito.
Era da
quando si erano messi insieme che non stavano un intero pomeriggio
senza sentirsi.
Guardò
il telefono titubante, chiedendosi se fosse ora di rompere quel
silenzio. Poi si ricordò che era sempre lui a cercarlo, a
ogni discussione era
sempre lui ad abbandonare le armi per primo e ad offrire una richieste
di pace;
lui che metteva da parte l’orgoglio e si scusava, lui che
cedeva sempre per
primo.
Non questa volta.
Appoggiò
il telefono sulla mensola, poi cambiò idea e decise di
spegnerlo
direttamente per non cedere alla nostalgia. Per una volta doveva essere
Sasuke
a scusarsi, a dimostrare che ci teneva alla loro relazione.
E se non lo
facesse?
Scivolò
sul pavimento, abbracciandosi le ginocchia al petto. In quei
quattro anni non era stato difficile solo imparare a relazionarsi con
il mondo
esterno, ma soprattutto con il suo interno. Ogni emozione che provava
gli
sembrava qualcosa di incredibile, che non capiva pienamente, qualcosa
di
inconoscibile. Era stata Sakura a insegnagli i nomi di quelle
sensazione, a
spiegargli cosa fossero, perché nascessero e come gestirle.
Gli aveva detto che
ci sono gradi d’intensità diversi, che a volte
possono essere effimere come la
vita una farfalla, altre volte così potenti da portare alla
pazzia, se non la
morte. In tre anni aveva sperimentato sulla propria pelle quelle
emozioni,
imparando a riconoscerle e a trattarle nel giusto modo, ma non aveva
mai
compreso come qualcosa di così poco concreto, di invisibile
e inconsistente
come l’aria, potesse arrivare a uccidere.
Poi…
be’, poi aveva conosciuto Sasuke ed era cambiato tutto.
Ogni
volta che credeva di aver imparato a gestire la gradazione
più alta,
una nuova ondata di emozioni e sentimenti lo investiva come una tsunami
e lui
si ritrovava ad affogare impotente fra le correnti. Emozioni del genere
non si
potevano semplicemente gestire, erano troppo potenti e forti, anche se
non
avevano un corpo con cui schiacciarlo fisicamente.
I
sentimenti erano qualcosa di distruttivo e, come capì
raggomitolato a
terra con gli occhi pieni di lacrime, a volte poteva esserlo al punto
di
arrivare ad ucciderti.
**
La sala
d’aspetto era gradevole, dai colori caldi e con quadri dalle
vedute rilassanti,
fatta così proprio perché mettesse a proprio agio
i pazienti in attesa. Uscendo
dal proprio studio, Sakura si era aspettata di trovarla vuota dal
momento che
per quella mattina non erano previsti altri appuntamenti e nel
pomeriggio non
sarebbe stata di turno, ma fu spiazzata nel trovare un posto occupato.
La sorpresa
venne cancellata quando l’uomo si alzò e le tese
una mano, presentandosi in
modo garbato.
“Sono
Iruka
Umino, ieri ci siamo sentiti per e-mail” aveva una voce calda
e gentile che ben
si agglomerava all’ambiente circostante “Le avevo
chiesto un appuntamento per
poter parlare riguardo…”
“Naruto”
completò per lui visto che aveva esitato sul finale,
ricambiò la stretta della
sua mano con una altrettanto salda “Piacere di conoscerla,
sono felice che sia
qui. Sono la dottoressa Haruno, Sakura Haruno”.
Iruka la
guardò attentamente e quella che ricevette fu una chiara
occhiata di
apprezzamento perciò, onde evitare futuri fraintendimenti,
si spostò una ciocca
di capelli dal volto e nel farlo mostrò casualmente la fede
infilata all’anulare.
“Il
mio turno
è finito, stavo per andare a casa. Ma se vuole possiamo
fermarci un poco al bar
al piano di sotto, così l’aggiorno un poco sulla
situazione e su come stia
Naruto”.
“Diamoci
pure del tu, Sakura” disse, poi annuì
“Sì, molto volentieri”.
Mentre
raggiungevano il bar Iruka si scusò per non aver potuto
rispondere prima alla
sua e-mail e le spiegò che era stato all’estero
negli ultimi anni, quindi si
scusò ancora nonostante Sakura lo rassicurasse.
“Organizzerò
al più presto un incontro con Naruto, sarà
ansioso di vederlo dopo tutto questo
tempo” disse alla fine, quando presero posto e lei aveva un
confortevole
cappuccino tra le mani.
“Veramente
l’ho già incontrato, ieri”.
Crack. Sakura fu
quasi certa di aver
rotto la tazzina di caffè visto quanto aveva stretto la
presa.
“Cosa?!”
esalò incredula, gli occhi spalancati “In che
senso vi siete già incontrati?”
Iruka
fece
una faccia imbarazzata, forse rendendosi conto che la sua
improvvisazione non
era stata particolarmente gradita.
“Non
dovevo? Sono andato a casa sua e abbiamo parlato”.
Si
massaggiò la fronte, strofinando il pollice sulla voglia
violacea al centro.
“Come
ha
reagito quando ti ha visto?”
“Bene”
esitò “Mi ha offerto il tè”.
“Bene”
ripeté sarcastica, sul punto di sbottare e perdere le
staffe. Era una cosa che
le succedeva spesso quando non palava con i propri pazienti. Secondo
suo marito
era un effetto collaterale della sua infinita pazienza a lavoro.
“Ti
rendi
conto di cosa avresti potuto causargli? Poteva finire sotto
shock!” prese fiato
“La situazione di Naruto è delicatissima, bisogna
stare attenti e ogni
interfaccio con il suo passato deve essere bilanciato correttamente
perché non
sappiamo come potrebbe reagire!”
“Mi
dispiace” mormorò Iruka sinceramente pentito
“Non immaginavo minimamente una
cosa del genere”.
“L’amnesia
di Naruto è totale, in quattro anni non è
praticamente migliorato. Ha solo
recuperato un frammento. Vedersi sbattuto in faccia il proprio passato
potrebbe
romperlo dentro” lo
guardò dritto in
volto con i suoi determinati occhi verdi “Ora voglio che tu
mi dica tutto
quello che è successo nel vostro incontro, voglio sapere
ogni sua reazione e… tutto,
non devi tralasciare niente”.
Iruka si
prodigò per accontentarla il più possibile,
tentò di essere sia conciso che
esauriente e di portare alla memoria tutti i dettagli di quel breve
incontro.
Sakura ascoltava vigile, gli occhi intelligenti che lo scrutavano
così fissi da
metterlo quasi in soggezione. Sembrava molto più giovane di
lui, ma la sua
figura emanava una tale forza e autorità da farlo sentire
sotto esame.
Una
parte
del resoconto colpì immediatamente Sakura, che lo interruppe.
“Sasuke
hai
detto?”
Annuì
e la
dottoressa cadde in un piccolo silenzio meditativo.
“E
Naruto
come ha reagito?”
“Effettivamente,
ora che ci penso… sembrava un po’
frastornato” ammise “Ma non ha detto niente e
ha continuato a sfogliare le foto”.
Sakura
tamburellò le dita preoccupata. “Sasuke
è anche il nome del suo attuale
ragazzo” rivelò.
Iruka ci
mise un poco a registrare l’informazione.
“Oh”
commentò preso contropiede “Non immaginavo avesse
un… un ragazzo. Cioè, per me
non fa nessuna differenza, non discrimino”.
“Questo
rende le cose molto più semplici, Naruto è molto
innamorato del suo ragazzo”
fece una pausa meditabonda “Mi viene naturale chiedermi se
sia davvero una
coincidenza, magari inconsciamente ha riconosciuto qualcosa del suo
passato in
Sasuke, il suo nome, e questo lo abbia portato a
legarsi…” scosse la testa “Dovrei
consultare i miei libri per questo. Naruto da piccolo era molto legato
a questo
Sasuke?”
“Era
il suo
migliore amico” ripeté, poi parve ripensarci
“Era il suo unico
amico”.
Inarcò
una
sopracciglia scettica. “Unico amico? Non è un
po’ esagerata come…”
Non
conosceva il Naruto del passato, era vero, però conosceva il
Naruto di adesso,
spontaneo e ottimista, che con la sua allegria e i suoi sorrisi era
riuscito ad
acchiapparsi l’affetto di tutto il reparto. Anche alla
libreria aveva fatto
amicizia con i suoi colleghi e in generale riusciva a creare legami
ovunque
andasse.
“Era
un
bambino molto solo” confermò invece Iruka,
improvvisamente sembrava nervoso “A
parte Sasuke, non aveva amici. Anche gli adulti lo evitavano”.
“Ma
perché?”
“Era
speciale e diverso. Nell’isola la diversità non
è mai stata ben accettata. Per
questo Naruto era solo e per questo lo era anche Sasuke”.
Sakura
odiava il tergiversare e si rendeva perfettamente conto che Iruka stava
cercando di nasconderle qualcosa.
“Anche
Sasuke era speciale come
Naruto?”
domandò pacata.
“Non
allo
stesso modo” la sua riluttanza nel parlarne era evidente
“Ma Sasuke era figlio
di un importante politico, la sua famiglia ci teneva alla privacy e
faceva di
tutto per tenerlo isolato. Anche lui era solo, non aveva
amici”.
Annuì,
comprensiva.
“Naruto
lo
aveva considerato un’anima sé affine”
riprese il discorso Iruka “E per questo
era riuscito a superare tutte le barriere che la famiglia aveva messo
intorno a
Sasuke e, allo stesso modo, Sasuke era l’unico che
comprendeva le stranezze di
Naruto e le accettava. Erano inseparabili, almeno finché
Sasuke non lasciò
l’isola”.
Sakura
era
silenziosa e valutava quelle nuove informazioni, ma poi scosse la testa.
“Ho
come la
sensazione che tu non voglia dirmi quale sia questa
stranezza” dalla faccia
colpevole di Iruka capì di aver indovinato “Devi
dirmelo, non possiamo dare il
nostro massimo se non abbiamo tutte le informazioni, lo capisci
vero?”
“Sì,
ma…”
si passò una mano sul viso “Naruto non era pazzo,
aveva solo troppa
immaginazione e la gente non lo capiva”.
Quel
preambolo la mise un poco in ansia. “Cosa intende?”
Lo
sguardo
di Iruka era mortalmente serio quando parlò.
**
Per
qualche
motivo era subito chiaro alla vista che quello che Naruto stava
attraversando
non era un ospedale pubblico, ma un privato. Un ospedale privato per
ricconi, o
almeno lo testimoniavano le lussuose autovetture ferme
nell’ampio parcheggio.
Naruto ci era arrivato con i mezzi pubblici.
Allo
stesso
modo con i capelli sconvolti perché si era svegliato troppo
tardi per avere il
tempo di pettinarli, una felpa arancione che a ben notare aveva una
manica
macchiata di dentifricio e i bermuda verdi da spiaggia era decisamente
fuori
luogo. Meno male aveva optato per le converse che per le iniziali
infradito.
Mancava
pochissimo alla mezz’ora e lui non aveva ancora trovato lo
studio del dottor
Orochimaru, a dirla tutta non aveva la più pallida idea di
dove si trovasse.
Chiese
aiuto a delle infermiere che trovò per i corridoio e bene o
male trovò la
strada, anche se così si guadagnò molte occhiate
scettiche e cariche di
rimprovero.
Si
fermò
davanti alla signorina seduta dietro una scrivania moderna.
“Ehm,
io…”
iniziò chiedendosi come presentarsi, ma non ce ne fu
bisogno, perché la
segretaria lo bloccò.
“Il
signor
Uzumaki?” al suo annuire gettò
un’occhiata all’orologio e fece un mezzo sorriso
soddisfatto, erano le nove e ventinove “Entrate pure, il
dottore vi aspetta”.
La
ringraziò, chiedendosi se fosse la stessa che gli aveva
risposto al telefono, e
attraversò la porta alle sue spalle.
Lo
studio
gli trasmise subito un senso di freddezza, con le pareti bianche
spoglie,
decorate solo da fotografia in bianco e nero. Una lucida scrivania in
legno
chiaro era addossata sotto un’ampia finestra, ma le tende
tirate permettevano
alla luce di entrare solo in maniera soffusa e per questa la lampada
nera sul
piano era accesa.
“Signor
Uzumaki?” domandò l’uomo seduto dietro
la scrivania.
Con un
brivido Naruto pensò a quanto assomigliasse a un serpente,
con brillanti occhi
gialli, il volto pallido un poco schiacciato e lucidi capelli neri
sciolti sul
camice. Aveva lineamenti eleganti, quasi effeminanti, ma
c’era un modo in cui
sorrideva calcolatore che lo rendeva letale.
“Salve,
scusi il disturbo e il poco preavviso, io…”
iniziò a gesticolare affrettato,
già dimentico del discorso che si era preparato e ripassato
nella mente.
“Si
sieda”
lo interruppe Orochimaru. Proprio come la stanza, anche la sua voce era
fredda
e asettica.
Fece
quanto
ordinato e si sedette su una delle sedie davanti alla scrivania lucida,
rimase
con le mani in grembo in silenzio, non sapendo più come
riprendere la parola.
Si sentiva in soggezione sotto quello sguardo giallo.
Fu il
dottore a interrompere per primo quel silenzio.
“Non
mentiva, lei non è un giornalista”
costatò.
Si
grattò
la guancia nervosa. “No, non lo sono”
confermò “È solo una questione
personale,
l’ho detto alla sua assistente”.
“Amnesia
totale” Orochimaru lo guardava affascinato “Da
quanto?”
“Quattro
anni” rispose.
“Nessun
ricordo? Nemmeno frammenti?”
“Solo
uno”
borbottò con l’orribile sensazione di esporre la
carne nuda a un predatore
“Senta, non mi va… Sono qui solo per sapere
qualcosa di più su Sasuke Uchiha” e
gli spiegò brevemente della foto che lo ritraeva a Uzu con
l’altro Sasuke e
delle ricerche inconcludenti che aveva fatto.
Orochimaru
lo interruppe ridendo. “Non troverà nulla di
quella famiglia, Madara Uchiha è
stato ben attento a cancellare ogni cosa su di loro. Nemmeno io so come
sia
finita quella storia”.
Naruto
stava sudando e si pentì di essersi messo una felpa, era
certo che sotto le
ascelle si fossero formati aloni scuri.
“Che
storia? Itachi era un malato di mente?” si accorse di aver
formulato malissimo
la domanda e cercò di rimediare “Ecco,
intendevo…”
“Intendevi
benissimo” lo interruppe ancora divertito e disgustato
insieme “Quella famiglia
è composta solamente da malati mentali, ma Itachi lo era
anche clinicamente”.
“Lei
era il
suo dottore? Non l’ha curato? Per questo Madara Uchiha lo ha
fatto multare?”
“Itachi
era
una psicopatico, un abilissimo manipolatore” lo interruppe
palesemente
disgustato “È riuscito a ingannare tutti, non solo
me. Perfino lo stesso
Madara”.
Non ci
stava capendo gran che, gli sembravano solo informazioni confuse.
“Potrebbe
essere più chiaro?”
“Sa
cos’è
uno psicopatico, signor Uzumaki?”
“Uhm,
a
grandi linee” borbottò ripensando ai film che
aveva visto insieme ai suoi amici
“È uno che non prova empatia o rimorso per la
propria aggressività?”
“A
grandi
linee” confermò “Ma non è
questa la cosa importante, la cosa importante è che
avere un nipote con una tale disturbo mentale per Madara Uchiha era una
cattiva
pubblicità, giusto?”
“Giusto”
esitò nel dirlo, non sapendo dove voleva andare a parare.
“All’inizio
provò semplicemente a tenerlo nascosto, a isolarlo
esiliandolo in un’isola
sperduta dell’oceano” continuò Orochimaru
con quel sorriso strisciante, che gli faceva accapponare
la pelle “E poi
provò a curarlo, rivolgendosi al sottoscritto, ma nemmeno
quello funzionò e
allora semplicemente cancellò l’intera famiglia
dalla memoria di tutti”.
“Li
ha
uccisi?” raggelò.
Ricevette
un’occhiata sconvolto. “Per Dio, assolutamente no.
Intendo che fece in modo che
nessuno potesse avere loro notizie. Tu sei incappato proprio nel
risultato di
questa decisione. Per il mondo, Itachi, suo fratello e la sua famiglia
sono
alla stessa stregua di fantasmi”.
“Ma
non era
rischioso farle causa?” domandò confuso
“Voglio dire, è comunque una notizia, sono
arrivato fino a qui grazie quell’unico indizio”.
Orochimaru
scrollò le spalle. “Non fu nulla di eclatante.
Nemmeno l’ospedale voleva
cattiva pubblicità, quindi si trovò un accordo
che non raggiunse per nulla
l’interesse dell’informazione pubblica”.
Naruto
non
sembrava molto convinto.
“Se
su
questa famiglia vige il segreto, perché me ne sta
parlando?”
E il
dottore fece un sorriso enorme, orribile e deforme su quel viso
serpentino.
“Madara
Uchiha è un pezzo di merda” disse maligno
“Mi è stato proibito dai miei
superiori di parlarne con giornalisti, ma lei non lo è, dico
bene?”
Annuì
a
disagio.
“Be’,
ma se
anche lo fosse, sarei solo felice di vederlo al centro di uno
scandalo”.
“Sa
cos’è
successo ora a Itachi e la sua famiglia, dove si trovino?”
“Se
non sbaglio,
Madara li ha impacchettati e rispediti a Uzu”
meditò Orochimaru “Ma sono
passati così tanti anni, chissà se nel frattempo
non è riuscito a spedirli in
un paese del terzo mondo”.
Naruto
aveva i brividi nonostante il caldo soffocante e il modo in cui ne
parlava il
dottore non gli piaceva nemmeno un po’, gli faceva solo
venire voglia di
vomitare. Voleva andarsene da lì, specialmente ora che aveva
ottenuto le sue
risposte.
“La
ringrazio per la disponibilità” disse.
“Dovrei
dirle di non divulgare queste informazioni private, ma…
be’, se decidesse di
andare da qualche giornalista a venderle le darei la mia
benedizione” gli
rivolse un’altra occhiata attenta
“Un’amnesia totale da quattro anni, nessun
miglioramento”.
“No”
confermò neutro, non gli piaceva per nulla la nuova piega della
conversazione.
“Potrebbe
valutare l’ipotesi di rivolgersi al nostro centro”.
“Io
mi…
Sono a posto così” balbettò non sapendo
trovare un modo educato per rifiutare
“Mi trovo bene al pubblico”.
Orochimaru
rivolse uno sguardo attento al suo vestiario, poi piegò le
sopracciglia in una
piega indispettita. Fortunatamente non aggiunse niente e si
limitò ad
accompagnarlo alla porta.
“Oh,
dimenticavo” disse con quel finto tono sbadato che si fa
quando solo si finge
di aver scordato qualcosa “Itachi è morto e, se
non hanno mentito anche su
questo, è stato il fratellino a ucciderlo” fece un
sorriso cordiale
“Arrivederci, le auguro buona fortuna con la sua
amnesia”.
**
Naruto
passò il resto della giornata come un automa. Nemmeno si
rese conto di essere
arrivato alla libreria, di aver lavorato e risposto alle domande dei
clienti.
Capì che il tempo era passato, che ormai era sera e non si
trovava più nell’ufficio
del dottor Orochimaru, quando lo
vide
seduto per terra sul pianerottolo, davanti alla porta del suo
appartamento.
Sasuke.
Il suo Sasuke.
Sasuke
che
aveva alzato lo sguardo su di lui non appena lo aveva sentito arrivare.
Aveva i
capelli spettinati e gli occhi erano circondati da occhiaie, non lo
aveva mai
visto così stanco e con uno sguardo così
preoccupato.
“Sasuke”
riuscì solo a dire turbato “Che cosa ci fai
qui?”
Il suo
ragazzo si alzò da terra. “Non rispondevi ai miei
messaggi, alle chiamate… Non
sapevo che altro fare”.
“Io…
ho il
telefono scarico” mentì, ricordando che non lo
aveva più riacceso dalla sera
prima. Era ancora arrabbiato con lui, ma aveva un’aria
così fragile in quel
momento, come se non avesse dormito per tutta la notte.
Mi ha cercato.
È venuto fino qui. Ci tiene a me.
Sasuke
lo
guardò dritto in volto, come se cercasse qualche indizio.
“Sei
ancora
arrabbiato con me?” domandò alla fine, lo vide
esitare, come se avesse paura a
porre la domanda successiva “Mi vuoi lasciare?”
Ebbe lo
stesso effetto di un pugno allo stomaco.
“No”
disse
veemente “Sono ancora arrabbiato, ma… ti amo, non
riuscirei mai a lasciarti”.
Sasuke
annuì, palesemente sollevato da quella dichiarazione.
“Ti
amo
anch’io, mi dispiace di essere così incasinato. E
l’università mi sta facendo
uscire pazzo, è come se risucchiasse tutte le mie
energie” appoggiò la testa al
muro alle sue spalle, prendendo un lungo respiro “Sono
esausto”.
Naruto
non
riuscì più a tenere il punto sulla faccenda,
quella confessione fu il via
libera e sentì la rabbia svaporare completamente. Gli
passò una mano attorno
alle spalle e se lo tirò contro e Sasuke, per tutta
risposta, gli conficcò il
naso sulla giugulare, inspirando il suo odore.
“Puzzo
di
sudore” gli fece notare imbarazzato, perché stava
indossando la stessa felpa
della mattina.
“Un
pochino” confermò con voce sommessa contro la sua
pelle “Ma non importa, anzi
profumi”.
“Come
no”ridacchiò “E di cosa?” ansia e
inquietudine, probabilmente.
“Casa”.
E ogni
sentimento negativo che aveva provato, tutta lo smarrimento, la
delusione e la
confusione evaporarono davanti a quella semplice parolina.
Ricambiò l’abbraccio
con forza, annusando a sua volta l’odore salmastro incastrato
fra i ciuffi
corvini, quel giorno più forte del solito. Fu
così sollevato di risentirlo,
dopo solo due giorni in cui non si erano visti o sentiti, che si rese
conto di come
la sua fosse una dipendenza bella e buona. E dal modo in cui ricambiava
Sasuke,
lo stesso sembrava valere per lui.
Ma non
gli
importava, non gli importava più nemmeno il motivo per cui
aveva litigato inizialmente
con lui. Sasuke era incasinato, ma anche Naruto alla fine dei conti lo
era.
Erano entrambi due incasinati, potevano esserlo insieme.
Cercare
di
rubargli un bacio gli sembrò la cosa più naturale
del mondo. Si baciarono a
lungo, ma gli parve comunque pochissimo. Era decisamente assuefatto dal
suo
odore, dalle sue labbra.
Voleva
riprendere a baciarlo e sbatterlo contro il muro, ma con la coda
nell’occhio
vide la dirimpettaia uscire sul pianerottolo. La vecchietta
lanciò loro uno
sguardo sbigottito e sospettoso, poi se ne andò velocemente
borbottando
qualcosa contro i giovani d’oggi.
“Dovremmo
entrare” mormorò Naruto temendo che qualche altro
vicino potesse uscire e
vederlo. Non era riservato quanto Sasuke, ma non gli andava a genio
l’idea di
dare spettacolo.
“No”
borbottò, dispotico
come al solito,
aumentando la presa su di lui come se fosse un pupazzo “Sto
bene così”.
Non ci
fece
nemmeno caso, non con Sasuke così arrendevole tra il suo
petto e il muro,
soprattutto perché il ragazzo lo stava distraendo con
soffici bacetti sul
collo.
“Se
non la
pianti ti prendo qui in mezzo alle scale e la signora Terumi
vedrà tutta la
scena” lo minacciò serenamente, guadagnandosi una
mezza risata.
Sentì
le
sue mani scivolare sui suoi glutei e stringerli, per poi inserire le
dita
dentro la tasca posteriore.
“Sarebbe
una scena interessante” considerò, ma poi
sfilò le chiavi dalla tasca e le fece
tintinnare accanto al suo orecchio “Ma forse è il
caso di lasciar perdere”.
“È
il caso”
confermò placido afferrando le chiavi e le infilò
nella toppa.
Non fu
mai
così felice di sentire la porta chiudersi dietro di
sé, ma forse il bacio
appassionato con cui Sasuke lo aggredì aiutò.
Alla
fine si era fatta l’ora di cena senza che se ne rendessero
conto e
allora l’unica soluzione era stata chiamare
l’asporto, visto che nessuno dei
due aveva la forza di alzarsi dal letto per cucinare. I vestiti erano
sparsi
per la casa, dalla porta al letto, e Naruto seguì quel
bizzarro filo d’Arianna
per cercare il proprio telefono nella tasca dei pantaloni.
Finalmente
lo accese e, proprio come aveva detto Sasuke, si trovò
sommerso da chiamate perse provenienti dal suo numero. C’era
anche una chiamata
di Sakura.
Si
chiese cosa volesse e se fosse il caso di richiamarla, ma decise di
aspettare il giorno dopo che ormai era troppo tardi.
Chiamò
la pizzeria e litigò un poco con l’uomo
dall’altra parte – perché
non potete fare la pizza con il
ramen, dattebayo? – finché non
sentì Sasuke muoversi per la sua stanza.
Con un
brivido si ricordò che non sapeva dove avesse messo la foto
datagli da Iruka e appena mise giù schizzò in
camera, per controllare cosa
stesse facendo.
“Ehi,
prepariamo la tavola?” domandò precipitoso,
appoggiandosi allo
stipite con fare casuale.
Sasuke
gli lanciò un’occhiata perplessa, forse il suo
arrivo non era
sembrato poi tanto casuale.
“Arrivo”
disse rimettendo giù un libro che aveva iniziato a sfogliare.
“Senti,
Sasuke…” iniziò esitante “Tu
hai un fratello?”
Con
quella domanda catturò la sua attenzione.
“No,
sono figlio unico. Non te lo avevo detto?”
Si
grattò la guancia imbarazzato. “Lo avevi
accennato, ma non ne ero
sicuro”.
Fece una
smorfia amara. “È già tanto che i miei
genitori siano riusciti a
fare me, non credo ci sia stato il tempo per un altro
pargolo”.
Sasuke
aveva sempre quella piega corrucciata quando parlava della sua
famiglia, sembrava sempre più vecchio e stanco quando lo
faceva. Si pentì di
aver posto quella domanda e lo afferrò per i fianchi,
portandoselo davanti e
scoccandogli un bacio sulla fronte.
Prevedibilmente
ricevette un’occhiata divertita. “Non devo essere
consolato, dobe” gli fece presente, ma non si
divincolò dalla sua stretta.
“Scusa,
mi piacerebbe sapere molto di più sulla tua infanzia, ma non
vorrei che parlarne per te sia…” non sapeva quale
fosse la parola adatta.
“Se
non ne parlo è perché non è
importante” gli disse neutro, ma vedendo
che non lo aveva convinto roteò gli occhi “Togliti
qualsiasi immagine di
violenza minorile tu ti stia facendo, imbranato. È solo la
storia di un bambino
lagnoso che dava il massimo per farsi notare dai genitori che non lo
degnavano
di un briciolo di attenzione, deprimente vero?”
Fece un
verso disimpegnato. “Non mi stavo facendo nessuna immagine di
violenza minorile” precisò.
Ricevette
uno sguardo divertito.
“Sei
sempre vissuto qui a Konoha?” chiese ancora.
“No,
a volte mi portavano con loro nei viaggi. Finché non sono
cresciuto
abbastanza da cavarmela da solo”.
“E
gli amici a scuola?”
Si
accigliò. “Non ne avevo. Non sono mai stato un
tipo socievole. Perché
mi fai tutte queste domande?”
“Curiosità”
celiò, ma non pareva affatto convinto. Sospirò,
perché non
gli piaceva giocare quella carta. “Vorrei sapere la tua
infanzia, visto che non
posso ricordare la mia”.
Sasuke
di adombrò e sciolse l’abbraccio, ma non si
allontanò perché gli
prese la mano e la strinse forte.
“Su
questo ti invidio, lo sai?” confessò a bassa voce
“Anche io vorrei
dimenticarla”.
Ritrasse
la mano di scatto, come se fosse stato scottato da quella presa.
“Non
dire certe cose” borbottò “Non avere
ricordi… è una cosa che non
augurerei a nessuno”.
“Ma
così si ha la possibilità di ricominciare,
no?” inarcò un
sopracciglio “Nella tua vecchia vita avresti potuto aver
fatto o detto
qualsiasi cosa, ma ora non avrebbe più importanza”.
Naruto
fece un passo indietro e si stupì per primo nel farlo, ma
alla
luce delle nuove rivelazioni quelle confessioni lo turbavano. Sasuke
era lì
davanti a lui e fino a cinque minuti erano stretti a baciarsi, a fare
l’amore,
a fondersi l’uno con l’altro, eppure non lo aveva
mai sentito così distante.
“Sai…”
iniziò cauto “Quando parli in questo modo mi fai
pensare che noi
due ci conoscessimo già… che ti conoscessi prima
di perdere la memoria”.
Vide
Sasuke irrigidirsi impercettibilmente, incrociò le braccia
al petto
e gli rivolse un sorriso triste.
“Se
ti avessi avuto al mio fianco decisamente non vorrei
dimenticare” gli
disse piuttosto fiaccamente “Vorrei tantissimo averti trovato
prima, fidati”.
Sembrava
sincero, ma non sapeva se fidarsi. Una parte di lui voleva
tirare fuori la foto e sbattergliela in faccia, pretendere una
spiegazione su
quella somiglianza innegabile.
“Me
lo diresti, vero?” domandò.
“Cosa?”
“Che
ci conoscevamo già. Non avresti motivo per non farlo,
vero?”
Sasuke
ora lo guardava accigliato, visibilmente preoccupato.
“Naruto, è
successo qualcosa?” fece un passo verso di lui e Naruto
dovette mordersi le
labbra per non arretrare a sua volta. Ma Sasuke se ne accorse e per un
secondo
accennò un’espressione ferita. Sparì
subito e continuò: “Dimmi cosa
c’è, sono
qui”.
Per un
momento pensò che gli avrebbe gridato contro, che gli
avrebbe
detto della visita di Iruka, della fotografia e del racconto di
Orochimaru.
Ah, dimenticavo:
Itachi è morto e,
se non hanno mentito anche su questo, è stato il fratellino
a ucciderlo.
Si
sentì investire dalla nausea, non era molto certo di volerlo
sapere. Era
come se una parte di lui lo supplicasse di tacere, di non continuate. E
di
scappare lontano, anche se non capiva perché.
“Non
c’è niente” mentì.
Sasuke
fece per ribattere, ma il campanello trillò
nell’aria spezzando
l’aria tesa che si era creata.
“Oh,
la pizza! È già arrivata”
considerò Naruto, felice di trovare una
scappatoia “Vado ad aprire, tu metti la tovaglia per
favore”.
Gli
diede le spalle, andando all’entrata e per questo non vide
Sasuke
sospirare stanco, girarsi verso la mensola e prendere un libro
apparentemente a
caso. Apparentemente,
perché quando
lo aprì senza nessuna esitazione fece scivolare fuori la
fotografia di Naruto
bambino e la nascose in tasca.
Note:
1.
Nome del
doppiatore di Orochimaru, l’ho usato come suo primo nome.
La
canzone
che dà titolo al capito qui
Scommetto
che non mi aspettavate così
presto, ma devo seguire l’onda dell’hype
finché c’è e provare a finirla il
prima possibile. Del resto, il
prossimo è già l’ultimo e avremo tutte
le risposte
finali.
Qualche
supposizione? Ora ci sono
più informazioni da
vagliare c:
Vi ringrazio per il calore con cui avete
accolto quest’idea, mi avete
dato un’energia assurda
<3 un
bacio!
Hatta
|
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Capitolo 3 *** All who sail off the coast ever more Will remember the tale of the ghost on the shore ***
Buon
halloween!
Lo so,
sono in un ritardo disastroso
e sono stata una bruttissima persona ad abbandonarvi così,
per tutto questo
tempo. Ma cosa posso dire, dall’ultimo aggiornamento
è successa la sessione di
settembre, è successa l’università, un
trasloco e vengo da un’altra sessione.
Già, sono stata un poco impegnata xD Mi sono concentrata su
Nihonshoki, che è
la storia su cui sto investendo la maggior parte delle mie energie, e
una
storia-cazzeggio random. Però questo breve racconto dovevo
finirlo, quindi sono
qui. In realtà lo avevo concluso un po’ di tempo
fa, ma visto che è un
light-horror ho deciso di aspettare Halloween. Ed eccomi qui :D
Spero
che l’attesa sia valsa la pena,
vi ringrazio per la pazienza e la disponibilità a leggerlo.
Recensioni sono
sempre ben gradite ^^
Buona
lettura.
III
All who sail off the coast ever more
Will
remember the tale of the ghost on the shore
Quando
Naruto
si svegliò la mattina dopo trovò
l’altra metà del letto vuota, fredda, e anche
il resto della casa privo della presenza di Sasuke. Non ne fu
né deluso né
sorpreso, era una situazione a cui era abituato fin da quando erano
stati
insieme la prima notte; dire che la cosa lo lasciava indifferente era
una bugia
– per una volta gli sarebbe piaciuto svegliarsi e trovarlo
ancora lì, pronto a
qualche coccola mattutina – ma la delusione veniva smorzata
sempre da piccoli
gesti che l’altro si lasciava dietro, come un cornetto, un
bigliettino o un
pomodoro. Anche quella mattina andando in cucina trovò un
bicchiere di
centrifuga alla frutta e un piccolo muffin.
Li
consumò
sedendosi sul ripiano della cucina, scorrendo con sguardo assente le
storie di
instagram dei suoi contatti – non molti in realtà.
Si era fatto instagram
spinto da Ino, ma non ne trovava una grandissima utilità.
Sasuke non aveva nemmeno
un social, che fosse instagram, facebook o twitter; li evitava come la
peste.
Ha
senso, se suo zio vuole far cancellare le sue tracce.
Si
bloccò nel
momento esatto in cui formulò quel pensiero. Inconsciamente
aveva cominciato a
dare per scontato che il suo Sasuke
e
l’altro Sasuke fossero la
stessa
persona, anche se la sera prima il suo ragazzo gli aveva detto di non
averlo
conosciuto prima dell’incidente.
Ha
mentito per proteggermi.
Aveva
maledettamente senso. Suo zio era un pazzo maniaco del controllo, stava
tenendo
nascosta l’esistenza dei suoi familiari solo per una
maledetta carriera
politica e Sasuke era uscito dal buio solo per lui. Per stare
con lui.
Suo
zio
approvava? Sicuramente no, soprattutto perché era una
relazione omosessuale.
Quindi tutta quella segretezza era mirata sia dal non allarmare Madara
Uchiha,
sia per continuare a restare nascosto come voleva lo zio.
Ah,
dimenticavo: Itachi è morto e, se non hanno mentito anche
su questo, è stato il fratellino a ucciderlo.
Perse
la presa
sul bicchiere con la centrifuga e quello si schiantò
inevitabilmente a terra,
frantumandosi in migliaia di schegge. Naruto le guardò
imbambolato, così tante
emozioni contrastanti ad agitarlo da non riuscire a districarle tra
loro.
No,
Sasuke non è un assassino. Il mio Sasuke non riuscirebbe a uccidere qualcuno,
soprattutto suo fratello, anche se fosse un pazzo.
Il
suo Sasuke
gli preparava la colazione prima di andare via, gli regalava fiori e
libri,
dava da mangiare ai gatti randagi e buttava sempre la spazzatura degli
altri
che trovava per terra in cestino. Un assassino non faceva azioni del
genere con
una tale naturalezza.
Non
sono la stessa persona, no,
decise con
forza. Scese con attenzione dal ripiano per evitare i pezzi di vetro e
prese
uno scopino per spazzare il disastro combinato. Poi andò in
bagno a prepararsi
per il turno alla libreria. Dimenticò il telefono in cucina
anche quando uscì
dalla casa, in ritardo come al solito.
Così
non vide
nessuna delle chiamate di Sakura.
**
Alla
libreria
erano arrivati tantissimi scatoloni con i libri nuovi, Naruto
passò tutta la
mattina e trasportarli in giro per gli scaffali sbuffando per la
fatica, mentre
Ino se ne stava comodamente davanti al computer a catalogarli.
Shikamaru invece
era andato a nascondersi da qualche parte, così il lavoro
pesante toccava tutto
a lui.
Non
è giusto, ‘bayo!
“Naruto!”
lo
chiamò la collega, sbucando da uno scaffale.
Per
un momento
sperò fosse venuta ad aiutarlo, ma ovviamente era chiedere
troppo.
“Ti
ricordi
quel libro che avevi ordinato secooooli
fa?” gli chiese con un sorriso smagliante “The
tale of the ghost in the shore, no? È
arrivato!”
Naruto
spalancò
gli occhi, si era completamente dimenticato di quel libro e di averlo
ordinato
su richiesta di Sasuke.
“Davvero?”
“Sì,
dopo solo
otto mesi. Adoro la velocità dei nostro
fornitori…” si commosse ironica.
“In
quale
scatolone è?” domandò non ascoltandola.
Andarono a controllare sul computer, in
comune accordo di fare una pausa, e poi cercarono fra gli scatoloni
ancora chiusi.
Anche lì toccò a Naruto il lavoro pesante,
rischiando più di qualche volta che
dei pacchi gli finissero in testa.
Alla
fine lo
trovarono e Naruto lo prese tra le mani, non riuscì a capire
se fosse deluso o
meno: dopo tutti quei mesi si aspettava quasi che fosse un libro
preziosissimo,
dalla copertina ricamata e antico. Invece era un libricino sottile, con
semplici illustrazioni tipiche dei libri per bambini; non aveva nulla
di
particolare e si chiese perché Sasuke lo avesse richiesto.
“Glielo
spediamo?”
domandò Ino distraendolo.
“A
chi?”
“Ma
come a chi?
Al tuo fidanzato, scemo” fece un verso esasperato.
Corrucciò
lo
sguardo, poi lo abbassò imbarazzato. “Non so il
suo indirizzo”.
Ino
fortunatamente non commentò quell’ammissione
patetica, anzi gli diede una pacca
incoraggiante sulle spalle.
“Ma
sì, invece.
Te lo ha dato la seconda volta che è venuto qui, lo hai
registrato vicino
all’ordinazione del libro. Vieni, torniamo al
computer”.
Se
lo era
dimenticato quel particolare, ma d’altronde era successo
più di otto mesi prima
quando loro due non stavano ancora insieme e non si interessava
così tanto a
quello strambo cliente.
Tornarono
indietro al bancone e cercarono al computer, finché non lo
trovarono.
“Ecco”
picchiettò Ino con l’unghia finta lo schermo
“Allora, glielo spediamo con un
bigliettino?”
Naruto
guardò
quell’indirizzo stampandoselo nella mente, poi scosse la
testa.
2531
Sharingan Avenue. Konoha.
“No,
voglio
portarglielo di persona”.
**
Appena
Naruto
finì il turno alla libreria andò alla
metropolitana, deciso a raggiungere
Sasuke quanto prima. Era quasi l’ora di pranzo, magari poteva
fargli una
sorpresa e mangiare qualcosa insieme. Nemmeno per un secondo gli
passò per la
mente di poterlo fare arrabbiare.
Ci
mise molto per
raggiungerlo, perché l’indirizzo era nel quartiere
Universitario, si sorprese
che Sasuke dovesse fare tutta quella strada ogni volta, soprattutto
perché
odiava i mezzi pubblici.
Alla
fine
riemerse in superficie e si ritrovò quasi subito circondato
da propri coetanei,
se non ragazzi più giovani, raggruppati tra loro a
chiacchierare vivacemente e
con le cartelle sulle spalle.
Stando
alle
ricerche fatte con Sakura lui aveva frequentato un anno
l’università, ma
ovviamente non poteva ricordarselo. Vedendo quei ragazzi, intenti a
parlare di
esami e libri da comprare, corsi da registrare e appuntamenti da non
perdere,
si sentì ancora una volta come se fosse stato derubato di
qualcosa di
fondamentale.
Si
morse le
labbra con uno strano magone a stuzzicargli la gola, ma poi decise di
ignorarlo
e mise l’indirizzo di Sasuke su google maps.
Seguì
le
istruzioni sullo schermo, girando ogni tanto su se stesso per
assicurarsi di
star seguendo la direzione giusta. Alla fine si infilò in
una via secondaria
con gli edifici tutti uguali di un piano, sembravano essere degli
appartamentini costruiti appositamente per gli studenti. Rimise il
telefono in
tasca e guardò i numeri neri scritti sulle porte in
targhette d’ottone mentre
camminava.
2527,2528,
2529, 2530, 2532…
Si
fermò di
colpo sbattendo le palpebre confuso. Guardò la porta a
destra con il 2530, poi
quella a sinistra con il 2532.
Dov’era
il
2531?
Rimase
immobile
per una manciata di secondi senza la più pallida idea di
come reagire a quel
fatto stranissimo. Riguardò il foglietto dove aveva scritto
l’indirizzo per
assicurarsi di non aver letto male, ma la sua calligrafia disordinata
riportava
2531 Sharingan Avenue. Però il 2531 non c’era!
Forse
mi sono sbagliato a scrivere,
ipotizzò.
Andò alla porta del 2530, suonò al campanello e
attese nervosamente di ricevere
una porta.
“Sì?”
sentì al
citofono.
“Uhm”
annaspò
passandosi una mano dietro al collo “Cerco Sasuke Blackwood.
Abita qui?”
“No,
mi spiace”
disse la voce “Hai sbagliato indirizzo, bello”.
“Già”
commentò
a disagio “Scusa il disturbo”.
“Figurati”
e
chiuse il contatto.
Provò
allora al
2530, questa volta la porta si aprì rivelando una ragazza in
pantaloncini e
top.
“Ciao,
ti serve
qualcosa?” domandò.
“Ciao”
ricambiò
“Per caso qui abita Sasuke Blackwood?”
Non
fu sorpreso
della risposta negativa dal momento che il fidanzato gli aveva detto di
avere
un ragazzo come coinquilino.
“Avrai
sbagliato indirizzo” lo liquidò la ragazza con
un’alzata di spalle.
“Come
mai dopo
il 2530 c’è subito il 2532?”
domandò comunque.
“Il
2531 non
esiste”.
“Ma
in che
senso?”
Alzò
ancora le
spalle. “Si sono sbagliati ad assegnare gli indirizzi. Hanno
saltato, non lo so
come mai. Tecnicamente nei registri l’edificio 2531
è segnato, ma a conti fatti
non c’è. Si sono sbagliati”
ripeté “È tipo un indirizzo fantasma,
hai presente
no?”
Annuì
e la
ringraziò, quella notizia gli aveva fatto venire un
giramento di testa, perciò
dovette sedersi su una panchina lì vicino. Prese un lungo
respiro, gli
tremavano le mani e il cuore batteva così forte che gli
sembrava pronto a
sfondare la cassa toracica.
Il
2531 non esiste.
Sasuke
gli
aveva mentito sull’indirizzo? A questo punto, cosa gli
garantiva che non avesse
mentito anche su altro? Forse non frequentava nemmeno
l’Università.
Se
era davvero
l’altro Sasuke, allora doveva essere per forza
così: Madara Uchiha non poteva
aver cancellato ogni sua traccia e poi avergli permesso di frequentare
un’università pubblica.
Non
sopportava
l’idea che gli avesse mentito così sfacciatamente,
quante volte aveva usato la
scusa dell’università per svincolare alle sue
richieste?
Doveva
capire
cosa stesse succedendo, quella situazione di impotenza lo stava
mandando in
panico e il restare in quel limbo di incertezza era logorante. Doveva
capire ed
era ovvio che Sasuke non lo avrebbe aiutato, non gli avrebbe mai detto
la
verità e lui non voleva sentire altre bugie. Era una cosa
che doveva fare da
solo.
Secondo
Orochimaru, Sasuke Uchiha era tornato a Uzu. Ci mise appena un secondo
a
prendere la sua decisione.
Era
giunto il
momento di tornare sulla sua isola natale.
**
Uzu
era abbastanza
distanza da Konoha: per raggiungerla ci voleva un intero pomeriggio,
tutta la
notte e buona parte della mattina. Per andarci Naruto avrebbe perso ore
di
lavoro, fortunatamente era riuscito a mettersi d’accordo con
i suoi colleghi,
disposti a sostituirlo. In cambio al suo ritorno li avrebbe sostituiti
fino a
recuperare le ore perse. Kabuto lasciava che si organizzassero da solo
su
quello, purché non litigassero.
Per
Uzu
partivano dei traghetti solo una volta al giorno nel pomeriggio. Era
riuscito a
procurarsi un biglietto, era corso a casa a fare un bagaglio con
l’indispensabile e poi aveva raggiunto di nuovo il porto per
prendere il
traghetto appena in tempo.
Guardò
la costa
di Konoha allontanarsi con il vento che gli schiaffeggiava la faccia, i
capelli
agitati e gli occhi un poco lucidi per il fastidio. Era aggrappato alla
ringhiera del parapetto talmente forte da avere le nocche sbiancate.
Non
riusciva del tutto a eliminare l’ansia che lo aveva sostenuto
per tutta la giornata,
che lo aveva portato a prendere quella folle decisione. Ma allo stesso
tempo si
sentiva euforico.
Senza
dire
niente a nessuno, senza parlarne con Sakura o Sasuke, era partito.
Stava
andando a Uzu. Stava andando a casa sua.
Era
la cosa più
folle e autonoma che faceva da quando si era svegliato.
L’odore
del
mare era forte, il vento ne era pregno e l’umidità
era più fitta. Respirò a
pieni polmoni l’aria carica di iodio e chiuse gli occhi,
concentrandosi sul
ronzio del traghetto e lo sciabordio delle onde che si aprivano al
passaggio
della chiglia. I passeggeri erano davvero pochi, soprattutto dei
vecchiette e
una famiglia di turisti che cercava inutilmente di tenere una cartina
aperta
lottando contro il vento.
Era
talmente
concentrato a osservare quella divertente scena che non si accorse
subito del
telefono che vibrava nella tasca e per poco persa l’ennesima
chiamata di
Sakura.
“Pronto?”
“Naruto!” la ricezione era
disturbata, ma
riconobbe subito il tono esasperato “Si
può sapere perché non mi hai mai richiamata?”
Con
una fitta
di senso di colpa si rese conto di aver ignorato completamente le sue
chiamate
perse troppo preso dai suoi drammi personali.
“Ho
avuto da
fare” mormorò colpevole “Scusami, sono
successe un po’ di cose”.
Sakura
fece una
pausa.
“Iruka è venuto a trovarti, lo so”
disse,
poi sospirò “Domani ne
parleremo”.
Un
campanello
d’allarme suonò nella sua mente.
“Domani?”
“Sì, è venerdì.
C’è la seduta”.
Se
lo era
completamente scordato preso dagli ultimi avvenimenti e
sentì l’ansia
aumentare, gli si strinse lo stomaco. Improvvisamente aveva il mal di
mare.
“Domani
non
posso” balbettò.
“Sei di turno in libreria?”
domandò
ignara Sakura “Non
preoccuparti, chiamo Kabuto così ti
cambia…”
“No…
Non è per
il lavoro” mormorò, si portò una mano
alla bocca. Decisamente aveva il mal di
mare.
Sakura
fece un
altro lungo silenzio, poi: “Naruto,
dove
sei? Perché la ricezione è così
disturbata?”
Deglutì,
ma
alla fine sganciò la bomba.
“Sto
andando a
Uzu”.
“Tu COSA?!”
la reazione di Sakura fu immediata “Stai
scherzando!”
“Torno
fra tre
giorni, io…”
“Naruto!” lo interruppe
sconvolta “Non puoi andare a Uzu!
Non così
all’improvviso! Potrebbe succederti qualcosa, potrebbe
scatenarti uno shock…
non sei pronto! Non ne hai mai parlato alle nostre sedute,
cosa… cosa…”
“Mi
dispiace”
sussurrò “Ci sono delle cose che devo capire,
starò bene”.
“No, tu non capisci!”
sbottò la
dottoressa “La tua situazione
è troppo
delicata, andartene da solo è una follia e…”
la ricezione divenne
disturbata al punto che capì solo alcune parole frammentarie, finché la linea
cadde del tutto.
Guardò
lo
schermo, non c’era nessuna linea di segnale.
Alzò
lo
sguardo, accorgendosi che era scesa la nebbia e che era solo sul ponte.
Era
solo in mezzo all’oceano, tra la nebbia, e finalmente
realizzò la portata della
sua azione.
Sto
tornando a casa.
**
Viaggiare
per
mare non faceva per lui, lo capì quando con gioia mise piede
sulla terraferma.
Durante la notte non aveva chiuso occhio a causa della nausea e del
mare
agitato.
Aveva
visto Uzu
in depliant e immagini su google, credeva che vedendola dal vivo
provasse una
sensazione di familiarità. Ma la terra che lo accolse gli
sembrò totalmente
estranea.
Il
cielo era
coperto da pesanti nuvole che davano una luce grigiastra e lugubre alle
cose,
il vento continuava imperterrito a soffiare gelido. Il porto era
deserto, fatta
eccezione per alcuni pescatori e i gabbiani che sfidavano le correnti
celesti;
l’odore del pesce marcio era insopportabile, Naruto
provò la tentazione di
coprirsi il naso con le dita.
Aveva
lo
stomaco in subbuglio e il trovarsi completamente solo in
quell’isola grigia
quasi lo mandò in panico. C’era qualcuno che
poteva riconoscerlo? Come avrebbe
reagito? Quei pescatori… lui non li conosceva, ma se in
realtà nella sua vita
prima li avesse conosciuti? Sentì la testa girargli e
dovette aggrapparsi
saldamente al borsone che si era portato dietro, stava per avere un
attacco di
panico. Capì perché Sakura avesse avuto quella
reazione allarmata: non era
pronto ad affrontare tutto quello e, quel che era peggio, era solo.
Cominciò
a
camminare perché temeva che il restare fermo sulla banchina
come un cretino
potesse attirare l’attenzione di qualcuno.
A
passo spedito
si diresse fuori dal porto, verso la spiaggia. Era un lungo litorale
sabbioso
che da quale che vedeva procedeva sinuoso fino a delle alte scogliere.
Si tolse
le scarpe da ginnastica, lasciando che la sabbia umida di incollasse
alla sua
piante del piede e proseguì sul bagnasciuga con le onde che
di tanto in tanto
gli lambivano le caviglie. Si concentrò sul proprio respiro
per regolarizzarlo
e pensò a immagini positive e rilassanti, proprio come gli
aveva suggerito
Sakura.
Provò
il forte
desiderio di chiamare Sasuke, di sentire la sua voce – era
sempre in grado di
rassicurarlo – ma era lui il motivo per cui aveva iniziato
quel viaggio e il
telefono non aveva un solo segnale di connessione. Uzu sembrava essere
tagliata
fuori dalla realtà, perciò si
concentrò solo sullo scrosciare delle onde sulla
battigia.
Quando
si calmò
aveva ormai raggiunto le scogliere. I faraglioni si innalzavano
altissimi su di
lui come dei giganti, assottigliando gli occhi riusciva a vedere i nidi
dei
gabbiani.
Sasuke…
Era
inutile,
non riusciva a toglierselo dalla testa e ogni volta che ci soffermava
il suo
cuore aveva un sobbalzo. Non aveva la più pallida idea di
cosa lo aspettava e
questo lo terrorizzava, non sapeva nemmeno come agire, dove
andare…
Andare
a Uzu
era stata un’idiozia, uno dei suoi tanti colpi di testa.
Andò
a sedersi
tra la sabbia asciutta, era calda nonostante i raggi del sole bucassero
a
malapena le nuvole. Il riflesso del mare era comunque fastidioso.
Aprì
la borsa e
tirò fuori il libro di Sasuke. Se lo era portato dietro
senza nessun motivo,
durante l’attraversata aveva provato a leggerlo ma il mal di
mare lo aveva
fatto desistere. Pensò di riprovarci nel silenzio di quella
spiaggia
sterminata, ai piedi della scogliera.
Come
avevano
lasciato intendere le illustrazione, il libro non si rivelò
altro che una fiaba
per bambini. Era la storia di un ragazzo e una ragazza innamorati e
pronti per
sposarsi, ma poi lui venne chiamato a combattere in una guerra e
dovette
lasciarla con la promessa che sarebbe tornato; da parte sue, lei
promise di
aspettarlo e di non innamorarsi di nessun altro. Ma lui morì
in guerra e non
poté più tornare, così lei
continuò ad aspettarlo in cima a una scogliera,
finché anche lei morì. Rimase solo il suo
fantasma in attesa di qualcuno che
non sarebbe mai venuto.
Era
una storia
troppo triste per essere raccontata a dei bambini e lasciò a
Naruto, che era
fin troppo sensibile, dei lacrimoni intrappolati fra le ciglia. Non
osava
immaginate quanto fosse terribile aspettare per
l’eternità qualcuno.
Forse
era stato
preso troppo dalla lettura, perché quando alzò lo
sguardo gli parve di scorgere
una figura sulla punta della scogliera. Il cuore gli schizzò
subito in gola per
la paura e sbatté gli occhi per vedere meglio contro il
riflesso accecante
delle nuvole.
La
figura non
c’era più.
Mi
sto facendo
influenzare troppo, considerò e fece per tornare al paese. E
dimenticò il libro
sulla sabbia.
**
Grazie
a un
vecchio autobus sgangherato raggiunse il centro della città
di Uzu, dove si
mise a cercare un ostello dove passare la notte. Nonostante negozietti turistici, per
le vie non c’era
nessuno, forse perché era quasi ora di pranzo. Pochissime
automobili vecchie
erano parcheggiate e le case avevano tutte il legno usato e i tetti
spioventi
tipici di quelle zone nordiche. L’aria era più
fresca rispetto a Konoha, perciò
si avvolse in una delle sue giacche sgargianti. Era l’unica
punta di colore in
quella città grigia e scura.
Trovò
un
albergo economico non troppo distante dalla piazza principale, si fece
registrare da una ragazzina che sembrava essere perfino più
giovane di lui.
Quando sentì il suo cognome aggrottò le
sopracciglia.
“Uzumaki?
È uno
dei cognomi più diffusi dell’isola” gli
disse.
“Oh,
ehm…” non
voleva dire la verità, quindi optò per una mezza
bugia “I miei genitori erano
di qui, sono tornato a fare una sorpresa ai miei nonni”.
La
ragazza non
disse altro e gli diede la chiave della stanza. “La 98,
secondo piano”.
Andò
ad
appoggiare il suo unico bagaglio. La stanza puzzava di chiuso,
perciò aprì le
finestre per lasciar girare un po’ l’aria. Il bagno
era in comune con tutto il
pianerottolo e il letto era duro, con un lenzuolo ruvido. Nella stanza
c’era
poi un armadio, un comodino e uno specchio, nient’altro. Non
era affatto
accogliente e il soffitto era pieno di macchie
d’umidità.
Tornò
giù alla
reception.
“Scusi,
per
caso sa dove abita la famiglia Uchiha?” domandò
facendo la sua miglior faccia
da sprovveduto.
Finalmente
ricevette un’occhiata interessata dalla ragazza.
“Gli Uchiha? Non ci sono più
da anni…” mormorò “Sei un
giornalista?” domandò sospettosa.
Scosse
la
testa. “Erano vecchi amici dei miei nonni, tutto
qui” in quei giorni aveva
detto così tante bugie che cominciava a sentirsi esperto a
riguardo.
La
ragazza
sembrava indecisa tra il credergli o meno, ma alla fine parve decidere
che non
erano affari suoi.
“Abitavano
fuori città, nella Villa che c’è nella
via Indra; ma ormai la casa è abbandonata
da anni”.
“Grazie
mille!”
le sorrise cordiale, la salutò prima di uscire per cercare
un passaggio che lo
portasse fuori città.
Una
donna più
anziana raggiunse la reception, lo sguardo rivolto al punto in cui era
uscito
Naruto.
“Che
cosa
voleva quel ragazzo, Rosemary?” domandò con una
punta di sospetto nella voce.
Quella
scrollò
lo spalle. “Non so, cercava la casa degli Uchiha”.
La
donna
sussultò a quel nome. “Ma chi è? Un
giornalista?” la sua voce era preoccupata,
ma anche mitigata da una malizia pettegola.
“No,
ha detto
un amico” fece una faccia scettica “Si chiama
Naruto Uzumaki”.
La
comare si
irrigidì e spalancò gli occhi. “Come
hai detto, cara?”
**
Aveva
provato
ad aspettare uno degli autobus urbani che in teoria attraversavano la
città, ma
dopo essere rimasto un’ora sotto la fermata senza vederne
passare nemmeno uno
aveva rinunciato. Cartina in mano, si era diretto verso la Via Indra a
piedi
armato solo di buona volontà. Fortunatamente quel paese era
un quarto del
centro di Konoha, così raggiunse la periferia in poco tempo.
Cominciava a
temere che fosse abitato solo da fantasmi quel luogo, perché
a parte qualche
vecchietto in bicicletta non aveva visto nessuno. in più,
man mano che si
allontanava dal centro, la strada si faceva sempre più
desertica e la case più
rare.
Trovò
la Villa
indicata dalla ragazza alla reception dopo aver girato a vuoto per
mezz’ora;
aveva la maglietta sudata incollata al petto e i capelli spettinati per
il
vento forte. Sapeva già che gli sarebbe venuto un malanno,
ma sul momento non
gli importò. Era troppo concentrato a studiare quella
vecchia casa.
Che
fosse
abbandonata si vedeva lontano un miglio, il giardino era incolto e le
erbacce
alte, un roseto aveva avvolto il cancelletto stringendolo un abbraccio
mortale
fatto di spine. L’intonaco della facciata era usurato dal
vento salato, e le
finestre erano tutte impolverate. Sembrava la casa di un film horror.
La
targhetta si vedeva a malapena tra i rovi.
Villa
Uchiha.
Era
quella la
casa in cui aveva abitato Sasuke? Perché non c’era
più nessuno? Orochimaru
aveva visto giusto quando aveva ipotizzato che Madara avesse trasferito
la sua
famiglia in un paese del terzo mondo?
Si
rifiutava di
credere di aver fatto tutta quella strada solo per vedere un vecchio
rudere. Ma
cosa si aspettava? Di trovare Sasuke in giardino, sorpreso per essere
stato
scoperto, o di ritrovare improvvisamente la memoria? Quel luogo gli era
estraneo, non faceva scattare in lui niente di niente.
“Cosa
cerca?”
Sussultò
quando
avvertì una voce aspra alle proprie spalle. Si
girò di colpo, il cuore era
schizzato in gola alla velocità della luce dove ora batteva
forsennato.
Di
fronte alla
Villa, c’era una casetta più sobria e stretta,
malandata allo stesso modo, ma
con il giardino curato. Oltre il cancelletto in ferro una donna con
occhiali
spessi come fondi di bottiglia lo guardava sospettosa. Era magra e
piccolina,
con un collo rugoso simile a quello di una tartaruga.
“Ehm…”
non
sapeva nemmeno lui cosa dire, ma non ce ne fu bisogno perché
la nonnina
spalancò la bocca esterrefatta.
“Ma
per i
numi” esalò
“Sei Naruto! Il piccolo
Naruto Uzumaki, ma quanto sei diventato grande! Sei tutto tuo padre,
sì”.
Lo
conosceva?
La cosa, invece che rassicurarlo, lo mandò in panico,
perché al contrario lui
non aveva la più pallida idea di chi fosse quella donna.
“Io…”
Ancora
una
volta fu interrotto. “Non ti ricordi di me? Sono la signora
Jeckins, da piccoli
tu e il signorino Sasuke venivate sempre a prendere il tè da
me”.
Al
sentire il
nome di Sasuke qualcosa scattò in lui come una molla e si
avvicinò all’altra
casa con la sensazione di star camminando sopra il filo di un rasoio.
“Signora
Jeckins?” ripeté per assicurarsi di aver capito
bene, quegli occhi enormi oltre
gli occhiali lo mettevano in soggezione “Io… Ecco,
mi dispiace, ma non mi
ricordo di lei”.
Quell’ammissione
parve indispettire la donna. “Cosa intendi, caro?”
Non
aveva senso
mentire o girare intorno alla faccenda, quella vecchietta poteva essere
una sua
alleata.
“Io
ho perso la
memoria” ammise.
**
La
casa della
signor Jeckins puzzava di tè e muffa, era piena di
cianfrusaglie polverose e
oggetti in ceramica, Naruto si sentì impacciato nel muoversi
al suo interno.
Tutto sembrava sul punto di rompersi e lui era sempre stato un
imbranato.
La
vecchietta
dopo aver ascoltato la sua storia in silenzio lo aveva fatto entrare in
casa
proprio e gli aveva offerto del tè. Gli aveva creduto subito
e ora lo guardava
apprensiva e dispiaciuta mentre armeggiava con il pentolino
dell’acqua calda.
Naruto
non
disse niente per tutto il tempo, si limitò a osservare un
gatto acciambellato
sul divano accanto a sé. Era a disagio e voleva tornare a
casa, quel posto lo
stava mandando nello sconforto totale.
“Che
brutta
storia, ragazzo” mormorò la signora Jeckins
tornando con il suo tè, gli tese la
tazza in ceramica scheggiata che afferrò un poco titubante
“Non ci è affatto
giunta la notizia, qui. Povero ragazzo, quello che ti è
capitato è terribile”.
Lo
sapeva già e
non gli piaceva l’idea che qualcuno lo sottolineasse davanti
a lui, ma non
disse nulla e si limitò a prendere un sorso di
tè.
“Signora…”
domandò un poco incerto “Io e Sasuke Uchiha
eravamo amici?”
“Oh,
cielo, se
lo eravate” sbuffò divertita “Eravate
come pantalone e camicia, inseparabili.
Non hai idea di quante volte siete stati in questa stanza a prendere
del tè con
me. All’epoca mi occupavo del giardino dei signori Uchiha,
era la meraviglia
della via”.
Rimase
in
silenzio, in attesa che continuasse, ma quando non lo fece si
schiarì la voce.
“Dove
si sono
trasferiti? Volevo rincontrare Sasuke”.
Ricevette
uno
sguardo dispiaciuto. “Gli Uchiha non si sono trasferiti, sono
morti”.
Il
fiato gli si
congelò nei polmoni.
Cosa?
Non
ci fu
bisogno di porre la domanda ad alta voce, l’anziana signora
riprese da sola a
parlare mentre guardava il proprio tè spaesato.
“È
stata una
disgrazia che nessuno è riuscito a evitare… Il
fatto più triste è stato il non
poter celebrare nemmeno un funerale, il signor Madara Uchiha si
è solo
preoccupato di nascondere la faccenda. Solo pochi qui
nell’isola sanno quello
che è davvero successo”.
Aveva
un tono
di voce pettegolo, come se stesse rivelando un segreto su cui per lungo
tempo
era stata costretta a tacere e non vedesse l’ora di tirare
fuori lo scheletro
dall’armadio.
“Cosa
è
successo?” gli tremava la voce.
“Oh,
povero
ragazzo” sospirò Jeckins con quel suo modo
teatrale “Itachi Uchiha, il fratello
maggiore di Sasuke, non era molto… a posto. Aveva qualcosa
che non andava, ecco,
ma noi non lo avevamo capito, era sempre così
impeccabile…” la voce le mancò e
andò a prendere un fazzoletto con cui si asciugò
gli occhi. Naruto si sentiva
sul bordo del precipizio, ma non osava spronarla a continuare. Non ce
ne fu
bisogno, perché riprese da sola.
“All’epoca
ero
stata licenziata, i signori non volevano più estranei nel
loro giardino. Era
davvero triste, il signorino sembrava chiuso in una prigione, non
poteva
nemmeno dirti che era tornato nell’isola. Come se non fosse
già brutto così,
sentivamo continue grida. Oh Dio, sì! Sembrava che in quella
casa ci fossero
delle torture, sembrava stregata. Era spaventosa. E il piccolo
Sasuke… sempre
più magro, sempre più triste” scosse la
testa sconsolata “Poi, una notte,
abbiamo sentito tutti delle grida. Il signor Itachi aveva perso
definitivamente
la testa e accoltellato i suoi genitori. Abbiamo chiamato al polizia,
ma
nessuno di noi aveva il coraggio di uscire e la polizia
arrivò troppo tardi. Così
non abbiamo potuto evitare nemmeno il resto.
Il
signorino
Sasuke era riuscito a scappare, sicuramente per evitare che Itachi
uccidesse
anche lui. Dicono che abbiano raggiunto le scogliere e che Sasuke
avesse dietro
una pistola del padre. Oh… povero ragazzo, costretto a fare
una cosa del
genere” si asciugò gli occhi.
Naruto
immaginava perfettamente quello che fosse successo dopo, nelle orecchie
sentiva
la voce del dottore Orochimaru, la sua frase di commiato.
Ti
prego, basta, non lo voglio più sapere.
“Povero
ragazzo,
dover sparare al proprio fratello… Non
c’è da sorprendersi che poi si sia
gettato giù dalla scogliera, era così
giovane….”
Perse
la presa
sulla tazzina. Cadde a terra, spargendo il tè sul tappeto.
La vecchietta si
bloccò con un sussulto.
Ma
Naruto era
bloccato, non si accorse di nulla di tutto quello, rimase semplicemente
immobile con lo sguardo stravolto.
Sasuke
Uchiha
era morto.
**
“Sasuke,
Sasuke!” gridò il bambino dai capelli biondi,
facendo girare un altro bambino poco distante seduto sul marciapiede
“Guarda
cos’ho trovato”.
“Non
gridare” commentò Sasuke con una smorfia, ma
fissò
curioso il libro che l’amico gli stava porgendo.
“The
tale of
the ghost on the shore” rispose
quello “È
una storia di fantasmi”.
“Ma
dai, non lo avrei mai detto” lo prese in giro.
Naruto
s’imbronciò. “È una storia
d’amore, di due persone che
hanno continuato ad amarsi anche da morte. Una di loro è
diventato un fantasma
in attesa dell’altro, perché potessero tornare a
stare insieme. Ma non è mai
successo”.
“Macabro”
commentò sfogliandone le illustrazioni, sussultò
quando l’amico appoggiò una mano sulla sua spalla
“Ma che fai?”
Le
parole gli morirono in gola nel vedere quanto fosse serio
lo sguardo negli occhi blu. Erano così adulti.
“Sasuke,
io non ti abbandonerò mai” assicurò.
“Cosa…”
“Se
tu dovessi morire, io morirò con te” lo
ignorò “Non
permetterò che tu resta un fantasma per sempre costretto ad
aspettarmi come in
questa storia. Te lo prometto, ti raggiungerò
subito”.
Sasuke
era raggelato a quelle parole. “Ma cosa stai dicendo,
non…”
“Gli
Altri dicono che
nessuno di noi due è destinato ad avere una vita lunga. Lo
hanno anche detto i
miei genitori, per questo sono sempre così tristi. Ma non
m’importa, perché se
morirò con te, per te, allora io sarò felice e
andrà bene così”.
Rabbrividì
alla menzione dei fantasmi. “Non ti chiederei mai
una cosa del genere”.
“Invece
sì, lo vorresti. Perché non si è mai
così soli come
quando si è morti, lo dicono gli Altri. Dicono che il freddo
si sente anche
senza un corpo, ma niente può più toccarli
perché sono soli.” fece un sorriso
“Ma non devi avere paura, tu non sarai solo. Verrò
io con te! E lo sai che mantengo
sempre le promesse”.
“Ho
come la sensazione che
tu non voglia dirmi quale sia questa stranezza” dalla faccia
colpevole di Iruka
capì di aver indovinato “Devi dirmelo, non
possiamo dare il nostro massimo se
non abbiamo tutte le informazioni, lo capisci vero?”
“Sì,
ma…” si passò una mano
sul viso “Naruto non era pazzo, aveva solo troppa
immaginazione e la gente non
lo capiva”.
Quel preambolo
la mise un
poco in ansia. “Cosa intende?”
Lo sguardo di
Iruka era
mortalmente serio. “Naruto diceva di vedere i fantasmi dei
morti e di parlare
con loro”.
Sakura
spalancò la bocca.
“Cosa?”
“Gli
raccontavano cose
strane, gli mettevano in bocca cose che un bambino non dovrebbe dire.
Lui li
chiamava gli Altri e diceva che
erano sempre attorno a noi, che solo lui poteva vederli. Ma era solo la
sua
fantasia, il suo modo per superare la morte dei genitori, diceva di
vederli per
avere l’illusione di essere ancora con loro. Però
certe volte quello che diceva
era così dettagliato… metteva i
brividi”.
“Allucinazioni”
mormorò “E
cosa dicevano questi… fantasmi a
Naruto?”
“Quando
sarebbe morto”.
Sasuke
guardò il porto un’ultima volta, deluso. Fece per
girarsi e salire sulla barca, dove lo stavano aspettando i suoi
genitori, ma
poi sentì quella voce.
“Sasuke!”
Era venuto, ci
era riuscito. Vide Naruto correre verso
la banchina e perdifiato, la sciarpa che si agitava dietro di lui per
vento. Non
pensò di chiedere il permesso, gli andò incontro.
Era l’ultima volta che
potevano vedersi ed era stato tutto così improvviso.
“Quindi
è vero?” domandò Naruto “Te
ne vai?”
Annuì
e lo vide sul punto di scoppiare a piangere.
“Mi
dispiace”.
“Mi
mancherai” tirò su con il naso “Senza di
te sarò
davvero solo”.
Sasuke lo sapeva
ed era questo a rendergli così odiosa
quella partenza.
“Tornerò
presto, sono sicuro che…”
“Ma
certo che ci rivedremo” lo bloccò con impeto
Naruto, deciso. C’era una certezza nei suoi occhi
così vivida da essere
sconcertante.
“Gli Altri hanno detto che nessuno dei due vivrà
ancora a lungo, presto ci
rivedremo dall’altra parte”.
“Ancora
con questa storia…”
“È
importante!” s’impuntò. Si tolse lo
zainetto dalle
spalle e ci frugò dentro affrettato, poi gli tese il libro. The tale of
the ghost on the shore, la fiaba che
leggevano sempre insieme.
“Questo
libro è il pegno, la dimostrazione che devo
mantenere la promessa. Gli Altri hanno detto che è
importante, che sarà questo
a farmi tornare da te una volta morti”.
Era tutto
così sbagliato, inquietante… un bambino che
parlava della sua morte. Ma Sasuke non era spaventato, Sasuke gli
credeva.
Prese il libro e
lo aprì, dentro c’era una calendula gialla.
“Il
fiore dei morti?” sorrise triste “Ma io sono
ancora vivo”.
Anche Naruto
sorrise triste. “Ancora per poco”
sospirò
“Quando succederà torna qui, cercami. Io
potrò vederti e poi…”
Sasuke lo
interruppe, gli scoccò un bacio sulla
guancia.
“E poi niente ci dividerà e non saremo
più soli”
concluse per lui.
**
Fu
come
risvegliarsi da un sogno.
Il
vento marino
lo schiaffeggiò in faccia, agitava i suoi capelli e faceva
sbatacchiare la
giacca colorata che teneva aperta. Gli lacrimavano gli occhi e si
sentiva
sospeso in una dimensione separata dalla realtà.
Ricordava
tutto.
Ogni
ricordo
che aveva cercato così disperatamente in quei quattro anni
gli si presentò
davanti con una naturalezza tale da essere sconvolgente, come se fosse
sempre
stato presente nella sua mente. Come se non lo avesse mai dimenticato.
Era
uscito
dalla casa della signora Jeckins per prendere aria, si era sentito
soffocare in
quel salotto pieno di ciarpame, ma poi aveva iniziato a camminare in
preda allo
shock, incapace d stare fermo. Come se fosse un sonnambulo. Aveva
lasciato che
fossero i piedi a guidarlo, perché ogni cosa ormai era
dolorosamente familiare.
Faceva male.
Senza
rendersene conto aveva raggiunto la scogliere, la stessa che aveva
visto dalla
spiaggia. Il promontorio si tendeva verso l’orizzonte come se
fosse la fine
della terra, il mare ne segnava il limite con l’orizzonte.
Guardò
il mare
che si gonfiava e gettava contro le rocce appuntite con foga, come se
stesse
combattendo una lotta millenaria con la terra. Era terribile, a ogni
attacco le
onde si rompevano in gocce di sangue bianco e spumoso, ma non inutile:
a ogni
ritirata portavano via un pezzo di roccia, un solo brandello. Ma
quell’erosione
lenta e sanguinolenta un giorno avrebbe portato alla vittoria del mare
e quella
terra sarebbe stata scavata dalla sua forza.
Naruto
non
aveva avuto quel privilegio, nessuna lenta tortura. La sua roccaforte
era
resistita per quattro anni alle sferzate del mare dei ricordi, ma ora
era
bastata una sola onda a farlo crollare in macerie.
“Ora
lo sai?”
Il
vento parve
fermarsi nel secondo in cui quella voce parlò, per poi
riprendere a soffiare
più forte. Ogni gesto che compì gli parve
lentissimo, mentre batteva le
palpebre, deglutiva e si girava poi verso la voce alla sue spalle.
Lui
era lì.
Sasuke
era in
piedi fra l’erba secca e l’erica a fronteggiarlo. I
capelli neri non erano
agitati dalle raffiche, i fili lisci restavano ordinati e immobili al
loro
posto, estranei al vento che si agitava attorno a loro. Aveva lo
sguardo
malinconico, tristissimo, era una pugnalata al petto per Naruto. E la
sua pelle
era raggrinzita, come se fosse stato troppo tempo immerso
nell’acqua salata.
“Ti
ricordi di
me?” domandò. Non sembrava sorpreso di trovarlo
lì, era solo… rassegnato. E
triste, infinitamente triste.
Vederlo
con
quell’espressione corrucciata era dolorosa, Naruto si
ritrovò a camminare verso
di lui come se non potesse fare altrimenti.
“Ricordo
tutto”
confermò, trattenne il fiato e poi: “Sasuke, tu
sei un fantasma?”
Un
piccolo
sorriso increspò appena le labbra sottili. “Lo
sono” ammise, si guardò le mani con
i polpastrelli rugosi “Sono morto, ma continuo a restare in
questo mondo”.
“Perché?”
“Perché
tu sei
ancora qui”.
Silenzio.
Il
rumore del vento era fortissimo, assordante, ma quando Sasuke parlava
sembrava
calmarsi, farsi un ricordo lontano.
Sasuke,
che
nessuno dei suoi amici riusciva mai a incontrare; che odiava i posti
affollati,
che sembrava sparire ogni volta nel nulla, che gli aveva mentito per
tutto quel
tempo. Sasuke che lo amava.
“Perché?”
domandò ancora, anche se non sapeva a quali dei tanti
perché gli affollavano la
mente chiedesse risposta.
“Ti
ho cercato
per tanto tempo, Naruto…” mormorò il
fantasma “Avevi una promessa da mantenere,
ora capisco cosa intendevi con quelle parole. Non voglio questa
solitudine, non
voglio sopportare il peso della morte da solo”.
“Sasuke…”
“Sapevo
che
potevi vedermi, hai sempre avuto questo dono. Tu potevi capirmi ancora.
Ma
quando ti ho trovato tu non ricordavi nulla. Non mi riconoscevi
nemmeno. Avevi
perso la memoria, anche il ricordo di quella promessa
fondamentale” lo ignorò
“Che cosa dovevo fare? Ha valore una promessa per una persona
che non ricorda
nemmeno di averla posta? No, ovvio che no. Dovevo fartela ricordare, ma
davvero
volevo farlo? Davvero sono così crudele? Farti ricordare
qualcosa solo per
farti morire poi?”
Aveva
freddo,
gli era venuta la pelle d’oca e quel discorso lo stava
facendo sprofondare
nella disperazione.
“Ti
prego,
Sasuke…”
“Otto
mesi.
Sono rimasto otto mesi in questo limbo e non sapevo cosa fare, ma
forse… mi
stavo abituando, sai? Tutto
quello mi
illudeva di essere ancora vivo” socchiuse gli occhi
“Non hai idea di quanto mi
manchi essere vivo”.
Il
vento non
agitava i suoi capelli, non gonfiava i suoi abiti, il suo corpo era
inconsistente. Eppure Naruto lo aveva toccato così tante
volte, aveva seguito
con le labbra ogni punto segreto di quella pelle ed era tangibile,
vera. Era carne
e sangue, come poteva essere un fantasma.
Sasuke
sembrò
leggere nella sua mente. “Eri tu, sei sempre stato tu. Mi hai
strappato dalla
solitudine da bambino e lo hai continuato a fare anche quando sono
morto. Credevo
potesse durare per sempre, se non avessi ricordato… se non
lo avessi scoperto”
si interruppe e prese un respiro, una lacrima rotolò sulla
sua guancia “Se non
lo avessi scoperto potevo essere ancora vivo, con te”.
Ma
ora ricordo tutto.
Al
di là della
tristezza, della confusione e della frustrazione, provò una
forte paura
viscerale, un terrore arcano che lo spinse a fare un passo dietro di
sé. Il suo
cuore batteva fortissimo, vivo, come se sapesse già quello
che stava per
succedere e volesse scappare via.
Scosse
la
testa.
“Sasuke,
non…”
“È
stato bello,
Naruto” lo interruppe ancora, fece a sua volta un passo verso
di lui “Ma non
poteva durare per sempre”.
Indietreggiò
ancora. Non voglio morire.
“Sasuke,
ti
prego” supplicò.
“Tu
mantieni
sempre le promesse” anche il tono di Sasuke era di una
supplica. “Anche questa,
soprattutto questa”.
Non
voglio morire.
Non voglio
morire, ti prego.
Era
sul bordo,
dietro di lui non c’era più terra. Solo il mare in
tempesta. Si accorse di star
piangendo. Non riusciva a parlare. Sarebbe morto. Non voleva morire.
Non
voglio morire. Voglio vivere.
“Non
devi
paura, non fa male. È solo un momento”
continuò a camminare verso di lui. Gli
fu a un palmo di distanza e appoggiò la mano sul suo petto,
a sinistra. Il cuore
batteva furioso contro la cassa toracica. Perché riusciva a
toccarlo se era
morto?
“Per
un momento
sarà il vuoto” sussurrò “Ma
poi sarai di nuovo con me. Saremo ancora insieme.
Tu mi ami, no?”
Lo
amava, ma… voglio vivere.
V
o g l i o v i v e r
e
Sasuke
sorrise.
“Ti amo anche io”.
Lo
spinse. Cadde.
Il
boato del
mare lo ingoiò.
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