Aranyhíd

di ranyare
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hi Fun Kou Gai ***
Capitolo 2: *** Wa’ada ***
Capitolo 3: *** Itsuarpok ***
Capitolo 4: *** Geram ***
Capitolo 5: *** Aiiyoh ***
Capitolo 6: *** Hiraeth ***
Capitolo 7: *** Ttonkolenyo ***
Capitolo 8: *** Backpfeifengesicht ***



Capitolo 1
*** Hi Fun Kou Gai ***


Aranyhíd
Hi Fun Kou Gai
(Giapponese)
Una legittima, miserevole verità, una frustrazione e una disperazione relative a una situazione terribile che non si può cambiare.

.

.

L’acqua bruciava come fuoco sulla sua ferita.

Saizo rimase immobile, lasciandosi galleggiare sul pelo dell’acqua del fiume che attraversava la città di Cheve in cui si era lasciato cadere, troppo esausto per lottare contro le correnti che lo stavano trascinando lontano dalla battaglia che ancora si combatteva, lontano dallo sguardo dei soldati di Nohr.

Bugiardi.

Il Re d’Ossidiana aveva promesso di parlare di pace, e invece li aveva accolti con punte di frecce e lame d’ascia. Aveva comunicato a Re Sumeragi che avrebbe portato con sé il suo stesso figlio, il giovane Principe Ereditario Xander, come prova delle proprie buone intenzioni, ma non aveva detto che anche il ragazzino sarebbe stato armato fino ai denti. Sumeragi non avrebbe mai portato i propri figli al seguito, se avesse sospettato un tradimento di quel calibro.

Assassini.

Il Re di Marmo era caduto. Hoshido aveva perso la propria stella guida. Una donna, che ora sarebbe stata incoronata Regina Reggente, aveva perso un marito. Quattro bambini avevano perso un padre. Lui aveva perso la sua battaglia, e fallito il suo compito.

Ma c’era ancora qualcosa che poteva fare. Aveva origliato il loro complotto scivolare dalle labbra ghignanti di quel disgustoso, viscido mago: volevano una bambina.

Mostri.

Non l’avrebbe permesso. Avevano ucciso il suo Re, ma non avrebbero fatto altro male alla famiglia reale. Era suo dovere proteggerli – anche se non aveva ancora dieci anni, anche se era soltanto un bambino secondo ogni legge o costume possibili… eppure era quello che si aspettava da lui suo padre, il motivo per cui si stava addestrando con così tanto impegno.
Alla prima ansa del fiume, Saizo si aggrappò ad una radice sporgente e si trascinò fuori sulla riva. Il dolore gli trafisse violentemente il braccio ferito, lo squarcio sulla sua pelle che bruciava mentre i muscoli si tendevano, ma lui strinse i denti e lo ignorò.

Poteva solo sperare che non fosse già troppo tardi.

Di angolo in angolo, Saizo scivolò fra i muri delle case come un’ombra, completamente invisibile se non per quelle minuscole gocce di sangue che si perdevano nell’oscurità della notte: era giovane, sì, eppure era già uno dei ninja più rispettati dei regni dell’est, l’orgoglio di Igasato.

Era un edificio in particolare, quello che stava cercando, uno che lui e il suo fratello gemello avevano ispezionato con il padre appena arrivati a Cheve, determinati ad organizzare rifugi e nascondigli nel caso le cose non fossero andate per il verso giusto. Chiaramente, l’istinto del padre non avevano sbagliato nemmeno questa volta. Saizo era certo che avrebbe trovato Kaze, lì, assieme alle bambine.

Trovata la finestra a livello della strada per la cantina della forgia, Saizo si lasciò scivolare all’interno.

Fece a malapena in tempo ad atterrare sulla nuda, fredda pietra prima che qualcosa gli si avventasse contro, mandandolo dritto disteso al suolo. Ne fu felice: significava che suo fratello era lì, di guardia e attento, e che il posto era ancora sicuro. Tuttavia, non poté non emettere un grugnito strozzato quando una lama d’acciaio gli accarezzò il collo.

-Kaze, no! Sono io!- ringhiò, e subito il peso che lo inchiodava a terra svanì assieme al bacio del gelido metallo.

-S_Saizo?- balbettò suo fratello, chiaramente sconvolto. Saizo sentì una stretta al cuore: avevano la stessa età, erano gemelli, ma Saizo si era sempre sentito in dovere di prendersi cura di lui. -Perdonami, fratello. Ho esagerato. Ti credevo un nemico.-

Appoggiò una mano sulla spalla di Kaze, sperando di calmarlo. -Hai fatto bene, fratello. Sono fiero di averti trovato all’erta e pronto a difendere la famiglia reale.-

Kaze parve rilassarsi alle sue parole: era raro ricevere complimenti dal gemello, era rassicurante, e in quel momento gli trasmise quell’effimera contentezza di cui aveva bisogno per rimanere lucido, per riprendere contatto con la realtà. -Ma certo. Nostro padre è già venuto a prendere l’Alto Principe, lo sta portando al sicuro in questo momento. Mi ha lasciato a proteggere le bambine fino al suo ritorno.-

Saizo si lasciò andare ad un sospiro che aveva, inconsciamente, trattenuto. Aveva fatto in tempo, dopotutto.

Le due bambine in questione erano appallottolate in un angolino della stanza, i capelli biondi di entrambe che si mescolavano tanto stretto era il loro abbraccio. Avevano circa un anno di differenza – la più grande aveva cinque anni, la più piccola quattro – ma, in quel momento, parevano anche più giovani ed indifese.

Con la forza del proprio senso del dovere che gli bruciava nel petto, Saizo si avvicinò alle due ed estrasse con fermezza la più piccola dalle braccia della più grande. Kaze fu immediatamente accanto a quest’ultima, cercando di tranquillizzarla mentre lei cercava di afferrare il braccio ferito del Ninja per fermarlo.

-No!- protestò, e Saizo poté quasi sentire il suo piccolo cuoricino spezzarsi nel vedersi strappare dalle braccia la propria sorellina. -Cosa fai? Dove la porti?!-

Persino Kaze lo guardò in modo strano, un sopracciglio inarcato per la preoccupazione, mentre stringeva più forte la bambina recalcitrante. -Fratello?-

-Abbiamo dei doveri, Kaze.- fu la sua unica spiegazione, mentre tornava alla finestra da cui era entrato tenendo fra le braccia l’altra bambina, che si dimenava debolmente nel tentativo di tornare dalla sorella. -Proteggere la famiglia reale. Quindi resta qui e proteggi la principessa.-

Kaze deglutì, chiaramente a disagio dinanzi alla scelta terribile che si trovavano costretti a fare, ma alzò comunque una mano tremante per premere un fazzoletto umido sulla bocca della bimba che teneva contro il proprio petto. Quella crollò addormentata nel giro di pochi minuti, il pianto messo a tacere dall’anestetico che imbeveva il tessuto.

-Se nostro padre tornasse prima di me, prendete la principessa e digli che ci ritroveremo in un posto sicuro.-

E poi Saizo fu nuovamente sulle strade di Cheve, con la mano della bambina stretta nella propria.

Non si era ancora lamentata nemmeno una volta: le sue uniche proteste furono quei deboli tentativi di allontanarsi da lui per tornare alla cantina, ogni volta che Saizo si fermava per scrutare dietro un angolo, un bivio, per evitare eventuali trappole. Era come se la piccola sapesse – come se sapesse che il suo futuro sarebbe stato quella di diventare la guardia personale di colei che la chiamava sorella ma che non lo era, e la vita di una guardia reale non veniva mai prima di quella del proprio protetto.

Saizo rallentò quando si avvicinarono al cuore del conflitto, dove ancora si combatteva: il suolo acciottolato era coperto di corpi e l’odore marcescente di sangue, interiora e morte gli fece storcere il naso, mentre la bambina alle sue spalle si copriva la bocca con una manina, le lacrime che le pungevano gli occhi. Se la tirò più vicino e le indicò qualcosa.

Il corpo di Re Sumeragi giaceva in mezzo alla strada, troppe frecce incastonate nel suo corpo per poter anche solo pensare di contarle. Accanto a lui, il cadavere della sua guardia, il partner di suo padre, che si era lanciato in mezzo alla pioggia di frecce al primo dardo che era affondato nella spalla del Re.

C’erano altri corpi attorno a loro, ma quella zona era resa momentaneamente sicura dal muro umano creato dalla milizia di Hoshido, impegnata a respingere i soldati di Nohr per poter almeno recuperare il cadavere del Re e tributargli i giusti onori.

La bambina riconobbe Sumeragi, ma Saizo le chiuse il grido in bocca prima che potesse rovinare tutto.

Non ora.

E poi l’edificio dietro cui si era nascosto venne colpito quando un pegaso vi venne scagliato contro, proprio come lui si aspettava che succedesse – era un edificio alto e i Cavalieri Viverna nohriani erano temuti per la loro capacità di menomare i nemici alati facendoli schiantare contro la prima superficie disponibile.

Allora, soltanto allora, lasciò andare la bambina: al nemico sarebbe sembrato che fosse rimasta nascosta nell’edificio colpito e che lo schianto l’avesse fatta uscire allo scoperto, i suoi protettori sepolti vivi dal crollo del tetto.

-Papà!- gridò, e Saizo la guardò correre, scivolando appena sul suolo sporco quando si fermò accanto al cadavere del Re. -Papà, papà, svegliati, dobbiamo andare via! Ho paura!-
La sua voce di bambina catalizzò l’attenzione di coloro che la stavano cercando – ovviamente.

Saizo vide lo stesso mago viscido che aveva scorto sul ponte, lo vide illuminarsi di un ghigno disgustoso mentre uccideva un soldato con una scarica elettrica per poi gridare, trionfante:

-Maestà!-

La battaglia finì all’improvviso.

L’ascia del Re d’Ossidiana aveva strappato la vita a tutti coloro che avevano continuato ad opporglisi con un solo, brutale colpo.

Saizo si rifugiò nelle ombre, invisibile, pronto per tornare da suo padre, da suo fratello, dalla sua principessa. Ma era ancora abbastanza vicino da sentire il pianto disperato della bambina e le parole terribili dell’assassino.

-Oh, povera piccola. Rimanere orfana così giovane…- una pausa, l’attesa quasi insopportabile, una risatina da gelare il sangue nelle vene. -Tu sei mia figlia, adesso.-

Il grido della bambina lacerò la quiete di morte che aveva pervaso Cheve.

Il cuore di Saizo si incrinò, ma lui non si fermò né si volse indietro: aveva fatto solo il suo dovere.






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Salve a tutti! Siamo ranyare e DreamWanderer e siamo liete di accogliervi in questo nuovo, delirante progetto!

Eccoci approdate su un fandom che ci ha letteralmente divorate vive da quando abbiamo avuto la (s)fortuna di mettere le mani su Fire Emblem Fates: ci siamo dette "ehi, siamo talmente ossessionate da questo gioco che ormai ce lo sogniamo di notte, forse è meglio cominciare a scrivere qualcosa!"... ed eccoci qua, con la nostra più recente creaturina fresca fresca di correzione!

Sono necessarie diverse note di traduzione, perché entrambe giochiamo a Fates in inglese e abbiamo apportato diverse scelte stilistiche per adattare l'inglese a come abbiamo pensato potesse essere il più scorrevole possibile nella nostra lingua madre. Ma non preoccupiamocene ora! Reggiamoci forte, perché quella su cui siamo appena salite sarà una giostra piuttosto turbolenta!

Un appunto, però, va fatto: la storia verrà pubblicata contemporaneamente anche sul sito ArchiveOfOurOwn, in inglese, con aggiornamenti mensili da entrambe le parti. Trovate la versione in inglese QUI.

I personaggi principali della storia (eccetto Female!Kamui e Nuovo Personaggio), che non siamo riuscite ad inserire per mancanza di approvazione degli stessi, sono i seguenti, anche se in realtà li troveremo un po' tutti lungo il percorso: Azura, Ryoma, Takumi, Saizo, Hinata, Kagero, Orochi, Kaze, Scarlet, Xander, Leo, Niles, Odin, Nyx, Iago.

Il percorso principale su cui si snoderà l'intera storia è Revelation (Rivelazione), sebbene ci saranno diversi plot twist e parecchie giravolte legate a Birthright (Retaggio) e a Conquest (Conquista) nel frattempo!

Vi auguriamo entrambe una buona lettura, un buon divertimento e un sincerissimo "buona fortuna"!

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Capitolo 2
*** Wa’ada ***


Aranyhíd
Wa'ada
(Arabo classico)
Un verbo che significa "seppellire la propria figlia."

 

Leo era certo che il tremore della carrozza fosse interamente colpa del continuo dimenarsi di sua sorella Elise, e non della strada acciottolata che conduceva al cuore di Windmire.

-Elise.- ringhiò, portandosi le mani alle tempie: si sentiva già esausto, e non era nemmeno mezzogiorno. -Sarebbe così terribile per te provare a stare ferma per cinque minuti di fila?-

-Sì!- strillò lei, chiaramente incapace di mettere un freno al proprio entusiasmo. Leo strinse i denti, quando la sua voce alta ed acuta gli perforò i timpani: poteva già sentire la morsa dell’emicrania che gli sarebbe esplosa in testa nel giro di pochi secondi. -Come puoi essere così calmo, fratello? Non sei euforico? Ileana viene a casa con noi! Staremo finalmente tutti insieme, come una famiglia!-

Quanto, quanto rimpiangeva di non aver deciso di scortare la carrozza a cavallo, assieme a Xander.

-Daaaaaaaaaaaaaaaaai, siamo arrivati? Non può andare più veloce, questo trabiccolo?!-

-Credo che ci siamo.-

La voce di Ileana fu appena un sussurro, che appannò per un attimo il finestrino della carrozza a cui era rimasta incollata fino a quel momento.

Era rimasta lì, immobile, da quando erano partiti dalla Torre Nord, molto prima che la linea dorata dell’alba spuntasse all’orizzonte, e Leo non poteva davvero biasimarla: aveva passato dodici lunghi anni rinchiusa in quella fortezza.

Era stato felice di vedere la meraviglia accendersi sul suo volto quando il Sole era sorto all’orizzonte: erano stati abbastanza fortunati da trovarsi su un passo di montagna, in quel momento, e l’altitudine le aveva permesso di vedere quella sottile linea di luce tra la terra e la coltre di nubi di cui era perennemente ammantato il cielo di Nohr – una coltre che si dissipava solo di notte, più un giorno ogni luna e mezzo.

Ileana forse non l’aveva nemmeno mai vista, un’alba: era un gufo, e le piaceva passare le mattine a letto. Era un’abitudine che avrebbe dovuto abbandonare in fretta, se il loro padre avesse deciso di permetterle di entrare nell’esercito di Nohr.

Leo si morse il labbro, sovrappensiero, combattendo con quella strana sensazione di timore e disagio che gli stringeva il petto. Re Garon era stato chiaro: a Ileana non sarebbe stato permesso di lasciare la Torre Nord a meno che non avesse provato le proprie abilità in combattimento, a meno che non avesse provato di essere forte quanto i suoi fratelli e sorelle. E, benché fosse una maga straordinaria – e come sarebbe potuto essere altrimenti, visto che l’aveva addestrata lui personalmente? – non era ancora riuscita ad attivare una vena drago.

Eppure, il re l’aveva comunque richiamata a Krakenburg. Leo non sapeva bene cosa pensare di quella novità, ma non poteva nascondere a se stesso di essere preoccupato e, sopra ogni cosa, temeva la reazione dell’aristocrazia: la corte di Nohr trasudava ambizione e crudeltà, e non c’era un singolo nobile che non fosse pronto a spargere sangue dinanzi alla più misera prospettiva di ricevere l’attenzione del re.

Una principessa misteriosa, cresciuta lontana da Krakenburg e che non poteva nemmeno provare il proprio retaggio scatenando il potere dei draghi, non sarebbe durata molto in quel genere di ambiente. Il solo pensiero di quello che Ileana avrebbe dovuto affrontare bastava a fargli venire la nausea.

Schiacciando le dita fredde sulla propria fronte, Leo si costrinse a mettere da parte il proprio pessimismo, lo sguardo che esitava sulla figura della sorella minore: di certo, almeno, aveva l’aspetto di una discendente del re, con quei capelli biondi e i lineamenti delicati che ricordavano molto tanto lui quanto Elise. Fisicamente parlando, i suoi occhi erano tutto ciò che la separava da loro – quegli occhi così verdi, così diversi dagli scuri toni di viola e bruno che gli altri avevano ereditato dal padre, che forse aveva ricevuto in dono dalla concubina che era probabilmente stata sua madre.

La somiglianza fisica, tuttavia, l’avrebbe tenuta al sicuro forse un paio di lune, a ben sperare.

Sospirò. Xander era certo che il padre avesse un piano per destare la magia dei draghi ancora silente nel sangue di Ileana, ma lui poteva soltanto sperare che avesse ragione… e che, qualsiasi fosse il piano, non comprendesse niente di pubblico.

-Leo, guarda! Siamo a casa!-

La voce di Elise lo strappò dai suoi pensieri, così lui si accostò alle sorelle premute contro il finestrino – ed eccolo, il castello di Krakenburg.

Torri nere si arrampicavano verso l’alto, protese verso il cielo di nubi oltre la gola in cui si trovava la residenza della famiglia reale come i rami della Desolazione si protendevano verso ogni scheggia di luce.

La carrozza si fermò, e loro si trovarono di fronte alla torre d’accesso, collegata al corpo centrale del palazzo tramite un ponte largo abbastanza perché tre persone potessero camminare fianco a fianco.

Certo, le difese di Krakenburg erano impressionanti, ma l’apprensione che si contorceva nello stomaco di Leo non mollò la presa – a lui il castello era sempre sembrato un mostro, in agguato negli abissi più oscuri e sempre pronto a colpire.

Di certo la nobiltà di Nohr rispondeva perfettamente alla descrizione.

Leo rabbrividì al pensiero della sorella risucchiata negli obblighi sociali, pericolosamente ignara dell’ambiente letale in cui si sarebbe trovata.

Una mano calda, guantata d’acciaio, gli si posò su una spalla, spingendolo a girarsi.

Xander era in piedi accanto a lui e lo fissava con un’ombra di preoccupazione negli occhi color mogano; erano occhi che si ingentilivano, perdendo la freddezza per cui erano rinomati, solo quando si posavano su un membro della sua amata famiglia. -Fratello? Stai bene?-

Leo si costrinse a sorridere. -Non preoccuparti per me, Xander. Pensavo.-

-Come sempre, allora.- lo canzonò bonariamente il Principe Ereditario, e il sorriso sul volto del fratello minore si fece appena più sincero.

Non poté farne a meno: le parole gli sfuggirono dalle labbra prima che lui potesse fermarle, prima che lui potesse ricordarsi che suo fratello aveva già abbastanza a cui pensare senza che lui gli rovesciasse addosso il proprio pessimismo. -Xander, lei… non è pronta. È tutto troppo improvviso. Se la presentiamo adesso a corte, sarà come darla in pasto ai lupi.-

L’ombra tornò negli occhi di Xander quasi all’istante, e il senso di colpa andò ad aggiungersi al mostro che si contorceva nel petto di Leo.

-Capisco il tuo timore, fratello.- gli disse, la stretta sulla sua spalla che si rinforzava appena. -Sono preoccupato anche io. Ma nostro padre mi ha detto che non ha intenzione di introdurla a corte, per ora. Ha organizzato qualcos’altro, per lei.-

Il secondo principe di Nohr annuì lentamente.

L’apprensione era ancora lì, certo, ma se quello che aveva in mente suo padre avesse davvero potuto dargli più tempo, allora si sarebbe accontentato. -Perdonami per averti disturbato.-

Xander lo guardò con affetto, uno di quei rari sorrisi dipinto sulle labbra. -Tu non disturbi mai.-

Leo fece per rispondere, ma la risata assordante di Elise gli tolse le parole di bocca. I due fratelli si volsero verso le loro sorelle, che chiacchieravano entusiaste con una Camilla appena smontata dalla sua viverna e che, al momento, stava soffocando Ileana in uno dei suoi abbracci.

-Camilla! Non respiro!- riuscì a gemere Ileana, sebbene non stesse facendo alcun tentativo di liberarsi dalla stretta della sorella, anzi.

Elise saltellava attorno a entrambe, troppo felice per stare ferma, prima di buttarsi addosso a loro per unirsi alle manifestazioni di affetto. Camilla non barcollò nemmeno e si limitò a stringere a sé anche quella sorellina così entusiasta, passandole un braccio attorno alle spalle.

-Camilla.- Xander sorrise mentre si avvicinava alle tre, e così fece Leo appena dietro di lui. -Potresti non asfissiare Ileana per il momento? Vorrei farle fare un giro del castello, almeno.-

La risata di Ileana si fece più forte quando Camilla allentò la presa. -Tranquillo, fratello. Ci sono abituata.-

-Ottimo!- cinguettò la principessa di Nohr, scoccando alla sorellina un bacio tra i capelli. -Perché non smetterò di coccolarti solo perché adesso verrai a vivere a palazzo con noi!-

Elise stava praticamente rimbalzando, quasi fosse una molla. -Nemmeno io! Nemmeno io!- gioì mentre stringeva le braccia attorno alla vita della sorella. -Ti voglio tanto bene! Ti voglio tutto il bene del mondo!-

-Vi prego.- Leo le rimproverò, serio solo per finta. -Potreste almeno provare a darvi un contegno e a comportarvi con la regalità che ci si aspetta da voi?-

Elise gli fece la linguaccia, ma Camilla gli sorrise, lasciando andare Ileana solo per stringere le braccia attorno a lui. -Oh, Leo. Il mio adorato geniale fratellino. Come faremmo senza di te a tenerci tutti in riga?-

-Probabilmente finireste a farvi rimproverare per comportamenti inappropriati un giorno sì e l’altro pure.- ribatté, ma c’era l’ombra di un sorriso sul suo volto mentre Camilla gli lasciava un bacio sulla guancia.

-Andiamo.- Xander richiamò l’attenzione di tutti, precedendoli verso la scalinata della torre d’accesso. -C’è il pranzo che ci aspetta, e i nostri sarti ti attendono per fornirti l’abbigliamento consono a un’udienza con nostro padre, Ileana.-

-Ma certo.- rispose subito la diretta interessata, saltellando accanto al maggiore dei suoi fratelli per stringersi al suo braccio. Le spalle di Xander si rilassarono appena a quella coccola, una delle mani ancora coperte dall’armatura che si stringevano su quelle più piccole e indifese di lei. -Scusaci per il ritardo.-

-Fa lo stesso, principessina.- la perdonò lui, accarezzandole appena i capelli. -Ora, vieni con me. Abbiamo un po’ di tempo per farti vedere casa prima di dover tornare ai nostri impegni.-

Muovendosi all’unisono, i cinque si incamminarono verso le scale della torre e poi attraverso il ponte che conduceva al castello. Elise era in testa al gruppo, naturalmente, e con la sua allegria aprì la strada verso il portone di ingresso. Ileana rimase indietro in poco tempo, impegnata com’era a guardarsi attorno; Leo se ne accorse e rallentò, attendendo pazientemente che lei lo raggiungesse.

-Tutto bene, sorella?- le domandò una volta che lo ebbe affiancato. -Sei stata così silenziosa per tutto il viaggio. Qualcosa ti preoccupa?-

I corti capelli biondi di Ileana le solleticarono il mento quando scosse la testa. -No, tutto bene. Credo di essere solo un po’… sai. È tutto così…-

Lo sguardo di lui seguì gli occhi affascinati di Ileana verso le torri, verso i balconi che circondavano il burrone in cui era incastonato il castello. Ma certo, si disse, rimproverandosi per la propria cecità: Ileana era stata rinchiusa e isolata per così tanto tempo che, forse, tutti quei posti nuovi e quegli odori sconosciuti erano sufficienti per sopraffarla. -Capisco.-

-Ti chiedo perdono se mi sono rivelata una cattiva compagnia. Spero tu non ti sia annoiato in carrozza?- gli domandò lei, gli occhi verdi che lo guardavano trafitti da una scheggia di senso di colpa.

Leo le rispose con un sorriso e le mise un braccio attorno alle spalle per stringersela addosso, lasciandole un bacio sulla tempia e strappandole una risata. -Certo che no, sorella. Ho avuto tutto il tempo per studiare il mio libro, almeno finché Elise non si è svegliata. Anche se il suo russare mi aveva reso difficile concentrarmi.-

Disse la parte finale ad alta voce di proposito, e la minore delle principesse di Nohr si voltò in un batter d’occhio, arrossendo furiosamente. -Io NON russo!-

-Oh? E come lo sai? Dormivi così profondamente che non credo ti avrebbe svegliato nemmeno lo scoppio di una battaglia.- la prese in giro lui, mentre Ileana si mordeva un labbro cercando di non scoppiare a ridere.

-Leo! Sei cattivo!- piagnucolò la piccola, un broncio adorabile sulle guance tonde, le orecchie che avvampavano di un dolcissimo rosso. -Un cattivo con il mantello al contrario!-

Per contro, il fratello impallidì con violenza. -COSA?! E non potevi dirmelo prima di scendere dalla carrozza?!-

-Così impari a essere cattivo!- replicò lei, piroettando su se stessa per poi infilarsi fra gli enormi portoni socchiusi del castello, perfettamente soddisfatta della propria piccola vendetta.

Ileana quasi soffocò per trattenere il riso e Leo, oltraggiato, si girò per lanciarle un’occhiataccia. -E tu perché non mi hai detto niente, sorellina traditrice?-

Lei sorrise, girandogli intorno per sganciare i fermagli del suo mantello. -Ho dimenticato di menzionarlo?-

Lui brontolò qualcosa di inintelleggibile mentre lei gli toglieva il mantello per girarlo e poi drappeggiarglielo nuovamente sulle spalle. -E io che pensavo di potermi fidare almeno di te.-

L’unica risposta che ottenne fu una risata, mentre il suo mantello – ora indossato nel verso giusto – veniva di nuovo fissato alla sua armatura. -Scusa, Leo. Ma queste piccole cose ti rendono così adorabile.-

Leo alzò gli occhi al cielo, ma non si scostò quando la sorella gli soffiò un bacio su una guancia e si decise a entrare a sua volta, passando attraverso le porte che Xander aveva tenuto aperto per loro per tutto il tempo. Dentro, Camilla li attendeva con un sorriso, Elise al suo fianco impegnata a spostare il peso da un piede all’altro ogni due secondi.

C’era un calore nuovo negli occhi di Xander mentre la guardava tendere le mani a Ileana e trascinarla lungo il corridoio, raccontandole qualsiasi cosa le passasse per quella mente così vivace. Leo e Camilla le seguivano in silenzio, ridacchiando ogni tanto a per qualcosa che le scappava, il suono che si univa al divertimento di Ileana e alla risata assordante di Elise.

Una voce, da qualche parte nella sua testa, gli fece notare che forse una vita senza quella risata non sarebbe stata una vita degna di essere vissuta.

Con un sospiro, il Principe Ereditario chiuse le porte del castello alle proprie spalle.

 .

.

Ileana fece un’altra giravolta allo specchio, le dita strette nella stoffa del mantello per vedere come si muoveva assieme a lei. Sorrise, soddisfatta dell’effetto.

Gli abiti che indossava erano una versione impreziosita della divisa dei Maghi Oscuri – -Perché sarebbe degradante vedere una principessa vestita come un soldato qualunque!- aveva spiegato Camilla mentre la aiutava a provare l’armatura.

Ileana era contenta che fosse tutto scuro, arricchito da profili dorati, il blu di solito associato ai maghi completamente sostituito dal nero indossato, per tradizione, dagli esponenti della famiglia reale di Nohr. L’unico tocco di colore erano l’interno del mantello e alcune decorazioni su spalle e fianchi, che erano di un verde scuro ma vivido, lo smeraldo delle foreste.

Era sicura di dover ringraziare Camilla, per quello. Sorrise al pensiero della sorella maggiore e di quanto tormento avesse sicuramente dato a quel povero sarto per assicurarsi che ci fosse almeno qualcosa di personale nella sua nuova uniforme.

Si avvicinò allo specchio e cominciò a controllare i fermagli del mantello, a riallacciare i bottoni dei polsini, a stirare con le mani ogni piega della stoffa. Voleva essere perfetta.

Non vedeva suo padre da dodici anni, e ne aveva avuti solo sei quando lui aveva ordinato di farla trasferire alla Torre Nord perché si addestrasse senza le infinite distrazioni che una principessa avrebbe trovato a corte.

I suoi ricordi erano pochi, mangiati dal tempo: non era nemmeno del tutto sicura di ricordarsi esattamente che aspetto avesse, quell’uomo.

Portò una mano a riavviarsi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e sotto il cerchietto.

Sarebbe stato contento di lei? Sapeva che avrebbe preferito addestrarla alla spada, perché l’avrebbe resa una figura molto più versatile in termini di formazione militare, ma era stato evidente fin da subito che la via dei “bastoni di metallo appuntiti” – come Leo si divertiva a definire la scherma – era la via peggiore che avesse potuto intraprendere.

Era stata un’idea di Camilla di farle studiare la magia, e solo i Draghi sapevano quante notti aveva dovuto passare a litigare con Xander sulla questione. Ma una volta che Leo stesso aveva cominciato ad addestrarla, beh, non c’erano più stati dubbi su quale fosse il suo talento.

Ileana pensava che avrebbe comunque potuto rendersi utile all’esercito. Aveva studiato le strategie che di solito i suoi fratelli adottavano in battaglia: Xander era sempre in prima linea, a guidare i suoi cavalieri nel cuore dello scontro, mentre Leo, con Elise e i suoi maghi, costituivano le retrovie e l’ultima linea di difesa, pronti a entrare in azione nel caso in cui si dovesse suonare la ritirata; Camilla poteva giocare sia in attacco che in difesa, aiutando il maggiore nell’offensiva e coprendogli le spalle dall’alto durante la ritirata.

Se il re le avesse permesso di addestrarsi come Incantatrice, avrebbe potuto guidare una piccola squadra di assalto che potesse affiancare Xander, permettendogli di spezzare i ranghi nemici molto più agevolmente e contando su di lui per proteggersi da quegli assalti che una manciata di maghi non avrebbe mai potuto bloccare.

Ma era ancora tutto molto incerto. C’era sempre quell’unico, enorme punto di domanda: le sarebbe stato permesso anche solo di avvicinarsi all’esercito, incapace com’era di scatenare il potere delle vene drago?

Ileana sapeva che quella capacità – o incapacità, nel suo caso – avrebbe effettivamente deciso del suo futuro. Il re aveva bisogno che i suoi figli fossero dei generali, e catalizzare tutto quel potere poteva veramente alterare le sorti di uno scontro: era di fondamentale importanza che imparassero ad attivarle, e il prima possibile… eppure lei doveva ancora imparare anche soltanto a percepirle. Xander le aveva garantito che ne era in grado, che ce l’aveva nel sangue, ma lei non era mai riuscita a incanalare nemmeno una goccia di potere dai molti pozzi di energia draconica sparsi per tutta Euanthe e per tutta la Torre Nord.

Per molto tempo non le era importato. Non era mai stata… adatta alla guerra. Non le era mai pesato di non poter usare le vene drago, perché significava non essere costretta a gettarsi subito nelle scaramucce con il regno di Hoshido o a partecipare alle contromisure adottate per sedare le ribellioni dei principati annessi in qualità di capo militare – un ruolo per cui lei sapeva di non essere assolutamente tagliata, ora come allora. Tuttavia, questa sua incapacità che lei aveva considerato un dono si era ben presto tramutato in una maledizione, non appena i suoi fratelli e sorelle erano stati chiamati a combattere negli scontri che stavano facendo Nohr a brandelli… mentre lei era stata condannata ad aspettare un segno di vita da parte loro. L’immobilità della torre le aveva dato sui nervi in fretta, rendendola impaziente e nervosa, mentre la preoccupazione per i suoi fratelli la divorava viva.

Detestava tutt’ora l’idea di combattere, ovviamente, ma l’avrebbe sopportato con gioia pur di essere al loro fianco, a proteggere loro e quella casa che loro amavano tanto.

Eppure la sua risolutezza non aveva destato alcun potere. Appena aveva cominciato a temere che sarebbe stata condannata ad aspettare in eterno, il re aveva deciso di richiamarla a Krakenburg, convinto che ormai non ci fosse più nulla che potesse imparare rinchiusa nella sua torre d’avorio. Ileana poteva solo sperare che avesse un piano, qualcosa per svegliare il sangue di drago ancora silente in lei, che conoscesse qualcosa che lei e Xander ignoravano o a cui non avevano ancora pensato.

Andrà tutto bene.” si disse per rassicurarsi, riaggiustando il mantello per l’ennesima volta. “Smettila di aspettarti in peggio. Saprà cosa fare. Andrà tutto benissimo.

Un ultimo sguardo allo specchio e, dopo un lungo respiro, Ileana girò su se stessa, col mantello che le ondeggiava intorno in un modo che la fece sorridere, e uscì dalla stanza.

Si era giusto chiusa la porta alle spalle quando lo sentì, appena in tempo, e si scansò a sinistra.

Thud.

Si voltò, per nulla preoccupata, per guardare il pugnale affondato nel legno proprio all’altezza delle sue orecchie. Alzò gli occhi al cielo.

-Mancata!- annunciò alla stanza vuota e, proprio come aveva previsto, la figura di un uomo emerse dalle ombre dietro a una delle lunghe, spesse tende purpuree che incorniciavano le finestre del salottino fuori dalle stanze del sarto.

-Non potete davvero darne la colpa a me. Siete sempre stata molto brava ad evitare qualunque lunga, rigida cosa diretta contro di voi.- la prese in giro mentre le si avvicinava, lasciando che le ombre si ritirassero dal suo volto per permetterle di vederlo: pelle olivastra, capelli candidi, benda sull’occhio e sorriso perfido, proprio come lei lo ricordava. -È un tale piacere vedere che non avete perso i vostri riflessi.-

-Volevi testare i miei riflessi? Sarebbe questa la tua scusa?- replicò lei, il sorrisetto che si faceva furbo. -Mio adorato Niles, se ci tenevi così tanto a trafiggermi con qualcosa dovevi solo chiedere.-

Una scintilla baluginò nell’unico occhio blu elettrico di lui. -Occhio a quella lingua, principessa. Potrei essere tentato di farne buon uso…-

-Un avvertimento del genere, proprio da te?- lo prese in giro, ma c’era un sorriso sincero nella sua voce. -Comunque so che avevi mirato alla porta.-

-Ma certo. Come se potessi mai osare farvi del male, mia signora.- Niles le concesse con un inchino, la tensione che gli abbandonava le spalle, la cattiveria la voce, la malizia il viso. -Quanto mi sono mancati i nostri giochi di parole.-

Ileana annuì. Per un attimo sembrò quasi volerlo abbracciare ma poi, dopo un attimo, parve ripensarci. -Già. Ne è passato di tempo dall’ultima volta che sei venuto alla Torre Nord. Mio fratello ti tiene impegnato, deduco?-

Un suo sospiro e un sorrisetto furono l’unica risposta che le offrì.

Ileana alzò gli occhi al cielo. -Mi racconterai mai delle storie, Niles?-

Lui fece un passo verso di lei, il ghigno che si accentuava quando lei si rifiutò di fare un passo indietro. -I vostri fratelli non vi hanno mai detto che la curiosità uccise il gatto, mia signora?- la sua mano si alzò e si strinse sull’elsa del pugnale, strappando la lama dal legno con un unico strattone.

Lei non si scompose né disse nulla, nemmeno quando il filo del coltello le passò accanto al viso mentre lui rinfoderava l’arma. Sospirò. -Dubito che le mie storie soddisferebbero la vostra sete d’avventura, mia signora. Se sono storie d’eroi che desiderate, conosco un certo stregone che sarebbe felicissimo di raccontarvi le imprese di_-

SLAM!

-IO SONO ODIN DARK!- gridò lo stregone che Niles aveva appena chiamato in causa, come se l’avesse sentito, la porta del salottino quasi brutalmente divelta dai cardini tanto fu il suo entusiasmo. -ECCO GIUNGERE L’EROE PRESCELTO DAL FATO!-

-Giuro che non è stato pianificato.- le sussurrò Niles all’orecchio mentre l’Incantatore si metteva in posa.

-DEMONIO!- urlò quello, il mantello che ondeggiava alle sue spalle mentre stendeva il braccio con uno svolazzo, puntando un dito accusatorio verso il suo compagno. -Parto delle ombre più vili, hai tramato per sfuggire al mio vigile sguardo per corrompere la sacralità del nostro compito, MA GIAMMAI! Nell’oscurità ho percepito i tuoi intenti malvagi e sono giunto qui, sulle ali del mio immenso potere, per proteggere la dolce principessa dalle tue grinfie peccatrici!-

La risata della “dolce principessa” in questione riecheggiò per il salotto e il corridoio mentre lei si lanciò in braccio a lui. -Mio salvatore!- sospirò con finto sollievo mentre si abbandonava tra le sue braccia, il dorso di una mano contro la fronte.

-Mia signora! Ritrovarvi sana e salva doma l’ardore dell’antico sangue che divampa nelle mie vene!- dichiarò lui mentre la prendeva tra le braccia per alzarla dal suolo, preso dall’entusiasmo. -Spero che il mio compagno non abbia… ecco… esagerato?- aggiunse in un tono più serio, davvero preoccupato, mentre la depositava delicatamente al suolo.

-Non temete, mio eroe.- rise Ileana, scoccando un bacio sulla sua guancia. -Si è comportato da vero cavaliere.-

Qualsiasi commento di Odin sulla dubbia concezione del “comportamento da vero cavaliere” di Niles gli sfuggì di mente non appena vide il mantello svolazzante che incorniciava la figura della principessa.

-MIA SIGNORA! La più splendente delle oscurità vi ha accolta nel suo gelido abbraccio!- esclamò, crollando in ginocchio e prendendole una mano tra le proprie. -La vostra aura, posso avvertirla salmodiare il suo canto di gioia, e destata infine dal suo sonno ora riluce d’impazienza in questo vostro fragile involucro di carne! Le ombre decantano il vostro nome e si diramano in voi, colmando il vostro innocente cuore della loro arcana magia! Creatura della notte, voi siete l’emblema dell’occulto splendore di una campionessa incoronata dalla Magia Profonda stessa!- le lasciò un bacio lieve sul dorso della mano. -Oh, quali incanti tesseranno queste dita! I vostri nemici cadranno nel terrore dinanzi al vostro sconfinato potere, e ringrazieranno i loro dei che sia la vostra mano, incantevole portatrice di morte, ad aver donato loro la pace dell’ultimo respiro sulle ali nere di un cigno!-

Ileana sorrise nonostante il rossore che le pervadeva il viso a quella cascata di complimenti, per quanto improbabili, ma Niles sbuffò.

-Va bene, Odin, abbiamo capito. Lei è deliziosa e tu sei a metà strada tra chiederla in sposa e avere un orgasmo.- sogghignò, Niles, al suono strozzato con cui gli rispose il mago e al rossore più vivido che si estese al collo della principessa. -Ora, possiamo andare dal re oppure vuoi essere tu a spiegare perché l’abbiamo accompagnata all’udienza in ritardo?-

Non servirono altre parole perché Odin saltasse in piedi. -Siate pronta, principessa, al destino che si snoda dinanzi a noi!- la prese sottobraccio e cominciò a guidarla in corridoio, fuori dal salotto. -Canterò la vostra beltà mentre ne percorreremo gli ardui sentieri, pronti a compiere ciò che è stato inciso fra i rovi che ci accompagnano nel nostro cammino! Che ogni pietra di questo castello si pieghi al vostro cospetto, e che ognuna rimembri il vostro passaggio e si inchini al vostro volere quando solcherete nuovamente questi luoghi!-

Il sorriso di Ileana tremò. -Oh, Odin, non è davvero necessario…- provò a dire, ma lui la ignorò del tutto.

-Principessa, è mio dovere rendervi omaggio! Sarebbe un peccato mortale non concedere ad ogni anima di questa terra dannata la consapevolezza della meraviglia che muove or ora i suoi primi passi fra questi irti pericoli e i più seducenti degli intrighi!- trillò lui, imperterrito, il suo braccio ben stretto al proprio. -Ora, dove ero arrivato? Ah, sì! Sulle ali di un cigno che ha sottratto al corvo il suo piumaggio, voi condurrete_-

La voce di Odin divenne un trascurabile rumore bianco nella mente di Niles: dopo tanti anni passati a lavorare fianco a fianco, aveva imparato a smettere di ascoltare quando il suo compagno si perdeva in quei suoi discorsi di eterna gloria e profonda oscurità – una questione di sopravvivenza, a suo modesto parere, considerate tutte le ore che si ritrovava a passare in sua compagnia. Si incamminò dietro ai due, mantenendosi a qualche passo di distanza, l’occhio vigile che scrutava i muri per cogliere ed anticipare qualsiasi eventuale minaccia – certo, probabilmente non ce ne sarebbero state, ma non si poteva mai essere troppo cauti.

Passando da una parete all’altra, il suo sguardo rimase impigliato per qualche secondo sul rossore che ormai ricopriva viso, orecchie e addirittura spalle della principessa. Non poté trattenere un sogghigno a quella vista: lei aveva sempre tollerato e persino partecipato alle stranezze di Odin, tanto quanto alle battute sconce di Niles… ma era timida, quella ragazza, e dolce, e non era del tutto a proprio agio al centro dell’attenzione – specie quando quell’attenzione era rumorosa come poteva essere soltanto Odin.

Oh, sì, la principessa era sempre stata dolce – anche se, dal suo punto di vista, non era sempre stato così. Aveva impiegato anni per smettere di odiarla, per riuscire a vederla per ciò che era: un folletto di bambina, sempre così felice di passare da un abbraccio a un altro, sempre così affamata di ogni segno d’affetto mostratole dai suoi fratelli e sorelle, inseguita da quel profumo di biscotti allo zucchero che lei preparava e che non mancava mai di infilare nelle tasche di suo fratello e delle sue guardie. Si chiese per un istante se avesse ancora l’odore di biscotti impigliato addosso, quell’aroma fragrante di pasta frolla appena uscita dal forno sulla pelle…

Un lieve sogghigno si disegnò sulle sue labbra profane: l’idea di accostarsi a lei, alla ricerca di quel profumo zuccherino nascosto tra i suoi capelli, era una tale tentazione, e Niles si scoprì a leccarsi le labbra. Ma Odin avrebbe gridato all’eresia e forse l’avrebbe persino sfidato per l’onore della sua “signora”… ovviamente, sempre che quest'ultima non finisse per dare fuoco a tutto – se stessa compresa – per la sorpresa e l’imbarazzo.

Soffocando una risata, le concesse un ultimo sguardo di apprezzamento – non aveva esagerato quando, rispondendo ad Odin, l'aveva definita deliziosa: era diventata proprio una bella bambolina…

…un peccato che sarebbe stata fatta in tanti pezzettini nel giro di pochi giorni, non appena la corte nohriana avesse allungato le mani su di lei.

Sapeva che la stavano aspettando, e da tempo. Poteva già quasi vederli, protesi verso di lei con quei loro artigli e zanne snudate, affilate apposta per affondarle nella pelle più facilmente, celati dietro sorrisi di benvenuto e lingue d’argento che nascondevano lo scintillio delle lame dei pugnali.

Dovevano solo aspettare un’occasione, che il re le voltasse le spalle… e lo avrebbe fatto sicuramente se lei avesse fallito quella specie di test che aveva in serbo per lei. A re Garon non serviva a nulla qualcuno che non sapesse sfruttare il potere del sangue che le scorreva nelle vene, se non a produrre eredi in grado di farlo.

Lui lo sapeva, e sapeva che lo sapevano anche loro: li aveva sentiti complottare, aveva sentito i sussurri silenziosi che aleggiavano per i corridoi, di cui lui si nutriva quotidianamente. Strisciavano, quelle voci, mormoravano, raccontavano di una principessa ingenua che non aveva ancora sbloccato il potere dei draghi, e pregavano che fallisse la prova del re, sapendo che i suoi fratelli non avrebbero potuto proteggerla. Sapeva che avevano già fatto dei piani, che c’erano già trappole pronte a scattare negli gli anfratti più bui del castello, che le loro mani fremevano per toccare, prendere, strappare, il sangue della principessa votato in sacrificio perché loro potessero arrivare più vicini al Trono di Spine.

Questa era la corte di Krakenburg… ma lei non lo sapeva.

Era cresciuta rinchiusa in una torre, lontana dagli intrighi e dalla politica, circondata dall’affetto incondizionato dei suoi parenti e dei suoi custodi, ma la realtà della capitale era molto, molto diversa dalla vita che aveva condotto fino a quel momento.

L’avrebbe travolta, senza pietà, all’improvviso, fredda come il ghiaccio.

Non era sicuro che sarebbe sopravvissuta, e sapeva di non essere l’unico ad avere quel timore: il principe Leo non aveva condiviso con lui le sue preoccupazioni, ma lui le aveva lette nell’irrequietezza dei suoi occhi, nel pallore delle mani che stringevano Brynhildr più convulsamente del solito. Sapeva cosa pensava ed era d’accordo: Ileana non era pronta.

Certo, era una dei più abili e dotati maghi che avesse mai visto… seconda solo a Leo, forse, e con tanto talento da potersi confrontare anche con lui. Il fratello l’aveva addestrata di persona, con uno zelo nato da un errore commesso così ingenuamente, ma che non si era mai perdonato.

Niles stesso era stato suo insegnante, per un po’: dopo quel… piccolo imprevisto con un incantesimo di fuoco commesso quando era giovane e davvero troppo entusiasta, il fratello l’aveva costretta ad imparare a mirare con arco e frecce, prima di permetterle di allungare le mani su un libro di magia. Ma Ileana era stata preparata alla battaglia, e non agli intrighi che costituivano le vere e proprie pareti del castello di Krakenburg.

I suoi fratelli avrebbero cercato di proteggerla, ovviamente, di fare da schermo tra lei e quei nobili sempre pronti, in agguato, alle spalle. Loro erano cresciuti a Windmire, erano abituati alle brutalità che i nobili erano disposti a compiere e che avevano reclamato le vite di tutti i loro vari fratellastri e sorellastre. Sapevano quando sorridere e quando minacciare, come evitare le trappole per rispondere colpo su colpo con la medesima cattiveria, sapevano tirare sempre il filo giusto per guardare interi complotti disfarsi ai loro piedi, e potevano crearne di altrettanto intricati per proteggere se stessi e i loro cari.

Ma non avrebbero potuto proteggerla per sempre, non quando avevano i loro doveri nei confronti del re da portare a termine.

Prima o poi, Ileana sarebbe rimasta sola e, senza la protezione del padre, sarebbe stata la sua fine.

Il suo occhio le accarezzò di nuovo la pelle: già poteva distinguere i lividi, i tagli, il sangue scorrere a saziare la sete del castello – già poteva vederla, sanguinante, spezzata, ferita, le guance rigate di lacrime lucenti, il suo bel visino distorto dal dolore e dalla paura.

Anni prima, quelle immagini lo avrebbero fatto gemere di piacere, volere di più, avrebbero portato le sue dita a stringersi sull’elsa di un pugnale. Oh, quanto, quanto l’aveva odiata – aveva odiato il suo disinteresse, la sua leggerezza, la sua innocenza… Ma col passare del tempo, mentre lei cresceva – il cuore più pesante, i pensieri più cupi, il futuro più incerto – quell’odio era diminuito fino a svanire.

Non meritava di essere lasciata in balia della nobiltà. Certo, una buona dose di realtà era quello che serviva a quella ragazza ingenua per svegliarsi dalla vita dorata che aveva condotto fino a quel giorno, ma quello era… troppo. Non era quello che le avrebbe certo augurato – dopotutto, il suo dolore sarebbe stato quello del principe Leo. Ed era un suo preciso dovere impedire che qualsiasi cosa facesse del male al principe.

Ileana doveva passare la prova del re. Doveva, se voleva avere anche una sola possibilità di sopravvivere.

Forse gli sproloqui di Odin non erano poi così male, dopotutto: almeno la principessa era troppo occupata a imbarazzarsi per preoccuparsi di quello che l’attendeva…

-Vi ho mandato a recuperare mia sorella perché la aiutaste a trovare la strada per la sala del trono, non perché gliela faceste perdere.-

La voce del principe Leo aveva il potere di fermare sul nascere, senza sforzo alcuno, anche le più rumorose, mirabolanti parole che la fantasia di Odin riusciva a mettere insieme. L’Incantatore sobbalzò, slegando immediatamente il proprio braccio da quello della principessa per inchinarsi al suo principe balbettando scuse e spiegazioni. Anche Niles fece un inchino, un sorrisetto di scuse l’unica risposta allo sguardo accusatore di Leo.

Leo sospirò. -Da qui ci penso io.- decise, interrompendo di nuovo gli sproloqui di Odin. -Voi potete andare. Aspettatemi nel mio studio, vi raggiungerò lì terminato l’incontro con mio padre.-

E poi girò sui tacchi, senza nemmeno fermarsi a controllare che i suoi ordini venissero eseguiti – sapeva che l’avrebbero fatto, come sempre, anche se solo dopo le loro solite stupidaggini: Odin si sarebbe inerpicato in qualche discorso dei suoi, Niles sarebbe stato Niles e l’avrebbe imbarazzato così tanto da farlo smettere per poi prenderlo in giro senza pietà mentre si incamminavano. A Leo, di solito, piaceva restare a guardarli, perché per quanto potessero essere frustranti le stranezze delle sue guardie riuscivano sempre a farlo sorridere.

Tuttavia quel giorno non era proprio dell’umore per sopportare delle sciocchezze e, così, si girò, incamminandosi con passo svelto inseguito dall’eco dei passi concitati di Ileana.

-Siamo in ritardo, fratello?- gli chiese quando lo ebbe raggiunto, preoccupata.

Leo si costrinse a espirare quel sospiro che non poteva fare a meno di trattenere, e a rallentare. Le offrì il braccio, che lei strinse con un sorriso e una domanda negli occhi. -No, siamo puntuali. Perdonami, sorella. Ho delle cose per la testa.- la mano guantata coprì quella di lei, attenta a non impigliarsi nel pizzo che le velava le braccia.

Il sarto aveva davvero fatto un ottimo lavoro con le sue vesti, doveva ammetterlo. Ileana era incredibile, così avvolta da nero e oro e verde, da armatura e pizzi. Era semplicemente stupenda, e in battaglia sarebbe stata terribile, con i contrasti di luce e ombra che caratterizzavano la magia Profonda in cui lei era tanto brava – proprio come per Camilla, avrebbe trasformato quella bellezza in un’arma, fatta per ispirare i suoi alleati e distrarre i suoi nemici.

O, almeno, lo sarebbe stata, una volta che avesse provato la sua forza, il potere del suo sangue. Fino ad allora, quella bellezza sarebbe stata solo una tentazione. Leo si ritrovò a ringraziare ogni stella del cielo di Nohr per essere riuscito a tenere la data del suo arrivo a Krakenburg lontana dalle orecchie della corte. L’ultima cosa di cui aveva bisogno quel giorno era la nobiltà che veniva a dare un’occhiata al loro potenziale giocattolino nuovo.

Si fermò, così all’improvviso che Ileana inciampò leggermente, ma lui se ne accorse a malapena mentre la sua mente correva a mille miglia all’ora. -Leo, che_?-

-Quando entreremo nella sala del trono…- cominciò, la bocca asciutta, i nervi a fior di pelle. -…non saremo lì in qualità di figli. Saremo dei soldati di fronte al loro re. Capisci?-

Il suo silenzio, il modo in cui la sua mano si strinse sul suo braccio gli dicevano che no, non capiva cosa stesse succedendo, ma che qualche parte di lei comprendeva che non fosse niente di buono.

-Non rispondergli.- continuò, voltandosi verso di lei e prendendole il viso tra le mani, il peso dei suoi errori a gravargli sulle spalle. -Non contestare. Non importa cosa ti dirà, va bene? Solo accetta gli ordini, e se c’è qualunque problema lo risolveremo insieme, tra di noi, e faremo comunque sembrare che tu abbia fatto tutto quello che ti ha chiesto. Okay?-

-Leo…- le sue dita si intrecciarono a quelle che le toccavano le guance mentre lei gli permetteva il contatto, gli occhi verdi attenti che reggevano il suo sguardo bruno. -Cosa succede? Cosa non mi hai detto?-

Fu l’orgoglio a gonfiarglisi in petto. Certo che aveva capito. Era intelligente, checché ne dicesse lei o chiunque altro, e lui aveva fatto in modo di addestrare e affilare quell’intelligenza in ogni modo possibile.

Non dirle. Quello era stato il loro errore – di Xander, di Camilla, suo. Erano sempre stati così ansiosi di proteggerla, di farla felice, che non si erano mai preoccupati davvero del giorno in cui lei sarebbe dovuta entrare nel mondo di Krakenburg finché quel giorno non era stato troppo vicino perché potessero continuare a ignorarlo. Avevano trasformato lei e la Torre Nord in un rifugio in cui gli intrighi non esistevano, ma Leo ora non riusciva quasi a respirare al pensiero che, forse, avevano scavato la tomba della sorella con le loro stesse mani.

L’avevano protetta troppo, tenuta all’oscuro troppo a lungo – proteggevano Elise con la stessa determinazione, ma almeno Elise era lì al castello e poteva vedere con che ambiente avrebbe dovuto confrontarsi prima o poi, per quanto schermata e di poca importanza fosse adesso. Ma Ileana non aveva avuto nemmeno quella possibilità. E adesso doveva entrare, del tutto alla cieca, senza nemmeno sapere che tipo di re fosse il loro padre né come comportarsi di fronte a lui.

“Hedi, perdonaci. Cos’abbiamo fatto?”

Ileana reclinò il capo di lato mentre lui le passava il pollice sulla guancia, sempre più perplessa e preoccupata. -Leo? Mi stai spaventando.-

Bene, avrebbe voluto dirle. Aveva ottime ragioni per essere spaventata, e lui avrebbe voluto spiegargliele tutte, una per una, avvertirla, fare quello che avrebbe dovuto fare già da tempo.

Ma non poteva. Non ne aveva il tempo, né le parole.

Così forzò un sorriso, ingoiò il groppo in gola, e disse solo: -Perdonami, sorella. Non è nulla. Mi sono solo dimenticato di dirti quanto tu sia bella.- le soffiò un bacio sulla tempia, ignorando le sue domande e la preoccupazione nei suoi occhi. -Andiamo adesso, siamo attesi.-

Ringraziando il Drago Nero, erano oramai solo a un paio di corridoi di distanza dalla sala del trono, perché Leo non avrebbe potuto sopportare il peso di quegli occhi per un minuto di più.

-Sorella!- Elise trillò quando li vide avvicinarsi, lanciandosi addosso ad Ileana per stringerla in un abbraccio.

Anche Camilla si avvicinò, ma decise di lasciare le sorelline alle loro dimostrazioni d’affetto per un po’. Leo fu decisamente sorpreso di sentire le braccia della sorella maggiore che se lo stringevano addosso in un abbraccio tutto per lui.

-Mio dolce Leo, sei pallido come un lenzuolo!- lo rimproverò, permettendogli di respirare solo per prendergli il volto tra le mani ed esaminarlo da vicino. -Sei certo di stare bene?-

Lui arrossì, non abituato a tutta quell’attenzione, ma qualcosa in lui era ben contento che qualcuno notasse il suo stato e se ne preoccupasse. -Sto bene, Camilla!- soffiò, inevitabilmente.

-Ah, fratellino. D’accordo, d’accordo, ti lascio stare. Spero di non averti infastidito troppo.- ridacchiò lei in risposta, le dita a riordinare i capelli che gli aveva arruffato lei stessa. Leo si rifiutò di replicare, sbuffando in risposta, così la maggiore delle principesse di Nohr spostò la propria attenzione sulle sorelle. -Ileana, mia cara. Sei splendida.-

Il suo commento parve richiamare l’attenzione di Xander, che era rimasto immerso nei suoi pensieri in silenzio vicino alla porta mentre le sue sorelle si salutavano. Si voltò giusto in tempo per vedere Camilla attirare Ileana – con Elise ancora appiccicata a un braccio – in uno dei suoi abbracci mentre Leo alzava gli occhi al cielo e brontolava qualcosa sul cercare di non soffocarla.

Ma fu Xander a soffocare per lei, quando i suoi occhi si posarono sulle vesti che coprivano – o, per essere più precisi, scoprivano – il corpo della sua sorellina.

Ileana era snella e minuta, com’era sempre stata. Lui l’aveva sempre saputo, ma era sempre stato così preoccupato di come il suo corpo si muovesse durante l’addestramento che non si era mai fermato a notare come fosse si fosse ammorbidito nel tempo. Le trasparenze degli abiti che indossava erano aderenti e mettevano in evidenza tutte le curve che il suo corpo aveva maturato, ma copriva abbastanza da lasciare qualcosa all’immaginazione e da spingere un osservatore a chiedersi quando morbida potesse essere la sua pelle chiara sotto tutti i veli neri che la coprivano.

L’incrocio di nastri dorati incatenava gli occhi ai suoi fianchi, guidandoli su per la vita snella e sfidandoli a proseguire oltre, ad accarezzare quel lembo di pelle lasciato scoperto prima che altra stoffa e alamari scintillanti le nascondessero la gola. Il mantello le scendeva dalle spalle – probabilmente il suo pezzo preferito della divisa – come un paio d’ali nere, rivestito di un verde scuro e vibrante che ben si sposava coi suoi occhi. Se lo stava già stringendo addosso, di certo sentendosi esposta e leggermente infreddolita, coperta com’era da nient’altro che dai copribraccia di pizzo che partivano dal polso e si avvolgevano fin sotto le sue spalle.

Xander sentì qualcosa ringhiargli nel petto alla vista di sua sorella, e per un momento considerò seriamente l’idea di trascinarla di nuovo dal sarto e dargli una lavata di capo per aver confezionato alla sua principessina qualcosa di così succinto.

-Di chi è stata l’idea di presentarla all’esercito come Maga?- sibilò nell’orecchio di Leo mentre faceva un passo per avvicinarsi alle sorelle.

-È l’unico rango base del nostro esercito armato di libri di incantesimi.- il fratello gli ringhiò indietro sotto voce, chiaramente infastidito. -Sai che non posso darle una promozione finché non risolviamo questa seccatura delle vene drago. Ho già in mente qualcosa, a riguardo. Ne parleremo appena riuscirai a trovare del tempo per me, fratello.-

Xander sapeva che aveva ragione – Leo aveva sempre ragione – ma lui non poteva fare a meno di irritarsi al pensiero di ogni uomo dell’esercito che avrebbe lasciato vagare gli occhi viscidi sulla sua principessina.

Il portone della sala del trono si aprì con uno schianto, e sulla soglia comparve un uomo dai capelli scuri. Xander camuffò la propria smorfia con il suo cipiglio da Principe Ereditario – “A proposito di viscido…” ringhiò tra sé e sé.

-Miei principi, mie principesse.- li salutò tutti questo con un profondo inchino, la maschera dorata che gli copriva mezza faccia a tenergli indietro i capelli lunghi. -Ah, lady Ileana. Permettetemi di presentarmi formalmente, questa volta: sono Iago, primo consigliere del re e stratega dell’esercito nohriano.-

Ileana sentì la pelle accapponarsi in risposta al modo in cui la guardava, ma ignorò il brivido che le corse lungo la schiena. Fece un cenno nella sua direzione, una semplice cortesia richiestale dall’etichetta di corte. -È un piacere, Iago. Ma non ricordo di avervi mai incontrato.-

Il sorriso dell’Incantatore si trasformò in un ghigno che le gelò il sangue nelle vene. -Venni una volta alla Torre Nord per avere notizie del vostro addestramento. Ovviamente, rimasi positivamente impressionato dalle vostre abilità magiche. Ma è stato anni fa. Siete cresciuta…-

Quell’ultima aggiunta fece irrigidire Leo, e Xander fece un passo verso lo stratega, effettivamente piazzandosi tra lui e la sorella. -C’è qualcosa che devi comunicarci, Iago?- gli chiese, bandendo i convenevoli.

-Il re è pronto a ricevervi, milord.- Iago gli rispose subito, liberando l’entrata alla sala del trono e facendogli segno d’accedere con uno svolazzo della mano.

Il Principe Ereditario annuì, e fece segno alle sorelle di seguirlo con un cenno. I principi e le principesse di Nohr entrarono nella sala del trono, uno alla volta, Xander per primo ed Elise per ultima. Ileana era in fila dietro Leo, il cuore che batteva forte nel petto e la bocca secca mentre oltrepassava quella soglia. Tutto il nervosismo che la compagnia dei suoi fratelli e delle loro guardie aveva tenuto a bada durante la sua prima mattinata a Krakenburg rialzò la testa, e lei strinse i pugni per farsi forza. Prese un respiro profondo mentre si metteva in riga, i fratelli e le sorelle accanto a lei, e si sforzò di trovare il coraggio di guardare in direzione di quel padre che non vedeva da dodici lunghi anni.

Re Garon sedeva sul suo trono nero, un’ascia imponente dall’aspetto letale appoggiata al muro alla sua destra, pronta all’uso. Si alzò in piedi mentre i suoi figli si inchinavano a lui, e Ileana si trovò a tremare notando quanto semplicemente torreggiava persino su Xander. Era alto quanto il maggiore dei suoi figli, se non di più, ma aveva un fisico molto più robusto… e lì finiva la somiglianza tra padre e figlio. Ileana si era sempre immaginata il padre come una copia più adulta del fratello maggiore, ma in quel momento si accorse di aver commesso un errore: non c’era assolutamente nulla di Xander nel re, se non il cipiglio serio e la tonalità degli occhi.

Quell’uomo era così… estraneo.

-Ileana.-

Sobbalzò quando lo sentì pronunciare il suo nome, senza alcun preavviso. Quasi scattò sull’attenti, le mani strette dietro di sé, la schiena ben dritta. -Sì, padre.-

-Benvenuta a Krakenburg, figlia mia.- la accolse, la voce profonda che ringhiava come un tuono e riecheggiava su per la volta della sala del trono e fin nelle sue ossa. -Spero che tu abbia avuto l’occasione di riprenderti dal tuo viaggio.

-Grazie, padre. E sì, mi sono ripresa.- disse con un piccolo inchino, il capo chino di fronte a lui. -Sono venuta a servirvi al meglio delle mie capacità.-

Il re la soppesò con lo sguardo, in silenzio, e lei osò sperare che fosse contento di lei. -I tuoi fratelli mi hanno raccontato delle meraviglie che sei in grado di compiere con un libro di magia tra le mani.- Ileana arrossì, e fece del suo meglio per soffocare il sorrisino compiaciuto. -Tuttavia, mi dicono anche che non sei ancora in grado di svegliare il tuo sangue ed attivare le vene drago.-

Ileana sentì il rossore farsi bruciante e tenne il capo chino, le unghie a scavarle i palmi delle mani, una spiacevole stretta d’ansia a chiuderle la bocca dello stomaco. Lottò contro l’istinto di stringersi intimorita nel mantello. -S_sì, padre.-

Il Re d’Ossidiana ridacchiò, un suono scuro che le punse la pelle. -Non c’è bisogno di essere così tesa, figlia mia.- disse lentamente, e se l’indulgenza nella sua voce fece rilassare le spalle del Principe Ereditario drizzò invece le orecchie di Leo, lo sguardo che andava avanti e indietro tra padre e sorella. -Ho discusso la tua situazione con Xander, e mi sembra che tutto ciò che ti serve per sbloccare il potere dormiente nel tuo sangue è… solo un po’ di pratica.-

Ileana scoccò uno sguardo a Xander, che annuì incoraggiante, il cipiglio sul viso che si distendeva appena. Loro padre aveva un piano per aiutare Ileana con il suo blocco, e non sembrava affatto preoccupato, e questo gli bastava.

-C’è una fortezza abbandonata al confine con Hoshido sull’Abisso Infinito. Voglio sapere se l’edificio è ancora in buono stato, per farne un avamposto per le nostre armate. Non dovrebbe esserci bisogno di combattere, ma potreste incontrare degli hoshijin in ricognizione, quindi voglio che tu sia pronta a difenderti.- Ileana annuì, così il re continuò: -Nessuno dei tuoi fratelli ti accompagnerà, ma non per questo ti manderò da sola. Prenderai con te una guarnigione di soldati che obbedirà ai tuoi ordini. Sarai anche accompagnata da Gunter, da una delle tue guardie, e da un veterano della mia guardia personale. Inoltre, per essere certo che non ti accada nulla…-

Il Re d’Ossidiana fece un cenno con una mano e Iago avanzò di un passo, una spada e un fodero tra le mani. Li offrì allo sguardo attento di Ileana, e Xander colse un lampo di apprensione nei suoi occhi verdi.

Garon proseguì: -Questa è Ganglari, forgiata con il potere di un altro mondo. I tuoi fratelli mi dicono che preferisci la magia, ma sei anche stata addestrata alla spada. Voglio che tu porti questa lama con te, cosicché se la tua magia fallisse per qualsiasi motivo, avrai comunque modo di proteggerti.- fece una pausa, gli occhi scuri che soppesava l’esitazione nelle mani della figlia. -Prendila, bambina mia. Non partire lasciando tuo padre a temere per te.-

Ileana colse il sorriso incoraggiante di Xander, e annuì al re, mite. Mentre suo padre tornava a sedere sul Trono di Spine, Iago le si avvicinò, la spada tra le mani. -Permettetemi, milady…-

Leo si mise in mezzo ancora prima che l’Incantatore finisse di parlare, le mani esigenti tese di fronte a sé. Qualcosa di venefico passò sul volto di Iago, ma così rapidamente che Ileana si chiese se non se lo fosse solo immaginato. Consegnò la spada al secondo principe di Nohr senza un’altra parole, e Leo la prese frettolosamente. Tornò in linea con i suoi fratelli, e Ileana sentì l’elsa della lama sfiorarle la mano. La magia che la pervadeva la fece rabbrividire quando le sue dita si strinsero sull’impugnatura.

-Ti ringrazio per la tua generosità, padre.- disse inchinandosi, azzardando un sorriso in direzione dell’uomo seduto sul suo trono oscuro.

-Partirai non appena possibile. Tuo fratello Leo ti aiuterà con le preparazioni e nel decidere la strada da percorrere.- Garon fece un cenno con la mano, e Leo strattonò discretamente il braccio di Ileana: erano appena stati congedati. -Xander. Voglio che tu cominci a preparare le nostre truppe. Voglio che un pezzo del nostro esercito vada ad occupare la fortezza non appena Ileana ne avrà preso possesso.-

-Sarà come volete, padre.- disse solennemente il Principe Ereditario, chinando il capo di fronte al suo re.

-Ileana.-

Ileana si bloccò sulla soglia, la voce del padre improvvisa come un colpo di frusta. Si volse verso di lui.

-Non deludermi.-

Deglutì, e si inchinò di nuovo. -Non accadrà, padre.-

 .

§

.

Un fulmine spaccò in due il cielo sopra la sua testa, e Ileana sorrise.

Le tempeste la affascinavano: adorava vedere il cielo incupirsi, sentire l’elettricità farsi guizzante, ascoltare il tuono ruggire in lontananza. La faceva sentire viva.

Là, nella sua torre, aveva spesso passato le notti tempestose in bianco, appollaiata davanti alla finestra, occasionalmente schiudendo i vetri per lasciar entrare un refolo di vento, qualche goccia di pioggia e il profumo che portavano con loro. Le uniche eccezioni erano state le notti in cui i suoi fratelli e sorelle si fermavano a dormire, quando il tempo era davvero troppo brutto per poter viaggiare. Durante quelle notti, quando era piccola, faceva finta di aver paura delle tempeste perché Xander e Camilla la lasciassero dormire con loro, tutti nello stesso letto, e piagnucolava finché non andavano a convincere Leo ad unirsi a loro.

Da grande aveva cominciato a lasciare in pace il fratello e la sorella maggiori, ma era stata Elise a prendere l’abitudine di infilarsi nella sua stanza – e lei aveva davvero paura delle tempeste, da piccola –, di solito trascinandosi dietro Leo per punzecchiarlo finché non si decideva a leggerle una storia della buonanotte; una volta messa a letto Elise, Ileana e Leo avevano trascorso un numero indefinito di notti svegli fino all’alba, chini sui libri di incantesimi tanto da addormentarcisi sopra.

Le tempeste sapevano di famiglia, e non esisteva niente che Ileana amasse di più della sua famiglia.

-Come facciate a mantenere quel sorriso in questo miserabile posto dimenticato dai Draghi è per me un mistero, Lady Ileana.- borbottò Jakob, irritato, mentre le passava una tazza di porcellana piena di tè caldo.

-Ed è per me un mistero come tu abbia pensato di portare un servizio da tè durante una marcia militare, Jakob.- rispose lei, con un sorrisetto. Il suo fedele maggiordomo le sorrise, ma un’altra voce si intromise prima che potesse risponderle.

-Ha ragione, ragazzo. Questo non è assolutamente il posto per le tue fragili porcellane.- ringhiò un Gran Cavaliere avvicinandosi al trotto a cavallo di una giumenta nera, la fedele lancia ben stretta in mano. -Non sei più alla Torre. Devi adattarti, comportarti di conseguenza. Non puoi continuare a viziare la tua padrona in questo modo, sotto il naso dei soldati. E voi non dovreste permetterglielo, milady.-

Ileana si scrollò il rimprovero di dosso con uno svolazzo della mano, restituendo la tazza al maggiordomo. -Lascia stare Jakob, Gunter. Si sta solo prendendo cura di me, come gli hai insegnato tu.- la smorfia del cavaliere si ammorbidì quando lei si avvicinò per lasciarsi aiutare a montare in sella. Lei gli soffiò un bacio su una guancia e si accomodò all’amazzone. -Però ha ragione lui, Jakob.-

Gunter sorrise mentre Jakob alzò gli occhi al cielo, ma nessuno dei due spese un’altra parola sull’argomento. Ileana cominciò a studiare le pieghe nel viso del cavaliere: Gunter era sempre stato serio da che aveva memoria, ma il cipiglio corrucciato che gli aveva incupito il volto da quando avevano lasciato la Torre Nord era… preoccupante.

Sembrava portare lo stesso peso del pallore delle nocche di Leo mentre le stringeva la mano fuori dalla sala del Trono, delle borse di apprensione sotto gli occhi di Xander mentre le augurava buon viaggio, delle dita di Camilla che le attorcigliavano i capelli come se non volesse lasciarla andare.

Ileana sapeva che erano in ansia per lei – perché altrimenti sarebbe stato stressato anche Gunter? – eppure non riusciva a capire il motivo di tanta preoccupazione… ma voleva scoprirlo: ad ogni costo.

-Gunter, mi porti a fare un giro?- gli domandò, richiamando subito l’attenzione del Gran Cavaliere. -Vorrei vedere l’Abisso.-

L’uomo ridacchiò, e lei poté sentire la sua risata vibrare sotto tutti gli strati di armatura che indossava. -Solo tu potevi chiedermi di portarti a vedere un panorama così desolato.-

-Beh, è una desolazione diversa da quella che si vedeva dalla mia finestra alla Torre Nord.- ribatté lei, e lui scosse la testa, divertito. -Ti spiacerebbe restare qui, Jakob? Preferirei avere qualcuno a tenere d’occhio l’accampamento mentre mi allontano. Non staremo via a lungo.-

Il maggiordomo sembrò voler obiettare, pronto a chiederle di poterla accompagnare al precipizio, ma la fredda occhiataccia della principessa lo fece desistere. Nonostante avesse probabilmente trovato strano quel gesto, Gunter non si espresse e scrollò le redini di Serilda, stringendo saldamente una mano attorno alla vita di Ileana per stabilizzarla mentre trottavano verso il canyon.

Ileana rimase in silenzio per tutta la cavalcata. Erano arrivati all’Abisso Infinito il giorno prima, e avevano deciso di accamparsi per la notte prima di proseguire. Quella mattina, alle prime luci dell’alba, aveva ordinato ad Hans di prendere un drappello e andare in ricognizione: la via per attraversare l’Abisso era fatta di ponti sospesi e pericolanti, perfetti per tendere un’imboscata… e, di fare un salto nel vuoto a causa di un’imboscata che avrebbe potuto tranquillamente evitare, lei non aveva proprio voglia.

Curiosamente, Hans era un’altra ragione di stress tra i suoi cari. Non appena Xander aveva scoperto chi era il veterano menzionato dal padre si era incupito in un modo che Ileana non aveva mai avuto occasione di vedere, e Leo era impallidito ancor di più. Persino Gunter sembrava indispettito dalla scelta: non c’era stato momento, nelle due settimane di viaggio che Ileana e la sua unità avevano impiegato a raggiungere l’Abisso, in cui l’aveva lasciata da sola con il guerriero.

E, ovviamente, nessuno si era preso il disturbo di spiegarle il perché.

La sua irritazione dovette palesarsi in qualche modo mentre lei era persa nei suoi pensieri, perché Gunter le accarezzò un braccio in segno di conforto. -A cosa pensi, bambina?-

Ileana sbuffò. -Cos’è che nessuno mi vuole dire?-

Seppe di aver colpito nel segno quando la carezza del cavaliere si arrestò bruscamente nell’incavo del suo gomito. -Cosa vuoi dire?-

-Ah no, non ci provare!- sbottò, divincolandosi dalla sua stretta affettuosa. -Sai esattamente cosa voglio dire! I miei fratelli, mia sorella, le loro guardie, tu… siete tutti preoccupati, preoccupati per me, ma nessuno mi vuole dire come mai!-

-Scricciolino__-

Quel nomignolo era sempre stato in grado di calmarla, ma in quel momento non sembrava in grado di poter placare la sua irritazione. -Scricciolino un corno. Devo sapere, Gunter. Hobisogno di sapere, e lo sai!-

Gunter tacque per una manciata di respiri, durante la quale la Maga non abbassò mai i propri occhi verdi. -È per questo che mi hai chiesto di portarti qui?-

Non ebbe risposta, ma il guizzo negli occhi di lei fu più che sufficiente. Scosse la testa.

E così toccava a lui, infine, dirle tutto. Toccava a lui mandare in frantumi la sua visione del suo mondo, della sua famiglia, dell’uomo che chiamava padre. Toccava a lui devastare colei che aveva giurato – al re, al divino Drago Nero, a se stesso – di proteggere da ogni dolore.

Sembrava che Nohr potesse ancora, dopotutto, strappargli via ogni cosa.

Ileana dovette accorgersi di quanto Gunter fosse a disagio perché, invece di insistere, si limitò a fissarlo. Lui distolse lo sguardo, lasciandolo vagare sul canyon che si estendeva di fronte e sotto di loro.

L’Abisso Infinito pareva uno squarcio nella terra stessa, come se una parte del mondo fosse stata strappata via e il precipizio fosse la cicatrice lasciata dalla frattura.

Si diceva che il crepaccio fosse senza fondo, un salto nell’oscurità eterna che terminava con una morte cieca e inevitabile. Le rocce che delineavano la voragine erano appuntite, taglienti, e si protendevano verso il cielo scuro e perennemente tempestoso come fauci che non attendevano altro che la possibilità di inghiottire i cuori tremanti di coloro che tentavano di attraversare i ponti sospesi.

-Detesto questo luogo con tutto me stesso. C’è qualcosa di sbagliato, qui. La terra, il cielo…- scosse la testa. -Non è un posto per noi mortali.-

-Gunter.- Ileana ringhiò, la voce che prendeva quell’inflessione rigida che lui aveva imparato a riconoscere nei reali che davano un ordine aspettandosi che venisse esaudito.

Sospirò. -Non dovrei essere io a parlartene, scricciolino.-

-Ma sei l’unico che può farlo.-

Non poteva discutere con quell’affermazione, così scosse il capo con rassegnazione. -Riguarda… riguarda la corte di Krakenburg. I vostri fratelli e sorelle sono… apprensivi su come potrebbero accogliervi.-

Ileana sbuffò. -Leo era apprensivo quando non sono riuscita a evitare completamente uno dei fendenti di Xander mentre ci addestravamo e mi sono fatta un graffio. Sembrava sul punto di vomitare bile quando mi ha salutata.- toccò a lei sospirare. Abbassò il capo e, quando guardò di nuovo Gunter, c’era dolore nei suoi occhi. -Quello che ho visto nei volti dei miei fratelli e di mia sorella, e quello che vedo nel tuo volto adesso, non è apprensione. È… agonia.-

Gunter fece scorrere le dita, coperte dall’armatura, tra i suoi capelli, riavviandole le ciocche dietro le orecchie. Sembrava così ansiosa, così impaurita… stava portando lo stesso peso che gravava sulle sue spalle – che gravava sulle spalle di tutti quelli che le volevano bene – senza saperlo.

Il suo tocco si arrestò sullo zigomo sottile e la mano di lei, più piccola e delicata, coprì la sua, prolungando la carezza. -Per favore, Gunter. Aiutami a capire. Perché si preoccupano della corte?-

Lo stava guardando con quei suoi occhi, così grandi e dolci. Non era mai riuscito a negare niente a quegli occhi. Non ci sarebbe riuscito mai. -Perché il Castello di Krakenburg è un posto molto più impietoso di quanto tu possa immaginare.-

-Non capisco. Sono in pericolo? Sarò in pericolo?- la sua fronte era corrugata mentre cercava di dare un senso alle sue parole – ma come avrebbe potuto, con così tanti buchi da riempire da sola senza nemmeno un indizio? -Anche se supero la prova di mio padre?-

-È una possibilità, sì. La corte è… brutale. I nobili non conoscono la pietà, né il rimorso. Non è un ambiente facile in cui sopravvivere, nemmeno per coloro di sangue reale.- faceva male dover dire quelle parole, faceva male quanto la spada che aveva cercato di strappargli un occhio, eppure si trovava a doverle pronunciare lo stesso. -E, se tu fallissi…-

Un fulmine squarciò il cielo in quel momento, diramandosi tra le nubi oscure e pesanti, serpeggiando fino a terra. Gunter quasi poteva distinguere il punto esatto in cui era caduto, ma non vide altro che nuda roccia annerita.

Ileana sembrava un po’ più pallida, ma c’era qualcosa di deciso nel modo in cui annuì. -Va bene. Raccontami tutto.-

-Scricciolino__- tentò lui, ma lei lo interruppe girandosi a fronteggiarlo, gli occhi imploranti che crepitavano come fuoco.

-Gunter. Meno so e più sono vulnerabile. Indipendentemente da come vada questa prova.- prese un respiro profondo, le mani che stringevano il mantello mentre se lo tirava di più attorno alle spalle. Stava tremando, ma se fosse per il freddo o la paura, lui non avrebbe saputo dirlo. -La domanda è: mi lascerai tornare tra i corridoi della mia stessa casa sola e indifesa, o mi aiuterai a proteggermi?-

Come se esistessero davvero più risposte a quell’incognita.

Ileana era perfettamente conscia di quanto si trattasse di una domanda retorica: Gunter l’aveva amata, protetta, cresciuta e coccolata praticamente da sempre, e aveva rivestito quel ruolo che Garon non si era mai dato pena nemmeno di degnare di un pensiero.

Quella giovane, stupenda donna che ora teneva fra le braccia… sembrava passato così poco tempo da quando le aveva raccontato l’ultima fiaba della buonanotte, le aveva rimboccato le coperte e sfilato l’ennesimo libro dalle dita stanche che non avevano saputo reggere l’inesorabilità del sonno… eppure Ileana non era più la sua bambina: Ileana aveva abbandonato il nido e spiccato un primo, incerto volo in un cielo che prometteva soltanto oscurità e sofferenza, ed ora non stava facendo altro che implorarlo di insegnarle ad usare le sue ali.

Come poteva negarle la conoscenza? Lui stesso le aveva insegnato che la conoscenza era saggezza, eppure era rimasto vittima di quell’incantesimo che quei grandi occhi verdi erano stati in grado di lanciare su chiunque avesse avuto il privilegio di incrociarne l’attenzione: aveva sbagliato, racchiudendola in un abbraccio troppo stretto e soffocante e rifiutandosi di prepararla per ciò che l’attendeva al di là delle mura sicure della loro casa… ma ora, sull’orlo di un precipizio senza fine, poteva rimediare.

Poteva dare alla sua bambina la verità di cui aveva disperatamente bisogno, le armi che le sarebbero servite per diventare più forte e per imparare a destreggiarsi fra i venti che avrebbero sicuramente tentato di arrestare violentemente il suo volo prim’ancora che iniziasse davvero.

-Va bene.- sospirò, e le prese una mano tra le sue, facendole distendere le dita fredde in modo da poterle chiudere tra le proprie. -Va bene. Ti spiegherò.-

Oh, ma da dove cominciare—?

-Vostra Altezza!-

Beh, a quanto pare avrebbe avuto tutto il tempo di porsi il problema, a giudicare dall’espressione sconvolta del soldato senza fiato che correva a rotta di collo verso di loro.

-Tieniti.- Gunter la avvertì, prima di passarle un braccio intorno ai fianchi e lanciare Serilda al galoppo, giù per la cresta rocciosa su cui si erano fermati per intercettare l’uomo a metà strada. -Riposo, soldato. Respira, e consegnaci il tuo messaggio.-

-G_Gunter, signore! Principessa Ileana! Grazie al Drago Nero…- il Mercenario singhiozzò, piegandosi su se stesso ma cercando di non ansimare mentre parlava. -Siamo… siamo stati attaccati! Hans era entrato nella fortezza con alcuni di noi mentre gli altri restavano di guardia, ma… ma è stato l’unico a uscirne! E c’erano Samurai e Ninja hoshijin dietro di lui! A-abbiamo cercato di ritirarci pacificamente, ma non… non ci hanno ascoltato, e… e…- prese un respiro più profondo, una mano al petto. -Sono stato mandato avanti ad avvertirvi. I miei compagni stanno combattendo sui ponti, cercando di trattenere gli hoshijin, ma stanno… stanno…-

-Grazie, soldato.- lo interruppe Ileana, scendendo da cavallo e offrendo la propria mano all’uomo per aiutarlo a tirarsi su. Lui la guardò, confuso, e si raddrizzò da solo.

Ileana abbassò la mano, a disagio. -Porta il messaggio all’accampamento. Dì a tutti di prepararsi e di unirsi a noi immediatamente. Io e Gunter andremo ad assistere Hans. Non possiamo perdere quei ponti.-

 .

-Un grave errore!- Gunter esclamò mentre calava violentemente il pomello della sua lama nohriana sulla tempia di un Samurai che aveva tentato di colpire il suo cavallo.

L’uomo cadde a terra con un gemito. Gunter rinfoderò la spada per aggiustare la presa sulla lancia e ne guidò la lama attraverso la gola dello spadaccino, risparmiandogli una morte cadendo giù per l’Abisso, o finendo calpestato dai soldati e dai cavalli. Sentì una spiacevole stretta allo stomaco, ma la ignorò. Uccidere non smetteva mai di disturbarlo, nonostante fosse un veterano: la desolazione che la guerra si lasciava dietro era qualcosa con cui ancora non riusciva a fare i conti. Euanthe aveva visto abbastanza sangue, e anche lui.

Ma non poteva rischiare che un nemico si rialzasse per pugnalare Ileana alle spalle solo perché lui aveva avuto pietà.

“Per l’appunto…” grugnì, la mano che afferrava l’ascia assicurata alla sella di Serilda. Il suo lancio colpì il bersaglio – la spalla di un Ninja che stava giusto per colpire il fianco scoperto della Principessa.

-Fai più attenzione, ragazzina!- la rimproverò quando la vide girarsi, allarmata dal grido strozzato dell’hoshijin. Lei annuì, pallida come un fantasma, e Gunter vide chiaramente la smorfia sul suo viso mentre mandava un fulmine del suo Mjölnir a garantire una morte rapida ed indolore al soldato nemico.

La osservò ingoiare la colpa e il disgusto, il volto una maschera imbattibile, la mente ben concentrata sulla battaglia. Stava andando bene, si disse tra sé e sé. Il Principe Ereditario Xander sarebbe stato fiero di lei, se avesse potuto vedere la sua risolutezza, la sua mancanza di esitazione. E il Principe Leo l’avrebbe di certo lodata per la strategia che aveva messo in atto.

Ileana aveva valutato la situazione rapidamente, e l’aveva dichiarata pessima.

Quando lei e Gunter erano arrivati ai ponti, Hans e quei pochi sopravvissuti dei suoi uomini erano conciati malissimo – e molti di loro erano esausti e feriti, e gli hoshijin li stavano incalzando con un furia tale che bastavano i loro sguardi ad intimidire e disarmare gli avversari. Il loro arrivo aveva rassicurato le truppe nohriane, dandogli abbastanza tempo a quelli incapaci di combattere oltre di ritirarsi verso il campo, verso i guaritori. Gunter sapeva che anche solo quel piccolo rialzo nell’umore poteva contare come una piccola vittoria.

Grazia all’elemento sorpresa e sfruttando il più possibile la mole di Gunter in qualità di Gran Cavaliere a cavallo, erano riusciti a limitare l’avanzata degli hoshijin su una delle piattaforme rocciose che popolavano il crepaccio dell’Abisso Infinito, come isolette deserte galleggianti su un mare di infinita oscurità.

Ileana aveva subito deciso di farne il campo di battaglia: era collegato al confine nohriano da un ponte ampio e relativamente in buone condizioni, che era abbastanza solido e stabile da permettere la ritirata di eventuali feriti presso il campo, dove Jakob li attendeva pronto, *** alla mano – non era stato felice di sentirsi ordinare di rimanere indietro e lontano dalla Principessa per quella battaglia, ma la gravità della situazione gli aveva impedito di lamentarsi a oltranza.

Per contro, i ponti che collegavano la piattaforma al confine hoshijin erano consumati, pericolanti e molto più stretti. Di tutti, gli hoshijin ne stavano usando infatti uno solamente, che rendeva molto facile in controbattere alla loro offensiva e rispondere ai numeri con l’abilità delle milizie nohriane. Gunter avrebbe voluto poter tagliare quel ponte e porre fine a quella battaglia insensata molto in fretta, ma la presenza dei soldati di Hoshido gli rendeva impossibile arrivare alle corde. Ma si sarebbe accontentato: i loro nemici stavano avendo difficoltà a gestire le loro truppe su quel piccolo ponte e non potevano nemmeno schierare gli arcieri – che erano una delle maggiori preoccupazioni di Gunter, ma che fortunatamente non riuscivano a trovare un buon punto da cui scagliare i loro dardi. C’era un Cecchino solitario che li fissava dal confine dall’altra parte del crepaccio, uno yumi luminescente tra le mani. Il suo sguardo era talmente ricco di rabbia omicida e frustrazione che Gunter poteva quasi sentirlo bruciare sulla pelle.

Tutto sommato, erano in una posizione abbastanza buona per opporsi all’offensiva hoshijin e resistere finché non sarebbero stati troppo stanchi per inseguirli al di là del ponte non appena Ileana avesse ordinato la ritirata. Avrebbero tagliato le corde non appena avrebbero avuto abbastanza spazio di manovra, senza dover temere un attacco dall’alto – non con i fulmini che minacciavano di abbattere chiunque tentasse di oltrepassare il canyon in volo.

Sì, Ileana si stava comportando bene, soprattutto considerando che era la prima volta che calcava un campo di battaglia. Era chiaramente a disagio con il suo ruolo di comandante, e infatti aveva preferito lasciare il compito di dare ordini a Gunter, ma era riuscita a ribaltare le sorti di quella che aveva tutta l’aria di una battaglia certa. Avevano buone probabilità di portare a casa la pelle.

O almeno, le avevano avute finché la terra stessa non cominciò a tremare.

Per un momento, tutto si fermò – persino le nubi oscure e ringhianti che si rincorrevano sopra l’Abisso Infinito parvero arrestarsi. Il Cecchino solitario dall’altra parte della gola cominciò a risplendere di una luce azzurrina, etera – la stessa luce che proveniva dal suo yumi… una luce che non aveva nulla di magico, e tutto di divino.

Il Cecchino era un principe di Hoshido, e stava accentrando il potere di una Vena Drago.

Gunter fu il primo a riprendere controllo di sé e si precipitò al fianco di Ileana mentre il resto dei soldati – tanto nohriani quanto hoshijin – non poteva fare a meno di fissare il principe mentre il cielo e la terra stessi rispondevano alla chiamata del suo sangue.

Il suo movimento sembrò riscuotere Ileana dal suo stato di trance, e quando si girò a guardarlo, lui vide l’agonia nei suoi occhi.

-Gunter…- Ileana iniziò, ma le parole sembrarono impigliarlesi in gola, e non disse altro.

Il Gran Cavaliere quasi bestemmiò, quando comprese: non aveva nemmeno percepito la Vena Drago.

Aveva fallito la prova del re.

Qualcosa di orribile avviluppò il cuore di Gunter e strinse, ma lui fece del suo meglio per impedire a quel tormento di manifestarsi sul suo viso. -Rimani concentrata.- le disse invece, cercando di mantenere la voce quanto più risoluta possibile.

Dopo un’ultima scossa, di fronte agli occhi terrorizzati dei nohriani, la terra prese vita: la pietra sotto i piedi del principe tremò prima di lanciarsi in avanti, formando un ponte tra il confine e la piattaforma su cui si stava svolgendo la battaglia. Frecce azzurrine piovvero dal suo yumi divino, non mancando nemmeno un bersaglio e portando soltanto morte.

Gunter non perse un secondo e cominciò ad abbaiare ordini, imponendo alle truppe di serrare i ranghi e prepararsi alla ritirata. Si arrischiò a guardare indietro, verso la loro unica possibilità di scampo: il ponte reggeva, piantonato da Hans dall’altra parte. Se fossero riusciti a ritirarsi ordinatamente, avrebbero potuto bloccare gli hoshijin sul ponte e poi tagliare le corde. Aveva sperato di non dover arrivare a tanto – non gli piaceva essere costretto a uccidere così tante persone, e con un espediente talmente da codardi, ma era la loro unica possibilità…

Era talmente concentrato a studiare la loro via di fuga che non vide la testardaggine sul viso di Ileana, la sicurezza nei suoi occhi. La intravide sfogliare il suo Mjölnir, e lampi guizzarono da quelle pagine per colpire e costringere gli hoshijin ad arretrare, assicurando qualche attimo di respiro ai suoi soldati. Gunter aprì la bocca per farle i complimenti, ma le parole gli morirono in gola quando la vide avanzare sul percorso che si era aperta con l’incantesimo.

-Principessa!- la chiamò, sperando che bastasse a fermarla.

Lei non si volse nemmeno, così lui si ritrovò a seguirla, dolorosamente consapevole degli occhi affilati del Cecchino, il suo sguardo e il suo yumi fissi su di loro – chiaramente, avevano attirato la sua attenzione.

-FERMI!- abbaiò Ileana, la sua voce forte e chiara nell’aria tesa dell’Abisso Infinito.

I nohriani la ascoltarono, e i nemici esitarono alla vista dell’avanzata della Maga. Il loro comandante avanzò in prima linea, di fronte alle sue truppe. Aveva il disgusto dipinto in volto, e una freccia ancora incoccata tenuta saldamente tra le dita.

-Principe di Hoshido.- Ileana lo salutò rispettosamente, e lui inarcò un sopracciglio, gli occhi come lame. -Vi prego, cessate l’offensiva…- Gunter la vide girarsi verso di lui, cercando il suo supporto, la sua benedizione. Comprese ciò che aveva intenzione di fare e le offrì un magro sorriso, annuendo gravemente. Ileana sembrava più leggera quando fronteggiò di nuovo i loro nemici per dichiarare: -Ci arrendiamo.-

Un mormorio percorse le schiere di soldati attorno a loro. Il volto del principe mostrò dapprima shock, poi rabbia, sdegno, odio. Infine, le rivolse un sorriso di scherno, una scintilla rossa negli occhi.

-A morte.-

Se Ileana fosse stata un secondo più lenta, Gunter avrebbe dovuto riportare il suo cadavere a Windmire.

Il principe hoshijin imbracciò l’arco con un movimento fluido, rilasciando una freccia divina crepitante di energia. Ileana levò le mani, scintille di magia tra le dita, e un muro di fulmini apparve dal nulla a deviare il dardo che puntava al suo cuore.

-RITIRATA!- ordinò Gunter mentre gli hoshijin si preparavano a lanciare un ultimo assalto. Il suo cavallo saltò in avanti, e la lancia del Gran Cavaliere arrivò appena in tempo a fermare la stoccata di una Maestra di Lancia dai capelli blu che era riuscita a infilarsi tra le maglie dell’incantesimo prima che la sua naginata potesse mordere il braccio di Ileana. -AL PONTE!-

Fece ruotare Serilda, ignorando il ghigno crudele sulle labbra del principe, voltando le spalle a quel baluginio rosso nei suoi occhi. Tese una mano a Ileana mentre indietreggiavano, intenzionato a farla salire in sella dietro di sé, ma mentre faceva per stringerle il braccio il terreno tremò di nuovo e lui poté solo guardare, impotente, mentre lei inciampava e restava indietro mentre il suo cavallo procedeva avanti, spinto dalla massa di soldati in fuga per avere salva la vita.

-Principessa!- la chiamò.

Ma Ileana non lo guardava più, avendo occhi solo per il secondo ponte di pietra che si era schiantato contro la piattaforma da un’altra angolazione, proveniente da un altro punto del confine hoshijin. Tagliò la ritirata di parte delle loro truppe, frapponendo un manipolo di Arcieri e Samurai tra loro e la salvezza.

-Ileana! No!- gridò, le formalità gettate al vento quando la vide rivolgersi di nuovo verso la battaglia, le mani che mettevano via il suo Mjölnir per estrarre un altro tomo.

-VAI!- gli strillò lei, i capelli che frustavano il vento quando lei si girò per lanciargli un’occhiata. -Ti raggiungo, tu vai! Proteggi il ponte dal confine!-

Anche se disobbedire a un reale di Nohr gli era già costato troppo una volta in passato, Gunter fu tentato di correre di nuovo quel rischio. Non importava che Ileana non lo considerasse suo padre: lui la considerava sua figlia – quella figlia che aveva perso per mano del suo re, e che aveva ritrovato quando lui gli aveva dato una frusta.

Eppure non aveva la possibilità di disobbedirle: per poterla raggiungere ormai avrebbe dovuto sicuramente scavalcare molti dei suoi stessi uomini, probabilmente fare del male al suo cavallo, e possibilmente finire a precipitare giù per l’Abisso in caso fosse successo.

No. La sua migliore possibilità di salvare la sua principessa era obbedire agli ordini, proteggere il varco, e prepararsi a tagliare le corde di quel maledetto ponte non appena lei l’avesse attraversato. Perciò permise a Serilda di attraversare, ma i suoi occhi rimasero su Ileana.

Era fiero di lei per come stava proteggendo i suoi uomini. Era anche furioso del fatto che lo stesse facendo, perché lei era la principessa e avrebbe dovuto mettere la sua vita prima di quella dei soldati… ma non poteva farne a meno: Ileana era cresciuta trattando i servitori come suoi pari, come parte della famiglia, e gli voleva bene. Non avrebbe abbandonato chi combatteva sotto il suo comando, indipendentemente da quello che rischiava. Era furioso per quello, per il pericolo in cui si stava mettendo. Ma era anche assurdamente fiero di lei.

La guardò evocare sfere di lampi nelle mani, lanciandone una verso il Cavaliere Kinshi che era comparso in cielo a proteggere gli hoshijin con le sue frecce, e una al Maestro d’Armi che le si era scagliato contro selvaggiamente, senza nemmeno aspettare che la roccia sotto i suoi piedi si stabilizzasse del tutto. La guardò schivare ognuno dei suoi colpi e rispondere a suon di saette, la magia che le si concentrava senza posa nei palmi come se fosse un fiume in piena. Uno dei suoi incantesimi colpì il bersaglio, mandando a terra il Master of Arms con la sola forza della sua magia; ne lanciò subito un altro per tramortire la Maestra di Lancia che incalzava un Guerriero.

Uno degli ultimi dei loro che doveva ancora arrivare al ponte, notò Gunter. Gli tremavano le mani, così le fermò stringendo più saldamente l’elsa della sua lama nohriana.

Coraggio, scricciolino, manca poco…

—Snap!

 .

Per un secondo, Ileana si sentì galleggiare come se fosse senza peso, come quando suo fratello Leo la sollevava per aria con la magia per trascinarla alle lezioni con Xander quando lei cercava di evitare l’addestramento nascondendosi sotto il tavolo.

Per un secondo, Ileana credette di aver immaginato l’ascia scintillante, l’arco di luce che aveva disegnato mentre calava, lo strappo che aveva causato mentre lacerava le corde consumate che sorreggevano il ponte.

Per un secondo, Ileana si aspettò di essere sul punto di svegliarsi da un incubo molto, molto vivido.

Quando la gravità cominciò a trascinarla verso il basso, la sensazione di cadere non la svegliò.

-ILEANA!-

-MILADY!-

Non la svegliò, perché non era un incubo. Era reale. L’ascia incastonata nel legno era reale, l’angoscia di Gunter e Jakob era reale, il vuoto sotto di sé era reale.

Anche l’improvviso, inaspettato dolore che le attraversò braccio e spalle quando una presa d’acciaio si chiuse sul suo polso, trattenendola dal precipitare nel vuoto assieme ai suoi soldati e a quel che restava del ponte, era reale.

Singhiozzò per il dolore e strinse i denti, il braccio torto in una maniera assolutamente innaturale.

-Vi ho presa, milady!- gridò una voce che non riconobbe, e guardò in alto: attraverso il velo di lacrime che le annebbiava la vista, distinse shuriken scintillanti, una sciarpa viola, una chioma verde scuro. -Adesso vi tiro su. Aggrappatevi a me appena ne avete l’opportunità. Va bene?-

Ileana voleva gridare che no, non andava bene niente, ma sembrava di aver perso tanto la voce quanto il controllo del suo corpo. Fortunatamente, il suo corpo sembrò muoversi da solo quando il mondo attorno a lei s’inclinò e le spalle del Maestro Ninja furono improvvisamente a portata di mano. Il braccio le fece male quando si strinse a lui, ma non abbastanza da impedirle il movimento. Sentì la stretta del braccio di lui attorno alla vita mentre se la stringeva addosso, il bacio pungente della roccia della gola contro la pelle e i vestiti strappati.

Lo guardò – il suo nemico, il suo salvatore – e lo trovò a sorriderle con cortesia, una dolcezza infinita nei suoi occhi viola. Il braccio che non la stava stringendo aveva la corda spezzata del ponte arrotolata attorno al polso, e lei poteva distinguere le tracce rosse e brucianti che quella aveva aperto nella sua pelle.

-Andrà tutto bene, milady.- le disse, e lei si chiese come poteva risultare così calmo anche sospeso su un abisso senza fondo. -Non vi lascerò cadere.-

Lo stridio di un uccello sconosciuto spezzò l’ululato dei venti che sferzavano il canyon, sovrastando anche le voci preoccupate che si agitavano sopra la piattaforma. Un uccello gigantesco, dalle piume bianco-dorate, si abbassò al loro livello e rimase sospeso di fronte a loro, sfidando le correnti e il minaccioso cielo tempestoso.

-KAZE!- urlò la donna a cavallo del pennuto. -Reggiti! Vi portiamo via da qui!-

Il ninja che aveva salvato la principessa sorrise. -Reina! Grazie al Drago Bianco, non sono mai stato più felice di vederti!-

Ileana chiuse gli occhi quando l’uccello allungò le zampe verso di lei, gli artigli snudati che scintillavano sotto i fulmini che venavano le nubi. Eppure quegli artigli non la graffiarono nemmeno quando le circondarono la vita mentre il braccio dell’uomo scivolava via. Come se avessero una mente tutta loro, le sue mani si strinsero alle piume.

Il vento le fischiò furioso nelle orecchie mentre l’uccello s’innalzava, le ali che frustavano le correnti una, due, tre volte, e poi sentì di nuovo roccia nuda contro la sua pelle… ma sotto di lei, con la gravità stessa che ce la spingeva contro. Strisciò via dall’uccello, a malapena consapevole del ninja – Kaze – che faceva lo stesso mentre il cavaliere – Reina – scendeva dalla propria cavalcatura. Con la coda dell’occhio li vide entrambi avvicinarsi all’uccello per aiutarlo a ripiegare le ali prima che i venti ululanti potessero spezzarle nella loro furia.

Il respiro affannato, una mano che si stringeva tra la terra e le pietruzze, Ileana premette l’altro palmo contro il suo petto, apprezzando come mai avrebbe creduto il battito forte che le pulsava sotto le dita.

Quello stesso battito che per un secondo si fermò, senza alcun preavviso, quando qualcosa di bruciante le sfiorò i sensi – non era proprio magia, ma non era nemmeno troppo diversa. Ne aveva sentito il pizzicore già prima, da lontano, quando aveva affrontato il principe. Percepirla così vicina, in quel momento, fu quasi troppo.

Ileana aprì gli occhi, e per qualche secondo, il bagliore azzurrino della freccia divina le riempì la vista e la mente – il suo mondo si contrasse, iniziando e finendo con quel dardo luccicante pronto e impaziente di affondarle nel cuore.

-Il mio Maestro Ninja si è bruciato una mano e il mio Cavaliere Kinshi ha rischiato il suo partner… e per salvare una morta che cammina.- sputò il principe, stillando veleno con ogni parola, odio rosso che gli incendiava gli occhi. -Le tue ultime parole, feccia?-

Fu il suo disgusto a scuoterla.

Come… come osava? Lui li aveva attaccatirifiutato la loro resa, inseguiti quando cercavano solo di ritirarsi, di tornare a casa… e osava dare a lei della feccia.

-Mi aspettavo più onore da un principe di Hoshido.- ringhiò lei in qualche modo, nonostante fosse ancora senza fiato.

Gli occhi del Cecchino si strinsero e le sue dita tremarono, la freccia lucente che tremolava, implorando di essere rilasciata, ma lui la trattenne – per qualche misteriosa ragione. -Come osi parlare di onore, tu che servi il più miserabile dei re?-

-Non sono io quella che a infierito su un nemico che stava abbassando le armi.- precisò lei, ignorando il dolore alla spalla mentre si puntellava sulle braccia per alzarsi a sedere.

-Hai del coraggio, a chiedere clemenza quando sono stati i tuoi soldati ad iniziare l’attacco.- la derise lui.

-I miei uomini stavano solo facendo un sopralluogo. L’orgoglio di Hoshido è così fragile da considerarlo un attacco?- gli sputò contro lei.

Il Cecchino rise, un suono oscuro e senza gioia, e scosse la testa. -Proprio come mi aspettavo da una maga di Nohr. La feccia come te non può far altro che mentire.- la guardò, rabbia e odio e disgusto che sanguinava dai suoi occhi rossastri. -Hai avvelenato queste terre con il tuo fiato anche troppo a lungo. È ora di morire.-

Tese più indietro la corda immateriale del suo yumi, e la freccia brillò più forte che mai, sibilando tra le raffiche di vento che sembrava creare. Crepitava, e l’energia che emanava scorreva violentemente sulla pelle di Ileana come una corrente, così potente da riempirle il corpo di tanti piccoli taglietti. Lui fece un passo avanti, il dardo che quasi le sfiorava il mento.

Ileana aveva sperato che la facesse finita in fretta, con un solo colpo al cuore, ma sembrava voler giocare con lei ancora un po’.

-Allora? Hai paura, adesso?- sibilò con un ghigno.

Aveva paura. Per Hedi, era spaventata. Era stanca, ferita, in trappola, e tanto, tanto spaventata.

Ma sarebbe morta prima di mostrarlo. Xander non l’avrebbe mostrato, se fosse stato al posto suo. Aveva già deluso le sue truppe per averle fatte finire con le spalle al muro, aveva deluso suo padre per non aver percepito quella dannata Vena Drago. Non avrebbe deluso anche suo fratello piangendo come un gattino indifeso.

Rialzò la testa, al di sopra della freccia tanto – troppo – vicino alla sua pelle, stringendo i denti contro il dolore pungente dell’energia affilata che grondava dal suo yumi, e sibilò: -Non ho paura di uno come te.-

L’inaspettato stridore di acciaio contro pietra e lo strillo oltraggiato che lo seguì li distrasse dal loro piccolo scambio di insulti, gli occhi di entrambi che correvano al piccolo, luccicante pugnale che aveva appena tintinnato contro la piattaforma.

-CHI OSA ATTACCARE IL SECONDO PRINCIPE DI HOSHIDO!- ruggì la Maestra di Lancia dai capelli blu – quella che era riuscita ad infiltrarsi tra le maglie del muro di saette di Ileana durante la battaglia.

-IO!-

Jakob.

Ileana voltò immediatamente il viso, gli occhi che correvano all’altro lato della gola. Ed era là, il suo caro, leale Maggiordomo, graziosamente appollaiato su uno dei pali che avevano sorretto il ponte – doveva esserci salito per lanciare il suo coltello più lontano, sperando di attirare l’attenzione e non di fare del male. Gunter era appena un passo dietro di lui, ancora a cavallo, e sembrava teso e pallido – di certo in ansia per lei, e probabilmente molto più che preoccupato che Jakob precipitasse nell’Abisso, instabile com’era.

La Maestra di Lancia di certo non aveva apprezzato la sua interferenza, perché continuò a strillare: -ASPETTA CHE TI METTA LE MANI ADDOSSO, CANE! IO TI__-

-Tu niente.- sibilò Ileana, la sua voce sorprendentemente forte, abbastanza da cogliere gli hoshijin alla sprovvista. Si alzò in piedi con movimenti lenti, ben conscia del dardo immateriali che non smise mai di seguire il suo bersaglio – il suo cuore. -Non lo minaccerai nemmeno, infatti.-

La giovane donna la guardava come se le fossero spuntate le squame all’improvviso. -Come ti permetti di parlarmi così, schifosa piccola__-

Ileana alzò gli occhi al cielo e decise di troncare sul nascere quella che di certo sarebbe stata una sequela di insulti molto originale. -Sei la guardia reale del principe, non è vero? Quell’uomo è la mia. Sta solo cercando di proteggermi. Non faresti lo stesso, se fosse lui quello in procinto di essere ammazzato a sangue freddo?-

Le sue parole ridussero la lanciera al silenzio, ma la sua stretta sulla sua naginata si fece tanto stretta da farle sbiancare le mani.

-Buona, Oboro.- la riprese bonariamente il principe. -Lascia che il cane abbai.- lo schernì a voce alta, e gli hoshijin risero.

Ileana fece una smorfia – cosa non avrebbe dato per folgorarlo! –, ma un’occhiata d’avvertimento dal Maestro d’Armi che aveva affrontato prima la convinse a tenere a freno la lingua, almeno per il momento.

Era impossibile che Jakob non avesse sentito le sue parole, ma si rifiutò di reagire. -Vorrei ricordare a Sua Altezza che rifiutare una resa e condannare a morte una principessa rappresenta un atto di guerra. Il Trono di Spine non resterà impassibile davanti a un tale tradimento!-

-Tradimento…- gli fece eco il principe sottovoce, e il suo mormorio si perse nel ronzio furioso che si levò dagli hoshijin alle parole Maggiordomo. Più forte, dichiarò: -Anche se non chiederei altro che di spargere il sangue del mostro responsabile della violazione del nostro trattato di confine, Hoshido non si permetterà di privare della vita un membro della famiglia reale di Nohr in modo così arbitrario.-

E, finalmente, la luce azzurrina si disperse, la corda evanescente e la freccia crepitante che si dissolvevano nell’aria. Per Ileana si fece improvvisamente più facile respirare senza quell’energia divina a schiacciarle l’anima, anche se poteva comunque sentire il potere dello yumi.

-E allora, per amor dei Draghi, restituitecela!- insisté Jakob, un’inflessione di disperazione nella voce.

-No.- negò il principe, un sorriso evidente sulle labbra – si stava divertendo, comprese Ileana con una morsa orribile allo stomaco. -Prima di tutto, perché il ponte è crollato e non rischierò la vita del mio Cavaliere Kinshi per liberare la vostra stupida principessa. E secondo, lasciarla andare senza prima strapparle ogni possibile informazione sarebbe un vero spreco…-

Quando la guardò di nuovo, il sangue si gelò nelle vene di Ileana. Lo scintillio rosso era svanito, ma i suoi occhi bronzei erano diventati crudeli, affilati e calcolatori. Non l’avrebbe lasciata tornare a casa, comprese subito. Non da viva.

Si sottrasse al suo sguardo per fissare i suoi tutori, così vicini eppure così disperatamente lontani. Dovevano aver compreso le implicazioni del principe, perché Gunter aveva trascinato Jakob giù dal palo e si erano messi a discutere di qualcosa.

Ileana poteva immaginare cosa fosse quel qualcosa: Jakob voleva chiaramente imbarcarsi in una qualche missione suicida per salvarla – solo il Drago Nero sapeva come avrebbe potuto farcela con quel baratro che si apriva tra di loro – e Gunter stava cercando di farlo ragionare, forse dicendogli che sarebbero già dovuti mettersi sulla strada per Krakenburg per riferire tutto a Xander. La sua voce era doveva stanca, perché avrebbe voluto che ci fosse un altro modo, qualsiasi altro modo, e stava sicuramente chiamando Jakob “ragazzo” per distrarlo dal dolore che stava sicuramente facendo a pezzi entrambi al pensiero di lasciarla in mano ai nemici. Per i Draghi, poteva quasi sentire la sua voce.

Probabilmente non avrebbe mai più sentito la sua voce.

Il suo cuore si incrinò al pensiero, e si frantumò in mille pezzi quando fu seguito da altro.

Probabilmente non avrebbe mai più visto la sua famiglia. Non si sarebbe mai più allenata con Xander, non avrebbe mai più preso il te con Camilla o studiato con lei o suonato il violino con Elise. Non ci sarebbero state altre battute, risate, incantesimi, musica. Si erano promessi di andare a guardare le stelle non appena sarebbe tornata a casa, per festeggiare il suo primo successo. Ma lei non sarebbe tornata a casa. Sarebbero dovuti andare senza di lei. Avrebbero dovuto vivere senza di lei.

Dovette fare appello ad ogni briciolo di forza rimastale per soffocare il singhiozzo che le si gonfiò in gola – e dovette trovarne anche di più per non portarsi una mano alla bocca per trattenerlo. Ce la fece a malapena.

-Venite, milady.- le sussurrò una voce all’orecchio, ed Ileana guardò sopra la propria spalla per vedere il Maestro Ninja dai capelli verdi che le aveva salvato la vita.

Kaze.

-…perché?- gli chiese, e lo odiò quando vide la comprensione nel suo sguardo di scuse, e si odiò per il pallore del proprio viso, per il velo di lacrime nei propri occhi, per le increspature nella propria voce.

Kaze portò una mano al viso di lei e le sistemò i capelli, riavviando alcune ciocche sotto il cerchietto. -Andrà tutto bene.-

Come?, avrebbe voluto chiedergli. Per come apparivano le cose in quel momento, per lei sarebbe stato meglio morire nella caduta giù per l’Abisso. I suoi occhi virarono verso l’oscurità eterna sotto di sé mentre l’hoshijin la spingeva lentamente sul ponte di pietra che il principe aveva creato con la Vena Drago. La stretta sulle sue braccia e sui suoi fianchi non era soffocante, ma era solida – per essere certo che non facesse nulla di stupido, come se avesse letto i suoi pensieri.

Cercò di guardare al di sopra della spalla di lui, per vedere un’ultima volta le sue guardie, ma era già troppo lontana. Il cuore le sprofondò nel petto.

Gunter. Jakob.

Non era nemmeno riuscita a dirgli quanto fosse grata di averli conosciuti, quanto significassero per lei. Non aveva nemmeno avuto la possibilità di chiedergli di dire ai suoi fratelli e sorelle quanto gli volesse bene.

Xander. Camilla. Leo. Elise.

Aveva fallito la sua missione, deluso suo padre e i suoi soldati. E adesso sarebbe diventata una fonte di informazioni da usare contro coloro a lei più cari. Aveva fallito su tutta la linea.

Mi dispiace…

La voce del principe la strappò ai suoi lugubri pensieri.

-Non mi importa se è carina, Kaze. Legala.- ordinò mentre li sorpassava quando ebbe attraversato la gola, diretto verso la testa della colonna per guidare i suoi soldati via dall’Abisso Infinito.

Ileana sentì il sangue ribollire mentre la superava senza degnarla nemmeno di uno sguardo, e sibilò: -Non ti darò niente.-

Lui si fermò a quelle parole. C’era un sorrisino sulle sue labbra mentre le si avvicinò, come la sua impudenza non facesse altro che divertirlo. -Volontariamente, no di certo. Non ne dubito. Non importa, da te avrò lo stesso quello che voglio. Per esempio…-

Ileana si rifiutò di rifuggire il tocco che le sfiorò i fianchi, diretto al cinturone di pelle che portava in vita. Le sue dita sciolsero le fibbie con sorprendente rapidità, e lei sentì il peso di Ganglari allontanarsi dalla sua pelle. Aveva portato la spada al fianco da quando era partita, ed era diventata una sicurezza, nonostante avesse saputo dal primo momento che non l’avrebbe mai sguainata. Sentirsela portare via era destabilizzante.

-Cosa se ne faccia una maga come te di una lama del genere, poi…-

Ileana esalò il respiro che non si era accorta di trattenere. -Più o meno la stessa cosa che se ne farebbe un Cecchino.-

Lui la ignorò del tutto, concentrato com’era a sfilare il fodero di Ganglari dal cinturone per legarla direttamente alla propria armatura, le mani che esaminavano l’elsa della spada con reverenza.

-Perdonatemi, milady.- mormorò il Maestro Ninja mentre le prendeva i polsi e cominciava ad avvolgerli con dei legacci sorprendentemente soffici. -Permettetemi di fare le presentazioni da parte di tutti. Io sono Kaze. Il Maestro d’Armi con cui avete duellato si chiama Hinata, e la Maestra di Lancia con cui avete discusso si chiama Oboro. Sono le guardie reali del secondo Principe di Hoshido, Lord Takumi.- il nodo che strinse era stretto, ma non tanto da farle male. -Posso avere il vostro nome, milady?-

-Sono Ileana, quarta principessa di Nohr e figlia del Re d’Ossidiana.-

Il mondo sembrò cambiare colore non appena quelle parole le uscirono di bocca. Mentre Kaze annuiva, nascondendo un sorriso tra i suoi capelli, le due guardie reali si volsero a guardarla con un’espressione che poté definire solo come incredulità. I loro occhi volarono al principe, che si era bloccato, le mani tremanti come raggelate sui legacci del fodero. Quando i suoi occhi furono su Ileana, lei vi lesse anche più rabbia di quanta non ce ne fosse stata quando sembrava impaziente di affondarle una freccia nel cuore.

-Non è possibile.- sibilò tra i denti mentre le si avvicinava a grandi passi – e questa volta, Ileana avrebbe indietreggiato, se non ci fosse stato il corpo di Kaze a impedirle la ritirata. La sua mano si chiuse sulla nuca e la strattonò verso di lui, affatto preoccupato dell’angolo doloroso in cui le piegò il collo quando la costrinse a guardarlo. -Stai mentendo.-

Ileana si ribellò, cercando di liberarsi della sua stretta, ma le sfuggì un gemito quando non ottenne altro che uno strattone. -Perché dovrei?- ringhiò in risposta.

La sua mano tremò tra i suoi capelli, rifiutandosi di lasciarla andare anche quando face un passo indietro – quando bastava per snudare Ganglari e premergliela contro la gola. Il contatto con il metallo freddo e affilato mandò una scarica di brividi giù per la schiena di lei.

-Non voglio chiedertelo di nuovo, feccia. Il tuo nome. Subito.- pretese, e la spada scintillò dello stesso rosso che gli era imperversato negli occhi.

-Te l’ho detto!- strillò lei, l’autocontrollo che scivolava via mentre la spalla vibrava contro la sua pelle, la lama tagliente che le leccava la gola con ogni tremore della sua mano. -Puoi minacciarmi quanto vuoi, ti ho detto la verità!-

-Quelli come te non dicono la verità così facilmente.- grugnì, la spada – la sua spada, il dono di suo padre – che le premeva contro la gola quanto bastava da bagnarsi di sangue. -Ma ho intenzione di strappartela, principessa, a qualunque costo. Credimi, crollerai. In fretta.-

-Lord Takumi!-

Ileana sentì il calore di una mano sfiorarle il mento mentre allontanava la lama dalla sua gola. La nuca bruciò di dolore quando il pugno stretto tra i suoi capelli si rifiutò di allentare la presa, ma la fermezza dello stesso braccio che le aveva impedito di precipitare nell’Abisso Infinito la trascinò via con dolcezza, e quelle dita finalmente le permisero di scivolare via.

-Lasciatela in pace!- Kaze supplicò, l’altro braccio che si stringeva, protettivo, attorno alle sue spalle. -Io… non credo che stia mentendo, milord.-

Ileana poteva sentire il respiro affannoso del principe, ma si rifiutò di incrociare il suo sguardo assassino finché non fosse certa di poterlo sopportare. Xander non avrebbe tremato di fronte a un nemico. Camilla non avrebbe mai permesso a nessuno di intimidirla tanto da renderla inerme. Leo non avrebbe mai implorato clemenza ai suoi aguzzini. Doveva essere forte quanto loro.

Per loro.

-Manderemo a chiamare mia madre, allora.- decise il principe mentre Ileana alzava finalmente lo sguardo e raddrizzava la schiena dopo aver fatto un respiro profondo. La prima cosa che vide fu la sua smorfia di fronte alla sua sfida. -Kaze, va’ a chiamare Reina. Voglio parlarle immediatamente. E ti proibisco di avvicinarti in ogni modo a questa cagna finché rispondi ai miei ordini.- fece un cenno alle sue guardie, per farli avvicinare. -Oboro, alla feccia ci pensi tu. Perquisiscila e legala – come si deve – e restituisci a Kaze la sua sciarpa.-

Ileana lo guardò con aria di superiorità mentre il Cecchino le voltò le spalle. La donna di nome Oboro le si avvicinò e lei scoprì di denti. Le braccia calde di Kaze si rifiutarono di lasciarla andare.

-Lord Takumi!- implorò, un’inflessione strana nella voce che lei non fu in grado di comprendere. -Mio principe, vi prego, permettetemi di__-

-Ti ho dato un ordine, Kaze.- lo interruppe lui, rifiutandosi di ascoltare il Maestro Ninja, senza nemmeno voltarsi a guardarlo. -Non sarai tu ad occuparti della prigioniera. Perché lei è una una prigioniera. Fino a prova contraria, non è altro che un ostaggio e una fonte di informazioni, e sarà trattata come tale. Chiaro?-

-Mio principe.- e questa volta Ileana capì in cosa trasformasse le sue parole quella strana inflessione: erano un avvertimento. -Se le facciamo del male prima di essere sicuri, Lady Mikoto__-

-È chiaro, Kaze?- insisté il Cecchino, interrompendolo tanto con la voce quanto con lo sguardo minaccioso che gli scoccò da sopra la spalla. -Bada, non ho intenzione di tollerare ulteriori interferenze da parte tue. Ci siamo capiti?-

Kaze sembrò dover compiere un vero sforzo per tenere a freno la lingua, e l’ossequioso ‘Sì, milord’ che sibilò non risposta di certo non era quello che avrebbe voluto dire. Ileana sentì l’ultima carezza che le lasciò sul braccio prima di lasciarla andare e sparire nella colonna di hoshijin.

Quelle sarebbero state le uniche mani amichevoli che avrebbe trovato lì, si rese conto mentre la stoffa soffice che Kaze aveva usato per legarle i polsi scivolava via per essere rimpiazzata da della corda dura, avvolta strettamente attorno alle mani. I legacci le morsero la pelle mentre si stringevano, immobilizzandole le braccia in una posizione scomoda per la spalla, e gemette al dolore che s’irradiò giù per il braccio che già le faceva male.

-Questo è per avermi paragonata a uno schifosissimo cane.- le ringhiò contro la Maestra di Lancia mentre tirava ancora di più i legacci in un nodo stretto. -Ora, muoviti.-

Senza un lamento, Ileana si lasciò spingere lungo il cammino, tenendo la schiena dritta, la testa alta, il viso atteggiato in una smorfia di sdegno e superiorità. Non si sarebbe piegata solo perché la consideravano una morta che cammina, affatto – anzi: avrebbe fatto tutto il possibile per rendergli impossibile strappargli anche una sola parola.

Non aveva nulla da perdere.

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Salve a tutti!
Come al solito, mea culpa, sono in un ritardo pazzesco, avrei dovuto aggiornare una settimana fa. Chiedo perdono!
Bando alle ciance, ecco la prima delle nostre protagoniste, Ileana di Nohr: Ileana è il nostro "Nuovo Personaggio", e già la trama comincia a discostarsi da quella del gioco in sé - e le cose non faranno altro che ingarbugliarsi, da questo momento in avanti!
Speriamo entrambe che il capitolo vi sia piaciuto, e vi aspettiamo fra un mesetto (circa) con il prossimo aggiornamento!
Ecco un piccolo vademecum delle scelte stilistiche di traduzione che abbiamo fatto in questo capitolo:
Bottomless Canyon: Abisso Infinito
Dark Mage: Mago/a Oscuro
Sorcerer/ress: Incantatore/trice
Sniper: Cecchino
Master Ninja: Maestro Ninja
Kinshi Knight: Cavaliere Kinshi
Spear Master: Maestro/a di Lancia
Master of Arms: Maestro d'Armi
Hoshidan: Hoshijin
Nohrian: Nohriano
Obsidian King: Re d'Ossidiana
Marble King: Re di Marmo
La storia è pubblicata contemporaneamente anche sul sito ArchiveOfOurOwn, in inglese, con aggiornamenti mensili da entrambe le parti. Trovate la versione in inglese QUI
Alla prossima!

 

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Capitolo 3
*** Itsuarpok ***


Aranyhíd

Iktsuarpok
(Inuit)
Un senso di ansiosa anticipazione, che spinge a continuare ad attendere alla finestra il ritorno di qualcuno.

Il sole, luminoso e a tratti crudele, si rifletteva sulle candide penne delle ali del suo pegaso, ma Hinoka aveva imparato tanti anni prima a non curarsene: aveva addestrato i suoi occhi a non lasciarsi accecare da quel riverbero durante la lotta. L’aria fredda della Luna Cacciatrice le bruciava i polmoni che reclamavano riposo, ma Hinoka era troppo concentrata sulla sua avversaria per rendersene conto.

Prese un respiro profondo, rinsaldò la stretta della sua mano destra sulla fredda impugnatura di legno della sua nageyari e poi tirò indietro il braccio, calcolando con un solo sguardo l’arco che la lancia avrebbe dovuto compiere nel suo letale tragitto ma costringendosi ad attendere che si aprisse un varco nella solida difesa della sua nemica.

La guerriera, appiedata, stava ansimando, probabilmente esausta quanto lei: nessuna delle due era ancora riuscita a prevalere sull’altra, fino a quel momento, nonostante entrambe avessero chiaramente dato il massimo delle proprie capacità già dall’inizio del duello. La samurai si scostò i corti, arruffati capelli biondi dalla fronte madida di sudore, abbassando lo sguardo soltanto per un brevissimo istante – la chance che Hinoka stava aspettando.

La nageyari fendette l’aria con la brutalità di un fulmine, sussurrando al vento il suo canto di morte. La samurai piroettò su se stessa, evitando la sottile lancia per un soffio – e poi, sorprendendo la cavallerizza, afferrò il dardo che quasi l’aveva trafitta e, sfruttando la velocità della sua mezza piroetta, la strappò dal terreno e la lanciò contro l’avversaria, mancando di pochi pollici l’ala destra del cavallo alato prim’ancora che Hinoka potesse anche soltanto sfiorare la propria naginata.

-HA! Ce l’ho fatta!- esultò, saltellando sul posto, ed Hinoka scorse un lampo di trionfo in quelle luminose iridi scarlatte che, nel Sole invernale, risplendevano come rubini.

Sorrise, avvertendo l’orgoglio fiorirle nel petto nel vedere la giovane samurai festeggiare il proprio risultato: avevano cominciato a lavorare su quella particolare tattica di contrattacco sin dall’alba di quel mattino, dimentiche del pranzo e degli obblighi di entrambe, troppo concentrate per rendersi conto del piccolo pubblico che si era radunato intorno al campo di addestramento della Capitale per osservarle.

-Credo che per oggi sia abbastanza, Zoe.- annunciò, dirigendo il suo fedele pegaso a terra e smontando di sella, sorridendo in risposta all’entusiasmo della sua giovane pupilla.

-Perché?- replicò Zoe, divertita, allungando le mani verso le punte dei piedi per stirare i muscoli della schiena. -Non sono nemmeno stanca! Potrei andare avanti per o__ouch.- gemette, quando un udibilissimo schiocco della sua spina dorsale sembrò caldamente suggerirle che non sarebbe proprio stato il caso di continuare quell’addestramento estenuante.

-Come volevasi dimostrare, basta così.- ridacchiò, Hinoka, avvicinandosi per arruffarle la sua già abbastanza disordinata zazzera bionda. -Hai già fatto dei passi da gigante, non c’è bisogno di esagerare.-

Zoe sbuffò, scrollando la testa e abbassando le lunghe orecchie a punta, mortificata.

-Esagerare? Ti sei mai addestrata con Saizo? Quella non è una parola che lui conosce, fidati.- borbottò, distogliendo lo sguardo dall’espressione divertita della rossa e trascinandosi stancamente verso il più vicino angolino all’ombra, lasciandosi poi cadere malamente sul folto prato verdeggiante che circondava il campo di allenamento.

Chiuse gli occhi, ed Hinoka rimase a guardarla per qualche istante, scorgendo i suoi arti rilassarsi uno dopo l’altro, uno ad ogni respiro: quel metodo di defaticamento veniva insegnato a tutte le reclute perché, con la pratica, permetteva di raggiungere un controllo quasi completo di ogni muscolo del proprio corpo.

Zoe però era ancora ben lontana da quel traguardo, osservò, cercando di sopprimere la risata che la testardaggine dell’amica riusciva sempre a suscitarle: era troppo giovane ed impaziente per riuscire a mantenere quel pacifico stato molto a lungo… a volte le ricordava Ryoma, rifletté, perché anche il suo perfetto fratello maggiore, in gioventù, aveva spesso peccato di esuberanza.

-Beh, io non sono Saizo, e secondo me per oggi va bene così.- sospirò, sapendo però di parlare con un muro decisamente sordo; Zoe, infatti, sbuffò di nuovo, chiaramente in disaccordo con l’opinione del Falcone, ma la sua protesta fu sedata sul nascere da un’improvvisa, mordace affermazione.

-Lady Hinoka ha ragione, Zoe. Dovresti preoccuparti più del tuo pessimo carattere che della tua forma.-

Le labbra di Zoe si piegarono all’istante in un sogghigno tutto denti, quando il suo udito riconobbe la voce di Subaki, guardia reale della sorella più piccola di Hinoka, Sakura.

-Qualcuno deve pur dare un po’ di allegria a questo posto. Pensa se fossero tutti come te.- replicò, schiudendo un occhio soltanto per scoccare al Falcone un’occhiata di scherno che, tuttavia, non minò affatto l’espressione perennemente serena di Subaki.

-Di sicuro saremmo tutti molto più disciplinati.- ribatté, infatti, intrecciando le mani dietro la schiena dopo aver rivolto un rispettoso inchino in direzione della principessa; l’espressione maliziosa di Zoe, però, non fece che accentuarsi, ed Hinoka poté quasi immaginare in anticipo la risposta tagliente che, prevedibile, fendette l’aria in direzione del ragazzo dai capelli rossi un istante più tardi.

-Ti annoieresti, circondato da gente come te.- commentò, aprendo anche l’altro occhio e rivolgendogli una smorfia che grondava sarcasmo. -Fidati, io mi annoio un sacco.- aggiunse, ma Subaki assottigliò lo sguardo e sorrise a sua volta, una punta di malizia nello sguardo.

Hinoka non aveva mai capito perché quei due passassero il tempo a bisticciare, ma non era certa di volerlo sapere – non era certa che la risposta a quella domanda le sarebbe piaciuta.

-Permettimi di dissentire.- commentò lui, strappando un versaccio a Zoe che, da divertita, parve immediatamente tendersi come la corda di un arco.

-Dì la verità, ci tieni a prenderle di nuovo.- sibilò, ma Subaki le rivolse il più smagliante dei sorrisi, conscio di aver segnato un punto in quella partita a cui tutta la guarnigione di guardie reali e soldati assegnata a Shirasagi aveva, ormai, fatto l’abitudine.

-Sono passati anni, Zoe.- sospirò, alzando elegantemente gli occhi al cielo, inchinandosi nuovamente ad Hinoka prima di superarla per avvicinarsi alla ragazza. -Adesso perderesti.- replicò, fermandosi a poche iarde dall’altra guardia, scuotendo elegantemente la testa per far sì che i suoi lunghi capelli rossi risplendessero di mille riflessi scarlatti sotto i freddi raggi del Sole.

Hinoka sospirò, esasperata.

Ricordava molto bene lo scontro a cui Zoe si era riferita: era successo qualche anno prima, una sessione di addestramento delle guardie reali aveva visto il solitamente impeccabile Subaki, lo stesso Subaki che non era mai stato in grado di sopportare una sconfitta, travolto da una Zoe che sembrava aver deciso di dargli una lezione che l’intero castello aveva fatto fatica a dimenticare.

Hinoka represse un sorriso, rammentando l’espressione soddisfatta di Zoe e quella sconvolta di Subaki: sapeva quanto entrambi potessero diventare competitivi e una parte di lei avrebbe davvero voluto che si calmassero, ma non aveva potuto fare a meno di provare un profondo orgoglio per l’abilità che Zoe aveva dimostrato – in quell’occasione come in tutte le altre, del resto: Zoe aveva sacrificato tutto per diventare una dei guerrieri migliori di Shirasagi, rendendo fieri di lei i suoi insegnanti, i suoi tutori e anche lei, che l’aveva sostenuta anche quando in diversi si erano opposti alla sua decisione di diventare un soldato.

D’altronde, lei poteva capirla meglio di chiunque altro.

-Io non ho fatto che migliorare, ultimamente. Sicuro di volermi sfidare?- replicò Zoe, strappando Hinoka ai suoi pensieri, balzando in piedi e cominciando a raccogliere le diverse armi da allenamento con cui si erano addestrate.

-Zoe.- la redarguì la principessa, cercando di reprimere la risata che già le gorgogliava in gola: Zoe era sveglia ed aveva una lingua svelta e tagliente, sicuramente ereditata dalla sua madre adottiva, l’Onmyoji Orochi. Zoe si morse la lingua, sopprimendo a sua volta un sorriso e chinando la testa in segno di pentimento.

-Scusa, Hinoka.- mormorò, in un convincente tono contrito, ma Hinoka sapeva benissimo che non era minimamente dispiaciuta: quelle buffe orecchie a punta, che rendevano Zoe una bizzarra creatura che da piccola era spesso stata vittima di scherzi e prese in giro, erano un ottimo indicatore dell’umore della loro proprietaria e, in quel momento, erano ben dritte e attente – chiaro segno di quanto poco fosse rammaricata di aver dato una rispostaccia antipatica a Subaki.

Sì, assomigliava ad Orochi ogni giorno di più.

-Per te è lady Hinoka, Zoe.- s’intromise, a quel punto, Subaki, scoccando alla ragazza uno sguardo esasperato. Hinoka scosse la testa, minimizzando il tutto con un gesto gentile della mano e, contemporaneamente, facendo segno a Zoe di non reagire alla provocazione.

-No, non ce n’è bisogno, davvero.- sorrise, Hinoka, sperando che Subaki lasciasse cadere la questione mentre Zoe, con le labbra strette che trattenevano chissà quali imprecazioni, si allontanava per riporre le armi nella griglia a cui erano destinate.

Subaki, tuttavia, non sembrava aver intenzione di lasciar correre quello che, ai suoi occhi di giovane nobile di una delle casate più antiche e prestigiose dell’intera nazione di Hoshido, doveva sicuramente sembrare un affronto imperdonabile.

-Milady, se posso permettermi di parlare liberamente…- domandò, infatti, inchinandosi quando la principessa lo invitò a proseguire. -Zoe è un ottimo guerriero, ma non credo che abbia bisogno di altri addestramenti.- si spiegò, scoccando un’altra occhiata pensierosa in direzione della Samurai. -Quello di cui ha bisogno è un signore da servire, o la sua… esuberanza non farà che peggiorare. Non è mai stata molto disciplinata.- continuò, ed Hinoka si morse la lingua, limitandosi ad annuire.

Non aveva nemmeno tutti i torti, fu costretta ad ammettere con se stessa.

A Zoe, che la regina di Hoshido aveva raccolto per strada e portato con sé quando era giunta nel regno, tanti anni prima, era sempre stato permesso ciò che ad altre guardie reali sarebbe stato impensabile concedere.

Era stata posta sotto la tutela delle guardie personali della regina sin dalla più tenera età, ed era cresciuta considerando i reali stessi una sorta di famiglia – soprattutto i due fratelli minori di Hinoka, Takumi e Sakura, accanto a cui era stata sin da piccolissima.

Nessuno, in realtà, aveva mai ritenuto quel comportamento particolarmente problematico o irrispettoso… soprattutto da quando Zoe era stata testimone del brutale assassinio del re, tanti anni prima, e del rapimento della legittima figlia della regina Mikoto.

O, almeno, questo era ciò di cui Zoe era convinta da oramai quattordici anni.

Però comprendeva le parole di Subaki e, in parte, condivideva i suoi timori: Zoe era cresciuta convinta di essere un’orfana e, nel corso degli anni, aveva sviluppato un’inquietudine che il suo maestro, Saizo, faticava sempre di più a tenere a freno… ciò che Subaki non sapeva – che non poteva nemmeno lontanamente immaginare – era ciò che il futuro serbava per quella ragazza che aveva tanto lottato per guadagnarsi un posto che, a sua insaputa, le apparteneva già di diritto.

-Oh, ma poi te le vai anche a cercare, stupido pavone… aspetta che ti trovi da solo e tutte le botte che ti ho dato quella volta ti sembreranno carezze al confronto…- mugugnò la voce di Zoe alle spalle di Hinoka, sorprendendola: non l’aveva sentita riavvicinarsi, ma non era una novità – Zoe era stata cresciuta dai ninja, e nei suoi piedi era intriso un passo felpato che apparteneva soltanto a chi era abituato a muoversi nelle ombre.

-Zoe, non borbottare, è maleducato.- la rimbeccò il rosso, allungando rapidamente una mano per tirarle un orecchio e ritirandola prima che gli venisse probabilmente staccata a morsi.

Ormai incapace di trattenere più a lungo le risate, Hinoka prese un respiro profondo, rassettando la gonna della divisa da Falcone che indossava per costringersi a non guardare l’espressione profondamente oltraggiata della Samurai.

-Credo che vi lascerò discutere da soli, ora.- annunciò, interrompendoli giusto per i pochi attimi che ad entrambi servirono per inchinarsi in un rispettoso gesto di saluto a cui lei rispose con un sorriso e un cenno della testa. -Subaki, Zoe.-

-Hinoka.- la salutò Zoe, agitando allegramente una mano fino a che non ritenne che Hinoka si fosse allontanata abbastanza; poi, repentinamente, si scagliò sull’altra guardia reale, tirandogli un calcio che Subaki schivò per un pelo. -Per gli dei, Subaki, giuro che un giorno di questi ti darò tanti di quei calci nel__-

-Linguaggio!- rise lui, schivando un tentativo di pugno e parandone un secondo, stringendo nel palmo della mano quella di lei e strattonandola appena per avvicinarla a sé, ridacchiando quando Zoe avvampò e si divincolò per balzare immediatamente indietro.

-A me vieni a dire di moderare il linguaggio!?- ringhiò, scoccandogli un’occhiataccia e raddrizzando le orecchie, rosse d’imbarazzo e di frustrazione. -Dei, io non so nemmeno perché ti sopporto!- sbottò, prima di dargli bruscamente le spalle e dirigersi a passo marziale verso i quartieri delle guardie di sesso femminile, dove quell’idiota non avrebbe potuto continuare a darle fastidio.

.

Hinoka, nascosta dietro una delle tante statue che ornavano il percorso acciottolato che dal campo di addestramento portava al bellissimo giardino del castello di Shirasagi, si permise finalmente quella risata che aveva trattenuto fino a quel momento. Si appoggiò con la schiena al marmo freddo e candido da cui era emersa, decine d’anni prima, la figura possente di un ormai dimenticato guerriero armato di katana, cercando di soffocare il suono del suo riso premendosi entrambe le mani sulla bocca.

Zoe era sempre stata una forza della natura.

Prese fiato, sfregandosi gli occhi inumiditi dall’ilarità, senza tuttavia riuscire a cancellare il sorriso che le increspava le labbra sottili.

Zoe era giunta a Shirasagi molti anni prima, quando Hinoka era ancora poco più di un’infante, assieme a quella che sarebbe poi diventata la seconda moglie del re di Marmo e la regina reggente di Hoshido.

Sumeragi, che Hinoka ricordava soltanto come un uomo dalla risata ruggente e dai capelli che assomigliavano alla criniera di un leone, aveva accolto Mikoto e le due neonate che portava con sé, offrendo rifugio e conforto a quella donna che sembrava essere apparsa dal nulla. Lady Ikona, la madre naturale di Hinoka e dei suoi fratelli e, a quel tempo, regina, aveva offerto a Mikoto un lavoro come dama di compagnia, permettendole così di mantenere in modo onorevole le due infanti che aveva presentato come sue figlie.

La regina e la nuova arrivata avevano stretto amicizia in fretta, accomunate da una natura profondamente altruista e affettuosa: a quei tempi Ikona, di cui Hinoka purtroppo non serbava altro ricordo se non l’impronta di una dolce carezza fra gli scompigliati capelli rossi che da lei aveva ereditato, era in attesa del quarto figlio – quella che sarebbe poi diventata la piccola Sakura –, ma la sua salute cagionevole aveva decretato una condanna a morte da cui nessuno, a Shirasagi, si era ripreso facilmente.

Hinoka non rammentava chiaramente il dolore e il senso di vuoto che avevano accompagnato la morte di sua madre; tutto ciò che sapeva le era stato raccontato, ma poteva perfettamente immaginarsi, bambina, davanti ai fiori candidi cosparsi sul corpo senza vita di Ikona, con la mano stretta in quella del suo fratellino e una Mikoto in lacrime che teneva un braccio attorno alle spalle di Ryoma e l’altro attorno al corpicino esile di una Sakura appena nata.

Era sicura di ricordare che anche il cielo, quel giorno, aveva pianto la perdita del sorriso del re.

Mikoto, che nel corso del tempo era diventata un’amica fidata di Ikona e dei suoi figli, aveva trascorso i molti mesi del lutto reale con loro, gli orfani della regina: si era occupata delle necessità di Sakura, aveva spiegato a Takumi, con tutta la dolcezza di cui era capace, il motivo per cui la mamma se n’era andata, aveva accolto nel proprio letto una Hinoka scossa dagli incubi e aveva fatto sì che Ryoma non avesse il tempo di pensare alla perdita della madre, occupato dall’esuberanza di Zoe e di Ileana, l’altra bambina di Mikoto.

Il re, grato a Mikoto per la gentilezza e l’affetto di cui aveva riempito le vite dei suoi figli in un momento tanto difficile, si era lentamente avvicinato a quella donna gentile, trovando anch’egli conforto nella dolcezza che aveva già conquistato i suoi bambini: il lutto per la perdita di Ikona li aveva uniti e, alla fine, l’amicizia si era trasformata in affetto e in amore, incoronando Mikoto nuova regina di Hoshido.

In molti avevano osteggiato quella donna di umili origini che aveva, ai loro occhi, insidiato dapprima la regina e poi il re, ma presto si erano dovuti ricredere: lady Mikoto aveva conquistato il cuore degli hoshijin, restituito il sorriso a Sumeragi e dato una madre a quei bambini che amava come suoi e da cui era pienamente ricambiata.

Il sole era tornato a splendere su Hoshido, grazie a Mikoto, e le strade si erano presto nuovamente riempite di fiori, musica e risate.

Sumeragi aveva accolto nella famiglia reale anche le bambine di Mikoto, sebbene soltanto una fosse stata effettivamente adottata dal re, in quanto l’unica ad avere effettivi legami di sangue con la nuova regina – Mikoto aveva raccontato a lei e a Ryoma di aver avuto una figlia dal suo primo marito, anch’egli defunto, e di aver trovato l’altra neonata fra le macerie di un regno ormai perduto.

E poi il re di Marmo era caduto, ed un eterno crepuscolo era calato sul regno.

Ryoma era stato riportato a palazzo da Saizo IV e dai suoi figli, i gemelli Saizo V e Kaze; con lui, però, era tornata soltanto una delle bambine che Sumeragi aveva portato con sé a Cheve assieme al primogenito: Zoe.

L’espressione vuota e scioccata di Zoe era ancora chiaramente impressa nei ricordi di Hinoka.

Era stata riportata a Shirasagi senza la sua inseparabile sorellina, che le era stata sottratta dalle braccia e che, presumibilmente, era stata rapita o uccisa dal re di Nohr, Garon… la perdita di Ileana, in quella buia notte di Cheve, aveva portato via anche l’infanzia e l’innocenza di quella bambina troppo piccola per ricordare la verità.

Era stata quella perdita, quella colpa di cui Zoe si era caricata nonostante nessuno avesse mai nemmeno pensato di accusarla di qualcosa di tanto orribile, a forgiare la donna forte e determinata che aveva preso in mano una spada di legno da bambina e aveva affermato di voler diventare un guerriero per andare a riprendersi Ileana.

La principessa perduta era stata per molto tempo l’unico motivo a guidarla, l’ossessione che l’aveva spinta a sopportare senza fiatare gli addestramenti brutali di Saizo, la rabbia che aveva infuso nelle mani che si erano fatte sempre più callose e abituate alla forma delle armi: negli anni, però, quella furia malata si era acquietata, e di recente Zoe aveva cominciato ad esprimere il desiderio di scalare i ranghi dell’esercito per diventare daimyo, un generale.

Certo, lei non poteva sapere quanto il suo futuro fosse stato già scritto molti anni prima, ma Hinoka comprendeva il suo bisogno di un ruolo, di un destino, di una strada da percorrere – la capiva, capiva perché Zoe volesse combattere, ottenere un ruolo abbastanza importante da darle la possibilità di impedire che altre bambine venissero rapite e altri padri strappati alle loro famiglie.

Era diventata un guerriero per gli stessi motivi, dopotutto.

-Hinoka, mia cara.-

Una voce tenue e delicata sottrasse improvvisamente Hinoka dai pensieri che avevano adombrato il suo viso; la principessa alzò lo sguardo, tentando di reprimere la tristezza che le aveva colmato l’animo, sforzandosi di sorridere quando si ritrovò dinanzi il volto di sua madre, la regina Mikoto.

-Madre.- la salutò, allungando le braccia per accogliere fra le proprie le mani tese di Mikoto, stringendole con tutta la tenerezza di cui era capace e sentendo il peso che le gravava sul petto alleviarsi in risposta alla vicinanza della madre – aveva sempre avuto quella capacità, quella donna che era fiera e felice di considerare la sua mamma, di trasmetterle calma e serenità anche nei momenti più bui.

Il frastuono proveniente dal campo di addestramento le distrasse, e Mikoto si sporse in tempo per riuscire a vedere Zoe dirigersi a passo di marcia verso i bagni delle donne, chiaramente furibonda; Hinoka ridacchiò e la regina sorrise, divertita.

-Ah, vedo che alcune cose non cambiano mai.- commentò, notando probabilmente anche Subaki, di sicuro rimasto al campo per allenarsi a sua volta.

-Affatto. Quei due proprio non si sopportano.- annuì Hinoka, aspettando che Zoe sparisse dalla vista di entrambe per poi prendere sottobraccio la madre e lasciarsi condurre verso il castello.

-Non sono due caratteri facili, questo è certo.- concordò la regina, ben conscia della rivalità che divampava da anni fra quei due: sebbene si fosse distanziata progressivamente da Zoe, dopo la morte di Sumeragi, Mikoto non aveva mai smesso di interessarsi dei progressi e della vita della turbolenta samurai dalle orecchie a punta, e tanto Hinoka quanto Ryoma avevano sempre cercato di riempire la malinconia della madre con i racconti di tutto ciò che era capitato a loro, ai loro fratelli e a Zoe durante il giorno.

Prevedibilmente, come succedeva sempre quando l’argomento fra loro era Zoe, Hinoka vide il volto della regina adombrarsi.

-È diventata una splendida, giovane donna…- sussurrò, lasciando che quella triste constatazione si perdesse fra i sospiri del vento, ed Hinoka avvertì le sue dita esili stringersi sul suo avambraccio.

Sì, Zoe era cresciuta, maturando in una guerriera e in una persona di cui qualunque genitore sarebbe potuto essere fiero: ma non Mikoto, non quella madre che aveva dovuto celare alla propria figlia la sua identità, il suo retaggio e la sua famiglia.

-Madre…-

La voce della principessa si spezzò, mescolandosi al lutto celato nel gemito silenzioso della regina di Hoshido, in quei tristi occhi bruni che scrutavano l’orizzonte come se quel Sole splendente potesse restituirle le figlie che aveva perduto in quella terribile notte di Cheve.

-Le dirai mai la verità?-

Mikoto abbassò lo sguardo, e la maggiore delle sue figlie poté scorgere la sofferenza ed il rimorso dipingersi sul suo volto di porcellana.

La verità.

La verità poteva essere tanto meravigliosa quanto terribile, tanto un fardello quanto una liberazione: Hinoka aveva atteso per anni, impaziente, che giungesse il momento di rivelare a Zoe ciò che era stato fatto per proteggerla… ma non era sua, quella decisione, e perciò si era costretta ad aspettare pazientemente che arrivasse il giorno in cui Mikoto avrebbe finalmente scelto di liberare coloro che sapevano dal silenzio che li aveva tormentati così a lungo.

-Sì.- promise la regina al vento, affidando a quei refoli gelidi la sua speranza, quella di Hinoka e quella di tutti coloro che erano impazienti di accogliere la legittima principessa nella famiglia reale.

L’ombra di un kinshi passò sopra di loro, riempiendo il cielo per un istante: le due donne alzarono lo sguardo, distinguendo un familiare scorcio di lunghi capelli blu e le candide vesti del Cavaliere Kinshi incaricata ormai da anni della protezione della regina.

E allora Mikoto sorrise, rasserenandosi all’improvviso, seguendo l’aggraziata planata della fedele Reina con una nuova luce nello sguardo.

-Prima di quanto io stessa pensassi.-

.

Zoe drizzò le orecchie, illuminandosi in volto quando un suono familiare la distrasse dal pensiero di quell’odioso di Subaki.

-Reina!- esclamò, lanciando da parte i sandali che avrebbe dovuto indossare e correndo fuori dai bagni appena in tempo per scorgere la sagoma di un kinshi che lei ben conosceva stagliarsi sul cielo limpido a poco più di qualche manciata di piedi dal suolo.

Senza darsi nemmeno il tempo di scorgerne il cavaliere, sicura del proprio udito e del proprio intuito, diede le spalle all’enorme pennuto e scattò in direzione della statua più vicina, aggrappandosi al braccio di marmo per riuscire inerpicarsi lungo la struttura. Aveva sempre amato scalare, sin da bambina, e non c’era statua a Shirasagi che lei non avesse usato almeno una volta per guardare il mondo stendersi all’infinito davanti al suo sguardo.

Raggiunse la testa, salendovi in piedi e rimanendo in equilibrio senza troppi problemi, aggrappandosi alle scanalature dei capelli scolpiti con le dita dei piedi – Subaki sicuramente sarebbe inorridito, nel vederla così inselvatichita… quindi doveva assolutamente fare in modo che la vedesse, si annotò mentalmente, divertita, accovacciandosi quando il kinshi passò a poco più di una iarda dalla sua testa; e poi saltò, mettendo nelle gambe tutta la forza che aveva ed allungandosi per aggrapparsi alle zampe del volatile.

Il kinshi, tutt’altro che allarmato, sollevò gli artigli per avvicinarla al proprio corpo, permettendole così di inerpicarsi sotto una delle sue grandi ali candide per essere, poi, afferrata per la collottola da una forte, familiare mano di donna: rise, Zoe, lasciandosi tirar su senza protestare, aggrappandosi con gioia alle spalle del Cavaliere quando quella la tirò in grembo e la avvolse in un abbraccio così stretto da mozzarle il fiato.

-Sei tornata!- cinguettò, felice, affondando il viso nei capelli blu del Cavaliere che, assieme a Orochi e a Kagero, l’aveva cresciuta.

Reina, la più anziana delle guardie reali assegnate alla regina Mikoto, le accarezzò i capelli, appoggiando la guancia alla fronte della ragazza.

-Mia dolce, cara bambina, sono così felice di vederti.- le mormorò affettuosamente all’orecchio, cullandola in quell’abbraccio a cui Zoe, nonostante ormai fosse una donna fatta e finita, non riusciva a rinunciare: Reina e, in seguito, Orochi e Kagero, erano state nominate sue tutrici molti anni prima, appena dopo Cheve, e Zoe non riusciva nemmeno a ricordare come fosse stata la sua vita prima di loro… erano la sua famiglia, i suoi porti sicuri in quel mondo in cui non aveva ancora trovato un suo posto, e lei le amava con ogni fibra del suo essere.

-Ti aspettavo fra giorni!- trillò, sollevando la testa per ricambiare il sorriso della guerriera. Reina le accarezzò una guancia e Zoe, felice, piegò la testa per seguire il tocco calloso e ruvido dei polpastrelli da arciere della donna, assetata del contatto fisico che, nel regno di Hoshido, era da sempre riservato soltanto all’intimità celata al di là di sottili pareti di carta di riso.

-Com’è stata la tua giornata?- le domandò il Cavaliere, aiutandola a voltarsi per sistemarsi in sella davanti a sé. Zoe si accomodò meglio, lanciando una gamba dall’altro lato del dorso del pennuto e afferrando le redini, stringendo le ginocchia per dirigere il kinshi verso le stalle; Katsu, che Zoe aveva raccolto da implume pulcino ferito e cresciuto fino a diventare la maestosa cavalcatura di Reina, obbedì docilmente alla sua guida esperta, planando con grazia verso il terreno.

-Hinoka mi ha aiutata ad imparare un contrattacco con la nageyari, non vedo l’ora di mostrartelo. Oh, e ho discusso con Subaki, come sempre.- raccontò, senza distrarsi, focalizzando la propria attenzione sull’ambiente che le circondava e sulle manovre che doveva far compiere al kinshi.

La stretta delle mani di Reina sulle sue spalle si strinse e, nella sua voce, Zoe colse una traccia d’acciaio.

-Desideri che me ne occupi io?-

.

-‘Eina!-

Reina spalanca le braccia appena in tempo per accogliere il corpicino paffuto e singhiozzante di una bambina dalle lunghe orecchie a punta, scoperte da due trecce arruffate in cui Orochi cerca, giornalmente, di imbrigliare la sua indomabile chioma biondo cenere.

La piccola si stringe forte a lei, soffocando il pianto nella spalla della donna e serrando fra le morbide dita la stoffa della sua veste, nel tentativo coraggioso di celare il proprio pianto.

-Subaki e Hinata mi tirano le orecchie.- mugugna, e Reina, in effetti, scorge un rossore anomalo sulla pelle pallida che emerge dalla sua testolina.

-Oh, piccolo tesoro, non piangere.- la culla, prendendole il viso fra le mani e cancellando, coi pollici, quelle lacrime testarde che Zoe cerca sempre di nascondere. Nel suo kimono candido sembra una bambola più che un essere umano, ma Reina sa bene che, in quel giovane spirito libero, si cela un animo coraggioso. -Sai cosa facciamo, ora? Andiamo a tirar loro le orecchie a nostra volta, fino a che non gliele strapperemo dalla testa. Ti piace l’idea?- le propone e, quasi immediatamente, vede gli occhi scarlatti della piccola illuminarsi.

-Sì!-

..

Zoe ridacchiò, udendo risuonare fra i ricordi le strilla di dolore di quei due odiosi ragazzini che, tuttavia, le erano più cari di quanto dimostrasse – no, forse stava esagerando: Hinata le era molto caro, ma avrebbe felicemente fatto a meno dell’esistenza di Subaki.

Stupido pavone egocentrico e narcisista. Avrebbe dovuto dargli un’altra lezione, presto o tardi.

-Oh, no, ormai so gestirlo senza problemi. È solo fastidioso.- rassicurò la sua tutrice, facendo atterrare agilmente Katsu e balzando subito a terra, impaziente, tirandolo per convincerlo ad entrare nel suo box. -Il tuo viaggio com’è stato? Sarai stanca, vuoi che ti prepari un bagno caldo? Takumi e Kaze stanno bene?- le domandò, ricordando improvvisamente che Reina era stata assegnata alla protezione del giovane principe per un viaggio di ricognizione presso i confini del regno.

-Sei sempre così entusiasta, piccola mia. La tua voglia di vivere mi mantiene giovane.- sorrise, Reina, porgendo alla ragazza le sue armi d’ordinanza perché le riponesse. -Takumi e Kaze stanno bene, e mi farebbe molto piacere se tu preparassi un bagno caldo per me. Vai nelle mie stanze, ti raggiungerò là dopo aver conferito con lady Mikoto.- la istruì, e Zoe annuì immediatamente.

-Sissignora!-

Rise, Reina, dandole un’ultima pacca affettuosa sulla testa prima di voltarsi, pronta a dirigersi nelle stanze della regina.

-Brava piccola.- la lodò ma, prima che potesse lasciare Zoe ai suoi compiti, la graziosa figura della regina di Hoshido si stagliò sulla soglia delle stalle.

-Lady Mikoto!- esclamò Zoe alle sue spalle, sorpresa, drizzando immediatamente la schiena ed inchinandosi. -Buon pomeriggio, milady.- salutò, appiattendo le orecchie sulla testa in segno di rispetto.

Erano passati così tanti anni da quando lei ed Ileana erano state trattate allo stesso modo da lady Mikoto… forse, allora, a Zoe era stato permesso di comportarsi molto più liberamente con la regina, ma quei tempi erano così lontani da essere soltanto un’ombra nella sua memoria.

Ileana.

Aveva sentito parlare così tanto della principessa perduta, della figlia di lady Mikoto che re Garon aveva sottratto dalle mani ancora calde del caduto re Sumeragi… sebbene sapesse di aver trascorso i primi anni della propria vita sempre assieme alla principessa, Zoe non riusciva a ricordare altro che una bimba minuta con i capelli biondi come i suoi che adorava mangiare biscotti e giocare a nascondino con lei, Hinata e Takumi.

Ma era per lei che Zoe era diventata ciò che era: per Ileana, per la tristezza negli occhi di lady Mikoto, per la ferita inferta alla nazione che amava e che considerava la sua casa.

Non ricordava quasi niente della notte di Cheve, se non la stretta delle braccia di Kaze e le lacrime che aveva versato: quella che fino ad allora aveva considerato la sua adorata sorellina le era stata strappata via, il re era stato ucciso dal malvagio Garon e l’unica madre che aveva conosciuto fino a quel momento, lady Mikoto, l’aveva bruscamente allontanata da sé.

Da piccola, Zoe aveva spesso pensato che la regina si fosse arrabbiata con lei per non aver preso il posto della figlia, per non avergliela riportata a casa: aveva sempre visto così tanta tristezza, negli occhi gentili di lady Mikoto, ogni volta che i loro sguardi si erano incrociati… il senso di colpa l’aveva tormentata a lungo, strappandola dal sonno tanto spesso da costringere Orochi a darle delle pozioni per dormire, fino a che, a sei anni d’età e con una determinazione che anche un guerriero adulto avrebbe invidiato, aveva cominciato a tormentare Saizo, la guardia personale di Ryoma, fino a che lo scontroso Maestro Ninja non aveva stancamente accettato di addestrarla.

Saizo era stato soltanto il primo degli insegnanti che aveva costretto per esasperazione a seguirla: a lui erano seguite Reina ed Orochi, che l’avevano addestrata nell’arte della naginata, dello yumi e della magia – anche se Zoe, per natura troppo turbolenta, non aveva mai messo insieme nemmeno un incantesimo fatto e finito e aveva presto lasciato perdere –, mentre Saizo e Kagero si erano impegnati per renderla abile almeno quanto loro nell’utilizzo di shuriken e katane.

Ryoma ed Hinoka si erano spesso opposti a quell’addestramento intensivo e troppo duro per una bambina, affezionati com’erano alla ragazzina che era cresciuta con i loro fratellini e che tante volte aveva coinvolto anche loro nelle marachelle sue e di Takumi, ma Zoe era andata avanti, ossessionata dal senso di colpa che tanto a lungo l’aveva tormentata.

Aveva fatto così tanta fatica ad accettare che non avrebbe potuto fare nulla, che a nemmeno cinque anni non sarebbe mai stata capace di far niente se non lasciarsi uccidere… certo, aveva pensato molte volte che tutto sarebbe andato bene se Garon avesse preso lei al posto della principessa – una parte di lei non avrebbe mai smesso di pensarlo – ma aveva capito che continuare a struggersi, a punirsi e a tormentarsi per qualcosa che non poteva cambiare non le avrebbe portato niente di buono.

Eppure… eppure ancora non riusciva a sostenere lo sguardo della regina, perché la tristezza in quegli occhi era qualcosa che non avrebbe mai smesso di perseguitarla.

-Buon pomeriggio anche a te, Zoe cara.- la salutò la regina, gentilmente, dandole così il permesso di alzare lo sguardo: lady Mikoto era elegante e serena come sempre e, come sempre, nei suoi occhi marroni Zoe scorse l’onnipresente velo di rammarico che la perseguitava fin da bambina.

Per fortuna, la regina spostò quasi subito l’attenzione sulla propria guardia.

-Reina, sono lieta di ritrovarti in salute. Mio figlio sta bene?- domandò, e Zoe poté distendere lievemente le spalle: non riusciva proprio ad evitare di sentirsi sotto pressione in presenza di lady Mikoto, sebbene la donna non avesse fatto altro che ricoprirla di dolcezza da che aveva memoria.

Reina annuì.

-Sì, milady, il principe Takumi era in splendida forma quando ci siamo separati. Mi ha chiesto di recapitarvi un messaggio urgente e di natura privata.- riportò, voltandosi verso Zoe ed inclinando la testa verso le porte della stalla. La ragazza annuì, inchinandosi alla sua tutrice e alla regina prima di superarle entrambe.

-Vogliate scusarmi, lady Mikoto.- salutò, prima di sparire nel luminoso pomeriggio di Shirasagi; Reina sorrise, allungando una mano per accarezzare il lungo collo di Katsu.

-È una brava ragazza.- mormorò, e la sua regina si concesse un sospiro.

-Sì. Tu, Orochi e Kagero avete fatto un lavoro splendido, con lei.- rispose, piano, e Reina sapeva che ammettere quella verità costava alla sua amata regina più di quanto chiunque avrebbe mai potuto comprendere.

Lady Mikoto, però, si riscosse quasi subito. -Ma ora dimmi, Reina, qual è il messaggio di Takumi?- domandò, e la sua guardia reale finse di non notare il tono sforzato e fragile della sua signora.

Sospirò, il Cavaliere Kinshi, volgendosi per sostenere l’espressione determinata di Mikoto.

-L’abbiamo trovata, milady.- sussurrò, e persino il suo kinshi sembrò irrigidirsi sotto le sue dita rovinate; la sovrana invece trattenne il respiro, impallidendo visibilmente dinanzi all’espressione terribilmente seria dell’altra.

-Abbiamo trovato Ileana.-

.

.

.

Canticchiando fra sé e sé, Zoe ripose i bagagli di Reina, che aveva svuotato, al loro posto: era abituata ad occuparsi di quel tipo di compiti da sempre, perché facevano parte dell’insieme di conoscenze ed informazioni che una guardia reale doveva conoscere per essere efficiente al servizio di un reale.

Ora avrebbe dovuto solamente preparare un bagno caldo e aspettare che Reina rientrasse: allora, finalmente, avrebbe potuto spietatamente tartassarla per farsi rivelare il contenuto della misteriosa comunicazione di Takumi.

Non era preoccupata: Takumi era un guerriero straordinariamente abile, letale con il suo fedele Fujin Yumi in mano e terribile con una katana, ed era in compagnia delle sue guardie personali e di Kaze, uno dei ninja più abili e rinomati dell’intera Hoshido.

No, lei voleva sapere come mai Reina era stata rimandata indietro prima del resto delle truppe del principe, e il motivo di tutta quella segretezza: in un modo o nell’altro, decise fra sé, avrebbe scoperto che cosa stava sobbollendo in pentola.

Un suono di passi, leggeri e familiari, la distrasse dai suoi pensieri; si voltò, sorridendo, fiondandosi verso la porta scorrevole nel momento stesso in cui quella si aprì.

-Mamma!- strillò, affondando il viso nel petto morbido della donna che era appena apparsa sulla soglia.

-Oof!- sbuffò quella, aggrappandosi a lei per non perdere l’equilibrio. -Non sei più così piccola da poter fare questi salti sulle esili spalle della povera Orochi, micia!- squittì, ma rise quando Zoe si limitò a stringerla ancor più saldamente.

Orochi aveva ragione: era diventata più alta di sua madre già prima di compiere sedici anni e, al contrario dell’Onmyoji dai capelli indaco, il suo fisico era molto più massiccio, sebbene non fosse mai stata in grado di nascondere sotto i muscoli la forma fin troppo rotonda dei suoi fianchi e del seno.

-Perdonami.- mugugnò, sollevando lo sguardo soltanto quando decise di averla strapazzata a sufficienza: Orochi ammiccò, scostando i ciuffi ribelli dalla fronte della ragazza e raccogliendoglieli dietro un orecchio.

Zoe, insospettita dall’insolito silenzio della madre, aggrottò le sopracciglia. -Va tutto bene? Sembri tesa.- indagò, inclinando la testa e le orecchie di lato per scrutare quei familiari occhi violetti. Orochi, divertita dall’estrema espressività di quel paio di orecchie, allungò una mano per accarezzarle, sapendo quanto fossero sensibili e delicate.

-Mi conosci bene.- la lodò, alzandosi in punta di piedi per baciarla sulla guancia; la ragazza socchiuse le palpebre, soddisfatta, e la maga ridacchiò pensando che non si sarebbe nemmeno sorpresa più di tanto se l’avesse sentita fare le fusa. Poi però sospirò, posando le mani sulle sue spalle.

-Lady Mikoto ha convocato tutti i suoi figli e le guardie reali… compresa tu.- le spiegò, e Zoe comprese chiaramente che, fosse stato per sua madre, lei sarebbe stata tenuta assolutamente alla larga di quello che si stava rivelando essere un vespaio più grosso di quanto avesse immaginato.

-Io?- domandò, sorpresa: non era ancora stata ufficialmente nominata una guardia reale – la cerimonia era stata rimandata a dopo il ritorno di Takumi, ma nessuno le aveva nemmeno detto a chi sarebbe stata assegnata o, persino, se le avrebbero permesso di affrontare le prove necessarie per cominciare a scalare i gradi dell’esercito… com’era possibile che la regina volesse proprio lei?

-Sì. Ti spiegherà tutto la regina.- le rispose, laconica come Zoe non l’aveva mai sentita, prendendola per mano e tirandosela dietro lungo i corridoi bagnati dal Sole pomeridiano.

-Non puoi dirmi proprio niente niente? Nemmeno un indizio piccino piccino?- tentò di irretirla, ma Orochi scosse la testa e Zoe sbuffò, indispettita. -Mamma, sei davvero antipatica, certe volte.- mugugnò, incrociando le braccia sul petto quando Orochi la lasciò andare.

-Su, porta pazienza per qualche minuto.- fu il rimprovero bonario della madre, che le pizzicò una guancia prima di superarla per infilarsi nella sala del trono. -Lady Mikoto, eccoci.- annunciò, inchinandosi alla sovrana e ai principi che le erano assembrati attorno prima di spostarsi accanto a Kagero, diligentemente in piedi accanto al collega Saizo e a Reina, alle spalle di Ryoma.

Zoe la seguì e, all’improvviso, tutti gli sguardi furono su di lei.

Rabbrividì, a disagio, chinando la testa in segno di rispetto per qualche attimo prima di volgere un sorriso incerto in direzione delle principesse: Hinoka ricambiò il gesto mentre Sakura, seguita da Subaki e dalla fedele Hana, si avvicinò a lei per prenderla sottobraccio e condurla al cospetto di Mikoto e di Ryoma, che alzò una mano per rivolgerle un rapido saluto amichevole.

Quel gesto, e la stretta familiare delle manine soffici di Sakura sull’avambraccio, la rincuorarono: conosceva tutti i presenti da anni ma non era abituata ad essere guardata da così tante persone contemporaneamente, e la cosa la metteva più a disagio di quanto potesse mostrare – aveva trascorso talmente tanto tempo fra le ombre, ormai, che ritrovarsi in mezzo a quella che ai suoi occhi schivi sembrava proprio una folla le dava quasi un senso di nausea.

Si costrinse a non lasciar vagare lo sguardo, nonostante provasse l’irresistibile desiderio di cercare sicurezza nei volti amici di Hana e di Hinoka, ma si aggrappò con più forza a Sakura: la giovanissima principessa, nonostante la timidezza che in molti scambiavano per vigliaccheria, aveva una stretta forte e sicura, e Zoe si permise di lasciare che le sue piccole mani la rassicurassero.

Dopotutto, quelle erano le stesse mani che l’avevano rattoppata un numero indefinito di volte dopo gli allenamenti, e che l’avevano sempre consolata con una carezza ogni volta che un insulto particolarmente cattivo le era stato indirizzato.

Rabbrividì, incrociando per un istante fugace lo sguardo del suo maestro: se Saizo fosse venuto a conoscenza di tutto ciò che gli aveva nascosto, negli anni, l’avrebbe come minimo rimproverata per un paio d’anni consecutivi per aver mentito e punita in tutti i modi che potevano venirgli in mente… prima di andare a riscuotere, da coloro che l’avevano umiliata per tutta la vita, un prezzo davvero troppo alto per vendicare una nessuno.

Che poi, cosa ci sarebbe stato da vendicare? Gli insulti, i tormenti, la sensazione di essere feccia contro cui Zoe ancora lottava quando gli sguardi pieni d’alterigia dell’aristocrazia hoshijin? A parte qualche episodio che non amava rammentare – uno dei tanti motivi per cui non sopportava Subaki, che sapeva fin troppo – ciò che aveva passato e di cui non aveva mai parlato con nessuno, tranne che con Sakura, non era stato nulla di particolarmente drammatico.

Bastò un sospiro, tuttavia, e Lady Mikoto attirò immediatamente tutta la sua attenzione: era bellissima e lontana come sempre, nel suo abito candido e dorato e con la corona stellata che contrastava con i suoi capelli neri, e Zoe dovette combattere con la propria insicurezza per sostenere il suo sguardo.

-Milady…?- domandò, debolmente, confusa dall’attenzione di cui era diventata oggetto e che non le piaceva neanche un po’.

La sovrana, più tesa di quanto fosse stata soltanto poco prima nelle stalle, la invitò con un ampio gesto del braccio ad avvicinarsi.

-Vieni, Zoe.- la chiamò, e lei dovette a malincuore abbandonare il fianco di Sakura per salire quei pochi gradini che la separavano da lady Mikoto e da Ryoma. Il Maestro di Spada e Alto Principe di Hoshido si spostò alle sue spalle, facendole spazio accanto alla regina: mentalmente, Zoe si ritrovò a ringraziarlo, perché la sua vicinanza aveva sempre avuto un meraviglioso effetto rassicurante – e Hotoke soltanto sapeva quanto ne avrebbe avuto bisogno di lì a poco.

Mikoto scambiò con Ryoma un solo, fugace sguardo prima di riportare la propria attenzione su Zoe. -Reina mi ha portato una notizia che riguarda anche te, cara.- le spiegò, incrociando le mani sul ventre. -Durante la ricognizione sul confine dell’Abisso Infinito, Takumi si è scontrato con una pattuglia nohriana.- continuò e Zoe, stavolta, non poté evitare di impallidire, lanciando un’occhiata terrorizzata a Ryoma mentre i suoi pensieri si arrestavano bruscamente all’idea che Takumi, il suo adorato Takumi che la faceva sempre arrabbiare, fosse rimasto in qualche modo ferito durante quello scontro.

-Non preoccuparti, stanno tutti bene.- la rassicurò, permettendole così di prendere fiato. Ryoma sapeva quanto Zoe fosse legata tanto a Takumi quanto a Kaze ed Hinata, il Maestro d’Armi che serviva Takumi assieme alla Maestra di LanciaOboro, e lei sillabò un rapido “grazie” prima di ritornare a prestare attenzione a lady Mikoto.

-Takumi ha chiesto di incontrarci a Suzanoh al più presto possibile, perché portano con loro un prigioniero. Sono riusciti a catturare un reale nohriano.-

A quella notizia, questa volta, Zoe non riuscì proprio a stare zitta.

-Cosa? State scherzando!- esclamò, incapace di trattenersi., strappando un sospiro esasperato ad Orochi.

-Deshi!- sibilò Saizo, oltraggiato dalla mancanza di rispetto della sua allieva.

Mikoto agitò una mano in direzione della Onmyoji, soprassedendo così alla mancanza di rispetto della sua protetta. -Non preoccuparti, Saizo, è una reazione comprensibile. Questo la riguarda in prima persona.- affermò, prima di continuare. -Zoe, il reale che hanno catturato non sembra assomigliare a nessun altro che abbiamo mai affrontato prima.-

-Com’è possibile?- domandò la ragazza, sempre più perplessa, mentre quel desiderio impossibile che aveva sussurrato ogni notte, per anni, al cielo stellato parve infiammarle nuovamente il petto dopo tanti anni di quieta sopravvivenza.

Che gli dei avessero ascoltato le sue preghiere?

Lady Mikoto parve leggere, nel suo sguardo sconvolto, la folle speranza che aveva guidato la giovane samurai per la maggior parte della sua vita; annuì, le labbra illividite dalla tensione, tentando inutilmente di allontanare la sensazione che il destino fosse infine giunto per riscuotere il prezzo dell’affronto subito tanti anni prima. -Per questo motivo ho richiesto la tua presenza, e sarei felice se accompagnassi me e Ryoma a Suzanoh.- continuò, sforzandosi di mantenersi pacata e serena davanti ai suoi figli. -È opinione di Kaze che si tratti di Ileana.-

..

..

Doveva calmarsi.

Zoe chiuse gli occhi, resistendo alla tentazione di infilarsi le mani nei capelli e strapparseli tutti in una volta.

Doveva rimanere fredda e concentrata.

Strinse i denti, sentendo i canini appuntiti pungerle le labbra, cercando di escludere ogni suono dalla sua mente – invano: anche il cinguettio degli uccellini, lo stridio lontano di un kinshi, parevano martellarle le tempie e serrare quella morsa che l’aveva intrappolata nel momento stesso in cui lady Mikoto aveva pronunciato il nome della principessa perduta.

Gettò la propria sacca da viaggio sul futon, lasciandosi pesantemente cadere in ginocchio sul morbido materasso e permettendo ad un solo, angosciato gemito di sfuggirle.

Doveva ritrovare la propria calma, ed imbrigliare i pensieri che le vorticavano furiosamente in testa: non poteva distrarsi, adesso, nonostante la tensione le avesse annodato lo stomaco ed irrigidito ogni singolo muscolo del corpo così tanto da farle male.

Ileana.

La principessa perduta era stata uno dei motivi principali per cui aveva votato la sua intera vita a diventare una guerriera talmente capace da potersi infilare a Nohr e scoprire che fine avesse fatto la figlia della regina: Ileana era diventata un obiettivo, un simbolo che rintuzzava la sua determinazione quando lei vacillava, una speranza in cui, tuttavia, si era ridotta a credere soltanto per abitudine.

Se Ileana non fosse mai stata rapita, Zoe sarebbe dovuta diventare la sua guardia personale: quello le era sempre stato raccontato e quello, da bambina e da ragazzina, l’aveva sempre riempita di vergogna e di rimorso, perché non era stata in grado di prendersi cura di lei nel momento in cui Ileana avrebbe avuto bisogno del suo aiuto.

Saizo aveva avuto serie difficoltà nel farle capire quanto una bambina di cinque anni non avrebbe potuto fare nulla contro il Re d’Ossidiana, ma Zoe aveva cullato quel senso di colpa così a lungo, dentro di sé, che soltanto negli ultimi anni le parole incessanti del suo maestro avevano cominciato a far breccia in quella cappa di rimorso in cui si era ostinatamente avvolta per tanto tempo.

Non sapeva che cosa avrebbe dovuto fare, come si sarebbe dovuta comportare con lei: e se essere stata cresciuta da re Garon l’avesse irrimediabilmente corrotta in una persona malvagia? Cosa sarebbe successo se Ileana – sempre che si trattasse di lei e non di un’impostora – si fosse rivelata un mostro proprio come il re d’Ossidiana?

Era diventata una guerriera, una Samurai, perché nient’altro avrebbe potuto darle una parvenza di obiettivo, a Shirasagi. Aveva preso in mano una spada a sei anni perché diventare più forte era stata l’unica via d’uscita da una situazione a cui la bambina timida e fragile che era stata non sarebbe stata capace di sopravvivere… ed invece la sua testardaggine l’aveva resa abile, capace di difendersi e di difendere il suo prossimo, ed il codice dei samurai era diventato lo scudo dietro cui proteggeva quella sua parte più fragile che non era mai stata in grado nemmeno di sopportare uno stupido insulto.

Il pensiero di poter diventare, un giorno, una guerriera in grado di affrontare l’esercito di Re Garon – un obiettivo ambizioso e forse irrealizzabile, ne era perfettamente conscia – l’aveva tenuta in piedi, l’aveva spinta ad impegnarsi e a sopportare ognuna delle terribili sessioni di addestramento del suo maestro, a stringere i denti quando aveva cominciato a perdere il conto delle vesciche sulle mani e le ferite sul suo corpo.

Il pensiero di Ileana era lentamente scivolato in fondo alla sua mente, un’onnipresente, silenzioso memoriale di quanto male fosse stato in grado di fare il Re di Nohr alla famiglia reale che lei era onorata di servire, alla regina il cui sguardo tormentato la inseguiva ogni volta che i suoi occhi bruni la sfioravano, a lei – non avrebbe mai dimenticato le urla che aveva fatto, il dolore che aveva provato, quando Ileana le era stata strappata dalle braccia… ed era per lei, per la Regina, per tutte le famiglie che quella guerra inespressa aveva già rovinato, che Zoe aveva continuato a perseguire il suo obiettivo, incurante dello scherno dei nobili e della frustrazione che provava quando pensava a quanto, a quasi vent’anni, ancora non le fosse stato permesso di avanzare su quella strada che nessuno era stato in grado di impedirle di scegliere.

Però… non poteva impedirsi di provare quell’angoscia, di sentire l’eccitazione e la paura scorrerle nelle vene: dopo tanti anni, per la prima volta, avevano qualcosa, una prova che Ileana fosse ancora viva, che potesse esistere una remota possibilità di riportarla a casa, e i pensieri e le emozioni a cui Zoe si era ormai abituata erano riemersi tutti insieme, travolgendola.

Non era mai stata brava a gestire le emozioni, ma sapeva di doversi calmare – se non lo avesse fatto, lo sapeva, sarebbe stato qualcun altro a__

-Zoe.-

Sobbalzò, Zoe, strappata violentemente al turbinio di congetture e pensieri che minacciavano di sopraffarla: si era talmente estraniata da non accorgersi che Saizo, con l’innaturale capacità propria dei ninja, era apparso proprio accanto a lei.

-Saizo!- esalò, balzando in piedi per inchinarsi allo spaventoso Maestro Ninja privo di un occhio.

-Dov’è finito il rispetto per i tuoi superiori, deshi?- grugnì lui, irritato, e Zoe chinò la testa: sapeva di aver mancato di rispetto tanto alla regina quanto alle sue tutrici, intervenendo come aveva fatto, e aveva immaginato che il suo insegnante più severo si sarebbe presentato per rimproverarla.

-Lo so, mi dispiace. Avrei dovuto mantenere più controllo.- mormorò, pentita, voltandosi per non dover sopportare il peso di quell’unico, terribile occhio. -Ti serve qualcosa? Sono un po’ impegnata, al momento.- domandò, cercando di concentrarsi nuovamente sul bagaglio che doveva preparare: aveva indossato la sua tenuta da viaggio da Samurai, unahakama argentata e un kimono corto che le aveva donato Orochi e che le lasciava scoperto il ventre muscoloso; avrebbe portato con sé anche un haori, decise, perché sapeva che Suzanoh si trovava in una zona molto più fredda di Shirasagi e lei odiava, odiava il freddo.

-Lo noto. E sono qui per questo.-

Sorpresa, Zoe si voltò: non era da Saizo essere così percettivo nei confronti delle emozioni altrui.

Il ninja sospirò, passandosi una mano fra gli spinosi capelli rossi.

-Vorrei consigliarti di mantenere la calma.- continuò, chiaramente a disagio – Zoe poté distinguere un rossore sospetto fare capolino da sotto la maschera che copriva almeno metà del volto del maestro, ma si trattenne dal sorriderne: Saizo era incapace di gestire le proprie emozioni ancor più di lei, ma lei aveva imparato da molto tempo a cogliere la preoccupazione che il suo maestro provava anche dietro i suoi modi bruschi.

-Mi è un po’ difficile.- ammise, ripiegando l’haori e riponendolo sul fondo della sacca.

-Non è una motivazione valida.- replicò Saizo, aspro, mentre lei impacchettava qualche razione di emergenza. -Non sappiamo se la ragazza sia davvero Ileana, né che cosa le sia stato insegnato in questi anni. Non possiamo fidarci di lei, nemmeno se si trattasse davvero di__-

-Lo so!- sbottò, infine, la samurai, voltandosi per fronteggiare quell’uomo che, nonostante il suo aspetto, non la spaventava. -Non sono una stupida, d’accordo?- ringhiò, serrando i pugni sulla stoffa ampia dell’hakama. -So come comportarmi, davvero. È solo che…-

Solo che… era così difficile rimanere concentrata.

Sospirò, la rabbia che veniva meno: sapeva che Saizo voleva soltanto il suo bene, e che non permettesse al senso di colpa di tornare ad oscurare il suo giudizio, l’equilibrio piuttosto fragile che era riuscita a trovare – Saizo si era sempre preoccupato per lei, a modo suo: Zoe sapeva che le voleva bene, che voleva soltanto il meglio per lei…

Era quanto di più simile ad un padre che avesse mai avuto.

-Insomma… non è facile.- mormorò, chinandosi su un cassetto già aperto e spalancando uno sportello nascosto sul fondo: là, esposta con un’accuratezza che nessuno avrebbe mai sospettato, in Zoe, vi era una katana dalla lama dentata, minacciosa, la cui tsuka di legno e metallo era avvolta da un intricato tsukaito di seta scarlatta.

Saizo sapeva che Zoe adorava quell’arma, un dono per il suo diciottesimo compleanno ricevuto dalla regina Mikoto in persona, ed era anche perfettamente conscio di quanto potesse essere letale fra le sue mani: era stato Ryoma in persona ad addestrarla, quando le era stato assegnato il ruolo da Samurai, ed erano ben pochi quelli in grado di rivaleggiare con lei, a Shirasagi.

-Lo so.- annuì, approvando silenziosamente la sua scelta: doveva essere pronta a tutto e quell’arma le trasmetteva sicurezza… quella sicurezza che sembrava mancarle in quel momento. -Ma dovrai comunque usare prudenza.- aggiunse ma, quando Zoe si voltò per ribattere, era già scomparso.

La giovane sbuffò, scuotendo la testa e sfregandosi stancamente gli occhi.

-Se non ci fossi abituata lo troverei snervante.- mugugnò, allacciandosi l’obi ai fianchi e rinfoderandovi la katana con un gesto rapido e sicuro – aveva impiegato così tanto tempo ad imparare a farlo senza ridurre a brandelli i propri abiti…

La voce efficiente di Reina le giunse dall’altra stanza, distraendola dalle sue elucubrazioni: -Sei pronta?-

-Sì.- affermò, caricandosi in spalla la propria sacca e passandosi le mani fra i capelli, tirandoli indietro. -Andiamo.-

.

§

.

Le grandi mura di Suzanoh, costruite da un lontanissimo avo della famiglia reale, erano una struttura che Zoe aveva sempre trovato opprimente. Certo, erano una delle migliori difese che potessero esistere e gli abitanti di Shirasagi vi avevano trovato protezione nei tempi più bui, ma non riusciva ad ignorare quanto quell’ombra minacciosa pesasse su di lei, adombrando i tratti spigolosi del suo volto e disegnando pericoli inesistenti dietro ogni foglia.

Serrò la mano destra sull’elsa della katana, cercando conforto nella stoffa ruvida che sfregava sui suoi palmi, costringendosi a recuperare la concentrazione e studiando con un rapido sguardo ciò che la circondava – non che ci fosse poi molto da analizzare, in effetti: si trovava più avanti, sul percorso, rispetto al piccolo drappello che accompagnava la regina, ed intorno a lei vedeva solamente gli stessi alberi che avevano accompagnato quel paio di giorni che erano serviti per raggiungere l’avamposto indicato da Takumi.

-Deshi.-

Questa volta, per fortuna, l’aspra voce di Saizo non la colse di sorpresa. Lanciò un’occhiataccia al ninja, appollaiato come un lugubre uccellaccio del malaugurio su un ramo a poche iarde da quello su cui si era inerpicata lei.

-Sai, io avrei anche un nome, così, giusto per ricordartelo…- mugugnò, ma Saizo alzò una mano per interromperla.

-Silenzio.- le intimò e Zoe, malgrado l’irritazione, tacque. -Avverti qualcosa di strano?- le domandò, poi, una volta ottenuta la sua totale attenzione; lei scosse la testa, inarcando un sopracciglio – ma l’aveva presa per una recluta inesperta, forse?

-A parte Kaze?- sbottò, indicando con un brusco cenno della testa un punto apparentemente vuoto.

Puf.

Con uno sbuffo che mosse appena le foglie intorno alla sua figura snella un ninja apparve là dove, fino a poco prima, erano state visibili solamente le protuberanze di una corteccia; e, finalmente, Zoe si concesse il primo sorriso sincero da due giorni a questa parte.

-Fratello. Zoe.-

Al contrario di Saizo, che indossava il proprio aspetto spaventoso ed inquietante con orgoglio, Kaze era sempre stato il ritratto della dolcezza: forse erano i capelli, di un bel verde pallido, oppure il sorriso tenue e un po’ triste con cui il ninja affrontava ogni attimo della sua vita, ma Zoe aveva sempre provato una profonda tenerezza e un sincero affetto per Kaze che, negli anni, le era sempre stato accanto e l’aveva sostenuta anche quando lei stessa aveva pensato di non poter sopravvivere all’addestramento di Saizo.

-Bene, deshi.- fu il rapido e quasi impercettibile complimento che si perse nell’aria fredda di quella foresta, ma lei colse comunque la soddisfazione nella sua voce e si congratulò con se stessa: non era facile soddisfare i rigorosi canoni di Saizo, e lei serbava nell’animo l’orgoglio provato ad ognuna delle rare lodi ricevute da lui nel corso degli anni. -Da quanto tempo ti eri accorta di lui?- le domandò mentre Kaze, silenzioso come un’ombra, lo raggiungeva.

-Un quarto d’ora, circa.- rispose tranquillamente, sapendo bene di poter fare affidamento sui propri sensi e sul suo istinto: sarebbe stata davvero un’onta imperdonabile se non si fosse accorta della presenza di una persona che conosceva da tutta la vita. -Ci hai intercettati al bivio e seguiti per un po’, vero?- domandò, rivolgendosi a quello che, comunque, riteneva il suo preferito fra i due gemelli, e Kaze le sorrise.

-Brava.- si congratulò, prima di indicarle il percorso che aveva appena fatto con un rapido cenno della testa. -Ora torna indietro e dai il segnale a Kagero, la strada è sicura.- la istruì, con una gentilezza negli ordini che nulla aveva a che spartire con l’asprezza del fratello, ma richiamandola indietro appena prima che la samurai sparisse nel fitto fogliame. -E, Zoe?-

Zoe esitò, cogliendo un lieve turbamento in quella voce tanto familiare: Kaze non era un uomo che lasciava facilmente trapelare le proprie emozioni… anche lui era teso per tutta quella situazione, rifletté: come lei, anche il ninja dai capelli verdi aveva fatto propria la colpa del ratto di Ileana, e quel rimorso aveva modellato entrambi nelle persone che erano diventate.

-Sì?- domandò, senza voltarsi.

-Fai attenzione.-

Ridacchiò, balzando dal proprio ramo ad un altro con la scioltezza di un felino.

-Io faccio sempre attenzione.- sussurrò, consapevole che il suo commento un po’ arrogante sarebbe stato udito da entrambi i ninja e avrebbe strappato una smorfia a Saizo e un sospiro divertito a Kaze.

Bugiarda, mormorò una vocina nella sua testa, così simile a quella di Takumi da costringerla a soffocare una risata vera e propria: il suo fratellino antipatico le era mancato, in quelle settimane trascorse da quando era partito, e non aspettava altro che poterlo rivedere.

Takumi aveva all’incirca la sua stessa età – e quei pochi mesi che li distanziavano erano sempre stati motivi di battibecco – ed era cresciuto con lei: la piccola banda di scalmanati che avevano riunito attorno a loro era ancora un incubo ricorrente di Yukimura, ne era certa.

Crescendo, entrambi avevano intrapreso la strada del guerriero assieme ai loro compagni di giochi che, dopo anni di addestramento, erano tutti diventati guardie reali: Subaki e Hana erano entrati al servizio di Sakura, Hinata a quello di Takumi stesso, mentre Zoe non era ancora stata assegnata a nessuno – aveva sperato, anni prima, di poter diventare proprio la sua, di guardia reale, assieme ad Hinata, ma Saizo gliel’aveva impedito e quello era uno smacco che ancora, a volte, faticava a digerire.

Erano sempre stati molto uniti, lei e Takumi: erano due muli testardi che non potevano fare a meno di scontrarsi, li definiva spesso Hinoka, ma non era mai successo che uno dei due non spalleggiasse o provasse a coprire l’altro dopo l’ennesima marachella.

Sì, le era davvero mancato, ma poteva tenere a bada l’impazienza ancora per un po’: dopotutto, se Kaze era nei paraggi significava che il loro viaggio, ormai, era giunto al termine.

Ripeté a ritroso la strada percorsa assieme a Saizo, fino a che i suoi occhi allenati non colsero lo sventolio di un lembo di stoffa al di là di un tronco particolarmente imponente.

-Ma?- chiamò, portando prudentemente la mano destra alla spada per estrarne giusto qualche pollice, pronta per essere estratta dalla mano opposta: era quasi certa di aver riconosciuto Kagero, in quel baluginio, ma essere guardinga e sempre pronta al peggio era stata la prima lezione che Saizo le aveva inculcato in testa.

Il suo odore la raggiunse prim’ancora che Kagero si palesasse, con il tipico sbuffo dei ninja, al suo fianco: la sua seconda mamma era sempre stata preceduta da quell’essenza lieve, flebile, che a Zoe ricordava la stoffa morbida delle sue copertine di bambina e tutte le volte che Kagero le aveva permesso di nascondersi fra i suoi lunghi capelli neri per farla giocare a nascondino con Orochi.

Sorrise, socchiudendo gli occhi quando una carezza lieve le scostò la frangia.

-La strada è libera.- annunciò, voltandosi appena in tempo per scorgere il fiocco bianco che raccoglieva i capelli di sua madre svanire nel fogliame.

Kagero riapparve qualche albero più in là, splendida e a suo agio come un predatore nel suo habitat naturale; Zoe aveva sempre pensato che, nonostante Saizo fosse considerato dai più il più abile dei Maestri Ninja al servizio della famiglia reale, Kagero fosse proprio nata per essere un ninja: era splendida, letale e celava in un corpo che molte donne avrebbero ucciso per avere una forza pari a quella di diversi uomini messi insieme.

Le sue mamme erano davvero una più bella dell’altra: Zoe era fiera di loro, le adorava e ogni dettaglio che la accomunasse a loro la rendeva un po’ meno severa nel giudizio che aveva di se stessa… dopotutto, aveva imparato ad accettare il proprio corpo soltanto grazie al fatto che tanto Kagero quanto Orochi fossero fatte alla stessa maniera.

-Perfetto.- Kagero annuì, e Zoe rinfoderò rapidamente la spada – saltellare fra i rami con una spada mezza estratta era un buon modo per farsi del male, lo aveva imparato a proprie spese. -Reina ci segue dall’alto, tu scendi a sud di cinquanta iarde e prosegui parallelamente a me. Incontrerai lord Ryoma sul tuo percorso.-

Ignorando il lieve senso di contentezza che la pervase al pensiero di raggiungere Ryoma, Zoe assentì.

-Signorsì.- rispose, obbediente, lasciandosi Kagero alle spalle e proseguendo nella direzione indicatale finché non distinse un familiare riverbero scarlatto: Ryoma indossava la sua solita, spaventosa armatura rossa – che comunque, come diceva sua madre, lo faceva assomigliare più ad un’aragosta che ad un temibile drago –, e procedeva nel sottobosco con molta meno eleganza rispetto ai tre ninja.

Attenta a non farsi sentire, Zoe gli girò intorno fino a che non si trovò alle sue spalle, scegliendo un ramo particolarmente robusto su cui fermarsi, agganciarvi le ginocchia e lasciarsi cadere per dondolare a testa in giù a poca distanza dall’impressionante criniera bruna che erano i capelli di Ryoma.

-Puf.- esclamò, non riuscendo a trattenere una risata quando lui sobbalzò e si voltò di scatto, la mano già stretta sull’elsa della divina Raijinto; come aveva previsto, però, la riconobbe immediatamente, e le sue spalle si rilassarono.

-Non dovresti segnalare la tua posizione in questo modo.- la rimbrottò, sospirando, ma Zoe scosse la testa e allungò una mano per aggrapparsi al ramo, sganciando le gambe e dondolandosi un paio di volte prima di balzare agilmente a terra.

Si comportava sempre da idiota quando lui era nei paraggi.

-Questa zona è sicura.- replicò, sistemandosi l’hakama tutto in disordine, ben attenta a non scambiare nemmeno per sbaglio uno sguardo con il principe. -Saizo è con Kaze, e Kagero mi ha mandata a coprire questa zona.- riferì, affiancandoglisi senza nemmeno preoccuparsi di rivolgergli un inchino di cortesia: Saizo l’avrebbe sicuramente rimproverata, per quella mancanza, ma Ryoma le aveva sempre chiesto di comportarsi con lui come si comportava con i suoi tre fratelli.

La maggior parte delle persone considerava Ryoma un uomo distante, controllato o persino spaventoso: era facile lasciarsi intimorire dal suo aspetto imponente e dal suo sguardo severo… ma Zoe lo conosceva da tutta la vita, e sapeva quale persona altruista, buona e affettuosa si celasse sotto la sua onnipresente espressione serafica.

Ne era così conscia da essersi addirittura invaghita di lui.

Scosse la testa, tentando di scacciare quel pensiero prima che prendesse piede e la distraesse.

Idiota! Sei accanto ad un principe, in questo momento, il tuo dovere è proteggerlo quindi piantala di comportarti da ragazzina svenevole!

Prese un lungo respiro, usando violenza sulla sua mente per costringersi a rinchiudere voce, batticuori e stupidaggini del genere in un angolino impolverato in fondo al suo animo. Non aveva tempo per dar seguito ad una stupida cotta adolescenziale che ogni tanto le dava ancora qualche gomitata, né tantomeno il desiderio di torturare se stessa ricominciando a rimuginare su qualcosa di così sciocco.

Si incamminarono fianco a fianco, lasciando che un quieto silenzio calasse su di loro. Non si trattava di un silenzio pesante o imbarazzante, ma di una pace serena e confortevole di due persone che si rispettavano e si fidavano completamente l’una dell’altra.

Ryoma era l’unica persona con cui Zoe fosse mai riuscita a trovarsi completamente a proprio agio, senza sentire il bisogno di riempire il vuoto di parole: la sua presenza, la sua stessa esistenza, rappresentava un’ancora solida ed inamovibile che lei aveva sempre trovato rassicurante.

.

Non ha mai pensato a quanto possa essere appiccicoso il sangue.

Le incolla le dita dei piedi nudi, rende l’elsa della katana scivolosa e viscida, la fa quasi scivolare quando tenta nuovamente un affondo e lo porta a termine con un arco disordinato che le strappa un ringhio frustrato.

Non dovrebbe essere lì. Le sue mamme saranno sicuramente preoccupate, è già il tramonto e sarebbe dovuta essere a casa già da un’ora, ma a Zoe non importa: alza di nuovo la katana, ignorando le braccia che bruciano di dolore e le mani martoriate dal legaccio dell’elsa, e aggredisce con tutta la sua furia il manichino da addestramento.

Dovresti imparare a ricamare, Zoe.”

Ruggisce, quella tredicenne in fiore che odia con ogni battito del cuore un po’ di più il suo corpo che cambia, assordata dalla voce cantilenante e odiosa di Subaki che continua a ripetersi incessantemente nella sua testa.

Non sarai mai un guerriero con quel fisico. Faresti meglio a trovare un uomo che voglia sposare una stramba come te e metterti a fare figli.”

Mischiate al sangue che gocciola dalle sue mani ci sono lunghi capelli che, una volta, erano stati di un biondo sporco, spento e detestabile: qualche filo chiaro si è impigliato nella lama smussata con cui li ha tagliati, ed il loro baluginio non fa che fomentare la sua rabbia.

Si sforza di immaginare la faccia di Subaki su quella senza volto del manichino e, con un urlo disarticolato, gli si butta addosso, colpendolo disordinatamente con la katana da allenamento.

Per fortuna Saizo non è lì: se la vedesse comportarsi in quel modo sarebbe sicuramente disgustato… ma no, per fortuna è da sola, tutti sono già tornati a casa dopo una giornata intensa di esercizi e addestramento.

-Zoe.-

Oppure no.

Si morde le labbra, ignorando la voce che ha chiamato il suo nome: sa chi è, sa a chi appartiene, ma la sua attenzione è tutta sulla forza che le sue braccia non hanno e che cerca di costringere ad uscire fuori tramite tutto quel che possiede: la testardaggine.

-Zoe, posso sapere che cosa stai facendo?-

Nonostante abbia le orecchie appiattite sulla testa sente comunque i passi che si avvicinano, ma Ryoma è davvero l’ultima persona che abbia voglia di incontrare.

Il principe è a dir poco perfetto, più di quanto Subaki potrà mai sperare di diventare e, secondo Zoe, più di chiunque altro al mondo: è già uno spadaccino temibile, un guerriero abilissimo e una figura di riferimento per un numero sempre crescente di persone.

-Mi alleno.- risponde, a denti stretti, senza nemmeno voltarsi a guardarlo. Con la coda dell’occhio, però, lo scorge sbuffare.

-A me sembra che tu stia soltanto cercando di farti del male.-

Forse. Forse è quel che si merita. Forse è quello che avrebbe dovuto subire tanto tempo prima.

-Non servirà a molto allenarsi se poi non sarai in grado di stare in piedi.-

Nella sua mente offuscata dalla rabbia e dalla vergogna quelle parole fanno breccia, perché non c’è davvero altro che le importi se non essere un buon guerriero – ma non è abbastanza, Saizo le dice sempre che l’addestramento non è mai abbastanza, e lei prova una fede cieca nelle parole del suo maestro.

-Ci riuscirò comunque.-

Continuerà ad allenarsi ignorando la stanchezza, le ginocchia che tremano, le mani insanguinate.

-Così vedranno.-

Costringerà Subaki a rimangiarsi ogni parola, ogni insulto, ogni insinuazione.

-Così vedranno tutti.-

Saizo sarà fiero di lei e le permetterà finalmente di prendere il titolo di Samurai, un onore che le è ancora precluso perché non è abbastanza brava, abbastanza agile, abbastanza forte.

Si permette di prendere fiato, di abbassare la spada per qualche attimo, di lanciare un occhiata al ragazzo – no, Ryoma ormai è un uomo, al contrario di lei che è soltanto una ragazzina inutile.

-Per favore, vai via. Voglio rimanere sola.- gli chiede, odiando la supplica che non riesce proprio a trattenere. Distoglie lo sguardo, vergognandosi dello stato in cui deve essere, pregando fra sé che lui le dia retta e se ne vada.

-Preferirei rimanere qui, se non è un problema.-

No, non sembra volersene andare.

Zoe lo maledice mentalmente e per un attimo odia anche lui, che è così bravo in tutto quello che fa, che ha una famiglia che lei non ha, che ha uno scopo nella vita e un futuro certo dinanzi a sé.

-Rimarrò in silenzio, non ti infastidirò.-

Uno sbuffo e una scrollata di spalle sono le uniche risposte che riceve.

Ryoma annuisce e si allontana un poco per sedersi a terra, incrociando le gambe e le braccia e rimanendo perfettamente immobile mentre lei sfoga tutta la sua frustrazione sul povero manichino, ignorando la pozza disordinata che si allarga ai suoi piedi come l’oscurità che sta prendendo possesso del cielo.

Ben presto, Zoe perde la cognizione del tempo: ci sono soltanto le manovre e le posizioni che Saizo le ha insegnato, che ha provato mille volte assieme ad Hana e ad Hinata, e la furia che le annebbia lo sguardo ad ogni colpo un po’ di più.

Diventerà brava.

Troverà anche lei la sua strada, un motivo di orgoglio, qualcosa che possa spegnere l’odio profondo che prova per se stessa… oppure no, perché in fondo lei non merita altro che questo.

È detestabile.

È un’orfana senza futuro che ha fallito nel solo compito che avrebbe dovuto adempiere.

Subaki ha ragione, dovrebbe lasciar perdere, perché non sarà mai abbastanza… non lo è fin da quando la principessa Ileana è stata rapita e lei ha fallito nel suo compito. Non lo è mai stata da bambina, quando intorno a lei si era chiuso un cerchio di ragazzi più grandi che l’avevano spinta nel fango, al suo posto.

Dopotutto… il fallimento è l’unica cosa in cui riesce.

Le lacrime le offuscano la vista e la katana, all’improvviso, diventa davvero troppo pesante: le sfugge, cadendo a terra con un clangore assordante, e anche Zoe crolla con lei, schiacciata dalle colpe che sembrano toglierle persino la forza di respirare.

In ginocchio, tremante, alza lo sguardo e quel dannato manichino sembra farsi beffe di lei, del sangue che le macchia i vestiti, dei suoi capelli tagliati in preda alla rabbia che si arricciano intorno alle sue orecchie.

Vorrebbe urlare, vorrebbe gridare al vento tutta la sua frustrazione, ma la sua voce è bloccata in gola e tutto quello che le esce è un gemito di dolore.

Si prende la testa fra le mani perché sente che sta per scoppiare, e cerca rifugio accartocciandosi su se stessa in mezzo al suo stesso sangue, la terra sabbiosa che le si infila nel naso quando cerca furiosamente di prendere fiato.

-È colpa mia… è tutta colpa mia…-

Non importa quello che farà in futuro, non importa quanto si addestrerà, quanto sangue verserà: lei rimarrà sempre quella che doveva essere presa al posto della principessa, una nessuno che meritava soltanto di essere trattata come una paria, e nessuno potrà mai cancellare quella terribile verità.

Non si accorge della mano che le stringe una spalla fino a che non ode la voce calma di Ryoma ad un soffio dalle sue orecchie.

-Ehi.-

Si stringe su se stessa, sentendosi sballottata da quelle sensazioni velenose che la stanno lentamente uccidendo, giorno dopo giorno, anno dopo anno.

-Dovevo essere io… doveva prendere me…-

Se solo fosse morta, non avrebbe mai dovuto sopportare niente di tutto questo: non avrebbe mai dovuto affrontare gli insulti, le cattiverie, non sarebbe mai stata costretta a difendersi a spada tratta per rimanere sana di mente, non avrebbe mai dovuto sopportare la colpa che la dilania ogni volta che uno di quei signorotti da due soldi la chiama feccia.

Perché lei lo è, feccia.

-Zoe__-

Alza di scatto la testa, odiando quel nome e la gentilezza con cui lui lo pronuncia, stringendo i denti così tanto da sentirli stridere.

Ryoma non sa niente di tutto ciò che ha passato, nessuno sa cosa ha passato, nemmeno le sue madri o Saizo o Kaze: è stata brava, è riuscita a nascondere persino ai ninja quei pochi episodi che tuttavia l’hanno indelebilmente marchiata, ha sempre evitato di ripetere ognuna delle parole derisorie che le sono state rivolte – Subaki è il più innocuo di tutti loro, non è mai stato davvero cattivo con lei, ma quel giorno è stata la fantomatica ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso.

-Perché non ha preso me? Perché Garon non ha risparmiato il re e Ileana prendendo me? Qualcuno poteva fargli credere che fossi la principessa e se mi avesse uccisa sarebbe andato tutto bene, e__-

-Ora basta.-

Le sue urla isteriche sono bruscamente interrotte da quelle parole forti, dure, che riescono a farsi largo nel panico che l’ha travolta e che minaccia di inghiottirla viva.

Ryoma la prende per le spalle, costringendola a sciogliersi da quella posizione che l’ha convulsamente chiusa in se stessa, forzandola a guardarlo in faccia quando torna a parlarle.

-Zoe, promettimi che non penserai più niente del genere.-

-Ma__-

-No, niente “ma”.-

Non ha mai notato prima che gli occhi verdi di Ryoma siano pieni di pagliuzze argentate.

Quel dettaglio insignificante sembra assumere un’importanza fondamentale, adesso, che la costringe a prestare attenzione alle sue parole, alla forza nella sua voce, al calore delle mani che le stringono le spalle.

-Tu sei parte della mia famiglia e non potrei mai pensare ad un mondo in cui tu non ci sei, e so che tutti quelli che ti vogliono bene pensano la stessa cosa. Quindi ti prego, non pensare mai più che qualcuno avrebbe preferito che tu morissi. Ti prego, fallo per me.-

Sono quelle le parole che la spezzano.

Non riesce a non credergli, non riesce a ignorarlo e continuare testardamente a macerarsi nell’autocommiserazione: in un lampo di terribile consapevolezza pensa a Sakura, ad Hinata, a Takumi e alle sue madri, a Reina e ad Hinoka, e sente che il suo cuore potrebbe davvero spaccarsi quando capisce quanto soffrirebbero nel vederla così.

Non vuole che nessuno di loro soffra. Non vuole che Ryoma soffra.

Eppure, allo stesso tempo, vorrebbe poter fare qualcosa, tornare indietro nel tempo e sistemare le cose, restituire il sorriso alla regina e una principessa, una sorella, a quei fratelli che lei non avrebbe mai avuto ma che avrebbe disperatamente voluto chiamare famiglia.

Ma non lo sono. Lei li ama come se lo fossero e sa che anche loro le vogliono bene, ma quella non è la sua famiglia: lei è una figlia di nessuno e si sente un mostro nel desiderare qualcosa che avrebbe dovuto essere di un’altra, di una bambina innocente strappata ai suoi cari in tenera età, che secondo la maggior parte dei nobili sta tuttora tentando di irretire per trarre da quel favore che i reali le dimostrano un qualche assurdo profitto.

È troppo. È davvero troppo per le sue spalle ancora così esili.

E scoppia a piangere, finalmente, come la bambina che ancora è: seppellisce il viso fra le mani e trema, stravolta dai singhiozzi e da tormenti troppo grandi per i suoi anni, e vorrebbe davvero che Ryoma se ne andasse perché non riesce a sopportare l’idea che qualcuno la veda in quello stato così miserabile – non riesce a non credergli, ma allora significa che vederla così deve farlo soffrire e per gli dei, è l’ultima cosa che vuole.

Ma Ryoma non se ne va.

Le passa un braccio intorno alle spalle e la avvicina a sé, stringendola forte quando Zoe gli si butta addosso e si aggrappa disperatamente al suo yukata, rifugiandosi nel suo abbraccio come se fosse l’unico posto sicuro al mondo.

Le accarezza i capelli, la tiene vicina a sé, e Zoe si sente un po’ meno disgustosa se c’è lui: Ryoma è la persona più buona che lei conosca, e se lui riesce a volerle bene allora, forse, anche lei potrebbe provare a odiarsi un po’ meno…

Affoga i singhiozzi sul suo petto, e una parte di lei registra il sangue – il suo – che ha macchiato la stoffa candida dello yukata di Ryoma ma che lui pare ignorare: la tiene stretta finché il pianto non cessa e una profonda spossatezza prende il suo posto.

È allora che la prende delicatamente in braccio, lasciando che lei si stringa forte al suo petto quando si alza e s’incammina verso gli alloggi di Orochi, mormorandole qualcosa di incomprensibile che, tuttavia, pian piano la culla in un dormiveglia beatamente vuoto.

-Oh, per gli dei, Zoe!-

Nemmeno la voce intrisa di terrore di sua madre riesce a scuoterla. Sta così bene, lì, ad ascoltare il suono profondo e regolare del cuore di Ryoma che batte, a riempirsi i polmoni del suo odore di pelle pulita e abbronzata…

-Sta bene. Ha soltanto bisogno di riposo.-

Smette di ascoltare sua madre: domani, probabilmente, Orochi la sgriderà per essersi ridotta in quello stato, ma per ora non vuole pensarci, vuole soltanto addormentarsi cullata dalla tenerezza rassicurante che prova fra le braccia di Ryoma.

Il principe cammina ancora un po’ e poi Zoe riconosce l’odore della propria stanza, si sente depositare delicatamente sul suo futon, avverte le coperte in cui viene avvolta. Non reagisce né si muove fino a che non avverte lo sgradevole vuoto che le fa capire che Ryoma se ne sta andando.

-Ryoma…- lo chiama, assonnata, allungando debolmente un braccio per tentare di trattenerlo lì.

Lui si avvicina di nuovo, inginocchiandosi accanto al suo letto, posando una mano sulla sua testa.

-Cerca di riposare.- le consiglia, piano, con una voce così gentile che Zoe non riesce proprio a dirgli di no.

-Ci proverò…- pigola, piano, sforzandosi di aprire gli occhi gonfi di pianto.

E Ryoma sorride, Zoe lo sa, riesce a immaginarlo anche se non distingue bene il suo volto. Le lascia un’ultima carezza su quel disastro che ha per capelli, rimboccandole le coperte prima di spegnere con un soffio la lanterna che illumina la stanza di lei.

-Grazie.-

.

Era cominciata allora, probabilmente.

Da quella notte lontana, che Zoe ricordava ancora con un misto di vergogna e affetto, si era ritrovata sempre più spesso a fantasticare sull’Alto Principe di Hoshido, ad arrossire quando i loro sguardi si incrociavano, a prestare attenzione a quel che Ryoma faceva o diceva e a tanti piccoli dettagli di lui che glielo avevano reso ancora più caro… era stato un commento di quel guastafeste di Subaki a farle capire che, probabilmente, quell’ammirazione era in realtà il sintomo più evidente di un invaghimento.

Quella volta, tuttavia, la sua invadenza era stata d’aiuto: dopo averlo compreso, infatti, Zoe si era impegnata affinché quella cotta infantile facesse il suo corso, ed era abbastanza fiera del risultato che aveva ottenuto.

Eppure, nonostante fossero passati tanti anni e i suoi sentimenti acerbi si fossero raffreddati da tanto tempo, non era mai riuscita a trovare qualcuno che le desse tanta serenità come lui faceva semplicemente esistendo: Ryoma era una delle poche persone che le avevano dato un motivo valido per affrontare i suoi problemi, ed il suo affetto era stato uno dei motivi principali che l’avevano spinta a cercare di migliorarsi ogni giorno di più.

Camminarono ancora per un po’, procedendo nella direzione indicata da Kagero nell’ombra minacciosa delle mura di Suzanoh sempre più vicine. Zoe poteva quasi avvertire la confusione di Ryoma, che aveva scorto lanciarle diverse occhiate perplesse: non era proprio da lei rimanere zitta così a lungo.

-Il tuo nervosismo è quasi palpabile, Zoe.-

Ed eccole, infatti, quelle poche parole che bastarono per riportarla coi piedi per terra e costringerla ad affrontare le paure che aveva cercato di soffocare pensando a tutt’altro sin da quando erano partiti.

-Non posso evitarlo.- sospirò, tormentando nervosamente i lacci della katana.

Erano mille i pensieri che si accavallavano nella sua mente, rincorrendosi come cani che si mordevano incessantemente la coda l’un l’altro, ma li tenne per sé: esternare i propri dubbi e le proprie paure non era mai stato il suo forte, e quell’unica volta che l’aveva vista aprirsi con Ryoma la riempiva ancora di imbarazzo. -Avevo quasi perso le speranze.- si limitò quindi a mormorare, alzando lo sguardo per cercare un albero adatto ad una rapida scalata; ne scelse uno particolarmente nodoso e si avvicinò, pronta a saltare, ma una mano calda si posò sulla sua spalla e la fermò.

Si volse, e ancora una volta riuscì a scorgere i dettagli grigi negli occhi altrimenti verdi di lui. Gli invidiava un sacco quel colore: non le piacevano affatto le sue iridi rosse, le davano la terribile sensazione che un demone stesse aspettando soltanto un suo momento di debolezza per prendere possesso di lei.

-Ed invece la tua perseveranza, alla fine, ti ha premiata.- Ryoma accennò un sorriso e lei si sentì quasi in dovere di ricambiare – dopotutto, Ryoma era sempre così serio, ed un suo sorriso era più raro della poca, rada neve che cadeva ogni tanto su Shirasagi. -Andrà tutto bene, vedrai.- la rassicurò, lasciandola andare e passandosi le dita fra i folti, lunghi capelli castani.

Zoe si strinse nelle spalle, tutt’altro che convinta, prima di balzare verso l’alto e sparire nel fitto fogliame.

Ryoma, guardandola sparire, sospirò, scuotendo la testa.

Era preoccupato per lei.

Sapeva quanto Zoe non avesse mai davvero smesso di sperare nel ritorno di Ileana e, soprattutto, quanto il suo rapimento avesse gravato sulla sua vita – forse lo sapeva anche più di Zoe stessa, perché al contrario di lei ricordava perfettamente l’incidente di Cheve e le terribili decisioni a cui, da ragazzino, non aveva potuto opporsi e che avevano cambiato per sempre la vita di Zoe.

Lui, e con lui anche la regina sua madre, aveva paventato quel momento per quattordici anni: spesso si era chiesto se non sarebbe stato più facile dire a Zoe tutta la verità già dall’inizio, ma Mikoto aveva sempre preferito aspettare, nella speranza che Ileana, un giorno, potesse tornare a casa. Dapprima Ryoma non aveva capito e, spesso, avevano discusso, perché Ryoma avrebbe disperatamente voluto tenersi il più vicino possibile quella bambina che gli era stata vicina sin da quella notte di Cheve, a cui lui si era affezionato più di quanto aveva potuto prevedere; eppure, alla fine, aveva compreso il dolore di Mikoto, il lutto che l’aveva distrutta quando aveva perso in una sola notte una delle sue figlie e il marito a cui era profondamente devota.

Eppure, lui era ancora convinto che sarebbe stato molto più saggio rinunciare a tutte quelle bugie molti anni prima.

Zoe gli assomigliava: era sempre stata testarda, e aveva sfruttato quel suo difetto per impuntarsi a portare a termine ogni nobile causa che le capitasse in mente: aveva la tendenza a farsi carico delle colpe degli altri e a non darsi pace fino a che non fosse stata sicura che tutti i suoi cari stessero bene e fossero al sicuro, spesso e volentieri a discapito della propria salute.

Sì, avevano sbagliato, avrebbero dovuto dirle la verità sin dall’inizio, ma non sarebbe cambiato nulla: il bisogno di prendersi cura degli altri era qualcosa che faceva parte di lei, che la caratterizzava e che Zoe non sembrava proprio intenzionata a cambiare.

Non sarebbe stato facile.

Mentre avanzava, conscio della presenza vigile e attenta della Samurai sopra di lui, si ritrovò costretto ad affrontare quel pensiero angoscioso: sua madre aveva atteso tanti anni il ritorno di Ileana, per rivelare alle due ragazze ciò che era accaduto in quella lontana, terribile notte di Cheve, ma Ryoma aveva la chiara sensazione che Zoe non avrebbe reagito affatto bene – anzi: probabilmente, una volta venuta a sapere la verità, li avrebbe odiati tutti… oppure non avrebbe detto niente, tacendo la sua sofferenza perché le era stato insegnato che la sua gentilezza era da considerare una debolezza, punendo coloro di cui si era fidata e che le avevano mentito con la peggiore delle torture: il silenzio.

Sì, Zoe gli assomigliava: era guidata dallo stesso turbamento, era incline agli scoppi di rabbia e, spesso, si lasciava trascinare dalle emozioni senza ragionare. Lui aveva imparato a gestire il proprio brutto carattere, soprattutto grazie agli insegnamenti di Kagero, ma quelle stesse lezioni non sembravano aver sortito lo stesso effetto sulla sua giovane amica.

Sospirò di nuovo, provando un immediato sollievo quando, in due sbuffi identici, Saizo e Kaze comparvero sul sentiero che improvvisamente spaccava a metà la foresta davanti a lui.

Ci siamo.

-Zoe.- la chiamò, e lei apparve immediatamente al suo fianco con quasi la stessa abilità dei due Maestri Ninja.

Nello stesso momento, scorse tre persone che, dalla soglia dell’avamposto che occhieggiava oltre le chiome lussureggianti, cominciarono a muoversi verso di loro: impiegò pochi attimi a riconoscere Takumi nella figura centrale, accompagnato dalle guardie Hinata ed Oboro e cupo in volto come l’aveva scorto ben poche volte.

Si rivolse a Zoe, che non si era mossa nemmeno per rivolgere un cenno di saluto ai suoi amici: aveva i pugni stretti e la mascella contratta, le palpebre socchiuse sugli occhi rossi e le orecchie tanto tese da risultare quasi comiche.

-Te la senti?- le domandò, piano.

Rigidamente, con un nodo in gola tale da impedirle di parlare, Zoe annuì.

Attesero in un silenzio assoluto che Takumi li raggiungesse; Kaze si era spostato al suo fianco, probabilmente per confortarla con la propria presenza, mentre Saizo aveva preso il suo consueto posto alle spalle di Ryoma.

Le sembrò un’eternità, quell’attesa, ma probabilmente durò soltanto un paio di minuti. Quando, finalmente, Takumi li raggiunse, Ryoma gli si avvicinò e si chinò per sussurrargli qualcosa all’orecchio, strappando un versaccio al fratello minore come risposta.

E poi Takumi guardò lei, e nel suo volto arrabbiato Zoe fu in grado di scorgere una punta d’apprensione.

-Vieni.- la chiamò, con un tono inaspettatamente gentile che stridette col brusco gesto della mano con cui la invitò a raggiungerlo. -Ti porto dalla feccia.-

.

.

.

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Buonasera a tutti!
Sono all'incirca in orario con l'aggiornamento (all'incirca), e sono molto felice di presentarvi la nostra Avatar, Zoe! E sì, a parte le orecchie a punta, gli occhi rossi e qualche piccolo (piiiiccolo) problemino con una chiara sindrome dell'eroe e un'enorme cotta per Ryoma, direi che non abbia molto in comune con l'Avatar che tutti conosciamo.
Speriamo entrambe che il capitolo vi sia piaciuto e che vogliate lasciarci un segno del vostro passaggio, siamo davvero entusiaste all'idea di sapere che cosa ne pensate!
Il solito piccolo prontuario delle traduzioni fai-da-te del capitolo:
Falcone = Falcon Knight
Cavaliere Kinshi = Kinshi Knight
Maestro di Spada = Swordmaster
Alto Principe = High Prince
Tsuka = è l'impugnatura di una katana, solitamente in legno o in metallo
Tsukaito = è l'intreccio della stoffa che avvolge la tsuka
Tsukamaki = il modo in cui lo tsukaito è avvolto intorno alla tsuka
Deshi = allievo (di un maestro samurai o di un maestro ninja, solitamente)
Un abbraccio,
Clarisse&B

PS del 09/09/2017: abbiamo corretto e ripostato il capitolo!

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Capitolo 4
*** Geram ***


Aranyhíd

Geram

(Malese)

Un bisogno che hai difficoltà a sopprimere.

.

.

Persino l’avamposto di Suzanoh rifletteva la stessa imponenza della Grande Muraglia.

L’atrio della piccola fortezza era stato costruito nella stessa pietra gialla che componeva le mura, ma nemmeno gli arazzi che erano stati affissi nel tentativo di ingentilire l’ambiente riuscivano a celare la maestosità di quel luogo.

Si era sempre sentito piccolo, Takumi, sin dalle primissime volte in cui Ryoma od Hinoka lo avevano portato lì per mostrargli i confini del loro regno, ma aveva sempre pensato che si trattasse di una reazione voluta dai costruttori: nessun nemico avrebbe mai potuto sentirsi spavaldo dinanzi a Suzanoh, e l’intera Hoshido poteva dormire sonni più tranquilli sapendo che la Muraglia sarebbe sempre rimasta lì, pronta a proteggerli.

Al suo fianco, minuscola in confronto a quel posto che trasudava possanza ed enormità, Zoe camminava in silenzio, mentre Ryoma e Kaze, a pochi passi dietro di loro, borbottavano qualcosa che lui non riuscì a comprendere; lanciò un’occhiata alle sue spalle, cercando invano di carpire qualcosa del loro discorso e sorprendendosi quando si accorse che persino la figura imponente di suo fratello pareva smorzata dall’altissimo soffitto e dalle pareti spesse un braccio.

Cerca di non esagerare.

Erano state quelle le parole che Ryoma gli aveva sussurrato all’orecchio, prima: parole che lo avevano schiacciato come se l’intera Muraglia gli fosse crollata addosso, e che echeggiavano fra i suoi pensieri sin da quando erano state pronunciate.

Takumi poteva sentirle pulsare nella testa, martellargli le tempie, e avrebbe tanto voluto non darci così tanto peso… ma no, non poteva ignorarle, perché quelle parole non facevano altro che tormentare il senso di colpa che aveva seppellito nel petto.

Non poteva ignorarle, perché aveva già deluso suo fratello. Era troppo tardi: aveva già esagerato.

Aveva esagerato quando lei aveva pronunciato quel nome, quando tutto si era disfatto tra le sue dita nel momento in cui lei, già troppo lontana dal crepaccio dell’Abisso Infinito per gettarcela semplicemente dentro, aveva dimostrato di possedere il potere di fare il suo mondo a pezzi con una sola parola.

.

-Sono Ileana, quarta principessa di Nohr e figlia del Re d’Ossidiana.-

Ileana.

No, pensa Takumi, il corpo pietrificato dallo shock mentre quel nome sembra esplodere nell’aria dell’Abisso, rintoccare su ogni roccia tagliente del confine.

Non le crede. Ileana è morta, ne è sicuro. Assassinata, poco dopo essere stata strappata al corpo ancora caldo di suo padre. Ecco perché non l’hanno mai trovata, indipendentemente da quante risorse abbiano investito nelle ricerche: è morta, sepolta diversi piedi sotto la polvere di Nohr, e l’unico motivo per cui non hanno restituito il suo corpo spezzato è per condannarli ad un’esistenza di incertezza per tutta la vita.

Non le può credere, non può – non vuole –, è più forte di lui.

Non è possibile che quella… quella cosa sia la sua sorellina perduta. È nohriana, dalla testa ai piedi – è feccia. È un mostro senz’anima e senza cuore che ha ordinato di attaccare le sue truppe facendosi beffe del loro trattato di confine, che ha persino osato appellarsi all’onore e implorare pietà anziché pagare per i propri peccati quando si è trovata con le spalle al muro – i nohriani non hanno avuto nessuna pietà per suo padre: l’hanno ucciso a sangue freddo, davanti agli occhi di una bambina indifesa, quindi perché avrebbe dovuto averne lui per loro?

Avrebbe dovuto ucciderla. Avrebbe dovuto ucciderla e basta, avrebbe dovuto dare retta a quella quieta, piccola vocina che gli aveva sussurrato di assecondare la rabbia del suo yumi e permettere che la sua freccia le strappasse dal petto quello che era rimasto del suo cuore freddo e marcio.

Le sue mani tremano sui legacci della spada che le ha portato via, le dita ancora ingarbugliate tra i nodi che stava finendo di stringere quando ha sentito quel nome. Impallidisce, e ne è conscio, e gli occhi gli bruciano mentre dolore e rabbia imperversano dentro di lui, dando vita a una sete di sangue che non ha mai sentito prima.

Dovrebbe ucciderla, adesso, in questo istante. Ai corvi la politica e i trattati e la promessa di informazioni. Dovrebbe trascinarla di nuovo al di là del ponte e squarciarle la gola di fronte ai suoi cani da guardia, urlargli che è questo quel che succede quando Nohr cerca di insinuare un’impostora tra i loro ranghi con un trucco così vile.

Perché è solo questo, non può essere altro. Ileana è morta e questa Maga non è altro che un diversivo per infiltrarsi tra le sue truppe, tra la sua famiglia, sfruttando il loro dolore a proprio vantaggio per piantargli un pugnale nella schiena alla prima occasione. Ma lui non lo permetterà.

-Non è possibile.- ringhia mentre le si avvicina a grandi passi, la mano che scatta a stringersi tra i suoi capelli corti. Lei non può trattenere una smorfia quando se la strattona addosso, torcendole il collo in modo da scacciare quello sguardo tronfio dal viso mentre la costringe a guardarlo. -Stai mentendo.-

Stringe più forte quando quella feccia si dimena – ribelle e impudente – e lui si trova ad apprezzare il mugolio di dolore che le sfugge quando riesce solo a farsi male da sola. -Perché dovrei?-

Soffia, soffia come la serpe che è. C’è veleno a impregnare le sue parole e lo sa – mai, mai fidarsi di uno stregone nohriano: sa cosa possono fare alle menti delle loro vittime. Non le permetterà di incantarlo e convincerlo a lasciarla andare.

Snuda la spada che le ha strappato e gliela preme contro la gola. -Non voglio chiedertelo di nuovo, feccia. Il tuo nome. Subito.-

Voleva solo spaventarla, ma poi il metallo sembra venarsi di rosso, e qualcosa di cattivo e furibondo ulula dentro di lui. La Maga trema e impallidisce prima di immobilizzarsi tra la sua mano e la lama, e lui si trova a godere di quella vista, perché se lo merita.

Sputa veleno, la feccia, ma stavolta c’è un’inflessione nella sua voce che suona tanto come paura. -Ve l’ho detto! Potete minacciarmi quanto volete, vi ho detto la verità!-

-Quelli come te non dicono la verità così facilmente.- la schernisce, facendosi beffe della bugia colossale che ha appena tentato di rifilargli.

La tracotanza di lei vacilla quando il filo della spada le accarezza la gola e cerca di liberarsi, ma non può sfuggirgli. La vede serrare gli occhi per non mostrargli quelle lacrime rivelatrici che le velano gli occhi.

Takumi si gode lo spettacolo delle crepe che si diramano nella sua maschera: avrà le sue risposte, e anche prima di quanto pensasse. Dovrà solo stare attento, perché non sembra che possa durare molto sotto tortura.

Pazienza. Troverà lo stesso il modo di farle pagare tutto – perché la feccia come lei non merita altro che soffrire. Le spinge la spada contro la gola, minaccioso. - Ma ho intenzione di strappartela, ‘principessa’, a qualunque costo. Credimi, crollerai. In fretta.-

E allora una goccia di sangue bagna il filo della lama dove le ha penetrato la pelle – è tanto, tanto più affilata di quanto credesse – e la spada sembra gemere come se fosse viva e dotata di volontà propria. Ne vuole ancora, Takumi intuisce… e per un infinito, folle secondo, ne vuole anche lui.

Per un infinito, folle secondo, è pronto a gettare al vento ogni strategia, ogni progetto: non vede altro che sangue, non vuole altro che sangue.

Il sangue di quella dannata cagna.

-Lord Takumi!-

.

Col senno di poi, Takumi aveva capito che era stato un bene che Kaze si fosse trovato lì, pronto a fermarlo prima che potesse fare qualcosa di cui si sarebbe sicuramente pentito – a spingere via la spada prima che lui potesse seppellirla nella gola di quella nohriana.

Stava ancora cercando di trovare il coraggio per affrontare il Maestro Ninja e scusarsi, sia per la sua sfuriata all’Abisso Infinito sia per come l’aveva trattato durante tutto il viaggio di ritorno verso Suzanoh… ma Kaze era stato così pronto a difendere e proteggere quel piccolo demone che lui, proprio, non aveva potuto farne a meno. Poteva solo sperare che non avrebbe detto a Ryoma di__

-Ehi…-

Il flebile sussurro di Zoe, così diverso dalla voce squillante che conosceva fin da bambino, lo sottrasse a quei pensieri frustrati e pieni di rabbia, costringendolo a voltarsi verso di lei e a fronteggiare l’insicurezza che sembrava essere stata scolpita in ogni singolo tratto del suo viso spigoloso.

Era difficile credere che quella giovane donna fosse la stessa ragazzina con cui era cresciuto.

Da quando Saizo le aveva permesso di assumere la carica di Samurai era diventato molto complicato, per Takumi, far collimare il ricordo di una bambinetta nervosa e lunga come un giunco con le forme che le sue vesti, per quanto molto meno rivelatrici di quelle di altre Samurai, proprio non riuscivano a nascondere… anche se non avrebbe mai capito come facesse a non sentire freddo con addosso soltanto un kimono che le copriva a malapena il seno – quella era sicuramente opera di Orochi, poco ma sicuro.

Tuttavia, nonostante gli sforzi di sua madre per spingerla verso un abbigliamento più consono ad una giovane donna, Zoe continuava testardamente a vestirsi più come Hinata, preferendo la comodità dell’hakama e dell’obi scarlatto che le fasciava i fianchi morbidi agli abitini striminziti che riempivano il suo armadio, mai toccati.

Takumi aveva sempre pensato che Zoe assomigliasse, più che alla provocante Orochi, a Kagero: aveva nei piedi lo stesso passo felpato, nelle movenze la medesima scioltezza e nelle ombre la sua casa.

-Ehi.- rispose, riscuotendosi dai suoi pensieri e sforzandosi di sorriderle, sebbene sapesse perfettamente quanto poco sincero sarebbe sembrato il suo maldestro tentativo di conforto: Zoe lo conosceva forse anche troppo bene, ed era certo che gli avrebbe letto in faccia quanto poco fosse contento di quella situazione.

No, non voleva proprio portarla da lei, non voleva che Zoe la incontrasse e le parlasse, non voleva che quella schifosa fattucchiera da due soldi provasse a irretire la sua amica prima di portargliela via.

-Sei silenzioso.-

Il giovane principe sbuffò, scoccandole un’occhiata obliqua.

-Anche tu, e penso sia quasi un miracolo.- replicò, ottenendo una lieve gomitata e una pernacchia come risposta.

-Sei sempre un antipatico.- lo rimbrottò lei, sbuffando, ma Takumi non se la prese. Se quel rimprovero gli fosse stato mosso da Ryoma, o da Hinoka, il dolore che gli avrebbe causato sarebbe stato atroce, ma Zoe… beh, Zoe passava la maggior parte del suo tempo a fargli notare quanto sapesse essere insopportabile, ma nonostante il suo brutto carattere gli era sempre rimasta vicino.

Il sorriso che gli sfuggì, stavolta, fu più sincero, perché in quella vocina era riuscito a cogliere un’ombra della sagacia che tanto gli era cara: eccola lì, la sua amica Zoe, quella che non mancava mai di sottolineare quanto quei pochi mesi che li dividevano la rendessero più grande di lui e che lo conosceva probabilmente molto meglio di quanto potesse dire di Hinoka.

-Fa parte del mio fascino!- ribatté, balzando indietro per evitare il pugno che, prevedibile, tentò di atterrare sulla sua spalla.

-Ma quale fascino.- mugugnò debolmente la Samurai, scuotendo la testa prima di piombare nuovamente in quell’odioso, insopportabile mutismo che Takumi proprio non riusciva a tollerare.

Le concesse soltanto una manciata d’attimi di silenzio prima di sbuffare, esasperato, fermandosi bruscamente dopo una curva del corridoio per afferrarla per un polso, costringendola a prestargli attenzione – con la coda dell’occhio scorse lo sguardo interrogativo di Ryoma, chiaramente sorpreso da quel gesto, ma decise di ignorarlo: suo fratello sembrava ancora preso dalla conversazione con Kaze, e lui poteva concedersi qualche minuto per parlare con la sua amica.

-Senti, non sei davvero obbligata a vederla.- sbottò, sentendosi profondamente a disagio in quella situazione: non era mai stato bravo nelle questioni emotive, ma sperava che Zoe, sapendolo, gli perdonasse la sua evidente goffaggine. -Non è una brava persona.-

Lei sospirò.

-Invece devo, e lo sai. Anche soltanto per darmi pace una volta per tutte.-

Takumi digrignò i denti, esasperato: Zoe aveva serrato la mano destra sulla tsuka della katana e l’altra mano era sparita fra le pieghe dell’hakama grigio, sicuramente stretta a pugno tanto saldamente da aver inciso i tratti delle sue unghie rovinate nel palmo; il suo sguardo scarlatto era assente, vuoto come Takumi non aveva mai avuto idea che potesse essere, le labbra illividite dalla tensione e le orecchie appiattite fra i capelli.

Non era abituato ad una Zoe silenziosa, che teneva le spalle dritte e l’espressione impassibile: Zoe era una brace ardente, con una rispostaccia sempre pronta sulla punta della lingua e uno scintillio indomabile nelle iridi fulve… la Samurai che aveva accanto, invece, era un’entità sconosciuta, una pallida e tesa eco della ragazza a cui era affezionato.

Zoe non se lo meritava.

Zoe era una delle persone migliori che avesse mai conosciuto, era sua amica, era famiglia, e lui non poteva tollerare che quella dannata nohriana l’avesse trascinata di nuovo in quella pozza di dolore da cui le era stato così difficile tirarsi fuori senza nemmeno averla ancora incontrata – lei così come sua madre, quella donna meravigliosa che, dopo i tragici eventi di Cheve, aveva passato troppe notti a piangere chiusa nella cameretta che era appartenuta alle sue figlie.

Quella cagna non poteva essere la bambina perduta di sua madre, la sua sorellina, l’amica d’infanzia di Zoe. Nessuno avrebbe mai potuto convincerlo del contrario.

Tuttavia

I suoi pensieri s’ingarbugliarono un’altra volta, soffocandolo ancora una volta nelle spire della vergogna e della frustrazione – come poteva mantenere la lucidità, il filo di un qualsiasi discorso, quando ad ogni respiro la faccia distorta della nohriana risaliva a galla nella sua mente?

Quanto riusciva a capire il bisogno di Zoe di un po’ di pace… anche lui avrebbe tanto voluto trovarla, lasciarsi sprofondare nella certezza di essersi comportato in modo onorevole, corretto e giusto, come Ryoma si sarebbe aspettato da lui.

Ma lo aveva deluso.

Aveva esagerato. Aveva esagerato quando l’aveva catturata, quando l’aveva assalita, quando aveva dato l’ordine di farle fare la fame e la sete.

Non avevano avuto dietro alcuna droga per sopprimere le sue facoltà magiche: i suoi ninja avevano portato solo veleni, e per quanto gli sarebbe piaciuto davvero tanto mettere fine a quella vita disgustosa, non poteva. Reina li aveva lasciati immediatamente per raggiungere sua madre, e Takumi si era dovuto sforzare di tenere a mente che non avrebbe potuto uccidere la nohriana né farle qualcosa che avrebbe lasciato segni visibili – non finché non fosse stata giudicata per l’impostora che era, e condannata come tale.

Ma aveva potuto renderla il più debole e impotente possibile. E l’aveva fatto. E se n’era approfittato.

.

Il fuoco che hanno costruito nel mezzo dell’accampamento brucia, luminoso, e scaccia il freddo portato dalla Luna di Ghiaccio. I suoi uomini formano un cerchio disordinato attorno a loro e, mentre mangiano, si riposano, tra le risa generali: hanno passato le montagne e sono tornati su suolo hoshijin. Sono al sicuro. Sono a casa.

Il cuore di Takumi è più leggero, il sollievo è palpabile nell’aria che porta il profumo conosciuto della sua terra.

Tuttavia, lui non può rilassarsi – non ancora. Non finché quella feccia avrà fiato in gola.

Le lancia un’occhiata da sopra la spalla, scocciato, ma scorge l’espressione accuratamente neutra di Kaze, poco lontano dalla prigioniera: gli obbedisce, evitando di avvicinarsi a quella bestia come lui gli ha ordinato e evitando di interferire con il suo trattamento, ma non è mai lontano, e non la perde di vista, mai. Veglia su di lei, nella speranza che la sua sola presenza basti a proteggerla.

E in effetti, basta: i soldati la lasciano in pace, e hanno persino smesso di deriderla – Oboro è l’unica a fare eccezione.

Quella cagna è seduta a terra, la schiena appoggiata contro il palo a cui l’hanno legata, abbastanza lontana dal fuoco per non godere del suo calore ma non abbastanza da renderla poco visibile. Ha sempre le mani legate dietro la schiena: non sono mai state sciolte da quel giorno sull’Abisso. Ha raccolto le gambe sotto di sé in un tentativo di arrotolarsi su se stessa per trattenere quel poco calore che le è rimasto in corpo, e non può essere semplice considerando lo stato dei suoi abiti: sono leggeri e strappati, tanto che quel che rimane del suo mantello basta giusto a coprirle le spalle.

È infreddolita, irrigidita, stanca. È riuscita a malapena a mettersi in piedi quella mattina, come se la scarsità d’acqua e cibo stesse già mostrando i suoi effetti. Non è nemmeno riuscita a camminare, e Hinata ha finito per caricarsela in spalla – perché si sia rifiutato di trascinarla e basta Takumi proprio non lo capisce, ma Hinata è sempre stato debole quando si parla di donne.

Sembra davvero, davvero debole e indifesa, ma Takumi sa che è una finta per avere la loro pietà, per fargli abbassare la guardia. Non è possibile che sia già denutrita e disidratata, non è passato abbastanza tempo – qualunque soldato reggerebbe di più, anche uno sottile come lei… e il sussurro tra i suoi pensieri è una pressione continua contro le tempie, è come se qualcuno gli mormorasse parole senza fine all’orecchio senza permettergli di comprenderne il senso.

È certo che sia lei, che sia un tentativo di incantarlo, di ingarbugliargli i pensieri. E, se riesce a lanciare un incantesimo del genere senza avere un tomo tra le mani, allora sta molto meglio di quanto sembri.

Le si avvicina, piano, con attenzione. La feccia non sembra nemmeno accorgersene, ma Takumi prova a ragionare e si accorge che quel sussurrare nella sua testa è andato affievolendosi man mano che si allontanavano dal confine. Forse non è così in forma dopo tutto.

Ha un solo modo per scoprirlo.

C’è un ghigno sottile ad arricciargli le labbra mentre torna a prendere un piatto che riempie con alcune delle polpette di pesce che hanno preparato per cena, prima di tornare da lei. È così vicino che può sentire il suo respiro, affannato e doloroso, così tanto da poter scorgere gli aloni violacei sotto i suoi occhi e il pallore del suo viso.

Per un momento, ritrova la ragazzina spaventata, fragile e indifesa che ha visto all’Abisso la prima volta che le ha puntato contro una delle sue frecce, e il suo odio vacilla. Poi il piatto tintinna contro il suolo mentre lo appoggia e lei apre gli occhi con un brontolio, e all’improvviso non c’è più alcuna traccia di innocenza sul suo viso, distorto in qualcosa di detestabile, cattivo ed arrogante.

Per i Draghi, ci è quasi cascato. Come ha potuto? Eppure lo sa, sa che non è altro che feccia, che una creatura immonda pronta a piegare le leggi della natura ai propri scopi malvagi ed egoisti, bramosa di vite innocenti, insaziabile di sangue. Non deve dimenticarlo, mai.

Quindi la squadra dall’alto in basso, sulle labbra tutta la crudeltà di cui è capace. -Non hai dormito abbastanza in braccio alla mia guardia?-

C’è un baluginio rabbioso nei suoi occhi, ed è la sua unica risposta – che sia perché lei si rifiuta di parlargli, oppure perché ha la gola troppo secca per riuscirci. Ma ci sono delle cose che lui vuole sapere.

-Piantala di guardarmi in cagnesco. Ti ho portato da mangiare.- le dice, fintamente conciliante, indicando il piatto appoggiato vicino a lei con un cenno del mento.

La Maga inarca un sopracciglio. -Avete intenzione di slegarmi per lasciarmi mangiare?- gli chiede. Ha la voce bassa e rauca, ma riesce lo stesso a suonare sprezzante.

A lui si contrae un muscolo sulla mascella. -No.-

La smorfia di lei dice tutto. -Tenetevi il cibo allora. Non riuscirete a farmi mangiare come un cane.-

Takumi deve fare uno sforzo per trattenere una rispostaccia. Ad essere onesti, l’umiliazione del costringerla a mangiare direttamente da terra non è qualcosa a cui aveva pensato – né uno spettacolo di cui avrebbe goduto, al contrario di Oboro – e parte di lui sa che è davvero chiedere troppo.

Ma la nohriana dovrà essere morta e sepolta prima che lui consideri anche solo l’idea di scioglierle le braccia.

-È il tuo giorno fortunato, allora, perché sono disposto a darti una mano.- le dice invece, anche se non riesce ad evitare di suonare condiscendente. Lei gli fa una smorfia sarcastica mentre si abbandona di nuovo contro il palo ma non ribatte, così lui prende una polpetta tra le dita e gliela porta alle labbra. -Sono disposto a imboccarti io stesso, ma te lo dovrai guadagnare. Un boccone per ogni domanda a cui risponderai. D’accordo?-

E chiede, chiede, chiede. Le chiede di Nohr, dell’esercito, di re Garon. Lei non dice una parola, nonostante lui veda quanto le costi: quando si stufa di aspettare una risposta si mangia lui la polpetta, e può sentire i suoi occhi addosso, vedere il tormento della fame. Eppure non fa un fiato.

Quando lui ingoia l’ultimo boccone di cibo, c’è un sorriso suicida sulle labbra di quel mostro. -Ve l’ho detto. Non vi darò nulla.-

Il mormorio si fa un grido incomprensibile tra i suoi pensieri. La rabbia esplode, rossa come lo scintillio nei suoi occhi. Fa per stringerle il mento tra le dita, ma lei è più veloce – non sa se perché se lo aspettava, o se perché davvero non sta male come cerca di far vedere.

Prima che possa anche solo sfiorarle il viso, sente i denti affondargli nella mano. Lo morde, forte, inaspettatamente forte, con rabbia e disperazione. Lui è troppo scioccato per reagire, almeno finché non sente quelle zanne andare più a fondo, il sangue scendergli lungo il palmo.

L’altro pugno si chiude tra i suoi capelli per strattonarla via, e sente i canini graffiargli la pelle mentre la costringe a lasciarlo andare. Fa male.

-Questa me la paghi, serpe!- ringhia, ma lei non fa altro che sputargli addosso il sangue che le è colato in bocca.

Le dita che la tengono saldamente contro il palo, la mano ferita scende, rispondendo alla chiamata che sembra provenire dal metallo scuro e pulsante che riluce da dentro il fodero che porta al fianco… ma una presa solida si chiude sul suo polso prima che possa afferrare l’elsa della spada.

-Reina è stata chiara, milord: che non le venga fatto del male.- Kaze gli ricorda, impassibile.

Takumi risponde con una smorfia mentre cerca di strappare il polso alla presa del ninja – ma certo, non se ne sarebbe stato a guardare in disparte mentre lui sfigurava la sua protetta.

Si alza in piedi e lancia uno sguardo disgustato alla feccia costretta in ginocchio ai suoi piedi, e sente il bisogno di aprire uno squarcio in quel bel faccino subdolo quando capisce che non ha chiuso gli occhi, nemmeno quando stava per estrarre la spada.

-Bene, allora.- sputa, mentre parte del suo cervello si chiede se avrà bisogno di un sorso d’antidoto per quel morso. -Quella era la tua cena, sappilo. Ma non credere che ti permetterò di morire di fame, non ho finito con te.-

Ed è allora, a quelle ultime parole, che vede di nuovo le crepe di debolezza sul suo viso, e capisce: non sta solo facendo la difficile, vuole lasciarsi morire prima che lui possa interrogarla a dovere.

E a Suzanoh mancano ancora tre giorni.

..

Era stato Hinata ad impedirgli di esagerare quando aveva cercato di farle ingoiare a forza cibo e acqua, non appena aveva capito cosa stesse cercando di fare quella feccia. Con l’aiuto del suo amico d’infanzia era riuscito a fare un passo indietro, anche se ancora gli teneva il broncio per aver insistito nel chiedere l’aiuto di Kaze per occuparsi del loro ostaggio.

Alla fine, infatti, Takumi aveva ceduto alle loro richieste di mandarla avanti assieme al ninja e alle sue guardie mentre lui guidava i soldati attraverso la foresta. Kaze sembrava di essere l’unico in grado di convincerla a cooperare almeno un po’, e Hinata sembrava essere sulla buona strada per fare altrettanto – e quello era qualcosa che avrebbe potuto usare, appena ottenuto il permesso di interrogarla. Oboro era stata praticamente costretta ad andare con loro, per essere certa che quei due teneroni non permettessero a quella feccia di mettersi troppo comoda.

Se solo non fosse mai esistita…

Nervosamente, Takumi sfiorò l’elsa della spada che portava al fianco, ed ancora una volta gli parve di avvertire un fremito impaziente ed oscuro vibrare sotto i suoi polpastrelli.

Avrebbe dovuto ammazzarla, non se lo sarebbe mai ripetuto abbastanza. Avrebbe potuto trovare un modo, e ai corvi gli interrogatori: proteggere sua madre e proteggere Zoe sarebbero dovute essere la sua priorità.

Tagliarle la gola all’Abisso, bruciarla assieme a quel palo a cui l’aveva legata invece di tentare la via della gentilezza e offrirsiaddirittura di darle da mangiare di persona… si sarebbe dovuto impegnare di più, essere più fermo con Kaze e con Hinata, costringerla a vuotare il sacco per poi mettersi comodo a guardarla uccidersi da sola.

Certo, sua madre e Zoe sarebbero state devastate dalla notizia che la sconosciuta nohriana che affermava di essere Ileana non aveva resistito al viaggio, ma… sarebbe stato meglio, per loro. Avrebbero avuto una chiusura, avrebbero potuto accettare una volta per tutte che Ileana era morta, sarebbero potute andare avanti con le loro vite e Takumi non avrebbe mai più dovuto vedere sua madre stringere convulsamente al petto un cavallino di pezza, avrebbe potuto convincere Zoe a lasciar perdere il suo desiderio di diventare daimyomagari avrebbe persino trovato il modo di convincerla a sposare il ragazzo per cui aveva una cotta da una vita, magari si sarebbe rassegnata, magari sarebbe stata felice…

E invece no. Invece lui aveva fallito, fallito su tutta la linea, e adesso quella maledetta cagna aveva già cominciato ad avvelenare il suo mondo, la sua famiglia, i suoi amici, e non voleva nemmeno pensare a cosa sarebbe successo quando avrebbe incontrato sua madre.

Non aveva idea di come Mikoto avrebbe potuto confermare o meno l’identità della Maga nohriana, ma una parte di lui, una grossa parte di lui, sperava ardentemente che Kaze si fosse sbagliato, che in qualche modo la principessina viziata che avevano preso prigioniera si rivelasse essere un’impostora – e lui avrebbe potuto porre fine a quella penosa pagliacciata una volta per tutte, facendo pagare a quell’eretica ogni attimo d’angoscia provata da sua madre e da Zoe.

-Avresti dovuto darti pace una volta per tutte molto tempo fa, e lo sai.- brontolò, nervoso, sfregando nervosamente un piede sul pavimento liscio e pulito del corridoio, provando una punta d’irritazione quando il fango della foresta macchiò quel lindore. -Ma insomma, è comprensibile.- aggiunse, però, scorgendo l’espressione di lei incupirsi al suo commento e maledicendosi, per un istante, quando si rese conto di aver esagerato: Zoe aveva cercato davvero di superare tutto quello, di andare avanti, e lui ne era stato contento – anche se avrebbe preferito vederla in un ruolo più al sicuro di quello di un soldato. -Però non… non sono sicuro che dovresti sperarci così tanto.- ammise, cercando disperatamente un modo di esprimere i propri dubbi senza farle del male – sarebbe bastata una parola sbagliata perché Zoe si preoccupasse ancora di più, e non voleva assolutamente essere lui quello che avrebbe ridotto in briciole quelle speranze in cui tanto lei quanto sua madre non avevano mai smesso davvero di credere.

La Samurai abbassò lo sguardo, mordendosi nervosamente le labbra.

-Pensi che non sia lei?- gli domandò, e Takumi avvertì chiaramente quanto quella prospettiva l’avesse già sfiorata e la tormentasse.

Quel mostro non l’aveva nemmeno ancora incontrata e già le stava facendo del male.

Digrignò i denti, cercando di mantenere la calma: quello non era proprio il momento di perdere le staffe.

-Non può essere lei. Zoe, non può, fidati di me. È…- esitò, annaspando alla ricerca di una definizione non troppo deplorevole per quella che, invece, meritava soltanto i peggiori insulti. -…è cattiva, è__-

..

-Allora? Vogliamo riprovarci?-

Queste sono le prime parole che le dice non appena mette piede di fronte alla sua cella, nelle segrete sotterranee della Grande Muraglia.

Le prigioni sono scavate nella pietra stessa che costituisce il fianco nord di quella che è l’ultima linea di difesa di Shirasagi. Sono una serie di anfratti con pareti rocciose irregolari, senza finestre, le cui entrate sono delimitate di sbarre d’acciaio magicamente rinforzate, e danno tutte sullo stesso lungo, sottile corridoio. È buio, umido, freddo e scomodo, qui sotto: le uniche luci sono quelle delle candele alle porte delle celle occupate e l’occasionale torcia tra le mani delle guardie.

Oggi come fonte di illuminazione ci sono solo la candela che sfrigola fuori dalla cella della Maga e la torcia che brucia nel pugno di Takumi.

Non sembra che la cosa la disturbi – come ogni mostro che si rispetti, è a suo agio nell’oscurità, e questa non è che un’altra prova della sua depravata natura.

Lui riesce solo a pensare a sua madre e a Zoe, che a breve arriveranno per parlarle, e gli si spezza il fiato in gola. Non le vuole vicino a questo mostro.

Ecco perché è qui, adesso. Questa è la sua ultima possibilità di strapparle i suoi segreti, prima di essere costretto a fare un passo indietro, almeno finché la sua mascherata non sarà riconosciuta come la farsa che è, e lui potrà finalmente fare di lei quello che vuole. Ma fino ad allora…

La Maga si lascia abbracciare dalla luce, e lui capisce subito che averla mandata in anticipo a Suzanoh è stato un errore. Non dover marciare le ha permesso di recuperare un po’ di forza e, per quanto si veda che è ancora debole, c’è un ghigno insolente sulle sue labbra che non promette davvero niente di buono.

Lo sta guardando come se lei non fosse la preda, ma il predatore.

-Quindi il Principe di Hoshido, oltre ad essere uno stupido prepotente senza onore, è anche sordo.- esordisce, la voce che sanguina alterigia e disprezzo.

La rabbia che non l’ha tormentato per tutto il tempo in cui non ha dovuto tollerare la sua presenza torna all’improvviso, ed è assoluta. Stringe la presa sull’elsa della spada scura e vorrebbe tanto che quelle sbarre non fossero lì, così potrebbe finalmente ucciderla – perché quello si fa con i mostri come lei: si fanno a pezzi, prima che possano distruggere ogni cosa bella e pura.

-È incredibile quanto marciume possa esserci in una bestiolina così piccola.- risponde lui, le parole avvelenate tanto quanto quelle di lei.

-Non potete nemmeno immaginarlo. Non vi piaceranno le parole che ho per voi oggi, ve lo garantisco.- le sue zanne scintillano alla luce della torcia. Lui coglie il riflesso delle manette che le legano i polsi sul davanti. È in piedi, appoggiata alla porta della cella, le dita pallide ed esili come zampe di ragno strette attorno alle sbarre. -Ma prego, venite a constatare di persona, Principino. Chiedete, se ne avete il coraggio.-

Lui si abbandona a un sospiro teatrale, come se rimpiangesse quello che sta per dire – e invece non lo rimpiange affatto. -Non capisco perché tu debba rendere tutto così difficile. Voglio solo poche risposte oneste. Non deve essere doloroso.-

-Ah no?- c’è sarcasmo nei suoi occhi verdi – occhi che luccicano nel buio, come quelli di una bestia in agguato, assetata di sangue, pronta a colpire. -Non credo che vi dispiacerebbe se lo fosse. O volete farmi credere che non vi siete immaginato la scena, Principino?-

C’è qualcosa di strano nelle sue parole, si dice Takumi mentre rabbrividisce. È diverso il modo in cui parla, in cui articola ogni sillaba rendendola piena e bassa, perfette per insinuarsi nella sua mente.

Il mormorio che sente tra i suoi pensieri non è mai cessato del tutto, nemmeno in sua assenza.

-Non mentitemi, Principino.- sussurra, e lui è a tanto così dall’impazzire – perché è lui che dovrebbe intimarle di non mentire, e lei quella che dovrebbe sentirsi inerme e in trappola. -So che non chiedereste altro che vedermi in pezzi. So che non vedete l’ora di fare del vostro peggio. Ma so anche che, per ora, non potete farmi del male. Non ne state morendo?-

Certo che sa che non può farle del male – non ancora. Deve averlo capito, o dagli ordini di Reina, o dalle parole di Kaze quando ha interferito quella notte all’accampamento, oppure avrà sentito Hinata e Oboro che ne parlavano. Di certo, sta fingendo ogni momento di debolezza.

Gli sembra che gli stia girando intorno in cerchio, cercando di capire quando attaccare, dove colpire in modo da ucciderlo con un solo morso, come se avesse lei il controllo della situazione, nonostante sia rinchiusa dietro sbarre d’acciaio. Trasuda pericolo, e lo rende nervoso. Si chiede se lei possa percepirlo, come farebbe qualsiasi animale.

Stupido, stupido lui che le ha permesso di riprendersi mandandola avanti.

Raddrizza la schiena. -Posso fare tutto quello che voglio, finché non lascio segni visibili. Non guasterebbe renderti un po’ più… docile, sai?- precisa, avvicinandosi alle sbarre della cella, dimostrando più sicurezza di quanta non ne senta. È abbastanza vicino da toccarla, e le croste sulla ferita alla mano che gli ha lasciato prudono. -E ci sono modi per ammansirti che non lasceranno tanti segni.-

Gli pare di vedere un’ombra nel suo sguardo mentre lo studia attentamente, ma è svanita al seguente battito di ciglia. Non si allontana dalla porta della cella, nemmeno quando una delle sue mani si stringe sulle sbarre. Ghigna e basta. -State minacciando di stuprarmi, Principino?-

La sua voce è bassa, sarcastica. Lui serra la mascella, cercando di non sembrare sorpreso dalla sua sfrontatezza – non è spaventata, nemmeno un po’.

-Non mi pare proprio il vostro stile. Credo che abbiamo già appurato che non siete in grado di prendere senza chiedere. Ma visto che non risponderò alle vostre domande, forse potreste decidere di punirmi inventandovi altre cose da fare con la mia bocca…-

Lui la guarda male: è chiaro che ha capito che sta mentendo, perché non dovrebbe essere lei quella sprezzante – no, lei dovrebbe essere quella che indietreggia fino ad avere le spalle contro la parete più lontana dalla porta, tremante, implorandolo di non toccarla mentre lui—

-La domanda è, sapete almeno come si fa?- sibila, venefica, e lui sente il suo respiro sul collo. -Vi prego, dimmi che non dovrò leggervi le istruzioni mentre mi costringete in ginocchio tra le vostre gambe e la parete, mentre mi tirate i capelli per tenermi a cuccia e prendete fuori il vostro uccello e mentre mi guardate soffocare mentre me lo spingete in gola…-

Lui avvampa in un secondo, il rossore che gli scende giù per il collo e gli sale fino alle orecchie. Non può farne a meno – le sue parole sono troppo oscene, troppo dirette perché una qualsiasi persona decente non si senta a disagio nel sentirsele sputare addosso.

Che razza di disgustosa, lurida—

-Anzi, prima di tutto vediamo se avete almeno qualcosa su cui si può soffocare.-

Lui sobbalza quando sente le sue dita sfiorargli una gamba dopo essere scivolate tra le sbarre, le catene delle manette che tintinnano contro l’acciaio incantato della grata, e a lui quasi cade di mano la torcia.

Le sue labbra si piegano in un sorrisino disgustoso a quella reazione. E lui vede solo rosso.

Non c’è strategia, non c’è controllo quando decide di combattere il fuoco col fuoco – non le permetterà di umiliarlo così. Esagera di certo quando le afferra il viso, le dita che le affondano con violenza nella mascella. Le sue mani, sempre incatenate, trasfigurate in artigli, se stringono ai suoi polsi – ed eccola, la sua vile natura che fa capolino sotto la pelle.

Mostro.

-Pagherai per questo. Per tutto.- le sputa in faccia, le unghie corte che imprimono tanti marchi a mezza luna nelle sue guance. Lei cerca di sfuggirgli, ma lui sua stretta è salda – tanto salda che lui si chiede se non potrebbe strangolarla, se solo avesse mirato alla gola. -Credimi. Non sei altro che una cagna, non sei altro che feccia… e lo vedranno tutti. E quando sarò libero di fare di te quello che voglio, sappi che ti strapperò via ogni cosa, ogni segreto, a mio piacimento__-

__esattamente come quelli della sua razza avevano strappato ogni cosa al suo regno, alla sua gente, alla sua famiglia, a loro piacimento,

-…e li userò per bruciare quella fossa di serpi che osi chiamare casa__-

__e l’avrebbe costretta a guardare, a provare tutto il dolore che aveva provato lui quando suo padre e sua sorella gli erano stati portati via senza alcuna ragione tranne crudeltà gratuita,

-E solo quando le ceneri di ogni cosa che amavi saranno fredde, solo allora ti permetterò di esalare il tuo ultimo respiro.-

__e solo allora, sarebbero stati pari. Gliel’avrebbe fatta pagare, le avrebbe fatto pagare tutto, a nome di tutta Nohr.

Sta tremando, adesso, come lui.

Il ringhio disperato che ha sulle labbra è lo specchio di quello sul suo viso, che lui vede riflesso nel velo di lacrime furibonde nei suoi occhi – le stesse lacrime furibonde che gli ottenebrano la vista, la mente, la capacità di giudizio.

-Non dimenticate di tenermi ferma la mascella mentre mi infilate in gola il vostro uccello, Principino…- sibila, e lui quasi distingue il veleno stillarle dalle zanne. -Non chiedo altro che l’opportunità di strapparvelo a morsi.-

Le lascia un ultimo graffio, rosso – rosso come il luccichio nei suoi stessi occhi –, sul mento quando infine la lascia andare. La risata che le mormora in gola mentre lei affonda nelle tenebre – via dalla luce – sembra inseguirlo mentre abbandona le segrete, riecheggiando nella sua mente come un incubo.

..

-Takumi.-

Ancora una volta, la voce ferma di Zoe lo strappò dai ricordi che lo stavano avvelenando, riportandolo alla realtà: guardò quegli occhi, Takumi, rossi come le braci di un falò, e vi trovò una gentilezza tale da essere quasi dolorosa – dei, quanto non meritava la sua compassione, la sua dolcezza, il suo affetto.

-Lo so che potrebbe essere una trappola. Sono preparata, lo siamo tutti.- lo rassicurò, ma la determinazione nelle sue parole venne tradita dall’angoscia che Takumi vide adombrarle lo sguardo.

Preparata, ma certo” si disse, inarcando un sopracciglio quando lei abbassò gli occhi per non permettergli di ribattere. Zoe non era mai stata meno sicura di sé di quanto fosse in quel momento, e tutti e due sapevano quanto la sua espressione serafica fosse solamente una maschera finemente cesellata.

La giovane, irrequieta Samurai incrociò le braccia sul petto, sfregando nervosamente le mani sulla stoffa perlacea del kimono.

-Riusciresti a perdonarmi se ti dicessi che non posso smettere di sperarci almeno un pochino?- pigolò, guardandolo dal basso con quell’espressione incerta e tormentata che Takumi aveva visto fin troppe volte nel corso della sua vita e che aveva ardentemente sperato di non vedere mai più.

-Ma figurati!- sbottò, con più veemenza di quella che avrebbe desiderato usare, sforzandosi di non seguire il proprio istinto che gli suggeriva disperatamente di prenderla per le spalle e scuoterla fino a farle entrare in quella testaccia un po’ di buonsenso.

Perdonarla?

Non c’era niente di cui perdonarla, maledizione!

Comprendeva il suo bisogno di una chiusura, di una risposta definitiva, di una verità – comprendeva il motivo per cui non riusciva a rinunciare a quella piccola speranza, e odiava il pensiero di dover schiacciare le sue aspettative…

Ma quella cagna non poteva, non poteva, essere la figlia di una persona meravigliosa come sua madre. Non era possibile, era assurdo, e avrebbe disperatamente voluto che tanto Zoe quanto Mikoto se ne rendessero conto prima di commettere qualche errore irreparabile.

-Vorrei solo che tu non ci rimanessi troppo male, ecco.- sbuffò, ma Zoe si strinse nelle spalle e Takumi poté quasi sentire la risposta che avrebbe voluto dargli – “non preoccuparti, io me la cavo sempre, andrà tutto bene”.

Certo che si sarebbe preoccupato, maledizione. Sembrava l’unico, là dentro, a preoccuparsi di quanto la nohriana avrebbe potuto far del male alle persone che aveva più care, alla sua gente, a tutti quanti… perché era così evidente, per tutti gli dei, che quella – quella cosa fosse stata mandata apposta per compiere qualcosa di terribile!

-E se volesse uccidere mia madre?- bofonchiò, piano, dando finalmente voce a quel dubbio terribile che l’aveva tormentato sin dal momento in cui la nohriana aveva pronunciato quel nome, là, sulla soglia dell’Abisso.

Quella feccia disgustosa aveva mormorato alla sua mente chissà quale maleficio, lo aveva tormentato, torturato e quasi fatto impazzire, e tutto senza nemmeno tenere in mano uno dei suoi maledetti libri di magia… come poteva sapere che non avrebbe fatto lo stesso con Mikoto?

Takumi amava sua madre, certo, ma temeva che potesse peccare d’ingenuità, di speranza, di disperazione: Mikoto era una persona talmente buona che, di certo, sarebbe stata pronta ad accogliere la feccia a braccia aperte, ignara del pericolo che avrebbe corso stringendo a sé quella serpe.

-Se l’avessero mandata per questo?-

Poteva quasi vederlo, il re d’Ossidiana, ad ordire con quei suoi figli malvagi il piano che avrebbe loro permesso di infiltrare un’assassina nel regno che tanto odiavano…

Zoe scosse la testa, sfregandosi stancamente il viso.

-Anche se fosse un’impostora, non c’è nessun pericolo. Tu e Ryoma sarete con lei, e comunque dubito che una Maga disarmata possa fare qualcosa alla regina.-

Non ne era così certo.

L’emicrania che l’aveva tormentato per tutto il viaggio di ritorno lo trafisse, costringendolo a massaggiarsi le tempie per tentare di alleviare la fitta fastidiosa che, per un secondo, gli aveva oscurato la vista.

Voleva crederle, per Hotoke, voleva così disperatamente credere che niente avrebbe potuto mettere in pericolo sua madre… una parte di lui era certa che Zoe avesse ragione, riconosceva la logica nelle sue parole, ma quel barlume di razionalità era surclassato dal panico che fremeva nel suo sangue al pensiero di quel mostro nella stessa stanza di Mikoto.

Se solo…

Guardò Zoe, sorpreso dalla chiarezza con cui riusciva a distinguerla nonostante la vista annebbiata dal dolore che gli martellava i pensieri: guardò quella ragazza che aveva passato l’infanzia a sfuggire alle angherie degli aristocratici, guardò la ragazzina che tante volte gli aveva pettinato i capelli e con cui aveva imparato l’arte della spada, guardò la bambina assieme a cui si era addormentato tante volte in mezzo ai giocattoli, a notte fonda, tenendo in mezzo fra loro la figuretta piccina ed esile di Sakura perché non avesse freddo… e sospirò, Takumi, allungando una mano per sfiorarla, per intrecciare le dita alle sue alla disperata ricerca di un contatto in grado di scacciare l’angoscia che sentiva dibattersi in fondo allo stomaco e che scorgeva, di riflesso, nel volto di Zoe.

-Sarebbe più facile se fossi tu.- bisbigliò, avvertendo le guance imporporarsi quando i suoi occhi carmini si allargarono per la sorpresa.

-Come?- farfugliò, sbalordita, e lui si ritrovò a dover guardare da un’altra parte, incapace di sostenere l’imbarazzo che quell’affermazione sfuggitagli per sbaglio gli stava causando.

-B-Beh ma non cambierebbe nulla, in fondo!- incespicò, sperando ardentemente che Ryoma non si avvicinasse proprio in quel momento e odiandosi profondamente per la propria dannatissima lingua lunga. -Solo…-

La sua voce si spense, annichilita dalla profonda tristezza che vide incrinare quella maschera di compostezza. -Almeno potrei chiamarti sorella senza che nessuno mi guardi storto o se la prenda con te.- ammise, distogliendo lo sguardo da lei perché vederla così fragile era davvero troppo, faceva davvero troppo male.

-Takumi…- lo chiamò, piano, la stretta della sua mano che si faceva più forte, e lui si costrinse ad alzare gli occhi, a sopportare quel lampo di sofferenza che Zoe non riuscì a nascondergli. -Sarebbe bello.-

Qualcosa di sgradevole gli strinse il cuore nel petto, quando la sua mente completò per lei quella frase che Zoe non era riuscita a completare: sarebbe bello, se fosse possibile.

-N-Non volevo farti intristire, io__-

Zoe gli sorrise, sfregandosi il viso con la mano libera e tirandosi indietro i capelli.

-Non mi sono intristita.- lo rassicurò, prendendo un lungo respiro prima di sciogliere la loro stretta, stirando le braccia per sgranchirsi. -Però devo farlo lo stesso. E se verrà fuori che è una bugiarda almeno avremo la verità.- decretò, allontanandosi di un passo – e avrebbe tanto voluto trattenerla, Takumi, tenerla al sicuro, lontana da quella sofferenza inevitabile.

-Non starai bene.- la avvertì, con una punta di disperazione, ma Zoe si strinse nelle spalle.

-Pazienza.- replicò, strappandogli un versaccio quando, con un mezzo sorriso, aggiunse: -Posso sopportarlo.-

No, non poteva.

-Tu chiedi troppo a te stessa.- brontolò Takumi, guadagnandosi un altro pugno che, tuttavia, stavolta non riuscì ad evitare. -Ahi.- protestò, lanciandole uno sguardo di fuoco e massaggiandosi il braccio offeso.

-Da quale pulpito viene la predica.- soffiò lei in risposta, indispettita, ricambiando la sua smorfia con la più severa delle espressioni.

Takumi scosse la testa, sorridendo debolmente: Zoe gli era troppo affezionata per riuscire a vedere che persona miserabile si nascondesse dietro quello che, a volte, non era riuscita a trattenersi dal definire “il suo fratellino”…

-A volte dovrei esserlo di più.- sussurrò, a bassa voce, ignorando l’occhiataccia che lei gli scoccò e sospirando rumorosamente, lasciando dissipare quell’attimo di intimità venuto a crearsi fra loro. Incrociò le braccia, lanciando un’occhiata a Ryoma, chiaramente impaziente di intervenire.

-E va bene… ma, tanto per la cronaca, io non sono tranquillo.- borbottò, sebbene una parte di lui ancora gridasse che no, maledizione, non gli andava bene per niente.

Sapeva che non poteva impedire che qualcuno, chiunque fosse, si avvicinasse alla nohriana, ma l’idea di permetterlo proprio a Zoe non era piacevole: non voleva che soffrisse, non voleva che quella lurida bocca sputasse veleno anche su di lei… eppure sapeva anche che la Maga doveva essere rimessa in sesto, ripulita e sistemata per l’imminente incontro con la regina – e, se davvero si trattava di Ileana, forse Zoe sarebbe stata in grado di risvegliare qualche ricordo, di farsi riconoscere.

Lo sapeva, sì, ma non riusciva proprio ad evitare di temere per lei.

Le labbra di Zoe si stiracchiarono in un sorriso, debole ma sincero. -Come sei carino quando ti preoccupi.- lo punzecchiò, allungando due dita per pizzicargli la guancia. Takumi arrossì ma non la scacciò, limitandosi ad alzare gli occhi verso il soffitto, fingendosi esasperato da quel gesto affettuoso che, in realtà, gli era sempre stato molto caro.

-Mpf.- sbuffò, sperando ardentemente che Ryoma, che si stava avvicinando assieme a Kaze, non notasse il suo imbarazzo. Zoe inclinò le orecchie in direzione di suo fratello, drizzando le spalle in segno di rispetto e girando sui tacchi per accoglierli.

-Tutto bene?- le domandò Ryoma, accigliato, spostando ripetutamente l’attenzione da lei a Takumi.

-Certo.- gli assicurò, annuendo brevemente, costringendosi a nascondere la commozione che aveva provato dietro un’espressione accuratamente neutra che, tuttavia, non sembrò convincerlo del tutto: li scrutò ancora per qualche attimo, sicuramente perplesso per via del rossore piuttosto evidente di Takumi, ma probabilmente decise di soprassedere, almeno per il momento.

-Ho parlato con Kaze e mi ha suggerito che, forse, sarebbe meglio che fossi tu a parlare con lei.- le comunicò, prima di rivolgersi a Takumi. -Da quel che ho capito, non è molto bendisposta nei tuoi confronti.- aggiunse, e Zoe notò una punta di scetticismo colorare la sua voce solitamente calma e pacata.

Si voltò anche lei verso Takumi, appena in tempo per vederlo sbuffare.

-Beh, certo. L’ho catturata io, è normale.- si difese, ma lei lo conosceva troppo bene per farsi ingannare da quella scusa maldestra.

-Tu stai nascondendo qualcosa.- affermò, scoccando una rapidissima occhiata a Kaze che, impercettibilmente, socchiuse le palpebre in segno di assenso.

Oh, fantastico. Che cosa aveva combinato, adesso?

-I-Io?- il volto di Takumi, sotto gli sguardi inquisitori del fratello e di Zoe, si fece ancor più paonazzo. -Non sto nascondendo proprio niente! È lei che è una vera strega!- si difese, ma Zoe fu certa che, dietro quella voce molto più acuta del normale, Takumi stesse nascondendo qualcosa che gli avrebbe sicuramente fatto passare dei guai.

-E tu invece sei stato un esempio di educazione e di gentilezza, vero?- ribatté, inclinando la testa per dedicargli un’occhiata obliqua.

-Bah. È soltanto una cagna schifosa, non__-

-Takumi.- lo interruppe Ryoma, duro, forse accorgendosi del repentino pallore e della mascella contratta di Zoe che, effettivamente, si era inconsciamente aggrappata all’elsa della sua katana, le dita serrate sulla stoffa pregiata che, dopo tanto utilizzo, si era irruvidita.

Takumi alzò le mani in segno di resa, sbottando un: -Va bene, va bene.- prima di superarli tutti e tre per precederli lungo gli ultimi due corridoi che li dividevano dalla porta dietro cui si trovava, probabilmente, la principessa nohriana.

Zoe si morse l’interno della guancia, scambiando uno sguardo incerto con Ryoma prima di superarlo, profondamente grata della presenza impalpabile di Kaze al suo fianco.

Eccoci qui”, si disse, avvicinandosi a Takumi e serrando le mani fra le pieghe dei pantaloni, ignorando il vago senso di panico che sembrava essersi annidato fra i suoi pensieri: eccola lì, a pochi passi di distanza da quella che non poteva impedirsi di sperare che fosse la verità, senza la più pallida idea di cosa avrebbe dovuto fare o di cosa la stesse aspettando al di là di quella soglia.

Guardò Takumi, aggrappandosi disperatamente alle parole che le aveva detto e covandole dentro di sé, permettendo all’affetto di suo fratello di sbocciarle nel petto e di riscaldarla là dove, in quel momento, non provava altro che confusione; lui masticò qualcosa di incomprensibile, cupo in volto, prima di sbuffare stancamente e spalancare con un gesto brusco quella maledetta porta.

La prima cosa che Zoe notò fu l’assenza di qualsiasi tipo di mobilio. Si era aspettata di trovare una stanza arredata in modo parco e sbrigativo o, almeno, una branda su cui permettere alla principessa straniera di dormire, ma… in quella stanzetta angusta non c’era proprio niente – eccetto la ragazza vestita di nero in piedi dinanzi alla finestra chiusa.

Oh, dei, com’era piccola.

La ragazza nohriana che affermava di essere Ileana non le arrivava nemmeno alla spalla e, probabilmente, pesava meno della metà di lei: era minuta e snella e, nonostante la lacera e sporca veste da Maga che indossava, manteneva nella postura un certo tipo di eleganza che Zoe aveva imparato da molto tempo ad associare a qualcuno di nobili natali.

Se ne stava lì, a braccia conserte, con i capelli biondi tirati indietro da una fascia nera e due grandi occhi verdi, simili a quelli di un gatto, pieni di cattiveria – cattiveria?

-Principino. Ma che piacere.- sibilò, alzando lo sguardo per rivolgere la più sprezzante delle espressioni irridenti in direzione di Takumi.

Con la coda dell’occhio, Zoe lo vide irrigidirsi, e anche lei si ritrovò a provare l’impellente bisogno di sfregarsi le mani sulla pelle per scacciare i brividi che la voce della ragazza aveva scatenato.

-Mi avete fatta spostare per non dover fare tutta quelle scale?- la principessa continuò a parlare, imperterrita, inclinando appena la testa di lato e rivolgendo a Takumi un sorriso che trasudava disgusto.

spostare?

-Di cosa sta parlando?- domandò, voltandosi di scatto verso Takumi e scorgendo nel frattempo Kaze che, silenzioso come sempre, richiudeva la porta alle proprie spalle e si ritirava in un angolo – dei, non aveva mai desiderato tanto poter fermare il tempo per parlargli, per chiedergli che cosa fosse successo fra Takumi e la principessa, perché era chiaro che ciò che Takumi non le aveva detto fosse molto più di quanto avesse pensato.

Takumi allungò una mano e la strinse sulla sua spalla, forte, strattonandola debolmente come se volesse spingerla dietro di sé, allontanarla dalla nohriana. -Non ascoltarla, non sa dire altro che menzogne. E non avvicinarti. Non ho ancora trovato una museruola da metterle.- le intimò, senza spostare lo sguardo dalla ragazza, con le labbra tirate sui denti ed il volto deformato da quello che Zoe riconobbe come odio.

Storse il naso, divincolandosi dalla sua stretta: Takumi era troppo aggressivo, troppo arrabbiato, troppo… troppo tutto.

La risata sgradevole della principessa – Ileana – sembrò dare voce alla profonda confusione che provava.

-Direi che la mano fa ancora male.- commentò, e Zoe sobbalzò quando avvertì la sua voce più vicina di prima: si voltò, trasalendo quando vide che quelle iridi chiare si erano spostate su di lei, sentendosi profondamente a disagio quando l’altra inarcò un sopracciglio e piegò le labbra in un sorriso crudele.

Barcollava.

Il sangue nelle sue vene sembrò tramutarsi in ghiaccio.

Adesso fu facile capire che non si era appoggiata alla parete soltanto per noia: Ileana faticava a stare in piedi, aveva le labbra secche, gli occhi iniettati di sangue – non aveva l’aspetto di una persona che stava bene, di qualcuno che aveva dovuto sopportare soltanto un breve soggiorno forzato come prigioniero politico.

No, quella era la faccia di una persona che si era ritrovata a temere per la propria vita, che era stata maltrattata, che tuttora aveva paura della persona che aveva davanti… e la persona che aveva davanti era Takumi.

-Allora, tu chi saresti? Una troietta apprendista che deve ancora imparare come si prende un uccello in gola? L’hai portata per darle una dimostrazione, Principino?-

Zoe strabuzzò gli occhi, sentendo le orecchie andare a fuoco – e quello cosa doveva essere, esattamente!?

Ancora una volta, Takumi allungò un braccio nel tentativo di spingerla indietro, ma nemmeno si accorse di quando Zoe si spostò per impedirgli di toccarla.

-Lavati la bocca.- sibilò, inviperito, ma Ileana gli rispose con un versaccio che assomigliava molto al soffio di un gatto.

-E con quale acqua?-

In quel momento, nonostante Ileana le si fosse avvicinata abbastanza da permetterle di scorgere la disperazione che si agitava dietro quella maschera di sfacciataggine ed insolenza, Zoe sentì qualcosa spezzarsi dentro di sé mentre la verità che Takumi aveva tentato di nasconderle diventava, improvvisamente, cristallina.

L’aveva torturata.

Se qualcuno l’avesse pugnalata alle spalle, in quel momento, avrebbe fatto meno male.

Guardò Ileana, guardò le profonde occhiaie sotto i suoi occhi, guardò la sua pelle screpolata e i segni che i denti avevano lasciato sulle labbra aride e spaccate; vide lo sporco sui suoi vestiti e polvere grigia fra i suoi capelli, le unghie spezzate e una crosta lunga e sottile sul suo collo, e provò l’orribile desiderio di prendere a schiaffi quel bugiardo che aveva avuto la faccia tosta di guardarla negli occhi e dirle che le voleva bene sapendo di essersi comportato come il peggiore dei mostri.

Come i mostri che riempivano i suoi ricordi.

Ileana schioccò le labbra, strappandola al ricordo delle urla di una bambina rinchiusa in un sotterraneo buio, a quello di creature innocenti stipate in una cella, e trascinandola di nuovo in quella stanza vuota, accanto ad una persona che improvvisamente le sembrò estranea.

-Non è difficile.- mormorò la Maga, con una voce suadente e serpeggiante che, di sicuro, avrebbe potuto scatenare gli istinti più primitivi della maggior parte degli uomini. -Apri bene la bocca e respira dal naso. E non preoccuparti, sarà veloce. Quelli come lui non durano mai a lungo.-

Arrossì, Zoe, perché quelle parole sfacciate e disgustose erano davvero troppo per le sue orecchie, ma provò allo stesso tempo una profonda tristezza: a cosa l’aveva ridotta, Takumi, perché la principessa si fosse ritrovata a dover far ricorso a quelle armi per difendersi da lui?

Ma lei lo sapeva, in fondo.

Sapeva cosa significava dover ricorrere ad ogni mezzo per proteggersi, per sembrare più forte di quello che si era – anche se era pericoloso, anche se si sarebbe potuto ritorcere contro di lei: aveva trascorso troppi anni a sfuggire alle crudeltà dei figli dell’aristocrazia hoshijin, quei maledetti nobili che avevano sempre guardato con odio la figlia di nessuno adorata dalla famiglia reale, per non averlo imparato.

Ma non avrebbe mai potuto pensare che, un giorno, avrebbe visto la loro stessa cattiveria nel viso di Takumi.

Non poteva quasi credere ai suoi occhi, ma le prove erano tutte lì, nella luce folle negli occhi della principessa, e gli dei soltanto sapevano quanto avrebbe voluto ignorarle, far finta che non esistessero, che non fosse vero – che Takumi non fosse… che non avesse…

Con la coda dell’occhio, vide la sua mano fremere, il suo pugno stringersi.

-Schifosa cagna che non sei altro, questa__!-

-Takumi!- lo interruppe, balzando in avanti per piantare le mani sul suo petto, per farlo indietreggiare, dando le spalle alla ragazza per mettersi in mezzo tra di loro. -Ci penso io.- affermò, lanciandogli un’occhiata d’avvertimento che sperava potesse bastare per convincerlo ad andarsene.

Ti prego, ti prego, ti prego, vai via…”.

Un versaccio incattivito, alle sue spalle, la fece rabbrividire.

-Notevole. Ti ho giudicata male, allora. Sei tu l’insegnante, qui.- sputò Ileana, ma Zoe si costrinse ad ignorarla – aveva decisamente altre cose a cui pensare, adesso. -E dimmi, devi solo fargli vedere come si tortura una donna o anche come si scopa?-

Aggrottò le sopracciglia, perplessa, perdendo per un secondo il senso della gravità di quella situazione – come diamine avrebbe potuto far vedere a un uomo come si faceva sesso!? Lei mica aveva__ -È a questo che serve la spada, ad affondarmela dentro fino all’elsa per dargli una dimostrazione di dove si metta il__-

-ADESSO BASTA!-

Takumi si lanciò in avanti, furibondo, mettendo rapidamente mano all’elsa di quella strana spada che portava al fianco – e Zoe scorse, nei suoi occhi color miele, un terribile luccichio scarlatto che le fece paura.

Non poteva essere Takumi. Non poteva essere vero.

-NO!- abbaiò, infondendo tutta la sua forza nella violenta spinta con cui lo costrinse a fermarsi. -Basta! Esci, subito!- ordinò, senza nemmeno pensare che lei, in realtà, non aveva nessuna autorità per ordinargli alcunché.

Takumi, tuttavia, vacillò, forse preso in contropiede dalla sua repentina presa di posizione – ma certo, come avrebbe mai potuto immaginare che proprio lei lo affrontasse in quel modo? Lei, che lo aveva sempre spalleggiato, che era sempre stata dalla sua parte, che non gli aveva mai voltato le spalle?

Perdonami. Ti scongiuro, perdonami. Non posso lasciartelo fare.”

-Ma__!-

-Fuori!- ringhiò, sedando la sua protesta sul nascere, aggrappandosi nervosamente alla lama dentellata della katana, già estratta di qualche pollice – dove avesse trovato il coraggio di sguainare un’arma contro di lui, poi, contro il suo amico, contro il suo principe… e forse Takumi si accorse di quanto fosse un gesto estremo, forse comprese di aver esagerato, perché sgranò gli occhi e fece un passo indietro, senza perdere d’occhio tanto lei quanto la sua spada.

-Non__-

Non gli avrebbe permesso di infierire su una ragazza indifesa. Non gli avrebbe permesso di farle del male. Non lo avrebbe permesso a nessuno, perché nessuno meritava di subire quello che Takumi aveva inflitto ad Ileana, quello che subivano tanti innocenti ogni giorno… anche se affrontarlo, fronteggiarlo, avrebbe significato infliggergli una ferita che, lo sapeva, forse non si sarebbe rimarginata mai più.

-Ho detto fuori!- ruggì, raddrizzando le spalle, odiandosi più di quanto avesse mai fatto prima di quel momento quando vide una repentina sofferenza brillare nei suoi occhi dorati; eppure… eppure non poteva lasciare che rimanesse lì, che continuasse ad agire come un pazzo crudele e rabbioso, perché quello non era lui e lei doveva impedirgli di fare qualcosa di cui il Takumi che conosceva si sarebbe certamente pentito.

Takumi… per favore…”

Rimase immobile, pronta a dare battaglia, ma lui non si mosse: si limitò a fissarla, confuso e disorientato come se lei lo avesse davvero colpito, fino a che non si costrinse a riscuotersi quel tanto che gli bastò per barcollare fuori dalla stanza.

Nel momento stesso in cui la porta si richiuse alle sue spalle, Zoe sospirò, usando violenza su se stessa per costringersi a staccare le dita dalla spada; rilassò la schiena, prese fiato e poi si voltò, pronta ad affrontare quella grande incognita sotto le spoglie di una principessa terrorizzata e incattivita.

-Milady…- cominciò, detestando il tono implorante che venò inevitabilmente le sue parole: desiderava soltanto che lei le permettesse di spiegarle, ma Ileana sembrava ancor più tesa e feroce di quanto fosse stata qualche attimo prima – e come poteva biasimarla? Takumi aveva tentato di aggredirla, maledizione. Anche lei, al suo posto, si sarebbe comportata in quel modo…

-Milady, questo è tutto un malinteso, non__-

Ileana, per tutta risposta, emise un versaccio che a Zoe ricordò davvero tanto il ringhio di un animale ferito.

-Il tuo malinteso puoi prenderlo e ficcartelo su per il__-

Oh, adesso basta.”

-“Con quale acqua”.- sospirò, interrompendola prima che Ileana ricominciasse a ricoprirla di insulti – non che la toccassero, a dire il vero, ma doveva assolutamente convincere la recalcitrante principessa ad ascoltarla.

Probabilmente grazie ad un intervento di chissà quale degli Antichi Draghi, Ileana s’irrigidì, sgranando gli occhi dinanzi a quell’affermazione.

-C_come prego?- domandò, sbigottita, muovendo un incerto passo indietro per allontanarsi da lei.

Zoe scrollò le spalle, sconsolata.

-Avete detto “con quale acqua” quando lui vi ha detto… beh, insomma, avete capito. Cosa volevate dire? Avete sete?- continuò, cercando di infondere alla propria voce tutta la gentilezza di cui era capace, mentre il suo cuore sembrava sul punto di sbriciolarsi davanti agli occhi pieni di confusione della principessa.

Per Hotoke, Takumi, che cosa hai fatto?

-Milady, quand’è stata l’ultima volta che avete bevuto?- perseverò, decisa a non lasciarsi sfuggire quella minuscola occasione che poteva scorgere nelle crepe che attraversavano la maschera di strafottenza che Ileana aveva indossato fino a quel momento e che, sotto i suoi occhi, sembrava sul punto di spezzarsi a metà.

La principessa di Nohr arretrò ancora, spaventata, fino a che le sue mani tese all’indietro non trovarono la sicurezza della parete più lontana da Zoe. Sembrò aggrapparvisi, spaventata come se l’avessero appena schiaffeggiata, e lentamente si lasciò scivolare a terra, raggomitolandosi su se stessa come se volesse disperatamente provare a proteggersi, come se si aspettasse di essere presa a calci.

-Ma questo… io…- balbettò, disorientata, ma fu la voce calma di Kaze a rispondere per lei.

-Ieri sera.-

Zoe si voltò di scatto, sorpresa, e così fece anche Ileana: Kaze si era fatto avanti e si era affiancato a Zoe, le braccia conserte e un’espressione cupa e seria disegnata sul bel volto affilato.

-Kaze, non__!- squittì la principessa, sconvolta, ma lui scosse la testa, avvicinandosi ed inginocchiandosi davanti a lei.

-Va tutto bene. Zoe non vi farà del male.- le promise, con quella voce piena di sicurezza e di dolcezza che Zoe conosceva tanto bene… e che, forse, anche Ileana aveva imparato a conoscere e apprezzare, perché le parole del Maestro Ninja sortirono su di lei un effetto tanto insperato quanto immediato: nei suoi occhi spalancati parve riaccendersi una scintilla di lucidità, e le sue mani smisero di artigliare nervosamente la stoffa strappata di ciò che rimaneva di un mantello ormai scomparso.

Fu quel gesto, il tremore delle sue dita lunghe e pallide, a dare a Zoe l’ennesimo, orribile segnale.

-Voi state congelando.- constatò, sfilandosi immediatamente di dosso la borsa da viaggio che nemmeno si era accorta di aver tenuto in spalla per tutto quel tempo, ringraziando la propria previdenza quando, scavando per qualche istante, estrasse l’haori che aveva deciso di impacchettare.

Buttò di lato la sacca e si voltò di nuovo verso Ileana, avvicinandosi cautamente e piegandosi sulle ginocchia per portarsi al suo stesso livello. -Potreste non mordermi? Voglio soltanto slegarvi e darvi qualcosa da mettere addosso.- le domandò, accennando un mezzo sorriso incerto che strappò un debole sbuffo all’altra ragazza, per nulla rassicurata dalla sua gentilezza; però, per fortuna, quando Zoe si avvicinò per sciogliere le corde che le legavano i polsi non reagì con veemenza, e le permise persino di drappeggiarle sulle spalle la sua giacca, arrotolandovisi immediatamente dentro come un gattino spaurito.

Era davvero minuscola in confronto a Zoe, e addosso a lei l’haori sembrava più una coperta che un vestito, ma Zoe ne fu contenta: vederla stringersi la stoffa pesante attorno al corpo e rilasciare un impercettibile sospiro sollevato fece sentire un po’ meglio anche lei.

Si voltò verso Kaze, ignorando il senso di pace che l’approvazione nei suoi occhi viola le trasmisero – non aveva bisogno di quello, adesso: le serviva la verità, voleva sapere che cosa era stato fatto a quella ragazza disarmata e innocua per capire che cosa fare per poterla aiutare.

-Dove l’ha tenuta?- si sforzò di chiedere, già immaginando la risposta che le sarebbe stata data… ma, questa volta, fu Ileana a parlare.

-In una cella, credo nei sotterranei.-

Il ruggito dei suoi pensieri, per qualche attimo, assordò qualsiasi altro suono, echeggiandole furiosamente nelle orecchie.

Una cella. Una stanzetta buia e lurida in cui un’ora poteva diventare una settimana e una notte una vita intera. Una cantina umida e gelida da cui nessuno sarebbe giunto a sottrarla alle spire dell’oscurità che sembrava avere gli stessi occhi degli incubi.

-Io lo ammazzo. Di traverso.-

Ileana alzò lo sguardo, stupita da quella minaccia alquanto singolare che dovette probabilmente trovare abbastanza divertente da strapparle un inconscio, fragile sorrisino che subito scomparve quando si accorse di ciò che aveva fatto – oh, beh, almeno qualcuno riusciva a vedere il lato comico della situazione…

-Zoe.- richiamò Kaze, paziente, ma la Samurai alzò gli occhi verso il soffitto, furibonda.

-“Zoe” niente! Ci sono più che abbastanza eredi al trono, possiamo fare a meno di un principe!- ringhiò, serrando i pugni per impedirsi di portare le mani alla katana, uscire da quella stanza e andare ad impartire a Takumi un paio di lezioni che non si sarebbe scordato per il resto della sua breve esistenza.

-Apprezzo il pensiero.-

Ileana si sollevò, sciogliendo la stretta delle braccia intorno alle proprie gambe e scrutando Zoe con più attenzione di quanta ne avesse dimostrata fino a quel momento. -Chi sei?- domandò, con quel tono di comando certamente non voluto che Zoe aveva sentito tante volte nelle voci di Ryoma, di Hinoka, di Takumi.

-Nessuno di importante, sono solo una guardia reale. Beh, una futura guardia reale.- rispose, ma la principessa sbuffò.

-Se sei qui solo per mentirmi in faccia, puoi anche andartene.- la accusò, con tanto sarcasmo da farla sobbalzare – e adesso cosa diamine aveva detto di sbagliato!?

-N-no, non sto mentendo, io__-

-Le guardie reali non parlano… così dei reali.- la interruppe, con tanto di sopracciglia aggrottate e sguardo derisorio, cercando di spingere via la stoffa della giacca che Zoe le aveva avvolto addosso – “Oh, certo, che prova d’orgoglio, principessa, mi sembra proprio il caso!

-Ah, per quello.- Zoe non riuscì ad impedirsi un sorriso, questa volta: in effetti, pensandoci, Ileana non aveva tutti i torti… a nessun’altra guardia reale, eccetto forse Hana, erano mai state permesse tante libertà come quelle che poteva prendersi lei. -Abbiamo trascorso l’infanzia insieme. È più come… come se fossimo una famiglia.-

Ileana la soppesò per lunghi, eterni istanti, scettica… e poi si lasciò pesantemente ricadere indietro contro la parete, e Zoe tirò un sospiro di sollievo quando vide che aveva smesso di tentare di togliersi l’haori.

-Condoglianze.- le disse, la voce impregnata di disgusto, ma ancora una volta Zoe non trovò in sé il desiderio di arrabbiarsi.

-Sì, posso capirvi… ma vi assicuro, principessa, non è mai stato una persona crudele. Non so davvero che cosa gli sia preso.- mormorò, mortificata, ma non poté proprio biasimare Ileana quando l’unica reazione alla sua frase fu un’occhiataccia di compatimento.

Sospirò, passandosi nervosamente le dita fra i capelli.

-Ma dovremmo trovarvi qualcosa da mangiare.- affermò, cambiando discorso perché, davvero, parlare di Takumi in quel momento non sembrava proprio la migliore delle idee. -Magari in questo posto c’è qualcosa di commestibile? Kaze? Tu ne sai qualcosa?- domandò, voltandosi per lanciare uno sguardo speranzoso al ninja che, con un sorriso impercettibile ed enigmatico sulle labbra sottili, annuì.

-Posso provare a informarmi.- annuì, avvicinandosi silenziosamente alla porta. Zoe, sollevata, gli sorrise.

-Sarebbe fantastico, grazie.- lo ringraziò, osservandolo con curiosità quando Kaze, invece di sparire fra le ombre come era solito fare, si prese tutto il tempo di aprire la porta, uscire e richiudersela alle spalle. Bizzarro.

Si voltò nuovamente verso Ileana, che aveva seguito il breve scambio fra i due guerrieri con un’espressione talmente vuota ed esausta che le si strinse il cuore. -Kaze è un tesoro. Mi dispiace che non gli sia stato permesso di starvi accanto.- si scusò, sperando di non causare altri scoppi d’ira con quell’inevitabile allusione a Takumi; Ileana però si limitò ad annuire debolmente, stringendosi disperatamente la stoffa della giacca di Zoe sulle spalle.

-Sì, lui…- cominciò, ma le sue parole si persero quando una profonda tristezza parve tornare a galla, riempiendole lo sguardo di fantasmi. -Ha fatto del suo meglio, credo. Anche Hinata…-

Zoe annuì, rassicurata dal pensiero che Maestro d’Armi più imbranato dell’intera nazione di Hoshido fosse stato in grado di farequalcosa.

-Non avevo dubbi. Hinata è sempre stato un signore, non torcerebbe mai un capello a una donna. Magari a volte non collega il cervello alla bocca, ma è tanto dolce.- spiegò, soffocando immediatamente il bisogno di vederlo, di parlargli, che soltanto pensare a Hinata aveva scatenato: Hinata era uno dei suoi più cari amici, e la sua sola presenza era in grado di scacciare anche i più cupi dei pensieri…

Dei, Takumi…

Come avrebbe potuto guardarlo di nuovo in faccia, dopo aver visto di cosa era stato capace? Come avrebbe potuto convivere con la consapevolezza che una delle persone che le erano più care al mondo si fosse rivelato una tale bestia?

Si passò le dita fra i capelli, angosciata, tentando di scacciare quei pensieri prima che la distraessero – avrebbe avuto tutto il tempo di fare i conti con quella delusione, ma quello non era né il momento né il luogo adatto.

-Non è stato un viaggio facile, vero?- mormorò, rivolta al nulla, sorprendendosi però quando Ileana mosse la testa per rivolgerle un debole cenno di assenso.

Abbassò lo sguardo, Zoe, sentendo il cuore schiacciato dal peso delle colpe di Takumi che scorgeva incise indelebilmente negli occhi pieni di dolore e di paura della ragazza che le sedeva dinanzi.

-Sono mortificata. Nessuno meriterebbe niente di quello che avete passato.-

Nessuno.

Lo schiocco della porta che si apriva e si richiudeva le fece sobbalzare tutt’e due, strappando Zoe alle sue macabre riflessioni: Kaze era tornato, e portava con sé un vassoio pieno di quelli che, dal profumo che Zoe colse non appena si avvicinò, sembravano davvero onigiri.

-Ho trovato soltanto questo.- spiegò, passandole con cautela il vassoio – sì, erano proprio onigiri, le polpette di riso triangolari di cui lei andava matta – e chinandosi per appoggiare anche una brocca d’acqua accanto a loro. -Zoe, ce n’è abbastanza anche per te, sarai affamata dopo il viaggio.- la invitò, inarcando un sopracciglio quando lei gli rivolse un’occhiata confusa perché Kaze, di sicuro, sapeva che lei aveva già mangiato prima di arrivare – ah, ma certo: Ileana di certo non avrebbe mangiato nemmeno un boccone se non le avesse mostrato che non aveva bisogno di temere veleni o robaccia del genere.

-Certo. Facciamo a metà?- propose, sforzandosi di sorridere alla principessa terrorizzata mentre prendeva una pallina di riso, dividendola a metà e mandando giù la parte più piccola in un sol boccone. -Sono più buoni caldi, però.- ammise, offrendole il pezzo rimanente tentando, nel frattempo, di mantenere l’atmosfera il più informale e tranquilla possibile.

Ileana occhieggiò la polpetta, dubbiosa, per una manciata di secondi in cui Zoe non fu capace di non trattenere il respiro, sentendosi scrutata alla ricerca di un qualche segno di avvelenamento… ma poi la principessa si mosse, accettando la sua offerta e portandosi l’involtino alla bocca, facendolo sparire in pochi, cauti morsi.

-Non sono male.- brontolò, e Zoe non poté evitarsi un sorriso molto più grande ed espansivo di quanto, forse, sarebbe stato saggio esprimere – eppure era così contenta di aver trovato un modo per farla mangiare, di essere riuscita a farla stare un po’ meglio…

In silenzio, divise con Ileana ognuno degli onigiri, stando attenta a darle sempre il pezzo più grande e senza mai fare movimenti bruschi; la convinse anche a bere, prendendo un sorso da ogni bicchiere che le versava, fino a che tanto il piatto quanto la caraffa non furono vuoti.

-Grazie.-

-Nah, non c’è di che.- sorrise, spingendo da parte il vassoio ed alzandosi in piedi, rassettandosi sbrigativamente i pantaloni. -Milady, vuole darsi una ripulita?- le offrì, quindi, sempre mantenendo un tono leggero e colloquiale, mentre nella sua mente già cercava di rammentare dove si trovavano i bagni della fortezza e come avrebbe potuto fare per liberare la strada affinché potesse accompagnarla senza incidenti.

Ileana annuì, forse rinfrancata dal pasto oppure soltanto allettata dall’idea di potersi lavar via di dosso il ricordo delle celle di Suzanoh.

-Sarebbe… sembra una buona idea.- mormorò, sfregandosi le mani sulle braccia – chissà quanto freddo doveva aver patito, là sotto…

-Ottimo!- trillò Zoe, scacciando immediatamente il pensiero prima che potesse rovinare tutto lo sforzo che aveva fatto per mostrarsi innocua agli occhi della principessa. Si rivolse ancora una volta a Kaze, prendendosi l’appunto mentale di ricordarsi di ringraziarlo per la cortesia che stava dimostrando a lei e a Ileana. -Potresti cacciare via chiunque sia qua attorno? Se andassi io potrei spargere sangue.- domandò, strappando un lievissimo sospiro al Maestro Ninja che, dopo aver annuito, sparì – ah, ecco, ora sì che lo riconosceva.

Rimase in ascolto, silenziosa, finché il suo udito allenato non colse un familiare, impercettibile fischio che riconobbe all’istante come il segnale che i Maestri Ninja al servizio della famiglia reale usavano per comunicare fra di loro.

-Okay, ora possiamo andare!- annunciò, alzandosi in piedi ma trattenendosi dall’offrire una mano a Ileana: aveva la chiara impressione che non avrebbe accettato il suo aiuto. -Non è lontano.- le spiegò, quindi, aspettando pazientemente che Ileana si trascinasse in piedi da sola.

La principessa annuì, forse rassicurata al pensiero di non dover camminare a lungo, avvolgendosi più strettamente nella giacca di Zoe e seguendola quando la Samurai la precedette per dare un’occhiata nel corridoio: Kaze non era in vista ma, per fortuna, sembrava essere riuscito a far sgombrare la zona, sebbene fu quasi certa di aver scorto lo svolazzo di una conosciuta sciarpa blu in un anfratto particolarmente buio in fondo al percorso.

Sospirò, uscendo dalla stanza ed invitando Ileana a procedere dietro di lei, tendendo le orecchie per cogliere e memorizzare il suono dei passi irregolari e strascicati della principessa.

Per fortuna, i bagni dell’avamposto non erano lontani: impiegarono soltanto pochi minuti a raggiungere le belle stanze di granito che ospitavano le ampie vasche d’acqua corrente che un intricato sistema di tubazioni portava fin lì dal fiume più vicino; qualcuno aveva già acceso i focolari, incastonati nella pietra, ed il calore umido e denso che le accolse le suggerì che l’acqua dovesse essere già calda.

-Okay, questi sono i bagni. L’acqua è calda, questi sono teli di cotone e lì ci sono un po’ di saponi e roba del genere. Io vado a cercarvi qualcosa da mettere di pulito, va bene? Torno presto, e Kaze è sicuramente qui in giro da qualche parte, per qualunque cosa basta un fischio.- le spiegò, provando un improvviso senso d’angoscia al pensiero di lasciarla da sola – sapeva bene che le persone ferite e spaventate, come era stata lei tante volte da piccola, potevano farsi venire strane e brutte idee…

Ileana però si limitò ad annuire, con gli occhi socchiusi e l’espressione sofferente. -Ti ringrazio.- sussurrò, e Zoe non poté fare altro che indietreggiare e lasciarla lì, chiudendo lentamente la porta alle proprie spalle e pregando i Draghi di non doversene pentire.

.

§

..

-Bah.-

Hinata, irritato, si permise quel versaccio strozzato non appena uscito dalla stanza che aveva eletto come propria una volta giunto a Suzanoh, sbatacchiandosi la porta alle spalle giusto per sottolineare quanto poco fosse contento di tutta la situazione.

Vai a controllare che quella stupida di Zoe non si sia fatta maledire dalla cagna.

Lord Takumi aveva fatto irruzione nella sua camera pochi minuti prima, furibondo e fuori controllo come Hinata lo aveva visto soltanto sul crepaccio dell’Abisso: aveva scaraventato la spada nohriana e l’astuccio del Fujin Yumi dall’altra parte della stanza, ignaro dello sguardo attonito di Hinata, ed aveva cominciato a biascicare parole orribili che, alle orecchie del Maestro d’Armi, avevano avuto lo stesso suono delle minacce crudeli che erano state inferte alla principessa Ileana… e questo, più di qualsiasi altra cosa avvenuta negli ultimi giorni, gli dava la chiara impressione che la situazione fosse ormai fuori controllo: Takumi, quello vero, non avrebbe mai, mai definito Zoe in nessuno dei modi che aveva abbaiato prima di dargli quel secco ordine a cui lui, dopo quella sfuriata, era stato ben contento di ubbidire – aveva dovuto mordersi la lingua, come si era visto costretto a fare più e più volte durante quel penoso viaggio di ritorno dall’Abisso Infinito, per impedirsi di dargli le rispostacce che meritava.

Che cosa stava succedendo?

Da quel che aveva capito dai vaneggiamenti irosi di Takumi, Zoe era stata incaricata di far cooperare la Maga per prepararla all’incontro con lady Mikoto: Takumi non era stato affatto contento, e Hinata si ritrovò a pensare quanto non avesse avuto poi tutti i torti nel tentare di essere presente per non lasciare Zoe da sola… nemmeno lui sarebbe stato tranquillo nel pensarla alle prese con la principessa, con tutto quello che Zoe aveva passato in suo nome e senza nemmeno la certezza che si trattasse davvero della sua amica d’infanzia.

Eppure, nonostante tutto, Zoe se l’era cavata – anzi, aveva fatto quello che Hinata aveva desiderato ardentemente ben più di una volta nei giorni passati: aveva preso le difese della nohriana e aveva cacciato fuori il principe, mettendo finalmente un freno alla pazzia che sembrava aver violentemente preso possesso di lui.

Non osava nemmeno immaginare che cosa potesse essere successo in quella stanza per far arrabbiare così tanto il suo protetto, in effetti, ma non poteva nascondere a se stesso quanto fosse grato di non aver dovuto presenziare: se fosse stato presente, purtroppo, avrebbe dovuto rispettare il proprio giuramento e si sarebbe dovuto frapporre fra Takumi e Zoe, ed era un’ipotesi talmente orribile che tutto, in lui, la rifiutava.

anche perché Zoe, probabilmente, gli avrebbe fatto fare la fine di uno straccio per pavimenti.

Forse lei avrebbe saputo dargli qualche risposta, rifletté: forse era stata in grado di capire il perché di quel cambiamento tanto repentino in una persona solitamente tranquilla ed intelligente come Takumi.

Insomma, nessun hoshijin apprezzava particolarmente Nohr e i suoi abitanti, ma… beh, la principessa avrebbe meritato un trattamento decisamente diverso da quello che le era stato riservato, anche soltanto in nome del suo titolo nobiliare.

Lui e Kaze avevano tentato di lenire un poco il tormento che le era stato inflitto, ma era perfettamente conscio di quanto a poco fosse servito: lo aveva visto chiaramente nell’orrore che le aveva riempito gli occhi quando lui ed Oboro erano stati mandati a prelevarla dalle segrete, ne aveva percepito la profondità radicata dentro di lei quando si era divincolata disperatamente per sfuggire ai tentativi di Oboro di calmarla, e temeva che quel terrore animalesco sarebbe stato troppo grande, a quel punto, per essere controllato.

Chissà se Zoe era stata in grado di farsi ascoltare.

Sospirò, accelerando il passo quando, giunto dinanzi alla stanza in cui Ileana era stata rinchiusa quella mattina, la trovò vuota. Probabilmente Kaze e Zoe avevano scortato la principessa nei bagni, per permetterle di darsi una ripulita e cambiarsi d’abito… ma, prima che potesse voltarsi per imboccare il corridoio, una voce alle sue spalle attirò la sua attenzione.

-Nata!-

C’era soltanto una persona in tutta Euanthe che lo chiamava così.

Si voltò, sorridendo, le braccia già spalancate per accogliere la giovane donna che, prevedibilmente, corse da lui – ed un istante più tardi avvertì le mani della sua amica stringersi forte ai suoi vestiti, il suo corpo tonico aggrapparsi al suo ed i suoi arruffati capelli biondi oscurargli la vista.

Eccola lì, la sua Zoe, in tutto il suo irruente splendore.

Hinata ricambiò la stretta, accarezzandole la nuca con tenerezza ed abbassando la testa per appoggiare la fronte sulla sua spalla, sfiorando appena la sua gola bianca con la punta del naso: Zoe aveva addosso l’odore della foresta, della resina, ed era qualcosa di così familiare e conosciuto che Hinata si ritrovò a chiudere gli occhi, cullandosi in quel profumo che sapeva tanto di casa.

Zoe gli era mancata così tanto… era talmente abituato ad averla quasi sempre al proprio fianco, a Shirasagi, che passare tanti giorni senza di lei era stato terribilmente strano: quella ragazza energica e complicata occupava un posto tutto particolare, dentro di lui – un posto che le apparteneva da anni, ormai, e che nessuno avrebbe mai potuto riempire se non lei.

Lei gli si raggomitolò addosso, accoccolandosi nel suo abbraccio come faceva spesso quando nessuno poteva vederli e, di conseguenza, rimproverarli: la società all’interno di Shirasagi, composta soprattutto da nobili, aristocratici e signorotti di tutti i tipi, avrebbe urlato allo scandalo se il più giovane rampollo di un’antichissima famiglia di onorati samurai fosse stato visto in atteggiamenti equivoci assieme alla nessuno che si ostinava a “ronzare intorno alla famiglia reale”.

Che stupidaggine.

Non aveva mai tollerato quel sacco di idiozie. Al contrario di quello che chiaramente era stato inculcato nelle loro teste vuote, ad Hinata non era stato insegnato a valutare le persone in base al rango sociale, bensì all’onestà, alla bontà d’animo e al coraggio: doti che Zoe possedeva in gran quantità e che, a parer suo, la rendevano infinitamente migliore di tutti coloro che ancora le riservavano i più velenosi degli sguardi ogni volta che veniva vista accanto ad uno qualunque degli eredi al trono.

Zoe tirò su col naso, sfregando la fronte contro la sua spalla come se volesse nascondersi lì, tenendosi talmente stretta a lui da fargli percepire le unghie piantate nella carne.

-Ehi…- la chiamò, sollevando la testa e prendendole con delicatezza il viso fra le mani, sorprendendosi nel trovare, nei suoi profondi occhi carmini, delle lacrime trattenute a stento. -Oh dei, Zoe non piangere, perché stai per metterti a piangere?- domandò, atterrito all’idea di dover affrontare quella grande incognita che una Zoe in lacrime avrebbe rappresentato.

Lei non piangeva mai.

Nemmeno riflettendoci riusciva a ricordare una sola occasione in cui l’avesse vista in lacrime: era qualcosa che non riusciva a collegare a lei, che non faceva parte della persona che conosceva e che Hinata non avrebbe mai potuto immaginare di dover, un giorno, vedere.

Zoe serrò le palpebre, costringendosi a respirare attraverso i denti serrati e posando le mani sulle sue, intrecciando timidamente la punta delle dita a quelle di Hinata.

-Dimmi che cosa ha fatto.- disse, con una voce rotta che non le apparteneva, che Hinata non conosceva e che non voleva sentire, che faceva stridere dolorosamente qualcosa dentro di lui perché Zoe non era così, lui non poteva vederla così, era tutto così sbagliato…

Zoe spalancò gli occhi, facendolo sobbalzare con quel gesto così repentino, abbassando le mani per costringerlo a lasciar andare il suo volto.

-Voglio sapere che cosa ha fatto.-

Hinata rimase impietrito, sconvolto dall’espressione feroce e disperata che deformava il viso altrimenti attraente della sua amica: non l’aveva mai vista in uno stato del genere, stravolta da qualcosa di oscuro e lontano che aveva scorto agitarsi, in passato, dietro il velo scarlatto dei suoi occhi, ma che ora sembrava aver distrutto ognuno degli argini che Zoe aveva strenuamente costruito per trattenere quelle violente, frustrate emozioni.

-Ma…- biascicò, a disagio: non voleva dirle proprio niente di ciò che lord Takumi aveva fatto, perché metterla a parte di tutta la verità – le minacce, le violenze, il terrore che erano stati causati alla principessa Ileana – le avrebbe fatto davvero troppo male… avrebbe dato qualunque cosa per lasciare che chiunque altro le spiegasse cos’era successo, perché non poteva sopportare nemmeno il pensiero di infliggerle tanto dolore sapendo quanto Zoe fosse sensibile.

-Non è una buona idea…- tentò pateticamente di dissuaderla, sentendosi però un idiota: non era mai riuscito a negarle nulla, come poteva anche soltanto pensare di essere in grado di non darle le risposte che cercava?

-Non importa.- Zoe scosse la testa, abbassando lo sguardo soltanto per qualche attimo prima di tornare a guardarlo. -Per quanto tempo è rimasta là sotto?- domandò, ma la secchezza della sua voce fu tradita dal fremito che sembrò venare le sue parole d’incertezza e di tormento.

-Io__-

Gli prese le mani, stringendosele al petto e dei, come poteva dire di no a quello sguardo spezzato?

-Nata, per quanto tempo è rimasta là sotto?- ripeté la domanda, Zoe, con quella voce traboccante di disperazione che gli attorcigliò lo stomaco e gli spezzò il cuore: non poteva vederla così, non era mai stato capace di sopportare la sua tristezza, faceva troppo male perché fosse in grado di tollerarlo.

-Tre giorni.- sbottò, distogliendo lo sguardo perché sapeva che avrebbe dovuto fare qualcosa di più, che se Ileana era stata ridotta in quello stato era stato anche a causa dell’incapacità di opporsi a Takumi che lui ed Oboro avevano dimostrato.

Zoe spalancò gli occhi, allibita, ed il poco colore rimasto sulle sue guance svanì in un istante.

Sembrava così indifesa, in quel momento… ma, d’altronde, cosa poteva aspettarsi di diverso? Le aveva appena confermato che una persona che amava si era rivelata un mostro, e Zoe aveva sempre avuto paura dei mostri.

Eppure, ancora una volta, lo sorprese: mantenne il contegno, strinse le dita fra le sue e prese un lungo respiro, chiudendo gli occhi per qualche attimo prima di riportare l’attenzione su di lui.

-Raccontami tutto il resto.-

.

Hinata corre, corre come se avesse i demoni alle calcagna: ha appena sentito un soldato ridere delle urla della nohriana, alludendo a qualcosa di così osceno che Hinata non vuole nemmeno immaginare, e mentre attraversa a tutta velocità l’accampamento prega che non sia vero, che lord Takumi non abbia davvero perso la testa a tal punto.

Oboro lo vede passare, gli lancia un’occhiata, ma lui la ignora: spera che non lo segua, perché non la vorrebbe intorno alla principessa né vorrebbe che vedesse che cosa lord Takumi potrebbe averle fatto.

L’angolo in cui tengono legata la principessa è buio, ma non abbastanza perché qualcuno possa nascondersi: e lord Takumi è lì, con le mani serrate sulla faccia della ragazza di Nohr che guaisce e si divincola cercando di allontanarsi da lui.

-No!-

Hinata si lancia in avanti ed il suo primo istinto è quello di strapparglielo di dosso: afferra Takumi per il bavero della giacca e lo tira indietro con tutta la forza che ha, strattonandolo con tanta irruenza da farlo quasi cadere.

Oboro appare subito accanto a Takumi – ah, allora l’ha seguito – e lo sorregge, aggrappandosi al suo braccio con una strana espressione, in volto, che Hinata lì per lì non riesce a riconoscere: i suoi occhi vanno dalla nohriana a Takumi e passano anche su di lui, ed Hinata è sicuro di aver scorto un lampo di orrore, sul suo viso.

-Lord Takumi__!-

Lord Takumi gli si scaglia contro, ma trattenerlo è facile – è più difficile impedirgli di urlare contro alla ragazzina alle spalle di Hinata, mentre lui tenta di tenerlo fermo senza fargli male.

-Non ti permetterò di ammazzarti, maledetta!- abbaia, e c’è così tanta cattiveria, nella sua voce, che Hinata per un istante pensa che non sembri nemmeno la sua. -Mi hai capito bene!?-

-Basta!-

Lo spinge indietro, bruscamente, facendolo arretrare di diversi passi, e davvero non gli importa che quell’uomo sia colui a cui ha giurato obbedienza: non ce la fa a permettergli di continuare così. Non è giusto.

-Cosa ti è preso!?- sbotta, Hinata, dimenticando le formalità ed i titoli quando guarda in faccia il suo amico d’infanzia e non lo riconosce più.

-Non farti ingannare, sta solo fingendo!-

Hinata si volta, lanciando un’occhiata sconvolta alla principessa: è raggomitolata a terra, bagnata come un pulcino, e mugola qualcosa di indefinito… ma non gli sembra che lord Takumi abbia tentato di farle del male: la caraffa di terracotta ridotta in pezzi e l’acqua che infradicia la ragazza gli raccontano una storia diversa.

Deve aver provato a costringerla a bere, comprende all’improvviso. Sì, la principessa ha rifiutato cibo e acqua ogni volta che qualcuno ha provato a farla mangiare, ma… era davvero necessario arrivare a questo punto?

-No che non sta fingendo.- mormora, stravolto da quella giovane donna che pare ridotta in pezzi proprio come il bricco rotto i cui frammenti sono sparsi per terra, voltandosi poi verso Oboro. -Portalo via!- ordina, senza il coraggio di guardare in faccia il suo lord, il suo principe, perché non sa se sarebbe in grado di nascondere il disgusto che, in quel momento, prova per lui.

Oboro, per fortuna, ubbidisce, tirando lord Takumi per il braccio finché lui non smette di opporre resistenza e gli dà finalmente le spalle, arrendendosi all’insistenza della sua guardia che continua a chiedergli di lasciar perdere, di andare via.

Soltanto quando gli sembra che si sia allontanato abbastanza, Hinata si volta, precipitandosi accanto alla ragazza che – ora può vederlo – è scossa dai singhiozzi.

-Principessa… oh, accidenti…-

Dove diamine era finito Kaze? Perché non è intervenuto? Hinata si è allontanato soltanto per una manciata di minuti…

La principessa trema e geme, e a lui sembra davvero soltanto una ragazzina spaventata ed esausta: sta piangendo, e biascica fra le lacrime delle parole senza senso che lui riesce a carpire soltanto in parte.

-Era solo routine… era soltanto una ricognizione…-

Forse sta parlando di quanto è successo all’Abisso, ma ad Hinata ora non importa: lei è fuori di sé, si vede, e lui in questo momento vorrebbe soltanto che ci fosse qualcuno, lì con loro, in grado di mettere fine a questa follia – lord Ryoma, Zoe, lady Mikoto, chiunque…

Lady Ileana alza debolmente gli occhi, cerchiati di nero dalla stanchezza e dal terrore, e lo guarda: c’è una tale disperazione, in quello sguardo, così profonda e densa e ineluttabile, che per un istante Hinata se ne sente assorbito.

-Non ho fatto niente di male…-

Le crede. Non gli importa che cosa ha detto lord Takumi, Hinata non può non credere al pianto soffocato di una giovane donna che sta affrontando qualcosa a cui chiaramente non è mai stata preparata.

-Avete ragione.- ammette, sfilandosi rapidamente la spessa e lunga sciarpa che usa indossare quando c’è freddo. -Tenete, o prenderete un raffreddore.- aggiunge, drappeggiando la stoffa pesante intorno alle spalle esili di lady Ileana, rabbrividendo quando sfiora la stoffa bagnata dei suoi vestiti: dev’essersi ribellata ai tentativi di lord Takumi e l’acqua che la infradicia ne è, probabilmente, il risultato.

La principessa chiude gli occhi, e due grosse lacrime rotolano sulle sue guance pallide e smunte.

-Che sia…-

Hinata la ignora e continua ad avvolgerla nello scialle, premurandosi di coprirla il più possibile: non può e non vuole permettere che si ammali, perché in quelle condizioni – stanca, debilitata, affamata – rischierebbe di non riuscire nemmeno ad arrivare a Suzanoh…

Ma forse è quello che vuole. Forse preferisce morire piuttosto che rimanere un altro giorno alla mercé di lord Takumi.

Non può darle torto.

-Ma no, principessa, andrà tutto bene.- cerca di consolarla, detestando con tutto il cuore gli ordini che gli impediscono di darle almeno una briciola di verità.

Altre lacrime, troppe, cominciano a scorrere sul suo viso minuto.

-Voglio andare a casa mia… voglio solo andare a casa mia…-

All’improvviso, la principessa spalanca gli occhi:Hinata riesce quasi a riflettersi in quegli occhi verdi tanto grandi e lucidi, ma tutto ciò che vorrebbe adesso è allontanarsi, fuggire dall’animalesca, feroce paura che ha repentinamente animato quello sguardo.

-Lasciami scappare. Lasciami andare via. Io non farò del male a nessuno, voglio solo andarmene, prometto che non dirò niente di voi o di Hoshido e__-

-Vi riprenderebbe.-

La principessa sgrana gli occhi e Hinata si odia, in quel momento: vorrebbe poterle dire qualcosa di diverso, vorrebbe che fosse possibile permetterle di tornare a casa e di dimenticare quell’incubo, ma sa benissimo che non è qualcosa che è in grado di fare.

-Mi dispiace, principessa, ma sarebbe troppo pericoloso per voi.-

Lo vede, che le sue parole non l’hanno aiutata, ma non può farci niente: sa benissimo che, se la lasciasse andare – e vorrebbe, vorrebbe davvero –, lord Takumi riuscirebbe a trovarla, e niente e nessuno potrebbe più impedirgli di farle tutto quello che vuole.

Rabbrividisce, spaventato all’idea di quell’uomo in cui non vede più niente del principe che è così fiero di servire e di come potrebbe ridurre la ragazza di Nohr, in preda a quella cieca ira che sembra averlo posseduto – e lei trema a sua volta, gli occhi lucidi di terrore, ed Hinata decide in quel preciso momento che non può più lasciare che vada avanti così.

-Ma potrei fare qualcosa per allontanarvi da lui.-

.

Davanti ai suoi occhi, Hinata guardò Zoe accartocciarsi su se stessa, schiacciata dall’orrore del suo racconto. Tentò di sorreggerla, ma dopo un istante preferì lasciarsi scivolare a terra insieme a lei, stringendola forte quando Zoe si appallottolò contro il suo fianco e appoggiò la testa alla sua spalla.

-Non voglio crederci.- sussurrò, ed Hinata chiuse gli occhi, sentendosi sconfitto: nemmeno lui avrebbe mai voluto crederci, nemmeno lui avrebbe mai potuto pensare che lord Takumi sarebbe arrivato a tanto. -Takumi non è così…-

-Lo so.- ammise, accarezzandole la schiena nel flebile tentativo di rassicurarla.

No, infatti, Takumi non era mai stato così.

Hinata aveva sempre, sempre ammirato lord Takumi: aveva sempre pensato che fosse un uomo coraggioso, che era stato in grado di trovare una propria strada che non potesse essere oscurata dalla luminosità accecante dei successi dei suoi fratelli maggiori che, comunque, secondo Hinata, non avevano mai avuto niente di particolare rispetto al secondo principe di Hoshido – anzi, tutt’altro: lord Ryoma e lady Hinoka non avevano mai dovuto combattere con le unghie e con i denti per ottenere dei risultati, non avevano mai passato giorni e giorni chini sui libri o con un arco in mano per diventare sempre migliori, per essere considerati almeno alla pari dei propri fratelli…

Takumi era una persona forte, intelligente e corretta: non aveva un carattere facile, quello non poteva negarlo, ma era sempre stato leale alle persone che gli erano care e giusto persino con i suoi nemici.

Fino a che non avevano catturato lady Ileana.

Forse era stata la rabbia a scatenare tutto: dopotutto, lord Takumi e la sua famiglia avevano perso così tanto a causa di Nohr e dei suoi regnanti… così come Oboro, che aveva perduto tutto a causa dei briganti nohriani che avevano trucidato la sua famiglia, e che non aveva perso nemmeno un’occasione per riservare il peggior trattamento possibile alla principessa.

-Oboro non ha aiutato.- borbottò, esprimendo i propri pensieri ad alta voce senza accorgersene e sorprendendosi quando sentì Zoe irrigidirsi.

-Prevedibile.-

Hinata sospirò, voltandosi per celare nei capelli di Zoe una smorfia esasperata.

Zoe ed Oboro non erano mai andate d’accordo: Oboro l’aveva osteggiata sin da quando era stata nominata guardia reale di Takumi, non gradendo affatto quella Samurai che ronzava in continuazione intorno al suo amato principe… e anche Zoe non aveva mai dimostrato una particolare maturità nel confrontarsi con la Maestra di Lancia, a dire il vero, palesemente gelosa di tutte le occasioni che Oboro aveva per essere in compagnia di Takumi che a lei, invece, erano negate.

-Dai, Oboro non è cattiva.- mugugnò, sfiorando appena la gola scoperta di Zoe con una carezza, sperando di riuscire a calmarla e cercando nel buon odore dei suoi capelli qualcosa che riuscisse a tranquillizzare anche lui. -Ha sbagliato, ma ha anche capito di aver esagerato quando ha visto com’era ridotta.- continuò, scuotendo la testa quando il ricordo cristallino degli occhi pieni di orrore di Oboro lampeggiò nella sua mente: quando, quella mattina, lord Takumi aveva ordinato loro di spostare lady Ileana dalle celle alla parca stanzetta dove Zoe l’aveva trovata, Oboro era stata finalmente costretta ad affrontare le urla disperate della ragazza, la disperazione con cui aveva lottato per sfuggirle e l’incubo in cui il principe che tanto idolatrava aveva gettato una giovane donna che non aveva fatto nulla di male se non esistere.

Hinata però non si sorprese quando, con un versaccio, Zoe si alzò in piedi, cupa in volto.

-Non mi interessa.- disse, tendendogli una mano e tirandolo su a sua volta quando lui la prese, trattenendo però le dita callose del Maestro d’Armi fra le proprie. -Non ci si comporta così. Con nessuno.- sibilò, ed Hinata dovette sforzarsi di non fare un passo indietro: in quel momento, con gli occhi pieni di dolore e la rabbia incisa sul volto, Zoe avrebbe intimorito persino il più temibile dei mostri di Nohr.

-Lo so, ma__- provò a rabbonirla, ma lei lo fulminò con uno sguardo tanto gelido da sedare sul nascere ogni suo tentativo di replica.

-No.-

Ci fu un qualcosa di definitivo, in quell’unica sillaba, qualcosa che Hinata non seppe cogliere appieno ma che gli diede, comunque, i brividi: per un istante si ritrovò altrove, si ritrovò nuovamente dinanzi al vuoto senza fine dell’Abisso, riconoscendo la furia incontenibile della tempesta nella voce e nello sguardo della sua amica.

La Samurai raddrizzò le spalle, sollevò il mento e poi si allontanò, lasciando un vuoto più freddo del normale dove, fino a pochi istanti prima, Hinata aveva potuto avvertire il calore del suo corpo, l’impronta della sua mano sul palmo.

-Parlerò con Takumi.- affermò, con una voce ferma e determinata che lo sorprese ancor più della gravità del suo sguardo: quella Zoe, quella giovane donna dal volto impassibile che mal nascondeva una rabbia a stento contenuta, era qualcuno che Hinata non aveva mai avuto occasione di conoscere, la guerriera implacabile e dalla volontà ferrea che Zoe aveva forgiato in anni ed anni di rinunce, addestramenti e sofferenze.

Guardandola, costringendosi a vedere tutto questo al di là del bel visetto e dei sorrisi che lei gli aveva sempre riservato, Hinata provò all’improvviso la cristallina certezza che, se non fosse riuscita lei a rimettere a posto il disastro che lord Takumi aveva fatto, nessun altro ne sarebbe stato capace.

-A me darà retta, e se non lo farà gli ficcherò un po’ di buonsenso nella testa a suon di schiaffi.-

.

.

.

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Salve a tutti!

Eccoci qua con un nuovo capitolo di Aranyhìd, che potrebbe portare il sottotitolo di "quando le cose non vanno mai come dovrebbero andare. Anzi, vanno peggio".

Ileana e Zoe si sono incontrate, finalmente, ma non è andata proprio benissimo per nessuna delle due: per fortuna, e lo ripeterò fino allo sfinimento, c'è Hinata. Hinata è patrimonio dell'umanità.

Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto, e nel prossimo: incontreremo Mikoto! Reggetevi forte, perché ci sarà da ballare!

Clarisse&B

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Capitolo 5
*** Aiiyoh ***


Aranyhíd

Aiiyoh

(Tamil)

Descrive lo stato confusionale di una persona che non riesce a capire cosa sta succedendo.

.

Lo spesso vapore che invadeva i bagni le bruciò i polmoni quando Ileana riemerse in un trionfo di schizzi. Acqua calde le scivolò tra i capelli e sulla pelle, le lacrime sul suo viso mascherate tra le gocce.

Non riusciva a credere di avere ancora lacrime da versare.

Il fiato corto, si accomodò contro il bordo della piscina e raccolse le ginocchia al petto, appoggiandovi sopra la testa, l’acqua del bagno che le solleticava il mento. Non poté fare a meno di apprezzare quella carezza tiepida, trovandola confortante nonostante tutto. Sospirò, resistendo la chiamata della disperazione che le scorreva nelle vene e che le chiedeva solo di lasciarsi andare all’acqua.

Avrebbe voluto assecondare quella chiamata, ma sapeva che Kaze non gliel’avrebbe permesso.

Era certa che fosse nei paraggi, perlomeno a tiro d’orecchio, pronto a interferire. Era sempre stato nei paraggi, durante tutta la sua prigionia, nascosto nell’ombra più vicina, sempre in silenzio e sempre in allerta, pronto a fermarla prima che potesse farsi del male – e l’aveva fermata, ancora, e ancora, e ancora.

Era stato gentile con lei.

Aveva tenuto a distanza le mani e le parole dei soldati con occhiatacce d’avvertimento, aveva assaggiato gli avanzi che le portavano come cibo per assicurarle che non fosse avvelenato, le aveva fatto compagnia con il tintinnio delle monete che lasciava cadere sulla pietra delle segrete per farle sapere che non era sola – e anche se quel tintinnio era stato assordante alle sue orecchie e le aveva martellato la testa, ne aveva tratto conforto. Era stato gentile con lei.

Non sapeva perché fosse stato gentile con lei, perché avesse fatto tutto quello – perché sembrasse importargli di lei così tanto da mettere a rischio tutto per aiutarla. Ma sapeva che non voleva che la vedesse rannicchiata su se stessa, le sue lacrime mischiarsi con l’acqua. Per i Sette, quell’anima buona ne aveva viste abbastanza, di lacrime.

Cos’avrebbe detto Xander se l’avesse vista così, in quello stato pietoso? Si sarebbe vergognato di lei, per essersi dimostrata tanto debole, per aver infangato la sua famiglia con quelle lacrime?

E Leo, si sarebbe vergognato di lei anche lui – oppure avrebbe capito, avrebbe capito la paura e la disperazione che avevano disintegrato qualsiasi parvenza di dignità era riuscita a salvare in quella sua gabbia fredda quando il Principe aveva… quando l’aveva minacciata di__

La spaventava – no, la terrorizzava. Il suo odio, il potere che sembrava riuscire a risvegliare in Ganglari – nella sua stessa spada, la spada che suo padre le aveva dato per proteggersi, la spada che le aveva lasciato quel lungo, bruciante graffio sulla gola – e il luccichio rosso nei suoi occhi… tutto, di lui, la terrorizzava.

Si era già giocata la sua ultima carta quando aveva smascherato il suo bluff nell’oscurità delle segrete, e adesso era rimasta senza assi nella manica… e sapeva, sapeva che invece tutte le altre minacce che le aveva rivolto erano reali. Era abbastanza sicura che non l’avrebbe mai stuprata, che non sarebbe andato fino in fondo, ma c’erano uomini ai suoi ordini che non si sarebbe fatti scrupoli, che avrebbero voluto toccare e prendere e strappare, e non poteva essere certa che lui gliel’avrebbe impedito.

Rabbrividì, percependo il ricordo di tutti quegli occhi pungerle improvvisamente la pelle. Fece scorrere le mani sul corpo, sperando che l’acqua calda potesse lavare via quella sensazione.

Un singhiozzo che non riuscì a soffocare le sfuggì dalle labbra, ed Ileana si odiò, odiò Kaze per averlo sentito, odiò il modo in cui aveva stretto la sciarpa del ninja tra le mani fino a non sentirle più, accasciata sul pavimento della sua cella come una bambola di stracci, il cuore sanguinante tra le mani e una supplica tra labbra.

“Ti prego, ti prego… uccidimi, uccidimi prima che mi torturi. Prendimi, prenditi tutto, ma non lasciarlo__ non lasciare che faccia del male alla mia famiglia, ti prego…”

La sua famiglia… per i Sette, la sua famiglia

Non poteva permettere che accadesse. Non avrebbe permesso che accadesse, non avrebbe lasciato che la usassero come arma per distruggere i suoi fratelli, le sue sorelle, i suoi amici. Avrebbe preferito morire – sarebbe morta, piuttosto che lasciarglielo fare.

Non era una stupida.

Sapeva che non aveva nessuna possibilità di uscirne viva, nessuna possibilità di tornare a casa. Non avrebbe mai più rivisto la sua famiglia… e faceva male, faceva male sapere di averli delusi, che avrebbero sofferto perché lei aveva fallito quella stupida, stupida ricognizione.

Non era una stupida.

Sapeva che l’avrebbero – che lui l’avrebbe uccisa, lentamente, il più dolorosamente possibile, e che si sarebbe preso tutto il tempo di farla a pezzi, così da strapparle parole tra le grida di dolore. Non ci avrebbe nemmeno messo tanto – non era abituata al dolore, non era stata addestrata a resistere a un interrogatorio – ma lei non voleva che… quelle promesse di dolore che gli aveva visto tra le labbra, tra le mani, la notte prima – ma era stata la notte prima, o la settimana prima, l’anno prima? – non voleva che lui…

Non era una stupida.

Sapeva che doveva morire, ma avrebbe dovuto fare in modo che fosse alle sue condizioni, se voleva almeno provare a salvare qualcuno dalla distruzione che le sue stesse parole avrebbero causato. Ci aveva provato, per Hedi, ci aveva provato, non appena aveva capito che non avrebbe cominciato subito con le torture, per chissà quale ragione. Ma loro – lui stesso, e Kaze – non gliel’avevano permesso.

Aggredì l’acqua con rabbia, facendola schizzare e strabordare oltre l’orlo della piscina.

Dannazione, dannazione!

Perché, perché non gliel’aveva permesso?! Perché continuava a sussurrarle quella splendida, atroce speranza, dicendole che sarebbe stata bene, che sarebbe andato tutto bene? Non era già abbastanza dover vivere con la consapevolezza di essere una morta che cammina? Non era già abbastanza la fame—

…l’intontimento che le aveva causato, il modo in cui le aveva succhiato via le forze,

—la sete—

…la sabbia che le aveva messo in gola, il dolore costante sulla pelle,

—il buio—

…i mostri che le stringevano attorno gli artigli, gli incubi che snudavano i denti,

—il freddo—

…le spire umide della roccia che si attorcigliavano ai capelli, l’intorpidimento degli arti,

—già abbastanza da sopportare, senza che lui ci aggiungesse la sua maledetta gentilezza?

Represse il suo gemito – ringhio, grido – tra i denti e si portò le mani piene d’acqua al viso, soffocando quei suoni patetici coi palmi, passandosi poi le dita tra i capelli, come per lavarli.

E comunque, perché farle passare tutto quello? Era così orrendamente ovvio che non avrebbe retto più di due ore sotto interrogatorio. Perché trascinare lì tutti, perché… aspettare?

Forse quello era il modo di torturare i prigionieri, a Hoshido. Forse alle fruste e le lame e le corde e le risposte veloci preferivano la fame e la sete e il freddo e le parole estratte una alla volta.

O forse era per divertimento. Dato che avevano capito che avrebbero potuto farla crollare quando volevano, forse si stavano solo godendo lo spettacolo di lei che andava in pezzi, ora dopo ora, giorno dopo giorno. Forse erano solo crudeli e perversi.

Oppure era solo il Principe a essere crudele e perverso. Forse era per quello che Kaze si era rifiutato di allontarnarsi quando lui si avvicinava, che la sua stessa guardia l’aveva allontanata da lui, che Zoe l’aveva cacciato fuori.

…oppure no?

Un colpo sommesso alla porta la fece sobbalzare, strappandola da quei pensieri.

-Principessa? Posso entrare?-

Zoe.

Parli del licantropo…

Ileana abbandonò il capo contro il bordo della piscina, giusto il tempo di recuperare il fiato che lo spavento le aveva strappato dal petto, l’energia che quello sfogo le aveva succhiato via dal corpo.

Fu con un sospiro che si issò fuori dalla piscina e afferrò uno degli asciugamani bianchi impilati a portata di mano. -Okay.-

La porta si aprì e richiuse velocemente. Zoe entrò nei bagni, con un fagotto di vestiti tra le braccia e la stessa espressione tranquilla di prima sul volto. -Ehi. Meglio?-

Ileana le rivolse un piccolo cenno, rapido come un frullo d’ali. Zoe le sorrise in un modo che le ricordò tanto – troppo – Elise, incrinandole il cuore.

Elise, Xander, Camilla, Leo…

La Samurai le si avvicinò a piccoli passi, pronta a fermarsi al minimo segno di fastidio da parte sua. Ileana scrollò le spalle, esausta, accettando l’asciugamano che le porse per frizionare via l’acqua dai capelli senza una parola.

Non sapeva come comportarsi con Zoe. Lei… emanava comprensione. Sicurezza. Calore. Ileana non sapeva se sentirsene rassicurata, o se averne paura.

-Vi ho portato qualcosa di pulito da mettere.- le spiegò Zoe mentre recuperava l’asciugamano bagnato, accennando ai vestiti che aveva appoggiato sulla panca. -Ho cercato qualcosa in cui poteste sentirvi a proprio agio, anche se non è stato facile trovare qualcosa di nero… non è un colore che mettiamo molto, a Hoshido.-

Ma certo che no, con il sole caldo che splende tutto l’anno…” fu il pensiero rabbioso di Ileana, ma si morse la lingua per non farselo scappare: non erano parole dirette a lei.

Le rivolse uno sguardo, rispondendo alla sua espressione impaziente mordendosi un labbro. -Non è che non apprezzi il pensiero, ma… che ne è stato dei miei vestiti?-

Ci fu qualcosa di storto nel sorriso esitante che Zoe le mostrò. -Al sicuro nel mio bagaglio. Li laverò alla prima occasione, ma… beh, non sono conciati molto bene, milady.-

-Oh.- sospirò Ileana, le dita che tormentavano il bordo dell’asciugamano ancora stretto attorno al corpo, un peso sul cuore. -Vorrà dire che li rammenderò, io__- sarebbe stata molto più a suo agio con le sue cose… ma perché Zoe le aveva messe nel suo bagaglio? -__io… ehm… ma dob__ devo andare da qualche parte?-

La Samurai si morse un labbro, come se stesse chiedendosi se avrebbe dovuto o meno fare qualcosa. Ileana reagì a quell’esitazione arrotolandosi su se stessa, allontanandosi istintivamente: cosa voleva dire quell’esitazione? Quegli occhi rossi la guardavano come se la loro proprietaria non volesse fare quello che stava per fare, ma dovesse farlo comunque…

Zoe dovette vedere la paura irretire il corpo di Ileana, perché tese le mani di fronte a sé, offrendole i palmi.

-Milady… per favore, ascoltatemi, okay?- la supplicò, prima di prendere un bel respiro. -Faccio parte dell’entourage di Lady Mikoto, Regina di Hoshido. Reina, il Cavaliere Kinshi che avete conosciuto all’Abisso Infinito, ci ha raccontato di voi, e Sua Maestà vorrebbe parlarvi di persona.-

Il battito del suo stesso cuore divenne assordante nelle orecchie di Ileana mentre quelle parole venivano assorbite dalla sua mente.

La regina di Hoshido voleva parlarle di persona.

Aveva creduto di aver sentito qualcosa su ordini che vietavano di torturarla, ma le era sembrato così impossibile che si era convinta di averli immaginati, o di aver sentito male, o di aver capito male.

Era per questo che avevano aspettato? Che arrivasse la regina?

-E cos’è__- perché?, si chiese. Perché la regina avrebbe voluto parlare con una prigioniera, con un ostaggio? Lei non aveva niente a che fare con loro, con Hoshido, con la guerra – e come avrebbe potuto? Aveva passato la vita rinchiusa in una torre… -__che la tua regina vuole da me?-

Zoe rimase in silenzio, mordendosi il labbro, l’interno di una guancia. Ileana non poté fermare le immagini accecanti che le riempirono la mente e rabbrividì, il sangue farsi ghiaccio nelle vene.

Allora la regina era come suo figlio, si disse mentre il respiro si faceva corto, mentre qualcosa di pesante le premeva contro le tempie.

Forse aveva ordinato di non lasciarle segni di violenza sulla pelle perché voleva averla tutta per sé, fresca e fragile per marchiarla come voleva lei. Voleva essere lei a strapparle le parole dalle labbra – quelle parole che sarebbero state la fine di ogni cosa che amava…

Forse l’avrebbero fatto assieme: madre e figlio.

Ileana si sentì tremare al solo pensiero, il mondo che si rimpiccioliva, si distorceva, soffocandola.

No.

Le mani si strinsero sull’asciugamano stretto attorno al corpo talmente forte che, dopo qualche attimo, smise di sentirle.

No, non avrebbe permesso di torturarla – non avrebbe permesso di fare di lei un’arma per distruggere la sua famiglia.

-Torna dalla tua regina. E dille, da parte mia, che non sono un giocattolo con cui lei e il suo adorato bambino possono scacciare la noia.- sputò, la voce venata d’acciaio, grondante veleno.

Gli occhi di Zoe si spalancarono per la sorpresa e il disagio – bene, pensò Ileana. La voleva fuori di lì. Doveva farla uscire, far sì che la lasciasse sola. Poco importava sapere che sarebbe andata a chiamare le guardie per trascinarla dalla regina – non le sarebbe servito molto tempo. Solo quanto bastava per abbandonarsi all’acqua.

Ileana strinse i denti, vestendosi di una forza che non aveva, ma che sapeva di dover assolutamente trovare. -E dille che se ci tiene così tanto a passare del tempo con suo figlio, anziché torturare qualcuno insieme potrebbe benissimo mettersi in ginocchio e fargli un pom__-

-Non è così facile annegarsi da soli, sapete?-

La frase di Zoe mise a tacere Ileana in un secondo.

La sua postura arrogante, quel poco di coraggio che aveva racimolato, parve quasi collassare e lei fece un altro passo indietro, la condensa fredda sul muro che le premeva contro le spalle nude. -Che__? No, io non__-

-__non avreste tentato il suicidio appena avessi messo un piede fuori da qui? Sì, invece.- Zoe la interruppe, quel sorriso insopportabilmente triste che scacciava ogni risposta oscena dalla mente di Ileana. -So che siete spaventata, milady, ma vi prego… vi state dando pena per niente. Nessuno vi farà del male, ve lo prometto.-

Ileana soffiò come un gatto quando lei fece un passo verso di lei, selvatica e inviperita.

Dannazione a tutto, dannazione a lei.

Proprio come Kaze, Zoe aveva capito cosa le stesse passando per la testa.

Ileana se lo sarebbe dovuto aspettare, intuitiva come si era dimostrata di essere quando l’aveva privata della parola nell’altra stanza, dopo aver capito che le sue insinuazioni erano solo un modo per tenere a distanza quel frigido di un principe – ovviamente quello stesso trucco non avrebbe funzionato con lei.

Ed ora eccola lì, ad interferire quando Ileana voleva solo cancellare la propria esistenza, per proteggere le persone che amava… proprio come Kaze.

Ileana tremò, quella pressione così aliena eppure familiare che le pulsava nella mente.

Per i Sette, non poteva nemmeno decidere quando togliersi la vita, dunque? Le avrebbero portato via anche quell’ultimo pezzo di dignità?

…ma certo che l’avrebbero fatto. Ma certo che lui l’avrebbe fatto.

Feccia. Cagna.

Non era altro per lui, per loro. Solo qualcosa di cui fare tutto quello che volevano, qualcosa da legare, da incatenare, da prendere a calci, a cui mettere la museruola. Qualcosa con cui giocare finché non avessero cominciato ad annoiarsi.

Beh, lei non sarebbe stata al gioco. Non sarebbe morta ai suoi piedi, soffocata dalla frusta che le avrebbe stretto attorno al collo come un guinzaglio.

Quel pulsare nella sua testa parve gonfiarsi ed espandersi, scorrendole lungo il corpo in tentacoli che le facevano formicolare la pelle.

No.

-Milady, per favore, io__-

Lei mise una mano sul muro viscido per tenersi in piedi, il petto stretto in una morsa, la nebbia ai bordi del suo campo visito che le impediva di vedere i tremiti che percorrevano l’acqua delle piscine.

No.

Zoe fece un passo verso di lei, e una scintilla parve attraversarle il corpo.

NO!

-VATTENE, ORA!- strillò, le mani premute per soffocare il dolore che le esplose in testa e accartocciandosi su se stessa, gli occhi chiusi. -Lasciami stare… LASCIAMI STARE! Dannazione, dannazione A TE! Voglio solo che finisca!-

-ILEANA, SMETTILA!-

Il suo nome.

Le riecheggiò chiaramente nelle orecchie, sovrastando quella tempesta di silenzio bianco che le imperversava nella mente e scacciandola in un secondo.

Il suo nome.

Non l’aveva sentito pronunciare da… da… beh, da quando era stata catturata.

Ansimò, il respiro ancora affaticato ma che si faceva via via più regolare, scostandosi dal muro quando bastava per guardare la Samurai.

L’aveva chiamata con il suo nome. Non sapeva perché questa cosa la colpisse così tanto, ma…

Il suo nome.

Zoe stessa sembrava alquanto colpita – a quanto pare strillare contro la nobiltà funzionava, per qualche motivo. Fece un respiro profondo, sollevata, scostandosi i capelli bagnati dalla fronte – perché aveva i capelli bagnati?, si chiese Ileana, confusa. -La regina vuole solo sapere cos’è successo all’Abisso Infinito. Tutto qui.-

-E io dovrei credere che è venuta fin qui per farsi ripetere qualcosa che suo figlio le ha certamente già descritto nel dettaglio?- la principessa nohriana scosse il capo, i rimasugli di un ringhio sulle labbra. -E poi, poi che ne sarà di me? Mi lascerà in mano a suo figlio perché possa… lo lascerà finire quello che ha cominciato, lo lascerà infierire finché… finché io non__?-

Le si spezzò la voce, la disperazione evidente, e Ileana stessa sussultò nel sentirla – ma non c’era modo che potesse nasconderla, non più. Era stanca, e spaventata, e tanto tanto sola. Voleva Leo, voleva suo fratello, i suoi fratelli, le sue sorelle. Voleva la sua famiglia, voleva casa.

-Assolutamente no.-

La sicurezza nella voce ferma di Zoe fu tale da riuscire a calmare i singhiozzi che Ileana sentiva bruciarle in gola. -La regina Mikoto ha le migliori intenzioni. Sono certa che ascolterà i vostri desideri e farà del suo meglio per accontentarvi.-

Ileana si morse un labbro per non gemere a quel pensiero.

Per i Sette, voleva crederle. Voleva che le sue parole fossero vere, lo voleva così tanto

-Mi lascerà andare a casa?- pigolò, le parole che le sfuggirono prima che potesse trattenerle, trattenere quel pensiero, quella domanda che le avrebbero ritorto contro per farla a pezzi.

La sua riposta arrivò dopo alcuni secondi di silenzio, pesante e tormentata. -Se è ciò che volete. Sono certa che manderà un messaggio a Nohr per farvi venire a prendere, e vi assegnerà una scorta fino al confine. Ci scommetterei la mano della spada.-

Ileana scosse la testa, cercando di scacciare la nebbia che la sua esplosione le aveva messo tra i pensieri, cercando di eludere la confusione ragionando in maniera razionale.

Come potevano quelle parole essere vere, con tutto quello che le avevano fatto? Come poteva essere stato tutto un errore, un’incomprensione? Le persone non facevano fare la fame o minacciavano o rinchiudevano qualcuno per sbaglio… -No… no io non__ non posso crederci, io__!-

-E io non posso farvene una colpa. Il modo in cui vi hanno trattata…- Zoe non riuscì a continuare, e abbassò gli occhi.

Sembrava… mortificata – era l’unica parola che a Ileana venisse in mente. Si rilassò un po’ quando la Samurai la guardò di nuovo, lo sguardo pieno di dolore e compassione, le mani di nuovo tese verso di lei.

-Vi scongiuro, milady, credete a me: non avevamo idea di cosa stesse succedendo. Se avessimo sospettato una cosa del genere avremmo rimandato Reina indietro all’istante. È inaccettabile, e mi assicurerò personalmente che l’idiota reale non se la cavi con poco. Vi prometto che non verrà permesso a nessuno di farvi altro male, ve lo prometto.-

Ileana sentì il respiro spezzarsi in gola. Zoe suonava implorante, tormentata, sincera. Non poteva crederle, ma voleva – per Hedi, lo voleva… voleva permettersi quel barlume di luce, la speranza che avrebbe davvero rivisto la sua famiglia, lo voleva così tanto…

Era difficile rimanere diffidente, perché Zoe sembrava troppo onesta, e perché lei ne aveva troppo bisogno – aveva troppo bisogno di quel sorriso triste ma incrollabile, di quelle braccia amiche aperte per lei, della rassicurazione in quegli occhi. Aveva bisogno di quella gentilezza, di quel calore, della sicurezza che promettevano.

Ne aveva bisogno con la stessa disperazione con cui aveva paura del morso della frusta che avrebbe condannato a morte la sua famiglia.

Leo, Elise, Xander, Camilla…

Non disse niente, gli occhi che la soppesavano, i denti che martoriavano il labbro inferiore. Non poteva, non poteva, non poteva crederle.

Gemette, un suono patetico che le sfuggì dalle labbra contro la sua volontà, e poté quasi vedere il cuore di Zoe spaccarsi di fronte a lei.

-Oh, Ileana…- sospirò quella, di nuovo dimentica di ogni formalità, con quell’accento così diverso da quello a cui era abituata – ma a Ileana non importava, non quando la faceva sentire così… così… al sicuro. -Non permetterò a nessuno di farti del male, in nessun modo, te lo prometto. Sarò lì tutto il tempo, per assicurarmene di persona. Così anche Kaze.-

Il nome del Maestro Ninja rintoccò nelle orecchie di Ileana. -Kaze?- ripeté, e si sarebbe presa a schiaffi da sola per il sollievo così evidente nella sua voce.

Kaze. Kaze aveva promesso. Kaze aveva promesso…

Zoe annuì subito, quel sorriso così triste farsi appena un po’ più speranzoso. -Sì. Credo che voglia esserci per poter mantenere la sua, di promessa. E io vi prometto di aiutarlo a mantenerla, se ce ne fosse bisogno.-

Ileana non era più in grado di pensare. Era come se gli ingranaggi nel suo cervello si fossero definitivamente inceppati, lasciandola ad annegare nella confusione. -Non sai nemmeno cosa mi abbia promesso.-

Il sorriso di Zoe tornò triste. -Da quello che ho potuto vedere, credo di essermene fatta un’idea.-

Ileana deglutì, ormai completamente abbandonata contro il muro, a malapena in grado di stare in piedi. -E se ti ordineranno di farti da parte? Di non mantenere la parola?-

-La manterrò comunque.- Zoe replicò, come se fosse scontato. Come se fosse scontato che, per lei, per mantenere quella minuscola – immensa – promessa, avrebbe disobbedito a coloro a cui aveva giurato di obbedire – per il re, per il Drago e per la patria…

-Davvero?- le domandò la principessa, le spalle che tremavano, le parole che sanguinavano tanto speranza quando completo, paralizzante, cieco terrore.

-Davvero.- Zoe annuì con facilità, la voce salda e misurata.

Le si avvicinò di un passo, poi di un altro. Si fermò brevemente quando Ileana le mostrò i denti in avvertimento, ma non perse la calma e, alla fine, riuscì ad avvicinarsi abbastanza da tendere un braccio per toccarla. Ileana chiuse subito gli occhi, come aspettandosi uno schiaffo, ma li aprì quando un asciugamano soffice le sfiorò il viso per cancellare tracce di lacrime che lei nemmeno si era accorta di aver pianto. Zoe sorrise allo sguardo stupefatto che le rivolse.

-Perché non ci liberiamo di questo asciugamano bagnato?- le propose, facendo un cenno verso la panca su cui la attendevano pazientemente gli abiti che le aveva trovato. -Sono certa che con dei vestiti puliti e i capelli asciutti starete molto meglio.-

Ileana non credeva di avere nemmeno la forza di rispondere, figurarsi di protestare. Lasciò che la Samurai si scostasse in modo che lei potesse barcollare fino alla panca e sedersi, e poi le permise di venirle vicino – troppo vicino, ma Zoe fu bene attenta a non toccarla mai pelle contro pelle, sapendo benissimo che l’avrebbe fatta scattare di nuovo.

Esaminò i vestiti che la Samurai l’aiutò ad infilare, uno alla volta. Il peso che le era gravato sul cuore da quando aveva capito che non avrebbe potuto avere le sue cose si alleggerì un poco quando notò che gli abiti che le aveva trovato erano decenti, formali e, soprattutto, che non sembravano troppo hoshijin: un top che le lasciava scoperto l’addome e parte delle spalle, ma che aveva lunghe maniche a campana; un paio di pantaloncini dal taglio obliquo, più lunghi sul lato esterno – arrivavano circa al ginocchio – e più corti sul lato interno; una fascia nera che Zoe le avvolse attorno ai fianchi, per coprire la pelle lasciata esposta dal top, con due nappe che arrivavano quasi a toccare terra. Un altro po’ di quel peso evaporò quando poté infilarsi i suoi stivali – Zoe era riuscita a farli diventare abbastanza presentabili da poter andare con gli altri vestiti.

-Ci… ci sarà anche lui?- mormorò Ileana, appena udibile, mentre Zoe cominciava a spazzolarle i capelli per farli asciugare.

I movimenti del pettine rimasero costanti mentre pensava a cosa risponderle – non aveva bisogno di chiederle se stesse parlando del principe, o se si stesse riferendo all’incontro con la regina. -È suo figlio. Nessuno ha il diritto di lasciarlo in disparte.-

Ileana s’irrigidì, incapace di sfuggire alla paura che le artigliò il cuore. Non voleva vederlo. Non voleva sentire i suoi occhi addosso, il suo odio strinarle la pelle in tutti quei punti su cui le sue mani avrebbero voluto lasciare la loro impronta…

-Vi prego, non abbiate paura.- disse quella voce rassicurante, strappandola a quei pensieri – ma non apparteneva a Zoe.

Kaze.

Il Maestro Ninja era accoccolato sul pavimento di fronte a lei, abbastanza vicino perché potesse vedere la calma e la preoccupazione per lei in quei gentili occhi viola – non l’aveva sentito entrare. -Non vi farà del male. Nessuno vi farà del male. Ve l’abbiamo promesso, io come Zoe.-

Ah, allora era rimasto davvero a tenerla d’occhio. Ecco perché non l’aveva sentito: forse non aveva aperto nessuna porta, era solo scivolato fuori da un’ombra.

-L’avete promesso.- pigolò Ileana, abbassando gli occhi. -Lo farete davvero?-

-Davvero.-

Si aggrappò a quella risposta, perché ne aveva bisogno, aveva bisogno di credere che fosse la verità – aveva scommesso delle vite su quella promessa, non tanto la propria, quanto quelle della sua famiglia.

La sua famiglia… per i Sette, la sua famiglia

-Dovremmo andare.- commentò Kaze mentre si rialzava in piedi.

Zoe esitò, soppesando le sue parole, scambiando con lui uno sguardo preoccupato che Ileana non notò. -Già. Immagino di sì.- concordò infine, ma le sue parole pesavano come piombo.

Lasciarono che Ileana si mettesse in piedi da sola, rimanendo abbastanza vicini da poterla aiutare, se lei l’avesse chiesto, ma bene attenti a non toccarla. Lei non chiese alcun aiuto, quindi la guidarono fuori dai bagni e nel corridoio, Zoe ad aprire la fila e Kaze a chiuderla.

Ileana li seguì mite, incredibilmente silenziosa. Non riusciva a smettere di guardarsi intorno, intimorita dall’imponenza della Grande Muraglia, persino dall’interno: i corridoi che stavano imboccando erano tutti piuttosto stretti, ma le pareti s’inerpicavano tanto in alto da farle girare la testa quando cercò di seguirle fino al soffitto con lo sguardo.

Era tutto così estraneo. Certo, anche il Castello di Krakenburg le era sembrato imponente, specie l’esterno e la sala del Trono… ma all’interno era più contenuto, e fatto di pietra anziché di pannelli di legno laccato. L’aveva fatta sentire più a casa, forse perché era più simile alla sua Torre Nord. L’aveva fatta sentire a casa.

Non le piaceva il modo in cui Suzanoh la faceva sentire – piccola, ed insignificante. Ne aveva avuto abbastanza di sentirsi insignificante.

Eppure lo era, insignificante, almeno per loro. Nulla più che uno strumento.

Ripensò al principe, che l’attendeva al fianco di sua madre, impaziente perché la regina si decidesse a permettergli di interrogarla – a permettergli di fare di lei qualunque cosa volesse.

Qualcosa di freddo e sgradevole le strisciò sulla pelle, lungo tutto il corpo. Lanciò uno sguardo a Zoe – di fronte a lei, tesa – e uno a Kaze – alle sue spalle, silenzioso come un’ombra, l’espressione del tutto neutra. Si erano adeguati al suo passo e camminavano lentamente, senza farle fretta, come se avessero tutto il tempo del mondo – non è che lei potesse scappare, comunque.

No, non poteva scappare.

Non avrebbe ottenuto niente tentando la fuga – dopotutto, non sapeva nemmeno dove fosse, né all’interno della fortezza né a Hoshido, in effetti, perché era completamente delirante quando l’avevano portata lì… non si ricordava nemmeno come ci fosse arrivata. Non aveva nessuna via d’uscita tranne la morte, ma anche per quello avrebbe dovuto contare su Zoe e Kaze perché lei, di modi per togliersi la vita da sola, non ne aveva più.

Gliel’avevano promesso.

Le avevano promesso che avrebbero messo fino al suo dolore, se il principe avesse ottenuto il permesso di metterle addosso quelle sue mani impazienti. Aveva scommesso le vite della sua famiglia su quella promessa. Gliel’avevano promesso.

Di certo non le avrebbero fatto una promessa del genere cosicché lei s’incamminasse buona e zitta dritta alla sua stessa distruzione – non quando avrebbero semplicemente trascinarcela, no? Non avrebbero fatto una promessa del genere se non avessero voluto mantenerla…

…oppure…

Ileana si fermò e si appoggiò a un muro, fingendo di essersi fermata solo per riprendere fiato – Kaze e Zoe si fermarono con lei, senza mai rompere la formazione, aspettandola pazientemente. La mente di Ileana correva, come se gli ingranaggi avessero ripreso a lavorare all’improvviso e mille pensieri si stessero accavallando, inciampando l’uno sull’altro in un modo che le fece venire il mal di testa.

Era qualcosa che aveva già considerato in passato, ovviamente – sepolta viva in quell’oscurità sotterranea, aveva avuto tutto il tempo per pensare e ripensare ad ogni possibilità, ad ogni spiegazione per quello che le stava succedendo. Ovviamente aveva già pensato che Kaze e Hinata fossero stati gentili solo per convincerla a fidarsi di loro e farle scappare tante piccole informazioni senza che lei nemmeno se ne accorgesse.

Aveva scartato l’ipotesi perché poi né Kaze né Hinata le avevano mai fatto alcuna domanda, che allora le era sembrato andare contro lo scopo stesso del trucco.

Ma poi Zoe era entrata in scena, con le stesse parole di rassicurazione sulla lingua, e con la promessa della speranza lucente di tornare a casa e vedere di nuovo la sua famiglia.

Forse non era mai stato per avere informazioni, dopotutto. Forse era sempre stato solo per convincerla che sarebbe andato tutto bene, per convincerla a fidarsi di loro solo per guardarla andare in mille pezzi quando gliel’avrebbero strappata dal petto, quella speranza lucente.

Quello… l’avrebbe lasciata persino più indifesa, perché l’avrebbe spinta ad aggrapparsi alla vita, facendosi scivolare come acqua fra le dita ogni opportunità di sottrarsi a quel dolore e derubarli della loro preziosa fonte di informazioni.

…e non era forse andata così?

Si premette due dita fredde contro le tempie, e un fremito le percorse le mani. Per i Sette, ci era cascata. Si era tuffata di testa nella loro trappola. Aveva perso la possibilità di morire alle proprie condizioni.

Ora era tempo di morire alle loro.

-Non vi sentite bene, milady?-

La voce di Zoe le trapanò le orecchie, facendole fare un salto e incespicare, e per poco non cadde. Rimase in piedi per un pelo, e soffiò contro le braccia pronte di Kaze a una spanna dal suo braccio. Il Maestro Ninja sgranò gli occhi di fronte a quel gesto ostile, e Ileana lo vide lanciare uno sguardo strano alla Samurai – un avvertimento.

-Non preccupatevi, non manca molto. È… ci siamo quasi.- disse lei, cercando di sorriderle, ma Ileana scoprì i denti in risposta.

È quasi finita, le era quasi sfuggito.

Invece no. Non sarebbe stato così veloce. Sarebbe stato lungo e orribile e doloroso.

A meno che…

…a meno che non avesse trovato il modo di far sì che la uccidessero prima di cominciare, ovviamente.

Con quel pensiero come unica sicurezza, Ileana si scostò dal muro ed annuì. Le due guardie la guardarono, sorpresi, e si scambiarono un altro sguardo. Sembravano in ansia per qualcosa.

Quando si voltarono e finalmente ripresero a camminare, Zoe le chiese: -Ehm, avete detto che vorreste rammendare i vostri abiti? Quindi sapete cucire? Chi ve l’ha insegnato?-

Ileana non sapeva se gliel’avesse chiesto per cercare di recuperare quella connessione tra loro che doveva aver sentito di aver perso, o se era un modo per identificare altri possibili bersagli – persone da minacciare, a cui dare la caccia per torturarle e smembrarle di fronte ai suoi occhi, perché quello era ciò che il principe aveva promesso di fare…

Non voleva rispondere. Non voleva dire a Zoe che sì, sapeva cucire, perché Flora gliel’aveva insegnato – assieme a Camilla – dopo che Ileana l’aveva implorata, sentendosi tremendamente in colpa per costringerla costantemente a rammendare la sua tenuta da allenamento. Non voleva dire a Zoe di quanto ci fosse voluto alla Cameriera dai capelli azzurri per volerle bene – al contrario di Felicia, che era stata tutta sorrisi e dolcezza da che ne aveva memoria. Non voleva dire a Zoe che quel giorno aveva segnato la fine del loro rapporto servo-padrone per crescere in un tiepido cameratismo.

Perché dirlo a Zoe avrebbe potuto mettere in pericolo Flora.

No, no, no… non avrebbe condannato a morte un’altra persona. Già in troppi erano in pericolo solo perché lei aveva ancora fiato in corpo.

Camilla, Leo, Elise, Xander.

-So cucire.- pronunciò, impassibile.

Qualcosa nell’eco vuoto che era diventata la sua voce sembrò colpire Zoe, perché si fermò e si volse, gli occhi pesanti che soppesavano, scrutavano, dubitavano. Si morse di nuovo l’interno di una guancia mentre rivolgeva uno sguardo preoccupato alla porta in fondo al corridoio, così vicina – ci stava ripensando? Stava provando pietà per lei? Avrebbe mantenuto la–?

No – Ileana si rimproverò per il suo stesso pensiero, spegnendo con le proprie mani quella piccola luce che aveva luccicato nella sua oscurità – niente più speranza. Non poteva permettersela, a dispetto di quanto avrebbe voluto riabbracciare la sua famiglia.

Non li avrebbe rivisti. Mai più. Non poteva sperarci.

Poteva solo sperare di morire, e sperare che accadesse prima che il principe di Hoshido avesse avuto la possibilità di metterle addosso quelle sue mani impazienti – mani che volevano solo sentirla urlare e implorare e tremare nella sua stretta mentre le strappava parole direttamente dalla gola e trasformandole in armi da usare contro coloro che lei più amava mentre la lasciava lì a sanguinare…

Guardò anche lei la porta, temendo quello che l’aspettava oltre la soglia – temendo il colpo di frusta che le avrebbe dato il benvenuto non appena si fosse aperta.

No, no, non poteva permettere che accadesse. Non sarebbe morta alle sue condizione, implorante ai suoi piedi. Sarebbe morta alle proprie condizioni – comunque ai suoi piedi, ma per sua stessa decisione. Doveva costringerlo a ucciderla d’impulso. Doveva farlo scattare. A qualunque costo.

-Zoe.- sentì il richiamo di Kaze, e la porta si aprì.

Non ci fu alcuna frusta a darle il benvenuto quando Ileana venne dolcemente sospinta oltre la soglia, visto che le sue gambe non furono in grado di fare nemmeno quel piccolo passo.

La luce che entrava dalla finestra la accecò per qualche istante, facendole stringere i denti – non era affatto abituata a tutta quella luce, e dopo il tempo passato nelle viscere della fortezza… beh, non si poteva certo dire che i suoi occhi la apprezzassero. Ricordava vagamente di aver gridato per il dolore quando Kaze e Hinata l’avevano portata fuori dalle segrete.

La vista le tornò nel giro di poco, anche se poteva ancora vedere uno strano alone sfocato ai margini del suo campo visivo, e tutta quella luce faceva pulsare più fastidiosamente la pressione nella sua testa.

La stanza… la stanza non sembrava una camera di tortura. Sembrava un qualunque salottino, piccolo ma elegante. Il mobilio non era niente di troppo ricercato, ma si vedeva comunque che si trovava nell’ala residenziale della fortezza: c’era un divanetto pieno di cuscini e delle poltroncine dall’aspetto semplice ma comodo. Un servizio da tè di porcellana era sistemato sul tavolinetto di vetro al centro della stanza – quattro tazze. Lì dentro c’erano tre persone.

C’era una donna seduta sul divanetto: indossava un vestito bianco e blu bordato d’oro, e una coroncina a forma di sole che le scintillava tra i capelli neri. La regina Mikoto. Quindi Zoe aveva detto la verità – la regina era davvero venuta a parlarle.

…perché?

Seduto accanto a lei c’era un uomo alto e robusto, con una criniera di capelli scuri che gli scendevano lungo tutta la schiena. Indossava un’armatura rossa sopra degli abiti bianchi, ed era circondato dalla stessa aura di calma sicurezza che avrebbe circondato un generale… tuttavia fu la pungente vibrazione di energia che percepiva provenire dalla spada al suo fianco che le fece capire chi le stava di fronte – era l’energia di un’arma sacra. Il suo rapitore era il secondo principe di Hoshido… quindi, chiaramente, di fronte a lei c’era suo fratello maggiore.

E c’era anche lui, ovviamente, proprio come Zoe aveva previsto. Appoggiato al muro proprio dietro quelli che erano i membri della sua famiglia, la guardava come un falco avrebbe guardato un uccellino dalle ali spezzate. Poteva sentire le sue minacce bruciarle sulla pelle come l’odio bruciava rosso nei suoi occhi.

-Ileana.- cominciò il Maestro di Spada – aveva una voce profonda, e il sorriso sul suo volto sembrava gentile. -Benvenuta a Hoshido. Sono Ryoma, Alto Principe del regno. So che hai già conosciuto mio fratello Takumi. Ti presento mia madre, la regina Mikoto.-

Ileana lo fissò in silenzio, non capendo esattamente che diamine stesse succedendo.

Si era aspettata una tortura. Si aspettava che lui sguainasse la spada e gliela spingesse contro la gola, si aspettava di sentire il potere che scorreva su quella lama sprofondarle nella carne e farla a pezzi. Ma lui le stava parlando. Sorridendo.

…perché?

Cercò di aprire la bocca per rispondere, ma non ne uscì alcun suono. Prima che potesse provare di nuovo, la regina si alzò, felice come se le fosse stato appena offerto un regalo.

-Ileana.-

Non c’era alcun titolo, nessuna formalità nella voce della donna quando parve cantare il suo nome – c’era solo calore, un calore che lei non aveva mai sentito prima, il tipo di sollievo che si prova nel ritrovare qualcosa che si credeva perduto per sempre.

Ileana non poté contenere il proprio stupore quando alzò lo sguardo e incontrò il sorriso estatico della regina mentre quella si alzava e faceva un piccolo, esitante passo verso di lei, le braccia aperte di fronte a sé come se volesse abbracciarla.

Ileana fece un passo indietro, d’istinto, sentendo il respiro spezzarsi rumorosamente in gola.

La regina si fermò subito ed abbassò le braccia, ma il sorriso non le abbandonò il volto. -Oh, perdona la mia impazienza, tesoro… non volevo spaventarti. Ma è passato così tanto tempo che non sono riuscita a trattenermi. Ti prego, avvicinati. Siedi accanto a me.-

Ileana era troppo scioccata per discutere, troppo scioccata per parlare. Si limitò a seguire la donna mentre tornava a sedere sul divanetto, a malapena conscia dei propri movimenti. Non aveva alcun controllo sul proprio corpo mentre i suoi piedi le facevano fare quei due passi per raggiungerla – e i cuscini le sembrarono spaventosamente alieni, dopo tutto quel tempo costretta a strisciare sulla roccia e nella polvere.

L’Alto Principe le rivolse un ampio sorriso mentre si accomodava su una delle poltroncine. Lo intravide invitare il fratello a fare lo stesso, ma il Cecchino scrollò le spalle, preferendo restare appoggiato al muro, gli occhi ben fissi sulla sua preda. Ileana sentì il cuore battere un po’ più in fretta sotto quello sguardo di brace e la pressione nella sua testa – la stessa che le aveva schiacciato i pensieri nei bagni – parve gonfiarsi – proprio come nei bagni.

Fu la voce della regina a costringerla a distogliere l’attenzione da lui. -Tesoro? C’è qualcosa che non va?- i suoi occhi scuri andarono da lei al figlio, e quando tornarono da lei erano accompagnati da un sorriso rassicurante. -So che tu e Takumi siete partiti col piede sbagliato, ma ti assicuro che non hai niente da temere. È qui per darti il bentornato a casa!-

Casa.

Nohr era casa sua. Non quel posto. Non con quelle persone.

Che diamine stava succedendo?!

-Io…- un brivido le corse lungo la schiena, rendendola ipersensibile a tutto. Le sembrava di avere la bocca asciutta, ma si sforzò di parlare nonostante le labbra screpolate le facessero male. -…io non so di cosa stiate parlando. Io non vi conosco.-

La gioia sul volto della donna appassì in un istante.

Anche il volto dell’Alto Principe si era fatto più grave, e lo notò quando le sue parole attirarono la sua attenzione. -Tu… non ti ricordi di lei? Per niente? O di me, o… di questo posto?-

Ileana lo guardò come avrebbe guardato un’aragosta parlante.

-Io… no. Come…- aveva passato quattordici anni della sua vita rinchiusa nella Torre Nord, come avrebbe potuto conoscere la regina di Hoshido? -…come potrei?-

Qualcosa andò in pezzi nell’espressione dell’Alto Principe a quelle parole. Sembrava che fosse sul punto di dirle qualcosa, ma niente di buono – aveva le spalle tese, la mascella serrata, le mani strette a pugno. Ileava vide un sorrisino sulle labbra del secondo principe quando si girò, chiedendosi come mai il suo sguardo era diventato talmente intenso da poterlo sentire pungerle la pelle.

La regina alzò una mano, disperdendo la tensione che era andata montando in quella stanzetta. Sorrise alla principessa, ma con amarezza. -Immagino… immagino che sia comprensibile. Era così piccola, dopotutto…- la sua mano si tese per accarezzare quelle di Ileana, maledettamente pallide contro gli abiti scuri che indossava, ma lei le nascose nelle pieghe delle maniche. -Ileana, io sono tua madre.-

Sua madre.

Ma certo che Ileana aveva chiesto di sua madre, da piccola, dopo aver sentito per caso una chiacchierata tra Flora, Felicia e Jakob che parlavano dei loro genitori. Si era precipitata da Xander alla prima occasione e gli aveva chiesto chi fossero i suoi genitori. Lui le aveva parlato di un uomo affettuoso ma severo di nome Garon. Lui le aveva parlato di una donna bellissima, dolcissima e letale di nome Katerina.

La regina Katerina era stata un Cavaliere Malig, e una della più amate regine nohriane di sempre. Era stata temibile con un tomo ed impietosa con un’ascia. Aveva lasciato giocare Leo con la magia per la prima volta, e Camilla la ammirava talmente tanto da averne fatto il suo modello di vita, a cui tutt’ora tentava di somigliare. Elise non si ricordava di lei, perché era stata troppo piccola quando la regina era stata portata via da una malattia che aveva messo in pericolo anche Ileana – e per quello l’avevano allontanata, perché potesse allenarsi in pace e al sicuro: nessuno voleva correre il rischio di vederla ammalarsi.

Xander le aveva raccontato tutto di Katerina. Le aveva raccontato che le aveva voluto un bene immenso, che aveva gli stessi capelli di Camilla e gli stessi occhi verdi e luminosi di Ileana. Le aveva raccontato che vegliava ancora su di lei, e quando Camilla lasciava Ileana a giocare con Marzia, che era stata la compagna di Katerina, lei non poteva che credergli.

La donna che le sedeva di fronte non era sua madre.

-Sono figlia di re Garon e della regina Katerina. Io sono nohriana.- disse, la voce sorprendentemente chiara per via di una rabbia distante e indefinita.

Poté sentire il secondo principe reagire al suo diniego, raddrizzandosi e allontanandosi dal muro di qualche passo, più vicino, gli occhi che mandavano lampi.

-Oh, bambina mia…- sospirò la regina, e Ileana comprese che avrebbe voluto prenderle il viso dalle mani – ma si trattenne, e grazie ad Hedi, perché lei proprio non sapeva come avrebbe potuto reagire al contatto. -Garon e Katerina non sono i tuoi genitori. Non biologicamente parlando, almeno.-

Ileana la fissò in silenzio, la pressione pulsante nella testa che si faceva più intensa, scorrendole nel corpo, facendole indolenzire le mani e appannare gli occhi.

Niente aveva più senso. Si era aspettata delle torture, o almeno delle domande sulla battaglia all’Abisso, come Zoe le aveva anticipato. Ma no: la regina le stava dicendo di essere sua madre – le stava dicendo che l’Alto Principe e il giovane che l’aveva tormentata, minacciata e che voleva ucciderla erano i suoi fratelli.

-Immagino che questo debba essere uno shock per te…- disse l’Alto Principe, intercettando lo sguardo stravolto che lei gli aveva dedicato. -…ma ti assicuro che dice il vero. Sei hoshijin. Sei stata portata via da noi quando eri piccola. Siamo noi la tua famiglia…-

No.

Lei era nohriana. Xander e Leo erano i suoi fratelli, Camilla ed Elise era le sue sorelle – loro erano la sua famiglia.

Quel posto non era casa. Quelle persone non erano casa. Perché insistevano a dirle il contrario?

Riusciva a malapena a respirare, ormai, il cuore che sembrava esserle impazzito nel petto, la pressione trasformatasi in rovi che le affondavano nella testa. C’era qualcosa che non andava con i suoi occhi – la nebbia ai margini del suo campo visivo sembrava aver preso vita e scintillava.

Eppure nessuno sembrava notare quanto stesse male, perché l’Alto Principe e la regina continuarono a parlare – o era davvero brava a fingersi composta, oppure semplicemente non gli importava nulla di come stesse.

-Non sapevamo cosa pensare: ci aspettavamo che fossi stata presa in ostaggio, o come prigioniera politica, ma non abbiamo mai avuto tue notizie.-

-Siamo stati tanto in pena per te… ma ora sei tornata…-

Ostaggio. Prigioniera politica.

Ma erano loro che la stavano tenendo in ostaggio. L’avevano trattata anche peggio di una prigioniera politica – di certo non come una bambina appena ritrovata dopo anni e anni e anni di agonia…

-No.- Ileana soffiò, e poi aggiunse, a voce più alta: -È tutto sbagliato. Un errore.-

Le sue parole ridussero tutti al silenzio. Poteva sentire i loro occhi addosso, le la soppesavano, che si interrogavano, che sussurravano – poteva sentire gli occhi del secondo principe addosso, impazienti, ostili, soddisfatti. Il suo sguardo era una presenza fisica, dolorosa. Lo odiava, odiava sentirlo addosso in quel modo. Ormai quel battito nella sua testa le era dilagato per tutto il corpo, facendola tremare.

-Nessun errore, Ileana.- dichiarò l’Alto Principe.

Il dolore nei suoi occhi era lo stesso del sorriso che la regina le rivolse, mentre diceva: -Hai un segno all’interno del polso sinistro – una spruzzata di nei che ricordano la costellazione della Lira. Hai sempre detto che indicava il tuo destino di musicista.-

Qualsiasi colore rimasto sul volto di Ileana scomparve a quelle parole.

-Come__- lei aveva un segno all’interno del polso sinistro, tale e quale a quello descritto: un insieme di nei messi quasi nello stesso modo delle stelle che formavano la Lira. Come poteva saperlo, la regina, sapere che lei credeva che la destinasse ad un futuro di musica? D’accordo, magari non era un sogno così originale, però… -N_non è possibile.-

-Ma è la verità, milady.-

Kaze.

Si voltò verso il Maestro Ninja, che aveva fatto un passo verso di lei, le mani tese di fronte a sé. Sembrava preoccupato, e Ileana immaginò che potesse vedere le mani che le tremavano, sentire il respiro irregolare. La sua voce era calma mentre spiegava: -Siete stata rapita a Cheve, quattordici anni fa. Re Garon e Re Sumeragi avrebbero dovuto incontrarsi a Cheve per discutere un nuovo trattato di pace… ma appena entrati in città finimmo dritti in una trappola. Uccisero il nostro re, e rapirono voi.-

La voce dell’Alto Principe era tutto meno che calma quando aggiunse: -Io c’ero, Ileana. Nostro padre mi portò con lui perché re Garon aveva suggerito che anche i principi ereditari di entrambi i regni avrebbero dovuto partecipare, come prova di buone intenzioni. Ti abbiamo portata perché avevi appena compiuto quattro anni. Doveva essere un regalo di compleanno.-

I principi ereditari.

L’Alto Principe di Hoshido.

Il Principe Ereditario di Nohr.

Xander.

-Bugiardo.- Ileana gli soffiò contro, incredula. Sentiva i tremiti scuoterle il corpo, la pelle bruciare, la testa spaccarsi – si sentiva come se una tempesta le stesse montando dentro, come tante si erano addensate fuori dalla sua finestra, a casa, a Nohr, alla Torre Nord. -Lui non c’era. Mio fratello, lui non… mai…-

Bugiardo. Ne era sicura.

Xander non avrebbe… potuto, mai…

L’Alto Principe ridacchiò, cattivo. -Parli del Principe Ereditario di Nohr? Credimi, c’era eccome. Armato fino ai denti, come tutti i suoi soldati. E non è tuo fratello.-

All’improvviso, chiarezza.

Stavano cercando di metterla contro la sua famiglia.

Dopotutto, perché torturarla e ucciderla, rischiando di scatenare una guerra, quando avrebbero semplicemente potuto piegarle la mente con quelle orribili bugie per farla rivoltare contro i suoi cari? Avrebbero ottenuto tutte le informazioni che potessero desiderare, persino di più di quante ne avrebbero avute da un interrogatorio, oltre ad un ottimo ascendente da usare contro il Trono di Spine, per colpire la sua famiglia al cuore, dove faceva più male.

Era sempre stato quello, il loro piano? Tormentarla con le cattiverie e farla impazzire con le gentilezze, per farla correre tra le loro braccia al primo segno di affetto, dopo distrutta e terrorizzata al punto che non si sarebbe fatta domande?

Sentì il sangue farsi ghiaccio nelle vene.

Per i Sette, ci era quasi cascata, comprese con orrore, ripensando a quanto avesse voluto l’abbraccio di Zoe, le carezze di Kaze – facevano parte anche loro del piano? Oh, ma certo che ne facevano parte.

Era stata tutta una bugia, una ragnatela di false promesse tesa a incatenarla, trappole di affetto per farla impazzire. Ma certo che non gli importava di lei. Si erano occupati delle ferite che le erano state inferte trascinandola nel fango perché era il loro lavoro, niente di più.

Ora sarebbe stato il loro lavoro tenerla ferma – perché ovviamente l’avrebbero condannata a morte, appena si fossero accorti che quell’orrendo giochetto non aveva funzionato. Era naturale che toccasse a loro legarla, imbavagliarla, gettarla a terra così che il loro principe potesse torreggiare su di lei.

L’energia che le scorreva in tutto il corpo sembrò esplodere quando la pressione nella sua testa aumentò ancora, tanto da farle stringere i denti, e sentì quello sguardo maledetto come una lama – e sentì il suo odio.

Quell’odio era la sua unica speranza, comprese. Era il momento, il momento di farlo scattare. Il momento di morire.

Probabilmente avrebbe cercato di prendere la spada di suo fratello, di strappargliela, intenzionato ad affondargliela nel petto, nel cuore, fino all’elsa. Avrebbe bruciato, comprese, avrebbe fatto male.

Ma sarebbe stato veloce. Era la sua unica possibilità.

La sua unica possibilità di tenere al sicuro la sua famiglia.

Xander. Camilla. Leo. Elise.

Qualcosa di caldo le scivolò lungo l’energia incontenibile che era diventata la sua pelle, e si sentì andare in pezzi.

Rise.

.

Rise, e in quell’orribile risata Zoe vide qualcosa che non avrebbe dovuto essere lì: rassegnazione.

Guardò Kaze, allarmata dall’espressione distorta che si stava lentamente disegnando sul volto di Ileana, e scorse una scintilla di panico anche nello sguardo dell’amico – anche Kaze aveva visto, anche Kaze percepiva i capelli sulla nuca drizzarsi mentre un’energia che entrambi avevano già avvertito nei bagni sembrava contorcersi nell’aria intorno a loro.

Non era strano che un mago arrivasse a quel punto. Quando le emozioni prendevano il sopravvento la loro magia reagiva sovraccaricando l’energia presente nell’aria, nel loro corpo, riverberandosi in quello che li circondava: Ileana aveva dato prova di essere allo stremo della sua resistenza già prima, quando l’acqua delle vasche aveva reagito alla sua tensione e aveva inzaccherato tanto la Maga quanto Zoe… ma certo, rifletté la Samurai, riportando la propria attenzione sulle mani tremanti della principessa: Ileana non aveva potuto scaricare la propria tensione utilizzando la magia, nei giorni di prigionia, e di certo la sua mente aveva avuto tutto il tempo per partorire chissà quali incubi…

Forse avrebbe dovuto avvertire Ryoma, oppure la Regina: non sembravano consci di quanto Ileana fosse in procinto di esplodere, di quanto tutte le informazioni che le avevano rovesciato addosso la stessero mandando fuori di testa.

-Siete solo dei bugiardi.-

Zoe sobbalzò, alzando gli occhi appena in tempo per vedere la smorfia crudele della principessa di Nohr, per vederla scoprire i denti come già aveva tentato di fare con lei, per cogliere un riflesso di trionfo nel volto in penombra di Takumi.

-Pensavate davvero che ci sarei cascata?-

Crack.

Le porcellane ordinatamente esposte sul tavolino si incrinarono, e lady Mikoto sobbalzò: tentò di allungare una mano verso Ileana, ma la principessa si ritrasse come se avesse tentato di colpirla.

-Ileana, non__- tentò di richiamarla, ma tutto ciò che ottenne come risposta fu un ringhio strozzato.

Zoe portò istintivamente la mano alla propria spada, costringendosi a distogliere lo sguardo per assorbire tutta la situazione: Ryoma sembrava confuso, lady Mikoto era chiaramente sconcertata, mentre Takumi… Takumi sorrideva.

Con la coda dell’occhio guardòKaze, la sua espressione accuratamente impassibile, i suoi muscoli tesi – era pronto ad intervenire, ma non sembrava essere in procinto di estrarre un’arma…

-Non mi userete contro la mia famiglia.- Ileana si alzò in piedi, traballante, ed in quel momento fu chiaro anche a Ryoma e alla Regina quanto fosse debilitata: tremava, tremava così violentemente che sembrava sul punto di crollare, una luce folle negli occhi verdi ed il terrore scritto in ogni angolo del suo volto.

-Mi fate schifo, voi e i vostri giochetti.-

Quando Ileana si voltò, girando attorno al tavolino e fermandosi accanto a Mikoto, direttamente davanti a Takumi, Zoe avrebbe voluto urlare.

Doveva intervenire.

Takumi non si sarebbe fermato. Takumi stava sorridendo. Takumi avrebbe…

Ileana lo guardò, e nella sua voce Zoe sentì la disperazione mescolarsi al veleno.

-Contento, adesso? Cosa aspetti, principino? Non vuoi provare a stuprarmi davanti alla tua cara mammina?- insinuò, allungando una mano verso la guancia della Regina per sfiorarla con una carezza orribile, malata, mentre l’orrore che aveva appena pronunciato sembrò riempire di crepe l’espressione contenuta della donna.

…cosa aveva fatto?

Zoe guardò Kaze, sconvolta – e, nello stesso momento, il tavolino di vetro andò in mille pezzi.

-Maledetta cagna schifosa!- ruggì Takumi, furioso, e poi tutto successe troppo in fretta per riuscire a fermarlo.

-Takumi!- Ryoma ruggì, balzò in piedi… ma troppo, troppo tardi.

Lei e Kaze si lanciarono in avanti quando l’urlo animalesco di Ileana sovrastò persino il suono del cristallo in frantumi.

Takumi si scagliò su Ileana con un ringhio disarticolato che gorgogliava in gola e lei si voltò, incespicando per sfuggire alle mani che il principe aveva teso per tentare di afferrarla – se Takumi l’avesse presa… se le avesse messo le mani addosso…

No. Gliel’aveva promesso.

Zoe lasciò che la superasse – Kaze era dietro di lei, si sarebbe occupato di Ileana, con lui sarebbe stata al sicuro – e si buttò contro Takumi: era più veloce di lui, più agile di lui, e non fu affatto difficile afferrargli il polso teso minacciosamente verso Ileana.

Lo torse con violenza, strappandogli un versaccio di dolore quando sfruttò la sua stessa veemenza per farlo girare su se stesso e bloccargli il braccio dietro la schiena, spingendolo subito lontano da sé e da Ileana.

Serrò rapidamente le mani sulla katana e ne estrasse un palmo, bilanciandosi sulle gambe per prepararsi a qualunque reazione, senza smuoversi nemmeno di un passo dalla propria posizione quando Takumi, furioso, recuperò l’equilibrio e si volse – e non c’era niente, del suo amato fratellino, in quella faccia stravolta dall’ira… e allora non ci sarebbe stato nemmeno nulla di lei: tirò indietro le orecchie, serrò le labbra e assottigliò le palpebre, lasciando che l’addestramento impresso nei suoi muscoli avesse la meglio, che cancellasse ogni traccia della confusione che provava.

-Levati di mezzo!- la aggredì il principe, avanzando e fermandosi soltanto quando si trovò ad un soffio dal viso di Zoe. Lei però rimase immobile, impassibile, la mente fredda e calma che calcolava rapidamente ogni alternativa.

-No.- rispose, sopportando l’ira ed il baluginio di follia che poteva scorgergli negli occhi, cogliendo il fremito nelle sue mani – come se volesse colpire anche lei, come se si stesse trattenendo per non farle fare la stessa fine della principessa che aveva deciso di proteggere.

-È un maledetto ordine, Zoe!-

Qualcosa urlò, dentro di lei, ma non aveva tempo di ascoltarlo: incassò le spalle, spostò la mano dominante più in alto sulla tsuka e si preparò all’attacco che sembrava, ormai, inevitabile – quando una mano guantata di rosso si chiuse sulla spalla di Takumi e lo tirò violentemente indietro.

-BASTA!-

Il ruggito di Ryoma sovrastò tutto il resto.

Inconsapevolmente, Zoe tirò fiato, travolta da un fiotto di sollievo nel guardare l’Alto Principe strattonare Takumi per allontanarlo da lei, spingendolo indietro e frapponendosi a sua volta fra il fratello e Zoe così come lei aveva fatto per Ileana.

Si arrischiò a lanciare una rapidissima occhiata alle proprie spalle, approfittando della protezione offerta dalla figura possente di Ryoma, trovandosi davanti ad un’Ileana in lacrime, tremante e sconvolta, aggrappata disperatamente al petto di Kaze.

-Avete promesso… me l’avete promesso…- singhiozzava, fra le braccia di Kaze, mentre le lacrime le scendevano copiose lungo le guance e le sue dita artigliavano gli abiti del Maestro Ninja che la cullava con gentilezza, che le mormorava qualcosa all’orecchio con quel suo tono rassicurante – ma Zoe non riuscì a cogliere le sue parole, perché le urla di Ryoma e di Takumi sovrastavano tutto il resto.

-Ragazzi!-

Il silenzio calò all’improvviso.

Lady Mikoto si era alzata in piedi e si era rivolta ai suoi figli, sedando le loro grida semplicemente pronunciando i loro nomi con quella sua voce che, per la prima volta, Zoe aveva percepito venarsi d’acciaio: tutti e due la guardarono, confusi e apparentemente dimentichi di tutto il resto, la quiete repentina spezzata soltanto dai singhiozzi della principessa.

-Non adesso.- continuò la Regina, occhieggiando i due principi fino a che Ryoma, riscossosi dalla sorpresa, afferrò Takumi per la giacca e lo tirò verso l’angolo più lontano, ignorando i suoi deboli tentativi di divincolarsi. -Sono certa che questo sia soltanto un grande fraintendimento.-

No, avrebbe voluto dirle Zoe, non c’era nessun fraintendimento.

Takumi aveva torturato Ileana, l’aveva costretta a marcire in una cella buia, l’aveva insultata e l’aveva minacciata di qualcosa di tanto orribile che Zoe nemmeno voleva pensarci: niente di tutto ciò era fraintendibile, era tutto così chiaro, così lampante, e per un istante trovò profondamente irritante il tentativo di calmare gli animi della Regina.

Quella era sua figlia, dannazione… avrebbe dovuto arrabbiarsi, urlare, fare qualcosa! Avrebbe dovuto rimproverare Takumi, cacciarlo da quella stanza perché non si avvicinasse nemmeno lontanamente ad Ileana!

Zoe digrignò i denti, ma si sforzò di non far trasparire nulla quando lady Mikoto girò su se stessa e si avvicinò di un passo a loro, a Kaze, a Ileana.

-Ileana?- chiamò, dolcemente, ma Zoe sentì soltanto un pianto più intenso provenire dal fagotto di lacrime che Kaze stringeva al petto.

-Vi prego… per favore, voglio soltanto andare a casa mia…- ripeteva, una cantilena continua e straziante che avrebbe ferito chiunque con un minimo di sensibilità nell’animo, di gentilezza.

-Madre, per favore! Non avvicinarti!-

Zoe scoprì i denti, trattenendosi dal ringhiare a sua volta, fulminando Takumi con lo sguardo.

Come osava? Come poteva? Doveva soltanto vergognarsi di se stesso, doveva soltanto tacere e sperare di non trovarla mai più da sola perché dei, quanta voglia aveva di fargli provare almeno un minimo della sofferenza che aveva imposto a quella ragazza innocente – a sua sorella

Lady Mikoto però sorrise: un sorriso pieno di dolore, un sorriso sofferto, un sorriso che Zoe scorse incrinarsi quando si voltò per un istante a guardare suo figlio.

-Mio adorato Takumi, lei non è pericolosa. È soltanto spaventata.- mormorò, prima di fare qualche passo per avvicinarsi alla principessa. -Tesoro?- chiamò di nuovo, ma Ileana si contorse fra le braccia di Kaze come se volesse sparire, come se quello fosse l’unico posto sicuro, per lei, in quell’incubo in cui era stata scagliata.

-No! Non vi avvicinate! Non mi toccate!- strillò, e Zoe istintivamente si avvicinò a Kaze, tentando di rimanere il più possibile vicina ad Ileana senza che lei percepisse il suo gesto come un’aggressione.

Lady Mikoto esitò, alzando lo sguardo per scambiare una fugace occhiata con il Maestro Ninja.

-Non lo farò. Non preoccuparti, va tutto bene.- continuò, e nella sua voce c’era qualcosa di rasserenante, di pacifico, come se nelle sue parole fosse nascosta una ninnananna… -Per favore, Ileana, respira. Non hai nulla da temere, non ti succederà nulla. Sei sotto la mia protezione.-

Ileana si arrischiò ad alzare il viso per sbirciare la Regina, ma Zoe davvero non riuscì a sopportare quella vista: era stravolta, le sue guance erano rosse e rigate dalle lacrime che non sembrava in grado di fermare, i suoi occhi erano gonfi e le sue labbra tremavano violentemente.

-Vieni, perché non ti siedi su una delle sedie?-

-Lady Mikoto.-

Zoe sentì quelle parole, sentì la fermezza in quella voce, ma per un istante credette che fosse stato Kaze a parlare: soltanto quando Mikoto la guardò, con la tristezza nello sguardo e un sorriso tirato che s’incrinava, comprese di essere stata lei a intromettersi, a fermare la Regina prima che potesse convincere Ileana ad avvicinarsi.

Mikoto però non si incupì, nonostante la sua intromissione potesse benissimo essere considerata un oltraggio vero e proprio: posò una mano sulla spalla della Samurai e strinse appena, delicatamente, nonostante sotto il suo tocco Zoe si fosse irrigidita all’improvviso.

-Non c’è nulla da temere, Zoe. Non le farò del male.- la rassicurò, ma Zoe voltò la testa per lanciare un’occhiataccia ai due principi, a Takumi che la fissava, furibondo, nonostante Ryoma gli bloccasse quasi completamente la visuale.

-Ma lui sì.- commentò, sentendo quelle parole bruciare in gola come braci ardenti.

Senza un’altra parola, senza guardare la Regina, si scostò, avanzando con passo deciso per andare a piazzarsi fra Ryoma, Takumi e il mobilio in modo che, se quell’idiota avesse dato di matto un’altra volta, sarebbe potuta intervenire immediatamente.

Percepì addosso il peso dello sguardo di Mikoto, sentì il sospiro strozzato e sofferente che le sfuggì, ma non si voltò nemmeno quando Kaze accompagnò Ileana verso una delle sedie imbottite, sostenendola finché non vi si sedette – non aveva bisogno di guardare per sapere che cosa stava succedendo; i suoi occhi dovevano rimanere lì dov’erano, a sopportare la furia in quelli di Takumi, a tenerlo d’occhio per impedirgli di fare qualsiasi cosa gli saltasse in mente.

-Ileana… capisco che tu sia scioccata. Tutto questo dev’essere davvero duro per te.-

Finalmente, pensò Zoe. Finalmente qualcuno aveva deciso di accorgersi di quanto Ileana avrebbe avuto bisogno di riposare, di rimettersi in sesto, prima di rovesciarle addosso tutto quanto… come potevano aver pensato che fosse una buona idea? Era cresciuta lontano da tutti loro, in un altro posto, con un’altra famiglia, possibile che soltanto lei – che aveva pregato per il suo ritorno per anni ed anni – se ne rendesse conto?

-Per favore, dimmi che cosa posso fare per aiutarti.- continuò Mikoto, con il tono gentile e pacato che Zoe spesso usava per calmare i pegasi imbizzarriti.

-Voglio… voglio mio fratello.- la pregò Ileana, con una voce talmente debole ed esausta che Zoe quasi riuscì a cogliere l’espressione di Kaze incupirsi ancor di più. -Voglio parlare con Xander.-

Suo fratello… Zoe si morse le guance, prendendo un profondo respiro per cercare di calmarsi.

Era normale che volesse suo fratello. Anche lei, al suo posto – se lo avesse avuto, se fosse ancora stato se stesso, se non fosse andato completamente fuori di testa – avrebbe voluto suo fratello, quello che per tutta la vita aveva chiamato fratello…

-Ed allora lo manderemo a chiamare.-

Uno sguardo diverso pesò improvvisamente su di lei, mutando nella sua percezione di ciò che la circondava; Zoe si voltò rapidamente, sorprendendosi di scorgere una profonda gratitudine in un paio d’occhi verdi che si erano posati su di lei alle parole di lady Mikoto – e le sorrise, le sorrise nonostante si sentisse morire dentro, perché Ileana non meritava altro che gentilezza dopo tutto quello che era stata costretta a subire.

-Orochi?- con la coda dell’occhio, Zoe scorse la porta aprirsi e la figura di sua madre sgusciare all’interno della stanza; alle sue spalle, abituata com’era a cercare le tracce dei ninja nelle ombre, poté quasi distinguere le espressioni allarmate di Saizo e di Kagero, che subito scomparvero dietro il pannello scorrevole.

-Mia cara, hai uno dei tuoi incantesimi con te? Vorrei mandare un messaggio a Re Garon immediatamente.- domandò la Regina, ed Orochi annuì, spalancando immediatamente la borsa che portava sempre con sé.

-Ma certo.- affermò, estraendo immediatamente un rotolo di pergamena che Zoe sapeva essere imbevuto di magia, una penna e un calamaio. Sua madre si avvicinò a lady Mikoto, passandole accanto e sfiorandole appena il braccio con una carezza accennata, delicata come un alito di vento.

Dei, quanto avrebbe voluto un abbraccio della sua mamma.

Zoe digrignò i denti, scacciando quel pensiero e reprimendo le lacrime che le bruciarono repentinamente negli occhi: non aveva tempo di concentrarsi su quelle cose, in quel momento. C’era qualcuno che aveva bisogno di lei, Ileana aveva bisogno di lei, e lei non avrebbe fallito.

Aveva promesso.

-Ecco!-

-Meraviglioso.- ringraziò Mikoto, ed Orochi si ritirò immediatamente, spostandosi appena dietro a Kaze. -Ileana, posso sedermi accanto a te? Vorrei che tu vedessi che cosa sto per scrivere.-

Zoe s’irrigidì, ma si morse la lingua quando Ileana rispose prima che lei potesse intervenire di nuovo.

-Io… sì, può andare.-

-Ottimo.-

Per qualche minuto, gli unici suoni in quella stanza furono quello del pennino che grattava sulla pergamena e il respiro irregolare di Ileana; Zoe si concentrò su quello, su quegli ansiti affannati e sugli occasionali singhiozzi che sfuggivano alla principessa, perché se avesse pensato a qualsiasi altra cosa sapeva che non sarebbe stata in grado di rimanere impassibile.

Rimase immobile, aggrappata alla sua spada, l’unica ancora in quel mondo che improvvisamente aveva perso tutto ciò che lei aveva sempre considerato stabile e inamovibile – Takumi sembrava aver perso se stesso, la Regina non sapeva come comportarsi, Ryoma sembrava ancora più confuso di lei… e poi, dov’erano finite tutte le sue paure, quelle che l’avevano inseguita durante il viaggio per giungere a Suzanoh?

Aggrottò le sopracciglia, perplessa.

Non ci aveva pensato, fino a quel momento, troppo impegnata a cercare di sistemare i danni che Takumi aveva fatto, ma… perché il pensiero di avere davanti la bambina di cui aveva così pochi ricordi, ma per cui aveva combattuto così tanto, non l’aveva nemmeno sfiorata?

Si era aspettata che tutte le sue antiche ossessioni – quelle che si erano celate nelle parole dei nobili, contro cui ogni giorno lei lottava per costringerle a tornare al loro posto, che aveva combattuto per forgiare nella determinazione di cui andava tanto fiera – sarebbero tornate a galla dinanzi ad Ileana, che avrebbe dovuto sopportare l’aggressione di quei pensieri velenosi ancora una volta, ma…

Il sospiro soddisfatto di lady Mikoto spezzò quella temporanea, fragile quiete, strappandola ai suoi pensieri.

-Vuoi che aggiunga qualcosa da parte tua? Cosicché sappiano che sei al sicuro?-

-Non…- Ileana esitò, e Zoe dovette lottare con se stessa per non lasciarsi sfuggire un sorriso: era quasi certa che, nella sua mente, Ileana stesse cercando qualcosa da aggiungere che non potesse compromettere nessuno dei suoi fratelli. -Solo… potrebbe dirgli che quando arriverà qui, andremo a guardare le stelle? Come ci eravamo promessi?-

Fu quello, più di qualunque altra cosa successa fino a quel momento, a spezzare il cuore di Zoe.

Ileana voleva soltanto andare a casa. Non aveva voluto nulla di tutto quel disastro, non aveva fatto niente per causarlo, e voleva soltanto tornare dall’unica famiglia che avesse mai conosciuto…

Strinse i denti, ignorando il disgusto sul volto di Takumi e l’occhiata dispiaciuta che Ryoma le rivolse, mentre qualcosa di nuovo – un nuovo obiettivo, una nuova speranza, una nuova battaglia – si fece bruscamente largo fra i suoi pensieri, spazzando via tutto il resto: in qualunque modo, a qualunque costo, lei avrebbe fatto in modo Ileana potesse tornare a casa sana e salva.

Che cosa importava, in fondo, che fosse o meno una principessa di Hoshido? Lady Mikoto non l’aveva cresciuta, Ryoma e gli altri non erano i suoi fratelli, lei stessa era una perfetta sconosciuta per Ileana – e come poteva essere diverso, se nessuno le aveva mai raccontato dell’incidente di Cheve, se nessuno le aveva mai parlato di Re Sumeragi, della trappola che era stata tesa, delle urla della bambina che Zoe era stata quando gliel’avevano strappata dalle braccia?

…non meritava di tornare nel posto che chiaramente amava tanto, che considerava la sua casa, da coloro che erano la sua famiglia?

Magari, se quel disastro si fosse risolto, Ileana avrebbe potuto visitare Shirasagi, ogni tanto… magari Zoe non avrebbe dovuto dirle addio così presto. Magari sarebbe tornata, magari sarebbe riuscita a sistemare quell’orrendo disastro che Takumi aveva fatto, magari sarebbe andato tutto bene.

Ma adesso non importava.

Adesso l’unica cosa importante era che Ileana si sentisse al sicuro, che il Principe Xander arrivasse per cancellare il terrore e la tristezza che quei giorni orribili avevano inciso su di lei.

-Ma certo.- sentì annuire Mikoto, poi altre parole, altro inchiostro, una promessa. -Ecco. Il Re dovrebbe averlo già ricevuto. Hai avvertito l’incantesimo, vero?- domandò, ma l’unica risposta di Ileana fu un debole mugolio di assenso.

-Devi essere davvero una maga di eccezionale talento.- mormorò, con dolcezza, lady Mikoto, ma ancora nessuna risposta giunse da parte di Ileana – doveva essere così stanca… -Adesso, se per te va bene, vorrei tornare a Shirasagi mentre ci organizzeremo per incontrare il Principe Ereditario. Saremo tutti più a nostro agio, là, e tu potrai ricevere cure e riposare prima di ripartire.-

Finalmente, Zoe si voltò, cogliendo un tono definitivo nella voce della Regina: voleva soltanto uscire di lì, portare Ileana in un posto più tranquillo dove avrebbe potuto riposare – e, dall’espressione di Kaze, comprese che anche lui non ne poteva davvero più di tutto quel disastro.

-I-Io… io non…-

Ileana non voleva andare a Shirasagi. Perché non potevano rimanere lì, aspettare il principe di Nohr a Suzanoh? Shirasagi non era il posto ideale per lei, non con tutto quello che avrebbe comportato il ritorno della principessa perduta…

-Milady.-Kaze, che era rimasto per tutto il tempo accanto alla sedia su cui si era raggomitolata Ileana, s’inginocchiò dinanzi a lei, trovando Hotoke soltanto sapeva come la forza di rivolgerle un sorrio rassicurante. -Avete davvero bisogno di rimettervi in sesto.-

-Io…- Ileana guardò Zoe, confusa, ma anche lei sorrise, incoraggiante, sebbene detestasse quell’idea ancor più di quanto avesse odiato quella di costringere Ileana a parlare immediatamente con la Regina. -…va bene.-

-Perfetto.- lady Mikoto si alzò in piedi, lentamente, cercando di non fare movimenti bruschi per non spaventare Ileana. -Adesso credo che tu abbia davvero un gran bisogno di riposo. Kaze, Zoe?- chiamò, alzando lo sguardo stanco sui due guerrieri. -Posso chiedervi di portare Ileana in una delle stanze nell’ala residenziale?-

-Certo, lady Mikoto.- annuì lei, mentre Kaze si occupava di aiutare Ileana ad alzarsi, lasciando che gli si aggrappasse alla spalla perché ormai, ed era maledettamente chiaro, non aveva più nemmeno la forza di stare in piedi.

-Da questa parte, lady Ileana.-lo sentì mormorare mentre le passavano accanto, cogliendo il gesto protettivo con cui le accarezzava la schiena.

-Aspettate.-

Zoe sobbalzò, colta di sorpresa dalla voce profonda che li richiamò indietro: si voltò, esasperata, e vide che Ryoma si era avvicinato per fermarli, l’espressione terribilmente seria e tormentata. -Devo farti una domanda, Ileana.-

-Ryoma, no.- si sentì grugnire, sgranando gli occhi nel momento stesso in cui si rese conto di cosa aveva appena fatto – diamine, non riusciva davvero a tenere la bocca chiusa e a ricordare che non aveva alcun diritto di rivolgersi ai reali in quel modo, oggi. -Non mi sembra il caso.- aggiunse, però, cercando di rivolgergli un’occhiata di scuse ma rimanendo comunque al suo posto, a metà fra Ryoma ed Ileana.

-Mi spiace, ma non posso rimandare oltre.- replicò lui, pacato – evidentemente si erano dimenticati anche loro che lei non era proprio nessuno per parlargli così –, girandole intorno per avvicinarsi a Kaze. -Ileana.- chiamò, dolcemente, aspettando fino a che lei non si voltò per guardarlo. -Cos’è successo all’Abisso?-

Zoe soffocò un versaccio, perché forse sarebbe stato davvero tirare troppo la corda, avvicinandosi di qualche passo per affiancarsi al principe – magari vederla avrebbe aiutato Ileana a non andare di nuovo nel panico, visto che Ryoma non aveva proprio l’aspetto più rassicurante del mondo agli occhi di chi non lo conosceva.

-Io…- Ileana, esausta com’era, chiuse gli occhi per qualche attimo, prima di stringersi alla spalla di Kaze per aiutarsi a rimanere in piedi. -Io non ho dato alcun ordine di attaccare. Ho soltanto mandato in avanscoperta una pattuglia, guidata da un ottimo guerriero… che è stato l’unico a tornare.-

-Quindi nessun attacco era stato preventivato?-Ryoma insistette e Zoe davvero avrebbe voluto prenderlo a gomitate, adesso, perché avrebbe potuto farle quelle domande in qualsiasi altro momento e non quando non era nemmeno in grado di reggersi in piedi.

Oppure no, le suggerì uno strano istinto nella sua mente.

Forse Ryoma aveva deciso di tirar fuori quel discorso proprio perché Ileana, in quello stato, non sarebbe mai stata in grado di mentire; forse anche lui era arrivato alla conclusione che quella ragazza non poteva ricordarsi di loro ed era solamente capitata nel posto sbagliato al momento sbagliato… e chissà cos’altro stava pensando, sotto quella massa di capelli. Di sicuro, rifletté Zoe, aveva i suoi buoni motivi, ma…

-No.-

Quella risposta sembrò essere tutto ciò che Ryoma stava aspettando. Sorrise, incoraggiante, ringraziando Ileana con un gesto gentile della testa, prima di raddrizzare la schiena tanto in fretta da impedire a Zoe di accorgersi dell'ombra scura sul suo volto; si diresse alla porta, aprendola con tanta rapidità da far sobbalzare Ileana e sorprendere persino lei.

-Saizo, Kagero.- chiamò, seccamente; i due ninja si materializzarono in un istante dinanzi al loro Principe, inchinandosi profondamente prima di rivolgergli la loro piena attenzione – ma certo, dovevano aver sentito tutto, gemette Zoe fra sé, perché nemmeno le loro espressioni accuratamente neutre potevano nascondere il dispiacere negli occhi di Kagero e la fredezza in quelli di Saizo.

Zoe impallidì, evitando accuratamente lo sguardo del suo maestro: al contrario della Regina e di Ryoma, Saizo sembrava spietatamente conscio di quanto fossero state eclatanti le sue ripetute mancanze di rispetto – oh, dei, come minimo stavolta l'avrebbe ammazzata, se le avesse messo le mani addosso.

-Portatemi gli averi di mio fratello.- ordinò Ryoma, con tanta freddezza da strappare Zoe ai suoi tetri presagi di morte e riportare la sua attenzione su di lui.

Alle sue spalle, Takumi gemette, ma lei si rifiutò di voltarsi o, addirittura, di chiedersi che cosa significasse quel suono: era palese, dalla voce tagliente di suo fratello maggiore, quanto lo aspettasse una lavata di capo con i controfiocchi, ma lei non trovò nemmeno una briciola di dispiacere al pensiero.

-Hinata, Oboro.- continuò, Ryoma, ignorando la reazione di suo fratello, quando Saizo e Kagero scomparvero fra le ombre. -Voi aspettate qui. Dovrò parlarvi, dopo.-

Zoe udì a malapena i flebili “sì, lord Ryoma” che i suoi amici mormorarono – ah, quindi anche loro avevano sentito tutto: la sua intromissione, l'isteria di Takumi, la crisi di nervi di Ileana...

Zoe digrignò i denti, appiattendo le orecchie contro il cranio. Quella povera ragazza doveva essere così stanca… oh, ma perché Ryoma non aveva potuto aspettare che loro se ne andassero per fare la sua tirata? Possibile che non vedesse quanto quella poveretta fosse esausta e avesse bisogno di andarsene da lì!?

-Zoe.- finalmente, finalmente si decise a rivolgersi a lei, proprio quando la sua pazienza aveva ormai raggiunto il limite.

-Oh, bene, hai finito.- borbottò, superandolo con un'occhiataccia ma ottenendo, in risposta, soltanto uno sbuffo e un amaro, mezzo sorriso a cui lei rispose alzando gli occhi al soffitto, esasperata.

Kaze si fermò soltanto per rivolgendogli un rispettoso cenno con la testa prima di avviarsi, tenendo Ileana sempre stretta al petto, e Zoe lo seguì, dando le spalle a tutti i presenti in quella stanza: tuttavia, prima di richiudersi la porta alle spalle, le sue orecchie attente colsero un mormorio soffocato che fece stridere dolorosamente qualcosa, dentro di lei… ma mai come in quel momento fu grata di avere un udito più fine del normale, perché davvero non avrebbe voluto che Ileana sentisse la voce dolce e triste di lady Mikoto sussurrarle quelle poche parole tormentate.

-Dormi bene, bambina mia.-

.

§

.

Le porte dell’avamposto di Suzanoh non sembravano così resistenti come il resto della struttura. Per un istante, Zoe cullò l’idea di scardinarne almeno un paio – fragili e sottili com’erano, non sarebbe stato difficile –, ma non sarebbe stato così soddisfacente, e gli dei soltanto sapevano quanto aveva bisogno di sfogare la rabbia che avvertiva premere agli angoli del suo campo visivo, che rendeva tutto più confuso e spennellava ciò che aveva intorno di nero e di rosso.

Il pavimento ticchettava sotto i suoi passi pesanti, ma non aveva proprio nessuna voglia di misurare ogni movimento per non fare rumore: voleva fare rumore, voleva spaccare qualcosa nella speranza che le sue mani smettessero di tremare, ma sapeva che urla e strepiti avrebbero soltanto disturbato Ileana, ora che finalmente si era addormentata.

Era rimasta con lei fino a pochi minuti prima. Lei e Kaze l’avevano accompagnata in una delle stanze più confortevoli dell’intera fortezza, avevano socchiuso le persiane per impedire alla luce del Sole di disturbarla ma lasciando che uno spiraglio di luce mantenesse visibile l’ambiente – era stata un’idea di Kaze, per impedire che l’oscurità completa ricordasse a Ileana le segrete – ed erano rimasti al suo fianco fino a che il suo pianto non si era estinto nel sonno che il sonnifero preparato dal Maestro Ninja aveva misericordiosamente fatto calare su di lei.

Kaze era davvero una benedizione giunta dagli dei.

Lei aveva fatto fatica a controllarsi, aveva reagito d’istinto, aveva probabilmente fatto dei danni più grossi di quanto le interessasse pensare, mentre Kaze era rimasto lucido dall’inizio alla fine – e non soltanto di quel giorno, ma dell’intero disastro, fin dall’Abisso: aveva ormai capito, Zoe, che Kaze non aveva perso la calma nemmeno una volta, durante quel viaggio… si era premurato di rimanere nei paraggi di Ileana, aveva probabilmente spinto Hinata ad intervenire quando Takumi aveva esagerato, si era rifugiato nell’impenetrabile oscurità delle segrete per farle compagnia e anche adesso, in quel momento, le era accanto, a vigilare sul suo sonno.

Era una persona migliore di lei, Kaze, ma Zoe non poteva che esserne felice: era con Ileana e questo significava che Ileana era al sicuro, che nessuno l’avrebbe più disturbata o spaventata… ed era l’unica sicurezza che, adesso, Zoe poteva sperare di avere.

Lei, in quel momento, mentre tutto ciò che era successo durante quella lunga giornata turbinava nella sua mente, era perfettamente conscia di non essere abbastanza calma per fare lo stesso: Kaze stesso le aveva suggerito di uscire da quella stanza, le aveva assicurato che avrebbe vegliato sulla principessa e che si sarebbero dati il cambio al suo ritorno, le aveva assicurato che non si sarebbe arrabbiato con lei se si fosse assentata per un po’ – e lei aveva obbedito, grata, perché nel momento stesso in cui Ileana aveva chiuso gli occhi tutto ciò che era successo le si era rovesciato addosso, ghiacciandole le mani e confondendole i pensieri.

Aveva probabilmente soltanto reagito male al calo della tensione, quando ogni motivo per rimanere tesa e all’erta si era estinto nel sospiro profondo che Ileana aveva fatto nel momento in cui era crollata, esausta, nel mare di cuscini che Zoe le aveva sistemato attorno. Avrebbe dovuto calmarsi, perché sì, era sempre stata una persona incline agli scoppi di collera, ma non aveva mai sperimentato una furia di tale entità – non aveva mai visto le proprie mani tremare in quel modo, né aveva mai sentito i pensieri vacillare mentre qualcosa di prepotente e distruttivo sembrava agitarsi nella sua mente, assordandola col suo incessante ruggito.

Forse avrebbe dovuto cercare Saizo. I suoi aspri rimproveri, forse, sarebbero stati sufficienti per annegare quel mostro neonato nel senso di colpa e nella vergogna… o forse l’avrebbero soltanto fatta arrabbiare di più, perché non c’era nemmeno una briciola, in lei, che provasse rimorso per quello che aveva fatto.

Aveva fatto la cosa giusta.

Aveva protetto una ragazza innocente, e questo era tutto ciò che le importava: si sarebbe comportata nello stesso identico modo anche se al posto di Ileana si fosse trovato chiunque altro, perché niente, in lei, avrebbe potuto lasciare che la bestia che aveva preso il posto di Takumi continuasse a infierire su qualcuno di indifeso…

Takumi non c’era più.

Era l’unica spiegazione che avesse senso, l’unica che potesse dare una parvenza di logicità ad una situazione che in realtà aveva perso ogni traccia di razionalità da parecchio: Takumi, il suo Takumi, era sparito, e un mostro crudele e pieno di una rabbia cieca aveva preso le sue sembianze. Non poteva essere altrimenti.

…dei, sarebbe stato così facile credere a quella bellissima bugia, perché la verità era molto più dura da affrontare e lei non era certa di essere in grado di sopportarla.

Aveva cercato di uccidere la sua stessa sorella.

Di più: lo aveva fatto sotto lo sguardo sconvolto di sua madre, davanti al fratello che idolatrava e anche a lei, a cui aveva detto soltanto qualche ora prima che… che avrebbe voluto…

Zoe scosse la testa, continuando imperterrita a mordicchiarsi nervosamente l’interno della guancia, ignorando il sapore metallico del sangue sulla lingua quando si ferì con i suoi stessi denti; non doveva pensare alle parole che Takumi le aveva detto prima di portarla da Ileana, prima che tutto andasse allo sfacelo – era molto più semplice continuare a concentrarsi sulla delusione che provava nel pensare a ciò che aveva fatto ad Ileana, quella era una rabbia giusta, che aveva tutti i diritti di provare: se si fosse permessa di indugiare su altro, su quanto l’avesse spaventata il modo in cui Takumi aveva guardato lei, sapeva che non sarebbe più stata in grado di ignorare quanto male le avessero fatto le sue parole ed i suoi gesti.

E poi non aveva proprio tempo di mettersi a frignare, a dirla tutta. Non quando aveva qualcosa di molto più importante da fare.

Sospirò, sfregandosi stancamente il viso, costringendosi a guardarsi intorno per capire dove i suoi passi nervosi l’avessero portata: quel dannato posto era tutto uguale, e non si sarebbe nemmeno sorpresa di essere finita nelle vicinanze del salotto dove si era consumato quell’assurdo dramma familiare che sarebbe stato così facile evitare – e sì, in effetti quel corridoio le sembrava familiare, non doveva essere poi così lontana, ma prima che potesse decidere di avvicinarsi a sufficienza per origliare i rimproveri di Ryoma un assordante suono di passi tutt’altro che felpati la distrasse, attirando la sua attenzione appena in tempo per permetterle di distinguere la figura di Takumi in fondo al corridoio.

...avrebbe davvero dovuto cercare Saizo.

Takumi camminava con il suo stesso passo rumoroso ed arrabbiato: non sembrava conscio della presenza di qualcun altro e borbottava fra sé e sé qualcosa di incomprensibile, lo sguardo rivolto verso il basso e i pugni stretti sulla stoffa della sua mantella; se fosse stata più intelligente, più furba, Zoe si sarebbe ritirata nelle ombre, lasciando che lui la superasse senza accorgersi di lei e rimandando qualunque discussione ad un altro momento, ma…

Ma, impressi a fuoco nella sua mente, c’erano ancora gli occhi colmi di paura di Ileana.

Uno strano gorgoglio le vibrò in gola, ma soltanto quando si accorse di aver scoperto i denti e di aver appiattito le orecchie fra i capelli comprese di essere sul punto di mettersi a ringhiare.

Che cosa accidenti stava facendo!?

D’accordo, era sempre stata piuttosto selvatica, ma ringhiare non era una reazione un po’ eccessiva?

Deglutì, tentando di calmare quell’improvviso bisogno di esternare tutta la propria frustrazione in quel modo tanto animalesco: lei era una persona e come tale doveva e voleva comportarsi, maledizione, non era una bestia selvaggia!

-Zoe…?-

Quasi poté udire il suono della sua fragile pazienza che andava in mille pezzi.

-Tu.- soffiò, e per un istante quel ruggito fu quasi sul punto di prendere il sopravvento su di lei, offuscandole la vista per un lunghissimo attimo prima che riuscisse a riscuotersi quel tanto che bastava per mettere a fuoco l’espressione frustrata di Takumi.

Takumi sbuffò, ignaro della battaglia che aveva imperversato dentro di lei nel tempo di un respiro, alzando gli occhi al cielo e fermandosi a pochi passi da lei.

-Senti, non ho proprio voglia di litigare anche con te, quindi__-

Zoe digrignò i denti, esasperata.

-Il tuo “quindi” puoi anche infilartelo su per il culo.- grugnì, infilandosi bruscamente le mani nelle tasche dei pantaloni per resistere alla tentazione di prenderlo a pugni, ignorando la smorfia oltraggiata che lampeggiò sul volto di lui in risposta al suo linguaggio piuttosto colorito. -Dimmi che sei impazzito. Dimmi che hai preso una botta in testa e ti sei dimenticato di essere una persona decente.- continuò, e parte di lei avrebbe disperatamente voluto sentire quelle parole, sentirsi dire che sì, aveva perso la testa, che era mortificato per quello che aveva fatto e che avrebbe passato la vita a cercare di farsi perdonare… ma, ovviamente, le sue ultime speranze si frantumarono quando, nel momento in cui i loro sguardi si incrociarono, nei suoi familiari occhi dorati Zoe non scorse nemmeno una briciola di pentimento.

-Ho fatto quello che dovevo fare.- affermò, seccato, scoccandole un’occhiata talmente piena di sdegno e di disgusto da farla quasi sentire sporca.

Un versaccio molto simile a quel ringhio che aveva trattenuto le risalì in gola, e prima di accorgersi di essersi mossa si ritrovò ad un soffio da quel viso che le sembrava irriconoscibile, che non aveva niente di quello del ragazzo che adorava, a fissare quelle iridi colme di compatimento.

-Quello che dovevi fare era comportarti come un essere umano, e non come un mostro!-

Stava strillando, stava strillando come un’isterica e non poteva farci niente: voleva soltanto che Takumi tornasse in sé, che capisse che razza di orribile, orrenda bestia era stato con Ileana, che comprendesse l’orrore delle proprie azioni…

Dei, faceva così male guardarlo e non riuscire a riconoscerlo.

Takumi si strinse nelle spalle, facendo un passo indietro e serrando le labbra, indispettito.

-Quella cagna non si meritava altro che__-

Oh, quello era davvero troppo.

-BASTA!-

Con uno scatto fulmineo, più rapida di quanto avesse potuto pensare di essere, Zoe sentì il proprio braccio muoversi quasi di propria volontà: percepì i muscoli tendersi, la spalla piegarsi, le dita stringersi – e, un istante più tardi, vide il proprio pugno abbattersi con violenza sulla faccia di Takumi.

Crack!

-EHI!- strillò lui, sconvolto, quando Zoe balzò indietro per evitare gli schizzi di sangue e per recuperare l’equilibrio che quello slancio repentino le aveva quasi fatto perdere. -Mi hai dato un pugno!- esclamò, incredulo, ma lei si limitò a sbuffare, furente.

-Ne vuoi un altro? Sono abbastanza nervosa da andare avanti tutto il giorno!- lo invitò, massaggiandosi il pugno e osservando con amara soddisfazione il sangue di Takumi che le aveva macchiato le nocche.

Gli aveva dato un pugno. Gli aveva davvero dato un pugno!

Prima che lui potesse rispondere – o che lei potesse fermarsi a pensare a quello che aveva appena fatto – gli si accostò di nuovo, raddrizzando le spalle per ergersi in tutta la sua altezza e fermandosi soltanto quando lo sguardo confuso e allarmato di Takumi fu tutto ciò che poté vedere.

-Si meritava di essere insultata, quindi?- ringhiò, calcando sulla stessa parola che lui aveva usato poco prima, udendo nelle proprie parole lo stesso veleno che aveva venato i disperati tentativi di Ileana di proteggersi da lui.

-Di essere minacciata?-

Ed erano state minacce imperdonabili, minacce che avrebbero lasciato il loro segno, che non sarebbero mai svanite del tutto.

-Di essere ridotta in quello stato?-

L’aveva ridotta alla fame, alla sete, a non saper più distinguere la realtà dalle allucinazioni – quale razza di persona poteva fare una cosa del genere ad un’innocente?

-Se lo meritava davvero?-

Nessuno, nessuno se lo sarebbe meritato – a parte quei mostri di cui Saizo le aveva parlato e che le aveva mostrato anni prima, gli schiavisti, i pervertiti disgustosi che rapivano i bambini, ma… quelle in fondo non erano persone, no?

“Sei troppo buona per questo mondo.”

Quelle parole distanti, che appartenevano ad un passato recente eppure ormai tanto lontano da essere inafferrabile, la fecero trasalire.

Era stato Ryoma, mesi addietro, ad affermare quella realtà in risposta ad un’obiezione che Zoe aveva fatto quando, ficcanasando come aveva fatto sin da bambina nel lavoro dell’Alto Principe, aveva chiesto spiegazioni su un trattato con il vicino principato di Mokushu che Ryoma le aveva permesso di leggere.

Lui le aveva spiegato pazientemente le motivazioni dietro alle richieste piuttosto rigorose che Zoe aveva scorto e, sebbene la logica di quelle scelte fosse chiara e lei non avesse avuto alcuna difficoltà a comprenderla, si era comunque sentita a disagio, i pensieri che correvano a quanto sarebbero costati quei trattati alla gente comune nonostante si fosse trattato di misure che avrebbero assicurato molta più stabilità ad entrambi i regni.

Sì, lei era probabilmente troppo buona, e non avrebbe mai imparato ad accettare i costi che derivavano dalla politica, dalla guerra, dai dissapori fra i regni, ma… non era così certa di voler cambiare.

Non se significava diventare come Takumi.

Il versaccio del principe la riportò alla realtà, davanti a quel ragazzo che l’aveva sempre spinta a coltivare quel suo bisogno di vedere sempre il meglio delle persone ma che, adesso, aveva voltato le spalle a tutto ciò che di giusto e di buono lei aveva sempre scorto in lui.

Dei, dov’era andato a finire il Takumi a cui lei voleva così tanto bene?

-È incredibile. Hai già voltato le spalle a chi ti ha sempre voluto bene, ora che c’è lei.-

Takumi sputò quelle parole con rabbia, con odio, allontanandosi da lei e distogliendo lo sguardo non appena ne fu in grado, sfregandosi la manica della divisa da Cecchino sul volto per cancellare le tracce di sangue dal naso rosso e gonfio. -Da te mi aspettavo di più.- mormorò, ma Zoe non si lasciò fermare da quel subdolo tentativo di ferirla: incrociò le braccia e alzò la testa, nonostante affrontare proprio lui si stesse rivelando più doloroso di quanto avesse potuto immaginare.

-Potrei dire lo stesso di te.- ribatté, e gli dei soli sapevano quanto fosse vero, quando le facesse male vedere che razza di persona orribile si era nascosta per anni dietro Takumi, quanto fosse orribile rendersi conto di non aver saputo vedere niente di tutto quello fino a che non era stato troppo tardi.

Ryoma aveva avuto ragione, in fondo. Quel suo animo gentile, alla fine, l’aveva resa cieca.

-Mi fai schifo.- mormorò, e furono le parole più sofferte che avesse mai detto in tutta la sua vita, in cui lei stessa percepì echeggiare il suono del suo cuore che si spezzava – ma non importava, poteva sopportarlo, avrebbe potuto sopportare qualunque cosa se affrontare quel rancore avesse significato farlo ragionare e riportarlo alla ragione…

Ma Takumi sorrise.

Sorrise con quel sorriso cattivo e pieno di veleno che lei lo aveva visto rivolgere ad Ileana, con gli occhi colmi della stessa aggressività che aveva rivolto a Zoe quando lo aveva fermato, e Zoe avrebbe disperatamente voluto scappare via, lontano da quella persona che, soltanto guardandola in quel modo tanto orribile, la pugnalava dritto in mezzo al petto.

Eppure non poteva. Non poteva, non si sarebbe mossa, non si sarebbe arresa, non avrebbe rinunciato a lui.

-Sai una cosa? Perché ora che hai una protetta non cominci a comportarti come una serva e taci, finalmente?-

Però scappare le avrebbe risparmiato almeno quello.

Forse Takumi la vide impallidire, forse vide qualcosa sbriciolarsi nei suoi occhi e la sua espressione farsi di pietra. Fece immediatamente un passo indietro, coprendosi la bocca con una mano come se non credesse a ciò che aveva appena detto, ma Zoe non riuscì a scorgere il colore scivolare via dal suo volto, le sue iridi dorate allargarsi.

-Oh, maledizione…- mormorò, e se Zoe fosse stata in grado di sentirlo avrebbe udito la sua voce, la voce che lei conosceva, piena di rimorso e di dispiacere – se avesse potuto vederlo, oltre quella cappa buia e impenetrabile che era calata sui suoi occhi nel momento stesso in cui il principe aveva aperto bocca, avrebbe scorto di nuovo il suo sguardo gentile, quello che aveva cercato fino a quel momento.

Ma lei non era lì, adesso.

I suoi pensieri erano tornati indietro, da quei due bambini che tante volte si erano addormentati l’uno sulla spalla dell’altra. Si erano rifugiati nel ricordo di quei ragazzini turbolenti che si allenavano con le spade di legno, e si erano nascosti nell’abbraccio di quei giovani che si erano confidati così spesso i reciproci timori nei confronti di futuro scabroso e pieno di incertezze.

Avrebbe voluto dire a quella ragazza, a quella bambina, di scappare. Avrebbe voluto prenderla fra le braccia e stringerla forte, proteggerla dal dolore che sarebbe infine giunto a colpirla per mano del ragazzino dai capelli d’argento che le aveva promesso di volerle bene per sempre.

Una serva.

Quindi era questo che pensava davvero di lei.

Strinse i denti con così tanta forza da sentirli stridere, da provare un dolore pungente quando si accorse di essersi morsa l’interno della bocca fino a farlo sanguinare un’altra volta: il gusto del sangue le riempì la bocca e per un istante ci fu soltanto quello, nella sua testa, quel sapore metallico che la distrasse a sufficienza per permetterle di tornare in sé appena in tempo per ricacciare indietro le lacrime che avevano già cominciato a bruciarle gli occhi.

-Zoe, io non…-

No.

Non poteva pensarci adesso. Non poteva crollare adesso. Non poteva lasciare che vedesse quanto male le aveva appena fatto… e quanto male aveva fatto alle due guardie reali che erano appena apparse in fondo allo stesso corridoio da cui era venuto lui, con il peggior tempismo che Zoe avrebbe mai potuto immaginare.

Hinata aveva sgranato gli occhi e spalancato la bocca, sconvolto, mentre Oboro, al suo fianco, era impallidita in un istante: l’insulto pesante e orrendo che Takumi aveva appena rivolto a Zoe non riguardava soltanto lei, ma comprendeva tutti coloro che avevano fatto del ruolo di guardia reale e del proprio signore gli scopi della propria esistenza.

Loro non erano servi.

Essere una guardia reale non significava essere servi: era un onore, un titolo da portare con orgoglio, una missione – e, per gli dei, non gli avrebbe permesso di infangare oltre quel ruolo tanto onorato, né di offendere oltre le due persone che, per lui, avrebbero dato la vita senza esitare.

-Complimenti.- balbettò, incespicando per un istante prima di aggrapparsi disperatamente allo sguardo ferito di Hinata, alla sua presenza, alla speranza di poter andare da lui e abbracciarlo e di poter lenire almeno un poco il dolore che Takumi gli aveva appena inferto. -Hai appena ferito le uniche persone al mondo che hanno la forza di sopportarti.- sottolineò, sforzandosi di infondere una sicurezza che non aveva nella propria voce, sforzandosi di spingere da parte tutto ciò che non fosse lo sguardo spezzato del suo amico.

Lei avrebbe potuto gestirlo, avrebbe potuto affrontarlo, ma né Hinata né Oboro meritavano un’offesa del genere.

E per loro – per Hinata – non avrebbe pianto.

Rimase sorpresa quando un sorriso feroce si stirò sulle sue labbra: non pensava davvero di essere in grado di farlo, ma approfittò di quel momentaneo lampo di coraggio e si avvicinò a Takumi, puntando un dito contro il suo petto con una veemenza tale da farlo sobbalzare.

-Sai, hai ragione. Penso che appena Ileana si sveglierà le chiederò di accettare il mio giuramento, e spero davvero che il suo primo ordine sia quello di prenderti a calci.- gli annunciò, a voce abbastanza alta perché Hinata e Oboro la sentissero, e scattò indietro nel momento stesso in cui Takumi provò ad allungare una mano per trattenerla.

-Zoe…- cominciò, ma quando Zoe percepì il tocco leggero delle sue dita sul dorso della mano quel ruggito animalesco tornò in suo soccorso, strepitando dentro di lei con una furia tale da renderle impossibile trattenersi.

-Non toccarmi! Non osare toccarmi!- abbaiò, stringendosi al petto il braccio e rivolgendogli la più infuocata delle occhiatacce.

Lo aggirò, trattenendosi dallo spintonarlo perché il disgusto che provava all’idea di sfiorarlo surclassava persino il desiderio di picchiarlo, e distolse lo sguardo, rivolgendo la sua attenzione ad Hinata e ad Oboro.

Doveva andarsene via, il più lontano possibile da lui.

-Voi due!- scattò, marciando verso di loro e afferrandoli entrambi per un braccio. -Visto che ci tiene tanto ad essere lasciato solo, lasciamolo solo!- sbottò, spingendo invece loro per costringerli a voltarsi e a precederla lungo il corridoio, in direzione opposta rispetto a dove Takumi, silenzioso ed immobile, era rimasto.

Hinata ed Oboro non si opposero, lasciando che lei li guidasse lontano da lì, lontano dal loro principe, lontano da quelle parole che ancora appesantivano l’aria, che rendevano così difficile respirare… e soltanto quando riuscì a trovare una maledetta finestra Zoe si fermò, superando i due amici per correre a spalancarla, lasciando che i raggi freddi di quel Sole invernale rischiarassero il corridoio altrimenti buio e opprimente.

Soltanto in quel momento, finalmente, poté respirare, riempiendosi la testa dell’odore familiare di quell’aria gelida che sapeva di casa.

Casa…

Avrebbe tanto voluto essere a casa, in quel momento. Avrebbe tanto voluto sentire le braccia di sua madre stringerla forte e scacciare via l’orribile sensazione di qualcosa che, dentro di lei, andava in cenere…

Chiuse gli occhi, costringendosi ad ignorare quelle urla disperate che echeggiavano nel suo petto: non era il momento, adesso, di lasciare che imperversassero liberamente anche fuori dalla gabbia della sua mente – sapeva benissimo che avrebbe rivissuto quei momenti fino allo sfinimento, nel buio fitto della notte, prima di addormentarsi, ma ora no, ora doveva fare quello che le riusciva meglio… ora c’era qualcuno che aveva bisogno di lei.

Fu uno sforzo assurdo riuscire a voltarsi, a ricomporre un’espressione composta sul suo volto, a sopportare lo sguardo sconsolato di Hinata senza andare in pezzi un’altra volta: non era abituata a vederlo in quello stato, ed era così maledettamente sbagliato che, in fondo allo stomaco, sentì l’ormai familiare groviglio di rabbia e frustrazione ringhiare sommessamente.

-Mi dispiace che abbiate sentito quel che ha detto.- si scusò, chinando la testa e abbassando le orecchie, mortificata. -Non parlava di voi.-

No, non si era riferito a loro.

Strinse i denti, costringendosi a respirare, a mantenere un’espressione quanto più possibile neutra; tuttavia, facendola sobbalzare, Oboro emise un versaccio, alzando gli occhi al cielo.

-Avrebbe potuto risparmiarselo comunque.- commentò, aspramente, la Maestra di Lancia, rivolgendole una smorfia ironica quando Zoe sgranò gli occhi.

-Oboro!- esclamò, infatti, esterrefatta: conosceva Oboro ormai da diversi anni e mai, mai una volta l’aveva sentita dire anche soltanto una parola di biasimo nei confronti di Takumi! -Hai detto qualcosa di vagamente negativo su di lui!-

Oboro incrociò le braccia, sbuffando e scoccandole un’occhiataccia. -Molto divertente.- la rimbeccò. -Non sono cieca, sai?-

Nonostante non provasse il minimo desiderio di sorridere, Zoe si sforzò comunque di stirare le labbra, di ricomporre il proprio viso in una smorfia che sperava potesse passare per ilare: le parole di Oboro, devota com’era a Takumi, valevano molto più di quanto tutt’e due avrebbero mai voluto comprendere… -Nutrivo qualche dubbio, perdona la mia malafede.- mormorò, una goccia d’ironia a colorarle la voce, prima di spostare la propria attenzione su Hinata. -Cosa voleva Ryoma da voi?-domandò, rammentando gli ordini di Ryoma di poco prima.

Hinata distolse lo sguardo.

-Rimproverarci per non aver impedito a Takumi di fare quello che ha fatto.- rispose, in un tono di voce talmente piatto ed avvilito da farle sgranare gli occhi – cos’aveva fatto Ryoma!?

-Ma non è colpa vostra se è un cretino.- sbottò, sbuffando quando Oboro emise un tenue, flebile verso di disapprovazione. -Sì, Oboro, è un cretino!- ripeté, scoccando alla Maestra di Lancia un’occhiata più esasperata che arrabbiata – era ammirevole, in fondo, la sua lealtà nei confronti di Takumi…

Non che lui se la meritasse.

Scosse la testa, scacciando quel pensiero e aprendo la bocca per rincarare la dose di insulti; tuttavia, con un gesto repentino ed insolitamente brusco, Hinata si avvicinò e la trasse a sé, zittendola, aggrappandosi a lei con forza quando Zoe sospirò e lo strinse fra le braccia, lasciando che lui si rifugiasse nell’incavo della sua spalla.

-Mi dispiace.- le sussurrò, ma Zoe scosse la testa, accarezzando gentilmente quei folti capelli bruni che non stavano mai al loro posto.

-Come ho detto, non è colpa vostra se è un cretino.- mugugnò, strappandogli qualcosa di molto simile ad una mezza risata mentre Oboro alzava gli occhi al cielo, esasperata.

-Invece ha ragione il tuo principe.- Hinata la strinse un po’ più forte, nascondendosi nell’incavo della sua gola pallida. -Dovevamo fermarlo – io dovevo fermarlo.-

Zoe, però, scosse la testa, tirandogli gentilmente un orecchio per rimproverarlo. -Non te l’avrebbe permesso.- replicò, percependo il suo stomaco contrarsi in un modo decisamente sgradevole quando, nella sua mente, il pensiero di cosa sarebbe potuto succedere ai suoi amici se si fossero intromessi fra Takumi e Ileana lampeggiò in uno sgradevole arcobaleno scarlatto.

-Avrebbe reagito anche peggio di…-

…di come aveva reagito con lei.

L’aveva insultata, l’aveva costretta ad aggredirlo per ben due volte, l’aveva umiliata di fronte ai suoi amici e l’aveva spinta ad offendere con il proprio comportamento i suoi tutori, le sue madri, Ryoma e persino la regina – e le aveva spezzato il cuore. Dei, le davvero aveva spezzato il cuore.

Sbuffò, chiudendo gli occhi ed inspirando l’odore familiare e gradevole di cui i capelli di Hinata erano intrisi, cercandovi disperatamente quell’ancora di calma e di serenità che tante volte era riuscita a calmarlo.

-Insomma, non sarebbe stato bello.-

Tacquero tutti e tre, ed un silenzio carico di parole non dette sembrò calare, per qualche istante, su di loro; fu Oboro, dopo una manciata di minuti, a spezzarlo, rivolgendosi di nuovo a Zoe.

-Come sta la principessa?- domandò, scostandosi nervosamente la frangia blu scuro quando Zoe, a dir poco sorpresa dal suo interessamento, la guardò con aria stupefatta. -Senti, non guardarmi così, non sono un mostro! Avrei fatto qualcosa se avessi saputo di quelle minacce!-

Hinata, nel buio del suo collo, sbuffò, distraendo Zoe un attimo prima che le sfuggisse una rispostaccia astiosa.

Oboro non stava mentendo, questo Zoe lo sapeva molto bene – ma sapeva anche che la sarta dai capelli blu non era intervenuta in tutte le altre occasioni, che non aveva provato il minimo rimorso quando Takumi aveva cominciato a comportarsi in quel modo disgustoso con Ileana, che probabilmente lei stessa aveva fomentato chissà quali scherni e cattiverie nei confronti della principessa prigioniera…

…ma non aveva la forza di litigare anche con Oboro, adesso.

-La principessa dorme.- sospirò, lasciando un’ultima carezza fra i capelli di Hinata prima di premere gentilmente una mano sulla sua spalla, invitandolo silenziosamente ad alzare la testa. -E io devo tornare da lei.- aggiunse, quando Hinata obbedì e alzò quei suoi begli occhi grigi per guardarla.

Annuì, il Maestro d’Armi, avvicinandosi ancora una volta per lasciarle un lieve, accennato bacio sullo zigomo, proprio sull’unica, vecchia cicatrice che si era ostinatamente rifiutata di sparire come tutte le altre.

-Passa da me, più tardi.- le sussurrò all’orecchio, arruffandole affettuosamente la frangia, e lei annuì: Hinata era uno dei suoi più cari amici e, probabilmente una delle persone che la conoscevano meglio in tutta Hoshido; a tutti e due avrebbe fatto bene trascorrere un po’ di tempo lontani da quel disastro che era venuto a crearsi fra principi, regine e principesse, e la prospettiva di trascorrere un po’ di tempo assieme a lui bastò a trasmetterle quel calore che, al momento, sapeva di non possedere.

Oboro emise un versaccio, probabilmente al limite della sopportazione – e, ad essere franchi, aveva resistito anche più del solito.

-Oh, per favore, baciatevi e basta, siete ridicoli!- esclamò, irritata, scoccando ad entrambi un’occhiataccia profondamente offesa.

-Oboro!- sbottò lui, arrossendo furiosamente e sciogliendosi dall’abbraccio di Zoe per voltarsi verso la Maestra di Lancia. -Ti ho già detto di piantarla con questa storia!- la rimproverò, chiaramente imbarazzato dalle insinuazioni della collega, ma Zoe, nonostante la stanchezza, si ritrovò a sorridere.

C’era stato un tempo, anni prima, in cui baciare Hinata era stato facile, in cui Oboro avrebbe avuto ragione nel punzecchiarli in quel modo… ma di quei baci che sapevano d’estate non esisteva altro che il ricordo, ormai, e del batticuore che li aveva spinti l’uno fra le braccia dell’altra non era rimasta altro che un’impronta impalpabile sulla pelle, l’ombra di due ragazzi che avevano cercato conforto in un’amicizia che, per fortuna, era uscita da quella storia forse anche più salda di prima.

-La pianterei se voi due non foste così disgustosamente carini!- Oboro, imperterrita, continuò ad infierire, ma Zoe si disse che, tutto sommato, Hinata avrebbe potuto occuparsene da solo – come aveva fatto in tutte le altre occasioni in cui Oboro li aveva presi in giro per quella sorta di relazione ormai morta e sepolta, perché sapeva che, se avesse lasciato parlare Zoe, lei e Oboro si sarebbero probabilmente prese a pugni.

Si ritirò fra le ombre della fortezza, silenziosa come soltanto un ninja poteva essere, celandosi alla vista dei suoi amici e sforzandosi di non scoppiare a ridere nel sentire Hinata balbettare non meglio identificate giustificazioni in risposta alle insinuazioni di Oboro.

Si voltò, sparendo con un guizzo nella soffocante penombra di quei corridoi asfittici, lasciandosi alle spalle ciò che era successo con Takumi perché, adesso, c’era qualcosa di ben più importante da fare.

C’era qualcuno che aveva bisogno di lei.

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Author's Space:

con un po' di (solito) ritardo eccomi ad aggiornare!

Le cose si stanno complicando un po' per tutti, vero? Zoe e Takumi si sono azzuffati, Ileana è sconvolta, la Regina ha il cuore a pezzi e le scelte che sono state fatte con Ileana in questo momento di sicuro avranno non poche ripercussioni su tutta la situazione, su di lei, su Zoe e su tutti quanti. Le bugie hanno vita corta, insomma!

Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto :)

Un abbraccio,

Clarisse&B

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Capitolo 6
*** Hiraeth ***


Aranyhíd

Hiraeth

(Welsh)

Un sentimento di lontananza, di distanza, non necessariamente da casa. Un forte desiderio di trovarsi in un altro posto.

.

.

Era così facile ubbidire agli ordini.

“Vai a dare un’occhiata alla situazione.”

Un ordine era chiaro, preciso, non poteva essere frainteso: non c’erano margini che avrebbero potuto essere valicati perché nelle parole stesse era insito tutto ciò che doveva fare, senza pensare, senza riflettere, senza chiedersi se ciò che stava facendo era giusto o sbagliato.

“Controlla che non ci sia nessuno nelle vicinanze e riportami la posizione di tutte le guardie e dei principi.”

Kaze era stato perentorio, chiaro, diretto: le aveva dato delle disposizioni ben precise e Zoe era stata più che felice di annuire docilmente, riprendersi la spada che aveva riposto al proprio fianco durante il suo turno di guardia e uscire dalla stanza in cui, immobile, aveva trascorso le ultime ore a vegliare il sonno agitato della principessa e quello leggero che Kaze si era finalmente permesso dopo giorni di vigilanza costante.

“E, se dovessi incontrare il principe Takumi di nuovo, torna fra le ombre.”

Quella era stata l’indicazione più importante di tutte: sapere che cosa avrebbe dovuto fare in quel caso, che cosa ci si sarebbe aspettato da lei in quella situazione, era l’unico conforto che desiderava – l’unico che aveva permesso a se stessa di ricevere, nonostante lo sguardo intriso di preoccupazione che Kaze le aveva rivolto quando era tornata da lui e da Ileana.

Pensava di essersi comportata bene, tutto sommato.

Non aveva pianto, non aveva parlato, non aveva riferito nulla di ciò che era successo: si era semplicemente accomodata accanto all’amico, ignorando le sue domande silenziose mentre lei si preoccupava di cambiargli l’ormai vecchio e liso bendaggio che gli avvolgeva una mano ferita – le erano sembrate bruciature da sfregamento, quelle, ma non si era data la pena di chiedergli come se le fosse procurate.

Kaze non aveva insistito più di tanto, per fortuna, e Zoe si era approfittata della sua evidente stanchezza per consigliargli di riposare mentre lei avrebbe montato la guardia; il Maestro Ninja non aveva potuto far altro che sospirare, costretto ad arrendersi davanti all’espressione troppo assente, troppo vuota, della ragazza che conosceva da tutta una vita.

Le aveva posto soltanto una domanda, prima di lanciare un’ultima occhiata preoccupata alla figuretta esile della principessa addormentata nella penombra dorata che avvolgeva quella stanza, prima di concedersi un piccolo, raro lusso e accomodarsi su una confortevole poltroncina foderata posta direttamente di fronte al letto di Ileana.

Hai litigato con il principe Takumi, vero?

, avrebbe tanto voluto sbottare Zoe in quel momento. Sì, aveva litigato con il principe Takumi e sì, il suo cuore era a pezzi a causa sua, a causa del disprezzo che aveva scorto in quello sguardo familiare, a causa delle parole colme di cattiveria che le aveva sputato addosso.

Ma non l’aveva fatto.

Aveva soltanto annuito, rapidamente, distolto lo sguardo dall’amico per gettare via le bende sporche e macchiate di sangue e sguainato silenziosamente la propria spada, posandola con delicatezza al proprio fianco e accoccolandosi in un angolo della stanza da cui poteva tenere d’occhio tanto la finestra quanto la porta.

Soltanto quando Kaze aveva chiuso gli occhi ed il suo respiro si era fatto più lento e regolare – tutti i ninja erano in grado di addormentarsi molto in fretta, e lei aveva sempre invidiato quell’abilità che non era mai riuscita a padroneggiare – e Ileana si era girata su un fianco, l’espressione finalmente pacificata, Zoe si era permessa di piangere.

Takumi.

Le nocche di una mano strette fra i denti per soffocare ogni rumore, le unghie dell'altra piantate fra i capelli e le ginocchia strette al petto, aveva versato tutte le lacrime che non si era permessa dinanzi a Takumi: aveva lasciato che l’umiliazione ed il dolore prendessero il sopravvento su di lei, aveva concesso loro di spazzare via ogni briciola del suo cuore dolente, si era abbandonata alla furia con cui le sue emozioni avevano imperversato nel suo petto fino a che non era rimasto più niente se non quel vuoto ovattato in cui, misericordiosamente, non aveva sentito più nulla.

Forse Kaze non aveva dormito affatto, rifletté: forse era rimasto lì, in silenzio, ad ascoltare il suo respiro affannoso e i suoi singhiozzi soffocati, rispettando il suo bisogno di solitudine perché sapeva bene che lei aveva sempre fatto così, che aveva sempre sfogato le proprie – tante, troppe, immense – debolezze soltanto quando nessuno avrebbe potuto vederla.

Quando si era svegliato, però, non le aveva detto nulla: le aveva fatto cenno di seguirlo nella stanzetta che fungeva da anticamera per la camera da letto e le aveva dato quelle poche, precise istruzioni che lei, senza una parola, aveva accettato con un cenno prima di dileguarsi nelle ombre sempre più lunghe del tardo pomeriggio – ed eccola lì, adesso, a camminare con un passo molto meno spedito e sicuro del solito, una mano appoggiata stancamente sull’elsa della spada e lo sguardo assente, la mente vuota, un dolore sordo nel petto.

Faceva ancora così male.

Sospirò, massaggiandosi stancamente le tempie.

Quella stanchezza abissale che era rimasta dopo quelle lunghe ore non sembrava essere stata in grado di acquietare del tutto l’agonia che sentiva ancora fremere in fondo allo stomaco, che sembrava essersi annidata nei suoi muscoli, inquieta come una bestia su cui era calato un sonno leggero e tormentato: il dolore era ancora lì, lo sapeva, e l’avrebbe torturata per molti giorni – notti – a venire, ma, perlomeno, adesso si sentiva molto più padrona delle proprie emozioni e del proprio temperamento.

Non avrebbe più pianto.

Odiava piangere, odiava mostrarsi debole, odiava rendersi conto di quanto il suo animo troppo tenero fosse così semplice da ferire; quello sfogo che si era concessa doveva essere l’ultimo, non aveva proprio voglia di lagnarsi ancora, aveva così tante cose a cui pensare che sarebbe stata soltanto un’inutile e dannosa perdita di tempo…

Il suono di una porta che scorreva la riscosse, facendole drizzare le orecchie e le spalle.

-Zoe?-

Ryoma.

Sbuffò, Zoe, sfregandosi furiosamente il viso per cercare di ricomporre quell’espressione seria e neutra dietro cui sperava di potersi trincerare davanti a lui; raddrizzò la schiena, prese un respiro profondo ed infine si voltò, pronta per affrontare quell’unica persona che sembrava essere sempre in grado di fare a pezzi ogni suo tentativo di nascondersi.

Eccolo lì, l’Alto Principe, sulla soglia di una stanza che Zoe presunse essere un qualche tipo di ufficio: non indossava più l'armatura e, al suo fianco, non era più appesa Raijinto – era strano vederlo così, con le occhiaie profonde sotto gli occhi e l’espressione esausta, più vulnerabile di quanto lei non avesse mai avuto occasione di scorgerlo.

Non doveva essere stata una giornata facile nemmeno per lui, si scoprì a pensare, sorprendendosi di non essere abbastanza provata da non accorgersi di quanto Ryoma sembrasse affaticato; non le piaceva affatto vederlo in quello stato, non le era mai piaciuto, ma una fitta di frustrazione parve pugnalarla quando si rese conto che non c’era proprio niente che avrebbe potuto fare per lenire un poco la cupezza incisa in quel volto che, negli anni, aveva visto scurirsi ogni giorno di più.

-Sì?- rispose, detestando quella voce che le uscì così palesemente rauca che chiunque si sarebbe accorto che aveva pianto e per tutti gli dei, Ryoma era l’ultima persona al mondo che meritava di vederla in quello stato.

-Stavo per venire a cercarti.- la informò e, come la guardò, Zoe comprese immediatamente di aver fallito almeno quanto lui nel nascondere il proprio turbamento: l’espressione preoccupata di Ryoma era la stessa che lei lo aveva visto rivolgerle tante volte, nel corso degli anni, sin da quella ormai lontanissima serata di tanti anni prima… e dovette distogliere lo sguardo, incapace di sopportare oltre la gentilezza in quegli occhi così familiari, così cari.

Annuì, rimanendo immobile quando lui si chiuse alle spalle la porta e la raggiunse, evitando di proposito di alzare gli occhi – aveva proprio una sfortuna assurda, oggi: prima Takumi ed ora lui, accidenti, ma non potevano proprio lasciarla in pace, quei dannatissimi principi!?

-Vorrei parlare con Ileana, se è sveglia. Mi accompagneresti?- le propose, aggrottando le sopracciglia quando lei, insolitamente quieta, si strinse nelle spalle e gli rivolse soltanto un breve cenno della testa, mentre sperava ardentemente che Ileana fosse ancora persa nel mondo dei sogni così come lei l’aveva lasciata un’ora prima.

-Sì, certo.- accettò, controvoglia, affiancandolo quando lui si avviò lungo il corridoio senza alcuna fretta apparente, riempiendo quello spazio così greve con la sua figura diamine, era davvero strano vederlo senza quell’orribile elmo cornuto.

Alzò gli occhi verso il soffitto, percependo il peso delle domande che Ryoma le avrebbe posto di lì a pochi istanti se non si fosse sbrigata a trovare un argomento con cui distrarlo – poteva quasi già sentire quella sua voce profonda chiederle che cos’era successo per ridurla a quella silenziosa ombra di se stessa, ma non aveva proprio voglia di affrontare quell’argomento, con lui o con chiunque altro.

-Come…- si schiarì la voce, infastidita da quello spettro di debolezza che ancora vi avvertiva. -Come sta la regina?- domandò, rammentando l’espressione sconvolta e la voce intrisa di dolore di lady Mikoto.

Ryoma s’incupì, incrociando le braccia sul petto.

-È ancora molto scossa.-

Già, scossa era un eufemismo, avrebbe voluto sbottare Zoe, ma si trattenne: una parte di lei avrebbe tanto voluto sottolineare quanto l’esplosione di Ileana si sarebbe potuta tranquillamente evitare con un poco di accortezza in più da parte della famiglia reale, ma sentiva di aver già fatto abbastanza affidamento sulla sua buona stella, quel giorno, per aggiungere alla sua già lunga lista di mancanze di rispetto anche quella protesta.

-Non è stata una giornata facile per nessuno.- si limitò, quindi, a commentare, gli occhi pieni di terrore di Ileana ancora impressi a fuoco nella sua memoria assieme all’espressione esausta e tormentata di Kaze, a quelle sconsolate dei suoi amici.

-Non avresti dovuto prendertela con Hinata e Oboro.-

…oh, beh, la sua buona stella avrebbe potuto fare ancora qualche piccolo sforzo, dopotutto.

Si passò le dita fra i capelli, digrignando i denti quando i suoi polpastrelli incontrarono la resistenza di tanti, troppi nodi fra le ciocche bionde.

-Beh, forse con Oboro un po’ sì, ma insomma… non hanno fatto niente di male.- aggiunse, rinunciando a quel patetico tentativo di sistemarsi i capelli quando Ryoma le rivolse un’occhiata penetrante che, ancora una volta, lei si rifiutò di ricambiare.

-Sono le sue guardie. Hanno il dovere di proteggerlo.- le spiegò, così come tante volte le aveva spiegato tutti quei perché di cui Zoe era sempre stata avida fin da bambina e che lui, paziente, non le aveva mai negato. -Anche da se stesso, se necessario.- aggiunse, cupo, ma l’unica risposta che ottenne da Zoe fu l’ennesimo sbuffo irritato.

-Ci hanno provato.- replicò, scoprendosi più caustica di quanto avrebbe voluto essere, ripensando a ciò che Hinata le aveva raccontato: lui aveva provato a fare del suo meglio, ma come avrebbe potuto trovare un modo per fermare Takumi? In che stato sarebbe stato ridotto il suo amico se si fosse opposto più strenuamente alla follia del principe?

Serrò le dita sulla sua spada, percependo quel suo mostro interiore stiracchiarsi.

Se Ryoma aveva urlato contro Hinata, contro Oboro, allora che cosa stava aspettando per prendersela anche con lei? Dopotutto, aveva fatto un macello molto più eclatante dei suoi amici…

-Senti, se devi sgridare anche me fallo subito, okay?- sbottò, irritata, fermandosi all’improvviso e costringendosi a guardarlo in faccia, a sostenere lo sguardo perplesso che le rivolse. -Lo so che ho fatto un disastro, ma non__-

-No.- Ryoma alzò una mano, arrestando con quel gesto soltanto il fiume di parole che Zoe sentiva fremere sulla punta della lingua, e si avvicinò – e fu difficile, per Zoe, ricordare a se stessa che avrebbe davvero dovuto tacere, che agire in quel modo le aveva già causato abbastanza guai, che Ryoma era una persona paziente ma che persino la sua pazienza doveva pur avere dei limiti: tutto ciò che vedeva, davanti a sé, era l’uomo giusto e leale che lei aveva sempre ammirato e che non le aveva mai offerto altro che amicizia e rispetto, che l’aveva sempre trattata come una sua pari… e che non sembrava nemmeno arrabbiato, si costrinse ad ammettere con se stessa, scrutando con diffidenza quei pacati occhi verdi.

…perché non era arrabbiato?

Le labbra di Ryoma si piegarono impercettibilmente verso l’alto, forse in risposta all’espressione sospettosa della Samurai.

-Hai fatto quello che ritenevi giusto.- affermò, a voce bassa, e Zoe poté percepire la sorpresa allargarsi sul proprio viso quando si rese conto che la calma nella sua voce era la stessa che poteva scorgere nel suo sguardo, che Ryoma pensava davvero quello che stava dicendo – che era sincero. -E, a dire il vero… sei stata l’unica, oggi, che ha agito bene.-

Aveva agito bene.

Non si era nemmeno resa conto di quanto avesse avuto bisogno di sentirsi dire quelle parole.

-…ah.- fu tutto ciò che riuscì a mormorare, sconvolta da quell’affermazione che non si era aspettata – che non aveva nemmeno osato sperare di sentire, né da lui né da nessun altro, perché tutto ciò che aveva ottenuto in cambio del suo atteggiamento erano state pugnalate in pieno petto… e invece eccola lì, la sua certezza, il suo conforto, quella briciola di pace che non era riuscita a trovare nemmeno rifugiandosi nel pianto, in poche e semplici sillabe che, tuttavia, avevano un valore immenso.

Aveva agito bene.

Nonostante tutto, nonostante le ferite che ancora suppuravano il veleno con cui erano state inferte… per qualche attimo, in quelle parole che valevano tutto, Zoe credette davvero, ed il ruggito furioso che soffiava dentro di lei parve acquietarsi un poco, domato dalla gentilezza di quella voce familiare.

Tuttavia, imbarazzata, sbuffò, incrociando le braccia ed inarcando un sopracciglio, irritata dal calore sospetto che già sentiva bruciare intorno al colletto del kimono – ma perché Ryoma non poteva semplicemente urlarle contro invece di lodarla!? Era impazzito anche lui come tutti i suoi parenti, quel giorno!?

-E allora perché mi guardi in quel modo?- brontolò, ignorando la fitta di dolore che la trafisse quando si accorse che quell’atteggiamento così schivo nei confronti di un elogio assomigliava terribilmente a quello di Takumi. Per fortuna Ryoma la distrasse, aggrottando le sopracciglia in un modo che Zoe conosceva tanto bene e che preannunciava, di solito, grossi guai.

-Sto cercando di capire come stai affrontando tutto questo.-

Ecco, l’aveva fregata.

-Ma perché è sempre così con te?- sbottò, incapace di trattenersi oltre e resistendo alla tentazione di ficcarsi le nocche in bocca, soffocando con la sola forza di volontà l’imprecazione che le era salita in gola nel momento stesso in cui si era accorta di essersi lasciata prendere di sorpresa – per l’ennesima volta.

-Come?-

Il rossore che le bruciava la gola parve allargarsi anche sulle sue guance ma Zoe decise di ignorarlo, troppo impegnata a chiedersi perché, per tutti gli dei, Ryoma non le aveva chiesto di Ileana; non sarebbe stato meglio, non sarebbe stato più normale – diamine, dopo tutto il caos che era venuto a crearsi, si era aspettata un fiume di domande sullo stato di salute della principessa ritrovata, discorsi su discorsi su cosa sarebbe cambiato una volta riportata la sua sorella perduta a Shirasagi…

E invece aveva deciso di chiedere di lei.

-Non dovresti preoccuparti per me. Io non sono proprio niente di speciale.- brontolò, abbassando la testa per tentare di trovare rifugio nelle ciocche più lunghe della sua frangia, imbarazzata e risentita allo stesso tempo.

-Mi sembra di averti già detto molte volte che non è vero.-

Come non detto.

Si morse la lingua, sopprimendo il desiderio di mettersi ad urlare anche contro di lui, di ricordargli che dannazione, Ileana era tornata, che aveva bisogno di conforto, che lui almeno avrebbe dovuto domandare come si sentisse – e che avrebbe davvero, davvero dovuto smetterla di fare così, di dimostrare tanto interesse per una semplice Samurai che forse non sarebbe mai nemmeno diventata guardia reale e cominciare a trattarla con la distanza che avrebbe dovuto tenere, con lei, fin da bambini.

-Lo è e tu lo sai bene quanto me e quanto tuo fratello.-

Oh, sì. Takumi aveva messo bene in chiaro quanto fosse conscio della differenza di status fra loro.

Ryoma sospirò, passandosi fiaccamente una mano sugli occhi affaticati.

-Ah, ora capisco. Cosa ha fatto?- le domandò, ottenendo però soltanto una scrollata di spalle come risposta.

-Niente.-

Perché non cominci a comportarti come una serva?

Oh, Zoe aveva sentito quelle parole così tante volte da perderne il conto.

I sussurri degli aristocratici l’avevano seguita per tutta la vita, chiedendosi perché le fossero state concesse così tante libertà e insinuando che la sua unica utilità fosse soltanto quella di un giocattolo, una balia per la piccola Sakura e un piacevole sollazzo per i fratelli più grandi – quale altra ragione potevano avere, in fondo, per tenersi vicino quella bizzarra ragazzina con le orecchie a punta?

Zoe aveva imparato a ignorarli, a non dar peso agli sguardi pieni di cattiverie e a quelle insinuazioni ributtanti: facevano male – avrebbero sempre fatto male – ma si trattava di un prezzo che aveva sempre pagato volentieri, in silenzio, pur di avere la possibilità di rimanere accanto a Ryoma, a Hinoka, a Sakura… a Takumi.

Sì, quelle non erano state parole nuove, ma… non le aveva mai sentite pronunciare da qualcuno di cui le fosse davvero importato qualcosa – mai da Takumi, il ragazzo a cui da ragazzina si addormentava in grembo leggendo assieme a lui, che le chiedeva di pettinargli i capelli dopo gli addestramenti e che lei aveva stupidamente pensato non avrebbe mai potuto… che non sarebbe mai stato capace di…

Per Hotoke, come poteva essere stata così stupida?

Come poteva non aver visto il mostro che si annidava dietro il Takumi che conosceva da sempre, il mostro che aveva fatto promesse terribili a Ileana, che aveva ferito lei?

Sarebbe più facile se fossi tu.

Quelle parole che l’avevano resa tanto felice adesso si erano tramutate in braci incandescenti, che ardevano nella sua carne lasciando alle proprie spalle soltanto un vuoto sfrigolante e l’odore della pelle morta e bruciata.

Non lo era. Non lo sarebbe mai stata.

Lei non era parte di loro, della loro vita, ed era stata così maledettamente ingenua a cullarsi in quella bugia dorata che era crollata su di lei nel momento stesso in cui aveva guardato negli occhi di Takumi e aveva visto soltanto disprezzo.

Dei, perché non le avevano impedito di avvicinarsi a loro? Perché non l’avevano tenuta a distanza, come sarebbe stato corretto fare, come avrebbero dovuto fare? Almeno, almeno non avrebbe dovuto provare quel dolore atroce che sentiva bruciarle nella carne quando ripensava al fratello che sentiva di aver irrimediabilmente perduto quel giorno…

-Zoe.-

La voce seria e decisa di Ryoma la costrinse a tornare bruscamente al presente, a strapparsi da quei pensieri pieni di rabbia in cui si era ripromessa di non lasciarsi più affogare.

-Ha solo sottolineato l'ovvio.- mormorò, chiudendosi le spalle fra le dita perché aveva così tanto freddo, lo sentiva affondare le sue radici fino a stritolarle il petto e renderle impossibile respirare.

Takumi non l’avrebbe mai perdonata, e lei non aveva alcuna intenzione di farsi perdonare. Si era spezzato qualcosa, quel giorno, e per un istante Zoe rabbrividì al pensiero di come sarebbe stata la vita a Shirasagi da quel momento in avanti, a come sarebbe inevitabilmente cambiato tutto – perché, Ileana o meno, niente sarebbe stato più come prima.

Ancora una volta, con una stanchezza tale insita in quel gesto da dare a Zoe la chiara impressione che fosse ormai qualcosa che aveva ripetuto un’infinità di volte, quel giorno, Ryoma trasse un lungo respiro e le offrì il braccio, invitandola silenziosamente ad avviarsi nuovamente lungo quell’infinito dedalo di curve, svolte e angoli inaspettati.

Senza un fiato, Zoe allacciò cautamente la mano al suo avambraccio, scoprendosi curiosamente sorpresa dal candore quasi accecante dei suoi vestiti, così diverso dal rosso intenso dell'armatura che Ryoma indossava quasi sempre, lo stesso rosso acceso dello stemma di Hoshido… lo stesso rosso vibrante che aveva scorto sul fondo degli occhi bronzei di Takumi.

Si morse un labbro, scacciando quel ricordo tanto vivido quanto fugace, aggrappandosi istintivamente al braccio di Ryoma e boccheggiando fra i denti per costringersi a riprendere aria, a non lasciarsi travolgere nuovamente da quell’angoscia profonda e terribile che, nonostante stesse lottando per non ammetterlo nemmeno con se stessa, l’aveva profondamente spaventata.

-Dovrò parlargli di nuovo.-

No.

Come una stilettata in piena schiena, un repentino senso di panico la trafisse nello stesso attimo in cui quella prospettiva – Ryoma alle prese con quel mostro, con quella furia pregna di cattiveria, con la vergogna di dover chiamare quella bestia il proprio fratello – si affacciò fra i suoi pensieri, scatenando un brivido ghiacciato che le risalì la schiena e le ricoprì la pelle scoperta del ventre di pelle d’oca.

-Lascia perdere.- sussurrò, intrecciando inconsciamente le dita a quelle guantate di Ryoma quando lui posò una mano sulla sua.

-No, non lascerò perdere.- replicò, a bassa voce, ma Zoe avrebbe disperatamente voluto dirgli che non era successo niente che richiedesse il suo intervento, che si sarebbe soltanto azzuffato con una persona che non aveva nulla del Takumi che entrambi chiamavano fratello – Ryoma proprio non meritava un altro scontro con lui, non con tutto quello che stava passando, non con tutto quello che già pesava sulle sue spalle… -È per questo che l'hai picchiato?-

Zoe sussultò, allibita.

Lo sapeva?

…ma cosa stava succedendo in quella stupida famiglia reale?

D’accordo, lei e Takumi erano sempre stati turbolenti, ma al di fuori del campo di allenamento lei non aveva mai osato alzare anche solo un dito sul principe, al di là di qualche innocente pizzicotto scherzoso: le era sempre stato chiaro che compiere un’azione di quel tipo, un gesto come quello che aveva fatto soltanto poche ore prima, avrebbe significato un affronto tale da farle rischiare ben più di un’innocua lavata di capo, eppure…

-…no.-

Alzò lo sguardo, raddrizzando le spalle che non si era accorta di aver ingobbito, voltandosi per sostenere quell’espressione serafica con cui Ryoma la stava soppesando.

-L’ho picchiato perché ha dato della cagna ad Ileana un'altra volta e non ne potevo più delle sue stupidaggini.- affermò, certa che, dopo quell’affermazione, Ryoma l’avrebbe come minimo consegnata direttamente a Saizo perché si occupasse di infliggerle una delle sue memorabili, massacranti punizioni – eppure, con la stessa sicurezza che aveva provato quando Ileana aveva implorato di poter tornare a casa sua e lei aveva deciso di prendere a cuore il desiderio di quella ragazza sperduta e spaventata, una strana calma parve sorreggerla, aiutandola ad affrontare il pensiero di qualsiasi cosa la stesse aspettando al di là del lungo, enigmatico silenzio del suo principe.

Aveva agito bene.

Non aveva nemmeno più bisogno di sentirselo ripetere, non per quel motivo, non per quella reazione di cui non si sarebbe pentita nemmeno sotto tortura: perciò, quando Ryoma scosse piano la testa e serrò le labbra, lei rimase serena, anche quando quella mano racchiuse la sua in una stretta che la sorprese più di qualunque altra cosa – anche quando quegli occhi sempre distanti parvero riempirsi di qualcosa di molto simile all’orgoglio.

-Non lascerai mai impunito un torto, vero?-

Zoe trasalì, esterrefatta, serrando inconsciamente le dita sul cuoio degli spessi guanti che Ryoma indossava sempre, sotto cui poteva percepire la forma di una mano in grado di infliggere la più cruenta delle morti ma, allo stesso tempo, capace di trasmettere una gentilezza così profonda da essere quasi commovente – perché, al di là di tutto, al di là di quella sciocca sbandata che ogni tanto ancora la punzecchiava, Zoe lo ammirava persino più di quanto, da ragazzina, avesse idolatrato Saizo: Ryoma incarnava lo spirito stesso dei samurai, il codice che lei si sforzava di seguire ogni giorno, su cui aveva forgiato la persona che era e che, un giorno, sperava di diventare… e sentirlo porgerle quella domanda con tanta dolcezza, capire quanto Ryoma approvasse ciò che aveva fatto, fu il balsamo più dolce dopo tutto ciò che era successo.

-Sono una Samurai.- rispose, infatti, rammentando gli estenuanti pomeriggi di allenamento che Ryoma le aveva dedicato anni addietro e quelle parole che si erano impresse a fuoco nella sua mente e nella sua anima.

L’onore del samurai giaceva nel saper discernere il bene dal male… e lei, quel giorno, aveva agito bene.

-Hai reso onore al tuo titolo, oggi. E a me.-

Quelle parole, la stretta rassicurante della sua mano, la sua stessa presenza, furono quasi in grado di sopraffarla: non era brava ad affrontare tutte quelle emozioni, non era in grado di discernere la profonda commozione che provava dalle ferite che le erano state inferte, e per una manciata di secondi non seppe che cosa dire, travolta e schiacciata da quel misto di orgoglio e di sofferenza che le offuscò la vista e le chiuse la gola.

-Saizo non sarà d'accordo.- riuscì a mormorare, dopo qualche istante, trovando non seppe come la forza di fare quella debole battuta, di riprendersi, di mantenere la calma che ci si sarebbe aspettata da lei.

Le labbra di Ryoma si piegarono appena, rapidamente, in un attimo tanto fugace che soltanto l’occhio attento di chi lo conosceva bene sarebbe stato in grado di catturare.

-Posso parlargli io, se vuoi.- la rassicurò, ma lei accennò un sorriso e lasciò che le dita scivolassero via dalle sue, allontanandosi da lui e voltandosi appena in tempo per scorgere i tratti sempre tanto tesi del suo volto sciogliersi appena, qualche ruga di preoccupazione distendersi un poco.

-Nah, lascia perdere. Sarà interessante vedere se riuscirò a sopravvivere.- replicò, scovando in quei piccoli segni incoraggianti la forza di cui aveva bisogno per mantenere le proprie emozioni sotto controllo, per concentrarsi su di lui, per ignorare le domande che le martellavano incessantemente i pensieri.

Sarebbe stata in grado di farcela?

Ileana a Shirasagi sarebbe stata molto impegnativa, diffidente come si era dimostrata fino a quel momento con tutti loro… non rammentava nulla di Hoshido ed era molto probabile che nulla avrebbe potuto restituirle quei ricordi, ma come avrebbe potuto aiutarla a sentirsi a proprio agio quando il suo unico desiderio era quello di tornare sotto il cielo sempre nero di Nohr?

Sarebbe stata all’altezza delle aspettative di Ryoma?

Ryoma si fidava di lei, la stimava, le era affezionato: era sempre stata la sua pupilla, se ne era resa conto quando, anni addietro, dopo la sua investitura a Samurai si era preso l’onere di addestrarla in tutto ciò che Saizo non avrebbe potuto insegnarle; soltanto il pensiero di sbagliare qualcosa, di fare qualche altro disastro che nessuno stavolta sarebbe riuscito a mascherare – di non riuscire a far sì che la sua sorellina desiderasse rimanere a Shirasagi – le stringeva il cuore, perché Ryoma non era affatto una persona che lei aveva alcun desiderio di deludere.

Ma, soprattutto, sarebbe stata capace di affrontare Takumi?

Sarebbe stata in grado di imparare a vivere senza di lui, di accettare i cambiamenti che di lì a poco avrebbero stravolto la sua vita e quella di tutte le persone intorno a lei, di aver già compiuto i primi passi su un percorso che le avrebbe inevitabilmente strappato una delle persone più care che avesse?

Per tutti gli dei, che vita sarebbe stata?

-Zoe.-

Questa volta non sobbalzò quando Ryoma – con tenerezza, con una tenerezza che non usava mai con nessun altro – pronunciò il suo nome; alzò semplicemente gli occhi, imprimendosi per bene quel volto nei pensieri, aggrappandosi a quell’immagine con tutta la forza che aveva perché sapeva bene che lei, forte, non lo era mai davvero stata… ma lui sì, e lui aveva fiducia in lei, e questo sarebbe dovuto bastare per impedirle di lasciarsi sprofondare di nuovo in quei pensieri tanto tossici.

Ciò che non si sarebbe aspettata, però, fu il gesto che Ryoma fece non appena ottenne la sua attenzione: le si avvicinò di nuovo, più di quanto il comune senso del decoro permetteva, ed alzò una mano per sfiorarle il volto, per racchiuderle una guancia nel suo palmo così grande in confronto al suo viso, scostando con dolcezza qualche fuggiasca ciocca di capelli per raccogliergliela gentilmente dietro l’orecchio.

“Oh, per tutti gli dei.”

Tutti i suoi sforzi di mantenere un’espressione compita parvero svanire, spazzati via dal calore che percepiva persino attraverso il guanto, da quegli occhi che la guardavano con un’intensità tale da ridurre tutto il suo mondo lì, nella tenerezza di quel gesto, negli angoli delle sue palpebre che si arricciarono, divertiti, quando Zoe si sentì quasi letteralmente andare a fuoco.

-Si sistemerà tutto.- le assicurò, rivolgendole uno di quei rari, accennati sorrisi che si permetteva così poco, che sembravano sempre un po’ fuori posto sul suo volto, che lo facevano sembrare tanto più giovane di quello che la sua espressione perennemente corrucciata lasciava intendere.

-Lo spero.- rispose lei, sospirando e socchiudendo gli occhi per godersi quel momento, la bolla di calore e di pace che era riuscita persino ad acquietare la ferocia con cui la sua mente si era rivoltata sino a quel momento – sino a che lui non era comparso a rischiarare le tenebre che avevano minacciato di soffocarla.

Come sempre.

Non sarebbe mai stata in grado di rinunciare anche a quello: se l’idea di perdere Takumi le serrava il cuore in una morsa che le mozzava il fiato, quella di privarsi anche di Ryoma era assolutamente inconcepibile, qualcosa che ogni fibra di lei rifiutava con la stessa brutalità con cui si era opposta alla crudeltà di Takumi…

E perciò si sarebbe rimessa in sesto, avrebbe alzato la testa e si sarebbe battuta fino all’ultimo per ciò in cui aveva deciso di credere e avrebbe pagato qualunque costo la vita le avrebbe imposto… perché lei si aveva fatto la cosa giusta. Perché lei aveva agito bene.

Sorrise, piegando un po’ la testa per godersi ancora per qualche istante quella coccola, prima di arricciare il naso e rivolgergli una smorfia divertita.

-E questo è decisamente inappropriato.- commentò, scimmiottando la voce profonda di Ryoma e aggrottando le sopracciglia in un’abbastanza convincente imitazione dell’usuale espressione solenne del principe – che, in risposta alla sua innocua burla, inarcò un sopracciglio, probabilmente indeciso fra il sentirsi offeso o solamente divertito.

-Mi stai prendendo in giro, vero?- le domandò, e Zoe rise, scivolando via dal suo tocco a malincuore ma concedendosi di fargli l’occhiolino prima di precederlo lungo il corridoio che portava alla stanza di Ileana.

.

.

.

Un lieve fruscio fu sufficiente per spingerlo ad aprire gli occhi.

Kaze, sveglio ormai da un bel pezzo, rivolse la sua attenzione al letto in cui Ileana riposava, scorgendola muoversi nel sonno.

Si sarebbe svegliata a breve, ne era certo: si era rigirata nel letto già alcune volte, nell'ultima mezz'ora, e le era sfuggito qualche mormorio incomprensibile, ma l’effetto del sonnifero che le aveva dato non si era ancora esaurito a sufficienza per permetterle di svegliarsi.

Il ninja si alzò, distendendo le braccia e piegando la schiena, i muscoli irrigiditi da quel breve lasso di tempo che si era concesso per recuperare un po' di riposo; poi, senza un suono, si accostò al giaciglio e alla ragazza che ospitava, concedendosi di osservarla per qualche istante.

C'era ancora una traccia di paura, su quel viso non del tutto rasserenato dall'oblio; c'erano ancora i segni di giorni trascorsi nel buio in quelle guance più scavate di quanto non fossero state all'Abisso, e sotto le sue palpebre inquiete si agitavano chissà quali orribili pensieri, sogni, ricordi.

Fu soltanto la voce che lo aveva mantenuto sano di mente per così tanti anni ad impedirgli di allungare una mano per accarezzarle i capelli, per scostarle un boccolo dietro l'orecchio, per concedersi di darle almeno quel piccolo gesto di conforto che le aveva dovuto negare durante quei terribili giorni di prigionia.

Chiuse gli occhi, costringendosi a distoglierli dal viso smagrito della giovane Maga, costringendo la propria mente a non sovrapporre a quel volto di giovane donna quello delicato ed innocente della bambina che non aveva saputo proteggere tanti anni prima.

Non poteva permettersi altri errori.

Indipendentemente da quanto avrebbe voluto poterla confortare – indipendentemente da quanto Ileana ne avesse bisogno, da quanto lui ne avesse bisogno, era perfettamente conscio di quanto cedere alla propria debolezza avrebbe soltanto causato un danno ancor più grande alla ragazza.

Ileana aveva affrontato un orrore troppo grande e a cui, chiaramente, non era stata preparata in alcun modo: nessun soldato avrebbe mai potuto reagire in quel modo – la preparazione per affrontare la tortura e la prigionia, ne era certo, veniva insegnata tanto ai nohriani quanto agli hoshijin, ma il modo in cui Ileana aveva agito, in cui si era lasciata sopraffare dal terrore, gli aveva suggerito che nessuno si fosse mai dato la pena di istruirla su qualcosa di tanto vitale.

Respirò, Kaze, reprimendo per l'ennesima volta quella rabbia che aveva covato dentro di lui sin dal primo istante in cui aveva incrociato quegli occhi verdi che non aveva mai potuto dimenticare.

Se solo qualcuno, chiunque avesse pensato di insegnarle a sopportare le ingiurie di un nemico, le offese, le minacce, quelle torture da cui lui non era riuscito a sottrarla… se solo quella famiglia da cui Ileana desiderava disperatamente tornare non l'avesse buttata senza alcun riguardo in qualcosa di molto più grande di lei…

Lui non avrebbe dovuto trattenersi. Avrebbe potuto confortarla senza temere di vederla aggrapparsi a lui, senza l'ossessivo, incessante timore di creare un legame malsano con quella ragazza che soffriva un'agonia che nessuno aveva fatto niente per evitarle, che come acido le aveva corroso la mente, la lucidità, persino il più basilare istinto di sopravvivenza.

No.

Ileana meritava di meglio da lui, e lui non si sarebbe mai più permesso di essere debole. Non di nuovo.

Si costrinse a respirare, a concentrarsi sulla sensazione dell'aria che gli riempiva il petto, sul sangue che gli scorreva nel corpo, sul suono regolare del suo cuore che batteva: perdere la calma era l'ultima cosa che poteva permettersi, adesso… così come non si era potuto permettere di fare ciò che avrebbe disperatamente voluto, nel momento stesso in cui Ileana gli si era aggrappata attraverso le sbarre annerite di quella maledetta cella buia, una paura folle incisa negli occhi.

Essere costretto ad affrontare quello sguardo implorante e terrorizzato gli aveva spezzato il cuore – quel cuore che già quattordici anni prima aveva, impotente, lasciato che si frantumasse guardando gli stessi occhi verdi sparire in quell'orribile notte di Cheve, senza poter fare altro che cullare una Zoe priva di sensi fra le braccia e nascondere fra i suoi capelli biondi l'atroce consapevolezza di aver appena condannato a chissà quale orrido destino una bambina innocente.

E non poteva fare niente, ora come allora.

Sentì i muscoli della mascella contrarsi, la fronte corrugarsi, i pugni stringersi: il suo stesso corpo pareva volersi ribellare al controllo che si era imposto – urlava, disperato, urlava il bisogno di avvicinarsi a quella ragazza e stringerla a sé, sussurrarle che sarebbe andato tutto bene, che non avrebbe più permesso a nessuno di farle del male.

Ma non poteva.

Per il bene di Ileana, non poteva.

Se lo avesse fatto, se le avesse permesso di vederlo come l'unica fonte di speranza e di sicurezza, le avrebbe strappato anche quella flebile speranza di potersi riprendere in modo sano da ciò che aveva passato, che la sua mente impreparata ed innocente aveva affrontato nel peggior modo possibile.

Glielo doveva. Le doveva almeno quello, dopo tutti quegli anni, dopo…

Ulteriori movimenti e un mugugno indefinito lo strapparono al seminterrato di pietra scura e pieno di spade e lance usurate, riportandolo alla stanza di legno laccato immersa nella pigra luce dorata del tramonto e di una candela.

Si allontanò dal letto, assicurandosi che la principessa nohriana potesse vederlo facilmente nel momento in cui avrebbe aperto gli occhi, in modo da non sorprenderla: e così attese, osservandola sfregarsi il viso con il dorso della mano, fermandosi per massaggiarsi debolmente una tempia.

-Ahia… la testa…- brontolò mentre, faticosamente, si alzava a sedere, appoggiandosi sulla mano e sul gomito. -K_Kaze? Dove sono? Cos’è successo?-

-Piano, milady. Ecco.- il Maestro Ninja le si avvicinò lentamente, a passi pesanti, per risistemarle i cuscini in modo che potesse appoggiarci la schiena. Ileana rimase immobile finché non ebbe finito, rilassandosi soltanto quando lui si allontanò e sprofondando pesantemente in quella morbidezza. -Siamo ancora a Suzanoh. Avete incontrato la Regina di Hoshido poche ore fa.-

Ileana lo fissò come se gli fossero spuntati dei radicchi tra i capelli.

-La Regina di__- esalò, incredula, prima che i suoi occhi cominciassero a riempirsi di ricordi, consapevolezza e orrore. -Oh. Giusto.-

Kaze si voltò, dedicando ostinatamente la propria attenzione ad una teiera, dandole le spalle in modo che potesse richiamare alla mente tutto ciò che era successo quel giorno quanto più privatamente possibile: forse quel sonno indotto dalle erbe officinali era stato una benedizione, forse le aveva permesso di dimenticare per qualche ora il tormento che aveva subito, le mani che l'avevano minacciata, gli occhi che l'avrebbero inseguita per chissà quanto tempo a venire…

Quando tornò da lei, lo fece con una tazza fumante tra le mani.

-Questo dovrebbe aiutare con il mal di testa.- le spiegò, porgendole il recipiente con cautela, prestando attenzione quando lei vi chiuse dubbiosamente attorno le dita.

Ileana soppesò la tazza per qualche istante, annusandone il contenuto con un'espressione diffidente – ma Kaze non poté fare a meno di sentire il cuore alleggerirsi un poco quando, infine, prese un sorso, rassicurata da un suo lieve sorriso.

Quello era un buon segno.

Rimasero in silenzio a lungo, mentre Ileana sorseggiava lentamente la tisana che le aveva preparato e si guardava attorno, chiaramente confusa da un ambiente che doveva apparirle tanto alieno quanto a lui, tanti anni prima, era sembrata Cheve, con tutta quella pietra, quelle piante che non conosceva, quella penombra crepuscolare a cui i suoi occhi avevano faticato ad abituarsi.

Distolse lo sguardo, il cuore che doleva nel rammentare la bambina esuberante che invece aveva amato il Sole, che aveva guardato giocare nei prati sconfinati di Shirasagi assieme alle principesse e al più giovane dei principi e imparare da sua madre ad intrecciare i fiori in infinite catenelle variopinte.

Erano passati tanti anni, ma lui non avrebbe mai dimenticato – non avrebbe mai potuto, adesso più che mai; se Ileana si trovava in quella situazione, confusa e sconvolta e chiaramente a disagio in un mondo che non le apparteneva più da molto tempo, era soltanto perché lui non era stato abbastanza forte per opporsi alle scelte di suo fratello.

Il fruscio delicato della porta che scorreva lo distolse dal suo tormento, spingendolo ad alzare gli occhi per accogliere con uno sguardo assente l'arrivo di una Zoe che, come lui aveva fatto poco prima, si prese tutto il tempo per segnalare la propria presenza ad Ileana, entrando nella stanza con un passo pesante che non le apparteneva ma con un sorriso luminoso sulle guance arrossate che, tuttavia, si smorzò impercettibilmente quando Ileana alzò lo sguardo su di lei.

-Ah, siete sveglia.- mormorò, avvicinandosi cautamente al letto quando la principessa non diede alcun segno di fastidio nei confronti della sua presenza, limitandosi ad osservarla da dietro il bordo della tazza con la stessa espressione perplessa con cui aveva soppesato Kaze.

-Come state, principessa?- le domandò, piano, lisciando inconsciamente una piega inesistente fra le coperte in punta di dita.

-Zoe.- sussurrò Ileana, piano, e Kaze per un istante si domandò se anche Zoe provasse lo stesso sconcerto che percepiva lui, se anche lei si fosse accorta di quanto Ileana pronunciasse il suo nome nello stesso modo in cui lo aveva articolato da bambina e provasse una fitta al cuore nel ricordarla. -Sono… sveglia.-

Zoe le sorrise di nuovo, incoraggiante e gentile come era stata sin dal primo momento, con lei, e persino Kaze percepì la morsa che gli toglieva il fiato da giorni allentarsi un poco: era così maledettamente grato che lei fosse lì, che la Regina avesse deciso di portarla con sé per incontrare Ileana… non osava nemmeno immaginare cosa sarebbe successo se Zoe non fosse stata presente, quel giorno: l'influenza che non sapeva di avere sull'intera famiglia reale aveva, probabilmente, scongiurato il peggio, ponendo un freno alla pazzia che sembrava aver preso possesso di una buona parte di loro.

-Zoe.- la chiamò, piano, e lei si voltò immediatamente, raddrizzando le spalle e le orecchie e chinando rapidamente la testa in segno di rispetto.

Era troppo facile dimenticare chi Zoe era davvero.

Era così abituato a vederla come una sua pari – un'amica, una guerriera, una guardia reale – che rammentare a se stesso quell'identità così gelosamente protetta per tanto tempo era progressivamente diventato sempre più arduo, mentre gli anni passavano e la speranza di ritrovare Ileana si assottigliava: era così semplice guardarle entrambe e dimenticare quale, fra loro, avrebbe dovuto essere la sua priorità, la sua protetta, la sua principessa…

-Tutto regolare, niente da riferire.- riportò, probabilmente attenta a non dilungarsi in troppe spiegazioni che avrebbero potuto allarmare Ileana, ma il suo sguardo scarlatto dardeggiò per un istante verso la porta. -Ma abbiamo un ospite che temo proprio non si possa ignorare.- aggiunse, piano, e qualcosa di familiare nella sua voce gli suggerì immediatamente l'identità di quel visitatore sgradito.

Kaze s'incupì, ma la sua frustrazione si mostrò soltanto nella stretta improvvisa in cui serrò i pugni.

Che cosa volevano, adesso, da Ileana?

Non avevano forse già fatto abbastanza per quel giorno – rovesciando sulle spalle di una povera innocente quella mezza verità che si era dimostrata troppo grande per lei, che Ileana non era riuscita a sopportare, che aveva spezzato qualcosa sul fondo dei suoi occhi verdi?

Purtroppo, però, non ebbe il tempo di pensare ad un modo per impedire a lord Ryoma di entrare: con molta meno delicatezza di quella che aveva usato Zoe e senza nemmeno attendere di essere annunciato, l'Alto Principe di Hoshido aprì la porta, apparendo sulla soglia con quella sua figura imponente che, nonostante non indossasse la sua caratteristica armatura scarlatta, sembrò riempire l'intera stanza.

Al di là della spalla di Zoe, Kaze scorse il viso smunto di Ileana perdere quel poco di colore che sembrava aver riguadagnato dopo il meritato, seppur breve riposo.

-Se non è di troppo disturbo, ovviamente.-

Ryoma, ignaro della reazione che aveva causato, si aggiunse alle parole di Zoe, che rivolse a Kaze un'espressione contrita e dispiaciuta che, ai suoi occhi, sembrò volergli sussurrare "io gli avevo detto di aspettare".

Per un terribile istante il Maestro Ninja si ritrovò sul punto di rispondere che , era troppo, era davvero troppo imporre nuovamente la propria presenza ad una ragazza provata quanto Ileana… ma chiuse gli occhi, lasciando che quella risposta tagliente sprofondasse dietro la sua espressione imperturbabile assieme a tutto ciò che aveva dovuto respingere nel corso di quegli ultimi, maledetti giorni.

-Non ho alcuna intenzione di infastidirti, Ileana.- si scusò, Ryoma, in un tono sorprendentemente gentile, ma Ileana sobbalzò come se avesse ricevuto un insulto e serrò le dita sulla tazza con tanta forza che Kaze scorse i suoi polpastrelli sottili farsi lividi.

-Principe Ryoma.- sussurrò, distogliendo lo sguardo, spostandolo rapidamente su Zoe e tendendo le mani verso di lei, consegnandole il recipiente per poi scostare con un gesto quasi frenetico le coperte sotto cui era rimasta arrotolata per tutto il pomeriggio. -Io__- cominciò, sforzandosi di alzarsi in piedi – troppo velocemente, troppo impaziente di non mostrare a quello che sicuramente vedeva ancora come un nemico una qualsiasi debolezza; e Kaze vide le sue ginocchia cedere, i suoi occhi farsi vacui per un istante, la sua testardaggine cedere sotto il peso della fragilità che aveva preso possesso di lei.

Prima di rendersene conto, prim'ancora di accorgersene lui stesso, si ritrovò al suo fianco.

Si trattenne dall'allungare le braccia per sostenerla, per aiutarla, lasciando che Ileana si aggrappasse al letto e si rimettesse in piedi da sola, dando prova di quella tempra d’animo che Kaze aveva potuto scorgere durante quegli interminabili giorni di prigionia, che l’aveva mantenuta viva e che, nonostante tutto, l’aveva salvata.

-Avresti dovuto aspettare, sai?- sbottò invece Zoe, scoccando al principe un'occhiataccia a cui lui rispose scrollando semplicemente le spalle, distogliendo lo sguardo dalla Samurai per spostarlo nuovamente sulla Principessa di Nohr.

-Mi dispiace. Non avevo alcuna intenzione di spaventarti.- si scusò, chinando la testa ed accennando un sorriso conciliante, ma Kaze colse perfettamente il baluginio gelido in quegli occhi calcolatori.

Lord Ryoma non era soltanto un Principe né, tantomeno, soltanto un guerriero: era anche uno dei più abili politici che Kaze avesse mai avuto occasione di vedere all'opera, ed era chiaro quanto l'evidente debolezza della Principessa nohriana avesse destato la sua attenzione, andando certamente ad incastrarsi in una delle tante trame che poteva quasi scorgere intrecciarsi al di là della sua espressione controllata.

Lanciò una rapida occhiata a Zoe, sollevato dalla smorfia corrucciata che trovò sul suo viso. Nonostante la sua adorazione nei confronti del principe fosse in grado di accecarla, a volte, era stata comunque capace di notare quel freddo lampo di consapevolezza… ed era qualcosa che Kaze avrebbe potuto usare, in quel momento, perché Zoe era la migliore – l’unica – possibilità che aveva per proteggere Ileana.

Ileana serrò i pugni, chiudendo gli occhi per qualche attimo – per recuperare il suo contegno? Per prepararsi a chissà quale altro orrore in serbo per lei? – prima di raddrizzare le spalle, intrecciare le mani dietro la schiena e fronteggiare quell’uomo che doveva apparirle come una terribile, spaventosa incognita.

-Non c'è alcun bisogno di scuse, principe Ryoma.- riuscì ad affermare, in quel tono così educato e compito che poteva appartenere soltanto a qualcuno cresciuto dalla nobiltà. -In cosa posso aiutarla?- aggiunse, ed il ninja scorse la sorpresa minare per un istante la tranquillità apparente sul volto del principe in risposta a quell'educata freddezza – e nascose un sorriso, con la scusa di avvicinarsi a Zoe per prenderle la tazza fra le mani e riporla.

-Volevo soltanto assicurarmi che tu stessi meglio, e informarti che abbiamo deciso di partire alla volta di Shirasagi domattina. È accettabile, per te?- domandò, e Kaze dovette impedirsi di alzare gli occhi verso il soffitto, perfettamente conscio di quanto quella domanda fosse soltanto un ipocrita tentativo di dare ad Ileana una parvenza di scelta.

Ileana non aveva alcuna scelta.

Il ninja distolse rapidamente lo sguardo, serrando le labbra per trattenere la risposta mordace e tagliente che non poteva assolutamente permettersi di dare al futuro Re di Hoshido.

Ileana serrò le labbra, concedendosi un istante di debolezza per abbassare lo sguardo e prendere un respiro tremolante, insicuro.

-D-Di già?- mormorò, sobbalzando impercettibilmente quando Ryoma annuì.

-Sì. Suzanoh è un avamposto militare e non è attrezzato per ospitare un gran numero di persone, nonostante le dimensioni.- le spiegò, incrociando le braccia e distogliendo lo sguardo dalla ragazza per qualche attimo. -E la Regina ha pensato che sarebbe stato meglio, per te, non rimanere in questo posto, dopo tutto ciò che è successo nei giorni scorsi.- aggiunse, ed il tono gentile della sua voce profonda, per un istante, parve davvero sincero.

-Oh.-

Ileana si voltò, scambiando un'occhiata confusa prima con Kaze e poi con Zoe, cercando forse sui loro volti una qualche conferma alle parole del Principe; Kaze non si mosse, non osando muovere un muscolo nel timore che i suoi pensieri potessero trapelare dalla sua non così solida maschera, ma Zoe annuì: quelle erano effettivamente parole che la Regina poteva aver pronunciato, ed Ileana, rassicurata dal suo sorriso incoraggiante, sospirò, crollando nuovamente a sedere sul letto.

-Certo.- sussurrò, passandosi le dita fra i capelli spettinati un paio di volte prima di alzare nuovamente lo sguardo su Ryoma. -È… gentile da parte sua.-

Fu Kaze, stavolta, a dover distogliere lo sguardo, incapace di sopportare oltre la confusione e l'incertezza che distorcevano quel volto altrimenti elegante.

Chissà a cosa stava pensando.

Chissà come, nella sua mente spossata, la rivelazione di lady Mikoto era andata ad incastrarsi, se aveva creduto alle parole della Regina, se aveva pensato anche per un solo istante a lei come madre

-La Regina vorrebbe soltanto aiutarti a superare questa orribile esperienza.-

Suo malgrado, Kaze si ritrovò a credere a quelle parole, nonostante la smorfia scettica di Ileana.

Aveva servito lady Mikoto per così tanti anni da aver imparato, ormai, a conoscerla: sapeva bene quanto tutte quelle bugie, quei segreti e quel dolore avessero piegato l’animo e tormentato ogni giorno della vita di quella che spesso aveva sentito definire la Regina triste: come poteva, in fondo, essere adirato nei suoi confronti?

Lady Mikoto era stata precipitosa, certo: non si era data il tempo di capire la situazione, lasciando che le emozioni prevalessero sul buonsenso che l'aveva resa una regnante tanto amata, ma aveva atteso così a lungo il ritorno di Ileana, aveva versato così tante lacrime… fra tutti, Kaze dovette ammettere con se stesso che lei era l'unica a non meritare nient'altro che la sua compassione.

-E vorrei porgerti le mie scuse a mia volta.-

Tanto Ileana quanto Kaze sgranarono gli occhi, meravigliati, ma il ninja colse con la coda dell’occhio il viso di Zoe incupirsi – e quello non era affatto un buon segno – alle parole inaspettate di lord Ryoma; Ileana aggrottò le sopracciglia, senza comprendere, fissandolo con uno sguardo assente ed alquanto scombussolato.

-…scuse?-

Anche Kaze si volse, perplesso da quell’affermazione che non aveva previsto: il Principe di Hoshido aveva intrecciato le mani dietro la schiena e guardava oltre i vetri chiusi della finestra, al di là delle persiane lasciate a metà, concentrato su chissà quali pensieri, scuro ed imperscrutabile in volto come Kaze aveva visto soltanto uomini molto più vecchi di lui.

-Mio fratello ha disonorato il suo nome, quello di mia madre e il mio con il suo comportamento inaccettabile.- commentò, con un tono di voce più aspro di quello che Kaze era abituato a sentire, ed immediatamente comprese il motivo del repentino cambiamento d’espressione di Zoe.

Takumi era l’ultimo argomento che Ileana avrebbe dovuto sentire.

-Non sarà dimenticato, né facilmente perdonato.-

Il Maestro Ninja digrignò i denti, serrando le dita fra i cuscini che aveva finto di sistemare fino a quel momento, scorgendo il poco colore rimasto sul volto di Ileana svanire in un soffio.

Avrebbe voluto concedersi il lusso di considerare le parole di lord Ryoma, per quanto inopportune, un gesto amichevole, un tentativo di apertura verso quella povera creatura spaventata di nome Ileana; avrebbe desiderato ardentemente illudersi e cullarsi in quella verità, Kaze, ma una parte di lui – quella stessa parte meschina, calcolatrice e disonorevole che apparteneva ai più oscuri meandri della sua mente, quella parte che aveva saputo comprendere le azioni di suo fratello tanti anni prima, che non aveva voluto fermarlo – sapeva che quelle scuse, seppur apparentemente sincere, erano soltanto un pietoso tentativo di ripulirsi la coscienza.

A lui non era mai importato di Ileana. A nessuno era mai importato di Ileana.

-Non…- la voce della Principessa incespicò, e sotto i propri occhi Kaze vide l’apparente tranquillità con cui aveva affrontato fino a quel momento quella conversazione accartocciarsi, piegata da ricordi ancora troppo vividi e vicini perché lei potesse farvi fronte in quello stato – le minacce, il terrore, il panico folle che l’aveva animata soltanto poche ore prima…

Doveva fare qualcosa.

Serrò i pugni, distogliendo a fatica l’attenzione da lei per voltarsi verso il Principe, cercando di controllare il furibondo ruggito indignato che avvertiva echeggiargli nel petto.

-Lord Ryoma, se posso interrompere…- cominciò, scoprendo nella propria voce un fremito di rabbia che aveva sempre pensato di essere abile a celare, ignorando lo sguardo sorpreso di Zoe e quello colmo d’incertezza di Ileana.

Ryoma alzò gli occhi su di lui, affatto sorpreso dalla sua intromissione, serrando impercettibilmente le labbra quando colse l’espressione tutt’altro che pacata con cui il Maestro Ninja accolse i suoi freddi occhi verdi.

-Sì, Kaze?- domandò, e Kaze comprese perfettamente l’avvertimento nascosto in quella parvenza di educazione – ma non poteva più tacere, non poteva più permettere che ad una giovane donna che già aveva patito così tanto a causa loro venisse persino riportato alla mente il mostro che avrebbe sicuramente popolato i suoi incubi per molto tempo a venire.

-È proprio necessario? Adesso?- sibilò, fallendo miseramente nel tentativo di essere il più conciliante possibile, quasi percependo il furioso vento che dominava l’Abisso sulla pelle quando comprese di ritrovarsi sull’orlo di un baratro che lui, al contrario di Zoe, non poteva assolutamente valicare.

Il Principe, però, parve più sorpreso che offeso dalla sua intromissione: lanciò un’occhiata ad Ileana, chiaramente incapace di scorgere i segni di un imminente attacco di panico sul suo volto, prima di tornare a rivolgersi al ninja.

-No, ma__-

-Ryoma.-

Tanto il Maestro Ninja quanto il Principe sussultarono quando, apparentemente dal nulla, Zoe apparve in mezzo a loro con le braccia incrociate sotto il seno, le labbra strette e le sopracciglia aggrottate, chiaramente spazientita da tutta quella situazione.

Kaze, sorpreso, le lanciò uno sguardo confuso – si era distratto così tanto da non accorgersi del suo movimento? –, ma lei scosse la testa e si voltò per fronteggiare Ryoma.

-Quello che Kaze vorrebbe dirti ma è troppo educato per farlo è che devi andartene, perché non stai facendo altro che agitare la principessa. Di nuovo.- sbottò, rivolgendogli un'occhiata talmente severa che, per un istante, Kaze poté intravvedere nei suoi tratti la stessa espressione seccata che Orochi dedicava a tutti coloro che avevano l’ardire di infastidirla.

Se Saizo l'avesse sentita, in quel momento, avrebbe probabilmente rischiato di morire soffocato.

Lui, però, nascose un sorriso, mentre una repentina gratitudine gli riempiva il petto e acquietava momentaneamente il suo turbamento: Zoe era una benedizione e lui non era mai stato così fiero di lei, della sua irruenza e di quella bontà d'animo che era riuscita a conquistare persino il cuore di pietra del suo fratello gemello.

Si era sbagliato, dovette rimproverarsi, guardando quella giovane ragazza così inconsapevole e così coraggiosa ergersi a difesa della Principessa senza nemmeno un’ombra d’esitazione: lui non era l’unico a preoccuparsi per Ileana, in fondo…

Ryoma sospirò, come sempre troppo parziale nei confronti di Zoe per riuscire a rimproverarla, replicando alla sua affermazione irritata con una semplice scrollata di spalle che, tuttavia, Kaze accolse con un sollievo tale da zittire persino quella fitta di rimorso che provò quando si scoprì soddisfatto da quell'ennesima reazione impulsiva su cui, come su tutte le altre, aveva contato sin dall'inizio di quella giornata.

…forse non era così diverso da suo fratello, dopotutto.

Si voltò, scacciando quel pensiero con una facilità che trasudava ormai abitudine, riportando la propria attenzione sulla figuretta di Ileana che, dall’angoscia che poteva scorgere contorcersi sul fondo dei suoi occhi chiari, sembrava preda di un profondo conflitto interiore.

-Aspetta, io… dovrei…- balbettò, serrando le coperte nei piccoli pugni pallidi e stringendo forte le palpebre prima di farsi forza – per l’ennesima volta – e rivolgersi, nuovamente, al Principe.

-Principe Ryoma. Anch'io ho disonorato l'onore della mia famiglia con le mie azioni. Spero che non vogliate ritenerli responsabili per il mio comportamento sconsiderato…?-

Kaze colse fin troppo bene l’esitazione e l’angoscia che si celavano dietro l’accento pieno e rigido della parlata nohriana: c’era disperazione, nelle sue parole educate, nel modo in cui lasciò cadere nel vuoto quella domanda che troppo assomigliava ad una preghiera, e paura, ed una briciola di quel panico che Kaze, ormai, conosceva fin troppo bene.

Nonostante si fosse ripromesso di rimanere a debita distanza, di non imporre la sua presenza come baluardo di una sicurezza soltanto apparente, non riuscì proprio ad impedirsi di muovere qualche passo per accostarsi a lei, trattenendosi a stento dal toccarle una spalla, un braccio: Ileana aveva bisogno di sostegno, di gentilezza e di comprensione, e di certo non li avrebbe trovati nella risposta seccata e tagliente che poteva quasi già sentire nelle orecchie, che Ryoma sembrava pronto a sputare.

Ancora una volta, però, Kaze si ritrovò ad essere profondamente grato della presenza di Zoe: con la coda dell’occhio la scorse inclinare la testa e poté quasi immaginare l’avvertimento sul suo viso, le sue orecchie appiattirsi ed il rosso dei suoi occhi farsi più cupo – e forse parve funzionare, a giudicare dal modo in cui il Principe attese qualche attimo prima di rispondere.

-Certo che no. Non preoccuparti di questo, Ileana.- affermò, infine, con una cautela che non gli si addiceva e che Kaze sapeva di dover attribuire soltanto all’intromissione silenziosa di Zoe – avrebbe davvero dovuto farle i suoi complimenti, più tardi.

La tensione che aveva osservato con ansia montare sul volto di Ileana sembrò svanire nel momento stesso in cui la Principessa lasciò andare il fiato che non sapeva di aver trattenuto, sprofondando stancamente fra i cuscini del letto e socchiudendo gli occhi, esausta, permettendo senza nemmeno sussultare che Kaze le rimboccasse le coperte intorno alle spalle.

Era così stanca, povera piccola.

-Ora, come questa esuberante Samurai ha gentilmente suggerito, dovrei davvero andare.-

Il sollievo che ruggì nelle sue orecchie a quelle parole fu talmente violento da impedirgli di udire la rispostaccia della Samurai in questione: era ora, maledizione, era ora che se ne andasse, che lasciasse a quella ragazza la tranquillità che meritava ma che lui ed il resto di quella famiglia sembravano così testardamente intenzionati a strapparle… ma poi la porta si aprì di scatto, spingendo tanto Kaze quanto Zoe a portare una mano alle proprie armi mentre Ileana si raggomitolava sotto le coperte, spaventata dal rumore improvviso.

-Kaze!-

Kaze sospirò pesantemente, esasperato, udendo nel proprio l'eco di un altrettanto irritato sbuffo da parte di Zoe, costringendosi ad alzare lo sguardo sulla donna dai capelli color indaco che aveva appena deciso di fare irruzione in quella già troppo affollata stanzetta.

Orochi incrociò le braccia, assottigliando le palpebre e rivolgendosi direttamente a lui, senza preoccuparsi minimamente di rivolgere un saluto al Principe o a chiunque altro.

-Potresti cortesemente spiegarmi come mai tutte le erbe che avevo lasciato nelle cucine di questo posto sono sparite?- esordì, ignorando spudoratamente lo sguardo tagliente che il ninja le rivolse in risposta, la principessa raggomitolata nel letto e l’espressione esasperata che invece le scoccò sua figlia.

Ryoma, invece, si schiarì la voce, attirando così la sua attenzione e dando inconsapevolmente a Kaze il tempo per trovare una scusa da propinarle.

-Oh, lord Ryoma, salve! Non l'avevo notata.- squittì lei, piroettando su se stessa per voltarsi verso di lui, quel suo diabolico sorriso impresso sulle labbra dipinte. -Strano, considerato il fatto che siete grande e grosso anche senza quell'armatura…- aggiunse, picchiettandosi l’indice sul mento ed inarcando un sopracciglio, perplessa.

-Mamma.- pigolò Zoe, chiaramente mortificata dal suo comportamento, nascondendo il viso dietro una mano quando Orochi le fece l'occhiolino.

Kaze sospirò.

-Non so di cosa tu stia parlando, Orochi.- affermò, sentendosi sollevato nell’udire nuovamente la propria voce calma e controllata. -Non mi sono nemmeno avvicinato alle cucine.- aggiunse, sostenendo l’occhiata indagatrice dell’erborista di corte con uno sprezzo del pericolo che persino Saizo avrebbe considerato notevole.

Non era mai stata una buona idea mentire ad Orochi.

-Oh, davvero?- sussurrò infatti lei, tutt’altro che convinta, soppesandolo con quel suo sguardo pieno d’incognite che era sempre stato in grado di ridurre a più miti consigli persino suo fratello; Kaze però tacque, mantenendosi impassibile, sperando che Orochi cogliesse da sola ciò che lui, in quel momento, non poteva assolutamente rivelarle.

Era stato lui a trafugare quelle erbe, e gli sembrò di poter leggere quella verità nelle intense iridi dell’Onmyoji: Orochisapeva, sapeva perfettamente che Kaze le stava mentendo, ma__

-Oh, lord Ryoma, prima di dimenticarmene. La Regina vi sta cercando.- trillò, voltandosi nuovamente verso il Principe con tanta rapidità da sorprendere tanto Kaze quanto Zoe, che gli rivolse un’occhiata confusa mentre, avvicinatasi al letto, mormorava parole di conforto ad Ileana, che stringeva convulsamente le coperte fra le mani e sembrava sull’orlo del pianto.

Lord Ryoma, per fortuna, sembrò comprendere la situazione – una volta tanto, avrebbe voluto sibilare Kaze –, ed annuì immediatamente.

-Davvero? Devo proprio lasciarvi, allora.- affermò, la voce ammorbidita da una flebile traccia d’ilarità. -Ileana, Zoe, Kaze.- salutò, chinando la testa in segno di rispetto in direzione dei tre, ottenendo un breve inchino da parte del ninja e uno sbuffo spazientito da Zoe in risposta. -Orochi, cerca di non turbare troppo la nostra ospite.- si raccomandò, stringendo brevemente la spalla dell’Onmyoji con una mano quando le passò accanto.

-Da che pulpito.- mugugnò Zoe, sgranando gli occhi un istante più tardi quando si accorse di aver espresso quel pensiero ad alta voce. Orochi ridacchiò e Kaze si costrinse a guardare da un’altra parte, faticando più del solito per nascondere un sorriso divertito.

Ryoma, invece, le scoccò un'occhiata imperscrutabile, ma lei si limitò a stringersi nelle spalle sotto quello sguardo che avrebbe intimorito uomini e donne molto più altolocati e potenti di lei ma che, per qualche motivo, non era mai stato capace di fermarla.

-Ehi, non ho torto.- si difese, sarcastica, e Ryoma non poté far altro che sbuffare, lasciando che quell'ennesima mancanza di rispetto cadesse nel vuoto.

-No, suppongo di no.- ammise, scuotendo appena la testa e mormorando un: -Buonanotte.- prima di sparire al di là della porta che Orochi aveva lasciato aperta.

-Oh, finalmente.-

Il teatrale sospiro di Orochi sembrò dar voce ai pensieri di tutti i presenti, e Kaze, inconsciamente, si rilassò un poco – per appena un istante, tuttavia, perché l’attenzione alquanto prepotente dell’Onmyoji tornò immediatamente su di lui, tutt’altro che dimentica del motivo per cui era andata a cercarlo.

-Avanti, parla.- lo esortò, le parole affettate e pericolose come la lusinga di un predatore.

-Orochi, davvero, non so di cosa tu stia parlando, e__-

-Strano. La cuoca mi ha raccontato che tutte le erbe erano al loro posto prima che Hinata decidesse di andare a chiedere il bis, dopo cena.- lo interruppe, inarcando un sopracciglio e scrutandolo con lo stesso cipiglio altezzoso che, poco prima, Kaze aveva scorto sul viso di Zoe. -Ora, devo andare a chiederlo a lui o preferisci darmi tu una spiegazione?-

Il versaccio soffocato di Zoe, al pensiero di Hinata alle prese con sua madre, sembrò dar voce allo sconforto che Kaze sentì piombargli nello stomaco. Non poteva costringere quel povero ragazzo a sopportare l’interrogatorio di Orochi… non sarebbe sopravvissuto nemmeno un minuto.

-Ho io le tue erbe.- ammise, esasperato, passandosi stancamente le dita fra i capelli sottili. -Sono nella mia stanza.-

-E le hai prese perché…?- sbuffò lei, tutt’altro che soddisfatta da quella risposta laconica, ma lui scosse la testa.

-Ti chiedo perdono, non avevo alcuna intenzione di infastidirti.- si scusò, distogliendo lo sguardo dagli occhi indagatori di Orochi per rivolgere un sorriso rassicurante ad Ileana, pallida ed assente e palesemente, profondamente esausta, che sembrava guardarlo senza vederlo davvero: sembrava sul punto di crollare, stanca com’era… e sembrava essersene accorta anche Zoe che, mentre lui si era distratto per parlare con Orochi, aveva silenziosamente porto un’altra tisana alla Principessa, spiegandole a mezza voce che l’avrebbe aiutata a riposare e sorridendole gentilmente quando lei aveva bevuto il blando sonnifero senza nemmeno una protesta.

Sì, forse avrebbe potuto allontanarsi per un po’.

-La mia pazienza si sta esaurendo, Kaze.- lo redarguì Orochi, battendo nervosamente il piede un paio di volte.

-Andiamo a recuperare le tue erbe.- le concesse, infine, alzando lo sguardo su di lei e sorridendole debolmente, tentando di sembrare conciliante. -Ti spiegherò tutto.- le promise, accennando ad Ileana con un impercettibile cenno della testa.

-Ah, ma certo.-Orochi schioccò le labbra, rivolgendo un raggiante sorriso ad Ileanaquando comprese le intenzioni del ninja. -Scusa per l'intrusione, principessa! Dormi bene!- le augurò, sventolando allegramente una mano in un entusiasta gesto di saluto a cui Ileana, confusa, rispose con un flebile “grazie” che Orochi, avvicinatasi a Zoe per schioccarle un bacio sulla guancia, probabilmente nemmeno sentì. -Buonanotte, micia!- trillò, guadagnandosi una prevedibile occhiataccia da parte della figlia.

-Mamma!-

Kaze socchiuse gli occhi, l’ombra di un sorriso sulle labbra sottili, rassicurato da quella parvenza di normalità che i bisticci di Orochi e Zoe rappresentavano. Si accostò al letto, affrontando finalmente quei grandi occhi verdi che l’avevano seguito fino a quel momento, cogliendo già un’ombra di misericordiosasonnolenza fra i tratti corrugati di quel viso minuto.

-Tornerò presto, milady.- le assicurò, a voce bassa, ed il debole cenno affermativo di Ileana fu l’ultima cosa che vide prima di voltarsi per seguire Orochi.

Soltanto quando si ritrovò nel corridoio semibuio, lontano da quella stanza che si era fatta soffocante, si permise di respirare.

Per ora, per un po’, non sarebbe più successo niente.

Orochi, però, gli concesse soltanto una manciata di secondi per recuperare la calma, per rimettere ordine fra i propri pensieri e riempirsi il petto con un profondo, agognato sospiro: poi schioccò la lingua, impaziente, prendendolo sottobraccio e costringendolo a muoversi lungo il corridoio con una determinazione che – come sempre – sfociava quasi nella prepotenza.

-Adesso, se il tuo odioso fratello o la mia bellissima moglie non sono nei dintorni, comincia a spiegarmi cosa ti è venuto in mente.-

Finalmente, dopo tutta la tensione delle ore passate, Kaze si permise un sorriso. Fu un sorriso stanco, esausto addirittura, ma l’irruenza dell’amica accanto a cui era cresciuto, che dietro quel pessimo carattere nascondeva un animo molto più gentile di quanto chiunque avrebbe potuto intuire, fu un altro brandello di familiarità in quella situazione che nulla aveva di conosciuto.

Ad Orochi non avrebbe dovuto nascondere nulla: lei era l’unica persona in tutta Hoshido con cui aveva sempre potuto essere sincero, a cui aveva potuto rivelare i propri dubbi, le proprie incertezze, i propri demoni; parlare con Saizo era sempre stato fuori discussione, e persino Kagero non sarebbe mai stata in grado di capirlo così come riusciva sempre a fare l’Onmyoji dai capelli color indaco.

Orochi era l’unica, vera amica che lui avesse mai avuto.

-Perché avete dovuto nascondere le erbe?-lo incalzò lei, ignara dei suoi pensieri, del profondo senso di affetto e di gratitudine che Kaze sentì riscaldare i suoi muscoli intirizziti dal freddo e la sua gola riarsa dai continui silenzi.

-Dopo l'Abisso, la situazione fra lord Takumi e la Principessa ha reso impossibile il continuare la marcia assieme all'intero distaccamento.- mormorò, e quelle parole bruciarono sulle labbra come pece bollentetanto fu difficile pronunciarle:una parte di lui avrebbe preferito tenere per sé l'orribile comportamento a cui aveva dovuto assistere, proteggendo così l'onore ed il decoro della famiglia reale, ma…

Era così stanco di rimanere in silenzio.

-Hinata lo ha convinto a mandarci avanti assieme a lei, per impedire che le succedesse qualcosa di irreparabile, assieme ad Oboro e ad una lettera per il comandante di questa guarnigione.-

Orochi sventolò una mano, impaziente, invitandolo a proseguire.

-Il principe ha dettato ordini molto precisi… e molto duri.-

Ordini che avevano rischiato di peggiorare unasituazione già sull'orlo del precipizio.

-Nessuno di noi ha potuto opporsi ad ordini del genere. Reina avrebbe potuto, forse, ma…-

La voce di Kaze si perse, rincorrendo i se e i ma che lo avevano perseguitato durante le interminabili notti trascorse nelle prigioni, a vegliare sulla Principessa.

Se Reina fosse rimasta, se a Zoe fosse stato permesso di accompagnare Takumi in quella spedizione, se fosse stata lady Hinokaad assumersi la responsabilità della ricognizione sull'Abisso e non l'irrequieto, giovane principe impaziente di dimostrare il proprio valore – e quale valore, poi, aveva dimostrato…

-Quando il comandante ha letto quella lettera, deve aver pensato a chissà quale mostro sotto le spoglie di una ragazzina.- sibilò, con più veemenza di quanta avrebbe desiderato lasciar trapelare.

-Posso soltanto immaginare.- sospirò, Orochi, meditabonda, arrotolandosi distrattamente una ciocca dei suoi lunghi capelli fra le dita inanellate. -Reina ha parlato con lui quando siamo arrivati, ma io non ero presente. Che cosa voleva fare? Voleva drogarla?-

Kaze annuì.

-Sì.Voleva tenere sotto controllo la temibile Maga nohriana che lord Takumi ha sicuramente descritto come la fonte di ogni male di Euanthe.-

Orochi sbuffò, forse divertita dal sarcasmo chiaramente percepibile nelle parole dell'amico, ma lui scosse la testa: non avrebbe mai voluto esprimersi in quel modo, avrebbe disperatamente preferito riuscire a mantenersi neutrale, a non lasciare che l'ira che provava nei confronti di ciò che il principe aveva fatto soverchiasse il suo autocontrollo, ma…

-Quindi è per questo che avete sostituito le mie preziose erbe con delle spezie.-Orochigiocherellò con l'orlo della sua manica, picchiettando distrattamente le dita sulle lame affilate che portava agli avambracci. -Quella povera ragazza non ne sarebbe uscita viva, l'erborista di questo posto è tutto fuorché competente e avrebbe sicuramente fatto dei danni.- rifletté, e Kaze, rincuorato dalla sua comprensione, le racchiuse lievemente una mano nella propria forse per cercare, in quel tocco leggero, un po' di conforto.

-Ho avuto lo stesso timore.- confermò, la familiare stretta alla bocca dello stomaco che tornava a farsi viva. -Inoltre, lasciare una nohriana drogata nella cella di un posto pieno di soldati pieni di risentimento non sarebbe stato saggio.-

Lui li aveva visti, quegli sguardi.

Aveva visto il modo in cui i loro occhi avidi avevano divorato la figuretta elegante e troppo poco vestita della Principessa, aveva udito i loro orrendi, disgustosi commenti, le loro congetture, i loro piani ributtanti su come avrebbero potuto insegnare ad una reale a piegarsi a loro…

-Ho… mi sono assicurato che sapessero che io ero lì.-

Nel buio, nell'oscurità, Kaze aveva celato la propria presenza ma non il suo sguardo, il sibilo impercettibile dell'acciaio, la promessa agghiacciante che rappresentava per coloro che avevano tentato di concretizzare quelle promesse a spese di Ileana.

-Non possono provarlo, non mi sono mai mostrato, ma sapevano.-

Kaze abbassò lo sguardo, furioso con se stesso e con il mondo intero, frustrato dalle misure odiose che aveva dovuto prendere: era qualcosa di inconcepibile, per lui, cresciuto dal rigoretalvolta spietato ma sempre ligio ai propri principi di Igasato…e, sebbene conoscesse anche troppo bene le nefandezze di cui erano capaci gli esseri umani –aveva visto troppo, affrontato troppo, per non saperlo – non sarebbe mai riuscito ad accettare davvero che qualcosa del genere venisse perpetrato.

Soprattutto ai danni di un'innocente.

-Hinata mi ha coperto, e persino Oboro, con mia sorpresa.- aggiunse, rammentando gli occhi cerchiati dalla stanchezza e dall'inquietudine di Oboro, la temibile smorfia incattivita che aveva rivolto ad alcuni soldati che avevano avuto la pessima idea di farsi sentire da lei.

Non aveva capito il perché di quell'improvvisa presa di posizione: Oboro era stata a dir poco sprezzante, nei confronti della Principessa, ma le minacce sussurrate nei corridoi sempre bui di Suzanoh sembravano averla spinta a superare momentaneamente il suo astio nei confronti di tutto ciò che riguardava Nohr…

-Non è qualcosa che una donna è capace di lasciar succedere, Kaze.- sembrò rispondergli, Orochi, con un tono di voce che improvvisamente sembrava aver perso quel fondo di giocosità che la caratterizzava persino nei momenti più bui, ma Kaze non se ne sorprese: rammentava perfettamentegli assassini che avevano tentato di introdursi nel castello di Shirasagi anni prima e che Orochi, avendoli scorti nelle carte, aveva tentato di fermare da sola… era stata Zoe, attirata dal suono dello scontro e dalle urla di sua madre, ad intervenire prima che succedesse qualcosa di irreparabile, ma Kaze non avrebbe dimenticato facilmente i vestiti strappati di Orochi e l'orrore che aveva scorto nei suoi occhi quando era accorso sul posto.

Tacquero, camminando in silenzio per una manciata di minuti in cui, Kaze ne era certo, i pensieri di Orochi erano tornati almeno quanto i suoi a quella notte di tanti anni prima, a quanto tempo aveva impiegato l'Onmyoji a riprendersi dopo quella brutta esperienza… come avrebbe potuto, Ileana, sopportare qualcosa la cui sola prospettiva aveva rischiato di spezzare una persona molto più adulta e preparata di lei? Come avrebbe potuto, lui, permettere a quei vili, spregevoli esseri di abusare di qualcuno che aveva affrontato già troppo?

-Hai fatto il possibile per quella ragazza, e anche l'impossibile.- esordì, all’improvviso, Orochi, sorprendendolo abbastanza da spingerlo a voltarsi per lanciarle un’occhiata angosciata.

No che non aveva fatto abbastanza.

Kaze avvertì i denti stridere e quel dolore sordo sembrò echeggiare nella sua mente, nel suo petto, rimescolando tutte quelle parole che non aveva potuto dire, quella furia che aveva imbrigliato così strettamente e che adesso sembrò risvegliarsi tutto ad un tratto, pungolata dall’ormai onnipresente frustrazione che provava.

-Andare contro quel piccolo principe è stato pericoloso.- aggiunse lei – e quella fu la proverbiale, fatale ultima goccia che distrusse tutto ciò con cui Kaze aveva tentato di acquietare la sua ira.

-Perché quel principe non sa pensare ad altro che alla sua paura di Nohr!-ringhiò, serrando le dita fra quelle di Orochi.

Paura.

Era tutto lì il problema.

La paura di Takumi aveva preso il sopravvento sul suo buonsenso, sul suo decoro, sulla sua decenza, esattamente come la paura di Ileana aveva soverchiato la sua razionalità, trasformandola in una creaturina spaventata e feroce che avrebbe lottato con le unghie e con i denti contro ogni singolo sforzo che lui avrebbe potuto fare di lì in avanti.

Paura.

Anche lui aveva avuto paura, tanti anni prima. Aveva avuto così tanta paura che ancora si svegliava, di notte, madido di sudore persino in pieno inverno, terrorizzato all’idea di che cosa era stato capace di fare, di permettere, gli occhi verdi di quella bambina innocente mandata a morire a causa della sua inerzia ancora così vividi nella memoria…

Si passò la mano libera fra i capelli, lasciandosi sfuggire un breve rantolo angosciato, tormentato.

-Non… non potevo, Orochi. Non potevo lasciare che le succedesse nient'altro. Non posso.-

No, non poteva.

Non avrebbe più nemmeno potuto guardarsi allo specchio se lo avesse fatto. Non avrebbe potuto vivere con se stesso, non più, se ad Ileana fosse successo qualcos’altro perché lui non era stato capace di fermare tutto.

Orochi, tutt’altro che sorpresa da quell’esplosione che così poco si addiceva al suo carattere così tranquillo, scosse la testa.

-Non l'hai fatto, e non lo farai.-mormorò, inclinando la testa per dedicargli un’occhiata affettuosa, gentile, comprensiva – quante volte aveva ascoltato quelle parole, quante volte aveva offerto conforto a quelle confessioni strozzate che Kaze non si era mai permesso con nessun altro… -Non hai fatto tu quella scelta, Kaze. Non puoi continuare a torturarti in questo modo.-

Kaze chiuse gli occhi, spezzando bruscamente ogni contatto fisico con lei e muovendo un passo avanti per aprire la porta della propria stanza.

-Una ragazza innocente sta pagando un prezzo che le è stato imposto a causa mia.-

Orochi sbuffò, spazientita.

-Adesso stanno parlando la tua rabbia e il tuo senso di colpa. Non sei lucido.- lo rimbrottò, incrociando le braccia, ma Kaze le diede le spalle ed entrò per primo, dirigendosi verso il baule in cui aveva nascosto le piante officinali che aveva sottratto dalle cucine mentre Hinata distraeva la cuoca con le sue chiacchiere. -Come pensi di poterla aiutare in questo stato?-

Fingendo di non averla sentita, Kaze agguantò la borsa di fialette e tornò dall’amica, evitando accuratamente di incrociare il suo sguardo.

-Ecco le tue erbe.-

Un improvviso dolore al viso lo riscosse, costringendolo a riportare l’attenzione sull’Onmyoji: Orochi gli aveva pizzicato la guancia con abbastanza forza da, probabilmente, lasciargli un segno, ed ora lo stava fissando con la stessa smorfia disgustata che, solitamente, dedicava a Saizo.

-Non provarci nemmeno, mio adorabile Kaze.- lo avvertì, ma lui – ancora una volta – non diede peso alla sua velata minaccia.

-Non posso scusarmi per averle prese, ma sono dispiaciuto per averti irritata.- continuò, scostandosi rapidamente per evitare un secondo pizzicotto.

-Sarà molto più salutare per te se smetterai di comportarti in questo modo adesso, o mi costringerai a fare qualcosa di molto disdicevole a questa testa così carina.- soffiò lei, irritata, alzandosi sulle punte dei piedi per picchiettare un dito sulla sua fronte. -O preferisci continuare a comportarti come tuo fratello? Perché, sai, è proprio quello che stai facendo adesso.- aggiunse, strappandogli un mezzo sorriso intriso di tristezza.

-Ti sorprende così tanto?-

Orochi scosse la testa, piccata. -No, ma è davvero irritante.- replicò, serrando le mani sui fianchi e scrutandolo con quel cipiglio severo che Kaze le aveva visto usare con una Zoe adolescente e con un Saizo non così tanto adolescente ben più di una volta. -Allora, devo legarti per impedirti di sparire nel nulla o mi farai la cortesia di ascoltarmi?-

Kaze aggrottò le sopracciglia, perplesso e, a dirla tutta, un po' intimidito dalla serietà nella voce dell'amica.

-…perché ho l'impressione che tu lo abbia già fatto prima?- si arrischiò a domandare, ma Orochi ammiccò, divertita.

-Una donna deve diventare creativa quando ha una ninja come moglie.-

Kaze impiegò soltanto un secondo più del solito per comprendere quell'allusione ma, nel momento in cui la sua mente gli fornì un alquanto colorito esempio di cosa Orochi avesse voluto intendere, sentì un improvviso calore allargarsi dal colletto della tunica fino alle guance. -C-Certo.- balbettò, scuotendo rapidamente la testa per cercare di scacciare quel pensiero prima che il suo imbarazzo diventasse ancor più evidente. -N-Non intendevo…-

Orochi si lasciò sfuggire una risata piena, trillante, quel tipo di risata che riusciva sempre a rasserenare l'animo di chi le era accanto.

-Ecco il Kaze che conosco, finalmente.- miagolò, soddisfatta, avvicinandosi al ninja per posare le mani sottili e curate sulle sue guance, costringendolo a sostenere la fermezza nei suoi grandi occhi violetti. -Ascoltami bene. Hai passato gli ultimi quattordici anni flagellandoti per il destino di quella ragazza, ma non mi sembra proprio che abbia avuto una brutta vita. È stata cresciuta come una principessa, dopotutto, e mi sembra anche che si siano presi decisamente cura di lei.-

Kaze sospirò, per l'ennesima volta, sentendo l'atroce bisogno di credere alle parole di Orochi cozzare contro la cocente verità a cui era stato costretto ad assistere.

-Come puoi esserne tanto certa?- mormorò, rammentando l'assoluta mancanza di preparazione di Ileana: come poteva, una famiglia – la famiglia reale di Nohr, nientemeno –, aver gettato una figlia, una sorella, nelle mani di un nemico di cui non sapeva nulla e senza nemmeno avere la decenza di spiegarle che cosa sarebbe potuto succedere, come avrebbe dovuto comportarsi?

-Eri lì quando ha parlato del principe di Nohr.- gli rammentò Orochi, scostando con affetto una ciocca dei suoi sottili capelli verdi e raccogliendogliela dietro l'orecchio, come faceva sempre per rassicurare anche sua figlia. -Quella voce e quegli occhi erano quelli di qualcuno che sa cosa significa essere profondamente amato.-

, dovette ammettere Kaze. Sì, il modo in cui Ileana aveva accennato al principe Xander gli aveva stretto il cuore, tanto era l'affetto e la disperazione che aveva udito intrisi nelle sue parole gonfie di pianto.

-Chiamalo istinto materno, se vuoi, ma sono certa che sia così.-

Oh, avrebbe dato qualunque cosa per cullarsi nelle sue parole, per illudersi che quella fosse la realtà… ma non poteva, ed Orochi sospirò, forse leggendo sul suo volto contratto la sfiducia e la rassegnazione che Kaze sentiva rimestare nel petto, nello stomaco.

-O, visto che non hai intenzione di credere alle parole della saggia Orochi, pensa ai suoi bei vestiti pregiati o al modo in cui si muove e in cui parla.- esclamò, alzando lo sguardo verso il soffitto per un istante e mormorando qualche parola che ricordava molto un "Hotoke, dammi la forza di sopportare questi ninja" prima di tornare a lui. -Quella ragazza è una principessa in tutto fuorché nel sangue, Kaze.- affermò, e sì, in quello Kaze poteva credere, quella era una verità che poteva accettare, con cui avrebbe potuto lavorare per offrire ad Ileana tutto il sostegno di cui era in grado.

Piegò le labbra in un sorriso lieve ma sincero, posando le mani su quelle dell'amica per scostarle dal proprio volto, ignorando la sgradevole sensazione di vuoto che provò nel separarsi da quel tocco pieno d'affetto.

-Grazie, Orochi.- mormorò, allontanandosi di un passo, ma lei rise.

-Oh, non ringraziarmi. Hai ancora un debito con me.- gli ricordò, sollevando il sacchetto pieno di erbe officinali ed inarcando un sopracciglio, rammentandogli quanto quel furto, sebbene commesso per nobili motivi, non sarebbe stato dimenticato.

Il ninja, perfettamente conscio di quanto quel debito si sarebbe protratto per anni ed anni a venire, soffocò un gemito sconsolato.

-Come dimenticarlo.-

.

§

.

Finalmente, dopo tutto quel tempo trascorso nel verde intenso della foresta, quel penoso viaggio stava per avere fine.

Zoe passò distrattamente le dita fra le folte, soffici penne del collo di Katsu, sentendo il sommesso gemito di approvazione del kinshi riverberare fra le dita. Sorrise appena, intenerita, stringendo le ginocchia e tirando gentilmente le redini verso un lato per farlo abbassare di quota.

Era stata Reina a proporle di farsi un volo, forse notando la sua espressione insofferente od il silenzio pressante che sembrava essere calato su tutto il convoglio e che, a giudicare dalle espressioni contratte di tutti, notò Zoe, sembrava non essersi smorzato nemmeno in sua assenza.

Avevano raggiunto l’inizio della strada che li avrebbe condotti nuovamente a Shirasagi, dove avevano lasciato la carrozza su cui viaggiava la Regina al loro arrivo – sarebbe stato impossibile attraversare la foresta con quella stupida baracca guidata dai Marionettisti, rifletté Zoe, lanciando un’occhiata diffidente alla portantina meccanica su cui Mikoto, apparentemente immersa in una profonda meditazione, sedeva fra decine di cuscini colorati.

Ryoma camminava accanto alla vettura della Regina, impegnato a discutere di chissà cosa con Reina ed Orochi; Takumi, invece, procedeva dall’altro lato rispetto al fratello, silenzioso e cupo in volto come Zoe lo aveva visto ben poche volte nella sua vita, seguito a poca distanza da Oboro e da Hinata.

Saizo e Kagero, invece, non erano in vista, ma Zoe non se ne sorprese: Kagero era sicuramente andata avanti per assicurarsi che il percorso fosse sicuro, ora che la foresta era ormai rimasta alle loro spalle, mentre Saizo era più indietro, celato allo sguardo dei più a poca distanza da dove Kaze camminava accanto alla Principessa di Nohr.

Zoe spinse Katsu a scendere ancora, cogliendo l’espressione contratta di Ileana anche da lontano: la Principessa continuava a guardarsi intorno, guardinga, come se potesse percepire la presenza di qualcuno di invisibile che la seguiva – perché era effettivamente quello che Saizo stava facendo, chissà se per ordine di Ryoma o per sua personale iniziativa: sin da quando erano partiti, il giorno prima, Zoe lo aveva scorto sempre nei paraggi della ragazza nohriana, nascosto eppure incapace di sfuggire allo sguardo della sua deshi.

Forse Ileana se n’era accorta o, comunque, capiva che qualcosa non andava: sembrava un gatto sul punto di scappare a nascondersi, tesa come appariva persino da lassù – e nessuno meglio di lei sapeva quanto snervante potesse essere sentire l’onnipresente sguardo di un ninja su di sé.

Certo, lady Mikoto le aveva offerto di accomodarsi sulla portantina assieme a lei, ma Zoe non si era sorpresa nemmeno un po’ quando Ileana aveva rifiutato con una rapidità impressionante, lanciando un’occhiata atterrita in direzione di Takumi.

Sbuffò, costringendosi ad inspirare profondamente l’aria fredda e tagliente che sembrava determinata a mozzarle il fiato.

Quello stupido non sembrava intenzionato a smetterla di comportarsi come un idiota.

Già da quando erano partiti, già dal primo istante in cui Ileana aveva messo piede fuori dalla fortezza, Takumi non aveva mai smesso di riservarle quegli sguardi pieni di livore e di rabbia che avevano innervosito tanto la Principessa quanto tutto il resto dell’entourage, facendo calare quel silenzio pesante e soffocante da cui Zoe era riuscita a sfuggire, per un po’, nascondendosi nei cieli.

Sospirò, lo stomaco che si stringeva nel rendersi conto di quanto profonde fossero le occhiaie sotto gli occhi di Ileana e strette le sue labbra: essere guardata a vista da qualcuno di invisibile e, allo stesso tempo, sapere che la persona che l’aveva tormentata così a lungo si trovava a pochi passi di distanza da lei la stava logorando, era evidente… maavrebbe logorato chiunque, dopotutto.

Katsu pigolò qualcosa, chiaramente contrariato, quando lei lo diresse verso il basso, spingendolo a planare lentamente invece di gettarsi in picchiata; passarono accanto alla portantina della Regina, che socchiuse gli occhi per rivolgerle un rapido sorriso a cui Zoe rispose con un cenno della testa, e a Takumi, che alzò di scatto la testa verso di lei quando l’ombra del kinshi gli passò accanto.

Zoe si sforzò di non guardarlo, di non cedere al terribile bisogno che provava di cercare nel suo viso qualcosa di familiare, un accenno di pentimento, qualcosa: si concentrò invece su Hinata, sulla risata divertita che gli sfuggì quando l’ala di Katsu gli arruffò i capelli e sul ricordo ancora così vivido della prima volta in cui Zoe lo aveva portato a volare.

Sorrise, fra sé, ma forse il suo fu un sorriso più triste di quanto avesse pensato perché, quando guidò Katsu per atterrare accanto a Kaze e ad Ileana, il Maestro Ninja le rivolse un’occhiata perplessa che lei, tuttavia, ignorò.

-Va tutto bene, milady?- domandò, rivolgendosi con tutta la gentilezza di cui era in grado a lady Ileana, che aveva alzato lo sguardo su di lei per dedicarle un’occhiata assente. -Sembrate un po' nervosa.-

Zoe si morse la lingua, sforzandosi di non ridacchiare quando Ileana raddrizzò immediatamente le spalle, impettita.

-Sto benissimo. Ti ringrazio per il tuo interessamento.- rispose, ossequiosa esattamente com’era stata con Ryoma, ma la Samurai non si lasciò intimidire: quella ragazza era uno scricciolo, suvvia, come poteva pensare che sarebbe bastato un tono pomposo per farla desistere?

-Ah, se lo dite voi.- mugugnò, scrollando le spalle e incrociando le braccia, scrutando l’altezzosa Principessa con un sopracciglio inarcato. -Avete mai volato?- le domandò, cambiando argomento, ma lei scosse rigidamente la testa.

-Non posso dire di averlo fatto.- perseverò, rigida, ma dal modo in cui occhieggiò Katsu e dal lampo di curiosità che Zoe scorse attraversarle il viso poté intuire quanto l’idea non le dispiacesse.

Batté le mani, sforzandosi di sorridere con un entusiasmo e un’allegria che non aveva.

-Beh, saltate su. Vi porterò a fare il vostro primo volo!- esclamò, dando una pacca invitante sulla sella di Katsu, alle sue spalle; Ileana, però, s’incupì, e Zoe avrebbe potuto giurare di sapere che cosa le stesse ronzando nella testa. -E no, non ho intenzione di buttarvi giù non appena arrivate abbastanza in alto.- aggiunse, ironica, accogliendo la prevedibile occhiataccia di Kaze con un mezzo sorriso – “Oh, andiamo, era soltanto una battuta!”.

Ileana però arrossì, chiaramente sorpresa dell’intuizione corretta di Zoe, distogliendo lo sguardo da lei per rivolgerne uno pensoso e poco convinto al kinshi.

-Gli animali si innervosiscono, quando mi avvicino. Il tuo pennuto non sarà felice di avermi come passeggera.- brontolò, diffidente, ma Zoe si limitò a scuotere la testa.

-Non preoccupatevi, Katsu è perfettamente addestrato. Si comporterà bene fino a che terrò io le sue redini.- la rassicurò, rivolgendole il suo sorriso migliore e raddrizzando le spalle; Ileana, però, abbassò gli occhi, chiaramente non convinta dall’idea.

-Comunque non credo che__-

Zoe sbuffò, spazientita.

-Non volete stare lontana da lui?- sbottò – tanto, ormai, cosa importava una rispostaccia in più o una in meno a quella masnada di reali impazziti? –, scoccando un’occhiataccia in direzione di Takumi quando Ileana, sorpresa dalla sua veemenza, tornò a guardarla. -Lassù, non potrà raggiungervi in alcun modo.- continuò, accennando al cielo e rivolgendosi nuovamente a lei, il sorriso svanito per lasciar spazio a quell’espressione vuota e pacata che detestava ma che immaginava sarebbe stata la sua arma migliore nei giorni a venire.

Ileana tacque per un po’, spostando ripetutamente l’attenzione da lei a Katsu e poi a Takumi, mordicchiandosi un labbro e sfregandosi quelle minuscole mani sulle altrettanto esili braccia – chissà se aveva freddo, si chiese Zoe: era stata nelle terre nohriane, anni prima, ed aveva potuto constatare di persona quanto rigido potesse essere il loro inverno, quindi magari Ileana era abituata a temperature ben più crudeli di quello che a Hoshidoera considerato “freddo”…

-Bene.-

Zoe trasalì, colta di sorpresa dalla risolutezza che avvertì nell’esclamazione asciutta di Ileana, ma tentò di non darlo a vedere; annuì, scostandosi per lasciarle spazio alle proprie spalle quando la Principessa si avvicinò al kinshi senza mai perderne d’occhio il becco affilato. -Posso salire da sola.- sibilò, e Zoe si costrinse a trattenere una risata: aveva un che di tenero, quella ragazzina che cercava in tutti i modi di gonfiare le piume per sembrare più grande e forte di quello che era…

-Non l'avrei mai messo in dubbio.- commentò, ignorando il secondo sguardo di avvertimento che, prevedibilmente, giunse da parte di Kaze, e quello palesemente irritato che invece le arrivò da Saizo.

Quanto erano nervosi, quel giorno, quei due.

Rimase diligentemente immobile, sforzandosi di non offrirsi di aiutare la Principessa quando lei, non senza sforzi, si arrampicò un po’ goffamente sul dorso di Katsu; si limitò a continuare ad accarezzare il lungo collo sottile del kinshi, mormorandogli qualche parola affettuosa finché non avvertì Ileana finire di sistemarsi e aggrapparsi, con un’ostinazione davvero ammirabile, al bordo della sella invece che a lei.

Scosse la testa, dicendosi che un altro commento ironico le avrebbe probabilmente causato dei guai, sistemandosi le briglie fra le dita.

-Avete paura dell'altezza? Perché stiamo per andare davvero, davvero in alto.-la avvertì, saggiando sui polpastrelli il cuoio ruvido delle redini, assaporando la sensazione che le dava scorrendole sulle tante piccole callosità delle mani; era qualcosa di familiare, che la riportava ai primissimi voli con Reina, alle lacrime di gioia che aveva versato quando aveva visto per la prima volta il mondo dal cielo.

-Non è un problema. Vivevo in una torre, dopotutto, ci sono abituata.- mormorò Ileana, meditabonda, quando Zoe diede un deciso colpo di talloni ed il kinshi balzò in avanti, spiegando le ali per sollevarsi da terra.

-Una torre?- domandò, senza pensarci, incuriosita: aveva sentito parlare dei pinnacoli di Krakenburg, il castello che dominava la capitale di Nohr, Windmire, ma aveva sempre pensato che la grandiosità di quella reggia si sviluppasse verso le viscere della terra piuttosto che verso l’alto…

Ileana, però, tacque, e lei seppe immediatamente di aver fatto un passo falso.

Che stupida, accidenti, si disse, mordendosi la lingua: Ileana si era chiaramente lasciata sfuggire quel commento, ma Zoe già aveva compreso che accennare in un qualunque modo a casa sua o alla sua famiglia era il peggior modo possibile per tentare di guadagnarsi la sua fiducia.

-Non avrei dovuto chiedere, mi dispiace. Non sono affari miei.- mormorò, dopo una manciata di minuti, voltandosi appena per lanciare un’occhiata ad Ileana non appena il volo di Katsu si fu fatto stabile: la Principessa sembrava fortemente intenzionata ad ignorarla, ma a Zoe bastò un’occhiata per scorgere una scintilla di entusiasmo animare quegli occhi verdi che, fino a quel momento, aveva visto pieni soltanto di terrore e di confusione.

Soppresse un sorriso, congratulandosi con se stessa per l’idea che aveva avuto di portarla lassù: era palese che ad Ileana non dispiacesse affatto trovarsi lì, dispersa nella vastità immensa del cielo…

-Beh, sembravate parecchio chiacchierona quando ci siamo incontrate, ma presumo che la prima impressione non sia sempre corretta.-mormorò, distrattamente, mordicchiandosi le labbra per trattenersi dal ridacchiare quando la sentì muoversi, forse a disagio per quel commento ironico.

Con un gesto fluido, quasi pigro, tirò le redini verso di sé e guidò Katsu ancora più su, lasciandosi sfuggire uno sbuffo divertito quando il kinshi si tuffò in una corrente ascensionale e lo sbalzo improvviso di altitudine le trasmise una sensazione di vuoto alla bocca dello stomaco – dei, quanto amava volare.

Alzò un braccio, indicando la lontana catena montuosa che, a nord, spezzava il gelido cielo terso di Hoshido con il suo candore.

-Vedete quelle montagne? La Tribù del Fuoco vive sul picco più alto. Sono stata là, da piccola, e sempre là ho visto la neve per la prima volta.- spiegò, sorridendo quando rammentò la sensazione che aveva provato quando il primo fiocco di neve si era sciolto sulla sua mano, lo sterminato manto bianco che sembrava perdersi a vista d’occhio, l’aria fredda che le aveva dato l’impressione di tagliarle a metà il petto.

Ileana si sporse un po’, incuriosita.

-Davvero?- domandò, e Zoe annuì.

-Sì. Non nevica mai, a Shirasagi.-rispose, e probabilmente anche Ileana si accorse del rammarico nella sua voce. -Era bella. Non ho avuto la possibilità di godermela, ma era davvero bellissima.- continuò, scuotendo la testa per scacciare quei ricordi che sembravano così lontani da assomigliare più ad un sogno che a qualcosa che aveva vissuto davvero.

Con un delicato colpo di talloni Katsu si volse verso ovest, verso la grande muraglia che svettava in mezzo alla foresta, dorata nella luce fredda del sole di mezzogiorno.

-Da qui potete vedere Suzanoh.- continuò a spiegare, più per riempire quel pesante silenzio che per ottenere una qualche risposta dalla taciturna Principessa. -Quel muro ha protetto Hoshido da ogni tipo di attacco nei secoli passati, ma… non mi piace. Fa sentire le persone piccole, ed è odioso.-

Ileana, alle sue spalle, sembrò agitarsi.

-Noi eravamo là, vero?- le chiese e, ancora una volta, Zoe annuì.

-Sì. È l'ultima linea di difesa della capitale.-

-Quindi… è lontana da Nohr.-

Zoe abbassò lo sguardo, sentendo qualcosa dolerle nel petto quando colse la nota di sofferenza nascosta nelle atone parole di Ileana.

-Sì.- ammise, sapendo perfettamente che non esisteva un modo gentile per dirle che si trovava più lontano da casa di quanto non fosse mai stata. -Per arrivare alle terre nohriane, si dovrebbe tornare indietro da Suzanoh fino all'Abisso. Credo che ci vorrebbe circa una settimana, a piedi, da dove ci troviamo adesso.-

-Capito.-

-Vedete quelli?- sospirò, riprendendo la sua guida improvvisata perché il silenzio era davvero troppo opprimente, perché aveva bisogno di distrarsi per non lasciare che la sua mente provasse ad immaginarsi che cosa stesse passando quella povera ragazza spaurita. -Quelli sono i tetti del castello di Shirasagi. Quando avevo quindici anni, mi sono arrampicata lassù assieme ad Hinata. I nostri maestri ci hanno rimproverato per giorni, dopo, ma ne è valsa la pena.-

Oh, sì, Saizo aveva fatto delle urla memorabili, quella volta: aveva preso in prestito un pegaso per salire fin lassù e andare a riprenderla, e lui odiava volare – e per fortuna era arrivato soltanto dopo che lei e Hinata avevano__

Scosse la testa, scacciando un ben altro tipo di ricordi perché non era proprio il caso di arrossire come una stupida in quel momento.

-Se il cielo è limpido, da lassù si possono vedere persino le tempeste dell'Abisso.- continuò, sperando che quella distrazione momentanea fosse passata inosservata.

-È davvero così alto?-

-Sì. Non so come siano stati in grado di costruire qualcosa di così alto, o così grande, anche. Ancora non so quante stanze ci siano in quel palazzo, e vivo lì sin da quando ero poco più di un infante.- borbottò, ma Ileana si limitò ad un gesto secco della testa e poi tacque di nuovo, sprofondando per l’ennesima volta nel suo mutismo.

Zoe sospirò, accomodandosi meglio sulla sella e rivolgendo la sua attenzione al vasto, infinito manto azzurro che si stendeva a perdita d’occhio intorno a lei.

Non sapeva cosa fare.

Capiva il perché del mutismo di Ileana: al suo posto, probabilmente, pur di proteggere le persone che le erano care, lei si sarebbe comportata forse persino peggio di quanto l'apparentemente altezzosa e cupa Principessa stesse facendo… ma cosa poteva fare per aiutarla, per distrarla dai pensieri che sicuramente continuavano a ronzarle in testa?

Maledizione, lei era brava con gli animali, non con le persone!

Sbuffò, piegando la testa di lato un paio di volte per far scroccare i legamenti intirizziti del collo.

Forse stava prendendo quella situazione dal lato sbagliato: diventare matta cercando di capire che cosa avrebbe potuto aiutare la ragazza dallo sguardo scuro che portava in sella con sé non stava sortendo alcun effetto, quindi forse avrebbe dovuto guardare le cose da un altro punto di vista… che cosa faceva, lei, quando non riusciva a pensare? Quando sentiva i pensieri cozzare l'uno contro l'altro, quando non riusciva a scovare il bandolo di una matassa intricata che sembrava assordarla, accecarla, annullare tutto il resto?

Sfiorò distrattamente le penne di Katsu, meditabonda, perdendosi per qualche attimo nei complicati disegni che creavano incastrandosi l'un con l'altra… e poi sorrise, dandosi rapidamente della stupida per non esserci arrivata prima, raddrizzando le spalle e lanciando un'occhiata speranzosa alla Principessa.

Che cosa faceva, lei, quando il mondo diventava troppo stretto?

-Posso dirvi una cosa?- domandò, ottenendo soltanto l’ennesimo silenzio in risposta, ma non se ne curò: afferrò più saldamente le redini e strinse le ginocchia e Katsu, consapevole di cosa quei gesti significavano, alzò la testa per lanciare uno stridio di gioia verso il cielo.

Volava.

-Tenetevi forte.-

Ed Ileana fece appena in tempo ad aggrapparsi alla sella del kinshi, prima che quello serrasse le ali contro i fianchi, abbassasse la testa e si gettasse verso il basso.

Lo strillo sorpreso della Principessa si perse nel fischio del vento che, per un istante, azzerò qualunque altro rumore: tagliarono l’aria con la stessa velocità di una freccia e Zoe rise, esilarata dalla ventata di adrenalina che la travolse guardando il suolo avvicinarsi ad una rapidità spaventosa, quando il gelo le riempì gli occhi di lacrime e lo stomaco le si ribaltò nella pancia nel momento in cui Katsu spalancò le ali ad un soffio dal terreno, sfrecciando rasoterra e poi puntando di nuovo verso l’alto, gettandosi in un’altra corrente calda che cavalcò per ritornare in quota.

Con uno stupido, esilarato sorriso sulle labbra Zoe si voltò, non riuscendo a trattenersi più dal ridere quando scorse l’espressione stralunata e sconvolta della Principessa.

-Ve l'avevo detto di tenervi forte.- commentò, divertita, quando Ileana alzò lo sguardo per guardarla.

-Tu… io…- balbettò, ad occhi sgranati, pallida come un cencio… e poi, riempiendosi i polmoni dell'aria tersa e fredda di quelle altitudini, scoppiò a ridere, lasciando andare il bordo della sella per stringersi le braccia sul ventre, le guance che si rigavano delle stesse lacrime che si erano disegnate su quelle di Zoe.

-Mi stavo già aspettando un'altra sessione dei vostri fantasiosi insulti, lo ammetto.- ridacchiò la Samurai, sollevata da quella reazione in cui aveva sperato e inclinando la testa per ascoltare meglio quella risata, per imprimersela nella memoria… e, per un breve istante, per lasciare che quel suono sincero e cristallino le desse sollievo, per lasciare che allontanasse tutti i ricordi e le congetture che l’avevano tormentata in quei giorni.

-È STATO FANTASTICO!- strillò Ileana, ignara dei pensieri dell’altra, arrossendo però quando si accorse che Zoe la stava guardando. -Oh, ehm… intendevo…- mormorò, abbassando lo sguardo, ma la Samurai sogghignò.

-Di nuovo?- propose e, dal modo in cui Ileana le lanciò un’occhiata speranzosa, fu chiaro ad entrambe quanto le sarebbe piaciuto.

-Non dovresti stancare il tuo pennuto a causa mia.- commentò comunque, ma Zoe rise e si voltò, arrotolandosi le redini intorno ai polsi.

-Katsu adora queste cose anche più di voi.- la rassicurò, guidando il kinshi ancora più in alto rispetto a prima, fino a che l’intero entourage della Reginanon parve soltanto una striscia di formichine sulla strada lastricata.

Guardò verso l’alto, beandosi della carezza del Sole sulla pelle, socchiudendo gli occhi per lasciarsi avvolgere da quell’istante di perfetta immobilità, dall’odore dell’aria gelida e limpida che le si insinuava sotto i vestiti e dal suono meraviglioso del vento che tanto le ricordava lo sciabordio del mare.

Il mondo poteva anche essere troppo piccolo, ma il cielo non avrebbe mai avuto fine.

-E vale lo stesso per me.- aggiunse, e poi ci fu soltanto il fischio del vento, le grida di giubilo di Katsu e quelle esilarate della Principessa.

-WOAH! Avverti, prima!- esclamò, sconvolta, non appena riuscì a riprendere fiato, passandosi una mano fra i capelli tutti arruffati e sfregandosi il viso. Zoe represse un sorriso, arrotolando le redini intorno al pomolo della sella per voltarsi verso di lei.

-Mi dispiace.- si scusò, ma quando Ileana inarcò un sopracciglio, poco convinta, ridacchiò. -No, a dire il vero no, neanche un po'.- si corresse, strappando uno sbuffo divertito all'altra ragazza che, chiaramente esasperata, scosse la testa.

-Allora… Katsu, giusto?- domandò, piegandosi di lato per lanciare un'occhiata alla testa del kinshi.

-Sì! Questo piccolino è uno dei kinshi più veloci di tutta Hoshido. Mi sono presa di lui fin da quando non era altro che una gallina spennacchiata, ma adesso è diventato l'orgoglio dei nostri allevatori e la cavalcatura ufficiale di Reina.- le spiegò Zoe, dimenticandosi persino di acquietare il suo entusiasmo quando si ritrovò a parlare di Katsu, l'orgoglio palpabile nelle sue parole. Ileana, però, non ne parve disturbata, anzi: allungò una mano, incuriosita, per sfiorare cautamente il dorso del pennuto, lasciando scorrere la punta delle dita fra le piume candide.

-Quindi… non proverà a buttarmi giù finché tu sei qui con me?- chiese, e Zoe, ancora una volta, annuì.

-Esatto. Katsu si fida di me, come tutti i nostri kinshi. Ho passato un sacco di tempo nelle stalle, nel tempo, per via di tutte le punizioni…- si morse la lingua, ricordando anche troppo bene le lunghe, interminabili ore che aveva passato a ripulire le stalle, masticando questo o quell'insulto indirizzato a Saizo con la sola compagnia dei kinshi o dei pegasi. -Avete detto che non andate d'accordo con gli animali, giusto? È perché siete una maga? Anche mia madre ha lo stesso problema.- domandò, poi, dicendosi che quella, in fondo, era una domanda innocua, che non avrebbe potuto rappresentare alcuna minaccia agli occhi della Principessa; ed infatti Ileana annuì, allontanando la mano dalle soffici piume di Katsu ed incrociando di nuovo le braccia sul ventre.

-Credo di sì. Se gli animali non sono abituati alla magia, non si avvicinano volentieri a me.- spiegò, laconica, e Zoe quasi riuscì a comprendere la frustrazione che Ileana doveva provare per quel motivo – non poteva davvero immaginare una vita senza Katsu o Robusuta, il cagnolino trovatello che aveva regalato a Ryoma anni addietro, e tutti gli altri animali che aveva portato a casa nonostante la disperazione di Orochi…

-Katsu è abituato ai maghi, come i nostri pegasi.- mormorò, un lieve sorriso che si disegnava sulle sue labbra rammentando l’espressione esasperata di sua madre all’ennesimo randagio che aveva portato a casa non più di qualche mese prima. -Ho sentito parlare di una razza molto rara che lascia addirittura che i maghi li cavalchino.- aggiunse, rivolta più a se stessa che ad Ileana.

-Sì, li conosco.-

Zoe sussultò, voltandosi per lanciare un’occhiata sorpresa alla Principessa.

-Davvero? Oh, adesso sono invidiosa. Non ne ho mai visto uno.- esclamò, conscia dell’espressione estatica che doveva essersi disegnata sul suo viso – insomma, quei pegasi erano quasi una leggenda! Avrebbe dato qualunque cosa per poterne avvicinare uno – oh, e le viverne, a Nohr cavalcavano draghi, accidenti, e…

Sospirò, mordendosi la lingua, quando comprese di aver detto la cosa sbagliata per l’ennesima volta: Ileana aveva serrato le labbra e distolto lo sguardo da lei, di nuovo scura e distante, inavvicinabile come una triste, bellissima bambola di porcellana al di là di una lontana vetrina di quei negozi che Zoe aveva tanto ammirato da bambina.

-Ed eccoci di nuovo tornate al mutismo. Non che io possa biasimarvi, dopotutto.- mormorò, trattenendosi dallo sbuffare, digrignando i denti e riportando la sua attenzione sull’infinità che le circondava: c’era qualche nube, a est, che sembrava promettere pioggia, notò… ma poi scorse due puntolini più chiari stagliarsi in quel grigiore distante, ed i suoi occhi allenati colsero il bagliore della luce del Sole, alle loro spalle, riverberarsi su familiari penne candide.

-Ah, parli del kitsune…- borbottò, arricciando le labbra quando distinse un maestoso pegaso spiegare le sue ali nel cielo terso e scorse una sciarpa altrettanto abbacinante sventolare nella corrente creata dal turbinio del volo.

Hinoka.

Ileana si sporse oltre la sua spalla, incuriosita, rivolgendole uno sguardo interrogativo quando parve non comprendere a cosa si stesse riferendo la Samurai.

Zoe si mordicchiò un labbro, irritata.

-Quello è un pegaso. Il pegaso della principessa Hinoka, per essere precisa… dev'essersi stancata di aspettare il nostro ritorno, immagino.- ipotizzò, tutt’altro che contenta: poteva già immaginare l’irruenza di Hinoka, la sua felicità nel poter rivedere, finalmente, la sorellina per cui aveva sacrificato così tanto, ma non era affatto certa che sarebbe stato positivo per Ileana…

La Principessa aggrottò le sopracciglia, sempre più perplessa.

-Perché?- chiese, e Zoe in quel momento desiderò ardentemente di trovarsi da un’altra parte, di potersi sottrarre a quella domanda a cui non voleva proprio rispondere.

-Beh… è la sorella minore di Ryoma, ma è più grande di me e di…- cominciò, interrompendosi però quando il nome di Takumi si affacciò nella sua mente e qualcosa, nel suo petto, stridette.

Takumi non aveva mai perdonato ad Hinoka di averlo dimenticato.

Hinoka aveva scelto la strada del guerriero tanti anni prima, in nome di quella sorellina perduta per cui aveva sofferto così tanto: era diventata uno dei Falconi più temibili che Hoshido avesse mai conosciuto, era rispettata dai suoi alleati e temuta dai suoi nemici, ma… il prezzo che aveva pagato per quella dedizione, per quelle rinunce, era stato il fratellino che da un giorno all’altro era stato messo da parte in favore di un ricordo.

Zoe ricordava con fin troppa chiarezza quanto Takumi ne avesse sofferto.

Ricordava perfettamente i singhiozzi soffocati di quel ragazzino che si era sentito abbandonato in nome di una sorella che faticava persino a ricordare, la forza rabbiosa con cui l’aveva stretta, le lacrime che le avevano bagnato il collo tutte le volte che lui aveva cercato di nascondere il suo dolore nel buio della notte e fra le sue braccia…

Strinse i pugni, sforzandosi di convincersi che il bruciore che avvertiva agli angoli degli occhi fosse dovuto solamente all’altitudine.

Dei, per favore, restituitemi mio fratello”.

-Comunque, si ricorda di voi, tutto qua. Dev'essere impaziente di rivedervi.- mormorò, forse con meno tatto di quanto sarebbe stato opportuno usare, passandosi nervosamente una mano fra i corti capelli della nuca quando Ileana s’irrigidì.

-Io… io non…- balbettò, e Zoe si costrinse a mandar giù tutto quanto, a spingere in un angolo quei ricordi tanto dolorosi e a nasconderli dietro la sua espressione serena, voltandosi per rivolgere un accenno di sorriso a quella ragazza spaventata.

-Ehi, non preoccupatevi. Se non volete parlarle, lo rispetterà. È una persona piuttosto riservata anche lei.- provò a rassicurarla, sentendo il cuore stringersi quando colse gli inequivocabili segni della paura nelle mani convulsamente strette di Ileana, negli occhi che dardeggiavano in direzione del pegaso sempre più vicino di Hinoka, nel pallore della sua pelle. -Posso… posso dirglielo io, se volete. Siamo amiche, mi ascolterà.- tentò, ma Ileana scosse la testa.

-No.- sbottò, ma Zoe non se la prese per il tono brusco e la smorfia arrabbiata che le rivolse – non aveva più voglia di arrabbiarsi per niente, a dire la verità, voleva soltanto tornare a casa e riabbracciare Sakura e Hana e invitare Hinata a cena con lei e sua madre…

-Come volete, Principessa.- sospirò, scrollando le spalle prima di alzare un braccio ed agitarlo per salutare la Principessa hoshijin ormai vicinissima. -Hinoka, ehi!- chiamò, e distinse la rossa aprirsi in un sorriso luminoso e sincero quando la riconobbe.

-Ah, eccoti! Hai rubato di nuovo Katsu?- la salutò, ridendo, non appena si fu avvicinata abbastanza perché Katsu ed il suo pegaso potessero sfiorarsi, guardandola con quell’affetto e quella gentilezza che Zoe aveva sempre trovato sorprendenti in una guerriera tanto micidiale.

-No! Stavolta ho chiesto.- si sforzò di sorridere, perché Hinoka non aveva fatto nulla di male e non meritava di scorgere la sua tristezza – era sempre stata così affettuosa, con lei, le aveva insegnato a cavalcare i pegasi e a prendersene cura, l’aveva coperta quando aveva saltato qualche allenamento per vedersi con Hinata… avrebbe tanto voluto evitare sia a lei che ad Ileana quella situazione, quell’incontro che si sarebbe sicuramente rivelato spiacevole ed imbarazzante per entrambe – ma sgranò gli occhi, allibita, quando scorse Hinoka spostare l’attenzione da lei a Ileana ed il suo sorriso spegnersi con una rapidità sconvolgente.

“Ma che…”

Ileana prese un profondo respiro e Zoe, nonostante non la stesse guardando, quasi poté vederla raddrizzare le spalle e sistemarsi gli abiti: dopotutto, si disse, stava facendo esattamente quello che lei e Kaze avevano fatto fino a quel momento, nascondendosi dietro maschere e ruoli da giocare per proteggersi e non impazzire…

-Salve, Principessa Hinoka. Sono__-

La voce sostenuta e formale di Ileana, però, si perse nel vento, quando Hinoka la interruppe senza degnarla nemmeno di una seconda occhiata per rivolgersi nuovamente a Zoe.

-Takumi e Ryoma? Sono con mia madre?- domandò, ignorando l’espressione stupefatta di Zoe e quella probabilmente altrettanto confusa di Ileana – che cosa accidenti stava succedendo, ora!?

-Beh… sì, sono con lei, ma…-

Zoe la fissò, incredula: Hinoka aveva trascorso la vita ad aspettare Ileana! Aveva sacrificato tutto per lei, si era indurita, aveva temprato se stessa per diventare sempre più forte e coraggiosa e adesso nemmeno la guardava!?

Hinoka annuì, apparentemente ignara dello sgomento della Samurai, lanciando un’occhiata pensierosa verso il basso. -Bene. Vai avanti, Setsuna è proprio dietro di me. Ti scorterà al palazzo.- le ordinò, e Zoe dovette fare appello ad ogni oncia della sua testardaggine per frenare l’istinto che l’avrebbe spinta ad obbedire all’istante – qualcosa, in fondo, Saizo doveva pur averlo inculcato nella sua testaccia dura, no? – per scuotere la testa, confusa, e aprire la bocca per protestare.

-Aspetta, ma non__- cominciò, ma Hinoka alzò una mano, zittendola con quel gesto ma rivolgendole poi un breve sorriso per rassicurarla.

-Ci vediamo dopo, Zoe. Adesso vai, informerò io gli altri.- la frenò, e prima che Zoe potesse fare altro che fissarla, sconvolta, la rossa aveva già tirato le redini per spingere il suo pegaso in una picchiata ancor più vertiginosa di quelle di Katsu, i capelli rossi che splendevano nella luce del Sole morente e la sciarpa bianca che svolazzava nel vento.

Zoe tacque, allibita, per quella che le parve un’eternità, incapace di concepire come fosse possibile quel disinteresse al limite della maleducazione da parte di Hinoka – Hinoka, maledizione, che aveva sempre affermato di combattere per la sua sorellina perduta, che aveva rinunciato alla vita da principessa per diventare abbastanza forte per riprendersi sua sorella e proteggerla dal mondo, con cui Zoe aveva condiviso anni di duro addestramento e che… lei…

-…i reali stanno andando fuori di testa.- sbottò, irritata, stringendo i denti quando sentì uno sbuffo altrettanto scocciato provenire dalla ragazza alle sue spalle.

-Come mai dici questo? A me sembra che tu avessi ragione.- fu il commento laconico che le rivolse.

-Sì, ma…- cominciò, ma immediatamente si rese conto che spiegare ad Ileana quanto quel comportamento fosse assurdo sarebbe stato inutile e, a dirla tutta, decisamente controproducente; e perciò sospirò, arruffandosi i capelli con un gesto esausto, scrollando le spalle e lanciando un’ultima occhiata sospettosa alla Principessa dai capelli rossi che era appena atterrata accanto al suo fratello maggiore. -Credo soltanto che non sapesse cosa dire.- mormorò, perché nemmeno lei sapeva più che cosa dire, come spiegare l’improvvisa idiozia che aveva definitivamente preso possesso di tutti quanti.

L’ennesimo silenzio, pesante e fastidioso, fu tutto ciò che Ileana le concesse come risposta.

Sbuffò, esasperata più da tutta la situazione che dalla reazione della nohriana, e riprese in mano le redini di Katsu, assottigliando le palpebre per distinguere la figuretta esile di Setsuna e del suo kinshi in avvicinamento.

-Beh, andiamo. Katsu si sta stancando.-

.

.

-Eccoci qui, Ileana. Coraggio, entra.- la Regina sorrise, invitandola con una mano.

Ileana fece un paio di passi, guardandosi cautamente intorno. Rimase vicina al muro mentre lasciò che lo sguardo corresse ad ogni angolo della stanza, cercando d’istinto tutte le nicchie dove potessero annidarsi eventuali trappole o dove si sarebbe potuto nascondere un aggressore.

Niente.

C’era anche un buon odore – di pulito, per niente umido – e persino un’imponente finestra.

Fece un altro passo, in punta di piedi: la stanza era… sorprendentemente piccola, tutto considerato, più piccola di quanto si aspettasse – e anche più disordinata: c’erano disegni sparsi per tutto il pavimento, e oggetti che non potevano essere altro che giocattoli abbarbicati sulle mensole. Non sembrava una stanza appropriata per ospitare un dignitario straniero, per niente. Strinse le labbra.

La regina dovette notare la sua confusione – la sua delusione per non essere trattata come le si conveniva, di nuovo – e si affrettò ad aggiungere: -Questa era la tua camera, tesoro. Nulla è stato toccato da quando sei stata rapita.-

Quelle parole fecero trasalire Ileana. Non poté fare a meno di fare un passo indietro, finendo per sbattere contro Zoe, che stava entrando a sua volta. La Maga sobbalzò e si trovò a dover trattenere un soffio spaventato, ma la Samurai alzò le mani per rassicurarla – e c’era qualcosa di curioso, preoccupato ed esasperato, tutto insieme, nei suoi occhi carmini.

Rifiutandosi di staccarsi dal muro, Ileana si costrinse a fare dei respiri profondi. La Regina la fissava con tanta preoccupazione – sembrava così dannatamente sincera –, da costringerla ad abbassare lo sguardo per mentire.

-Il… il viaggio mi ha stancata. La stanza va bene.-

La donna sembrò sollevata nel sentirglielo dire, anche se Ileana poté scorgere ancora un’ombra di tristezza nei suoi occhi.

Si era davvero aspettata che lei avrebbe… riconosciuto qualcosa?

Che follia.

Lei non era mai stata in quella stanza. E anche se tutto quello che le avevano detto alla Grande Muraglia fosse stato vero, perché la “sua vecchia stanza” non sembrava più… reale?

-Io… perché ci sono due letti?-

La domanda sembrò cogliere la Regina di sorpresa. -Oh, ho… ho chiesto di aggiungere un secondo letto.- sembrava una bugia inventata sul momento, ma Ileana decise di non discutere. -Pensavo che magari ti avrebbe fatto piacere la compagnia di Zoe. Vi ho viste con Katsu oggi, mi è sembrato che vi steste divertendo.-

L’aveva chiesto a Zoe?, si domandò Ileana, provando un’immediata repulsione per quelle parole affettate.

Se le aveva mentito riguardo all’aggiunta del letto dopo averle viste sul kinshi, allora forse a Zoe era stato ordinato di rimanerle incollata fin dall’inizio, ma… se Zoe non fosse stata d’accordo? Sarebbe importato a qualcuno? Contavano, forse, i sentimenti di chiunque – i suoi, quelli di Zoe – o la Regina era pronta a calpestare ogni opposizione solo per mettere in piedi quella farsa della figlia perduta?

Ileana scosse la testa.

Era troppo.

Non sapeva più a cosa credere, non riusciva più a distinguere la verità dalle bugie, le buone intenzioni dalle cattive.

Nella migliore delle ipotesi, la Regina diceva il vero e voleva solo offrirle una compagnia che potesse esserle di conforto in un posto così alieno, e semplicemente non aveva pensato prima di chiederle se l’avrebbe apprezzato. Nel peggiore dei casi, questo era un altro dei loro giochetti mentali per spingerla a rivoltarsi contro casa sua – contro Nohr.

In ogni caso, Ileana non gradiva essere guardata a vista tutto il tempo. -Veramente preferirei dormire da sola, se possibile.-

Quel poco di speranza rimasta negli occhi della Regina si spense.

-O_oh. Ma certo. Se è quello che desideri.-

Alla principessa nohriana si strinse il cuore, perché il dolore della donna sembrava davvero reale – ma non poteva esserne certa, e non poteva mai dimenticare la possibilità che si trattasse di un enorme, intricato inganno. -Lo è. Vi ringrazio.- mormorò, provando un profondo desiderio nei confronti della solitudine che la aspettava di lì a poco, una volta liberatasi tanto della Regina quanto della Samurai.

-…di nulla, bambina mia.-

A quelle parole, un silenzio opprimente riempì la stanza.

Ileana fissò il pavimento, a disagio, avvertendo il peso dello sguardo della Regina, di quei suoi occhi così tristi, su di lei. La Maga poteva sentirne il peso sulle spalle e percepire il proprio corpo talmente in tensione che quasi fece un salto quando Zoe, probabilmente esasperata, si schiarì la gola.

-Lady Mikoto… forse dovremmo lasciar riposare Ileana, non credete?- suggerì, ma c’era un’inflessione nella sua voce che lo fece assomigliare più ad un avvertimento che un suggerimento.

La Regina sospirò. La sua voce stillava dolore quando, con un cenno del capo, parve decidere di accettare il consiglio della Samurai. -Certo. Allora vi lascio. Ti spiacerebbe aiutare Ileana a sistemarsi?-

Zoe scosse il capo, le spalle già meno tese al solo pensiero di liberarsi della regina. Probabilmente non vedeva l’ora di essere congedata: era stata una giornata lunga anche per lei. -Ma certo che no, mia signora. Sarà un piacere.-

-Allora credo di potervi lasciar sole. Buonanotte, cara Zoe. Buonanotte, tesoro.-

Ileana strinse i pugni, costringendosi a lasciare che la voce implorante della regina le scivolasse addosso – era davvero addolorata, era davvero così piena di sofferenza, o si trattava della recita più abile che lei avesse mai visto? -Buonanotte, vostra maestà.-

-Buonanotte, milady.- Zoe le fece eco, impostata e formale, allungando una mano per spingere la porta perché si chiudesse il meno bruscamente possibile quando la regina ne ebbe finalmente varcato la soglia. Il suono della serratura fece sospirare entrambe per il sollievo. -…grazie agli dei se n’è andata.-

-Puoi andare anche tu, se vuoi. Sarai stanca, non voglio trattenerti contro la tua volontà.- Ileana disse – non poteva certo biasimarla per averne abbastanza di principi, regine e principesse.

Ma la Samurai sorrise, amichevole. -Non sono stanca, e non sono qui contro la mia volontà.- affermò. L’occhiata sorpresa che Ileana non poté fare a meno di scoccarle dovette essere palese, perché Zoe scosse la testa e aggiunse: -La regina mi sa sentire… a disagio, ecco tutto.- si fermò, come se stesse cercando le parole giuste per darle una spiegazione che Ileana non aveva chiesto ma che si ritrovò ad aspettare – perché la sua mente si stava già immaginando chissà quali scenari che potessero giustificare come mai un monarca dovesse rendere così nervosi i propri sottoposti. -È che non mi piace che qualcuno provi pena per me. E lei lo fa, anche se sta solo cercando di essere gentile. È premurosa e attenta, ma io sono un soldato, non una bambolina.- fu il turno di Zoe di sgranare gli occhi. -…scusate, non volevo straparlare. Forse sono un po’ stanca, in effetti, non riesco proprio a stare zitta. Cosa posso fare per voi?-

Ileana scosse la testa. Era cresciuta badando alle proprie cose da sola, detestando l’idea di essere servita da coloro che considerava più amici che servitori. -Non mi serve molto. Se mi dici dove sono le cose, posso fare da sola. Ci sono abituata.-

Ci volle davvero poco perché Zoe le mostrasse la stanza: era piuttosto piccola, arredata giusto con un letto, un armadio, un paio di comodini, una scrivania, e completa di una porta che conduceva a un piccolo bagno privato. Il letto era uno di quelli tipicamente hoshijin, una sorta di materasso posizionato a livello del pavimento, di cui Ileana aveva solo letto nei libri di Leo; l’armadio era pieno di vestiti per bambini di mille stoffe e colori; i comodini erano un disastro di boccette di inchiostri colorati e morbidi pennelli e pergamene di carta di riso; la scrivania era in ordine, ma solo perché tutto quello che avrebbe dovuto essere sopra era sparso sul pavimento. Perlomeno, il bagno era perfettamente pulito.

Ileana sospirò. Non le piaceva assolutamente nulla di quella stanza. I giocattoli con le inquietanti maschere rosse erano la parte peggiore, e lei non vedeva l’ora di restare sola per poterle sbattere nell’armadio e non doverle mai più vedere.

-E questo è tutto.- Zoe terminò con un sorriso. -Vi serve altro? Una tazza di tè, forse?-

Qualcosa di caldo suonava bene, ma un po’ di tempo da sola suonava anche meglio. Ileana scosse la testa, sentendola girare per la spossatezza. -Non darti pensiero. Non mi serve altro, e tu sei stanca.-

La Samurai pareva voler discutere, ma un’occhiataccia altezzosa della principessa la fece desistere. -Allora d’accordo, vi lascio riposare.- s’inchinò a fondo. -Buonanotte. Spero che dormirete bene, Lady Ileana.-

Quell’augurio così sentito fece vacillare la maschera altezzosa della principessa. -Oh, io… grazie. Spero che dormirai bene anche tu.-

Zoe sorrise a quello sprazzo di umanità. -Grazie.- sussurrò, prima di andarsene, sparendo al di là della porta silenziosa come un’ombra.

Nel momento stesso in cui le sembrò che fosse sparita – non poteva esserne certa, l’aveva vista muoversi con la stessa furtività dei ninja e non poteva escludere che fosse ancora nei paraggi – Ileana prese un respiro profondo.

Sola.

Per la prima volta dalla sua cattura, si trovava finalmente da sola. Durante il viaggio verso la Grande Muraglia c’era stata un’intera colonna di soldati a tenerla d’occhio; a Suzanoh le guardie appostate davanti alla sua cella e Kaze nascosto nelle ombre; dopo l’incontro con la Regina, Kaze, Zoe e quel ninja dai capelli rossi che sembrava sempre arrabbiato – come la salsa piccante preferita di Camilla – non l’avevano mai persa d’occhio nemmeno per sbaglio.

…probabilmente non sarebbe durata.

Era probabilmente solo una tregua temporanea, e presto sarebbe stata rimessa sotto sorveglianza, giorno e notte e notte e giorno. Non che potesse biasimarli: era instabile, ai loro occhi, qualcosa che poteva rivelarsi tanto una risorsa quanto una minaccia. Doveva cercare di mantenere le cose in quello stato il più a lungo possibile: finché l’avessero vista come una risorsa potenzialmente collaborativa, tutto quello di cui avrebbe dovuto preoccuparsi erano i loro giochetti mentali per tirarla dalla loro parte.

Decise di approfittare della quiete finché poteva, e si diresse verso il bagno. C’era una tinozza che era stata portata prima del suo arrivo, ma non vedeva alcuna fiammella guizzarvi sotto – e, come aveva immaginato, l’acqua era quasi fredda quando la sfiorò con le dita.

Oh, pazienza, non aveva tutta quella voglia di fare un bagno: lavarsi via i giorni di viaggio dalla pelle sarebbe bastato. Sospirò, svestendosi e afferrando una spugna, rivolgendo la sua attenzione ad allentare almeno un poco i nodi nella sua mente, quanto bastava per riuscire almeno a dormire.

Alla fin fine si riduceva tutto a due possibilità: o gli hoshijin stavano mentendo, oppure no. Se stavano mentendo, lei stessa e tutto ciò che amava erano in pericolo mortale. Se non stavano mentendo, probabilmente era più al sicuro di quanto non fosse mai stata, ma tutta la sua vita era stata una farsa. Non sapeva quale opzione preferisse.

Ma, soprattutto, non aveva alcun modo di conoscere la verità: c’erano troppe domande senza risposta. Tutto quello che poteva fare era aspettare – finché non avesse trovato un modo per avere altre informazioni, senza fidarsi di nessuno. Doveva mettere in dubbio qualunque cosa chiunque le avrebbe detto nei giorni successivi mentre cercava di venire a capo della situazione. Non poteva fidarsi di nessuno, non poteva abbassare la guardia.

Non era una prospettiva incoraggiante, ma sapeva che la situazione non sarebbe durata a lungo: Xander avrebbe scritto presto. Sì, Xander sarebbe arrivato presto e lei avrebbe avuto le sue risposte. Doveva solo resistere ancora un po’. Poteva farcela.

Ileana lasciò cadere la spugna nella tinozza. Si sentiva meglio; e più stanca. Aveva bisogno di dormire, e lo sapeva – non sarebbe stata in grado di razionalizzare un bel niente se non si fosse concessa una notte di sonno ristoratore, finalmente comoda e al caldo.

Tornò nella stanza, arrotolata in un asciugamano, e si diresse all’armadio: per lo più era pieno di vestiti da bambina, ma c’era una pila di abiti ripiegati che sembravano essere della sua taglia. Ovviamente, erano tutti bianchi – quindi chi era stato incaricato di trovarle dei vestiti non sembrava avere lo stesso riguardo di Zoe, si disse con una smorfia. La camicia da notte color avorio pareva bruciarle la mano mentre la esaminava. Le sarebbe piaciuto tirarla nella tinozza, e invece se la lasciò scivolare addosso – non sapeva quando i ninja sarebbero tornati a strisciare tra le ombre, e di certo non aveva voglia di farsi trovare nuda solo per principio.

Era una bellissima camicia da notte, non poteva certo negarlo. Tutta di seta delicata, con ricami di fiori di ciliegio rosa antico. Sembrava piuttosto leggera considerato che erano nella stagione delle nevi, ma aveva già notato che a Hoshido faceva molto meno freddo che a Nohr. Era per via dell’Oceano Orientale, non così lontano da Shirasagi: mitigava anche il freddo più mordace, e Zoe in effetti aveva menzionato che la neve era rara ad Hoshido.

Richiuse l’armadio, ma non prima di averci infilato tutti quegli inquietanti giocattoli con le maschere rosse; si sarebbe preoccupata di ripulire il resto del disordine l’indomani.

Ileana si passò una mano sul viso, poi fissò il letto con disappunto. A livello del pavimento. Non sembrava comodo, niente affatto. Non le importava se fosse normale a Hoshido, ma dormire sul pavimento non le sembrava per niente… igienico. Fece un giro della stanza, fermandosi appena arrivò accanto alla finestra. Scostò le tende e guardò in alto.

Si chiese come facessero gli hoshijin a vivere sotto un cielo così triste: non si vedevano nemmeno la metà delle stelle che rischiaravano la notte di Nohr – certo, il loro giorno era vivido e lussureggiante, ma avrebbe scelto mille volte le nubi perenni di Nohr piuttosto che le loro notti vuote. Perlomeno, la luna brillava come non mai, ed era perfettamente visibile dalla sua finestra. E il davanzale interno era abbastanza ampio da essere comodo.

Ci mise solo un secondo a decidere, e solo qualche momento in più per togliere tutte le lenzuola dal letto per avvolgersele intorno, dopo averle scosse dalla polvere. Prima di rendersene conto, era già arrotolata sul davanzale, appoggiata al vetro della finestra; era freddo al tatto, ma la aiutava a respirare. Guardò di nuovo la luna, che si rifletteva vivida nei suoi occhi verdi.

Niles avrebbe odiato le notti hoshijin, si ritrovò a pensare, e sentì qualcosa in lei spaccarsi.

Niles. Odin, Laslow, Selena. Jakob, Flora, Felicia. Gunter. Tutti loro avevano avuto un ruolo importante nella sua vita, come i suoi fratelli e le sue sorelle.

Niles le aveva insegnato a tirare con l’arco e a muoversi furtivamente. Era stata un’amicizia difficile, la loro, visto quanto si erano odiati per anni – da quando lei ne aveva undici finché non ne aveva compiuti sedici. Era certa che l’unica cosa ad averlo trattenuto dal romperle delle ossa per farla muovere con la flessibilità che pretendeva era stata la presenza di Leo. Ma avevano superato quella fase, alla fine, e lui le aveva insegnato le stelle.

Odin era la sua tregua, il suo compagno di giochi. Avevano messo in scena mille e mille storie, per ore, per giorni addirittura quando i suoi fratelli e sorelle passavano la notte alla Fortezza. Aveva avuto una cotta per lui, da ragazzina. Non riusciva a immaginare la vita senza di lui.

Laslow le aveva dato lezioni di danza, per insegnarle tutte quelle mosse che Xander proprio non riusciva a farle imparare durante il loro addestramento. Ileana aveva sempre odiato la scherma perché faceva pena con una spada in mano, ma Laslow era riuscito a rendergliela sopportabile – anche perché poi prendeva sempre il tè con lei e Felicia. Quella grazia che aveva la doveva a lui.

Selena l’aveva portata a caccia, due o tre volte: le aveva insegnato a uccidere. Ileana l’aveva odiata, aveva strillato e annaspato e pianto; Selena aveva lasciato che si sfogasse, e l’aveva abbracciata una volta calmatasi. Le aveva detto che andava bene che lo trovasse disgustoso, che era giusto, ma che doveva imparare a digerirlo perché un giorno sarebbe entrata nell’esercito, e uccidere sarebbe stato all’ordine del giorno. Non poteva fare certe scenate sul campo di battaglia. Col tempo, Ileana aveva compreso quelle parole, le aveva fatte sue, e si era scusata. E aveva sempre fatto in modo che Selena sapesse quanto fosse apprezzata.

Jakob era un nemico-amico. L’aveva viziata oltre ogni ragionevole limite e si prendeva cura di lei con un’attenzione che batteva persino Gunter, e lei gli era grata. Ma aveva anche quell’orrenda abitudine di andare a raccontare tutto a Xander – soprattutto quando pensava che la sua protetta stesse tramando qualcosa. Una volta, Ileana aveva cercato di scappare dalla Fortezza per partecipare alla Festa delle Maschere con le sorelle, e lui aveva fatto la spia al Principe Ereditario. Ileana era stata colta sul fatto e rispedita in camera sua senza nemmeno mettere piede fuori dalle mura della torre. Da allora, aveva smesso di considerare Jakob un complice, ma gli voleva comunque bene.

Flora e Felicia erano state le sue complici, le sue compagne. Avevano il loro piccolo club del libro, le avevano insegnato a cucinare e a cucire e a pulire – beh, Flora le aveva insegnato, perché Felicia faceva più danni che faccende. A volte avevano congelato il pavimento del salone della torre per pattinare sul ghiaccio. E se Ileana si ammalava, Felicia le stava accanto per tenere sotto controllo la febbre, non curandosi del rischio di ammalarsi lei stessa.

Gunter era stato il primo – prima di Xander e prima di Jakob, era stato il primo a tenerla al sicuro e a giocare con lei. E avevano giocato tanto, soprattutto a nascondino. E a volte lei si nascondeva così bene, che l’unico modo di trovarla era proporle di giocare a palla.

Niles. Odin, Laslow, Selena. Jakob, Flora, Felicia. Gunter. Xander, Camilla, Leo, Elise. Avevano… potevano averle mentito tutti, tutta la sua vita? Avevano finto ogni parola, ogni sorriso, ogni abbraccio? Se gli hoshijin non mentivano…

Esalò un singhiozzo, e il riflesso della luna s’increspò nei suoi occhi quando si riempirono di lacrime.

No, no.

Non doveva pensarci.

Beneficio del dubbio, per tutto e tutti. Doveva tenere la mente aperta e le orecchie tese. Non doveva fidarsi di nessuno e non doveva abbassare la guardia. Doveva assorbire ogni briciola di informazione per capirci qualcosa, e doveva stare attenta a non farsi scappare niente – giusto per sicurezza. Doveva solo aspettare.

Sarebbe stato difficile, e stressante, e sfibrante. Lo sapeva. Le sembrava che le stessero strappando il cuore e che lo stessero schiacciando al tempo stesso… e allora, in quel momento, Ileana guardò la luna.

-Buonanotte.- sussurrò.

Lo faceva sempre, quando era ancora nella sua torre e i suoi fratelli e sorelle erano lontani: affidava il suo augurio al vento e lasciava che lo portasse da loro. Stavolta non c’era vento che potesse portar loro il suo affetto, ma lei sperò che potessero sentirlo comunque.

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Writers' Space:

Eccoci qua!

No, non siamo morte, giuro. Abbiamo avuto un po' tante cose da fare, la vita ha rischiato di risucchiarci via e abbiamo fatto un po' fatica, maaaaa... eccoci qui!

Siamo finalmente arrivate a Shirasagi, con una tensione che si taglia con un grissino e Ileana tesa come un gatto bagnato. Abbiamo avuto un excursus nel punto di vista di quel santo di Kaze, che meriterebbe una statua, e abbiamo fatto un voletto assieme alle nostre ragazze. Ci aspettano crisi isteriche a manetta, ve lo possiamo assicurare!

Grazie infinite per essere arrivati fin qui!

Un abbraccio,

Clarisse&B

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Capitolo 7
*** Ttonkolenyo ***


Aranyhíd

Ttonkolenyo

(Amarico)

Una persona che passa tutto il suo tempo pianificando e preparando piani deviati da cui potrebbe trarne vantaggio, di solito a danno di qualcun altro.

.

.

Da uno dei tanti balconi che circondavano l’esterno della sala del Trono, Iago guardava attentamente le frenetiche attività che imperversavano giù, nel cortile che circondava il Castello di Krakenburg.

Cavalli da guerra di mille sfumature grigie e marroni stavano in formazioni, con due cavalieri in sella ciascuno – Arcieri a Cavallo, Cavalieri Oscuri, Gran Cavalieri o Strateghi sedevano di fronte a Eroi, Berserker, Incantatori o Avventurieri. Lord Viverna e Cavalieri Malig accompagnati da Cameriere e Maggiordomi e Generali occasionalmente si levavano per volare attorno alle torri, perché le viverne si innervosivano ad aspettare a terra, anche se i loro compagni umani si stavano sforzando di non farle stancare troppo prima di dover partire per la marcia.

Tutti erano pronti a cavalcare, a volare – a combattere, spade e lance e tomi e archi e asce e pugnali alla mano, assicurati alle selle delle cavalcature o ai fianchi dei soldati. Iago poteva sentire la loro impazienza, rintuzzata dalle parole arroganti che il Principe Ereditario ruggiva a pieni polmoni mentre faceva trottare il cavallo di fronte alle file della sua armata.

C’erano tutti, in groppa allo stallone nero, alle giumente nere, alla viverna nera. Persino dal balcone, Iago poteva vedere la preoccupazione disegnata sulle fronti dei principi, lo strazio sulle labbra delle principesse.

Era uno spettacolo meraviglioso.

La loro agonia era stata palpabile da quando il Maggiordomo leccapiedi della piccola, dolce Ileana si era precipitato a cavallo nello studio del Principe Ereditario, strillando bocconi di frasi senza senso riguardo a un Cecchino di sangue reale, un ponte crollato e una minaccia di morte.

Fortunatamente, Hans si era presentato con lui per tradurre tutto: Ileana non era riuscita ad attivare una Vena di Drago e si era lasciata cadere in mano a una pattuglia hoshijin.

L’ordine del re – di partire subito, con quel frammento di esercito che era stato preparato per prendere possesso del forte, e di andare al salvataggio della principessa rapita – non era riuscito a lenire il dolore negli occhi dei suoi figli. E Iago era stato ben felice di godersi ogni minuto, se non ogni secondo, di quel dolore.

La splendida Elise non aveva perso il sorriso, ma la sua voce sembrava più acuta, come se si trovasse spaccata tra il suo carattere gioioso e vivace e quell’innaturale senso di fretta e angoscia che pareva aver inghiottito tutta la sua famiglia. Era troppo innocente per sapere esattamente cosa ci fosse in gioco, ma la preoccupazione generale la stava sfinendo.

La principessa Camilla aveva riversato tutta la sua attenzione sull’alleggerire il peso portato dai suoi fratelli, resa persino più appiccicosa a causa della preoccupazione… ma quando restava sola, i suoi occhi emanavano una rabbia fredda, calcolata e tagliente che lei non vedeva l’ora di scatenare su coloro che avevano torto anche un solo capello della sua amata sorellina.

Il principe Leo era diventato ancora più silenzioso, e c’erano ombre scure sotto i suoi occhi – ma non il genere di ombre che si ottengono da una notte passata a studiare. Pensieri e incubi terribili su ciò che gli hoshijin stavano facendo alla sua adorata piccola maghetta dovevano tenerlo sveglio, senza dubbio. Era fin troppo consapevole che le loro possibilità di trovarla viva andavano assottigliandosi di secondo in secondo.

Il principe Xander aveva lavorato senza posa per preparare i soldati alla marcia il prima possibile; ed eccoli lì, tutti in fila e pronti al viaggio, appena due giorni dopo l’arrivo del maggiordomo. Di tutti i suoi fratelli, il Principe Ereditario aveva la più tormentata delle espressioni – perché solo lui sapeva che non era solo per la vita di Ileana che doveva temere, ma anche per la sua lealtà. Lui sapeva che non l’avrebbero solo assillata per avere informazioni…

Sapeva che le avrebbero detto di Cheve.

Sapeva che le avrebbero detto che Nohr non era casa sua, che coloro che lei aveva chiamato fratelli e sorelle per tutta la vita non erano la sua famiglia. Quel pensiero lo stava mangiando vivo e, anche se lo nascondeva bene, lo si poteva intravedere dal tremito delle mani quando si separavano dalla sua spada sacra, e bastava saper dove guardare per coglierlo.

Iago sorrise.

Ovviamente, avrebbe potuto dire al Principe Ereditario che le sue peggiori paure erano infondate – che la sua principessina era non solo viva e al sicuro, ma anche leale a coloro che ancora considerava famiglia, e che lo stava aspettando. Avrebbe potuto dirgli della pergamena che la Regina di Hoshido aveva mandato da parte sua.

Ma, se gliel’avesse detto, il Principe Ereditario non sarebbe partito con un’armata, preferendo invece una delegazione diplomatica. E re Garon non avrebbe avuto la guerra che voleva così tanto – la guerra che lui, il suo fedele e capace Iago, aveva passato tutto quel tempo a preparare. Quindi, ovviamente, non aveva detto nemmeno una parola sulla pergamena, già sparita in uno sbuffo di fiamme guizzanti.

Oh, non vedeva l’ora di sapere come sarebbe andata la riunione di famiglia.

Aveva già affidato ad Hans uno dei suoi cristalli di proiezioni, così che avrebbe potuto materializzare un’ombra di se stesso addirittura dal castello per assistere a tutto di persona – ed era certo che il Berserker l’avrebbe attivato senza indugio: quell’uomo era tanto stupido quanto bravo ad eseguire gli ordini, dopotutto, purché gli venisse concessa la possibilità di spargere sangue.

Iago si ritirò dal balcone mentre le truppe ruggivano, zoccoli e ali che facevano tremare il terreno ed i venti. Gli augurò buon viaggio: anche lui era impaziente che la piccola dolce Ileana tornasse a casa, al sicuro tra le mura di Krakenburg.

“…beh, forse non poi così al sicuro.” si disse, un sorriso predatore sulle labbra.

Povera, povera principessina. Aveva così tragicamente fallito la prova del re… e lui non vedeva l’ora di dimostrarle, nel dettaglio, cosa questo comportasse.

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Writers' Space:

Eccoci di ritorno!

Avrei dovuto aggiornare per il 1° Novembre, perché questa Simpatia Estrema di Iago merita soltanto di essere aggiornata per Ognissanti, ma... va beh.

Un capitolo breve, questa volta, che però non poteva essere altrimenti, in cui torniamo per un istante sotto il cielo buio di Nohr per scoprire come il messaggio della Regina di Hoshido sia stato recepito, cosa stia succedendo ai reali di Nohr e che razza di personcina simpatica sia lo stratega di Garon.

Insomma, facciamo un bel respiro profondo perché le cose non faranno altro che complicarsi, di qui in avanti!

Grazie mille a tutti coloro che ci seguono!

Un abbraccio,

Clarisse&B

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Capitolo 8
*** Backpfeifengesicht ***


Aranyhíd

Una faccia che necessita terribilmente di un pugno.

(Tedesco)

Backpfeifengesicht

 

Takumi sbuffò, girando con un gesto più violento di quanto avrebbe desiderato la pagina del libro che, ormai da ore, stava cercando di leggere nella speranza vana di dimenticare per un po’ tutto ciò che lo angustiava.

Aveva sempre trovato sollievo nelle storie, nei racconti, nei romanzi: le vite di quei personaggi disegnati da altri, creati da altri, erano sempre state in grado di assorbirlo in emozioni e avventure che non gli appartenevano, in cui poteva perdersi ogni volta che qualcosa, nella sua vita, minacciava di sopraffarlo.

Quel giorno, tuttavia, i problemi da cui desiderava scappare così tanto avevano dimostrato una tenacia impressionante, rifiutandosi di essere smarriti per qualche ora fra i paragrafi di un libro.

Era passato ormai qualche giorno da quando avevano rimesso piede a Shirasagi, portando con sé la ragazza di Nohr che ancora faticava a chiamare per nome persino fra i suoi pensieri, ma la situazione, invece di migliorare, si era fatta se possibile ancora più tesa: appena tornato, aveva dovuto affrontare un’altra spiacevolissima conversazione con suo fratello, e non era nemmeno riuscito a trovare il coraggio di cercare sua madre per tentare di spiegarle il perché del suo comportamento – il ricordo dei suoi occhi gentili pieni di orrore, ancora troppo limpido nella sua mente, lo inseguiva sin da quel fatidico pomeriggio a Suzanoh, e sapeva bene quanto ancora a lungo lo avrebbe tormentato.

Digrignò i denti, tentando inutilmente di scacciare quei pensieri velenosi dalla mente, ma era conscio di quanto si trattasse di un’impresa impossibile: come una valanga, come una slavina, i ricordi di quegli ultimi, penosi giorni trascorsi in viaggio e al castello gli si rovesciarono addosso, distruggendo ogni suo patetico tentativo di alienarsi da quella vita che non riusciva più a riconoscere.

Hinata e Oboro non gli rivolgevano la parola da giorni.

Le sue guardie – i suoi amici – si rifiutavano di rivolgersi a lui sin da quando avevano avuto la sfortuna di incappare in quella discussione maledetta fra lui e Zoe: poteva capire il rancore di Hinata – era innamorato di Zoe da sempre, dopotutto, sarebbe stato strano non vederlo prendere le sue difese, ma Oboro… da Oboro si era aspettato comprensione, solidarietà, l’affetto che la lanciera gli aveva sempre dimostrato, e invece…

Invece persino lei gli aveva voltato le spalle, ferita dalle sue affermazioni, sputate in un momento di rabbia, esattamente come Zoe.

Già, Zoe.

Il ritorno di Ileana aveva provocato esattamente ciò che lui aveva paventato per quattordici lunghi anni: prima sua madre, e poteva persino comprendere perché il suo comportamento l’avesse tanto scossa, poi Ryoma, e infine l’unica persona che gli era sempre rimasta accanto e da cui non si sarebbe mai aspettato di essere abbandonato.

Zoe non lo aveva guardato in faccia nemmeno per sbaglio, dopo Suzanoh: durante il viaggio di ritorno era rimasta sempre nei paraggi della nohriana e, quando erano tornati a Shirasagi, aveva fatto di tutto per evitare di incrociarlo – e gli Dei soli sapevano quanto lui avesse tentato di incontrarla, di scusarsi, di tentare di ricucire quello strappo che le sue parole pregne di rabbia avevano causato fra loro.

Ma no, Zoe si era rifiutata di parlargli, e lui si era ritrovato a non riconoscere più nemmeno la sua casa, senza lei ed Hinata ed Oboro al suo fianco: Shirasagi assomigliava ad un tempio sconosciuto, silenzioso ed opprimente, senza i suoni familiari – la risata di Hinata, i rimproveri di Oboro, le canzoncine di Zoe – che da sempre riempivano le sue giornate, la sua mente ed il suo cuore.

Voleva indietro i suoi amici.

Dannazione, voleva indietro la sua vita: nel momento stesso in cui quella ragazzetta aveva fatto la sua comparsa tutto si era sgretolato, sbriciolato, e le colonne portanti della sua esistenza gli erano state violentemente strappate dalle mani… e sapeva esattamente quale era la persona responsabile di tutto quel disastro.

Resistette alla tentazione di scagliare il libro che teneva fra le mani contro la parete dinanzi a lui, frustrato.

Ileana.

Era tutta colpa sua: se lei non fosse riapparsa, niente di tutto quello sfacelo sarebbe mai successo – se non fosse tornata, in trepidante attesa di insinuarsi fra lui ed i suoi cari come la serpe che era, lui non si sarebbe trovato a guardare le spalle di tutte le persone che amava e che non volevano avere più nulla a che fare con lui.

Non avrebbe mai portato a termine le sue minacce, andiamo.

Lo aveva detto a Ryoma, glielo aveva ripetuto a Suzanoh e poi quando erano arrivati a Shirasagi, più e più volte: sì, aveva fatto delle affermazioni davvero orribili, ne era conscio, ma… chi non lo avrebbe fatto, al suo posto?

Chi, davanti alla prospettiva di portare davanti alla propria famiglia una persona che quasi sicuramente si sarebbe rivelata una pericolosa bugiarda, non avrebbe almeno provato a scoprire la verità – persino facendo promesse che, comunque, non avrebbe mai mantenuto?

Nohr era il loro nemico, per tutti gli dei, come potevano averlo dimenticato?

Come potevano aver dimenticato che quei maledetti avevano ucciso suo padre e decine di altre persone innocenti, che erano i responsabili della maggior parte dei brigantaggi lungo il confine, che avevano rapito una bambina per trasformarla in un’incredibilmente abile mentitrice da cui sembravano tutti essersi lasciati abbindolare?

Perché quello avevano fatto, crescendo Ileana in quel ventre oscuro e orrendo che era Nohr, ed era assurdo che nessuno se ne fosse ancora reso conto – andiamo, lui non aveva fatto assolutamente nulla per giustificare la reazione assurda che la nohriana aveva avuto davanti sua madre!

Non l’aveva torturata, non l’aveva picchiata, era stata tenuta al sicuro tanto da Kaze quanto da Hinata da possibili ritorsioni dei soldati: sì, l’aveva minacciata, l’aveva tenuta a digiuno, forse era stato un po’ troppo duro, ma quella… quella cosa aveva attaccato i suoi soldati, maledizione!

Aveva varcato il confine, ucciso dei guerrieri coraggiosi, infranto il fragile patto che proteggeva Hoshido dall’invasione di Nohr e chissà quali altri nefandezze – seriamente, aveva sempre pensato che suo fratello, almeno, sapesse discernere la verità dalle bugie, e invece?

Ed invece le sue azioni gli si erano ritorte contro, e lui si era ritrovato solo.

Il suono di uno sgabello che grattava sul pavimento di legno lucido lo distrasse, sottraendolo ai suoi pensieri tormentati.

Alzò lo sguardo, pentendosi immediatamente di essersi distratto tanto da non accorgersi del manipolo di ragazzi, più o meno suoi coetanei, che si era radunato fra gli scaffali della biblioteca soltanto un paio di file più in là rispetto a lui. Erano giovani aristocratici che conosceva di vista e con cui, durante gli eventi pubblici da cui non era riuscito a sottrarsi, aveva intrattenuto qualche conversazione più per dovere che per piacere personale; riconobbe, fra tutte, la voce di Itou Sosuke, il primogenito del generale Itou, un ragazzotto dinoccolato e dall’aspetto viscido che più di una volta aveva sentito rivolgersi a Zoe con parole che soltanto le preghiere sommesse di lei – “Takumi, ti prego, lascia perdere, non ne vale la pena” – lo avevano convinto a lasciare impunite.

-Abbiamo davvero una nohriana nel castello?-

Abituato com’era a discernere i suoni delle foreste, durante le battute di caccia, non gli fu difficile cogliere quel borbottio pregno di disgusto. Si trattenne dal sospirare, limitandosi a rovesciare gli occhi verso il soffitto quando comprese che quell’ufficioso consiglio di guerra non sarebbe finito tanto presto.

-E sembra che sia una nobile, nientemeno.- rispose un altro, uno di quei ragazzi scialbi e di poco conto che Takumi aveva sempre mal sopportato.

-La Regina ha detto al Consiglio che si tratta di un’ambasciatrice.-

Takumi arricciò il naso, disgustato: un’ambasciatrice? Quella ? Ah! Hinata avrebbe saputo fare un lavoro migliore, come ambasciatore!

-Da Nohr?-

Persino Sosuke parve trovare quell’ipotesi estremamente improbabile, a giudicare dal sarcasmo che venò le sue parole.

-Più facile che sia una spia.-

Takumi rovesciò gli occhi verso il soffitto.

Chi aveva avuto la splendida idea di annunciare al Consiglio che un’ambasciatrice nohriana si trovava nel castello? Nessuno aveva pensato alla resistenza che avrebbe opposto l’intera aristocrazia? Hinoka non lo aveva immaginato, Ryoma non l’aveva calcolato, sua madre non l’aveva previsto? Non avevano pensato che, forse, un emissario di Nohr sarebbe diventato un bersaglio per i nobili in poco più di un istante?

Eppure, come tutti loro, lui aveva presenziato ad ogni seduta del Consiglio di Shirasagi – l’antica forma di governo formata dagli esponenti delle famiglie più antiche e potenti di Hoshido, che consigliava il Re di Hoshido e lo supportava nel governo della nazione: lui, come tutti loro, aveva visto quanto il Consiglio si opponesse alla politica pacifista della Regina, aveva ascoltato i loro timori causati dalle continue razzie nohriane lungo il confine.

Il Consiglio voleva la guerra, non la pace.

Sventolare davanti al naso dei daimyo la possibilità di un dialogo con Nohr, di un compromesso, di un ennesimo patto fragile ed effimero… beh, significava soltanto rischiare la vita del diplomatico di turno.

-Assurdo. La barriera della Regina regge ancora.-

La barriera della Regina, già. Un altro dei tanti motivi per cui il Consiglio era sempre più irrequieto.

Alla morte di Sumeragi, Mikoto aveva eretto una barriera magica che sottraeva a chiunque la varcasse l’intenzione di fare del male o di recare danno al regno di Hoshido: la barriera aveva protetto gli hoshijin per anni, tenendo lontani eserciti e malfattori, ma…

Takumi sapeva perfettamente quanto la barriera si stesse indebolendo.

Si era accorto, così come i suoi fratelli, di quanto fosse pesante per sua madre mantenere la barriera: era conscio di quanto si trattasse di una misura temporanea, che era stata presa per proteggere un regno ferito e senza guida ma che poi era stata dimenticata, preferendo ignorare ciò che succedeva al di là di Suzanoh e dell’Abisso e continuando a pretendere che nulla e nessuno li avrebbe più minacciati.

La barriera poteva fallire – aveva fallito, Takumi ne aveva avuto la riprova: la Maga di Nohr, infatti, non era minimamente migliorata una volta attraversato quel velo magico, il suo comportamento era rimasto assolutamente intoccato…

-La barriera dovrebbe reggere.- Takumi serrò le labbra alle parole di Sosuke, constatando quanto lui non fosse l’unico ad avere quei dubbi. -La Regina è davvero ingenua se pensa che Nohr__-

Oh, quello era davvero troppo.

Takumi si schiarì la voce, sopprimendo la tentazione di sogghignare quando quel rumore improvviso fece sobbalzare quel branco di stupidi ficcanaso – quegli idioti senza cervello potevano parlare quanto volevano della nohriana, ma non gli avrebbe permesso di ingiuriare sua madre.

-Io non finirei quella frase, se fossi in te.- avvertì, incrociando le braccia e scoccando loro un’occhiata tagliente in cui sperò di essere riuscito ad infondere tutto il fastidio che provava nei loro confronti.

-Principe Takumi!- Sosuke si raddrizzò, profondendosi immediatamente in un inchino nella sua direzione. -Mi scuso per la mia impudenza, non era mia intenzione offendere la Regina Mikoto.- aggiunse, lezioso ed irritante come Takumi aveva già avuto modo di notare in passato, gli occhi scuri e sottili pieni di qualcosa che, nella sua mente, ricollegò immediatamente allo sguardo di un serpente in procinto di assalire un inerme topolino.

Itou Sosuke non era uno stupido: Takumi sapeva che, in sede di Consiglio, la sua voce aveva cominciato ad assumere il peso che quella di suo padre, uno dei generali più decorati e ammirati dell’intera Hoshido, aveva iniziato a perdere a causa dell’età. Ryoma gli aveva parlato diverse volte di quel giovane vanaglorioso che tentava ormai da anni di mettere in cattiva luce la famiglia reale, convinto che la politica pacifista della Regina avrebbe portato Hoshido sull’orlo del disastro – un’idea che, talvolta, Takumi aveva condiviso, consumato dall’odio che provava nei confronti del regno di Nohr.

Tuttavia, quell’odio non lo avrebbe mai portato a sostenere la scalata al potere di un ambizioso politicante come quello – anche e soprattutto per via dell’opinione che Sosuke aveva di sua madre.

-Che non ti senta mai più riferirti a mia madre in quei termini.- lo avvertì, freddamente, inclinando la testa per osservare con malcelata curiosità i pensieri che si avvicendavano appena dietro il velo di cortesia ed ossequiosità che Sosuke indossava come una maschera modellata per combaciare alla perfezione sul suo volto.

-Mi scuso ancora, milord, ma…- iniziò, esibendosi in un secondo inchino ed esitando – una pausa ad effetto davvero teatrale, si disse Takumi, tutt’altro che impressionato – prima di continuare. -…capirete certamente  anche voi quanto questa ospite possa destare preoccupazione. La barriera è sempre più fragile, e non possiamo evitare di chiederci…-

…di chiedersi quando Nohr avrebbe invaso il loro regno.

L’avrebbero uccisa, realizzò.

Il Consiglio, gli aristocratici, avrebbero ucciso la Maga e rispedito il suo corpo a Krakenburg in una bara, con i saluti del Consiglio e di una Hoshido che non avrebbe mai dimenticato, che non avrebbe mai perdonato.

Per un istante, Takumi si permise di immaginare cosa sarebbe successo se li avesse semplicemente lasciati fare: si sarebbe liberato del problema alla radice, non avrebbe dovuto più preoccuparsi della salute di sua madre, dei tormenti di Zoe, della sicurezza del suo regno.

Ma non poteva.

Per quanto desiderasse ardentemente che la nohriana sparisse dalle loro vite, lasciare che venisse uccisa da un branco di esagitati guerrafondai non era la giustizia che lui desiderava ardentemente: un conto sarebbe stato giudicarla per i suoi misfatti, smascherarla per tutte le sue bugie, ma permettere al Consiglio di usare il suo cadavere come vessillo di guerra avrebbe soltanto indebolito la posizione di sua madre e dato a Nohr un’eccellente scusa per muovere il primo passo verso l’ormai inevitabile conflitto.

Dannazione.

Per quanto la volesse fuori dalla sua vita, non poteva permettere che le facessero del male – e, per sistemare quel disastro che Ryoma non aveva anticipato, doveva essere certo che quegli imbecilli sapessero che attaccare la Maga sarebbe stato considerato un affronto all’intera famiglia reale.

-I vostri timori non saranno ignorati.- sbottò, distogliendo lo sguardo mentre i suoi pensieri si rincorrevano l’un l’altro, alla disperata ricerca di qualcosa che avrebbe potuto spostare l’attenzione di Sosuke e dei suoi galoppini dall’idea pericolosa di farle fare una brutta fine. -Ma sono infondati. L’ambasciatrice di cui parlate non è affatto nohriana, ma una questione personale della Regina e della famiglia reale.- aggiunse, appuntandosi mentalmente di dare dell’idiota a suo fratello non appena ne avesse avuto l’occasione.

Sosuke sgranò gli occhi; si avvicinò di un passo, le labbra piegate in un lievissimo sorriso irritante che la mente di Takumi riconobbe istantaneamente come un campanello di allarme.

-Milord, non direte sul serio__-

Takumi lo zittì con un cenno, maledicendo la nohriana, maledicendo la stupidità di Ryoma, maledicendo tutta l’intricata sequela di eventi che lo aveva portato a quella conversazione con quella massa di cretini.

-Sì. Quella ragazza è la Principessa Ileana.- sbottò, pronunciando quelle parole con tutta la rabbia che aveva represso sin da quando aveva incontrato la nohriana per la prima volta – con tutta la collera che era cresciuta dentro di lui negli ultimi giorni, alimentata dal vuoto in cui era abituato a trovare le voci dei suoi amici, dallo sguardo colmo di dolore di sua madre, da quello pieno di vergogna di Ryoma.

Sosuke impallidì, sconvolto, mentre sui volti dei suoi amici si disegnò la stessa espressione sorpresa ed un po’ stolida – era persino inquietante come si somigliassero tutti.

-La Principessa Ileana?- sillabò, come se stesse parlando ad un bambino lento di comprendonio, e Takumi dovette trattenersi dal tirargli un pugno sul naso; annuì, invece, serrando le labbra e distogliendo lo sguardo quando quell’imbecille si voltò per ascoltare i mormorii confusi dei suoi compari.

Era una così bella giornata, notò, scorgendo al di là delle finestre il cielo azzurro e il Sole che splendeva. Magari avrebbe potuto uscire dal castello per un po’, andare in città, distrarsi per un po’ e__

-E sta facendo da ambasciatrice per i suoi rapitori? Milord… ne siete sicuro?-

Dei, ne aveva abbastanza.

Si rivolse nuovamente a Sosuke, la pazienza ormai agli sgoccioli, e fu con una punta di soddisfazione che colse la confusione e lo sconcerto dipingersi in quella faccia odiosa.

-Mia madre lo è, e tanto deve bastarvi.- scattò, lanciando un’occhiata rammaricata al suo libro, ripromettendosi di tornare più tardi per provare a riprendere la lettura. -Lasciatela perdere e comportatevi di conseguenza. Ogni affronto alla Principessa sarà considerato come un affronto alla Regina.- aggiunse, scoccando loro un’occhiata d’avvertimento a cui Sosuke rispose con l’ennesimo inchino.

-Ma certo. Mi scuso ancora per__-

-Sì, sì, va bene. Scuse accettate.- Takumi scosse la testa, superando lui, i suoi amici senza nerbo e tutta quella penosa conversazione, per dirigersi verso le porte della biblioteca, perfettamente conscio di quanto la sua pazienza non avrebbe retto ancora a lungo alle prese con loro.

Dei, quanto era difficile tollerare quella gente… almeno quanto, mugugnò fra sé e sé quando sentì una voce familiare e decisamente troppo entusiasta risuonare al di là delle porte scorrevoli, era difficile spiegare a Hinata che non poteva alzare sempre la voce in quel modo.

Sbuffò, scuotendo la testa e chiedendosi per l’ennesima volta che cosa aveva fatto di male nella vita per avere sempre alle calcagna un tale imbranato, spalancando la porta e aprendo la bocca per rivolgergli un rimprovero.

-Hinata, quante volte devo dirti che non puoi urlare__-

Il rimbrotto si spense fra le sue labbra nel momento stesso in cui la sua attenzione venne immediatamente attirata dalla figura familiare che, con le braccia conserte e l’espressione contratta in una smorfia tormentata, affiancava Hinata – Zoe.

-Zoe.- mormorò Takumi, sorpreso, sentendo qualcosa incrinarsi dentro, nel profondo, quando lei voltò la testa nel momento stesso in cui lui la guardò.

Era la prima volta da giorni in cui le si trovava così vicino e, per qualche attimo, volle cullarsi nell’illusione che gli ultimi giorni non fossero mai accaduti – che Zoe lo avrebbe guardato e gli avrebbe sorriso, affettuosa come sempre, gentile come sempre, che gli avrebbe dato un pizzicotto sulla guancia perché aveva rimproverato Hinata per poi lanciarsi in un animato racconto delle ultime figuracce del loro amico…

Ma Zoe non lo avrebbe fatto.

Zoe non lo avrebbe nemmeno guardato in faccia, lo avrebbe ignorato, come aveva fatto più e più volte negli ultimi giorni; ed il motivo di quella distanza era proprio lì, appena un passo dietro la sua amica, vestita di nero, che lo fissava con quei freddi occhi verdi e le labbra serrate.

Ileana.

Takumi digrignò i denti, ricambiando lo sguardo ostile della nohriana con tutta l’irritazione che era cresciuta, dentro di lui, nell’ultima mezz’ora.

Poteva andare peggio, quella giornata? Prima Sosuke e i suoi cagnolini, ora lei

-E… tu.- sibilò, trattenendosi dall’alzare gli occhi verso il soffitto quando lei parve rabbrividire in risposta al suo tono di voce, quando serrò con più forza le braccia già conserte e assottigliò le palpebre, senza distogliere quegli occhi maligni da lui.

Si concesse di osservarla meglio, accorgendosi di quanto sembrasse fuori posto con i suoi capelli chiari e la carnagione lattea e sorprendendosi quando si accorse di quanto sembrasse innocua in quel momento: dov’era finito quel mostro osceno che tanto lo aveva inquietato nelle segrete di Suzanoh?

La ragazza che aveva davanti non era tanto più alta di Sakura, e aveva il suo stesso tipo di fisico, asciutto e sorprendentemente minuto… non sembrava affatto la strega maligna che aveva tormentato i suoi incubi sin da quel giorno all’Abisso.

Ma aveva davvero avuto tanto timore di quella piccoletta, lì?

-Lord Takumi, stavamo soltanto__- cominciò Hinata, arruffandosi i capelli già disordinati con una mano e facendo un passo avanti per avvicinarsi a lui, ma Takumi si rivolse direttamente alla nohriana, ignorando l’intromissione della sua guardia.

-Che cosa fai qui?- domandò, ignorando lo sbuffo di Zoe e l’espressione allarmata di Hinata; possibile che quella giornata non facesse altro che peggiorare? Prima Sosuke e i suoi compari, adesso quell’odiosa__

-Non vedo perché quello che faccio dovrebbe essere affar tuo.- replicò lei, tutt’altro che intimorita dal suo atteggiamento chiaramente ostile – ah, eccola lì quella lingua tagliente, allora non se l’era immaginata –, spostando il peso da un piede all’altro ma rifiutandosi di indietreggiare davanti a lui.

Takumi scoccò un’occhiataccia a Hinata, immaginando perfettamente che cosa fosse successo: Zoe e la nohriana dovevano averlo incrociato per nessun motivo particolare, ma lui di certo non si era trattenuto dall’iniziare una conversazione nonostante avesse avuto il chiaro ordine di non fare rumore… avrebbe dovuto spiegargli per l’ennesima volta che non poteva distrarsi dai suoi compiti per parlare con qualche ragazza, più tardi.

-Perché stai disturbando la mia guardia. Di nuovo.- replicò, stizzito dal tentativo del Maestro d’Armi di frapporsi fra i due reali – per proteggere lui da lei o lei da lui?, si domandò una parte della sua mente.

Ileana – niente, persino chiamarla per nome fra i suoi pensieri lo disgustava, tutto in lui rifiutava quel nome e ciò che significava – raddrizzò le spalle, facendo un passo avanti e avvicinandosi, così, alle due guardie reali insolitamente silenziose.

-Non sto costringendo nessuno ad avere una conversazione con me. Anzi, non desidero altro che terminare questa.- decretò, sollevando il mento con una supponenza tale che, non fosse stato per tutta quella situazione disastrosa, lo avrebbe persino fatto ridere per quanto sembrasse ridicola – andiamo, ma chi credeva di poter intimorire?

Il grugnito di Zoe, chiaramente già esasperata da quell’incontro sfortunato, lo fermò prima che potesse aprire la bocca per rispondere a tono a quella sfacciataggine; con un gesto fluido s’intromise fra i due, guardandolo per la prima volta da giorni dritto negli occhi.

Dei, quella non era la sua amica.

Era abituato a trovare calore in quegli occhi allungati, e affetto, e un sorriso sempre pronto a rincuorarlo; era abituato ad una Zoe allegra, sorridente, che ignorava ogni regola per dimostrargli quanto tenesse a lui; era abituato a scorgere tenerezza, su quel viso, e sicurezza, e un luccichio malizioso che lo faceva sempre impazzire ma di cui non avrebbe mai voluto privarsi nemmeno in cambio di tutti i tesori del mondo…

E invece, quella cagna gliel’aveva portata via.

Zoe assottigliò le palpebre, le iridi scarlatte oscurate da quello che Takumi poté definire soltanto come fastidio: era vicina, più vicina di quanto fosse stata negli ultimi giorni, ma… non gli era mai sembrata più distante.

-…non possiamo farla facile? Tu ti sposti, noi andiamo in biblioteca e non dovrai più vederci per il resto della giornata.- continuò, imperterrita, ignorando il suo sguardo confuso e il mugugno incomprensibile di Hinata; Takumi, però, impallidì, afferrando il significato di ciò che Zoe aveva appena detto con qualche attimo di ritardo.

-La…-

La biblioteca?

Zoe voleva portare una maga di Nohr nella loro biblioteca? Dove erano conservati decine e decine di tomi e pergamene sulla magia e sugli spiriti, dove era raccolta tutta la letteratura di Hoshido, dove una spia nemica avrebbe fatto carte false pur di entrare?

Oh, ma certo, ora quadrava tutto: era stata sicuramente lei a fare quella richiesta, adducendo chissà quale scusa ridicola a cui Zoe aveva creduto, lasciandosi ingannare – oh, andiamo, Saizo doveva averle insegnato a non farsi abbindolare in quel modo!

-Assolutamente no.- sbottò, con un tale livore da far trasalire tanto Zoe quanto quella maledetta, vigliaccamente nascosta dietro le spalle della Samurai. Lui però si costrinse ad ignorarle, voltandosi seccamente verso la sua guardia. -Hinata. Scorta questa__lei nella stanza che le è stata assegnata.- ordinò, agitando una mano in direzione di quella… quella cosa.

-Lord Takumi__- cominciò lui, chiaramente a disagio – ma, prima che potesse dire qualunque cosa, l’irritante nohriana fece un passo avanti, raddrizzando le spalle e dimostrando ancora una volta la sua insolenza fissandolo dritto negli occhi.

-Io non sono una tua prigioniera.- decretò, con quella voce acuta ed irritante che aveva odiato così ardentemente durante i giorni di marcia, la furia che si raggrumava sul fondo del suo stomaco e serrava con violenza quella morsa che lo tormentava, labile ma sempre presente, rendendogli difficile il respiro.

E lui aveva persino fatto lo sforzo di proteggerla.

Serrò le labbra, facendo un passo avanti e piegando la bocca in un sorriso incattivito quando la vide impallidire, se possibile, ancor di più – bene, si disse: non era poi così coraggiosa, quella maledetta, nonostante si stesse chiaramente rifiutando di arretrare…

-Ma i cani non sono ammessi in biblioteca.- sibilò, godendo della crepa che scorse spezzare la determinazione in quello sguardo verde, lasciando trasparire qualcosa che lo soddisfò più di tutto il resto: paura.

-Hinata, toccala e mi costringerai a strapparti il braccio.-

Takumi non fece in tempo ad alzare lo sguardo, allarmato dalla vena metallica nella voce di Zoe, prima che la Samurai apparisse come dal nulla – di nuovo – fra lui e la cagna.

-Sei davvero convinto che la regina o tuo fratello ti permetteranno di continuare a comportarti come l’idiota che chiaramente sei?- sibilò, con una voce bassa e tagliente che Takumi le aveva sentito usare ben poche volte, che ricordava inquietantemente il tono secco e aspro che Saizo rivolgeva alla maggior parte dei suoi sottoposti.

Quella era l’ultima situazione che avrebbe voluto affrontare.

Zoe sapeva essere profondamente testarda, quando voleva, e non aveva mai avuto paura di alzare la testa per difendere ciò che le sembrava giusto difendere: Takumi aveva sempre ammirato quel suo coraggio, sì, ma in quel momento si ritrovò a desiderare ardentemente che lei fosse diversa, che non avesse deciso – ancora una volta – di mettersi in mezzo fra lui e la stupida nohriana.

-Zoe, no…- provò ad intervenire Hinata, ma lei alzò bruscamente una mano per zittirlo, ostinandosi a sostenere lo sguardo esasperato di quello che, fino a qualche giorno prima, aveva chiamato fratello.

-Lei non si avvicinerà a libri, pergamene o incantesimi, Zoe. Portala via da qui.-

-Nessuno mi ha dato l’ordine di tenerla lontana dalla biblioteca.- replicò, furibonda; ma Takumi scorse il fremito nel suo sguardo, si accorse della voce che tremava sotto le sue parole, e qualcosa, in lui, parve rivoltarsi come un serpente pronto ad attaccare.

Aveva fatto un passo falso, e sapeva benissimo che lui non se lo sarebbe lasciato sfuggire.

-Ma a meno che tu non abbia un ordine da qualcuno più in alto di me, farai quello che ti ho detto.- sibilò, non riuscendo a credere al sorriso che percepì stirare le sue stesse labbra, al pugnale che non sapeva di aver stretto fra le dita ma che aveva affondato con rabbia dentro di lei, fino all’elsa.

E infatti, come aveva visto i suoi occhi riempirsi di lacrime giorni prima, quando gli era sfuggita quella frase infelice che avrebbe voluto rimangiarsi immediatamente, scorse il suo sguardo adombrarsi, le sue labbra stringersi per incassare quell’ennesimo colpo che Takumi non osava pensare di averle inferto: sapeva quanto male le stava facendo, ma…

Ma Zoe aveva scelto lei.

Zoe aveva scelto Ileana, non lui: aveva deciso di mettersi dalla parte di quella bugiarda, cascando nella sua rete di menzogne come la più ingenua degli stupidi, e gli aveva voltato le spalle – proprio lei, fra tutti, lei che gli aveva promesso mille volte che sarebbe sempre rimasta al suo fianco… e che, invece, lo aveva abbandonato: proprio come tutti gli altri.

Quell’attimo di debolezza, però, durò soltanto l’attimo di un sospiro: la Samurai serrò i pugni e raddrizzò le orecchie, ignorando l’ennesimo, debole tentativo di Hinata di fermarla.

-Nei tuoi sogni.- ringhiò, avvicinandosi coraggiosamente di un passo a Takumi, dimentica della distanza che avrebbe dovuto mantenere per decoro, per decenza, che lui non aveva mai nemmeno pensato di dover far valere nei suoi confronti: eppure, in quell’istante, ad un soffio da quegli occhi ardenti di rabbia, provò il desiderio di allontanarsi, di fare un passo indietro, di distanziarsi da quel qualcosa di così orribilmente sbagliato che vedeva dinanzi a sé.

Voleva scappare via, come il più vile dei codardi, per non guardare quel mostro strappargli ancora una volta un pezzo del suo mondo.

-Perché devi rendere tutto così difficile?- sospirò, scuotendo la testa, ma la risposta che ottenne fu un versaccio strozzato, un’occhiataccia, una smorfia disgustata.

-Io? Sono io a rendere tutto difficile!?- sbottò, infatti, con una voce più acuta del normale; ma poi prese fiato, socchiudendo le palpebre per qualche istante, forse alla ricerca di una calma che nemmeno lei sentiva di possedere in quel momento – forse anche lei non voleva perderlo, forse anche lei si sentiva dilaniare ad ogni sillaba che si scambiavano, forse sarebbe bastato così poco per sistemare le cose

Ma poi quegli occhi scarlatti tornarono nei suoi, e Takumi vi scorse una determinazione ferrea che poteva significare solamente guai.

-…levati di mezzo.- sibilò, gelida, pronta a mettersi di nuovo contro di lui per fare ciò che considerava più giusto… una decisione ammirevole che però, e Takumi si odiò per ciò che sapeva di dover fare, avrebbe causato un disastro più grande di quello che lui aveva previsto.

Quella voragine, fra di loro, si sarebbe allargata ancora di più: sapeva che quello che stava per fare l’avrebbe ferita immensamente, che Takumi avrebbe voluto disperatamente evitare, ma non poteva fare nulla per evitarlo.

Un ringhio sommesso si mescolò al respiro di Zoe, anche se lei parve non accorgersene: era un avvertimento, il segnale che avrebbe potuto fermarsi in quel momento ed evitare quella catastrofe annunciata, che forse avrebe potuto ancora fare qualcosa per calmarla prima di rovinare ancora di più il loro rapporto, ma…

Quei freddi occhi da serpe, al di là della spalla di Zoe, parvero ridere di lui, consci del dolore che ruggiva nel suo petto.

…ma non poteva lasciare che quel mostro scoprisse i loro segreti.

…e Zoe aveva scelto lei.

Si voltò verso Hinata, provando una fitta di dispiacere quando scorse l’espressione tormentata del suo amico nel momento in cui indicò Zoe con un brusco cenno della testa.

-Trattienila.-

 

Saizo, celato allo sguardo di chiunque fuorché di suo fratello, sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene quando il suo udito fine colse l’ordine del Principe.

Lui e Kaze si trovavano alle spalle di Zoe, ma poté immaginare perfettamente l’espressione oltraggiata che doveva essersi disegnata sul viso della sua deshi: la osservò irrigidirsi, poté quasi vederla aprire la bocca per ribattere – ma poi il suo amico, Hinata, la strattonò indietro, allontanandola dal Principe, e il suo urlo esasperato risuonò in tutto il corridoio.

Maledizione.

-Lasciami!-

Il ragazzo le mormorò qualcosa nel tentativo di calmarla – idiota, in quel modo non sarebbe mai stato in grado di fermarla –, ma le sue parole furono coperte dallo strillo della ragazza di Nohr.

Saizo digrignò i denti e Kaze, al suo fianco, fremette, ma entrambi rimasero immobili quando il Principe Takumi si avvicinò ad Ileana, tendendo una mano per afferrarle un braccio ed imprecando quando lei si divincolò, terrorizzata, balzando indietro e tentando di sfuggire alla sua presa.

-Non puoi lasciarglielo fare!-

L’attenzione del Maestro Ninja fu attirata di nuovo da Zoe: stava cercando di liberarsi dalla presa del suo amico tentando di non fargli del male, cercando disperatamente di costringerlo a lasciarla andare, ma Hinata le teneva le braccia strette contro ai fianchi e lei non riusciva a fare altro che scalciare.

-Lo sai che non ho scelta.- sembrò volersi scusare, quel ragazzo, e in un altro momento Saizo avrebbe persino apprezzato la lealtà che dimostrava nei confronti del suo signore; ma, in quell’istante, colse il silenzio di Zoe farsi tagliente in un battito di ciglia, e comprese immediatamente l’errore madornale dell’ingenuo Maestro d’Armi.

Saizo aveva addestrato Zoe per tutta la vita: conosceva la sua deshi meglio di chiunque altro, probabilmente, ed era perfettamente conscio di quello che sarebbe successo di lì a poco.

Zoe non si sarebbe lasciata fermare.

-Nemmeno io.-

A quelle parole – attese, fatidiche, inevitabili – Saizo alzò una mano, e poi tutto accadde troppo velocemente per essere visto.

Kaze si lanciò in avanti nel momento stesso in cui Zoe si liberò violentemente dalla stretta di Hinata e balzò indietro, frapponendosi fra i due appena prima che uno dei due potesse aggredire l’altro; Saizo, invece, li superò, materializzandosi davanti al Principe Takumi così bruscamente che lui sussultò e lasciò andare la nohriana che, con uno squittio, si raggomitolò contro la parete.

-Basta.-

Fu sufficiente quella parola, tagliente quanto i suoi shuriken, a ridurre tutti al silenzio.

Il Principe assottigliò lo sguardo, chiaramente irritato dall’intromissione dei ninja, incrociando le braccia e scoccando una rapida occhiata in direzione di Zoe ed Hinata – che, fortunatamente, non parevano avere intenzione di continuare ad azzuffarsi – prima di riportare la sua attenzione su Saizo.

-Cosa stai facendo?- abbaiò, piccato.

Saizo aveva scorto ben più di una volta sul suo volto quell’espressione irritata e orgogliosa: Takumi aveva spesso peccato di arroganza e, anche in quel momento, la sua indole stava chiaramente prendendo il sopravvento sul suo buonsenso… anche se, stavolta, sembrava aver pagato un pegno di sangue per la sua reazione eccessiva: due lunghi, profondi graffi rigavano la sua guancia, inequivocabile traccia di come Ileana avesse tentato di liberarsi di lui.

Saizo digrignò i denti, irritato: non era la prima ferita che quella ragazza aveva inferto al Principe e, di nuovo, né lui né suo fratello erano stati in grado di evitarlo.

-Ponendo fine a tutto questo.- rispose, seccamente, avvertendo anche senza vederlo lo sguardo confuso e implorante di Zoe affondargli fra le scapole – stupida ragazzina, adesso cercava il suo aiuto per risolvere il disastro che aveva causato?

-Me ne stavo già occupando io.- Takumi scosse la testa, facendo un passo avanti per tentare di superarlo e avvicinarsi nuovamente alla nohriana; la ragazza, però, gemette, e Saizo poté quasi immaginarla ritrarsi ancor di più.

L’espressione allarmata di Kaze si aggiunse a quella disperata di Zoe, e lui dovette resistere alla tentazione di alzare gli occhi verso gli alti soffitti in legno del corridoio: perché, perché finiva sempre in quel modo?

Se soltanto gli avessero dato retta prima…

Con uno sbuffo, celato dalla sua onnipresente maschera, Saizo allungò un braccio per trattenere il ragazzo.

-Me ne occuperò io da qui in avanti, principe Takumi.- affermò, quando lui si voltò per fronteggiare quella che poteva perfettamente essere ritenuta una grave mancanza di rispetto. -Potete andare, adesso.- aggiunse, cercando di parlare con una pazienza che non aveva mai posseduto, inclinando la testa verso il corridoio vuoto e sperando che Takumi comprendesse il suo gesto.

La diffidenza del Principe non era così sbagliata, checché ne pensassero Zoe e Kaze: non sarebbe stato saggio permettere alla ragazzina nohriana, anche se apparentemente innocua e ancora chiaramente instabile nonostante Suzanoh fosse ormai un lontano ricordo, di prendersi quelle libertà che quei due sembravano così ansiosi di concederle.

Nessuno che provenisse da Nohr poteva meritarsi la fiducia della famiglia reale così facilmente e, questo, a Saizo era stato chiaro fin da quando Reina era atterrata a Shirasagi, giorni prima: aveva immaginato che si sarebbero presentati quei problemi, ma… nessuno, nemmeno lord Ryoma, era stato in grado di prevedere l’aggressività di suo fratello – l’odio che aveva oscurato il suo giudizio, che lo aveva spinto sull’orlo di un eccesso che avrebbe presto portato più problemi che soluzioni.

Takumi lanciò uno sguardo nauseato oltre il braccio ancora teso del ninja.

-Non le è permesso entrare in biblioteca. Non lo permetterò.- ringhiò, e Saizo, ansioso di chiudere quella questione una volta per tutte, annuì.

-D’accordo. Adesso__-

-Non puoi farlo!-

Esasperato, spostò l’attenzione del suo unico occhio sano su Zoe: la sua turbolenta, irrispettosa e testarda deshi si era avvicinata a loro, i pugni stretti e lo sguardo pieno di rabbia, tentando inutilmente di scrollarsi dalla spalla la stretta con cui Kaze stava cercando di impedirle di mettersi in guai ancora più grossi di quelli in cui fosse già finita.

-Zoe.- sibilò, e lei – una volta tanto – si ritrasse, intimorita, accorgendosi finalmente di quanto il suo maestro fosse arrabbiato e abbassando le orecchie come per proteggerle dal tono tagliente della sua voce.

-Ti è proibito portare la Principessa nohriana in biblioteca o ai campi di addestramento, o di darle qualunque tipo di tomo o arma.- decretò, ignorando l’espressione sconvolta che si disegnò sul suo viso e quella irritata che, invece, adombrò i lineamenti di Kaze. -Questo è un ordine, dato con l’autorità dell’Alto Principe.- aggiunse, sperando che l’ascendente che lord Ryoma aveva su Zoe potesse essere sufficiente per domarla.

Speranza vana.

-Saizo, non__- cominciò, una nota di disperazione nella voce e gli occhi che correvano, pieni d’angoscia, alla nohriana; ma il Maestro Ninja non si lasciò intenerire, rivolgendo un cenno a Kaze perché la allontanasse da lui e da Takumi.

-Deshi.- la avvertì, perentorio; e lei, finalmente, chinò la testa, le spalle che crollavano sotto il peso dell’autorità del suo maestro, strattonando stancamente il braccio per liberarsi da Kaze e scambiando un’occhiata dispiaciuta con Hinata.

Senza muoversi, sapendo bene quanto lasciare che il Principe si avvicinasse nuovamente ad Ileana fosse una pessima idea, Saizo si rivolse proprio al Maestro d’Armi che, in risposta al suo sguardo severo, s’irrigidì all’istante.

-Hinata, accompagna il tuo signore nello studio di Lord Ryoma. Vorrà di certo sapere che cosa è successo.- ordinò, e il ragazzo, annuendo frettolosamente, si avvicinò subito al suo Principe.

-Andiamo, lord Takumi.- mormorò, e Saizo finse di non cogliere la mano della guardia reale che si strinse sul gomito del Principe, preferendo soprassedere a quel gesto irrispettoso purché quei due si allontanassero in fretta.

-Non__- provò a ribattere Takumi, furioso, ma Hinata scosse la testa.

-Lord Takumi.- ripeté, gli occhi che dardeggiavano in direzione di Zoe e poi nuovamente sul Principe, una nota esasperata nella voce; e Takumi, forse cogliendo il significato celato dietro quegli sguardi che Saizo non aveva né il tempo né il desiderio di decifrare, sospirò, scuotendo la testa e arrendendosi alla spinta della sua guardia.

-…e va bene. Andiamo.- mugugnò, lasciando che Hinata lo conducesse con fin troppo zelo lungo il corridoio – e Saizo non mancò di cogliere l’occhiata piena di risentimento che il principe lanciò a Zoe, né il fremito che scosse lei in risposta sebbene si stesse ostinatamente rifiutando di rivolgergli la sua attenzione.

Soltanto quando i due ragazzi, infine, furono inghiottiti dal dedalo di corridoi, Saizo si rivolse verso di lei, un aspro rimprovero già sulle labbra – ma di Zoe, più svelta di quanto si fosse aspettato, vide soltanto uno scorcio dell’arruffata zazzera bionda: la Samurai, ignorando tanto lui quanto Kaze, lo aveva già superato, per avvicinarsi cautamente alla nohriana.

-…milady?- chiamò, gentilmente, inginocchiandosi a poca distanza dalla maga, le braccia aperte e i palmi rivolti verso l’alto; quella, però, rabbrividì, gli occhi atterriti che facevano capolino da sotto gli spettinati capelli biondi e che balzarono ansiosamente da Zoe a Saizo a Kaze e poi di nuovo su Zoe, allargandosi all’improvviso quando si accorse di quanto fosse vicina.

-STAI LONTANO DA ME!- strillò, ritraendosi di scatto, strisciando lungo la parete per allontanarsi da Zoe che, nonostante quella reazione violenta, rimase dov’era, appiattendo nuovamente le orecchie contro il cranio per proteggerle da quel suono acuto.

-Okay. Come volete. Nessuno vi toccherà.- mormorò, dolcemente, ma Saizo sbuffò.

-Non funzionerà, deshi.- sbottò, incrociando le braccia quando Zoe non diede nemmeno segno di averlo sentito – impudente, arrogante e maleducata, dove diamine aveva sbagliato con lei!? -Falla addormentare. Kaze la riporterà nella sua stanza e tu verrai con me.- ordinò, aspramente, ma lei rimase ostinatamente rivolta verso Ileana e scosse la testa.

-Non lo farò.-

Saizo represse un grugnito, scoccando un’occhiataccia a Kaze quando colse l’accenno di un sorriso illuminargli gli occhi.

-Non lo farei mai, okay? Possiamo stare qui quanto volete.-

Zoe era abituata ad ammansire le creature spaventate, rifletté, riportando la sua attenzione sulle due ragazze e notando, suo malgrado, che la gentilezza della sua allieva pareva aver sortito una sorta di effetto calmante sulla nohriana sconvolta: Ileana aveva smesso di tremare, e la stretta spasmodica con cui aveva serrato le mani sulle ginocchia si era appena allentata.

-Non vi farò del male.- continuò, Zoe, la voce una cantilena serena e tranquillizzante, muovendosi piano per sedersi a gambe incrociate dinanzi a lei.

Nonostante l’addestramento rigoroso a cui era stato sottoposto sin da bambino, Saizo si scoprì impaziente ed irritato da quell’attesa futile e snervante: se solo Zoe gli avesse dato ascolto, invece di intestardirsi a voler calmare quella ragazza – che poi, che motivo aveva per essere tanto agitata? Non erano forse temprati dalla crudeltà della loro terra e dei loro compatrioti, i nohriani?

-Deshi.- sibilò, ottenendo però soltanto il raddrizzarsi delle sue orecchie come risposta e l’ennesimo brivido da parte di Ileana.

-Del male? No… per favore…- la sentì mugolare, e Zoe si girò di scatto per rivolgergli una smorfia.

-Puoi stare zitto per un minuto? Per favore?- frecciò, roteando gli occhi quando Saizo sbuffò e tornando a rivolgersi alla maga. -Ileana? Puoi guardarmi? Solo per un attimo?- domandò, piano, inclinando la testa di lato quando, dopo un istante, gli occhi vacui e pieni di terrore di Ileana fecero capolino.

-Eccoti qui.- mormorò Zoe, e Saizo poté quasi scorgere il sorriso gentile e sollevato che riscaldò la sua voce. -Non vi farò del male. Ve l’ho già detto, non vi farei mai del male.- ripeté, con quella delicatezza che Saizo non le aveva mai insegnato ma che lei possedeva d’istinto, che era sempre stata allo stesso tempo la sua debolezza e la sua più grande forza.

-Voglio solo portarvi in un posto sicuro dove nessuno potrà farvi del male. Kaze potrebbe rimanere con noi, se volete. Saremo solo noi tre, lo prometto.-

-Non… non mi farai del male?-

-No. Non lo farò.-

No, Zoe non le avrebbe fatto del male, la sua deshi era troppo buona per fare del male a quella che sicuramente vedeva come una ragazzina spaurita, sola e fragile: aveva sempre avuto un debole per le persone bisognose di aiuto, dopotutto…

-Lo prometti?-

Saizo assottigliò la palpebra dell’unico occhio rimastogli, irritato: la ragazza di Nohr non aveva alcun diritto di chiedere qualcosa del genere – di chiedere protezione a quella sciocca Samurai che, infatti, annuì, le orecchie appuntite ben dritte fra i capelli biondi.

Quell’altruismo appassionato, ben presto, li avrebbe maledetti tutti.

Zoe rimase in silenzio ed immobile, aspettando pazientemente che Ileana sciogliesse la stretta in cui si era raggomitolata: soltanto quando la nohriana alzò lo sguardo, passandosi le dita fra i capelli e guardandosi intorno con un’espressione ancora un po’ confusa, parlò di nuovo, attirando nuovamente la sua attenzione.

-Ce la fate ad alzarvi? O volete aspettare un altro po’?- chiese, ma l’altra scosse la testa.

-Voglio andarmene da qui.-

Quelle erano le parole più sensate che Saizo avesse sentito da quando era iniziata quella giornata.

-Comprensibile, direi.- mormorò Kaze, accanto a lui – e Saizo lo avrebbe tanto preso volentieri a pugni, adesso, perché davvero quello non era il momento adatto per un commento del genere… ma no, Kaze doveva assolutamente sottolineare quanto contrario fosse alle decisioni di suo fratello, ovviamente!

Il sarcasmo del suo gemello parve riflettersi sul viso contratto di Zoe quando lei si volse, scoccandogli un’occhiataccia.

-Credi che i giardini vadano bene? Mi è permesso portarla lì?- domandò, e tutto il veleno che Saizo l’aveva sentita usare con Takumi tornò prepotentemente a venare la sua voce, la gentilezza che aveva riservato per Ileana già scomparsa.

Oh, le avrebbe impartito una punizione così massacrante, questa volta, che non sarebbe riuscita a sollevare nemmeno le bacchette per almeno una settimana.

Il Maestro Ninja annuì, distogliendo lo sguardo e concedendosi la debolezza di immaginare un mondo in cui la sua apprendista non avrebbe mai osato rivolgergli quel tono supponente e il suo unico parente in vita avesse deciso ogni tanto di sostenerlo.

-Ti apriremo la strada.- si limitò ad informarla e, con un brusco cenno della testa, ignorando lo sguardo un po’ gongolante che sapeva di poter trovare negli occhi di suo fratello, gli ordinò di precederlo – non aveva la minima intenzione di sopportare i suoi “te l’avevo detto”, in quel momento…

Per fortuna, una volta tanto, Kaze parve capire la sua irritazione e in un battito di ciglia scomparve fra le ombre, invisibile per tutti tranne che per Saizo e per Zoe, che lo seguirono con lo sguardo fino a che non sparì al di là delle stesse porte che avevano varcato Takumi e Hinata.

Saizo lo imitò un istante più tardi, celandosi nell’invisibilità tipica degli shinobi e permettendosi un breve sospiro di sollievo non appena lo sguardo confuso di Ileana e quello tagliente di Zoe lo abbandonarono: ne aveva avuto abbastanza, per quel giorno, e nell’essere celato ai più, distante da quel mondo caotico che non gli era mai appartenuto, trovò finalmente un attimo di sollievo.

Si allontanò dalle due ragazze, scivolando negli angoli più celati del castello di Shirasagi per assicurarsi che nessuno, sul percorso che portava ai giardini, avrebbe intralciato la strada di Zoe ed Ileana; per fortuna, a parte un paio di cameriere che imboccarono un corridoio laterale, quella parte del castello si rivelò sicura, e lui fu ben contento di tornare sui propri passi e lasciare a Kaze il compito di assicurarsi che anche i giardini fossero sicuri.

Non gli piaceva l’idea di lasciare la nohriana con Zoe: per quanto si fosse dimostrata pressoché innocua, fino a quel momento, sarebbe stato fin troppo facile prendersi gioco del buon cuore e dell’ingenuità della sua deshi, e niente e nessuno gli assicurava che la fragilità che Ileana ostentava non fosse soltanto una parte meravigliosamente recitata.

Ben presto Zoe avrebbe avuto altro a cui pensare che il destino della ragazza cresciuta dai nohriani, e lasciare che si avvicinassero troppo sarebbe stato un azzardo che Saizo non era affatto certo di voler tentare: far accettare agli hoshijin e agli aristocratici la vera identità della principessa sarebbe stato già abbastanza arduo senza una Maga di Nohr accanto a rendere ancora più dubbia la sua figura… e, di certo, prima di permettere a Ileana anche soltanto di avvicinare Zoe, sarebbe stato necessario educarla ai costumi di Hoshido e ai doveri della guardia reale che era destinata a diventare.

No, si ripeté, doveva darci un taglio appena possibile: ogni giorno che avrebbero passato l’una accanto all’altra non avrebbe fatto che peggiorare la situazione.

Eccole, all’imbocco dell’ennesimo corridoio vuoto: si erano finalmente alzate in piedi, e Ileana si stava ripulendo i vestiti da una polvere inesistente, lo sguardo basso e l’espressione sempre assente, lontana. Zoe, invece, mosse appena le orecchie ed emise un sospiro quasi impercettibile, scuotendo appena la testa per segnalare al suo maestro di essersi accorta del suo ritorno.

-Possiamo andare, adesso, se volete. La strada è libera.- annunciò, infatti, all’altra, spostandosi di lato per invitare Ileana a precederla. Lei, mantenendosi a poca distanza dalla parete e tenendo d’occhio la Samurai – come se non si arrischiasse a fidarsi abbastanza da darle le spalle – si avviò, camminando a piccoli passi e lanciando continue occhiate intorno a sé, guardinga.

-È lontano?- mormorò, mentre Zoe si affiancava a lei e Saizo, invisibile, le seguiva.

-No.- Zoe distolse lo sguardo, e il ninja scorse una strana espressione – angosciata, forse? – oscurare il suo viso. -Mi nascondevo lì da ragazzina quando volevo scappare dai miei insegnanti.- spiegò e, per qualche motivo a lui incomprensibile, si sfregò gli occhi, nascondendo quel lampo di tristezza ad Ileana dietro un profondo respiro e una maschera di indifferenza. -Nessuno ci disturberà.-

L’altra si limitò ad annuire, stringendosi le braccia intorno alle spalle e senza dire più nulla; tacquero entrambe, ognuna chiaramente immersa nei propri pensieri, accompagnate dall’ombra invisibile del Maestro Ninja attraverso i corridoi di Shirasagi immersi nell’opalescente candore di quel Sole freddo.

Kaze, accanto alle porte d’ingresso del vasto parco del castello, le stava aspettando.

Saizo gli rivolse un breve cenno a cui il fratello rispose annuendo impercettibilmente, senza nemmeno guardarlo; con un passo in avanti e un sorriso lieve sulle labbra prese il suo posto nel sorvegliarle, permettendo a Saizo di precederli tutti e tre mentre lui avrebbe accompagnato le due ragazze in piena vista, contro ogni riguardo per la segretezza dei ninja – e tutto per mettere a proprio agio quella ragazzina nervosa.

Zoe, però, aveva avuto una buona idea: nessuno, in quella stagione, passava il tempo in giardino, ed il nascondiglio a cui si era riferita – Saizo aveva sempre saputo dove si trovava, ma le aveva permesso di credere di averlo ingannato – era effettivamente un angolo nascosto, celato agli sguardi da una vegetazione folta in qualunque periodo dell’anno.

Sì, lì Ileana non avrebbe potuto causare altri guai, e lui avrebbe potuto sottrarre alla sua pericolosa presenza la sua fin troppo influenzabile deshi.

Resistette all’impulso di sfilarsi la maschera e passarsi una mano sul volto, provato da quella mattinata come raramente era successo in precedenza: fare da balia alla falsa principessa si stava rivelando più arduo e spossante di quanto avesse preventivato…

-Eccoci qua.-

Il fruscio dei passi di Kaze, Zoe ed Ileana attirò la sua attenzione, ma Saizo non si mosse, preferendo rimanere celato ai loro occhi: attese, indistinguibile dalle piante fra cui si era mimetizzato, fino a che non si furono sistemati, Ileana accoccolata fra due grossi arbusti di camelie rosate e i suoi guardiani a poca distanza da lei.

Silenzio.

Dopo le urla di Takumi e di Zoe, dopo gli strilli di Ileana, finalmente su tutti loro calò un silenzio misericordioso, spezzato soltanto dal debole fruscio del venticello freddo che spirava fra i fiori dorati dei calicanti e portava con sé il profumo dei nespoli.

Saizo osservò Zoe rilassarsi, scambiare qualche parola con Kaze, la tensione delle spalle che si scioglieva un poco: aveva ancora le orecchie rosse e seminascoste fra i capelli e la mascella contratta, ma non sembrava più sul punto di mettersi ad urlare.

Ileana, invece, sembrava aver perso l’uso della parola: continuava a guardarsi intorno, meravigliata, gli occhi cisposi e stanchi che saltavano da un fiore ad un altro, le labbra schiuse in una “o” quasi perfetta e le guance pallide che sembravano aver ripreso un po’ di colore.

Se fosse stata una qualunque altra persona – se non fosse stata di Nohr, Saizo avrebbe persino potuto pensare che, in effetti, forse la sua apprendista e suo fratello non avevano proprio tutti i torti a considerarla innocua: non sembrava niente di più che una ragazzina spaesata, confusa e con gli occhi cerchiati da profonde occhiaie violacee.

-Non pensavo…- mormorò, allungando timidamente una mano per sfiorare le camelie e portandosi poi le dita al viso, inspirando l’odore che doveva esserle rimasto sulla pelle ad occhi socchiusi. -Quindi questo è un giardino…- sussurrò, e Saizo poté persino comprendere quanto il rigoglioso parco di Shirasagi, con le sue piante in fiore tutto l’anno, potesse sembrare incredibile agli occhi di una persona cresciuta in quel regno freddo e scuro che era Nohr.

Era chiaro, ormai, quanto Ileana non ricordasse nulla della bambina che era stata sotto il Sole di Hoshido.

-Così tanti fiori…-

Saizo aggrottò le sopracciglia, irritato, quando Zoe si avvicinò ad Ileana, sfilandosi l’haori e drappeggiandolo con gentilezza intorno alle sue spalle senza che lei, distratta dalla vegetazione e da una sonnolenza improvvisa che le aveva fatto ciondolare la testa sulla spalla e abbassare le palpebre, protestasse; un lieve sorriso si disegnò sulle labbra della Samurai, ed il suo maestro notò la sua mano alzarsi e poi riabbassarsi di scatto, una carezza gentile trattenuta a stento fra le dita.

-Deshi.- chiamò, uscendo dal suo nascondiglio non appena Ileana si fu addormentata completamente, e Zoe scattò in piedi. -Andiamo.-

-D’accordo.- mugugnò lei, controvoglia, scambiando un’occhiata tormentata con Kaze; lui annuì, stringendole brevemente una spalla quando gli passò accanto in un rapido gesto di conforto, ottenendo in risposta un breve sorriso che svanì nel momento stesso in cui Saizo la condusse lontano da quell’alcova lussureggiante in direzione dei campi di addestramento.

Gli immensi spazi dedicati ai soldati di stanza al castello erano deserti: quasi nessuno, a quell’ora tarda del mattino e in quella stagione, si allenava, preferendo le ore meno gelide del primo pomeriggio o le vaste sale interne dei dojo della capitale, ma lui aveva sempre preferito addestrare Zoe lì, ignorando pioggia, freddo e grandine pur di trasmetterle quello spirito di abnegazione che lei aveva forse preso anche troppo seriamente.

Tuttavia, era un posto familiare ad entrambi, ed il Maestro Ninja scorse i pugni stretti della Samurai allentarsi impercettibilmente: le aveva insegnato a trovare pace nel combattimento, a ricercare nello sforzo fisico e nella lotta quella valvola di sfogo per il suo carattere irrequieto – e soltanto la sua lunga esperienza gli permise di evitare per un soffio la lama appuntita che sfiorò la sua maschera.

Balzò indietro e sguainò i suoi shuriken, ma Zoe lo aggredì di nuovo e lui non poté far altro che parare, l’acciaio affilato che strideva lungo gli tsuba dei sai che parevano essersi materializzati dal nulla fra le mani della Samurai.

Un ringhio soffocato ruppe il silenzio che era calato su entrambi: Zoe si rigirò i lunghi pugnali fra le dita e poi sparì in uno sbuffo di sabbia, ma Saizo si volse appena in tempo per evitare un affondo dal nulla e afferrarle l’avambraccio, torcendolo e costringendola a girare su se stessa per impedire che glielo spezzasse.

Quel vantaggio, però, durò soltanto un istante: Zoe gli tirò una gomitata dritta fra le costole e gli strappò un grugnito, approfittando della sua irritazione per rivoltarsi e scivolare via dalla sua presa, roteando i pugnali e tentando un affondo che Saizo fermò all’ultimo, le lame incrociate ad un soffio dai volti di entrambi.

C’era rabbia, nello sguardo della sua deshi, una rabbia che pareva ribollire come un vulcano pronto ad eruttare – una rabbia che probabilmente covava da giorni, sin da Suzanoh, che Zoe aveva lottato per trattenere fino all’ultimo.

L’ennesimo scontro con Takumi aveva di certo messo a nudo la furia silenziosa che Saizo aveva già notato, che l’aveva spinta a rinchiudersi in un silenzio pacato che così poco si addiceva al suo carattere solare…

Balzarono entrambi indietro, ma quella pausa durò soltanto il tempo di battere le ciglia: con un ruggito esasperato Zoe lo incalzò di nuovo, e Saizo si ritrovò in difficoltà dinanzi a quell’aggressione piena d’ira, evitando i vibranti tsuba d’acciaio ancora una volta.

Quella situazione sarebbe ben presto diventata insostenibile.

L’aggressività del Principe Takumi avrebbe presto causato dei problemi troppo scomodi perché i ninja potessero contenerli. Saizo poteva capirlo, condivideva la sua diffidenza nei confronti di Ileana, ma un altro scontro fra lui e Zoe – e sarebbe stato inevitabile, considerata la reazione della sua deshi – avrebbe portato a conseguenze tali da frantumare del tutto la fragile rete di segreti che l’arrivo di Ileana aveva irrimediabilmente compromesso.

Se soltanto la nohriana si fosse comportata bene e avesse smesso di reagire in quel modo assurdo – se soltanto Zoe non si fosse ersa a sua difesa come la testarda sciocca che era…

Lo sbuffo della sua deshi, il gesto con cui si scostò la lunga frangia dagli occhi, furono l’apertura che Saizo stava aspettando: svanì in un istante e la aggredì alle spalle prima che Zoe potesse individuarlo di nuovo, afferrandole il braccio destro e torcendole il polso, il sai che le cadeva dalle dita – ma comprese troppo tardi di essere caduto nella sua trappola.

Zoe roteò su se stessa e lui riuscì appena in tempo a puntarle le lame della sua armatura alla gola, costringendola ad immobilizzarsi un attimo prima che potesse fare qualunque altra cosa che puntargli il sai rimasto ad un soffio di distanza dalle vulnerabili arterie della coscia.

Impasse.

Rimasero immobili, e Saizo si sorprese di sentire l’aria bruciargli i polmoni ad ogni respiro.

Odiava ammetterlo, ma Zoe era diventata più veloce di lui già da molto tempo, e lottare con lei si era rivelato sempre più arduo ad ogni scontro – persino quando non impugnava la sua arma prediletta.

Ufficialmente, infatti, a Zoe era proibito portare armi all’interno del castello, a meno che non stesse sostituendo Saizo e Kagero nei loro compiti di guardie reali, ma il saperla disarmata aveva sempre destato una certa preoccupazione nel suo maestro: le aveva insegnato a difendersi anche a mani nude, sì, ma la sicurezza non era mai troppa – soprattutto per una principessa, anche se ignara di esserlo.

Per quel motivo, da anni, Zoe celava quei lunghi sai affilati nelle pieghe dei vestiti: Zoe era veloce, era forte, e saperla in possesso di quelle armi aveva permesso a Saizo di dormire sonni un po’ più tranquilli… anche se mai avrebbe potuto immaginare di ritrovarne una così vicina ai suoi organi vitali.

Un calore sospetto parve irradiarsi da qualche parte nel suo petto, quando colse il baluginio soddisfatto nelle pupille verticali della sua apprendista nel riflesso della lama dello shuriken che impugnava.

Era riuscita a coglierlo di sorpresa.

-Meglio?- grugnì.

Aveva previsto il bisogno della ragazza di sfogarsi, di liberare almeno un poco di quella frustrazione che aveva accumulato attraverso uno scontro: non era stata di certo la prima occasione in cui le aveva permesso di battersi con lui per ritrovare un po’ di pace, e lui ne aveva sempre approfittato per studiare i progressi del suo addestramento.

Zoe annuì, accennando una smorfia che forse voleva essere l’inizio di un sorriso; allora, soltanto allora, si mosse, allontanandosi con un gesto elegante dal suo maestro e rinfoderando con l’abilità di un maestro.

Saizo la imitò, gli shuriken che sparivano dalle sue mani come se non fossero mai esistiti, lanciando intanto un’occhiata intorno a sé per assicurarsi di essere ancora solo con lei; una volta accertatosene, si sfilò finalmente la maschera, sfregandosi le guance ispide di barba rossiccia.

-Sto considerando l’ipotesi di impedirti di avvicinarti a quella ragazza, deshi.- sbuffò, strappandole un grugnito di disapprovazione. -Non puoi affrontare un Principe in quel modo e aspettarti dei complimenti.- aggiunse, ma Zoe serrò le labbra sbuffò a sua volta, una bruma d’irritazione raggrumata sul fondo del suo sguardo carmino. -Ileana non è una tua responsabilità. Non le devi niente.-

-Mi sono messa in mezzo fra lei e Takumi perché quello che Sua Maestà stava per fare era sbagliato!- strillò, sussultando quando si accorse del tono isterico che la sua voce aveva assunto; prese fiato, dondolandosi sui piedi e sostenendo il suo sguardo con quella granitica testardaggine in cui Saizo, purtroppo, scorse il vivido riflesso di se stesso.

-Non è questione di responsabilità, è questione di fare la cosa giusta.-

Fare la cosa giusta, diceva.

Saizo aveva fatto la cosa giusta, tanti anni prima, proteggendo la sua principessa dalle mire crudeli di un assassino.

Per lui, fare la cosa giusta significava porre il bene superiore al di sopra di qualunque sacrificio comportasse: era il suo dovere, come guardia reale del futuro Re e come protettore del regno di Hoshido.

-Avresti dovuto evitare comunque lo scontro.- la rimbeccò. -Avresti dovuto obbedirgli senza discutere.-

Zoe però si permise un versaccio denso di sarcasmo, il mento alto e le spalle ben dritte. -Ryoma non avrebbe voluto.- ribatté, fiera e stupida come sempre.

Per Zoe, fare la cosa giusta significava sacrificare se stessa per la felicità e la sicurezza del suo prossimo. Era una Samurai, in tutto e per tutto, e viveva ogni respiro secondo le regole del Bushido sin da quando Lord Ryoma aveva cominciato ad istruirla – sin da quel disastro di tanti anni prima, quando Saizo aveva deciso di portarla con sé durante una missione a Nohr.

La sua attenzione, inevitabilmente, venne attirata dalla vecchia cicatrice che Zoe portava con fierezza, proprio sotto l’occhio sinistro – la prova indelebile del loro fallimento, del suo fallimento.

Ancora lo perseguitava, quel ricordo: il viso della bambina che era stata ricoperto di sangue, il pugnale di un assassino che le tagliava la carne, le sue urla strozzate ed i singhiozzi che l’avevano scossa…

L’unico risultato positivo era stato vedere Zoe rinunciare a seguire le orme del suo maestro, e lui non ne sarebbe mai stato abbastanza grato: eppure, quella scelta aveva decretato un cambiamento, in lei, e l’unico luogo in cui quella bambinetta remissiva e nervosa che mai avrebe osato mancare di rispetto al suo maestro esisteva ancora era la sua memoria.

Zoe era cresciuta, ormai, stava ancora crescendo: quelle reazioni non erano soltanto che il segnale di quanto, ormai, l’essere un’apprendista non fosse più abbastanza per lei.

Era fiero di lei. In ogni modo possibile, era fiero di lei… ma lui doveva fare la cosa giusta, e Zoe era un ostacolo sulla sua strada.

-Non puoi contare troppo sulla protezione di lord Ryoma. O sulla mia.- la avvertì, indossando nuovamente la maschera, provando un immediato sollievo nel sentirne la forma familiare aderire alla pelle. -Andiamo, adesso.-

Doveva fare ciò che era necessario fare, anche se fosse stato necessario usarla per i suoi scopi: lo avrebbe di certo odiato, se se ne fosse resa conto – ma, se anche fosse stato, Saizo lo avrebbe accettato, perché proteggere il suo regno, il suo principe e lei – quella stupida, stupida deshi che non lo ascoltava mai – era più importante dei suoi sentimenti feriti.

-Sì, maestro.- ribatté, velenosa, ma lui ignorò quell’ennesimo affronto e Zoe, esasperata, si rassegnò a seguirlo, sfregandosi le braccia coperte soltanto dalla casacca quando una corrente d’aria fredda la sfiorò – giusta punizione per essersi privata del proprio haori per darlo ad Ileana.

Saizo, sbuffando, si sfilò la sciarpa, tendendogliela con un gesto brusco che, tuttavia, le illuminò il volto come se le avesse appena donato il Sole stesso.

-Cerca di far collaborare la ragazza.- sibilò, aspro, mentre lei si drappeggiava la sciarpa del suo maestro intorno alle spalle, le orecchie che fremevano di contentezza. -Scenate come quella di questa mattina non devono più ripetersi.-

Zoe, soltanto gli occhi visibili da dietro lo strato di stoffa, inarcò un sopracciglio.

-Oh, sarà facile, con due tizi inquietanti ad infestare ogni angolo buio.-

 

§

 

Ryoma si riempì il petto in un respiro profondo, un lieve sorriso che premeva all’angolo delle sue labbra.

Anche se non avesse conosciuto ogni angolo del castello di Shirasagi come il palmo della sua mano, sarebbe stato in grado di trovare la strada che portava ai suoi appartamenti soltanto inseguendo il profumo dei suoi incensi, che accompagnava l’Onmyoji ovunque andasse e che sembrava voler condurre ogni passante a quella porta sempre aperta.

Era un profumo familiare e che riuscì, malgrado tutti i pensieri che gravavano sulle sue spalle, a trasmettergli quel vago senso di pace che aveva sempre associato alla compagnia di Zoe.

Dalla soglia spalancata del salotto provenivano diverse voci e, sopra le altre, Ryoma distinse immediatamente la risata squillante dell’incantatrice: si permise un breve sorriso, rinfrancato da quel trillo contagioso, coprendo gli ultimi metri che lo separavano dalla soglia illuminata in pochi passi.

-Disturbo?- domandò, affacciandosi cautamente nel cono di luce dorata che illuminava l’altrimenti buio corridoio: Orochi, accoccolata nell’alcova che aveva tanto insistito per far costruire dinanzi alle grandi vetrate che occupavano l’intera parete di fondo del salotto, alzò immediatamente lo sguardo verso di lui dalle erbe che stava lavorando in un mortaio di legno, il suo caratteristico sorriso malizioso che si accentuava sulle labbra colorate.

-Oh, micia, stasera ne arriva uno dopo l’altro.- commentò, divertita, rivolta verso il tavolino da tè a cui erano seduti Zoe e la guardia reale di Takumi, Hinata: il ragazzo balzò in piedi, passandosi rapidamente una mano fra i capelli sciolti, fissandolo con gli occhi sgranati e un’espressione allarmata che il Principe non riuscì a comprendere.

-L-Lord Ryoma!- balbettò, inchinandosi rapidamente, strappando uno sbuffo divertito tanto a Zoe, che nascose la sua ilarità dietro le dita di una mano premuta sulla bocca, quanto a Orochi, che non si diede nemmeno la pena di provare a celare il suo divertimento.

-Buonasera, Hinata.- Ryoma, incuriosito, osservò il ragazzo lanciare un’occhiata imbarazzata alla Samurai che, per qualche motivo, scosse lievemente la testa e si alzò a sua volta, rassettandosi gli abiti e spostando la sua attenzione sul Principe.

Ryoma adorava quegli occhi. Erano sempre stati così espressivi, un libro aperto in cui lui era sempre stato in grado di scorgere tutto ciò che Zoe sapeva di non poter dire, e non avrebbe mai smesso di meravigliarsi di quanto quelle iridi rosse fossero in grado di trasmettere così tanto.

Inclinò appena la testa, scorgendo un’ombra insolitamente greve in quello sguardo stanco.

-Speravo di poter parlare con te. In privato?- le domandò; ma, prima che Zoe potesse rispondere, Hinata li interruppe.

-M-Me ne vado immediatamente!- esclamò, e tanto lui quanto Zoe si voltarono appena in tempo per vederlo legarsi frettolosamente i capelli – era così abituato a passare il tempo libero con Zoe da sentirsi abbastanza a suo agio in casa sua da sciogliersi i capelli? – e raccogliere il suo haori e la sua spada.

-Grazie, Nata.- sussurrò lei, completamente ignara dello sguardo attento di Ryoma, allungando una mano per sfiorare il braccio dell’amico quando lui esitò prima di superarla.

-Ci… ci vediamo domani?- le domandò, guardandola con l’incertezza scritta su ogni tratto del volto; tuttavia lei sorrise, stringendo brevemente le dita sul suo polso prima di lasciarlo andare con una carezza accennata.

-Certo.- annuì, con una dolcezza tale nella voce che il Maestro d’Armi parve illuminarsi a sua volta.

-Grande!- esclamò, tentando un passo verso di lei e poi fermandosi all’improvviso, scoccando un’occhiata imbarazzata prima a Ryoma e poi ad Orochi. -Adesso devo proprio andare! Orochi, lord Ryoma!- salutò, rivolgendo loro un rispettoso cenno della testa prima di sparire al di là del cono di luce gettato dalla porta spalancata.

Il silenzio che seguì la sua fuga un po’ maldestra, però, fu di breve durata.

-Non ho mai visto nessuno così spaventato.- commentò, inarcando un sopracciglio, e Ryoma chinò la testa senza ribattere – nemmeno Saizo aveva l’ardire di contraddire Orochi, e lui aveva sempre confidato nella saggezza della sua guardia reale.

…ma lui non era davvero così terrificante, vero?

Chiaramente insoddisfatta dalla mancanza di una risposta, l’Onmyoji sventolò una mano e gettò indietro ai capelli, un luccichio preoccupante che lampeggiava al di là del velo ironico delle sue iridi violette.

-Allora? Non avete nulla da dire su quel povero ragazzo terrorizzato?-

-Mamma, per favore.- gemette Zoe, scuotendo la testa e rivolgendo un’occhiata di scuse a Ryoma; lui, però, sorrise, posando una mano sulla sua spalla e stringendola appena, ottenendo in risposta un fremito delle sue orecchie.

Orochi si avvicinò alla figlia, inclinando la testa per guardarli entrambi dal basso verso l’alto, assottigliando le palpebre in un’espressione che non prometteva nulla di buono.

-Oh, ma certo, sei sempre così protettiva con il nostro Principe, ma sono sicura che una battuta innocente non lo ucciderà.-

Zoe nascose il viso fra le mani, ma Ryoma non mancò di cogliere il repentino rossore che colorò le sue orecchie appuntite; era così facile farla arrossire, e lui stesso non poteva ammettere in tutta onestà di non averla punzecchiata a sua volta, ogni tanto, pur di scorgere i suoi occhi farsi lucidi e le sue guance imporporarsi.

-Mamma.- mugolò, voltandosi verso di lui e rivolgendogli un muto sguardo di scuse da sopra le dita intrecciate.

Orochi ridacchiò, allungando una mano per arruffarle la frangia e dandole un buffetto sul dorso della mano quando Zoe la scacciò e gonfiò le guance in una smorfia offesa.

Era così buffa, si ritrovò a pensare, soffermandosi per qualche istante più del necessario ad osservarla.

Il calore emanato da quel piccolo, forse insignificante quadretto familiare parve sollevare un poco il peso terribile che sentiva gravargli sul petto: trascorrere del tempo assieme a Zoe era un peccato a cui lui si era sempre arreso anche troppo volentieri – come sottrarre l’ultimo mitarashi dango a Sakura pur di averlo tutto per sé, pur di sentire quella delicatezza sciogliersi sulla lingua.

Zoe era sempre stata quel rifugio rassicurante che tante volte lo aveva accompagnato, luminoso quanto la fiammella di una candela, attraverso una notte di lavoro, quella boccata d’aria fresca in una vita che raramente permetteva di respirare del tutto.

Passare qualche ora assieme a lei, senza titoli o nomi o responsabilità pronte a schiacciarlo, era il dono che Zoe riservava per lui, che sapeva dell’incenso di Orochi e della dolcezza insita in quei battibecchi giocosi, nell’illusione che la vita potesse essere davvero così, spensierata e piena d’amore e risate.

Orochi si schiarì la voce, distraendolo appena in tempo per impedire a Zoe di notare il suo sguardo indugiare su di lei.

-Suppongo di dover prendere commiato dal mio stesso salotto, lord Ryoma?- domandò, nella voce una nota d’avvertimento che lui si ostinò ad ignorare.

-Sarebbe molto gentile da parte tua, mia cara.- annuì, ed Orochi schioccò la lingua, pizzicando la guancia della figlia adottiva.

-Oh, ma sarà un piacere!- trillò, allontanando le dita dal viso della ragazza prima che Zoe potesse morderla. -Ma mi raccomando, non stancatela troppo. Zoe deve alzarsi presto, domattina.- lo avvisò, sgusciando verso la porta della sua stanza e chiudendosela alle spalle appena in tempo per evitare il cuscino che suddetta figlia le aveva tirato addosso.

Zoe sbuffò, sfregandosi gli occhi e gonfiando le guance, scoccandogli un’occhiataccia.

-Oh, andiamo, lo so che vuoi ridere di me.- lo apostrofò, arricciando le labbra, e Ryoma dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non lasciarsi sfuggire nemmeno quel sorriso che premeva agli angoli delle sue labbra.

-Non lo farei mai.- negò, ma lei fece una smorfia.

-Bugiardo.- ribatté, attraversando l’intero salotto per raggiungere la seconda porta che si affacciava in quell’anticamera e che Ryoma sapeva essere l’entrata della sua camera privata. -Vieni, tanto sarà sicuramente dietro la porta ad origliare.- lo invitò con un cenno, e Ryoma non poté far altro che precederla prima che lei lo seguisse e si richiudesse la shoji di legno e carta di riso alle spalle.

L’ultima volta in cui era entrato in quella stanza era stato un paio d’anni prima, quando aveva voluto sincerarsi della sua salute dopo una brutta malattia che l’aveva costretta a letto per quasi mezza Luna: ricordava di essersi sorpreso, allora, di quanto fossero vivaci i colori con cui aveva dipinto le pareti e laccato i mobili, fino a che Kagero non gli aveva spiegato che Zoe faticava a distinguere le tinte troppo tenui e preferiva le note più cariche e luminose del rosso, del verde e del celeste; anche adesso, persino nella penombra di un’unica candela, notò quanto quella predilezione non fosse venuta a mancare, notando quanto sembrasse un altro mondo rispetto ai pastelli leggeri prediletti da Orochi.

Si sentì quasi un intruso, guardandosi attorno, suo malgrado curioso di cogliere qualcosa in più della vita di Zoe di cui lui non faceva parte: ogni superficie libera era ricoperta di libri e rotoli, ninnoli e scatolette di legno stracolme di conchiglie, pietre più o meno luccicanti, fermagli per capelli; Zoe amava tutto ciò che brillava, e rammentava chiaramente l’occasione in cui, da piccolina, si era appropriata del suo elmetto appena lucidato e non aveva voluto restituirlo per una settimana.

Sul futon, smontata, era posata la katana che Mikoto le aveva donato per il suo diciottesimo compleanno: chiaramente, prima di essere interrotta dall’arrivo del suo amico, Zoe si stava occupando di ripulirla e affilarla, a giudicare dalla mola e dall’olio appoggiati lì accanto; invece, sul tavolino stracolmo di appunti scarabocchiati e disegni mai finiti, erano abbandonati i sai che ufficialmente lei non avrebbe dovuto possedere, ma che Ryoma sapeva non abbandonare mai le pieghe del suo hakama.

Zoe sospirò, lasciandosi stancamente cadere sui cuscini dinanzi alla grande finestra e spostando lo sguardo su di lui, le orecchie basse e una strana pesantezza negli occhi.

-Allora? Quanto sono nei guai?- domandò, stancamente, e Ryoma avrebbe davvero voluto dirle, ancora una volta, che non ci sarebbero state ripercussioni per il suo comportamento: invece, con la stessa spossatezza che aveva scorto in lei, si sedette al suo fianco, chiudendo gli occhi per un istante e appoggiando la testa al vetro freddo.

-Soltanto un po’.- ammise, rammentando anche troppo bene le parole aspre e piene di rabbia con cui Takumi aveva apostrofato tanto lei quanto Ileana. -Takumi era molto… alterato, stamani.- aggiunse, cupo.

Fai in modo che Zoe stia al suo posto o dovrò farlo io una volta per tutte!

Fortunatamente, Zoe non si accorse della sua mascella serrata, né dei pensieri che lo tormentavano al di là della sua allenata espressione imperturbabile.

La voce di suo fratello, aspra e crudele, echeggiava ancora fra i suoi pensieri, agghiacciante e terribile proprio perché era conscio di quanto lui e Zoe fossero sempre stati legati – di quanto Takumi non avrebbe mai nemmeno osato pensare di trattarla in quel modo se fosse stato in sé.

Ma Takumi non era più in sé.

-Quindi?-

Ryoma sospirò, affatto sorpreso dal tono brusco e difensivo nella sua voce, notando ancora una volta quanto le sue espressioni corrucciate rammentassero le smorfie di Takumi – che cosa, per i Sette, aveva spezzato quel legame tanto stretto?

-Vuoi darmi la tua versione?- domandò, ma Zoe si strinse nelle spalle e scosse la testa, irritata.

-Non vedo perché. Saizo ti avrà già detto tutto.- mugugnò, distogliendo lo sguardo da lui per seguire il volo di un rapace notturno al di là delle vetrate.

Oh, sì, Saizo aveva speso più parole di quante Ryoma gliene avesse sentite pronunciare ultimamente: il Maestro Ninja, protettivo come sempre nei confronti della sua unica apprendista, aveva espresso il suo concerno nei confronti dell’atteggiamento del Secondo Principe, dell’attaccamento pericoloso che Zoe stava sviluppando per Ileana e di quanto sarebbe stato più saggio impedire qualunque contatto fra tutti e tre nel prossimo futuro.

-Mi ha detto che Takumi se l’è cercata.- si limitò a commentare, strappandole uno sbuffo sarcastico e uno sguardo incredulo. -Sto parafrasando.- aggiunse.

Zoe sbuffò, affondando drammaticamente il viso fra le mani.

-La tua guardia è davvero una chioccia.-

A quelle parole Ryoma non riuscì più a trattenersi: scoppiò a ridere, scuotendo la testa, non riuscendo proprio ad impedirsi di immaginare la reazione oltraggiata che avrebbe avuto Saizo nell’udire quelle parole.

Zoe lo osservò, in silenzio, le orecchie che fremevano al suono della sua risata e gli angoli degli occhi che si arricciavano in un sorriso impercettibile.

-Oh, beh, questo migliora la mia giornata.- commentò, sciogliendo le braccia che aveva incrociato sul petto e passandosi le dita fra i capelli, i tratti del viso che si distendevano un poco.

Ryoma sorrise a sua volta, allungando una mano per sfiorare la sua.

-Riesci sempre a trovare un modo per farmi dimenticare i miei pensieri.- mormorò, ed un calore familiare parve sbocciare nel suo petto quando lei allacciò le dita alle sue, sfiorando col pollice le sottili cicatrici che Raijinto aveva inciso sulla sua pelle tanti anni prima e accoccolandosi accanto a lui, contro la sua spalla, rabbrividendo quando si appoggiò al vetro freddo.

-È un dono.- commentò, divertita; Ryoma socchiuse gli occhi, ascoltando in silenzio il mormorio soddisfatto che gli canticchiava nel petto, assaporando il calore del suo corpo riscaldare anche lui.

Zoe non rispettava ma le regole, la decenza, il buoncostume – e lui, per quello, la adorava; eppure, a volte, invidiava chi poteva godersi la sua espansività liberamente, senza doversi preoccupare delle apparenze, delle voci, della reputazione.

-Il tuo amico era qui per via di quel che è successo?- domandò, racchiudendo la sua mano fra le proprie quando si accorse di quanto fossero fredde, e Zoe annuì contro la sua spalla.

-Sì, è venuto per scusarsi. Tuo fratello invece non si è visto.- mugugnò, sussultando quando si accorse del commento velenoso che si era appena lasciata scappare.

Ryoma sospirò, senza ribattere.

Zoe non aveva torto.

Takumi aveva sempre avuto un carattere volubile e tempestoso come i venti che sembravano spirare ogni volta che il Fujin Yumi scoccava una delle sue frecce incantate: era sempre stato incline agli scoppi d’ira, a prendere di petto più situazioni di quelle che meritavano la sua attenzione e a non voler ascoltare chi tentava soltanto di aiutarlo, ma nessuno si sarebbe mai aspettato quell’odio che aveva annientato il suo giudizio e la sua mente acuta, quell’astio crudele che lo aveva spinto a rivoltarsi persino contro chi gli era caro – contro di lui, contro la loro madre, contro i suoi amici…

E per cosa?

-Ryoma?-

La voce di Zoe nascondeva una preghiera, un gemito di dolore, una sofferenza che lui aveva già intravisto a Suzanoh, quando l’aveva incontrata in quel corridoio opprimente e aveva scorto i suoi occhi bui e colmi di lacrime; abbassò lo sguardo verso di lei, scoprendosi estremamente vulnerabile dinanzi a quello sguardo gentile e tormentato.

-Perché non è più lui?- sussurrò, e Ryoma avrebbe tanto voluto avere una risposta da darle, un qualcosa da combattere per riprendersi il suo fratellino, per restituirle l’amico a cui era sempre stata così legata, ma…

-…non lo so.-

Ammetterlo, ammettere quanto fosse impotente davanti a quella situazione sempre più drammatica, sapeva terribilmente di sconfitta.

Dovette costringersi a non passarle un braccio intorno alla vita, a non stringerla di più a sé.

-È sempre stato intimorito dall’ombra di Ileana, ma… non è mai stato crudele, finora.-

Ricordava bene lo sguardo pieno di risentimento che un Takumi bambino aveva riservato ad Hinoka quando lei aveva annunciato di voler diventare un guerriero “in nome della sua sorellina perduta”, i mille dubbi che gli avevano reso così difficile impugnare il Fujin Yumi, la sua smania continua di dimostrarsi sempre migliore di tutti gli altri.

Non per la prima volta, Ryoma si ritrovò a chiedersi come avrebbe reagito suo fratello una volta scoperta la verità.

Aveva sempre pensato che, vista la loro amicizia, sarebbe stato felice di scoprire che Zoe era, se non per il suo sangue almeno agli occhi del loro regno, sua sorella: ne era sempre stato sicuro, ed era uno dei motivi per cui non si era mai preoccupato eccessivamente di spingere Zoe a mantenere le distanze dalla famiglia reale, ma adesso…

Adesso, però, non ne era più così certo: se incontrare Ileana aveva causato un tale cambiamento nel suo carattere, una tale cattiveria, come poteva pensare che Zoe non avrebbe incontrato lo stesso muro di diffidenza e di crudeltà, che quella furia non si sarebbe rivoltata contro Mikoto, contro Hinoka, contro tutti coloro che avevano mantenuto quel segreto per tutti quegli anni?

-Già. Non avrei mai pensato che si sarebbe comportato così.- concordò, sfilando con gentilezza la mano dalla sua stretta. -Suppongo di non conoscerlo bene quanto credessi.- aggiunse, voltandosi verso le mille luci colorate che rendevano impossibile alla notte di Hoshido di inghiottire tutto nell’oscurità. -Quello non è il mio amico. Il Takumi che conosco io non avrebbe mai impedito ad una ragazza di leggere un libro.-

Ryoma si passò una mano sugli occhi, ricordando improvvisamente l’ordine che Saizo aveva impartito con la sua autorità e che lui sapeva di non poter revocare, visto che sembrava essere stata l’unica cosa in grado di acquietare un poco l’ira di Takumi.

-Per quello che vale, preferirei che quegli ordini non fossero necessari.- mormorò, ed il disagio che provava parve smorzarsi un poco quando Zoe annuì.

-Lo so.- mormorò, piano, scostandosi da lui per voltarsi con uno scatto verso la finestra, distratta dal baluginio di una luce lontana; e Ryoma sorrise, il ricordo di una bambina paffuta che inseguiva le lucciole che si sovrapponeva ai lineamenti affilati della donna che aveva dinanzi.

Per fortuna, però, lei era sempre la stessa, rifletté, osservandola seguire la lanterna di carta che l’aveva distratta con uno sguardo assorto, il fiato che si condensava sul vetro e le labbra dischiuse in un sorriso inconscio: nonostante tutto quello che era successo negli ultimi giorni, Zoe era rimasta la ragazza impertinente che faceva impazzire Saizo, la donna gentile che tentava sempre di prendersi cura di tutti.

-Lui…- mormorò, improvvisamente, abbassando il viso quando la lanterna venne inghiottita dal cielo, ammantato delle stesse nubi che sembrarono riflettersi nella smorfia tormentata che spezzò l’effimero entusiasmo che aveva colorato le sue guance di rosso.

-Credo che lei lo spaventi.-

Ryoma trasalì, sorpreso.

Zoe era sempre stata protettiva nei confronti di Takumi, ed il tormento che percepiva nella sua voce sussurrata doveva essere soltanto una briciola del senso di colpa che provava all’idea di rivelare i suoi segreti.

-Takumi non si è mai sentito abbastanza per nessuno.- continuò, gli occhi che seguivano distrattamente le sue dita nervose, che stringevano e tormentavano l’orlo del kimono in un gesto meccanico, ripetitivo, inconscio. -Ha vissuto nell’ombra di Ileana per tutta la vita, e adesso che è tornata…- esitò, passandosi una mano fra i capelli e mordendosi le labbra. -…beh, credo che sia convinto che lei, e lei è di Nohr, e lui odia Nohr, gli porterà via tutto quello che ama.-

Ryoma aggrottò le sopracciglia, confuso, ma non ebbe il tempo di chiedersi come fosse possibile che suo fratello fosse così insicuro dell’affetto della sua famiglia e dei suoi amici; Zoe sbuffò, e non gli sfuggì il brontolio irritato che mugugnò a mezza voce – “Anche se sta facendo già un ottimo lavoro da solo” – prima di sospirare, sconfitta.

-Dei, mi ucciderebbe se sapesse che te l’ho detto.- mugolò, sfregandosi gli occhi.

-Rimarrà fra noi due.- le assicurò, ma i suoi pensieri erano già lontani da quella stanza in penombra: ripensava allo sguardo furente di suo fratello, Ryoma, al disgusto che aveva scorto nei suoi gesti a Suzanoh, alla rabbia trattenuta a stento che aveva visto quella mattina.

Era quello, quindi? Era quello il motivo per cui Takumi era tanto ostile nei confronti di Ileana?

Poteva capire il suo odio per Nohr, nessuno poteva capirlo meglio di lui – non dopo Cheve, non dopo suo padre, ma… sapeva di aver fatto degli errori, con lui, ma com’era possibile che Takumi fosse arrivato ad un livello di insicurezza, ira e paura tale da annientare tutto ciò che lo rendeva la persona orgogliosa, altruista e intelligente di cui lui era sempre stato fiero?

-Continua a farle del male, Ryoma, ma quella ragazza si è solo trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato.-

Ah, eccola lì, la Zoe che conosceva.

Ad essere onesti, quella protesta non lo sorprese affatto: si era aspettato che Zoe prendesse le difese di Ileana – sarebbe stato strano il contrario – ed era persino rimasto sorpreso quando lei non aveva affrontato l’argomento già nel momento in cui Orochi era sparita nella propria stanza…

-E tu lo sai.-

C’era accusa, nella sua voce, ed una punta di dolore che lui non mancò di cogliere.

Avrebbe dovuto riprenderla per quel commento spazientito, per quella che avrebbe considerato una mancanza di rispetto da chiunque altro, ma si limitò ad alzare una mano per interromperla quando Zoe aprì la bocca per ricominciare a protestare.

Testardamente, tuttavia, Zoe non ricambiò lo sguardo penetrante che le rivolse; al contrario, si ostinò a mantenere la propria attenzione su un quadro che, a giudicare dalle pennellate cupe e tempestose, Kagero doveva aver dipinto per lei.

Aveva sempre apprezzato le rimostranze di Zoe, le discussioni che, a volte, li avevano impegnati per ore, il suo punto di vista tanto acuto quanto, troppo spesso, ingenuo: confrontarsi con lei era stimolante e, sinceramente, le occhiatacce che lei gli riservava erano davvero troppo carine per riuscire a rinunciarvi.

Sì, sapeva benissimo che Ileana era soltanto stata sfortunata, vittima del caso e del destino scelto per lei da qualcun altro: era palese quanto fosse ignara di tutto ciò che la riguardava, dei piani che sicuramente la famiglia reale di Nohr aveva ordito con lei come vittima sacrificale per scatenare la guerra che tanto volevano, ed una parte di lui comprendeva il desiderio di Zoe di proteggerla.

Ileana era innocente, ed era stata mandata a morire per la sete di conquista di un regno crudele: chiunque si sarebbe sentito mosso a compassione dalla sua situazione, ma…

…ma Zoe non sapeva, non poteva sapere che cosa attendeva tanto lei quanto la sua amica di infanzia.

Abbassò la mano, posandola sulla spalla di lei che, però, continuò ad ignorarlo.

-Dovresti ascoltare Saizo, ogni tanto. Vuole soltanto proteggerti.- mormorò, ma Zoe sbuffò e serrò le labbra.

-So proteggermi da sola. Non lascerò sola Ileana e non starò a guardare Takumi consumato da… da questa pazzia.- brontolò, scacciando la sua mano con un brontolio che lo sorprese e sfregandosi le mani sulle braccia forse per scacciare il freddo – d’altronde, Shirasagi svettava verso il cielo sino a sfiorare le nubi, in un vano tentativo di raggiungere le stelle… ma, dopo un istante, Ryoma colse l’ombra di Suzanoh nei suoi occhi esausti.

Si raggomitolò su se stessa, e Ryoma lottò ancora una volta contro se stesso per impedirsi di prenderla fra le braccia, di abbattere quel muro che aveva eretto intorno a sé, di implorarla di dirgli che cosa era successo fra lei e Takumi.

Ma sarebbe stato inutile, si disse, allungando cautamente una mano per scostare con gentilezza i ciuffi di quella frangia arruffata, indugiando per qualche attimo di troppo quando le sfiorò la pelle chiara della tempia.

Così testarda, tale e quale a suo fratello.

-Odio vederti così, Zoe.- mormorò, lasciandosi scivolare fra le dita quei capelli sempre disordinati, guadagnandosi l’ennesima occhiata indispettita da quel paio d’occhi tanto familiari che fecero capolino dal nido sicuro in cui si erano rifugiati.

-Non compatirmi.- mugugnò, ma mosse comunque la testa per seguire la sua carezza, socchiudendo le palpebre come un gattino.

-Sei l’ultima persona al mondo che compatirei.- le assicurò, piano, sfiorandole le orecchie appuntite che fremettero al contatto, sensibili come sempre. -Sono soltanto preoccupato per te.-

-Posso cavarmela.-

Oh, aveva sentito quella risposta tante di quelle volte, ormai, da essere arrivato ad odiarla.

Quelle erano le parole che Zoe usava per tenere tutti a distanza, per rinchiudersi dietro la convinzione di essere in grado di far fronte a qualsiasi cosa e di non aver bisogno di aiuto e conforto e affetto – di non aver bisogno lui.

-Chi è il bugiardo, adesso?- le domandò, spazientito, ma lei non esitò nemmeno un istante per rispondergli a tono.

-Quello fra i due che riesce ad ammettere di non sapere cosa fare soltanto quando nessuno può sentirlo.- lo rimbeccò, tagliente come sempre, e lui non seppe davvero che cosa ribattere quando il peso delle sue parole lo colpì più di quanto, forse, lei avesse desiderato.

Aveva ragione, certo, ma… non poteva capire.

Lui aveva dei doveri da assolvere, un ruolo da interpretare: incertezze, paure ed errori non erano ammessi nel suo mondo – non quando sentiva ad ogni incontro il fiato caldo del Consiglio sulla gola, non quando le bugie e i segreti della sua famiglia sembravano farsi ancor più gravosi sulle sue spalle e gli toglievano il respiro, non quando suo fratello sembrava aver perso il senno e rischiava di rivoltarsi contro tutti loro ad ogni discussione.

Lui non poteva mostrare debolezze.

Lui era l’Alto Principe di Shirasagi, il futuro Re di Hoshido, il daimyo dell’esercito di una nazione intera; da lui ci si aspettavano certezze e sicurezza e, fin da bambino – fin da Cheve –, lui aveva cercato di rendere onore a tutto ciò che comportava il suo ruolo, il suo titolo e il suo futuro, sperando di riuscire a diventare almeno la metà del Re che suo padre era stato.

Lui non poteva avere debolezze.

Nessuno poteva capiva la confusione sul suo volto, né vedere le occhiaie profonde sotto i suoi occhi, né sentirlo ammettere di aver sbagliato.

Eppure Zoe capiva, vedeva e sentiva, e lui non riusciva a costringersi ad impedirglielo.

Si fidava di lei.

Si fidava di lei e, quando le sue dita fredde gli sfiorarono il palmo aperto della mano, Ryoma si aggrappò a quel gesto gentile, al sollievo che lo invase quando, ancora una volta, la vicinanza di quella ragazza fu sufficiente per acquietare il tumulto di pensieri ed emozioni che rimestavano dentro di lui.

La guardò, e trovò i suoi occhi colmi di affetto e di preoccupazione.

Le sue mani erano fredde, ma la sua stretta era salda e sicura… proprio come era stata quella della sua mano di bambina, tanti anni prima, quando lo aveva preso per mano ed era rimasta con lui fino a che non aveva accettato di lasciare il corpo di suo padre nel santuario, dopo il funerale, dopo che i suoi fratelli si erano addormentati tutti e tre nel letto di Mikoto.

Ryoma si era sempre considerato un uomo forte. Aveva temprato se stesso nel codice dei Samurai e dalla corona che presto avrebbe indossato tanto sul campo di battaglia che sul trono che lo attendeva, ma forse… forse la forza che gli mancava, e di cui invece Zoe abbondava, era un’altra – era quella forza che l’aveva spinta a prendersi cura di Takumi e di Sakura, e che le permetteva di riuscire dove lui continuava a fallire.

Alzò una mano per sfiorarle una guancia, incapace di resistere al bisogno di sentirla, di toccarla.

-Che cosa farei senza di te?-

I suoi occhi si allargarono, a quelle parole, ma la sua sorpresa durò soltanto pochi istanti: Ryoma colse solamente un lampo di determinazione attraversarle il volto e poi si ritrovò spaesato, colto di sorpresa dal gesto rapido con cui si era insinuata fra le sue braccia, aggrappandosi a lui e infilando la testa nell’incavo della sua spalla.

Ryoma trattenne il respiro, ma Zoe sedò la sua protesta sul nascere:

-Non ci provare. Avevi bisogno di un abbraccio.-

-Io non posso “aver bisogno di un abbraccio”.- protestò, debolmente, ma si arrese comunque fra quelle braccia, chinando la testa in una resa che aveva il profumo dei capelli che gli solleticarono gli occhi.

Era così morbida. Così calda. Così dolce.

Sarebbe stato in grado di rifiutare un abbraccio da chiunque, persino da sua madre, ma non da lei – no, da lei mai, sentì ribellarsi i suoi pensieri, e quell’idea lo spinse a stringerla a sé ancor di più.

Gli Dei lo avrebbero maledetto, per quella debolezza che lei era per lui, ma Ryoma sapeva che avrebbe potuto accettarlo; ma vivere senza di lei, senza i suoi abbracci, senza i suoi sorrisi… no, nessuna maledizione divina avrebbe potuto ferirlo tanto.

Si scoprì a tremare, fra le sue braccia, quando quella paura sempre più schiacciante si affacciò di nuovo nella sua mente.

Attenta come sempre, Zoe si accorse del suo fremito, del respiro che gli si era spezzato in gola: si allontanò appena, quel tanto che le bastò per prendergli il viso fra le mani, per rivolgergli il più preoccupato dei suoi sguardi. -Ehi? Va tutto bene?-

No, nulla andava bene, e lui voleva dirle tutto.

Una parte di lui sperava disperatamente che, se fosse riuscito a spiegarle come erano andate le cose, Zoe non si sarebbe arrabbiata, non lo avrebbe odiato, non gli sarebbe scivolata via come acqua fra le dita: non voleva, non voleva che segreti che non erano nemmeno suoi, che lui aveva mantenuto per anni nonostante li avesse sempre odiati, gliela portassero via.

Non era giusto.

Era tutta colpa di Nohr. Aveva portato via suo padre, la sua infanzia, la sua innocenza, e ora minacciava di portargli via anche lei e lui non riusciva a immaginare un mondo in cui non era al suo fianco – un mondo freddo, cupo e buio, che tutto in lui sembrava rifiutare con una violenza inaspettata.

Non era giusto, e nulla andava bene.

La rabbia di Takumi, il dolore di sua madre, e l’ombra di quella maledetta guerra che oscurava tutti loro…

Scosse la testa fra le sue mani, percependo le sue dita scivolargli fra i capelli con una gentilezza quasi commovente: una parte di lui avrebbe voluto chiudere gli occhi e rimanere lì per tutta la notte, permettendole di prendersi cura di lui, di stargli accanto, concedendosi la sua vicinanza come un peccato a cui non sapeva se sarebbe, in seguito, riuscito a rinunciare.

Ma si costrinse a sorridere, spingendo indietro quel desiderio irrealizzabile. -Sono soltanto stanco. Non preoccuparti.- sospirò, e dovette usare violenza su se stesso per costringersi a sciogliere quell’abbraccio, a separarsi da lei.

Non era abituato a quel tipo di contatto fisico ma non poteva negare a se stesso quanto fosse piacevole, quanto l’impronta del corpo caldo di Zoe sembrasse bruciare contro il suo petto, sulle sue mani, e quanto una parte di lui ringhiasse a gran voce il suo desiderio di tornare fra quelle braccia; eppure resistette, resistette e si costringe ad alzarsi in piedi, offrendole una mano per aiutarla ad alzarsi a sua volta.

-Io mi preoccupo sempre.- ribatté, guidandolo senza un suono verso il mondo al di fuori di quella stanzetta buia, di quella nicchia calda e confortante, nelle luci quasi fastidiose del salottino di Orochi.

Sbuffò, scostandosi i capelli dalla fronte, sfiorando inconsapevolmente la cicatrice sullo zigomo – e Ryoma sentì, ancora una volta, una fitta di preoccupazione attraversargli il petto.

-Dovresti davvero ascoltare Saizo.- mormorò, misurando accuratamente le parole perché non aveva affatto dimenticato l’Onmyoji in agguato. Zoe gli rivolse un’espressione confusa, e lui sospirò. -Nessuno ti ha ordinato di prenderti cura di Ileana. Non sei costretta a fare tutto questo.-

Il suo sguardo si assottigliò ancora una volta, scintillando con la stessa pericolosità di una lama ben affilata.

-Ileana merita soltanto gentilezza, dopo quello che ha passato – dopo quello che noi le abbiamo fatto passare. Non smetterò di provare a offrirgliela soltanto perché sarebbe più facile per me.-

La sua affermazione assomigliava molto ad un’accusa, e Ryoma sapeva che sarebbe stato inutile continuare a discutere: Zoe era troppo protettiva, troppo gentile…

-Potrei ordinarti di stare lontano da lei.- borbottò, ma era una minaccia vuota e lo sapevano entrambi: Zoe avrebbe semplicemente trovato un modo di fare di testa propria alle sue spalle, e quello avrebbe causato ancor più problemi del suo attaccamento a Ileana.

Eppure, invece di arrabbiarsi, lei piegò appena la testa, allacciando le mani dietro la schiena e guardandolo da sotto in su con uno sguardo da cucciolo maltrattato davvero sleale.

-Questo mi ferirebbe. Tantissimo. Vuoi davvero farmi stare tanto male?- miagolò, con una vocina tenera e innocente che lo colpì con la prepotenza di un pugno nello stomaco.

Ryoma grugnì, esasperato, coprendosi gli occhi con una mano e provando un improvviso moto di comprensione verso Saizo.

No, non avrebbe mai potuto farle del male… così come non avrebbe mai potuto negarle nulla.

Zoe si accorse della sua disfatta e sorrise, illuminandosi. -Se davvero vuoi aiutarmi, cerca di tenere Takumi lontano da Ileana. Non è così male quando non si sente minacciata.-

Ryoma annuì, dandole le spalle, cercando di mantenere almeno una briciola di dignità davanti alla donna che, lo sapeva, sarebbe stata la sua disfatta. -Vedrò cosa posso fare.- borbottò. -Ora, però, cerca di riposare.-

-Grazie.-

Sentì un movimento nell’aria, Ryoma, e il suo braccio spostato da un tocco affettuoso; e, quando si voltò, colto di sorpresa, la trovò lì, con quel sorriso di cui non era mai sazio sul viso, alzatasi in punta di piedi per lasciargli un bacio sulla guancia.

-Buonanotte, Ryoma.-

Lui si schiarì la voce, accarezzandole un’ultima volta i capelli.

-Buonanotte, Zoe.- borbottò, allontanandosi da lei e sparendo oltre la porta prima che lei potesse notare il rossore che si era fatto largo sulle sue guance.

 

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