stay close to me

di amelia_in_the_shadows
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Non mi lasciare ***
Capitolo 2: *** 2. Valere abbastanza ***
Capitolo 3: *** LETTERA DELL'AUTRICE: PER FARVI CAPIRE ***



Capitolo 1
*** 1. Non mi lasciare ***


CAPITOLO 1
-
Non mi lasciare
(Magnus pov)
 
 
“And another one bites the dust
oh, why can I not conquer love?
And I might have thought that we were one
wanted to fight this war without weapons
and I wanted it, I wanted it bad
but there were so many red flags.
Now another one bites the dust
yeah, let's be clear I'll trust no one.”
 
Sia – Elastic Heart
 
 
Magnus ci aveva davvero sperato in quella relazione: Alexander Lightwood, Shadowhunter e primogenito di una delle famiglie di Nephilim che più aveva detestato nel corso del secolo, doveva essere quello giusto.

Gli era piaciuto fin da subito perché era così diverso dagli altri Cacciatori, solitamente egocentrici ed altezzosi, proprio come il suo parabatai
Trace. O così gli sembrava che si chiamasse.

Lo aveva corteggiato, forse fin troppo, mostrandosi vulnerabile e, di conseguenza, feribile; con ogni probabilità era stato quello l’errore di partenza che aveva scatenato, appena poche settimane dopo, la caduta di tutte le sue illusioni.

In quanto stregone aveva secoli di esperienze alle spalle, migliaia di relazioni di ogni tipo e genere da cui trarre un insegnamento, eppure era riuscito a sbattere il suo stupendo viso glitterato contro un muro di muscoli, rune e occhi di giada.

A quanto pareva, era quello che gli riusciva meglio: essere ferito.

Era stata colpa di Ragnor: se il Nascosto non si fosse materializzato sotto forma di coscienza, proprio mentre pensava alle sue delusioni sentimentali, non avrebbe mai racimolato il coraggio e la sfrontatezza necessari per irrompere alle nozze di Alec.

Ora, lui non si era propriamente imbucato al matrimonio - odiava chi si autoinvitava ai suoi party - infatti aveva ricevuto un invito cartaceo (molto elegante e raffinato, doveva riconoscerlo) il quale dubitava fortemente provenire dal futuro sposo. O dalla sposa.

Probabilmente, lo aveva mandato chi davvero ci teneva alla felicità del figlio dell’Angelo, qualcuno di abbastanza sfacciato e insolente da provare il tutto per tutto per impedirgli di compiere un errore da cui non avrebbe più potuto tornare indietro e che sarebbe equivalso a una sentenza di infelicità eterna.

Qualcuno come Isabelle.

Quando Alexander aveva guardato con sguardo fiero come non mai la sala dell’Istituto, gremita di rappresentanti del Conclave e famigliari, non era certo di cosa lo Shadowhunter avrebbe deciso di fare: forse prenderlo per un braccio e buttarlo fuori da quel luogo riservato ai possessori di sangue angelico, forse urlargli che non si sarebbe dovuto permettere di metterlo così esplicitamente in imbarazzo di fronte ai propri genitori. Forse avrebbe ordinato ai Nephilim di cacciarlo, procedendo come se nulla fosse.

Invece lo aveva sorpreso, prendendolo per il colletto della giacca burgundi di velluto e spalmandoselo addosso come una coperta da cui non ti separeresti mai, le labbra morbide e desiderose proprio come le aveva immaginate. Era stato inebriante, sconvolgente, da brividi. Poi lo aveva baciato di nuovo, come a convincersi che non fosse un sogno.

Quando si erano staccati, esaminati da decine e decine di occhi accusatori e sconcertati, Alexander aveva manifestato lo shock per quello che aveva appena dichiarato con i gesti a tutti i partecipanti di quella farsa: “Cosa ho appena fatto?”

Mi hai reso orgoglioso di te, avrebbe voluto rivelargli Magnus, ma si diede un contegno e decise semplicemente di esprimere la sua felicità e sottolineare quanto non smettesse mai di sorprenderlo.

Di fronte al rancore della madre e ai dubbi del padre, Alec aveva replicato con convinzione, tranne che per il fatto di chiarire i propri sentimenti; certo, Magnus non si aspettava di ricevere una dichiarazione d’amore, ma non poteva negare di essersi sentito un po’ a disagio quando Robert Lightwood, nientedimeno che un ex membro del Circolo molto convinto, gli aveva domandato se fossero innamorati e, quasi come se avesse detto un’eresia, lo Shadowhunter aveva ribattuto con un secco “No!”, per poi perdersi in borbottii senza senso che aveva pensato lui a disciplinare, togliendolo dall’imbarazzo.

In fondo, era uscito allo scoperto solo da poco, dopo una vita di restrizioni e menzogne in nome dell’Angelo e del buon nome dei Lightwood. Proprio questi ultimi ce l’avevano messa tutta per farlo passare come il peggior Nascosto di Brooklyn e dintorni, ne era certo, perché quando Alec era tornato dopo il confronto con i suoi genitori sembrava molto meno sicuro di prima, molto più dubbioso delle scelte compiute.

Perché, Alexander? Perché non ti sei fidato del tuo istinto?

Tutto cadde quando Magnus chiese chiaramente ad Alexander se si fosse pentito di quanto fatto; quel “è successo tutto molto in fretta, non ho avuto tempo di pensare” fu come una moneta d’argento sulla pelle di un licantropo: bruciò tremendamente.

Lo stregone capiva che tutta l’adrenalina del caso doveva essere passata per lasciare spazio alla consapevolezza, la presa di posizione e alle responsabilità, ma fece comunque male.

Non c’era stato nemmeno il tempo di parlarne che l’attacco a Lydia, il tradimento di Hodge e il ritorno di Valentine si imposero aggressivamente sulla scena. Il Circolo e il loro rappresentante non avevano di certo voglia di attendere ulteriormente per concludere il loro piano di distruzione di massa dei Nascosti, e così avevano cercato di dare la priorità alle questioni di vita o di morte, piuttosto che a quelle di cuore.

Di certo Magnus non aveva considerato Camille. A distanza di quasi un secolo, ancora riusciva a rompere i suoi equilibri nel presente.
Mentre cercavano il Libro Bianco, però, forse anche un po’ per alleviare la tensione accumulata dal terrore e dall’agitazione di avere un pazzo e potentissimo Shadowhunter alle calcagna, Magnus aveva cercato di estorcere qualche dubbio o preoccupazione da Alec, per farlo stare meglio, ma lui sembrava solo interessato a cercare quel maledetto tomo.

Cercò di rassicurarlo sul fatto che quel bacio rubato con la vampira non significasse niente, non come quello che si erano scambiati poco prima loro due, e intravide un debole sorriso che, tuttavia, non raggiunse gli occhi.

Il Nephilim gli concesse poche parole, rivelando appena che non era per quel contatto di labbra così fugace che era così pensieroso, piuttosto per un’altra questione sollevata dalla vampira, di ben altra importanza.

Non ebbe tempo di sentire la spiegazione che i membri del Circolo fecero irruzione nella stanza e li catturarono, non senza una certa resistenza da parte di entrambi; combattevano bene insieme, ma presi alla sprovvista e in evidente stato di inferiorità numerica, vennero sopraffatti.

Perché non ti sei confidato con me, Alexander?

Da lì in poi, fu il declino.

Jace, il suo caro parabatai, era stato rapito da Valentine, inghiottito da un portale verso chissà quale destinazione, e Alec era scoppiato.

Giusto il tempo di sentirsi dire che non gli importava di Camille, ma di quello che aveva detto a proposito dell’immortalità. Ecco cos’era: la fastidiosa, prepotente immortalità di Magnus.

Prima o poi, questa saltava sempre fuori, come un indumento logoro che non indossi più, ma che ti dispiace buttare, ritrovandotelo puntualmente tra le mani senza che tu lo stessi veramente cercando.

Discorso diverso era quello per il Cacciatore biondo; ormai sparito da ore, l’intero Istituto si stava adoperando per cercarlo, in particolar modo Alec. Certo, era suo fratello, ma il Nephilim non aveva chiuso occhio dal risveglio di Jocelyn.

Persino in un tentativo di chiarimento, gli aveva rinfacciato di non averlo assecondato nel suo tentativo di tracciamento tramite rune angeliche. Come poteva non capire che non lo avesse assecondato per paura di perderlo per sempre? Per il terrore di non vederlo mai più? Già quel giorno sarebbe arrivato troppo presto, perché doveva accanirsi contro il destino e ridurre volontariamente la sua vita a tempo determinato?

Perché volevi lasciarmi a tutti i costi, Alexander?

Alec si era arrabbiato, gli aveva sputato addosso che avrebbe potuto fare almeno quello per ripagarlo di tutto quello che aveva fatto per lui. Magnus ci mise un po’ a meditare a che cosa, esattamente, Alec si stesse riferendo, poi azzardò un’ipotesi: il coming out.

Non poteva davvero credere a quelle parole, che l’avesse fatto per lui; lui che si dichiarava bisessuale disinvolto da tempi immemori, senza mai fregarsene del giudizio altrui, specialmente degli Shadowhunters.

Ma il giudizio di Alexander per lui, purtroppo, contava. Troppo.

Il ragazzo si era poi presentato al suo appartamento chiedendogli scusa, e aveva evitato di tenere il conto di quante volte avesse menzionato il nome del fastidioso e apparentemente biondo naturale Shadowhunter, ma i suoi occhioni da cucciolo e il cipiglio implorante lo avevano fatto desistere dal tenergli il broncio.

Avrebbe dovuto tenere duro, ma non ci riuscì, e fu un errore.

Scelgono sempre il loro Angelo, non te. Non l’avevi ancora capito, Magnus?

L’aveva rivisto il giorno dopo praticamente in fin di vita, perso chissà dove; respirava ancora solo grazie alla sua magia, che sprigionava senza battere ciglio, nonostante la stanchezza e la frustrazione per non riuscire ad ottenere risultati significativi. L’unica persona che poteva farlo era la stessa responsabile dello stato in cui si trovava Alec: Jace Wayland. O Lightwood. No, forse doveva dire Morgenstern?

In realtà, non avrebbe più voluto sentirlo nominare, in nessun modo.

Pregò Raziel. Implorò Lilith, persino.

Magnus decise che, se Alec fosse sopravvissuto, gli avrebbe concesso un’ultima possibilità. Se lui non l’avesse afferrata, allora Magnus avrebbe colto l’occasione per riprendere i suoi viaggi per il mondo.

Aveva bisogno di una pausa da tutto e da tutti, voleva respirare, tornare a vivere spensierato come era solito fare con Ragnor e Catarina. Per il primo, ormai, non c’era più niente da fare, e Magnus si ritrovò a reprimere il pensiero di aver portato la morte nella casa del suo dolce baccello, il suo compagno d’avventure sparito in nome di una causa che lui si era ben guardato dal rendere propria, ma che involontariamente lo era diventata. Cat, invece, era ancora lì, nonostante tutti quegli anni, sempre pronta a sostenerlo (e prenderlo in giro per ogni scelta sbagliata, come per il suo “flirt angelico”, come lo aveva definito la donna). Lei gli voleva bene, Magnus ne era cosciente, ma la donna poneva sempre i suoi deboli Mondani e l’aiutare il prossimo in generale sempre davanti a tutto, per cui scartò l’idea.

Alec si era risvegliato tra le braccia poderose del Cacciatore dai fluenti capelli dorati, recitando il mantra della loro promessa Originale, e Magnus vide una speranza in quegli occhi di giada che gli aveva fatto tremare il cuore.

In tutto questo, ovviamente, Alec era tornato a ruotare intorno all’orbita di Jace.

Luna e Sole. Buio e luce. Argento e oro.

Magnus non ne poteva più di continuare ad essere la seconda scelta, specialmente se questo voleva dire essere in competizione con quel Nephilim capace unicamente di mettersi nei casini e nemmeno poi così attraente. Non quanto lui, almeno.

Perché non mi hai reputato all’altezza? Mai abbastanza? Alexander…

L’ultima volta che lo aveva visto era stato all’Istituto, dopo essere stato interrogato in merito all’eccessivo scatto di rabbia verso quello Shadowhunter dai capelli scuri e la pelle abbronzata, il cui nome – non ne era certo – forse era Cas. O Ram? Oh, al Diavolo.

Magnus non sapeva cosa si aspettasse da quell’incontro. Dopo la sera in cui Alec si era risvegliato da quella sorta di coma, si era accertato tramite Isabelle delle condizioni del fratello. Di entrambi, in realtà, perché era ben conscio che la ripresa del ragazzo dipendesse in gran parte anche dalla salute del fratello adottivo.

Seppur fosse recluso nelle celle dei Fratelli Silenti, l’orgogliosa ragazza con le rune in bella mostra era sicura che avrebbero dimostrato l’innocenza di Jace. E Magnus ne era conscio, perché Alec non sarebbe stato in pace fino a quando non ci fosse riuscito.

Quel mattino, Alexander lo aveva tiepidamente ringraziato per l’aiuto datogli durante il suo stato dormiente, ma Magnus sapeva che, se anche aveva dato il suo contributo per aumentare la resistenza nell’attesa del figliol prodigo, era stato Jace a determinare il rinsavire definitivo del bel Nephilim.
E non negava che ne fosse un po’ amareggiato. Sarebbe stata una bella favola d’amore se si fosse conclusa con un bacio riappacificatore e un abbraccio spontaneo tra i due principi.

Purtroppo, la realtà era diversa.

Avrebbe voluto esprimere i suoi dubbi, le sue perplessità, ma gli occhi teneri di Alec glielo impedivano, lo rabbonivano, lo incantavano, tanto da condurlo ad offrirgli un’ultima chance.

Allora gli chiese un appuntamento; non ebbe tempo di sentire la risposta che il fastidioso Shadowhunter (Saj?) esortò Alec a seguirlo per un briefing sui Demoni. Un dannato briefing.

Di nuovo, Magnus era stato messo da parte: se non era per Jace, era per il Conclave, e lo stregone ne aveva abbastanza.
Anche mentre lo guardava allontanarsi, anche se era arrabbiato, vedeva la sua chioma spettinata, la figura slanciata, lo sguardo buono che gli lanciò prima di sparire dietro l’angolo.

Stava mentendo a se stesso: Magnus non ne avrebbe mai avuto abbastanza di Alec, perché Alec non si sarebbe mai concesso interamente a lui, e non in senso carnale, ma in un modo molto più profondo: accettandolo.

Una tremenda consapevolezza si fece largo nella mente di Magnus: doveva lasciarlo andare.

Alec aveva il diritto di provare, sperimentare, giocare. Il Nascosto poteva essere solo un’esperienza, non l’amore della sua vita.
Aveva trovato il coraggio di ammettere la sua omosessualità, ed era giusto che si mettesse in gioco nel territorio delle relazioni, quello da cui Magnus, questa volta, si chiamava fuori giusto in tempo per non precipitare.

Lui non cercava avventure, lui si stava innamorando di Alexander Lightwood, mentre quest’ultimo lo cercava solo quando aveva bisogno o per distrarsi dai suoi reali sentimenti verso un uomo che non era Magnus.

Era una storia già sentita, un modus operandi che ricordava in ogni sua rifinitura, ma aveva imparato la lezione.

Non gliene faceva una colpa, comunque. Magnus stesso aveva trascorso secoli di lussuria e divertimenti, e non poteva biasimare Alec se era uscito solo ora allo scoperto, se conosceva il mondo solo in quel momento. Ma doveva accettare la verità. Alec non lo avrebbe mai davvero amato.

Alexander, perché eri così dannatamente irresistibile?

Il pomeriggio, se possibile, andò anche peggio.

Raphael si era presentato alla sua porta totalmente ricoperto in viso da cicatrici per una tortura recente; dannato Conclave, sapeva che era una punizione indiretta alla sua persona, per aver raggirato Victor Aldertree, e vedere quel vampiro (un figlio per lui)  supplicarlo di fare l’unica cosa che avrebbe potuto mettere fine a quello scontro, lo fece star male. Molto, molto male.

Era combattuto, Magnus, ma sapeva che, se voleva dare un taglio al passato e provare a uscire da tutte quelle situazioni pericolosamente intrecciate, doveva iniziare proprio dall’artefice delle sue sofferenze amorose: Camille Belcourt.

Lei era l’amore più forte e struggente che avesse mai avuto. Lo aveva consumato come una candela, prosciugato di ogni forza fisica ed emotiva, eppure, quando si era ritrovato a doverla spedire ad Idris per gli obbrobri perpetuati nel suo clan di vampiri, era stato trafitto da un terribile senso di disgusto e colpa allo stesso tempo.

Lo faceva per Simon e Raphael, si ripeteva.

Poi capì che lo faceva anche per se stesso, perché quella non era più la sua Camille, e quindi andava fermata, così come andava frenata bruscamente la sua corsa suicida verso la parete Alec Lightwood, un ostacolo che non gli era mai parso più affascinante di così.

Gli avrebbe voluto dire di venirsi a prendere le sue cose e andarsene, ma la verità era che la loro relazione - se così si poteva definire - era durata talmente poco che non c’era stato nemmeno il tempo di vedere lo spazzolino di Alec accanto al suo, di sentire il profumo del suo corpo impresso nelle lenzuola di seta, di acquistare una macchinetta del caffè per le loro colazioni al sapore di baci.

Magnus aveva iniziato a preparare le valigie e, una volta chiamata Catarina per chiederle di nutrire adeguatamente i suoi gatti, la donna le rivelò la triste fine di Jocelyn Fairchild. Fray.

L’amica gli raccontò a sommi dettagli come erano andate le cose, e Magnus rammentò di tutte le volte che aveva incontrato la donna, di come l’avesse aiutata, odiata, mai davvero capita. Pensò a Clary, che non aveva più una madre, ma un padre criminale. Come la capiva… e poi pensò ad Alec.
Il destino era stato crudele con Magnus, ma Alexander non meritava tutta quella sofferenza.

Poteva perfettamente immaginarselo col suo sguardo contrito, colpevole, inadeguato, ad attribuirsi la causa di tutti i mali del mondo. Faceva male pensarci, ma Magnus, questa volta, non avrebbe potuto fare niente. Sapeva che, se si fosse fatto coinvolgere ancora, non avrebbe più potuto uscirne sano. Non lo era più completamente già adesso, figurarsi dopo aver visto il volto distrutto di Alec.

Aprì un portale verso Toledo, parlò e disquisì con l’unica persona che avrebbe avuto la voglia e la forza di prendersi carico degli stregoni della città che non dorme mai. Lorenzo Rey si fece pregare un po’, ma poi accettò; sarebbe stato nominato come sostituto Sommo Stregone per un periodo di tre settimane. Per cominciare.

Magnus era consapevole che sarebbero state di più, ma non voleva ramanzine da parte dei Delegati dei Nascosti, specialmente ora che Valentine era più vicino che mai. Gli era già sopravvissuto per miracolo una volta, forse non sarebbe stato nuovamente così fortunato.
Tanto valeva godersi cosa gli rimaneva: il divertimento.

Stava per scrivere un messaggio di fuoco quando si ritrovò Alec sul balcone. Era abbattuto, debole come mai, persino più che in seguito alla sua quasi morte.

Le mani gli sanguinavano e, prima che potesse impedirselo, Magnus gli si avvicinò, per poi fermarsi a pochi centimetri dalla sua imponente figura. Era il contatto più intimo che avessero avuto dal loro primo bacio, se si escludeva quel patetico sfioramento di labbra alla “Bella Addormentata nel Bosco”.
Non ebbe bisogno di spiegazioni, poteva capire che avesse compiuto qualcosa che riteneva imperdonabile e di cui si riteneva il solo colpevole, ma sapeva che non era così.

Non è stata colpa tua, Alexander.

Provò ad allungare una mano, ma il Nephilim la scansò.

Certo, lui era un Nascosto alla fine dei conti, mentre Alec uno Shadowhunter. Era cresciuto con quella convinzione e non ne era responsabile, perché sapeva che non era quel genere di persona, ma questo non cambiava le cose.

Magnus rimise le braccia lungo i fianchi, senza però abbandonare la posizione guadagnata.

Alexander era appoggiato contro il muretto del terrazzo, le braccia conserte in un gesto di chiusura; un po’ lo spiava, un po’ abbassava lo sguardo. Poi prese un grosso respiro e parlò.

“Sono un assassino e un debole. Ho permesso a un demone di entrare nel mio corpo e ho ucciso Jocelyn Fray.”

Magnus pensò a un Alexander violentato nell’anima da una forza demoniaca, senza che lui, un Cacciatore, potesse fare niente per combatterlo, inerme e solo. Un brivido di freddo gli percorse la schiena. Voleva rassicurarlo, ne sentiva l’impulso; era più forte che la necessità di lasciarlo.
“Alec, non sei stato tu, eri sotto il controllo di quel demone, tu non…”

“Ho visto su un monitor me stesso mentre le estraevo il cuore, Magnus!” I suoi occhi iniettati di sangue lo fulminarono improvvisamente e rivelarono tutta la rabbia, la sofferenza, l’odio che nutriva verso quello che aveva fatto, che aveva permesso che succedesse, come se fosse stata un burattino nelle mani di un uomo crudele. “Poco importa che io fossi posseduto o meno. Chi pensi che incolperà Clary, eh? E Jace? Aveva appena scoperto di avere una madre, e io gliel’ho portata via.”

Ah, ecco cos’era.

Alec odiava quando gli eventi non seguivano la direzione che riteneva corretta, e per lui essersi fatto comandare dal genere di creatura più ripugnante del mondo doveva essere una sconfitta inaccettabile. Aver ammazzato, involontariamente, una Shadowhunter, una Nephilim come lui, doveva essere devastante.

Come se non fosse abbastanza, non era una figlia dell’Angelo qualunque, ma la neo-ritrovata generatrice di Jace.
Probabilmente, se non avesse avuto a che fare con lei, non avrebbe mai conosciuto Alexander, perché Clary non sarebbe andata alla ricerca dei suoi ricordi perduti, e la sciocca combriccola di Cacciatori non l’avrebbe mai contattato per farsi aiutare, come sempre da lì in poi.
Ma Alec… Alec gli aveva coperto le spalle senza nemmeno conoscerlo, gli aveva sorriso sincero, e ora era lì, sul suo balcone, ed era come se non ci fosse, in realtà.

Non voleva dire che la causa della sua infelicità fosse Jace, perché era consapevole che Alec avesse tanti motivi per esternare con particolare difficoltà i suoi sentimenti, i quali non dovevano per forza dipendere dalla frustrazione di sapere che non avrebbe mai potuto averlo, ma sapeva anche che il legame parabatai doveva essere reciproco, un offrire continuo e uguale, e a volte gli sembrava che quel rapporto lo portasse avanti solo il ragazzo dai capelli corvini.

Prima Clary, poi Valentine. Quando sarebbe stato il suo turno? Non c’era paragone con il legame che aveva visto con i suoi stessi occhi, ormai centinaia di anni prima, tra Will e Jem. E Tessa, oh, chi più di lei avrebbe potuto testimoniarlo?

Ma non stava a lui giudicare, voleva solo cercare di confortare Alec, perché quelle spalle portavano già fin troppo carico per la sua età, una corona che pesava come un macigno che il Nephilim non aveva preteso di portare.

Era dispiaciuto per lui, e infuriato con i Lightwood, che volevano ripulire il buon nome di famiglia e farlo tornare al vecchio lustro sacrificando l’anima pura di un Angelo che si credeva un deviato perché non gli avevano permesso di essere né chi era, né chi voleva.

Maledetti. Maledetti.

“Non avresti potuto impedirlo in nessun modo e, credimi, io me ne intendo di possessioni demoniache. Tu, piuttosto, come stai? Hai parlato col tuo parabatai?”

Magnus cercò di utilizzare un tono pacato e docile, quello che si riserverebbe a un cucciolo intimorito e atterrito, proprio come appariva il giovane in quel momento.

“Ha detto che non me ne faceva una colpa, ma io non gli credo. Come può perdonarmi, io sono il suo parabatai, dannazione! Sono solo un debole, aveva ragione mia madre, ho disonorato la famiglia, il mio giuramento, tutto!”

Alec si coprì la faccia con le grosse dita sporche di sangue, spargendolo sul suo viso di latte. Ormai i sintomi di un principio di crisi di panico c’erano tutti, e Magnus dubitava che fosse stata inventata una runa-Xanax; lentamente, con garbo, mise da parte tutto, cancellò la distanza che li separava e cinse Alec sopra gli arti, avviluppandolo in un abbraccio forte e delicato allo stesso tempo, mantenendo lo sguardo sul suo viso. Voleva fargli sentire un po’ di calore, anche se lui si sentiva di ghiaccio per il turbinio di emozioni contrastanti che lo stavano attraversando. Ci stava di nuovo cadendo, irrimediabilmente.

Sarebbe stato davvero un male, Alexander?

“Sono un mostro!”

Alec, mio Alec, pensò Magnus. Non avrebbe mai potuto essere niente di tutto ciò, perché lui sapeva bene cosa voleva dire vivere con la consapevolezza di essere in parte un demonio, di aver provocato la morte del proprio patrigno. Della propria madre. Di vedere il ribrezzo negli occhi di chi ti ha generato nello scoprire il riflesso di quelle pupille troppo verticali per essere umane. Per essere normali.

Ed era per quello che Alexander poteva essere quello giusto: perché si sentiva sbagliato come si era sentito lui - seppur per altri motivi - inadatto, fuori luogo con la maggior parte della sua stessa gente, la propria specie; un popolo di trogloditi con l’ambizione troppo alta di salvare il mondo.
Magnus si domandò come avrebbe potuto aiutare Alec a salvare se stesso. Non poteva farne a meno.

“Allora hai fatto bene a venire qui,” gli sussurrò a pochi centimetri dal viso. “Io più di tutti posso capirti, Alexander, ma credimi: tu non potrai mai essere come ti descrivi, perché io vedo la verità e in te non c’è proprio niente di abominevole.”

Al contrario di me.

“Allora guarda le mie mani,” esalò incrociando con determinazione i suoi occhi castani, in un singhiozzo che ne vide seguire molti altri, sempre più forti. “Guardale e dimmi cosa sono, perché io non lo so più.”

Alec aveva frapposto i propri palmi tra di loro, cominciando poco dopo a colpire con i dorsi il petto di Magnus, in un gesto debole e cadenzato che ricordava più una ninna nanna che un vero attacco.

Senza dire niente, lo stregone fece scorrere i polpastrelli sulle spalle del Nephilim, sentendo i bicipiti contratti per il movimento e l’agitazione. Gli accarezzò gli avambracci e i polsi, per poi unire le proprie dita con le sue in un tocco che, seppur leggero, emanò delle fiammelle colorate che catturarono lo sguardo di Alec, facendogli allentare il ritmo delle percosse.

Magnus prese a produrre come delle pennellate blu sulla pelle frastagliata e lacerata dello Shadowhunter, riportandola al suo naturale pallore diafano. Forse era troppo, ma si prese la briga di portarsele alle labbra e sfiorale con un bacio innocente.

“Tu sei Alexander Lightwood, Cacciatore di demoni e protettore di tutti noi, Nascosti e Mondani. Sei un arciere d’eccellenza, un fratello premuroso e un figlio diligente. Sei questo, per tutti.”

Stille di acqua salata si erano incagliate tra le folte ciglia di Alec, altre invece erano scese coraggiose fino al mento, in un contrasto mozzafiato tra il liquido trasparente e la luce lunare che vi si rifletteva, andando ad evidenziare la mandibola definita del ragazzo.

“E cosa sono per te, Magnus?”

Si fissavano, le mani ancora unite, i corpi vicini, i respiri affaticati. Lo stregone percepiva il dolore di Alec che, attraverso l’uccisione di Jocelyn, era riemerso sotto forma di insicurezza, inadeguatezza e sfiducia verso se stesso.

Avrebbe voluto strattonarlo, baciarlo, urlargli contro e sussurrargli all’orecchio. Lui lo rendeva imprevedibile, agitato, elettrico. Cos’era quello squilibrio? Che nome aveva quell’inopportuna tormenta che gli esplodeva dentro, la quale lo portava a dirsi Scappa! e Rimani! allo stesso tempo?

C’era aspettativa nelle iridi verdognole di Alec, praterie che chiedevano di essere percorse senza freni, ma che non era certo di avere il permesso di attraversare. E non era nemmeno sicuro di volersi assumere un tale rischio per poi ritrovarsi da solo, senza fiato e senza energia, con un cuore ridotto a briciole di pane in mano.

“Sei la persona che aspettavo da secoli, Alexander. Mi piaci, mi piaci tanto, e mi spaventa. Perché so che quello che provo io per te, tu non potrai mai provarlo per me.”

Gli diede molto potere confidandogli quei pensieri, ma non voleva avere rimpianti.

Non quella volta.

“Come puoi dirlo? Tu non sai cosa io… c-cosa io provi per te! Io…”

“Alexander,” iniziò Magnus con quel suo tono dolce, sensuale, vellutato. “Lo so che ami Jace, e so anche che siamo capaci di amare diverse persone allo stesso tempo. Ma hanno ragione i tuoi genitori, in un certo senso: sono un egoista, e non sono disposto a condividerti. Vorrei averti solo per me, vorrei avere tutta la tua attenzione. Vorrei essere io il tuo sole, Alec. Non mi succedeva una cosa del genere da… beh, da quando stavo con Camille. Con lei è stato un amore a senso unico e ne sono uscito devastato. Sarò anche immortale come dici tu, e ti ribadisco che non so leggere il futuro, ma so imparare dal passato.”

Aveva tutta l’attenzione di Alec, che lo fissava con gli occhi gonfi e due cerchi viola ad incorniciare la tempesta che prendeva atto nella sua sclera, bianchissima come la neve.

“Cosa, cosa hai imparato?” gli chiese il Cacciatore, ormai tremante. Sembrava quasi che il suo flusso sanguigno avesse rallentato il suo ritmo.
“Ho appurato che la sincerità fa spesso male, ma è l’unica soluzione possibile.”

“Per cosa?” ribatté Alec senza nemmeno respirare, aggrappandosi alle mani di Magnus ancora di più, senza probabilmente accorgersene.

“Per sapere se posso abbandonarmi a te, Alexander, perché io lo sono già, perso in te. E mi spaventa, perché odio anch’io perdere il controllo, sai? Ma è successo, e non ho potuto impedirmelo. Fin da quando abbiamo combattuto insieme contro quel venduto di un Nephilim del Circolo. E più mi ignoravi, e più ti volevo, fino a quando sono venuto a prenderti, consapevole che avrei potuto cadere e scottarmi, ma poi tu mi hai baciato, inesperto e confuso, ma con tutto quello che avevi, e io ho capito che ti volevo. Che ti voglio, Alexander. Ti voglio nella mia vita, ma te lo ripeto: non voglio dividerti con nessun altro. Non in quel modo. Se hai anche solo il dubbio di provare ancora dei sentimenti che esulano dal semplice - per quanto possa esserlo - legame angelico con Jace, ti prego, ti imploro di dirmelo, di essere sincero. Perché sai, Alec, tu ti meriti la felicità, ma me la merito anch’io, dopotutto.”

Non ci fu bisogno di risposte, perché le lacrime che ripresero a scorrere sul volto pallido di Alec chiarivano perfettamente la situazione. Poteva anche provare qualcosa per lui - e sicuramente c’era rispetto, perché altrimenti avrebbe potuto mentire e approfittarsi della vulnerabilità di Magnus - ma non poteva smettere di essere innamorato di chi aveva idolatrato per una vita intera. In fondo, era anche comprensibile. E terribile.

Magnus sorrise e, istantaneamente, i suoi occhi cominciarono a bruciare tremendamente. Sciolse la stretta di falangi e portò le mani a coppa sulla parte bassa del viso regolare di Alec, carezzandolo col pollice, e poi lo baciò.

Sale e saliva si mescolarono in un liquido che aveva un sapore troppo amaro per essere sopportato tanto a lungo, come sorsate di Assenzio che ardevano la gola ad ogni goccia. Fu un bacio triste, malinconico, di chi sapeva quanto stesse perdendo.

Alec, ormai guarito dal dolore provocato dallo scoccare senza sosta e protezione alcuna le frecce angeliche, sovrappose le sue mani grandi e callose a quelle minute e sottili di Magnus, legandole forte le une alle altre.

Quando lo stregone si staccò, posò la sua fronte su quella di Alec – il quale era bollente - e senza guardarlo negli occhi - perché no, non ce l’avrebbe fatta altrimenti - pronunciò tre semplici parole le quali, insieme, valevano tutto.

Aku cinta kamu.”

Pronunciarle provocò all’uomo un dolore fisico che lo pervase interamente.

“Cosa significa?” chiese Alec, palesemente smarrito.

Significa che ti amo, stupido Nephilim. Perché non lo hai mai capito?

“Non ha importanza,” sorrise Magnus malinconico. “Piuttosto, promettimi di riguardarti e non metterti nei casini per assecondare ogni scemenza di quel biondo finto, ok?”

Lentamente, la maschera stava ricoprendo il volto di Magnus, come un sipario che si chiude su una scena nascondendo lo spettacolo dietro le tende.
“Magnus, perché mi sembra che tu mi stia lasciando?” domandò un sempre più allarmato e confuso Alec, con mani vacillanti.

“Ti sbagli, non si può lasciare chi, alla fine, non conta niente per te, no? Noi non stavamo insieme, quindi non sto interrompendo nessuna relazione. Solo una piacevole conoscenza.”

Com’era? Impugna l’arma, prendi la mira e… lancia.

Una stoccata dritta al centro del cuore di Alec. Eppure, a Magnus parve di essersi colpito da solo, perché aveva sentito chiaramente un crack dentro di sé che lo fece piegare un po’, abbandonando il nodo di dita e facendo qualche passo indietro, uscendo dalla zona personale del ragazzo dai capelli scarmigliati.

“Una piacevole conoscenza? È questo quello che sono stato per te? Io non ti credo, non ti credo Magnus! Jace è il mio parabatai, e tu non puoi pretendere che io lo abbandoni proprio ora che tutte le sue convinzioni sono crollate a pezzi, non posso! E non è nemmeno giusto che tu me lo chieda!”

Alec era visibilmente incredulo, sconvolto, impaurito. E no, non era giusto, infatti, come non era giusto il destino.

Perché ti ho conosciuto proprio in quel momento, Alexander? Perché non prima che io giurassi che nessuno si sarebbe più preso gioco dei miei sentimenti? Perché gli Angeli e i Demoni si allineano sempre contro di me?

Gli esseri con puro sangue angelico lo ripudiavano per la sua natura in parte demoniaca, che a sua volta era quella che lui cercava di dimenticare di possedere, perché gli ricordava suo padre, Asmodeus, Principe dell’Inferno, che avrebbe fatto di tutto per fargli del male.

“Io non ti ho domandato nulla di tutto ciò, Alec. Ma fino a quando non avrai chiarito i confini tra i diversi tipi di amore che la tua parte umana è capace di provare, io non ci sarò. Potrei anche aspettare, ma non voglio farlo, perché sono stanco di attendere qualcuno troppo impegnato ad essere innamorato di un altro per accorgersi di me. E io sono uno che si nota, parecchio. Quindi, Shadowhunter, compi il tuo lavoro, difendi i tuoi cari e chi ti sta a cuore, e cerca di non farti ammazzare, per favore. La tua gente ha bisogno di un ragazzo come te.”

Io ho bisogno di te, Alexander, oggi come allora, al capezzale di Lucean. Ho bisogno di te. Perché non hai preso la mia mano, Alexander? Perché non sei venuto via con me, incerti, persi, ma innamorati, come aveva detto Simon? A me sarebbe bastato questo, Alec, ma perché a te non sono bastato io?

Magnus aprì un portale con un gesto fintamente distratto della mano, e si girò di spalle, procedendo verso la portafinestra. Il cielo era diventato improvvisamente carico di un’aria pesante, quasi viziata, che preludeva un temporale imminente da lì a poco. Poteva sentire l’odore della pioggia prima ancora del suo scorrere inesorabile.

“Non te ne andare, non mi abbandonare anche tu.”

Rassegnazione, sofferenza, sconforto: questo era quello che la voce appena udibile di Alec trasmetteva, accentuando le fitte e i brividi nella colonna vertebrale di Magnus. Tuttavia, non poteva vederlo direttamente. In qualche modo, Magnus ne fu sollevato, perché non avrebbe mai potuto sopportare la vista di quella scena pietosa. Doveva essere duro, forte. E fingere.

“Io non ti abbandono, Alec. Ti do l’opportunità di conoscerti e, credimi, è un privilegio che non a tutti è concesso. Tu te lo sei preso, ed è arrivato il momento di godertelo. Ora vai, prima che il portale si chiuda.”

Magnus non si aspettava assolutamente quello che accadde dopo. Sentì il tonfo di diversi oggetti schiantarsi a terra, dietro di lui, in un concerto di stridi che violò le sue orecchie, ma mai al pari delle parole che seguirono quel colpo.

“Se è così che la pensi, Magnus, allora non voglio avere più niente a che fare con te! Ecco,” sputò quasi con isteria, debolezza, disperazione. “Con questi ho saldato il mio debito. Ora non abbiamo più niente da spartire, sei libero!”

Passi veloci e rabbiosi, scoordinati. Vocaboli che trafiggono e uccidono.

“Ti odio Magnus, ti odio. Ti odio! Non voglio vederti mai più!”

Magnus sentì il suono tipico dell’attraversamento di una porta dimensionale, ma più amplificato, come se Alec ci si fosse schiantato contro; si richiuse e sul terrazzo non rimasero altro che Magnus, il suo tremore e gocce corpose che senza alcun rispetto cominciarono a scendere copiose, colpendo Brooklyn in una notte qualsiasi.

Sul pavimento, un ammasso di frecce uscite dalla faretra disordinatamente ed un arco giacevano abbandonati come rifiuti in un viale di periferia.

Tutto quello a cui Magnus riusciva a pensare era l’odore delle lacrime di Alexander che sapevano di ferro, proprio come quelle delle nuvole che lo sovrastavano unendosi in quel coro di pianti che se, seppur in maniera irrisoria, lo confortavano un poco. Non abbastanza.

Perché mi hai lasciato, Alexander? Perché fa così male?

TBC…

Nda
Salve a tutti!
Eccomi qui con questa nuova What if? a capitoli, che vede gli eventi succedersi in maniera differente dopo l’incontro tra Magnus e Alec in seguito all’uccisione da parte di quest’ultimo di Jocelyn (2x05). I racconti a venire potranno avere dei segmenti analoghi alla storia originale, alcuni verranno invece ampiamente inventati. Il pov verrà specificato all'inizio del testo, mentre il rating potrebbe variare in corsa. Who knows?
Per il momento, so solo che mi mancano i Malec insieme, ma volevo provare a vederli distanti e cavarsela anche uno senza l’altro, in particolare Alec. Confesso che mi è sempre un po’ mancato, sia nei libri che nella serie, vedere lo Shadowhunter interagire con altre persone che non fossero sempre la sua famiglia o il suo ragazzo, magari anche un rapporto con una persona del suo stesso sesso, verso cui provare un interesse ovviamente non definitivo perché Magnus Bane Sommo Stregone di Brooklyn tutta la vita e non ce n'è per nessun altro. *fangirla*
Detto questo, non mandatemi troppi insulti e, se vi va, mi farebbe davvero piacere leggere un vostro riscontro nelle recensioni, positivo o negativo che sia. Sono sempre ben disposta ad ascoltare suggerimenti, idee ed ipotesi per il proseguo della storia.

Un saluto a tutti,

Amelia           
 
 

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Capitolo 2
*** 2. Valere abbastanza ***


CAPITOLO 2
-
Valere abbastanza
(Alec POV)
 
 
“I’d take another chance, take a fall, take a shot for you
and I need you like a heart needs a beat,
but it’s nothing new
 yeah yeah
I loved you with the fire red now it’s turning blue, and you say
“Sorry” like the angel heaven let me think was you,
but I’m afraid
it’s too late to apologize, it’s too late
I said it’s too late to apologize, it’s too late...”
 
Apologize - One Republic feat. Timbaland
 
Era finita. Era finita, finita davvero.

Alec era terra in tumulto, fuoco senza limiti, mare in tempesta. Quando riemerse dal portale, si ritrovò a qualche metro di distanza dall’Istituto. Aveva pensato a quel posto, così come Magnus, probabilmente. Aveva agito impulsivamente, e se le cose fossero andate male, avrebbe addirittura rischiato di perdersi in qualche dimensione senza possibilità alcuna di tornare indietro.

Di certo, Magnus non l’avrebbe mai saputo. Non se ne sarebbe più interessato.

Alec cercò di eliminare quelle insopportabili prove liquide del suo dolore dal suo viso, ma fallì miseramente; la pioggia cominciò a farsi più arrabbiata, così come il suo umore. Osservò ancora una volta la facciata della cattedrale che gli si presentava di fronte, e decise che non era lì che voleva stare. Non esisteva più un posto dove rifugiarsi, perché le braccia di Magnus non erano più un suo beneficio.

Oscurato da questi pensieri, Alec si disegnò una runa del Calore sulla mano per riscaldarsi un poco e prese a correre, correre, sempre più veloce e con frenesia, verso una meta che non aveva previsto, ma che era necessaria.

Lontana dagli occhi, lontana dal cuore.

Jocelyn era morta, uccisa dalla sua debole difesa. Clary e Jace, dopo tutti i traumi che avevano subito, si ritrovavano senza madre. Isabelle era stata ferita e l’Angelo solo sapeva cosa avrebbe potuto accaderle. E Magnus.

Magnus…

Alec sapeva di non aver riflettuto molto prima di parlare, poco prima; l’unica cosa a cui era riuscito a pensare era stato scappare da quella situazione orrenda. Magnus, l’uomo che credeva sarebbe stato sempre dalla sua parte, pronto ad aiutarlo e difenderlo, l’aveva scaricato come se fosse stato un amante qualsiasi, una questione di poco conto da risolvere.

Gli aveva detto che gli piaceva, che si era affezionato fin troppo, ma erano bugie, perché che persona abbandona qualcuno che ama per renderla libera?

Improvvisamente, Alec pensò ai suoi sentimenti confusi e mai veramente espressi per Jace. Lui non gli aveva mai rivelato cosa provasse per lui, e prima che potesse provare a chiarirsi le idee, Magnus era subentrato come un tornado nella sua altrimenti monotona vita e lui non aveva più avuto tempo da dedicare ai pensieri. Ma poi Jace era stato rapito, e poi quasi ucciso, e dopo ancora aveva rischiato di perdere tutti, per sempre. Di perdere la sua stessa vita. Eppure, alla fine, erano stati altri a rimetterci.

Alec digrignò i denti, contrasse maggiormente i muscoli e sforzò ogni legamento per sfogare come poteva la sua frustrazione repressa.
Non era vero. Non poteva essere vero.

Poderose falcate lasciarono quasi un segno sull’asfalto bagnato di New York, insieme alla freddezza dell’ambiente e del cuore ferito di Alec.

Senza nemmeno rendersene veramente conto, il Nephilim si ritrovò a Central Park. Alec si fermò in un punto piuttosto centrale della zona, attivò il glamour e focalizzò la vista con tutta la concentrazione che gli rimaneva. Con l’arrivo del temporale, l’attività demoniaca sembrava essere in procinto di rivelarsi su larga scala, e Alec sentiva i brividi percorrergli la pelle infreddolita. Se fosse per la pioggia che gli penetrava nelle ossa, goccia dopo goccia, o per le parole di Magnus che gli trafiggevano la testa come mille spilli contemporaneamente, beh, non avrebbe saputo decretarlo con assoluta certezza.

Come previsto, le sue riflessioni furono interrotte dall’arrivo di una serie di demoni Shax; saranno stati un gruppo di tre o quattro, e Alec d’istinto mise una mano all’arco e l’altra alla faretra, per poi accorgersi di non averli più.

Il ragazzo rifletté che le sue armi preferite non fossero l’unica cosa che aveva perso quella sera orribile, ed un sorriso rassegnato gli percorse il volto. Impegnò i neuroni istantaneamente, come gli era stato sempre insegnato.

Se pensi troppo, muori. Se non pensi bene, muori.

Alec impugnò la lama serafica palesatasi dopo la sua invocazione in tutta la sua suadente bellezza.

“Fatevi avanti, demoni. Questa sera non ho niente da perdere, quindi date il peggio di voi: voglio divertirmi.”

Il Nephilim parlava loro come se potessero capirlo. Quei parassiti potevano uccidere, ma non brillavano certo in intelligenza. Tuttavia, si fecero avanti incuranti delle minacce a loro volte e si fiondarono sul ragazzo, che con un balzo leggiadro si ritrovò accovacciato a pochi centimetri dal luogo di collisione, per poi tirarsi su compiendo una giravolta elegante ed aggraziata che soppresse tutti gli esseri demoniaci in un bagliore rossastro, simile a fuochi d’artificio, quelli che aveva provato quando le dolci labbra di Magnus si erano posate sulle proprie.

Ora, non gli rimaneva altro che braci scottanti, brucianti come il sapore della sconfitta.

Tuttavia, ne arrivarono altri, e sembravano più arrabbiati e famelici dei precedenti. Alec, adrenalinico per tutta l’eccitazione del combattimento che era da tempo che non provava sul campo, non si fece di certo impaurire. Proseguì con la sua sinergia di colpi e brandimenti di armi, tirando fuori un pugnale che andò ad occupare la mano libera.

Il secondo round fu più impegnativo; essere da solo stava cominciando ad affaticare Alec molto più rapidamente e la pioggia ormai fluente non aiutava di certo la situazione. Lo Shadowhunter non pensò nemmeno per un istante di chiamare aiuto.

Con un grande sforzo, sferzò la sua personale armeria con austerità, approfittando dell’avvicinamento delle creature demoniache al suo corpo per poi trafiggerle col minor dispendio di energia. Dopo diversi minuti di tensione, anche l’ultimo mostro fu combattuto, e Alec si permise di sospirare. Guardò il cielo sopra di sé con gli occhi semichiusi, perché le stille che gli cadevano addosso avevano il peso di macigni sulla sua pelle stanca.

Alla fine, Alec serrò le palpebre e aprì le braccia, asciando che le gocce di acqua piovana lo avvolgessero completamente, la maglia ormai completamente zuppa e le gambe che gridavano riposo. Qualche piccolo taglio sanguinava appena, ma niente che una runa di guarigione non avrebbe potuto lenire.

Il Cacciatore pensò che se li meritava e che, anzi, quello non fosse niente in confronto a tutto quello che aveva fatto lui. La verità, se ne convinse, era che non era un buon parabatai, non un buon fratello, non un buon figlio, non un buon amico e, tantomeno, un buon fidanzato.

Alec rimase in quella posizione per quelli che parvero minuti, fino a quando un movimento repentino non lo fece scattare subito in posizione di difesa. Un demone Shax di dimensioni molto più notevoli dei precedenti si portò in attacco senza lasciare tempo di reazione nello Shadowhunter, che si coprì subito il volto con le braccia. L’essere infernale gli si scaraventò addosso con tutto il peso del suo spesso carapace, e Alec rabbrividì a quel contatto. Venne sferzato a terrà, nella terra ormai ridotta a fango, e quando aprì gli occhi assistì ad un orrendo spettacolo di cerchie di denti che avrebbero potuto squarciargli la faccia in una manciata di secondi.

Il Nephilim lo teneva ad una minima distanza di sicurezza usando tutta la sua forza, ma c’era una parte di lui, qualcosa che lo tratteneva a ribellarsi del tutto. L’incredibile adrenalina di prima era passata, così come la rabbia e l’esasperazione.

In quel preciso istante, Alec provò apatia. In quel momento, Alec non provò nulla, nemmeno la paura per la sua stessa vita. In quell’attimo, la sua testa vagò verso lidi che gli presentarono una grande alternativa a tutto, una soluzione per tutti.

Fu per questo che, quando la grande pinza alla punta della coda del demone fece un guizzo ovviamente diretto alla gola del ragazzo, Alec non si oppose. Immaginò un mondo parallelo dove le cose erano diverse, migliori, dove tutti erano orgogliosi di lui e dove lui non aveva commesso niente di male, dove tutto era normale, e dove lui e Magnus erano insieme, felici.

Sorrise, e l’ultima cosa che ricordò fu una vampata di luce rossa incandescente che lo proiettò rapidamente nel buio più totale.
-
Alec si risvegliò nella stessa posizione in cui aveva perso i sensi, supino a terra e con le braccia sul petto. D’istinto esercitò pressione sulle mani e si accorse di avere ancora le armi tra le dita, ed erano sporche di icore.

Nel buio della notte e nel silenzio di Central Park, perché era lì che si trovava, Alec si mise seduto e si sentì stranamente bene. Il suo corpo non doleva come avrebbe dovuto e i suoi vestiti erano insolitamente asciutti, così come la porzione di spazio in cui era steso. Si guardò intorno, ma così come la pioggia aveva smesso di scorrere incessante, anche i demoni ed ogni loro traccia si erano dissolti nel nulla, ad eccezione del sangue sul pugnale e del manico della spada, ora a riposo poiché non invocata.

Era tutto incredibilmente strano, perché seppur i ricordi fossero molto confusi, Alec pareva certo di stare combattendo con uno Shax molto accanito, di aver trattenuto a stento la sua rabbia istintiva contro una creatura angelica, e poi il nulla.

Alec sbatté un paio di volte le palpebre, si tirò indietro una ciocca di capelli ribelli e si alzò, rimettendo a posto le sue armi. Seppur un po’ confuso, prese a camminare verso una direzione non stabilita: vagò per la città che non dorme mai, i pensieri annebbiati e la figura ingobbita e indebolita, fino a quando non sentì delle voci provenire da un vicoletto appartato.

Con uno scatto repentino il Cacciatore accorse sul luogo, esaminando celermente la situazione: una ragazza, apparentemente disarmata e terrorizzata, stava per essere attaccata da due vampiri dall’aspetto poco raccomandabile. Erano leggermente chini, le lame dei canini esposti, gli occhi iniettati di sangue, e parlavano in un modo che ricordava molto il sibilare dei serpenti.

Alec attivò sicuro una determinata runa sul braccio - permettendogli così di udire anche a distanza - pronto a combattere da un momento all’altro, ma capì presto che in quell’attacco c’era qualcosa di strano.

La vittima, in realtà, non era affatto spaurita, anzi, utilizzava un tono sostenuto e audace; chiedeva informazioni a proposito del consumo di yin fen, e i vampiri sembravano collaborare solo perché erano consapevoli che da lì a poco la giovane sarebbe diventata il loro pasto.

“So che il vostro capo è immischiato in questa faccenda, e io non ho alcuna intenzione di riferirle di questa nostra amichevole conversazione, ma voi dovete parlare. Chiuderò un occhio su quanto ho visto prima, se mi aiuterete a capire chi c’è dietro lo spaccio.”

C’era una sicurezza inaudita nella sua voce. Alec desiderò di averne posseduto anche solo un decimo.

“Non abbiamo bisogno della tua clemenza, Shadowhunter. La nostra Signora Camille non farà ritorno molto presto nel nostro Clan, dopo essere stata spedita ad Idris direttamente dal Sommo Stregone. Quindi, esattamente, cos’è che ci vieta di ucciderti qui, adesso, senza che nessuno si accorga nemmeno della tua assenza?”

E poi, ancora: Camille era stata catturata da Magnus? Cosa? Ma non aveva senso, lo aveva visto e non gli aveva accennato alla questione. Certo, perché avrebbe dovuto confidarglielo, dopotutto?

“Peccato, io volevo venirvi incontro, ma oltre ad essere degli schifosi succhia-sangue, siete pure estremamente stupidi. Il Mondo Invisibile potrà anche fare a meno di voi.”

“Come hai detto?” disse quello con i capelli argentati e lo sguardo sottile. “Sei una povera illusa!” la derise il più slanciato dei due, capelli neri e occhi scuri come la pece.

"Uccidiamola!” gridarono infine entrambi.

Alec decretò che fosse arrivato il momento opportuno per intervenire, non era il momento di perdersi in elucubrazioni del genere.

“Volete violare gli Accordi? Non credo che vi convenga, con Valentine libero e gli Strumenti Mortali nelle sue mani.”

Tutti si girarono sorpresi, soprattutto la giovane Cacciatrice. La osservò rapidamente: occhi chiari, capelli biondi e mossi, corporatura tonica e slanciata. Non la riconobbe.

Non l’aveva mai vista prima.

“E tu chi saresti, eh?” lo derisero i vampiri, seppur spaventati dall’improvvisa entrata in scena dello Shadowhunter.

“Sono Alec Lightwood, e se scomparirò la mia famiglia se ne accorgerà e non avrà pace fino a quando non ne avrà trovato il responsabile, a costo di setacciare tra Nephilim, Nascosti e Mondani. Pensateci bene, prima di far del male alla donna di fronte a voi. È solo un suggerimento.”

Forse aveva un po’ gonfiato la schiera di gente a cui avrebbero dato la caccia Maryse e Robert, perché, ovviamente, avrebbero subito puntato il dito contro chi credevano non saper trattenere i propri istinti, cioè i Nascosti.

“Aspetta, ma lui non è la nuova fiamma dello stregone, quello figo?” lo schernì lo spilungone. “Chi, Magnus Bane?” domandò sconvolto l’altro. “Sì, è proprio il primogenito dei Lightwood!”

Alec era basito di fronte a quello che stava sentendo e vedendo; possibile che il suo coming out si fosse ripercosso anche sul mondo dei Nascosti? Un’improvvisa consapevolezza si fece poi largo nelle considerazioni di Alec. Certo, non era per lui, ma per Magnus. Lui era quello conosciuto, desiderato, idolatrato per la sua natura istrionica e peculiare. Era il Sommo Stregone di Brooklyn e ricordava quando, la prima sera che si fermò a dormire da lui, gli avesse espresso la sua vergogna se il suo popolo avesse scoperto di aver offerto ospitalità ad uno Shadowhunter. Dovevano averlo trovato estremamente assurdo e inverosimile, ma ora che lo avevano lì di fronte in carne ed ossa, tutto prendeva meccanicamente vita.

“Ok, Albert, non ci conviene metterci contro Stregoni e Cacciatori, non ti pare?” suggerì caldamente - per quanto possibile per un vampiro - il più basso.

“No, infatti. Ringrazia di scoparti il ragazzo giusto, Lightwood. Ora andiamocene!” sputò con una nota di disprezzo il moro, e Alec lo incenerì con lo sguardo.
Gli montò su un odio che lo fece quasi agire d’impulso e sconsiderevolmente, ma riuscì a bloccarsi appena in tempo per vedere la ragazza digrignare i denti e lanciarsi nel vuoto.

“Non tanto in fretta, cari!” disse con tono di sfida, poi accadde tutto molto velocemente: la giovane Nephilim afferrò per un polso il vampiro che Alec avrebbe voluto prendere volentieri a pugni, proprio poco prima che riuscisse a fuggire. Doveva aver attivato precedentemente una runa della velocità, infatti lo stese a terra con una facilità spiazzante. Lo teneva fermo a terra, le mani a bloccargli collo e gambe in un gesto fluido che non faceva trasparire affatto lo sforzo fisico impiegato nella presa.

“Si può sapere cosa vuoi, Figlia dell’Angelo? Ti ho già detto che non so niente di quel tale a cui ti riferivi prima, lasciami andare!”

“È per colpa di gente immonda come voi se i Nascosti vengono considerati al pari della feccia da parte degli Shadowhunters! Siete menefreghisti, insensibili, distaccati, e non date valore alla vita! Avrete anche l’immortalità, ma non avete imparato niente, niente, se non come ammaliare le persone e portarle alla pazzia. Vi odio, vi odio lugubri Figli della Notte!”

Alec ebbe appena il tempo di spingerla via prima che piantasse un pugnale dritto nel cuore del vampiro, che prontamente scappò via senza guardarsi indietro.
“Maledizione! Chi ti ha detto di intrometterti? Vattene via, Lightwood!”

Alec si rese conto solo in quel momento di esserle saltato addosso e di avere il proprio corpo interamente spalmato sulla figura forte della ragazza sotto di lui; si alzò immediatamente con uno scatto meccanico. Le offrì una mano per aiutarla ad alzarsi, ma lei la scacciò via malamente. Mise via l’arma - fortunatamente immacolata - ed estrasse dalla tasca della giacchetta il suo stilo, passandoselo sull’interno del polso.

Come per magia, il suo corpo cambiò: i capelli biondi e fluenti si accorciarono in una capigliatura curata e morbida, le spalle strette si ampliarono notevolmente, rivelando una struttura piuttosto imponente e severa; la carnagione, da pallida e arrossata per la rabbia, divenne leggermente più scura, salutare.

Quando alzò lo sguardo verso di lui, Alec vide che i suoi occhi erano blu come il mare d’inverno e che era un uomo, più precisamente uno Shadowhunter. Non lo aveva mai visto prima, eppure quei tratti estetici gli ricordavano terribilmente un altro Nephilim di sua stretta conoscenza. Si vergognò come un ladro colto sul fatto per aver fatto certi pensieri e le sue guance si imporporarono irrimediabilmente.

“Tu… t-tu sei un ragazzo,” esalò Alec in un sussurro, quasi timoroso di averlo offeso assistendo alla sua metamorfosi.

“E tu sei un idiota. Lo avevo in pugno, perché non eri impegnato a sbaciucchiarti col tuo pomposo fidanzato?”

Alec rifletté se ribattere dicendogli che Magnus non era assolutamente pomposo, o comunque, anche se un po’ lo era, gli piaceva ugualmente o forse di più; l’alternativa era rivelargli che non poteva farlo più perché il suo fidanzato - ammesso che lo fosse mai stato - lo aveva scaricato e che, quindi, si ritrovava a vagare per la City come un’anima in pena, confuso e smarrito.

“Per tua fortuna non lo ero, altrimenti avresti avuto sulla coscienza un innocente, e avrei dovuto fare rapporto al Clave.”

“Sei serio? Aveva minacciato di uccidermi!” urlò infastidito il ragazzo.

“Sì, ma tecnicamente non ti stava attaccando, mentre tu gli hai puntato una lama al petto. Pensi che, qualunque cosa ti spingesse a farlo, ti saresti sentito meglio dopo averlo spedito all’Inferno?”

Sembrò rifletterci per qualche secondo, poi riprese a parlare.

“Forse no, ma almeno non avrebbe commesso altre atrocità tra cui… lasciami pensare, esistere, per esempio?”

Alec non riuscì a reprimere un sorriso, timido, certo, ma pur sempre un sorriso. Per certi versi, quel carattere scontroso gli ricordava se stesso prima di conoscere Magnus. Cercò quindi di reprimerne l’idea.

“Perché cambiare aspetto?” si ritrovò a chiedere, senza sapere bene il perché. Riconosceva che non fossero affari suoi, ma era sinceramente curioso.

L’altro si tirò su ignorando il palmo rivolto verso il cielo di Alec, e si sistemò la divisa. Portava una giacca di pelle color testa di moro, un paio di jeans scuri e degli scarponcini abbinati. Lo stile ricordava vagamente quello piuttosto basic di Alec, solo che i suoi lineamenti più nordici gli conferivano un altro tono

“Perché non ti fai gli affari tuoi?” replicò il giovane, testardo.

“Sei tu che mi hai chiesto perché non fossi col mio ragazzo!”

Alec si domandò perché si stesse giustificando con quello che, fondamentalmente, era uno sconosciuto per lui.

“Ok, senti. Alec, giusto?” Alec annuì con il volto, incrociando le braccia al petto. “Bene, Alec, a me non me ne frega assolutamente niente di te e Magnus Bane, nel senso che proprio non mi importa se tu stai con un uomo che, tra le altre cose, è pure un Nascosto - e lo avete rivelato al matrimonio dell’anno davanti ai più illustri Rappresentanti del Clave. In realtà, vi stimo molto per questo. Davvero. Avrei voluto vedere le loro facce turbate, ma ascoltami bene: questa è una mia battaglia personale. È qualcosa che devo superare da solo, e fino a quando non avrò risolto la questione, non avrò pace. Forse hai ragione, quell’essere ripugnante non aveva fatto niente fuori dalle regole di fronte ai miei occhi, ma credimi se ti dico che i Nascosti, purtroppo, non sono tutti come la tua dolce metà, così come non tutti i Nephilim sono come te.”

“Lui… l-lui non è la mia dolce metà. Cioè, non più,” disse Alec, in un mezzo sussurro imbarazzato, senza sapere bene perché glielo stesse rivelando.

“Ah, bene. Allora mi sbagliavo, sono tutti uguali. Hanno l’immortalità, e noi siamo solo pedine mortali che muovono come gli fa comodo” intervenne prontamente lo Shadowhunter con un tono che probabilmente voleva essere ironico, ma Alec abbassò lo sguardo a terra.

“Lui… lui non è così. Lui… ci ha sempre aiutati, ma io...”

Alec era ad un passo dal correre via da quella situazione troppo invadente.

“Scusa, mi dispiace, ho dato per scontato che fosse stato lui a… sai, a troncare. Magari non è andata così.”

Come se Alec avesse voluto farlo. Lasciare Magnus era un’opzione che nemmeno contemplava, dopo tutta la strada compiuta per uscire allo scoperto, per poter frequentare quell’uomo tutto lustrini e occhi profondi come pozzi infiniti.

“No, hai indovinato,” ovviamente, pensò Alec. “Mi ha lasciato lui. Anche se non per i motivi che dici tu - non che abbia importanza.”

“Beh, vedi il lato positivo: ti ha aiutato ad ammettere a tutti chi realmente tu sia, e sei stato d’esempio per molti,” gli diede una pacca sulla spalla, e Alec alzò il volto incontrando quello del Nephilim. “E poi quando ti ricapiterà di sconvolgere i capi di Idris? Per l’Angelo, perché mi perdo sempre il meglio?”

Rise ad occhi chiusi, e Alec lo osservò rapidamente. Il suo viso era piacevole, doveva riconoscerlo. Si proclamava un traditore solo a pensarlo, ma si sentiva anche tradito da Magnus, in qualche modo. Lo aveva abbandonato, calpestato la sua fiducia, ignorando tutto quello che avevano dovuto superare per poter stare insieme.

“Avrei voluto che anche i miei genitori la pensassero come te, ma sai, non si può avere tutto dalla vita, no? E comunque, grazie.”

Alec non era abituato ad essere consolato, perché solitamente lo faceva lui con i suoi fratelli, e poi lui era il più grande, non gli piaceva essere ritenuto tanto debole da aver bisogno di sostegno. A meno che quel supporto non provenisse da un certo stregone… che non lo voleva più.

Alec, forse, poteva accettarlo. O meglio, doveva farlo.

Sapeva che Magnus era troppo buono per turbarlo con una cruda verità, ma Alec dentro di sé sapeva che il Nascosto non sarebbe tornato per parecchio tempo. Forse mai più.

“Tu puoi contare sui tuoi fratelli. Insomma, so che con il tuo parabatai ci sono stati dei disguidi, ma sono ancora vivi, no? Non sprecare il tuo tempo dietro chi ne ha talmente tanto a disposizione da dimenticare quanto il nostro sia, al contrario, contato.”

Quella fu una stilettata per Alec. Perché diceva la verità.

Forse per Magnus era davvero solo uno svago, in fondo lui avrebbe potuto avere chi voleva e divertirsi per tutta la vita, avrebbe trovato un altro Alexander, uno più divertente, più sicuro, più interessante.

Eppure il modo in cui Magnus lo guardava, come gli parlava… Alec provava una strana sensazione allo stomaco tutte le volte che lo incontrava, ma non riusciva mai a comportarsi adeguatamente, ad esprimere a voce o con semplici gesti la sincerità dei suoi nascenti sentimenti.

Gli aveva detto che lo odiava, ma non ci aveva creduto neppure per un secondo. Voleva farlo, davvero, perché sarebbe stato notevolmente più semplice, ma era impossibile. Chi mai avrebbe potuto odiare veramente Magnus Bane?

Ok, diverse persone - tra cui i suoi stessi genitori - lo avrebbero voluto anche morto, ma Alec non era tra queste. E si ritrovò a provare l’impulso di difenderlo dalle parole di quel Cacciatore.

“Magnus sa dare un valore al tempo, non è uno qualunque” lo ammonì con decisione.

Il ragazzo dagli occhi cobalto lo guardò con un sorrisetto che Alec reputò quasi fastidioso, e poi gli si avvicinò.

“E deve essere molto bravo a fartene perdere la cognizione.”

Anche questo era vero. Alec non si era nemmeno accorto di come le settimane fossero passate da quando si erano conosciuti, troppo preso dai drammi di Clary - una fitta al pensiero di Jocelyn lo fece trasalire -  e dai casini di Jace - insieme ai sentimenti contrastanti che provava verso di lui -  ma sapeva che non era abbastanza.

Voleva avere di più, conoscere di più, sperimentare di più.

Improvvisamente ebbe voglia di volare via, scappare in un punto non precisato, sparire per un po’.

“È tardi. Pensi di poter tornare all’Istituto senza immischiarti nuovamente negli affari dei vampiri?”

“Non posso promettertelo, perché sono affari anche miei.”

“Non dovrebbero esserlo,” lo ammonì Alec, serafico.

“Scusa, ma non sei la persona più idonea a darmi questo tipo di suggerimento, Alec,” ribatté lui con un sorrisino.

“Magari posso aiutarti?” si offrì il primogenito dei Lightwood.

“No. È una faccenda privata,” concluse infine lo Shadowhunter.

“Certo. Allora ci si vede.”

Alec fece per allontanarsi, ma il giovane lo prese per il polso, costringendolo a girarsi nuovamente. Fu una sensazione strana: non esattamente sgradevole, ma nemmeno voluta. Non era il tocco caldo e delicato di Magnus, ma quello calloso e rigido tipico di un Cacciatore.

“Sei troppo scosso per andare in giro ad ammazzare demoni da solo, torniamo a casa, per questa sera,” disse, e mollò la presa, per poi incastrare i suoi zaffiri con le pietre di giada di Alec. Quest’ultimo si toccò istintivamente la zona incriminata, e poi emise un sospiro al ricordo dello scempio di poco prima.

“Ho già fatto un giro di perlustrazione e la zona dovrebbe essere libera. E poi quella non è casa mia,” sbuffò imbronciato.

“Forse, ma lì ci sono le persone che ami, e quindi è lì che dovresti stare.”

Alec rispose di impulso. “A me non sembra di ricordare che la tua famiglia viva all’Istituto, però. Allora perché la definisci casa?” domandò, forse spingendosi troppo oltre; non aveva alcun diritto di domandarglielo, ma la sua impulsività aveva preso il sopravvento.

“Lo sai che non ti ho mai sentito parlare tanto, Alec Lightwood? Comunque, per rispondere alla tua domanda, all’Istituto ci vivono le persone che più si avvicinano ad una famiglia per me, e cioè i miei compagni e amici Nephilim. Lory e Xavier sono come fratelli per me, e quindi io sto dove sono loro, insieme contro il male.”

Aveva uno sguardo fiero, deciso. Quello tipico di un figlio dell’Angelo nato per combattere in nome di Raziel.

“I tuoi genitori sono morti?” si sbilanciò Alec, pentendosene subito dopo.

“Sì, loro non erano affini al pensiero di Valentine Morgenstern, e per questo sono stati uccisi. Sono cresciuto con mia sorella più grande, poi lei… beh anche lei è venuta a mancare,” strinse i pugni ai lati dei fianchi. “E quindi eccomi qui.”

Alec fu dispiaciuto dal racconto appena ascoltato. Per uno Shadowhunter era normale perdere le persone care fin da giovani, perché questo voleva dire combattere contro le forze demoniache già in tenera età; perdere tutto il nucleo familiare, però, era davvero una tragedia.

Sapeva come si sentiva Jace, ricordava i primi tempi in cui cercava di ambientarsi, ostentando una corazza impermeabile che mascherava una fragilità che non si sarebbe mai permesso di mostrare a nessuno, forse solo al suo parabatai. Ed era in quei momenti che aveva capito di amarlo, seppur incapace di scandire un confine tra affetto e fraterno e… qualcos’altro. Era tutto ancora così difficile, così incerto.

Alec gli diede una pacca sulla spalla, consapevole che non sarebbe servita assolutamente a nulla, ma non sapeva che altro fare. “Mi dispiace per le tue perdite, Underhill. Davvero.” Il suo cognome gli uscì dalle labbra inaspettatamente.

“Sai come mi chiamo?” chiese il ragazzo, evidentemente preso in contropiede.

“Cerco di ricordare tutti quelli dei miei compagni di New York. Tu sei Underhill, addetto al settore sicurezza dell’Istituto, giusto?”

Alec notò l’espressione meravigliata sul volto di Underhill, a metà tra il soddisfatto e il malinconico.

“Corretto. Sai, penso che nemmeno Aldertree conosca tutti i nominativi dei Cacciatori dell’Istituto. Eppure è il capo. Curioso, no?”

“No, non lo è. È semplicemente assurdo. Un buon leader dovrebbe conoscere la propria squadra approfonditamente, per poter adottare strategie efficaci e piani calibrati per le missioni. E poi… per l’Angelo, scusa! Stavo straparlando.”

Alec si coprì il volto in un gesto pudico.

“No, mi piace questo lato di te. Credo che saresti un buon capo, sai? Ci hai mai pensato?”

Già, anche Magnus glielo aveva detto qualche volta. Anzi, ci credeva proprio, nonostante Alec fosse ben consapevole che non sarebbe mai successo. Sicuramente nel futuro quel ruolo sarebbe toccato a qualcuno di carismatico, forte e vincente. Uno come Jace, non come lui.

“Non mi piace illudermi. Sono un tipo pratico e so quali sono i miei limiti. Per esempio, ora so che è meglio che tu rientri.”

“Dovresti farlo anche tu. Sei uno straccio, hai bisogno di riposare.”

“Lo farò, ho solo bisogno di qualche minuto ancora, sai, per riflettere,” e si allontanò di qualche passo. “Da solo.”

Alec si girò e cominciò ad incamminarsi, quando Underhill lo richiamò.

“Grazie per prima, Alec” disse, rivolgendogli un debole sorriso che fece increspare lievemente anche le labbra all’arciere.

“Figurati. Buon riposo.”

Alec sparì velocemente senza più voltarsi, per ritrovarsi, poco dopo, nuovamente sotto il palazzo di mattoni che aveva imparato ad associare al concetto sempre più familiare di rifugio. Puntò lo sguardo verso il piano che più di tutti aveva imparato a conoscere e vide le finestre chiuse e le luci spente.

Riconobbe l’assenza.

Fece male, e con quel dolore Alec corse via, con il vento che gli sferzava contro, facendolo rabbrividire. Non era comunque niente paragonato alla sensazione di gelo che sentiva nel petto.

Magnus era definitivamente partito.

Se n’era andato.
-
Quando fu uscito dalla doccia della sua camera all’Istituto, Alec si diresse verso la scrivania, alla ricerca di qualche report da visionare per cercare una scappatoia al turbinio di pensieri che gli impedivano di addormentarsi. Evitare Jace, Clary e tutti gli Shadowhunters in qualche modo coinvolti con lui si era dimostrato sorprendentemente fattibile, forse complice l’ora molto tarda. Aveva giusto fatto una breve visita ad Izzy, assicurandosi che stesse dormendo. Sembrava stare un po’ meglio, ma era comunque preoccupata per lei. Le aveva dato una carezza e un bacio sulla fronte, poi se ne era tornato nella sua stanza, incredibilmente spoglia in confronto a quella della sorella.

Alla fine, Alec posò lo sguardo su diversi fascicoli, ma li ignorò; vide poi carta e penna abbandonati in un angolo. Non ricordava nemmeno quando fosse stata l’ultima volta che aveva impiegato quel materiale per scrivere a qualcuno. Forse ad Aline.

Alec era uno Shadowhunter, ma era pur sempre un ragazzo all’epoca dell’era digitale e, come tale, possedeva uno smartphone. Quasi tutte le comunicazioni le otteneva e riceveva tramite chiamata o messaggio; al massimo, nei casi di maggiore riservatezza, inviava un messaggio di fuoco.

In quel preciso istante, prese posto sulla sedia, inforcò tra le mani la stilografica e iniziò ad aggredire un foglio con tutta la quiete repressa fino a quel momento.

Scrisse, Alec; scrisse tutto quello che gli passava per la testa.

Scrisse una lettera redatta di getto all’unica persona a cui avrebbe mai potuto pensare nel compiere un simile gesto in quel momento: Magnus.

Scrisse senza preoccuparsi di niente, se non dei propri sentimenti, impressi nero su bianco come rune sulla sua pelle di luna.

Mentre elaborava i pensieri sotto forma di grafemi, Alec si perse per un po’.

“Caro Magnus,

penserai che io sia uno stupido per scriverti una lettera quando avrei potuto chiamarti o mandarti un messaggio, ma la verità è che non ho il coraggio di farlo.

Telefonarti significherebbe affrontare la possibilità di sentire la tua voce, e io non sono pronto. Iniziare una conversazione scritta equivarrebbe alla probabilità di leggere una tua risposta scocciata o irritata, e anche in questo caso non me la sento.

Scrivendo non posso ascoltare il suono suadente della tua voce e nemmeno leggere il sarcasmo delle tue battute. In questo modo, non c’è nessun intoppo e posso dirti tutto quello che provo, o almeno tento.

Provo a capire cosa tu intendessi dire col fatto che devo imparare a conoscermi.

Provo a capire perché non sia stato in grado di smentire che io non amo Jace, non nel modo in cui, probabilmente, lo intendi tu. Non nel modo in cui potrei amare te.

Provo a capire perché io sia riuscito a far scappare l’unica persona che sia sempre stata gentile e comprensiva con me, senza essere in dovere di farlo per un ordine imposto o consanguineità.

Non voglio però sapere cosa volessero dire quelle parole pronunciate in una lingua che non conosco. Era la tua lingua madre?

Non mi hai mai parlato del tuo passato, tutto quello che ho visto è stato un tuo vecchio amore che cercava di reclamarti nel suo presente.

Mi sono illuso che, forse, tu potessi preferire me.

Non so da cosa potesse nascere una sicurezza di questo genere, ma forse la verità è che sono sempre stato bravo a darmi false speranze: uno come te non sta con uno come me, piuttosto con una come Camille, bella ed eterea come un marmo scolpito nella pietra.
 
Ora lei non è più qui, ma chissà quanti altri uomini e donne troverai, pronti a buttarsi ai tuoi piedi e soddisfare ogni tua richiesta.

Sai, ho conosciuto un ragazzo, questa sera. Un Nephilim del mio Istituto, per l’esattezza, e mi ha detto che siamo stati un esempio per molti col nostro bacio al mio mancato matrimonio.
 
Mi piace pensare che sia stato così, ma so che in quel “molti” manca la persona che più avrebbe dovuto crederci: io.

Ho rovinato tutto, e mi dispiace.

Mi dispiace se non ti ho dato abbastanza.

Mi dispiace se non sono stato capace di scegliere.

Mi dispiace se non mi sono esposto come avresti voluto.

Mi dispiace se non mi sono esposto come avrei dovuto.

Mi dispiace se ti ho sfruttato per le missioni.

Mi dispiace se non ti ho rivelato quanto mi dispiacesse per tutte queste cose.

Mi dispiace perché non sai quanto io creda in quello che ti sto dicendo e il dolore fisico che mi provoca anche solo muovere la penna sulla carta.

Mi dispiace perché, naturalmente, tu questa lettera non la riceverai mai.

Resterà qui, con me, e insieme a me invecchierà e morirà. La rileggerò, forse, solo per provare qualcosa, qualcosa che mi riporti a te.

Una carezza, un pugno, un bacio. Qualunque cosa che mi colleghi a te, Magnus.

Tuo,

Alec”

Quando ebbe finito, Alec raccolse la carta profanata e si abbandonò sul letto, coperto solo da un asciugamano legato al grembo. Si girò, stendendosi prono, e la rilesse. Il viso gli si rigò di leggere stille salate, le quali andarono a colpire anche la pagina; quando finalmente terminò con la lettura, piegò in quattro l’elaborato prodotto e lo nascose in un cassetto del comodino, sotto una sciarpa verde chiaro indossata rare volte, regalatagli da Izzy; gli diceva che gli risaltava il colore dei suoi occhi.

Quel cassetto sembrava un po’ l’angolo delle cose dimenticate, e ad Alec il paragone parve adeguato, perché così come probabilmente non avrebbe mai rimesso quell’accessorio troppo vistoso e troppo colorato per i suoi gusti (e il suo umore), allo stesso modo Magnus non sarebbe mai venuto a conoscenza di quella lettera.

Era innegabile che scriverla lo avesse un po’ alleviato del dolore al petto che provava da quando era scappato dal balcone del suo loft, ma non era scomparso, anzi, era sempre lì, accovacciato e pronto a ripresentarsi.

Ad Alec andava bene, se questo significava sentire qualcosa.

Sentire lui: il suo - non più suo - Magnus.

TBC…

NdA

Salve Lettori,
ecco il secondo capitolo di questa What if? dal sapore malinconico. Dopo l’esplicazione del fattaccio, possiamo entrare nella trama vera e propria (a partire dal prossimo aggiornamento). Spero di poter continuare a farlo di sabato, vita vera permettendo. 
Comunque, a proposito di questo capitolo, ecco il personaggio di cui avevo accennato l’insediamento nelle scorse note: Underhill-senza-nome. Voi lo avete apprezzato nella serie? Lo avete minacciato di non toccare Alec dallo schermo del vostro PC? E di questo Underhill, che ve ne pare?
Ah, per quanto riguarda l’angst delle lettere, vi avviso già che saranno una caratterizzazione di ogni (?) capitolo scritto dal punto di vista di Alec, perché io amo scrivere lettere e lo faccio tutt’ora con la mia amica di penna. Sì, sono un’anima vintage.
Spero che questa idea vi piaccia e che non odierete troppo ‘sto povero Cristo, in fondo non lo conosciamo nemmeno a fondo... magari ne scoprirete qualcosa di più? E Magnus, cosa starà facendo? Dove sarà? Starà pensando al suo Alexander? Chissà… *sorride sadicamente*
Detto questo, come sempre, vi invito a rendermi partecipe delle vostre impressioni sulla storia attraverso le recensioni, positive o negative che siano, insieme a suggerimenti, idee ed ipotesi sui successivi racconti. Mi farebbe davvero piacere. E grazie a chi ha messo la mia storia nelle seguite, lo apprezzo moltissimo.
Grazie, grazie, grazie.
Spero davvero di soddisfare le vostre aspettative!

Un abbraccio alla Izzy a tutti,

Amelia

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Capitolo 3
*** LETTERA DELL'AUTRICE: PER FARVI CAPIRE ***


Gentilissimi,

eccomi qui che, finalmente, in seguito a mesi e mesi di assenza, vi do notizie in merito a questa storia.

Lo faccio perché, l’altra sera, dopo un tempo imprecisato, mi sono loggata su EFP e ho notato che ci sono diverse persone che hanno inserito questa fanfiction tra le seguite.

In primis, grazie mille a tutti coloro che l’hanno fatto, a chi l’ha introdotta nelle preferite, a chi l’ha semplicemente letta. So che vi ho fatto attendere, ma non è dipeso dall’eventuale mia volontà di sospendere o abbandonare il racconto: in verità, ho avuto seri problemi di salute, mentale e fisica, che mi hanno portato a perdere il contatto con la realtà.

Non avendo ricevuto riscontri nei primi mesi dalla pubblicazione, ho pensato che tanto nessuno avrebbe sentito la mancanza di questa trama, di me. Quando la testa ti convince di non valere abbastanza, poi, le cose si ingigantiscono e ogni aspetto che non va come vorresti, beh, è un fallimento.

L’altra sera, appunto, ho però letto una recensione. La prima mai ricevuta.

È stata come una boccata d’aria fresca in una caverna senza luce dopo una reclusione infinita.

Mi ha fatto davvero bene, perché ho sentito che anche solo una persona avesse apprezzato le mie parole, ed è stato fantastico aver causato delle emozioni positive in un lettore di cui non conosco assolutamente nulla.

Se mi leggi, Feroniche, ancora grazie infinite.

Tutto questo per dire che sto meglio, che la guarigione è in corso, che ci sto lavorando, tra visite e colloqui, università e lavoro, vita vera e fiction.

Non è affatto facile, ma voglio farlo.

Voglio riuscirci.

Voglio davvero portare a termine questa storia, perché odio lasciare le cose iniziate a metà, ma non so quando riuscirò a farlo. Sarebbe molto d’aiuto, ora come ora, sapere se vorreste un proseguo a questi primi due capitoli, se ci fosse qualcosa in particolare che vi piacerebbe leggere. 

A volte, anche solo una parola può cambiare molte cose.

In conclusione, grazie.

Spero con tutta me stessa di ottenere qualche riscontro, di poter migliorare, di costruire qualcosa di buono, magari col vostro supporto.

Credo che mi farebbe davvero bene.


Vi mando un abbraccio.

Amelia

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