One Shots

di Luna_Holmes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come dei soldati ***
Capitolo 2: *** The HELL ***



Capitolo 1
*** Come dei soldati ***


(I'm an angel with a shotgun, shotgun, shotgun.
An angel with a shotgun, shotgun, shotgun.)
 
Ho dato il tutto per tutto. L’arma è nelle mie mani. La carico. Sono pronto. Corro verso di te. Devo salvarti. Basta un secondo e sarà tutto perduto. - Ti prego – sussurro. Lo sento a malapena, nonostante l’abbia detto io. Mentre corro inciampo, ma non importa. Ti raggiungerò.
 
Get out your guns, battle's begun.
Are you a saint or a sinner?
If love's a fight then I shall die
With my heart on a trigger.
 
Dolore è quello che sento. È dappertutto. Morirò? Dicono sia giusto che i mostri come me muoiano. Tento di recuperare il coltello che tengo nella tasca. I rumori della battaglia arrivano anche qui, nonostante siano attutiti. Le grida di dolore sono strazianti e il clangore delle lame che cozzano tra di loro è spaventoso. Cosa resterà di questo mondo? Cosa è giusto e cosa è sbagliato? – Ti prego – sussurro, come se il suono di quelle parole potesse arrivare fino a te. Non venire qui, non salvarmi, penso. E infine ammetto ciò che non riuscivo ad ammettere nemmeno a me stessa. – Non merito di essere salvata. -. Mi hanno detto che io potrò riparare gli errori della mia famiglia. Il mio unico errore è quello di essere nata tra quelle persone accusate di ciò che non hanno fatto. Sento una morsa gelida che mi stringe il cuore.
 
They say before you start a war
You better know what you're fighting for.
Well, baby, you are all that I adore.
If love is what you need, a soldier I will be.
 
I'm an angel with a shotgun
Fighting 'til the war's won
I don't care if heaven won't take me back.
I'll throw away my faith, babe, just to keep you safe.
Don't you know you're everything I have?
And I wanna live, not just survive tonight.
 
Quando ero piccolo mi parlavano di correttezza: “soffocare e uccidere il male”. Ma cos’è il male?, chiedevo. Tutti siamo sbagliati, pensavo. “Perché è giusto così” era la solita risposta. Così quello era diventato il mio mantra. Poi ti ho incontrata e ho capito che mi sbagliavo. Non è tutto bianco e nero. Chi uccide è un assassino e essere un assassino è significa passare dalla parte del male. Eravamo tutti malvagi e allo stesso tempo tutti buoni. Che bisogno c’era di distinguerci? Quando mi hanno detto della guerra che si sarebbe scatenata io sapevo da che parte volevo stare. Dalla parte dell’amore. Perché l’amore è più forte del male e del bene. L’amore è… l’amore è l’amore, ecco. Ti salverò, a costo di morire.
Stringo più forte l’impugnatura del fucile. –Sto arrivando-. Non m’importa più del Paradiso, dell’Inferno e tutte le leggi che sto infrangendo. Combatterò finché la guerra non sarà vinta. Per te farei di tutto. Sei tutto ciò che ho. Te l’ho mai detto? No? Benissimo, lo farò appena ti avrò liberata. Perché tu mi hai insegnato qualcosa che non capivo. “Sopravvivere non è vivere”. Tu mi hai insegnato a vivere.
La notte è ancora lunga, la battaglia imperversa intorno a me. Il rumore e le luci mi confondono. Ho bisogno di te. –Sto arrivando- ripeto.

Sometimes to win, you've got to sin.
Don't mean I'm not a believer.
And major Tom will sing along.
Yeah, they still say I'm a dreamer.
 
They say before you start a war
You better know what you're fighting for.
Well, baby, you are all that I adore.
If love is what you need, a soldier I will be.
 
Le corde dorate cedono grazie alla lama affilata che impugno. La rimetto via rapidamente. Mi guado attorno. Sono in una stanza senza finestre. C’è solo una porta. La apro, con cautela. Una guardia è lì davanti. –Dove vai?- chiede, sorridendo in modo inquietante. Faccio per scappare, ma la guardia mi blocca prontamente la strada. Tiro fuori il coltello. La mia mano trema. La guardia sposta lo sguardo su di esso e ride. –E quello cos’è? Non sai neanche impugnarlo. Soler potrebbe sopravvivere un’ora con quello, figurati te!-. Sussultai, sentendo il tuo nome. Tu sei più bravo. Io ci so fare con l’arco, ma i coltelli… no, non fa per me. E poi, cosa penso di fare? Uccidere la guardia? Io… io non ho mai ucciso nessuno… La guardia mi attacca, approfittando della mia confusione. Un istinto sconosciuto muove la mia mano, che stranamente non trema. Solo quando mi accorgo di ciò che ho fatto comincio ad essere scossa da potenti convulsioni. No, non posso averlo fatto! Urlo, ma dalla mia bocca esce un rantolo a malapena udibile. Il coltello trapassa il cuore del mio avversario, che cade a terra, sputando sangue. Ha smesso di muoversi. Il sangue inzuppa l’uniforme. Anche io ho delle macchie di sangue, ma non sono mie. Sono dell’uomo che ho ucciso. Cado a terra. Le lacrime nere scorrono sulle mie guance. Voglio svegliarmi da quest’incubo.
 
-Per cosa lotti?- -Non lotto.-, rispondevo in un tempo che ora sembra non essere mai esistito. Non era più così. Io lottavo. Lottavo per un motivo che avevo definito bene. Te. Per te ero diventata un soldato. E io odiavo ciò, ma sei troppo importante per perderti, quindi mi sono fatta forza e ho superato questa paura della lotta. Non sono diventata violenta o cosa, ho solo imparato a difendermi. E tu eri lì che mi davi consigli e sorridevi, sistemandomi la ciocca di capelli che sfuggiva sempre alla coda di cavallo che mi facevo. Perché è cambiato tutto? Rivoglio quei momenti. Sono ancora una sognatrice senza speranza.
 
Mi rialzo a fatica. Il respiro è irregolare. Devo andarmene. Riesco ad uscire dall’edificio, prendendo qualche svolta a caso e facendo un paio di rampe di scale. Ci sono, sono fuori. La testa fa male. Troppo rumore. Troppo forte. Mi prendo la testa tra le mani come se quello mi portasse via da tutto quello. La mia casa è stata distrutta. La mia famiglia annientata. Siamo solo io e te. Ho lasciato il coltello dentro. Non voglio riprenderlo, anche se questo significherà aumentare il rischio di essere uccisa. Prendo un respiro e mi butto in mezzo alla mischia. Corro più che posso. Quasi non sento quando una freccia mi trapassa la spalla. Ignoro il dolore e continuo a correre. Io lotto per te. Non ti lascerò solo.
 
I'm an angel with a shotgun
Fighting 'til the war's won
I don't care if heaven won't take me back.
I'll throw away my faith, babe, just to keep you safe.
Don't you know you're everything I have?
And I wanna live, not just survive tonight.
 
Oh, oh whoa whoa oh whoa x3
 
I'm an angel with a shotgun.
Fighting 'til the war's won.
I don't care if heaven won't take me back.
 
Continuo a correre. Ho i muscoli in fiamme, ma non mi arrendo. Correrò finché non sarai con me. Non m’importa delle conseguenze. Vinceremo questa battaglia come dei soldati. Io e te. Voglio continuare a vivere. Grazie a te ho capito che sopravvivere e basta non fa per me. Mentre corro vedo vicini di casa, familiari e vecchie amicizie che cadono, schiacciati dal peso della guerra. Vorrei fermarmi ed aiutarli, ma è già troppo tardi. Loro hanno scelto di rinnegarmi, tu mi hai salvato. Quando stavo per buttarmi da quella torre loro mi guardavano. Ed applaudivano. Meglio se morivo per loro. Non potevo ero adatto per ciò che ero nato. Tu eri lì. Mi hai fermato.
 
Ora m’importa solo di te. Non vinceremo solo questa battaglia, ma anche le prossime. Vinceremo questa guerra. Insieme.
 
I'm an angel with a shotgun
Fighting 'til the war's won
I don't care if heaven won't take me back.
I'll throw away my faith, babe, just to keep you safe.
Don't you know you're everything I have?
(I'm an angel with a shotgun)
And I want to live, not just survive
(Live, not just survive)
And I'm gonna hide, hide, hide my wings tonight.
They say before you start a war
You better know what you're fighting for.
Well, baby, you are all that I adore.
If love is what you need, a soldier I will be.
 
In mezzo a quel putiferio un paio di occhi si incontrano. I proprietari di essi si fermarono, come se avessero smesso per un secondo di respirare. Poi corrono. E in mezzo a quella battaglia, i due si abbracciano. Lui sembra preoccupato da morire e lei scossa, ma sono entrambi felici di essersi trovati. –Vinceremo, insieme.- afferma Soler. –Perché sei venuto?- sussurra lei. Le fa piacere il fatto che lui manteneva la promessa di tempo prima: “Io ci sarò sempre per te, Cenere.” ma non voleva che si facesse del male per colpa sua. Soler sorride, come se fosse ovvio. Invece di rispondere la stringe più forte. -Andiamocene- dice d’un tratto. La lascia andare, ma la tiene per mano. E corre. Ancora. Corre per andarsene dalla battaglia. Per vivere. Basta sopravvivere. – Perché mi fai vivere.-. Cenere non capisce, poi si rende conto che quella è la risposta alla sua domanda. Sorride stancamente. Stringe più forte la mano di Soler. Poi spalanca le ali nere come la pece per un’ultima volta. Le nasconderà perché per gli umani sarebbe troppo sapere che ciò in cui credono esiste davvero. Soler fa lo stesso, ma le sue ali sono bianche e accecanti, come se fossero fatte di luce. Tendendosi per mano, il demone e l’angelo si lanciano. Si lanciano oltre il confine tra Inferno e Paradiso. Non si guardano indietro. Non serve. Tutto quello che vogliono è stare insieme e vivere.

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Capitolo 2
*** The HELL ***


Primo appuntamento con Alexia. Nervoso? Un po’, dovevo ammettere.
Con il mio migliore amico, Giulio, avevo pensato di esplorare una villa abbandonata poco fuori Firenze. Lei amava l’avventura, il brivido dell’adrelina che ti percorre la schiena, la curiosità che vince sulla paura.
Ebbene sì, era il nostro primo appuntamento, nonostante fossero più di 4 mesi che eravamo fidanzati. Ok… sapevo che molti si sarebbero chiesti: stanno insieme da così tanto e non hanno mai avuto un appuntamento?! Sì, perché in realtà ci siamo visti, un po’ a casa sua, un po’ a casa mia e un po’ in giro; ma quelli erano incontri, non appuntamenti ufficiali.
Tornando a noi… Guardai l’orologio: erano le sette di mattina. Due ore e la nostra relazione sarebbe stata ufficiale!
Presi il telefono e aprii Instagram, tanto per passare il tempo.
Avevo detto a Alexia di vestirsi comoda e così fece.
Quando aprì la porta di casa sua la guardai, estasiato. Era bellissima… Indossava una maglia larga, azzurra, con scritto “CI SONO COSE CHE CAPITANO UNA SOLA VOLTA NELLA VITA. TIPO ME. MI SEMBRAVA CORRETTO AVVISARTI.”, dei pantaloncini di jeans che arrivavano appena sopra il ginocchio e delle Vans basse, giallo fluo. In spalla aveva uno zaino, dal quale spuntava una borraccia blu.
Lei ha gli occhi color oro, i capelli castani, lisci e lunghi fino alla clavicola. In più sono scalati.
Mi passai una mano tra i capelli, sussurrandole qualche complimento. Lei sorrise. Eh, wow! Che sorriso!
Cominciammo a camminare, mano nella mano, felici ma imbarazzati. Il tragitto durò circa un’oretta. Poco prima di arrivare la presi per i fianchi e feci per baciarla, ma lei disse: -Allora… non abbiamo una casa abbandonata da visitare? -. Rimasi di stucco. -Come fai a saperlo? - chiesi. -Tanti motivi… - rispose, misteriosa. -1) So che zona è questa. 2) Non c’è nessuno nelle vicinanze. 3) Io ho sempre voluto fare questo tipo di esplorazione 4) So… - -Ho capito- la interruppi, ridacchiando per il fatto che non riuscirò mai a farle una sorpresa. Era troppo sveglia e riusciva sempre a capire se le nascondevo qualcosa!
Stavolta, prese lei lo slancio e mi baciò. Sussurrò un debole “andiamo” e ci trovammo di fronte alla villa che avevo scelto come meta.
Doveva essere stata molto bella, prima di essere lasciata in balia dell’edera selvaggia. Entrammo.
Dopo qualche ora passata tra le macerie del piano terra, salimmo e ci ritrovammo su un pianerottolo. Il soffitto era in parte crollato. Sul pavimento si notavano tre buchi, di media grandezza. Non avrebbe sostenuto il peso di entrambi. Alexia si mosse, temeraria. Dopo pochi passi, il pavimento scricchiolò rumorosamente. Poco dopo crollò. Solo una trave rimase dov’era. Alexia si buttò su di essa. Salii sulla trave per aiutarla. La trave non resse il mio peso e crollò. Alexia, con un salto, si ritrovò dalla parte inesplorata; io, saltando, mi aggrappai al pavimento della zona da cui venivamo e mi tirai su.
-Cerca una via d’uscita!- gridai. Lei annuì. Girò l’angolo e vide qualcosa che io non riuscivo a vedere. Si mise a gridare. Senza neanche pensare, presi la rincorsa e saltai. Circa due metri di salto, non proprio una passeggiata! La raggiunsi e mi trovai davanti Giulio, il mio migliore amico, vestito di nero e con una pistola carica in mano!
Indietreggiai, spaventato e amareggiato dal mio amico. Pensavo di conoscerlo! Non mi sarei mai aspettato una cosa del genere da Giulio! Volevo portar via Alexia da lui.
-Posso spiegare. - disse Giulio, serio.
-Andrea… - mi richiamò, debolmente, Alexia. Ma ormai il danno era fatto. Avevo spinto Alexia nel crollo di prima! E non me n’ero neanche accorto!
Guardai giù, arrabbiato con me, deluso dal mio migliore amico e preoccupato per Alexia la vidi sdraiata, mentre si teneva il ginocchio. Il suo volto era contratto in una smorfia di dolore. -È rotto, credo! - urlò. Non sapevo come aiutarla. -Guarda se trovi una porta o una finestra, così vengo a prenderti! - le gridai di rimando. -Veniamo- mi corresse Giulio, meritandosi una mia occhiata disgustata.
Mi guardai intorno. Era uno stanzone senza finestre; ricoperto interamente di piastrelle azzurre, ormai ricoperte di polvere e ragnatele. Non avevamo esplorato questa stanza. Probabilmente il crollo aveva distrutto anche il pavimento del piano terra e ora mi trovavo sotto la villa. La poca luce proveniva dai buchi creati dai crolli sul soffitto. La stanza era, quindi, molto buia e mi dovetti abituare, per poter vedere qualcosa. Non avessi mai visto! Una porta c’era, ma davanti a essa vi era uno scheletro, annerito dal tempo. Indossava un camice azzurro. La cosa strana è che aveva pochi giorni, visto il suo stato. Era praticamente nuovo e la polvere era poca, se non assente!
Lo scheletro era attaccato, attraverso dei fili, alla flebo, appesa ad un paletto con le ruote, come quelli negli ospedali. Ma la cosa più raccapricciante era che lo scheletro non toccava terra con i piedi. Probabilmente si era suicidato, impiccandosi! Cacciai un urlo.

Mentre io e Giulio cercavamo un modo per aiutare Alexia, sentii un urlo lacerare l’aria. Poi buio totale. Il sole era coperto e non si vedeva niente.
Accesi la torcia del telefono e la puntai verso Alexia. Non c’era. La chiamai. Nessuna risposta.
Osservando meglio, notai una freccia, che indicava la direzione dalla quale eravamo arrivati io e Alexia. Improvvisamente una luce al neon si accese, emettendo quel fastidioso ronzio. Illuminava solo un muro bianco. Solo che non era più bianco. Vi era una scritta. Scritta con il sangue.
VI PORTO ALL’INFERNO
Il sangue fresco colava dalle pareti, rendendo più inquietante il tutto.
Mi agitai. Dov’era Alexia? E quella scritta? Chi l’aveva fatta? Come aveva fatto? La luce era andata via solo per pochi secondi! E poi, come si era accesa quella lampada al neon?! Qui non c’era nessun tipo di corrente elettrica!
Il silenzio regnava, se non per quel fastidioso ronzio prodotto dal neon.
Giulio staccò un’asse dal letto in una delle camere in fondo al corridoio del piano in cui eravamo bloccati. La mise a terra, sopra il crollo, per poter uscire.
Litigai con lui. Pensavo fosse un suo scherzo o qualcosa del genere. Mi davo la colpa della caduta di Alexia, ma la davo anche a lui.
-Non m’interessa se è uno scherzo o no, e se lo è, è di cattivo, anzi, pessimo gusto. Facciamo un giro intorno alla villa per trovarla. - dissi, mentre uscivo dal retro. Camminammo poco: Alexia era sui gradini d’entrata. Per l’entusiasmo d’averla trovata non notai un particolare vitale. Aveva un pugnale in mezzo al cuore! Corsi da lei e m’inginocchiai, tempestandola di domande: -Chi è stato? Cosa è successo? Quella scritta? ... -, mentre Giulio chiamava un’ambulanza.
Lei mi guardò, alzando il dito per zittirmi e sussurrò, dolorante: -Io… ti… amo…-. Mi abbassai e la baciai, ma quando rialzai lo sguardo e lo fissai nei suoi occhi, quest’ultimi erano spenti. Se n’era andata. Era morta. Era colpa mia. Piansi e mi maledissi, mentre i soccorritori la coprivano con un telo. Era finita.
Mi svegliai, sudato. Era solo un incubo! Mancavano ancora quaranta minuti al nostro appuntamento, ma dopo quell’incubo non volevo rischiare, nonostante fosse solo uno stupido incubo.
Chiamai Giulio… -Ehi, ciao! - lo salutai. -Ciao Andre. Hai bisogno? - chiese. -Vorrei cambiare luogo per l’appuntamento con Alexia. - risposi, tranquillo. -Cosa? Perché? - chiese, agitandosi. -Poi ti spiegherò… - -Ok… Allora, puoi… - e mi aiutò a preparare un buon appuntamento. Lo ringraziai e mi diressi a casa di Alexia.
IL GIORNO DOPO…
Mi svegliai felice per la buona riuscita dell’appuntamento. Quelle del giorno prima erano tutte stupide paranoie!
Qualcuno bussò alla porta d’ingresso del mio appartamento. Sullo zerbino c’era il Settegiorni, ma chiunque avesse bussato era sparito. Strano! Io non ero abbonato… Forse era una copia omaggio? Va beh!
Lo presi e mi diressi in cucina, chiudendo la porta. Aprii il giornale alla terza pagina e per poco non mi cadde di mano! La notizia riportata era identica al mio incubo, ma con persone diverse. A quanto pare il fidanzato della ragazza pugnalata, dopo aver raccontato tutto l’accaduto, era morto per un collasso nervoso. L’amico, che nel sogno era Giulio, si era suicidato, sentendosi in colpa. Mi salii un groppo alla gola. Le gambe stavano cedendo. Mi sedetti, appoggiando il giornale accanto alla tazza di latte, preparato poco prima. Portai le mani alla testa. Facendolo rovesciai la tazza sul giornale, ma me ne fregai altamente. Ero devastato dai dubbi! Solo in quel momento notai che il latte aveva svelato una scritta, in fondo all’articolo. Non sapevo cosa pensare... Lessi:

ORA TOCCA A TE.

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