Tratta New York - Novisibirsk

di Lorelei95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ex membro KGB AKA stronzetto indisponente ***
Capitolo 2: *** За ва́ше здоро́вье ***
Capitolo 3: *** Mi casa es tu casa ***
Capitolo 4: *** A parte il maggiordomo ***



Capitolo 1
*** Ex membro KGB AKA stronzetto indisponente ***


Tratta New York - Novisibirsk

 

Ex membro KGB AKA stronzetto indisponente



Note dell'autrice: nel testo comparirà il simbolo * . Per specifiche leggere la fine del capitolo, insieme alle note di chiusura



“Il volo AKJ17 diretto a Parigi partirà in ritardo a causa di condizioni climatiche avverse.”
L’altoparlante sormontò l’intenso vociare aeroportuale facendo gemere di dissenso molte persone, che presero armi e bagagli e si diressero al punto informazioni più vicino.
Zachary non era più contento di loro, soprattutto se pensava al pranzo che Ebony gli avrebbe fatto trovare appena atterrato a Charles De Gaulle: era anche vero che una nevicata abbondante non era poi così inaspettata visto il periodo dell’anno.
Si preparò ad una lunga attesa mettendosi più comodo che poteva, distendendo le gambe e incrociando le braccia dietro alla testa, pronto a schiacciare un pisolino. Era certo che, se mai l’aereo fosse stato abile a partire prima che lui si fosse svegliato, lo avrebbero cercato alacremente, visto quanto aveva pagato per un sedile in Prima Classe; peggio per loro il contrario, avrebbe volentieri e senza alcun dubbio intrapreso una causa legale non solo contro la compagnia, ma tutto il fottuto aeroporto se avesse rovinato il suo rendez-vous con Ebony.
Era deciso a fare quanto prefissato se non fosse stato attirato all’ultimo, gli occhi ormai chiusi, da un viaggiatore enormemente incollerito con lo staff presente al gate del volo per Parigi: non ricordava di aver mai visto una hostess più terrorizzata e sull’orlo delle lacrime. Avrebbe potuto lasciar correre, ma per quanto urlava l’uomo era impossibile.
Sbuffando si alzò in piedi, sistemandosi la giacca e, recuperando la sua famosa tracolla in pelle rossa, si diresse verso il gate: non ci vollero che pochi passi per sentire la conversazione perfettamente come fosse stato il gemello siamese del passeggero.
L’uomo era alto e slanciato, spalle larghe e vita stretta: indossava un impeccabile completo scuro dal taglio Tom Ford, camicia bianca senza cravatta, ma con un foulard bordeaux che doveva forzatamente essere seta. A completare il tutto un elegante cappotto Armani, senza contare le scarpe nere, che erano senza ombra di dubbio George Cleverley - e sarebbe potuto venire sul posto solo per quelle, anche se la sua spiccata propensione verso gli stivali era risaputa-.
Certo era che l’assoluto gusto nel vestire stonava incredibilmente con il gesticolare agitato e rabbioso dell’uomo, di cui vedeva solo la nuca e i dritti e lunghi capelli corvini.
“Come sarebbe a dire che non sapete quantificare il ritardo? Ho una coincidenza da prendere a Parigi per un importante meeting a Novisibirsk. Avete intenzione voi di contattare i miei investitori e di spiegare che è colpa della vostra assoluta, inutile e insignificante esistenza se l’affare della loro vita andrà in fumo?” L’uomo stava praticamente ringhiando, complice il tono profondo della sua voce e l’evidente arrabbiatura: senza escludere ovviamente il pesante accento russo che lo faceva vagamente assomigliare ad un ex membro del KGB e nemmeno così ex.
Una delle due hostess stava chiaramente piangendo mentre l’altra era pallida e con lo sguardo morto, già immaginandosi una prossima vita come camminatrice da marciapiede.
Sospirò, tirando fuori il suo miglior sorriso charmant e appoggiò con forza la mano sulla spalla dello sconosciuto, facendolo sussultare e voltare verso di lui: i bei vestiti appartenevano ad un giovane uomo -sui 25 anni forse?- dai tratti affilati e puliti, complice la bocca arricciata in fastidio palese e gli occhi azzurri trasformati in pugnali per la sua sola presenza.
E poi si domandava come avesse potuto spaventare in quel modo due povere ragazze...
Bè, forse lo sfregio su una buona metà del viso poteva aiutare.
“Scusate il mio amico,” disse rivolgendosi alle due sparute signorine, scivolando il braccio sulle spalle dello sconosciuto che si irrigidì istantaneamente, “non conosce davvero le buone maniere e lavora troppo.”
L’hostess che piangeva si riprese, asciugandosi gli occhi con un fazzoletto ormai sbavato di trucco e gli prestò attenzione dato il salvataggio.
“Credo volesse intendere che apprezzerebbe essere informato ad ogni nuova riguardo al volo. Sarebbe possibile?” Le due donne annuirono, non guardando all’uomo nemmeno una volta, che invece sembrava scioccato dalla sua intromissione sennonché dal contatto indesiderato.
“Molto bene. Allora vi lasciamo al vostro lavoro e ci auguriamo di poter partire il più presto possibile.” Sorrise ancora una volta e trascinò lontano l’uomo, che ebbe tempo di riprendersi e lo spintonò.
“Cosa diavolo crede* di fare? Non erano affari suoi.” Sibilò profondamente, sistemandosi il collo del cappotto e mostrando i denti neanche volesse mordere.
Zachary scosse le spalle, sorridendo amabilmente. “Sinceramente erano diventati affari dell’intero aeroporto visto come urlava e per quanto possa spaventare a morte quelle due povere criste non otterrà di certo una partenza anticipata.”
L’uomo arricciò il naso infastidito e digrignò i denti. “Continuano a non essere affari suoi. Lavorano per la compagnia perciò la colpa del ritardo è anche loro.”
Zachary non potè trattenersi dal ridacchiare. “Se le compagnie avessero controllo sul tempo atmosferico li farebbero pagare molto di più i biglietti.”
L’altro alzò un sopracciglio, incrociando le braccia sul petto e rispondendo a tono. “Per quanto ho pagato come minimo dovrebbero. Se poi lei viaggia nel vagone bestiame la faccenda non mi riguarda.”
“Non so cosa le abbia dato questa idea, ma io viaggio in Prima Classe, ragazzo.” Aggrottò la fronte poi, controllandosi i vestiti: non stava indossando il suo completo più costoso -doveva viaggiare comodo e non ammaliare ogni hostess, anche perché per quello bastava molto meno- ed era abbastanza in ordine nonostante la notte folle che aveva appena trascorso.
“’Ragazzo’ lo dica a suo figlio.” Si indispettì lo sconosciuto, tornando ad arricciare il naso. “E siccome io mi faccio gli affari miei non ho alcun interesse a sapere quale posto a sedere ha acquistato.”
Zachary doveva ammettere che aveva una bella voce, per essere uno stronzetto indisponente – suo figlio? Ah! Era ancora giovane per avere figli!- e l’accento molto ricco lo rendeva esotico. La cicatrice era evidente e prominente quasi, ma non era un uomo così curioso, come aveva più volte sottinteso l’altro, piuttosto sapeva quando e cosa chiedere: si riteneva un buon lettore riguardo alle persone e aveva iniziato molto presto.
“Senta lei,” iniziò a controbattere, non volendogliela dare vinta, ma il telefono cominciò a vibrare nella tasca della giacca e dovette rispondere, lanciando un’occhiataccia al giovane prima di allontanarsi di qualche passo per avere un po’ di privacy.
“Pronto?” Rispose distratto, ancora guardando all’uomo che batteva insistentemente la punta del piede a terra come se lo stesse aspettando per continuare a discutere.
“Zachary! Ho visto la chiamata. E’ successo qualcosa?” Una voce di donna, morbida e preoccupata.
Non trattenne nemmeno il sorriso che si formò sul suo volto.
“Ebony, ma chérie!” Esclamò, dando la schiena allo sconosciuto. “Sembra arriverò in ritardo. Ci sono problemi alla partenza a causa della neve, quindi sono ancora in aeroporto. Ci assicurano che partiremo, ma non hanno detto quando.”
“Oh, Zach! Come mi dispiace! Anche qui a Parigi nevica molto, speriamo non abbiate problemi all’atterraggio.” Era così bello sentirla, era come essere già in vacanza.
“Non preoccuparti, se fosse così grave ci direbbero di andare in hotel. Anche perché non vedo l’ora di mangiare la tua cucina di nuovo..” Sospirò sognante al pensiero.
“E i macarons.” Aggiunse Ebony con una risata.
“E i macarons!” Rise anche lui, immaginandosela davanti al camino in attesa di lui. “Ma di più per te.”
Lei ridacchiò, sicuramente con una mano davanti alla bocca per non essere sguaiata, non come lui. “Sei sempre troppo impegnato in giro per il mondo, Jordan. Era ora che ti fermassi un po’.” Solo lei poteva chiamarlo così, e Dorian, ma quella era un’altra storia.
“Sto arrivando, non aspettarmi in piedi.” La prese in giro, facendola ridere di nuovo.
“Eri sempre tu quello ad aspettarmi alzato!” Esclamò, prima di salutarlo. “Mandami un messaggio prima di partire, va bene, Zach?”
“Certo, sorella, ci vediamo. Bisous.
Bisous, fratello.”
Chiuse la telefonata e voltandosi scoprì che l’uomo se ne era andato. Rimase per un attimo spiazzato, non avrebbe schifato un po’ di compagnia per annoiare l’attesa, ma probabilmente il ragazzo si era stufato di aspettarlo o semplicemente Zachary ne aveva letto male i gesti e non lo stava aspettando affatto.
Alzò le spalle, deciso a mettere qualcosa sotto i denti nel frattempo e pregò che l’aereo si muovesse a partire: chissà se avrebbe rivisto il tipo.

 
 



 
‘Uscite sulla pista’, dicevano, ‘sarà un tragitto breve’, dicevano.
Quando odiava la costa atlantica quel periodo dell’anno, ci si ghiacciava il culo, con testicoli e cazzo annessi: un caso di ‘palle blu’ decisamente allarmante.
Alla fine avevano dovuto aspettare tre ore piene perché le raffiche di vento consentissero la partenza e in quel tempo aveva abbondantemente mangiato e circuito una giovane hostess.
Finalmente l’aereo su cui volava apparve in vista, anche se era difficile non notarlo, essendo un grosso bestione della British Airway.
L’alta scaletta che conduceva fino all’interno dell’aereo era stata posizionata e la salì, trattenendo il respiro dietro un’anziana e maleodorante signora quasi completamente nascosta dal suo enorme visone, la quale portava con sé anche un terribile chihuahua e Zachary pregò che non sedesse in Prima Classe o sarebbe sprofondato sull’amabile bestiola per impedire qualsiasi confusione in volo.
Voleva dormire, doveva dormire.
Non ricordava un sonno più lungo di 4 ore nel corso dell’ultimo mese.
A saperlo, Ebony l’avrebbe ucciso.
Quando poté poggiare il piede sull’aereo fu accolto dall’ennesimo controllo documenti -i terroristi avevano costretto ispezioni ad ogni angolo, era quasi frustrante-, ma riuscì a percepire le appendici grazie al calore dell’ambiente. Tutte le appendici.
La Prima Classe era in testa all’aereo, ben lontana dai motori e dal loro rumore fastidioso infatti, guardandosi attorno, non poté che approvare la scelta della spesa: le file** erano composte da quattro posti, due laterali singoli in concomitanza dei finestrini e due centrali, ampi e dall’aria enormemente comoda.
Una prosperosa hostess lo fece accomodare e fu distratto dai suoi seni quando lei gli spiegò che si era dovuto fare uno scambio...bla bla bla...non c’erano altri posti...bla bla bla...sedere in uno centrale.
“Certo che sì”, disse senza sapere bene a cosa aveva acconsentito, ma il sorriso grato e furbetto della giovane prospettava un ulteriore ringraziamento successivo, per cui si accontentò di domandarsi se la ragazza si vedesse i piedi quando si faceva la doccia o in qualsiasi altra situazione le richiedesse di stare eretta.
Quindi si ritrovò suo malgrado a rendersi conto di essere seduto in uno dei posti della fila centrale, probabilmente accettando qualche tipo di scambio -maledette tette chiuse in camicette troppo attillate!- per cui avrebbe dovuto condividere tutto il viaggio con uno sconosciuto, visto che i divisori non erano che un misero separé appena appena più alto di un normale poggiabraccio.
Sospirò, sfregandosi il ponte del naso tra due dita.
Una voce profonda e non totalmente sconosciuta lo canzonò.
“Dovrebbe vedere la sua faccia. Impagabile.”
Zachary voltò la testa per scoprire che il suo vicino di sventura non era nient’altro che il russo che aveva sedato diverse ore prima e che adesso lo sfotteva apertamente, un ghignetto compiaciuto sulla faccia, col viso comodamente appoggiato alla mano, gomito sul misero separé precedentemente citato.
Rimase talmente spiazzato che si guardò in giro pensando di parlare con la stessa hostess e correggere il malinteso -era bionda o bruna? Dio, la British Airway le voleva tutte taglia quarta?!- quando lo stronzetto aggiunse: “Credo che la mia lunga attesa sia stata sanata solo grazie a questo momento.” Continuò a mantenere il sorrisetto, facendo rotolare le parole sulla lingua come fossero maledette fusa, accentuate dal pesante accento.
Zachary assottigliò gli occhi e decise che sarebbe rimasto seduto lì e -che il cielo gli fosse testimone- avrebbe talmente tanto infastidito il ragazzo durante il viaggio che quello avrebbe preferito buttarsi dall’aereo. Le vedeva chiaramente le pesanti borse sotto gli occhi.
Allora sogghignò, facendo alzare un sopracciglio all’altro di conseguenza.
“Sarà un viaggio indimenticabile, glielo posso assicurare.”



*: comunemente in italiano per rapportarci con un estraneo diamo del Lei. In russo si usa il Voi mentre in inglese si utilizza il Tu. Presupponendo che Zachary e Viktor parlino in inglese, non volevo nemmeno sembrassero due vecchi amici, perciò ho mantenuto il nostro Lei.
**: sono andata a documentarmi sull'aspetto di sedili di una Prima Classe alla British Airway. Per il bene della trama ho abbassato i divisori. Se siete curiosi cercate pure!

Note di chiusura: so che mi odierete perchè ho già una ff aperta con Viktor e Zachary e già vi avviso che non so se la continuerò. Nel frattempo ho estro per questa e so dove deve andare a finire! Penso scriverò diverse storie contenenti Zachary come personaggio originale perciò creerò una serie per raccoglierle tutte.
In una di queste presenterò Zachary per bene, così da farvelo immaginare meglio.
Spero che vi siate divertiti! Io moltissimo.
E ci vedremo presto al prossimo episodio! Chiunque volesse recensire o seguire o favorire, siete i benvenuti <3

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Capitolo 2
*** За ва́ше здоро́вье ***


За ва́ше здоро́вье

 
Note dell'autrice: nel testo comparirà il simbolo * . Per specifiche leggere la fine del capitolo, insieme alle note di chiusura
 
2 ore di anticipo +
3 ore di attesa +
7 ore e 20 di viaggio effettivo +
il ritardo accumulato lungo la tratta a causa dei forti venti contrari =
una mezza giornata buttata in vacca.
 
Aveva portato pazienza in aeroporto, giustamente comprendeva la situazione.
Era stato accondiscendente rispetto alle procedure di imbarco e aveva cercato di non portare sigari a bordo come l’ultima volta -aspetto di cui si pentiva perché già riconosceva il tiro familiare della necessità nei polmoni-.
Ma no, non aveva avuto il suo tanto ambito posto vista finestrino in cui si sarebbe goduto numerose, necessarie ore di sonno, perché doveva tenere il cervello nei pantaloni e adesso era incastrato col più irritante, il più fastidioso, il più seducente uomo che avesse incontrato nell’ultimo anno. Oscillava tra il forte desiderio di strangolarlo per godersi qualche minuto di meritato riposo e l’insana voglia di levargli tutti quegli strati di dosso che in confronto il pendolo di Foucault gli faceva un baffo.
Sospirò, cercando di sistemarsi più comodo sul sedile, distendendo le gambe e cambiando posizione subito dopo, accavallandole, le braccia incrociate sul petto e poi una appoggiata al separé che aveva rinominato ‘non-così-tanto-separé’.
Quando era stanco cominciava a fare voli pindarici con la mente che potevano tranquillamente gareggiare con le strisce di coca che tirava su di tanto in tanto, soprattutto se doveva continuare a lavorare e non poteva dormire.
O doveva continuare a scopare e non poteva dormire.
O doveva scopare per lavoro e non poteva dormire.
O scopava sul lavoro e non poteva dormire.
Insomma, un sacco di ‘o’.
Un gemito frustrato salì dalla sua sinistra. “Seriamente. La smetta. La sento pensare e non deve farlo così spesso se riesco a sentirla. E stia fermo. Sto cercando di dormire.” Il russo, che aveva scoperto chiamarsi Mickalov -almeno, così gli era parso di aver capito dallo stuart che stava consegnando asciugamani riscaldati dopo la cena- sembrava ancora più arruffato di un’ora prima: probabilmente era dovuto al fatto che Zachary aveva dato il meglio di sé e mantenuto la conversazione con ogni hostess e stuart gli capitasse sotto mano, parlando con un tono più alto del necessario, tutto mentre l’uomo lo pugnalava con gli occhi più e più volte.
Sarebbe stata una bella puntata in C.S.I.
Ma solo se mettevano Grissom.
Però anche Horatio..
“Continuo a sentirla pensare.” Gli ringhiò e Zachary per tutta risposta sfregò il culo sulla pelle del sedili creando fastidiosi cigolii.
Altri pugnali a forma di occhi.
O occhi-pugnali.
Sbattè le palpebre: da quanto non dormiva?
Un altro gemito e stavolta non poté trattenersi dal ridere, vedendo l’altro sfregarsi i palmi sugli occhi come a volerlo cancellare dalla vista.
Quel dommage.
“La pianti immediatamente di ridere!” L’uomo era totalmente voltato verso di lui, gli occhi azzurri lo dardeggiavano -oh! Aveva finito i pugnali?- e la bocca era piegata in una smorfia arrabbiata. Se guardava bene poteva notare una vena pulsare appena sopra il sopracciglio destro.
Ah, i giovani e la loro assenza di pazienza!
Furono zittiti dalla nonna col chihuahua e il suo ridere si trasformò in una tosse fintissima.
“Devo aver fatto qualcosa di male..” Gli sentì borbottare in russo; ebbene sì, conosceva il russo. Quale uomo d’affari del XXIesimo secolo non sapeva il russo? Uno pessimo.
Zachary si sporse appena, notando che finalmente l’uomo si era liberato almeno della giacca, restando però costretto nel gilet del tre pezzi.
“Suvvia, non esageri. Poteva andarle molto peggio. Potevo essere un sabotatore e prenderla in ostaggio.” Non disse ‘terrorista’ perché gli americani avevano un radar particolare per il termine, soprattutto su un aereo.
La sorpresa fu evidente sul suo viso per circa 5 secondi, prima che cancellasse l’espressione e gli offrisse un’occhiata non impressionata.
“Prendermi in ostaggio? Non ne sarebbe in grado.” Fece un sorriso compiaciuto, l’angolo delle labbra arricciato in una perenna presa in giro. “Non certo con quella pancia.” Aggiunse, col suo tono basso e strafottente.
Zachary rimase a bocca aperta, guardando prima lui poi la propria pancia. “Io non sono grasso!” Sibilò, incrociando le braccia sul petto sulla difensiva. “E’ appena un accenno di pancia, nulla più.” Specificò, un mezzo ringhio.
Rimase sorpreso quando lo sconosciuto fastidioso proruppe in una grassa risata, sguaiata, ma sinceramente divertita. Istintivamente un sorrisetto salì sul viso di Zachary, apprezzandone il suono.
L’uomo si ridimensionò presto, ma mantenne una scintilla compiaciuta negli occhi e la sua espressione era ancora rigida, ma leggermente aperta.
“Sembra che non rida da diverso tempo, nonostante si stia divertendo ai danni del mio scultoreo fisico sensibile.” Disse curioso, studiandolo con attenzione.
L’altro arrossì in risposta e la bocca mantenne il ricciolo di risate finché non guardò altrove.
“Non avevo dubbi lei fosse un buffone. Come tutti gli americani.”
Eccolo di nuovo, quel sogghigno furbo e quella presunzione di superiorità.
“E come tutti i russi, lei sa essere un discreto fastidio nel culo.” Rispose a tono, sogghignando. “Scusi il francesismo.”
Quello aggrottò la fronte e roteò gli occhi. “Lei è uno zotico, volgare e grasso.”
Zachary ridacchiò, appoggiando il gomito al ‘non-così-tanto-separé’, mento sulla mano, espressione sognante in viso. “I miei pregi migliori, sono così profondamente commosso lei li abbia notati.”
L’uomo non riuscì a trattenere il sorriso divertito, anche se provò a nasconderlo dietro alla mano. “Buffone.” Ripetè, mordicchiandosi il labbro inferiore incapace di trattenere il divertimento.
Zachary si distrasse sulla sua bocca e si leccò le labbra: bè, se tanto non poteva dormire, almeno far fruttare il tempo a disposizione, giusto?
“E’ ancora troppo presto per i nomignoli affettuosi,” disse con malizia, “puoi chiamarmi solo Zachary.” Non potè trattenersi dal fargli l’occhiolino e ottenne un delizioso rossore.
“Come si permette di darmi del tu.” Borbottò, riprendendo il controllo facilmente, complice l’irritazione per la mancata formalità forse?
Zachary ridacchiò, ancora invadendo lo spazio neutrale del separé, allungando poi la mano destra per presentarsi. “Pardonnez-moi, prometto di tornarle a dare del lei. Credo che, nonostante tutto, non ci siamo ancora presentati correttamente. Zachary Jordan Lefevre, per servirla.”
Tenne la mano tesa mentre studiava l’uomo valutarlo, guardando prima alla sua mano e poi al suo viso, vedendolo sospirare infine, come se si stesse arrendendo.
Esagerato.
“Principe Viktor Bojanovic Mickalov,” disse con orgoglio, il mento leggermente inclinato all’insù mentre si presentava, una sorta di riflesso di superiorità nel corpo; tuttavia accettò la mano e la strinse e Zachary non potè non notare le dita lunghe e ben curate del giovane, immaginandosele in contesti poco ortodossi per essere appena alle presentazioni, anche se al solito non scambiava certo le informazioni personali.
Scosse la testa, per mantenersi lucido, la mente che galoppava per la mancanza di sonno, lasciando andare la presa prima che iniziasse istintivamente a creare ghirigori invisibili sul dorso della sua mano col pollice.
Era sempre stato tattile; Ebony dall’alto della sua laurea in Psicologia direbbe che era dovuto al fatto di non essere mai stato toccato amorevolmente nell’infanzia. Si accigliò al pensiero perché, nonostante le avesse detto mille volte di non usare i suoi trucchi magici da strizzacervello per psicoanalizzarlo, lei continuava a farlo.
Sbuffò e si passò una mano tra i capelli, come se l’azione potesse rinfrescargli la mente e in parte ci riuscì. “Principe di cosa per l’esattezza? Perchè se non ricordo male lo zar è assente già da un po’.”
Fece un sorrisetto, curioso di sapere di più sul russo, anzi Viktor.
Viktor arricciò il naso alla menzione dello zar e agitò la mano spazientito: “Non mi faccia pensare alla Rivoluzione. Morti di fame mossi da intellettuali sull’onda di chissà che idee, lo sanno solo loro. Fatto sta che la mia famiglia appartiene all’antica nobiltà russa.”
“Intende l’antica e decaduta nobiltà russa,” precisò Zachary per infastidirlo ancora, divertendosi troppo alle sue reazioni.
Viktor infatti non mancò di guardarlo male, roteando gli occhi come se stesse avendo a che fare con un idiota. Che forse era, ma -ehi!- anche gli idioti hanno dei sentimenti.
“Fatto sta,” ripetè Viktor, “che lei deve chiamarmi Principe.” Sorrise compiaciuto, come si stesse aspettando proprio quello.
“Oh, mi creda, mio caro Viktor,” sillabò lentamente il suo nome, “non ho certo intenzione di chiamarla così. Come ho detto in precedenza, è ancora presto per i vezzeggiativi, teniamoli per la camera da letto.” Disse malizioso, passandosi la lingua sui denti e non mancando di notare come Viktor seguì il movimento con molta attenzione, prima di riscuotersi dal torpore momentaneo e aggrottare le sopracciglia, sibilando: “Come si permette lei..” Strinse i denti con rabbia e lo guardò col veleno negli occhi.
Zachary ridacchiò, allungando le gambe e facendo segno ad un’hostess di avvicinarsi. Mentre quella arrivava, riprese a parlare: “Non mi dica che è omofobo. Capisco che la Russia non è esattamente il luogo più adatto per vivere appieno la propria sessualità, ma da quanto ho potuto cogliere lei sembra viaggiare parecchio qui negli States e avere certe..limitazioni mentali può soltanto comprometterle gli affari. E non mi sembra uno sprovveduto.”
L’hostess finta bionda -perchè il mito di Marilyn non morirà mai, l’importante è evitare la ricrescita- arrivò e offrì un sorriso che doveva essere costato discretamente alla sua assicurazione sanitaria, domandando di cosa avesse bisogno e se la sua esperienza non lo ingannava stava proponendo extra fuori menù. Ora, le hostess o lo avevano preso per uno sprovveduto totale o per un uomo decisamente abbiente. E non avrebbe negato nessuna delle due opzioni.
“Tesoro, io e il signore qui,” fece segno a Viktor, che lo stava osservando alquanto sorpreso, “abbiamo la gola secca. Saresti così gentile da portare due bicchieri e una bottiglia di vodka. E preparati un bel cocktail con un ombrellino in cima, che ne dici? Mettilo pure sul mio conto.” Zachary le fece l’occhiolino e quella ridacchiò, annuendo e lanciandogli alcune occhiate mentre tornava in cabina.
Tornò a Viktor che lo stava ancora fissando, la bocca in una linea dura.
“Che c’è?” Chiese dopo alcuni minuti che quello non faceva altro che guardarlo, come lo stesse vivisezionando con quei suoi occhi taglienti.
Tamburellò le dita sul ‘non-così-tanto-separé’, prima di spazientirsi ancora una volta. “Cosa c’è? Il gatto le ha mangiato la lingua?”
Viktor sembrò disincantarsi e lo guardò negli occhi, leccandosi le labbra sottili subito prima di parlare, con tono sommesso e profondo, come colto nel mezzo di un lungo silenzio che ispessisce la lingua.
“Non riesco a giudicarla.” Disse semplicemente, come se quella frase fosse sufficiente a spiegare il tutto.
Zachary aspettò per ulteriori chiarimenti, ma non arrivarono così fu costretto a domandare. “Cosa intende esattamente con ‘Non riesco a giudicarla’?”
Viktor sbuffò, come se fosse innervosito per la propria affermazione piuttosto che con la lentezza di comprendonio dell’altro.
“Si è comportato come un buzzurro in calore per buona parte del tempo e si è intromesso più volte nei miei affari.” Zachary alzò un sopracciglio al suo essere in calore, che era un semplicemente un flirt perpetuo, e al fatto che lo aveva dovuto calmare in aeroporto prima che arrivasse la sicurezza come ‘intromettersi nei suoi affari’, ma non disse nulla.
“E’ fastidioso e irritante.” Viktor prese a giocherellare con un anello sul suo mignolo, rigirandolo sul dito con il pollice.
“Ciononostante è discretamente intelligente, ma non tende a dimostrarlo. E ha buone capacità analitiche. E fascino..” Sembrava che gli costasse dire quelle cose, come se stesse mostrando il fianco.
Viktor lo guardò negli occhi. “Poi torna a pensare col cazzo.”
Zachary roteò gli occhi, ma non trattenne la risata. “E io che credevo ci fossero dei complimenti nascosti nelle sue parole, come sono ferito.” Portò una mano alla fronte e finse una smorfia di rimpianto -sarebbe stato un grande attore in un’altra vita-.
Finalmente furono serviti, un bicchierino di vodka a ciascuno di loro due.
“E’ così che faccio affari. Fai credere a tutti di essere un coglione e sarà troppo tardi quando li starai inculando.” Disse, alzando il bicchiere sperando in un brindisi.
Viktor ci pensò, facendo ondeggiare il liquido trasparente.
“Potrei ricordarmelo la prossima volta che devo ottenere un contratto,” ammise ancora pensieroso.
“Potrei insegnarle qualche trucco, Principe.”
Viktor allora tornò a guardarlo e fece un sorriso ferino, riflesso negli occhi zaffiro, che non stonava affatto sul suo viso ferito, anzi.
Alzò il bicchiere: “За ва́ше здоро́вье.*”
À votre santé.
 
*Alla vostra salute
Note di chusura: giunsi! Ok, non abbiatemene se ci ho messo tanto, ma la mia salute ha fatto abbastanza schifo per non dire il resto.
Che altro posso dire? Ah sì! Amo questi due perdutamente. Davvero. A me fanno morire dal ridere, soprattutto perchè Zachary è un coglione e Viktor ha bisogno di ridere per il suo bene. Se il capitolo vi è piaciuto recensite che aiuterà ad andare avanti <3 grazie a tutti quelli che hanno letto e grazie al Vodka&Inferno per farmi scrivere di loro!
P.s. A fine aprile esce il secondo volume Baciami, Giuda. Non fatevelo nemmeno dire e correte a comprarlo!

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Capitolo 3
*** Mi casa es tu casa ***


Mi casa es tu casa

 

Note dell'autrice: nel testo comparirà il simbolo * . Per specifiche leggere la fine del capitolo, insieme alle note di chiusura.



Gemette al contatto con l’acqua fredda e il riflesso nello specchio non era certo lusinghiero.

Come se durante il volo fosse invecchiato tutto d’un colpo -perchè non era vecchio. 45 anni erano appena la metà di una vita- : probabilmente il tutto era dovuto alle lunghe ore di attesa o alla vodka o alle poche paia di ore in cui aveva effettivamente dormito, per di più in posizione scomoda, che gli sarebbero costate un patrimonio in massaggio thailandese.

Borbottava, scrocchiandosi il collo, prima di asciugarsi il viso e le mani e di uscire dalle toilettes per il tanto temuto recupero bagagli.

Zachary seguì le indicazioni, o meglio, il flusso di gente scattante; niente sa farsi riconoscere quanto dei viaggiatori stanchi che devono recuperare dei bagagli per potersene andare dall’aeroporto, senza contare che per molti l’aeroporto non è che una tappa dell’infinito viaggio verso il Sinai. Che poi, arrivare primi al rullo trasportatore significasse qualcosa! Visto che i lanciatori -termine tecnico ed ironico per ‘coloro che depongono con molta cura i bagagli sull’aereo e viceversa’- non seguono certo un ordine specifico.

Ma mai negare a dei collerici passeggeri di arrivare per primi e studiare tutti i borsoni e i proprietari fino a rimanere ultimi, temere di essere stati truffati dalla compagnia e quindi -solo allora!- ricevere i tanti attesi beni.

Seriamente, per certe cose esiste un’arte.

Zachary si mise in disparte, guardando appena i display che segnalavano lo scarico bagagli e tanto meno il rullo: per un aereo di quelle dimensioni la questione non sarebbe stata propriamente veloce e qualsiasi coincidenza era già saltata a causa del ritardo.

Almeno lui era arrivato. Non come Viktor.

Si guardò attorno per cercarlo tra la gente, ma non vide nessuna giacca scura, nessun foulard bordeaux e soprattutto nessuna espressione arcigna su un volto sfregiato.

Doveva ammettere che, nonostante il ragazzo fosse uno stronzetto indisponente, sapeva il fatto suo; dopo il primo bicchierino di vodka ne erano seguiti degli altri e aveva trovato in Viktor un discreto bevitore -sani geni russi-. Avevano per lo più discusso di lavoro a quel punto e la prima impressione che aveva avuto su di lui come uomo d’affari era stata confermata: Viktor era giovane, ma appassionato seppur nei suoi modi composti. Si era preso carico di ridare lustro al nome della famiglia e aveva deciso di farlo tramite la vodka, approfittando di una vecchia ricetta per cui l’alcool se infiammato adottava un forte colore rosso. Sulle prime Zachary aveva riso, non credendoci nemmeno per un momento, con estremo fastidio di Viktor, che avrebbe voluto dimostrare il fatto (aveva dei campioni da 100 ml nella ventiquattro ore) se non fosse stato sconsigliabile in quanto fiamme libere su un aereo che sorvola l’Atlantico non erano ben viste. Quando Zachary era riuscito a smettere di ridere, aveva ascoltato la sua attenta presentazione, dovendo infine ammettere che il progetto era ambizioso e interessante perciò gli aveva detto di contattarlo quando sarebbe riuscito a farsi quotare in borsa.

Viktor allora aveva fatto una specie di sorriso, molto piccolo, ma sembrava apprezzare la proposta, soprattutto perché a suo dire ‘gli avrebbe svuotato i conti’.

‘Vodka&Inferno’, come aveva deciso di chiamarla, era per lo più sconosciuta sul mercato internazionale perché stava riscontrando difficoltà già in Russia, non per la diffusione, perché il prodotto era ormai ricercato e ampiamente diffuso nel Paese, quanto per la stregua resistenza delle firme produttrice più famose che avevano dalla loro cospicui capitali, cosa che Viktor invece non aveva. Così, per diventare mondiale, aveva deciso di muoversi personalmente contattando possibili investitori e da alcuni mesi stava viaggiando pressoché ovunque secondo rigide tabelle di marcia. Il prossimo incontro si sarebbe tenuto a Novisibirsk con dei magnati russi ed era molto importante a detta di Viktor, perché finalmente guardavano oltre alle più famose Smirnoff e Pyat Ozer*.

Quella era la ragione per cui aveva terrorizzato le due hostess all’aeroporto di New York, perché non poteva assolutamente rischiare di perdere l’affare per cui aveva lavorato così duramente. Viktor aveva biascicato che c’era ben altro in gioco oltre a dei semplici affari, ma non si era spinto oltre -o meglio, Viktor non aveva biascicato, ma provate voi ad ascoltare un discorso di un certo livello quando siete alticci e con alcuni giorni di sonno arretrati!-

Anche se si sforzava, Zachary non ricordava altro, essendosi addormentato, ma col senno di poi provava un certo dispiacere: un uomo così sfuggente e fastidioso non capitava su ogni tratta New York – Parigi e non nascondeva una certa attrazione.

Mise il broncio al pensiero che avrebbero potuto godersi una sveltina in aereo -non era sicuro Viktor contraccambiasse il sentimento, ma ormai...- quando fu riscosso dai suoi pensieri perché fu strattonato forte ad un braccio.

“Che cazzo..?” Ed eccolo lì, l’uomo dei suoi pensieri mostruosamente arrabbiato, che lo guardava come volesse accoltellarlo, ma stavolta per davvero.

“Cosa succede?” Cercò di non inghiottire perché, sinceramente, lui non aveva fatto mica nulla! Sue ex amanti non potevano dire lo stesso, ma erano sempre e solo innocui furti di biancheria intima!

Viktor si morse il labbro e si strinse la radice del naso tra il pollice e l’indice, prendendo un profondo respiro, prima di passarsi una mano tra i capelli, che erano tanto irti che era indeciso assomigliassero più alle serpi di Medusa o alle code di gatti incolleriti.

Viktor sorrise ferino, ancora molto molto arrabbiato, ma sembrava aver recuperato una certa compostezza.

“Dei ‘signori’ insistono a dire che il mio volo per Novisibirsk non verrà effettuato. Credo ci sia un problema di deficienza da parte loro nel non riuscire a comprendermi, perciò ho pensato lei potesse essere al caso mio. Mi segua.” Viktor si girò e si avviò verso degli uffici e Zachary non mancò di seguirlo -lo faceva per altruismo! Non era un cane che seguiva gli ordini!-

Stavano per entrare dalla porta quando comprese appieno ciò che Viktor gli aveva detto: “Aspetti, perché dovrebbero capire meglio me? Mi sta per caso dando del deficiente?” Chiese sbigottito, un sopracciglio alzato.

“Non intendo solo quello. Sa il francese, giusto? Due piccioni con una fava.” Spiegò semplicemente, non mancando di sogghignare per il suo divertimento.

Zachary ringhiò, perché stava per mettere le mani in faccia allo stronzetto, ma fu interrotto da due uomini in uniformi.

Monsieur, parlez-vous français?”** Gli domandò un signorotto barbuto di mezza età, diviso tra il fastidio e l’esasperazione, che lanciava occhiate tra lui e il russo.

Zachary annuì e l’uomo sospirò di sollievo, snocciolando con velocità e perizia la situazione.

“...Ce monsieur ne me croyait pas même si je parlais en anglais.”*** Concluse, alzando le mani come a voler ribadire la propria impotenza.

“Sì,capisco. La ringrazio, è stato molto chiaro.” Replicò Zachary in inglese, dando uno sguardo a Viktor che batteva il piede a terra in attesa, impaziente. Accettò i moduli che gli venivano porti e salutò tutti, trascinando Viktor per il gomito fuori dalla stanza.

Quando furono fuori Zachary gli schiaffò in mano i documenti e lo guardò dritto negli occhi: “Farò finta che lei mi abbia chiesto aiuto cortesemente, perciò ‘Prego’. Per il resto non ho buone notizie. Come le era già stato detto il suo volo è stato cancellato.”

Si prese un momento per assaporare il modo in cui Viktor strinse la mascella, i denti chiusi di scatto, come una tagliola e lo sguardo avvelenato.

“Io ho pagato per quell’aereo. Non possono cancellare il volo.” Se fino ad alcuni istanti prima il suo viso avrebbe potuto spaventare, in quel momento appariva solo petulante, il labbro inferiore imbronciato e mordicchiato tra i denti.

Zachary sospirò. “Senta, quest’aeroporto non le sta facendo i dispetti. Non è solo il suo l’aereo cancellato. Tutte le tratte sono state cancellate. La tormenta di neve si è dimostrata più intensa di quella che i meteorologi avevano previsto: è troppo rischioso far decollare un aereo e siamo già stati fortunati ad essere atterrati qui e non dirottati altrove in Europa.”

Viktor apparve sparuto e stanco, le spalle ingobbite e fece un lungo respiro, prima di fare una smorfia guardando le carte che teneva in mano. “Cosa dovrei farci con queste?”

“Deve compilarle e consegnarle agli addetti dell’aeroporto. Servono per il rimborso e per i contatti, in modo tale da tenerla aggiornata sul primo volo disponibile. Ovvero quando gli aerei ricominceranno a volare, ma mi hanno detto che le condizioni stando andando a peggiorare drasticamente. Di sicuro ci vorranno almeno tre giorni, se è molto fortunato meno.”

Zachary notò con sollievo che buona parte dei viaggiatori avevano raccolto le proprie valigie e si avviò verso il rullo, voltandosi appena per guardare Viktor.

“Mi segua,” disse, senza mancare di notare l’ironia del déjà-vu.

Raccolte le sue valigie, guardò Viktor, che lo aveva ubbidientemente seguito seppur mal volentieri, e gli chiese quali fossero i suoi bagagli.

Viktor sembrava non capire. “Perchè mai vuole saperlo?”

Lui sospirò e alzò un sopracciglio. “Quale parte del ‘Tutti gli aerei sono stati cancellati’ non ha capito? Ha intenzione di dormire su una panchina qui, aspettando che la tempesta passi? Se le aggrada rendersi la vita ancora più scomoda.. Ma pensavo che andare in un hotel e riposare potesse essere una buona idea. Così potrà telefonare con tutta calma ai suoi contatti russi e sperare di poter rimandare l’incontro. Pensavo di prenderle per lei così intanto può riempire il questionario di gradimento lì,” indicò brevemente ai moduli, “e chiamare un albergo.”

Viktor lo guardò sorpreso, esattamente nello stesso modo attento e insicuro che aveva notato in aereo. Sembrava non capisse quali fossero le intenzioni di Zachary, se ce ne fossero, o la sua gentilezza.

Zachary, nonostante tutto, era stato cresciuto come un gentiluomo. Più facile a dirsi che a credersi, ma non era poi una persona tanto orribile.

Viktor alla fine acconsentì, dicendogli che aveva due valigie nere -la fantasia- e che erano etichettate coi suoi dati personali, così Zachary fu costretto a tirare giù uno ad uno tutti i bagagli neri mentre l’altro faceva allegramente i suoi comodi.

Quando finalmente li ebbe riconosciuti, fece segno a Viktor, che era ancora a telefono a parlare con quello che era probabilmente il receptionist di un hotel nei pressi dell’aeroporto, di seguirlo e si indirizzò all’uscita, dove autisti con cartelli e parenti ansiosi aspettavano.

Subito Zachary fu raggiunto da un uomo in livrea che senza tante cerimonie riconobbe come l’autista incaricato da Ebony di venirlo a prendere.

“Scusi un attimo, ma doveva venire lei a prendermi.” Constatò petulante Zachary, ma l’autista non seppe dirgli di più se non che se avesse avuto bisogno di ulteriori informazioni avrebbe dovuto chiamare ‘Madame’ personalmente-un modo carino per dire ‘Si arrangi’-.

Viktor era ancora a telefono e stava camminando su e giù, un’espressione sempre più infastidita sul viso ad ogni momento che passava; bè, avrebbe approfittato del momento per sentire la sopracitata Ebony e capire in che guaio si fosse cacciata.

“Ebony, ma chérie, dove diavolo sei?” Chiese senza permetterle nemmeno di dire ‘Pronto’.

Un sospiro. “Jordan, tesoro, cerca di non essere arrabbiato con me.”

Zachary si grattò la barba e, cercando di non sembrare troppo seccato, disse: “Perchè dovrei essere arrabbiato?”

Altro sospiro. “Nelle ultime ore le condizioni climatiche sono peggiorate, come immagino avrai già saputo. Vi erano persino dubbi che molti dei voli sarebbero atterrati e Edgar era preoccupato che se fossi rimasta a casa ad aspettarti poi non saremmo riusciti a raggiungerlo in montagna.”

“Sarebbe stato bellissimo, liberi della presenza sua e dei suoi marmocchi viziati.”

“Zachary!” Lo sgridò, facendogli mordere la lingua per non inveire ulteriormente contro l’uomo.

Uomo poi, parola grossa. Edgar era il nuovo marito di Ebony, non che Zachary fosse stato in nessun modo concorde a proposito del matrimonio. Era divorziato con due figli, avuti da una modella che aveva attentato alla sua fortuna finendo poi incastrata dalla trappola dell’accordo prematrimoniale per cui non avrebbe condiviso la sua..rosa con altri al di fuori del marito.

Edgar era ricco, ovviamente, ma anche terribilmente noioso e Zachary sospettava sua sorella lo avesse sposato non tanto per passione né avarizia, quanto per l’opportunità di essere madre e crescere quei due mocciosi come suoi.

Zachary scosse la testa, cercando di non distrarsi inutilmente.

“Perciò hai deciso di abbandonarmi col tuo maggiordomo da solo per quanto?” Borbottò, gettando occhiate ad Ambrogio, così aveva deciso di chiamare tempo addietro lo scorbutico autista, che si stava occupando di caricare l’auto con le sue borse.

Ebony rise e il suono fece bene alla sua anima. “Non ti sto lasciando solo con George, che poi è autista e non maggiordomo, perché sarai servito e riverito appena arriverai a casa.”

“Ma non posso raggiungerti?” Buttò lì, volendola vedere.

“Mi dispiace, Zach, ma non me la sento di saperti in macchina per raggiungere uno chalet che si trova a tre mila metri d’altezza, morirei dalla preoccupazione.” Ebony si allontanò un momento dal telefono, sembrava che stesse cercando di redarguire i due ragazzini, prima di tornare a parlare. “Appena la situazione sarà rientrata tornerò a casa, non penso ci vorranno più di un paio di giorni. E so che non ci vediamo da tanto, ma i bambini chiedevano di me e tu sei adulto, puoi aspettarmi senza fare storie.”

Zachary avrebbe volentieri obbiettato se non fosse stato interrotto da Viktor che praticamente stava bestemmiando in russo a telefono, prima di attaccare in faccia a chiunque ci fosse sull’altro lato.

“Non ci posso credere! Cosa dovrebbe essere questo? Un messaggio dall’universo che non sono gradito. Debitamente annotato, grazie.” Viktor si premette due dita sulle palpebre, respirando a fondo.

“Zachary,” chiamò Ebony, “tutto bene?” Doveva aver sentito lo scoppio di Viktor ed essersi preoccupata.

“Sì, tutto apposto. Senti, posso metterti un momento in attesa? Resta lì, non muoverti.” Le disse sbrigativamente, prima di rivolgersi a Viktor.

“Immagino altre buone notizie,” buttò lì Zachary, notando il modo in cui l’altro aveva ripreso a mordersi il labbro inferiore.

Viktor gemette per la frustrazione e si passò una mano tra i capelli, gesticolando furiosamente mentre parlava: “Gli alberghi sono al completo e intendo tutti gli alberghi nel giro di 40 chilometri.”

Zachary strabuzzò gli occhi. “Capisco che ci possa essere molta gente nella sua stessa situazione, ma non posso credere che tutti gli alberghi siano pieni.”

Viktor lo fulminò con lo sguardo, le mani sui fianchi. “Non ho intenzione di dormire da nessuna parte che non abbia ottenuto almeno cinque stelle. Perciò sì, tutti gli alberghi sono pieni.”

E gli venne un’idea.

Probabilmente germogliata dal suo cazzo.

Ma forse no.

“Può venire a stare da me,” disse semplicemente, come stesse avendo una folgorazione mistica. Viktor si preparava ad opporsi, ma glielo impedì, con una mano sulla bocca e sorridendogli mentre tornava a telefono da Ebony.

“Eccomi, ma chérie! Forse ho un modo in cui puoi farti perdonare di avermi orribilmente abbandonato: ho conosciuto un distinto signore che adesso è rimasto privo di alloggio dopo che il suo volo è stato cancellato e non ha dove stare. Ha solo bisogno di un letto in cui distendersi e riposare intanto che i voli non riprenderanno e, come hai detto tu, non dovrebbero volerci più di un paio di giorni perchè il tempo si ristabilisca. Che ne dici?”

Quasi non ascoltò l’intera risposta di Ebony, troppo distratto dalla bella immagine di Viktor, muto a causa della sua mano, che lo guardava sbigottito, ma colse la conclusione: “..davvero gentile da parte tua! Sai essere altruista quando vuoi! Sono davvero contenta a non saperti da solo con la servitù ad annoiarti. Allora non vi trattengo oltre, sarete distrutti, la mia casa è la tua casa.”

Viktor decise di essersi stufato e leccò la mano di Zachary, che squittì e lo lasciò andare, asciugandosi disgustato la mano sulla giacca -in un altro contesto si sarebbe fatto leccare volentieri- mentre Viktor lo guardava divertito, uno sguardo sbarazzino negli occhi prima di ricomporsi, come Zachary d’altronde.

“Grazie, Ebony, hai davvero un cuore d’oro. Ti mando un messaggio appena arriviamo, tu non stancarti troppo dietro ai mostriciattoli. Bisous,” mandò un bacio, interrompendo la chiamata.

Viktor lo stava fissando con un sopracciglio alzato, la testa leggermente inclinata come quella di un gatto curioso che studia un’ombra muoversi.

Zachary roteò gli occhi, schioccando le dita per attirare l’attenzione di Ambrogio. “Carica nell’auto le valigie del Principe, stiamo per ospitarlo per un po’.” Che quello arricciasse il naso e lo facesse con evidente malcontento non lo turbò eccessivamente; lui e Ambrogio avevano perseguito una guerra intestina da quando aveva distrutto la Bentley del ‘cognato' -quel pompino era valso il viaggio in pronto soccorso-.

Tornò con l’attenzione a Viktor, che si stava tormentando il labbro con incertezza, le braccia incrociate ad esprimere una posizione difensiva.

“Potrà alloggiare con me alla villa di mia sorella finché i voli non torneranno a pieno regime. Sarà trattato come nemmeno uno zar, mi creda, altro che cinque stelle.”

L’altro sembrava ancora indeciso e lo guardò negli occhi, per un intero minuto, come se si aspettasse che l’offerta venisse ritirata, ma ciò non accadde e sospirò, uscendo infine dall’aeroporto senza dire una parola, Zachary che lo seguiva passo passo.

Se Viktor fu sorpreso di vedere una limousine ad attenderli non lo diede a vedere, alzando invece il mento imperiosamente mentre si faceva aprire la portiera e si accomodava, lunghe gambe che scivolavano nella macchina scura.

Zachary ridacchiò al vento gelido di Parigi e alla neve che cadeva copiosa, concedendosi un minuto per accendersi un sigaro, fiammifero alla mano.

Non era mai stato in grado di affezionarsi agli accendini o forse era semplicemente un’eredità di suo padre, come tante altre.

Prese una lunga boccata di fumo, assaporandolo, come se i polmoni finalmente riuscissero a respirare.

Sarebbe stata una vacanza interessante.

Sogghignò, il sigaro tra i denti, mentre si sedeva nell’auto e dava l’ordine al maggiordomo di dirigersi verso casa.

Mi casa es tu casa.

*effettivamente  tra le marche di vodka russa più famose al mondo ci sono la 
Smirnoff e Pyat Ozer: la prima è tra le più vendute al mondo mentre la seconda è di produzione relativamente recente, molto apprezzata per la sua qualità e di origine siberiana.
** "Signore, parla francese?"
*** "..Il signore non mi credeva anche se parlavo in inglese."


Note di chiusura: buona sera a tutti! Intanto grazie a chi continua a leggere e recensire (mi date la spinta ad andare avanti)! Se ci ho messo molto a caricare il capitolo è sempre dovuto al fatto che: a) sono pigra, b) il mio computer sarebbe più utile se facesse il caffè, c) ho iniziato a lavorare e dire che faccio degli orari di merda e sono stracotta la sera è poco. Però quando ho l'ispirazione vado avanti e con questa storia la ho, perciò incrociamo le dita.
Ah, ovviamente portate pazienza per il volume II del Vodka&Inferno, ma correte a comprarlo appena sarà disponibile! 
P.s. Fatemi sapere se vi piace dove questa ff sta andando!

 

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Capitolo 4
*** A parte il maggiordomo ***


 

A parte il maggiordomo



Note dell'autrice: nel testo comparirà il simbolo * . Per specifiche leggere la fine del capitolo, insieme alle note di chiusura.
 


Si doveva essere appisolato.

Il torpore della limousine  e la comodità dei sedili avevano fatto il loro sporco lavoro.

Piegò la testa e il collo scrocchiò sonoramente, facendogli fare le fusa subito dopo per la piacevole sensazione.

Stropicciandosi gli occhi guardò fuori, osservando che la neve continuava a scendere e che il vento non sembrava volersi fermare, poteva sentirlo fischiare minaccioso.

Zachary lesse le indicazioni stradali rendendosi conto che erano quasi arrivati e soprattutto che Ambrogio non li aveva portati altrove per vendere le loro appendici e i loro organi funzionanti. Bè, di sicuro i suoi. Forse Viktor sarebbe stato risparmiato.

Si ricordò di Viktor e si voltò a guardarlo, trovandolo  profondamente addormentato contro il finestrino, quasi rannicchiato in se stesso: Zachary fu intenerito dalla scena, gli ricordava un gatto appisolato che appena tenti di avvicinare apre gli occhi e ti strappa con un'unghiata un orecchio. Rabbrividì: che avesse avuto brutte esperienze coi gatti era risaputo, sembrava volessero sempre cavargli qualcosa per portarselo a casa come trofeo.

Lo avrebbero appeso al caminetto e la targa avrebbe detto 'Occhio destro/ orecchio sinistro/naso di Zachary Jordan Lefevre' e avrebbero raccontato la vicenda ai nipoti e pronipoti.

Scosse la testa per la deriva che stavano prendendo i suoi pensieri -il sonno vero era sopravvalutato- e tornò ad osservare l'uomo. 

Viktor teneva le braccia incrociate, le mani sotto alle ascelle come avesse freddo, nonostante nella macchina ci fossero 20°, il viso era appoggiato al finestrino e il lato sfregiato era rivolto verso di lui, così potè osservarlo senza sembrare morboso.

Le cicatrici erano profonde ed estese, non provocate da un oggetto o lama, sembravano piuttosto simili ad un'ustione, anche se non era così esperto da dire se fosse stata causata da una fiamma oppure da un prodotto chimico; restava comunque il fatto che qualsiasi fosse la storia dietro quelle cicatrici, quella storia non era per niente piacevole.

Percepì il suono delle gomme che incontravano la ghiaia e si rese conto, guardando fuori, che la villa di sua sorella -e del suo deludente marito- era in vista. Avrebbe potuto farsi un bagno e mangiare e magari dormire qualche altra ora in un vero letto stavolta! Era così eccitato che non smetteva di sorridere e di saltellare sul sedile.

La limousine si fermò giusto di fronte all'ingresso e Ambrogio non si preoccupò neppure di chiedere istruzioni, semplicemente scese dalla vettura e cominciò a scaricare le valigie portandole dentro casa.

Zachary sbuffò: quella Bentley non era così bella da valere tutto quel rancore, che esagerazione.

In tutto quello però Viktor non si era svegliato, continuava invece a respirare piano, le labbra appena socchiuse. Arricciò il naso all'idea di svegliarlo visto che stava dormendo così bene, o almeno sembrava.

Zachary si sporse verso Viktor e lo chiamò gentilmente.

"Monsieur Viktor, siamo arrivati." Ma non ottenne risposta, rimaneva fermo come pochi secondi prima.

Zachary allora roteò gli occhi e sospirò per raccogliere un po' di pazienza e lo scosse leggermente per una spalla.

Certo è che non si aspettava una reazione così violenta: Viktor spalancò gli occhi e lo spintonò tenendolo lontano, il panico nello sguardo, spingendosi contro la portiera come fosse in trappola.

"Whoa, whoa, respira, non volevo spaventarti." Gli disse tenendo alzate le mani, il gesto universale di non belligeranza.
Viktor respirava ancora affannosamente e si guardava in giro sbattendo le palpebre più volte, non sicuro di dove fosse. 

Allora Zachary parlò in russo, tenendo ancora le mani ferme e ben visibili, il tono tranquillo e lento.

"Monsieur Viktor, sono Zachary, abbiamo viaggiato insieme. Siamo arrivati alla villa di mia sorella,  si è addormentato e l'ho svegliata."

L'uomo sembrò finalmente riprendersi perchè si ricompose e assottigliò gli occhi.

"So benissimo dove mi trovo, non ho problemi di memoria." Sibilò con superiorità, come se Zachary lo avesse profondamente offeso preoccupandosi per lui. Non gli disse altro che scese semplicemente dalla limousine, lasciandolo lì a chiedersi cosa fosse esattamente successo, prima che Ambrogio lo costringesse fisicamente a scendere a sua volta dalla vettura, liberandosi finalmente di lui.

Fece una breve corsetta oltre l'ingresso e sorrise al tepore della villa, che nonostante le dimensioni, manteneva l'aria affettuosa di una casa vissuta.

Fu accolto dalla domestica che arrossì vistosamente quando le offrì la sua giacca da riporre e la guardò confuso scappare subito dopo: fece spallucce, grattandosi la barba e chiedendosi se l'avesse circuita l'ultima volta che aveva fatto visita alla sorella. Non ne era certo.

"Bonsoir, Monsieur. So che il vostro* viaggio è stato lungo e faticoso e che la signora non è purtroppo qui per accogliervi, ma faremo del nostro meglio per non farvi mancare nulla." Matthieu era un trentenne magro e allampanato, dalle orecchie grandi e dal sorriso troppo accondiscendente che faceva il maggiordomo per tradizione di famiglia, ma non aveva un briciole di amore per i ranghi o i ruoli e si salvava solo per la sua incredibile discrezione e competenza. A Zachary stava simpatico: aveva una lingua scurrile dopo qualche bicchiere di champagne ed era temibile a poker.

Gli sorrise, allungando la mano per stringere la sua in segno di saluto. "Suvvia, Matthieu, questi convenevoli sono inutili. E' un piacere anche per me rivederti, ma non giocherò di nuovo con te per il prossimo anno. Le mie finanze ancora stanno soffrendo per quello."

L'uomo rise, agitando una mano di fronte al viso, rilassando la postura e facendo un cenno con la testa al salone.

"Ho fatto accomodare il signore in sala intanto che aspettavo istruzioni. Mi ha chiesto di rivolgermi a lui col titolo di 'Principe'." Alzò un sopracciglio con un sorriso insolente sulla faccia: quando il topo non c'è i topi ballano.

"Faccio preparare una stanza o preferite alloggiare nella stessa?" Gli chiese con un sorriso furbo di chi ha l'occhio lungo.

Zachary sbuffò e si diresse in salone. "Fagli preparare una stanza." Poi aggiunse con un sorrisetto: "Magari non troppo distante dalla mia, che dici?"

Matthieu fece una risatina e battè le mani due volte, richiamando due signorine e impartendo gli ordini.

Ridacchiò a sua volta -ragazzo sfrontato.

Entrato nel salone finemente decorato, vide Viktor in piedi vicino al camino scoppiettante, le fiamme che danzavano sulle rifiniture dorate delle cornici e del soffitti, sul mogano lucido dei mobili sopravvissuti alla Rivoluzione Francese.

Viktor sembrava a suo agio in tutto quell'oro, ricordava vagamente il gusto barocco dei russi, l'uso sovverchiante dell'oro a dimostrare il benestare.

Si schiarì la gola per attirare l'attenzione, nonostante i tacchi dei suoi stivali l'avrebbero già dovuto avvertire della sua presenza.

Viktor lo guardò e sembrò per un momento sperduto, prima di nascondere il sentimento dietro i suoi occhi di ghiaccio.

"Quando mi aveva detto che questa casa sarebbe stata meglio di qualsiasi hotel avrei potuto trovare pensavo stesse semplicemente facendo il gradasso. Invece dice la verità ogni tanto." La sua voce profonda sembrava ulteriormente bassa dal breve disuso dato dal sonno.

Avrebbe potuto svegliarsi ogni mattina con una voce così nelle orecchie. E un corpo come quello attorno ai fianchi.

Un sorriso pigro e malizioso gli tirò le labbra al pensiero.

"Mi casa es tu casa. O meglio, la casa di mia sorella è mia che è vostra, qualche stupidaggine di questo tipo."

Si diresse al tavolo degli spiriti, versandosi due dita di Jack Daniels, sospirando al piacere in bocca.

"Volete favorire?"Chiese quando si rese conto di essere stato maleducato, ma Viktor lo guardava curioso e con un leggero accenno di sorriso, l'angolo della bocca appena arricciato.

L'uomo scosse la testa. "Bevo solo Vodka&Inferno." Spiegò, alzando un momento il viso verso il lampadario, i riflessi di luce che si specchiavano nei suoi occhi, prima di tornare a guardarlo e poi fuggire lo sguardo con un leggero rossore sulle guance.

"Quindi, stavo pensando.. Vostra sorella è la proprietaria di questa casa.. Ed è la stessa donna con cui parlavate in aeroporto a telefono a New York?" Il rossore sembrò accentuarsi e prese a mordicchiarsi il labbro inferiore mentre lo guardava guardingo e speranzoso.

Nel guardarlo mordersi le labbra a quel modo il suo cervello si scollegò per un istante.

"Ah.. Ah sì! Intendete Ebony? Sì, mia sorella mi ha chiamato più volte per sapere se ci avrebbero permesso di partire o meno. Perchè?"

Viktor aprì la bocca per rispondere, anche se il rossore non sembrava volersi ridurre, quando furono interrotti da Matthieu.

"Monsieurs, scusate se vi interrompo, ma volevo avvertirvi che la cena è quasi pronta, su richiesta della Signora che ci ha avvisato precedentemente avremmo avuto ospiti. Se voleste rinfrescarvi prima di mangiare, accompagnerei con piacere il Principe alla sua stanza."

Viktor sembrò gradire l'interruzione perchè fece velocemente due passi verso il maggiordomo che, con un mezzo inchino, uscì dalla stanza.

"Ci vedremo a cena, mi metterò il mio completo migliore." Disse Zachary, prima di pensare a quanto fosse banale quell'uscita, ma Viktor smise di mordicchiarsi il labbro, sistemandosi una ciocca dietro l'orecchio prima di guardarlo e fare una risata breve, ma sincera.

"Non mi aspetto niente di meno, Signor Lefevre."

"Zachary." Lo corresse, leccandosi le labbra. "Mi farebbe piacere se potesse darmi del tu. Abbiamo condiviso una notte in aereo e tra poco alcuni giorni sotto lo stesso tetto.."

Odiava sentirsi così insicuro! Viktor gli costringeva un piacevole nervosismo.

Il russo rise di nuovo, nascondendo poi la bocca dietro alla mano.

"Vedi di non farti aspettare mentre tenti di farti bello, Zachary." Lo prese in giro, dandogli la schiena, ma poi tornò a voltarsi, ancora il labbro tra i denti, un ciuffo ribelle di nuovo portato dietro all'orecchio. "Puoi chiamarmi Viktor, anche se rimango Principe."

Non gli permise di rispondere che stavolta uscì dalla stanza, lasciandolo senza parole.

Si concesse infine una risatina e un altro sorso di whiskey, prima di pensare...

"Come sarebbe a dire che dovrei 'tentare' di farmi bello?!" Esclamò forte, indignato, ma venne ripagato da una risata profonda dal piano superiore.

Se Zachary fosse arrossito e avesse nascosto il suo sorriso nel bicchiere, nessuno potè dirlo per certo.

A parte il maggiordomo.

Quello spione sapeva sempre tutto.



*Lo so! Tu, lei, voi! Che confusione. Ma in francese la formalità si usa dare con il voi.



Note di chiusura: Ce l'ho fatta! Lo so, lo so, dovrei rendermi conto che è passato un secolo! So anche che questo capitolo è discretamente di passaggio, ma mi era fondamentale per sistemare alcune carte in tavola. Io li amo da morire e voi? Fatemelo sapere!
E correte a comprare il volume II che è finalmente uscito! (anche se a me deve ancora arrivare c.c)

P.S. Matthieu è stato pensato sul personaggio di Merlino della serie tv, perchè lo amo e perchè è il migliore e peggiore servitore di sempre!

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