The ghost heart of the captain

di destiel87
(/viewuser.php?uid=6571)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Porto di Nassau – New Providence – 16 giugno 1717 ***
Capitolo 2: *** Porto di Nassau – New Providence – 18 giugno 1717 ***
Capitolo 3: *** Mare dei Caraibi – 24 giugno 1717 ***
Capitolo 4: *** Mare dei Caraibi – 1 luglio 1717 ***
Capitolo 5: *** Costa - Castilla del Oro – 27 luglio 1717 ***
Capitolo 6: *** Foresta- Castilla del Oro - 19 settembre 1717 ***
Capitolo 7: *** Foresta - Castilla del Oro – 21 settembre 1717 ***
Capitolo 8: *** L’ Eldorado - Castilla del Oro – 23 settembre 1717 ***
Capitolo 9: *** L’ Eldorado - Castilla del Oro – 27 settembre 1717 ***



Capitolo 1
*** Porto di Nassau – New Providence – 16 giugno 1717 ***


The ghost heart of the captain

 
 
“Non vi renderò solo ricchi, non vi renderò solo forti:
 Vi renderò i principi del nuovo mondo!”
 

 
Potete chiamarmi Blake.

Il mio vero nome è Clarissa Walker, ma quella fanciulla ormai non esiste più.
E’ morta a Londra, nel 1714.
La storia che sto per raccontarvi non è la mia, ma bensì quella del capitano Flint, di Long John Silver e dei pirati di Nassau.
Io sono solo un marinaio con il suo violino, fuggito da un padre violento e un futuro miserabile, verso una nave, il mare e la libertà.
E’ stato il giorno in cui ho trovato quel vecchio libro, che la nostra avventura ha avuto inizio… Narra la leggenda, che oltre il grande mare dei caraibi, oltre le spiagge bianche dove vivono gli indios, oltre le insidiose montagne innevate, ci sia una terra colma d’ oro, la chiamano “L’Eldorado.”

 
Porto di Nassau – New Providence – 16 giugno 1717
 
Era una giornata plumbea e ventosa, le irrequiete onde del mare si infrangevano contro gli scogli una dopo l’ altra, mentre gli odori del villaggio iniziavano ad infiltrarsi nelle mie narici.
C’ era profumo di spezie e frutta esotica, piscio, vomito, e una lieve traccia di polvere da sparo.
I pescatori tornavano con le loro reti colme di pesci, i mercantili scaricavano zucchero e tessuti preziosi dalle indie, caffè e tabacco da panama. Alcuni schiavi camminavano in catene verso il mercato. Una donna allattava il suo piccolo, un vecchio cantava vecchie canzoni di mare, due uomini duellavano a piedi nudi sulla spiaggia.
Era un caos tutto sommato accogliente e piacevole, soprattutto dopo aver passato le ultime settimane in mare, con la sola compagnia del mio violino.
Non è facile per me, legare con gli altri marinai.
Sono uomini duri, uomini che hanno visto la brutalità del mondo e che in qualche modo, ne sono diventati parte.
Nulla di ciò che mi era stato insegnato nella mia vecchia esistenza poteva essermi utile per legare con loro, nulla mi aveva preparato a quella vita così aspra e difficile, nulla se non le storie che mio padre mi raccontava da bambina.
Storie di pirati brutali e capitani sanguinari, combattimenti in mare aperto e isole sconosciute da esplorare, ricchi bottini e bottiglie di rum.
Più viaggiavo con loro tuttavia, e più scoprivo una parte della storia che era stata nascosta.
C’ erano padri di famiglia, c’ erano giovani in cerca di un futuro migliore, schiavi scappati alle catene, avventurieri, ribelli e sognatori, uomini provenienti da ogni parte del mondo, riuniti sotto la stessa bandiera.
E’ ascoltando le loro storie, che ho imparato ciò che davvero contava.
Ma soprattutto, è attraverso gli occhi del capitano Flint, che ho visto il mondo per quello che davvero è: Un luogo oscuro e tenebroso, dove il più forte vince sul più debole, dove uomini potenti possono toglierti tutto con un sussurro.
Ma anche dove un uomo coraggioso, può riprendersi ciò che gli è stato tolto, con la sola forza della sua spada e una nave veloce che attraversi gli oceani.
Per lungo tempo ho suonato il mio violino nelle notti di veglia, ho potuto ammirare le calme onde del mare che brillano sotto la luna, ascoltare il fischio del vento tra le vele e danzare con esse.
Non era la mia voce, bensì la melodia del mio strumento, ad arrivare al cuore dei marinai, a fargli chiudere gli occhi, sognando labbra amorevoli, oro e gloria.
Credo che sia questo il motivo, per cui sono ancora qui.
Le mie doti di musicista superano di gran lunga quelle da marinaio.
Il capitano Flint una volta mi ha confessato che quelle note così strazianti e soavi, lo riportavano indietro di molti anni, ad una terra lontana, a quando ancora non era che un giovane pieno di sogni di speranze.
Quando gli ho chiesto che fine avessero fatto quei sogni, lui ha risposto che l’ oscurità se li era inghiottiti, e che attraverso il mare, ne aveva trovati altri.
Avrei voluto chiedergli di più, c’ erano molte domande che affollavano la mia mente, ma sapevo bene che il capitano non era incline a confidenze, e che diffidava di tutti.
L’ unico uomo sulla nave, e forse nel mondo, ad avere la chiave del suo cuore e della sua anima, era Long John Silver.
Vi era tra i due una comprensione che andava oltre ogni logica,  un profondo affetto, forgiato da innumerevoli battaglie sanguinare.
Mi era capitato spesso di osservargli, di studiare i loro movimenti e cercare di capire dove il loro occhi si posassero.
Quando la notte suonavo sotto le stelle, guardando oltre l’ albero di maestra, oltre le vele, scorgevo lo sguardo che avevano l’ uno verso l’ altro, come se fossero fusi insieme, come se fossero due parti dello stesso corpo, la stessa onda divisa in due dagli scogli.
Fu quel giorno in particolare, che le nostre vite cambiarono per sempre.
Del resto non si può mai sapere, quando il destino viene a bussarti alla porta.
Vagavo nelle strette strade della città, osservando tutto ciò che mi circondava, dalle bancarelle colorate del mercato, alle belle donne che si affacciavano dai balconi del bordello, fino al grande forte di pietra in cima alla collina.
Non avevo una meta in particolare, avevo una bottiglia di rum  in mano e un pezzo di pane in tasca, il sole sulla faccia e aria fresca nei polmoni, non avevo bisogno d’ altro.
Tuttavia durante il mio cammino, il mio sguardo si è posato su un banchetto colmo di vecchi libri, le cui pagine erano gialle e macchiate e i cui dorsi erano ricoperti di polvere. Potrà sembrare folle, ma era come se una voce mi attirasse verso quel luogo. Era solo un sussurro, eppure non seppi resistergli.
Avevamo un solo libro nella casa di Londra, mio padre soleva leggermelo nelle notti buie e tempestose, quando le ombre mi spaventavano.
Lo conoscevo a memoria ormai, ma ogni  volta che lui salpava in mare e la sua barca scompariva dietro l’ orizzonte, io mi sedevo sulla spiaggia e lo rileggevo.
Sentivo la sua voce calma e roca, sussurrarmi ogni parola, e insieme partivamo per avventure grandiose, salvavamo fanciulle indifese e uccidevamo draghi sputa fuoco.
Mi avvicinai sognante al banchetto, sfogliando le pagine in cerca di nuove avventure, annusandole in cerca dell’ odore di mio padre.
Ad un tratto mi capitò tra le mani un libro del tutto differente dagli altri, alcune delle pagine erano state rovinate dall’ acqua salata, il dorso era marrone scuro e sulla copertina vi era scritto:
Racconti dell’ ammiraglio Edward Walker nelle terre di Castilla del Oro*.
Walker…?
Vecchi ricordi che credevo perduti, riaffioravano alla mia mente.
Un uomo seduto davanti al fuoco, con la sua bambina tra le ginocchia.
Racconti di uomini coraggiosi e isole remote, animali esotici, alberi alti fino al cielo, fiumi pieni d’ oro e case dorate. Sfogliando quel vecchio libro, immagini riempivano la mia mente, mentre la fantasia correva a briglia sciolta in quelle terre remote; tra gli indios ricoperti di piume e i sacerdoti dai lunghi mantelli neri, templi antichi e laghi cristallini tra le montagne.
Comprai il libro per pochi soldi, e dalla faccia dell’ uomo che me lo vendette, intuì  che ne fosse sollevato.
“Es maldito.” Sussurrò l’ uomo, nascondendo il volto.
Per molto tempo non capì cosa volesse dire, e quando lo feci, ormai era troppo tardi.
 
*Castilla del Oro fù il nome dato dagli spagnoli alla costa orientale. Lì si trovavano le miniere di Veraguas e di Darien. La sola Veraguas procurò alla corona spagnola due tonnellate d
oro l’ anno
.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Porto di Nassau – New Providence – 18 giugno 1717 ***


Porto di Nassau – New Providence – 18 giugno 1717

 
Me ne stavo seduta sotto l’ albero di prua, vegliando sui calmi oceani, quando un soffio di vento comparso dal nulla si scagliò su di me, scompigliandomi i vestiti e strappandomi di dosso il cappello. Il libro cadde a terra, e una dopo l’ altra le pagine si mossero sospinte dal vento, per poi fermarsi di colpo.
Quando lo presi tra le mani, quello che vi era scritto sopra rapì la mia attenzione:
Narra la leggenda che esiste un lago, consacrato ad una divinità indiana, profondamente nascosto tra le foreste vergini della Castilla del Oro. Una tribù indiana vive in quelle terre, ed è la più ricca del mondo. Ogni volta che un capo viene eletto, si fanno maestosi cortei; Gli indiani sono ornati di piume variopinte e ricoperti da pelli di giaguaro, d’ oro e di smeraldi. Al suono dei corni rivestiti da conchiglie , il corteo si muove. Alla testa camminano i preti dai lunghi mantelli neri e dalle alte pettinature dello stesso colore. I grandi sacerdoti e la nobiltà reggono una lettiga, ornata da un sole d’ oro, sulla quale siede il nuovo eletto, interamente nudo e cosparso di polvere d’ oro. Viene chiamato “Eldorado.” Alla fine della cerimonia l’ uomo si getta nel lago, consacrando la polvere preziosa alla divinità. Tutto intorno sulla riva, la folla estasiata grida d’ allegria, accompagnata dai canti e dalla musica.
A quel punto gli indiani si strappano i gioielli e li lanciano nel lago, in un ecatombe d’ oro e pietre preziose.*
Curioso come molte di queste vicende, siano uguali a quelle raccontate da mio padre…
Mentre me ne stavo china sul libro, immersa nelle mie riflessioni, d’ improvviso qualcuno mi strappò il libro dalle mani.
“Basta leggere al buio Blake, ti rovinerai gli occhi.” Era Billy, che sfogliava a casaccio le pagine. “Perché non suoni qualcosa? E’ una notte così dannatamente tetra…”
Aggiunse, rilanciandomi il libro tra le mani.
Seppur curiosa di tornare alle mie letture, decisi di accontentarlo… Tutta quella storia mi faceva sentire strana, avvertivo un brivido gelato percorrermi le ossa.
Presi in mano il mio violino, chiusi gli occhi, e lasciai che fosse il suono del vento a guidarmi.
Dalle prime note abbozzate, iniziò a crescere una melodia sconosciuta.
All’ inizio c’ era il silenzio, potevo vedere uomini con gli occhi rivolti al cielo e un sorriso sereno, altri con la testa china e i pugni chiusi.
Appoggiato alla bordata, il capitano Flint se ne stava con lo sguardo rivolto al mare, brillante come mille diamanti, sotto la luna crescente.
Accanto a lui, John Silver si accendeva una pipa, i lunghi capelli neri accompagnavano il vento nel suo percorso, lo sguardo perso tra le stelle.
Piano piano altri due uomini si unirono a me con i loro strumenti, altri con le loro voci, alcuni battendo le mani e i piedi, fino ad aumentare il ritmo e stravolgerlo completamente. Il canto che intonavano, era noto a tutti gli uomini di mare:
“Quindici uomini sulla cassa del morto
Io-ho-ho, e una bottiglia di rum!
Il bere e il demonio han pensato al resto
Io-ho-ho e una bottiglia di rum!”
Ubriachi e su di giri, gli uomini iniziarono a ballare e cantare, saltando e battendo li boccali tra di loro.
Solo due restarono in disparte, al riparo da occhi indiscreti… Quando il vento sollevava la vela, potevo scorgerli uno accanto all’ altro, i corpi sempre più uniti.
Flint accarezzava la sua guancia, scostandogli i capelli, Silver si chinò un poco fino a baciarlo, chiudendo gli occhi mentre l’ altro lo stringeva tra le braccia.
Sparirono per un attimo dietro la vela, e quando questa si scostò, non c’ era più nessuno.
Gli seguì con lo sguardo, e poco a poco i miei piedi presero a fare lo stesso,
incalzati da un curiosità mai provata prima.
Correvano dei pettegolezzi su di loro tra gli uomini, ma nessuno aveva il coraggio di pronunciarli a voce alta, spaventati dalla spada del rosso e dall’ astuzia del moro.
Semi nascosta dal buio, continuai a seguirgli lungo alla nave, sotto coperta, tra gli angusti e umidi corridoi di legno, fino ad arrivare alla cabina del capitano.
Mentre il pudore e la vergogna mi spingevano ad arretrare, l’ eccitazione e l’ adrenalina mi incoraggiavano a proseguire.
Attraverso la porta potevo sentire i gemiti soffusi, il rumore delle cinture che si allentavano, il letto che scricchiolava. Da una piccola fessura posta sulla sua estremità, scorgevo i loro corpi nudi che si scontravano e si avvinghiavano, in quella che per me era quasi una lotta.
Non ero avvezza a certi comportamenti, le uniche conoscenze del sesso che avevo, erano tratte dalle chiacchiere dei marinai al bordello, specie quando erano ubriachi.
Ma ero ancora molto confusa sull’ argomento, e ora che il mio corpo stava sbocciando in quello di una donna, ero sempre più frenetica di arrivare alla verità.
Nelle lunghe notti solitarie, mi sono chiesta spesso cosa volesse dire giacere con un uomo, fondersi insieme e donarsi completamente.
Era doloroso? Piacevole? Dalle loro urla, non riuscivo a distinguerlo.
Nella foga del momento, il libro mi cadde dalla giacca, sbattendo rumorosamente a terra.
Ebbi giusto il tempo di raccoglierlo e alzarmi in piedi, quando Flint aprì la porta sulla quale ero appoggiata, facendomi cadere all’ interno.
In quel momento avrei voluto sprofondare nel più profondo degli abissi.
Era a petto nudo, con i pantaloni leggermente slacciati e la sua spada scintillante dritta verso di me. 
“Dimmi una sola buona ragione per cui non dovrei ucciderti.” Disse con calma.
Balbettai qualcosa di incomprensibile, fino a quando trovai la forza di dire:
“Per la mia musica?”
Silver rise, portandosi con le mani i capelli dietro la testa. Si mise a sedere con fare scomposto e disse: “Il tuo violino questa volta non ti salverà ragazzo.”
“Non dirò nulla capitano, lo prometto!”
“Considerando quello che c’ è in gioco, la tua parola non è sufficiente. Dovrai trovare un’ altro modo per dimostrarmi che la tua vita è più importante di questo segreto.”
Flint mi guardava dritto negli occhi, la sua mano salda sulla spada e il respiro lento.
Avevo solo una possibilità, e decisi di giocarmela.
Afferrai il libro e glielo porsi, chinando la testa.
Silver rise di nuovo, esclamando: “Devi essere molto sciocco o molto pazzo, per credere che un libro possa valere la tua vita.”
“Forse sono entrambe le cose, signore. Ma questo non è un semplice libro…”
“A meno che le sue pagine non siano d’ oro, una semplice storia non vale il rischio che correrei nel risparmiarti la vita.” Aggiunse Flint, alzando un poco la spada verso il mio viso.
“Le sue pagine non sono d’ oro, Capitano, eppure conducono ad esso. Una terra leggendaria colma di ricchezze ci attende, se deciderete di seguire la rotta che è impressa su di esse.”
Flint e Silver si guardarono un istante, sorridendo leggermente.
“Affascinante, davvero. – Esclamò Silver – Sai molti anni fa, fui proprio io a scoprire la rotta verso un immenso tesoro…”
“E… L’ avete trovato?” Chiesi eccitata e timorosa al tempo stesso.
“Si. – Rispose Flint – E ci ha distrutto tutti. Dunque anche se la tua storia fosse vera e non solo una favola per bambini… Non metterei tutto a rischio per inseguire un sogno, solo per vederlo poi tramutato in disgrazia.”
“La storia è vera, Capitano! Credo… Credo che sia stato un mio antenato a scriverla…”
“E questo come lo sai? E’ stato il suo fantasma a dirtelo?” Disse Silver, allungandosi a prendere la bottiglia di rum ai piedi del letto.
“No signore, ma… Portiamo lo stesso cognome! Ho udito una voce chiamarmi, e questa notte il vento…”
“Adesso ne ho abbastanza di queste sciocchezze!” Tuonò Flint.
Mi prese per il colletto della camicia, stringendomi al collo.
“Non credo che tu abbia pienamente compreso la natura della tua situazione.”
Con il poco fiato rimastomi, e il cuore che batteva come un tamburo da guerra, non so’ come trovai la forza di rispondere:
 “L’ ho compresa capitano. Siete voi che non avete compreso ciò che vi sto’ offrendo… L’Eldorado! La terra più ricca di tutte le americhe, dove si narra che i fiumi stessi siano colmi d’ oro, e le case dorate luccichino al sole.”
“Questi sono solo sogni, ragazzo. – Rispose lui aspramente – Uomini come noi, non possono correre il rischio di farsi guidare da essi, o ne verrano divorati.”
I suoi occhi sono come un mare in tempesta, irrequieti e furenti si abbattono su di me, e sembrano scrutarmi fin dentro l’ anima. Per un motivo a me sconosciuto, suscitano nel mio cuore un sentimento forte e bruciante, mai provato prima.
“Sbagliate. Sono proprio gli uomini come noi, che hanno il compito di intraprendere un’ impresa come questa. Se non possono seguire un sogno i pirati, gli uomini liberi, i coraggiosi e ribelli… Allora chi può farlo, capitano?”
Dopo qualche momento di silenzio, Flint molla la presa, facendomi cadere a terra senza più fiato in corpo.
I suoi occhi celesti si spostano su Silver, il quale non dice niente, non ne ha bisogno. Dal suo sguardo il capitano ottiene la risposta che cercava.
Mi tende la mano, aiutandomi a rialzarmi. Il solo tocco mi provoca dei brividi, che cerco subito di nascondere, mentre avverto le guance che divampano.
Cos’ è questa sensazione di calore?
Noncurante Flint prende il libro tra le mani, per poi passarlo a Silver.
“Questa notte studieremo attentamente il tuo libro, e se la cosa convincerà entrambi, domani ti risveglierai nella tua amaca con il sole in faccia, altrimenti…”
“Non ti sveglierai affatto!” Aggiunse Silver con un mezzo sorriso.
Annuisco lievemente, prima di correre via.
Non riesco a respirare, sembra quasi che le pareti diventino sempre più strette, ho un disperato bisogno d’ aria…
Una volta sul ponte, mi dirigo in fretta verso la poppa, fermandomi al limite estremo.
Arrampicandomi oltre la bordata, raggiungo l’ albero di mezzana, sotto il quale il mare brontola, si scontra e si fonde, lasciando dietro di noi una scia bianca.
Qui finalmente respiro a pieni polmoni l’ aria pungente e salmastra, mentre in lontananza le luci sempre più piccole del porto di Nassau, si allungano verso di me, quasi non volessero lasciarmi andare.
 
 
*Fonte: Storia dei filibustieri di Alfred Sternbeck

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Mare dei Caraibi – 24 giugno 1717 ***


Mare dei Caraibi – 24 giugno 1717
 
Il sole è alto su di noi, il vento ci spinge sempre più lontano, quasi fosse incalzato dai nostri desideri. Dietro di noi non vi è nulla se non l’ ombra del passato, all’ orizzonte nulla se non una speranza.
Tuttavia il viaggio procede sereno da diversi giorni, il vento di prora è costante e le onde calme, gli uomini sembrano entusiasti di questa nuova avventura, cantano e bevono pregustandosi l’ oro e le belle indigene.
Come spesso accade, Flint e Silver non lasciano trasparire le loro emozioni, ma il fatto che io sia viva dimostra che in fondo, ci credono anche loro…
Iniziavo a persuadermi che niente avrebbe potuto fermarci, che il tesoro fosse ad un passo da noi, quando ancora una volta la vita venne a risvegliarmi dal mio sogno.
Avrei dovuto sapere, che nulla di importante si può ottenere, senza un sacrificio.
“Veleee!” Un urlo, fu ciò che diede inizio a tutto.
“Dove?!” Urlò Flint, estraendo il suo cannocchiale dorato.  
“A poppa capitano!” Urlò Sam dal trinchetto.
In un lampo Flint si diresse alla bordata, seguito da Silver e da alcuni uomini.
“Maledizione – Esclamò il capitano – E’ una fregata della corona spagnola, La Cruz.”
“Tutti ai posti di manovra!” Tuonò Silver.
“Issare il controfiocco! Timoniere, barra in dritta, portare il babordo a favore del vento!” Urlava Flint, spostandosi da una parte all’ altra della nave e assicurandosi che tutti svolgessero il loro compito.
“Bordare la randa di maestra a tutta la velatura che può portare! - Esclamò Silver Fate presto! Voi, sottocoperta! Portate i fucili e la polvere da sparo! Billy, con me.”
Gli uomini correvano urlando per il ponte, c’ era chi si arrampicava sulle vele, chi teneva le corde, chi scaricava e preparava i fucili, ognuno di noi aveva un compito da svolgere e da quello poteva dipendere la vita di tutti.
“Virare di bordo, alzare le vele di gabbia terzarolate! – Disse Billy - Issare alberi di velaccio!”
Ormai la distanza era di poco più di mezzo miglio, le posizioni reciproche variavano di continuo, sebbene la Walrus fosse più piccola e agile, l’ imponenza della fregata spagnola sembrava dovesse raggiungerci da un momento all’ altro.
“Dobbiamo disperatamente guadagnare tempo e allontanarci col favore del vento, verso la salvezza della notte. La Cruz è armata per la guerra, con cannoni da 8 libbre…  Se dovessero spararci adesso, non avremmo scampo.” Disse Silver.
“No, non nell’ attuale situazione. Ma non credo neanche che potremmo continuare a fuggire a lungo, sono sempre più vicini. Dobbiamo provare a ribaltare le posizioni…“ Rispose Flint.
“Timoniere, al mio ordine virare a tribordo! Siamo a tiro di cannone, dobbiamo invertire la rotta, se riusciamo a sorprendergli da dietro, saranno vulnerabili.”
La Walrus deviò due, tre, quattro quarte della sua rotta, meglio attrezzata della fregata per stringere il vento, riuscì a svincolarsi dalla sua presa, sbucando proprio dietro di essa.
“Timoniere, teniamo l’ albero di maestra a dritta di prua. Uomini ai posti di combattimento, preparate i cannoni!” Urlò Flint.
“Mollare le scotte! Mano alle drizze! Pronti a colpire!” Aggiunse Silver.
“Uomini alle batterie! Fuoco a volontà!”  Urlò il capitano.
Sentì un rumore assordante, seguito da un fischio incessante alle orecchie. E ancora, e ancora, come un temporale che squarcia il cielo notturno.
L’ albero di mezzana cadde in acqua, mentre enormi pezzi di legno volavano da una parte all’ altra. Alcuni giganteschi fori risucchiano l’ acqua al suo interno, e il fuoco iniziava  a corroderla in superficie.
Un attimo prima esultavamo, un attimo dopo le cannonate investirono anche noi.
“Tutti al riparo!”  Urlò Billy.
Fu l’ ultima cosa che sentì prima di essere travolta e scaraventa dall’ altra parte della bordata.
Intorno a me fuoco e sangue. C’ era una tale confusione che non riuscivo a distinguere gli amici dai nemici, le mie urla dalle loro.
“Prepararsi all’ abbordaggio!” - Urlò Flint - “Fucilieri, al trinchetto presto!”
Iniziai a vedere uomini arrivare come mosche, sembrava non dovessero finire mai.
Con le spade, le asce, con i fucili e i moschettoni, ogni uomo sulla nave combatteva.
Uno di loro cadde proprio ai miei piedi, con gli occhi senza vita rivolti verso i miei.
Rimasi qualche momento paralizzata, senza sapere cosa fare o dove fuggire.
So’ di essere una codarda, ma è così che sono sopravvissuta fino ad ora: fuggendo, nascondendomi e pregando con gli occhi chiusi.
“Clarissa…. Clarissa…”
Da dove viene questa voce? E’ la stessa che ho udito quel giorno al mercato…
Sento come se una forza si stesse impadronendo di me. Arma la mia mano, mi solleva da terra, apre i miei occhi.
Un uomo si avvicina minaccioso verso di me, il braccio alzato per sferrare il fendente.
La mia spada ferma la sua, ma lui è forte, troppo per me. Mi sbilancio a destra, e lui mi colpisce al braccio. Brucia, ma rimango in piedi e provo ad attaccarlo.
Lui schiva, si para, contrattacca e mi ferisce al fianco.
Urlo, fa male. Con una mano premuta contro la ferita e l’ altra ad impugnare la spada, mi lancio contro di lui.
Riesco a colpirlo al petto, ma non è che un graffio in confronto alle ferite che già ha.
A quel punto è il suo turno, e mi attacca ripetutamente, colpendomi alla coscia e scaraventandomi a terra.
“Blake! Tieni duro sto’ arrivando! Alzati subito!” Urla Billy, impegnato a combattere contro due uomini.
Vorrei farlo, ma non ho più la forza di combattere… Non riesco nemmeno a sollevarmi da terra.
La sua spada è quasi sul mio viso, e in quei pochi istanti, raccomando la mia anima a Dio. Lui risponde che non è ancora il mio momento.
Flint para il colpo, poi con un calcio lo allontana, abbattendosi su di lui.
Si muove con grazia e ferocia, veloce come il vento.
Pochi colpi e l’ uomo cade a terra morente.
Poi, il buio.
 
Mare dei Caraibi – 27 giugno 1717
 
Ogni notte da quel giorno, ho sognato quell’ uomo sconosciuto e la sua spada.
Rivivevo il dolore, la paura, la rabbia… L’ umiliazione di non aver saputo difendermi.
L’ ardore con cui Flint si era battuto per me… I suoi occhi come oceani in tempesta, le sue mani che si muovevano salde, le gambe veloci. Presi quella decisione perché avevo visto in lui ciò che volevo essere.
Volevo essere forte, indomabile, volevo combattere con la sua stessa eleganza e furia.
Per questo mi inginocchiai ai suoi piedi, porgendogli la mia spada.
“Mi insegni capitano. La prego, mi insegni a combattere.”
Lui restò calmo, mi studiò a lungo, poi disse:
“Perché?  Perché vuoi combattere? Per stroncare vite, per difendere ciò che è tuo o per avere quello che non lo è?”
“Nessuna di queste cose capitano… Quello che voglio è saper difendere me stesso. Voglio essere il padrone del mio destino, il solo responsabile della mia esistenza, ma per farlo dovrò combattere, affrontare nemici molto più forti e scaltri di me. Per questo motivo, vi prego, insegnatemi.”
“Lo farò. Ma solo perché se vogliamo conquistare L’ Eldorado,  mi serviranno uomini valorosi… Ho visto come ti sei battuto l’ altro giorno. Forse non hai dimostrato forza, ma di sicuro hai dimostrato coraggio, ed è questo ciò che conta per me.”
“Grazie capitano! Non vi deluderò, lo prometto!”
“No, non lo farai. Altrimenti sarai tu stesso a pagarne il prezzo. Questo mondo spietato non ha pietà per i deboli, per gli indifesi… Se vuoi avere una speranza di sopravvivere, devi dimostrare che per quanto lei ti butterà a terra, tu ti rialzerai sempre, finchè avrai fiato nei polmoni e sangue nelle vene. Prometti questo.”
“Lo prometto, capitano.”
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Mare dei Caraibi – 1 luglio 1717 ***


Mare dei Caraibi – 1 luglio 1717
 
“Piede destro avanti, tieni le ginocchia piegate.”
Il petto del capitano Flint è premuto contro la mia schiena, riesco a sentire l’ odore aspro e pungente della sua pelle, il suo fiato sul collo.
“Spada e braccio devono essere la stessa cosa, immagina che sia un estensione del tuo corpo.” Dice Flint, accompagnandomi nei movimenti.
“Mantieni la guarda alta e i riflessi pronti!”
“Si, capitano.”
Il suo viso è così vicino al mio, che se mi sporgessi un poco, potrei raggiungerlo…
Lui mi guarda a lungo, senza dire una parola. Gli occhi immersi nei miei, al punto che dimentico tutto ciò che è intorno a me. Sono come il mare nel primo mattino, calmi e trasparenti, e per la prima volta, vorrei tuffarmi dentro di essi e perdermi.
Improvvisamente qualcosa colpisce il capitano alla spalla. Una mela rossa rotola per terra.
“Mi spiace capitano, non ho una buona mira!” Esclama Silver, tranquillamente appoggiato al babordo con una bottiglia in mano.
“John!” Urla Flint, guardandolo in cagnesco.
“Sul serio, non ho buona mira, le mie scuse!” Replica lui sorridendo, con la faccia da bambino dispettoso.
Flint brontola qualcosa, e restano lì fermi a guardarsi qualche secondo.
Per un momento resto immobile anch’ io, senza sapere cosa dire.
 Poi Flint si volta verso di me, arretrando di qualche passo.
“In posizione, cominciamo.”
Silver gli fa l’ occhiolino e poi beve un sorso di rhum, mentre io cerco di concentrarmi e porto il piede avanti.
“Non guardare i miei piedi, non guardare i miei occhi, tieni lo sguardo sul mio braccio, hai capito?” Esclama, alzando la spada.
Annuisco, e subito dopo Flint mi attacca al fianco sinistro, sbilanciandomi.
Arretro e provo a colpirlo a mia volta, ma lui è sempre due passi avanti a me, e riesce a parare ogni mio colpo.
“Guardia alta, difenditi!” Esclama, venendo verso di me.
Questa volta riesco a pararlo, e cerco di colpirlo al braccio.
“Forza Blake! – Urla Billy – Tieni in alto la spada, ma non scoprirti troppo ai fianchi!”
Come se stessimo danzando, ci muoviamo uno verso l’ altro, rincorrendoci e allontanandoci. La sua difesa è incrollabile, la sua forza spaventosa, ogni suo colpo mi fa tremare dalla testa ai piedi, ma devo resistere, finchè posso.
Continuammo così per ore, poi le ore divennero giorni, e da quel momento ogni sera al calar del sole ci incontravamo per il nostro duello privato. Sempre sotto gli occhi vigili di Silver, naturalmente, che in quei momenti soleva guardarmi come una mamma orso guarda i cacciatori.
Sentivo che mi stavo addentrando nel suo territorio, e che lo avrebbe difeso con le unghie e con i denti, se fosse stato necessario.
Da parte sua Flint era molto attento a non avvicinarsi troppo a me, anche se quando succedeva, mi guardava in modo diverso rispetto a prima.
Non sapevo bene come interpretare quello che stava succedendo, e se da una parte ero felice ed eccitata quando ero con lui, dall’ altra ne ero spaventata.
Long John Silver non era certo un uomo da provocare e inoltre, sapevo che tra di loro c’ era un legame troppo profondo per essere spezzato.
C’ era anche un altro timore, che mi teneva sveglia la notte. E se mi scoprissero per ciò che sono? Se Flint sapesse che sono una donna, mi terrebbe con lui o mi abbandonerebbe per sempre? E Silver, e Billy… Chissà cosa penserebbero di me tutti quanti.
Con questi pensieri che mi tengono sveglia, decido di andare un po’ sul ponte con il mio violino. A quest’ ora della notte dormono tutti, ad eccezione degli uomini di guardia, e posso suonare quello che mi suggerisce il cuore, guardando le stelle che illuminano il cielo oscuro.
Mentre percorro i corridoi cigolanti e bagnati, ripensando a tutto quello che stavo vivendo in quei giorni, senza neanche accorgermene arrivo di fronte alla cabina del capitano. Mi fermo di fronte alla porta, e raccogliendo un po’ di coraggio, mi chino.
Mi maledico un poco per la mia curiosità, se mio padre potesse vedermi adesso…
Oltre la serratura della porta, Flint e Silver sono avvolti in un abbraccio, nudi e rilassati giacciono sul letto, ogni tanto uno si sporge per baciare l’ altro, per accarezzare il suo viso.
Sembra come se fossero in un mondo tutto loro, e io mi sento un’ intrusa…
Afferro il mio violino e mi alzo in piedi, correndo velocemente verso la scaletta. Quando senza fiato arrivo sul pontile, chiudo gli occhi e respiro a pieni polmoni la brezza notturna.
Finalmente arrivo all’ estremità della poppa, e mi sistemo sulla bordata, sotto l’ albero di mezzana.
Lascio che sia il cuore a guidare la mia mano, e inizio a muovere la bacchetta sulle corde, senza più fermarmi per ore ed ore, mentre lacrime sottili scendono sulle mie guancie.
 
 
Mare dei Caraibi – 12 luglio 1717
 
Il cielo era oscuro, illuminato solo dai lampi e dai tuoni che squarciavano le nuvole, e si abbattevano ripetutamente tutto intorno a noi. Il vento di tramontana era così forte da scagliare le casse e le persone da una parte all’ altra della nave, innalzava onde alte 10 o 12 metri, che una dopo l’ altra si infrangevano sulla nave, facendola dondolare pericolosamente. L’ acqua  gelata entrava fin sotto coperta, e scaraventava tutto e tutti in mare.
Alcuni uomini erano già stati inghiottiti per sempre dall’ oceano, e ben presto avremmo fatto tutti la stessa fine.
La tempesta continuava da quasi 11 ore, e sembrava non dovesse finire mai.
Io e Billy eravamo sotto l’ albero di maestra, cercando di legare alcune provviste, Flint era accanto al timoniere e insieme tenevano salda la presa, cercando di portarci lontano da qui, mentre Silver guidava gli uomini sul pontile.
“Controvelacci, presto! Voi, ammainate le vele!”  Urlava, spostandosi da una parte all’ altra. “La tempesta si stà spostando Flint, vira tutta a triborda!”
“Agguantate gli amantigli, fate presto con gli imbrogli di gabbia!” - Urlava a sua volta Flint - “Billy, prendi 5 uomini e vai sottocoperta, mettete al sicuro le armi e la polvere da sparo!”
“Si capitano!” Urlò lui, poi si voltò verso di me, dicendomi: “Stai attento alle onde Blake, legati l’ estremità di una corda alla vita e l’ altra all’ albero, così non finirai in mare! Hai capito?”
“Si!” Mi misi immediatamente a fare un nodo scorsoio, cercando di legarmi saldamente al tronco.
Passarono solo pochi istanti, e un onda si 15 metri si avvicinò minacciosa a noi.
“Reggetevi!” Urlò Flint.
Le mani tremavano copiosamente per la paura e il freddo, rendendomi difficile finire di legare il nodo al tronco, ma proprio prima che ci travolgesse in pieno, forse spinta dall’ adrenalina, riuscì a completarlo.
L’ onda ci travolse in pieno, con una tale forza da schiacciarmi il petto come un masso, facendomi ingoiare acqua, sbattendomi contro il pavimento.
La nave si alzò pericolosamente da un lato, facendo scivolare tutti sulla bordata, alcuni oltre il limite, dritti negli abissi. C’ era chi si aggrappava agli alberi, chi alle corde, chi agli amici.
“Dio misericordioso, salvaci!” Disse un uomo accanto a me, reggendosi disperatamente ad un cassa.
Quando l’ acqua abbandonò la nave, essa si abbassò velocemente, al punto che pensai che si sarebbe spezzata, e che per noi sarebbe stata la fine.
L’ onda d’ urto ci scaraventò da ogni parti, mentre urlavamo in preda al terrore.
Poi per qualche momento, tutto tornò tranquillo, la nave era di nuovo stabile e in equilibrio, e alcuni uomini si stavano già rialzando per ritornare alle loro posizioni, quando udimmo un urlo agghiacciante provenire dall’ oceano.
“E’ il capitano! E’ caduto in mare!” Disse Billy, sporgendosi dalla bordata.
“James!” Urlò a squarciagola Silver, cercando di tuffarsi verso di lui.
“No! Fermati!” - Lo trattenne Billy - “Se ora salti sarete in due a morire! Non abbiamo modo di mandare una scialuppa a prendervi, non c’è niente che…”
“Non osare dirlo! Non ci provare!” Replicò Silver, colpendolo con un pugno al viso.
“Ragiona! Non piace neanche a me, ma il capitano è perduto ormai! E non possiamo rischiare altre vite, non con le poche che ci sono rimaste a bordo!”
“Allora vorrà dire che rischierò solo la mia! Non lo lascerò lì a morire, andrò a prenderlo fosse l’ ultima cosa che faccio, e tu non provare a fermarmi o sarà peggio per te!” Rispose Silver minaccioso.
“Se non lo faccio, sarà peggio per tutti noi! Come nostromo, come amico, devo fare qualcosa.” Nel dirlo, Billy fece cenno ad altri uomini, che presero Silver per le braccia e la vita, tenendolo saldo mentre lui si dimenava e urlava come un pazzo.
Ed io ero lì, immobile, inutile, a guardare l’ uomo che stavo iniziando ad amare scomparire negli abissi, e l’ uomo che lui amava battersi disperatamente per la sua vita.
Dovevo fare qualcosa, qualsiasi cosa.
Mi arrampicai sull’ albero maestro, sempre più in alto.
Arrivata quasi a metà della sua altezza, cominciai a percorrere il tronco orizzontale, tenendomi salda alle cime per non cadere.
Camminavo su quello stretto e scivoloso pezzo di legno, sotto di me la nave, di fronte a me il vasto oceano, e in lontananza Flint che lottava per restare a galla.
“Blake! Scendi subito o ti ammazzerai!” Urlò Billy, mandando subito due uomini per recuperarmi. “E’ una follia! Ascoltami e vieni giù per l’ amor del cielo!”
Billy aveva ragione, era una follia. Eppure, non ero mai stata così sicura di qualcosa in vita mia, Sapevo dentro di me, che quella era l’ unica cosa che potevo fare.
Non lo avrei lasciato morire, non avrei rinunciato così a lui.
Sono quasi sull’ estremità del tronco, cerco di mettere a fuoco Flint e indirizzare i miei piedi nella sua direzione.
“Fermati ragazzo!” Una voce alle mie spalle mi fa sussultare, facendomi sbilanciare pericolosamente.
Riesco ad aggrapparmi ad una fune, poco prima che qualcosa colpisca l’ uomo alle mie spalle, facendolo cadere sul pontile.
“L’ ho detto che non ho una buona mira!” Esclama Silver, facendomi l’ occhiolino.
Sorrido di rimando e mi preparo al salto. E’ il momento, ora o mai più.
Arretro di qualche passo, prendo la rincorsa e salto, oltrepassando la nave, dritta nelle acque nere dell’ oceano.
E’ freddo, e buio, e la corrente mi spinge lontano.
Riesco faticosamente a tornare a galla, e una volta fuori respiro profondamente, sputando fuori l’ acqua salata.
“Clarissa… Clarissa…” 
Di nuovo quella voce…
Non c’ è una parte del mio corpo che non mi faccia male, eppure continuo a nuotare, ingoiando acqua e scontrandomi contro le onde, finchè non lo vedo.
Flint è quasi sprofondato tra le onde, lotta affannosamente per resistere, e nel vedermi  sembra sorpreso, quasi fossi uno spettro venuto a prenderlo.
“Va tutto bene capitano, sono Blake! Sono venuto a salvarvi!”
“Tu… Sei pazzo o solo stupido?!” Risponde lui adirato.
“Entrambe le cose, ma ora presto, reggetevi a me!”
Una volta che mi ha afferrata, chiamo a gran voce Silver e Billy, affinchè ci riportino a bordo.
La corrente è sempre più forte, e la corda sempre più corrosa, ma lentamente la forza degli uomini sulla nave, ci riporta verso di essa.
Un’ ultimo sforzo e siamo finalmente in salvo.
Per qualche istante rimaniamo uno accanto all’ altra, senza dire una parola, solo guardandoci negli occhi, e in quei pochi istanti, lui allunga la mano verso il mio viso, sfiorandolo appena.
Un attimo dopo Silver si precipita da Flint, aiutandolo a sollevarsi e prendendolo tra le braccia. Mi rivolge un cenno di ringraziamento, mentre aiutato da un marinaio trasporta il capitano sottocoperta. Lo seguo con lo sguardo, fino a che scompare.
“Stai bene Blake?”  Mi chiede Billy.
Annuisco, cercando di alzarmi in piedi. Le gambe mi cedono, e mi ritrovo tra le sue braccia senza più forze.
“Tranquillo, ci penso io! Ti porto subito dal medico!”
“No! Per favore Billy, portami nella mia amaca, io… Ho bisogno di riposare.”
“Va bene, non preoccuparti, ti proteggo io.” Risponde lui, prendendomi in braccio.
Cullata tra le sue forti braccia, appoggiata al suo petto, mentre la vista si appanna e sento che stò per perdere conoscenza, per qualche strano motivo mi sento al sicuro.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Costa - Castilla del Oro – 27 luglio 1717 ***


Costa -  Castilla del Oro  – 27 luglio 1717
 


“Terra in vista!”
Iniziammo a vedere le sponde in lontananza, bianche spiagge che ricoprivano tutta la costa, verdeggianti montagne al di là di esse.
Gli uomini esultavano e cantavano, eccitati per la scoperta e grati di essere arrivati fin lì, nonostante tutte le traversie che avevamo affrontato.
C’ era chi ringraziava Dio e chi stava già affilando la spada. Un vecchio uomo pianse, non so’ se per la gioia di essere salvo o la tristezza di non essere rimasto per l’ eternità in mare con i suoi fratelli.
Flint abbozzò un sorriso, mentre con il cannocchiale scrutava le coste.
Silver che era al suo fianco come sempre, quasi fosse la sua stessa ombra, aveva l’ espressione compiaciuta e intimorita allo stesso tempo. Sapevo che una mente come la sua, stava già esplorando quelle terre in cerca di possibilità vantaggiose e insidie nascoste.
Billy stava festeggiando con alcuni uomini, quando per un momento mi passò vicino, e colse l’ occasione per abbracciarmi.
Durò solo qualche istante, eppure fu una bella sensazione condividere quella gioia con lui.
“Preparare le scialuppe!” – Disse il capitano – “Formate squadre di sei uomini e caricate armi e viveri a bordo.” Poi diede uno sguardo al suo quartiermastro, sfiorandoli appena la mano quando nessuno gli vedeva.
Silver dal canto suo sorrideva, senza distogliere gli occhi da quella terra ricca di promesse.
“Mollate gli ormeggi! ” Esclamò una volta arrivati in prossimità della spiaggia.
Quando finalmente misi i piedi sulla sabbia, fui così felice che piansi e mi inginocchiai, accarezzandola con le mani. Era calda e sottile, e per un attimo, mi parve di sentire di nuovo quella voce, che mi chiamava in lontananza.
Avvertivo con chiarezza il richiamo di quella terra, come se fosse destino che  vi arrivassi.
“Stai bene Blake?” Mi chiese Billy, porgendomi la mano.
“Si… Sai non so’ bene come spiegarlo, ma è come se in qualche modo, io fossi già stata qui.”
Lui sorrise, passandosi una mano tra i capelli biondi, e disse: “Forse in un’ altra vita…” Poi mi tiro su, e aggiunse: “Ora però concentriamoci su questa, abbiamo ancora molta strada da fare.”
“Prima dobbiamo trovarla, quella strada.” Gli rispose di rimando Silver, che studiava attentamente il libro, cercando una via tra le sue vecchie pagine.
“E’ qui da qualche parte, lo sento.” Dissi io, guardandomi intorno.
Qualche ora dopo, ci mettemmo in marcia. Flint e Silver erano alla testa di venti uomini, Billy e io chiudevamo la fila e ci occupavamo della retroguardia.
Mano a mano che ci inoltravamo nella foresta,  il mondo che conoscevamo spariva dietro di noi.
Alberi alti fino alle nuvole, con tronchi spessi come case e decine di rami che ospitavano uccelli di ogni forma e colore, in grado di fare canti vivaci o lugubri suoni. C’ era una fitta vegetazione che cresceva tra le grandi radici degli alberi, e tra di essa viveva una moltitudine di piccoli e strani animali, che in alcuni casi si rivelarono pericolosi.
C’ erano fiori che sputavano veleno e altri che mordevano, insetti grandi come bottoni e serpenti lunghi come tre di noi messi insieme. Spaventose ombre che di notte ruggivano, e occhi infuocati che ci seguivano di giorno.
Perdemmo alcuni uomini per la febbre, altri inghiottiti dal fango o persi tra i labirinti di rovi, altri ancora, divorati da animali con lunghe zanne e il manto come giallo come il sole.
C’ erano cascate altissime, acqua fresca e cristallina nei fiumi e abbondanti pesci con cui nutrirci. Trovammo anche dei conigli e altri piccoli mammiferi, che per alcune settimane ci permisero di sopravvivere.
Più il viaggio continuava tuttavia, più le nostre condizioni peggioravano.
Da una settimana eravamo tormentati da una fitta e incessante pioggia, che insieme alla fame e alla stanchezza, sfiancava i nostri corpi.
Ma era la paura, il nostro maggior pericolo, sosteneva Flint.
Orribili ombre si muovevano silenziose nella notte, colpivano all’ improvviso e una volta che si ritiravano tra gli alberi, potevamo sentire le urla strazianti della loro vittima. Tra gli uomini si era sparsa la voce che la giungla fosse maledetta, e c’ era voluta tutta l’ astuzia di Silver, per convincerli a continuare il viaggio.
Delle 22 anime che si erano inoltrate nella giungla, ne erano rimaste solo 16.
Nonostante questo, proseguimmo, alcuni guidati dalla speranza, altri dalla paura.
Mi chiesi spesso cosa guidasse il capitano, ma non osai chiederglielo.
Silver era sempre dietro di lui, e Flint con la coda dell’ occhio controllava che ci rimanesse. Non si perdevano mai di vista, ognuno proteggeva l’ altro dai pericoli della foresta, e perfino nelle lunghe notti rimanevano fianco a fianco, ad osservare le stelle accanto al fuoco. Quando uno dormiva, l’altro lo vegliava, e viceversa.
Dal fondo delle retrovie, io gli osservavo giorno dopo giorno. Ogni tanto Flint si voltava verso di me, come ad assicurarsi che io stessi bene. Riuscì anche a trovare il tempo per continuare ad addestrarmi con la spada, e con mia grande sorpresa, a poco a poco riuscì a tenergli testa, anche se tra di noi vi era ancora un abisso.
Faceva attenzione a non avvicinarsi a me, e allo stesso tempo si assicurava di non allontanarsi troppo.
Dal canto suo, in quelle ultime settimane Billy mi era rimasto sempre vicino. 
Era premuroso nei miei confronti, mi teneva sempre da parte un po’ di carne quando i cacciatori tornavano vittoriosi, divideva il pane con me quando tornavano  a mani vuote, o non tornavano affatto.
In più di una occasione lo avevo visto allungarsi prontamente verso di me, per poi staccarsi bruscamente con un serpente in mano.
Quando cadevo, era sempre lì a tendermi la mano, quando piangevo, aveva sempre una battuta pronta per strapparmi un sorriso. Quando sanguinavo, aveva sempre un pezzo di camicia da strapparsi per avvolgermi la ferita. A volte quando dormivo potevo sentire il suo corpo accanto al mio, a riscaldarmi e proteggermi. Altre volte restava dall’ altra parte del fuoco, ma i nostri occhi rimanevano incollati l’ uno sull’ altra, fin quando non si chiudevano per il sonno.
Nei giorni che seguirono, attraversammo fiumi sconfinati e torbidi, le cui acque erano abitate da mostruose creature verdi, nelle cui bocche vi erano due fila di denti per ciascun lato, in grado di divorare e smembrare un uomo intero.
Scalammo montagne ripide e colme di insidie nascoste, come le frane che ci travolgevano all’ improvviso, o precipizi rocciosi dietro i fitti cespugli.
Ogni tanto, avvistavamo piccoli uomini scuri nascosti tra gli alberi, a volte addirittura sopra i loro rami come scimmie, ma il tempo di un urlo, ed erano già scomparsi.
“Ci seguono fin da quando siamo entrati nella foresta – Disse Billy, poco dopo averne avvistato uno – Anche se ne ignoro il motivo. Se avessero voluto ucciderci, lo avrebbero già fatto.”
“Forse vogliono proteggerci…” Risposi io.
“Tu proteggeresti chi invade la tua terra con spade e asce?” Replicò lui.
Non seppi come rispondergli.
Ci eravamo quasi abituati alla loro presenza, alcuni pensavano  che fossero i guardiani della foresta, e che fossero qui per guidarci e proteggerci. Altri credevano si trattasse di demoni custodi, furenti con noi per essere entrati nel loro territorio, e che di notte si trasformassero in animali per divorarci.
Ad ogni modo, fino a quel giorno non ci avevano dato problemi, per cui fummo tutti preoccupati quando improvvisamente iniziarono ad urlare strane parole verso di noi, lanciandoci pietre e bastoni.
Non capimmo all’ inizio, ma quando attraversammo il fiume, loro non ci seguirono,  rimasero in attesa dall’ altra parte, con i lunghi bastoni ornati di piume in mano.
Poco dopo, sentimmo degli strani suoni, provenire dall’ alto degli alberi. Iniziarono a piovere frecce su di noi, accompagnati dal suono dei corni, e prima che potessimo reagire, ci rendemmo conto di essere circondati.
“Uomini! – Tuonò Flint, estraendo la spada – “Formate un cerchio di difesa, restate uno accanto all’ altro e al mio ordine, attaccate!”
Così facemmo, loro si avvicinavano minacciosi, urlando parole sconosciute e agitando le lunghe lance appuntite verso di noi.
Erano diversi da quelli che ci avevano seguito nelle ultime settimane, più scuri nella carnagione, piume nere come ornamento al posto di quelle colorate, i tatuaggi erano di colori accesi e ricoprivano quasi tutto il loro corpo, portavano inoltre strani anelli di ossa intorno alle labbra o nelle orecchie.
Quando furono abbastanza vicini, Flint ordinò l’ attacco.
“Resta accanto a me!” Disse Billy, guardandomi un momento prima sferrare un’ attacco all’ uomo davanti a lui, colpendolo dal petto fino al ventre. 
L’ uomo emise un’ urlo agghiacciante, poi si accasciò a terra.
Il primo sangue era stato versato, e non sarebbe stato l’ ultimo.
Combattemmo fianco a fianco i nemici che si scagliavano come diavoli contro di noi, urlando per il dolore e la furia.
Mi colpirono alla gamba, al fianco, al petto, con così tanta violenza che il mio sangue colorava la terra ai miei piedi.
Billy faceva del suo meglio per uccidere più uomini possibile, senza mai allontanarsi più di qualche passo da me.
Allo stesso modo il capitano combatteva con indomita ferocia, senza mai allontanarsi troppo da Silver. In certi momenti, era come se fossero un solo uomo, si muovevano insieme, e uno finiva i colpi dell’ altro, li anticipava persino.
Nonostante questo, ogni tanto sentivo la voce di Flint guidarmi nella battaglia, non sono certa che fosse reale o solo nella mia mente.
Quando i corpi dei nemici a terra, furono più di quelli degli amici, finalmente ci fermammo a respirare. I pochi sopravvissuti tornarono agli alberi, suonando ripetutamente i lunghi corni ricavati dalle ossa.
“Torneranno, più numerosi di prima. Dobbiamo nasconderci e rimetterci in forze, prima che accada!”  Disse Flint, pulendosi del sangue dal viso con la manica della giacca.
“Chi è in grado di combattere con me, gli altri prendano i feriti!” Aggiunse Silver, aiutando alcuni uomini a rialzarsi.
Io tentai di sollevarmi da terra, ma una fitta lancinante al fianco mi fece urlare dal dolore, ricacciandomi a terra.
Billy arrivò in un attimo, mi sollevò delicatamente e mi prese in braccio, mentre io gemevo dal dolore e mi aggrappavo al suo petto.
Mi guardai intorno, e nonostante la vista appannata mi sembrò di contare solo 10 uomini in piedi, mentre dozzine ricoprivano la terra e la bagnavano con il proprio sangue.
Persi i sensi durante il tragitto, e quando mi risvegliai era già arrivata la notte.
Eravamo in una grande caverna, illuminata debolmente da un focolare che si trovava al centro, e intorno al quale gli uomini erano riuniti.
Alcuni mangiavano, altri dormivano, alcuni erano intenti a curare i feriti. Il nostro chirurgo di bordo si era ammalato molti giorni addietro, perciò avevamo dovuto imparare il più in fretta possibile, tutto quello che poteva esserci utile a sopravvivere. Silver se non altro ebbe la buona idea di trascrivere sul diario di bordo le tecniche più importanti, in modo che anche se gli uomini che le avevano imparate fossero morti, noi avremmo potuto andare avanti.
Lo scorsi in lontananza inginocchiato dietro una grossa roccia, intento a cucire il ventre squarciato del capitano, e poi a fasciarlo con cura.
Me ne stavo rannicchiata a terra, cullata dal calore del fuoco, e lo guardavo prendersi cura del capitano, con una dolcezza di cui ero invidiosa.
Flint gli accarezzava i capelli e le guance, e di tanto in tanto si chinava per baciarlo, anche se Silver protestava perché saltavano i punti.
“Non c’è modo di separargli… - Disse Billy all’ improvviso, sedendosi accanto a me – Credimi, ci ho provato per anni, con il solo risultato di rendergli ancora più forti. Gli ho messi uno contro l’ altro, ho provato a spingergli a tradirsi a vicenda ma… Ogni difficoltà che hanno attraversato, gli ha uniti ancora di più. E’ come se fossero un anima divisa in due corpi.”
“Perché… Perché mi stai dicendo questo?” Chiesi io titubante.
“Perché tu lo ami.”
Cercai di alzarmi e protestare, ma lui mi mise una mano sulle labbra e con l’ altra mi spinse delicatamente a terra.
“Non ti preoccupare, non devi negarlo… Non con me.” - Disse con voce calma -“Posso comprendere ciò che ti passa per la testa, tutti noi proviamo dei sentimenti prima o poi, anche se non lo vogliamo.”
Io ero a terra, con la sua mano ancora sulla bocca, e l’altra ad accarezzarmi il fianco.
Iniziavo a provare delle emozioni confuse, e non capivo se all’ origine ci fosse Flint o lo stesso Billy.
“Non posso negare che negli ultimi tempi, ho iniziato a provare un forte legame nei tuoi confronti… All’ inizio ne ero sorpreso, non avendo mai avuto interesse per gli uomini, e pensavo si trattasse di affetto fraterno. Ma poi, tutto mi è stato chiaro.”  Disse, accarezzandomi delicatamente il fianco, per poi risalire fino al seno.
Sussultai un poco, spaventata da quello che stava succedendo.
“Scusami!” Disse lui, spostando la mano. “Non avrei dovuto… Ma non devi avere paura, non voglio farti del male.”
“Tu… Tu lo sai?” Chiesi io, con il suo pollice ancora sul labbro e le altre dita sulla guancia.
“Si, ma non ti devi preoccupare. Non l’ ho detto a nessuno e non intendo farlo.”
“Perché?”
“Perché non è ciò che tu desideri e perché… Non so’ cosa accadrebbe se il capitano e gli uomini lo scoprissero. Forse vorrebbero scoparti o forse ti manderebbero via,  in entrambi i casi rischierei di perderti, e non voglio farlo, Blake.” Dicendolo, mi accarezzava il viso e i capelli, ed io non seppi mandarlo via.
Nonostante quello che provavo per Flint, non riuscivo a staccarmi dal suo tocco.
Rimanemmo così a lungo, senza dire niente, fino a quando si chinò su di me, e dopo un breve attimo di esitazione, mi baciò sulle labbra.
Era bello, baciarlo. Era dolce come il miele ma caldo come il fuoco, si muoveva sulla mia bocca e con la lingua giocava con la mia, mentre un mano si insinuava sotto la camicia, arrivando fino al seno.
Il mio corpo si stava accendendo, prendeva fuoco come il focolare al nostro fianco.
Sentì la sua mano insidiarsi sotto i pantaloni, in mezzo alle cosce… Tremai quando mi sfiorò, gemetti quando le sue dita entrarono dentro di me.
Sentivo come se in quello stesso momento stessi sbocciando in qualcosa di diverso, come il bruco che si tramuta in farfalla…
Avrei voluto che non si fermasse più, ma purtroppo feci un errore: Aprì gli occhi.
In quel unico istante di debolezza, vidi il volto serio di Flint, la smorfia contratta sulla sua bocca, il suo sguardo carico di furia.
Mi bloccai immediatamente, come se una violenta pioggia si fosse abbattuta su quel focolare, riducendolo in cenere.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Foresta- Castilla del Oro - 19 settembre 1717 ***


Foresta - Castilla del Oro  – 19 settembre 1717


 
Erano passati cinque giorni, la tempesta era peggiorata e non accennava a smettere,
i feriti faticavano a rimettersi in quelle condizioni, indeboliti anche dalla mancanza di cibo.
Nonostante questo, Flint trovava sempre il modo di tenerci uniti, anche se avvertivo una strana tensione tra di noi, come se qualcosa si fosse cambiato.
Quella sera ero di guardia all’ entrata della caverna, non potevo accendere il fuoco per via degli indigeni, per cui mi ero portata una coperta con cui avvolgermi, e me ne stavo lì tranquilla con lo sguardo perso tra gli alberi, quando sentì qualcuno avvicinarsi alle mie spalle.
Flint restò in piedi qualche momento, scrutando nella notte, poi si sedette a fianco a me, passandomi un boccale di vino caldo.
“Tieni, fa freddo questa sera…” Disse, sfregandosi le mani e soffiandoci sopra.
“Si, capitano. Ma almeno i fulmini tengono lontani gli animali selvatici…”
Lui annuì, e per un po’ rimanemmo vicini, ognuno perso nei propri pensieri.
“Non ti ho mai chiesto come mai ti sei unito a noi… Ci riflettevo negli ultimi tempi. Sei giovane, hai tutta la vita davanti a te, potresti fare qualunque cosa. Invece hai scelto di unirti alla mia ciurma, di fare il pirata. Non sei un uomo violento, anzi credo che tu tragga più piacere suonando il violino, che combattendo. Eppure sei qui…”
Stetti a riflettere per un po’, prima di rispondere… Non era facile per me aprire il mio cuore ad un’ altra persona. Vi avevo seppellito cose, che avrei voluto dimenticare per sempre.
“All’ epoca ero solo un bambino, mio padre faceva il marinaio nella nave mercantile del capitano Holwald. Quando tornava a casa da un lungo viaggio, mi raccontava le avventure che aveva vissuto, tenendomi al suo fianco vicino al fuoco. Mi raccontava delle tempeste che avevano quasi affondato la nave, dei pirati sanguinari con cui aveva combattuto, di isole sperdute, mostri e sirene dalla voce incantata, ed ogni volta io sognavo di essere accanto a lui, addormentandomi felice. Poi un giorno tornò con una gamba sola e il viso sfigurato da un enorme cicatrice, e da allora, non fu più lo stesso. Non gli permettevano di viaggiare, e passava le ore del giorno e della notte a bere e a guardare il mare. Diceva di sentire la sua voce chiamarlo. ”
Il capitano mi ascoltava con la testa china, gli occhi persi all’ orizzonte.
“Iniziò a… Essere violento. Ogni giorno sempre di più, finchè il padre che avevo conosciuto e amato, non scomparve per sempre, tramutandosi in uno dei mostri delle sue storie.
Per tutta la vita lo avevo ascoltato narrarmi le sue avventure, e ormai non avevo che quello a cui aggrapparmi…  Una mattina, gli ho dato un bacio mentre dormiva e mi sono imbarcato verso Nassau. Mi aveva parlato di voi, mio padre, del vostro coraggio. Così sono venuto a cercarvi, e da allora non mi sono più voltato indietro.”
“Mi dispiace per quanto ti è accaduto, devi aver sofferto molto, per aver fatto questa scelta.” – Esclamò con malinconia Flint - Quando qualcuno che amiamo ci viene strappato via,  si crea un vuoto dentro di noi, oscuro e profondo, fatto di dolore, solitudine e rabbia. Cresce ogni giorno di più, e a volte sembra stia per inghiottirci. Eppure, l’ istinto di sopravvivenza ci spinge a reagire, ad aggrapparci a qualcosa per andare avanti. Io mi sono aggrappato alla rabbia.
Ho fatto dell’ odio il mio scudo e la mia spada. Tu invece, ai sogni, alla speranza…
C’ è grazia in questo, e nobiltà d’ animo. Sono fortunato, ad averti tra i miei uomini.”
“Grazie capitano. Sono io il fortunato, a poter essere accanto a voi.”
Flint rimase in silenzio, guardandomi intensamente negli occhi.
Mi sembrava di essere sotto un’ incantesimo, non riuscivo più a distogliere lo sguardo. Prese un profondo respiro, poi con la mano mi accarezzò il viso, spostando una ciocca di capelli castani dalla mia fronte.
Lentamente si chinò per baciarmi, e quando le sue labbra si posarono sulle mie, un brivido gelato mi attraversò il corpo.
Il tempo si era quasi fermato, non sentivo nemmeno più la pioggia… Sentivo solo lui, il tocco delicato della sua mano sulla mia pelle, il fuoco delle sue labbra, la passione che aveva dentro di sé.
Si fermò bruscamente, quasi perdendo l’ equilibrio e indietreggiando un poco.
“Mi dispiace, non avrei dovuto farlo!” Disse nervosamente.
“V-va tutto bene Capitano.” Risposi io.
“No… Non posso farlo. Non potrei mai perdonarmi se lui…” Si alzò in piedi, passandosi le mani sul viso e sulla testa.
“Vi chiedo perdono, capitano…” Risposi con la voce incrinata.
“Non hai nulla di cui farti perdonare, sono io che ho sbagliato. E’ una mia responsabilità, pensare a suoi bisogni prima che ai miei, alla sua felicità prima che alla mia. Sono stato debole e sciocco. Non capiterà mai più, te lo prometto.”
“Ma io… Io vi amo.” Dissi con un sussurro, mentre le lacrime si confondevano con le gocce di pioggia sul mio viso.
“Tu non sai cosa sia l’ amore. – Disse con un mezzo sorriso - Sei giovane e innocente, pieno di fantasie e sogni per il futuro. E’ giusto che sia così ma… Io sono come i mostri delle storie di tuo padre. Sono un mostro. L’ oscurità mi ha inghiottito, molto tempo fa. C’ è solo una luce, un faro, che mi guida nel mio cammino. John Silver…
C’ è tra lui e me una comprensione infinita Blake... E’ il solo a vedermi per quel che sono veramente, e non è mai fuggito. Se perdessi lui, sarebbe come perdere una parte di me stesso, una parte senza la quale non posso sopravvivere. Non voglio farlo.”
Si avvicina un poco a me, sorridendo appena, e mi accarezza il viso con dolcezza.
“Non piangere, passerà vedrai. Supererai questo momento come hai superato gli altri, e un giorno, non sarà che un ricordo lontano.”
Annuisco, posando la mia mano sulla sua.
“Blake!” Urla Billy, arrivando alle nostre spalle.
Flint sposta immediatamente la mano, “Non stà succedendo niente, torna dentro.”
“E se non lo facessi?” Risponde Billy con l’ espressione seria. Non lo avevo mai sentito parlare così al capitano.
“Ti conviene farlo. Io ti seguirò tra un momento.” Esclamò Flint, posando la mano sulla spada.
Billy fece lo stesso, mentre si avvicinava.
“Basta! Billy ti prego!” Urlai io, andandogli incontro. “Va tutto bene!”
Bastarono pochi minuti, prima che le cose precipitassero.
Non capì nemmeno chi avesse cominciato, mi ritrovai in mezzo a loro a cercare di separargli, mentre si prendevano a pugni.
Poco dopo Billy mi spinse a terra, e a quel punto iniziarono a fare sul serio.
Continuavo a urlargli di smetterla, di fermarsi, ma non mi ascoltavano.
Provai a separargli con le mie forze, ma erano avvinghiati come due belve, e non c’ era modo di dividergli.
Flint stava colpendo Billy al volto, e niente di ciò che dicevo pareva importargli in quel momento.
Era colpa mia se stava succedendo, eppure non sapevo più cosa fare per fermarli.
L’ unica cosa che potevo fare, era andarmene. Forse così avrebbero smesso di lottare per me. Presi a correre nella foresta, senza fermarmi, urlando così forte per il dolore che i tuoni sembravano farmi eco.
Faceva male, bruciava come una ferita aperta.
Caddi a terra esausta, piangendo e tremando, rannicchiandomi in posizione fetale.
Per un po’, sembrò che non ci fosse alcun suono nella foresta ad eccezione dei miei lamenti.
Poi udì quella voce.
“Clarissa… Clarissa.”
C’ era qualcosa di diverso però, la voce sembrava… Reale. Proveniva da dietro gli alberi che stavano di fronte a me.
“Clarissa… Clarissa!”
Mi alzai un poco da terra, mentre una bambina veniva verso di me. Reggeva una piccola torcia che illuminava il sole dorato sulla sua pelle nera.
Fece ancora qualche passo, tendendomi la mano.
“Come… Come sai il mio nome?”
Lei restò in silenzio, poi si voltò e iniziò a correre.
Mi alzai immediatamente e cercai di seguirla, addentrandomi sempre più nella foresta.
Era buio, e non sapevo dove mi trovavo. Sapevo solo che dovevo seguire quella piccola luce, e trovare la bambina.
La chiamavo, ma era come se non mi sentisse.
In lontananza alle mie spalle, iniziai a sentire le voci di Flint e Billy che urlavano il mio nome.
Ma non potevo tornare indietro, non ancora.
Continuai a correre, sbattendo contro gli alberi, inciampando nelle radici, senza mai perdere di vista il fuoco davanti a me.
Dietro di me, Flint, Billy e altri uomini mi stavano ancora seguendo, e questo se non altro mi confortava un poco, almeno non mi sarei persa per sempre… Anche se l’ idea di rivedergli e affrontare quello che era successo, era più spaventoso della foresta stessa.
Arrivammo davanti ad un lungo e stretto ponte di legno, sotto le sue estremità si ergevano muraglie in pietra nera che parevano sprofondare negli abissi, e in fondo ad esse, si poteva sentire il ruggito di un fiume.
La bambina correva sopra le tegole in legno, mentre il ponte scricchiolava pericolosamente, come un albero maestro quando stà per spezzarsi.
Dall’ altra parte del ponte, in lontananza, iniziavo a intravedere le luci delle torce, e dietro ad esse, uomini neri ornati con il simbolo del sole sul petto.
Improvvisamente una tegola si ruppe, e il piede della bambina finì nel vuoto. Urlò terrorizzata in una lingua sconosciuta, e subito gli uomini presero a correre verso di lei.
Corsi anch’ io, più forte che potevo, mentre la bambina urlava disperata e la tegola a cui si reggeva iniziava a spezzarsi.
Un uomo correva verso di lei tendendole la mano, ma era troppo distante per poterla salvare.
Nel preciso istante in cui la seconda tegola si spezzò, io afferrai la mano della piccola, tirandola su.
Per un momento la vidi bene in volto, aveva grandi occhi scuri pieni di lacrime, capelli corti e un sorriso sulle labbra, le guance ornate con il simbolo del sole.
Ma il tempo di stringerla tra le braccia, e le tegole intorno a noi si spezzarono, facendoci crollare nell’ oscurità con esse.
Abbracciai forte la piccola facendole da scudo, e mentre cadevamo nell’ oblio, l’ ultima immagine che vidi fu Billy Bones che si sporgeva verso di me allungando la mano, mentre Flint da dietro lo tratteneva, con lo sguardo afflitto.
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Foresta - Castilla del Oro – 21 settembre 1717 ***


Foresta - Castilla del Oro  – 21 settembre 1717


 
Mi sentivo come se fossi sott’ acqua, i suoni erano ovattati, la vista sfocata, il mio corpo pareva fluttuare senza peso.
Aprì lentamente gli occhi, e i raggi del sole mi accecarono per qualche momento.
Sentivo i suoni della foresta, il canto degli uccelli, il fruscio del vento tra le fronde degli alberi, l’ acqua fresca che mi scorreva sulle mani e sui piedi, i capelli che scivolavano tra le onde.
“Clarissa!”
Voltandomi, vidi la bambina rannicchiata al mio fianco, con il viso contuso e ferite in tutto il corpo, tuttavia sorrideva felice. Mi prese il viso tra le mani, avvicinandolo al suo e premendo la sua fronte contro la mia.
Poco dopo, scorsi in lontananza il capitano e Billy, che correvano verso di me.
La bambina gli fece segno con la mano, mentre loro mi chiamavano a gran voce.
Flint mi prese tra le braccia, sollevandomi dalla sponda del fiume, mentre Billy al suo fianco mi reggeva delicatamente la testa, e finalmente mi sentì di nuovo al sicuro.
“Blake! Stai bene? - Disse Billy – Ti abbiamo cercato per giorni!”
Annuì, stringendo la sua mano.
“Ci hai fatto prendere un bello spavento!” Aggiunse Flint sorridendo.
Era uno di quei rari sorrisi di gioia pura che solitamente riservava a Silver.
“Ve l’ avevo detto che il ragazzo era forte!” Replicò lui, facendomi l’ occhiolino e posando la mano sulla spalla del capitano.
Avrei voluto dire qualcosa per ringraziarli, ma ero troppo debole per parlare.
Dopo un breve attimo di pace, iniziammo a sentire delle voci provenire dall’ altra parte del fiume.
“Uomini! Tenetevi pronti al combattimento!” Urlò subito Flint , estraendo la pistola.
Gli altri lo seguirono subito, preparando le spade e le asce.
Billy mi teneva tra le sue braccia, facendomi da scudo, il coltello ben saldo nella mano.
Gli indios si avvicinarono minacciosi, urlando e agitando i loro bastoni, correndo sulla riva bassa del fiume. Notai subito il sole sul loro petto, ma non ebbi la forza di dirlo ad alta voce.
“Pronti al mio ordine!” Disse Flint, prendendo la mira.
Gli uomini si misero in posizione, mentre gli indios tendevano i lunghi bastoni verso di loro.
Improvvisamente la bambina iniziò a correre, sorpassando i pirati e le loro armi, urlando a gran voce.
Un uomo le corse subito incontro, spalancando le braccia e chiamandola.
La bimba si tuffò sul suo petto, circondando la sua schiena con le piccole gambe.
L’ uomo piangeva, baciandola sulle guance e sulla fronte. Credo fosse lo stesso che ho visto quel giorno sul ponte… E credo che sia suo padre.
Poi la piccola indicò verso di me, e a quel punto vennero verso di noi.
Ancora sospettoso, il capitano abbassò di poco la pistola, e gli altri fecero lo stesso, consentendogli di passare.
Gli indios si avvicinarono un po’, restando silenziosamente di guardia.
Quando provò a toccarmi il viso, Billy mi spostò bruscamente, proteggendomi con le sue braccia.
“ Dovresti lasciarlo fare! – Esclamò Silver – Non vuole farle del male.”
“E tu come lo sai?” Replicò lui rabbioso.
“Guarda il sole sul suo petto! E’ lo stesso che ha la bambina sulle guance. Perché dovrebbe uccidere colui che ha salvato sua figlia?” Disse con calma, toccandogli la spalla.
Con riluttanza, Billy mi lasciò andare, permettendo all’ uomo di controllare le ferite sul mio corpo. Poi mi mise le mani intorno alla testa, sussurrando qualcosa.
Si alzò con calma, facendo segno di seguirlo.
Si rivolse alla sua gente, e questi abbassarono le armi, poi prese la bambina per mano e fece qualche passo. Lei prese la mia, cercando di tirarmi su.
Billy guardò il capitano, e questi annuì.
Si alzò in piedi tenendomi in braccio, la bambina sorrise e mi strinse la mano.
“E se fosse una trappola?” Disse d’ improvviso uno degli uomini.
“Forse vogliono solo ucciderci e mangiarci!” Aggiunse un’ altro.
“Se avessero voluto farlo, lo avrebbero già fatto. – Rispose Silver - Sono almeno il doppio di noi, e sapevano che eravamo qui, avrebbero potuto attaccarci di sorpresa dagli alberi e non ce ne saremmo neanche accorti.”
“Blake ha salvato una di loro – Esclamò Flint – Credo vogliano solo ripagare il favore.”
“Speriamo sia così. – Replicò Billy – Se provano a fargli qualcosa io…”
“Non accadrà. – Tagliò corto il capitano – E tu cerca di restare lucido, è una situazione troppo precaria, non possiamo permetterci errori!”
Billy non aggiunse altro, ma dal suo sguardo capivo che aveva già preso la sua decisione, e credo che lo sapesse anche il capitano.
Tuttavia non disse niente e proseguimmo la nostra marcia, anche se ne ho ricordi confusi. Continuavo a perdere i sensi, svegliandomi in posti del tutto differenti, tanto che non sapevo se quello che vedevo era frutto della mia fantasia oppure reale.
L’ ultima immagine di cui ho memoria è la grande cascata che stava di fronte a noi.
Gli indios gli passarono attraverso e sparirono, e così facemmo noi.
Oltrepassammo l’ acqua fresca, forte come cento uomini che ci colpivano.
Dopo mi sembrò di attraversare una lunga galleria oscura, e di sentire il fruscio dell’ acqua sotto i nostri piedi. Piccole luci intorno a noi, illuminavano il nostro cammino.
Una di esse si posa sulla mia mano, e subito ne arriva un’ altra a posarsi sul mio petto.
“Sono lucciole! – Esclamò Billy  sorridendo– Non ne avevo mai viste così tante insieme…  Devi piacergli!”
Sorrisi anch’ io, osservando la piccole luci che si posavano sulle mie gambe e sui capelli.
Non so’ di preciso quanto tempo passammo in quelle gallerie, ma quando riaprì gli occhi eravamo di fronte ad un lago cristallino, chiuso tra alte montagne innevate.
Al centro della vallata, oltre il lago, vi erano case d’ oro che brillavano al sole.
“L’ abbiamo trovato… - Disse Flint – L’Eldorado!”
Gli uomini urlavano di gioia, abbracciandosi tra di loro e festeggiando.
Billy mi guardo e sorrise, poi disse: “Sapevo che ci saremmo arrivati… Insieme!”
Flint e Silver non dissero nulla, si voltarono uno verso l’ altro e sorrisero, restando un po’ a guardarsi. Avevano quel modo di comunicare tutto loro, come se le loro menti fossero collegate in profondità.
Camminammo lungo un sentiero di mattoni gialli, circondato da prati e orti, e bagnato dalle sponde cristalline del lago.
Bambini semi nudi correvano liberi insieme agli animali, e al nostro passaggio ci vennero incontro ridendo e salutandoci.
Le donne raccoglievano i frutti della terra, vestite di foglie e di fiori, con bracciali dorati e lunghe collane di pietre preziose. Alcune di loro ci sorridevano curiose, altre invece arretravano di qualche passo timorose.
Gli uomini si ergevano imponenti e selvaggi, sentinelle della città d’ oro.
Avevano lunghe aste ricoperte d’ oro e massicci scudi, grandi tatuaggi variopinti che ricoprivano il loro corpo, piume tra i capelli e anelli dorati nelle braccia e nelle gambe.
Appena arrivammo si misero subito in posizione di difesa, formando uno scudo intorno alle porte della città.
L’ uomo e la bambina gli andarono incontro, e dopo avergli riferito qualcosa, la barriera di scudi si aprì, permettendoci l’ ingresso.
Ci trovammo davanti un grande piazzale di pietra, tutto intorno ad esso c’ erano le case anch’ esse di pietra, con i tetti d’ oro che scintillavano al sole.
Gli abitanti ci vennero incontro curiosi, alcuni ci toccavano i capelli e i vestiti, commentando stupiti tra di loro.
Flint restava immobile, evidentemente a disagio, ma impossibilitato a reagire.
Silver invece era curioso come gli indios, e ricambiava i loro gesti sorridendo.
Billy si guardava attorno sospettoso, e ogni volta che qualcuno si avvicinava a me, mi stringeva di più, sebbene il capitano non facesse che dirgli di smetterla.
“Non siamo in condizioni di offendergli!” Gli diceva nervosamente.
“Non mi interessa!” Rispondeva lui, cercando di non mostrarsi troppo aggressivo di fronte agli indigeni.
“Dovrebbe!” Replicò Silver.
“Al ritorno io e te faremo una lunga chiacchierata, Billy Bones.” Esclamò Flint.
Silver gli diede una gomitata, e zittì Billy prima che potesse rispondere.
“E’ assurdo che debba essere io l’ unico adulto…” Sussurrò tra sé e sé.
All’ improvviso ci venne incontro un uomo imponente con una corona di zanne, vestito con un lungo mantello giallo e nero. Dietro di lui lo seguiva un’ altro vestito con lunghissime piume nere, e al loro passaggio gli abitanti si inchinarono.
Flint rimase in piedi. Perfino Silver sapeva che convincerlo ad inginocchiarsi ad un re, sarebbe stato impossibile.
Gli uomini seguirono il suo esempio, il re sembrò indispettito, ma continuò a camminare verso di noi.
La bambina corse verso di lui, abbracciandolo. Lui le mise una mano sulla testa,
accarezzandole i capelli. Poco dopo il padre si alzò in piedi, e iniziò a raccontare quanto era accaduto.
In seguito il re venne verso di noi, guardò prima Flint, con profondo rispetto, come se intuisse di avere un suo pari di fronte.
Poi si avvicinò a me, posando la mano sulla mia fronte.
Subito dopo l’ uomo vestito di piume nere esaminò il mio corpo, tastando le ferite con le mani e recitando qualcosa. Poi fece cenno a due guardie di prendermi.
Billy all’ inizio oppose resistenza, ma Silver lo assicurò che non mi sarebbe accaduto nulla, e Flint, che se non mi lasciava subito qualcosa di brutto sarebbe accaduto a lui.
Sentì che mi sollevavano, e avvertì il calore del corpo di Billy che mi lasciava.
Arrivammo ad una grande tenda, dove mi posarono sopra un altare di pietra accanto al focolare. Attorno c’ erano oli e incensi, statue di animali e divinità.
Non so’ se fosse uno stregone o un medico, oppure entrambi, ma svestì il mio corpo e lo ricoprì di unguenti, lavandomi le ferite mentre cantava e soffiava su di me polveri colorate.
Più cantava e più il fuoco dietro di lui si alzava, il vento danzava intorno a me, mentre il mio corpo tremava e bruciava.
Più cantava, e più mi sembrava di non riuscire a respirare, tanto che iniziai a boccheggiare affannosamente.
Più cantava, e più mi sembrava di lasciare le mie spoglie, alzandomi sopra di esse. Potevo vedere il mio corpo nudo sotto di me, sollevarsi dall’ altare.
Avvertivo con forza l’ energia delle persone che avevo intorno…
Vedevo Billy accasciarsi a terra, aggrappandosi all’ altare in pietra.
Vedevo Flint accanto a lui, stringergli la mano sulla spalla, sospirando.
Silver era sulla soglia della tenda, e osservava sconcertato.
Nemmeno uno come lui, avrebbe potuto immaginare una cosa simile.
Poi il buio mi avvolse.
Quando aprì gli occhi ero in mezzo a quel piazzale di pietra, le donne sorridevano con dei cesti di frutta in mano, e i bambini giocavano tirandomi i vestiti.
Solo che non ero io… non era il mio corpo.
Era quello di mio nonno, l’ ammiraglio Edward Walker.
L’ avevo visto in un dipinto, quando ero molto piccola. Chissà perché mi era tornato in mente solo ora. Solo che quello non assomigliava all’ uomo nel dipinto.
La sua divisa era logora e scucita, non portava la spada e camminava a piedi nudi, con lunghi i capelli sciolti che si muovevano nel vento…
Tuttavia, sembrava felice, in pace. Giocava con loro, e rideva tirandogli una palla.
Improvvisamente, mi ritrovai nel mio corpo, in quello stesso piazzale, a giocare con altri bambini. I pirati caricavano d’ oro interi carri, bevevano e cantavano.
Flint e Silver ridevano e si baciavano, sdraiati su un prato verde smeraldo.
Billy era al mio fianco e mi teneva la mano, baciandomi la fronte.
Era così bello che avrei voluto durasse per sempre… Credevo fosse il paradiso.
Poi arrivò il fuoco, e ovunque mi voltassi vedevo solo quello: Fuoco che bruciava ogni cosa, riducendola in cenere. Bandiere spagnole si innalzavano, mentre coloro che le imbracciavano uccidevano senza pietà uomini, donne e bambini.
Strappavano loro i gioielli, massacrandogli uno dopo l’ altro e calpestando i loro corpi, avidi d’ oro.
Flint era a terra senza vita, con la spada ancora in mano, mentre Silver accanto a lui esalava gli ultimi respiri, dandogli un bacio d’ addio.
Billy si accasciò ai miei piedi, con la gola tagliata. Si aggrappò disperatamente al mio ventre, piangendo, mentre io gli accarezzavo i capelli e guardavo il grande fuoco avvicinarsi a noi, per poi chiuderci tra le sue fauci.
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** L’ Eldorado - Castilla del Oro – 23 settembre 1717 ***


L’ Eldorado - Castilla del Oro  – 23 settembre 1717

 
Quando riaprì gli occhi, la prima immagine che vidi furono i tendono colorati sopra di me, poi voltandomi notai Billy seduto a terra, ai piedi del mio letto.
Mi teneva la mano, con gli occhi chiusi e la testa appoggiata ad un palo.
“Blake!” Esclamò il capitano. “Ti sei svegliato finalmente…”
“O forse dovremmo dire, svegliata!” Aggiunse Silver, con un sorriso divertito.
“Perdonatemi…” Fu l’ unica cosa che riuscì a dire.
“Posso capire, perché non hai voluto dircelo... E’ difficile fidarsi di chi non si fida di te.” Disse Flint, avvicinandosi a me e accarezzandomi appena il braccio.
“Temevo che non mi avreste voluta… Che mi avreste mandato via. Mio padre diceva sempre che una donna a bordo porta sciagura.” Risposi io, alzandomi a sedere.
“Dipende dalla donna! Anne Bonny è una di quelle che conviene avere tra il proprio equipaggio… E così anche tu.” Replicò Silver, facendomi l’ occhiolino.
“Sai molto tempo fa… - Iniziò a dire Flint -  Anch’ io ho abbandonato la persona che ero, per diventarne una del tutto differente. Non so’ se questo sia un bene o un male, o solo il naturale evolversi delle cose, ma so’ che ormai non posso più tornare indietro. E allo stesso modo non puoi farlo tu. Ma da questo momento, esigo da te assoluta sincerità. Se non posso fidarmi di te, come posso affidarti la mia vita giorno dopo giorno?”
 “Lo prometto capitano. Può fidarsi di me.”
“Possiamo sapere il tuo vero nome adesso?” Mi chiese con un sorriso.
“Clarissa. Clarissa Walker, capitano!”
“Bene, Clarissa… Benvenuta nella mia ciurma!”
Poco dopo si svegliò Billy, che prese subito a controllarmi le ferite, continuando ripetutamente a chiedermi se stavo bene.
Era rassicurante, trovarlo sempre al mio fianco.
“Devo parlarvi – Dissi io, raccogliendo il coraggio – Mentre lo stregone cantava, ho perso i sensi e… Ho visto delle cose. Una visione di fuoco e morte.”
Raccontai ciò che avevo visto in ogni particolare, mentre loro ascoltavano pensierosi.
“So’ che è difficile da credere, ma è tutto vero. Io ero li… E so’ che se prenderemo quell’ oro, moriremo tutti.”
Dopo un lungo silenzio, il primo a parlare fu Billy.
“Io dico di andarcene finchè possiamo. Abbiamo già perso troppi uomini in questa impresa, e se quello che dice è vero, allora moriremo tutti. Non vale la pena morire così, in queste terre sconosciute. Dovremmo essere grati di essere ancora vivi e di poter tornare in mare…” Dicendolo, mi strinse la mano. “Insieme.”
“Non tornerò a mani vuote!” Urlò Flint. “Non dopo tutto quello che abbiamo perso. Non con quello che c’ è in gioco! Quell’ oro, potrebbe cambiare il destino di tutti… Se dovremmo combattere, allora lo faremo!” Aveva lo sguardo carico di furia, come prima di iniziare una battaglia.
“E perderemo!” Replicò Silver. “Che cosa vuoi fare? Sconfiggere l’ esercito spagnolo con otto pirati e indigeni armati di bastoni e pietre?”
“Cosa suggerisci di fare allora?” Ribattè Flint.
“Usare l’ astuzia anziché la spada! Torneremo a Nassau e diremo che non abbiamo trovato niente, che era solo una leggenda. Ognuno di noi rivenderà la sua parte ai piccoli mercanti sparsi nell’ isola, così non daremo nell’ occhio.”
“E cosa credi che accadrà quando i mercanti parleranno tra di loro? Capiranno che abbiamo mentito e la voce si spargerà. Finchè non ci troveremo con un armata alle nostre porte, a rivendicare quell’ oro. E una volta che ci avranno sottratto tutto, verranno qui a cercare il resto…”
“Potremmo dire che l’ abbiamo rubato ad un’ altra nave…” Aggiunse Billy.
“Saremo proprio degli uomini fortunati non credi? Non troviamo il tesoro, ma una nave carica di tesori? Troppo fortunati. Tu ci crederesti? Io, ci crederei?”
Silver scosse la testa. “Chi dice che dobbiamo tornare a Nassau? Le coste dell’ america del sud sono vaste, possiamo andare dove non ci conosce nessuno...”
“Navigando per mesi con una nave carica d’ oro? In balia di pirati, tempeste, soldati spagnoli, inglesi, e dio solo sa cos’ altro?!” Replicò subito Flint, sempre più adirato.
“Nascondiamolo allora! – Dissi io – Torneremo qui quando gli animi si saranno calmati, tra tre o cinque anni, e allora…”
“E dimmi, quanti in questa stanza possono dire con assoluta certezza, di essere vivi tra tre o cinque anni? O tra tre o cinque giorni?” Ribadì lui.
“Prendiamone solo una piccola parte allora, da spendere con discrezione nei prossimi mesi.” Provò a proporre Billy.
“Sarai tu Billy, a dire agli uomini che avranno le mani piene d’ oro ma non potranno spenderlo? Non credo che ti ascolterebbero.” Replicò Silver.
Flint lanciò una coppa contro il pavimento, urlando che non c’ era modo di prenderlo senza mettere a rischio il villaggio e noi stessi.
Rimanemmo ore in quella stanza, cercando nuove idee, ma una ad una venivano smontate dal capitano.
“Quell’ oro è maledetto.” Disse alla fine, uscendo fuori furente.
 

L’ Eldorado - Castilla del Oro  – 24 settembre 1717

 
Era una serata calda, e c’ era una lieve brezza fresca che proveniva dalle montagne. Gli abitanti e i pirati mangiavano da un ricco buffet accanto al focolare, cantavano ognuno nella propria lingua, bevevano da grandi calici dorati e ridevano tutti insieme, e anche se spesso non si capivano, in qualche modo trovavano il modo di scherzare.
Si avvertiva tuttavia una strana tensione nell’ aria, come la calma che precede la tempesta.
Flint era seduto su una pietra vicino al lago, a scrutare le stelle immerso in chissà quale riflessione.
Io lo osservavo non molto lontano, era così bello e sfuggente, che sembrava il frutto di un sogno. E come tale, più cercavi di raggiungerlo, più lui svaniva.
Silver arrivò dopo qualche ora con due calici in mano, e si sistemò accanto a lui.
Come spesso accadeva in quelle situazioni, mi sentivo un estranea, una bambina nascosta nella camera dei suoi genitori.
E come spesso accadeva, accantonavo quella sensazione, spinta dalla curiosità.
“Allora, cosa pensi di fare?” Chiese Silver dopo aver bevuto un sorso.
“La tentazione di prendere l’ oro e abbandonare la sua città al suo destino, è molto forte...”
“Condanneresti davvero tutte queste persone innocenti a morte certa?” Rispose Silver, sospirando.
“Si, e mi odierei per questo ogni giorno della mia vita. Ma attraverso il loro sacrificio potremo rendere Nassau libera. Potremo iniziare una guerra contro l’ Inghilterra.”
“E a quale prezzo? Quante città bruceranno? Quante persone moriranno?”
“E se morissi io? Ne sarebbe comunque valsa la pena?” Aggiunse trattenendo il respiro, quasi temesse la risposta.
“A te non succederà nulla. Ti proteggerò io, te lo prometto!” Disse Flint, prendendogli il viso tra le mani.
“Non puoi fare una promessa simile, non ne hai il potere… Non sei dio, James. “
Era la prima volta che lo sentivo chiamarlo con il suo nome.
“Non puoi proteggermi da tutto e tutti… Dalla guerra, dai pirati, dalle cannonate o dalle spade. Non a lungo, e quello che tu hai in mente richiederà anni di lotta…
E cosa farai quando morirò? Inizierai una guerra per me? E che farò se morirai tu… Ci hai mai pensato?!”  Dicendolo, aveva gli occhi lucidi e la voce incrinata.
“Ci siamo così vicini… Così vicini…” Sussurrò Flint.
“Siamo sempre vicini a qualcosa! E credimi, so’ quanto questo sia difficile per te. Lo è anche per me… solo due anni fa se mi fossi trovato in questa situazione, avrei rubato tutto l’ oro che potevo e sarei scappato via, calpestando il cadavere degli indigeni e il tuo senza voltarmi indietro. Ma sono cambiato, incontrandoti…
Ci sono altre cose, oltre l’ oro. Cose più importanti. L’ oro non ti scalda la notte, non bacia le tue ferite, non ti tiene la mano quando hai paura. Non può darti gioia,  o amore… Conduce solo al sangue e alla rovina. Ti prego ascoltami, ci saranno sempre tesori da conquistare e guerre da combattere… Ma questa volta, almeno questa volta, scegli me.”
Ci fù un lungo attimo di silenzio, in cui rimasero persi l’ uno negli occhi dell’ altro.
Più il capitano guardava Silver, più il suo sguardo cambiava.
Lentamente la rabbia sembrò svanire, lasciando il posto alla pace…
Come le onde scure che diventano cristalline, dopo la tempesta.
Annuì, posando la fronte contro la sua e stringendogli forte il viso tra le mani.
“Ti amo, John Silver.”
Silver sorrise e lo baciò.
I due rimasero travolti dalla passione, sotto le stelle che illuminavano i loro corpi nudi, mentre ansimavano e spingevano incastrati l’ uno nell’ altro.
Una lacrima scese dal mio viso, ormai era chiaro che lo avevo perso per sempre. Tuttavia, una parte di me gioiva della sua felicità, e un sorriso mi spuntò sulle labbra.
“Clarissa?” Chiese Billy, avvicinandosi alle mie spalle. “Stai bene?”
“Si… Grazie.” Risposi io, asciugandomi il viso.
“Non devi fingere con me, lo sai… Va tutto bene.” Disse, accarezzandomi la guancia bagnata.
“E’ la verità. Insomma, fa male. Tanto male, ma… Ora so’ che riuscirò a superarlo e andare avanti. Avevi ragione Billy, non c’ è modo di separargli. Non ci sei riuscito tu, non c’è riuscito il tesoro, e non ci riuscirò io. Semplicemente, è destino che stiano insieme. E va bene, posso accettarlo, solo vorrei che smettesse di bruciarmi il petto…”
Billy mi strinse a sè, avvolgendomi con le sue braccia forti.
“Ti aiuterò io a farlo… Ogni volta che piangerai, io sarò li ad abbracciarti. E ogni volta che sarai triste io ti farò ridere. Non posso promettere che sarai sempre felice, ma posso prometterti che io mi impegnerò ogni giorno affichè tu lo sia. Se questo ti basta, allora il mio cuore è tuo, Clarissa Walker.”

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** L’ Eldorado - Castilla del Oro – 27 settembre 1717 ***


L’ Eldorado - Castilla del Oro  – 27 settembre 1717


 
I nostri corpi nudi si muovevano senza peso nell’ acqua, cercandosi, sfiorandosi.
Le sue mani accarezzavano ogni centimetro della mia pelle, scoprendo i miei punti nascosti.
Avevo freddo e caldo allo stesso tempo, in quel lago azzurro e limpido.
Stretta forte tra le sue braccia, tanto da farmi mancare il respiro, stringevo i suoi capelli biondi tra le mie mani, baciandolo con passione.
Era la prima volta che un uomo mi amava.
Era la prima volta che mi sentivo così viva.
Lui sussurrò il mio nome, appoggiandomi contro uno scoglio.
Mi mise una mano tra le cosce, mentre io mi aggrappavo alla sua schiena, graffiando la sua pelle e mordendogli il collo.
Entrò dentro di me come un fiume in piena che travolge gli argini.
Faceva male, eppure, era la sensazione più bella che avessi mai provato…
Lui era dolce, ma selvaggio al tempo stesso. Baciava i miei seni, il mio collo, le mie labbra,  facendomi tremare e urlare di piacere.
Una scarica di adrenalina che mi attraversava il corpo e l’ anima…
Ora posso davvero capire, cosa vuol dire diventare la stessa cosa.
Raggiunsi il piacere più volte, prima che lo facesse anche lui dentro di me.
Mi prese in braccio,appoggiandomi delicatamente sulla sabbia. Si sdraiò al mio fianco, baciandomi la fronte e accarezzandomi dolcemente.
Non mi ero mai sentita così in pace con me stessa e con il mondo intero…
In quel momento mi sembrava di non aver bisogno di nient’ altro, né cibo né denaro, solo lui, solo questo.
Restammo insieme fino al calar della notte, ridendo, lui mi mise un fiore tra i capelli.
Parlammo per ore come non avevamo mai fatto, con sincerità assoluta, senza muri o difese, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Mi raccontò dell’ infanzia con la sua famiglia, e di tutti i pericolosi viaggi che aveva affrontato. Gli parlai di mio padre, delle sue storie della buonanotte, di come era stato il mio primo giorno su una nave pirata.
Piano piano arrivammo sempre più in profondità, là dove si celano le nostre paure più profonde. Quelle che nascondiamo negli abissi del nostro cuore.
Fu verso l’ alba, che il capitano Flint e Silver vennero a chiamarci, sorprendendoci a dormire nudi sotto la giacca di Billy.
“E’ il momento!” Disse il capitano, voltando lo sguardo.
Silver invece si fece una gran risata, mentre dava una pacca sulla spalla di Flint.
Ci vestimmo in tutta fretta, e poi ci mettemmo in cammino verso il villaggio.
Durante il tragitto, Silver aveva preso da parte Billy, e da circa un’ ora parlavano e ridevano tra di loro, facendosi scherzi come dei ragazzini. Era bello, vedergli così felici, nonostante tutto.
Ogni tanto Billy si voltava verso di me e sorrideva, facendomi l’ occhiolino.
E ogni volta io arrossivo come una bambina, anche se sgridavo me stessa per questo. Mi ripetevo che i pirati non arrossivano, ma non serviva a niente.
Flint se ne accorse e sorrise, sospirando tra sé e sé.
“E’ un bravo ragazzo, nonostante tutto. – Esclamò dopo - E’ ancora giovane certo, ha molto da imparare. Ma ha coraggio. E’ forte, determinato, e testardo, forse troppo.
Ancora non ha capito quando è il momento di fare di testa propria e quando ascoltare il suo capitano, confido in te per questo.” Disse, dandomi una pacca sulla spalla. “Forse lo aiuterai a crescere, a placare l’ irruenza della gioventù. Non troppo però, ci aspettano ancora molte battaglie!”
“Sono felice per te, Clarissa.” Aggiunse facendomi l’ occhiolino.
“Grazie capitano Flint.” Risposi io, dandogli un bacio sulla guancia. “Lo sono anche io per voi!”
Lui sembrò sorpreso, ma mi sorrise, chinando il capo.
Proseguimmo per qualche ora, fino ad arrivare alla soglia del villaggio, dove ci aspettavano i nostri compagni, e gli indios.
Ci caricarono di abbondanti provviste per il viaggio, e i più svariati doni:
Conchiglie e perle, corni, zanne e pellicce, calici e bracciali d’ oro. Coltelli e lance dorate, collane di fiori e pietre preziose dei più svariati colori.
All’ inizio ero un po’ titubante ad accettare quei doni, perché temevo che la mia visione si sarebbe avverata, così ne parlai con il capitano.
Lui sembrava condividere i miei timori, ma disse che non sarebbe stato saggio togliere agli uomini quel poco che avevano, o avrebbero rischiato l’ ammutinamento. Disse che era un piccolo prezzo da pagare, se volevamo tornare a casa…
Ne parlò comunque con Silver, e lui rispose che dopotutto, c’ erano molte cose che avrebbero potuto raccogliere loro stessi sull’ isola, dalla terra, dal mare e dagli animali. E in quanto alle altre… Disse che si sarebbe inventato qualcosa, come faceva sempre.
Al capitano sembrò bastare, del resto Silver lo aveva tirato fuori da situazioni ben peggiori. Decisi di fidarmi di entrambi, anche se avevo una strana sensazione, un brivido gelato percorreva la spina dorsale.
Improvvisamente tutti gli abitanti del villaggio si fecero da parte al cospetto del re. Portava con lui otto collane con dei medaglioni d’ oro, sopra i quali vi era inciso un serpente piumato, lo stesso che avevano anche lui e lo stregone tatuato sul petto.
Uno ad uno ce li mise al collo, per ultimo al capitano Flint.
L’ uomo battè una mano sul suo cuore, e poi fece lo stesso su quello del capitano. Come a volergli dire che erano fratelli.
Fece un profondo inchino con la testa, forse conscio di ciò che avevamo sacrificato per la loro sopravvivenza, e gli abitanti si inchinarono con lui.
Lo stregone del villaggio invocò i suoi dei affinchè ci proteggessero, e in quel momento un aquila volò sopra di noi, mentre un serpente strisciò tra i nostri piedi.
Una scorta di guerrieri ci accompagnò lungo il sentiero, ma una volta che oltrepassammo la cascata, sparirono dietro la foschia.
Eravamo di nuovo nella giungla, e sebbene la sconfitta, eravamo sereni.
Alcuni più di altri, se non altro…
Il capitano Flint aveva faticato molto per compiere quella scelta, e ogni suo passo, sembrava costargli fatica. Tuttavia, proseguiva, lo sguardo fisso su Silver, che camminava di fronte a lui.
Alcuni uomini erano ancora furiosi per il tesoro a cui avevamo rinunciato, sebbene i più fossero grati  di poter uscire vivi da quella giungla maledetta, con qualche prezioso in tasca per le mogli o le puttane.
Billy ed io eravamo di retroguardia, così da aver la possibilità di restare ancora un po’ soli, prima di salire di nuovo a bordo della Walrus.
Durante il viaggio di ritorno, accaddero cose strane, cose che non sapevamo spiegarci.
Una sorta di forza mistica ci proteggeva.
Qualcosa che governava le forze della foresta, dell’aria, e dell’acqua…
Non ci furono tempeste, né pioggia, né precipizi nascosti ad aspettarci.
Le bestie feroci, invece che scatenarsi contro di noi come furie, vegliavano sul nostro passaggio.
Perfino gli indigeni ci lasciarono passare, sorvegliandoci silenziosamente dall’ alto degli alberi. Si muovevano agili e veloci, come le scimmie intorno a loro.
C’ era tra di noi chi pensava che in quei luoghi sconosciuti e selvaggi, ci fossero dei e mostri, forze della natura che andavano oltre la nostra comprensione.
Altri invece, pensavano che quelle terre fossero maledette, che attirassero gli uomini in cerca di fortune per poi divorarli, come gli sventurati marinai che venivano ammaliati dal canto delle sirene.
Non so’ quale fosse la verità, ma so’ una cosa…
Io la avverto ancora, quella voce che mi chiama, quel vento che mi spinge.
E ricordo ancora quella forza antica e magica che mi ha mostrato le vie del passato e del futuro, quel giorno in cui giacevo sulla linea sottile che divide la vita e la morte.
La porto sempre con me, ogni giorno mi sprona ad andare avanti, verso nuovi e inesplorati orizzonti.


 
* Quetzalcoatl, divinità del Messico precolombiano, patrono dei sacerdoti, simbolo di morte e resurrezione, è di solito raffigurato come un Serpente Piumato, ibrido e mitico animale, che nelle culture mesoamericane rappresenta il principio cosmico della dualità: ciò che striscia e ciò che vola riuniti in uno stesso simbolo.
 
 
 
 
Mare dei caraibi  – 1 ottobre 1717
 
“Potete chiamarmi Clarissa.
Questa è la mia nave, la Walrus.
Questa è la mia ciurma, la mia famiglia, e da oggi fino al giorno in cui morirete sarà anche la vostra.
Questo è il mio capitano, James Flint, l’ uomo più coraggioso che possiate incontrare, ma anche il più spietato se lo tradirete.
Questo è il mio quartiermastro, John Silver, sappiate che niente sfugge ai suoi occhi, e che è sempre due passi avanti a voi.
Questo è il mio nostromo, Billy Bones, farete meglio ad ascoltarlo, se volete restare vivi.
Da oggi, voi non siete più solo uomini, voi siete pirati!
I terrori dei sette mari, i predoni degli abissi, siete coloro che rifiutano le regole, quelli che non chinano la testa, ma nuotano in questo mondo come squali, forti e liberi.
Salpiamo adesso, il mare ci chiama!”
 
 




NB Il disegno l' ho fatto io, quindi abbiate pietà :-)
Grazie a tutti per aver partecipato a quest' avventura, per essere salpati con me nel mare dei caraibi!
Al prossimo viaggio, ciurma!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3804057