I Will always love you

di EleNicka_MM
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



PROLOGO

Feci l'unica cosa a cui riuscii a pensare. Mi chinai e posai le labbra sulle sue. Lui esitò, solo un momento, poi mi baciò. E soltanto per un attimo dimenticai tutto: le mille ragioni per cui non avrei dovuto, le mie paure, il motivo per cui eravamo là. Lo baciai, perdendomi nel profumo della sua pelle, sentendo i capelli soffici sotto le dita, e quando lui ricambiò il bacio tutto svanì, ed eravamo soltanto io e Will, su un'isola in mezzo al nulla, sotto mille stelle palpitanti. Poi lui si ritrasse: [...] "Devo dirti una cosa."
"Lo so" sussurrai. "So tutto."
Le labbra di Will si chiusero sulle sue parole. L’aria sembrò diventare immobile intorno a noi.
"So della Svizzera. So…perché sono stata assunta con un contratto semestrale."
Sollevò la testa dalla mia mano. Guardò me, poi guardò il cielo. Le sue spalle si curvarono.

"So tutto. Lo so da mesi. E Will, ti prego, ascoltami…" Gli presi la mano destra e me la misi sul petto. "So che possiamo farlo. So che non è come avresti voluto, ma so di poterti rendere felice. E tutto quello che posso dire è che tu…tu fai di me una persona che non potrei nemmeno immaginare di essere. Mi rendi felice anche quando sei intrattabile. Preferisco stare con te, anche quella versione di te che tu consideri menomata, piuttosto che con chiunque altro al mondo."
Sentii le sue dita stringersi per un attimo intorno alle mie, e questo mi diede coraggio.
« Se pensi che sia troppo fuori luogo che io continui a lavorare da te, cercherò un posto da qualche altra parte. Volevo dirtelo, ho fatto domanda per un corso all’università. Ho fatto un sacco di ricerche su Internet, ho parlato con altri tetraplegici e i loro assistenti, e ho imparato così tanto, ho imparato tantissimo su come far funzionare le cose. Così posso fare altro e stare con te. Vedi? Ho pensato a tutto, cercato informazioni su tutto. È così che sono ora. È colpa tua. Sei tu che mi hai cambiato. » Abbozzai un sorriso. « Mi hai trasformato in mia sorella, ma con più gusto nel vestirsi. »
Aveva chiuso gli occhi. Misi entrambe le mani intorno alle sue, le portai alle labbra e gli baciai le nocche. Sentii la sua pelle contro la mia, e capii, come non avevo mai capito nient’altro, che non potevo lasciarlo andare.
« Che ne dici? » sussurrai.

"Va bene".

*parte in grasetto tratta dal testo del libro "Io prima di te" di Jojo Moyes*

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


 

Spalancai gli occhi. Non ero certa di quello che avevo sentito e gli chiesi di ripetere: "Va bene. In questi sei mesi ho aperto gli occhi, Clark. Sono riuscito a guardare oltre. E ho bisogno di credere che tutto quello che ho passato - tutte le umiliazioni, la sofferenza - sia stato un calvario necessario per poterti meritare nella mia vita."

Rimanemmo abbracciati per un tempo lungo una vita: non mi ero mai sentita così amata, così desiderata da qualcuno nella mia vita. La sua confessione mi aveva spiazzata, nella mia testa si iniziavano ad insediare brutti pensieri - potevo mai essere abbastanza? - ma li scaccia con determinazione: il progetto più importante della mia vita, quello di dare a questo bellissimo uomo - che mi amava! - una ragione per non suicidarsi, era riuscito e ora mi sarei goduta a pieno ciò che il destino mi aveva regalato.

Quella sera mi occupati di lui come mai avevo fatto. Non c’erano più imbarazzi, niente più barriere. Solo due persone che si volevano bene. Will era rilassato, calmo come mai lo avevo visto e ci addormentammo mano nella mano.

 

Lasciai il compito a Will di dirlo a Nathan, che quasi svenne dalla gioia e poi mi abbracciò ringraziandomi.

"Ehi" disse Will, quando uscì dalla stanza e vide la nostra scenetta di felicità in corridoio "Non palpare la ragazza del tuo capo."

Nate si protrasse, un po’ imbarazzato, e alzò le mani. Poi diede a Will una pacca sulla spalla: "Grazie amico."

"Sono io che dovrei ringraziare voi".

 

Il viaggio di ritorno sembrò durare la metà. Ridemmo, scherzammo e poi, esausti, ci addormentammo tutti e tre. Una gentilissima hostess ci avvisò qualche ora dopo che stavamo per arrivare.

Trovammo i Traynor che ci aspettavano all’uscita. Avevano un’aria tormentata, preoccupati del fatto che non fossi riuscita nel mio intento. Will ci precedeva con la carrozzina, così io e Nathan riuscimmo a fare il segno della vittoria a quei due genitori così preoccupati.

Il signor Traynor abbracciò sua moglie e gli diede un appassionato bacio sulla bocca. La mia mente saltava allegra: ero, forse, riuscita anche a salvare il matrimonio di quei due.

A quella manifestazione di affetto Will si fermò di colpo al centro del passaggio e io dovetti ringraziare di avere un paio di scarpe basse, perché se no gli sarei sbattuta contro come una scema.

Andammo tutti e cinque a mangiare in un lussuosissimo ristorante vicino all’aeroporto e Will non fece neanche storie per il fatto di dover essere imboccato in pubblico.

Ci guardammo come due pesci lessi per tutto il pomeriggio, felici di quello che ci aspettava.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Settembre arrivò con la sua pioggia e le nuvole spesse e nere.

Will era in un periodo di umore basso: l’impossibilità di uscire lo abbatteva molto e l’umidità faceva a botte con la sua assenza di dolore.

Quel sabato, però, Will aveva convinto Nathan ad andare a vedere una partita di calcio; mi avevano chiesto se sarei voluta andare con loro, ma io avevo gentilmente declinato l’invito, un po’ perché il calcio non mi era mai piaciuto, un po’ perché credevo che a Will avrebbe fatto bene passare un pomeriggio ‘da uomini’. Avevo passato tutto il pomeriggio sul divano con il suo pc a cercare un sostituto per il mio posto da assistente. Ne avevamo parlato a lungo: io non potevo continuare a svolgere i miei compiti visto che tra noi era iniziata una storia e poi da lì a qualche mese avrei iniziato i corsi all’università.

Avevamo anche deciso di trasferirci vicino a Londra, nella casa di campagna dei genitori di Will, che in quei giorni era in fase di ristrutturazione per poter diventare confortevole alle esigenze di un disabile.

Rientrato dalla partita, Will si era voluto stendere un po’ prima di cena, esausto dal pomeriggio appena passato.

Stavo parlando delle patate per farle in insalata, quando un rumore mi fece precipitare nella stanza da letto.

Will era addormentato, ma respirava male. Il suo petto si alzava e abbassava velocemente, gli spasmi lo scorrevano e aveva le lacrime agli occhi. Cercai di non farmi prendere dal panico, provai a svegliarmi e appena lo toccai un urlo disumano uscì dalla sua bocca.

"Will, Solo cosa succede" la mia bocca era impastata dalla paura, le sue pupille erano dilatate dal dolore.

"Brucia" mi disse, tra le lacrime "Brucia tutto".

Scattai a prendere degli stracci, li bagnai e glieli appoggiai sulla fronte e sul petto. Quando aveva bruciori a mani e piedi, gli portavo delle bacinella di acqua in cui immergersi quindi mi dissi che l’unica cosa sensata da fare era quella. Corsi in cucina, pestai degli antidolorifici nel mortaio e glieli sciolsi in un bicchiere d’acqua. Lui breve come se fosse rimasto sei mesi senz’acqua e io, che avevo finito le opzioni per farlo stare meglio, non ebbi altro più da fare se non caricarli accanto a lui e stringergli la mano.

Presi il telefono per avvertire Nathan, ma Will mi bloccò: "Non chiamare nessuno, per favore".

Il suo respiro e i suoi battiti ci misero una mezz'ora buona per regolarizzarsi.

Quando si fu calmato, asciugai le lacrime dal viso di Will: "Come ti senti?" gli chiesi.

Lui sospirò: "Meglio, se tu sei qui".

Io gli lasciai un bacio leggero sulla fronte, un po’ per assicurarlo che non me ne sarei andata e un po’ per controllare che non avessi la febbre. "Cos’è successo?" gli chiesi.

"Ho fatto un sogno. Ho sognato gli esatti momenti del mio incidente"

Mi si strinse il cuore, non si meritava di dover rivivere tutto quello, anche nei sogni.

Lo pregai di continuare a raccontare: mio padre diceva che il miglior modo per superare qualcosa era parlare e così io cercai di fargli superare il suo incubo in quel modo: "Ho rivisto l’incidente, ma non ero io a finire sotto le ruote di quella moto." sospirò addolorato "Eri tu, e io guardavo dall’esterno. Ero bloccato, non potevo venire a salvarti… tu eri lì distesa ma io non riuscivo a muovermi".

Fece una lunga pausa, cercando di calmarsi, ma scoppiò di nuovo a piangere: "Non riuscirei a sopportare che tu te ne andassi. Non so cosa farei senza di te, sarei di nuovo un uomo che ha perso la voglia di vivere".

Io continuai ad accarezzare la testa, poi mi alzai e lo giravo sul fianco, in modo che mi guardasse. Poi mi riposo accanto a lui: "Non me ne andrò, Will. Non potrei mai farlo, non potrei mai rinunciare alla mia felicità con te. Questi mesi mi hanno cambiata, grazie a te sono diventata più sicura, determinata e amo ogni singola parte di te, la tua testa, il tuo essere pungente, amorevole e anche il tuo corpo". Lui rise amaramente.

"Sì" dissi "Anche quello".

"Allora sposami." la sua voce era ferma e sicura, anche se flebile e ancora rauca di pianto.

Io scoppiai a ridere. Non era una risata di felicità, ma una risata completamente isterica: ero stata per sette, lunghissimi, anni con un uomo che mi aveva chiesto di convivere solo negli ultimi tempi e anche un po’ controvoglia ed ora ero nel letto di un altro ragazzo, che conoscevo da sette mesi e con cui stavo da nemmeno uno, che mi aveva appena chiesto di unirmi per sempre con lui. Mi rigirai nel letto, ridendo fino a farmi venire mal di pancia, mentre Will mi guardava come se fossi una specie aliena appena scoperta.

"Beh" disse, un po’ ferito "non era la reazione che mi aspettavo. Certo, avrei dovuto inginocchiarmi e progetti un anello sorridendo, ma siccome non posso fisicamente inginocchiarmi…."

"Oh, stai zitto Will Traynor" lo baciai con tutta la forza che ci potevo mettere "Certo che ti sposo!"

Lui fece un gridolino di esultanza, i ricordi dell’incubo che avevano abbandonato i suoi occhi e continuò: "Allora, stavo dicendo che siccome non posso inginocchiarmi, almeno all’altra cosa ho pensato."

" E cioè?" chiesi senza capire.

"Guarda nel primo cassetto del mobile, troverai una scatolina argentata. Portamela, per favore, Lou"

Feci come mi era stato comandato e portai la scatolina sul letto.

Will se la fece mettere tra le mani e iniziò, con mia somma sorpresa, ad armeggiare lentamente con il coperchio. Al quarto tentativo riuscì ad aprirla e io rimasi senza fiato: all’interno c’era un anello. Non era troppo raffinato e delicato, come quelli che portavano le ragazze da rivista patinata sullo stile della collana che Patrick mi aveva regalato per il compleanno, bensì era un anello con la montatura un po’ spessa e uno smeraldo quadrato nel castone, incorniciato da tanti piccoli diamanti.

"Prendilo e guarda dentro" mi disse, tradendo un briciolo di eccitazione. Nella parte interna dell’anello, opposta al castone, c’era una scritta: “Rinato: 1 agosto 2009”.

Mi si riempiono gli occhi di lacrime: come sul suo tatuaggio c’era scritta la data dell’incidente, questo anello riportava il giorno in cui, alle Mauritius, abbiamo ricominciato a vivere. Entrambi.

"Questo quando lo avresti preso?" gli chiesi incredula.

"Stamattina" mi rispose "Prima della partita. Avrei voluto aspettare fino a quando non ci saremmo trasferiti a Londra, ma non sono riuscito a resistere".

Mi ritrovai a pensare che non sarei riuscita nemmeno io ad aspettare di più.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Dopo quella sera Will non ebbe altri incubi. Fui io a non stare bene: avevo frequenti capogiri e nausee, cosa assai strana, perché in ventisette anni non mi ero mai presa nemmeno un raffreddore.

Una sera avevo implorato Will in ginocchio di guardare insieme a me “Il Re Leone”, il mio cartone animato preferito quando ero bambina. Avevo recuperato il DVD dal mobile di Will; era ancora avvolto nel cellophane con cui era arrivato a Granta House, segno che Will non si era nemmeno preso la briga di considerarlo.

Eravamo arrivati ad Hakuna Matata, quando dovetti correre in bagno a vomitare tutta la cena. Stavo malissimo e mi sedetti di fianco al water con la testa tra le mani.

Will fece capolino poco dopo dalla porta, con un’aria preoccupata in viso: "Tu non stai bene" sentenziò.

Io risposi con un un altro conato.

"Domani chiamiamo il medico" mi disse, autoritario. Io cercai di protestare: il giorno dopo saremmo dovuti andare a vedere come procedevano i lavori a Londra e a capire quando ci saremmo potuti trasferire.

"Non voglio sentire storie" mi urlò Will "se vogliamo notizie dall’architetto lo chiameremo domani nel pomeriggio".

 

Mio papà chiese al signor Traynor se potesse prendersi una giornata libera e mi accompagnò dalla dottoressa Marcus. Lo studio era sopra al negozio di tende, accogliente e dai mobili antichi.

Dopo che ebbi spiegati i miei disturbi la dottoressa mi fece una domanda: "Di recente ha acquistato peso?".

Ci pensai su: tra le vacanze e alcune cene al ristorante con Will avevo fatto parecchi strappi alla regola. La dottoressa mi pesò e scoprii di aver preso ben 3 chili.

La dottoressa ci meditò un po’ su: "Mi ha detto che ha avuto l’ultimo ciclo mestruale più di due mesi fa… mi sembra che sia un tempo un po’ lungo, per una che è sempre molto regolare".

Il mio cervello mi stava mandando dei segnali di allarme: sapevo dove quella donna in camice bianco stava andando a parare, ma l’idea era assurda al solo pensiero.

Fu quando mi chiese se avrei voluto fare un test di gravidanza che mi alzai, sconcertata: "Non posso essere incinta!"

L’ultima volta avevo fatto l’amore con Patrick pochi giorni prima che mi cacciasse di casa.

"Quanto tempo è passato, signorina Clark, dall’ultima volta?"

Ci pensai su: "Sei, sette settimane?"

Comunque mi ricomposi e mi chiusi in bagno, con le orecchie che pulsavano a causa del mio cuore che batteva all'impazzata, e feci la pipì nel bicchierino che la dottoressa mi aveva gentilmente sporto.

Pensai a come fare a dirlo a Patrick. Pensai a come si sarebbe potuto sentire Will, scoprendo che la sua ragazza era incinta dell’ex-fidanzato.

Ritornai nello studio con le gambe che mi tremavano. La dottoressa inserì una striscetta nel bicchierino e mi disse che bisognava solo aspettare due minuti. I due minuti più lunghi della mia vita.

Quando vidi il bastoncino colorarsi di rosa precipitati nell’oblio. A malapena sentii la dottoressa che mi diceva che ero incinta di quasi due mesi, che mi diceva che - nel caso non avessi voluto portare a termine la gravidanza, vista la mia reazione - avrei avuto ancora un mese scarso per pensarci.

Prima di aprire la porta dello studio, mi stampati un falso sorriso sulle labbra.

"Che ti ha detto?" chiese mio padre.

"Oh, è solo un po’ di influenza intestinale. Starò bene" mentii.

Rifiutai il suo in giro di riaccompagnarmi Granta House e mi avviai a piedi. Camminai e camminai per ore, senza meta, senza sapere se ci volevo davvero tornare, a casa.

Entrai nel parco del castello e, senza sapere bene come, mi ritrovai al centro del labirinto. Il panico si impossessò di me, ma non era la paura di non poter più uscire o il ricordi di quella notte sventurata, ma era quello dovuto al mio senso di inadeguatezza a diventare madre.

Avevo paura di rovinare tutto, di distruggere gli equilibri che si erano creati con Will.

Rimasi lì a pensare e non mi accorsi che si stava facendo buio. Presi il telefono per guardare l’ora e mi accorsi che c’erano chiamate e messaggi di Will, dei miei genitori e persino uno di Camilla Traynor.

Decisi di chiamare per primo il mio ragazzo: "Dove cazzo sei finita?" mi ringhiò dall’altro capo del telefono. Non l’avevo mai sentito così arrabbiato.

"Sono le otto di sera, sei uscita di qua all’una. Ti ho chiamato, ho mandato mio padre a cercarti, ho telefonato ai tuoi."

Io scoppiano a piangere.

" Perché piangi? Dimmelo, ti prego. Dove sei?" il suo tono si ammorbidì e io ci potei sentire una nota di panico.

"Sono nel labirinto Will"

"Riesci ad uscire?"

"Sì, arrivo."

"Ti veniamo a prendere sul sentiero".

Mise giù la comunicazione e io mi immaginavo lui e Nathan partire per una spedizione al mio salvataggio.

Riuscii, con mia somma sorpresa, a ricordarmi la strada a ritroso. Trovai Will e Nathan sul sentiero e Will mi venne in contro tanto in fretta che quasi mi investì. Io lo baciai.

"Cosa ti ha detto il medico?"

Io mi guardai le scarpe piene di erba dopo aver camminato sul prato

"Cosa ti ha detto?" mi incalzò.

"Sono incinta."



Ebbene, dopo giorni e giorni, settimane e settimane, mesi e mesi, sono tornata!
Spero vivamente che questa storia, questo finale alternativo, vi conquisti... anche se non vi conquista, comunque, invito tutti a lasciare una piccola recensione (positiva, negativa, neutra, come vi garba) che mi fa sempre molto felice (vi ricordo inoltre che il programma recensioni vi fa guadagnare fantastici punti che vi porteranno a vincere un biglietto per il prossimo viaggio su Marte)
Un saluto,
Ele

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Buonsalve a tutti!
Siccome, causa un problema insormontabile chiamato ESAME DI MATURITA', non sono più riuscita a pubblicare nulla dal lontano novembre, credo sia d'obbligo da parte mia fare il punto della situazione, soprattutto per quelle povere anime che seguono la storia dal tempo del primo capitolo pubblicato (a cui vanno le mie più sincere scuse).
Se tu che stai leggendo hai appena iniziato questa storia, salta pure questa parte colorata e inizia il nuovo capitolo!

Quindi... dove eravamo rimasti? --> Will ha accettato di continuare a vivere la sua vita al fianco di Louisa. I due piccioncini, nonostante alcuni alti e bassi, stanno vivendo a pieno il loro amore e la loro vita insieme: si stanno per trasferire a Londra, dove Lou spera di essere ammessa all'università per iniziare i suoi studi di moda e Will, con fare molto romantico, le ha chiesto di sposarla.
Sembra che tutto stia andando per il meglio, quando Lou inizia a sentirsi strana; una visita dal dottore le fa scoprire... di essere incinta.



Will mi guardò, impassibile, per cinque minuti buoni. Mi sembrarono l’eternità, mentre sondavo il suo viso alla ricerca di ogni piccolo cambiamento, riuscivo quasi a contare i secondi che passavano, lunghi come anni.

Nathan invece era riuscito, in quel tempo, ad esprimere silenziosamente dapprima l’incredulità, poi lo sgomento, la felicità e ora un briciolo di diffidenza, mentre guardava prima me e poi Will.

Ad un certo punto, quando la tensione divenne insostenibile disse: "Voi due avrete sicuramente molto di cui parlare. Io ho finito il mio lavoro qui, perciò vado".

Si girò e si allontanò quasi di corsa. Will lo guardò andarsene, immerso nei suoi pensieri, poi riportò lo sguardo su di me. Ma invece di parlare, girò la carrozzina e seguì il suo fisioterapista al massimo della velocità.

Il mio mondo crollò, per la seconda volta in quel giorno. L’uomo che neanche un mese prima mi aveva chiesto di sposarlo, mi stava lasciando al freddo, in un parco vastissimo, incinta, in un momento in cui l’unica cosa di cui avevo bisogno era trovare rassicurazioni.

Avanzò a velocità sostenuta fino a metà del parco, con la testa abbassata, poi si fermò. E in quel momento capii che mi stava dando una scelta: lui o il bambino.

E sinceramente, in quel momento non sapevo decidere. Ognuna delle due scelte mi precludeva un mondo di cose che avevo sempre sognato: avrei abbandonato il fragile uomo che amavo e che mi aveva appena chiesto di sposarlo, o avrei rinunciato alla possibilità di avere un figlio?

Non decisi, ma devo l’unica cosa che il mio corpo e la mia mente, distrutti dalle ultime ore, potessero consentirci di fare: mi afflosciai sull’erba, in ginocchio, e piansi.

Ma non il pianto sommesso e silenzioso che avevo iniziato nel labirinto: piansi come non avevo fatto da tanto tempo, raggomitolata su me stessa, singhiozzando.

Non sentii del ronzio della sedia a rotelle di Will che si stava avvicinando. Mi accorsi solo della sua presenza quando, dieci minuti dopo, lui mi chiamò: "Lou?"

Guardai il suo splendido viso: anche con gli occhi offuscati dalle lacrime capii che aveva pianto anche lui.

"Lou, ti prego, torniamo dentro. Dobbiamo parlare e si sta facendo buio".

Mi alzai barcollando: "Non so cosa fare, Will. Non so, davvero."

"Ti capisco." mi rispose, freddo "Ora però torniamo dentro. Prendimi la mano"

Lo assecondai e quel contatto, le sue mani così belle, il suo calore, il suo profumo, mi fecero subito sentire a casa, protetta.

"Ti amo, lo sai vero?"



E questo è il capitolo 4, ma non è ancora finita! Sempre per farmi perdonare, non mi sono limitata ad aggiungere UN nuovo capitolo, ma bensì DUE!
Quindi, divertitevi e DATECI DENTRO CON LE RECENSIONI!

Un bacio a tutti,
Ele.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Eravamo nel letto, erano poco più delle dieci: a cena, rientrati dal parco, non avevamo né parlato né tanto meno mangiato molto, ognuno immerso nei propri pensieri.

Completai la nostra routine serale quasi automaticamente, talmente abituata ai movimenti che dovevo fare, agli step da seguire prima di mettere Will a letto, che potevo permettermi di pensare e rimuginare mentre le mie mani si muovevano automaticamente.

Ora ero raggomitolata al suo fianco, mentre aspettavo che qualcuno trovasse la forza, gli argomenti, ma soprattutto le parole per iniziare quella funesta conversazione.

"Di quante settimane sei?" mi chiese all'improvviso Will.

"Sette".

"E' del Maratoneta?", continuò secco, come se volesse sfidarmi ad affermare il contrario. In ventisette anni ero andata a letto con tre ragazzi: il primo in quinta superiore, il terzo era coricato accanto a me. Di chi cavolo poteva essere il bambino?

"Sì." risposi io "Di chi pensavi che fosse?".

"Del fottuto giardiniere!" sbottò con un sorriso sardonico, alzando gli occhi al cielo.

Io mi sollevai di scatto e lo guardai torva: "Non è il momento per fare lo stronzo, Will! E' un momento difficile per me: sto cercando nello stesso momento di lottare con i miei sentimenti, senza ferire i tuoi. Lo so che non è una situazione idilliaca, non sono felice di questo, ma almeno potresti provare a mostrare un po' di rispetto, di amore e di comprensione nei miei confronti!"

Lui mi guardò, sorpreso dalla mia reazione. Mi alzai e mi diressi nella stanza degli ospiti, ignorando Will che chiamava il mio nome.

Me ne sarei dovuta accorgere subito che vivere con Will Traynor non sarebbe stato semplice e in quei momenti arrivai addirittura a provare un po' di compassione per Alicia, la sua vecchia ragazza e, mi vergognai ad ammetterlo, riuscii a capire perché se n'era andata.

D'altro canto, però, capivo cosa significava questo per Will: come si potrebbe sentire un uomo, incapace di fare determinate cose, sapendo che la propria promessa sposa sta aspettando un figlio dal suo ex, che tra l'altro è l'incarnazione (stronza, per carità) di tutto quello che lui era prima?

Sprofondai in un sonno agitato e mi risvegliai un paio di ore dopo con un'emicrania pazzesca. Ero lì, con gli occhi spalancati a guardare il riflesso dei lampioni del parco sul soffitto, quando percepii delle voci smorzate arrivare dalla camera a fianco:

"Non è andata con qualcun altro, vero?". Riconobbi la voce come quella del padre di Will.

"E come avrebbe potuto? Se davvero è di sette settimane, vuol dire che è successo prima che partissimo per le Mauritius. E lei in quel periodo aveva appena lasciato il Maratoneta e si era trasferita qui. Poi non l'ho mai persa di vista.", gli rispose Will.

Ci fu un momento di pausa: “Che cosa vuole fare lei?"

"Io... io non lo so. E' confusa"

"Will, se non le permetterai di tenerlo, lei ti odierà per tutta la vita."

"E se invece lo volesse tenere e tornare dal Maratoneta?"

Steven rise sommessamente: "Quella ragazza ti ama più di qualunque cosa. Ha fatto di te la sua missione di vita, ha dedicato corpo e anima a tutto ciò, per farti sentire amato, per farti ritrovare la forza di vivere"

"E io? Che razza di padre sarei, che non lo potrò mai tenere in braccio, non lo potrò mai accarezzare per consolarlo, non gli potrò mai stringere la mano quando vorrò complimentarmi con lui?"

"Will, sarai uno che ha fatto del suo meglio, come tutti i padri del mondo. Questo bambino ti amerà e, se avrà anche solo un decimo della forza della madre, capirà e saprà tirare fuori amore, comprensione e insegnamento da ogni parola che uscirà dalla tua bocca."

Rimasi ad ascoltarli fino a quando non fui sicura che Steven se ne fosse andato. Non avevo mai avuto un'alta considerazione di quell'uomo, ma dopo quel discorso che aveva fatto al proprio figlio, aveva guadagnato un milione di punti sulla mia scala di gradimento.

Perché è vero, ogni genitore fa del proprio meglio con i figli e nessun padre, nessuna madre è diversa dagli altri: sono solo persone che, con una responsabilità immensa, devono accudire e preparare una piccola persona per il suo ingresso nel grande e cattivo mondo.



Come promesso, due capitoli assieme!  Mi scuso ancora infinitamente per il ritardo (anche se, come credo abbiate capito, la puntualità negli aggiornamenti non è il mio forte).

Se avete letto fino a qui, vi ringrazio immensamente per la fiducia e per il tempo speso ad aspettarmi.
A breve, si spera, il prossimo capitolo.

Arrivedorci.

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