Gli amici a volte ritornano

di _Ombra_del_vento_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Come tutto è cominciato ***
Capitolo 3: *** L'incubo ***
Capitolo 4: *** La rivelazione ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO
Era una fredda sera di Dicembre, forse una delle più fredde a cui avessi mai assistito e penso che sia stata la più brutta della mia vita.
Prima di raccontarvi cos’è successo quella sera mi presento, sono Clara, ho sedici anni e vivo e studio in un convitto. Provengo da una cittadina non molto lontana, ma, essendo nata in una famiglia benestante, i miei genitori hanno pensato bene di rinchiudermi in una scuola che controllasse ogni mio movimento così da non doversene preoccupare loro.
Ebbene, quella sera, come sempre, dopo aver mangiato nella grande mensa della scuola situata al primo piano, salimmo le grandi scale di marmo e andammo tutte nei rispettivi dormitori. Le regole erano molto rigide e dovevamo sempre tenere la stanza in perfetto ordine per evitare le severe punizioni della tutrice. Ricordo bene la sera del mio compleanno. Eleonora, la mia migliore amica, mi aveva regalato un braccialetto d’argento molto carino arricchito da un piccolo ciondolo che rappresentava le nostre due iniziali unite. Lei se ne era fatto fare uno uguale così da potersi vantare con gli altri di quanto fossimo amiche.
Mi consegnò il regalo all’interno di un piccolo cofanetto d’argento decorato con vari motivi e con una gemma verde scuro sulla piccola chiusura a clip che aveva poco più giù.
Eleonora, a differenza mia, era stata costretta ad andare in quel convitto e a frequentarne la scuola perché i genitori, persone molto stimabili, volevano che avesse la migliore istruzione essendo la loro unica figlia. Lei non era felice di essere lì ed io ero l’unica amica che era riuscita a trovare, eravamo così unite che non ci separavamo mai. Quella stessa sera però tutto ciò che avevamo costruito insieme, tutto ciò che avevamo vissuto scomparve in un gelido istante.
Era arrivato il mio turno per fare la doccia così smisi di fare ciò che stavo facendo e, munita di accappatoio, shampoo e spazzola mi avviai verso il bagno che si trovava in fondo al corridoio. Mentre mi dirigevo verso la porta principale del bagno mi venne l’idea di proporre ad Eleonora il gioco delle storie. Lei adorava quel gioco e ci divertivamo sempre un mondo. Nell’esatto momento in cui misi piede in bagno mi si gelò il sangue.
Nessuno sapeva come fosse successo né cosa, effettivamente, fosse successo, ciò che sapevamo però era che Eleonora era morta e il suo corpo senza vita giaceva sul fondo di una delle docce. La sua pelle era bianca e fredda come la neve, aveva gli occhi chiusi e la bellezza dell’eterna gioventù sul volto. Fui io a trovarla.
Inorridita dall’accaduto e da quello a cui stavo assistendo lanciai un urlo talmente forte che mi sentirono in tutto il palazzo e, chissà, forse anche al di fuori. Anche i pipistrelli ronfanti annidati sotto le instabili tegole del tetto sussultarono e subito dopo in tutto l’edificio piombò un silenzio assordante.
La tutrice che era di turno quella notte corse da me spaventata e mi vide piangere, inginocchiata sul pavimento. Ero sconvolta! Tutti stavano lì immobili a chiedermi cosa fosse successo e il motivo di quell’urlo spaventoso che fece allarmare tutti. Nessuno si rese conto di quello che era successo. In quel momento sembrava che solo io potessi vedere l’orrore in quel bagno e mi giudicarono pazza. Contattarono la mia famiglia e l’avvisarono di ciò che era successo.
Nel frattempo, mentre la professoressa era impegnata a redigere un documento riguardante ciò che era accaduto quella sera, andai nella mia camera, riposi il bracciale di cui andavo tanto fiera nel suo cofanetto e lo nascosi così che nessuno potesse trovarlo, mi girai e la vidi. Ciò che avevo davanti mi fece gelare il sangue: Eleonora, che un attimo prima giaceva morta tra le mie braccia, era davanti a me e mi fissava. Forse stavo davvero impazzendo?
Per un attimo rimasi immobile a guardarla. Era diversa.
Prima che io potessi fare o dire qualunque cosa, due uomini vestiti con un camice bianco mi afferrarono. Io tentai di fermarli, ma erano troppo forti per me.
-Giuro che tornerò da te! Hai capito? Lo giuro! – Ripetei poi ad Eleonora mentre mi portavano via contro il mio volere.
Appena fui uscita vidi una macchina grande, era bianca, sulla fiancata c’era scritto qualcosa, ma non riuscii a leggere bene perché quei due tipi mi stavano tirando. Appena mi avvicinai di più a quell’auto mi accorsi che sulla parte posteriore c’erano  due ante e tra le due una piccola apertura con delle sbarre. Avevo paura per tutto quello che stava accadendo e per quello che mi aspettava poi. Com’era possibile che le persone che conoscevo e mi volevano bene permettevano che mi portassero via in quel modo. Mi portarono in una specie di ospedale, anch’esso tutto bianco, dove mi rinchiusero in una camera minuscola che conteneva solamente un letto, non c’erano finestre che affacciavano sul mondo fuori né al corridoio adiacente a quella stanza.
Le prime tre settimane le passai a piangere e ad urlare pregando di farmi tornare a casa o, perlomeno, a scuola, ma nessuno mi diede retta. Così passavano i giorni, i mesi e gli anni. I miei genitori non vennero mai a trovarmi, forse per loro ero diventata la delusione della famiglia e sarebbe stato uno scandalo sapere che una famiglia rispettata come la nostra avesse generato una figlia pazza. Arrivò un giorno, poco dopo il mio secondo anniversario dal mio arrivo in quel posto infernale, dove finalmente la porta della mia camera si aprì e alcuni medici mi condussero in una stanza e mi fecero delle domande. Io risposi il più sinceramente possibile. Poi arrivò un’ultima domanda.
-Clara, cosa pensi della vita? –
Rimasi perplessa per quella domanda e per alcuni minuti cercai una risposta che potesse andare bene.
-Beh, penso che la vita sia un dono meraviglioso, ma quando qualcuno viene privato di essa, direttamente o indirettamente, finisce tutto. Resta solo un corpo morto privato della sua anima. Esattamente com’è successo ad Eleonora. Ormai anche io sono diventata un corpo senz’anima perché, privandomi della libertà, mi avete costretta ad una vita vuota e senza emozioni. Quindi, vivendo una vita che non può ritenersi tale, non posso rispondere alla vostra domanda.-
Ascoltando quella risposta i medici rimasero in silenzio. Poi, dopo qualche minuto, mi riportarono nella mia camera. La riflessione che mi avevano portato a fare quei medici mi fece capire che ormai io non esistevo più e che se io fossi morta non sarebbe importato a nessuno. Morii qualche settimana dopo con la tristezza nel cuore.
Solo una cosa mi teneva ancora legata al mondo terreno, la promessa di tornare che avevo fatto alla mia migliore amica.

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Capitolo 2
*** Come tutto è cominciato ***


  1. Come tutto è cominciato
Ciao, sono Chiara. Ho quindici anni e oggi voglio raccontarvi la mia vita cominciata cinque mesi fa. Era una calda sera di Maggio, studiavo in un convitto e quella sera ero nella mia camera colorata ed accogliente che condividevo con atre tre ragazze tra cui la mia migliore amica. La scuola aveva ben quattro dormitori, due maschili e due femminili e le classi si estendevano su ben due piani dell’edificio, beh, vi dico che se l’avessi dovuta attraversare tutta, probabilmente mi sarei persa. Ero contentissima perché sapevo che l’indomani sarei tornata a casa e avrei rivisto la mia famiglia.
Dopo aver finito di preparare la valigia e di aver apparentemente sistemato la parte di camera che mi spettava, cominciai a giocare con Giulia, la mia migliore amica, incurante delle professoresse che perlustravano i corridoi. Giocammo a nascondino ed acchiapparello finché non ci ritrovammo la professoressa davanti.
-Insomma, non vi vergognate di giocare così alla vostra età?! – Ci chiese lei arrabbiata.
-Ci scusi prof. – Rispondemmo noi con aria triste, ma complice. Lei scosse il capo e si allontanò con aria severa, io e Giulia, a quel punto, ci guardammo e cominciammo a ridere silenziosamente.
Dopo aver assistito a ben otto ore di lezioni noiosissime, era un bene finire la giornata con un pizzico d’allegria. Quello stesso giorno la professoressa di storia aveva basato la lezione sulle origini del convitto in cui studiavamo. Cominciò col dire che fu fondato da alcuni monaci gesuiti e che, in seguito ad una guerra, i monaci furono cacciati via e la struttura fu trasformata in un convitto riservato solamente alle ragazze provenienti da famiglie benestanti. La professoressa ha aggiunto poi che sono narrate tantissime leggende riguardanti la fondazione della scuola e in alcune si parla addirittura di molteplici stanze segrete ed indovinelli che condurrebbero ad un tesoro antichissimo. Secondo me quella era stata una delle lezioni peggiori a cui abbia mai assistito. Giulia, invece, ne sembrava affascinata.
Tornammo in camera e, dato che non potevamo fare chiasso, cominciammo a raccontare storie di paura. Cominciai io.
-Era una notte come tante altre, ma nella camera di Sofia si sentiva un’aria sinistra. Lei era piccola, ma non aveva paura di niente. Andò a dormire, come ogni sera, alle 21:00, ma si svegliò a causa di un cigolio proveniente dall’altra parte della stanza. Si alzò dal letto, si diresse coraggiosamente verso il suo armadio e BUU! Un mostro spaventoso la prese e se la mangiò. Fine. Ti è piaciuta? – Chiesi a Giulia con un grosso sorriso, ma lei mi guardò con aria seria per qualche secondo per poi scoppiare a ridere ininterrottamente subito dopo, così, rassegnata, cominciai a ridere anche io. Non sono mai stata brava a raccontare storie e, sinceramente, la mia faceva proprio pena.
-Hahahaha, va bene Chiara, stanotte avrò sicuramente gli incubi.- mi disse prendendomi in giro.
Toccò a Giulia, poi, raccontare e cominciò col dire che quella storia le era stata raccontata a sua volta proprio da un bidello, il signor Pietro, che lavorava nella scuola da tanti anni mentre indagava sulle leggende che aveva menzionato la professoressa nella spiegazione dell’ora prima.
-Ragazzina, non scherzare e ascolta attentamente questa storia perché ti assicuro che è vera! – Le disse lui. Poi cominciò.
-Circa duecento anni fa, quando questo posto era appena diventato una scuola, per i corridoi non c’erano, come oggi, maschi e femmine, ma solo femmine. Era una scuola prestigiosa con a capo delle suore ed era obbligatoria la divisa, non come adesso che fate le sfilate di moda nei corridoi. Il mio bisnonno lavorava qui e mi raccontò questa storia quando ero piccolo. Ricordo che mi disse di una classe, la seconda del liceo classico se non vado errato, in cui c’erano due ragazze molto amiche. Una si chiamava Eleonora, l’altra non ricordo bene, mi sembra che il nome cominciasse con la “C” o qualcosa di simile. Erano inseparabili, facevano tutto insieme e le volte in cui litigavano erano molto rare, ma poi facevano sempre pace. Una sera, però, accadde qualcosa di tragico. All’epoca il mio bisnonno era il guardiano di notte, ma arrivava qui al pomeriggio per prepararsi al meglio e per dare una mano in qualche lavoretto di manutenzione, aiutava soprattutto la signora che si occupava delle pulizie della scuola, credo perché ne fosse innamorato. Quella sera sentì un urlo provenire dal secondo dormitorio – proprio quello in cui alloggiavamo noi -. Salì a vedere cosa fosse successo e trovò la ragazza della seconda che piangeva disperata e che parlava da sola. Inoltre Eleonora era sparita. Nessuno sapeva dove fosse finita e cosa le fosse successo, ma sta di fatto che non è stata mai trovata. L’amica fu allontanata dalla scuola, ma mentre la portavano via continuava a ripetere “Giuro che tornerò da te”. Nessuno sapeva esattamente a chi si stesse riferendo. Fu rinchiusa in un ospedale psichiatrico e morì lì dopo un paio d’anni, povera ragazza. Alcuni dicono che Eleonora sia ancora nella scuola passeggiando per i corridoi. Io ci credo.- Quell’ultima frase la pronunciò con un po’ di malinconia nella voce, quasi come se tutto quello che aveva raccontato lo avesse vissuto in prima persona, ma era impossibile!
La storia del bidello metteva i brividi e Giulia era stata molto brava a raccontarla, ma, nonostante fosse molto realistica, pensai che il bidello fosse un po’ matto e non credetti ad una sola parola. Dopotutto era solo una leggenda, no?
Circa alle 23:30, sentii una strana sensazione nel petto, quasi come se qualcosa mi avesse attraversata, collegai la cosa al troppo ridere infatti, la storia di Giulia mi fece un po’ rabbrividire, ma subito dopo ricominciammo a ridere come matte, e, poco dopo, mi venne improvvisamente sonno; così, salutai Giulia e le altre ragazze e andai a dormire.
Prima di mettermi a letto, però, mi ricordai che la professoressa aveva intenzione di controllare le condizioni delle camere così decisi di mettere in ordine il mio armadio. Mentre mettevo alcuni vestiti nel cassetto, mi resi conto che questo non si chiudeva bene. Pensai che qualcosa fosse finito dietro, così tolsi il cassetto e vidi che a bloccarlo era la base di legno del mobile che era leggermente rialzata. A quel punto tolsi il cassetto e provai ad alzare la base per riposizionarla meglio, ma scoprii che lì sotto c’era un doppio fondo ed al suo interno c’era una piccola scatolina. La raccolsi facendo attenzione a non farmi vedere da nessuno e con un soffio potente tolsi gran parte della polvere che si era depositata sull’oggetto e pensai che fosse strano che negli anni nessuno abbia mai pensato di pulire lì dentro.
Era d’argento, a forma di scrigno e dall’aria antica. Incuriosita la aprii e all’interno trovai un braccialetto, anche quello dall’aria antica, d’argento e con uno strano ciondolo.
Appena guardai meglio il ciondolo mi parve di averlo già visto prima e mentre pensavo a dove avessi effettivamente visto qualcosa di simile cresceva sempre di più in me il desiderio di indossarlo, quasi come se fosse il bracciale stesso a volerlo.
Appena ebbi finito di sistemare, mi misi a letto e ripensai a quella strana sensazione nel petto. Non mi era mai successo prima! Qualche minuto dopo entrò la professoressa che controllò la camera e ci ordinò di andare a dormire, quasi si stupì nel vedere che la camera era in ordine ed io già dormivo, e, poco dopo, si spensero le luci.
Già dormivo da molto tempo quando mi svegliò uno strano bisbiglio che, però, ero sicura non provenisse dalla mia stanza. All’inizio pensai che fosse una delle mie compagne che parlava nel sonno, succedeva spesso, così cercai di riaddormentarmi, ma, dopo una manciata di secondi, il bisbiglio cominciò a crescere diventando sempre più forte e sembrava dicesse qualcosa.
Ciò che stava succedendo era molto sinistro  e mi parve di sentire, all’interno del bisbiglio, un urlo come se fosse in lontananza e questi suoni si ripetevano incessantemente come un disco rotto.
Mi girai verso il letto accanto al mio dove dormiva Giulia, pensando che fosse lei a farmi uno scherzo, ma lei non c’era. Mi alzai di scatto, mi infilai le pantofole e cominciai a cercare Giulia, ma mi accorsi che all’interno della stanza non c’era più nessuno e, cosa ancora più strana, i letti erano ancora intatti, quasi come se nessuno fino a quel momento ci avesse dormito.
Mentre cercavo una spiegazione logica per quello che stava accadendo, d’altronde ero una ragazza che non credeva nei fantasmi o nelle cose soprannaturali, mi accorsi che il bisbiglio si era interrotto. Per un attimo mi attraversò l’idea di tornare a dormire, così che l’indomani sarebbe finito tutto, invece, data la mia testardaggine, presi il piccolo lume che avevo sul comodino e, impugnandolo come se fosse un’arma, mi misi alla ricerca delle altre ragazze nelle restanti cinque stanze, ma erano tutte sparite. Non sapevo cosa fare, la paura mi avvolgeva, ma cercavo di rimanere calma convincendomi che tutto quello che stava accadendo era uno scherzo architettato da qualcuno per spaventarmi o, magari, un sogno dal quale mi sarei presto risvegliata.
Uscii dal reparto per cercare aiuto, era tutto buio ma la luce della luna che entrava dalle finestre sul tetto mi permetteva di vedere giusto qualcosa. Entrai in tutti i reparti infrangendo le regole che stabilivano che nessuna ragazza poteva accedere al dormitorio maschile e viceversa, ma la scena fu la stessa ovunque: ero rimasta sola.

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Capitolo 3
*** L'incubo ***


  1. L’incubo
Tornai di corsa nella mia camera e realizzai che non avevo scampo dato che le chiavi le aveva solo il portiere che in quel momento probabilmente dormiva beato a casa sua ignaro di ciò che stava accadendo nella scuola. Disperata, cercai un segno, così mi affacciai alla seconda finestra del reparto, la più vicina alla mia camera.
Guardando il campo da calcio sottostante, mi accorsi che c’era una figura sinistra che camminava lungo tutto il perimetro, guardando fisso in avanti come se stesse cercando qualcosa. Era strano, come aveva fatto quella persona, se effettivamente lo era, ad entrare nel campo, ma soprattutto, cosa ci faceva lì?
A quel punto, ignorando tutto il buonsenso che mi era rimasto, scesi di corsa le scale ed entrai in mensa dove c’era la porta per accedere al campo. Stranamente la trovai aperta, di solito il portiere la chiudeva subito dopo che noi ce ne fossimo tornate nei reparti dopo cena per evitare che qualcuno di notte uscisse per fumare o per incontrare qualcuno appartenente ad un altro dormitorio. Entrai e rimasi in silenzio guardando verso il centro, ma, dato che era buio non vedevo molto. A quel punto cominciai a correre lungo i bordi del campo alla ricerca di quell’insolita figura, ma, come gli altri, anch’essa era sparita. Com’era possibile che fosse svanita nel nulla? Possibile che, presa dalla situazione bizzarra, non mi sia accorta di quella figura che mi passava accanto per scappare nella direzione opposta?
Mentre cercavo di non farmi prendere dal panico, inciampai e mi accorsi che il pavimento cementato del campo aveva un piccolo dislivello. Strano perché era stato ristrutturato da poco! Cercai di capire cos’era, dato che non l’avevo mai notato fino a quel momento, e mi accorsi che accanto c’era una piccola scavatura. Tolsi il pesante pezzo di cemento che fungeva da tappo e notai che al di sotto c’era un libro. Lo guardai e mi accorsi che sulla copertina c’era una gemma verde scuro identica a quella del cofanetto che trovai nel mio armadio. Forse solo una coincidenza?
Feci per prenderlo pensando come potesse essere possibile che nessuno se ne fosse accorto prima, ma nel momento in cui lo sfiorai, davanti ai mei occhi, in un flash, apparve la figura di una ragazza. Lei sembrava avere la mia età, aveva i capelli castani e raccolti in una lunga treccia e indossava un vestito particolare d’epoca. Sorrideva. Alla vista di quella ragazza tolsi subito la mano dal diario e mi guardai intorno, ma, come prima, non c’era nessuno. Avevo sognato?
Decisi, poi, di continuare la mia ricerca così avvolsi il diario in un lembo della vestaglia di lino bianco che indossavo stando ben attenta a non toccarlo.
Avendo perso ormai ogni speranza di uscire da quell’incubo, risalii lentamente le scale esaminando bene il libro, aveva una copertina semplice di cuoio, un po’ rovinato, però la gemma era contornata da un motivo d’argento uguale a quello del cofanetto. Ormai mi ero abituata all’assenza quasi totale di luce, guardai l’orario dall’orologio della segreteria e mi accorsi che stavo vagando nella scuola da più di un’ora e mezza. È assurdo come adesso il tempo stia passando in fretta e nelle ore di storia in classe, invece, non passi mai, pensai. Girandomi, mi accorsi che da una delle finestre presenti sul tetto entrava un leggero fascio di luce lunare che si fermava proprio sulla postazione del bidello dove c’era una cassetta di ferro rossa incustodita, quasi come accade nei film famosi o nei videogiochi.
Mi avvicinai, esitai un momento, ma poi la aprii e vidi che all’interno c’erano tantissime chiavi di forme e dimensioni differenti, ognuna contrassegnata da un’etichetta. Com’era possibile che il custode, tanto pignolo e rispettoso delle regole, si fosse dimenticato di riporre la cassetta lontana dalle mani di qualche studente desideroso di fare scherzi?
In quel preciso istante, però, tornò in me una briciola di speranza e presi le chiavi dei due cancelli dell’uscita. Tutto quello che stava accadendo era molto strano e sinistro e all’improvviso cominciai a chiedermi dove fossero i miei compagni, del perché mi avessero abbandonata lì o se fossero in pericolo. Facendomi queste domande mi imposi che prima di andarmene, anche se non sapevo precisamente dove, dato il tardo orario, li avrei dovuti trovare, così, facendomi coraggio, tornai nel mio reparto.
Salii nuovamente le scale e, nel momento preciso in cui chiusi la porta, il bisbiglio ricominciò, ma, questa volta, era molto più forte.
Tutti quei rumori affollavano la mia mente, ma io cercavo di rimanere calma cercando di capire quale fosse la fonte di quel caos assordante.
A quel punto presi tutto il coraggio che avevo in corpo e, sempre con il lume in mano che, seppur spento, mi infondeva un po’ più di coraggio, mi avvicinai alla prima finestra, quella vicino all’entrata, ma non trovai nulla così entrai nella mia camera e cominciai ad esaminare ancora più attentamente il libro. Notai che sulla copertina, sotto la gemma, c’era una piccola apertura. Per aprire il diario c’era bisogno di una chiave e, a giudicare il foro presente, serviva una chiave speciale. Tornai giù e la cercai nella cassetta dove erano riposte tutte le chiavi, ma non la trovai. Tornai in camera rassegnata, con le gambe doloranti per tutte le scale che avevo sceso e risalito, e sbattendo un pugno sulla scrivania dalla rabbia, il ciondolo appeso al bracciale che avevo trovato nel cofanetto d’argento si staccò. Guardandolo meglio pensai che potesse essere quella la chiave che cercavo. Inserii il ciondolo nella fessura accuratamente, lo girai e si udì un leggero “click” ed il libro si aprì. Cominciai a sfogliarlo e vidi che conteneva delle foto. Mi colpì molto la prima foto che raffigurava due ragazze in quella che sembrava la camera in cui dormivo, incredibile come fosse cambiata da allora, pensai. Erano foto molto antiche quindi alcune erano sbiadite e non si vedevano bene.
Man mano che sfogliavo l’album notai che le foto erano sempre più cupe, come se chi fosse immortalato non sapesse di essere fotografato. Arrivai all’ultima foto e c’era il primo piano di una ragazza. Gettai a terra l’album per lo spavento, quella era la stessa ragazza che avevo visto nel momento in cui ho toccato per la prima volta l’album. Sorrideva nello stesso modo. Metteva i brividi!
Tornai alla realtà, feci un respiro profondo e con piccoli passi cominciai ad avvicinarmi alla seconda finestra, mi affacciai ed in quel momento vidi una ragazza, era di spalle e fissava il campo sottostante. Sobbalzai e mi ritrovai con le spalle contro il muro e con la paura che stava avendo la meglio sul mio corpo e su i miei pensieri. A quel punto sapevo di non poter mollare. Facendomi forza, feci un passo in avanti e mi affacciai all’angolo della parete per osservare la ragazza. Sembrava avere la mia età, alta, con i capelli castano scuro raccolti in una lunga treccia, indossava abiti antichi: un vestito stretto in vita con una gonna ampia, ma non troppo, che le arrivava fino ai piedi. Notai che al polso aveva lo stesso braccialetto che avevo trovato dietro al cassetto e, a quel punto, mi chiesi se fosse solo una coincidenza. Subito mi tornò in mente di aver visto quella ragazza nel momento in cui sfiorai l’album, ma sembrava diversa. Non si era accorta della mia presenza lì o, perlomeno, così sembrava.
A quel punto era palese che quella ragazza metteva i brividi. Chi sano di mente si metterebbe a comparire nel nulla nel cuore della notte?! Provai anche a parlarle.
-C-chi sei tu? – Chiesi timidamente a voce bassa.
Lei non mi rispose, così, pensando che non mi avesse sentita, provai ad alzare il tono della voce.
-Chi sei tu? Cosa ci fai qui? – Chiesi poi acquistando un po’ più di coraggio, ma ancora nessuna risposta.
Mi avvicinai di qualche passo, ma abbastanza per riuscire a metterle una mano sulla spalla.
Era congelata!
Nel momento in cui la toccai lei si voltò di scatto, mi guardò per poco più di un secondo, ma a me sembrò molto di più. Il suo sguardo era vitreo, guardava me nello stesso modo in cui guardava il campo e sorrideva. Quell’espressione era identica a quella dell’ultima fotografia che avevo visto quasi come se la foto avesse preso vita, ma era assurdo. Mi sembrava di aver già visto quella ragazza altrove e, più la guardavo, più mi sembrava di conoscerla da una vita. I suoi occhi guardavano il nulla, ma si percepivano il suo dolore e la sua malinconia.
Con un brivido che mi correva lungo la schiena, la vidi poi girarsi e andare verso la mia camera fissando il vuoto. Io la seguii senza fare movimenti bruschi e osservavo i suoi movimenti sulla soglia della porta.
Ripensai all’album che era lì a terra e cominciai a credere che anche quell’oggetto fosse una causa di tutto quello che stava accadendo.
Vidi che, lentamente, si stese a turno su ogni letto presente nella stanza, ma non sul mio, si limitò solamente a fissarlo. Quando ero sul punto di chiederle cosa stesse facendo, lei si girò nuovamente di scatto verso di me, ma questa volta con un sorriso minaccioso e cominciò ad avvicinarsi. Io indietreggiai, ma lei mi abbagliò con una luce fortissima che mi fece cadere. Mi rialzai subito e cominciai a correre verso il bagno che si trovava in fondo al corridoio chiedendomi, un po’ scombussolata, come avesse fatto a produrre quella luce e a cosa volesse da me. Provai ad aprire una delle porte, ma era bloccata.
Avevo paura e non sapevo cosa fare, non avevo vie di scampo e così, presa dal panico, cominciai a piangere.
-Per favore, fatemi entrare, per favore! – Urlavo disperata mentre battevo con le mani le porte davanti a me.
Ad un certo punto sento una voce provenire da uno dei bagni.
-Avete sentito? Ragazze, è Chiara! Fatela entrare! – Disse sottovoce una persona a me molto familiare.
Il secondo dopo vidi davanti a me la porta spalancata e la professoressa che, con dei rapidi gesti delle mani, mi invitava ad entrare e con lei c’erano altre quattro ragazze tra cui anche Giulia. Ero molto contenta di averle ritrovate, almeno avevo scoperto dove fossero finiti tutti, ma non riuscivo a spiegarmi perché mi avessero lasciata sola, però, in quel momento non avevo il tempo di pensare a queste cose perché c’era un altro problema: la ragazza.

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Capitolo 4
*** La rivelazione ***


  1. La Rivelazione
Facendo il massimo silenzio e facendoci coraggio a vicenda, da sotto la porta scorgemmo una leggera luce che, a poco a poco, diventava sempre più forte. Nel momento in cui la luce si stabilizzò era possibile percepire una presenza  sinistra dall’altro lato della porta. Per un attimo trattenemmo il respiro sperando che in quel modo la situazione sarebbe cambiata, ma, nell’istante seguente, la porta fu lentamente attraversata dalla mano di quella ragazza per poi essere seguita da tutto il resto del corpo. Appena ebbe varcato tutta la porta, la ragazza si fermò davanti a me e mi afferrò il polso mantenendo la sua inquietante espressione. Appena sfiorò la mia pelle tutte le altre ragazze intorno a me scomparvero nel nulla ed un silenzio assordante piombò nell’edificio.
Mentre la ragazza mi trascinava fuori dal bagno contro la mia volontà sentii un improvviso rumore d’acqua che scorreva: le docce si erano aperte di colpo.
In quel bagno c’erano cinque docce messe a disposizione per le ragazze del reparto. Avvicinandomi meglio ad ognuna di esse notai che da quattro soffioni scorreva acqua che si mescolava ad un liquido denso e rossastro proveniente dalla doccia in fondo alla stanza: era sangue.
Cominciai a pensare che il sangue fosse delle mie amiche, di Giulia. Nell’assistere a quella scena non riuscii a resistere e cominciai a piangere dalla paura di quello che avrebbe potuto farmi quella creatura che, a quel punto, non consideravo umana. Con le lacrime che solcavano incessantemente il mio viso, mi chiedevo perché avesse fatto ciò, con che coraggio riusciva a mantenere quell’espressione in volto? Mentre ripensavo a tutto quello che era capitato quella notte, mi accorsi che sul fondo della doccia c’era una mano che fuoriusciva. Mi si gelò il sangue, stavo per svenire. Mi avvicinai e vidi che la ragazza che in quel momento mi stava tenendo prigioniera nel bagno del dormitorio scolastico giaceva lì, immobile e senza vita.
Non avevo idea di cosa stesse succedendo, ma di una cosa ero sicura, lei voleva me.
-Chi sei?! Perché mi hai portata qui?! Cosa vuoi da me? – Le chiesi urlando. Non avevo più neanche la forza di avere paura. Ero rassegnata.
Non riuscivo a sopportare tutto quello che mi stava capitando.
-Ancora non riesci a riconoscermi, eh, Chiara? –
Smisi di singhiozzare e realizzai che a parlare era la ragazza.
-No, non so chi sei! Come fai a conoscere il mio nome? Cosa vuoi da me? – Le chiesi poi confusa.
Provavo a ripetere a me stessa che quello era un brutto sogno dal quale mi sarei presto svegliata trovando accanto a me i miei amici, ma era inutile. Quell’incubo non voleva finire.
-Io sono Eleonora, non mi riconosci? Un tempo eravamo migliori amiche e condividevamo tutto. –
Mentre mi diceva questo, aveva nuovamente afferrato il mio polso facendomi allontanare dalle docce. La sua stretta era sempre più forte e mi faceva male. Mi fermò davanti alla finestra del bagno.
-Sono morta qui, non ricordo come, ma è successo. Sono due secoli che aspetto il tuo ritorno, dopotutto, me l’hai promesso. – Mi disse poi.
Ci fu un attimo di silenzio, un minuto che sembrava non finire mai, adesso i fatti cominciavano ad essermi più chiari e ripensai alla storia che aveva raccontato Giulia e alla lezione di storia di quello stesso giorno. La guardai e vidi che la sua espressione era cambiata, triste, ma tornò quasi subito quella di prima. Mi guardò fissa negli occhi con il suo sguardo vitreo e mi indicò un punto nel campo attraverso la finestra aperta. Per un secondo la guardai, poi mi girai verso il punto che mi stava indicando. Prima che potessi fare qualcosa, con uno scatto, Eleonora mi spinse ed io caddi giù. Mentre cadevo davanti a me vedevo immagini della mia vita, gioie e dolori, amori e delusioni.
Certo la mia vita fino a quel punto non era stata spettacolare, ma speravo almeno di continuare a vivere ancora un po’.
Un secondo dopo mi schiantai al suolo. È stato come se il tempo si fosse fermato al mio ultimo sospiro. Eleonora raggiunse il campo e in quel momento nascevo nella mia nuova vita, se così può chiamarsi.
La vidi lì che mi guardava e accennava un sorriso più amichevole rispetto al precedente. Realizzai di essere morta, volevo piangere, ma non ci riuscivo.
-Perché lo hai fatto? – Chiesi rassegnata.
Mentre pensavo al perché Eleonora, che dal primo momento aveva affermato di essere la mia migliore amica, mi avesse fatto una cosa simile, sentii una voce molto familiare.
-Nooo! Chiara! Giuro che tornerò da te! –
Era Giulia. La vidi affacciata alla finestra da dov’ero caduta mentre degli uomini cercavano di riportarla dentro per evitare che cadesse. Non so perché, ma, per un momento, mi era sembrato di aver già vissuto quel momento. Mentre cercavano di allontanare Giulia dalla finestra nessuno si è accorto del mio corpo, tantomeno della mia assenza. Sembrava che tutti si fossero dimenticati della mia esistenza, ma lei no, riusciva a vedermi. Com’era possibile? Tornai alla realtà e mi girai di nuovo verso Eleonora.
-Ti ho risparmiato le sofferenze della vita. Ora possiamo stare insieme per sempre e poi, me lo hai promesso. – Si limitò a dire.
Guardai il cielo e davanti a me c’era una bellissima alba che colorava di rosso i muri consumati della scuola.
Eleonora fece un sorriso e si girò.
-Ricordi il tuo vero nome? – Mi chiese poi.
Ebbi un attimo di esitazione perché la domanda mi aveva spiazzata.
-Il mio vero nome è Chiara. – Risposi perplessa.
Tra me e me pensavo a cosa volesse dire con quella domanda, ma poi mi tornò tutto in mente. Il mio nome era Clara ed Eleonora era la mia migliore amica che molti anni prima trovai deceduta.
Rimasi con lo sguardo perso per qualche minuto poi mi girai verso di lei e l’abbracciai.
-Finalmente siamo di nuovo insieme e nessuno potrà separarci. – Mi disse lei.
Senza farmi notare entrai nel reparto e vidi tutte le mie compagne che dormivano, avevano dimenticato quello che era accaduto quella notte.
Quando tutti si svegliarono, nessuno si ricordava di me così, triste, tornai dall’unica persona che mi era rimasta. Le raccontai tutto quello che era successo nel manicomio, delle medicine che mi davano pensando che fossi pazza e delle percosse che ricevevo per farmi calmare. Non ho mai smesso di combattere per uscire di lì, ma quello che feci, a quanto pare, non fu abbastanza. Due anni dopo essere stata rinchiusa lì morii di dolore, ma non solo fisico.
-Ho sempre voluto mantenere la mia promessa ed ora ci sono riuscita. – Le dissi.
Eleonora i giorni seguenti mi fece vedere tutti i luoghi nascosti della scuola narrati dalle leggende, ormai li aveva trovati tutti, e da lì poi guardavamo la vita degli altri scorrere davanti ai nostri occhi. Venni a sapere che Giulia era stata allontanata dalla scuola. Sembrava di rivivere tutto, ma da un’altra prospettiva, così, mi resi conto di quello che si potesse provare in quella situazione. Da quel giorno viviamo nella scuola, quasi come delle prigioniere.
Un giorno, mentre io ed Eleonora eravamo nel teatro della scuola, entrò il signor Pietro. Era diverso da come lo vedevo quando si dedicava ai sui lavoretti di manutenzione nelle classi. Sorrideva. Lo vidi avvicinarsi a noi.
-Oh bene. Benvenuta tra di noi Chiara o, forse, dovrei dire bentornata Clara. –




Fine.

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