The Tangerine squad

di summer_time
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vi presento Adelaide ***
Capitolo 2: *** Vi presento Olga ***
Capitolo 3: *** Vi presento Emanuela ***
Capitolo 4: *** Vi presento Gioia ***



Capitolo 1
*** Vi presento Adelaide ***


Note della storia e sulla storia.

Questa che intendo iniziare è una raccolta di un numero indefinito di oneshot. È doveroso precisare che i capitoli – e quindi gli episodi descritti - non seguiranno una linea temporale lineare (esempio: dopo i capitoli di presentazioni, si avranno capitoli misti di scene avvenute in anni di amicizia), potranno avere argomenti totalmente diversi  (esempio: si passerà da argomenti leggeri, quali la musica o la scuola a argomenti pesanti, quali salute mentale o esperienze sessuali) e presenteranno in particolare sei ragazze dal punto di vista della narratrice. Avviserò in caso ci siano dei capitoli collegati e in che modo, ma non credo capiterà presto.

Sarà una sorta di biografia della narratrice con digressioni, flussi di coscienza, dialoghi e commenti della stessa narratrice su episodi passati (che evidenzierò in corsivo). Il linguaggio potrebbe contenere termini scurrili. Per quanto riguarda gli aggiornamenti, avviso subito: può essere che io sia costante come no, l’unica cosa che vi posso assicurare è che aggiornerò fino a che ne avrò la forza. E sto cercando di fare un ban decente, per la prima volta nella mia vita: se avete dei consigli, sono prontissima ad ascoltarvi!

Non mi sono mai cimentata in questo genere, ma proviamo a sperimentare, potrei pure divertirmi più del previsto.



 

Adelaide.

Ruolo: Migliore amica n°1. Luogo di incontro: palestra, durante il corso di judo.

Con Adelaide è iniziato tutto come nelle più classiche amicizie: non gli stavo proprio molto simpatica, mentre lei – a me – era parsa subito un’anima affine. A quell’epoca – già, trilioni di anni fa – ero piuttosto chiusa, riservata e maledettamente ansiosa della paura di sbagliare in pubblico: quest’ultimo problema sorge ancora, soprattutto quando sono circondata solamente da troppi sconosciuti. Ma ci sto lavorando.

Adelaide non ha mai fatto molto mistero di preferire Jennifer a me, almeno agli inizi. Data la sua scarsa capacità di mentire di fronte alle altre persone – non che ora siano migliorate molto – avevo capito che il suo continuo affiancarsi a lei, di parlare principalmente con lei, dello chiedere solo a lei se facevano randori[1] insieme, fosse segno di una sorta di legame che bramavo anch’io con un’altra persona. Diedi però lustro ai miei sorrisi migliori e tentai di essere più amichevole, cosa che riuscì a farmi accettare nel gruppetto delle poche ragazze presenti: finalmente potevo dire che anche io stavo incominciando a farmi il mio cerchio di amicizie, nonostante non mi trovassi mai con loro al di fuori della palestra.

Il judo, con le sue gare la domenica, i tre allenamenti a settimana e le varie attività extra, mi consentì di bloccare e fissare i muscoli sulla mia schiena – che avevano preso una leggera piega scoliotica – e di conseguenza anche la colonna vertebrale. E mi diede una frattura ossea all’anulare destro, una seconda a un dito del piede sinistro, parecchie ammaccature, uno svenimento e un luogo, dove poter parlare con gente al di fuori della mia scuola e delle mie amiche delle elementari e medie. Impiegai due anni prima che Adelaide mi accettasse come sua vera e propria grande amica ed io per potermi solo fidare di lei: penso sempre a quel periodo come il più grande intervallo in cui ho impiegato per fidarmi di una persona che non avevo mai incontrato prima. Forse perché era la prima che sentivo tanto affine e volevo essere certa di non ricevere brutte sorprese in ritorno. Sono ormai otto anni che ci conosciamo e non ha neanche mai pensato di voltarmi le spalle, nonostante i brutti momenti di entrambe. E Jennifer, beh, lei è diventata un ricordo indefinito nella mente di entrambe dopo il suo addio al corso, nemmeno sei mesi dopo il mio arrivo: la cosa non mi è dispiaciuta tanto. Sorry.

Il punto di svolta, dove credo sia nato proprio quel legame che ci unisce così in profondità, è arrivato quando capì che tutto il mio attaccamento verso di lei, non era solo per puro divertimento, ma era anche una disperata richiesta di aiuto da parte di una “ancora” bambina, che si zittiva dalla paura ogni volta che incontrava gente nuova. Con un’ansia sociale così opprimente, con un cinismo e un’aria da perenne apatica impresse sulla mia faccia, mi facevano vedere il mondo solo come una landa desolata. I primi tre anni sono stati i peggiori, con Adelaide che mi aiutava poco alla volta a relazionarmi con le persone e a farmi scoprire le cose belle del mondo circostante. Quando le ho detto perché mi comportavo così, è scoppiata a piangere e mi ha abbracciato a lungo: fu in quel momento che decisi che avrei fatto del mio meglio per ripagarla di tutto quello che stava facendo per me. Non credo riuscirò mai a ripagarla del tutto.

Ha un sacco di pregi, e qualche difetto, come tutte le persone normali; teneva i capelli lunghi fino alle spalle, comodi e pratici da raccogliere in una coda - anche se ora li ha invece fino a metà schiena, facendo emergere le sue naturali onde – e sperava sempre di riuscire a riconoscere i volti delle persone quando le parlavano: anche adesso la prendo in giro poiché diventa una piccola talpa senza occhiali, assottigliando le palpebre in maniera così buffa che a volte le nascondo gli occhiali apposta. Una delle cose belle di Adelaide, però, è che ascolta, tutto e tutti. Ascolta sempre, anche quando non ne può più di sentire, per la millesima volta, i discorsi che le facevo durante i nostri sempre più numerosi pigiama party.

 “Oddio, tu non capisci. Luca è l’amore della mia vita, ma l’hai visto? Credi che potrei mai riuscire a conquistarlo? Sono troppo persa di lui.”.

Gesticolo un sacco mentre parlo. E faccio delle facce strane quando voglio enfatizzare tutta la mia disperazione. La sento sempre a ridere di gusto, se m’impegno a ricordare.

“Ma se ci parli a malapena!”.

Già, ascolta sempre tutto ma ti riporta con i piedi per terra a una velocità impressionante. E per la precisione, Luca è stato il mio primo amore ma non ci ho combinato niente – giuro! - tranne qualche bacio a stampo durante gli stage di judo, nella camera dell’hotel. Ci siamo persi di vista, ora che ci penso.

Adelaide ha sempre riso per questa mia costante mania di farmi un sacco di pare mentali senza in realtà avere uno straccio di prova concreta: non ha più riso tanto quando ne ha viste un paio realizzarsi, soprattutto per quanto riguardavano lei. A quel punto ero io a ridere, di lei e del suo imbarazzo nel rispondere ai messaggi di ragazzi che ci stavano – palesemente – provando con lei: se lei era il cuore della coppia, dolce e gentile con tutti, io ne ero la mente – e sono ancora adesso sarcastica e diffidente con le persone sconosciute. La vedevo con occhi pieni di terrore mentre m’implorava di farli smettere: si sentiva a disagio nel ricevere tutte quelle attenzioni che sapeva non avrebbe potuto ricambiare; non le andava neanche di provare a instaurare un legame, voleva solo che la smettessero di importunarla. In quei casi mi sentivo potente perché ero presente per proteggere la mia amica e con pochi messaggi – oddio, niente Whatsapp, che tempi bui – scritti in maniera un po’ cattiva, li facevo allontanare. Neanche uno ha replicato o provato a ricontattare la mia amica. Ho scoperto di essere veramente brava a spaventare la gente a parole e l’ho usato a mio vantaggio, anche perché sono sempre stata una ragazza bassetta e aggiungerei non particolarmente intimidatoria. Adelaide ha sfruttato la mia altezza per utilizzarmi come poggiatesta, cosa che fa ancora oggi. Maledetti i quei quindici centimetri che ci separano.

Se dovessi utilizzare un colore per descriverla, sarebbe sicuramente il verde-acqua, con tendenze verso il verde, però. Anche per Olga utilizzerei il verde-acqua, però questo tendente verso l’azzurro. Ma tralasciamo Olga per un attimo. Il colore credo sia dato dal fatto che è calmo e brillante ma senza l’accecanza – è una parola? Non credo … - tipica del giallo; non che io sia un’appassionata di colori o moda, ma mi piace associare le persone a determinate cose, come appunto a colori o a canzoni: la mia relazione d’amicizia con Adelaide è perfettamente rappresentata dai suoni allegri dei violini nel theme di Sherlock[2].

Parlando di musica, non posso fare a meno di menzionarvi il suo amore per la chitarra classica: seguiva fino dalle elementari corsi con maestri di chitarra, i suoi genitori avevano incoraggiato molto la scelta della figlia e in casa possedevano quattro chitarre e un ukulele – personalmente il mio preferito. Poi un giorno era venuta con me in gelateria, abbattuta e completamente spenta, perché il suo nuovo maestro era un completo cazzone e continuava a ripeterle che non era sufficientemente pronta per affrontare il successivo esame, che non sarebbe mai entrata in Conservatorio - non che lei volesse entrarci, anzi!
Feci del mio meglio per ascoltare tutto il suo racconto senza intervenire, le posi qualche domanda da profana dell’argomento “esami di musica”  e poi le chiesi le sue intenzioni: ormai era da qualche mese che non si sentiva felice nel suonare la chitarra, uno strumento che amava così tanto. Alla fine scelse di mollare tutto, con grande dispiacere e con grande disappunto dei suoi genitori: la consolai in una delle nostre - ormai abitudinarie - uscite dal gelataio, abbracciandola dolcemente su una scomoda panchina. Il tutto mentre il suo gelato si stava sciogliendo, colando su cono, mano e maglia. Fu però più tranquilla e rilassata dopo: spero che il suo maestro di allora rimpianga amaramente ancora oggi l’aver perso un’allieva dotata.

Se dovessi descrivere Adelaide con tre aggettivi, sarebbero sicuramente: solare, amichevole e giusta.

 
 

 
 
Randori [1]: termine usato per indicare la pratica degli insegnamenti delle tecniche apprese; è l’esercizio libero tra due avversari il cui scopo è buttare l’altro con la schiena a terra. Si può distinguere in randori “in piedi” o “a terra”, a seconda di dove il sensei vuole porre l’attenzione.
Theme di Sherlock[2]: https://www.youtube.com/watch?v=-hncC_s6XlM

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Capitolo 2
*** Vi presento Olga ***


Olga.

Ruolo: Migliore amica n°2. Luogo di incontro: classe, primo giorno delle superiori.


Credo sia una mia fissa quella di conoscere le mie future amiche e praticamente ignorarle per almeno un anno: con Olga non è stato molto diverso.

Credo abbiate tutti presente il magico momento in cui si conosce i nuovi compagni di classe: vi domandate “Ma chi sono questi?” “Ma come cavolo sono vestiti?” “Oddio, saranno delle brave persone? O magari sarò io la disgraziata della classe!” e tutte le domande esistenziali possibili in questo mondo. Tentate di scrutare le nuove facce che vi accompagneranno per i prossimi cinque anni – o almeno, la maggior parte ti accompagna per cinque anni, alcuni se ne vanno, altri compaiono all’improvviso – e sperate di associare un nome a un volto, pregando nel frattempo di ricordarvi tutti questi nomi nuovi. Entrate nella nuova aula e non sapete se correre subito verso il fondo o sedervi davanti – ma mai davanti la cattedra, lì c’è troppa pressione! – e nel frattempo occhieggiate cosa fanno gli altri e a volte si vede lo stesso conflitto lungo il loro volto. Per quanto mi riguarda, avevo deciso di andare alle superiori in una scuola a trenta minuti di autobus da casa mia: vi racconterò in seguito tutte le mie avventure con i vari autisti e la sfortuna di essere me medesima. Ma nei primi giorni di “assestamento” nella nuova routine, io fortunatamente avevo Gioia ed Emanuela al mio fianco: certo, a quel tempo – sì, sempre trilioni di anni fa – io e Gioia ci conoscevamo a malapena ma grazie al tempo speso in autobus, abbiamo legato molto.

In ogni caso, il mio primo incontro con Olga è stato questo: uno scrutarsi attento per poi presentarsi sommariamente e ritornare da persone con cui si aveva confidenza. Per i primi mesi devo ammettere di essere stata restia a incominciare qualsiasi tipo di amicizia all’infuori di quello con Gioia ed Emanuela, ma pian piano ho cominciato ad interagire anche con il resto della classe: eravamo in pochi, una quindicina in tutto, perciò è stato relativamente facile imparare i nomi e fare le prime conoscenze più approfondite. Dire che io e Olga siamo state amiche fin da subito, sarebbe una cazzata colossale: certo, eravamo compagne di classe e ci aiutavamo ogni tanto per i compiti ma niente di più. E’ stata l’estate tra la seconda e la terza superiore a cambiare le cose: e ogni tanto ringrazio ancora la mia piccola vena ficcanaso.

 Era l’inizio dell’era di Instagram, tanti di noi avevano il proprio profilo – pubblico o privato – e a Olga era arrivata questa richiesta da parte di un ragazzo napoletano: fin qui niente di strano se non fosse che alla fine i due si sono messi insieme. So già cosa state pensando, come diavolo si fa a mettersi insieme a una persona che non hai mai visto, che non sai se è reale o meno, se non sai com’è realmente fatta. Stessi miei dubbi quando ho scoperto tutta la situazione: perplessa e preoccupata per una ragazza che mi piaceva caratterialmente, che stimavo e che avevo il terrore potesse ferirsi. Ci siamo avvicinate così tanto durante l’anno scolastico, tra quel deficiente di nome Giovanni, la gita a Firenze in camera assieme e grigliate di casse, che alla fine siamo diventate migliori amiche: buffo che io abbia trovato un’altra ragazza caratterialmente opposta a me dopo Adelaide: loro si assomigliano caratterialmente - sono gentili con tutti, sorridono sempre, sono dolci - e forse è per questo che mi trovo così bene con loro.

Olga è alta – a mia discolpa, io sono alta un metro e una lattina di pepsi, perciò considero tutti alti e a tratti dei veri e propri giganti – biondissima, con enormi occhi azzurri (a volte accentuati dagli occhiali che porta o dal poco mascara che si mette addosso) e la pelle caramellata, praticamente una sorta di bambola con il cuore di zucchero. Alcuni, a primo impatto, la scambiano per una russa a causa del suo nome e per il suo aspetto molto “nordico” ma in realtà è una siciliana fino al midollo: una delle parti più divertenti della nostra amicizia è il nostro scambio culturale tra dialetti diversi, lei con il siciliano e io con il veneto. A volte sono utili se si deve insultare qualcuno e aggiungi insulti anche in dialetti diversi - siamo molto acculturate, fin troppo. Si veste sempre con colori pastello, soprattutto verde e sfumature di blu, ma la sua caratteristica vestiaria principale sono i maglioncini invernali: credo abbia un armadio nascosto in camera soltanto per loro; alcuni hanno addirittura una o più stampe di ancore, il suo simbolo per eccellenza. Ama l’acqua in modo quasi viscerale: praticava corsi di nuoto durante le superiori e mi manda costantemente foto del “suo” mare siciliano – che è una meraviglia, ragazzi fidatevi di me, tuffatevi e scomparite in quell’acqua così fredda e così trasparente.

Credo sia anche una delle persone più intelligenti che io abbia mai avuto il piacere di conoscere: al momento segue il corso di Ingegneria Industriale, corso che io personalmente non sapevo neanche esistesse. È semplicemente brillante: in qualsiasi materia si impegni, riesce sempre a risolvere ogni dubbio che si pone e riesce a spiegare a terzi tutto ciò che studia con parole semplici. La adoro.

“Olga ho fame.”

Una delle mie frasi principali. E' quasi ora di cena e lei è comodamente seduta sul letto che le ho preparato in camera mia: è una delle prime volte che rimane a dormire da me e mia mamma mi ha fatto lustrare ogni centimetro del pavimento di casa.

“Ordiniamo una pizza? Ti va?”

Chiedo speranzosa: è più probabile che mia mamma sia incline a prendercela visto che lei è qui. E Olga lo sa.

“Tra te e la pizza prevedo un amore erotico che durerà per tutta la vita!”

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Capitolo 3
*** Vi presento Emanuela ***


Emanuela

Ruolo: l’amica d’infanzia. Luogo di incontro: asilo.

Ho passato gran parte della mia vita essendo amica di Emi, e a passare il tempo con lei, rispetto all’estenuante convivere con mio fratello: il che la dice lunga su quanta pazienza abbia avuto la mia amica con una come me.

Io ed Emi abitiamo a circa cinquecento metri di distanza, in linea d’aria: entrambe abbiamo una casa a due piani, un bel giardino, un cane, un fratello minore rompiscatole, una stradina interna mai illuminata dai lampioni, dei pesci; lei in più possiede pure svariate tartarughe, un gatto – anche se in realtà è il gatto di uno dei suoi numerosi vicini - e due porcellini d’India. Un circo insomma.

Sinceramente non saprei descrivervi il nostro primo incontro, neanche la mia prima impressione che ho avuto su di lei: infatti, abitando in un minuscolo paesello - perso tra le colline del prosecco, come a volerlo nascondere ancora di più - con un massimo di cinquemila anime, i pochi nati all’anno erano lasciati all’asilo comunale, l’unico della zona. Si può ben capire, quindi, la mia inaccuratezza nel descrivere l’incontro con una delle persone più importanti della mia vita, spero vogliate perdonarmi.

Dovete poi sapere che io ed Emi siamo state sempre in classe assieme: tralasciando l’asilo, dove alla fine tutti erano amici di tutti e tutti giocavano con tutti, abbiamo passato elementari, medie e i primi due anni delle superiori nella stessa aula (per la precisione nella sezione B, tranne per le elementari che era una classe unica). Poi quell’idiota ha deciso di cambiare scuola – neanche indirizzo del liceo, no! Proprio l’edificio fisico dove andare a studiare – e quindi la nostra fortunata serie si è interrotta: maledizione, e io che pensavo potessi sfruttare quel cervello per tutta la durata del liceo. Ironicamente, ora siamo nella stessa città a studiare per l’università, anche se in corsi differenti: perciò, diciamo che la serie si è modificata nel corso del tempo. Facendo un rapido conto, tra poco saranno vent’anni che noi due siamo amiche, con i nostri soliti alti e bassi – anche se con Emi sono sempre stati più alti che bassi: credo io le sia rimasta così amica per l’incredibile e disumana pazienza che ha in corpo. Per darvi l’idea di quanto buona sia questa ragazza, vi dico soltanto che l’ho vista arrabbiata una sola volta nella mia breve vita e per colpa della padrona di casa del suo appartamento universitario: il messaggio che le ha mandato via Whatsapp dove, insieme ai suoi ormai ex-coinquilini, le sputava in faccia lo stato schifoso in cui era l’appartamento, è stato il coronamento della mia influenza pluri-annuale sul suo Essere. Mi sono sentita così orgogliosa. Voi non potete neanche capire quanto. Potrei mettermi a piangere al momento.

Essendo nate in questo piccolo paesino, abbiamo svolto insieme le attività comunitarie proposte per i bambini: l’oratorio della chiesa è diventato il nostro punto di ritrovo nei sabati e nelle domeniche, soprattutto durante l’estate, dove giocavamo o nel campo da basket o in quello affianco da calcio; hanno poi iniziato il corso estivo di pattinaggio in linea – o come lo chiamiamo semplicemente, roller – corso che è perdurato negli anni: ora sono io che insegno al livello dei principianti, insieme a Emi e ad altre ragazze. Inoltre ogni mattina di luglio, per quasi dieci anni, andavamo a un corso di ricamo tenuto da un gruppo di suore nel comune vicino: ci siamo fatte un corredo a testa, tra asciugamani, centrini, tovagliette e canovacci vari – anche se io devo ancora finire di ricamare un lato intero della mia tovaglia da otto persone, la mia ultima opera. Ops. Come se non bastasse, entrambe abbiamo sempre avuto la passione per il canto: abbiamo perciò partecipato attivamente al coro dei bambini della chiesa, fino al suo scioglimento, tentando di prendere parte poi al coro giovanile. Alla fine entrambe abbiamo abbandonato, Emi poiché non aveva più tempo a disposizione con le sue lezioni di violino, io perché ho cambiato idea sulla fede (credevo davvero nel Cristianesimo, essendo nata anche da una famiglia cristiana. Poi ho strappato la fede dalla mia pelle perché mi ha tradita nel peggior modo possibile). L’unica ragione in comune era il terribile clima che si respirava con la direttrice del suddetto coro: da brividi.

Grazie a Emi, ho conosciuto Gioia: loro due avevano legato molto durante i tre anni delle medie – Gioia era nella sezione A - mentre io ci ho fatto amicizia durante il primo anno delle superiori, quando decise di iscriversi nello stesso liceo dove saremmo andate io e Emi. Alla fine, eravamo e siamo tutt’ora un trio molto affiatato: passiamo almeno una giornata di vacanze insieme, dove ci scambiamo regali (a Natale) o dolcetti (a Pasqua), organizziamo molto spesso cene a casa di una delle tre o andiamo al cinema insieme. Se Gioia è la mente del gruppo, la parte principalmente sarcastica, Emanuela è la parte dolce del gruppo, il cuore di panna del trio, sempre pronta a gossippare su parenti e conoscenti con le sue immancabili domande amorose: credo ormai di aver perso il conto delle volte in cui mi ha fatto domande sulla mia situazione sentimentale.

“Ma allora ragazze, i morosi?”

E lo dice con un sorrisetto d'aspettativa. Come se dopo vent'anni, ancora non avesse capito che la mia vita sentimentale è pari a zero.

“Emi, ne abbiamo già parlato settimana scorsa, non c’è nulla di nuovo. Se ci fosse anche un minimo segnale, ve lo direi subito!”

“Controllavo!”

E si incavola quando crede che le stia mentendo. Oppure un qualcosa tipo:

“L’ultima di noi tre che si sposa, porta tutte e tre a Las Vegas per l’addio al nubilato!”

“Ma quando mai succederà, Emi!”

“Non ho soldi neanche per comprarmi i libri per quest’anno, figuriamoci se vi porto a Las Vegas.”

Che poi, non ho alcuna intenzione di sposarmi e sto trascinando pian piano Gioia dalla mia opinione: ho come il sospetto che Emi sarà la prima e l’unica, tra le tre, a sposarsi. E il suo matrimonio sarà una favola, felice e appagante, parola mia, altrimenti dovrò eviscerare il suo futuro marito.

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Capitolo 4
*** Vi presento Gioia ***


Gioia


Ruolo: l’amica brutalmente onesta. Luogo d’incontro: medie.

Di Gioia devo dire che - innanzitutto - è più amica di Emi rispetto a me, e questo perché per ben tre anni, io e lei eravamo semplici conoscenti, senza troppi contatti, legate solo ed esclusivamente da Emi. Ero troppo impegnata a cavoleggiare - e ricordare - per diventare sua amica.
Poi ho scoperto che entrambe sarebbero andate nella mia stessa scuola superiore, perciò abbiamo fatto in modo di finire in classe insieme, almeno per poterci dare una futura mano nello studio, nei compiti e per tenerci compagnia durante la mezz’oretta di viaggio in autobus. Ah, i ricordi, quelli belli.

Il primo mese eravamo un trio quasi inseparabile: non conoscendo nessuno nella nuova classe (mentre molti tra di loro si conoscevano) ci siamo accaparrate i banchi da tre in fondo all’aula, per ambientarci insieme con le nuove persone accanto. Sono stati quei momenti, tra una lezione e l’altra, tra l’attesa dell’autobus a fine lezione, ad averci avvicinato e fatto conoscere.

Non so esattamente se sia partito da me o da lei il primo passo ma una delle prime cose che ricordo della nostra amicizia fu all’insegna della violazione della legge e della privacy: sedute sui gradini della scuola, aspettando l’inizio del corso pomeridiano di ECDL, mi aveva confidato di simpatizzare per un ragazzo più grande di noi, uno di quarta (o forse era quinta? Non ricordo). Io – totalmente entusiasta di questa scoperta e vogliosa di fare buona impressione sulla mia nuova amica – le ho proposto di andare a sbirciare nell’aula dove il tipo aveva lezione, per scoprire il suo nome almeno. Così, dopo molte titubanze da parte di Gioia – infondo, chi vorrebbe essere sorpreso a rovistare in un’aula manco tua, alla ricerca di un indizio su quale sia il nome del prode giovane di cui si è innamorato – siamo entrate con molta nonchalance e ci siamo dirette di soppiatto verso la zona incriminata. Entrate, lei si è messa a fare il palo mentre io – da futura esperta stalker quale sono – rovistavo nei cassetti della cattedra: per grazia divina, ho trovato un foglietto con scritti tutti i nomi e cognomi, completi di numero di cellulare, degli alunni; con un singhiozzo di gioia, ho fotografato il foglio e ci siamo dileguate dalla zona, per evitare di essere sorprese da un bidello. Con calma poi, abbiamo scremato tutti i possibili candidati finché non abbiamo trovato quello giusto: ora sapevamo nome, cognome, numero di cellulare ed io lo avevo trovato anche su Facebook, garantendo a Gioia un accesso a tutte le informazioni pubbliche. Il tutto contornato da gridolii di gioia contenuta ed esclamazioni stile “Oddio ora ci arresteranno.” o “Non voglio finire in carcere per colpa tua.” oppure “A me bastava solo il nome!” e cose di questo genere.

Ma come mia madre mi dice spesso: “Chi ben comincia, è già a metà dell’opera!” e così, complici di questo sotterfugio, ci siamo avvicinate fino a creare un vero e proprio trio insieme a Emi: abbiamo creato prima un gruppo su Messanger e poi su Whatsapp, dove ci sfoghiamo, ci divertiamo e ci organizziamo per le feste. È ormai da circa sei anni che non passo più una vacanza di Natale senza che noi tre ci vediamo per una cena, dove ci scambiamo i regali, e festeggiamo il capodanno insieme (tranne una volta, dove loro sono andate a Firenze ed io fuori con Adelaide).

Abbiamo anche la passione per i film della Marvel e siamo andate insieme al cinema a ogni prima nazionale, ridacchiando tra i suoi popcorn e i miei nachos con la salsa piccante; una volta, per sbaglio, li ho rovesciati tutti sul pavimento: non vi dico i commenti divertiti che ho preso da Gioia fino alla fine del film. Ma non andiamo soltanto a vedere i film eroici ma siamo anche appassionate di fantasy e film storici, anche se lei mi porta a vedere film romantici – alcuni carini, lo ammetto, ma per il resto anche no. Il romanticismo non è proprio fra le mie corde - mentre io film thriller. Alla fine, uscite e dirette verso l’auto dei nostri genitori li commentiamo, tentando di essere critiche e obiettive: è una delle poche volte in cui non faccio la figura dell’idiota con lei.

Perché dovete sapere che, nonostante io ci provi e ci riprovi, con Gioia divento improvvisamente stupida: non riuscirò mai a capacitarmene, ma il mio cervello si azzera e sparo boiate ogni volta che apro bocca; persino Adelaide non se lo sa spiegare e si piega dalle risate ogni volta che capita, con mio grande imbarazzo. Ci sarebbero infiniti episodi ma la volta delle ordinazioni del sushi ve la racconterò più avanti.

Ah, la foto famosa con i numeri, poi l’ho cancellata dal mio telefono perché stalker anche sì, ma completamente stupida anche no.
 

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