Virago;

di SasuSweeTeme
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I - Lilith; ***
Capitolo 2: *** II-Fallen angel; ***
Capitolo 3: *** III-Cain; ***
Capitolo 4: *** IV-Sodomy; ***
Capitolo 5: *** V - Seraphic; ***
Capitolo 6: *** VI - Naruto; ***
Capitolo 7: *** VII - Pater Familias; ***
Capitolo 8: *** VIII - Pater Familias - Exitum; ***



Capitolo 1
*** I - Lilith; ***


A scuola, per un compito, le avevano fatto leggere un passo dell'Antico Testamento.
Nella bibbia c'era Adamo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, plasmato dalla terra, il signore dell'immenso giardino fiorito che era l'Eden.
Ma Adamo era solo in quello che era il paradiso terrestre, quindi il signore misericordioso concesse lui la compagnia di un suo simile, creata da una sua costola per essere la moglie devota ed amorevole in un nuovo mondo.
E a ripensarci, tutta la situazione di merda in cui era finita la più piccola di casa Uchiha era dovuta proprio a questo sottile ma becero modo con cui per secoli si ha pensato alla nascita del sesso maschile, a quanto poco si sia fatto per interpretare meglio un testo religioso, facendosi bastare una donna nata da un pezzo sottratto all'uomo per dare il via a quello che sarebbe stato il peccato originale. 
La piccola, delicata e generosa Eva che aveva amato senza remore, nel suo silenzioso sottostare al compagno aveva fregato tutto un genere relegandolo ad una vita di sforzi disumani e di fatiche immense per guadagnare lo stesso rispetto di un uomo ed eguagliarlo nell'ambito sociale e lavorativo, aveva spinto ogni pulsante giusto e tirato ogni leva  per scatenare una tempesta a cui Sasuko pensava di poter e di essere scampata con l'intelligenza che anni di studio avevano consolidato e l'indipendenza economica che solo una famiglia facoltosa come la loro poteva permettere alla figlia diciassettenne.
Eppure, nel vedere la busta bianca decorata dal nastro rosso sul tavolo -e tutta la famiglia riunita intorno, inginocchiata e composta ad attenderla con un sorriso che sarebbe dovuto essere conciliante, ma che sapeva solo di tristezza- l'Uchiha minore quasi non ebbe un mancamento, trovando necessario tenersi allo stipite della porta quando sua madre, con una calma ed una placidità che la mora trovo fin troppo eccessiva per quella situazione, decise di snocciolare con un mal recitato candore che ormai era giunto il momento di iniziare a valutare pretendenti.
Doveva sposarsi.
Doveva sposarsi, doveva prendere i suoi progetti e buttarli dalla finestra, prendere marito e votarsi solo ed esclusivamente a lui, alla famiglia, alla casa -e nemmeno a quella, probabilmente, considerando che la scelta sarebbe ricaduta sicuramente su un uomo ricco che le permettesse il lusso di una domestica- e ai figli.
E lei si rese conto,  guardando il fratello accompagnato da una moglie non scelta da lui e poi i genitori, così vicini eppure così lontani, legati da stima reciproca conquistata negli anni e l'affetto che solo solo tra due persone che hanno avuto figli insieme può scaturire ma non dall'amore, lei tutto quello non lo voleva.
Non voleva dote, non voleva la fetta di patrimonio e non voleva trovarsi incastrata in un matrimonio scomodo. Voleva essere libera, andare avanti nello studio, iniziare a lavorare per guadagnarsi da vivere e vedere i suoi sforzi apprezzati, tanto da brillare di luce propria, non come figlia di Fugaku  o moglie di qualcuno, ma come professionista.
Lei non sarebbe stata l'ennesimo sacrificio, l'ennesima offerta disinteressata ad un dio ingiusto e privo di amore per la sua prole, lei non sarebbe stata Eva. 
Sarebbe stata Lilith.



Lui la religione e tutta l'importanza che alcuni davano questa non l'aveva mai capita.
Figlio di un calligrafo americano e di una chef canadese, dal canto suo, non poteva di certo comprendere a pieno il concetto di fede circolante in Giappone, ma piuttosto quello della bellezza visiva -insegnatogli dal padre con un numero spropositato di tele- e del piacere dei sensi -appreso dalle ricette della madre e ripreso poi in modo diverso dai racconti del nonno acquisito- e quindi, del visitare templi, accendere ceri, bruciare incenso e lanciare fagioli, di tutto questo, Naruto non sapeva niente.
Certo, viveva a Shibuya abbastanza da aver imparato la lingua, compreso l'atteggiamento e il costume pudico di quella parte di civiltà, ma cose più personali come le credenze, che solitamente proliferano nelle menti giovani dei figli grazie ai genitori, non avevano sfiorato la bella testa bionda. Al suo posto, infatti, vi erano informazioni più o meno rilevanti come le regole grammaticali, i kanji, l'intreccio delle linee della metropolitana, i chioschi con il ramen più buono e le sale giochi più all'avanguardia.
C'era anche un piccolo spazio, nella sua memoria, occupato dai volti delle compagne di classe più carine, ma tra questi quello di Uchiha Sasuko non era mai stato presente; bella ma glaciale, dotata per di più di un carattere pungente ed opposto al suo, gli era sempre stato distante, preferendo alla rigida capoclasse qualcuno di più malleabile come Sakura e più facile da lusingare come Ino.
Fu per questo che quando la vide nel suo campo visivo, ancora tramortito dal sonno millenario in cui era caduto durante la lezione di Iruka-sensei, in un primo momento pensò che per quanto poco gli interessasse la religione lo stava tentando abbastanza con quel miracolo, reso reale dall'inebriante odore dell'ammorbidente dell'altra a pochi centimetri dalla faccia.
Inebetito e sorpreso, dunque, non gli restò che drizzare la schiena e sollevarsi dal piano su cui aveva schiacciato un pisolino, strofinandosi gli occhi azzurri.

« Ti devo parlare. » 








Ovviamente le storie le posto solo ad orari assurdi, quando nessuno può leggerle -e con Spotify che mi spamma a manetta la pubblicità Motta- ma almeno le posto.
Sapendo quasi con certezza che sono incompiute, ma meh.
Buon Natale!

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Capitolo 2
*** II-Fallen angel; ***


« Il diavolo è reale » aveva detto una volta Iruka-sensei, aggirandosi tra i banchi con il libro di testo in una mano e l’altra presa a gesticolare. « E non è un omuncolo rosso con le corna e la coda. Può essere bellissimo-..»
Aveva zittito Kiba con uno schiaffetto dietro la nuca e questo aveva fatto ridere Naruto, colpito a sua volta. « Perché è un angelo caduto ed era il preferito di Dio..»
Ino aveva socchiuso la bocca, probabilmente per intervenire, ma Sakura le aveva toccato una spalla, zittendola.
« .. e si presenta a noi con le fattezze di ciò che più vogliamo al mondo. »
A fine lezione il biondo aveva sorriso sprezzante, rimettendo i libri in cartella e pregustando il pranzo che di lì a poco avrebbe consumato. Chi avrebbe mai preso le sembianze di una ciotola di ramen, per lui?
Mesi dopo, con suo sommo disappunto, avrebbe capito cosa il suo insegnante intendeva dire. 


Si erano incontrati sul tetto quel giorno stesso -come succede in un qualsiasi manga di serie C dove tutte le notizie dovevano essere date lì per evitare orecchie indiscrete- e Naruto da quell’unico incontro tra loro due aveva capito perché nei videogiochi, negli anime e nei film di quell’America lontana che i suoi genitori avevano abbandonato prima di lui, il villain fosse sempre così affascinante.
C’era qualcosa nello sguardo della più piccola che rendeva l’imbarazzante differenza di altezze -il metro e sessanta stentato di lei contro il metro e ottanta di lui- insignificante, che non aiutava il biondo a sentirsi meno piccolo ma anzi, sembrava proiettare un’ombra in cui non era confortevole stare. Era una sensazione strana, per nulla piacevole, una stretta allo stomaco paragonabile solo alla strizza che gli prendeva prima di iniziare un compito di matematica sicuramente destinato a fallire.
Sasuko lo guardò ancora, probabilmente scegliendo da dove cominciare, ma senza però esprimere una qualunque espressione che non fosse quella impassibile che aveva mostrato salendo le scale, gettando ulteriormente l’altro in confusione.
Si era decisa a parlare proprio quando Uzumaki aveva contratto le sopracciglia ed aveva socchiuso la bocca, impaziente, zittendolo in principio.
« Ti ho fatto venire qui perché mi serve una mano. » iniziò , facendo temere all’altro che si sarebbe fermata lì e allo stesso tempo facendo partire un elenco immaginario di tutte le situazioni che avrebbero potuto rendere necessario a Sasuko Uchiha l’aiuto di uno come lui.
Eliminando ogni eventuale ipotesi riguardante videogiochi: nessuna.
Lei parve intuire i suoi pensieri -forse, semplicemente le bastò guardare la sua aria concentrata- e rise, poco e brevemente, ma abbastanza da prendere in contropiede Naruto, da fargli registrare quanto potevano essere belli -più belli- i suoi lineamenti da rilassata, quanto rosee potessero essere le sue labbra se inarcate in un sorriso.
« Mi serve un finto fidanzato.»
Con un tonfo il biondo lascio cadere la cartella, spiazzato -e sentendosi in un certo senso anche offeso- da quella insolita proposta.
Come avrebbe dovuto reagire a quella proposta, sempre se di proposta si poteva parlare?
Avrebbe potuto chiedere a qualunque ragazzo una cosa del genere nella loro classe e nella loro scuola, ma allora perché proprio a lui?
E infine, perché la possibilità di prendersi con lei tutte quelle confidenze che solo un fidanzato -seppur finto- poteva permettersi era così allettante? Come poteva una persona che fino a quella mattina gli era stata indifferente -perché la bellezza era innegabile, certo, ma mai si era mosso per ottenere un minimo della sua considerazione- attrarre a sé tutta quell’attenzione in un solo pomeriggio?
In un empasse infinito, rimase bloccato a guardare varie fotocopie scivolate via dal raccoglitore davanti ai propri piedi e non si risvegliò dai suoi pensieri fino a quando non vide le mani bianche e curate dell’altra raccogliere i fogli, raggrupparli in modo ordinato e seguire la proprietaria mentre questa si sollevava da terra dopo essersi inginocchiata elegantemente per raccogliere ciò che la sua sbadataggine aveva fatto cadere.
Tornata in piedi, si lisciò con la mano libera il tessuto scuro della gonna della divisa scolastica prima di guardarlo di nuovo.
«Scusami, forse non è una cosa che fa per te.» mormorò con un leggero imbarazzo, rimettendogli tra le mani i fogli che lui si ostinava ad ignorare mentre la guardava in silenzio «Fingi non ti abbia chiesto niente.»
E fu strano, ma le mani abbronzate che tanto tenacemente avano ignorato le pagine non fecero allo stesso modo con i polsi della più piccola, che vennero circondati velocemente dalle dita di lui.
«No, va bene!» le aveva risposto con impeto, finendo anche per scuoterla un pochino.
Si schiarì la voce e gli occhi chiari tornarono a sondare quelli scuri, questa volta più calmo ma non per questo meno rosso in viso.
«Ci sto.»







Io ci ho provato. Di nuovo.
Buon Anno nuovo!

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Capitolo 3
*** III-Cain; ***


Gli aveva spiegato i retroscena di quel piano barcollante e neonato mentre sistemava il pranzo sul tavolo della sala mensa, disponendo le colorate -ma soprattutto- simmetriche pietanze con movimenti lenti, aspettandolo in una bolla di silenzio che stonava terribilmente con il clima solitamente chiassoso che lo circondava ad orario di pranzo, un’aria che poteva respirare a pochi tavoli di distanza e che Choji e Kiba avevano ricreato abbastanza facilmente anche senza di lui.
Parlavano di un quiz televisivo, molto probabilmente.

 

 



Il viso della madre, a differenza di tutte le aspettative -e dell’aria contrita di suo padre-, si distese in un’espressione di stupore.
« Un fidanzato? » chiese, visibilmente sorpresa, inclinando il capo e puntando le iridi scure in quelle gemelle della figlia.
Era un terreno delicato quello su cui si stava muovendo, su cui una volta mosso il primo passo non si poteva più tornare indietro e, soprattuto, non ci si poteva dimostrare titubanti.
Ignorando le perplessità razionali che la sua mente iniziò ad elencare, la mora rincarò la dose, sforzandosi di portarsi una mano al viso e simulare l’imbarazzo necessario a coprire un rossore verginale che doveva esserci, ma non c’era. 
« Un fidanzato. Stiamo da poco insieme, ma.. »
Sfortuna volle che incontrò gli occhi caparbi e consapevoli di Itachi, lo sguardo di chi la sapeva lunga ed aveva capito tutto.
Gli occhi di un Caino che aveva scagliato via il coltello offertogli dal serpente, che non la stava ostacolando nel suo tentativo di fuga verso la libertà e non stava peccando di invidia, ma piuttosto le stava suggerendo di mentire meglio.
Unì le mani contro il viso, le guance e gli occhi al riparo dalla supervisione degli adulti e la mossa approvata dal maggiore con un sorrisetto che riuscì a spiare dalla fessura delle dita.
« .. lo sai, mamma, è una cosa personale che non dovrebbe interessare i genitori. »
E seppe di aver vinto quella battaglia quando non sentì risposta e vide un fremito sottopelle far vacillare il sorriso di Mikoto.
Fece per allontanarsi dal salotto, facendosi violenza nell’ignorare la risatina poco sommessa della cognata appesa al braccio di suo fratello, ma la voce di Fugaku, rimasto in silenzio per tutto il tempo, la congelò sul posto.
« Appunto perché siamo i tuoi genitori dovremmo sapere con chi ti accompagni. »
La più piccola si sentì fremere e, punta nell’orgoglio, allontanò le mani per scoprire gote che rosse lo erano sul serio. Ma dalla rabbia.
Era assurdo, semplicemente assurdo, pretendere un tale controllo sulla vita di un figlio; quella era una restrizione, un recinto, uno steccato bianco che le si stringeva intorno e le spezzava i passi, che le toglieva quella libertà che aveva sempre dato per scontato e che, di punto in bianco, capì di non aver mai avuto.
Assunse un’espressione oltraggiata, le labbra schiuse e le sopracciglia corrugate.
« No, vuoi saperlo perché metti in dubbio il mio giudizio e non hai fiducia in me, papà »
Sputò senza pensarci due volte, tagliando deliberatamente fuori da quel discorso la madre -che aveva abbassato mestamente il capo, distogliendo lo sguardo- e il fratello -in religioso silenzio con la sua controparte che, finalmente, si era messa a tacere- accollando tutte le responsabilità al patriarca.
Non era un’indovina ma poteva quasi vederlo mentre compilava la sua scheda per l’agenzia matrimoniale, mentre sceglieva tra le buste i ragazzi di rango più alto, più facoltosi, più convenienti.
Era disgustoso e il suo stomaco, glielo comunicò con una stretta, fu d’accordo.
Fugaku boccheggiò un secondo, visibilmente piccato dalla sagace -e quindi degna del tanto stimato intelletto Uchiha- quanto inaspettata risposta della figlia, chiudendo poi le labbra in una linea dritta.
« E come potrei altrimenti? Sei troppo giovane ed ingenua per certe cose »
Ad accogliere le parole del padre ci fu solo una risata amara e breve.
« Giusto, quindi ha più senso che sia tu a trovarmi il marito adesso, che sono giovane ed ingenua, piuttosto che lasciarmi la scelta a un’età appropriata. Come ho fatto a non pensarci? Oh, certo. Sono troppo giovane ed ingenua per arrivare a tanto. »

Lui probabilmente le aveva risposto, o probabilmente si era chiuso in un silenzio ostile, ma qualsiasi cosa fece lei non lo seppe mai.
Se ne era già andata.


« Il resto non è importante » aveva concluso la ragazza, pungolando con la punta delle bacchette un pezzo di cotoletta, l’ennesimo pranzo bellissimo ma insapore che le premure di Naoko -questo era il nome della consorte di suo fratello- le avevano offerto da quando, con sorpresa di entrambe, Itachi l’aveva invitata a stare da loro.
Come dire, apprezzava l’impegno, ma avrebbe giurato che la carta del menù della scuola sarebbe stata molto più saporita di qualsiasi cosa preparata dalla donna.
Pomodori compresi.
Pomodori come quelli che il biondo si ostinava a scartare, girando attorno alla verdura per catturare bocconi di pollo e riso, imprecando sottovoce quando una fogliolina di prezzemolo osava frapporsi.
Aveva vuotato il sacco, aveva raccontato tutto e quindi, sulle spine ed inconsapevole di non star respirando aveva atteso un commento qualsiasi dell'altro sulla questione guardandolo interagire con il suo pranzo e aspettandosi di tutto, tranne la domanda che le pose poco dopo.
« Non hai fame? » le chiese infatti il diretto interessato della sua analisi, inclinando il capo come un gatto curioso.
La ragazza scosse appena il capo, allontanando da sé il grazioso contenitore e riportando le braccia lungo le gambe.
« Sei troppo magra per saltare un pasto » borbottò contrariato l’altro in risposta, guadagnandosi un sorrisetto divertito in risposta.
Dire che lo faceva per un motivo blando come la dieta sarebbe stato stupido, una bugia del tutto superflua per entrambi. Lei -come tutte le rampolle di rispettabile famiglia- praticava abbastanza sport da smaltire il suo pranzo, quello del biondo e forse quello dell’intera scuola -persino le disgustose e grasse polpette del giovedì- mentre lui sapeva con certezza che in lei, almeno sotto quell’aspetto, non avrebbe trovato la classica ragazzina che per una S si sarebbe abbandonata al digiuno.
« E poi ho visto come guardavi il mio bento, lo so che hai fame. Sono amico di Choji, capisco sempre se qualcuno ha fame. » aveva continuato, facendole trattenere una risata che però le fece brillare comunque gli occhi.
« Non costringermi ad imboccarti. Sarebbe da fidanzatini, ma non penso ti piacerebb-- »
Sasuko aveva sbuffato profondamente per il fastidio, per una frustrazione che non era genuina, ma montata ad arte per nascondere una nuova risata e non permettere all’altro di capirla.
Per quanto partner in quel piano, non voleva mettersi troppo a nudo.

« Va bene, dammi qua. »


Con un ultimo sguardo di riconoscenza la più bassa portò alla bocca una fetta di pomodoro, riuscendo a sentire distintamente il tintinnare delle chiavi di San Pietro mentre questi le apriva i cancelli del paradiso.
Per essere un luogo fittiziò l’Eden non era così male, pensò.





Le fanfiction, specie quelle brutte, sono il palliativo e la scusa migliore per non studiare. Non lo sapete?

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Capitolo 4
*** IV-Sodomy; ***


Naruto non era omofobo, semplicemente non capiva come si potesse essere attratti da un uomo quando il cielo aveva donato loro un essere bellissimo come la donna.
Come si poteva trovar bello un collo taurino e muscoloso e preferirlo a quello sottile ed assai più delicato di una donna?
Come si poteva vivere senza la morbida e rassicurante presenza -piccola o grande non faceva differenza per lui, non era schizzinoso- del seno della propria compagna?
Come ci si poteva lasciar tentare così facilmente dalla sodomia quando il sesso eterosessuale era decisamente più semplice?
Il suo non era un giudicare, piuttosto una ricerca di comprensione che a più tentativi si era abbattuta su Gaara, un suo amico -apertamente gay, per quanto la cultura limitante giapponese glielo permettesse- conosciuto on-line durante una discussione su un forum di Bleach.
Gaara a quei quesiti , tutte le volte, rispondeva in un modo che gli ricordava Iruka-sensei, gli diceva che prima o poi avrebbe capito.

 

E Naruto capì quando mise piede in casa della finta fidanzata e ad accoglierlo trovò Itachi Uchiha in giacca e cravatta.
Capì e capì così tanto che per un secondo gli girò la testa e poi finì a farsi domande di natura personale, ma gli bastò riportare gli occhi sulla bellezza che aveva accanto per ritornare in sé.
E per capire che quello che aveva sperimentato era l’effetto che il moro aveva su tutti, persino sulla sua stessa sorella che, dopo una buona decina di secondi di immobilità riemerse dalla trance per presentare il biondo al maggiore, salutandosi con un informale stretta di mano.
Stretta che quasi non fece perdere all’Uzumaki tre delle cinque dita tanta era la forza -e tanto questa era arrivata inaspettata- che il più grande impegnò in quella che sarebbe dovuta essere una presentazione cordiale, ma che in realtà non era altro che un tacito scontro che per fortuna terminò con l’arrivo del té.

Consolato dalla morbidezza dei cuscini e dal tepore della tazza sotto la mano dolente, si permise di osservare il padrone di casa con rinnovato interesse, scorrendo la figura algida con lo sguardo, senza soffermarsi sul delicato accostamento che la carnagione faceva con la camicia borgogna o la curva delicata che i capelli scuri -inizialmente parsi simili a quella della compagna di classe per poi dimostrarsi di un tono più chiaro, più un castano molto scuro che un purissimo nero pece- formavano sulla spalla tonica, finendo per strozzarsi quando lesse l’espressione di placida soddisfazione che gli fece l’altro dopo aver intuito il risultato di quella silenziosa ispezione.
Il risultato era che per quanto a lui gli uomini non piacessero, Itachi Uchiha era bello da far schifo.

E a lui la cosa faceva girare le palle.

 

 

 

 

 

 

Aveva preteso di sapere, di conoscere questo fantomatico ragazzo complice e quindi colpevole di favoreggiamento al diseredo, aveva riproposto con toni diversi intenzioni fin troppo simili a quelle di loro padre in modo tanto calmo da risultare agghiacciante.
Ma, fino a prova contraria, viveva in casa sua. Glielo doveva.
Lo aveva invitato e in virtù del suo tanto decantato coraggio aveva accettato subito, senza fare una piega nemmeno alla stretta spaccaossa di Itachi -aveva chiaramente visto le nocche del maggiore sbiancare durante la presa- o la torta gusto sabbia di Naoko -la poverina ci provava, ma di comune accordo ormai erano lei ed il fratello ad occuparsi dei pasti di tutti e tre-, continuando a sorridere con una costanza ammirevole.
Aveva risposto esaustivamente ad ogni quesito dell’esigente padrone di casa e nel frattempo, forse per scaricare la tensione, aveva cercato la mano più piccola della ragazza che non aveva faticato a trovare, limitandosi a stringerla in una stretta delicata affiancata a qualche delicata carezza con il pollice.
E Sasuko non aveva avuto la forza di negargli -e negarsi, soprattutto- quel contatto gentile, concesso un po’ come premio e un po’ come palliativo a quella situazione scomoda. Aveva lasciato le dita chiare in ostaggio a quelle abbronzate di lui, resistendo alla tentazione di sfilarle e al fastidioso rossore che, puntuale, le si allargò sulle guance.
Itachi gli pose domande spinose prima di virare in una direzione più comoda per tutti, dimenticando momentaneamente i diciassette anni di entrambi, rincarando la dose come se a svolgersi non fosse altro che un colloquio di lavoro.
Poi dovette capire, perché cambiò i toni.
Gli chiese di parlargli di sé, della sua famiglia e lei, dalla mano ambrata sulla sua che ammorbidì la presa, avvertì l’intero corpo accanto al suo rilassarsi di botto.
Spiegò loro la complicata e a tratti divertente storia della sua famiglia, di come quei tratti anagrafici tipicamente giapponesi fossero piombati sul suo capo biondo, di come suo padre avesse dei genitori new age che non si legavano a cose stupide come i cognomi, di come avesse scelto di prendere il cognome del suo sensei per mandare avanti la sua rinomata famiglia di calligrafi mentre questi iniziava un viaggio rimandato un decennio e un romanzo posticipato due, di come sua madre avesse accettato tutta quella follia per amore.
Fu un monologo piuttosto intenso, spezzato solo dal singhiozzo femminile della moglie del più grande, commossa dalla storia in un modo tanto autentico e genuino che mosse Itachi, facendolo avvicinare alla consorte per aiutarla con affetto ad occuparsi del trucco sciolto, scatenando in lei un pianto vero e proprio.
Seduta al proprio posto, le sopracciglia sottili inarcate dalla sorpresa e le dita ancora alla mercé di quelle di lui, la piccola di casa Uchiha spiò con la coda dell’occhio la reazione del biondo alla scena, lasciandosi contagiare dal sorriso radioso -facendone uno decisamente più contenuto, ma non per questo trascurabile considerando il soggetto- che era riuscita a vedere oltre la coltre scura che le si posava sulle spalle.
Strinse le dita a sua volta, intrecciandole a quelle dell’altro, e Naruto, lei avrebbe potuto giurarlo, arrossì fino alla punta delle orecchie.

Era carino quando lo faceva.










È fisicamente sfiancante scrivere una long e mio odio per averne iniziata una, mi sembra di scrivere solo sciocchezze.
Ma ho un esame il 14 e piuttosto che non studiare per guardare un punto nel muro preferisco scrivere scemenze.
Scemenze completamente prive di dialoghi, ma meh.

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Capitolo 5
*** V - Seraphic; ***


Passarono due settimane dall’incontro di fuoco, quattordici giorni in cui Naruto ebbe l’occasione di conoscere lei e il suo carattere, di capire quanto in là poteva spingersi prima di ritrovarsi una delle graziose mani dell’Uchiha stampata contro la guancia.
Scoprì che Sasuko aveva preso lezioni di violino da piccola, che le piaceva l’inverno perché il caldo proprio non lo sopportava e che oltre a far parte del comitato scolastico era anche un membro della squadra di pallavolo.
E lui a quella notizia aveva socchiuso le labbra in una “o” sorpresa prima di farle tendere in un sorriso, perché il ruolo ricoperto dalla ragazza, quello dello schiacciatore laterale, era forse quello più faticoso ed impegnativo; lasciando da parte la preparazione fisica, la mora doveva occuparsi delle palloni più complicati, ma anche di rimettere in gioco quelli che avevano eluso i svariati schemi di gioco.

Inoltre, la coincidenza che anche l’altra, tra tutti i club del loro istituto, giocasse proprio a pallavolo era tanto assurda quanto divertente, quasi fosse tutto un piano preimpostato per farli incrociare in qualche modo.

Era da pochissimo tempo, infatti, che lui aveva lasciato il club di basket per diventare palleggiatore della squadra maschile. Assurdo.

Della sua ala scoprì che non le dava fastidio il contatto fisico -cosa che lui aveva inizialmente pensato- ma che piuttosto le dava fastidio essere circondata da troppe persone, che per quanto fosse una buona capoclasse e sapesse sempre come comportarsi in realtà era molto timida, che poteva raggiungere un particolare tono di rosso se esposta a una pioggia di complimenti e che aveva le mani piccole, tanto che quando una di queste era stretta nella sua le dita pallide di lei sembravano ancor più minuscole.

Ma soprattutto, di Sasuko scoprì che gli piaceva. Pure parecchio.

 


 

 

Avevano iniziato a tornare a casa insieme dopo gli allenamenti.
Avevano iniziato a tornare a casa insieme dopo gli allenamenti e, come per magia, i quarantacinque minuti di cammino che Itachi si premurava di evitarle con l’auto ogni mattina diventavano i più piacevoli della sua giornata.
Seppur abituata ai lineamenti affilati e il fascino diabolico della sua famiglia -o in generale ai canoni estetici giapponesi- era innegabile che Naruto con le sue spalle larghe, la mascella squadrata, i capelli biondi e l’incredibile e serafico azzurro dei suoi occhi vispi fosse bello.
Ma proprio bello bello, il genere di bellezza che non si sarebbe nemmeno lontanamente sognata di accostare a Neji, presidente del consiglio da cui si era sentita attratta per un breve periodo in prima superiore.
In aggiunta all’aspetto cherubico, comunque, il tempo passato in compagnia dell’altro era reso stimolante dalle chiacchiere scambiate tra un passo stanco e l’altro, un placebo alle giunture che facevano male dopo le ore intense passate in palestra.
Come aveva potuto appurare dopo la visita a casa del fratello Naruto era un conversatore, un ragazzo solare che aveva il talento di sciogliere ogni nodo di tensione e di trovare un argomento da discutere anche con l’intellettuale più illustre della facoltà più complicata, avvolgendo tutti in una luce calda e un’atmosfera piacevole.
Sapeva essere anche una spina nel fianco, un testone a cui la ragione andava sbattuta in faccia più volte prima che questi decidesse di accettarla invece di sbattervi contro la testa, indubbiamente, e a volte la sua mania di sdrammatizzare lo spingeva a fare battute inappropriate, ma bastata rivolgergli un’occhiataccia -o comunque fargli notare la cosa- per ottenere da lui un sorriso imbarazzato e pentito che, da solo, sarebbe bastato a sciogliere le calotte polari.
Un sorriso bello proprio come lui.

Fu un pomeriggio particolare quello in cui formulò l’ipotesi che forse, forse, un po’ le piaceva.
Un pomeriggio in cui Naoko poté assistere alla giovane cognata che si strozzava con la sua stessa saliva mentre era china sui compiti di geometria.
Forse le piaceva un po' tanto.






Scrivo pochissimo, lo so, ma se scrivessi tanto finirei per far accadere le cose troppo velocemente e mi dispiacerebbe. 
(e sembrerebbe tutto un rant arrabbiato in stile anziano che si lamenta delle tempistiche di un cantiere, non un bello spettacolo)

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Capitolo 6
*** VI - Naruto; ***


La Signora K. era uno chef pluristellata, una donna in carriera e un responsabile della cucina intransigente.
La Signora K. era una madre amorevole, una moglie fantastica e una padrona di casa impeccabile.
Tra le altre cose, la Signora K. -perché era con quell’assurdo ma divertente nomignolo che le amicizie del biondo si rivolgevano a lei- era anche tanto bella quanto furba, evenienza a cui però il suo figliolo non aveva pensato quando aveva rivelato candidamente di voler invitare a cena un’amica. Riparata da una fluente chioma rossa, infatti, la donna nascondeva l’intelligenza della volpe e questo Naruto lo capì nel notare la luce che investì le iridi chiare di lei.

«Sta’ tranquillo » aveva risposto con un sorriso nell’intravedere le gote dell’altro tingersi di rosso mentre questi chinava il capo a studiare un punto preciso del pavimento «le faremo venire voglia di restare qui per sempre. »

Deglutendo a vuoto, il più piccolo aveva taciuto, sperando per il meglio.

 

 

 

 

 

***

 

«Mi dispiace se i miei genitori sono stati.. ti possono essere sembrati.. loro.. mh..»
Se pensava di aver visto ogni sfaccettatura dell’imbarazzo Uzumaki, a quanto pareva, si sbagliava.
Si era quasi strozzato con il succo di frutta nel sentire la minaccia della madre armata di sue foto in fasce, si era trasformato in un semaforo quando candidamente sempre sua madre si era lasciata sfuggire un certo commento su una certa ragazza che gli aveva visto intorno ed era avvampato all’inverosimile quando, dal nulla, suo padre aveva mollato le bacchette per afferrare il viso del figlio e cospargerlo di baci appiccicaticci di miso -“Andiamo Naruto, come quando eri più piccolo” aveva detto, lasciandolo solo quando l’altro aveva preso ad agitarsi- ma niente, niente era paragonabile al rosso vivo che faceva capolino sulle sue gote mentre cercava, in qualche modo, di scusarsi con lei per quella che era stata la serata più bella che ricordasse.
«Sì.. insomma.. sai..»
Aveva ripreso titubante lui, accompagnandola con un passo trascinato fino al cancelletto di casa sua, finendo con il poggiarsi con una mano alla struttura in metallo mentre l’altra finiva tra i capelli biondi della nuca.
Provò ad attirare la sua attenzione per fermare quel fiume incessante di balbettii.
«Uzumaki..»
Non servì a niente.
Naruto riprese caparbiamente, ignorandola.
«Ecco.. vedi..»
Fece un nuovo tentativo.
«Uzumaki.»
Di nuovo, Sasuko fece fiasco e il biondo riprese sebbene le braccia dell’altra si fossero incrociate per la leggera irritazione.
«Mia madre e mio padre..»
In barba ai buoni propositi -e ai svariati consigli della cognata su come comportarsi con una persona particolarmente interessante- la mora sentì distintamente il suo tono di voce raggiungere le note acute che solo la vocetta stridula di un pappagallino poteva raggiungere nel pronunciare il suo:
«Dobe!»
Ebbene, finalmente ebbe la meglio sull’intricata rete di pensieri dell’altro.
Un’espressione contrita apparve sul volto ancora accaldato, le labbra sporte all’infuori in un broncio infantile.
«Non mi piace. Proprio non mi piace quel dobe. »
Lei rise, avvicinandolo di un passetto, vicini quanto bastava a sfiorarsi le dita tra loro.
Si sollevò sulle punte e, con un certo imbarazzo, depositò un bacio delicato sulla pelle bruciante della sua guancia.
«È stato bello, grazie Naruto. »
La vide allontanarsi in silenzio, fargli un ultimo cenno con la mano -e il viso purpureo dall’imbarazzo, si ritrovò a registrare quel dettaglio nella sua mente- a cui rispose quasi con fare automatico, perché lui da quando l’aveva sentita avvicinarsi e poi aveva sentito la morbidezza delle sue labbra contro la pelle non capì più niente.
Finì persino con il lasciarla andare, dimenticando il suo proposito di accompagnarla a casa.
Sentiva distintamente il cuore martellargli nel petto e la pelle del viso bruciare, un tremolio piacevole nello stomaco che non era dettato dal cibo delizioso con cui lo aveva riempito.
Ed anzi, se ascoltava più attentamente poteva sentire anche una risatina in lontananza e percepire due paia di occhi azzurri puntati contro la sua schiena.
Senza voltarsi, ancora intento a fissare il punto in cui la piccola Uchiha era sparita, Naruto sbottò.
« Ragazzi, basta! »

Poi ricordò di averle sentito dire il suo nome, Naruto, e smise definitivamente di funzionare.





Mi scalda il cuore vedere che ci sono persone che stanno effettivamente seguendo questa mia follia partorita chissà quale notte e dopo chissà quale maratona assurda su Netflix e non posso che ringraziare quelle persone che nonostante tutto - e con tutto intendo il mio allungare un brodo già abbastanza insipido- sono qui a leggere.
Questo applauso è per voi: https://www.youtube.com/watch?v=hf1DkBQRQj4
Come penso di aver già detto in precedenza io mi trovo sempre presa in contropiede con le recensioni.
Non me le aspetto, non penso di meritarmele e per tanto non so mai che cosa dire se non, di nuovo, 
grazie.
Ma le leggo sempre tutte e mi mettono di buon umore, quindi ancora tante 
grazie.

 

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Capitolo 7
*** VII - Pater Familias; ***


« "Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov'è l'agnello per l'olocausto?" Abramo rispose»
La classe vide chiaramente i polmoni di Iruka-sensei riempirsi d'aria, prendendone in abbondanza per tornare ad interpretare il ruolo di Adramo e quindi a fare una voce matura che non fosse sottile ed acuta come quella di Isacco. La passione che ci metteva nell'insegnare e, in particolar modo, ad illustrare loro tutte le possibili religioni per farli essere consapevoli del mondo che avevano intorno finiva sempre a coinvolgere tutti, anche i più disinteressati e i più chiassosi.
Kiba e Choji cadevano in un silenzio insolito, Shikamaru sporgeva il mento per sentire meglio e Ino, che di solito prestava attenzione solo ed esclusivamente ai suoi lunghi capelli biondi a stento batteva ciglio pur di non perdersi una parola.
« "Dio stesso provvederà l'agnello per l'olocausto, figlio mio!" Proseguirono tutt'e due insieme e così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato.  Qui Abramo costruì l'altare, collocò la legna, legò il figlio Isacco e lo depose sull'altare, sopra la legna. 
Poi stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio" »
Un coro di sobbalzi si scatenarono in reazione alle parole dell'insegnante, facendo cadere l'aula in un'attesa elettrica che venne rotta solo quando, titubante, Rocklee si fece portavoce del dubbio di tutti.
« Non lo ucciderà mica, vero? » 
Il professore tacque e il ragazzo non demorse, acceso da una rabbia che solo chi se lo era trovato contro nella corsa campestre aveva potuto vedere.
« Ma non sarebbe giusto!! È una persona ed è suo figlio, sangue del suo sangue!! »
Iruka si mosse in avanti, trovando scomodo l'appiglio momentaneo che il bordo della cattedra gli aveva offerto e fece per parlare ma una voce femminile non gliene diede il tempo, tagliò in due lui e tutti i presenti.
« A volte non conta, un sacrificio è un sacrificio e basta. I legami di parentela non interessano a nessuno. » 
Dall'alto della sua docenza, ma in particolar modo dall'alto dei suoi trent'anni, Iruka Umino sentì qualcosa nel suo petto contrarsi dal dolore nel guardare negli occhi la fonte -una fonte così giovane e che evidentemente non era così limpida se era riuscita a tenersi dentro tutto il rancore che trasudava la sua voce- di quelle parole alzarsi ed uscire dall'aula, tuttavia la fitta finì nel vedere una testa bionda seguire la più piccola degli Uchiha.
A quel punto sospirò e riprese il discorso lasciato incompleto con un sorriso sulle labbra.
« Non volevo anticiparvi niente, ma dato che siete così preoccupati ve lo dico già da adesso: no, Abramo non uccide Isacco.
Un angelo gli salva la vita appena in tempo. »



Quando aveva vietato alla loro secondogenita di tagliare i capelli lunghi perché sono i maschietti a portarli così , dall'alto dei suoi sei anni Sasuko aveva accettato la cosa pensando che, in un certo senso, fosse sensato. Si era limitata a scrollare le spalle, a deporre le forbici argentate sul mobiletto del bagno e ad accantonare l'idea di andare del barbiere dove solito portava il figlio, tornando sul tappeto del salone dove la attendevano l'album da colorare e i pastelli.
Era stato semplice.
Quando ad otto, con il candore che solo una bambina di quell'età può avere, aveva provato a chiedergli di poter prendere lezioni di karate -come Itachi si era affrettata a precisare, alludendo alla brillante carriera di suo fratello in quello sport- si era congelato sul posto, immobile come una statua di sale per secondi che parvero interminabili e che si interruppero con un secco no privo di spiegazioni aggiuntive, senza la necessità di spiegarle perché le arti marziali andavano bene per un maschio e non per lei, una femmina.
Lei aveva socchiuso la bocca per una replica, poi l'aveva richiusa e si era limitata a guardarlo prima di tornare tra le braccia del fratello in cerca di conforto. 
Era stato facile.
Quando a diciassette, ancora con la divisa scolastica addosso e i capelli raccolti con le forcine, sua figlia aveva messo in discussione le sue scelte come genitore e gli aveva strappato di mano la patria podestà andandosene di casa tutto diventò decisamente più complicato.
E quando poi finì addirittura per sognarsela piccola, delicata ed esile nel suo vestito da sposa a percorrere la navata per raggiungere all'altare quello che riconobbe essere uno yakuza e si svegliò di soprassalto, inquietato dalla vista della propria figlia che accettava la fede prima di guardarlo con aria di sfida e sorridere soddisfatta capì che la situazione aveva preso una piega assurda.
Una piega che diventava addirittura straziante quando gli occhi di sua moglie si posavano su di lui -così simili a quello della ragazza ed enigmatici nonostante i trent'anni passati insieme-e lo guardavano con un'occhiata che non sapeva se definire ferita o risentita, uno sguardo che non le aveva mai visto sul volto e che bastava definire letale per compensare l'indecisione tra i due aggettivi precedenti.
Tanto da far scappare Fugaku Uchiha dalla sua stessa casa.
Perché Mikoto lo aveva sposato senza battere ciglio per volere dei suoi genitori e aveva dato lui due figli rinunciando al suo desiderio di studiare arte e diventare pittrice, ma per quanto rispettasse le scelte e l'autorità vigente di suo marito non poteva negare che la lontananza forzata di Sasuko e l'espressione che le aveva letto sul viso appena questa aveva saputo dell'agenzia matrimoniale l'avevano risvegliata dallo stato passivo in cui la madre e il padre l'avevano costretta in tempi remoti.
Non voleva questo per sua figlia, lei non sarebbe stata l'ennesimo sacrificio.
Seguendo ogni movimento del coniuge con il viso che esprimeva la più totale ostilità lo osservava uscire di casa, sicura di saperlo diretto in ufficio, dove una mole spropositata di lavoro lo avrebbe distratto dal suo orgoglio a doppio taglio e dalla consapevolezza bruciante di essere nel torto.
Poi tornava a bere la sua tisana notturna e andava a letto conscia che il marito si sarebbe dovuto capacitare da solo del suo comportamento e di come porvi rimedio.



Ci ho messo due secoli per aggiornare la storia, ma la verità la sappiamo io e la sapete pure voi: sono una persona inconcludente con le fan fiction e non ho la più pallida idea di come si porti avanti una long dandosi tempi prestabiliti, specie quando poi il fulcro di tutta la questione sono gli Uchiha che hanno tutto tranne che un carattere semplice, gestibile e facile da decifrare.
Scrivo ogni singola parola di questa storia sul filo del rasoio che separa OOC e Tsundere
™ da una scrittura decente per un membro di quella famiglia.
Ma ci provo lo stesso, perché che ho da perdere?


Prossimamente su questi schermi: forse qualcosa di felice, ma non ci sperate troppo.
 

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Capitolo 8
*** VIII - Pater Familias - Exitum; ***


Si era più volte chiesta perché, tra le svariate possibilità fornite dalla sua classe -e perché no, proprio dal suo istituto- il ruolo di complice fosse ricaduto proprio su Naruto Uzumaki.
In un primo momento si era convinta che la scelta era stata inevitabile grazie al suo aspetto fisico, motivata dal pensiero di quanto i capelli biondi e gli occhi azzurri da gaijin avrebbero mandato in bestia suo padre se solo a lui fosse importato qualcosa.
Si era immaginata il viso di Fugaku Uchiha scurirsi, una vena all'altezza della tempia gonfiarsi e la sue labbra stringersi in una linea dura per permettere al proprio autocontrollo di mantenere una facciata imperturbabile, una vista che l'aveva divertita molto, a dire il vero. 
Ma poi un treno di pensieri si era fatto avanti e Sasuko aveva dovuto affrontare una realtà a cui non si era affatto preparata.
Tra tutti i ragazzi della sua classe, delle altre classi, e persino degli altri istituti superiori, nessuno aveva dimostrato la sua gentilezza.
E quella gentilezza che lo aveva contraddistinto e che, in tutta franchezza, forse aveva usato a suo piacimento per invogliarlo ad accettare una proposta così folle e senza profitto, non aveva mancato di mostrarsi ancora una volta.
Annaspando l'aria persa per correrle dietro e piegato in due con le mani sulle ginocchia, infatti, il ragazzo più buono del Giappone si era fatto avanti ancora una volta per porgere per l'ennesima volta i polsi al serpente affinché mordesse.
E gli occhi scuri di lei si erano risvegliati dal torpore in cui la rabbia li aveva soggiogati, le pupille e le iridi -entrambe scure come pozzi neri abbandonati da ogni luce- avevano accarezzato morbidamente la figura ansimante che le stava a poca distanza, stringendo le dita delle mani in due pugni che le fecero sbiancare le nocche già immacolate.
Perché si sentiva già uno schifo da sola, con la consapevolezza di essere una delusione per la propria famiglia e un disonore per il proprio ruolo da capoclasse, l'ultima cosa che le mancava alla lista - a quel bingo crudele che sentiva pesare intorno al collo- era l'approfittarsi di una brava persona. 
Di nuovo, almeno. 
Accatastando e facendo leva sui rimasugli di autocontrollo avanzati al crollo avuto in aula si sforzò di parlare con voce ferma, indossando una delle scarpe appena tirate fuori  dall'armadietto  all'ingresso dell'edificio scolastico. 
Non sarebbe rimasta, non aveva il coraggio -e, soprattutto, la forza- di ritornare in classe dopo la scenata di poco prima. 
Tornare a casa - in quella di Itachi, si intende- era inevitabile
« Ho delle questioni da risolvere a casa. Non sarei dovuta venire, oggi. »
Mentì spudoratamente ed entrambi lo seppero quasi subito, lei per consapevolezza e lui perché aveva imparato a conoscerla e lo sapeva, sapeva che lei non avrebbe rovinato la sua media scolastica e il suo record di presenze per nulla al mondo, nemmeno per un genitore di merda.
Aveva imparato tutto di lei e poco alla volta, osservando la mimica facciale, l'intonazione della voce, l'intercalare impersonale per porre tra lei e il mondo una barriera impalpabile ma presente che la proteggesse.
 E lui la vedeva, chiara come il sole nell'ora del suo massimo splendore, impilare un mattone dopo l'altro per creare dal nulla quel muro che era riuscito a buttare giù a fatica e che, evidentemente, adesso sentiva di nuovo necessario. 
Il biondo sentì distintamente qualcosa inclinarsi e rompersi, il sapore amaro della bugia sulla punta della lingua e lo stomaco annodarsi per la frustrazione.  
Non aveva niente in particolare da fare a casa, molto probabilmente sarebbe tornara subito in classe se non fosse stata per l'imbarazzo che la sua perdita di controllo le aveva causato. Lui lo sapeva.
Sasuko non era impegnata, era solo triste, e Naruto avrebbe fatto di tutto per cancellare da quel viso bellissimo - ormai non si sforzava nemmeno più a nascondere la propria infatuazione- l'aria tesa e le ombre tristi che le danzavano nello sguardo scuro.
Mosse un passo e poi un altro, i polmoni adesso saturi di ossigeno e i riflessi pronti ad ogni minimo movimento di lei, avvicinandola quanto bastava a vedere i danni - morsi che si era data da sola a causa della rabbia ad irritarle le labbra e il naso arrossato da lacrime che si era rifiutata di versare- che c'erano stati a fronte della rottura della diga che conteneva le sue emozioni.
E francamente non capiva tutta quella repressione, il nascondere -il nascondergli- il proprio stato d'animo per paura di scoprire un nervo scoperto, il lasciarsi annegare in un mare che non la abbracciava morbido ma piuttosto la scagliava contro gli scogli invece di accettare l'aiuto di un porto sicuro; fatto sta che non stava a lui giudicarla e tutto ciò che voleva era esserle di conforto.
Ma correre in aiuto di qualcuno a volte significava anche correre dei rischi e lui dal canto suo non era mai stato cauto, ecco perché giocandosi il mille per mille non sentì subito le campane dei mille allarmi che aveva violato. Sollevò le mani e prima che la ragazza potesse rendersi conto di ogni suo movimento il cuore di lui le batteva  sotto l'orecchio mentre  dita lunghe le carezzavano piano la schiena, il calore altrui che rassicurante come balsamo le curava quelle ferite che lei si ostinava a cospargere di sale.
Lei trattenne il respiro irrigidendosi, lui invece sentì una sensazione gelida scivolargli lungo la colonna vertebrale, la realizzazione di cosa aveva fatto scivolargli addosso liquida.
Incerto sul da farsi si concesse un breve silenzio, mettendo insieme le parole del discorso formulato frettolosamente durante il loro inseguimento adesso tutte confuse sul pavimento della sua mente.
« Mia madre dice sempre.. »
Aveva iniziato, cauto, lasciando che i polpastrelli costeggiassero le ossa sporgenti delle scapole.
« .. Che tenersi le cose dentro fa male.. »
In un moto circolare le mani avevano raggiunto la nuca, lasciata scoperta dai capelli grazie alla solita coda che  raccoglieva ogni filamento scuro. I polpastrelli si mossero cauti contro la pelle chiara del collo, una parte del corpo dell'altra che la disposizione dei banchi gli aveva permesso di guardare a lungo, una vista familiare e  rassicurante che avrebbe riconosciuto tra mille.
« E ha ragione. Io lo vedo che non sei felice. »
E lei era rimasta sorpresa da quel contatto caldo, basita da quel tocco imprevisto e tanto delicato seppur proveniente da un ragazzo energico come lui, ma soprattutto era rimasta sorpresa da sé stessa quando, piuttosto che spingerlo via per la confidenza che si stava prendendo o colpirlo con la scarpa che ancora aveva in mano, aveva piegato leggermente il capo in avanti per dargli miglior accesso al suo collo.
Da quando era diventata così bisognosa di affetto?
La risposta arrivò subito, sincera e al tempo stesso indesiderata. Maleducata nel suo essere sia soluzione che quesito.
Quando mai non lo era stata?
Stringendo le palpebre con la vana speranza di allontanare quel pensiero -alla lista di difetti a quanto pare se ne  era aggiunto un altro- sospinse gentilmente la fronte contro il maglione della divisa invernale dell'altro mentre lui in un primo momento fermava quel suo massaggio -probabilmente sorpreso da quella reazione- per poi riprendere indisturbato.
La mano finì gentilmente tra le punte dei lunghi capelli nero inchiostro, attraversando le ciocche setose con le dita per poi finire su una delle spalle esili. La allontanò dal proprio petto ampio per guardarla, resistendo alla tentazione di ricordarle quando adorabile la rendesse quel leggero imbarazzo che le colorava le gote.
Le accarezzò una guancia con il pollice.
« Non hai motivo di portare questo peso da sola, con me puoi parlarne. Siamo insieme in questa cosa.. »
E il cuore di Sasuko reagì in un istante, cadendo con un tonfo sordo nel suo stomaco prima di ritornare a posto e battere all'impazzata, facendole sentire fin dentro le orecchie il tumulto che aveva nel petto. 
Si mosse a disagio sotto lo sguardo limpido -già difficile da sostenere da solo, ma reso ancora più efficace dall'aria apprensiva- e, non senza una certa ritrosia, gli concesse un breve sospiro scocciato che sperava coprisse alla buona lo sforzo immane che aveva fatto per non sorridere come una stupida davanti alle premure del biondo o il rossore che le aveva decorato le guance.
« .. me la fai togliere la scarpa, almeno? »
Un borbottio lasciò le labbra della più piccola e questa sperò davvero che il biondo non l'avesse sentita, ma l'udito dell'Uzumaki si era dimostrato superiore rispetto ai tentativi di lei.
Dall'alto della sua statura irragiungibile, Naruto infatti sorrise euforico  e si chinò a lasciarle un rumoroso bacio veloce in mezzo al capo scuro.

« Grazie al cielo sei tornata in te, mi sei mancata! »   

E Sasuko non ce la fece, davvero non ce la fece a non lasciar andare una risatina, questa volta.

  « Sei proprio un cretino. »  





Partiamo con il dire che questa volta non ritornerò a fare il solito discorso sono inconcludente, faccio schifo e mangio i bambini perché, appunto è roba vecchia e risaputa. Lo so io, lo sapete voi e questo importa.
Ma citando il raggio di sole: Siamo insieme in questa cosa.
Il che vuol dire che siete abbastanza fregati.
Perché Exitum nel titolo? Bella domanda.
La verità è che questo capitolo, essendo privo di riferimenti biblici, mi ha reso estremamente difficile un compito già da sé complicato: dare i titoli. E poi il lampo di genio.
Exitum, stando alle mie ricerche da internauta che non ha mai fatto latino, può significare tra le altre cose (
uscita, partenza,passaggio, porta, sbocco, conclusione, fine, termine, morte, fine della vita, esito, risultato, riuscita, successo) conseguenza.
E il resto è venuto da solo.


Prossimamente su questi schermi: ah boh.
 

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