Il manoscritto Trebitsch-Lincoln

di Old Fashioned
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Manoscritto 1





IL MANOSCRITTO TREBITSCH-LINCOLN




Capitolo 1

Il soldato Westbrook si dondolò sulla sedia girevole, che scricchiolò sotto il suo peso, quindi sollevò lo sguardo e lo fece scorrere sui monitor delle varie telecamere di sorveglianza: un corridoio vuoto, un altro corridoio vuoto, una porta blindata regolarmente chiusa, una seconda porta blindata chiusa, un laboratorio in penombra con teli di plastica che coprivano le varie apparecchiature, un laboratorio illuminato, con gente in camice bianco affaccendata intorno a qualcosa che non si riusciva a distinguere bene.
Che palle,” brontolò.
Riprese il controllo dei monitor. Le porte degli ascensori per il personale: chiuse. I portelli dei montacarichi: chiusi. La porta che dava sulle scale: chiusa anche quella. Nessuno in giro a parte gli autorizzati.
Si stiracchiò di nuovo, si sbottonò il colletto della mimetica, quindi brontolò: “Siamo chissà quanti piani sottoterra e dobbiamo starcene con questa merda di giubbotto antiproiettile addosso, per proteggerci dai terroristi. Lo sai che ti dico? Che se i terroristi sono talmente motivati da sbattersi ad arrivare
fin qui si meritano un premio.” Indicò l’armadietto della dotazione anti-terrorismo e disse: “Lì dentro ci vorrebbe un frigo con le birre, invece dei taser.” Poi, dopo una pausa: “Che ore sono?”
Dalla console dei sistemi di sicurezza, il soldato Nielsen rispose: “Le dieci.”
Di mattina o di sera?”
E dai, non fare l’idiota.”
In questo cazzo di posto si perde la nozione del tempo. Allora: di mattina o di sera?”
Sera.”
Westbrook aggrottò le sopracciglia. “Allora vado e ti mando giù quel cazzone di Beau.”
L’altro guardò di nuovo l’orologio. “Ovviamente è in ritardo, eh?”
Già.”
Il primo abbandonò la sedia senza aggiungere altro, quindi raccolse l’M-4 e se lo mise in spalla. Uscì dalla sala controllo, si stirò facendo scrocchiare le ossa della schiena e si strofinò gli occhi. “Fottuti monitor,” brontolò fra i denti, quindi si mise in movimento.
Percorse il corridoio, raggiunse l’ascensore A e premette il pulsante di chiamata. Passò qualche secondo, poi le porte si schiusero sulla cabina in attesa.
Westbrook si girò brevemente a mostrare il dito medio alla telecamera di sorveglianza, agitò l’altra mano in segno di saluto e scomparve nell’ascensore.
Sorrise fra sé e sé: la storia del dito medio a quelli della sorveglianza l’aveva inventata Beau, tanto per cambiare. Per le cazzate era lui lo specialista.
Non c’erano indicatori di piano o bottoniere – un’altra procedura antiterrorismo – per cui il soldato si limitò a scandire: “Alloggi personale militare.”
Sperò come sempre che il riconoscimento vocale o chi per esso non si fosse guastato proprio quel giorno. Subito dopo, con un ragionamento automatico, prese a calcolare quanto ossigeno c’era dentro quell’ermetica scatola di metallo cromato. Finito il calcolo, alzò lo sguardo verso l’occhio della telecamera di sorveglianza e sillabò: “Vedi di non fare lo stronzo.”
Fanculo,” provenne dall’altoparlante.
Il breve viaggio si svolse comunque senza intoppi. Le porte dell’ascensore si schiusero e Westbrook si trovò davanti il poster di una modella che indossava un bikini mimetico e con fare allusivo teneva un M-16 tra le gambe.
Ciao, Charline,” la salutò, quindi si diresse verso le camerate ed entrò in quella sella squadra Bravo. “Beau?” chiamò, “Sei qui?”
Gli rispose un grugnito.
Westbrook si girò e gli occhi gli si dilatarono per lo stupore. “Ma che cazzo hai combinato?” chiese, con un tono a metà fra il risentimento e la preoccupazione.
Beau Lyles giaceva sulla propria branda con l’aria di un caduto dello sbarco in Normandia. Aveva un occhi nero, un livido sullo zigomo, un labbro spaccato e vari altri danni.
Allora?”
Con qualche difficoltà, l’altro articolò: “Quattro stronzi della squadra Alpha hanno detto che ho barato.”
Ed era vero?”
Lyles pronunciò qualcosa di inintelligibile.
Era vero?” ripeté Westbrook. Senza attendere risposta, andò all’armadietto del pronto soccorso e ne trasse una cassetta bianca contrassegnata da una croce rossa. La posò sul tavolo e l’aprì.
Lascia stare,” gli giunse la voce di Beau, “prendimi piuttosto la bottiglia che c’è nel mio armadietto.”
Se te la becca il sergente Ewing ti incula a sangue, lo sai.”
Sono disposto a correre il rischio. Me la passi, amico?” Lyles corredò la richiesta con uno sguardo da cucciolo di foca.
Non mi hai ancora detto se è vero che avevi barato.”
Che te ne frega? In ogni caso, non si dovevano permettere di accusarmi solo perché hanno perso tutto.”
E quindi?”
Li ho sfidati tutti e quattro. Io intendevo uno per volta, però.”
Westbrook emise un sospiro, poi chiese: “Lyles, non è che hai un problema con la tua aggressività?”
L’altro parve ponderare la cosa. Infine, in tono serio rispose: “Non con la mia. Con quella degli altri.”
Sei sempre il solito,” brontolò il primo, quindi prese un flacone di disinfettante, del cotone e dei cerotti e si sedette accanto a lui sul letto. Beau aprì l’occhio buono, scrutò quello che aveva in mano e gli chiese: “E la bottiglia?”
Fanculo la tua bottiglia. Ora ti sistemo la faccia, poi finisco il tuo turno prima che il sergente si accorga che non sei in servizio. Tu sta qui e riposati.”
Sei un amico, Chet.”
E tu sei un idiota, Beau.”
Fanculo.”
Fanculo anche a te.”

§

Il soldato Lyles fece scorrere lo sguardo sulla sala conferenze, quindi significativamente alzò gli occhi sulla cabina del proiettore e disse: “Pensa se qualcuno andasse a mettere su un bel porno al posto di quelle loro presentazioni del cazzo piene di grafici e formule.”
Westbrook scosse la testa. “Non ci pensare nemmeno. Piuttosto: ti fa ancora male dove ti hanno preso a calci?”
Solo quando respiro profondamente.”
Per me dovevi farti vedere dal dottore.”
Per sorbirmi anche la sua ramanzina? No, grazie.”
E se hai delle costole rotte?”
Fanculo, si aggiusteranno.”
Lo scambio fu interrotto dall’entrata in sala di un nutrito gruppo di persone. Westbrook sollevò le sopracciglia nello scorgere un gruppetto di alti ufficiali. “Il comandante della base in persona?” sussurrò al compagno.
Roba forte,” rispose l’altro sullo stesso tono, poi si immobilizzarono sull’attenti.
Una piccola folla di ricercatori e militari si accomodò nelle prime file di poltrone, il comandante della base e alcuni tizi in borghese salirono sul palco e si accomodarono al tavolo.
Il proiettore si attivò e sullo schermo alle spalle dei relatori comparve il logo della base: uno specchio d’acqua che doveva rappresentare un lago salato, un cactus a candeliere con un avvoltoio appollaiato su uno dei bracci, un teschio di vacca e la scritta ‘Aguas Muertas’.
L’ufficiale prese la parola. Sciorinò i saluti di rito, ringraziò questo e quello, presentò i relatori, quindi assunse una certa aria di mistero e in tono sibillino chiese: “Che cosa pensereste se io vi dicessi che esiste un’arma invisibile, potentissima, virtualmente senza ingombro e in grado di colpire esclusivamente nemici prescelti?”
Sulla platea calò dapprima il silenzio, poi un uomo alzò una mano e replicò: “Direi che siamo nella fantascienza.”
L’ufficiale sorrise. “Una fantascienza vecchia di milletrecento anni, più o meno.”
L’affermazione evocò un brusio talmente intenso che l’oratore si trovò a dover richiedere il silenzio battendo la mano sul tavolo.
Passo la parola al professor Kozlov,” si limitò ad annunciare quando si fu ristabilita la calma, quindi si sedette nuovamente al suo posto.
Il chiamato, un uomo alto, brizzolato, con i capelli spettinati e un maglione che sembrava una specie di sacco realizzato con gli avanzi di dieci gomitoli diversi, si alzò e andò con noncuranza al podio del conferenziere. Alle sue spalle comparve una foto in bianco e nero che rappresentava una città in macerie.
La nostra storia comincia il 25 aprile del 1945, a Berlino,” esordì l’uomo con distacco. Il puntino rosso di un laser si mosse in tondo sullo scenario di distruzione come per attirare su di esso l’attenzione degli astanti.
L’immagine cambiò, comparvero sullo schermo sette corpi al centro di una stanza semidistrutta, sei disposti a raggiera e uno al centro, tutti in uniforme tedesca.
Che significa?” chiese qualcuno dalla platea.
Kozlov annuì come se si fosse aspettato proprio quella domanda. La successiva immagine, l’ingrandimento del viso di uno dei cadaveri, mostrava lineamenti inequivocabilmente orientali. L’uomo spiegò: “I sei corpi” – Il laser passò dall’uno all’altro – “sono monaci tibetani. Come vedete, sono morti per recisione della gola.” Il puntino rosso guizzò sulla figura al centro e Kozlov proseguì: “Questo invece, colloquialmente identificato come Lama dai Guanti Verdi, è Ignatius Timothy Trebitsch-Lincoln, un avventuriero ungherese al servizio del Reich. L’uomo era stato dato per morto nel ‘43 in Cina, probabilmente per ingannare i servizi segreti Alleati.” Sullo schermo l’immagine cambiò di nuovo, divenendo quella di un bivacco in cui europei in abiti da montagna e asiatici in paramenti religiosi sedevano alternati intorno a un tavolo. “Si sa per certo che partecipò a diverse spedizioni naziste in Tibet, e che da una di esse riportò un manoscritto che l’allora Dalai Lama aveva offerto in dono alla Germania come estrema difesa.”
A questo punto, l’uomo si interruppe e fece girare lo sguardo sulla platea, dalla quale di nuovo si levava uno scettico brusio. “Si sa per certo che quel manoscritto era nella stessa stanza in cui furono rinvenuti i corpi,” proseguì, “ma quello che per anni è stato tenuto segreto dall’allora Unione Sovietica, che si appropriò del manoscritto alla fine della guerra, è questo.” L’immagine cambiò ancora: comparve sullo schermo, tra le macerie di Berlino, una distesa di cadaveri straziati. Ad alcuni erano stati strappati gli arti, altri erano decapitati, altri ancora avevano il ventre squarciato. Sembrava che un’orda di demoni vi si fosse accanita sopra in preda a una mostruosa frenesia di massacro. Tra essi non si vedeva una sola uniforme tedesca.
Alla prima fecero seguito altre fotografie, che ritraevano analoghe distese di corpi su scorci diversi della città. A quel punto, il professore spiegò: “Testimoni oculari parlarono di forze potentissime e invisibili, non attaccabili dalle armi convenzionali. ‘Ho visto Dimitri aprirsi in due sotto i miei occhi come se qualcuno lo stesse sventrando, ma non si vedeva nessuno,’ recita la deposizione di un soldato che assisté al fenomeno.”
A quel punto alzò la mano un altro degli astanti.
Il professore si voltò verso di lui. “Sì?”
Posto che tutto questo sia vero, che cos’era, un’arma segreta dell’Unione Sovietica?”
Sullo schermo comparve un’ulteriore immagine di corpi straziati, ancora più spaventosa delle precedenti, se mai fosse stato possibile. “Non sappiamo esattamente di cosa si tratti,” rispose Kozlov, “ma sappiamo che nessuno è stato in grado di vederlo, di controllarlo né tanto meno di combatterlo in qualche modo. Il fenomeno è proseguito fino a che, supponiamo, qualcuno non ha ucciso Trebitsch-Lincoln e i sei lama.”
Ma cos’ha a che fare tutto questo con il laboratorio di Aguas Muertas?”
Buona domanda,” rispose Kozlov, col tono di chi sente un bambino chiedere perché l’acqua messa sul fuoco si scalda. “Saranno il professor van Zijl del dipartimento di fisiologia della voce e il professor Gaidher, esperto di lingue e religioni orientali, a rispondere per me.”
I chiamati si fecero avanti e si avvicinarono al podio. Il primo era un uomo di mezz’età con gli occhiali cerchiati d’oro e un completo grigio scuro, il secondo era un orientale, forse un indiano, con la pelle color caramello e lisci capelli neri. Portava un blazer chiaro con il collo alla coreana, allacciato fino all’ultimo bottone.
I due scambiarono qualche parola a bassa voce con il professor Kozlov, quindi Gaidher piegò il microfono per adattarlo alla propria bassa statura e cominciò: “Stiamo parlando di un manoscritto Bön risalente al settimo secolo dopo Cristo.” Alle sue spalle comparve l’immagine di una pergamena chiaramente molto antica, ma straordinariamente ben conservata. Essa rappresentava demoni con tre occhi, zannuti e incoronati di teschi umani, per la maggior parte neri, ma anche rossi o gialli, mostrati nell’atto di uccidere uomini armati, piccoli come bambini in confronto alla loro mole. Dappertutto, dipinti con uno stile semplice ma incisivo, vi erano arti recisi, teste mozzate e corpi scuoiati o sventrati.
Le parti lasciate libere dai disegni erano coperte di una scrittura fine, nera con i capoversi in rosso.
Scorsero altre pagine della pergamena, simili alla prima per i contenuti, infine si vide il manoscritto per intero, ripiegato a fisarmonica e racchiuso tra due tavolette di legno su cui si indovinavano ancora resti di pittura rossa e foglia d’oro.
Gaidher riprese: “Questo è quello che viene chiamato ‘Manoscritto Trebitsch-Lincoln.’ Si tratta di un terma, ovvero tesoro nascosto, cioè di un testo sacro destinato a rimanere celato alla vista dei fedeli.”
Mi scusi,” provenne dall’uditorio, prima che il professore potesse continuare.
L’indiano si girò in quella direzione. “Sì?”
Aguas Muertas si occupa anche di archeologia adesso? E come mai quel manoscritto è in vostro possesso, se era stato portato via dai russi?”
Gaidher stava per rispondere, ma il comandante della base lo precedette: “È stato regolarmente acquistato. Ora che il blocco sovietico non esiste più, non c’era nessun motivo perché il governo russo rifiutasse l’offerta del museo di Arte Orientale di New York.” Fece una risatina.
I russi non hanno mai pensato di sfruttarne le potenzialità belliche?” insisté l’uomo.
Il generale annuì. “Fecero alcune prove, ma abbandonarono il progetto abbastanza in fretta.”
Come mai?”
L’ufficiale alzò le spalle ostentando noncuranza. “Non avevano ancora le tecnologie giuste e i risultati furono deludenti, inoltre era l’epoca delle prime conquiste spaziali e tutte le risorse venivano convogliate lì.” Fece una pausa, quindi soggiunse: “Ma ora, passerei la parola al nostro esperto di fisiologia della voce.” Si rivolse al professor van Zijl.
Questi avanzò verso il podio, quindi rialzò il microfono e piegandosi comunque leggermente salutò l’uditorio, poi cominciò: “Tutto è nato alcuni anni fa da uno studio sulla fisiologia del canto armonico presso i monaci Gyuto tibetani. Ci siamo accorti che con le tecniche a oggi conosciute, non era più possibile eseguire determinate recitazioni. Il principale di questi testi era naturalmente il manoscritto Trebitsch-Lincoln, per il quale sembrava necessario un apparato fonatore incompatibile con l’attuale anatomia umana.” Si aggiustò gli occhiali e si schiarì la voce, quindi proseguì: “Sono stati effettuati studi su mummie di monaci del settimo secolo dopo Cristo conservate presso i monasteri e il riscontro è stato che in effetti vi erano delle particolarità anatomiche a oggi non più riscontrabili. Si suppone che i monaci deceduti a Berlino fossero gli ultimi in grado di eseguire quel particolare canto armonico.”
Sullo schermo alle sue spalle si susseguì una serie di fotografie di corpi mummificati, radiografie e disegni anatomici.
Infine, il professore disse: “Tuttavia, con l’aiuto di Marsia 2.1, un nuovo e sofisticatissimo software per l’elaborazione dei suoni, è stato possibile, sulla base di studi anatomo-fisiologici portati avanti in collaborazione con l’Istituto di Antropologia e Odontologia Forense, ricostruire dapprima l’apparato fonatore dei monaci e successivamente, con tecniche di campionatura e mixaggio all’avanguardia, è stato possibile riprodurre anche il canto armonico che esso era in grado di generare.”
Alla reboante rivelazione la platea reagì con un silenzio perplesso. Intervenne il comandante della base, che in tono incoraggiante suggerì: “Dica cos’è successo quando avete fatto i primi esperimenti di recitazione con la voce mixata.”
Ah, certo,” rispose van Zijl annuendo. “Fenomeni strani. Inspiegabili, anzi.”
Di che tipo?”
Scariche elettriche, oggetti che si spostavano da soli...”
Poltergeist?” lo interruppe qualcuno dal fondo della sala. Ci fu qualche risatina.
Per tutta risposta, il professore fece partire un filmato: in un laboratorio c’erano lui e alcune altre persone. Qualcuno prendeva una cassetta blindata, la apriva, indossava un paio di guanti bianchi e tirava fuori il manoscritto, quindi partiva una traccia audio.
Alle prime note, un mormorio attraversò la platea. Un paio di persone si alzarono e abbandonarono la sala.
Sullo schermo frattanto si vedeva crepitare dal nulla un arco elettrico. Dei fogli appesi al muro si sollevarono come investiti da una corrente d’aria e una sedia si spostò di parecchi metri senza che nessuno l’avesse toccata.
Il canto, una specie di nenia ipnotica, continuava arricchendosi via via di armoniche. Altre persone uscirono, una addirittura scossa da conati e con una mano premuta sulla bocca.
Il filmato si interruppe, lasciandosi dietro un silenzio costernato.
Ecco perché il Pentagono ha deciso di acquisire il manoscritto Trebitsch-Lincoln e tutto il materiale a esso correlato,” intervenne bruscamente il comandante di Aguas Muertas, facendo sussultare più di una persona. “Crediamo che sia importante effettuare ulteriori studi su questa… tarma.”
Terma,” lo corresse il professor Gaidher.

Lo schermo tornò grigio. Fermo su un lato della porta, Westbrook girò lo sguardo verso Lyles, che si trovava sull'altro, e sottovoce gli chiese: “L'hai sentito anche tu?”
Egli annuì appena. “Ancora un po' e vomitavo. Quella roba è peggio del metal satanico.”
Io mi sentivo...” Westbrook fece una pausa, quindi in tono esitante chiese: “Le hai viste anche tu le cose?”
Quali cose?”
Quegli affari con tre occhi che c'erano nelle immagini. Per un attimo mi è sembrato di averne uno davanti.”
Devi smetterla di mangiare la pizza ghiacciata col ketchup a mezzanotte,” replicò Lyles. Tentò di assumere un’espressione noncurante, ma Westbrook notò che aveva lanciato intorno un sguardo preoccupato.

§

Seduto a una console, il professor Kozlov fissava un monitor sul quale scorreva una serie di spettrogrammi il cui colore andava dal viola cupo al giallo acceso, passando per tutti i toni del rosso e dell'arancione. Si tirò su le maniche del camice bianco scoprendo gli avambracci ossuti, quindi si passò le mani fra i capelli e strinse fra le dita scomposte ciocche grigie. “Marsia sta cercando di dirci qualcosa,” borbottò. Raccolse una penna e picchiettò con quella la superficie del monitor. Lo spettrogramma sembrò ritrarsi come una specie di creatura marina disturbata. “Marsia è preoccupato.” Passò dallo spettrogramma alla forma d'onda, che prese a muoversi sullo schermo nero sinuosa come lo scheletro di un serpente, di un colore a metà fra il verde e il turchese. Aggiunse le armoniche, una dopo l'altra. Cominciò a dondolare la testa, mormorando a fior di labbra la melodia del canto Bön. “Che cosa stai cercando di dirmi, Marsia?” Mormorò. Poi, a voce più alta: “Henson!”
Si avvicinò un giovanotto sulla trentina, di altezza e corporatura medie, pettinato come un ragazzino degli anni '50, con occhiali dalla pesante montatura nera. “Professore?” disse.
Senza staccare gli occhi dal monitor, Kozlov chiese: “Dov’è van Zijl?”
Sta studiando lo spettrogramma di un sutra assieme al professor Gaidher.”
Uhm. Un professore di favole,” bofonchiò. “Storielle per i bambini. Fra la religione e la vera Scienza non esistono parentele, né amicizia, né inimicizia: esse vivono su pianeti diversi.” Tornò a dedicarsi al monitor. “Guardi qui, Henson. Non nota qualcosa di strano?”
L'altro si piegò appena in avanti e contemplò le armoniche come avrebbe dato una scorsa a un libro nemmeno tanto complicato. “Non c'è rumore,” disse poi, “solo frequenze pure.” Aggrottò le sopracciglia. “Sembrano potenziarsi a vicenda.” Puntò a sua volta la penna verso il monitor. “Proprio qui, vede, professore? L'intensità aumenta in maniera apparentemente inspiegabile e le frequenze che ne risultano vanno negli ultra- e infrasuoni.” Fece un'altra pausa, poi soggiunse: “I valori ottenuti con la FFT sono al di fuori di ogni logica.” Si lisciò il ciuffo castano, si sistemò gli occhiali, quindi chiese: “È stato Marsia a realizzarlo?”
Sì, Marsia. Ma è stupito quanto te, mi pare,” rispose Kozlov. “Per quanto sia lo stato dell'arte a livello di elaborazione del suono, anche lui getta la spugna di fronte a questo.” Il professore fece partire un secondo spettrogramma e le due tracce procedettero per un po' affiancate. “Mi sai dire perché quando il manoscritto è nella sua cassetta blindata viene fuori questo e quando invece è nella stanza dove si trova Marsia viene fuori quest'altro?”
Prima che Henson potesse rispondere, si udirono i soldati ai due lati della porta scattare sull'attenti. “Riposo,” ordinò concisa una voce maschile.
Kozlov si voltò in quella direzione. “Colonnello McDowell,” salutò. Si alzò lentamente in piedi e gli porse una lunga mano ossuta.
L'ufficiale, cinquantenne, spalle larghe, cranio quasi rasato, la strinse energicamente e chiese: “A che punto siamo?” Volse lo sguardo verso lo schermo su cui ancora scorrevano i due spettrogrammi, ormai diversi come il giorno e la notte.
Beh...” Kozlov ritirò la mano e se la mise in tasca. Prese a giocherellare distrattamente con un piccolo flacone nel quale a ogni movimento ticchettavano delle capsule. “Beh, è difficile dirlo. Questo suono non si sta comportando come dovrebbe. Saranno necessari altri studi.”
Il comandante di Aguas Muertas aggrottò le sopracciglia. “Come sarebbe a dire che non si comporta come dovrebbe?”
Kozlov alzò le spalle e assunse un'espressione vaga. “Un FFT fuori da ogni norma, se le dice qualcosa. Suoni che si trasformano gli uni negli altri, si potenziano a vicenda, cambiano. È come avere un gatto infuriato in braccio: una volta che lo lasci andare, chi lo sa dove deciderà di scappare?”
Si spieghi,” disse McDowell irritato.
Lo sto facendo, ma la sua mente sembra avere problemi con la simbolizzazione. Abbiamo qui un insieme di suoni che sfugge a ogni legge della fisica e dobbiamo per prima cosa capire perché.”
Il colonnello non parve particolarmente impressionato. Guardò ancora una volta il monitor, quindi replicò: “È lei il professore, Kozlov, e questo è un laboratorio all'avanguardia, con le tecnologie più sofisticate che il denaro può pagare. Veda di capirci qualcosa.”
L'altro scosse la testa. “Noi siamo scienziati. Non seguiamo mappe di tesori nascosti e la X non indica mai il punto dove scavare.”
E questo cosa significa?”
Che la ricerca richiede tempo, pazienza e dedizione. Non funziona come nei cartoni animati, dove all'improvviso si accende una lampadina sopra la testa del protagonista e tutto gli diventa chiaro.”
Quanto potrebbe volerci?” insisté imperterrito il colonnello.
Di nuovo, Kozlov alzò le spalle. “Due giorni come un anno, chi lo sa. La Scienza non segue tabelle di marcia, la Scienza è genio e rigore che procedono di pari passo, l'uno inutile senza l'altro.” Fece una pausa, quindi soggiunse: “E ora, se vuole scusarmi...”
McDowell strinse i pugni e tese le spalle. Lanciò un'ultima occhiata a lui, poi al monitor e infine a Henson, che in risposta si sistemò gli occhiali con gesto nervoso, quindi ringhiò: “Veda di darsi una mossa, professore: lei non è l'unico esperto di questa roba sulla piazza.”
Ma sono il migliore.”
La risposta giunse che il colonnello aveva già oltrepassato la porta e quindi cadde nel vuoto.
Kozlov scrutò critico i due soldati, poi disse: “E voi che fate lì impalati come due marionette? Che fine ha fatto il vostro cervello?”
I militari rimasero immobili, lo sguardo fisso all'infinito.
Bah, marionette,” brontolò. Poi si rivolse a Henson: “Vado nel mio alloggio, ho bisogno di allentare la Valvola Riducente[1].”

Kozlov considerò che l’alloggio che gli era stato messo a disposizione poteva decisamente essere definito confortevole: c’erano un letto, una scrivania, un computer, un piccolo frigorifero e un armadio per gli effetti personali. Incastrata da una parte, c’era anche una porticina che dava su un bagno completo di servizi.
Nel soffitto era incassato un neon che mandava un debole ronzio, ai suoi lati c’erano due bocchettoni coperti da grate, per la circolazione dell’aria.
L’uomo chiuse la porta alle proprie spalle, girò la chiave nella toppa e poi se la infilò in tasca. Successivamente trasse dal frigorifero un cartone di succo d’arancia, alcune zollette di zucchero e un bicchiere e li allineò sulla scrivania, poi prese dalla tasca del camice il flacone col quale era solito giocherellare e da esso estrasse una capsula bianca che posò solennemente sul piano del mobile. “3,4,5-trimetossi-β-fenetilammina[2],” mormorò quasi con affetto.
Si sedette sulla poltrona girevole, prese la capsula fra pollice e indice e per un po’ rimase a contemplarla, cercando di scorgere in trasparenza la polvere che essa conteneva. Si passò la lingua sulle labbra e in un subitaneo guizzo le pupille gli si dilatarono.
Si versò mezzo bicchiere di succo, quindi si mise in bocca la capsula e la mandò giù. Si allungò contro lo schienale e chiuse gli occhi con un sospiro di soddisfazione.
Li riaprì dopo un tempo imprecisato. La prima cosa che colpì il suo sguardo fu una goccia di succo d’arancia sulla superficie bianca. La minuscola sfera era come un sole, come un opale di fuoco che sotto la luce della lampada sembrava quasi ardere di un fuoco interno, pulsare di una vita propria. Gli evocò una goccia di magma persa in un mare di neve talmente candida da emanare una vaga luminescenza azzurrina. Strinse gli occhi, allungò la mano per toccarla, ma all’ultimo si interruppe, reputando il gesto quasi sacrilego.
In quel momento vide la porta della camera aprirsi senza che la maniglia si abbassasse: ruotò di lato in un silenzio irreale e sulla soglia comparve lui stesso, molto più giovane e come sarebbe stato se il suo sviluppo psicofisico si fosse svolto nella maniera ideale: alto, snello, dalle movenze eleganti e cariche di forza trattenuta. I capelli erano una lucida criniera corvina, gli occhi vividi abissi di ossidiana che studio e droghe non avevano ancora offuscato. Indossava un camice radioso, di un bianco che sembrava quello della veste degli arcangeli.
Ciao, Me,” lo salutò.
Me rispose con un grazioso cenno del capo, quindi si sedette sul letto. Kozlov notò che la coperta sembrava riflettere il chiarore emanato dal suo candido indumento.
Come te la passi?” gli chiese.
Il nuovo arrivato si limitò a scuotere la testa.
Il professore sorrise. “Capisco, non sei qui per fare conversazione, vero?”
Di nuovo, l’altro scosse la testa. Kozlov alzò lo sguardo: la luce del neon si era trasformata in una corrusca raggiera di aghi di ghiaccio, il ronzio del sistema d’aerazione nella misteriosa nenia di uno sciamano. “Ho un problema,” disse.
Me annuì serio.
Un problema con le armoniche di quel dannato brano,” precisò Kozlov.
Me annuì di nuovo: evidentemente sapeva anche quello. Il professore non se ne stupì: se Me era lui stesso, sapeva tutto quello che sapeva lui. “E quindi, come potrebbe darmi delle risposte?” disse, di nuovo rivolto all’ignea apocalisse della goccia di succo d’arancia. Rialzò gli occhi verso il suo doppio: “Come potresti?”
Finalmente Me parlò: “Hai dimenticato? Io sono te a un livello superiore.”
Kozlov sollevò le sopracciglia. “Oh, certo,” assentì sarcastico.
Me sorrise e dalla fila di denti candidi che scoprì nell’atto promanò un lampo che costrinse l’uomo a mettersi una mano sugli occhi. “Hai provato a misurare l’intensità dei campi elettromagnetici?” chiese.
Il professore abbassò la mano. “Quali campi?”
Rifletti: archi voltaici uguale campi elettromagnetici, è molto semplice. Sembra che queste armoniche abbiano il potere di ionizzare i gas dell’atmosfera, non è vero? Probabilmente le vibrazioni entrano in risonanza con le particelle subatomiche e conferiscono loro energia.”
Se questo fosse vero...”
È vero,” intervenne Me categorico.
Dicevo, se questo fosse vero, l’intera recitazione del canto svilupperebbe una quantità enorme di energia.”
Senza contare l’effetto che ha sull’organismo umano,” puntualizzò Me.
Sarebbe a dire?”
Fenomeni di trance in soggetti predisposti. In altri cefalea, nausea, vomito, attacchi di panico. In alcuni casi esperienze deliranti primarie. So che anche tu ne hai risentito.”
Ovvio che lo sai,” replicò ruvido il professore, “sei me.”
Hai visto cose, vero?”
Non più di quelle che sto vedendo adesso.”
Me scosse la testa come di fronte alle intemperanze di un bambino. “Hai visto cose,” ripeté, questa volta con apodittica sicurezza.
E anche se fosse?”
Me si limitò a scuotere la testa, quindi si alzò in piedi e disse: “Ora vado. Misura i campi elettromagnetici.”
Aspetta! Perché il fenomeno si manifesta solo in presenza del manoscritto?”
Me, che stava già dirigendosi verso la porta, si voltò a guardarlo da sopra la spalla. “Fa da catalizzatore.”
Qualche sostanza che si trova nelle immagini?”
Quello e la risonanza inconscia delle figure con archetipi di distruzione, che vengono da esse evocati.”
Me! Aspetta, Me!”
La figura attraversò la porta in senso opposto.

Kozlov aprì gli occhi. Era semisdraiato sulla poltrona, il neon aveva perso la sua corona di aghi di ghiaccio, la goccia di succo si era ridotta a una macchia opaca, di un arancione spento da mitilo morto. Il bianco non brillava più di luce propria.
L’uomo si alzò incerto, si versò un bicchiere di succo e lo bevve con foga, facendosene colare un rivolo da un angolo della bocca. “I campi elettromagnetici,” disse poi fra sé e sé. “Ma certo, è ovvio. Sarà meglio trovare il sistema di contenerli in qualche modo.”

§

Seduto sul letto a gambe incrociate, gli occhi fissi sullo schermo e il joypad stretto fra le mani, Beau imprecò tra i denti. “Eh no, bastardo, no...” Si udì un rumore che avrebbe dovuto essere quello di un fucile laser, il soldato si piegò bruscamente da una parte come per evitare un colpo. “Figlio di puttana!” esclamò. Sullo schermo, le mani del suo personaggio imbracciarono un'arma e cominciarono a fare fuoco su una moltitudine di avversari. “Figli di puttana!” ripeté con foga, vuotando caricatori su caricatori. “Bastardi!” Di nuovo si piegò, facendo cadere nel movimento una lattina di coca, che rotolò via spargendo il suo contenuto sul pavimento.
E dai, Beau!” protestò Westbrook, sdraiato sul letto di fianco con un libro in mano. Abbassò lo sguardo sulla lattina, che finiva di rotolare lasciandosi dietro una liquida traccia marrone, e disse: “Adesso pulisci.”
Un attimo.” Altri spari, l'esplosione di qualcosa di grosso. “Cazzo!” Raffiche di mitragliatrice, di nuovo il soldato si buttò da una parte, facendo oscillare pericolosamente l'armadietto con tutto il suo contenuto. “Cazzo, bastardi!” Poi, in tono più concitato: “Eh no, bastardi! No, no! Cazzo, no!” Lo schermo si fece tutto rosso.
Sei morto?” s'informò Westbrook.
Cazzo!”
Beau?”
Cazzo! Cazzo! Cazzo! Lo sai quanto tempo è che sto dietro a questo fottuto livello? Eh? Lo sai? E quel cazzo di SWAT mi salta fuori all'ultimo momento e mi spara in faccia, cazzo!” Prima che l'altro potesse replicare, afferrò il joypad come un pallone da football e con un lancio poderoso lo mandò a fracassarsi contro il muro, quindi si rivolse alla lattina e la calciò con tale forza che essa rimbalzò contro tre pareti prima di esaurire il proprio movimento.
Cazzo!” sbraitò di nuovo. Rimase ansante al centro della stanza, con lo sguardo spiritato e i pugni chiusi.
Lyles, datti una calmata!” provenne dalla stanza attigua.
Beau si voltò fugacemente in quella direzione, poi girò lo sguardo verso i resti del joypad. “Merda,” brontolò.
Giornataccia?” s'informò Chet.
L'altro crollò le spalle. “Scusa. Mi sa che sono un po' nervoso.” Raccolse la lattina, quindi prese dall'armadietto il suo asciugamano e fece per pulire il pavimento.
Ma no, non con quello,” lo fermò Westbrook, alzandosi dal letto. “La tua solita mania di fare le cose senza pensare. Va' a prendere un po' di carta, no?”
Quella del cesso?”
Anche, sì.”
Beau uscì dalla stanza e tornò dopo un po' con un rotolo di carta igienica. Lanciò un altro sguardo carico di rimpianto ai resti del joypad, quindi cominciò ad asciugare le mattonelle. “Scusa, Chet, è che sono un po' nervoso,” ripeté dopo un po'.
Non più del solito, mi pare,” osservò l'altro.
Il primo si alzò in piedi e lo fissò negli occhi. “E invece sì,” disse.
Chet aggrottò le sopracciglia e scrutò attento l'amico, che a sua volta aveva due profonde rughe verticali sulla fronte. “Che ti succede?” gli chiese.
È quella specie di metal satanico. Tu sei mai stato là dentro quando fanno uno dei loro esperimenti?”
Westbrook annuì.
Allora hai capito, no?”
Si fissarono di nuovo negli occhi. Quelli azzurri di Beau, normalmente spavaldi al limite della tracotanza, erano velati d'apprensione. “L'ultima volta ho visto della roba che non ha spiegazione,” disse.
Magari era roba segreta,” minimizzò Chet.
Lyles scosse la testa. “Mi è bastato guardare le loro facce per capire che anche loro se la stavano facendo sotto. Soltanto quel tizio che sembra lo scienziato pazzo dei fumetti era tranquillo.” Fece una pausa, poi soggiunse: “Ma secondo me è solo perché le armi più potenti di tutta la base sono i cannoni che si fuma.”
Beh, ma in pratica cos'avresti visto?” chiese Westbrook, sospingendo l'amico fuori dalla porta.
Non lo so. È quella cantilena che fa venire i brividi. Quando fanno partire quella...” si interruppe.
Chet si girò a fissarlo. “Quando fanno partire quella...?”
Il primo scosse la testa. “Non lo so. Succedono cose.”
Che specie di cose?”
Beau si fermò e per qualche secondo sembrò ponderare sulla faccenda. Infine chiese: “Tu non hai avuto la sensazione che ci fosse qualcun altro, in quel laboratorio?”
Chet annuì. La sensazione l'aveva avuta eccome. Era stato come trovarsi in una stanza completamente buia con qualcuno immobile di fianco: per quanto non avesse visto o sentito niente, aveva percepito qualcosa come un'aura di calore, o magari un campo elettrico. Meccanicamente si guardò l'avambraccio, coperto di una fine peluria bionda. Beau notò il movimento e gli chiese: “Anche a te si sono rizzati i peli quando eri là dentro?”
Sembravo un coniglio d'angora,” ammise Westbrook. “Bart si è sentito male, hanno dovuto portarlo fuori.”
Davvero?”
Cascato giù come una pera. Il fucile aveva il colpo in canna, a momenti ammazzava uno di quelli là. Quando l'ha saputo, il sergente si è incazzato come una iena.”

§

Il laboratorio odorava di ozono e disinfettante al cloro. Le luci al neon – tutte accese – toglievano le ombre alle cose. Al centro della sala erano stati portati dei tavoli a rotelle, di quelli lunghi da obitorio, e dei tecnici vi stavano posizionando sopra varie apparecchiature. Con un gesto istintivo, Westbrook strinse fra le mani l'M-4 poi si voltò verso Lyles e gli altri membri della squadra Bravo. Beau stava girando su e giù come un leone in gabbia, ma anche gli altri apparivano piuttosto nervosi. Morales non la piantava di far girare fra le dita uno spinner fatto a simbolo di Batman, Thomas e Clarke stavano battibeccando a bassa voce attenti a non farsi sentire dal sergente. In compagnia di Gray e Wang, il caporale Mitchell stava continuando a girare tutt'intorno all'allestimento come una specie di cane da pastore che vede il gregge infilarsi in mezzo a un branco di coyote.
Sarà la decima volta che passano lì davanti,” disse Lyles, lanciando ai tre uno sguardo torvo.
Westbrook alzò le spalle. “Lo sai com'è fatto Mitchell.”
Mi chiedo cosa dovrebbe fare la squadra qui dentro,” ringhiò. “Non siamo mica scienziati.”
Chet non rispose, anche perché non avrebbe saputo bene cosa rispondere. L'unica cosa che aveva origliato tra i vari turni di guardia era che dopo gli ultimi esperimenti era stata fatta richiesta di aumentare il personale militare. Addirittura si era parlato di far arrivare ad Aguas Muertas un altro plotone.
Fissò di nuovo i tavoli d'acciaio, ormai coperti di apparecchiature e cavi. Un tizio con un camice bianco e gli occhiali da nerd stava sistemando dei monitor su cui scorrevano misteriose sinusoidi. Il professore con l'aria da scienziato pazzo stava invece scrivendo sulla tastiera di un computer con il case raffreddato a liquido, grosso come il monolito di 2001, Odissea nello Spazio. Di tanto in tanto ci parlava, chiamandolo Marcie, o qualcosa del genere. “Non si chiamava Hal?” si domandò a mezza voce.
Beau interruppe il suo nervoso passeggiare. “Cosa?”
Il computer. Lo chiama Marcie, hai sentito?”
L'altro scosse la testa. “Te l'ho detto: a quello gli manca qualche rotella.”
Ci fu un’altra mezz’ora di preparativi, poi finalmente l’affaccendamento parve calmarsi. Nel silenzio generale, il tizio con gli occhiali da nerd indicò una telecamera e chiese: “Sta registrando?”
Giunse una risposta affermativa.
L’altro allora si posizionò davanti all’obiettivo, snocciolò la data e annunciò: “Sperimentazione Trebitsch-Lincoln numero dodici. Recitazione fase preliminare.” Successivamente andò a una cassetta blindata, la aprì e dopo aver indossato dei guanti bianchi ne trasse il manoscritto, che collocò su un apposito supporto.
Chet ebbe l'impressione che un alito di vento gli passasse sul viso, ma l'aria era immobile. Si voltò verso Beau e incontrò il suo sguardo torvo, segno che anche lui doveva essere turbato da qualcosa.
Si udirono scattare degli interruttori e le luci ebbero una lieve oscillazione. Subito dopo cominciò a farsi udire il ronzio basso di potenti apparecchiature elettriche.
Il caporale Mitchell abbandonò la parte centrale della sala e ordinò: “Tutti indietro, ragazzi. Nessuno vada oltre la linea bianca sul pavimento.”
Perché?” volle sapere Lyles.
Campi magnetici. Se entrate là in mezzo con gli M-4 viene fuori un casino.”
Sì, ma… e se succede qualcosa?”
Interveniamo da qui.”
Perplesso, Westbrook chiese: “In che modo, caporale?”
Prima che il graduato potesse rispondere, partì la prima traccia audio. Cominciò un salmodiare basso, gutturale, che sembrava una via di mezzo tra un canto dissonante e un lamento. A esso si unì dopo poco una prima armonica, che prese a seguire la melodia principale.
Westbrook abbassò gli occhi sui propri avambracci, dove i peli erano ritti come per un’esposizione al freddo intenso. Si voltò verso Beau e vide alle spalle dell’amico Clarke piegato in due in preda ai conati e Thomas addossato al muro con gli occhi fuori dalla testa e il respiro ansante.
L’odore di ozono divenne più intenso, le luci oscillarono di nuovo, alcuni neon si spensero, uno addirittura scoppiò con un rumore sordo. Accanto al supporto del manoscritto cominciarono a crepitare nell'aria scariche elettriche violacee.
Basta!” disse una voce allarmata sullo sfondo. “Basta, i campi di contenimento non tengono più.”
Una cassetta piena di attrezzi crollò al suolo spargendo tutto il suo contenuto, un fascio di fogli prese a turbinare come investito da una folata di vento. Si aggiunse un’altra armonica, acuta ai limiti dell’udibile, le scariche si fecero più intese e virarono verso una tonalità di azzurro chiaro.
Basta!” ripeté la voce.
Uno dei tizi in camice bianco abbandonò la stanza di corsa, un altro si afflosciò giù dalla sedia come una specie di straccio e rimase fermo lì.
Il case di un computer emise un nugolo di scintille e poi cominciò a fumare.
Un tizio che non aveva il camice, indiano a giudicare dai lineamenti, tirò fuori dalla tasca una specie di collana, se la arrotolò intorno alle dita, giunse le mani e cominciò a recitare qualcosa.
Un’altra armonica, talmente bassa che Westbrook si sentì vibrare le costole, seguì le altre, ma a quel punto tutti i neon saltarono e subentrarono i LED degli antincendio. I monitor si spensero e il canto finalmente cessò.
Nella scarsa luce, il soldato ebbe per un istante l’impressione di vedere delle grandi ombre che sovrastavano il personale indaffarato a ripristinare le strumentazioni, ma un attimo dopo i neon si riaccesero e delle ombre non vi era più traccia.






[1] Da “Le porte della percezione”, di A. Huxley.
[2] Mescalina.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Salve a tutti,
ecco un nuovo capitolo della mappazza, spero che apprezzerete. Grazie a tutti quelli che sono passati per di qua, che mi hanno letto e/o piazzato in qualche lista, ma soprattutto grazie a tutti quelli che mi hanno commentato!^^




Capitolo 2

Immobile nei ranghi, Westbrook fece girare intorno lo sguardo per quello che la posizione di riposo gli consentiva. Gettò un'occhiata a Beau, che volse impercettibilmente la testa verso di lui e sussurrò: “Saranno cazzi.”
“Silenzio, Lyles!” abbaiò il caporale Mitchell. Il soldato grugnì qualcosa di inintelligibile.
“Piantala, se no ti faccio pulire i cessi di tutta Aguas Muertas.”
Beau si limitò ad articolare con le labbra la parola 'Fanculo'.
Di nuovo calò un silenzio rotto solo dall'impercettibile ronzio dell'impianto di aerazione.
Chet alzò lo sguardo sul soffitto, chiedendosi se fosse vero quello che dicevano, ovvero che in ogni stanza, dietro le pannellature fonoassorbenti e riposanti per la vista, si nascondessero apparecchiature che in caso di contaminazione della base venivano azionate per eliminare ogni forma di vita. Cercò di immaginare dove fossero e quasi dovette trattenersi per non spostarsi, una volta che ebbe l’impressione di averne individuata una.
Fissò anche gli altri membri della squadra, per quanto poteva, e gli parve che non ce ne fosse uno tranquillo. Persino il sergente, quando entrò nella stanza, aveva un cipiglio che non gli aveva mai visto.
Il sottufficiale scorse alcuni fogli che aveva in mano, quindi annunciò: “La fase preliminare della sperimentazione si è conclusa ieri. La seconda fase comincerà domani, alle zero nove zero zero antimeridiane.” Prese un pennarello, si avvicinò a una lavagna bianca e vi tracciò un semplice schema del laboratorio. “La squadra Alpha prenderà posizione nel vestibolo,” annunciò, dopo aver tracciato una A rossa nel punto indicato, “pronta a intervenire di supporto nel caso fosse necessario. La squadra Bravo sarà all'interno del laboratorio...”
“Ehi, perché proprio noi?” non poté esimersi dal protestare Beau. La frase innescò un coro di brontolii di disappunto.
“Silenzio!” ordinò Mitchell. “Silenzio! Piantala, Lyles!”
I brontolii a malincuore cessarono. Il sergente riprese: “La squadra Bravo, che ha avuto i migliori risultati ai test medici dopo esposizione al materiale di sperimentazione, rimarrà all'interno del laboratorio. La squadra Charlie presidierà la zona dell'ascensore e dei montacarichi, la squadra Delta è addetta al controllo in sala monitor.”
A quelle parole, di nuovo Beau esplose: “E che cazzo! A saperlo, mi cagavo addosso, in quel fottuto laboratorio, e poi voglio vedere se i test medici erano positivi!”
“Lyles!”
“No, Lyles un cazzo! Io...”
“Basta! Ne riparliamo quando questa faccenda è finita, comunque.”
Di nuovo, a malincuore il soldato si tacitò e rimase, torvo e immobile, a fissare ostinatamente un punto all'infinito dietro le spalle del sottufficiale.
“Adunata domani alle zero otto zero zero antimeridiane,” disse il sergente, “tenuta da combattimento, elmetto e giubbotto antiproiettile.”

Una volta che fu dato l’ordine di rompere le righe, Beau si rivolse a Chet: “Tenuta da combattimento? Ma chi cazzo dovrebbe arrivare in quel laboratorio, i terroristi islamici?”
L’altro si strinse nelle spalle. “Non lo so. L’hai visto anche tu cosa succede là dentro.”
“Sì, certo.”
“Beh, non sono cose normali, se capisci quello che intendo dire. Visto che comunque domattina saremo là, non mi dispiacerà avere la tenuta da combattimento e l’M-4.”
I due abbandonarono la stanza e presero a camminare fianco a fianco lungo un corridoio. Beau non dimenticò di mostrare il dito medio alla telecamera di sorveglianza quando ci passò sotto.
“Secondo te di cosa hanno paura?” chiese dopo un po’, “Che qualcuno vada fuori di testa per colpa di quei suoni strani?”
“Dubito che ci farebbero intervenire in tenuta da combattimento, se il problema fosse qualcuno che va fuori di testa.”
Lyles non rispose, i due continuarono a camminare in silenzio. Dopo un po’, fu Chet a riprendere il discorso: “Non è quello che ho sentito dire in giro, perlomeno.”
Beau si voltò a fissarlo. “Cosa?”
“Le persone fuori di testa. Non sono loro il problema.”
“E quale sarebbe allora?”
Chet si guardò intorno, poi abbassò la voce e rispose: “Sembra che quella nuova arma che stanno studiando non sia così ben controllabile come credevano.”
“Sì, ma che genere di arma sarebbe?” chiese Beau, un po’ impressionato da quell’aria di mistero.
Westbrook stava per rispondere quando alle loro spalle echeggiò la voce del caporale Mitchell: “Ehi, voi due! Venite qui, ci sono le camerate da pulire!”

§

Sprofondato nella poltrona, Kozlov alzò appena lo sguardo e salutò: “Ciao, Me.” Fece un sorrisetto. “Qual buon vento?”
Me si fece avanti senza rumore e si sedette sul letto. Le molle, che di solito cigolavano in modo straziante, rimasero mute.
Sotto il riverbero del suo camice candido, la coperta dalla fantasia tipo tartan si trasformò in un intrico di vasi pulsanti, di cavi luminosi attraversati da energie sconosciute. Divenne un mazzo di fibre ottiche di tutti i colori, che a ogni intersezione generavano gocce di luce così intensa da fare male agli occhi, stillanti come rugiada, brillanti come gemme.
“Sono venuto a salutarti,” disse in tono pacato. Lentamente si passò una mano fra i capelli corvini e Kozlov quasi si incantò nel seguire con lo sguardo le ciocche di un nero purissimo che scorrevano tra dita bianche come marmo. “A salutarmi?” mormorò, lo sguardo calamitato dalla straziante perfezione plastica di quel pur semplice movimento.
Me abbassò la mano e si raddrizzò nella persona. “I campi di contenimento sono instabili,” disse.
“Basta che tengano fino alla fine della traccia audio.”
L’altro scosse la testa. “Sarà lì che cominceranno i problemi.”
Kozlov gli rivolse uno sguardo torvo. “I problemi? Per un po’ di plasma che scoppietta?”
“Oh, fosse solo qualche scarica elettrostatica di troppo...” buttò lì Me.
“D’accordo, c’è stata anche qualche persona che si è sentita male,” concesse il professore. “E allora? Gente impressionabile, psichicamente immatura.”
L’altro scosse la testa. “Non hai bisogno di mentire. Non a me, perlomeno, dal momento che io so tutto quello che sai tu.”
Kozlov distolse lo sguardo. Si guardò le mani e gli parve di vedere ogni poro della cute, i capillari, i muscoli, traslucidi e rossi come frutti, con i tendini di un candore abbagliante, quasi argentato. E sotto di essi le ossa, in tutto il loro eburneo nitore, con i capi articolari coperti da uno strato di cartilagine lucida e azzurrina come uno strato di ghiaccio… “Basta, sto divagando,” disse asciutto. Tornò a fissare il suo ieratico visitatore.
Questi gli rivolse un lieve sorriso, quindi domandò: “Te lo sei chiesto, vero? Io so che te lo sei chiesto.”
“Di cosa stai parlando?”
Che cosa ha ucciso tutti quei soldati russi. Nonostante la tua entusiastica presentazione, so che all’inizio eri scettico: hai pensato dapprima a un artefatto fotografico e poi anche a una banale truffa, ma non hai certo rifiutato la possibilità di lavorare con apparecchiature come quelle che ci sono qui, giusto? Lasciamoli alle loro fantasie, hai pensato, io intanto ho l’occasione di sperimentare come voglio e raccogliere dati.” Fece una breve pausa, poi proseguì: “Quando hai capito che non si trattava di artefatti?”
Kozlov rimase in silenzio. Non c’era stata una vera e propria illuminazione, nessun Eureka! gridato mentre correva nudo per le strade. Era stato piuttosto l’accumularsi di dati sperimentali che non collimavano con quelli attesi, di fenomeni che sembravano sfuggire a ogni tentativo di interpretazione. Nemmeno Marsia, la più sofisticata tecnologia di analisi spettrografica disponibile sul mercato, era stato in grado di fornire una spiegazione attendibile di certe cose che nondimeno erano accadute.
Si affondò le mani tra i capelli, strinse le ciocche tra le dita e le tirò come se avesse voluto aprirsi in due la testa.
Gli giunse di nuovo la voce pacata di Me: “Il manoscritto, vedi, è un catalizzatore.”
Kozlov abbassò le mani e lo fissò con interesse. “Che intendi dire?”
“Ti sei mai chiesto cosa significhino le sue figure?”
“Sono dei demoni. Sciocche superstizioni di un culto primitivo.”
“Perché li hanno rappresentati così?”
“Coazione a ripetere, immagino. Schemi precostituiti e socialmente accettati per raffigurare creature potenti e spaventose.”
“Si, ma il primo che li ha raffigurati, da dove ha tratto l'idea di farli in quel modo?” chiese Me.
Il professore alzò le spalle con noncuranza e rispose: “È un problema che attiene all'antropologia, forse. Non certo alla Scienza.”
“Dipende.”
“No, nel mio campo, nulla dipende. Ci sono solo misure esatte. Un litro d'acqua pesa un chilo sia qui che a Buenos Aires che a Helsinki e bolle a cento gradi Celsius in tutti e tre i posti.”
“Se questo fosse il metro di valutazione, il valore della Gioconda si potrebbe calcolare sommando il costo della tela, dei colori usati per dipingerla e delle ore di lavoro di Leonardo.”
“Per me è così.”
“Ma la realtà contingente ti insegna che invece non è così.” Me fece un lieve sorriso, enigmatico come quello dell’opera che aveva appena nominato, quindi soggiunse: “L'importanza di quelle figure va al di là della mera composizione chimica dei pigmenti usati per dipingerle.”
“E dove risiederebbe, secondo te?”
“Sono proiezioni di qualcosa.”
“Sarebbe a dire?”
“I mostri dell’inconscio. Non dirmi che non ci hai pensato, perché so che l’hai fatto.”
L’uomo si chiuse per lunghi secondi in un silenzio meditativo, infine disse: “Poniamo che tu abbia ragione. L’insieme delle armoniche ionizza i gas dell’atmosfera, conferendo loro un’enorme energia. Le figure del manoscritto evocano l’immagine di mostri dell’inconscio collettivo. Ma in che modo si combinano le due cose?”
Me emise un teatrale sospiro, quindi rispose: “Sarebbe stato molto interessante scoprirlo. Peccato che l’esperimento di domani sarà l’ultimo.” Accavallò le gambe e intrecciò le dita sul ginocchio di quella più alta, poi piegò appena il capo all’indietro. “Sarà l’ultimo,” ripeté. “I campi di contenimento non terranno.”
“E tu come lo sai?”
“Io sono una tua proiezione e grazie all’allentamento della valvola riducente operato dalla mescalina ho accesso a contenuti della tua mente che in condizioni normali vengono bloccati dagli strati superiori della coscienza. Dentro di te, sai già che domani andrà male e che non ci ci saranno altri esperimenti, io non faccio altro che esplicitarlo.”
Kozlov emise una risatina sarcastica. “E quindi sei venuto a salutarmi?”
Me si strinse nelle spalle e rispose: “Può darsi. L'apertura della valvola libera anche una serie di contenuti emotivi che normalmente riesci a mantenere nel preconscio.”
“La mescalina mi farebbe diventare una specie di sentimentale?”
“Dimmelo tu.”
Me abbandonò la sua posizione rilassata e si alzò in piedi, quindi gli si avvicinò lentamente. Kozlov strinse gli occhi abbagliato dallo splendore del camice bianco che indossava, quindi gli chiese: “Che cosa saresti? Una specie di Doppelgänger che viene a predirmi disgrazia? Sono solo stupide superstizioni.”
Me lo fissò serio, quindi rispose: “Sono il tuo cattivo demone, Bruto. Ci rivedremo a Filippi.” Poi si piegò su di lui e posò le proprie labbra sulle sue.

§

Le squadre Alpha, Charlie e Delta avevano già preso posizione, si udivano di tanto in tanto le comunicazioni radio che i rispettivi comandanti si scambiavano fra loro o col sergente. La squadra Bravo, in completo assetto da combattimento, aspettava ancora davanti alla porta del laboratorio. Westbrook scambiò uno sguardo perplesso con Lyles, poi diede un'occhiata all'interno e vide il tizio con gli occhiali da nerd che trafficava sul computer enorme. Arrivò poi il tizio dai lineamenti indiani, che tirò fuori di nuovo la sua collana, si mise da una parte e cominciò a recitare una specie di preghiera. Il nerd gli disse qualcosa e l'altro replicò in tono risentito. Il breve battibecco fu interrotto da un altro tizio in camice bianco, alto, con gli occhiali cerchiati d'oro e l'aria severa.
Tutti sembravano molto nervosi, scattavano per un nonnulla. Uno dei tecnici ne urtò per sbaglio un altro mentre sistemava qualcosa e per poco non vennero alle mani.
Erano quasi le nove.
Westbrook cercò di nuovo lo sguardo di Lyles, che gli rimandò lo stesso messaggio di inquietudine.
“Siamo pronti?” chiese qualcuno. La frase cadde nel vuoto.
A un certo punto si avvicinò il caporale Mitchell e ordinò: “Westbrook, va a chiamare Kozlov, manca solo lui.”
Il soldato diede un'altra occhiata all'interno del laboratorio, in cui dopo la frenesia della preparazione regnava una strana calma sinistra, e fu tentato di rispondere lasciamolo dov'è.
“Muoviti,” lo sollecitò il graduato.
Chet si mise l'M-4 a spall'arm e si allontanò lungo il corridoio. Udiva dietro di sé un canto che non era quello della registrazione e comprese che era il tizio indiano che stava salmodiando qualcosa.
Si costrinse a non pensarci, quella cosa sapeva dannatamente di preghiera.
Raggiunse l'ascensore e da lì il livello degli alloggi del personale scientifico. Andò alla porta di Kozlov e bussò un paio di volte.

Due rintocchi come di campana, dal tono cupo e funesto, destarono il professore, ancora riverso sulla poltrona. Egli si guardò intorno e sulle prime parve stupito di trovarsi in stanza da solo. Si passò le dita sulle labbra, dove il ricordo del bacio di Me bruciava come la traccia lasciata da un carbone ardente, e poi fissò i polpastrelli, certo di scorgervi qualche iridescente traccia di saliva.
Altri due colpi lo distolsero da quella contemplazione. Da fuori una voce chiese: “Professore, è lì dentro?”
Kozlov si alzò, trasse di tasca la chiave e fece scattare la serratura. Si trovò davanti un soldato e il suo sguardo fu immediatamente calamitato dal susseguirsi dei quadretti di diverso colore sulla sua mimetica digitale. Grigi antracite, perla, ferro, tortora... colori sontuosi, pieni, opulenti, nei quali veniva voglia di perdersi come in una landa inesplorata...
“Signore?” La voce del soldato lo distolse da quell'appagante contemplazione. Egli alzò lo sguardo a fissarlo negli occhi e si trovò a contemplare iridi screziate sulle tonalità del verde, con filamenti più chiari, alcuni quasi dorati, altri sui toni del grigio e dell'azzurro, che convergevano a raggiera su pupille mediamente dilatate. Immaginò di fermarsi sul bordo di una di esse e guardare giù, come avrebbe potuto scrutare da una giungla in un pozzo naturale.
Il soldato distolse lo sguardo, sottraendogli così il materiale di osservazione. La cosa lo fece sentire indispettito, tanto che aggrottò le sopracciglia e chiese: “Pensi che fuggire serva a qualcosa?”
Per tutta risposta, il giovanotto fece un passo indietro e dalla nuova posizione rimase a fissarlo perplesso.
Kozlov si passò una mano sul viso, cercando di liberarsi degli ultimi strascichi della mescalina che aveva assunto durante la notte, poi proseguì: “Fuggire non servirà. Tu credi nel Doppelgänger?”
Il soldato assunse un'espressione stupefatta. “Signore?”
“Il Doppelgänger. Il doppio. Sai di cosa parlo?”
“Nossignore.”
“Beh, non starò ad annoiarti con le teorie sul doppio, anche perché forse non le capiresti. Sappi soltanto che il Doppelgänger mi ha detto che oggi andrà tutto male.”
Il soldato rimase a fissarlo in un modo che a Kozlov parve anche piuttosto stolido. “Male,” ripeté il professore, infilandosi con gesti frettolosi il camice bianco. “Male. Disastro. Capisci?”
“Ma...” interloquì il giovanotto.
“Sì?”
“Ecco, signore... se sa già che andrà tutto male, perché non ferma l'esperimento?”
Egli fece un gesto come per scacciare un insetto: “Il Doppelgänger è la mia parte emotiva, umorale. Intuisce, più che sapere, e le intuizioni sono notoriamente imprecise.”
In quel momento si attivò la ricetrasmittente che il militare aveva sulla spalla. Da essa uscì una voce gracchiante che chiese: “Westbrook, a che punto sei?”
“Stiamo arrivando, caporale.”

§

La prima cosa che Westbrook notò fu che il tizio indiano aveva smesso di cantare la sua nenia. Nel laboratorio c'era un gran silenzio, rotto solo da un ronzio basso e persistente, che evocava l'idea di un animale in agguato.
Il tizio con gli occhiali da nerd si avvicinò alla telecamera facendo echeggiare i passi sul pavimento. Si accertò che fosse accesa e scandì: “Sperimentazione Trebitsch-Lincoln numero quindici: recitazione fase due, parti iniziale e centrale.” Tornò alla console.
Il tizio alto con gli occhiali d'oro si aggiustò nervosamente il camice.
Qualche tecnico sullo sfondo stava connettendo cavi o spostando carrelli.
Il soldato si sentì battere sulla spalla. Si voltò e Lyles gli chiese: “Tutto ok?”
Westbrook sorrise. “Sì, tranquillo.”
L'altro fece ostentatamente scorrere lo sguardo tutt'intorno e brontolò: “Lo sai che fine ha fatto Tranquillo, vero?”
“No, quale?”
“La stessa che stiamo per fare noi.” Stava per aggiungere altro, ma la sua attenzione, come quella di tutti, fu attirata dall'arrivo del professor Kozlov. L'uomo appariva più scarmigliato del solito, più torvo. Aveva cerchi scuri intorno agli occhi e le falde del camice sbottonato gli svolazzavano intorno al corpo magro. “Cominciamo,” disse semplicemente, quindi si accomodò a sua volta a una console. Nel silenzio della sala, si sentì la sua voce che diceva: “Ben ritrovato, Marsia.”
“Io dico che quello è suonato,” grugnì Lyles, fermo al fianco di Westbrooke.
“Ragiona a tre cilindri,” fu la cupa risposta.
Nel laboratorio di fece udire di nuovo la voce di Kozlov: “Proceda, Henson.”
“Sì, professore,” rispose il nerd.
Partì la melodia che ormai conoscevano molto bene. A Westbrook sembrò più forte del solito, più graffiante, tanto che mentre si massaggiava le braccia, in cui i muscoli avevano improvvisamente cominciato a dolergli come dopo una giornata di allenamenti, si sentì squassare da brividi di freddo. Istintivamente rivolse lo sguardo verso Lyles. Questi si voltò simultaneamente verso di lui e si sporse fino a toccarlo con la spalla.
Le armoniche cominciarono ad accompagnare il brano principale. Un primo neon sfarfallò brevemente e poi si spense, subito dopo un altro si ruppe in due con uno schiocco. Da una parte ci fu uno sfrigolare di scintille. Nell'aria si diffuse odore di ozono, sottili archi elettrici, di colori che andavano dal violaceo al bianco brillante, presero a torcersi crepitando.
Westbrook si passò una mano sugli occhi. Al centro della sala, gli parve di vedere le scintille rimbalzare contro qualcosa. Subito dopo, la voluta di fumo che si levava da un apparecchio surriscaldato si torse attorno a qualche ostacolo invisibile.
“Beau!” esclamò. Si fece scivolare l'arma dalla spalla e la imbracciò convulsamente.
Lyles si voltò verso di lui. “Ehi, ma che cazzo...” cominciò, poi guardò verso il laboratorio e a voce più alta ripeté: “Che cazzo sta succedendo?” Imbracciò a sua volta l'arma. “Chet, ma che cazzo è quello?”
Un armadio carico di strumentazioni fu spinto via come da un calcio e andò a schiantarsi contro la parete, un case fu strappato via, e coi cavi ancora penzoloni attraversò in volo la stanza e si fracassò al suolo. Ci fu un altro nugolo di scintille, che nel rimbalzare delineò per un istante qualcosa di simile a un arto che si muoveva.
Le luci si spegnevano una dopo l'altra, il fumo stava invadendo l'ambiente.
Westbrook si voltò verso i commilitoni, ma tutti si stavano agitando irresoluti. La recitazione frattanto continuava, e di attimo in attimo sembrava prendere nuova forza, diventando sempre più difficile da tollerare.
“Fermatelo!” urlò qualcuno, a Chet parve che si trattasse del tizio alto con gli occhiali d'oro. “Fermate il canto.”
L’uomo fece per muoversi verso il grosso computer chiamato Marcie, ma d'improvviso qualcosa sembrò ghermirlo e scrollarlo come uno straccio. Si udì distintamente lo scroscio delle vertebre cervicali che si fratturavano, quindi il corpo ormai senza vita venne scagliato contro un muro, alla cui base si afflosciò in un viluppo informe e sanguinante.
“Che cosa è stato?” urlò qualcuno con voce incrinata dall'angoscia, “Che cos'era?”
Un tavolo andò a gambe all'aria spargendo in giro strumentazioni, un altro uomo fu afferrato da qualcosa di cui si percepiva solo una vaga sagoma nell'aria caliginosa, si udì un urlo raccapricciante e in un lucido spruzzo carminio le due metà del corpo finirono una da una parte e una dall'altra.
Con un fracasso da fine del mondo, nella stanza ormai completamente buia, rischiarata qua e là da scariche elettriche e scintille, si scatenò un fuggi fuggi generale. Tutti cercavano di uscire calpestando chi cadeva e facendosi largo fra i detriti, ma di tanto in tanto qualcuno veniva ghermito e trascinato indietro.
Westbrook si sentì investire all'improvviso da qualcosa che sembrava un fortissimo campo di elettricità statica, si sentì spingere all'indietro e poi qualcosa di pesante gli piombò sul petto mozzandogli il respiro. Poi sentì Lyles urlare: “Non provarci, stronzo!” Subito dopo, lo vide afferrare l'M-4 per la canna e abbatterlo con tutte le sue forze contro quello che gli parve solo il vuoto. L'arma però rimbalzò come su qualcosa di duro, poi una forza immane sollevò il soldato e lo scaraventò lontano.
“Beau!” gridò Westbrook. Lo raggiunse, si inginocchiò accanto a lui. “Beau!” gridò di nuovo, scuotendolo per i vestiti, “Beauregard, parlami!”
L'altro aprì gli occhi, tossì un paio di volte. “Chet? Ma come cazzo mi stai chiamando?”
“Beauregard. Non è così che ti chiami?”
“Solo mia nonna mi chiamava così.”
Mentre l’amico con fatica si rialzava, Chet si guardò rapidamente intorno: la devastazione continuava, qua e là echeggiavano raffiche di mitra, una granata flash-bang illuminò a giorno per un istante il laboratorio ed evidenziò delle forme in movimento, o più che altro l’impressione che ci fossero delle forme enormi che si muovevano al centro della stanza. Un altro uomo fu afferrato come un fuscello e lanciato lontano, una colonna in cemento armato esplose come un petardo scagliando frammenti tutt’intorno, dal soffitto crollarono schegge di cemento e calcinacci. Il nugolo di polvere sollevato fu ancora una volta spostato dall’ampio gesto di qualcosa che non si vedeva.
Sentì Mitchell urlare: “Ripiegare! Ripiegare!” Di nuovo echeggiarono raffiche di mitra, una sventagliata di proiettili fece schizzare brandelli di rivestimento metallico da un armadio. Qualcuno emise un lamento atroce.
Weestbrook si sentì afferrare per un braccio e trascinare via. Sulle prime istintivamente oppose resistenza, ma la voce di Beau ringhiò: “Sono io, stronzo.”
Cominciarono a correre inciampando su detriti e corpi, cadendo e rialzandosi. Alle loro spalle si udivano rumori di suppellettili infrante e urla di dolore. Una specie di palla li oltrepassò in volo e atterrò con un sordo rimbalzo, poi rotolò via goffamente, rivelandosi una testa umana staccata dal busto. Il volto tumefatto conservava un’agghiacciante espressione di orrore.
Si voltarono con l'intento di coprire la ritirata degli altri, ma non c'era nulla contro cui sparare. Gli oggetti sembravano esplodere dall'interno, i corpi prendere il volo da soli. A parte quello prodotto da mobili e strumenti che venivano fracassati, o le urla di chi veniva ghermito, non si udiva altro rumore.
“Muoviti!” esclamò Beau. Corsero fuori evitando di stretta misura il lancio di un blocco di cemento e nell'allontanarsi si sentirono spostare da qualcosa di poderoso che poi passò oltre.

§

Seduto a terra, la schiena appoggiata a una parete, Kozlov contemplava con distacco il riflesso delle fiamme sulla pozza di sangue che si stava allargando sotto di lui. “Rosso carminio,” mormorò. “O forse vermiglio.”
Sollevò lo sguardo e lo fece girare su quello che restava del laboratorio: l’unica luce proveniva dalle due o tre lampade antincendio che erano sopravvissute alla devastazione, l’ambiente era gravato di ombre nitide e intense. Di quando in quando sfrigolavano nell’aria caliginosa nugoli di scintille.
Notò una macchia bianca in movimento, così intensa da gettare un riverbero tutt’intorno a sé. Fece un lieve sorriso e con fatica chiese: “Siamo a Filippi, per caso?” Tossì un paio di volte e soggiunse: “Non avevi detto che non ci saremmo più rivisti?”
“Allucinazione pre-exitus,” chiarì Me con distacco.
“Nientemeno,” gracchiò Kozlov. Di nuovo si guardò intorno e disse: “Quasi mi dispiace non vedere tutto questo sotto l’effetto della mescalina.”
“Le capsule sono nella tua tasca destra,” gli ricordò Me, fermo in piedi davanti a lui. Kozlov notò che il sangue sembrava girargli intorno, come per paura di sporcarlo. Scosse la testa e rispose: “Morirei prima di riuscire ad assimilarle e l’illusoria sensazione di benessere che proverei sarebbe solo il risultato di un miserabile effetto placebo.”
“Ora sei in stato di shock ipovolemico,” gli fece notare Me, sempre dritto in piedi davanti a lui, “la Valvola Riducente è comunque allentata, per effetto dell’ipossia sul cervello.”
“È per questo che ti vedo?”
“Già.”
Kozlov annuì, poi disse: “Sai, penso di aver capito. Peccato solo non poter fare un’altra prova.”
“Che cosa, hai capito?”
“I monaci dovevano avere qualche sistema per focalizzare la recitazione su un nemico. A quel punto, non c’era bisogno di contenimento.”
“Anche perché il contenimento non è possibile.”
Il professore provò a scuotere la testa, ma subito vi rinunciò con una smorfia di dolore. Fece poi un tentativo di sistemarsi più comodamente e si accorse che ormai non sentiva più la parte inferiore del corpo. “Non con le conoscenze che abbiamo adesso, in ogni caso,” mormorò. Sollevò con fatica una mano e si terse il sudore gelido che gli imperlava a fronte. “Moriranno tutti, vero?” chiese poi.
“Sai che è così. Quello che hai liberato non si fermerà fino a che non avrà portato a termine il suo compito.”
“Che cos’è?”
“Tu cosa pensi che sia?”
“Non voglio passare i miei ultimi istanti di vita a risolvere sciarade. Dimmelo tu, visto che sei me stesso a un livello di consapevolezza superiore.”
In quel momento, Me sembrò tremolare come un riflesso sull’acqua. Sto morendo, pensò Kozlov, e si preparò a vivere l’esperienza, col solo rimpianto di non poterci ragionare sopra in seguito, ma si sentì investire da qualcosa che sembrava un fiato caldo, anche se l’aria era immobile. Peli e capelli gli si rizzarono come per effetto di una forte carica elettrostatica. Un brivido di luce crepitò delineando contro il buio una sagoma che offuscava lo splendore di Me come una specie di vetro opaco.
L’ultima cosa che vide furono tre occhi disposti a triangolo, immensi, feroci e iniettati di sangue, che lo fissavano.

§

Westbrook si trovò a correre a perdifiato per un corridoio semibuio, invaso dal fumo degli spari e rimbombante di urla e raffiche di mitra.
Come negli incubi peggiori, qualcosa lo stava inseguendo, ma per quanto egli si lanciasse occhiate alle spalle, non riusciva né a sentirlo né a vederlo.
Tuttavia lo percepiva, anche se forse non con i canonici cinque sensi.
“Abbiamo qualcosa dietro!” urlò.
“E allora muovi il culo!” replicò Lyles, che correva accanto a lui.
Un pannello della parete si coprì di intaccature profonde come per il colpo di un gigantesco artiglio, quello successivo si accartocciò come un foglio di carta, schizzò via e si perse rimbalzando nel buio del corridoio. Un estintore si staccò dal suo supporto, impattò contro il soffitto, rimbalzò per terra e cominciò a girare su se stesso sibilando ed emettendo un getto di polvere. Nella nube azzurrina fu visibile per un attimo una sagoma vagamente umanoide, ma così alta da sfiorare il soffitto e larga quasi come tutto il corridoio.
Subito dopo, altri elementi della pannellatura volarono via, seguiti dalla coibentazione del soffitto e dai tubi dell’aerazione.
Il soldato continuava a correre più in fretta che poteva. A un certo punto incespicò e sentì una mano stringersi intorno al suo braccio. “Muovi il culo!” ripeté Lyles.
Sbucarono nell’atrio dal quale si dipartiva la maggior parte dei corridoi. Anche quella sala era disseminata di corpi, una parete era annerita dagli effetti di uno scoppio, su tutte le altre c’erano raffiche di mitra e schizzi di sangue.
“Agli ascensori!” urlò Beau, poi lo sospinse in quella direzione.
Quando raggiunsero il luogo, rimasero per un istante impietriti dall’orrore: una delle cabine era completamente squarciata e lasciava vedere la voragine del vano di corsa, le porte dell’altra continuavano ad aprirsi e chiudersi su quello che rimaneva di un tecnico di laboratorio. La porta che dava sulle scale era aperta e parzialmente divelta.
“Via di qui!” urlò Lyles. Si buttarono a rotta di collo in un altro corridoio, inseguiti dal lancio di una delle porte dell’ascensore, che rimbalzò un paio di volte contro le pareti staccando ampi pezzi di rivestimento.
Westbrook adocchiò una zona invasa dal fumo. “Di qua!” ansimò. “Facciamo perdere le nostra tracce!”
Corsero praticamente tentoni, tenendo una mano contro la parete per orientarsi, solo per udire alle loro spalle il rumore delle pannellature divelte. “Cazzo, ma come fa a vederci?” urlò Beau.
“Forse sente l’odore!”
“In mezzo a questo casino? C’è puzza di qualsiasi cosa, qui dentro.”
“Dove stiamo andando?”
“E che cazzo ne so? L’importante è che sia lontano da quegli affari!”
Il corridoio finì. In fondo c’era solo una porta, di quelle con la metà superiore di vetro retinato. “Merda!” imprecò Beau. Provò ad abbassare la maniglia, che però non si mosse. “Cazzo!”
Chet si voltò: i rumori di devastazione andavano aumentando. “Arriva!” disse.
L’altro afferrò l’M-4 e con il calcio dell’arma colpì il vetro, che si crepò nel mezzo. “Non startene lì impalato,” ringhiò, “dammi una mano.”
Cominciarono a battere, coi calci e con le canne, cercando di spaccare l’armatura di metallo che il vetro aveva all’interno.
Infine Beau prese la rincorsa e con una pedata riuscì a far cadere il pannello. “Ora saltiamo!” disse, quindi si buttò dall’altra parte.
Si sentirono una serie di tonfi metallici, dei gemiti soffocati, un tonfo più forte e infine silenzio. “Beau?” chiese Chet.
Non ricevette risposta, ma un pezzo di corpo umano che colpì la parete a poca distanza da lui lo convinse a saltare oltre la porta.
Cadde per un tratto che gli parve enorme, rimbalzò su qualcosa di duro, rotolò e infine si aggrappò a un tubo di ferro che riuscì a fermare la sua caduta. A quel punto realizzò di essere su un pavimento di linoleum, ai piedi di una scala. “Beau?” chiamò, massaggiandosi una spalla indolenzita.
“Qui,” rispose l’altro avvicinandosi.
“Stai bene?”
“A posto, e tu?”
“Ok.”
Simultaneamente, i due alzarono lo sguardo verso la porta, poi si scambiarono un’occhiata. “È ancora là,” disse Chet sottovoce.
Con lo stesso tono, Beau chiese: “Sei sicuro?”
“Sì, anche se non capisco perché non entri qui.”
“Ti dispiace, per caso?”
Di nuovo scrutarono la porta, oltre la quale non si vedeva nulla e non si udiva alcun rumore. “Cerchiamo di capire dove siamo finiti,” disse Westbrook, distogliendo lo sguardo e facendolo girare tutt’intorno.
Si trovavano in una stanza ampia e scarsamente illuminata. Ai due lati di una passatoia leggermente sopraelevata erano allineate strutture a parallelepipedo grandi come furgoni, ognuna dotata di un quadro comandi su cui pulsavano delle luci.
“I generatori elettrici,” disse Beau, facendo un passo verso le imponenti apparecchiature. “Sono enormi.”
“Ci credo,” rispose Chet, “hai idea di quanta energia riescano a succhiare i laboratori? E solo su questo piano ce ne sono tre.”
Percorsero adagio la passatoia. Alle loro spalle si coglieva l'eco flebile di urla e spari.
Chet si voltò a guardare. “Non ci segue,” ripeté.
“Tanto meglio,” brontolò Beau, “almeno qui dentro siamo al sicuro.”
“Non saprei, forse...” Un rumore li fece sobbalzare. Si girarono in quella direzione con le armi spianate e si trovarono di fronte un ometto magro con la divisa da tecnico, gli occhiali e un'incipiente calvizie, che appena li vide alzò le mani e disse: “Non sparate, sono uno dei vostri!”
Abbassarono le armi.
“Sono arrivati i terroristi?” chiese l'ometto, facendo saettare uno sguardo dubbioso dall'uno all'altro.
Westbrook fu il primo a riprendersi. “Non proprio,” rispose.
“Ma su stanno sparando di brutto,” insisté l'altro.
“Sì, c'è qualcosa.”
“Cosa?”
Il soldato scosse la testa. “Non lo sappiamo.” Raccontò brevemente quanto era accaduto.
“Io credevo che fossero i terroristi,” ripeté l'ometto, all'apparenza poco impressionato dai mostri invisibili. La voce aveva quasi un tono deluso.
“Niente terroristi.”
“Beh, qui comunque non sono arrivati.” Tese solennemente la mano. “Seymour Fisher.”
“Io sono Chet e lui è Beau,” rispose Westbrook stringendogliela. “Ci sono altre uscite oltre la porta da cui siamo passati?”
“Certo. Una davanti al laboratorio 3, una vicino al montacarichi della zona B e una scala che mette in comunicazione i generatori del nostro livello con quelli del livello 4. Non consiglio di usare la scala, però, perché stanno facendo dei lavori al generatore 2 di quel livello e quindi non sono certo che sia del tutto sicura.”
“Sei ben informato,” commentò Lyles.
Fisher assunse un'espressione orgogliosa. “Io so tutto di Aguas Muertas,” rispose, “praticamente sono qui da quando l'hanno inaugurata.”
In quel momento si udirono una serie di colpi concitati.
Tutti e tre si voltarono in quella direzione, poi Lyles disse: “È qualcuno dei nostri che vuole entrare.” Si rivolse a Fisher: “È meglio aprire la porta.”
Il tecnico trasse di tasca una tessera magnetica, quindi fece cenno ai due di seguirlo.
Oltre la porta c'era effettivamente un gruppo di persone. Due soldati stavano battendo contro il vetro esattamente come avevano fatto loro pochi minuti prima e alle loro spalle c'era una piccola folla di divise e camici bianchi che si agitava.
Mentre Fisher digitava il codice, un militare urlò e venne sollevato di peso, poi si udì il rumore di qualcosa che si squarciava e il vetro si coprì completamente di sangue. Oltre la porta, ovattati dal suo spessore, echeggiarono atroci lamenti d'agonia.
L'anta finalmente si aprì e diverse persone crollarono dentro. Westbrook riconobbe il dottore con gli occhiali da nerd, apparentemente illeso ma con il camice fradicio di sangue, il sergente Ewing, un paio di uomini della squadra Delta e un paio della squadra Charlie, uno dei quali ferito e sostenuto quasi di peso dall'altro.
“Sbarrate tutto!” ordinò Ewing non appena furono entrati, ma Lyles gli disse: “Qui dentro non vengono, sergente.”
Il sottufficiale lo fissò dubbioso. “Come sarebbe a dire che qui non vengono? Perché?”
Prima che il soldato potesse rispondere, la maggior parte delle luci si spense, gettando gli ambienti in una sinistra penombra. Venne meno il ronzio di fondo del sistema d'aerazione, lasciandosi dietro un gran silenzio. Cominciò a suonare il segnale di allarme rosso.
“Oh, merda!” imprecò Ewing.
“Lei sa cosa sta succedendo, sergente?” chiese Westbrook con un gran brutto presentimento.
“Il sistema ha rilevato questo casino come una falla nel contenimento. Fra trenta minuti in questo posto ci saranno più raggi gamma che a Hiroshima, Nagasaki e Chernobyl messe insieme.”


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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Cari lettori,
siamo alla fine del mappazzone, spero che abiate apprezzato la vicenda. Ringrazio come sempre tantissimo chi mi ha seguito, chi mi ha messo in qualche lista e chi è stato così gentile da lasciarmi un commento.
Grazie a tutti, sono i lettori che fanno vivere le storie, non gli scrittori.








Capitolo 3

Perché trenta minuti?” chiese Lyles, guardandosi intorno con aria quasi offesa. La sua espressione era quella di chi è rimasto vittima di uno scherzo di pessimo gusto. “Anche se avessimo a disposizione dieci ore, come accidenti facciamo a uscire di qui, con quegli affari ancora in giro?”
Il sergente scosse la testa e rispose: “Una falla nel contenimento significa che non esce più nessuno. Qualsiasi cosa sia qui dentro – noi inclusi – è considerata a potenziale rischio biologico.”
Cioè, mi faccia capire,” ringhiò Lyles, “questi ci vogliono friggere come calamari?”
È così.”
E noi non possiamo far sapere a quelli che stanno là fuori che non c'è nessuna cazzo di contaminazione biologica? Che abbiamo solo delle stronze bestie invisibili che ci stanno aprendo il culo?”
Nessuno rispose.
Eh? Non possiamo comunicarlo a qualcuno? Dobbiamo stare qui a farci arrostire le palle come degli stronzi?”
Westbrook gli mise una mano sulla spalla, ma lui si svincolò bruscamente e ringhiò: “Fanculo!”
A quel punto intervenne il sergente: “Ora basta, soldato.”
Beau si voltò verso di lui con lo sguardo di un toro che sta decidendo se caricare o no, ma il graduato proseguì: “Abbiamo mezz'ora, vediamo di non sprecarla in stronzate.”
Lyles emise il fiato che aveva trattenuto, poi fra i denti rispose: “Sissignore.”
Ewing annuì, quindi disse: “Problema numero uno: individuare una via d’uscita. Problema numero due: raccogliere i superstiti...”
Lyles lo interruppe: “Problema numero tre, anzi, numero zero virgola cinque, visto che viene prima di tutti gli altri: se non troviamo il modo di scrollarci di dosso quegli affari, possiamo pure risparmiarci di pensare a come risolvere gli altri due.”
Nonostante il suono ritmico dell’allarme rosso, si udirono in lontananza il rumore di qualcosa di metallico che cadeva e un urlo d’agonia. Seguì qualche raffica di mitra, poi un altro urlo.
Merda,” ringhiò qualcuno fra i denti.
Il ferito gemette tentando di muoversi, il suo compagno gli disse qualcosa a basa voce e controllò la fasciatura di fortuna che gli aveva applicato, già rossa di sangue.
Il sergente si voltò a fissare i due, quindi si rivolse a quello illeso e indicando l’altro chiese: “Che cos’ha?”
Per tutta risposta, egli con voce dura replicò: “Non lo lascio qui.”
Non dire stronzate, soldato, nel mio plotone nessuno viene lasciato indietro.” Detto questo, il sergente si chinò sul ferito e lo esaminò. Una ruga gli comparve tra le sopracciglia aggrottate, poi rialzò la testa con un gesto brusco e disse: “Ora troviamo il modo di uscire di qui.”
Intervenne il nerd in camice bianco: “Tutti gli accessi sono sigillati, la procedura di sicurezza non può essere fermata.”
Ma che bella notizia,” commentò il sottufficiale in tono sardonico.
L’altro si strinse nelle spalle e rispose: “Qui vengono messe a punto armi biologiche per cui non esistono antidoti, una fuga di materiale contaminato potrebbe creare un’epidemia impossibile da contenere.”
Beh, mi dispiace per le sue armi biologiche, dottore, ma io ho intenzione di portare i miei ragazzi fuori di qui.”
Non creda che io invece abbia voglia di stare qui ad aspettare una dose letale di raggi gamma,” fu l’asciutta replica. Lo scienziato fece poi una breve pausa, durante la quale gettò un’occhiata alla porta scardinata e al corridoio scuro che da essa si dipartiva, quindi proseguì: “Credo di aver capito perché quelle cose non entrano qui dentro: evidentemente si orientano seguendo l’energia bioelettrica degli esseri viventi.”
Il sergente lo fissò dubbioso. “E quindi?”
È semplice: il campo elettrico dei generatori copre il nostro. Non riescono a vederci.”
In quel momento, il quadro di una delle enormi apparecchiature si fece buio. Pochi secondi dopo, altri si oscurarono in successione.
Ewing fissò i macchinari come se fossero stati belve pronte ad assalirlo. “E adesso che cazzo succede?” ringhiò.
Intervenne Fisher: “Il sistema li spegne, tanto non servono più.”
Quindi tra un po' rimaniamo al buio e senza copertura?”
Tra quindici minuti saranno operativi solo i generatori d'emergenza.”
Il sergente annuì brusco, quindi disse: “Beh, allora non c'è tempo da perdere. Lyles e Westbrook, alla sala monitor. Controllate se ci sono superstiti e nel caso mandate un comunicato per raccoglierli al livello 1. Jones e Murphy, voi venite con me. So che nell'armeria del livello 3 c'è dell'esplosivo ad alto potenziale. Dottore, lei...”
Che cosa vuole fare con l'esplosivo?” s'intromise il tecnico.
Facciamo saltare una delle porte.”
Fisher scosse la testa. “Tutta la base è chiusa in un bunker di cemento armato, le pareti sono spesse un metro come minimo. Le porte sono blindate come quelle del caveau di Fort Knox.”
Il sottufficiale annuì brusco. “Altre uscite?”
Di nuovo, il tecnico scosse la testa. Dal corridoio provenne qualcosa che sembrava un ruggito, poi si udì un tramestio metallico. Un elmetto con il sottogola strappato arrivò rotolando e si fermò contro uno dei generatori.
Ci fu un muto scambio di occhiate, poi Fisher disse: “Si potrebbe provare con il tunnel.”
Che tunnel?”
Giù, al decimo livello. È una galleria che porta all'esterno.”
E quella non è blindata?”
Un mio collega che lavora giù alle turbine dice...” si interruppe, lo sguardo gli cadde sull'elmetto che era rotolato dentro. “...diceva che c'è modo di sbloccarla. Diceva che chi aveva progettato la base aveva lasciato una via d'uscita per il comandante e il suo staff.”
Ewing lo fissò dubbioso. “Ed è vero?”
Fisher si strinse nelle spalle. “George non era tipo da raccontare bugie.”
Seguirono alcuni secondi di silenzio, rotti solo da un lieve gemito del ferito. La sirena continuava a mandare i suoi segnali intermittenti, le luci rosse e gialle dei lampeggianti d'emergenza spazzavano le pareti.
Scendiamo,” disse il sergente.
Ci fu un altro giro di occhiate. Alla fine, Murphy della squadra Delta diede voce al pensiero di tutti: “E quei cosi?”
Ewing guardò l'orologio, sul quale le cifre stavano calando a una velocità vertiginosa, quindi rispose: “Dobbiamo tentare. Ascensori e montacarichi non sono più operativi, quindi sarà necessario usare le scale.”
Nessuno si mosse.
C'è una scala di servizio,” propose il tecnico. “Sarà al buio, ma con le torce si può scendere.” Si diresse verso un armadietto di metallo, lo aprì e controllò il contenuto. “Qui ce ne sono tre,” annunciò.
Il giovanotto in camice lo raggiunse e guardò a sua volta nel mobile. Tirò fuori un paio di strumenti che sembravano telefoni cellulari di tipo antiquato, con una sfera arancione grossa come una palla da tennis fissata sopra.
Rilevatori di campi elettromagnetici,” disse, in risposta alla muta occhiata del sottufficiale. Ne accese uno, che si illuminò ed emise un bip, quindi proseguì: “Nel corso degli esperimenti, determinate manifestazioni erano sempre accompagnate da alterazioni del campo elettromagnetico.”
Significa che quegli aggeggi rilevano la presenza dei mostri?” chiese Lyles dubbioso.
Teoricamente sì.”
E in pratica?”

§

E in pratica, vaffanculo,” brontolò Lyles, tenendo lo strumento davanti a sé come la bacchetta di un rabdomante.
Sta' un po' zitto, Beau.”
Fanculo.”
Il display mostrava solo minime variazioni quando passavano accanto alle luci intermittenti.
I due continuarono a camminare cauti lungo il corridoio. Il pavimento era ingombro di detriti, il rivestimento delle pareti era stato strappato come vecchia carta da parati e lasciava vedere il cemento sottostante, intaccato da solchi paralleli a quattro a quattro, come lasciati da enormi artigli. Un cavo dell'alta tensione tranciato dondolava sputacchiando scintille.
Scavalcarono con cura un mucchio scuro al centro di una pozza di sangue.
Ne mancava metà,” borbottò Lyles.
Ti ho detto di tenere chiuso il becco.”
Se lo sono mangiato.”
Vuoi fare la stessa fine?”
Col cazzo.”
E allora sta zitto.”
Proseguirono. A parte il suono martellante dell’allarme, non si udivano altri rumori. Ovunque c'era sangue, ma corpi non se ne vedevano.
Muoviamoci,” sussurrò Chet, ma in quel momento il rilevatore ebbe un guizzo. I due si immobilizzarono e si scambiarono uno sguardo preoccupato mentre le cifre sul display aumentavano con velocità vertiginosa. Arretrarono in silenzio, trattenendo persino il respiro.
Beau fece scivolare il dito sul grilletto dell’M-4, l’altro scosse la testa con espressione inorridita.
In fondo al corridoio, l’aria sembrava tremolare come per l’effetto del calore. Un cavo pendente oscillò, le scintille rimbalzarono su qualcosa che però non si vedeva.
Passò un tempo che ai due parve eterno, poi le cifre ripresero a calare e in breve la luminosità del display si smorzò, segno che lo strumento era tornato in fase di quiete.
Chet si passò sul viso una mano tremante e la ritrasse fradicia di sudore. “Andiamo,” sussurrò.
Raggiunsero dopo poco la stanza dei monitor. Lo strumento guizzò quando vi entrarono, di nuovo le cifre sul display ebbero un’impennata. Beau si fece indietro imbracciando il mitra, ma non successe nulla.
Gli schermi,” sussurrò Westbrook dopo un po’. A riprova della sua intuizione, avvicinò il rilevatore a uno dei monitor ed esso ebbe un guizzo.
Beau emise il fiato in un lungo sospiro. “Me la sono quasi fatta sotto,” mormorò, “pensavo che ce ne fosse uno nascosto qui dentro.”
Muoviamoci,” disse Chet per tutta risposta.
Pressoché ogni telecamera, sia al loro livello che in tutti gli altri, mostrava le stesse scene di distruzione.
Ma quanti cazzo sono questi affari?” disse Beau fra i denti, muovendo il joystick per spostare il controllo da una telecamera all’altra.
A un tratto si immobilizzò: il monitor che stava fissando aveva cominciato a sfarfallare. Tra le righe di disturbo si videro i mobili finire in pezzi, una porta aprirsi come per effetto di un colpo di vento e un pacco di carte turbinare lontano. Comparve una donna che correva, qualcosa la afferrò, la sollevò di peso e la mandò a sbattere contro un muro.
È qui al blocco A,” disse Chet in tono cupo, “riconosco le decorazioni sul muro.”
La donna frattanto parve esplodere a mezz’aria. Uno schizzo di sangue colpì la telecamera oscurandola.
Merda,” mormorò Beau.
Cazzo, guarda!” esclamò Chet.
Un altro monitor si era appena coperto di righe.
È quello del corridoio principale,” disse Lyles.
I segnali di disturbo passarono al monitor successivo.
I due si guardarono sgomenti. Sottovoce, Westbrook disse: “È quell’affare. Fa impazzire le telecamere.”
Sta venendo verso di noi.”
Simultaneamente, i due arretrarono verso gli schermi e vi si appiattirono contro. Beau, il cuore in gola, rivoli di sudore ghiacciato che gli scorrevano giù per la schiena, si trovò a scrutare angosciato nel buio del corridoio, a tendere l’orecchio nella vana ricerca di un rumore che gli facesse capire dov’era quell’essere, se poi di un essere si trattava. Strinse la presa sull’M-4 con tale forza che le nocche sbiancarono.
Qualcosa mosse l’aria, il monitor più vicino alla porta si coprì di una ragnatela di schegge. Uno sgabello fu scaraventato dall’altra parte della stanza e si fracassò contro il muro con un rumore assordante. Chet urlò mentre qualcosa lo afferrava.
D’istinto, Beau premette il grilletto. “Figlio di puttana!” sbraitò, “Bastardo!”
Dopo i primi colpi, qualcosa lo investì facendolo finire a terra. L’M-4 gli venne strappato di mano, si torse nell’aria e si piegò come un coltello a serramanico. Il soldato rotolò da una parte, afferrò quel che rimaneva dello sgabello e lo lanciò dove il fumo degli spari sembrava delineare una vaga figura. Di nuovo fu colpito, sentì in bocca il sapore del sangue, crollò a terra con farfalle bianche che gli danzavano davanti agli occhi. “Chet!” urlò.
Gli rispose un lamento inarticolato.
Saltò in piedi, scrollò la testa come per recuperare lucidità. Si guardò intorno alla ricerca di un’arma e gli capitò sott’occhio l’armadietto delle dotazioni anti-terrorismo. Ne spaccò il vetro con un pugno, estrasse un taser e lo puntò verso quella che sembrava solo aria.
La scarica elettrica illuminò a giorno per un istante la saletta, e in quella luce violacea al soldato parve di vedere un’enorme testa con tre occhi, nera e cornuta.
Poi tutto si fece buio.

Beauregard! Beauregard, rispondimi!”
Lyles sbatté gli occhi e intravide una sagoma china su di lui. “Cosa…?” balbettò.
Beau!”
Che cazzo...”
Dobbiamo andarcene, ce la fai ad alzarti?”
Non lo so.” Lyles provò a muoversi, ma subito ricadde con la sensazione di avere una sbarra incandescente piantata nel torace. Tossì un paio di volte e fitte di dolore gli fecero venire la pelle d’oca. “Ho paura di no,” mormorò con voce flebile.
Invece sì, ti aiuto io.” Incurante dei suoi lamenti, Chet lo afferrò per un braccio e lo sollevò a sedere. “Tu e la tua mania del cazzo di fare le cose senza pensare,” imprecava frattanto a denti stretti. “Ti cacci sempre nei guai, brutto idiota.”
Preferivi finire spalmato sul muro come un cazzo di paté?” ansimò Lyles.
Stronzo!”
Beau si aggrappò a uno spigolo della console, si tirò faticosamente in piedi e rimase per qualche secondo ad ansimare mentre il dolore minacciava di fargli perdere i sensi.
L’altro lo fissò preoccupato. “Ce la fai?”
Andiamo.”
Si affacciarono sul corridoio.
Quegli affari?” ansimò Beau.
Il rilevatore non dice niente.”
L’allarme continuava a suonare, sembrava che nel frattempo si fosse fatto più concitato, più urgente. “Quanto manca alla frittura delle palle?” chiese Lyles.
Poco.”
Sai sempre come essere incoraggiante. Gli altri?”
Chet tirò fuori da una tasca del giubbotto antiproiettile una radio e la accese. “Bravo 1 a Casa Base. Bravo 1 a Casa Base. Sergente, mi riceve?”
Si udì qualche fruscio elettrostatico, poi dall’altoparlante provenne la voce di Ewing: “Casa base a Bravo 1, avanti.”
Casa Base, ricerca superstiti con esito negativo. Bravo 1 in rientro, un ferito.”
Attenzione medica, Bravo 1?”
Confermo, Casa Base.”
Lyles tossì un paio di volte, quindi disse: “Spegni quell’affare, mi dà ai nervi.” Poi allungò una mano, agguantò l’apparecchio, premette il PTT e ringhiò: “Sergente, ci hanno fatto il culo a strisce, passo e chiudo.” Tossì di nuovo, aggrappandosi ansante alla spalla dell’amico.
Muoviamoci, Beau,” disse Chet, passandogli un braccio intorno alla vita e stringendoselo contro.

Abbiamo tredici minuti,” li accolse il sergente Ewing. “L’attenzione medica dovrà aspettare.”
Westbrook diede un’occhiata intorno: il soldato della squadra Charlie stava sorreggendo il suo compagno ferito, che aveva il volto ormai terreo e una larga striscia di sangue che gli inzuppava tutta la parte destra dell’uniforme; i due della squadra Delta reggevano un gruppo elettrogeno portatile e un altro era in attesa assieme a due taniche di carburante all’inizio della scala.
Muoviamoci,” disse il sottufficiale.
Cominciarono a scendere. La scala era stretta e piuttosto ripida, tanto che alle volte dovevano aggrapparsi ai corrimani per non perdere l’equilibrio. Puntando la torcia verso il basso si vedevano solo strutture di tubi di ferro bianchi e rossi che si perdevano in un abisso nero.
Ma regge quest’affare?” chiese Beau, senza rivolgersi a nessuno in particolare. La domanda si perse nella cacofonia metallica dei passi.
La scala finì. Fisher, che precedeva il gruppo con una tanica di carburante in una mano e la torcia nell’altra, disse: “Siamo al livello 6, questo è il locale generatori, ma ormai saranno tutti spenti. Dobbiamo raggiungere il locale delle pompe d’aerazione, da lì c’è un’altra scala di servizio che arriva fino al livello 8.”
Bene, andiamo. Jones e Murphy, andate a posizionare il gruppo elettrogeno.”
Sissignore,” rispose il primo, quindi attivò il rilevatore di campi elettromagnetici e lo mosse in su e in giù per captare eventuali alterazioni. “Tutto pulito,” disse infine e si allontanò insieme all’altro.
Dovrebbe attirarli,” disse il nerd, sistemandosi gli occhiali con la mano che non reggeva il gruppo elettrogeno. “O perlomeno, dovrebbe confonderli.”
Si udì lo scoppiettio del motore provenire da un corridoio, e pochi secondi dopo il pennello di luce di una torcia spazzò le pareti. “Fatto, sergente,” disse Murphy.
Muoviamoci,” rispose il sottufficiale.
Si rimisero in marcia con tutta la rapidità che la loro situazione consentiva. I due soldati della squadra Delta afferrarono il secondo gruppo elettrogeno, il dottore e il sergente aiutarono a trasportare i feriti.
Non avevano fatto cento metri che il gruppo elettrogeno smise improvvisamente di funzionare. Subito dopo si udì il rumore di qualcosa di pesante che cadeva, o finiva contro qualcosa a forte velocità.
L'hanno attaccato,” considerò il dottore. “Evidentemente il diversivo ha funzionato.” Col dorso della mano che reggeva la torcia tentò di sistemarsi gli occhiali, nel movimento il fascio di luce guizzò sul soffitto e poi tornò a puntarsi in avanti, mostrando una porta che oscillava lentamente sui cardini.
Tutti si immobilizzarono.
Che cazzo è?” ringhiò il sergente, facendosi scivolare giù dalla spalla l’M-4.
Murphy estrasse il rilevatore di campi elettromagnetici e le cifre sul display ebbero un guizzo. “Merda,” mormorò.
Il sergente osservò a sua volta lo strumento, poi disse: “Non va su come quando arriva uno di quegli affari.”
Ma non è nemmeno a zero.”
Il tempo passa,” fece notare Lyles, ancora appoggiato alla spalla di Westbrook.
Nessuno si mosse, sguardi preoccupati guizzarono dall'uno all'altro.
Il display nel frattempo si era attestato su un valore medio. Murphy mosse appena lo strumento, quindi indicò la porta che avevano visto muoversi. “È là dentro,” disse, a voce così bassa che praticamente mosse solo le labbra.
Se fosse uno di quelli, sarebbe già uscito,” fece notare Lyles.
Il dottore intervenne: “Forse non si è accorto di noi.”
A quel punto, lo strumento ebbe un guizzo e dalla porta socchiusa scivolò fuori una forma scura e bassa. Immediatamente, Jones e il sergente Ewing imbracciarono gli M-4 e premettero il grilletto.
L'oggetto fu sbalzato all'indietro dalle raffiche e rotolò via emettendo scintille.
Si udì una voce spaventata: “Non sparate!”
Il dottore puntò la torcia, illuminando i resti di un grosso robot lavapavimenti. Da oltre la porta si affacciò cauto un giovanotto dai lineamenti asiatici che indossava la divisa degli addetti alle pulizie.
Subito Fisher gli si fece incontro. “Lanh! Che ci fai qui?”
Il tizio, giovane, dall'aria un po' svampita, diligentemente rispose: “Scusate tanto, non avevo considerato che i robot partono automaticamente. Non sparate agli altri quando escono, costano un sacco di soldi. Che sta succedendo?”
Facciamo prima a dire quello che non sta succedendo,” intervenne il sergente. “Muovi le chiappe, perché fra dieci minuti qui salta tutto.”
Lanh lo fissò stupefatto. “Salta tutto?” ripeté con l'aria di non capacitarsene.
Ma che cazzo avete nella testa voi tecnici, la merda di coniglio?” intervenne brusco Lyles. “Qui sta succedendo l'inferno e tu perdi tempo a farmi domande idiote? Ma non lo senti l'allarme?”
Credevo che fosse un'esercitazione.”

Ripresero la marcia. Il soldato della squadra Charlie aveva perso i sensi ed era praticamente trascinato a braccia dal suo compagno e dal dottore, Lanh e Fisher trasportavano il gruppo elettrogeno superstite.
Lyles abbandonò la presa sulla spalla di Westbrook e disse: “Ora va meglio.”
Ce la fai?” chiese Chet, fissandolo preoccupato.
Più o meno. Devo avere qualche costola rotta, niente di che. Quando giocavo a football mi riducevo anche peggio.”
Non fare una delle tue solite cazzate.”
Fanculo.”
Fanculo tu, brutto idiota. Poi mi crepi perché magari una costola ti buca un polmone.”
Beau fece una risatina. “Ci rimarresti male, per caso?”
Fanculo.”
Basta, voi due!” intervenne il sergente.
Alla fine del corridoio, Fisher si fermò davanti a una porta e disse: “È qui.” Provò ad abbassare la maniglia, che però non si mosse. “Accidenti,” imprecò. Provò di nuovo, con lo stesso risultato.
Mentre dardeggiavano nel gruppo sguardi preoccupati, si fece avanti Lanh. “Il vantaggio di essere quelli che fanno le pulizie,” disse, tirando fuori dalla tasca una chiave universale.
Fece scattare la serratura.
In quel momento, provenne dal fondo del corridoio un rumore come di vetri infranti e lamiere accartocciate. Una porzione di soffitto si staccò e rovinò al suolo, il rivestimento fu strappato da qualcosa che sollevò scintille come il disco di un flessibile.
Ne arriva uno!” urlò Ewing. “Copertura!”
Tutti saltarono oltre la porta appena aperta mentre il fragore della distruzione si avvicinava con velocità vertiginosa e ovunque schizzavano detriti. Chet spinse dentro Beau, poi si girò per afferrare il soldato privo di sensi, ma sia lui che il suo compagno gli furono strappati dalle mani. Nella penombra tagliata dai fasci delle torce vide un lucido spruzzo di sangue levarsi in aria, poi qualcuno lo afferrò per la collottola e lo tirò indietro.
L'anta si serrò con un tonfo.
Si lanciarono giù per le scale con tutta la velocità che carichi e ferite consentivano e per lunghi secondi non si udirono altro che l'echeggiare dei passi sul metallo e un ansimare sempre più intenso.
Alla fine, Fisher disse: “Siamo al livello 8.”
Ne mancano due, giusto?” chiese il sergente alle sue spalle. Guardò l'orologio e aggiunse: “Abbiamo sei minuti. Accendete il gruppo elettrogeno mentre andiamo, così risparmiamo tempo.”
Lasciarono nel corridoio l'apparecchio scoppiettante, che però continuò a funzionare indisturbato, mentre da lungi cominciava a farsi sentire il consueto rumore di distruzione.
Correte!” urlò il sergente. “Fisher, fa' strada! Corri!”
Si udì un urlo lacerante, qualcosa sbatté contro la parete. Un braccio con tanto di M-4 ancora attaccato alla mano oltrepassò il gruppo in fuga e atterrò con un rumore sordo.
Nessuno si fermi!” ordinò Ewing.
Continuarono a correre pancia a terra. Ai livelli bassi il buio era completo, solo le torce facevano guizzare qualche pennello di luce qua e là, mostrando ovunque scene di distruzione e corpi smembrati. “Sono arrivati dappertutto!” esclamò Lyles.
Alle sue spalle, il dottore disse: “Sanno tutto quello che sappiamo noi.”
Cosa?”
Sono un prodotto della nostra mente e...” La frase si spense in un urlo strozzato.
Le scale principali!” esclamò Fisher, “Al livello 10 ci sono le indicazioni per il tunnel di collegamento!” Rallentò con una mano sul petto.
Westbrook lo afferrò per un braccio. “Muoviti!”
Tunnel di collegamento,” ripeté l'uomo per tutta risposta. “Lo trovi alla fine del corridoio nord. George diceva che da fuori assomiglia a una camera iperbarica. Lo sai com'è fatta una camera iperbarica?”
Più o meno.”
La porta dev'essere bianca, circondata da un nastro adesivo a righe gialle e nere.”
D'accordo, ma adesso muoviamoci,” replicò il soldato. Lo tirò per convincerlo ad aumentare l'andatura e di colpo finì sbilanciato all'indietro con un moncone di braccio tra le mani, mentre il resto del corpo di Fisher si apriva come se qualcosa lo stesse facendo a fette. La testa rotolò da una parte e sbatté contro la parete con un tonfo sordo.
Westbrook distolse gli occhi dalla scena e raggiunse il resto del gruppo.
Entrarono nella sala generatori, buia e silenziosa, serrarono la porta alle loro spalle, ma un istante dopo l'anta volò via come per effetto di una carica di esplosivo. Lanh, che era l'ultimo del gruppo, parve prendere il volo. Finì con un urlo contro la parete, dalla quale scivolò giù lasciandosi dietro una strisciata di sangue.
Lyles imboccò le scale, inciampò, capriolò malamente per tutta la rampa, riuscendo a rimettersi in piedi solo al pianerottolo. Si portò la mano al lato del torace e sputò una boccata di sangue. “Mi sa che porti rogna, Chet,” fece in tempo a dire, prima di scomparire giù per la seconda rampa.
Westbrook gli andò dietro senza ribattere e mentre scendeva il suono dell'allarme divenne una sirena continua che spaccava i timpani. Delle luci rosse si accesero e cominciarono a lampeggiare.
Mancano tre minuti,” disse il sergente.
Ce la possiamo fare,” ansimò Chet, cercando di ignorare il fuoco che ormai gli divampava nel petto. “Dobbiamo solo cercare la porta del tunnel.” Fece una pausa, inalò con fatica una boccata d'aria, quindi soggiunse: “Bianca con il bordo giallo e nero.”
Qualcosa gli piombò sulla spalla ed egli ebbe l'impressione che lame incandescenti gli straziassero la carne. Urlò di dolore mentre rivoli di sangue gli scendevano lungo il braccio.
Immediatamente, Lyles tornò sui suoi passi. “Chet!” esclamò.
Vattene, Beau!”
Col cazzo!” L'altro lo afferrò per il giubbotto antiproiettile e lo tirò indietro. Nel movimento persero l'equilibrio entrambi e cominciarono a rotolare giù per le scale.
Dall'alto provenivano urla agghiaccianti.
Qualcosa di viscido e rossastro cadde giù e atterrò con un tonfo flaccido che ricordava una bistecca gettata sul tagliere. Westbrook deglutì e disse: “Mi sa che siamo rimasti soli.”
Beh, allora diamoci una mossa,” fu la replica di Lyles. “Non voglio essere qui quando questo fottuto posto si trasformerà in una succursale di Chernobyl.” Poi, dopo qualche secondo: “Ti fa male il braccio?”
Almeno è ancora attaccato. E a te le costole?”
Fanculo a loro.”

Illuminato solo dal bagliore intermittente dei fari rossi, il corridoio nord aveva l'aria di essere completamente vuoto. Tutto sembrava intatto, come se le entità lo avessero ignorato.
La porta sulla parete di fondo non assomigliava a quella di una camera iperbarica: era una normalissima porta di collegamento ed era chiusa a chiave.
Merda!” imprecò Lyles col poco fiato rimastogli. Tossì di nuovo, sputò una boccata di qualcosa che nella luce sanguigna parve privo di colore. “Merda!” ripeté. “Il posto è questo, che cazzo facciamo?”
Il suono della sirena cessò all'improvviso. Calò un silenzio raggelante, nel quale si udiva solo qualche lontano sfiato di vapore.
I due si scambiarono uno sguardo. “Tempo scaduto,” disse Westbrook.
Lyles gli rivolse un'occhiata feroce. “Eh no, col cazzo!” replicò. “Io non mi sono sciroppato dieci piani di mostri incazzati per schiattare come un idiota a un metro dall'obiettivo!” Si guardò intorno, individuò un estintore. Lo staccò dal gancio e con quello prese a colpire la porta. “E dammi una mano, no?” ringhiò dopo un po'.
Che cazzo faccio, canto uno spiritual per darti il ritmo?”
Il pavimento vibrò come per una scossa di terremoto, i neon del soffitto tintinnarono.
Merda!” imprecò Lyles. Colpì la maniglia della porta, che finalmente cedette.
Al di là c'era una stanzetta vuota, che sulla parete di fondo aveva una porta bianca, bordata di giallo e nero.
Di nuovo il pavimento vibrò, dal soffitto caddero giù dei calcinacci.
Apri quel cazzo di sportello,” disse Lyles, “qui sta saltando tutto.”
La porta in effetti non era chiusa, anche se all'interno possedeva un dispositivo di blocco. Al di là, un tunnel dalla sezione rotonda si perdeva nel buio.
Una terza esplosione fece cadere i tubi dei neon e fece comparire crepe lungo tutte le pareti. Beau entrò nella galleria, Chet fece per seguirlo, ma in quel momento la porta della stanza venne praticamente strappata dai cardini e andò a fracassarsi contro un muro.
Westbrook si sentì afferrare e strappare indietro. Lyles lo vide e senza esitare un attimo balzò fuori a sua volta. “Bastardo!” urlò, rivolto all'invisibile assalitore. Westbrook si sentì afferrare per un braccio. Si trovò dapprima a testa in giù, con qualcosa che lo reggeva per una gamba, e poi per terra con un nugolo di farfalle bianche davanti agli occhi. Lyles continuava a imprecare furiosamente.
Poi si sentì sollevare di nuovo e si rese conto di essere troppo debole per opporre resistenza. Si trovò su un pavimento di metallo zigrinato.
Ci fu un'esplosione, il pavimento vibrò sotto di lui, la porta sbatté e subito dopo ci fu lo scatto metallico del sistema di bloccaggio che veniva azionato.
Nel generale ovattamento dei rumori, si udirono, forti e chiari, dei colpi sulla porta.
La voce di Beau disse: “Non è mica finita.”
Cosa...?”
Alzati, amico, dobbiamo tagliare la corda prima che qui salti tutto. Non so quanto regga questa galleria.”
Il vetro dell'oblò si incrinò sotto un ennesimo colpo. Un'esplosione proiettò contro la porta una grandinata di detriti.
Alzati,” ripeté Beau.
Chet aprì gli occhi. Per terra c'era una striscia fosforescente come negli aerei, che si perdeva serpeggiando appena in un'oscurità picea. Da dietro la porta continuavano a giungere i tonfi di qualcosa che vi stava rabbiosamente battendo contro.
Alzati e vediamo di darci una mossa.”
Westbrook gemette cercando di sollevarsi. “Sto sanguinando, Beau,” mormorò. Sentiva il liquido caldo e viscoso scorrergli lungo il braccio, ne sentiva l’odore ferroso sulla pelle. Spinse la mano sana a toccare cautamente la ferita che aveva sulla spalla e le sue dita incontrarono dei profondi solchi. Fu stupito di non sentire alcun dolore.
Andiamo, dai,” La voce di Lyles lo riportò alla realtà contingente. “Ti aiuto io.”
Ma anche tu sei ferito, Beau.”
Ci aiuteremo a vicenda, allora.”

§

Sbucarono fuori dalla galleria nel pieno pomeriggio e si trovarono a sbattere gli occhi, momentaneamente accecati dalla luce forte del deserto.
Ma che cazzo...” mormorò Beau, facendosi ombra con una mano.
Si guardò intorno barcollante e la sua vista annebbiata captò l’immagine di un posto di guardia nel quale alcuni soldati stavano aspettando che il tempo passasse. Si chiese quanto dovessero essere lontani dall’entrata principale di Aguas Muertas, se quei quattro bellimbusti se ne stavano là pacifici come su una spiaggia delle Bahamas.
Magari siamo veramente finiti alle Bahamas,” mormorò dando voce ai propri pensieri.
Alle sue spalle, Chet boccheggiò: “Cosa?”
Siamo alle Bahamas, amico,” mormorò Beau con le ultime forze, quindi si afflosciò a terra.
Il tonfo del corpo attirò l'attenzione dei quattro, che accorsero e per prima cosa li fissarono inorriditi. “Che cazzo vi è successo?” chiese il caposquadra.
...Un casino...” riuscì a esalare Beau.
Da sonnolento che era, l’avamposto si trasformò immediatamente in un fervere di attività: i due furono raccolti e portati al coperto, fu offerta loro dell’acqua e sulle loro numerose ferite furono praticate le prime medicazioni.
Cominciò un concitato scambio di messaggi con il posto di guardia principale e con la vicina base militare.
Abbiamo qui due soldati,” spiegò il caposquadra, parlando via radio con la base, “dicono che sono usciti da Aguas, che là sotto è successo un casino.” Si voltò verso di loro. “Come vi chiamate?”
Soldati Chesterton Westbrook e Beauregard Lyles.”
Ok.”
Mentre il graduato ripeteva i nomi alla radio, Beau si girò faticosamente verso l’amico e mormorò: “Chesterton?”
Che c’è?”
Hai un nome da omosessuale inglese.” Fece una risatina.
Il tuo è da omosessuale francese, allora,” rispose Chet piccato.
Il mio è un nome carico di gloria. Un grande generale confederato si chiamava così.”
Beh, allora se vuoi saperlo, un grande scrittore inglese si chiamava come me.”
Scommetto che era omosessuale.”
Non più del tuo generale, caro mio.”
Basta, voi due!” intervenne una voce estranea. “Ora mandano una squadra medica dalla base. Nel frattempo, piantatela di fare casino.”

§

Beau aprì gli occhi e mise a fuoco l’immagine della persona che aveva di fronte. Aggrottò le sopracciglia. “E lei chi sarebbe, il G-Man di Half Life?” chiese.
L’uomo, completo scuro, camicia bianca, cravatta blu e una valigetta nera nella mano destra, si avvicinò ai piedi del letto e disse: “Buon giorno, soldato Lyles.”
Chi è lei?” ripeté Beau diffidente. Si girò verso il letto accanto al suo, liscio e vuoto. “E dov’è Westbrook?”
Sta facendo delle terapie.”
Il soldato cercò di alzarsi, scoprendo di essere troppo debole per farlo. “Che tipo di terapie?” chiese, fissando l’altro con sempre maggiore diffidenza. “Voglio vederlo.”
Tutto a suo tempo,” rispose l’uomo in tono accondiscendente. “Per il momento vorrei solo sapere cos’è successo ad Aguas Muertas.”
Mi pare che Westbrook ve l'abbia detto, no?”
L’altro scosse la testa. “Non è stato convincente.”
Beh, mi dispiace per lei se non si è convinto. Se non crede a lui, perché non scende giù a controllare di persona?”
L’uomo prese una sedia e si accomodò accanto al letto. Si pose la valigetta sulle ginocchia, poi in tono suadente disse: “Un manoscritto di valore inestimabile è rimasto laggiù.”
Beau scosse la testa con decisione. “Chi se ne frega. E poi, tanto, quel vostro manoscritto di merda ormai sarà ridotto a un mucchio di cenere.”
Non lo è.”
E lei come fa a saperlo? Mi sembra che nessuno sia sceso giù a controllare, giusto?”
Abbiamo inviato una sonda,” rispose l’altro con la massima calma.
Beh, allora la stessa sonda glielo potrà anche recuperare. Senza contare che laggiù sarà pieno di radiazioni, giusto?”
Dettagli.”
Dettagli un cazzo, direi, specialmente se sta pensando di spedire qualcuno laggiù.”
L’uomo rimase impassibile. Si limitò a tamburellare leggermente sulla superficie della valigetta con le dita, poi chiese: “Lei tiene al suo amico Chesterton Westbrook, soldato Lyles?”
Beau aggrottò le sopracciglia mentre un brivido gli percorreva la schiena. “Che c’entra Chet, adesso?”
La nostra idea è che non sia più in possesso delle sue facoltà mentali.”
Come sarebbe a dire?”
Farneticazioni su mostri invisibili, gente morta in modo misterioso. C'è l'ospedale psichiatrico per certe cose, soldato Lyles.”
Il militare cercò di nuovo di sollevarsi dal letto, riuscendo solo a puntellarsi su un gomito. Rivolse all'uomo uno sguardo omicida e ringhiò: “Mi faccia capire: volete farci passare per pazzi?”
Questi alzò le spalle e in tono pacato rispose: “Non c'è psichiatra al mondo che non reputerebbe il soldato Westbrook un grave delirante, temo.”
Beau distolse gli occhi da quelli del suo interlocutore. Immaginò Chet con la camicia di forza, chiuso in una stanza imbottita, istupidito dai farmaci. “Ok, vado laggiù,” disse categorico. “Vado e vi dimostro che Chet è perfettamente sano di mente e voi siete degli stronzi.”

§

Westbrook si passò una mano sulla faccia, quindi esclamò: “Sei un idiota! Cristo di Dio, sei il re delle teste di cazzo, tu e la tua maledetta impulsività!”
Lyles lo fissò indignato. “Per tua norma e regola, volevano sbatterti in un ospedale psichiatrico!”
Macché ospedale psichiatrico del cazzo! Ti hanno preso in giro e tu ci sei cascato come un allocco.”
Che stai dicendo?”
Avevano solo bisogno di convincerci a tornare là sotto volontariamente.”
Beau aggrottò le sopracciglia. “Stai scherzando?”
Mai stato così serio. Quella specie di Agente Smith delle mie palle con cui hai parlato aveva proprio il compito di farti dire la cazzata che hai detto.”
E tu come lo sai?”
Lo so perché con me ha fatto lo stesso teatrino.”
Lyles abbassò lo sguardo e per un po' lo tenne ostinatamente fisso sulle proprie mani, dando l'idea di ponderare se fosse il caso di andare alla ricerca dell'uomo con la valigetta e prenderlo a cazzotti, poi chiese: “E tu cos'hai fatto?”
Oltre ad avermi dato il nome di un grande scrittore, mio padre mi ha insegnato a contare fino a dieci, prima di parlare.”
Beh, allora il mio mi ha insegnato che non si lasciano gli amici nella merda, se vuoi saperlo,” fu la piccata replica.
In ogni caso,” riprese Westbrook, ignorando il veemente proclama, “io ho risposto che prima volevo parlare con te. Peccato solo che quando sono arrivato qui ho trovato la frittata già fatta.”
Tra i due calò il silenzio. Dopo un po', Lyles fissò l'amico e in tono di riprovazione gli disse: “Quindi, all'idea che mi avrebbero sbattuto in un ospedale psichiatrico tu sei rimasto indifferente?”
Tanto sapevo che era un bluff.”
L'altro si mise i pugni sui fianchi con fare indignato. “Ah, bell'amico. Se vedi che mi puntano una pistola in faccia cosa fai, non ti muovi perché tanto sei sicuro che sia finta?”
Oh, che palle, Beau. Ti va una birra?”
Fanculo.”
Fanculo anche a te. Andiamo?”
Si incamminarono verso lo spaccio.
Si sa quando partiamo?” chiese Lyles.
L'altro alzò le spalle con indifferenza. “Non lo so, però il tempo di bere qualche birra ce l'abbiamo di sicuro.”


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