L-Iconoclast 6

di RaidenCold
(/viewuser.php?uid=496790)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tre anni ***
Capitolo 2: *** Madri ***
Capitolo 3: *** Sopravvissuti ***
Capitolo 4: *** Un invito inaspettato ***
Capitolo 5: *** Caduta ***
Capitolo 6: *** La notte più lunga ***
Capitolo 7: *** Dubbio ***
Capitolo 8: *** Il centottesimo giorno ***
Capitolo 9: *** La furia degli specter ***
Capitolo 10: *** La fine ***



Capitolo 1
*** Tre anni ***


Leo…” - si voltò verso il ragazzo, completamente avvolta dalla luce cerulea della folgore divina.

Non farlo ti prego!” - la supplicò nuovamente.

La prima volta che ci siamo incontrati, ho subito capito che avevi qualcosa di speciale: fino a quel momento avevo vissuto solo giorni vuoti, privi sia di gioie che di dolori. Poi sei entrato nella mia vita, e ho amato, ho sofferto, ho riso, ho pianto. Avrei voluto che quei giorni con te non finissero mai, ma sono felice di aver trascorso tanti momenti meravigliosi. Hai reso la mia vita qualcosa di bello… qualcosa che meritava di essere vissuto, e per questo ti amerò sempre. ”

Leonidas fece per avvicinarsi, ma le saette lo paralizzarono:
“Lambda… ti amo, non lasciarmi…”

Col viso rigato dalle lacrime, Lambda lo guardò e sorrise dolcemente:
“Grazie di tutto, Leo.”

 

Leonidas si svegliò di colpo.

Si ridestava sempre in quel momento: dopo non c’era nient’altro.

 

Non c’era stato più niente dopo la morte di Lambda, ed ora il cavaliere del leone vagabondava per il mondo senza meta o scopo;

così aveva pensato di trascorrere il resto della sua ormai vuota esistenza.

 

 

***

 

Alcuni pallidi raggi di sole si infrangevano sulla lapide marmorea, illuminandone la scritta incisa sopra:

«Bull, cavaliere d’oro»

Keith si rialzò, e sorridendo prese a parlare:

“Scusami se è un po’ che non mi faccio vedere papà, ma c’è sempre tanto lavoro da fare qui al Santuario… la mamma sta bene, e mi ha detto di dirti che fra qualche giorno passerà anche lei a salutarti. Comunque devo assolutamente raccontarti di un fatto incredibilmente strano: da alcuni mesi a questa parte in tutto il mondo sono apparse delle sfere nere, grandi come una pesca, tonde e perfettamente lisce. Non fanno niente, fluttuano senza spostarsi di un millimetro, e non c’è verso di smuoverle… una è apparsa anche nei pressi del Santuario, ma neppure io sono riuscito a schiodarla, credo sia indistruttibile. Nessuno sa cosa siano o da dove vengano, stanno là e ogni giorno ne spunta una nuova da qualche parte: oggi è stata scoperta la novantanovesima…”

A quel punto portò lo sguardo nella lapide posta accanto a quella del padre, recante «Lun, cavaliere d’oro»:

“… e oggi sono esattamente tre anni dal giorno in cui sei scomparso fratellone; Leo non è ancora tornato, ma… spero stia bene.”

In quel momento vide giungere accanto a sé due figure, una bionda e l’altra fulva:

“Deneb, Silen, che piacere vedervi!” - li accolse calorosamente il giovane.

I due lo abbracciarono felici, dopodiché Silen depose un mazzo di fiori sulla tomba del defunto cavaliere di Aquarius:

“Già, oggi è anche il giorno in cui lo zio è morto.” - commentò Keith.

“Oggi sono scomparsi tanti di noi, tre anni fa…” - aggiunse Deneb malinconico.

“Tre anni, ancora non mi pare vero che sia già passato tutto questo tempo…” - soggiunse Silen.

I tre si guardarono attorno: così tante tombe erano state scavate dopo quella terribile battaglia, combattuta per decidere le sorti dell’umanità.

Avevano vinto, ma al caro prezzo di veder morire accanto a sé i propri amici.

 

“Keith…” - disse d’un tratto Silen con aria perplessa, facendogli cenno di voltarsi.

 

Una giovane ragazza era comparsa davanti alla tomba di Lun; il suo viso era adombrato dal cappuccio alzato della sua felpa bianca.

 

“Scusate… questo è davvero Lun di Cancer?” - domandò ai cavalieri abbassandosi il cappuccio, i quali, vedendone le fattezze rimasero sbigottiti: aveva un viso tondeggiante e fanciullesco, ed una lunga chioma argentea raccolta in una coda.

Per un attimo ebbero tutti e tre la sensazione di trovarsi proprio dinnanzi al loro defunto compagno, avvertendo, seppur in modo flebile, un cosmo estremamente simile al suo nella ragazza.

“Sì, ma purtroppo non è più con noi da un po’.” - disse infine Silen rispondendo alla sua domanda.

“Non pensavo fosse morto…” - commentò la giovane chinando il capo sconfortata.

“Potremmo sapere chi tu sia?” - le chiese Keith avvicinandosi.

“Io mi chiamo Serena e… Lun era mio fratello.”

Udendo ciò Keith sussultò per lo stupore, come se avesse appena visto un fantasma davanti a sé.

 

 

Le imponenti porte delle stanze sacerdotali si spalancarono, ed il grande sacerdote entrò bardato dei propri paramenti, dopodiché si sedette sul suo regale trono e si rivolse ai soldati congedandoli;

a quel punto Kypros si sfilò l’elmo, e sospirando si chinò reggendosi la fronte con la mano.

“Dovresti rilassarti un po’.”

Una cavaliera dai capelli smeraldini sbucò dalle colonne del tempio, e si portò accanto al giovane, iniziando a massaggiargli delicatamente le spalle:

“Lo vorrei tanto Miia…” - rispose sbadigliando, per poi sorriderle sghembo - “… ma poi che scusa avrei per avere un massaggio da te?”

“Dai scemo, sono preoccupata per te: hai delle occhiaie da far invidia a un panda.”

“Sono tempi duri…”

“Lo sono da tre anni.”

“Ed è per questo che non posso fermarmi ora; c’è ancora tanto da fare per ricostruire il Santuario, e tutte le zone circostanti, per non parlare degli aiuti umanitari…”

“Pensavo che quel capitolo fosse chiuso.”

“Alcuni paesi hanno smesso di darci la caccia, e hanno capito che vogliamo solo aiutare.”

“Pensi durerà?”

“Non lo so, ma spero di sì, anche se non credo che il mondo tollererà mai la nostra esistenza, non dopo tutto il fango che ci è stato gettato addosso dal Cloud e dagli uomini di Ares…”

“Abbiamo già fatto abbastanza per loro, sono vivi grazie al sacrificio dei nostri compagni, adesso lascia che se la cavino tra loro e non pensarci più.”

“Già, forse dovrei semplicemente rassegnarmi, ma non riesco a farlo… ”

“E’ per questo che sei il capo.” - disse baciandolo dolcemente sulle labbra.

A quel punto udirono dei passi e, appena dopo essersi prontamente staccati per non mostrarsi in quella scena intima, una guardia si presentò dinnanzi al trono:

“Nobile Kypros, il cavaliere di Taurus chiede di vedervi: dice che è urgente.”

“Fallo pure entrare.”

 

 

Tutti si erano radunati attorno ad una tavola imbandita, posta in una navata laterale al trono.

“Dunque tu saresti… la sorella di Lun?” - domandò stupito Kypros, offrendole un vassoio con della frutta, che ella accettò di buon grado.

“Sì esatto, o meglio, me lo ha detto mio padre, ma fino a qualche giorno fa non ne ero consapevole.” - rispose addentando una mela.

“Questo spiega perché Lun non mi avesse mai parlato di te…” - commentò Keith.

“Mi hai detto che siete cresciuti assieme” - lo guardò sorridendo con le guance piene di frutta - “che tipo era?”

“Ecco… ti assomigliava molto da quel che vedo.” - rispose il giovane, sorridendo per lo sguardo ingenuo ed allegro di Serena.

“In che senso?” - domandò perplessa, arricciando le labbra e dando ulteriore conferma a Keith della sua idea.

“Diciamo che hai le sue movenze… ed anche il suo cosmo.”

“Va beh, comunque in ogni caso mio padre mi ha detto di rivolgermi ad un certo gran prete o giù di lì…”

“Ehm, il gran sacerdote…” - la corresse Kypros - “Comunque sarei io; chi è tuo padre?”

“Si chiama Rune, ma è scomparso da qualche giorno; prima di sparire mi ha detto di venire qui e riferire un messaggio.”

“Rune… no, mai sentito, forse qualche cavaliere più anziano ne saprà qualcosa; comunque, quale messaggio rechi?”

“Dunque, mi ha detto di dirvi che le stelle malefiche si stanno risvegliando.”

Kypros a quel punto sussultò, visibilmente turbato:

“N-non può essere…”

“Che ti prende?” - gli domandò Miia confusa.

“Le stelle malefiche non esistono più da anni… sono tutte scomparse da quando Ade, il signore dell’oltretomba, è stato spazzato via da Atena e dai cinque cavalieri leggendari!”

A quel punto Miia e Keith compresero, e quest’ultima si rivolse a Serena:
“Tuo padre era un cavaliere?”

“No, ma mi ha sempre detto che il cosmo era potente nella nostra famiglia, ma anche che un’ombra gravava sopra di noi.”

“E tua madre?” - chiese Kypros.

“Lei sta bene, ma non ha preso bene il fatto che io… sia praticamente scappata di casa, specie per un motivo riguardante mio padre: non stanno più assieme da quando ero molto piccola, ed in realtà l’ho conosciuto solo tre anni fa, in questo periodo dell’anno tra l’altro.”

“Lun ha sempre detto di essere orfano di madre, ma di suo padre non ha mai fatto cenno, credo che non lo abbia mai conosciuto…”

“La mamma mi ha raccontato che è sempre stato una specie di giramondo, e lo ha lasciato perché aveva un carattere troppo libertino. Per questo quando è tornato non ha voluto sapere nulla di lui, ma io ero felice di avere finalmente un papà, e sono stata bene in questi anni in sua compagnia: per questo sono qui, se non gli volessi bene non sarei mai venuta.”

“La tua storia è toccante e mi aiuta a comprendere alcune cose del mio amico scomparso” - disse Kypros - “ma la priorità su cui discutere adesso è un’altra: il ritorno degli specter.”

“Non giungiamo a conclusioni affrettate” - intervenne Miia - “magari è soltanto un falso allarme, e il padre di Serena faceva riferimento a qualcos’altro.”
“No, da qualche tempo a questa parte ogni volta che mi reco sull’Altura delle Stelle vengo attanagliato da una senso di oppressione, come se gli astri volessero mostrarmi un’ombra che cala lentamente sopra di essi…”

“E se c’entrassero quelle misteriose sfere nere?” - domandò Keith.

“Non saprei” - rispose Kypros - “quegli oggetti non emanano alcuna energia, sembrano solo freddi gusci metallici senz’anima.

Però ogni giorno ne compare uno…”

“… e se alla comparsa della centottesima sfera succedesse qualcosa?” - concluse Miia.

“Io non lo so, per quanto mi riguarda gli specter non dovrebbero più neanche esistere: chi dovrebbero servire, ora che Ade è scomparso?”

“Forse cercano vendetta.” - disse Miia.

“Devo parlarne con il signor Hyoga: Miia, per favore, manda a chiamare Deneb e convocalo immediatamente qui!”

“E se semplicemente lo chiamassi sul cellulare?”

Kypros rimase spiazzato, dopodiché scosse l’indice:

“S-sì… mi sembra una buona soluzione anche questa.”

 

“Ma avete i telefonini?” - bisbigliò perplessa Serena a Keith.

“Abbiamo anche il Wi-Fi!” - rispose il ragazzo senza mascherare la contentezza per quel vezzo tecnologico che tanto strideva con l’aspetto vetusto del Grande tempio.

 

A quel punto Kypros si rivolse alla nuova arrivata:
“Serena, ti ringrazio di cuore per esserti prodigata a venire fin qui;

purtroppo non ci sono alloggi disponibili al momento, ma stanotte puoi passarla nella quarta casa.”

“I-io non… non voglio venire qua e appropriarmi della vita di un fratello che non ho mai conosciuto.”

“Sta tranquilla” - le si rivolse Keith facendole l’occhiolino - “a lui farebbe piacere, credimi, lo conoscevo bene.”

“E in ogni caso” - aggiunse Kypros - “ti consiglio di dare un’occhiata all’armatura del Cancro: è nella quarta casa, e magari vedendoti potrebbe riconoscerti come sua nuova proprietaria.”

Serena si grattò la testa con aria inebetita:
“Sta succedendo tutto così in fretta, e non c’ho capito nulla di questi specter… conosco il cosmo e so come bruciarlo, ma so davvero poco della vostra cultura, e di Atena: insomma, non penso di essere una degna cavaliera!”
Kypros le poggiò le mani – rigorosamente avvolte da guanti per via del veleno nel suo sangue – sulle spalle, e le sorrise in modo rasserenante:
“Sarà l’armatura a decidere ciò, e comunque vada fa quel che ti senti, non hai alcun obbligo, ed anzi sei stata coraggiosissima a giungere fin qui da sola per riferirci il messaggio… sono sicuro che tuo padre sarò fiero di te quando lo saprà.”

“M-ma no, io mi sono solo teletrasportata nei pressi di Atene e da lì vi ho trovati seguendo il cosmo!”

Keith la guardò meravigliato:
“Sai anche teletrasportarti?!”

“Sì, me l’ha insegnato mio padre, come anche mi ha insegnato ad utilizzare il potere dell’onda Tsei She Ke… volete vederla?”

“No!!!” - risposero allarmati tutti i presenti, consci dell’enorme potere di quella tecnica, capace di portare le anime dei vivi nell’aldilà.

“Certo che sei davvero prodigiosa… quanti anni hai detto di avere?” - le chiese Miia incuriosita.

“Quattordici!” - rispose Serena tutta contenta - “Ne dimostro di più vero?”

“A dire il vero… no.” - la smontò Miia, e la giovane arricciò le labbra intristita.

Keith scosse il capo divertito: era come rivivere uno dei tanti momenti col fratello perduto.

 

 

 

“Allora Serena, da dove vieni?”

“Dalla Norvegia!”

Claire poggiò davanti alla giovane un appetitoso piatto fumante di pasta fatta in casa; com’era suo solito fare quando aveva un’ospite, aveva dato libero sfogo alla sua fantasia culinaria, imbastendo una cena fastosa a base di manicaretti di prima scelta.

Nonostante qualche piccola ruga dovuta all’avvicinarsi della quarantina, era rimasta una donna bella ed elegante, e molti al Santuario le avevano fatto una corte spietata: a Claire piaceva imbarcarsi in piccole avventure, non disdegnando qualche relazione occasionale, ma il suo cuore rimaneva ancora profondamente legato al defunto marito.

“Norvegia… cavoli, ne hai fatta di strada!”

“Ma no, col teletrasporto è tutto più veloce!” - rispose allettata Serena.

Keith aveva invitato la nuova arrivata a cena nella seconda casa, per non farla sentire sola, e Claire ne aveva approfittato per ravvivare are un po’ il palazzo del toro, e in generale tutto il tempio: dopo la fine della guerra quasi tutte le dodici case erano rimaste disabitate, ed un silenzio angosciante serpeggiava costantemente in quel luogo, ricordando a tutti i sopravvissuti la scomparsi dei compagni d’armi.

Oltre a quella del toro, l’unica altra casa ancora custodita rimaneva l’ottava, ma in quel momento la sua custode era a tavola nella seconda, assieme all’inseparabile cavaliere del cigno; anche Kypros, assieme a Miia, era passato brevemente a far loro visita, per poi tornare alle stanze sacerdotali per riposare dopo una dura giornata di lavoro.

“Povero Kypros, da quando è grande sacerdote ha un aspetto così smunto…” - commentò Silen

“E’ naturale, ha un carico di lavoro impressionante, e purtroppo siamo in pochi a poterlo aiutare.” - aggiunse Deneb, per poi sbadigliare stanco.

“Anche tu non scherzi, mio caro cigno.” - commentò la rossa schernendolo.

“Non fare finta di non essere stanca…” - le rispose Deneb, ottenendo in risposta un pizzicotto sulla guancia da parte della ragazza, e a quel punto Serena ridacchiò divertita.

“Ma voi due siete…?” - chiese ingenuamente la giovane.

I due si guardarono per un istante arrossendo dopodiché Silen prese parola:
“Diciamo che ci sopportiamo abbastanza bene…”

Solo Claire, che stava portando un piatto ed era ancora in piedi, vide le mani dei due stringersi teneramente sotto il tavolo:

tutti al Santuario in realtà sapevano quali sentimenti corressero tra l’orgoglioso scorpione ed il riservato cigno, ma entrambi negavano imbarazzati e sviavano sempre il discorso in altre direzioni, ed anche in quel momento non fecero eccezione.

“Allora Claire, com’è vivere in una delle dodici case?” - domandò pungente Silen, e subito Keith capì dove la rossa volesse andare a parare.

“Oh è stupendo” - rispose contenta la donna - “la vista è magnifica, e la casa è spaziosissima, anche troppo… però Keith non mi porta mai qualche amichetta da farmi conoscere!”

“E dai!!!” - la redarguì il figlio visibilmente imbarazzato, facendo scoppiare a ridere tutti i presenti.

“Ma quindi tu, uno dei dodici cavalieri d’oro, che da come ho capito sono i più potenti e valorosi guerrieri del mondo intero… vivi con la mamma?” - aggiunse Serena divertita, ed aumentando l’imbarazzo del giovane.

“Ridete, ridete…”

“Ma ve lo immaginate?” - soggiunse Silen - “Il nemico alle porte delle dodici case, entra nella seconda e trova il custode… a fare i compiti!”

“Ma magari studiasse, questo pelandrone gioca ai videogiochi tutto il giorno!” - concluse Claire, dando l’ultimo colpo al povero cavaliere del toro, ormai totalmente alla berlina.

Nonostante tutto, a Keith piaceva quell’atmosfera, che non provava più da molto tempo ormai, e in qualche modo gli sembrava di essere tornato a quando tutta la sua famiglia non era ancora stata lacerata dalle guerre.

 

D’improvviso le risa cessarono, e tutti guardarono a bocca aperta l’ingresso del salone, a cui Keith dava la spalle.

Il giovane si voltò incuriosito, ritrovandosi incredulo a sgranare gli occhi, alla vista di quella chioma nera e di quelle iridi bicolori:

“Leo…”

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Madri ***


 

La quinta casa era fredda e silenziosa.

 

“Mamma ha tenuto pulito tutto il palazzo” - disse Keith accendendo una lampada - “il letto è fatto, puoi dormirci tranquillo.”

Leonidas si scrutò attorno, constatando come niente fosse cambiato, dopodiché si rivolse a Keith:

“Ringraziala tanto.”

Keith sapeva che Leonidas non era mai stato uno di troppe parole, ma trovarlo così silente dopo non averlo visto per tre anni, lo aveva lasciato piuttosto spiazzato.

“Hai bisogno di qualcosa, fratellone?”

“No.”

“Va bene…”

Non sapeva più che dire, eppure avrebbe voluto raccontargli così tante cose, ma non sembrava qualcuno desideroso di fare una conversazione.

 

“Sei cresciuto molto.” - constatò Leonidas, che nonostante stesse mantenendo l’espressione impassibile che aveva avuto da quando si era presentato alla seconda casa alcuni minuti prima, pareva in qualche modo contento.

 

“Ho diciassette anni ora.”

 

“Diciassette…” - sospirò Leonidas, come se solo in quel momento avesse realizzato quanto fosse stato lontano da casa.

 

“Immagino tu sia stanco, ti lascio riposare… buonanotte.”

“Notte.”

A quel punto Keith uscì dalla quinta casa, felice di aver rivisto Leonidas dopo così tanto tempo, ma al contempo un po’ intristito da quell’atteggiamento laconico e distante; per un istante gli balenò in testa che forse, non tutto di lui fosse effettivamente tornato a casa.

 

 

***

 

“E’ permesso?”

Un ragazzo dagli occhi smeraldo entrò nella quinta casa, e Leonidas gli venne in contro salutandolo:
“Miles… come stai?”

“Non mi posso lamentare.” - rispose col solito sorriso sornione - “Spero di non averti svegliato… come sai non sono uno mattiniero, ma appena ho saputo che eri tornato sono corso da te.”

“No sta tranquillo, sono sveglio già da un po’.” - disse invitandolo ad accomodarsi.

“Hai di nuovo problemi di insonnia?” - chiese adagiandosi su un divanetto.

“Da quel giorno.”

“Capisco.”

“Come sta Melas?”

“Ah, guarda, è su di giri per il matrimonio…”

“Oh, quindi alla fine…”

“Già, ci sposiamo questa estate, e naturalmente tu sei invitato!”

“Cercherò di esserci.”

“Ti fermerai molto?”

“Non lo so.”

“Capisco… ah!” - e a quel punto prese il cellulare e lo mostrò all’amico - “Probabilmente non lo sai, ma dopo la guerra Tsuru ha messo al mondo una bellissima bambina, a cui io ho fatto da padrino: si chiama Karyu, ed è la figlia di Jun.”

“Ma è meraviglioso…” - commentò abbozzando un sorriso.

“E’ il mio angioletto, un peperino come il padre.”

“Sono davvero felice per te, e anche per Tsuru, non deve essere stato facile per lei superare la perdita di Jun.”

“Tutti qui abbiamo dovuto fare i conti con quel che abbiamo perso quel giorno…”

“Lo so bene.”

A quel punto Miles prese a fissare la folta chioma di Leonidas:
“Accidenti Leo, sembri davvero un leone con quella criniera…”

“Dovrei tagliarla.”

“Già, metti paura!” - rispose ridacchiando.

 

In quel momento una figura fece la sua figura nella casa, e Leonidas le andò in contro stupito:
“Mamma…”

“Ciao piccolo mio.”

I due si abbracciarono teneramente, e a quel punto Miles salutò l’amico e li lasciò in quel momento di intimità familiare.

 

 

 

“Scusami se non mi sono fatto sentire.” - disse Leonidas facendola accomodare su un divanetto.

“Sta tranquillo, grazie ai poteri divini di Nyx ero sempre al corrente dei tuoi spostamenti.” - rispose accarezzandogli dolcemente la guancia.

“Capisco.”

Guardò la genitrice attentamente: non era cambiata neanche un po’, e neppure mostrava segni di invecchiamento.

“Sono le cellule di Echidna, rallentano l’invecchiare del mio corpo, e anche tu le possiedi.” - commentò Kara, come se lo avesse letto nel pensiero.

Portò il suo sguardo al ventre rigonfio della genitrice:
“Anche il tuo corpo rimane giovane… immagino che Nyx ne sia il padre.”

Kara sorrise con tenerezza materna.
“Sì è così; dovrebbe mancare un mese circa ormai…”

“Spero vada tutto per il meglio.”

Un’altra risposta breve seguita da uno sguardo vacuo, senza alcun segno di voler continuare la conversazione.

“Ad ogni modo sono qui anche per chiederti una cosa della massima importanza.” - disse Kara rompendo il silenzio.

“Dimmi.”

“Ricordi Violate, la figlia di mio fratello Gunnar, nonché tua cugina?”

“Non l’ho mai conosciuta di persona, ma sì, lo zio me ne aveva accennato.”

“Era in oriente, nel Jamir, ad addestrarsi, ma da alcuni mesi è scomparsa e non abbiamo più sue notizie; neppure Nyx riesce a trovarla, è come se qualcosa interferisse coi suoi poteri…”

“Non avete idea di dove possa essere?”

“No, Gunnar sta setacciando Asgard, e Nyx il Jamir, quanto a me, beh, non posso aiutare più di tanto…” - sospirò accarezzandosi il pancione - “Potresti dare un’occhiata nei dintorni del Santuario?

C’è stato un gran flusso di gente negli ultimi tempi ad Atene e magari…”

“Ho capito: andrò a cercarla oggi stesso.”

“Ma sei appena tornato…”

“C’è solo… tristezza… tra queste mura, non intendo rimanerci.”

“Non tornerai vero?”

Leonidas non rispose limitandosi ad abbassare lo sguardo.

 

“Leo” - gli si rivolse preoccupata guardandolo negli occhi - “mi si spezza il cuore a vederti così, ti prego fermati…”

“Però per diciotto anni hai vissuto tranquillamente senza vedermi.”

 

Meschino.

 

Davvero troppo.

 

Kara chinò il capo con gli occhi lucidi, e Leonidas la abbracciò contrito:
“Scusami, l’ho detto senza pensarci.”

“No, hai ragione, sono entrata nella tua vita all’improvviso, facendo finta di non averti mai abbandonato.”

“So quanto hai sofferto, non è giusto che io infierisca… perdonami per aver detto quella cattiveria.”

“Non preoccuparti di quello, so che non ce l’avevi con me: ti vedo così stanco e pieno di una rabbia che ti sta lacerando dentro… non lasciarti divorare dal dolore, ti prego.”

Kara aveva appena descritto in maniera estremamente accurata ciò che Leonidas sentiva costantemente dentro di sé da tre anni a quella parte.

“Non sei solo, ci sono ancora tante persone che ti vogliono bene qui, e ci sono anch’io; non vagare senza meta sprecando la tua vita…”

“Io… ci proverò.”

 

 

***

 

“Ma che sorpresa…!”

Rientrato a casa, Miles aveva trovato in salotto, assieme all’amata compagna, Tsuru con in braccio la sua piccola bambina, la quale appena vide il ragazzo scivolò via dalle braccia della madre per andargli in contro zompettando felice.

“Ehi piccoletta!” - esclamò Miles tutto contento sollevandola e facendola volteggiare delicatamente; Karyu era una bimba gioviale e piena di vita, e questo carattere energico unito alla chioma rosso acceso la facevano assomigliare in maniera incredibile al suo defunto padre Jun.

“Non ha fatto altro che chiedere dove fosse «tio Mile» per tutto il tempo.” - ridacchiò Tsuru.

“Allora è vero quel che si dice” - disse Melas - “Leonidas è tornato?”

“Sì, ma purtroppo come temevo è ancora enormemente affranto…” - rispose posando la bimba - “comunque quando me ne sono andato ho visto arrivare sua madre, spero che almeno lei riesca a farlo sentire un po’ meglio.”

A quel punto Tsuru parve un po’ accigliarsi:
“Parli di Kara, giusto?”

“Sì e, tra l’altro, aspetta un bambino; pensa te, Leo a ventun anni avrò un nuovo fratellino o una sorellina…”

“Ne sono felice.” - disse la donna in maniera secca.

“So che… non corre buon sangue tra voi.” - commentò Melas.

“Anche se abbiamo condiviso il campo di battaglia da alleati sull’Olimpo, lei ha comunque lavorato assieme a quelli che hanno ucciso mio padre, pur non essendosi macchiata direttamente del suo delitto; però Kypros ha voluto risparmiarle la vita, sei anni fa, vedendo in lei qualcosa…”

“Ricordo che vi scontraste mentre eravamo a Death Queen.” - disse Miles.

“Sì, e lei vinse, senza problemi… ma non mi uccise, pur potendolo fare.”

“Kara possiede un animo estremamente buono, che naturalmente Leo ha ereditato” - commentò il ragazzo - “anche se eravate nemici, lei non voleva farti del male.”

In quel momento Tsuru lo osservò e sorrise dolcemente:
“Proprio come hai fatto tu con Melas…”

La ragazza arrossì e si strinse contenta al compagno:
“In questo mondo dominato dal dolore e dalla rabbia, ci sono persone dotate di una gentilezza talmente grande da riuscire a colmare anche la mancanza di essa nelle altre persone; è grazie a persone così che la razza umana non perderà mai la speranza.”

“Allo stesso tempo però” - aggiunse Tsuru - “è proprio per via di un animo così sensibile che le loro ferite assumono una natura molto profonda e dolorosa, e talvolta apparentemente inconsolabile.”

Dopo aver pronunciato tali parole, Tsuru prese in braccio la figlioletta, intenta a giocare con dei peluche, e ripensò alla propria opinione riguardo all’antica avversaria, la quale aveva dimostrato di essere disposta a qualunque sacrificio pur di proteggere i propri figli: era davvero da condannare una persona del genere?

Guardò la sua piccola in quegli occhioni caldi di amore e, da madre, riuscì in parte a comprendere il tormento della reincarnazione di Echidna.

 

 

Kara passeggiava per la terza casa, sospinta dai ricordi delle persone dal lei conosciute e amate che avevano vissuto in quel luogo; era un palazzo decisamente asettico, senza decorazioni e poco illuminato, e ben rispecchiava la natura tormentata che da sempre aveva contraddistinto la costellazione dei Gemelli.

La donna si voltò, udendo arrivare qualcuno, e si trovò davanti una figura slanciata dai capelli corvini:

“Tu devi essere… Claire.”

“E tu sei Kara, vero?”

“Sì.”

“La madre di Leo…” - aggiunse con tono lievemente austero.

“So che Leonidas ti considera come una madre, e non lo biasimo: ti ringrazio, per esserti presa cura di lui e di averlo fatto crescere serenamente, nonostante il suo animo.”

“Ho solo fatto quello che una madre avrebbe fatto.”

Pur non pronunciate in modo particolarmente avverso, tali parole ferirono profondamente Kara, che da lungo tempo temeva quel confronto.

“Ho preso decisioni… sbagliate.”

“Mio marito è morto in una battaglia a cui hai preso parte per tali decisioni.”
Kara non rispose, chinando lo sguardo contrita.

“Io e il mio defunto fratello abbiamo assistito al massacro di tutte le persone che amavamo, per un esperimento di colui che hai deciso di seguire.”

Ancora la donna tacette.

“E poi tanta altra brava gente è morta, per quelle… decisioni.”

 

Quelle parole taglienti e quegli occhi ancor più affilati fecero sentire Kara debole come non mai, nuda, esposta col suo enorme ventre rigonfio di vita.

“Tuttavia ora che ti vedo…” - disse Claire avvicinandosi - “Ora che ti vedo qui davanti a me mi sembri così fragile…”

Kara rialzò lentamente lo sguardo e tremula tentò di guardare la sua interlocutrice in viso; Claire stessa si stupì osservando i grandi occhi foschi della donna, colmi di tristezza ma anche di enorme gentilezza.

“Hai lo stesso sguardo di Leo; io l’ho cresciuto, so com’è il suo animo, ed il tuo è molto simile, non è vero?”

Kara non rispose, limitandosi ad osservarla con gli occhi lucidi.

“Come Leo hai un amore incommensurabile per la vita, basta vederti per capirlo.”

A quel punto Claire le accarezzò delicatamente la pancia:
“Hai messo al mondo un ragazzo eccezionale… anche lui o lei lo sarà di certo.”

“E’ un maschietto.”

“Oh… hai già scelto il nome?”

“No, ma ho qualche idea.”

“Capisco…” - a quel punto Claire sorrise - “Se avessi bisogno di qualcosa non esitare a chiamarmi.”

Kara la guardò meravigliata:
“Io non… non sarebbe giusto, dopo tutto quel che è successo.”

“Molte cose sono successe, ma qui davanti a me ho una mamma, che come me ama i suoi figli più di ogni altra cosa e… in verità sono io a doverti ringraziare per avermi fatto conoscere Leo.”

“Io sono sua madre, ma anche tu lo sei, ed ora ha bisogno di noi.”

A quel punto le due, pur essendosi appena incontrate, si abbracciarono, sentendosi unite da un profondo sentimento di affetto verso quel ragazzo dall’animo inquieto, e da loro tanto amato.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Sopravvissuti ***


Da molti, Atene veniva considerata la culla della civiltà occidentale; quel che era rimasto di quella gloriosa città non rasentava neppure minimamente gli antichi gloriosi fasti dell’impero ellenico.

Scappando per nascondersi dai bombardamenti della guerra ai cavalieri di Ares, molti si erano rifugiati ad Atene, ma in breve la città era divenuta colma di disperati e le risorse si erano presto esaurite, lasciandola praticamente ingovernata, preda dell’anarchia.

Leonidas si aggirava per le fatiscenti strade della un tempo magnifica Atene: in ogni nicchia o vicoletto, qualche disgraziato dormiva rannicchiato tra i cartoni, altri frugavano nelle immondizie in cerca di cibo, altri ancora si davano battaglia per i più futili motivi. Ovunque regnava la disperazione e la violenza, e pareva che anche gli animi delle persone stessero cadendo a pezzi assieme alla città stessa.

Il popolo non aveva mai saputo che il male subito era stato inflitto dai cavalieri di Ares e non di Atena, così solo quest’ultimi erano stati demonizzati: pertanto, al fine di agire indisturbato nella sua ricerca, Leonidas aveva lasciato l’armatura nel palazzo del leone, e si aggirava sfoggiando un semplice pantalone ed una maglietta a maniche lunghe, entrambi completamente neri.

 

“Hai visto questa ragazza?” - domandò Leonidas mostrando una foto dal telefono ad un uomo seduto su una panchina.

“Un telefono…” - rispose estraendo una pistola - “D-dammelo assieme a tutti i soldi che hai!”

Leonidas passò oltre noncurante, e nessun proiettile apparve; la pistola era scarica, e fuori uso.

Aveva mostrato già a diverse persone la foto di quella cugina che neanche lui aveva mai visto, ma che si sentiva in dovere di aiutare almeno per sua madre e per Gunnar; eppure, nonostante stesse girando ormai da quasi due giorni, non aveva trovato neppure una minima traccia.

La svolta avvenne quando, durante l’ennesimo tentativo presso un gruppo di senzatetto una donna anziana, il nome di Violate, gli si avvicinò, dicendo di averlo già sentito:

“Sa se ti tratta di questa ragazza?” - chiese cortesemente mostrandole la foto.

“Non saprei, purtroppo la mia vista non è più come quella di un tempo… però ricordo quella chioma nera.” - rispose sedendosi su dei bancali ammuffiti.

“Dove l’ha vista?”

“Vivevo ai confini dell’Arcadia, nella parte vicina all’Istmo, quando un giorno si presentarono dei… cavalieri…”

“Come, dei cavalieri?”

“Nonna, non spaventarlo.” - intervenne una giovane posandole uno scialle sul collo.

“Eppure erano cavalieri.”
“I cavalieri non ci sono più da tre anni, anche se alcuni nel mondo dicono di avvistarli di tanto in tanto…”

“Però là al Santuario…” - sospirò l’anziana.

“Quel posto non nominarlo neppure.” - la rimproverò la nipote.

“Ad ogni modo” - proseguì la donna - “sono giunti uomini con armature nere dicendoci che ove un tempo sorgeva Orcomeno ora svetta un castello in cui sono i benvenuti tutti coloro che cercano conforto e riparo…”

“Ma chiedevano una condizione.”

“Quale condizione?” - chiese Leonidas incuriosito.

“Bisognava giurare fedeltà assoluta al signore del castello, che stando alle loro parole è un vero e proprio dio sceso in terra.”

“Non sapete quale dio?”

“Parlavano di quell’antica divinità, Ade…”

“Ade…?”

“Ricordo che tra di loro vi era una giovane dai lunghi capelli neri, ed ho sentito uno di quegli uomini chiamarla Violate.” - continuò la vecchia signora.

“Capisco, vi ringrazio di cuore.”

“Non andare laggiù però” - lo ammonì l’anziana - “quel castello è sorto dal giorno alla notte, c’è qualcosa di oscuro legato ad esso…”

“Farò attenzione” - salutò cortesemente le due donne - “ vi auguro ogni bene possibile.”

 

Aveva prontamente informato la madre della sua nuova scoperta, e portatosi alla periferie di Atene si preparava a partire verso l’Arcadia; di colpo un getto di energia lo travolse, scagliandolo all’interno di un palazzo e frantumandone le pareti.

Rialzatosi dalle macerie, Leonidas uscì dall’edificio, scrutandosi attorno in cerca del suo aggressore: un nuovo attacco al fianco si avventò su di lui, ma questa volta riuscì ad evitarlo ed a contrattaccare nella direzione da cui era stato lanciato.

E mentre scagliava il suo fulmine, da dietro gli apparve una figura canuta e ghignante:
“Finalmente…!” - disse soddisfatta, per poi scagliare una moltitudine di fasci lucenti addosso al ragazzo.

Quando la polvere si abbassò, vedendo di non avere più nulla davanti a sé, incredula si mise le mani davanti alla bocca, abbozzando un ghigno sghembo.

 

“Conosco perfettamente lo Stardust revolution, non può farmi nulla.”

La giovane si voltò ringhiando:
“Lo immaginavo, ma per un momento speravo di esserci davvero riuscita.”

Dopo tre anni, Leonidas vide il volto della sua amata; tuttavia, pur condividendo con lei il viso, ed in parte l’anima, non si trattava della stessa persona.

“E’ da un po’ che non ci si vede, cavaliere di Leo…” - lo salutò con un sorriso falso e malevolo.

“Scusami 6, ora vado di fretta.” - rispose passando oltre, al ché la ragazza contrariata gli andò dietro.

“Dove pensi di andare, vieni qui e affrontami!”

“L’ho appena fatto, e hai perso.”

“Tutta fortuna… sei senza armatura!”

“Anche tu.” - rispose osservando l’aspetto trasandato dei suoi vestiti, ed in particolar modo di una felpa bianca col cappuccio logora e tutta impolverata; ricordò di averne avuta una simile, anni prima.

“Che hai da guardare?”

Non ribatté, limitandosi a voltarsi nuovamente.

“Ma certo… è la mia faccia del cazzo vero?”

A quel punto gli si portò davanti:
“Andiamo, guardami ancora un po’, così almeno avrai ben impresso questo viso mentre ti ucciderò.”

 

“Ma piantala.”

 

Quella risposta secca smontò 6 allo stesso modo in cui un genitore richiama un figlio facendogli notare un comportamento disdicevole.

 

“Mi prendi in giro?!”

“Non sei cambiata minimamente in questi anni; mi dispiace che non ti sia liberata di tutto quell’odio che hai dentro…”

In quel momento 6, sempre più sgomentata, gli lanciò un’occhiata aggressiva, per poi sparire in un baleno di luce sotto lo sguardo di Leonidas.

 

Doveva proseguire nella sua missione, però in quel momento sentì di avere un’altra priorità: per la prima volta dopo tre anni era sorto in lui il desiderio di andare verso una meta, anziché errare da un luogo a un altro.

 

6 entrò nella casupola, sbattendo le porte:

«Ma che diavolo mi è successo?!» - si domandò adirata, portandosi dinnanzi ad uno specchio, vecchio, sporco e pieno di crepe.

Aveva il fiato pesante, ma nonostante la sconfitta i colpi di Leonidas non l’avevano ferita: si era trattenuto, mentre lei non era neanche riuscito a scalfirlo, pur dando fondo a tutte le sue forze.

“Perché…” - sospirò adagiandosi sul lavandino incrostato, avvolgendo la testa tra le braccia - “Perché non riesco a farla finita?”

 

Leonidas entrò nell’abitazione, se così si poteva definire: una specie di fatiscente capanno abbandonato, con un materasso in un angolo, una lampada accanto, qualche oggetto qua e là sparso in giro, un mobiletto ammuffito, ed il lavello con specchio su cui 6 si stava struggendo.

 

“Che cosa sei venuto a fare qui?” - ringhiò 6 senza scomporsi dalla sua posa drammatica.

“Non immaginavo vivessi in un luogo così…”

“Squallido?”

“Isolato.”

“So che volevi dire squallido, non importa.” - rispose gettandosi sul materasso a faccia in giù - “Adesso sparisci, oggi ho terminato la voglia di ucciderti, ma non temere, domattina sarà già riapparsa.”

Il ragazzo non rispose, e si mise a girovagare nei pochi metri quadri dell’appartamento, quando ad un certo punto il suo interesse venne catturato da una sorta di pigolio stridulo, proveniente da uno scatolone: al suo interno un piccolo batuffolo nero si sgolava in cerca di attenzioni.

“Cavolo ha di nuovo fame…” - sbuffò 6 alzandosi e dopo aver raccolto un piattino ed averci versato del latte da una bottiglia, prese delicatamente il gattino, glielo mise davanti, e subito il piccolo si avventò sul piatto.

“Come si chiama?”

“Boh.”

“Non gli hai dato un nome?”

“Che mi importa, non so neppure se sia maschio o femmina.”

“Come?”

“E’ troppo piccolo ancora, e non mi va di alzargli la coda.”

“Capisco. Quanto ha?”

“Un paio di mesi, direi; sua madre dev’essere morta, oppure lo ha abbandonato.”

Dopo aver bevuto tutto il latte il micetto guardò 6 e ricominciò a miagolare.

“Già, ormai il latte non ti basta più…”

La ragazza si piegò e da dietro il materasso tirò fuori una scatoletta di tonno, ne pose qualche boccone nel piattino, e tosto la bestiolina ricominciò il proprio banchetto.

“Ha un aspetto molto vitale.” - commentò Leonidas.

“Sì, è un sopravvissuto…” - aggiunse 6, sorridendo dolcemente senza accorgersene.

In quel momento Leonidas non poté fare a meno di rimanere colpito da quel sorriso; accortasene, 6 lo mutò in un broncio infastidito.

“Smettila di guardarmi in quel modo, mi dai sui nervi.”

“Perdonami.” - si scusò portando lo sguardo da un’altra parte.

“Io lo so cosa sei venuto a fare qui, e te lo dico subito: non sono la tua ragazza morta, sparisci.”

“Tu saresti dovuta morire quel giorno.”

Fingendo di non essere colpita da quelle parole, 6 rispose con un risolino sarcastico:

“Già, sarebbe stato meglio per tutti.”

“Ma Lambda si è opposta fermamente.”

A quel punto 6 si portò faccia a faccia dinnanzi al ragazzo e lo guardò dritto negli occhi:
“Ed è stata la sua rovina: ha perso tutto per salvare un rifiuto.”

“Lei voleva anche salvare sé stessa.”

“IO NON SONO LEI!” - gli urlò infervorandosi.

“Non sono mai riuscito a perdonarle quella scelta, ma nonostante tremasse e piangesse mentre mi lasciava, non aveva avuto la minima esitazione nell’immolarsi al posto tuo.”

6 ghignò sbuffando:
“E guarda che meraviglia è venuta fuori…” - rispose sarcastica mostrando con un gesto della mano sé stessa e la casupola - “Come ti fa sentire il fatto che quella troia sia morta per farmi vivere in questo modo? Hai capito? La sua morte è stata totalmente inutile!”

Leonidas fece per rispondere e aprì le labbra:
“INUTILE!” - lo bloccò 6 prima che potesse replicare.

Rimase con le labbra socchiuse per alcuni istanti, ma nessun suono riusciva a venir fuori: non era mai stato troppo bravo con le parole, e in quegli ultimi anni le sua capacità dialettiche – e relazionali – si erano notevolmente indebolite.

In quel momento, non trovando le parole, fece la cosa che gli venne più istintiva fare, e strinse la ragazza in un abbraccio.

 

6, colpita da quel gesto, rimase immobile, e per la prima volta nella sua vita, sentì il calore di un altro essere vivente avvolgerla: era una sensazione intensa, e anche piacevole, fin troppo.

 

Con un gesto brusco cacciò via il ragazzo e lo guardò in cagnesco:
“M-ma che cosa fai…?” - gli domandò tremula, col volto arrossato.

“Ti chiedo scusa se sono stato invasivo.”

“Non guardarmi… non guardarmi in quel modo, te l’ho detto: non sono Lambda 7!”

“Lo so, ma mi sembravi qualcuno che… aveva bisogno di contatto.”

“Io non ho bisogno di nessuno!”

“Capisco; ti farò solo una domanda, poi me ne andrò, promesso.”

“Se servirà a liberarmi di te risponderò con piacere.”

“Sai qualcosa di un castello in Arcadia, o di cavalieri con indosso

armature nere?”
“Parli degli specter?”

“Si fanno chiamare così?”

“Non penso ci sia altra gente che vada in giro in quel modo.”

“E’ vero che servono Ade?”
“Per quel che ne so io sì.”

“Questo è impossibile: Ade è morto più di trent’anni fa.”

“Vaglielo a dire a loro… adesso sparisci, come hai promesso.”

“Tu l’hai visto vero? Parlo del castello.”

“L’ho visto, e l’ho appositamente evitato.”

“Dunque ti intimorisce.”

“Chiunque con un po’ di cervello dovrebbe averne timore…”

“Potresti portarmici?”

La ragazza scuoté il capo con sdegno:

“Prima mi prometti una sola domanda e invece me ne fai quattro, e poi mi chiedi pure di farti da guida?”

“Non è per me, né tanto meno per te, ma per una persona che ho promesso avrei ritrovato.”

Udito ciò 6 gli si accostò all’orecchio, e sussurrando gli disse:
“Potete andare a fare in culo entrambi.”

“Non sei stufa di vivere così?”

“Fatti gli affari tuoi.”

“Tu eri un angelo al servizio degli dei dell’Olimpo, ora vivi in una topaia che non rende giustizia al tuo lignaggio: portami soltanto fino al castello, e metterò una buona parola per te al Santuario, dove avrai un alloggio più dignitoso…” - in quel momento portò lo sguardo sul gattino - “E anche lui.”

6 fece una smorfia a metà tra rabbia e divertimento:
“Figlio di puttana…”

Leonidas rimase in silenzio, osservando 6 che cercava di rimanere impassibile, nonostante avesse gettato un dubbio non da poco nei suoi pensieri, ed infine gli appoggiò l’indice sul petto e gli si rivolse a denti stretti:
“Solo fino al castello, poi non ti voglio vedere mai più; la casa non mi va di cambiarla, però qualche comfort in più lo gradirei. Ti è chiaro?”

“Chiarissimo.”

“Un’ultima cosa: non posso lasciare il gatto da solo…”

“So già a chi poterlo affidare.”

 

***

 

Yuria aprì lentamente la porta che dava sull’arido cortile, un tempo pieno di erba e fiori, e vide una figura contemplare silenziosamente l’oscuro orizzonte, mentre alle loro spalle il sole calava placido.

“Zio, perché stai qui fuori solo? Vieni dentro dai.”

Ikki si voltò e sorrise alla giovane:

“Riuscirò a trovarlo, vedrai.” - disse per poi lanciarsi in corsa verso le tenebre.

“Che le ali della fenice vi proteggano tutti e due…” - sospirò Yuria per poi rientrare in casa col capo chino.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Un invito inaspettato ***


Nel 1504 il poeta umanista Jacopo Sannazaro scrisse un prosimetro pastorale intitolato “Arcadia”, in cui la regione greca viene reimmaginata secondo i canoni della poesia bucolica classica: l’Arcadia è un luogo idilliaco, dove i pastori vivono felici in perfetta armonia con la natura, liberi da dolori e affanni.

Da un certo punto di vista, l’Arcadia può essere considerata una sorta di Utopia.

 

Serena gironzolava nella quarta casa, quella che era appartenuta al fratello da lei mai conosciuto; era un posto un po’ angusto, con poche finestre ed un unico grande salone centrale scarsamente illuminato da alcune pire che ardevano di un fuoco violaceo.

 

D’un tratto la ragazza vide arrivare una figura vestita di nero, riconoscendo in lui il famoso cavaliere del leone:

“Tu sei Leonidas, vero?”

Il giovane si fermò a pochi metri da lei.

“Sì.”

“Io sono…”

“Lo so.”

Le era avevano riferito del grande affetto che c’era stato tra lui ed il defunto Lun, ma in quel momento faticava a crederci, osservando l’atteggiamento distaccato del cavaliere.

“Keith ha detto che assomiglio a Lun; anche tu lo pensi?”

Leonidas la scrutò brevemente ma con occhi profondi:
“Sì, la somiglianza è indubbia.”

A quel punto il ragazzo fece per andare oltre, ma Serena lo bloccò prendendolo per il braccio:
“Stai andando in cerca degli specter?”

“Devo trovare una persona.”

“Anch’io: temo che gli specter abbiano rapito mio padre!”

“Lo cercherò: sto andando al loro castello.”

“Portami con te!”

“No.”

“Ti prego, non posso restare qui senza…”

“Tu resta qui.” - sentenziò con tono tanto austero da far sentire Serena minuscola dinnanzi a quell’imponente figura dai capelli corvini.

“Troverò tuo padre.” - le si rivolse nuovamente, con tono meno minaccioso, per poi sparire tra le ombre della quarta casa.

 

 

Con un baleno di luce, Leonidas apparve davanti alla casupola, dove 6 lo aspettava a braccia conserte:
“Ce ne hai messo di tempo.” - ridacchiò sarcastica la ragazza.

“Femmina.”

“Cosa?”

“Mia madre dice che il gatto è femmina.”

“Ah, buono a sapersi…”

“Ora puoi darle un nome.”

“Ci penserò strada facendo.”

6 si voltò e dopo essersi guardata un po’ attorno fece un cenno a Leonidas:
“Seguimi, il castello è in questa direzione.”

Detto ciò la ragazza sfrecciò come un lampo verso l’Arcadia, seguita alla medesima velocità dal cavaliere del leone.

 

Un luogo deserto, aspro, tappezzato da brulli ed inospitali monti; Leonidas conosceva bene quelle terre, anche se aveva di esse un ricordo evanescente, legato ad una profonda crisi vissuta alcuni anni prima riguardante la sua natura di figlio di Tifone.

L’Arcadia era più o meno tutta così, eppure quel castello Leonidas non aveva ricordo di averlo mai visto: svettava in cima a un’altura dalla forma simile a quella d’un pilastro, ed aveva fattezze vetuste, legate ai tempi antichi in cui re e regine vivevano in mastodontiche fortezze cinte da torri dalle guglie appuntite.

Tra le nere mura di quel mastio, diverse finestre brillavano di un sinistro bagliore smeraldino, segno che qualcosa di arcano ed oscuro si annidava all’interno della fortezza.

“Ecco il tuo bel castello.” - disse 6 mostrandoglielo con un gesto della mano - “Ho tenuto fede al mio patto, il mio dovere qua è finito.”

“Non sei curiosa di sapere quel che c’è là dentro?”

“Tsk” - sbuffò scuotendo il capo - “per oggi ne ho abbastanza di te.”

“Fossi in te rimarrei invece.”

I due si voltarono, vedendo arrivare dalle rocce dell’altura in cui erano appostati una figura vestita con un’armatura blu e argento, avente tre code ambrate che pendevano dalla schiena.

“Ikki di Phoenix…” - lo salutò Leonidas.

“Salve a te, giovane cavaliere del Leone.”

“Dunque anche voi siete qui per indagare.”

“Diciamo di sì.”

“E sentiamo dunque, signor Phoenix, perché dovrei restare?”

“Le hai viste vero, le sfere nere?”

“Quei cosi che fluttuano? Sì, ho avuto modo di vederne un paio.”

“Oggi è comparsa la centounesima, ormai non manca molto…”

“Non manca molto a cosa?” - domandò Leonidas incuriosito.

“Anni fa affrontai assieme ad Atena e ai miei quattro fratelli Shun, Shiryu, Hyoga, e Seiya, il dio dell’oltretomba Ade e la sua armata infernale di specter: vincemmo e il re degli inferi in persona parve soccombere, ma io ho sempre ritenuto che in verità quel dio malvagio non fosse mai morto del tutto… ed ecco che ultimamente spuntano fuori gli specter.”

“Quindi mi confermate si tratti a tutti gli effetti di specter.”

“Sì, Leonidas, sono sicuro al cento percento si tratti di loro, non potrei mai dimenticare quel cosmo malvagio e oscuro, legato alla morte stessa; ed è proprio tale cosmo che ho avvertito, seppur flebilmente, nelle sfere color ebano.”

“Prima avete fatto cenno ad una specie di conto alla rovescia…”

“Sì, è così: ho ragione di credere che quando comparirà la centottesima sfera, qualcosa di nefasto accadrà nel mondo.”

“Centotto?” - domandò 6 perplessa.

“Tale è il numero delle stelle malefiche sotto la guida di Ade, e ad ognuna corrisponde uno specter, in modo analogo a quanto avviene tra una costellazione ed un cavaliere di Atena.”

“Dunque è Ade il responsabile di tutto ciò?” - chiese Leonidas.

“Così credo, anche se non ho ancora avvertito la sua presenza; però gli specter da soli sono soltanto guitti, non sarebbero capaci di far apparire sfere o castelli, e soprattutto di tornare dopo la scomparsa del loro signore…”

In quel momento 6 scoppiò a ridere:
“Ho passato la vita prigioniera degli dei dell’Olimpo, ed ora che sono libera, dovrei imbattermi in uno dei numi notoriamente più crudeli e malvagi?”

“Forse non ti è chiara la faccenda” - le disse Ikki mettendosi davanti - “l’ultima volta che Ade ha messo in atto un suo piano, la vita stava per scomparire dalla faccia della Terra; pensi che i suoi piani siano cambiati molto?”

“Perché lo chiedi a me?”

“In te c’è il sangue di Zeus, dovresti sapere come pensa un dio.”

“Vuoi sapere quel che penso?”

“Sì.”

“Penso che se il mondo deve finire allora pace e bene!” - ridacchiò beffarda, ma Ikki rimase serio ed impassibile.

“Tu credi di essere tanto furba, vero?” - le domandò abbozzando un mezzo sorriso - “Credi che io non veda tutta la paura che cela il tuo animo? Molti anni ho passato a studiare i cuori e le menti, ed ormai nessun segreto mi può essere celato, specie nel modo goffo in cui tu tenti di farlo.”

“Non osare utilizzare poteri psichici con me vecchio…” - ringhiò la ragazza.

“Posso farne a meno, mi basta guardarti: il modo in cui muovi gli occhi, il tono della voce, i movimenti del corpo… sei un libro aperto per me.”

“Allora voglio fartela io una domanda: chi stai cercando?”

“Sei in gamba, non mi ero neanche accorto che fossi entrata nella mia mente, seppure a livello superficiale, ma ti consiglio di non andare oltre: potrebbe non piacerti quel che troveresti.”

“Oh, credimi, le cose che ho passato io sono peggio di qualunque inferno… ma ora dimmi, chi è la persona per cui sei giunto qui?”

A quel punto Ikki si rivolse a Leonidas:
“Ricordi Mime e Yuria?”

“I tuoi nipoti, certo; non ho più avuto loro notizie dopo la guerra, spero che…”

“Sono vivi, e stanno bene.”

Leonidas chiuse gli occhi e sospirò in maniera quasi impercettibile:
“E’ un sollievo.”

“Ad ogni modo loro due hanno anche un altro fratello, di nome Saburo, un giovane di eccezionale talento; gli proibimmo di combattere tre anni fa, poiché non in possesso di un’armatura, ma la mia idea era di consegnarli i paramenti di Phoenix, rendendolo il mio successore.”

“Ma è come scomparso nel nulla, vero?” - gli si rivolse Leonidas.

“Già, e poco dopo gli specter hanno iniziato ad apparire.”

“Lo stesso è successo alla figlia di mio zio, e al padre di una ragazza giunta al Santuario ieri.”

“Le persone scompaiono ogni giorno, ma ho un oscuro presentimento che mi tormenta, per non parlare del senso di inquietudine che mi evoca quella rocca…”

“Lo provo anch’io.” - aggiunse Leonidas.

6 non disse nulla, ma quella sensazione descritta dal cavaliere albergava pure in lei.

“Dunque entriamo nel castello.” - disse Ikki, per poi rivolgersi a 6 - “Quanto a te, continua pure a vivere come un animale randagio e ad ignorare la tua natura divina, se lo desideri; se invece desideri conoscere e capire, vieni con noi.”

“Cosa dovrei conoscere e capire?”

“Non te lo so dire; probabilmente Ade saprà farlo.” - e detto ciò si lanciò di corsa verso il castello.

“Sei stata di parola, e non importa se non vieni; in ogni caso, a costo di attirarmi le tue ire, volevo dirti grazie, Lambda 6.” - e a quel punto anche Leonidas prese a correre lesto.

Rimasta sola e in preda allo sgomento, 6 strinse i denti e i pugni:
“Che possiate essere dannati…”

 

I due cavalieri giunsero presso una parete rocciosa che, apparentemente, permetteva loro di avere riparo da eventuali sguardi indiscreti provenienti dal castello:
“Non è cambiato per niente…”

“Avete già visto questo maniero?”

“Sì, e l’ho visto crollare, e ho conosciuto la sua padrona, una donna tormentata la cui vita è stata segnata dal Sonno e dalla Morte…”

Ikki smise di parlare, mentre nei suoi pensieri tornavano le immagini di Pandora che morente si stringeva a lui, cercando almeno alla fine dei suoi giorni un po’ di conforto dopo una vita passata a seguire un dio ingrato e senza cuore; poi gli venne in mente la dolorosa ordalia di Shun, posseduto da Ade, una terribile e orrenda malattia che egli stesso aveva tentato fisicamente di estrarre dal petto del fratello.

“Ade è malvagità allo stato puro, non ho mai conosciuto nessun essere che come lui anelasse soltanto a portare morte e distruzione: deve essere fermato prima che metta in atto qualunque cosa abbia in mente.”

“Te lo concedo, Phoenix” - i due si voltarono, vedendo giungere 6 - “molto è il dolore che alberga nel tuo animo; tuttavia ribadisco che non si avvicina al mio.”

Leonidas abbozzò un mezzo sorriso, e subito 6 gli si avvicinò con aria sprezzante:
“Non farti strane idee, sono venuta solo perché non avrei di meglio da fare oggi; senza contare il fatto che se ti succedesse qualcosa dovrei andare al Santuario a riprendermi la gatta, e la sola idea mi fa venire il voltastomaco…”

“Qualunque siano le tue ragioni, sono contento che tu sia venuta.”

 

“Dunque ci siete tutti ora, che meraviglia.”

I presenti si voltarono di colpo, trovandosi davanti una figura vestita con un’armatura nera che li osservava sorridendo amichevolmente: era un giovane ragazzo dalla chioma canuta, con grandi occhi cremisi, cinti da un viso tondeggiante e fanciullesco, che rendeva impossibile stabilirne l’età.

“Perdonate il mio ingresso inatteso, spero di non avervi spaventati. Mi presento: sono Kaspar di Warg, stella del cielo aiutante.”

“Aiuto celeste?” - ridacchiò Ikki - “Ricordo di aver fatto fuori l’ultimo protetto da quella stella durante la precedente guerra.”

“Oh, immagino sia per questo che la surplice stia tremando tutta vedendovi, signor Phoenix… ad ogni modo, il mio padrone Ade mi manda per invitarvi cordialmente presso la sua dimora, che qui vedete dietro alle mie spalle.”

“Quindi ci ha osservati tutto il tempo…” - commentò Leonidas.

“Naturalmente” - rispose lo specter in modo affabile - “nulla sfugge al divino Ade.”

“Che cosa vuole da noi il tuo padrone?” - gli domandò Ikki alzando la voce.

“Sono solo un umile araldo, le risposte che cercate sono nel castello, ma questo immagino lo sappiate già… sappiate solo che egli desidera parlarvi, in maniera assolutamente non violenta.”

“Permettimi di dubitare di tali intenzioni pacifiche da parte del signore degli inferi.”

“Forse dovremmo avvertire il Santuario.” - propose Leonidas.

“Vuoi andarci tu?”
“No.”

“Io neanche.”

“Perdonatemi”- intervenne Kaspar - “se vi serve posso prestarvi il mio cellulare! Per qualche motivo prende, sarà la tariffa specter, boh non so…” - disse ridacchiando con aria un po’ ebete, lasciando sbigottiti i presenti.

Leonidas e Ikki si guardarono:
“L’effetto sorpresa ce lo siamo giocati.” - commentò il primo.

“A questo punto vale la pena sentire cos’ha da dirci il suo padrone…” - sentenziò il secondo.

“Magnifico! Seguitemi, vi condurrò dal padron Ade in men che non si dica!” - disse Kaspar entusiasta per poi avviarsi tutto pimpante verso il castello, seguito dai tre invitati.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Caduta ***


 

Le porte d’ebano del castello si spalancarono lentamente, senza emettere nemmeno il minimo cigolio, come se nonostante l’aspetto vetusto fossero preservate dalle intemperie del tempo per merito di un qualche sortilegio.

Kaspar condusse i tre ospiti lungo un ampio corridoio, dove ogni passo echeggiava tra i muri, scomparendo poi nell’immensità del maniero.

Infine il gruppo giunse presso una sorta di gigantesco salone centrale dalla forma ellittica, privo di mobilio, asfaltato da un lastricato di granito nero, e cinto da diversi ballatoi scolpito attorno ai muri e alle altre porte della sala; proprio in quelle corsie i due cavalieri e 6 videro brulicare diverse sagome oscure, che da quando erano entrati non avevano fatto altro che scrutarli nascoste nel buio.

 

“Attendete qui, fra poco sarete ricevuti.”

“Da chi?”

“Attendete, signor Phoenix.” - sorrise Kaspar per poi sparire tra le ombre del castello.

 

Alcuni istanti dopo, su di una sorta di palchetto posto sopra il portone principale del salone, fecero la loro comparsa due figure bardate di nere armature, una dall’aspetto tagliente e munita di un paio di ali, l’altra dalle fattezze più massicce e compatte.

“Benvenuti” - parlò lo specter alato - “io sono uno dei tre giganti al servizio di Ade: Eaco di Garuda, della stella del cielo intrepido.”
“So bene chi sei Garuda” - ridacchiò Ikki - “anni fa infersi una dura lezione al tuo predecessore, che aveva le tue medesime fattezze.”

“Oh, devo averti sottovalutato in tale occasione, ma prometto che non accadrà nuovamente: quello che hai davanti è un Eaco completamente nuovo.”

“Alla fine uno specter rimane sempre lo stesso.”

Mentre i due si scambiavano frasi pungenti, Leonidas osservava la figura che accompagnava il gigante degli inferi, scrutandola attentamente, a partire dalla lunga chioma corvina.

Notando il suo sguardo, Eaco si rivolse all’altro specter:
“Oh guarda, credo che quel ragazzo laggiù ti conosca, Violate.”

In quel momento Leonidas realizzò di aver finalmente trovato la persona che stava cercando, ed assieme ad essa anche la conferma dei terribili dubbi che erano sorti in lui nelle ultime ore.

“Non l’ho mai veduto in vita mia, eppure ha un ché di familiare…”

“Noi non ci siamo mai incontrati” - spiegò Leonidas - “ma io sono tuo cugino: tuo padre, Gunnar, è infatti fratello di mia madre.”

Udito ciò Violate si portò più avanti, e Leonidas poté osservarla meglio in volto: il suo aspetto, per via della pelle nivea e degli occhi e dei capelli neri, gli ricordò molto quello della sorella Loki, e in generale di tutto il ramo materno della sua famiglia.

“E cosa ti porta qui, cugino?” - domandò la giovane con un sorriso strafottente.

“Sono giorni che tuo padre non ha più tue notizie, e pertanto tutta la famiglia si è mobilitata per cercarti.”

“Che cosa tenera…” - commentò Violate arricciando le labbra con tono sarcastico - “Però vedi, la mia famiglia è qua tutta attorno.”

“Non so cosa sia successo, ma Gunnar mi ha sempre parlato di te con amorevole orgoglio, e non riesco a credere che tra di voi sia successo qualcosa tale da recidere il vostro legame.”

“No infatti, non è accaduto nulla: semplicemente ho scoperto la mia vera natura.”

“Sei posseduta.” - intervenne Ikki.

“Violate non è mai stata così in sé, ed anche per me è lo stesso.” - rispose Eaco ghignante.

 

“Ora basta giocare.” - tuonò una voce imperiosa proveniente da un altro palchetto - “Come al solito Eaco ti perdi in chiacchiere, e sai benissimo che il nostro padrone pretende fatti.”

Lo specter appena giunto sfoggiava una surplice simile a quella del collega, ma più slanciata ed appuntita, che ben rappresentava il truce sguardo di colui che la indossava.

“Non essere così severo Radamante.” - aggiunse un’altra voce da un terzo palchetto, seguita da un specter dai lunghi capelli canuti.

“Minosse e Radamante…” - commentò Ikki preoccupato - “Ora i tre giudici al comando dell’esercito di Ade si sono tutti presentati dinnanzi a noi.”

“Ikki di Phoenix” - gli si rivolse severo Radamante - “sei colpevole della morte di numerosi specter durante la scorsa guerra sacra; dovrai pagare per le tue colpe.”

“Se potessi lo rifarei anche cento volte, e comunque quella doveva essere l’ultima guerra, non ce ne sarebbero dovute essere altre!” - a quel punto alzò lo sguardo e si scrutò attorno - “In ogni caso dov’è lui? Dov’è il padrone di casa, il sommo signore degli inferi, Ade?”

“Bada a come parli in questo luogo sacro!” - lo redarguì Radamente ringhiando.

“Le minacce non rispondono alla mia domanda: devo forse credere che il temuto esercito infernale si trovi sprovvisto di una guida, e che come pensavo Ade è perito anni fa sotto i colpi miei, di Atena, e degli altri cavalieri?”

 

“Non temere Ikki di Phoenix, le risposte che vai cercando stanno per giungere.”

 

I due cavalieri rimasero pietrificati nell’udire quella soave voce così familiare, che erano certi non avrebbero mai più sentito:

da un balcone posto ancor più sopra i palchetti, scendeva fluttuando lentamente un giovane bardato di un’armatura dalle numerose ali, che subito Ikki identificò come quella del signore degli inferi.

“Non può essere…” - bisbigliò incredulo Leonidas, mentre quel ragazzo dagli occhi azzurri planava elegante dinnanzi a lui.

I biondi capelli avevano assunto un colore corvino, ma per il resto era rimasto identico a come lo ricordava:
“Ian…”

Il giovane sorrise:
“Ti sono mancato Leonidas?”

 

“Ian di Virgo…” - intervenne Ikki - “Eppure ti avevamo visto perire per mano di Zeus stesso: il tuo corpo era stato disintegrato dal signore dei cieli!”

 

“Certo, voi avete visto ciò e quindi eravate convinti che fossi sparito per sempre, ma in verità lo spirito è sopravvissuto, e quando l’Olimpo è caduto per mano di Tifone ho assorbito parte dell’immane cosmo divino che andava bruciando consumandosi, e l’ho utilizzato per riottenere una forma fisica.”

 

“Parli come se fossi davvero Ian, ma quell’armatura dice diversamente.” - gli si rivolse Ikki.

 

“Phoenix, quale singolare caso che proprio tu sia qui oggi per assistere alla rinascita del re degli inferi: ebbene con Atena voi altri cavalieri distruggeste il mio corpo, ma ciò nonostante una piccola parte di me sopravvisse, rifugiandosi in quella dimensione che gli dei usano per spostarsi, ed attraverso cui voi mortali giungeste nei miei campi elisi.”

“Era troppo bello per essere vero…”

“Già, ed anche il sacrificio di Pegasus purtroppo è servito a farvi guadagnare soltanto un po’ di tempo, ma di fatto non ha cambiato poi molto le cose; ad ogni modo vagai a lungo privo di forma, cercando qualcuno in grado di ospitare il mio spirito divino.

Circa vent’anni fa trovai infine una persona degna di ospitarmi, Elizabeth di Virgo, ed attraverso lei venni al mondo col nome di Ian.”

“Ma certo” - commentò Leonidas sbalordito - “nessuno ha mai fatto menzione al padre di Ian, perché…”

“Perché io sono sia incarnazione che figlio del potente Ade.”

“Dunque ecco spiegati i miracoli all’orfanotrofio.”
“Piccolezze, atti inconsapevoli di un potere che ancora non ero in grado di gestire per via del mio corpo e della mia mente da semplice mortale; ora però sono finalmente riuscito non solo a riottenere il mio stato di divinità, ma anche ad appropriarmi di nuovi poteri derivati dal mio meticoloso studio del cosmo ultimo.”

“Menti, signore degli inferi!” - esclamò Ikki - “Il tuo potere già allora era qualcosa di sconfinato ed inimmaginabile, come può essere accresciuto ulteriormente?”

“Eppure li hai conosciuti Zeus e Tifone: perché dovrei rimanere indietro a loro, specie ora che sono scomparsi entrambi?”
“Ecco il folle Ade che rivela la sua natura ancora una volta!”

“Noto un tono di sfida nelle tue insinuazioni: hai forse scordato l’abisso tra me e voi cavalieri?”

“Cose del genere non si dimenticano, ma un cavaliere combatte finché ha fiato in corpo.”

“Se tale è il tuo desiderio… In ogni caso non vi avrei lasciato uscire dal castello.”

A quel punto Ade diede loro le spalle e fece per andarsene verso un portone:
“Ian aspetta!” - gli intimò Leonidas - “Se sei davvero tu non posso credere che ti sia fatto possedere da Ade… devi combatterlo!”

Il nume ruotò leggermente il capo:

“Combattere è inutile ormai.”

Infine scomparì tra le ombre del palazzo.

 

In quel momento le figure che brulicavano nelle tenebre dei ballatoi si portarono più in luce, pregustando ghignanti lo scontro:

in un attimo la totalità dei centotto specter fu sopra i tre.

Subito un folto gruppo di nemici si portò dinnanzi a loro, con in testa colui che si faceva chiamare Minosse:

“Prendete i due cavalieri, la ragazza non importa al signor Ade, lei può pure andare.”

 

Udito ciò Leonidas si voltò verso 6:

“Hai sentito?”

“Certo, e non me lo faccio dire due volte.”

“Buona fortuna.” - la salutò Leonidas.

“Ne servirà più a te.” - rispose guadagnando l’uscita.

 

Con un cenno del giudice infernale, una ventina di specter si abbatté sui due cavalieri, turbinando come uno stormo di corvi affamati: nonostante l’enorme vitalità degli avversari, Leonidas ed Ikki non ebbero particolare difficoltà nel metterli tutti quanti fuori gioco. Tuttavia, si accorsero in breve di trovarsi già a corto di fiato e di energie, nonostante il combattimento fosse appena iniziato e pur non avessero utilizzato colpi particolarmente sfiancanti.

Vedendoli in affanno Minosse li schernì:

“Vedo che la barriera del signor Ade sta funzionando a dovere!”

“Le nostre armature godono della benedizione del sangue di Atena, tale sortilegio non ha effetto su di noi.”

“Oh Phoenix, ma tu fai riferimento a quella insulsa barriera usata nelle scorse guerre sacre: l’artificio che avvolge questo maniero è di ben più elaborata natura, un vero capolavoro, che limita a un decimo della sue interezza il potere di chiunque sia nemico al signore degli inferi, che egli sia mortale o divinità!”

“Eppure, un decimo della nostra forza ha messo fuori gioco quasi un terzo dell’armata infernale.”

“Se aver battuto i pesci piccoli è motivo per te di orgoglio allora sono contento per te; ma il bello viene ora…”

Nuovi specter piombarono dall’alto, ed in particolare un guerriero alato si portò davanti a Ikki, lasciandolo enormemente sbalordito:

“Saburo…”

Ikki aveva finalmente ritrovato quel nipote che andava tanto cercando.

 

Saburo era il più piccolo della famiglia, e a differenza del fratello e della sorella non aveva ricordo dei genitori, essendo entrambi morti quand’egli era poco più che un neonato.

Dopo la scomparsa di Shun e June, Ikki si era preso cura dei tre nipoti, ma per Saburo era stato più di un tutore: si trattava dell’unica figura genitoriale che avesse mai incontrato.

Inoltre, chiunque avesse conosciuto Ikki in giovane età affermava che la somiglianza col nipote fosse tale da farlo scambiare per il suo diretto erede.

“Saburo, getta quei turpi paramenti, non si addicono ad un guerriero come te.”

“Loro hanno scelto me” - rispose con un mezzo sorriso di sfida - “ora sono Saburo di Bennu, della stella della violenza celeste.”

“Tu sei l’erede delle ali della fenice, non il tirapiedi di un dio che ha già arrecato sufficiente dolore nella nostra famiglia!”

“Non accetto prediche da uno come te Ikki, tu che hai affrontato i tuoi fratelli da nemico, per poi cambiare schieramento nel momento a te più comodo!”

Per anni Ikki era stato tormentato dalle sue azioni da comandante dei cavalieri neri presso l’isola di Death Queen, ma col passare del tempo, dopo aver dedicato la propria vita a combattere per Atena e per la giustizia, riteneva di aver lavato via quell’antica onta:

ecco invece il passato tornargli davanti in modo brutale, col volto del figlio adottivo, pronto a fargli pagare quegli errori di gioventù.

 

Leonidas si ergeva guardingo, circondati da numerosi specter, tra cui la persona per cui era giunto in quel luogo:
“Molto sciocco da parte tua venire privo di armatura.” - disse Violate sbuffando.

“Molto sciocco da parte tua unirti a questi perdenti.” - rispose il cavaliere.

“Siete davvero parenti allora” - commentò Eaco, che se ne stava appollaiato con le gambe a penzoloni sul banchetto sopra di loro - “senti che lingua tagliente!”

Violate grugnì irritata, e poi si gettò contro Leonidas, attaccandolo a testa bassa con enorme ferocia: ridotto a un decimo della propria forza, il ragazzo riuscì a stento ad arrestare quella carica.

Nonostante una stazza non particolarmente imponente, mascherata dall’imponenza della surplice, Violate aveva una forza fisica uguale, se non persino superiore a quella del vecchio Bull: fortunatamente Leonidas aveva imparato già da ragazzino a prendere un toro per le corna più con l’astuzia che con la forza.

Evitata la minaccia di Violate si scagliò contro gli altri avversari che lo avevano circondato, fulminandone alcuni col lightning plasma. Irritata per quella singolare corrida, Violate si lanciò nuovamente a passo di carica contro il suo avversario, ma anche questa seconda volta egli riuscì a neutralizzare la potenza del colpo con una flessuosa proiezione:
“Essere un cavaliere” - le disse Leonidas - “non vuol dire indossare soltanto un’armatura e lanciare attacchi sgargianti, ma diventare un guerriero completo: le arti marziali sono la base di tale preparazione. Mi avevano detto che ti stavi addestrando in oriente, eppure la tua tecnica è mediocre…”

“Tsk” - sbuffò la ragazza - “ora ti faccio vedere io!”

Tentò una terza carica, e mentre Leonidas la evitava lo circondò con un’ombra, da cui tosto uscirono diverse figure oscure che lo afferrarono immobilizzandolo, e approfittando di tale paralisi la giovane gli assestò un diretto sul ventre.

“Ora che mi dici?”

“Ti sei scoperta.”

Con un gesto rapido Leonidas liberò le braccia e caricò due ganci sulla testa della giovane:

“Ora saresti morta.” - sentenziò con le nocche poggiate sulle sue tempie.

Violate rimase basita in silenzio, ed il suo sguardo si incrociò con quello truce del cugino: i suoi occhi eterocromi non lasciavano trasparire alcuna emozione, parevano spenti, rivelando un raggelante torpore dell’animo.

La ragazza arretrò con un balzo e si rimise in guardia assieme ai compagni, ma una mano si fece largo tra loro, facendogli cenno di rimanere in disparte:
“Ci penso io: questo non è un avversario alla vostra portata.”

Gli specter si inginocchiarono, eccetto Violate che si limitò ad accennare un inchino:

“Sì, re Garuda.” - risposero i suoi servitori all’unisono.

 

Il gigante degli inferi si gettò su Leonidas ed i due si scornarono, causando uno spostamento d’aria tale da far oscillare la lunga chioma corvina di Violate:
“E’ davvero demoralizzante sapere che se non ci fosse questa barriera lo scontro sarebbe terminato in ogni caso con la tua vittoria…”

“Vedendo le tue movenze posso affermare che tu sia abile Garuda, e senza la mia armatura non sarebbe facile batterti anche nel pieno delle mie forze.”

“Ma tu celi qualcosa, vero? Te lo si legge negli occhi: una belva giace sopita in te.”

A quel punto entrambi ripresero a colpirsi furiosamente, ma in breve lo specter riuscì a portarsi in vantaggio:
“Hai rimproverato Violate per il suo modo di combattere, ma come puoi biasimarla se i tuoi stessi colpi mancano di convinzione?” - disse avventandosi su di lui con una tempesta di pugni velocissimi ed imparabili.

“Avrei voluto vederti al meglio, leone nemeo, ma adesso non ho tempo per le tue turbe!” - e dettò ciò lo colpì al torace, facendolo indietreggiare tossendo.

Il giudice sollevò le braccia, ed iniziò a bruciare ardentemente il proprio cosmo: attorno a lui comparvero masse di energia dalla forma di grandi occhi senza palpebre, il cui sguardo investì Leonidas, facendogli provare un profondo senso di nausea dentro le viscere.

“Questo non è solo un miraggio, ma un’illusione oscura che diventa realtà e ti rivolta l’animo, dissotterrando ciò che con tanta difficoltà cerchi di nascondere: Galactica Illusion!”

Leonidas venne travolto dal sinistro bagliore emanato da quegli occhi, ed in breve sentì sia il corpo che la mente venire fatti a pezzi per mano del potere del re Garuda.

 

 

 

Nonostante fosse ridotto ai minimi termini della sua forza, Ikki si ergeva, seppur affannosamente, dinnanzi agli specter; Saburo incredulo osservava quell’uomo che aveva inferto a lui e ai suoi compagni danni tanto pesanti da far pensare che la barriera stesse agendo su di loro anziché sul cavaliere.

“Lo vedi Saburo? A questo può ambire uno specter, mentre la mia forza, la forza della fenice, non conosce limiti.”

“Questo lo so, ma non posso farci nulla: c’è una stella malefica in me, non lo capisci? E’ questo il mio destino!”

“No, è una condanna che ti stai infliggendo da solo: torniamo a casa, e risolveremo questo problema, non è irreversibile, sono riuscito a salvare tuo padre anni fa da un male simile se non peggiore!”

“Però non sei riuscito a salvarlo dai suoi aguzzini…”

“Lo so, e non posso tornare indietro, ma tu sei qui davanti a me, e non me ne andrò fino a ché non tornerò col ragazzo che ho cresciuto.”

Saburo si avvicinò in silenzio, bruciando il proprio cosmo, ed Ikki sciolse la guarda mostrando il petto:
“Ma se credi che questa sia la tua strada, allora avanti: fallo.”

Lo guardò negli occhi fermi e privi di indecisione, sentendosi schiacciare persino in quella posizione di superiorità apparente.

Infine abbassò il pugno e Ikki sorrise sollevato:

“Andiamocene da qui ragazzo.”

 

In un istante il sorriso si mutò in una smorfia, sotto lo sguardo attonito del giovane Saburo.

 

“Lo sapevo, sei soltanto un debole Bennu.” - sentenziò Minosse ritirando i propri fili dal collo di Ikki, mentre un’enorme fiotto di sangue uscì dalla sua gola e ricoprì il viso sconvolto di Saburo, il quale non poté far altro che rimanere in silenzio ad osservare l’uomo che lo aveva cresciuto crollare a terra privo di vita.

 

La fenice era caduta.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** La notte più lunga ***


Violate entrò di scatto nella stanza, spalancando la porta: Kaspar sedeva a terra, intento a tastarsi la testa dolorante.

“Che cosa è stato?” - domandò trafelata.
“Qualcuno mi ha preso alla sprovvista e ha preso il prigioniero…” - rispose lo specter, visibilmente in stato confusionale.

“Merda… io vado a cercare di riprenderlo!”

“Mi dispiace sorellona…” - si scusò Kaspar mortificato.

“Non ho tempo adesso.” - sentenziò per poi slanciarsi dalla finestra, sparendo nella notte.

 

6 frantumò una bottiglia di alcol sulla legna, e dopo averci gettato un fiammifero sopra, la pira iniziò ad ardere intensamente; a quel punto la ragazza trascinò il materasso accanto al fuoco.

“Ma tu guarda se proprio a me doveva capitare una seccatura simile…!” - grugnì mentre camminava avanti e indietro per la casupola.

 

Di colpo la porta si aprì violentemente, e sulla soglia del casolare apparve la specter di Behemoth.

 

“Ma cosa…”

Violate vide la pira, e accanto ad essa il giaciglio improvvisato su cui giaceva inerme Leonidas, avvolto da numerose coperte pesanti; non c’era centimetro del suo corpo che non fosse coperto da abrasioni o tagli sanguinanti, e ad ogni suo affannoso respiro si potevano ben udire sinistri rantolii, come se il giovane non avesse più la forza nemmeno per tossire e scacciare il sangue che gli si stava riversando nelle vie respiratorie.

“Ma cosa stai facendo?!”

6 si voltò ringhiando:

“Cerco di scaldarlo stronza, è sempre più freddo!”

“Non ce la farai mai in questo modo!”

Detto ciò Violate iniziò a sfilarsi la surplice di dosso:
“Spogliati.” - le intimò la specter.

“Eh?”

“Togliti quei cazzo di vestiti o morirà!”

 

 

Luce: così tanta luce.

Eppure in mezzo a quel bagliore Leonidas poteva distinguere nettamente della sagome.

Lentamente il giovane si avvicinò a quei corpi in controluce, ed i loro volti iniziarono a delinearsi nei suoi occhi:
«Amici…»

Erano tutti là: Lun, Bull, Alexander, e tutti gli altri.

Stavano immobili, senza dire una parola, e ad ogni passo gli parevano sempre più lontani.

«Non andatevene…»

Inutili le suppliche, nessuno rimaneva, neppure la ragazza dai lunghi capelli biondi al centro del gruppo.

«Non lasciatemi… non lasciatemi!»

Inutile anche quel grido disperato: tutti semplicemente si voltarono dandogli le spalle, e sparendo nella luce.

 

«Avrei dovuto salvarvi…»

 

Tutto era confuso, ovattato, scuro, eccetto una fiamma che ardeva sfocata nei suoi occhi indolenziti.

Sentì qualcosa premere sul suo corpo, ma non riusciva a muoversi per vedere o toccare qualunque cosa di cui si trattasse.

Era soffice al tatto, ed emanava un tepore che aveva già sentito in passato sulla sua pelle: si trattava di calore umano.

Dopo alcuni istanti riuscì ad abbassare lo sguardo, e con la coda dell’occhio poté vedere due figure femminili dormire abbracciate a lui; dopodiché si perse nuovamente nell’oblio della propria mente.

 

«Sei così debole…»

Nell’oscurità un’enorme figura spettrale dagli scintillanti occhi ambrati opprimeva Leonidas.

«Con tutto il potere che hai non sei riuscito a salvare nessuno, figlio mio.»

Leonidas voleva urlare, ma si sentiva paralizzato dalla sinistra imponenza del fantasma del padre.

«E’ per questo che rimarrai sempre solo.»

«V-vattene…» - tentò di dire, ma ad ogni suono emesso era come se qualcosa gli schiacciasse il petto, impedendogli di respirare.

«Non c’è niente in questo mondo per quelli come noi.» - sentenziò Tifone mentre la sua ombra si espandeva, avvolgendo ogni cosa di quella tenebrosa dimensione.

 

“Vattene!!!” - gridò infine Leonidas destandosi da quel sonno inquieto.

 

Ruotò leggermente il capo, per quanto l’atroce dolore ai muscoli glielo consentisse, e notò una figura sedere davanti al fuoco:

“Ti sei svegliato, era ora.”

“Violate…?”

La giovane rispose annuendo affermativamente col capo.

Leonidas scrutò il luogo dove si trovava, e dopo un iniziale smarrimento lo riconobbe:
“Questa è la casa di 6… ma lei dov’è?”

“E’ andata a prendere del cibo in città.”

Tremulo il ragazzo tentò di rialzarsi, e Violate gli andò in contro per sorreggerlo:
“Sta giù, non sei ancora in grado di muoverti.”

La guardò negli occhi corvini, e gli tornò alla mente quel giorno in cui Loki l’aveva salvato e si era presa cura di lui e quel pensiero gli fece abbozzare un sorriso sulle labbra spaccate.

“Che hai?”

“Niente, è che mi ricordi davvero tanto una persona…”

“Allora deve essere un tuo tipico vizio, quello di associare la gente ad altra gente.”

Leonidas assunse un’espressione interrogativa.

“6 dice che la guardi come se fosse un’altra persona.”

“Il suo è un caso diverso, ma non posso darle torto.”

A quel punto i due tacettero per alcuni silenziosi istanti, interrotti solo dallo scoppiettio del fuoco.

 

“Chi è Lambda?”

 

Leonidas guardò la giovane perplesso.

“Continuavi a ripetere questo nome, assieme a tanti altri, ma tra tutti quello che chiamava più spesso era questo.”

“Era la donna che amavo.”

Capendo la pesantezza di quel era, Violate gli accarezzò la mano con delicatezza:
“Mi dispiace.”

“Non eravamo forse nemici?”

“E questo che c’entra?”

“Ti sei presa cura di me e mi hai persino scaldato col tuo corpo…”

A quel punto Violate, la quale riteneva che il ragazzo non potesse ricordare tale fatto nello stato di incoscienza in cui era sprofondato, arrossì imbarazzata e strinse i denti in una smorfia aggressiva.

“Perché lo hai fatto?”

“La tua morte non era necessaria, anzi, Eaco ha ordinato esplicitamente di tenerti in vita.”

“E Ikki?”

“Lui purtroppo è caduto nello scontro.”

“Capisco…” - commentò rattristato dalla notizia della scomparsa del cavaliere.

“Ad ogni modo ora non sono più in pericolo di vita…”

“Mica tanto.”

“Però potresti portarmi di nuovo nel castello, ed io non riuscirei ad opporre resistenza.”

“Hanno atteso tre giorni, ne attenderanno un altro.”

“Tre giorni… ho dormito così tanto?”

“Già, anche se più che dormire si può dire tu abbia lottato.”

 

In quel momento la porta si aprì, e 6 entrò con in mano una busta.


“Ah, ti sei svegliato.” - commentò freddamente appoggiando il sacchetto su un mobiletto in legno.

“Ho preso delle garze nuove, quelle che hai addosso sono tutte intrise di sangue.”

“Io… ti ringrazio.”

“Ora siamo pari.”

“Come?”
“Per i fatti di tre anni fa: tu mi hai salvato la vita, ora io l’ho salvata a te, siamo pari.”

 

A quel punto Violate si alzò in piedi e fece per guadagnare l’uscita.

“Aspetta…” - disse Leonidas.

“Il mio lavoro qui è finito, dovevo tenerti in vita e l’ho fatto; tornerò a prenderti fra qualche giorno.”

“Se tornerai non potrai contrastare il leone nemeo.”

“Staremo a vedere.”

Detto ciò sparì com’era giunta: correndo nell’oscurità.

 

“Una seccatura in meno.” - commentò 6 mentre estraeva dal sacchetto alcune scatolette di cibo - “Mi avevi detto che non vi eravate mai incontrati, giusto?”
“Sì, è così.”

“Strano, non si direbbe.”

“Per quale motivo?”

“Non ha fatto altro che pensare a te in questi giorni, come se la sua vita dipendesse dalla tua.”

“Anche tu però mi sei stata vicino.”

6 sbuffò ridacchiando:
“E’ stata una sua idea, non metterti in testa strane cose su di me… e nemmeno su di lei comunque: è pur sempre tua cugina no?”

“Anche Lambda.”

“Ah già; certo che sei davvero un pervertito, caro il mio leoncino…”

Leonidas riuscì infine a mettersi seduto, rivelando il torace tappezzato di ferite:
“Passami le garze per favore.” -le chiese mentre si levava le bende incrostate.

6 gliele porse ed il ragazzo le srotolò, ma appena provò ad applicarsele constatò che le sue braccia non riuscivano a muoversi abbastanza da fare un giro del suo torace.

“Che spettacolo pietoso…” - commentò 6 portandosi accanto a lui ed iniziando ad avvolgergli le fasce.

“Grazie.”

6 non rispose, limitandosi a borbottare stizzita.

Sentendo quelle mani, il corpo di Leonidas ebbe un sussulto, riconoscendone il tocco; quella reazione involontaria fece nascere un flebile risolino in Leonidas, che per via del silenzio e della vicinanza 6 poté udire distintamente.

“Cos’hai da ridere?”

“Niente…”

“Non prenderti gioco di me.”

“Non lo faccio, è solo che qualche giorno fa avevi detto di volermi uccidere e ora…”

“Stai cercando di provocarmi? Non ti conviene: se non ti ho ancora fatto fuori è solo perché sei ridotto talmente male che la tua morte sarebbe un merito del Garuda, e non mio.”

“Posso farti una domanda?”

“Fa come ti pare.”

“Hai mai detto la verità a te stessa, almeno una volta nella vita?”

Le mani della ragazza si arrestarono e lei si levò in piedi davanti a lui di scatto, gettando rabbiosamente a terra il rotolo delle garze:
“Smettila di prenderti tutte queste confidenze. Se ho fatto quel che ho fatto avevo le mie ragioni e non ti devo spiegazione alcuna: pensi di conoscermi? Non sai nulla di me.”

“So quel che hai passato.”

“No, non ne hai la minima idea: ogni giorno, ogni ora, attendevo in una caverna, incatenata come una belva, l’arrivo di qualche aguzzino pronto a tagliuzzarmi per compiacere la signora dell’Olimpo. Mi hanno fatto a pezzi e poi rimesso assieme solo per il gusto di farlo, ancora, e ancora, e ancora!”

“Ed è per questo che Lambda ha dato la sua vita.”

“Io non le devo nulla, e non devo di certo nulla a te ora! Dopo tutto quello che ho passato poi mi sono dovuta umiliare avvinghiandomi alla tua carcassa putrescente!”

A quel punto 6 si voltò lesta, e si avvicinò all’uscita:
“Sai che ti dico? Tieniti il gatto, gli agi, questa fogna, e tutta l’immondizia che c’è qua dentro, prenditi tutto! Non avevo niente, e tu con quello sguardo commiserevole sei riuscito a prendermi anche la mia identità!”

Poco prima di giungere alla porta, 6 si voltò nuovamente verso Leonidas, lo guardò negli occhi ed avvicinò la mano al proprio capo, puntandola spiegata a mo’ di lama:
“Ma prima di andarmene voglio darti quest’ultima lezione.”

Un piccolo lampo di energia tagliente uscì dalla mano, e 6 si recise la chioma argentea con un taglio netto:

“Io non sono la tua ragazza morta.” - sentenziò mentre una pioggia di crine si adagiava ai suoi piedi.

Si girò e fece per uscire, ma sentì una mano afferrargli il braccio:
“Ti prego, non andartene anche tu…”

Dopo quel gesto repentino, Leonidas crollò nudo ai suoi piedi, tremando e tossendo.

6 lo osservò basita:
“Idiota, fare uno scatto del genere in quelle condizioni e per di più scoprendoti tutto…”

Si chinò e lo prese tra le braccia:
“Ora ti riporto a letto, dopodiché non ci rivedremo mai più.” - gli disse, senza tuttavia ottenere risposta alcuna.

D’improvviso 6 sentì il corpo del cavaliere iniziare a muoversi spasmodicamente, e tosto lo poggiò sul materasso, confusa e spaventata. Afferrò un tovagliolo per asciugargli il sudore che sgorgava copioso dalla pelle, e toccandolo si accorse che il suo corpo era diventato rovente:
“Merda, merda, merda! Non potevi startene buono, stronzo?!”

Prese un panno bagnato con l’acqua fredda e glielo posò sulla fronte, dopodiché gli strinse la mano e si chinò accanto al giaciglio:
“Non ti azzardare a morire, non farmi questo scherzo, maledetto!”

 

Passata una mezz’ora, la temperatura corporea di Leonidas ritornò normale, ed egli privo di forze crollò nuovamente.

 

6 non riusciva a schiodarsi da lì: lei aveva sopportato le pene dell’inferno, ma non aveva mai visto un altro essere vivente soffrire in quel modo, e l’idea che quel tormento potesse ricominciare la terrorizzava.

 

Rimase accanto a lui tutta la notte; la febbre saliva e scendeva, e ogni volta lei procedeva a bagnargli il capo e a stringergli la mano per fargli forza.

 

Verso l’alba arrivò la crisi peggiore, accompagnata da nuovi spasmi, e quando questi furono cessati, Leonidas, completamente preda della febbre iniziò a vedere ad occhi aperti davanti a sé tutti i compagni che aveva visto nel sogno della luce.

 

6 notò che il suo sguardo non era perso, ma fissava qualcosa che lei non vedeva, e quando udì Leonidas chiamare nuovamente i nomi detti le sere prima, si voltò e lo vide scoppiare in lacrime:

“Non lasciatemi… vi salverò! Vi salverò! Vi salverò!” - gridò disperato in preda al pianto.

“Non andatevene vi prego!”

 

Soffriva nel corpo, soffriva nell’animo: in quel momento 6 si rese effettivamente conto del dolore di quel superstite.

Gli occhi le si fecero lucidi, e rassegnata alla sofferenza si chinò appoggiandosi accanto a lui sul materasso, mentre Leonidas recitava i nomi dei cari perduti, come una preghiera funebre.

In alcuni momenti sembrava recuperare parte della lucidità, e spiegava come se qualcuno lo avesse interrogato:
“C’era Viktor, tra le mie mani, carbonizzato, e non ho potuto salvarlo!

C’era Lun, o fratello mio, non ero neanche presente quando mi hai lasciato per sempre!

E poi Alexander, che si spegneva e non riuscivamo a fare niente se non piangere!

E ogni notte tornano, e sono lì, ma non riesco mai a salvarli!

C’era anche Ian, era così giovane, ed è morto, davanti a me, e non ho potuto fare nulla, ed ora lui è…è…”

In quel momento gli apparve la visione del giovane cavaliere della vergine che lo guardava sorridendo beffardamente, con indosso la fosca armatura del re degli inferi.

6 sconvolta si portò la mano sulla bocca, mentre le lacrime le rigavano il viso, e Leonidas la guardò:

“Non piangere Lambda, ti salverò questa volta, questa volta…” - ripeté disperato.

“Io non sono Lambda 7…” - sospirò piangendo 6 - “… però sono qui, non ti abbandonerò.”

Solo in quel momento si accorse che Leonidas aveva perso conoscenza prima di poter udire quella sua ultima frase.

 

E mentre il sole del mattino irradiava placido la casupola attraverso le fessure, ed il fumo nero dei tizzoni ormai spenti saliva silenzioso, terminava per Lambda 6 la notte più lunga che avesse mai vissuto.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Dubbio ***


Leonidas aprì lentamente gli occhi; tutti i suoi sensi erano ovattati, e per un bel po’ si sentì totalmente disorientato.

Quando vide 6 accanto a sé, per un istante pensò di essere tornato a quei giorni in cui si era addestrato con Lambda a Firenze, ed un mattino lei era lì ad osservarlo pensierosa, seduta accanto al letto.

“Che cosa è successo…?”

“Hai passato una nottataccia.” - rispose 6 pacatamente.

Quando riuscì a mettere a fuoco la vista, notò la novità nel look della ragazza:
“I tuoi capelli…”

“Li ho tagliati ieri sera, ricordi?”

“No, ricordo solo Violate che se ne andava e poi…” - a quel punto si tastò le tempie massaggiandosele - “… è tutto sfocato.”

“Quindi non ricordi davvero quel che è accaduto stanotte?”

Leonidas fece cenno di no col capo, e 6 si sentì sollevata che non ricordasse ciò che aveva fatto o detto, ma allo stesso tempo la cosa la intristì un po’.

“Hai avuto la febbre alta, a un certo punto deliravi.”

“Capisco.” - commentò Leonidas senza emozione.

“Hai parlato anche di quel cavaliere, Ian… ricordo che tu e Phoenix lo avete nominato vedendo Ade al castello, aggiungendo poi che fosse impossibile che si trattasse di lui.”

“Ma era lui, ne sono certo, o almeno, quelle erano le sue fattezze…”

“Però sembrava in qualche modo conoscerti.”

“Forse il re degli inferi conserva parte della sua memoria e dei suoi ricordi.”

“Sì, è probabile.”

“Ian era un mio compagno cavaliere, ed era anche un caro amico che ho perso tre anni fa durante la battaglia al palazzo di Zeus; ricordo chiaramente il suo corpo venire polverizzato dal re dei cieli stesso…”

“Forse era solo un inganno.”

“Ian ha sempre avuto capacità fuori dal normale, e mi disse poco prima di scomparire che stava studiando le numerose vie del cosmo attraverso cui poter accedere a nuovi modi di intendere l’esistenza, mai tuttavia avrei immaginato potesse addirittura trovare il modo di resuscitarsi…”

“Probabilmente ciò è dovuto al potere di Ade; forse ne era già posseduto a quei tempi.”

“Non credo, o comunque nessuno se ne è accorto, anche se in effetti ci concentrammo più sul percepire i nemici e una cosa del genere non avrebbe avuto peso ai nostri occhi…”

Mentre Leonidas rimuginava pensoso alla faccenda, Lambda gli porse una caraffa con dell’acqua, e lui la accettò di buon grado.

Lì per lì non diede molto peso a quel gesto, ma dopo qualche istante la osservò stupito:
“Che c’è?”

“Niente.”

“E allora piantala di fissarmi.”

“E’ che… volevo ringraziarti nuovamente per esserti presa cura di me.”
“Di nulla.”

Leonidas si meravigliò nuovamente, sentendola accettare i ringraziamenti invece di rispondere con qualche motto cinico o rabbioso.

“Tanto per essere chiari” - disse lei vedendo la sua espressione colpita - “volevo dirti un paio di cose…”

La ragazza fece una pausa, e Leonidas rimase comunque in ascolto senza dire niente.

“Ecco, diciamo che per un po’ farti fuori non sarà nella mia agenda… questo non vuol dire nulla, quando questa storia sarà finita non voglio vederti più, chiaro?”

“Chiaro.”

“Inoltre, puoi chiamarmi Lambda; anche se è già di qualcun altro è comunque il mio nome, e sono stufa di essere chiamata con uno stupido numero.”

Udendo ciò Leonidas, dopo tre lunghi anni, sorrise sentendosi rallegrare sinceramente l’animo.

“Sono davvero felice di ciò.”

“Non sono comunque la tua 7, non farti illusioni di alcun genere: come ho detto fra noi non c’è assolutamente nulla.”

“Mi sta bene.”

“Ottimo.” - disse prendendo un paio di arance - “Hai fame?”

“Sto morendo di fame.” - rispose prendendone una senza fare complimenti.

“Sono buone, ma è difficile trovarle di questi tempi…”

“Non se vai a rubarle nei monti sacri del Santuario.” - ghignò la ragazza compiaciuta, e Leonidas la guardò con disappunto.

“Ehi, dovrò pur campare in qualche modo!”

“E i cavalieri che pensavano ci fosse qualche grosso uccellaccio…”

“Già, un rapace ferocissimo!” - ridacchiò addentando uno spicchio del frutto, al ché Leonidas scuoté il capo sbuffando sorridente.

 

Il resto della giornata passò tranquillamente, e Leonidas per lo più la trascorse riposando.

Ad un certo punto Lambda si assentò brevemente, per poi tornare con dei nuovi vestiti:
“Ora puoi smettere di fare il nudista.” - commentò porgendogli gli indumenti.

“A dire il vero siete state tu e Violate a spogliarmi…”

“Non che ci fosse molto da salvare, quel che non era lacerato era intriso di sangue; e poi non lamentarti, è tutta roba nera, come quella che indossavi.”

A quel punto Leonidas la scrutò, osservando quella felpa sgualcita e quei pantaloni logori e pieni di tagli:

“Anche tu però dovresti metterti qualcosa di nuovo…”

“Finché non sento freddo questi vestiti vanno bene e non farti ingannare dall’aspetto, li lavo.”

“Sarà, ma non ti si addicono…”

“E sentiamo, che cosa sarebbe più consono alla mia persona?”

Consono io volevo soltanto dire che non sta bene andare in giro ridotti così.”
“Senti chi parla, te ne sei andato in giro come un barbone per tre anni!”

Leonidas ridacchiò incalzato:

“Già… e a proposito, data la tua abilità con le forbici, avrei un favore da chiederti.”

“No ma prego, in fondo non ho fatto nulla per te a parte ospitarti sotto il mio tetto, nutrirti e offrirti il calore del mio corpo.” - rispose con sarcasmo, ma senza malizia.

Leonidas si indicò la folta chioma corvina, e Lambda, inteso il messaggio, tirò fuori da un cassetto un paio di forbici vecchie ma dalla lama ancora buona.

 

Il cavaliere si guardò allo specchio, e nonostante il taglio fosse abbastanza dozzinale, apprezzò il fatto di poter rivedere le proprie orecchie, a lungo rimaste sepolte sotto quella criniera.

“Ehi Narciso, hai finito di ammirarti?” - lo sfotté Lambda.

“Beh ecco, hai lasciato un ciuffo più lungo qui, e qui…” - rispose lui col medesimo spirito di scherno.

“Guarda che te li taglio a zero mentre dormi se fai troppo lo spiritoso!” - continuò agitando le forbici in aria, dopodiché entrambi ridacchiarono, e Leonidas si sedette sul materasso per riprendere il suo sonno.

 

 

Verso le prime luci del mattino seguente Leonidas si svegliò, sentendosi per la prima volta dopo diversi giorni pienamente ristorato; tutta via il suo risveglio venne turbato da un cosmo imponente che ardeva fuori dalla casupola.

Si alzò e lentamente giunse fino all’uscio: davanti al porticato trovò Lambda, che si ergeva dinnanzi ad un uomo bardato vestente una surplice alata, avente al seguito un altro cavaliere con un’armatura nera e dalla chioma canuta.

 

“Oh, Leonidas, vedo che ti sei ripreso più o meno…”

“Sei venuto a prendermi, re Garuda?” - rispose Leonidas avvicinandosi.

“Il mio signore” - intervenne Kaspar sorridendo cordialmente - “desidera solo parlare.”

“Come va la testa ragazzino?” - domandò Lambda ridacchiando strafottente.

“Il bernoccolo è rimasto qualche giorno, ma ora sto meglio.” - rispose lo specter senza sciogliere il sorriso.

“Ad ogni modo, come ha detto il mio araldo, desidero parlare con te, cavaliere.”

Leonidas e Lambda si guardarono perplessi, dopodiché il ragazzo si rivolse allo specter:
“Parla.”

“Quello che sto per dirti è della massima importanza, e una volta che l’avrai udito, la tua via sarà in pericolo, e naturalmente anche la tua, ragazza.”

“Per me non c’è problema.” - disse Lambda rivolgendosi a Leonidas.

“Neanche per me.” - aggiunse a quel punto il cavaliere.

“Quando hai visto lord Ade mi è parso di capire che vi conosceste.”

“Sì, Ian, il ragazzo da lui posseduto, era il precedente cavaliere della vergine.”

“Ne ero al corrente, e ritenevo che fosse appunto posseduto dal signore degli inferi, ma invece…”

“Non è così?” - domandò Leonidas perplesso.

“C’è qualcosa di strano in lui, è come se a volte fosse un’altra persona: non parla molto, per cui è difficile capire cosa stia pensando, ma il suo sguardo si fa meno vacuo, e in quegli occhi cerulei inizia a scintillare qualcosa…”

“Forse Ian è ancora vivo dentro di lui…”

“Forse, ma non è questo che mi turba: sono i globi neri ad impensierirmi.”

“Quelle sfere… dovrebbero essere centosei ora, giusto?”

“Sì, ma a parte Ade nessuno sa cosa accadrà alla comparsa della centottesima, e credo che neanche lui sappia del vero potere celato in esse: la loro sostanza è a guisa del potere del dio dell’oltretomba, ma nonostante un perfetto camuffamento, vedendone una da vicino ho potuto notare che emanavano una sottile patina di energia diversa dalla sua.”

“In altre parole Ian starebbe tessendo un inganno all’intera corte infernale; ma perché stai dicendo questo a me e non ai tuoi compagni?”

“Non so quanto la longa manus di questo ipotetico cospiratore si estenda tra gli specter, e mi fido solo di Kaspar e Violate; tuttavia lei non sa nulla di tutto ciò perché non volevo farle correre rischi, qualora i miei dubbi venissero alla luce.”

“In pratica tu eri più sacrificabile?” - disse Lambda schernendo Kaspar.

“Offrirei la mia vita per salvare Violate se necessario, ma in ogni caso il motivo per cui sono stato scelto è puramente pratico: posseggo l’abilità di diventare inconsistente, e ciò mi permette di scappare alla svelta da qualunque inseguitore, sparendo magari tra i muri di un castello, se mi capisci…”

“Capisco… sei un fantasma in pratica.”

“In pratica.”

“Ad ogni modo” - ricominciò Eaco - “devo chiederti una cosa della massima importanza: cosa credi potrebbe accadere, se Virgo con il potere di un dio potesse attivare simultaneamente dei manufatti capaci di alterare l’esistenza?”

Leonidas si portò la mano sul mento ed iniziò a rimuginare:
“Ian ha sempre voluto migliorare il mondo, ma negli ultimi giorni che ho passato con lui mi confessò di essere alla ricerca dell’essenza di una conoscenza assoluta del cosmo, e che aveva cercato di capire il fenomeno che mi coinvolse quando divenni pura energia assieme ad Atena…”

In quel momento il ragazzo parve come avere una terribile illuminazione:

“Potrebbe voler riprodurre quell’evento su scala mondiale.”

“Ma perché dovrebbe?” - gli domandò Lambda turbata.

“Non saprei, però ha agito senza mai cercare di contattare me o gli altri cavalieri, e l’unica spiegazione è che stia preparando qualcosa che probabilmente noi non approveremmo.”

“Forse prepara una sorpresa…” - commentò ingenuamente Kaspar.

“Non credo farà contenta nessuna parte questa sorpresa.” - aggiunse Eaco - “Ora ascoltami cavaliere, non ho bisogno che tu venga con me, ma ti devo chiedere di mantenere il silenzio: non andare a riferire queste cose al Santuario, poiché non possiamo sapere se ci sono spie, e se dovesse saltar fuori il mio nome tutti i miei sottoposti sarebbero compromessi, Violate inclusa.”

“Ian era un ragazzo colmo di bontà e gentilezza e non avrebbe mai tessuto trame ai danni di persone innocenti, ma quello che ho visto non era del tutto lui… forse stava fingendo, o forse l’anima di Ade ne ha corrotto l’animo.”

“Sono confuso almeno quanto te, credimi.”

“Ma dimmi, Garuda, cosa accadrebbe se le tue fossero solo paranoie, e quello fosse davvero Ade?”

“Inizierà una guerra santa, e combatteremo da nemici sul campo di battaglia.”

“Desidereresti ciò?”

“Io seguo solo la mia stella, anche se ciò mi dovesse portare alla morte.”

“E Violate?”

“Purtroppo va considerata anche l’evenienza della sua dipartita, in un eventuale conflitto.”

“Perché non tentare la via della pace? Potremmo giungere ad un compromesso e…”

“Potremmo, se fossi io a decidere le sorti dell’armata infernale, ma è Ade il nostro padrone, e non verrebbe mai incontro ad Atena o ai suoi alleati.”

“Non sei costretto a servire un padrone crudele e ingrato.”

“Come ho detto, seguo la mia stella, la quale è legata in maniera inscindibile al signore degli inferi; purtroppo non abbiamo tutti la forza del leone nemeo, possiamo solo servire coloro a cui siamo devoti morendo per essi, e contrastando i loro nemici. Se ti sembra una vita vuota, sappi che è così che hanno vissuto tutti i cavalieri e gli specter prima di te, lottando, e lottando ancora, come pedine di una scacchiera.”

“I cavalieri servono Atena per difendere la vita.”

“Non ho mai messo in discussione la nobiltà della vostra causa, ma voglio solo farti notare come non si sia mai riusciti a giungere a qualcosa che andasse oltre alla violenza; naturalmente possiamo attribuire ciò alla irremovibilità di Ade, ma non spetta certo a uno dei tre giudici al suo servizio arrovellarsi su tali questioni. Vuoi cambiare le cose? Sei libero di farlo, iconoclasta.”

Pronunciate tali parole, i due specter si voltarono e fecero per andarsene, ma Eaco volle riferire un ultima cosa prima di alzare i tacchi:
“Violate ti vuole davvero bene; non so cosa tu le abbia fatto, ma sembra conoscerti da una vita. Fra due giorni, quando probabilmente attaccheremo, forse non sarò più quello che sono e potrei non essere in grado di proteggerla: ti chiedo di farlo al posto mio, se ciò dovesse accadere.”

A quel punto i due scomparvero sfrecciando come lampi neri verso le aride colline dell’Attica.

 

“Che cosa intendi fare?” - domandò Lambda.

“Non posso avvisare gli altri, devo considerare la possibilità di spie all’interno del Grande tempio.”

“Possiamo fidarci di quello lì? Magari si sta servendo di Violate per far leva sui tuoi sentimenti e manipolarti come gli piace.”

“Se intende manovrarmi lo fa a suo rischio e pericolo: la progenie infernale è un potere instabile, e molti hanno avuto un triste epilogo quando questo gli si è ritorto contro. In ogni caso, fra tre giorni tornerò al Santuario, riprenderò la mia armatura, ed infine andrò dritto da Ian, Ade o chiunque egli sia.”

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Il centottesimo giorno ***


 

Da qualche parte, nel mondo, in mezzo ad una radura verdeggiante, un piccolo globo nero prendeva forma, e lentamente si alzava a mezz’aria fluttuando senza emettere alcun suono.

In quello stesso momento le prime luci dell’alba illuminavano il Santuario di Atena.

 

Come tanti corvi neri, gli specter se ne stavano appollaiati sulle alture che cingevano il Grande tempio per proteggerlo, immobili ed in silenzio.

 

“Dunque sono arrivati, esattamente al centottesimo giorno com’era stato detto…”

Kypros si allontanò dalla finestra, ed iniziò ad indossare l’armatura dei pesci: era giunto il momento di scendere nuovamente sul campo di battaglia dopo tre anni.

 

Giunse alle pendici delle dodici case, seguito da Miia e dai cavalieri d’oro, e vide il volto dei guerrieri della sua esigua armata: nessuno aveva dimenticato la battaglia di tre anni prima, e il pensiero dei compagni caduti gli si era impresso nella mente assieme all’idea di essere sopravvissuti soltanto per caso.

Un grande terrore stava calando presso i cavalieri, stanchi nell’animo e con le cicatrici ancora pulsanti per le ferite inferte dai guerrieri dell’Olimpo.

“Guardali, tremano per la paura…” - disse Silen rivolgendosi a Kypros.

“Non tanto degli specter, ma della guerra stessa; è come se avessero perso lo spirito guerresco.”

“Come biasimarli… però ora il mondo ha bisogno di loro, e soprattutto loro hanno bisogno delle parole del Gran sacerdote.”

Kypros annuì solennemente, e dopo aver meditato un istante in silenzio ad occhi chiusi, si rivolse ai cavalieri:
“Vedo la paura nei vostri volti, e vi capisco, perché anch’io provo lo stesso: non ho dimenticato i fatti accaduti tre anni or sono. Tuttavia noi ci troviamo qui ed ora, e non possiamo permettere che il passato sia d’ostacolo al presente, negandoci un futuro.

Combattiamo assieme, rimaniamo vivi per onorare coloro che non ci sono più e, come abbiamo fatto tre anni fa, restituiamo al mondo la luce che ormai sembrava irrimediabilmente persa.”

In quel momento, tra i cavalieri, apparve una figura dai capelli fulvi con indosso un’armatura d’argento:
“Noi siamo i cavalieri della speranza, non lasciamoci atterrire dai servi della morte: li ho già affrontati quando ero un bambino, e posso garantirvi che non sono invincibili come sembrano, specie dinnanzi a una ferrea volontà di proteggere chi ci è caro.”

Vedendolo, Kypros sorrise sollevato:
“Kiki dell’Altare, che piacere vederti…”

“Anche per me, nonostante non sia un buon vento quello che mi riporta qui al Santuario.”

“Ora dovremmo esserci tutto, a parte…”

“Leonidas e Ikki…”

 

 

Ad un certo punto, diversi minuti dopo la comparsa degli specter, il sole parve oscurarsi, e nel cielo cinereo apparve il signore degli inferi con indosso la sua possente armatura nera:

“Miei fedeli specter, siamo infine giunti alla fine della nostra corsa: molte guerre abbiamo lottato, e in ognuna di essa siete usciti sconfitti, feriti o uccisi nei modi più indicibili. E’ vero, vi è stata promessa la salvezza molte volte da parte mia, ma quest’oggi la storia prenderà una svolta inedita: trionferemo, e potrete assistere alla nascita di un mondo nuovo, un mondo giusto.”

Udite quelle parole gli specter spezzarono il silenzio infervorandosi, e la loro esultanza fragorosa rimbombò lungo tutto il Santuario.

Centotto specter si accingevano ad abbattersi contro neanche trenta cavalieri, i superstiti della falcidia avvenuta sul monte degli dei.

 

Kiki si avvicinò al suo vecchio amico, John della lucertola, che dalla guerra contro gli dei se ne era uscito con un occhio in meno, e una lunga cicatrice su tutto il lato sinistro del volto:

“Dobbiamo fare una barriera.”

“Non resisterà molto.” - rispose John mettendosi in guardia.

“Resisterà il necessario.”

“Tu pensi che potremo vincere?”

“Abbiamo ancora i cavalieri divini dalla nostra parte.”

“Credi che Ade lo sappia?”

“Certamente.”
“Eppure ci attacca comunque.”
“Sa che non c’è Atena con noi.”
“Ed è qui che si sbaglia…”

“Già: Atena non ci ha mai abbandonati.” - sentenziò Kiki, iniziando ad espandere una barriera cristallina attorno ai cavalieri.

 

 

A quel punto Ade fece un cenno con la mano, ed i suoi fedeli sudditi si lanciarono verso il nemico come una inarrestabile e minacciosa cascata di bitume.

 

 

Una figura alata si distaccò dagli altri portandosi avanti, e Kiki e John videro le loro armature fatte a pezzi da un singolo pugno di quel terribile figuro:

“Morite, inutili cavalieri di Atena.”

Radamante caricò indietro le braccia, ed infranse i petti dei due, trafiggendoli a morte, mentre il resto dell’armata infernale lo superava avventandosi sui cavalieri, che non ebbero neppure il tempo di accorgersi della dipartita di quei due formidabili combattenti.

Radamante lasciò la presa e li scagliò a terra, dopodiché con le mani ancora imbevute di sangue si avviò furioso verso la battaglia.

Kiki spirò, incredulo che dopo tutte le avventure vissute al fianco dei suoi compagni, la sua storia potesse finire in quel modo; John invece perse i sensi afflitto dal pensiero di tutti gli allievi caduti che non era stato in grado di proteggere, e non si svegliò più.

 

I cavalieri d’oro e Deneb avevano risvegliato le armature divine, e praticamente da soli stavano tenendo testa all’esercito degli specter, contro cui ben pochi guerrieri riuscivano a non farsi sopraffare per via dell’enorme differenza numerica; d’un tratto riapparve la figura della viverna, che si faceva largo colpendo violentemente le sue stesse truppe.

Con un guizzo si portò sopra Eden, Alphard ed Atos, facendoli fuori con un singolo colpo che molti al Santuario avevano udito per via della sua terribile potenza: il Greatest Caution era un antico incubo tristemente noto per aver ucciso numerosi cavalieri.

 

Sconvolta e furiosa Miia si gettò contro lo specter, facendo ardere il proprio cosmo al punto da rendere dorata l’armatura dell’ofiuco.

Kypros fece per seguirla, ma davanti gli si parò un uomo dai capelli bianchi che ghignava beffardo:
“Ma che bel faccino che hai… impensabile che un angioletto simile sia colui che tira le fila di questa baracca.”

Al cavaliere dei pesci parve in qualche modo di riconoscere o comunque di aver già avuto a che fare con lo specter dinnanzi a lui: «Minosse»

 

Molti specter cadevano come colpiti da una misteriosa sonnolenza, e soltanto un guerriero avanzava incurante di tale sortilegio:
“La tua musica è come al solito ripetitiva, Mime.”

 

Mime e Yuria videro infine il fratello di cui non avevano più avuto notizie, trovandosi dinnanzi la conferma che uno dei loro peggiori sospetti fosse realtà:

“Saburo, sei vivo, ho temuto che…” - disse Yuria con gli occhi lucidi.

“Mai stato più vivo, sorellona!”

“Levati di dosso quell’empia armatura, è un insulto alla nostra famiglia.” - lo ammonì Mime con tono austero.

“Non puoi più darmi ordini: nemmeno immagini quanto sia diventato potente!”

“Tanto potente da aver ucciso nostro zio?”

Yuria impallidì sconvolta, e Saburo arricciò il naso stizzito:
“Come hai fatto a…”

“Ho promesso ai nostri genitori e a Ikki che non avrei mai usato la mia telepatia per entrare nelle vostre menti, ma volevo dare un’occhiata per capire cosa ti stesse frullando in quella testa puerile.”

“Tsk… non ho ucciso io Ikki comunque.”

“Però ti porti nel cuore la sua morte; perché?”
“Non sono affari che ti riguardano!”

Mime si mise in guardia imbracciando la lira:
“Sono tuo fratello.”

“Sei un cavaliere.”

Yuria non poté far altro che osservare i suoi fratelli prepararsi allo scontro, sentendosi vacillare al pensiero di doversi schierare dalla parte di uno dei due: come poteva scegliere tra le due persone che che amava più al mondo?

E mentre tali dubbi attanagliavano il cuore della cavaliera di Cassiopea, un lampo giunse sul campo di battaglia squarciando le tenebre e facendo fermare per un istante tutti i combattimenti:

il cavaliere del leone era infine arrivato e, per la prima volta dopo tre anni, indossava la sua corazza dorata.

 

Leonidas si guardò attorno, notando diversi suoi amici giacere in fin di vita o già spirati, e strinse i pugni rabbioso, dopodiché portò lo sguardo al cielo, dove Ade fluttuava con un sogghigno dipinto in volto:
“Ian…!” - ruggì furioso il leone nemeo, al ché il dio si voltò e si diresse ad ali spiegate lontano dal campo di battaglia.

Tosto diversi specter circondarono Leonidas e Lambda:
“Sta indietro.” - disse alla ragazza, che si fece da parte senza obiezioni.

Una griglia di luce avvolse gli specter, fulminandoli e facendoli a pezzi con il potente cosmo oscuro della progenie di Tifone.

A quel punto comparve il vero sfidante di Leonidas, con al seguito Violate e Kaspar:
“Fatti da parte, Garuda.” - tuonò minaccioso il cavaliere, ottenendo in risposta soltanto uno sguardo vacuo.

“C’è qualcosa di diverso in lui…” - commentò Lambda, e in quel momento a entrambi vennero in mente le parole pronunciate dallo specter alcuni giorni prima:

«Fra due giorni, quando probabilmente attaccheremo, forse non sarò più quello che sono…»

 

“Qualcosa alberga in lui, anzi nella sua armatura.” - aggiunse Lambda.

“Quello che vedete” - intervenne Kaspar, insolitamente serio - “è il rinnovato re Garuda: Ade ha donato il proprio sangue ai suoi tre giudici, che ora possono vantare una forza persino superiore a quella dei cavalieri d’oro divini.”

“Ma è stato doloroso” - soggiunse Violate - “il sangue del signore degli inferi non è generoso come quello di Atena, e soltanto chi ha un animo degno può sopportarlo senza perire; ma ciò che ne esce fuori non è più un semplice mortale…”

“Potrebbe persino essere una nuova persona, che ha ucciso la precedente…” - concluse Lambda.

“Ora basta, cedi il passo o affrontami!” - ringhiò Leonidas con una determinazione che lasciò impietriti tutti i presenti, eccetto Eaco che sorridendo beffardamente si mise in guardia, mentre la sua armatura mutava d’aspetto, divenendo più grande ed affilata.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** La furia degli specter ***


La battaglia infuriava, e sia i cavalieri che gli specter continuavano a calare, e nonostante la superiorità numerica di quest’ultimi, l’esito dello scontro era assolutamente incerto.

Una giovane ragazza dalla chioma canuta, priva di armatura, comparve sul campo di battaglia, e giunse dinnanzi ad un guerriero sulla cinquantina, impugnante una frusta:
“Papà…”

Lo specter di Balrog si voltò riconoscendo all’istante quei capelli bianchi, identici ai suoi:
“Serena, cosa ci fai qui?” - domandò con tono accomodante.

“Mi hai detto tu di venire al Santuario.”
“Ah già…” - annuì l’uomo in modo comprensivo - “Hai trovato quel che cercavi?”

“Io cercavo te…”

“Oh, piccola mia…”

I due si avvicinarono e Serena emozionata aprì le braccia per abbracciarlo, ma si accorse all’ultimo sgomentata che il genitore aveva caricato la frusta e si accingeva a colpirla.

 

“Miserabile…!” - urlò Keith ricevendo il colpo sul braccio, che sotto l’armatura si fratturò per l’impatto.

 

“Keith!” - gridò Serena incredula avvicinandosi al giovane cavaliere per accertarsi delle sue condizioni.

“Devi andartene Serena, quello che vedi non è tuo padre: quell’armatura nera lo possiede, ne corrompe l’animo…”

“Non posso abbandonarti ferito, per di più a causa mia!”

Keith la guardò e sorrise dolcemente:
“Ti prometto che distruggerò l’armatura e salverò tuo padre.”

Serena lo osservò senza parole, e il ragazzo la esortò:
“Adesso va, non posso combattere al meglio con te qui intorno, lo capisci?”

La giovane annuì in lacrime, ed infine fece per andarsene.

 

A quel punto il cavaliere d’oro si alzò, e lo specter lo schernì:
“Cosa pensi di fare con un braccio solo contro i colpi di Rune del Balrog?”

“Conoscevo una persona” - disse Keith - “era come un fratello per me, e mi ha insegnato a non arrendermi mai, anche quando la situazione sembra più disperata: si chiamava Lun, ed era tuo figlio.”

“Capisco… un vero peccato che non sia più qui con noi.”

“Serena mi ha detto che ti ha conosciuto tre anni fa, casualmente dopo la sua scomparsa…”

“Non per caso: troppo a lungo avevo ignorato coloro che avevo lasciato in questo mondo, e ho capito di aver vissuto in modo vuoto, terrorizzato da un’ombra…”

“Se volevi essere un padre per Serena perché hai cercato di attaccarla?!”

Un’aura oscura avvolse l’uomo, che sorrideva ma al contempo piangeva:
“Perché l’ombra mi ha infine preso…!”

 

 

Minosse scagliò Kypros a terra con violenza, frantumando per diversi metri il lastricato della strada; Kypros fece per rialzarsi, ma in quel momento vide davanti a sé Radamante che con una mano stringeva il collo di Miia, immobile, e con gli occhi privi di vita.

Una mano trafisse la schiena del cavaliere dei pesci, spaccando persino la sua armatura divina, e subito seguirono le risa beffarde del divino giudice infernale:
“Non temere Pisces, tra poco raggiungerai lei e anche tutti gli altri tuoi compagni!”

In quel momento un raggio scarlatto ed un getto gelato colpirono contemporaneamente Minosse, scalzandolo dal povero Kypros.

Silen gli giunse accanto e lo aiutò a rialzarsi, ma il ragazzo era rigido, come paralizzato:
“Devi combattere Kypros, abbiamo bisogno di te!” - lo esortò la ragazza priva di andarsene per sostenere l’altro cavaliere.

 

Kypros si guardò attorno, vedendo tutti gli amici con cui aveva vissuto perire uno dopo l’altro per mano della furia inarrestabile dell’armata infernale, e ripensò alla guerra precedente, dove la stessa scena si ripeteva, e poi alle altre battaglie in cui aveva preso parte: ognuna era identica alla precedente, e ognuna portava morte e disperazione.

Che senso aveva dunque continuare a lottare?

 

Minosse ghignava incuriosito dai due cavalieri divini che erano stati in grado di prenderlo alla sprovvista:
“Che meraviglia, altre prede da fare a pezzi, oggi porterò a casa ben tre teste di cavalieri benedetti da Atena!”

“L’unica testa che porterai sarà la tua, rotta e sanguinante…” - sentenziò Deneb.

“… e piena di atroci punture.” - concluse Silen.

“Fatevi avanti, dunque.” - disse Minosse allargando le braccia con un gesto accogliente.

 

I due si fiondarono sul giudice con un attacco coordinato, e questo pagò la sua eccessiva sicurezza incassando diverse punture e un vento che congelò parte della sua surplice.

Resosi conto del suo errore, aumentò al massimo il cosmo, e aprì una rete di fili energetici che bloccarono le braccia ai due proprio prima che potessero sferrargli un diretto sul volto, dopodiché strinse al massimo i fili, tanto da far incrinare le due armature divine: ma nonostante la morsa, Deneb era ancora in grado di sprigionare energia, e pertanto continuava a convogliare il suo cosmo glaciale sul corpo dello specter, che pian piano andava infiacchendosi.

Bastava che Silen sollevasse un braccio e scagliasse il temibile Antares per terminare lo scontro; ma la guerriera era paralizzata in quella ragnatela di energia, che le impediva qualunque movimento.

Minosse stava congelando, ma i due cavalieri soffocavano più velocemente, e la loro sconfitta era solo questione di tempo.

Mentre Minosse, pur agonizzante per il freddo, pregustava già la vittoria, il cavaliere del cigno sorprese tutti i presenti con un gesto drastico: tese il braccio sinistro in modo spasmodico, ed i fili energetici glielo tranciarono di netto, ma in questo modo riuscì a liberarsi per un istante e a lanciare con l’altro arto delle piccole lame di ghiaccio che liberarono Silen.

Prima che il giudice potesse fare qualcosa la cavaliera dello scorpione era già dinnanzi a lui, con la cuspide Antares conficcata nel ventre: l’ardente energia della costellazione di Scorpio si riverso in lui, ed il suo cuore iniziò a pulsare impazzito per l’enorme sbalzo termico, collassando dopo pochi istanti, mentre tutt’attorno al corpo si levava una nube cristallina.

Sferrato il colpo finale Silen si recò subito da Deneb, sorreggendolo mentre dolorante si premeva il moncone sanguinante:
“Stupido, cosa diavolo ti è saltato in mente?!” - esclamò la rossa strappandosi un pezzo di vestito ed usandolo come bendaggio.

“Abbiamo vinto no?” - rispose Deneb tentando di abbozzare un sorriso sul volto segnato dal dolore.

 

“No.”

 

Silen si voltò, e vide Minosse in piedi, pallido come un fantasma, e con l’addome spaccato, da cui sgorgavano copiosamente numerosi fiotti di sangue:
“Il grande Ade mi terrà in vita almeno fino a ché non vi avrò uccisi!” - ridacchiò lo specter tossendo sangue - “Avanti, fatevi sotto, cavalieri!”

“No.” - disse Silen rimanendo impassibile.

“Come scusa?”

“Non è necessario affrontarti: tu sei già morto.” - sentenziò la giovane.

“Cosa stai dicendo? Te l’ho detto, non morirò fino a quando…”

“Non senti nulla, sulla tua schiena?”

Il giudice in quel momento sgranò gli occhi e si voltò lentamente:
“Maledetto…”

Kypros si ergeva alle sue spalle, e dando la schiena a Silen e Deneb, Minosse rivelò le molteplici rose nere conficcate nel suo corpo.

“… che tu sia maledetto, pisces.”

Infine il grifone si accasciò a terra esanime.

Poco dopo Kypros cadde in ginocchio, e messosi le mani nei capelli scoppiò in lacrime sotto lo sguardo impotente di Silen: anche se avevano vinto, il cavaliere dei pesci aveva perso ogni cosa.

Nello stesso momento, Silen si accorse che tra le sue braccia, Deneb aveva chiuso gli occhi, ma non riusciva più a farglieli riaprire.

 

Miles giaceva al suolo, col il petto squarciato e sanguinante, e vedeva Melas affrontare l’inarrestabile viverna che ormai aveva sterminato la maggior parte dei cavalieri.

Tese la mano tremula, come se cercasse di afferrare la sua compagna per portarla via della grinfie di quel mostro efferato, ma fu tutto inutile, e poco dopo la ragazza cadde accanto a lui, priva di vita; a quel punto anche il dragone si arrese, ed il suo cuore smise di battere.

Radamante rimase quindi l’unico a ergersi in quella porzione del campo di battaglia: non solo i cavalieri, ma anche i suoi sottoposti erano periti nella violenza dello scontro.

Si innalzava silenzioso ed austero, ma senza mostrare fierezza: non traeva piacere dal dolore altrui, semplicemente era abilissimo nel procurarlo.

 

Gli specter erano al diretto servizio del re degli inferi, e in quanto tali né la morte né l’oscurità gli spaventavano, ed in particolare Radamante era colui che tra le fila di Ade vantava il carattere più temprato: eppure in quel momento una grande inquietudine avvolse il suo cuore.

 

Attorno a lui si formò un cerchio di luce, e il terreno divenne improvvisamente una voragine oscura, da cui emergevano due figure dorate, ammantate dalla medesima aura ardente.

Le due armature seppure simili a prima vista avevano delle sostanziali differenze: una aveva tratti morbidi ed un paio di ali plasmate a guisa di piume, l’altra invece si presentava più tagliente, con ali demoniache.

“La sacra armatura di gemini…” - commentò lo specter - “Ma com’è possibile ve ne siano due?”

“Abbiamo scoperto la vera natura della doppiezza di gemini.” - rispose il ragazzo con la corazza angelica.

“E abbiamo separato le due identità, assegnandocene una ciascuno.” - aggiunse la ragazza con i paramenti demoniaci.

“Arrivate tardi, i vostri compagni sono quasi tutti all’altro mondo, ma non temete: voi li raggiungerete in men che non si dica!”

 

Kalos guardò Loki:

“Come temevamo, la barriera che ci impediva di entrare al Santuario ha distorto anche il tempo…”

“E’ sicuramente opera di Ade: pagherà anche per questo.” - e a quel punto la ragazza si rivolse a Radamante - “Tu sei il primo a cui presenteremo il conto, viverna!”

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** La fine ***


Mime reggeva tra le braccia Yuria, priva di vita, piangendo in preda alla disperazione:
“Come hai potuto?!” - gridò il cavaliere della Lira.

“I-io… non doveva andare così…”

Saburo si avvicinò tremulo:
“Non potevo immaginare che si mettesse in mezzo al mio colpo, perdonami!”

Nessuna risposta da Mime, che si limitava a singhiozzare stringendo la sorella morta.

“Che cosa ho fatto…”

In quel momento Saburo si arrestò, ed iniziò a bruciare letteralmente il suo cosmo.

“Cosa stai facendo…?” - domandò Mime alzando lo sguardo sconcertato, per poi realizzare subito dopo - “No, no, no, no, no…!!!”

 

“Addio.”

 

Le fiamme del Bennu avvolsero Saburo ed il suo corpo iniziò a divampare, dopodiché il ragazzo si accasciò a terra carbonizzato.

 

 

Il leone nemeo e il Garuda si scambiavano colpi furiosamente, e più la battaglia andava avanti più la potenza del primo andava incrementando, fino a ché non arrivò al punto di sovrastare il suo avversario: impossibile credere che fosse lo stesso cavaliere che pochi giorni prima era stato fatto a pezzi dal medesimo specter.

Lambda osservava attonita la furia crescente di Leonidas, che, bardato della divina armatura del leone, parava ogni attacco e subito contrattaccava con colpi mirati e precisi, dopo ognuno dei quali Eaco non poteva far altro che indietreggiare.

Infine Leonidas sfondò la sua difesa e gli assestò una raffica di pugni ammantati di energia da ogni direzione, frantumando la surplice di Garuda che era stata benedetta dal re degli inferi.

 

Eaco respirava affannosamente, coperto di lividi e tagli sanguinanti, ma ancora non cadeva, e quando Leonidas si fermò per un istante, Violate si portò vicino ai due:
“Basta ti prego!”

La giovane prese il braccio di Leonidas:
“Non vedi che è inerme? Fermati Leo, ti prego!”

Leonidas la guardò e vedendone gli occhi lucidi arrestò la sua carica ed abbassò le braccia, voltandosi e facendo per andare verso Lambda.

In quel momento lo specter, come impossessato da una forza sovrannaturale, si avventò sul cavaliere, che tosto si girò nuovamente e fermò il colpo, dopodiché lo avvolse nella sua luce fulminante, che, nonostante le suppliche disperate di Violate esplose accecando tutti i presenti.

Sparita la luce, Eaco era ancora in piedi, con lo sguardo perso nel vuoto, e con la surplice ridotta completamente in polvere; privo di forze fece per cadere, ma prontamente Kaspar lo afferrò, adagiandolo delicatamente sulle proprie ginocchia.

“Ha preso qualche botta, ma sta bene, è solo svenuto.” - disse il giovane spceter.

Udendo quelle parole Violate sorrise in lacrime ed abbracciò il ragazzo incosciente.

“Sei riuscito a salvarlo…” - commentò Lambda colpita.

“Sì, ma non c’è tempo, Ian è andato all’Altura delle stelle.”

“Che cosa sarebbe?”

“Un luogo dove uomini e dei entrano in stretto contatto: qualunque cosa abbia in mente, intende attuarla lì.”

 

 

Ade planò elegantemente sulla sommità dell’altura, e dopo essersi guardato attorno ed aver preso un lungo respiro, si accinse a concludere il suo piano:
“E così la morte regnerà sovrana su questo mondo, ed io ne sarò sovrano…”

“No, mi spiace, le cose andranno in modo leggermente diverso da qui in poi.”

Ade si irrigidì perplesso: quelle parole erano appena uscite dalla sua stessa bocca.

“Tu… come puoi essere ancora vivo?”

“Sono sempre stato nascosto dentro di te, ma non te ne eri accorto.”

“Impossibile!”

“Oh, invece è possibile eccome, signore degli inferi.”

“Vattene immediatamente!”

“No.”
“E’ il mio corpo!”

“No, non lo è, tu lo hai solo infestato come un parassita, e perché te l’ho lasciato fare tra l’altro.”
“Stai forse dicendo che ti sei preso gioco di me?”

“Non hai mai comandato gli specter, mi sono semplicemente servito delle tue fattezze per tenerli buoni.”

“Io ti ho messo al mondo, come osi?!”

“Mi hai creato solo affinché fossi carne da macello per il tuo spirito, ma le cose sono andate diversamente da come avevi pianificato, Ade; ora sparirai per sempre, ma ti devo comunque ringraziare perché senza il tuo potere non sarei mai riuscito a realizzare tutto ciò.”

“Come puoi tu essere in grado di fare ciò?”

“Per farla breve, ho incontrato Zeus, e ho lasciato che il suo cosmo mi pervadesse, e poi ho unito le vostre energie, le ho studiate, e le ho canalizzate: è un peccato che tu non possa assistere alla magnificenza di quel che realizzerò fra poco.”

“Non osare…!”

“Addio per sempre Ade.”

 

Il corpo del giovane iniziò a brillare di una luce diafana, e la sua chioma tornò al naturale colore dorato che aveva avuto sin dalla nascita: il male del signore dell’oltretomba era stato infine estirpato dalla faccia della Terra.

 

“Dunque era questa la verità…”

Il cavaliere del leone fece la sua comparsa sull’altura, seguito da Lambda, Violate, e Kaspar che reggeva tra le braccia Eaco incosciente.

“Sapevo che non potevi essere morto.” - sorrise inaspettatamente Leonidas.

“Mi dispiace così tanto che tu abbia dovuto provare tutto quel dolore…” - rispose Ian ricambiando il sorriso.

 

“Era davvero necessario tuttavia portare tutta questa sofferenza, qui, oggi?”

Kalos si fece avanti, e con lui Loki subito dietro.

 

Violate osservò la cugina, rimanendo colpita dall’enorme somiglianza tra loro due.

“Dunque voi siete…”

 

Loki fece un cenno sorridendo:
“Sì, siamo qui anche per te.”

 

“Non m’importa quali fossero le sue intenzioni: deve morire.”

Apparve anche Silen, con al seguito Kypros che si reggeva a fatica su di lei.

“Deve morire!” - ripeté furiosa la rossa, mentre senza essersene resa conto i suoi occhi avevano iniziato a lacrimare - “Deneb e Miia non meritavano quella fine…!!!”

 

Ian la guardò contrito:
“Mi dispiace davvero…” - a quel punto sollevò le mani al cielo - “Ma a questo giorno c’è rimedio.”

 

Leonidas gli si avvicinò turbato:
“Cosa vuoi fare Ian?”

Il ragazzo lo guardò sorridendo nuovamente:
“Qualcosa di grandioso Leo, qualcosa che renderà felici non solo voi ma tutte le persone di questo mondo.”

“Non puoi estinguere ogni cosa nella luce, non c’è felicità in questo, ma solo un torpore dell’animo.”

Ian scuoté il capo:
“No, nulla di tutto ciò.”

 

 

In quel momento, in tutto il pianeta, i globi neri entrarono in risonanza, ed iniziarono a sollevarsi nel cielo, brillando intensamente.

 

Karyu piangeva a dirotto, e Tsuru non riusciva a placarla; inoltre, qualunque malessere interiore affliggesse la bambina, anche lei lo percepiva nitidamente.

Poi si avvicinò alla finestra, ed alzò lo sguardo al cielo.

 

Mime suonava un requiem in silenzio per il fratello e la sorella:

era il più grande, ma non era stato in grado di salvare la sua famiglia.

Poi alzò lo sguardo al cielo.

 

Keith reggeva Rune che agonizzava tra le sue braccia, rimproverandosi di non essere riuscito a mantenere la promessa fatta; e mentre l’uomo si spegneva tremulo, Keith alzò lo sguardo al cielo.

 

Serena correva in direzione della quarta casa: non era riuscita a fare nulla, ma forse l’armatura del cancro poteva esserle d’aiuto.

«Posso farcela!» - si disse per farsi coraggio.

Ormai in procinto di arrivare alla quarta casa, alzò incuriosita lo sguardo al cielo.

 

Kara e Claire uscirono dalla quinta casa, turbate dall’energia che stavano avvertendo espandersi in ogni direzione; quindi alzarono lo sguardo al cielo.

 

 

“Che significa?” - domandò Leonidas.

“Purtroppo questa è la fine per noi, o almeno per il nostro stato attuale: ho meditato a lungo, e non c’era altro modo.

Ma non ho fatto tutto questo per portare morte indiscriminata, bensì l’esatto opposto: addio a tutti.”

 

La luce avvolse tutta la Terra, e quel giorno finì la leggenda dei cavalieri.








 

Ancora una volta, grazie a tutti coloro che hanno seguito la mia storia.
- Raiden Cold

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3805285