Il desiderio di un androide di ghostmaker (/viewuser.php?uid=423297)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La donna perfetta ***
Capitolo 2: *** Dopo la Festa ***
Capitolo 3: *** Nessuno è perfetto ***
Capitolo 4: *** Redmington House ***
Capitolo 5: *** La verità di un androide ***
Capitolo 1 *** La donna perfetta ***
IL DESIDERIO DI UN ANDROIDE
1° capitolo
– La donna perfetta
Il giorno è diventato un concetto astratto perché
la massa vive intensamente le lunghe notti create da questo cielo ormai
ingrigito. La speranza nel futuro è sparita insieme al
mattino per le persone normali che come me vogliono vivere come esseri
umani aveva detto quella specie di guru dell’informazione che
ogni giorno fa sentire la sua voce alla radio. Eppure nessuno
l’ha mai visto in faccia, mi chiedo se esista davvero una
persona che oggi non sia allineata al consumismo che la massa, compreso
me, non disdegna ne dileggia. Io vivo nella massa, godo ogni momento
che la notte mi offre e non mi privo di niente per appagare i miei
sensi, neppure ciò che per gli altri è un limite
o, addirittura, una dannazione. Ho preso tutto: sia quello che mi era
offerto dalle multinazionali, sia quello che proponeva la gente della
strada, sempre come scelta e non per obbligo. La guerra mi ha tolto un
braccio e un occhio quindi perché non avrei dovuto accettare
l’innesto di organi artificiali della C.S.O.? Solo
perché è finanziata proprio da quelle persone che
mi hanno mandato a morire? Perché avrei dovuto rinunciare
alle nuove droghe quando stavo così male da non riuscire a
dormire neanche un minuto? Vivo a modo mio la mia vita e nessun falso
profeta o nessun moralista del cazzo ha il diritto di giudicarmi!
Dalla Redmington House tutte le persone che ho incontrato mentre
uscivano da quel posto erano sorridenti, felici e i loro occhi
brillavano come quelle stelle che non si vedono più. In loro
c’era la consapevolezza di avere esaudito il desiderio di
vivere una vita migliore di quella che gli era stata offerta dal
destino fino a quel momento, una felicità raggiunta
attraverso delle semplici scelte che fino il giorno prima non potevano
fare o che non contavano nulla per gli altri. Ero rimasto indeciso fino
a quel momento sull’opportunità di entrare in quel
posto o se fosse stato meglio continuare a camminare
sull’altro lato della strada nonostante Omar continuasse a
ripetermi che era una soluzione ideale per me.
Omar era così deciso nell’indicarmi questo
percorso da spingermi a intraprenderlo ma, allo stesso tempo e senza
immaginarlo, mi stava anche frenando perché quando si
parlava dell’argomento, le sue risposte erano evasive e non
convincenti.
«Tu continui a ripeterlo però perché
non ci sei andato prima tu? Che cosa cambia questa scelta solo a me che
non può modificare la tua di vita?»
«Mi vedi come sono già rovinato? »
rispondeva cercando di mantenere il discorso su un piano più
scherzoso che serio, «Ormai più niente
può salvarmi dall’incenerire per auto combustione
causata da alcolici!»
Alla fine, più per provare a inserire una novità
nella mia vita, sono entrato e mi hanno accolto come se fossi un vero
signore. Una segretaria molto sensuale mi ha fornito tutte le
informazioni di cui avevo bisogno, ho compilato un semplice foglio
fornendo i miei dati anagrafici e poi mi sono sorbito la spiegazione
del loro avvocato su tutte le postille previste nel contratto che,
curiosamente, erano quasi scritte più in grande delle
caratteristiche dell’acquisto che stavo per fare. La
segretaria, ammiccando continuamente, mi ha portato nella sala di
preparazione, ho messo il visore e il guanto virtuale, ho iniziato a
compilare le mie scelte e alla fine sono tornato a casa soddisfatto ma
con la sensazione che sarebbe cambiato tutto nella mia vita.
E, in effetti, già questa mattina è diversa dal
solito. Apro gli occhi, ancora mezzo addormentato, mi sorprendo di
trovare una donna ancora in casa mia ma poi riprendo
lucidità mentale ricordando cosa è successo ieri.
Lei mi guarda sorridente mentre si alza mostrandomi un'altra volta le
sue forme sode e perfette, poi, senza dire niente, mi salta addosso
baciandomi con ardore.
«Grazie di avermi scelto» dice con
quell’accento giapponese, leggermente marcato, che mi piace
molto «cosa desideri mangiare per colazione?»
«Colazione? Che ore sono?»
«Sono le otto».
«Akemi, io non mi alzo mai a quest’ora, inizio a
lavorare nel pomeriggio».
Lei mi guarda dispiaciuta per questo contrattempo, i suoi occhi azzurri
brillano come niente mai ho visto fare poi, scostandosi dal mio corpo,
si rimette sotto le coperte e mi sorride di nuovo.
«Scusa amore mio, non sapevo questo dettaglio, cosa posso
fare per perdonarmi?»
In verità lei sa bene cosa sta già facendo sotto
le coperte e il suo sorriso mi sta solo dicendo che posso continuare
quello che abbiamo iniziato nella notte ma purtroppo suona il
campanello di casa. Mi alzo sbuffando, indosso un accappatoio e guardo
dallo spioncino della porta. Dovevo immaginare che sarebbe corso qui
appena sveglio, così senza chiedere il nome, gli apro la
porta e Omar entra in casa cercando da solo di vedere se ho fatto
l’acquisto. Sto zitto e lui, curioso, è costretto
a chiedere.
«Dai, dimmi dov’è? In stanza vero? Posso
andare a vederla?»
«Non ti azzardare a fare un altro passo o ti spezzo le
gambe» rispondo facendo la faccia da cattivo che riceve come
sempre come risposta la sua risata.
Akemi, che non ha bisogno di essere chiamata per presentarsi, entra in
sala e guarda l’espressione di Omar che è tutta un
programma. Certo, se lei si fosse vestita un poco di più,
non ci sarebbe stato tutto quell’imbarazzo iniziale.
«Ciao, mi chiamo Akemi. Sei amico di James?
Benvenuto».
Omar, con la bocca ancora aperta, fatica a rispondere così
sono io a fare la sua presentazione.
«Sì Akemi, questo incapace è proprio un
mio caro amico ma se continua a guardarti in quel modo, non credo che
tornerà a trovarci».
«Avete bisogno di qualcosa? Omar, hai fatto
colazione?» chiede la ragazza.
«Ho appena, no, non ho ancora, no…»
risponde lui sempre più imbarazzato.
«Akemi, ci puoi lasciare soli qualche minuto, devo parlare
con lui» rispondo intromettendomi nel discorso «e
anche lui non fa colazione, grazie».
Lei fa un leggero inchino prima di tornare in camera e, finalmente,
Omar riesce a dire qualche parola che abbia un senso compiuto.
«Proprio come piacciono a te».
Ha ragione, lei è la mia donna perfetta perché ho
scelto ogni particolare del suo corpo alla Redmington House, una delle
prime aziende a mettere in commercio la “donna dei
sogni” create su misura per i propri clienti. Ieri, dopo le
scartoffie, ho selezionato tra migliaia di proposte quello che volevo e
in poche ore mi hanno consegnato il prodotto pronto da portare a casa.
«Amico che schianto, quasi te la chiedo in
prestito» mi dice Omar ridendo.
«Sicuro? A te non piacevano le bionde platinate?»
gli rispondo dandogli un piccolo colpetto allo stomaco con il pugno
chiuso.
Ripreso fiato, mi chiede: «Dimmi James, è vero che
è prevista nel contratto la clausola che puoi riportare
indietro l’androide entro le ventiquattro ore
dall’acquisto?»
«Sì è vero, ma soltanto se ha qualche
difetto strutturale e se dimostri che il problema non è
causato dall’uso che ne hai fatto, è riparata
gratuitamente».
«Dai, vi ho disturbato abbastanza, ci vediamo più
tardi al lavoro» mi dice Omar mentre esce dalla porta di casa
mia.
Chiudo la porta e voltandomi vedo Akemi mentre esce dalla stanza da
letto e noto il suo sguardo quasi spaventato.
Mi dice: «Tu non vuoi portarmi indietro vero?»
«E per quale motivo dovrei farlo? Non sei guasta
vero?»
Lei mi abbraccia. «No, sono perfetta come mi hai voluto,
però ho sentito da alcune mie amiche che altri androidi sono
tornate indietro perché i loro uomini non erano soddisfatti
del loro comportamento».
La rincuoro stringendola tra le braccia ma la sua reazione mi ha
sorpreso non solo per ciò che ha fatto ma soprattutto per
quello che ha detto sulle sue amiche che, in teoria, non dovrebbe
avere. Il fatto che quest’androide parla di amicizia verso un
suo simile un poco mi spaventa ma anche m’incuriosisce
comprendere quale affinità hanno tra loro e come sia
possibile che lei conosca le “rifiutate” che per
legge dovrebbero essere smontate una volta tornate alla Redmington
House. Decido di non farle domande e di pensare ad altro, e siccome
è qui, forse so già cosa potremmo fare adesso.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Dopo la Festa ***
IL DESIDERIO DI UN ANDROIDE
2° capitolo
– Dopo la festa
Questa è la prima notte che passo fuori di casa senza Akemi
dopo una settimana intensa nella quale, oltre al sesso, abbiamo
condiviso momenti divertenti con amici, passate serate ascoltando
musica o momenti di completo riposo per colpa mia che ogni tanto
esagero con gli alcolici mentre lavoro. Sono voluto uscire da solo
perché è il giorno della festa in strada, un
momento di completo abbandono e di esagerazioni folli, un giorno in cui
Omar ed io andiamo a caccia di tutto quello che si può
comprare legalmente o al mercato nero e soprattutto di ragazze ben
disposte a regalarci dei momenti lussuriosi. Omar mi dice che non
capisce per quale motivo io lo faccio ancora avendo in casa una donna
bellissima, ma è contento che non lo abbandono durante
questa giornata di scorribande.
Stiamo camminando verso la prima piazza e il mio occhio cade subito sul
“Grigio”, il nomignolo che danno a un uomo dai
capelli brizzolati e dall’aspetto tanto distinto dal quale
nessuno potrebbe immaginare che in realtà sia il maggior
fornitore dell’AF, Angel Face, una droga assumibile
attraverso la pelle come un qualsiasi cosmetico.
«Ehi Grigio, non pensavo di trovarti già
qui».
«Oggi la polizia sta controllando tutti già dal
ponte ed è meglio che io me ne stia lontano dalla baldoria.
E poi per voi è anche meglio, arrivate in centro
già carichi».
«Oggi è il tuo giorno migliore per gli affari,
perché non fai uno sconticino ai tuoi clienti
migliori?» chiede Omar senza nessun timore.
«Giovanotto, lei mi sorprende. Eppure lavora in un locale
dove solo se hai i soldi puoi chiedere cibo e bevande. Eppure mi sei
simpatico».
Io rido perché ormai conosco quest’uomo e so che
quello che ha detto è già la sua risposta alla
richiesta del mio amico: un no secco.
Acquistiamo il prodotto ed io inizio subito a spalmarmelo sulla faccia
e mentre cerco di non sporcare la camicia mi accorgo di
quell’auto strana che sto vedendo quasi tutti i giorni. Penso
che sia solo un caso che vedo ancora l’auto perché
siamo vicini a casa mia, così lascio stare e mi concentro su
Omar che sembra già pronto a tutto.
«Ehi amico, andiamo prima che l’effetto alcool con
l’Angel Face svanisca» mi urla Omar pensando di
essere lontano dalle mie orecchie.
Continuiamo a camminare attraversando degli stretti veicoli e le
prostitute della zona si fanno avanti per accalappiarci, ma non
cerchiamo queste cose; vogliamo andare alla festa e prendere tutto
senza pagare, ma appena usciamo dall’ultimo viottolo che
porta quasi al ponte Omar inizia a stare male.
«Hai bevuto troppo» gli dico mentre lui sta
vomitando di tutto «che ti è preso oggi al locale,
sembravi fuori di te».
Rialzando la schiena risponde: «Niente di particolare, ero
solo arrabbiato perché Penny ha deciso di andare con un
altro dopo tutto quello che ho fatto per lei».
Vorrei ridere per quest’affermazione; l’unica cosa
che ha fatto per lei è stato tenerla come fidanzata
part-time solo se gli lavava i vestiti. Lascio stare, faccio
l’amico e lo rincuoro: «Hai proprio ragione,
è una vergogna!»
Superiamo il ponte e si apre davanti a noi il centro città
che oggi è quasi illuminato quanto il giorno di capodanno.
La musica rimbomba tanto da far tremare l’asfalto e la gente
è in estasi: balla, beve e scopa senza preoccuparsi di
niente e di nessuno, anche perché la polizia, dopo la
perquisizione sul ponte, è andata via per non rischiare di
fomentare gli animi già accessi dopo l’ennesimo
caso di abuso di potere che ha colpito le persone più povere
della città.
Inizio a ballare vicino a due belle ragazze ma capisco che non
è cosa per me da come si stanno guardando, allora raggiungo
Omar che invece sta parlando con una donna che non ho mai visto prima.
«Ehi, James, ti voglio presentare Ivy. Lei è
un’amica di Akemi».
Sono alterato per le droghe e per l’alcool ma questa frase mi
scuote dal leggero torpore che mi stava per far accasciare a terra.
«Sei anche tu un androide?» le chiedo con interesse.
«Sì, sono qui con il mio uomo ma lui sta ballando
quindi faccio nuove amicizie e Omar è davvero
simpatico».
Non ascolto quello che dice rimanendo sul discorso precedente
perché posso avere una risposta ai miei pensieri.
«Ivy, mi spieghi com’è possibile che
siate amiche? Da quanto vi conoscete se io l’ho scelta solo
da due settimane».
«Anche a te non hanno spiegato la procedura a quanto capisco.
Funziona in questo modo: tu entri alla Redmington House, scegli i
tratti somatici, tutti gli optional che vuoi, ma non hai modo di
modificare il nostro mainframe che rimane proprietà della
casa. Se per un qualsiasi motivo la tua donna, o il tuo uomo, sono
restituiti, è eseguita una formattazione per ripulire le
conoscenze acquisite ma subito dopo è installata una nuova
personalità, chiamiamola, “pulita” che
è attivata subito. Quindi il nostro cervello viene collegato
nella rete aziendale ed è lì che noi ci
conosciamo ed è dove acquisiamo le nozioni di base per
interfacciarsi con l’uomo che ci sceglie».
Io sono stordito dalle sue parole mentre Omar è
più interessato alla scollatura di Ivy che a tutto questo
discorso, ma lei mi sorprende di nuovo dicendo: «Come mai sei
venuto alla festa da solo lasciando Akemi nel bar in cui
lavori?»
«Bar? Akemi è in casa, non esce senza di me. E tu
poi come fai a dirlo?»
«Non ti hanno detto neppure questo! Il nostro mainframe
neurale è sempre collegato al computer centrale della
Redmington House e quindi, tranne che per qualche ora sparsa durante la
giornata e durante il sonno, siamo sempre in contatto tra noi. Questo
ci aiuta a far socializzare tra loro i nostri partner, soprattutto
quelli che hanno soltanto noi androidi come persone che li
amano».
Omar, colto da folgorazione, parla. «Ivy, questo vuol dire
che quando James se la spassa con la sua Akemi tu sai tutto quello che
fanno?» e poi, tornato in sé, esclama con il tono
di un bambino: «Quindi tu sei un androide
pervertito!»
«Non è bello dirlo ma in fondo è
così, anche se, in verità, ogni androide ha la
possibilità di scollegarsi dal computer centrale attivando
un piccolo tastino nascosto tra i capelli» risponde lei
mostrandoci il bottoncino rosso invisibile se non lo cerchi apposta.
In questo momento però non m’interessa
più sapere le varie peculiarità che non hanno
rivelato all’acquisto, ma sto pensando al perché
Akemi sia al bar così, senza dire niente, inizio a
incamminarmi verso casa e sento i passi di Omar, sempre più
veloci, che si affretta per raggiungermi.
«James, stiamo andando a vedere cosa fa Akemi?»
«Sì perché è vero che non ha
l’obbligo di starsene in casa se io sono via, ma è
anche vero che non dovrebbe allontanarsi senza prima farmelo
sapere».
«Non hai il cellulare con il suo numero seriale?»
«Ho già provato ma non risponde e la cosa mi
preoccupa».
«Magari sta solo dormendo e Ivy ti ha solo
stuzzicato».
Penso che forse Omar abbia ragione però sono anche talmente
disturbato che non gli do retta e inizio a correre. Superiamo i vicoli
e passiamo davanti al bar in cui lavoro ed è chiuso proprio
come dovrebbe essere, raggiungiamo la mia strada e noto subito la
solita macchina mentre viene verso di noi ma che poi prosegue verso la
città senza che l’occupante ci presti attenzione.
Siamo arrivati a casa mia, corro sulle scale lasciando nel cortile
Omar, apro la porta di casa e quindi quella della stanza da letto e
lì, addormentata, c’è Akemi con in mano
il suo “Attiva Codice” che lampeggia per le mie
chiamate precedenti. Faccio un sospiro profondo e mi do da solo dello
stupido quindi mi affaccio alla finestra.
«Omar, avevi ragione tu amico, sta dormendo».
«Sei proprio pessimo, prima dici che vuoi divertirti insieme
a me e poi fai il geloso per un androide che ti sei preso solo per
sfizio. Va bene, ti perdono e vado a casa».
Lo guardo allontanarsi quando sento sul mio corpo le mani di Akemi. Mi
volto per guardarla quando si sente uno sparo fortissimo giungere dalla
strada, lei si spaventa, io invece mi preoccupo perché Omar
andava verso quella direzione, così scendo di corsa,
attraverso il cortile e Omar è proprio riverso sul
marciapiede. Lo raggiungo ma ho già capito dal sangue per
terra che lui non risponderà alle mie domande e inizio a
disperarmi per la perdita del mio amico.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Nessuno è perfetto ***
IL DESIDERIO DI UN ANDROIDE
3° capitolo
– Nessuno è perfetto
Sono già passate sei ore da quando mi hanno portato alla
centrale di polizia e ancora continuano a chiedermi le stesse cose
ricevendo sempre le mie stesse risposte, ma nessuno mi dice niente su
Omar, sui rilievi che hanno fatto per determinare chi lo ha ucciso e,
di certo, nessuno sa il motivo se continuano a tormentarmi. Eccolo
ancora.
«Tenente Stewart, vuole continuare ancora per molto
tempo?» chiedo stizzito.
«Signor Donovan, certamente capisce che dobbiamo essere
sicuri di ogni sua parola perché è lei ad avere
trovato il cadavere».
«Omar era il mio più caro amico e la sua prematura
scomparsa per un fatto criminoso mi devasta, ma la verità
è che lei vuole a tutti i costi trovare un assassino e non
ha in mano nient’altro che me».
«Anche lei diffida della polizia di questa
città?»
«No, ma da quando sono qui, non mi date nessun motivo per
apprezzarvi!»
Sono deciso a farla finita, sono stufo di colloqui inutili e, forse
sbagliando, alzo la voce in modo che si comprenda bene la mia
frustrazione.
«In effetti sono tornato qui per dirle che può
tornare a casa. Abbiamo un vero testimone che l’ha vista
raggiungere il suo amico».
«Che cosa significa un vero testimone? Chi aveva
già confermato le mie parole?»
«Lei comprenderà che non possiamo dare credito a
un androide che è oltretutto di sua proprietà
signor Donovan».
«Avete parlato con Akemi? Anche lei tenente
comprenderà che non ha il diritto di entrare in casa mia
senza mandati e che quindi sporgerò denuncia?»
«Su, su, lei è alterato e la capisco, ma non serve
passare ai legali. La sua “cosa” era fuori di casa
quando l’abbiamo interrogata».
Fuori di casa? Il tenente esce lasciando la porta aperta ed io mi
dirigo verso l’uscita, dove ad attendermi
c’è proprio Akemi, che mi abbraccia, e insieme con
lei c’è Ivy che mi saluta agitando la mano.
«James, stai bene, ti hanno fatto male? Dimmi qualcosa
tesoro» mi chiede Akemi mentre le scendono le lacrime dagli
occhi.
«Cosa ci fai tu qui? E perché ti sei fatta trovare
fuori casa dalla polizia» le dico in modo molto duro.
«Sono stata io,» dice Ivy «ho sentito la
preoccupazione di Akemi, sono andata a prenderla a casa vostra e in
quel momento ci hanno fermate».
Ascolto Ivy ma non riesco a risponderle, forse per la stanchezza oppure
perché ancora troppo scosso dalla perdita del mio migliore
amico quando qualcuno appena uscito dalla centrale di polizia mi tocca
la spalla.
«Giovanotto, mi dispiace per la morte del suo amico, mi era
davvero simpatico».
Tutto è così strano in questa mattinata fredda e
per la stanchezza saluto quell’uomo chiamandolo con il suo
nomignolo. «Grigio, che cosa ci fate in questo
posto?»
Lui schiarisce la voce prima di rispondere. «Gradirei che lei
non dicesse ad alta voce questo nome perché tante persone mi
chiamano così, anche loro.» dice indicando
l’entrata dell’edificio.
«Mi perdoni, sono ancora sotto shock» gli rispondo
tremante per il freddo.
Proprio in quel momento il tenente Stewart scende la scalinata e saluta
il Grigio passandogli accanto. «La ringrazio signor Baxter
per la sua testimonianza, ora il signor Donovan dovrebbe almeno
offrirle qualcosa da bere di caldo».
Nessuno di noi due risponde al poliziotto ma lui si incammina
dicendomi: «Confido che lei, giusto per gratitudine, non dica
a nessun altro il mio cognome».
«Certamente e la ringrazio per la sua testimonianza, mi ha
evitato altre ore da passare in compagnia di quel poliziotto»
grido mentre lui sale sulla macchina.
Tornati a casa mi siedo sulla poltrona e guardo il soffitto senza
vederlo realmente perché sto pensando a Omar mentre Akemi mi
mette una coperta pesante sulle gambe per riscaldare il mio corpo
infreddolito.
«Mi dispiace averti fatto arrabbiare,» mi dice
mentre si siede a terra abbracciando le mie gambe «avevo
molta paura e Ivy mi è stata di aiuto».
«Perché non mi hai detto nulla del vostro
collegamento neurale?»
«Ero convinta che alla Redmington House ti avessero spiegato
tutto e non ho mai avvicinato nessuna delle mie amiche fino ad ora
perché tu non hai bisogno di fare conoscenza con i loro
compagni» mi risponde guardandomi dritto negli occhi.
«Va bene, non ti preoccupare oltre, non hai fatto niente di
sbagliato, ma la prossima volta che decidi di uscire da casa da sola
dovrai attendere il mio consenso diretto senza prendere
iniziative».
Spero che il mio gesto affettuoso ma autoritario le basti per capire
come deve comportarsi e, lei, senza rispondere, si siede sulle mie
gambe abbracciandomi. Sento il suo calore aumentare e i miei occhi
iniziano a chiudersi.
Stranamente sento il mio occhio cibernetico bruciare e mi sveglio di
soprassalto scoprendo che Akemi mi ha messo a letto così
allungo il braccio e prendo il necessario per pulire il bulbo oculare
mentre la chiamo per darmi una mano. Non ottengo nessuna risposta e
penso che sia alla finestra della cucina così prima di
chiamarla ancora termino la mia opera di pulizia. Mi alzo e anche il
braccio metallico mi duole ed è stranissimo anche questo
perché mi succede soltanto quando ci sono fonti energetiche
molto sopra della norma anche per un robot intero.
Chiamo Akemi e nessuna risposta ancora quindi raggiungo le varie stanze
della casa per trovarla ma lei non c’è,
è uscita, ancora senza autorizzazione e a questo punto
inizio a chiedermi se le sue preoccupazioni sulla
possibilità che la portassi indietro alla Redmington per un
guasto sarebbe stato dettato proprio dalla sua conoscenza di un
problema tecnico nel comando di ubbidienza installato su di lei. Guardo
fuori dalla finestra e lei è in giardino con Ivy e stanno
parlando, dai movimenti del corpo di entrambe intuisco che non
è una semplice chiacchierata ma che invece si tratti di un
litigio e ne ho la conferma quando la sua presunta amica strattona per
un braccio Akemi tanto forte che potrebbe farglielo saltare via. Akemi
agita la mano mostrando qualcosa a Ivy che ora la lascia e sembra quasi
sorridere, come se l’oggetto fosse proprio la causa di quella
sceneggiata in un posto pubblico ed io rimango impalato a guardare
perché non so se dovrei intervenire oppure lasciare che se
la sbrighino da sole, dopotutto posso anche disfarmi di questo androide
difettoso perché, anche se sono passati molti giorni, io non
ho colpe sul suo mal funzionamento. Osservo ancora, però
adesso c’è un particolare che attira la mia
attenzione; il Grigio si è avvicinato a Ivy prendendo
l’oggetto che Akemi le aveva consegnato e poi accarezza il
viso del mio androide come se si conoscessero da sempre. Akemi, a
questo punto, sembra fare pressione da sola al suo braccio e vedo con i
miei occhi che dal suo arto si apre una specie di cassetto segreto e il
Grigio che mette le mani dentro per cercare sicuramente qualcosa ma la
ritrae senza niente. Baxter sorride mentre mette un braccio sul fianco
di Ivy e Akemi si volta per tornare a casa.
Ho visto ogni cosa senza sapere che cosa ho visto realmente
però non voglio che Akemi possa pensare di essere stata
osservata così chiudo la finestra e velocemente torno a
letto simulando di dormire. Sento la porta aprirsi e pochi secondi
dopo, lei si siede dalla sua parte del letto senza sdraiarsi allora,
muovendomi come se avessi soltanto sentito un rumore, allungo il
braccio verso l’androide.
«Grazie per avermi messo a letto».
Lei si volta e il suo viso è rigato dalle lacrime, sembra
realmente sconvolta per l’incontro avvenuto in precedenza, si
sdraia e appoggia la faccia sul cuscino in modo che mi possa guardare.
«James, ti giuro che non ne sapevo niente, ha fatto tutto
lui, quell’uomo».
«Di cosa stai parlando?» chiedo facendo sempre la
faccia sorpresa.
«Omar, il tuo amico, è stato lui a ucciderlo,
Baxter!»
La cosa mi sconvolge e non posso più fingere, scatto sul
letto salendo sopra di lei e le urlo con ferocia: «Che cosa
cazzo stai dicendo? Chi diavolo sei veramente e lui cosa
c’entra con te. Dimmelo o giuro che ti strappo la testa dal
collo con le mie mani».
«Omar, tornando verso casa, ha visto tutto e loro non
potevano lasciarlo andare. Lui è il capo della banda ed
è il finanziatore della Redmington House!»
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Redmington House ***
IL DESIDERIO DI UN ANDROIDE
4° capitolo
– Redmington House
Akemi mi ha rivelato tutto quello che sa ed è qualcosa che
non avrei mai potuto nem-meno immaginare. Baxter è il capo
di una banda di trafficanti di droghe e, finanziando la Redmington
House può utilizzare gli androidi come spacciatori
intoccabili grazie ad una legge creata apposta da personaggi
compiacenti della politica. Sono furioso per aver permesso che una come
lei entrasse in casa mia quindi non ho poi così tanti
scrupoli a minacciarla di smontare ogni suo pezzo ma lei ha qualcosa
che ancora non dice e credo che non ne sia nemmeno consapevole. Io non
sono di certo una persona troppo normale e in casa ho quello che mi
serve per farmi giustizia da solo; apro un cassetto per prendere le mie
due pistole, le uniche due cose che sono sempre state fedeli dalla
guerra fino ad oggi. Omar deve essere vendicato e non posso affidare il
compito alla polizia, troppo distratta a fare cose inutili.
«Voglio entrare nella Redmington House e tu mi porterai e
sono sicuro che conosci un passaggio diverso da quello
dell’entrata principale».
Lei sta tremando e ricordo solo in quel momento che Akemi è
collegata con gli altri androidi e che siamo nei guai ma, senza che gli
dico qualcosa, mi mostra il bottone rosso sotto i suoi capelli.
«Dobbiamo fare in fretta perché non posso tenermi
scollegata per troppo tempo a quest’ora del
mattino».
Un dubbio attanaglia la mia mente. Perché mi ha rivelato
tutto? Non le faccio domande, come ha detto lei, abbiamo poco tempo
quindi la trascino con me giù delle scale e, raggiunta la
mia moto, andiamo direttamente nel covo dei trafficanti.
Akemi mi mostra mentre riaccende il suo collegamento al computer
centrale e mi fa segno con il dito di stare in silenzio mentre entriamo
da una piccola costruzione semi abbandonata. A terra, nascosta da una
cassa, c’è una piccola botola e Akemi la apre
utilizzando il suo codice di sicurezza implementato nella mano.
Scendiamo una scala di pochi gradini e iniziamo a camminare in un
corridoio, dove le luci psichedeliche fanno sembrare di essere in una
discoteca. Arrivati a una porta, lei la apre digitando un codice e mi
accorgo che stiamo entrando nel posto in cui sono depositati i vari
pezzi che utilizzano per assemblare gli androidi. Sotto un certo punto
di vista sono affascinato da questa tecnologia che trasforma delle
semplici macchine in affascinanti creature del tutto assomiglianti agli
esseri umani, ma d’altro canto continuo a sentire la rabbia
scorrermi nelle vene e faccio segno ad Akemi di proseguire. Aperta una
nuova porta, riconosco la sala in cui siamo entrati: è
adiacente alla sala di preparazione e l’avevo vista durante
il mio tour nella Redmington House ma a quel punto Akemi mi fa segno di
fermarmi lì ed io mi chiedo se debba fidarmi di lei oppure
fare di testa mia, entrare direttamente negli uffici e iniziare a
sparare a tutto ciò che ho davanti. Devo ascoltarla, non ho
idea di cosa mi troverò davanti e solo lei può
indicarmi come raggiungere il mio vero obiettivo: il Mainframe. Akemi
si allontana, impugno le armi per sicurezza e mentre attendo il suo
ritorno, osservo cosa c’è in questa saletta che
può essermi di aiuto in caso di difesa o di fuga
precipitosa. Si tratta di un archivio gestito con dei computer,
così provo ad attivarne uno ma ha, come prevedibile, una
password per autorizzare l’accesso. Ci provo con qualche
serie di numeri e nomi a caso ma poi ho una folgorazione; digito il
nome Akemi e il suo codice seriale, e il computer inizia a caricare una
serie di cartelle tra le quali una attira la mia attenzione
perché non avrei immaginato di trovare il nome di Omar
Yadder. Penso che sia nel file di Akemi perché mio amico ma
poi, scorrendo le pagine, faccio una scoperta inquietante
perché non potevo immaginare qualcosa del genere; nei dati
inseriti sulla scheda di Omar appare, scritta in evidenza, la frase
“sospetta spia”. Purtroppo non ho il tempo di
leggere il resto, Akemi sta tornando indietro, così scarico
il file utilizzando il mio braccio cibernetico sia per capire quella
strana frase, sia per avere una prova da mostrare alla polizia nel caso
debba fuggire senza compiere la mia vendetta.
Akemi mi ha raggiunto. «Nell’edificio sono presenti
soltanto dei dipendenti che sono ignari di collaborare con una banda di
trafficanti. Possiamo uscire allo scoperto fingendo che mi hai portato
per una riparazione urgente».
La ascolto di nuovo ed è strano che la mia diffidenza verso
di lei stia calando ogni minuto che passa. Attraversiamo il corridoio
dirigendoci verso una nuova sala chiusa con un codice quando sento
chiaramente la voce di Ivy e il mio istinto è di puntare le
pistole nella direzione da cui proviene il suono delle sue parole, ma
mi trattengo perché non è certo un altro androide
che voglio eliminare. La situazione è complicata
perché se entro in azione metto in allarme il mio obiettivo
e se entro ora nella sala dove è contenuto il Mainframe,
sono sicuro che Ivy ci può trovare perché anche
lei ne è collegata. Guardo gli occhi di Akemi e mi convinco
che la soluzione ideale è quella di andarcene e tentare di
smuovere l’inedia della polizia per farli indagare su questa
faccenda così, evitando di farci scoprire, ci dirigiamo
verso l’entrata principale perché è la
strada più breve per scappare. Ivy non si vede, passo
davanti alla segretaria sexy che avevo conosciuto e lei mi sorride
senza riconoscermi, usciamo dall’ingresso automatico e la
prima cosa che vedo è la macchina di Baxter. Sono nei guai e
non posso usare armi, attendo che qualcuno scenda dall’auto e
vedo il volto di Baxter mentre sorride poi, sento una fitta alla testa,
qualcuno mi ha colpito e mentre cado a terra l’ultima cosa
che vedo, è il volto di Akemi e la sua mano che impugna un
portacenere tanto grosso da spaccare la testa di un toro. Non mi sembra
sorridente, ma neanche tanto dispiaciuta di avermi colpito.
Mi risveglio e mi accorgo subito che mi hanno legato ma soprattutto che
hanno tolto i miei apparecchi cibernetici prima di stringermi a una
sedia come un salame.
«Signor Donovan, che grande dispiacere che provo nel trovarla
qui».
Baxter parla ma io sono più furioso perché vicino
a lui ci sono Ivy e Akemi, ed entrambe stanno ridendo di me.
«Ero così felice che lei avesse scelto una delle
nostre perfette creature androidi così da permettermi di
distribuire la “Angel Face” senza rischi nelle zone
meno disagiate e invece ho scoperto che era stato il suo amico a
spingerla verso di noi soltanto per poter indagare sulla mia
organizzazione. Immagino lei non sapesse che Yadder era diventato
informatore delle squadre speciali visto che ha scaricato il file su di
lui dalla nostra banca dati».
La sua affermazione mi faceva comprendere perché, oltre
all’occhio, mi avessero privato anche del braccio, ma ancora
la mia rabbia ha solo Akemi come destinataria.
«Perché mi hai tradito dopo avermi svelato i piani
di quest’uomo? Eri sincera mentre mi raccontavi
tutto.» dico ad Akemi così pregno di nervoso da
sbavare mentre parlo.
«Le rispondo io signor Donovan.» mi dice Baxter
avvicinandosi. «Akemi ha davvero subito un piccolo guasto
nella struttura neurale e, contrariamente agli altri prototipi, si
è affezionata al suo padrone, anzi, potremmo anche dire
innamorata. Ha cercato di farsi aiutare da lei per liberarla dal
controllo che ho su un suo oggetto prezioso e del quale non
può fare a meno per vivere ma purtroppo il suo sistema
d’interfaccia ci ha comunicato automaticamente la vostra
posizione. Capisce che gestendone il cervello, l’androide poi
fa quello che voglio io».
La situazione è di estremo pericolo ma nonostante
ciò mi sento quasi sollevato dalla spiegazione di Baxter
sulle motivazioni che hanno spinto Akemi a compiere le azioni di questi
giorni. Tranquillità che il Grigio sconvolge nuovamente.
«Signor Donovan, a questo punto lei conosce troppe cose della
Redmington House ed è chiaro che non posso lasciarla andare
via. Devo prendere le precauzioni dovute».
«Mi chiedo perché mi abbia tenuto vivo se ora ha
intenzione di uccidermi».
«Ucciderla? Non ho intenzione di ucciderla, anzi, lei ha
già subito degli innesti e quindi tornerà utile
alla mia organizzazione sotto una forma diversa del corpo malandato che
si ritrova ora».
«Che cosa intende dire?» chiedo non avendo capito
di cosa parla.
«Donovan, non si preoccupi dei dettagli.» mi
risponde sorridendo. «Sarà Akemi a spiegarle tutto
mentre si occuperà di smembrare il suo corpo».
Baxter e Ivy escono dalla stanza mentre Akemi mi guarda intensamente e
mi sembra che stia lottando contro la sua natura robotica.
«Dobbiamo uscire da qui, recuperiamo il tuo braccio e
fuggiamo prima che il controllo neurale mi blocchi di nuovo».
Avevo ragione; Akemi stava lottando!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** La verità di un androide ***
IL DESIDERIO DI UN ANDROIDE
5° capitolo
– La verità di un androide
Akemi mi libera dalle corde che mi tenevano legato alla sedia, poi
pigia dei tasti numerici di una console e, quando finisce, sento uno
strano rumore provenire dalla stanza adiacente a questa. Devo sapere ma
lei è concentrata e non mi fa neanche parlare.
«Usciamo e appena troveremo un posto sicuro ti
spiegherò tutto il resto».
Contrariamente al mio carattere, la seguo senza dire una parola
obbedendo ai suoi ordini come se fossi tornato in guerra, attraversiamo
il corridoio ed entriamo in un'altra stanza dove, appoggiato sul
tavolo, c’è il mio braccio.
«Il mio occhio non c’è qui»
dico quasi sbuffando.
«Lo hanno loro di sicuro perché è
fabbricato con una tecnologia militare su cui stanno studiando da anni.
James, siamo ancora in pericolo ma questa zona è la migliore
che posso trovare in questo momento per raccontarti tutto».
Muovo il capo per confermare che sono pronto ad ascoltare e lei inizia
facendomi una domanda. «Che cosa sai davvero di un
androide?»
«Una macchina dalle sembianze umane con un hardware evoluto
per fare in modo che abbia reazioni simili e uguali a un essere
umano» rispondo compiacendomi delle mie conoscenze sulla
tecnologia post guerra.
«E se ti dicessi che le mie compagne ed io in
realtà siamo dei cyborg?»
L’affermazione mi turba perché proprio i cyborg
erano stati la causa delle guerre di colonizzazione e con la firma dei
trattati, fu dichiarata illegale la pratica di potenziare un essere
umano e, di fatto, si aprì la strada all’androide
evoluto.
«Noi siamo ancora delle macchine ma non in modo completo
perché le parti del nostro corpo sono prettamente robotiche
ma molti dei nostri organi sono dell’essere umano a cui sono
stati strappati. E sono proprio il cervello e il cuore la base della
tecnologia che ha sviluppato il nostro modello
“comportamentale”».
La sensazione a questa verità è quella di un
treno che ti colpisce in piena corsa e fatico anche a parlare
perché penso anche alle parole di Baxter sul discorso dello
smembramento del mio corpo. Lui stava dicendo che avrebbero usato le
mie parti essenziali per creare un automa potenziato da mettere in
vendita.
«Ora capisco a cosa si riferiva dicendo che aveva in pugno un
tuo oggetto prezioso».
«Esatto; lui non ha paura del mio cervello poiché
è già sotto controllo dal Mainframe, ma teme la
reazione del mio cuore che è subordinata alle sensazioni e
che, liberato dal controllo mentale, agisce in modo
indipendente».
Ora comprendo perché Akemi aveva provato un sentimento
d’amore nei miei confronti, però ancora una cosa
non era chiara. «Di chi sono in realtà cuore e
cervello?» chiesi cercando di usare del tatto ponendo la
domanda.
«Non so risponderti attribuendo un nome preciso ma so che
nessuna persona ha mai dato la sua autorizzazione
all’espianto e che si tratta di uomini e donne rapite e
mutilate ancora nel pieno delle loro facoltà
mentali».
Dalle parole di Akemi il mio pensiero è diretto
immediatamente verso Omar perché l’ho conosciuto
quando era in forte depressione per la scomparsa, e mai ritrovata,
della sorella maggiore sulla quale esprimeva sempre il dubbio atroce
che fosse stata rapita per il mercato nero dei trapianti di organi. Le
squadre speciali, probabilmente lo avranno avvicinato con la scusa dei
suoi trascorsi punitivi a causa delle droghe proponendogli, come
soluzione, di lavorare per loro proprio sulla pista che già
lui immaginava fosse giusta.
La rabbia si sta facendo di nuovo largo nel mio cuore,
m’inserisco il braccio cibernetico e noto che hanno lasciato
sul tavolo anche le mie due pistole che prendo senza pensarci un
attimo. Adesso basta, devo agire.
«Akemi, come possiamo distruggere tutto?»
«Dobbiamo raggiungere la sala dove sono contenuti i computer
che gestiscono l’intero mainframe e distruggerli. Tolto il
collegamento neurale, la parte fisica rimasta smetterà la
sua funzione».
Lei mi ha risposto in modo freddo e distaccato ma io ho notato la
contrazione del suo viso perché, di fatto, mi stava
spiegando cosa dovevo fare per ucciderla ed io sento di me la tenerezza
che avevo conosciuto solo prima delle guerre così, senza
dirle del mio sentimento, riformulo la mia domanda. «Che cosa
dobbiamo fare per stanare Baxter e toglierlo di mezzo?»
Lei fa un sorriso, ha capito benissimo che non voglio che muoia e che
farò il possibile che questo suo desiderio possa avverarsi
così mi risponde: «Ci dirigiamo nella sala del
mainframe e da lì riattiverò il mio bottone rosso
di collegamento e da quel momento Ivy saprà che stiamo per
distruggere tutto. Lui la seguirà perché non
può perdere tutti i soldi che hanno investito nella
Redmington House».
Siamo d’accordo, apro la porta lentamente per sbirciare fuori
quindi le faccio segno di seguire me questa volta perché
adesso so dove andare e ho le armi per difenderci. Lei, prima di
muoverci, mi bacia appassionatamente ed io ricambio il suo gesto come
non avevo fatto prima di questo giorno. Corriamo verso la meta ma sento
chiamarmi da una voce conosciuta.
«Finalmente l’ho trovata signor Donovan!»
esclama il tenente Stewart.
Sorrido. «Non ho mai provato tanto piacere
nell’incontrare un poliziotto».
«James no, lui sta con loro!» dice Akemi mentre mi
strattona il braccio.
Smetto di sorridere. Sono davvero uno stupido, dovevo collegare Baxter
a Stewart e al fatto che il tenente avesse interrogato Akemi e poi
lasciato me libero grazie alla testimonianza del Grigio. Se avessi
messo prima in moto il cervello sentendo la voce del poliziotto avrei
sparato subito e invece ora mi ritrovo con la sua pistola puntata verso
il mio volto e pronta a fare fuoco al minimo accenno di fuga.
«Guardi cosa sta combinando, ha messo in agitazione tutti con
le sue mosse impreviste. Eravamo convinti che non sapesse niente dopo
averla interrogata e invece la ritrovo qui mentre cerca di arrecarci un
danno enorme».
«Dovevo continuare a disprezzare la polizia corrotta di
questa città così le avrei piantato un bel
proiettile nel cervello senza pentimento» rispondo
beffardamente in modo di provocarlo a fare un gesto istintivo.
Invece, una reazione istintiva la fa Akemi mettendosi davanti a me.
«James, fidati di me. Spara!»
Guardo Stewart, lui è bloccato perché,
probabilmente, non si può permettere di distruggere un
cyborg così prezioso senza essere autorizzato dal suo capo,
alzo entrambe le mie pistole e sparo a raffica crivellando il
poliziotto che crolla a terra. Penso che possiamo procedere nel nostro
piano ma Ivy, armata di fucile, ci sbarra la strada che porta ai
computer e non credo che tema di eliminare Akemi
com’è successo a Stewart in precedenza.
«Lei signor Donovan mi crea davvero troppi
grattacapi» dice Baxter appena giunto nel corridoio.
«Se vuole far vivere il suo cuore ancora per molti anni posso
aiutarla ma se intende distruggere tutto il mio lavoro Ivy, a questo
punto, cancellerà la minaccia anche se dovesse arrecarmi un
piccolo dispiacere dato che adoro il viso che lei ha scelto per la
nostra Akemi».
Akemi non teme niente. «Fidati di me e distruggi tutto senza
pensarci».
Mi spiace, non riesco a smettere di pensarti e anzi in questo momento
sto studiando una via di fuga per entrambi ma Baxter ha una soluzione
propria per risolvere la questione. Dalla tasca estrae un cellulare e
me lo mostra con il ghigno di chi ha vinto.
«Vede, il disturbo cerebrale della povera Akemi ha continuato
a progredire peggiorandone la stabilità e quindi mi basta
premere questo pulsante per azzerare il suo software e metterla a
dormire fino a quando un nuovo padrone sceglierà di
assemblarle un nuovo corpo.
Ora non ho nessuna carta da giocare, siamo nelle loro mani qualsiasi
cosa decido di fare, guardo Akemi per capire se ha qualche idea ma
anche lei è senza parole e scuote la testa. Posso soltanto
vendere la mia pellaccia a caro prezzo così punto una
pistola verso Baxter e l’altra contro Ivy.
«Chissà chi dei due farà per primo la
propria mossa se lei schiacciando il pulsante o io premendo il
grilletto» dico per metterlo in una condizione di svantaggio
ma lui ha anche un'altra carta che fa saltare il banco e la gioca
subito.
Ivy si sposta dalla porta della sala dei computer, consegna il fucile a
Baxter e si piazza davanti a lui per proteggerlo.
«Quando un uomo con la pistola incontra un uomo con un
fucile, l’uomo con la pistola è un uomo
morto» dice ridendo Baxter mentre cita una frase di un famoso
film.
«Lei sa anche come va a finire» rispondo io che
conosco molti film del passato.
La tensione è alta, ma rimango calmo e lucido in situazioni
del genere che ho dovuto affrontare durante la guerra, ma so anche che
le mie possibilità di uscirne vivo sono pochissime.
All’improvviso, dalle bocche di areazione, scende un fumo
denso che mi ricorda altri fatti della guerra, così metto
subito la mano alla bocca per proteggermi, almeno per poco,
dall’odore acre del fumogeno che sta riempiendo totalmente il
corridoio, ma nello steso istante avanzo verso Baxter per anticipare le
sue mosse sapendo bene che Ivy non avrà problemi a
riprendersi il fucile per colpirmi. Akemi corre verso di loro, anche
lei non soffre il fumogeno, sento le grida delle due ragazze ma
c’è troppo fumo perché possa percepire
dove si trova il Grigio, così mi accorgo soltanto
all’ultimo momento che mi è così vicino
da potermi sparare.
«Siamo ai titoli di coda del film signor Donovan».
Pessimo errore quello di parlare prima di sparare; mi volto di scatto e
premo a ripetizione il grilletto della mia pistola sicuro di averlo
colpito quando il fumo che ci stava circondando inizia a diradarsi per
l’intervento di qualcuno che urla. «Buttate le armi
e sdraiatevi a terra, siamo delle squadre speciali!»
Obbedisco immediatamente all’ordine lanciando la pistola
più possibile lontano da me, non ho motivo di dubitare che
si tratti davvero di uomini della polizia nazionale e mentre mi sdraio
incrocio gli occhi di Baxter e dal sangue che gli cola dalla bocca
aperta, sono certo che quell’uomo non farà
più del male a nessuno.
Epilogo – Il
desiderio dell’androide
«Signor Donovan lei è stato imprudente a entrare
nella Redmington House da solo senza informare le autorità.
Comprendo la sua decisione ma non posso giustificarla perché
è comunque un’azione illegale, capisco che la
fiducia nella polizia locale sia ai minimi storici avendo anche avuto
la prova della corruzione di Stewart, ma non posso chiudere un occhio,
mi scusi l’espressione, sul fatto che lei avesse delle armi
in mano per colpire un cittadino, però…»
Il capitano della squadra speciale mi stava facendo una bella ramanzina
ma smise di parlare ad alta voce e si avvicinò
all’orecchio per terminare la frase.
«Però, non le contesteremo nessuna azione
perché il signor Yadder era davvero un brav’uomo e
stava lavorando per me in modo impeccabile».
Guardai il viso del capitano ed ebbi subito la sensazione di averlo
già visto da qualche parte e chiesi: «Era lei a
guidare la macchina che ho visto molte volte?»
«Chissà» mi rispose mentre si
allontanava.
Finito di parlare con il capitano andai da Akemi, la strinsi tra le
braccia e le dissi sorridendo: «Finalmente è tutto
finito, posso esaudire il nostro desiderio», ma sentii subito
che qualcosa non andava come sperato.
«Mi dispiace James di averti coinvolto in questa faccenda e
mi dispiace che il nostro desiderio non potrà avverarsi.
Voglio però ringraziarti per avere dato al cuore di un
essere umano la felicità di cui era stato privato, e di
conseguenza, di avermi amato in tutti gli istanti in cui abbiamo
vissuto insieme».
Akemi fu messa su un lettino accanto a Ivy e solo in quel momento
ricordai che la donna che avevo davanti era un cyborg e quindi una
macchina progettata illegalmente e che sarebbe stata disattivata
secondo i protocolli previsti dall’armistizio firmato alla
fine delle guerre e a nulla valsero le mie proteste che furono
ricompensate solo con dei soldi dei quali non sapevo più che
farmene.
Mi sono fermato in un locale molto tranquillo durante il mio viaggio in
moto per raggiungere la fattoria dei miei nonni che non vedo da
parecchi anni e mentre sorseggio uno strano intruglio, che i gestori
chiamano “la bomba della casa” ho ripensato di
nuovo ad Akemi e ai suoi ultimi momenti di vita. Sì, di
vita, perché quella donna con il corpo di un robot, con un
cervello formato più da circuiti elettronici che di carne,
aveva un cuore che batteva forte. Se non fosse stato strappato con la
forza a un'altra persona ma donato spontaneamente penso che avremmo
gioito per la perfetta operazione di un trapianto di cuore dimenticando
che a riceverlo fosse stato un robot. Lei aveva solo il desiderio di
vivere perché stava cercando di conoscere il sentimento che
tutti noi cerchiamo stando insieme con altre persone…
La felicità.
Citazione
Questa citazione completa - Quando un uomo con la pistola incontra un
uomo con un fucile, l’uomo con la pistola è un
uomo morto – è una frase integrale tratta dal
bellissimo film di Sergio Leone “Per un pugno di
dollari”.
N.d.A
- Così giunge al termine questa storia a capitoli che ho
adorato scrivere perché mi ha dato
l’opportunità di provare a fare un thriller dove
non si cerca l’assassino, ma è più
interessante scoprire le motivazioni che spingono i personaggi a fare
delle scelte.
- La filmografia su questo tipo di argomento è aumentata di
pari passo con le migliore tecnologie applicate alla realizzazione dei
film e molti di questi possono ispirare a scrivere ma, nel mio caso,
soprattutto due mi hanno indirizzato verso la trama di questa storia:
Il sempre bellissimo “Blade Runner” di Ridley Scott
(il mio epilogo sotto certi versi ricorda il finale del film) e una
serie televisiva che non ha avuto molto successo “Almost
Human” (in particolare una puntata in cui alle donne
androidi, create per essere delle prostitute, veniva applicata la pelle
di donne reali).
- Ringrazio tutte le persone che hanno letto la storia e in speciale
modo chi l’ha anche commentata.
- Ringrazio Molang che mi ha dato l’opportunità di
sistemare, a livello grammaticale, questa storia.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3805227
|