Inferi

di Enchalott
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ti ho dato la morte ***
Capitolo 2: *** Quel maledetto-amato orgoglio. ***
Capitolo 3: *** Faccia a faccia ***
Capitolo 4: *** Solo due parole ***



Capitolo 1
*** Ti ho dato la morte ***


Eccomi ancora qui, forse prima del previsto: infatti, giudico questa fic alla stregua di un esperimento e spero che risulti almeno un po' riuscito. In alcuni punti mi sono volutamente autocitata, come se anch'io fossi parte delle riflessioni che metto in animo a Vegeta. Grazie in anticipo a chi avrà la pazienza di leggere. ^^

INFERI

Ti ho dato la morte

 
Il palazzo di re Enma si elevava possente tra le nuvole dorate, che lo ammantavano di una coltre vaporosa e irreale. Le sue quattro torri candide, marcate di scarlatto sugli spigoli, svettavano incombenti sul primo confine dell’aldilà, posizionate nell’eternità come i punti cardinali.
L’edificio centrale mostrava tra la foschia aurea i suoi lucidi tetti a pagoda, ricoperti di tegole verdi d’argilla; sul colmo, un paio di corna ricurve forniva un indizio essenziale sulla natura del custode di quel luogo.
L’imponente portale borchiato era spalancato e due Oni dall’aria severa vigilavano sul flusso ordinato e continuo di anime che attraversava la soglia fatale. Erano tante quel giorno. Troppe.
“Maledizione!” tuonò Enma, facendo sussultare brutalmente l’assistente che lo affiancava nella consultazione dei registri “Ma che cosa stanno combinando sulla Terra!? Non si è mai vista una situazione del genere! Siamo al collasso!”.
“M-ma sire…” balbettò l’orco, aggiustandosi nervosamente gli occhiali “I Kai-o Shin stanno cercando una soluzione, ma il Majin è troppo potente persino per…”
Il sovrano dell’altro mondo lo fissò interdetto dall’alto dei suoi quattro metri di statura, stropicciandosi la folta barba nera. Una profonda ruga di preoccupazione gli si delineò tra le sopracciglia incurvate. Rigirò tra le dita il pesante martello di legno, sospirando inquieto.
I terrestri erano praticamente estinti. Non era rimasto più nessuno in grado fronteggiare la mostruosità evocata dalle pieghe del tempo da chi si nutriva di male assoluto. L’essere spaventoso che aveva il bizzarro nome di Bu.
Enma comprendeva perché il suo braccio destro si era interrotto, deglutendo saliva e paura. Neppure i guerrieri Saiyan erano riusciti a fermare quella creatura: presto, dopo aver disintegrato il pianeta, essa sarebbe giunta al suo cospetto, affamata di morte, stillante di bieca crudeltà… anche l’oltretomba sarebbe stato inghiottito per sempre da quella follia.
Una vibrazione proveniente dall’infinita fila di spiriti catturò la sua attenzione, interrompendo il fiotto spasmodico dei pensieri. Gli Oni di guardia fecero un passo indietro, arrestandosi e trattenendo il fiato, impallidendo sotto la carnagione rossastra.
Enma guardò più attentamente in quella direzione, per scorgere quale fosse il motivo di tanta agitazione e lo inquadrò all’istante.
Due occhi, feroci e tristi, si sollevarono in risposta ai suoi, neri come la tenebra di uno dei suoi regni. Lo sguardo di chi quell’abisso lo aveva già sperimentato da vivo, in anima e corpo, ma non si era mai rassegnato.
“Per tutte le forche…Lui…” brontolò perplesso il Dai-ou.
 
Il principe dei Saiyan procedeva nella sua direzione con un’espressione tesa e concentrata sul volto. Probabilmente, anche da laggiù era in grado di percepire le emanazioni di ki e si era reso conto che il Majin era ancora al mondo. La sua agile mente doveva essere lontana anni luce: proseguiva incurante di tutto, come se non si stesse dirigendo verso il suo destino ultimo. Oppure, semplicemente, non gli importava.
“Maestà, quello è…” farfugliò il segretario, allentandosi la cravatta tigrata, palesemente a disagio.
L’occhiataccia carica di disapprovazione di Enma lo ridusse al silenzio, ma non lo tranquillizzò affatto. L’attendente gli porse con efficienza il pesante registro rilegato, tentando di recuperare il contegno, ma senza sentirsi totalmente in difetto nel provare quel timore. In fondo, l’ultimo di loro ad essere giunto davanti alla sua scrivania aveva creato non pochi problemi.
Il Giudice Supremo scartabellò tra le pagine del fascicolo e si soffermò a leggere, corrugando la fronte. Le sue dita tozze continuarono a salire e scendere sulla pagina vergata d’inchiostro bruno, come se non fosse del tutto convinto di ciò che stava scorrendo. Lo stupore gli si dipinse in volto.
“Mmmh” grugnì accigliato “Roba da non credersi…”
 
Vegeta percepiva ancora il rovente riverbero di quella luce. La stessa in cui si era trasformato e dissolto. Una sensazione nuova e antica, come se da lui fosse sgorgata solo un’essenza che già esisteva. Lontana, sopita, volutamente respinta, ma presente. Poi, finalmente libera, illimitatamente potente. Quasi inaccettabile dall’arroganza consapevole e dignitosa che costituiva il suo modo di essere. Trovava difficoltà a identificarla con una parola.
Sacrificio? Sofferenza… s’offerenza
Su Namek, dieci anni prima, quando Frieza lo aveva ucciso, era vibrata un’altra corda. La sua esistenza era semplicemente terminata, nient’altro. Quella attuale, invece, era la morte. Lo era, perché nel frattempo si era preso la briga di vivere. E la ragione per cui si era concesso quella possibilità era inconcepibile, se raffrontata al suo passato. Il discrimine era tanto chiaro, quanto distante dai suoi intenti precipui. Approdare sulla Terra come messaggero di morte, per poi tornare a causa di un dispetto della sorte e restarci, abbandonando i progetti originari solo perché gli era stato chiesto e perché poi…
Chi!” mormorò, sorprendendosi a rimuginare.
Inutili congetture. Mai voltarsi. Sempre avanti con fierezza, la stessa al cui dettame si era sempre attenuto. Tuttavia, in quell’occasione era difficile mantenere la direzione. Nell’indietro c’era il suo tutto. Quello che aveva pienamente afferrato nello stesso istante in cui aveva scelto di lasciarlo consapevolmente andare come unica chance. E non lo aveva fatto per sé. No di certo. Una realtà impietosa, innegabile, che riusciva a scalfire persino il principe della stirpe guerriera.
 
“Addio, Bulma… Trunks… e anche a te, Kakarott…”
 
Lo aveva detto davvero. E poi il coraggio non era bastato. Era stato altro: qualcosa dentro di lui aveva varcato la strenua resistenza dell’orgoglio, lacerandogli l’anima come mai era accaduto. Una forza soverchiante gli si era riversata nel cuore come uno tsunami, portandosi via ogni forma di difesa, senza misericordia, eruttando da quella ferita invisibile, indefinibile.
Quella verità non gli aveva fatto paura: aveva solo smesso di negarla.
“Che vocabolo stai cercando? Non sei bravo a mentire, neppure a te stesso…”
Vegeta sussultò.
Gli spiriti che lo affiancavano sulla tortuosa strada bianca erano silenziosi e si muovevano con lentezza, ciascuno di essi perso nei ricordi o nei rimpianti. Quei termini pungenti non erano stati proferiti da nessuno dei suoi diafani vicini.
Gli Oni erano indaffarati poco distante e, quando lo avevano riconosciuto, avevano addirittura evitato di guardarlo. Figurarsi rivolgergli la parola!
Sogghignò.
Evidentemente, la sua fama lo precedeva e l’aldilà era aggiornato.
Era ancora frastornato dalla franosa successione degli eventi. Dall’effetto domino che lo aveva condotto laggiù. Quell’affermazione categorica che gli era saettata per il cervello era senz’altro il risultato dato dalla somma delle sue ultime ore di vita, cui si aggiungevano le decisioni assunte in extremis, accompagnate da una buona e insolita dose di ammissione di responsabilità. Un’eco rimasta sospesa, che aveva trovato finalmente la via d’uscita. Non poteva essere altrimenti.
Una contrazione dolorosa lo trapassò nell’io profondo. Se la sua intenzione era stata quella di sistemare le cose, aveva fallito miseramente: convivere con quella sensazione di impotenza lo rendeva furente, anche se sarebbe durata ancora pochi istanti in fondo. Poi, di lui, non sarebbe rimasto niente.
Strinse i pugni. La consapevolezza lo assalì inclemente.
 
“Piccolo, porta via i bambini e vattene da qui…”
“Allora… allora tu hai davvero intenzione di morire, Vegeta?”
Il Namekiano lo aveva compreso al volo e lo aveva fissato, contrariato e ammirato, ma senza tentare di dissuaderlo. Per certi versi, loro due erano simili. Lo sguardo rispettoso di quel mistico perspicace gli aveva infuso lo slancio finale.
Aveva tagliato corto, bandendo le spiegazioni delle proprie intime ragioni.
“Dimmi una cosa. Potrò incontrare Kakarott all’altro mondo?”
L’impercettibile esitazione del guerriero dalla pelle verde aveva risposto in sua vece, confermando le aspettative.
“Sarò sincero. Uno del tuo calibro non necessita di inutili consolazioni. No, non lo rivedrai mai più. Quando morirai, la tua anima finirà in un luogo differente dal suo, perché hai spezzato troppe vite innocenti. Perderai la memoria, sarai purificato e rinascerai in un nuovo corpo…”
 
Kakarott. Maledizione.
L’impossibilità eterna di sfidarlo sarebbe stata proprio la peggiore condizione che gli avrebbe imposto Enma, come meritato castigo per aver incoscientemente ed egoisticamente risvegliato il Majin. Per essere stato così…
“Stai scendendo davvero in basso! Non vorrai cedere all’autocommiserazione…”
Vegeta sciolse le braccia dal petto e andò automaticamente in posizione di guardia. Decisamente non poteva trattarsi di un’allucinazione provocata dalla fine esplosiva che si era auto inflitto.
“Se fossi in te, modererei i termini!” saettò al nulla che lo circondava “Vieni fuori!”
Le entità che gli erano accanto ebbero un tremolio e si allontanarono di qualche passo, intimorite.
Gli Oni gli indirizzarono un timido cenno, invitandolo a proseguire, raggelando a fronte della smorfia minacciosa con cui lui accolse la richiesta.
Nient’altro.
Chi! Almeno tra poco smetterò di ascoltare delle assurdità, da qualunque parte esse provengano…” ringhiò tra i denti.
Un boato assordante si propagò per l’etere, facendo vibrare l’intero oltretomba.
Un’energia spirituale immensa si irradiò attraverso lo spazio-tempo, raggiungendo per un millesimo di secondo quel mondo inaccessibile; un’altra aura, purissima, le si intrecciò spasmodica e poi svanì in una scia luminosa.
Stavano combattendo, lontano, per sopravvivere. Lo percepiva con chiarezza.
Il principe corrugò la fronte, tentando di placare inutilmente il violento ribollire del suo sangue saiyan, che per dna rifiutava la resa e si ribellava all’inattuabilità della lotta; un’immobilità forzata che pesava più di qualunque eventuale prossima condanna.
Quanto pesano invece le scelte azzardate, Ōji-sama?”
“Ma che diavolo…!?” esclamò Vegeta, esasperato.
Poi, la sua attenzione venne interamente fagocitata dallo squarcio circolare che occupò la volta rosata, sovrastando ogni altra questione.
Le immagini provenienti dalla Terra, deturpata dalla furia del demone mago, iniziarono a scorrere come in un film, senza interruzioni.
Udì distrattamente gli Oni affermare che Enma aveva dato l’ordine di monitorare la situazione del pianeta e di prepararsi al peggio, mentre fissava il cielo, sconcertato e irato.
Majin-Bu e Kakarott.
Il primo ancora odiosamente borioso. Il secondo… beh, gli aveva mentito.
Bakaya…” mormorò fra sé e sé, osservando la lunga capigliatura dorata e lo sguardo selvaggio di Goku “Ha volutamente trascurato di informarmi che era in grado di raggiungere il terzo livello di super Saiyan…”
Il che era un oltraggio intollerabile, che si aggiungeva a quelli precedenti. Dopo il loro primo scontro, il suo rivale gli aveva risparmiato la vita; poi era morto per salvarlo da Cell; infine, aveva rifiutato di concedergli la rivincita in duello.
Per costringerlo alla sfida, Vegeta aveva dovuto ricattarlo. Nel peggiore dei modi. Quella era la ragione per cui lui…
“No. La sola ragione sei tu”.
“Che cosa!?” gridò il principe, infiammandosi come brace al tocco del vento “Mostrati, razza di vigliacco! O sei capace solo di sputare aria?”
“Sei tu che non mi vedi, io sono qui davanti a te”.
Hah, hai deciso di provocare la persona sbagliata. Evidentemente non mi conosci affatto! Levati di torno, ho altro da fare!”.
“Ti conosco meglio di quanto credi, invece”.
Vegeta ridacchiò freddamente, ignorando volutamente la voce alle sue spalle e sollevando nuovamente il viso verso la proiezione degli eventi in corso.
Kakarott. Non era difficile intuire la ragione per cui non gli aveva rivelato la sua effettiva potenza: non voleva ucciderlo. Lo considerava un fratello. Per le stelle, come bruciava quella stima non richiesta! L’aveva riconosciuta distintamente sui suoi lineamenti, mischiata alla rassegnazione, alla comprensione, al rimprovero e all’angoscia.
 
In quella landa desolata, che era il teatrale specchio di un’interiorità soffocata a forza, il suo sguardo lo aveva sconfitto già in partenza. Quegli occhi verdi e sinceri gli avevano confermato che Kakarott non lo odiava. Anzi, lo capiva più di tutti gli altri. Ma non lo approvava.
“Hai abbandonato l’orgoglio solo per essere più forte? Mi hai deluso, Vegeta!”.
“Fai silenzio!! Non avrei mai voluto usare un tale mezzuccio! Per colpa vostra ho smesso di riconoscermi! Sembro un patetico terrestre! Avevo bisogno di tornare ad essere il vero me stesso, lo spietato principe guerriero! Ora, finalmente, sono di nuovo io e mi sento benissimo!”
Kakarott non gli aveva prestato ascolto, fissandolo con consapevolezza: “Non è vero!” aveva risposto perentorio e lui, per non udire la verità, aveva attaccato con la forza della disperazione.
L’aura remota e agghiacciante di Majin-Bu era poi mutata, mentre si fronteggiavano; il suo avversario aveva abbassato le braccia.
“E’ colpa nostra, Vegeta. Non è il momento di pensare al nostro ego”.
“Non mi interessa! Majin-Bu può fare quello che vuole!”
Kakarott si era raddrizzato, severo: “Ucciderà tutti, lo sai. Anche Bulma e tuo figlio…”.
“Stai zitto! Zitto!!”
Più preghiera che rabbia quella con cui aveva dato fiato a tutta la tristezza, a tutta la pesante cognizione derivante dalla sua infausta scelta.
“Ho venduto il mio spirito al Majin proprio per cancellare i miei sentimenti umani! Non mi importa più di niente e di nessuno!!”
“Non ti credo! È impossibile che tu abbia abbandonato tutto te stesso al mago!”.
Il principe lo aveva squadrato, terrificante all’esterno, in disastrosi pezzi di dolore all’interno. Rimaneva in piedi per arrogante ostinazione. Non era vero, infatti, e ben lo sapeva. Aveva sbagliato strada e non ne esistevano altre a quel confine estremo. Solo una. Quella che lo aveva condotto lì.
 
Fluttuò in quella memoria recente e gravosa.
Amaro da accettare, eh?” continuò il misterioso interlocutore.
Il principe si riscosse, preda di quel commento irriverente.
“Puah! Sei forse un nemico che ho dimenticato?”
Il peggiore, oserei dire”.
“Vaneggi. Lui è ancora là…” rispose Vegeta, indicando gli eventi riflessi in cielo.
Goku ansimava vistosamente e aveva sciolto la trasformazione, riacquistando il suo aspetto naturale. Presto, le sue ventiquattr’ore sarebbero scadute e avrebbe fatto ritorno all’altro mondo. Era al limite. Majin-Bu, che non avrebbe più incontrato ostacoli, lo osservava con crescente curiosità.
“Andiamo… Non è certo Kakarott il tuo acerrimo nemico!”
“Che cosa ne sai, tu, dannato…”
“Lo so bene. Io sono la tua nemesi, sono quello che ha colto il tuo ultimo respiro, scaraventandoti quaggiù. Io sono quello che ti ha ucciso, Vejita” lo interruppe.
Il principe si bloccò, incerto. Poi recuperò la risolutezza.
“Se proprio vuoi continuare con le tue idiozie, informati! Ho fatto tutto da solo, come sempre! Sei solo un impudente in cerca di gloria!” ribatté.
Oh-ho… non ne ho bisogno. Quanto affermo non contraddice la realtà dei fatti che entrambi conosciamo. Anzi, la conferma. Io ti ho elargito la morte”.
“Ora mi hai stancato!”
Vegeta si girò di scatto, sondando con il ki la trasparenza che lo stava pungendo sul vivo. Era esattamente dove si era dichiarata, solo invisibile agli occhi, come l’energia spirituale che la costituiva. Ma era vera e spaventosa.
Due iridi d’onice scura lo fissarono intensamente, balenando ironiche in risposta alla sua incredulità. Il viso dalla carnagione ambrata, incorniciato dalla lucida chioma corvina che vinceva la forza di gravità, si sollevò, indirizzandogli quell’inconfondibile sorriso di sbieco. Incrociò le braccia, fasciate nell’aderente dogi blu.
Io sono... te!” concluse.

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Capitolo 2
*** Quel maledetto-amato orgoglio. ***


Grazie davvero a chi mi ha lasciato un commento pubblicamente o in privato. Ecco il secondo capitolo di questa mini long. Un bacio a chi legge! ^^

Quel maledetto-amato orgoglio.

Il principe si sentì come in una morsa letale, ma ebbe la prontezza di ribattere.
“Impossibile!”
“Hai esaminato il mio ki, non dovresti avere dubbi. E poi sto parlando nella tua lingua madre: sei ormai l’unico a conoscerla”.
“Sei solo un’allucinazione dovuta al trapasso!”
“Se non mi credi, puoi toccare con mano” replicò l’altro, avvicinandosi.
L’aria circostante, al suo passo, beccheggiò di un impercettibile spostamento. Lo sguardo del principe si fece torvo e riottoso. Schivò le dita tese verso il suo petto.
“Non osare” sibilò.
“Sei qui per via del tuo orgoglio. Il tuo maledetto-amato orgoglio, che è diventato un tarlo, ridotto ad ambizione ed egoismo. Non sarebbe mai dovuto accadere, Vejita!”
Aveva evitato che quell’impostore lo raggiungesse fisicamente, ma lo strale fabbricato di quelle parole lo prese in pieno. La fitta lancinante che avvertì gli fece mancare la risposta al vetriolo che aveva già sulle labbra.
Spasimo inferto dalla pura verità. Se lo avesse desiderato, Vegeta avrebbe potuto espellere il Majin, schiumante di rabbia ferina ma non prevalente in lui, dal suo io profondo. Invece, aveva scelto di confondere l’insperato spiraglio di riscatto con la cieca vendetta; la fierezza con l’odio inveterato. Si era lasciato condurre da essi attraverso le onde dell’irrisolto, infestate da fantasmi sopiti, in una deriva che aveva condannato il genere umano.
Proprio lui, che aveva assistito inerme alla dissoluzione del suo pianeta, aveva accettato un impari scambio, pur di ottenere il potere che gli era necessario per pareggiare i conti con Kakarott. La futilità ambivalente di quel bisogno, che aveva auto definito indispensabile, gli era rovinata addosso poco dopo.
A malapena, anche ora, riusciva a sostenere la consapevolezza di aver lasciato deliberatamente imputridire un’antica piaga, che non era altro che dolore non condiviso. Neppure con… ah, per tutte le galassie! Il cuore perse un battito.
“Se sei me, come sostieni, non ti devo spiegazioni” rispose algido, in stoica sfida a quelle aspre considerazioni.
“Non te le ho chieste, in effetti. Mi sto solo domandando se ti sei sentito realizzato”.
Gli occhi implacabili che lo incatenavano al flash back interiore erano schegge di ossidiana, che non promettevano sconti. Gli sembrarono stranamente più vividi. Quell’inspiegabile presenza, dotata delle sue fattezze, bloccava le vie di fuga al guerriero che non aveva mai dato le spalle a un avversario.
Chi!”
Doveva ammetterlo. Non si era mai sentito tanto male come quando aveva accolto con raccapriccio l’essenza oscura del Majin. Essa incredibilmente gli era risultata estranea. Ovviamente, perché il crudele principe dei Saiyan che rievocava con insensata nostalgia non coincideva più con il sé attuale. Non c’era stato nessun benvenuto al demone spietato che lo aveva invaso. Era stato in quell’esatto momento che aveva realmente smesso di riconoscersi: non prima, come aveva gridato in faccia a Kakarott.
La verità era che si era perso.
In quegli anni, si era avvertito sereno come mai avrebbe creduto. Quando qualcosa di simile alla felicità lo aveva cinto, una parte di lui non era riuscita ad accettarlo. Come se non ne avesse diritto. Aveva barattato anima e corpo con il Majin per riuscire a dimenticare la sua profonda umanità, perché da solo non ci sarebbe mai riuscito. Ma ciò non era avvenuto. Si era sentito sporco e basta. Era il se stesso malvagio che non aveva più identificato, a quel punto. Quello con le mani lorde di sangue. Non era riuscito a cancellare un bel niente. Quell’atto consenziente, anzi, era imperdonabile davanti al creato intero. Ed era troppo tardi per un dietro front.
La tua espressione la racconta lunga” commentò sarcastico l’alter ego “Non riesco neanche a dirlo, sembra una tautologia. Hai calpestato il tuo orgoglio per eccesso d’orgoglio!”
Vegeta sbuffò, irato. Tutti i Majin dell’universo non lo avrebbero mai reso superiore in uno scontro. Bella scoperta, lo immaginava già in partenza in realtà. La vera forza era un’altra, quella a cui lui aveva tentato sconsideratamente di rinunciare.
Iiah…” proseguì la sua insopportabile copia “Le tue ragioni risiedono altrove. In un dove che tu detesti ammettere. In un quando che ti ha mutato. In un perché che ti atterrisce”.
“Atterrisce?!” ripeté il principe, perdendo definitivamente le staffe.
Quel maledetto lo stava leggendo senza neppure sforzarsi! Se era così, sicuramente avrebbe compreso che lui in realtà…
“Dovresti avere il fegato di ammetterlo con te stesso, Vejita…” pensò.
Con Kakarott avrebbe voluto darsi all’eccitazione della battaglia, rimanendo indenne e indifferente per eccesso di presunzione, come nel suo trascorso. Gli era risultato impossibile. Aveva anelato dimostrare di essere il numero uno, massacrando a caro prezzo qualsiasi pensiero che non fosse stato quello di strappare la vita al nemico. L’esito lo aveva semplicemente privato di tutte le scuse precipitosamente accampate.
Quello scontro, a lungo sognato in passato, non era stato che l’ultimo, occasionale pretesto per rifiutare la metanoia che aveva rivoltato il suo io. Strenua resistenza ad abbandonarsi ad un’umanità che avrebbe potuto ferirlo. Si era aggrappato a quello e aveva sbagliato alla grande.
Non intendeva rinnegare ciò che era stato. Ma non era più così da anni. Da quando era stato sconfitto dalla generosità di un altro Saiyan, che considerava inferiore. Da quando era rimasto sulla Terra. Da quando aveva sperimentato per la prima volta...
“Ancora ti rifiuti di fare pace con i tuoi sentimenti? Incomincia dalle oggettività semplici. Tu hai avuto paura. Almeno io ho il coraggio di triangolarla con il suo nome” attestò l’apparizione, mimando la figura geometrica con le dita guantate “Paura di lasciarti andare. Vuoi che continui o ti decidi ad accettarlo?”.
“Stai insinuando che sono un vigliacco!?” sbottò Vegeta, fissando lo sfidante in aperta opposizione “Mettimi alla prova e vedremo chi…”
Si interruppe, disorientato. L’essere che prima era soltanto una lieve trasparenza ora risultava perfettamente distinguibile, ma non gli stava più prestando la minima attenzione. Il suo sguardo si era agganciato al cielo e sembrava ondeggiare di malinconia. Il principe alzò il viso e subì il medesimo effetto.
Trunks e Goten.
Gli unici Saiyan ancora esistenti si stavano allenando per imparare la danza Metamor. Nei loro occhi, ancora arrossati per l’assenza di chi avevano perduto, c’era la valorosa determinazione che li avrebbe condotti a sfidare Majin-Bu. Sapevano di essere i soli a poter vantare l’ardire di tentare l’impresa che persino a lui era risultata impossibile. Li osservò ascoltare attentamente le istruzioni di Piccolo ed eseguire infinite volte la sequenza di astruse mosse necessaria alla fusione.
Dannazione! Non sarebbe dovuta andare così! Combattere all’ultimo sangue non sarebbe dovuto diventare compito dei bambini! Tutto ciò perché lui…
Oorenai…” pronunciò a fior di labbra la creatura composta di puro ki.
Amore mio.
Un impercettibile sussurro, ma Vegeta lo udì distintamente, nello stesso istante in cui lei, provocandogli un sussulto, entrò nello spiraglio visivo coinvolto nella proiezione. Chi! Allora, quel presuntuoso non si era estraniato dal loro tête-à-tête per seguire l’addestramento dei due piccoli guerrieri! Lo aveva fatto perché il suo interesse era stato calamitato dalla comparsa di Bulma.
La collera, definizione emotiva non propriamente corretta, iniziò a montare come un gradiente di marea e fu tentato di scaricargli addosso un Gaalick Cannon alla massima potenza. Occasione perfetta per scoprire se le sue facoltà erano attive anche laggiù. Non lo fece perché, contemporaneamente, iniziò a convincersi che forse quell’essere non gli aveva raccontato delle fandonie: si identificò nell’espressione tormentata e assorta che lo ammantava in quel frangente.
Vegeta non concentrò il colpo perché sua moglie stava incitando loro figlio con un misto di orgoglio e angoscia, tormentandosi di nascosto le mani e forzando un sorriso che non era in grado di ingannarlo. La conosceva bene. Le iridi turchesi della donna che amava scintillavano di uno strazio ineffabile: erano cristallo in frantumi e guardarla mentre tentava di reagire, annientata dallo sconforto, era per lui un supplizio insostenibile.
Il principe dei Saiyan vacillò, faticando a mantenere intatta la scorza coriacea di cui aveva imparato a velarsi. Anche laggiù, si stava difendendo da ciò che provava.
Bulma, che non aveva alcun potere, era infinitamente più forte di lui. Più coraggiosa e, se possibile, più caparbia. Possedeva una grinta che la portava a non rassegnarsi mai, anche nella disperazione più buia. Nessuno meglio di lui aveva sperimentato quella tempra straordinaria. Quel dono che era lei.
 
“Goku? Non… non può essere morto…” aveva mormorato Bulma, affranta.
“Kakarott non avrebbe dovuto fare quella fine! Avrebbe dovuto sfidare me! Non morire per… dannazione! Io… io sono stato completamente sconfitto sia da lui sia da Gohan! Ho perso definitivamente! Io non sono un guerriero! Perciò… non combatterò mai più!”
Lei lo aveva fissato, incredula, trattenendo il fiato sulla sua espressione stravolta. Seduti a terra, l’uno accanto all’altra, nella penombra della Capsule Corporation.
La quiete era durata meno di uno yoctosecondo.  
“Vattene via, ingannatore da quattro soldi!” aveva esclamato lei, riguadagnando il temperamento combattivo “Ridammi subito l’uomo che amo!”
Chi!”
Vegeta si era sentito avvampare più per la dichiarazione diretta, gettata in campo senza imbarazzo, che per il rimprovero.
“Tu non hai forse fatto la stessa cosa? Quando Cell ha ucciso Mirai Trunks, ti sei gettato contro di lui senza esitare! Avresti potuto perdere la vita, ma non sei stato a pensarci due volte! Goku ha agito per le stesse ragioni, anche se a te non piace il paragone che sto intavolando! Ha salvato chi ama, donando tutto ciò che possedeva. Io sono certa che lo capisci anche tu, solo che non ti va giù il fatto che abbia preferito un’altra via! E, soprattutto, che abbia compreso anche te nel cerchio degli affetti! Ma non è un buon motivo per rinunciare! Non è da te. Non sei il principe di Saiyan? Comportati come tale, allora!”
Lo aveva scrollato con impeto, serrandogli le dita sulla maglietta. In Vegeta era si era ricamato un lampo veemente, ma non si era ribellato. Lei lo aveva preso di petto, chinandosi su di lui e lasciandolo a bocca aperta.
“Gohan avrà bisogno di te! Trunks avrà bisogno di te! Sai bene cosa significa sentire scorrere nelle vene il vostro sangue! Io ho bisogno di te! Non permetterò che tu soffochi te stesso! Mi hai fatto costruire quella dannata gravity room! Giurò che ti ci trascinerò per i capelli, se fosse il caso!”
Lui aveva sollevato il viso, avvolgendola nel nero feroce dei suoi occhi. La tazza che stava reggendo tra le dita era esplosa in frammenti. Ma lei non si era certo lasciata intimorire dal suo atteggiamento minaccioso.
“Non hai capito? In piedi, Saiyan!!”.
Vegeta l’aveva afferrata, facendole perdere l’equilibrio e lei gli era scivolata tra le braccia, sorpresa.
“Hai finito?” le aveva domandato con un sogghigno compiaciuto.
“Sì”.
“Allora, non mi dare ordini”.
“Ti sanguina la mano”.
“Sposami”.
“C-che cosa…?”
“Domani…”.
 
Si riebbe dalla reminiscenza, ritrovandosi a scrutare il se stesso antagonista, che esibiva un’espressione acuta e beffarda.
Lo rammento come se non fossero già passati cinque anni” sospirò con un sorriso pungente “L’effetto che ti ha fatto il suo “sì”. Continui a parlare di temerarietà, ma sai bene che questa definizione è uno schermo. E’ il senhal con cui pensi erroneamente di salvare l’immagine che offri di te”.
“Io sono così come mi vedi. Non celo nulla di me. Se sei intuitivo come vanti, sai bene che non mi interessa simulare e che il giudizio altrui non mi scalfisce. Hai dichiarato che siamo un unico essere, ma da come congetturi non si direbbe. Tu mi fai pena.” sentenziò sdegnoso Vegeta.
I colori quasi realistici della mordace controparte lo colsero di sorpresa. Fu come guardarsi allo specchio. La sua risata gli esplose nelle orecchie, spietata e schietta.
“Hah! Sei un vero Saiyan! Se non c’è difesa, attacca! Complimenti, hai appreso prontamente le basi!” sghignazzò sagace “Ma con me non hai gioco. La parola che eludi e ti fa paura è “amore”. Come se provarlo fosse un difetto inaccettabile e non forza assoluta. Che è quella che ti ha portato qui, peraltro. No, Vejita… nel tuo ultimo Final Flash non hai dato fondo al tuo coraggio o semplicemente al tuo ki. Hai usato tutto l’amore che avevi in te! Smettila di nasconderti!”.
Il principe boccheggiò, svuotato di ogni arma confutativa, tentando vanamente di artigliarsi ad una freddezza che non percepiva. Mai si era riconosciuto tanto indifeso, tanto scandagliato, tanto… umano. I dubbi si volatilizzarono. Quella che gli si ergeva contro era veramente una razione di sé, che era sfuggita al suo controllo per qualche recondito motivo e aveva acquisito forma per renderlo imputato della propria psiche.
 
Le immagini sopra di loro sparirono repentinamente e lo sprazzo di cielo che rifletteva la Terra si fece livido e confuso, restituendo un nulla agghiacciante.
Gli Oni si arrestarono, allarmati, per poi tornare ad assolvere mestamente il loro compito con un’inquietudine aggiuntiva.
Forse, il male aveva vinto. Forse, l’universo era perduto ad aeternum.
Vegeta ansava come se avesse combattuto allo stremo e, probabilmente, stava continuando a misurarsi. Era talmente preso da quel duello intrinseco, da non aver notato di essere giunto ai piedi della postazione di Enma.

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Capitolo 3
*** Faccia a faccia ***


Faccia a faccia

Il sovrano dell’aldilà lo scrutò con interesse, calcandosi in testa l’elmo violetto e sporgendosi oltre il pesante tavolo di legno.
Il Saiyan appariva inquieto: i suoi occhi intensi erano rivolti a qualcosa di remoto e scintillavano come brillanti scuri, palesando una crepa nella sua consueta, sicura imperturbabilità. In lui si intuiva una tensione insolita e innaturale, considerando la sua usuale indole impassibile.
Se non fosse stato certo della sua identità, Enma avrebbe detto che quel guerriero implacabile sembrava sconvolto.
“Principe Vegeta! Un bel curriculum, non c’è che dire!” commentò rigoroso.
Il giovane sobbalzò, rientrando repentinamente nell’hic et nunc e realizzando di essere a tu per tu con il Dai-ou. Inarcò un sopracciglio e dedicò al gigantesco re orco un’occhiata di sufficienza, per poi girare il viso dal lato opposto.
“Al solito…” mugugnò Enma, che non avrebbe scommesso uno zeni sull’astenersi di Vegeta dall’abituale piglio altezzoso, solo perché non era più tra i vivi.
Eppure, in lui c’era di più. C’era un infinito che aveva rescisso i confini.
Il signore dell’oltretomba sapeva il fatto suo e, in migliaia di anni, non si era mai lasciato né ingannare né impressionare. E, soprattutto, non si era mai sbagliato. Scosse la testa e batté il martello, sancendo il destino di quell’anima.
Chinoko!” ruggì, chiamando poi uno degli Oni con un gesto della mano “Akuma! Accompagnalo al Lago di Sangue e fa’ in modo che ci resti!”
Il malcapitato si inchinò formalmente, sudando freddo, e si apprestò ad espletare l’ordine. Vegeta lo seguì senza recalcitrare.
“S-scusate, maestà…” balbettò l’assistente, che si era riparato preventivamente dietro al bordo della scrivania, lasciando spuntare solo le corna e un paio di occhi terrorizzati “Non gli avete cancellato i ricordi e neppure l’avete destinato alla metempsicosi… n-non capisco…”
Enma emise un grugnito, consapevole di aver agito in deroga alle leggi universali. Lanciò un’occhiata al principe dei Saiyan che si allontanava, la dignità che emanava da ogni sua fibra nell’incedere a testa alta, nel portamento regale, nel passo sicuro. Anche se il suo cuore era dolorosamente spezzato.
“Non dovrebbe finire laggiù” ammise con reticenza “Ma non posso mandarlo altrove. E’ indubbio, oggi ha mietuto tante di quelle vittime, eppure…”.
“Prego?” domandò il segretario, ancora più confuso.
“La situazione si è fatta drammatica sulla Terra e non solo. Ci stiamo giocando tutti l’esistenza. Questo è uno dei motivi per cui lui non deve sapere in alcun modo…” proseguì il Giudice Supremo con un’espressione travagliata “… che poco fa sua moglie è morta. Andrebbe a cercarla e non basterebbe il mio intero esercito per tenerlo a bada. La rintraccerebbe nel luogo di pace in cui si trova e rifiuterebbe di tornare a combattere contro Majin-Bu. Invece, io intendo rispedirlo indietro immantinente in caso di bisogno e, se non m’inganno, ce ne sarà presto. Lo so, non è una risoluzione molto corretta, però il bene comune ha la precedenza”.
“M-ma com’è possibile che…”
“Per rispondere alla tua richiesta implicita” lo interruppe Enma “Non ci sarebbero obiezioni a lasciarlo con lei. Là dove l’ho provvisoriamente inviato non potrebbe assolutamente stare, se ci trovassimo in altre congiunture. Non è il luogo per lui. Perché, vedi, in mezzo a quel groviglio inestricabile di orgoglio e impeto prova amore puro”.
 
Vegeta si arrestò di botto, dirigendo l’attenzione allo squarcio buio e inattivo che ancora slabbrava la volta di quel regno.
Il suo olfatto sensibile aveva captato un profumo inconfondibile di petali di sakura. Scrutò la desolazione del luogo, che non presentava altri sintomi se non quelli che lo caratterizzavano: dossi brulli e privi di colore, spaccature screpolate e una distesa immota di linfa vermiglia. Nessun albero.
Nessuna ragione per credere che lei potesse trovarsi lì.
Bulma…
 
Non aveva mai mostrato timore nei suoi confronti e Vegeta non era assolutamente preparato a un evento del genere. Era rientrato sulla Terra, in seguito a un’infruttuosa caccia all’uomo; lei gli aveva chiesto di restare.
“Perché non hai paura di me!? Spiegamelo una volta per tutte!” aveva urlato con rabbia. “Da quando sono qui mi hai aiutato senza chiedermi niente! Perché? Forse ti faccio pena?!”.
“Niente affatto. Tu sei forte e intelligente, Vegeta. Te la caveresti anche da solo, ne sono pienamente conscia”.
La sua collera aveva iniziato a sfumare.
Bulma gli aveva rivolto un sorriso disarmante e lui aveva atteso con impazienza che cercasse le parole opportune.
“Tutti ti hanno classificato come un essere spregevole, ma non io. Non sono una da valutazione superficiale. Anzi, lungi da me giudicarti. L’ho vista la terrificante solitudine che trascini con te, anche se tu sei un ottimo attore. Nessuno dovrebbe vivere così, sprecando l’esistenza. Io voglio sapere chi sei veramente, principe dei Saiyan. Non mi fermo a ciò che tu sei solito esibire con tanto eccesso”.
Lui era scattato in avanti, sentitamente offeso. Sprecare??
Lei aveva proseguito: “Qual è il tuo valore, Vegeta? Sei terribilmente ingiusto con te stesso e questo ricade anche su chi ti circonda. Datti un’altra occasione. Ti ho chiesto di rimanere a casa mia perché speravo che tu ti offrissi questa possibilità. Sta a te decidere se la meriti veramente… e poi in realtà tu sei…”
“Che cosa stai blaterando!?” l’aveva interrotta lui “Io sono il principe della stirpe guerriera, non un patetico terrestre! Che cosa credi di ottenere?!”.
“No. Tu hai il cuore in pezzi”.
Vegeta era trasecolato: non era riuscito né a ribattere né a muoversi. Non era riuscito neppure ad arrabbiarsi. Quell’affermazione aveva avuto l’effetto di un’esplosione e lo aveva intaccato fino al nucleo con inaudita enfasi.
Aveva digrignato i denti come una belva ferita, puntando la ragazza che lo stava affrontando nuovamente senza battere ciglio, che lo aveva appena fatto sentire vulnerabile, che aveva il potere di fargli saltare i nervi, di provocarlo e di placarlo in uno, di…
“Maledizione! Io sono un Saiyan! Se non te lo ficchi in testa, io…”.
 “Va bene” aveva sospirato Bulma, abbassando con un gesto lieve il suo pugno serrato a mezz’aria “Ero venuta solo per avvisarti che è pronta la cena…”
La sua furia si era sciolta definitivamente come neve fuori stagione, al calore di quel semplice invito. Andava a finire sempre così…
 
Con Bulma non avevano mai funzionato né i suoi introversi silenzi né le sue affermazioni sprezzanti né le sue rabbiose minacce né la sua rigida ostinazione. Perché, davanti a lei, l’alieno spietato, il guerriero impavido, il principe altezzoso, il Saiyan arrogante cessavano di esistere. Nel suo abbraccio, restava solo l’uomo che lui era.
Vegeta si portò una mano al petto, sperando che le pulsazioni violente che avvertiva smettessero di scuoterlo. Lei lo aveva considerato sin dal primo istante non nel suo svolgersi contingente, ma come futuro in potenza… e possedeva l’audacia di amarlo e lui…
La memoria si esaurì, lasciandolo solo a riflettersi nella risacca cremisi che lambiva la riva: aveva la stessa tinta del suo pianeta natale, mentre collassava sotto il colpo micidiale che gli era stato inferto a tradimento.
“… e tu la ricambi, anche se preferiresti reiterare la fine piuttosto che ammetterlo” interferì il suo alter ego “I tuoi ricordi sono intatti, a quanto pare. Un’altra prova a mio favore”.
Vegeta non si contenne più e si ribellò, irradiando frustrazione e dolore.
“Io ero un Majin! Un Majin, non ti è chiaro!? L’entità più abietta dell’universo! E tu osi prendermi in giro, parlandomi di amore e di altruismo! Qual è il tuo fine? Farmi gridare che ho commesso un errore imperdonabile? Convincermi che sono un folle? O un vile? Oppure ti è stato assegnato l’ingrato compito di farmi la morale?”
La creatura si proiettò, più nitida che mai, sulla superficie purpurea, palesemente divertita e insoffribilmente sicura di sé.
Non sono qui per spiegarti ciò che per entrambi è ormai pacifico. Per quanto riguarda la morale, la lascio alle favolette… qui siamo nel reale”.
“Io ti detesto!” esplose il principe, espandendo il ki in devastanti onde dorate e facendo tremare il suolo “Allontanati da me! Non voglio incontrarti mai più! Lasciami marcire quaggiù o te ne pentirai!”
Sono terrorizzato…” ironizzò l’essenza a lui identica.
“Vorrei vederti sparire…” ruggì Vegeta, piantando i piedi a terra.
La copia sogghignò. Poi qualcosa nel suo aspetto si alterò. Le iridi nere virarono al verde acqua e i capelli divennero biondi, scossi dall’energia danzante che lo circondava. Sarebbe stato un ordinario incremento di livello, se sulla sua fronte non fosse comparsa una M marchiata a sangue, se i suoi occhi non avessero esibito un orlo scuro e violaceo da cui scaturiva un male assoluto.
Allora combatti, Vejita…
Vegeta stentò a credere a quanto lo stava fronteggiando e si irrigidì nel rivedere quella mostruosità, perdendo la concentrazione. Il colpo dell’avversario lo prese in pieno, sbattendolo a terra in una polverosa strisciata di detriti. Si rialzò, constatando che quel ki smisurato era riuscito a causargli una ferita, sebbene non possedesse più un corpo.
“Maledetto…” ringhiò.
Che ti succede, non reagisci? Sei così rinunciatario?”
“Ho imparato a rialzarmi, dovresti esserne al corrente!”
Avresti dovuto imparare a cadere, piuttosto”.
L’affermazione riempì l’aria di significati altamente pregnanti.
Il principe lo incenerì con un’occhiata e fece convergere in sé il ki.
“Che diavoleria è mai questa!? Non riesco a concentrare l’aura! E’ opera tua, razza di feccia sleale!?”
Assolutamente no” flautò la controparte, refrattariamente calma.
“Sei un bugiardo! Ecco perché non puoi essere me! Io non mento mai!”
Iiah” rispose il nemico con un cenno di diniego “Non hai bisogno del tuo super Saiyan per contrastarmi. Perciò non ti stai trasformando come desideri”.
“Nan itteno?!”
Che diamine stava dicendo quella sottospecie di…
Sei distratto!”
Il nuovo attacco gli si abbatté addosso, ancora più micidiale e dirompente, scaraventandolo nel liquido vischioso e nauseabondo che era il Chinoko.
 
Ancora un urto come quello e sarebbe stato sconfitto da quell’inganno antropomorfo. Si lasciò affondare, inabissandosi in quel gorgo torbido e spaventoso. Ancora un impatto di quella sorta e avrebbe smesso di opporsi, di vedere, di sentire, di ricordare. Forse era la soluzione ideale. Morire da morto. Un’idea quasi spassosa. Ancora una scarica dell’energia ostile e avrebbe cessato di essere sicuro di meritarselo, di voler rialzare la testa senza vergogna, di pensare a come recuperare ciò che era andato in fumo, di mandare al diavolo Kakarott perché era troppo idiota per essere un Saiyan leggendario e per restare intenzionalmente defunto, di poter dire a Trunks che era fiero di lui, di bramare in ogni sua cellula di rivedere lei… e guardarla negli occhi e rimanere in silenzio a riempirsi del suo sorriso e non desiderare nulla, perché amore è sì una parola – da lui mai pronunciata, mai ammessa, mai restituita - ma non ha bisogno di parole… ed esiste come forza in ragione di sé, senza il permesso di nessuno, presente persino in uno come lui, e fa una paura terribile… ed è necessario avere coraggio per amare, ancora di più per essere amati e, per tutte le costellazioni, era incredibilmente, finalmente chiaro in quel fondale limaccioso che lo attendeva… lo sentiva, lo provava, lo aveva tra le mani, anche se lo aveva occultato, perché era introverso e arrogante e non era capace a esprimersi apertamente e si era lasciato passivamente cullare nel ricevuto…
L’essere che possedeva il suo volto era intessuto con quanto, nel bene e nel male, aveva rifiutato: cacciato da sé piuttosto che affrontato ed era composto della sua stessa risolutezza, perciò non si sarebbe arreso, non lo avrebbe risparmiato finché…
 
Si levò alto in volo, scrollandosi e suscitando un turbine scarlatto, che scemò in vapore. Atterrò su una roccia sporgente, sollevando il viso in direzione dell’oppositore.
“Hai vinto nel momento in cui non ti ho riconosciuto” disse “Hai perso nel momento in cui l’ho fatto. Un Majin? Iiah, un paradosso, ecco ciò che siamo. Nel momento stesso in cui sarei dovuto essere l’essenza più spregevole dell’universo, ho manifestato tutta la luce che avevo in me. Ho perduto le difese e sono riuscito a vedermi per la prima volta, senza paura, in faccia all’oscurità stessa. Ero conscio della sua presenza, ma non ho mai voluto metabolizzarla. Il cambiamento non l’ho mai fatto realmente mio. Chiamalo come vuoi, a me non interessa il termine che sceglierai, ma non mi oppongo alla sua esistenza”.
Gli occhi terrificanti del nemico sfavillarono di stupita attesa.
“Su una cosa non hai torto. E’ inutile la trasformazione contro di te.  Non devo attaccare e, soprattutto, non mi devo proteggere. Perché ti accetto, mi accetto. Non ha senso che tu sia un Majin e a fronte di questo… sei sconfitto!”.
Sulle labbra dell’antagonista si disegnò un lieve sorriso. Sospirò, soddisfatto, e i segni deturpanti della possessione maligna si annullarono, disperdendosi come ceneri nella tormenta.
Non esiste nulla di più grande in chi dà la vita per coloro che ama. Più eccelso ancora, se la dona anche per coloro che non ama. Non ho paura di percepirlo in me e di lasciarlo libero. L’amore che mi rende vivo persino nell’aldilà”.
“E’ così. Fa parte di me. Per questo Enma non mi ha privato di me stesso?”.
Hah. Non sei perduto. Non lo sarai mai più”.
“Che succederà adesso?”.
Non lo so. Dunque, che cosa desideri che accada, principe dei Saiyan?”
Lui raddrizzò le spalle e sogghignò sagace all’indirizzo dell’interlocutore. Il combattimento era concluso.
“Torna da me” ordinò.
L’alter ego ricambiò l’espressione con acuta complicità.
E tu” mormorò lieve, baluginando evanescente “Torna da lei…

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Capitolo 4
*** Solo due parole ***


Solo due parole

Vegeta balzò a sedere sul letto, ancora stordito da quanto aveva sperimentato, faticando a regolarizzare il respiro. Avvertì il sudore scendere lentamente lungo la schiena, mentre indagava con i sensi tesi allo spasmo la penombra placida e familiare della stanza.
“Vegeta…”
Il suo nome, sussurrato in quel modo inconfondibile, lo riportò in toto al presente fisico, staccandolo dal legame con il mondo onirico.
“Bulma… dove siamo?”
“A casa…”
“Majin-Bu?”
“Lo avete sconfitto giorni fa…”.
Il principe le piantò in faccia quegli occhi scuri dal taglio allungato, intensi e penetranti, che erano un’arma non convenzionale. La fissò, come se si stesse accertando di non trovarsi davanti al residuo di una visione.
“Stavi sognando, ti ho sentito parlare mentre dormivi. Era tanto che non ti capitava” proseguì lei, sfiorandogli il braccio.
Lui non rispose, dirigendo lo sguardo alla finestra. La luna era velata dalle nubi e la sua luce occhieggiava sporadicamente attraverso la coltre sottile che la nascondeva.
Iniziò a ricomporre i pezzi, distinguendo l’accaduto dall’immaginato, cercando di arrestare il tremito impercettibile che gli attraversava le mani.
“Siamo vivi…” mormorò.
Bulma colse la sfumatura guardinga dell’affermazione e corrugò le sopracciglia, impensierita. Suo marito non era certo tipo da lasciarsi impressionare da un incubo.
“Mi vuoi dire che ti succede?”
“No” rispose lui, alzandosi.
“Ehi…!!”
Vegeta si accostò alla vetrata, stringendo le dita intorno alla tenda, il riverbero delicato della notte che gli pioveva sulle spalle nude in un complicato chiaroscuro.
L’esatta concatenazione degli eventi gli si dipanò agevolmente: tutto terribilmente reale e corretto, tranne l’incontro con la creatura che gli era gemella. Nessun alter ego comparso per strapazzarlo.
Infatti, non aveva nemmeno avuto tempo di adattarsi alla destinazione ultima, in quanto Enma l’aveva fatto richiamare, restituendogli il corpo affinché potesse appoggiare Kakarott nello scontro devastante contro Majin-Bu. Così era stato.
Il ricordo della fusione con il suo rivale affiorò prepotente, facendolo avvampare. Trovarsi l’uno nei panni dell’altro, essere una persona in due… e, dopo la vittoria, quello sfacciato si era destreggiato con maestria tra la sfrontatezza, l’ingenuità e la sincerità, trattandolo ancora come se fossero vecchi amici! Chi!
Le braccia di Bulma gli scesero delicatamente lungo gli omeri, distogliendolo dalle contorte riflessioni. La attendeva.
“Vegeta, ti prego, non lasciarmi fuori da te…”
Quello mai. Mai! Però, c’era una questione in sospeso…
“Come ci riesci?” le domandò secco.
“A fare cosa?”
“A guardarmi ancora negli occhi”.
Lei sorrise e non ebbe nessuna pausa tra la gioia scintillante nelle iridi turchesi e la risposta che gli fornì.
“Nessun prodigio. Semplicemente, ti amo”.
“Allora lo è!” esclamò lui, voltandosi e appoggiando la fronte contro la sua, socchiudendo le palpebre in quel contatto. “Lo è, perché non me lo spiego!”
Ancora una reazione priva di esitazioni, diretta al cuore.
“Vegeta, lo so che cosa stai pensando. Non lasciare che un fallo da cui ti sei già rialzato ti pesi sul cuore. Hai commesso un errore, ma i miei sentimenti non sono scemati. Io ti ho perdonato. L’amore è questo. Il nostro viene da lontano e non ho mai creduto di aver intrapreso un percorso facile quando ci siamo uniti per l’eternità. Ti ho visto lottare contro te stesso e sacrificare persino l’orgoglio per proteggere tutti noi. Quello che scorgo nel tuo profondo mi fa innamorare di te ogni giorno e, credimi, non smetterò mai di volerti accanto in ogni istante. Perciò dimmi, principe dei Saiyan: tu ti sei perdonato?”.
La domanda lo spiazzò. Da sempre era stata l’unica importante a cui avrebbe dovuto assegnare una risposta. Ora la conosceva. Stentò a trovare il fiato per replicare e lo fece con i battiti cardiaci fuori controllo.
“Lo chiedi a uno come me?” esalò, vincendo la commozione.
“Oh, uno come te… uno come te non teme di dire la verità e mantiene le promesse. È orgoglioso e fiero, non si arrende mai. Non ama le parole perché sa di non averne bisogno e porta con sé un universo fatto di passioni. Combatte e muore per amore, vive nonostante le ferite dell’anima e le accetta senza compromessi. Uno come te è qui tra le mie braccia, è tornato da me. Principe dei Saiyan… io, uno come te, lo sceglierei altre infinite volte”.
Vegeta si piegò su di lei, accostando le labbra al suo orecchio.
“Da sempre. Io ti amo da sempre”.
La dichiarazione deflagrarò per la stanza con una potenza immane e gli occhi di Bulma si inondarono di lacrime. Lui le posò le dita sulla bocca, per riuscire a proseguire.
“E’ vero, non sono bravo con le parole, ma alcune di esse non sono da temere. Vale la pena pronunciarle…”
“Vegeta…”
“Se non ci fossi stata tu… se io non ti avessi incontrata…”
“Va bene così, Vegeta” sorrise lei, compresa nel suo abbraccio “L’ultima volta che hai tentato di fare un lungo discorso, è nato Trunks…”
Il principe guerriero sorrise, socchiudendo le palpebre e arrossendo lievemente.
Teikyuketori” disse ancora, ricorrendo all’espressione massima del suo idioma “Offro me stesso e ricevo te”.

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