Writober 2018

di Arwen297
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Invito ***
Capitolo 2: *** Nuvole ***
Capitolo 3: *** Insonnia ***
Capitolo 4: *** Segreti ***
Capitolo 5: *** Futuro ***
Capitolo 6: *** Colazione ***
Capitolo 7: *** Vento ***
Capitolo 8: *** Colazione ***
Capitolo 9: *** Lettere ***
Capitolo 10: *** Diversità ***
Capitolo 11: *** Caffetteria ***
Capitolo 12: *** Viaggio ***
Capitolo 13: *** Quadro ***
Capitolo 14: *** Cucciolo ***
Capitolo 15: *** Rose ***
Capitolo 16: *** Shopping ***
Capitolo 17: *** Promessa ***
Capitolo 18: *** Ago e filo ***
Capitolo 19: *** Rubare ***
Capitolo 20: *** Selfie ***
Capitolo 21: *** Chiave ***



Capitolo 1
*** Invito ***


Note dell'autrice: Ciao a tutti! Ho scovato questa iniziativa per caso grazie ad un'altra autrice del sito che ho tra gli amici di FB, e mi son detta perché no? Non ho idea di dove porterà questa "avventura" e se riuscirò a essere costante pubblicando un capitolo al giorno per 31 giorni. Ma ci si prova. Domani non ho tempo di pubblicare, quindi do inizio oggi a questa maratona anche se è il 30 Settembre. Per me che scrivo capitoli da dodici pagine contenermi sulle parole è una bella impresa, ma credo che ne valga la pena. 
Ciascun capitolo è una cosa a se stante, le trame non sono collegate tra loro. E' da prendere con vita propria. Nel titolo di ogni capitolo c'è il prompt della lista fornita dal sito organizzatore.
 Buona lettura!


Writober 2018

Idea di Arwen297 – Personaggi di Naoko Takeuchi.

Partecipa al Writober 2018 organizzato dal sito

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Invito

329 parole

Un nodo ben fermo alla cravatta.

Una sistemata alla giacca elegante che aveva scelto per quella sera.

I suoi occhi verdi si posarono sui pantaloni stirati di fresco dalla sua domestica.

Erano mesi che ronzava intorno a quella famosa violinista, Michiru Kaioh.

Finalmente una settimana prima, aveva trovato il momento giusto per invitarla a cena quella sera, aveva sempre pensato che la musicista fosse una persona fuori dal comune; conoscendola meglio le sue aspettative non erano venute meno.

Si spruzzò il suo profumo preferito ed era pronta per uscire, in perfetto orario, aveva giusto il tempo di passare da un fiorista prima della chiusura per prendere una rosa rossa.

In fin dei conti, alle donne quelle cose piacevano.

E lei aveva ben chiaro come riuscire a soddisfarle.

Quella sera, sebbene nutrisse per Michiru un interesse serio, non sarebbe stata certamente da meno.

Era così, lei, da sempre.

 

***

 

Si sistemò nervosamente una ciocca dietro all’orecchio, Michiru.

Sebbene quello non fosse certamente il primo appuntamento della sua vita era nervosa, non sapeva cosa aspettarsi da una… beh da una come Haruka!

L’aveva colpita fin da subito, fin dal primo scambio di parole avvenuto per caso in quel locale.

La bionda non aveva mai smesso di ronzarle intorno e la settimana prima ad un suo invito a cena non aveva saputo dir di no.

Come mai avrebbe potuto negare qualcosa a quegli occhi verdi e così magnetici?

Sarebbe stato impossibile.

Si alzò nervosamente dal divano per andare a controllare alla finestra se la macchina dell’altra avesse fatto la sua comparsa.

Ma era sicura che avrebbe mangiato quella sera?

Guardò il suo riflesso attraverso il vetro: tubino nero, tacco dodici sempre nero, pochette bianca e capelli raccolti lasciando qualche ciocca libera di cadere davanti alle orecchie.

Era adeguatamente vestita? E se avesse deluso le aspettative dell’altra?

Michiru, non fare l’adolescente alla prima cotta, suvvia.

Perché si! Haruka era così che ti faceva sentire con un solo sguardo: un' adolescente in crisi ormonale.

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Capitolo 2
*** Nuvole ***


Nuvole

156 parole.

 

Da sempre mi sono sentita dire che sono come il mare.

E un po' forse hanno ragione.

In fondo, chi meglio di me può essere l’oceano?

Eppure questa affermazione mi ha sempre convinta relativamente.

Si, all’apparenza posso sembrare fredda, distaccata.

Ho una pazienza infinita. Non vi sono molti dubbi su come sia in realtà il mio carattere.

A volte sembro tranquilla, e invece sotto ci sono delle correnti che scorrono invisibili.

A volte sono agitata fuori, ma in realtà il mio animo più profondo rimane buio e quieto come gli abissi oceanici.

A nulla può servire una torcia, una luce, per illuminare. A volte è semplicemente così.

A volte non tollera intrusioni.

Nonostante tutto però, ci sono certi giorni che mi sento come un cielo pieno di nuvole.

Ombre che scorrono veloci, trascinate dal vento.

Nuvole soffici, leggiadre, bianche.

Improvvisamente grigie, scure, cupe.

In grado di lanciare fulmini o bagnare la terra con le proprie lacrime.

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Capitolo 3
*** Insonnia ***


Insonnia

238 parole.

 

Sono le quattro del mattino, ormai ho dato l’addio definitivo al sonno.

Mi volto nella penombra della stanza per incrociare il viso di Michiru dormiente poco distante da me.

Quando ho deciso di accettare il mio destino ero pienamente consapevole dei rischi a cui sarei andata incontro.

Quello che non ho messo in conto però, è la paura che mi stringe il cuore fino a impedirmi quasi di respirare nel momento in cui ad ogni battaglia rischio di perdere lei.

Sono diventata pienamente consapevole dei sentimenti che ci legano solo qualche tempo dopo aver accettato il mio ruolo di guerriera.

È stata lei a farmelo accettare, siamo unite da sempre in fin dei conti.

Eppure anche se ormai è una sensazione a cui credo sempre di aver fatto l’abitudine, ogni volta che una della due rischia di non tornare il mio animo perde quella lucidità che da sempre mi contraddistingue in battaglia.

La sento muovere poco lontano da me, ora dorme serena dandomi le spalle.

Mi avvicino a lei, piano, e faccio passare il mio braccio intorno ai suoi fianchi.

L’abbraccio.

Lei si desta appena dal sonno, nel sentirmi al suo fianco.

«Dormi Michi, tutto ok». Queste parole mi escono quasi come un sussurro. Ma sembrano bastare a non interrompere il suo sonno.

Immergo il mio viso nei suoi capelli e vengo avvolta dal suo profumo.

Chiudo gli occhi, chissà che finalmente io non riesca a dormire come dovrei.

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Capitolo 4
*** Segreti ***


Segreti

203 parole.

 

Era sempre stata sola.

Anche se aveva più volte cercato di fare amicizia con gli altri studenti dell’Accademia Infinity i suoi intenti si erano sempre rivelati essere un buco nell’acqua.

La sua pelle pallida, i suoi capelli corvini e i suoi occhi viola e profondi non aiutavano a dipanare tutte le voci che giravano sul suo conto.

Non sarebbe servito a nulla metterle a tacere.

Come avrebbe potuto negare gli episodi ben fuori dalla norma che accadevano ogni volta che lei stessa si innervosiva?

Chi poteva mai voler accanto a se una persona cagionevole di salute?

Si erano sempre fermati tutti all’apparenza, lei per tutti era la strana figlia del dottor Tomoe.

Pochi conoscevano il suo nome, Hotaru.

Lucciola.

Altrettanto in pochi conoscevano il suo reale passato e ciò che era il suo presente.

Suo padre l’aveva fatta diventare un esperimento di laboratorio, aveva utilizzato ogni sua conoscenza biotecnologica in merito per farla sopravvivere a quell’incendio di tanti anni prima.

Nessuno, però, sapeva il suo segreto.

Nessuno, però, sapeva perché aveva la pelle così pallida e una salute cagionevole.

Nessuno.

Nessuno sapeva, in realtà, che il suo corpo era quasi del tutto costituito da macchine, senza le quali non avrebbe mai potuto funzionare.

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Capitolo 5
*** Futuro ***


Futuro

163 parole.

 

Custode delle Porte del Tempo e dei passaggi Spazio Temporali.

Conoscitrice del passato, del presente e del futuro.

Figlia di Kronos, il Dio del Tempo.

Portava con se la conoscenza degli attimi trascorsi e quelli da trascorrere, senza mai poter intervenire.

Costretta a rimanere neutrale, senza interferire con la storia. Anche quando sapeva che il futuro avrebbe portato eventi infausti.

Erano ormai millenni che era costretta ad una vita solitaria, passata vicina a quella candida porta.

Millenni di tormento causato dal sapere, dal prevedere e dal non poter intervenire.

Era un sacrificio che per Queen Serenity svolgeva più che volentieri.

Dopo tutto lei era la terza delle Outer Senshi, per loro era destino trascorrere una vita solitaria sui loro pianeti di origine.

Il suo futuro non poteva essere diverso, i tempi in cui aveva vestito i panni di Setsuna erano ormai lontani.

La sua vita da terrestre ormai lo era.

La sua missione era cambiata, custodiva il tempo si, ma sopratutto il futuro.

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Capitolo 6
*** Colazione ***


Colazione

406 parole.

 

Michiru aprì gli occhi dopo una notte tranquilla e senza incubi, il suo fine udito fu solleticato dal rumore di alcune pentole che venivano mosse in cucina.

Aprì gli occhi, constatando che Haruka non era nel letto...allungò la mano verso l’altra metà delle lenzuola: erano fredde.

Era dunque da parecchio che si era alzata.

Impiegò qualche istante per collegare l’assenza dell’altra ai rumori provenienti dall’altra parte della casa. Un espressione tra ansia e terrore, le si dipinse sul volto al pensiero della guerriera di Urano occupata ai fornelli.

Cielo! Cosa starà combinando?

Scese immediatamente dal letto per avvicinarsi allo specchio sopra al mobile che avevano in camera per darsi una veloce sistemata prima di raggiungere la bionda.

Non avendo le ciabatte ai piedi i suoi passi erano impercettibili, così riuscì ad appoggiarsi sull’uscio per osservare divertita i movimenti dell’altra alle prese con quelli che sembravano essere….pancake?

E da quando sapeva fare i pancake? La osservò con attenzione seguendone ogni minimo movimento mentre versava l’impasto di quello che sembrava essere il primo di una lunga serie nella pentola delle crepes francesi.

«Fanculo colazione del cazzo». La sentì soffiare tra le labbra, la sua pazienza nel fare le cose era ormai riconosciuta.

Non riuscì a trattenersi dal ridere, palesando in modo inequivocabile la sua presenza in cucina.

«Michi!Da quanto sei li?». Chiese la bionda.

«Abbastanza da vedere quanto sei in difficoltà per questi...presumo debbano venire dei pancake». Le sorrise lei cercando di non dare troppo a vedere il divertimento che albergava nel suo animo a vederla così indaffarata.

«Presumi bene». Si pronunciò quasi in un brontolio.

«Posso?!?». Le chiese avvicinandosi, come a chiederle spazio.

«Fai pure, io ci rinuncio. Avrei voluto portateli a letto ma a quanto pare». Cercò di giustificarsi, cercando di non far emergere troppo l’imbarazzo: non era abituata a perdersi in smancerie e romanticismi, lei.

Gli occhi blu di Neptune si posarono sul foglietto dove era stata scarabocchiata velocemente la ricetta, la lesse velocemente e la sua attenzione si focalizzò solo su un elemento.

«Ruka, amore, ma lo hai messo il lievito per dolci?». Alzò lo sguardo verso il suo viso in attesa di una risposta che non tardò ad arrivare.

«Cazzo, no! Non pensavo fosse indispensabile». Sgranò gli occhi per poi accigliarsi non appena l’espressione della sua compagna sfociò in quella che si sarebbe trasformata sicuramente in una risata. «Non ridere! Michi! Guai a te se ridi!».

Le sue parole caddero miserevoli nel vuoto.

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Capitolo 7
*** Vento ***


Vento

76 parole

 

Brezza leggera, che ti sfiora e ti accoglie.

Respiro fresco che ti riempie di ossigeno i polmoni.

Tempesta che ti entra dentro, fino alle ossa.

Sferzata veloce e improvvisa,

che non ti permette di capire cosa accade e perché.

Uragano che arriva, ti travolge, ti cambia e poi improvvisamente passa.

Ti lascia così, frastornato, a chiederti cosa sia successo.

Ci sono certe persone che sembrano fatte di aria.

Io invece sono Haruka Tenoh.

Sono il vento.

 

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Capitolo 8
*** Colazione ***


Statua

720 parole.

 

Una risata cristallina riempì la stanza dove Michiru era solita dedicarsi alla musica e alla pittura. Raramente le altre persone avevano accesso tra quelle quattro mura, si era ricavata il suo mondo all’interno della casa.

Haruka in fondo aveva fatto lo stesso con un angolo del garage per fare tutte le modifiche a una delle sue moto.

Quel giorno però la violinista aveva deciso di fare uno strappo alla regola e, in quel momento, l’attenzione era rivolta tutta a Hotaru.

La bambina era concentratissima, la lingua di fuori e il visino sporco di creta e acqua.

Era alle prese con la creazione di una statuina di un cagnolino, o almeno così avrebbe dovuto essere nelle idee che le aveva espresso allegra quel mattino quando le aveva chiesto il permesso di entrare li.

«Mamma! Mi aiuti?». Le sue attenzioni furono richieste prima del previsto, per quanto si impegnasse la piccola non era ancora abbastanza grande per restituire una forma completa e proporzionata.

«Vuoi che lo faccia io e tu stai a guardare?!?». Chiese dunque Neptune, per essere sicura che fosse quello che la brunetta le chiedesse.

Ottenne una vigorosa risposta affermativa dalla testolina che si muoveva su e giù, gli occhioni viola che non la smettevano di osservare la sua opera d’arte con un leggero broncio.

«Io non sono brava come te, mamma». La sentì aggiungere poco dopo mentre incrociava le piccole braccia.

«Hime, per diventare brava come me ci vuole tanto tempo e pazienza, sei ancora piccola e sei molto brava per la tua età». Rispose lei sollevandola per sedersi sullo sgabello e poi appoggiarsela sulla gamba per far si che lei la guardasse. «Allora, questo cagnolino come lo facciamo?».

«Lo voglio che assomigli ad Haru, mamma!». Michiru a sentire quella richiesta non poté trattenere la sua risata, perché mai un cane doveva assomigliare ad Haruka?.

«E perché piccola, vuoi che assomigli ad Haruka? Perché dici così?». Disse lei incuriosita da quella affermazione così particolare, si mise intanto a lavorare nuovamente la creta prima di aver fatto mente locale sugli strumenti necessari presenti sul tavolo.

Niente mancava all’appello.

 

 

«Haruuu». Un grido di diversi decibel sopra la norma attirò l’attenzione di Tenoh suo malgrado. Da quando Hotaru era entrata nelle loro vite la sua ricerca smaniosa di tranquillità e solitudine era raddoppiata, in modo proporzionalmente inverso a ciò che in realtà riusciva a ottenere.

«Dimmi gnomo da giardino». Uno sbuffo lasciò le sue labbra prima che la bambina la raggiungesse in sala. Poco distante da lei vide la figura di Michiru.

Le due donne di casa alleate, questa è una congiura.

Il suo pensiero salì prepotente fino a cambiarle l’espressione, cosa mai avevano architettato a suoi danni, quelle due?

«Io e la mamma abbiamo fatto un cagnolino di creta per te». Gli occhi verdi di Haruka posarono l’attenzione proprio sulla piccola che adesso trotterellava nella sua direzione, tra le manine un sacchettino di carta. «Ti somiglia!».

A sentire quelle parole un espressione contrariata le colorò il viso, mentre lo sguardo vagava alla ricerca di Kaioh, rimasta in disparte. Il viso della violinista visibilmente divertito e senza nessuna intenzione di intervenire in suo aiuto.

«E perché mai io dovrei assomigliare a un cane ? Non mi sembra di essere piena di pulci». In realtà una pulce l’aveva, ed era davanti ai suoi che la guardava con due occhioni viola.

Ma erano dettagli tollerabili, in fondo.

«Aprilo dai Haruuu». La richiesta della bambina non ammetteva obiezioni.

Così la bionda, titubante e per nulla convinta prese il sacchettino con il fiocchetto e ne tirò fuori il contenuto. Un cagnolino biondo dagli occhi verdi, con un fiocco al collo identico a quello che indossava nei panni della guerriera di Uranus e la Space Sword sotto una delle zampe anteriori apparve sotto i suoi occhi.

La mano aggraziata di Michiru l’avrebbe riconosciuta ovunque, sicuramente aveva messo lo zampino.

«Tu non hai le pulci, ma sei bella, sei coraggiosa, sei forte...proteggi sempre la mamma… si insomma sei come un cane pociziotto».

«Poliziotto, Hime, si dice poliziotto». La correzione della violinista arrivò in automatico. Mentre si avvicinava. «Beh? Non dici nulla?».

La bionda si voltò a guardarla. «Beh, è bella, grazie». Si era imbarazzata, ma sperava che il suo stato d’animo non si vedesse mentre continuava a osservare quella piccola opera d’arte appoggiata sul palmo della mano destra.

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Capitolo 9
*** Lettere ***


Lettere

“Lettera a mio padre” - Ermal Metal

827 parole.

 

Sei stato uno scienziato famoso in tutto il mondo, grazie alle tue intuizioni ed idee fuori dal comune. Grazie alla tua mente geniale. Per chi non ti conosceva, fino ad un certo punto, sei stato un idolo da seguire, un luminare di tutto rispetto.

Nessuno però poteva sapere cosa stavi covando dentro, la follia che man mano ti ha divorato l’anima, nell’assurda pazzia di creare cose mai viste. Fino a che quel maledetto giorno di tantissimi anni fa qualcosa nei tuoi esperimenti non è andato storto.

Fuoco, fiamme, la mamma che non sopravvive e tu che vendi l’anima al diavolo per farmi sopravvivere.

 

Di bestie come te

Ce ne sono in giro e non è facile

Scoprirle e sai perché

Sono fabbricanti di maschere.

 

Da quel momento in poi, dell’uomo che conoscevo non è rimasto più nulla. La tua maschera è caduta inesorabilmente nel momento in cui hai impiantato la prima nanotecnologia nel mio corpo.

Facendo di tua figlia il tuo esperimento più importante.

 

Ti sputano nel mondo

Solo per avere un pasto facile

Io sono ancora qui

Ho la pelle dura pure più di te.

 

Mi hai tenuta in vita mosso da un amore malato, incomprensibile. Mi hai tenuta in vita perché, oltre a essere un esperimento di biotecnologia talmente folle da farti radiare dall’ordine, ero anche la persona più adatta per ospitare lei. La malvagità in persona.

Ti sei circondato di loro. Perché da quell’incendio in poi non sei stato più in grado di vedere. E non è semplice.

 

Non è mai semplice

Accettare di riconoscerti

Tra le mie rughe che

Assomigliano sempre di più alle tue

E questo sangue che

Sa un po' di mostro e anche un po' di me

Mi fa pensare che vorrei dirti grazie

Perché non ci sei.

 

Grazie per non essere stato in grado di rinascere una volta sconfitto Pharone90. O forse meglio dire grazie a me stessa, che non ti ha riportato in vita quando sono rinata dopo averlo chiuso in un’altra dimensione.

Grazie a me stessa per essermi salvata del tutto, nonostante tu mi abbia condannata a una vita non mia.

Grazie a me stessa, per sopportare di vedere una parte di te in me ogni volta che il mio viso si riflette in uno specchio, perché anche se somiglio tanto alla mamma, assomiglio anche a te che hai scavato un solco così profondo nella mia vita, segni che si riflettono sul mio viso.

 

Poche rughe

Di espressione

Più nient'altro di te

Sopravvive in me

Un cognome da portare

Solo questo sarai

E mai più mi vedrai.

 

Un cognome da portare, sempre la stessa domanda da sentirsi dire, perché chi è dell’ambiente anche se sono passati anni, ricorda chi eri per il mondo. Ricorda quel maledetto incendio che ha cambiato la tua vita e rovinato per un periodo la mia.

 

Di mostri come te

N'è pieno il mondo e non è facile

Scoprirli e sai perché

Hanno mani bianche e voce docile

Ma se li guardi bene

Dentro i loro occhi non vedi niente

Il cuore affittano ad una notte nera

Priva di ogni luce.

 

E il tuo cuore alla fine era più buio di una notte senza luna, le tenebre ti avevano catturato nella loro morsa, eri diventato tu stesso una delle anomalie che tu tanto bramavi di progettare, creare, controllare. Sei diventato uno dei mostri che da anni e anni volevi portare alla luce. Hai iniziato a infliggere dolore, tristezza, sofferenza. E hai creato una scuola per farlo, non ti bastava tua figlia. Hai ritenuto necessario fare del male anche a persone che con te non c’entrano nulla.

Il tuo regno ormai era diventato il buio.

Ma nonostante tutto ti dico grazie, perché a volte il male e la sofferenza possono servire. Possono servire a imparare.

 

Ogni male è un bene quando serve

Ho imparato anche a incassare bene

Sono stato fuori tutto il tempo

Fuori da me stesso e dentro il mondo

Non c'è più paura

E non c'è niente.

 

Per liberarmi dalla morsa del buio in cui tu stesso mi hai chiusa senza chiedermi cosa io volessi, dopo aver venduto il mio corpo per farlo diventare il prescelto al contenimento di Mistress 9. Dopo averlo plasmato per farlo diventare come era necessario diventasse.

Dopo aver fatto in modo che la malvagità in persona si destasse dentro di me, ti dico grazie di averlo fatto.

Per liberarmi ho ritrovato ciò che sono veramente, Sailor Saturn.

La guerriera della Rinascita e della morte.

Colei che è capace di portare la pace e la distruzione del nostro mondo.

 

Quello che era gigante oggi non si vede

Sulla schiena trovi cicatrici e lì che ci attacchi le ali.

 

E tutto il male che hai fatto oggi non si vede, oggi sono solo quella che dovevo essere.

Una delle guerriere più potenti in assoluto, ma sopratutto me stessa.

La vera me stessa, finalmente libera.

Anche se questa lettera tu non potrai mai leggerla, ho voluto scrivertela, dottor Tomoe.

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Capitolo 10
*** Diversità ***


Diversità

87 parole.

 

Diversa.

E’ così che mi sono sempre sentita.

Diversa dalle persone normali.

Diversa da chi non ha poteri come i miei.

Diversa dalle altre Guerriere.

Io sono quella che si desta dal sonno per ultima.

Io sono quella che al sonno porta tutti.

La mia presenza non è mai ben accetta.

E’ sempre indesiderata.

La mia forza fa paura.

Il mio potere spaventa.

La mia falce oscilla tra la vita e la morte.

La diversità è il prezzo da pagare quando sei

colei che porta la distruzione.

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Capitolo 11
*** Caffetteria ***


Caffetteria

123 parole.

 

Il rumore delle tazzine spostate dalla barista.

Il vociare dei clienti che parlano tra loro.

La cameriera che serve ai tavoli sfoderando il suo miglior sorriso di cortesia.

La osserva, sembra essere la persona più felice del mondo.

Ma quanta di questa felicità è vera, quanta effimera?

Una tazza di cappuccino fa la comparsa sotto al suo naso.

Il profumo di caffè e latte le solletica il volto.

Portandole alla mente nitidi ricordi.

Ricordi condivisi con Small Lady Serenity, vicino alla porta del Tempo.

La piccola le portava spesso qualcosa da bere.

E il cappuccino era una delle sue scelte preferite.

Paradossale come, lei, la Guardiana dello Spazio Tempo, avesse bisogno di un profumo.

Di un’odore, per riportare alla mente qualche ricordo felice.

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Capitolo 12
*** Viaggio ***


Viaggio

562 parole.

Haruka spostò il borsone ormai pronto dal letto alla poltrona in salotto, non aveva bisogno di altro per quei quattro giorni fuori porta che avevano deciso di passare per staccare la spina da tutti i loro doveri di guerriere.

Lei in fondo era così.

Due pantaloni.

Due camice.

Due magliette, qualche capo di intimo..giusto per avere il cambio.

Un paio di scarpe, il suo profumo preferito ed era pronta.

Tutto il resto era qualcosa di superfluo e non necessario.

Ah si! Anche i suoi affezionati ray-ban erano immancabili.

Si sedette sul divano in attesa che, la sua compagna, portasse a termine l’ardua impresa di chiudere la valigia.

No, loro due, riguardo a oggetti superflui da portare in viaggio non la vedevano allo stesso modo.

Quello era poco, ma sicuro e cristallino come l’acqua.
 

***
 

Michiru era stata presa alla sprovvista da quel viaggio organizzato dalla bionda, le era stata comunicata la sua intenzione e la meta del viaggio giusto la sera prima.

In perfetto stile Tenoh, per giunta.

Si! Peccato che lei avesse bisogno di più di dodici ore per mettere insieme tutto ciò che poteva tornare utile.

Make-up, elastici per i capelli.

Smalti.

Camice, t-shirt, jeans, pantaloncini, vestiti.

Bracciali, orecchini, tacchi.

Intimo adeguato a certe occasioni.

Deodorante, dentifricio, spazzolino.

Per entrambe, perché l’altra si dimenticava sempre di queste cose.

Con così poco tempo anche organizzare la valigia era una battaglia peggiore che quelle contro i nemici.

Era li da due ore, finalmente aveva portato a termine la missione ma, adesso, chiuderla era un vero e proprio parto.

«Michi, amore, hai finito di fare trasloco?». La voce di Haruka proveniente dal salotto la travolse in pieno.

Eh no! Oltre al danno anche la beffa no.

«Tenoh se non vuoi che i tuoi soldi vadano buttati, anziché fare la prima donna vieni qui e dammi una mano». Sbottò di rimando.

Sentì chiari i movimenti dell’altra, fino a raggiungerla in camera.
 

***
 

«Ma non è mica colpa mia se ogni volta devi portare tutto il condominio dietro». Le disse vedendola accaldata sulla valigia. Gli occhi blu e tempestosi dell’altra le rivolsero un muto sguardo.

Ok, forse era meglio smetterla.

Non era il caso di causare un allagamento dell’appartamento.

Si avvicinò all’altra e chinandosi in modo plateale al suo livello afferrò la cerniera del trolley facendo una pressione che, per la sua forma fisica, era quasi minima.

«Non ci voleva mica tanto». Commentò divertita, sostenendo gli occhi nei suoi, poi, abbassando la voce aggiunse. «Devi litigare con le valigie più spesso, sei tremendamente sexy tutta spettinata e accaldata.. lo sai?».

Uno spintone la raggiunse sulla spalla in muta risposta mentre la violinista si affrettò ad alzarsi e sistemarsi il vestito.

«Anziché prendere per il culo, penserei a tutte le cose che serviranno anche a te e che sono chiuse a prendere spazio nella mia valigia».

«E’ uno dei motivi per cui amo la tua esistenza, pensi sempre tu a tutto». Le fece l’occhiolino.

«Allora se penso a tutto io, occhio a non prenderti un Maremoto entro la fine della giornata».

Arrivo la sentenza.

«Anzi no, quasi quasi meglio se stanotte ti mando in bianco, proprio con quel completino nero in pizzo che ti piace tanto».

Sadica, quando ci si metteva Michiru era sadica e sapeva dove colpire.

«Ma cosa stai dicendo?». Protestò alzandosi e seguendola con la valigia.

«La pura e semplice verità Tenoh, stanotte si dorme».

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Capitolo 13
*** Quadro ***


Quadro

220 parole.

 

Oltre alla musica, da sempre lei amava la pittura.

Amava l’odore delle tempere e della vernice fresca.

Amava miscelare i colori per ottenere proprio quella sfumatura che stava cercando.

Il colore esatto per catturare, solitamente, un’onda del mare...una sfumatura del cielo.

Qualsiasi cosa che ispirasse la sua fantasia.

Oppure come in quel momento bastava vedere il vento, il suo vento dormire tranquillo per avere quell’ispirazione che tanto cercava.

Dipingere era un esprimere le proprie emozioni, il proprio stato d’animo con un pennello.

Così il suo contatto con la tela non era mai lo stesso.

Variava a seconda del suo stato d’animo.

Veloce, quasi un flash, quando era nervosa.

Duro, quando era arrabbiata o preoccupata per qualcosa.

Lento, se lei stessa era tranquilla.

Dolce, che solleticava e accarezzava quasi la tela, se in lei non risiedeva alcuna preoccupazione.

Se poi, alle emozioni che provava dentro, si aggiungeva il suo soggetto preferito.

Non poteva che uscire qualcosa di meraviglioso in quella sua interpretazione.

Michiru sorrise appena nel accorgersi che Haruka aveva aperto gli occhi.

Giusto nel momento in cui il suo pennello aveva finito di colorare il contesto che aveva scelto per lei.

«Che stai facendo?». La voce della bionda giunse impastata dal sonno alle sue orecchie, catturandone l’attenzione.

«Prima sogno i miei dipinti, poi dipingo i miei sogni con il vento».

 

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Capitolo 14
*** Cucciolo ***


Cucciolo
450 parole.

Aveva parlato più volte ad Haruka del desiderio di voler prendere un gattino, no che fosse strettamente necessario, ma la presenza di un cucciolo in quella casa le sembrava la cosa più appropriata.
Così quando aveva visto l’annuncio di una cucciolata in regalo non aveva potuto resistere, non aveva nemmeno perso tempo ad avvisare la bionda del nuovo arrivo in casa.
Tanto era convinta del gesto che stava facendo.
La reazione di Haruka al suo ritorno a casa, però, non era stata come se l’era immaginata, anzi! La presenza di quella palla di pelo bianca e grigia poco più grande di una mano l’avevano scioccata.
Beh, a pensarci bene, si era scordata di avvisarla del nuovo ospite in arrivo.  E in quel momento era li, con un espressione impassibile al limite del perplesso che osservava la micina sulle proprie ginocchia piacevolmente addormentato.
«Michi..». Provò a comunicare qualche cosa: ne avevano già parlato, parecchie volte. Ma lei non aveva mai detto di essere d’accordo sull’idea di prenderlo. Anzi! A dirla tutta non si era mai espressa a riguardo, aveva solo...lasciato parlare la violinista. «Cosa ci fa questa cosa in casa nostra».
«Amore ma te lo avevo detto che avrei voluto tanto un gatto…ne abbiamo parlato un sacco di volte no?». Le rispose lei sorridendo, come se il solo parlarne senza tirare chiaramente in mezzo l’argomento potesse essere più che sufficiente.
«No Michi, non ne abbiamo parlato, mi hai solo detto che un gatto sarebbe stato bello ma non mi hai detto che ne volevi prendere uno». Ribatté Tenoh.
«Beh è per quale motivo te ne avrei parlato secondo te? Era ovvio no?». Si aveva giocato sporco, doveva ammetterlo.
«Michi, io non ti ho dato l’ok per un animale… non è il caso.. siamo fuori parecchio di casa e questa cosa  deve stare da sola parecchie ore...». La sua attenzione fu attirata dalla piccola ospite che aveva aperto gli occhi, verdi, sbadigliando e ora era seduta a fissarla.  Beh, alla fine ha gli occhi fighi come i miei.  Pensò Tenoh. Non è poi così male questo microbo. «Forse è meglio ripor...». Fu distratta nuovamente dalla gattina, che aveva palesemente iniziato a fare le fusa strusciando il musino contro il suo braccio. No! Per l’amor del cielo non iniziare a fare così adesso.
«Cosa è meglio fare?». Incalzò Michiru, senza trattenere un’espressione delusa all’intuire la fine della frase. 
Haruka fissò la compagna, poi fisso la palla di pelo. E poi nuovamente la compagna. Un sospiro uscì dalla sua bocca in segno di resa. «Nulla Michiru...nulla… forse è il caso di trovare una cuccia adatta a questa cosa». 
Il borbottio che uscì dalle sue labbra fu innascondibile.
Esattamente come il sorriso trionfante di Michiru.

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Capitolo 15
*** Rose ***


Rose

745 parole - prompt labbra


Michiru amava da sempre le rose, così alla proposta di Haruka di passare la serata in giardino nella zona dove vi era il roseto non ebbe da fare nessuna osservazione contraria.

Lei adorava quei fiori e di fronte a un cespuglio di “rose rosse aulentissime” non aveva potuto resistere, si era fermata li vicino per affondare il viso nei loro petali, vellutati e morbidi, per inebriarsi del loro profumo.

La loro fragranza sembrava come una droga, era rimasta lì immobile e non se ne sarebbe andata più se solo avesse potuto.

Improvvisamente una mano che conosceva bene le si posò sulla schiena, ma lei non si mosse. Respirò profondamente beandosi ancora di quel meraviglioso profumo.

Sentì chiare le dita dell’altra scorrerle sulla schiena, lungo la spina dorsale in una leggera carezza, fino arrivare alle sue spalle e al suo collo.

Senza aprire gli occhi, per sentire tutto meglio, sentì una superficie fresca a contatto con le sue labbra, forse un bicchiere. Le bollicine, di quello che riconobbe essere Champagne, stuzzicarono le sue narici.

«Bevi, bevi e poi baciami». La voce bassa e calda di Haruka le arrivò vicina all’orecchio destro, la presa vicino al collo leggermente più forte.

Non se lo lasciò chiedere due volte, bevendo fino all’ultimo sorso del liquido, sentì poi due labbra morbide che la lambirono, succhiando lievemente le sue. La presa improvvisamente più forte a rivolgerle il viso verso l’alto, un ultima goccia di champagne scese sulle sue labbra. Lei le aprì quasi a chiederne ancora mentre il rumore del vetro che si infrangeva sulla ghiaia del sentiero giunse alle sue orecchie.

Il rumore di un ramo spezzato.

La morbidezza della rosa di cui aveva respirato profondamente il profumo, ora un tutt’uno con il suo viso: mento, fronte, guance, occhi, naso,labbra, ciglia, occhi e nuovamente naso. Poi gola, sterno, seni e qualcuno le infilò il gambo tra loro mentre l’altra mano ne spogliò uno. La rosa passò anche sui capezzoli, interrompendo improvvisamente il suo respiro. Provocandole quasi un gemito.

Il fiore risalì nuovamente su e cominciò a stuzzicare nuovamente l’orecchio. E ciò che poco prima le fu quasi provocato, uscì dalle sue labbra.

Haruka sorrise a contatto con il suo collo, posandole un dito a contatto con le labbra, quasi a tappargliele per la piccola esternazione appena sentita.

Un odore quasi metallico giunse prepotente alle sue narici.

«Ti sei fatta male?». Con qualche spina forse, per sbaglio. Le domandò.

«Nulla di grave, Michi». Rispose la bionda senza staccare lo sguardo dal profilo della violinista, che in risposta decise di sanarle la piccola ferita usando le labbra, succhiandole il dito. Con le dita umide segnò il contorno delle sue labbra, la sentì fremere a quel contatto. Buttò dunque la rosa sul prato poco distante, le mani a cingerle il volto a contatto con la pelle morbida. Gli occhi verdi incrociarono i blu incatenandosi a loro.

Michiru non sfuggì a quello sguardo, stava morendo dalla voglia di baciarla: voleva sentirne bocca, labbra, respiro, denti, lingua, un morso, qualsiasi cosa. Lei.

Tenoh però si spostò dietro di lei e con un gesto deciso le denudò le spalle e il dorso quasi fino alle natiche, lasciandole le braccia imprigionate dalle spalline del vestito.

Di nuovo il rumore di un ramo spezzato e questa volta un bocciolo a sfiorarle la pelle della schiena, disegnando la linea della spina dorsale, arrivando giù fino alle natiche.

Una leggera puntura delle spine. Un piccolo gemito.

Brividi alla schiena.

Di nuovo il fiore a sfiorarla.

Haruka alternava il leggero bruciore delle spine sulla pelle, al velluto dei petali.

Punte e petali.

Dolore e piacere.

Lei si stava perdendo in quel mare di sensazioni che le stava donando in modo così semplice.

Una delle domestiche pronunciò il nome di entrambe, rompendo quel momento magico.

Haruka buttò via la rosa e velocemente le rimise il vestito a posto, stringendola poi a se.

Michiru si volse a guardarla, offrendole la bocca in un muto richiamo, in risposta una cascata di petali profumati sul viso.

La domestica le raggiunse poco dopo, trovandola con il viso immerso in uno dei fiori del cespuglio, la donna non si accorse però del sorriso nascosto, dei suoi brividi alla schiena e dei suoi seni turgidi.

Haruka poco lontano, seduta sulla panchina quasi non curante di ciò che era stato fino a qualche istante prima. Lo sguardo che scorreva sul corpo della donna che amava.

 

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Capitolo 16
*** Shopping ***


Shopping

383 parole.

 

Haruka sbuffò sonoramente.

Mai, mai accompagnare una donna a fare shopping.

Era una delle sue regole basilari, lei non aveva pazienza, quelle vetrine, quelle luci. Le commesse che le stavano continuamente addosso e certamente con un fine che non era quello di venderle qualcosa.

Non per quanto concerne l’abbigliamento per lo meno.

In quel momento era accerchiata da tre individui di sesso femminile che letteralmente pendevano dalle sue labbra.

Era stata oggetto dei loro sguardi ben poco casti per svariati minuti e lei, conscia di quanto forte fosse il suo ascendente sulle donne aveva deciso che, per ammazzare il tempo in attesa che Michiru finisse di provare tutte le cose che si era portata in camerino, poteva anche usare qualche movimento ad hoc.

Così decise di togliersi i ray-ban, una stanghetta stretta tra le labbra, una mano che passò lenta tra i suoi capelli biondi mentre i suoi occhi verdi si posarono su quella che reputava più carina delle tre.

Si appoggiò poi al muro della zona camerini con estrema noncuranza di ciò che le accadeva intorno.

Il camerino di fronte a se si aprì, rivelando una Michiru leggermente spettinata per il continuo provare abiti e magliette.

«Amore possiamo andare». Esclamò la violinista senza farsi sfuggire l’espressione divertita sul viso della compagna non appena pronunciò la parole amore. La guardò incuriosita prima di notare le altre presenze femminili e le loro facce.

A giudicare dalle quali, l’altra, non si era affatto risparmiata. Si limitò a guardarla con sguardo interrogativo prima di uscire dal camerino e sentire la sua presenza dietro di se.

«Cosa mi sono persa?». Inquisì immaginando già la scena, conoscendola.

«Ho voluto giocare un poco, sai per ammazzare la noia». Scoppiò a ridere. «Incredibile come basti che io mi tolga gli occhiali da sole in un certo modo per far pendere tutte dalle mie labbra».

«Sciupa femmine, potresti conquistare la commessa così magari fa un po' di sconto». Le disse l’altra.

«E se poi si innamora di me? E non resiste, magari mi chiede una notte di fuoco? E se poi le spezzo il cuore?». Suppose, senza che le interessasse particolarmente la risposta all’ultima domanda.

«Forse sarebbe meglio che pensassi a come non far esplodere il tuo ego immenso, Tenoh».

Si, il discorso poteva definirsi chiuso.

Subito, senza possibilità di ribattere.

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Capitolo 17
*** Promessa ***


Promessa

158 parole.

 

Promessa.

Siamo legate da una promessa.

La nostra promessa.

La missione prima di tutto, non importa se una di noi due perde la vita.

L’altra deve andare avanti, deve portarla a termine.

Mi chiedo, però, quanto questo sia compatibile con il cuore.

Quanto sia giusto, sacrificare la persona che si ama per un bene più grande.

Mi chiedo, però, quanto questo sia compatibile con il mio, di cuore.

Lo stesso cuore che trema quando i tuoi occhi verdi incrociano i miei.

Lo stesso cuore che perde un battito quando un nemico ti colpisce.

Lo stesso cuore che fa si che io non possa fare a meno di proteggerti.

A qualunque costo.

E non importa la nostra promessa.

Non importa altro, per me, se tu smetti di essere al mio fianco.

Non esiste altro, per me, se tu rischi di perdere la vita.

Forse, le promesse, valgono solo per la ragione.

Quando si parla di cuore, è tutt’altra cosa.

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Capitolo 18
*** Ago e filo ***


Ago e filo

309 parole.

 

«Ahi!». L’esclamazione improvvisa di Michiru attirò l’attenzione della bionda.

La sua compagna aveva insistito per sistemarle un taglio sulla giacca, causato da un demone durante l’ultimo scontro.

A nulla erano valse le sue parole.

Michiru non appena avevano varcato la soglia del loro appartamento si era messa a cercare un ago e un filo del colore adatto.

E il risultato era quello.

Una perla rossa scura sul suo dito.

La bionda le si avvicinò prendendo la sua mano tra le proprie prima di portarsela vicino al viso.

«Vedi? Dovevi ascoltarmi!». La rimproverò leggermente, abbassò poi il tono della sua voce. «Perché poi succedono ste cose e mi tocca provvedere». Appoggiò dunque le labbra sul dito ferito della violinista, gli occhi persi nei suoi.

Neptune non si mosse, anzi quel tocco improvviso era piacevole, fin troppo piacevole.

«Quando provvedi in questo modo non mi dispiace». Sorrise leggermente. «Dovresti farlo più spesso».

Haruka la guardò più attenta, cogliendo chiaro l’invito sotto-inteso della compagna. «Allora se dici così...». Le si avvicinò il tanto che bastava per spingerla con i fianchi contro il tavolo per poi farla sedere su di esso prima di avvicinare le proprie labbra a un soffio dalle sue. «Se mi dici così dovrò fare una visita più approfondita». Un sussurro seguito da un leggero morso al labbro inferiore della musicista.

Occhi blu non si oppose a quel contatto, l’inizio di un abbandono che lei conosceva bene.

Uranus si spostò sul suo collo, mordendola leggera anche li, il respiro di chi era vittima delle sue attenzioni che si interruppe per qualche istante. «Però magari non oggi». Si allontanò di colpo. «Così impari a non ascoltarmi, buon lavoro Michi».

Un sorriso beffardo le spuntò sul viso, mentre lei stessa si avviò in sala per guardare la televisione.

Michiru rimase li, frastornata da quelle attenzioni interrotte improvvisamente.

Così come improvvisamente erano iniziate.

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Capitolo 19
*** Rubare ***


Rubare

158 parole.


Io il vento.

Tu il mare.

Io impulsiva, libera.

Tu più riflessiva, più paziente.

Io sono sempre stata quella che non voleva legami.

Tu i legami li hai sempre cercati, specialmente con me.

Io ero quella che non voleva relazioni, perché la mia libertà

non l’avrei barattata con nessuno al mondo.

Io sono sempre stata libera, come il vento.

Poi sei arrivata tu.

Prima nei miei sogni, poi nella mia vita.

Sei arrivata tu, improvvisamente.

Quando ancora non avevo nemmeno capito chi fossi.

Sei arrivata tu e sei stata l’unica a catturarmi.

L’unica a riuscire a catturare dentro di se, una parte di me.

L’unica a riuscire a rubare il mio cuore.

Il cuore del vento.

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Capitolo 20
*** Selfie ***


Note dell'autrice: Per questa di oggi, devo ringraziare la player dell'Haruka con cui ruolo su FB, perché questa è una ruolata uscita fuori da una fan-art che ho trovato su internet la bellezza di due mesi fa e che mi è sembrata adattissima al prompt proposto, ho solo riscritto un pò la parte descrittiva cambiando i tempi verbali. L'immagine in questione è questa clicca . 



Selfie

494 parole.

 

I suoi occhi blu si spalancarono a vedere la foto sul suo smartphone.

E questa?!? Quando l’ha fatta.

Sullo schermo una foto di loro due in spiaggia, o meglio. Di Haruka che si faceva un selfie in tutto il suo splendore con gli occhiali da sole.

E dietro, in bella mostra spiccava lei, girata di schiena sull’asciugamano.

Sopratutto spiccava il suo fondoschiena.

«Ruka!! Ma ti sembra il caso?!? Cosa significa questa foto?». Il tono che le uscì era tutt’altro che d’accordo.

Haruka rivolse l’attenzione alla compagna, smettendo di sorseggiare il suo drink, fece finta di mettere a fuoco la foto sul piccolo schermo anche se, in cuor suo, sapeva benissimo di cosa l’altra stesse parlando e si ricordava anche molto bene il momento in cui l’aveva scattata.

«Si mi sembra il caso». La sua espressione esprimeva il massimo dell’ovvietà possibile. Osservò ben bene la foto, ignorando la prima figura sullo schermo per concentrarsi sulle forme, perfette, di Michiru. «Rivedendola oserei dire che sia uno dei miei scatti migliori».

«No direi che non era il caso di fare una foto del genere». La guardò male, mentre nella sua mente le passò un’idea per vendicarsi di quella foto a tradimento. Sorrise appena senza smettere di guardare l’altra. «Quindi, se è uno dei tuoi scatti migliori, posso renderla pubblica su Facebook giusto? Il tuo meraviglioso tocco artistico deve essere condiviso con tutti».

Tenoh posò il bicchiere, chiedendole nuovamente il cellulare per osservare attentamente la foto. «Se desideri che...». Trattenne il fiato giocando con i cubetti di ghiaccio. «il mio seno, fin’ora sempre nascosto finisca in tutta la rete pubblica, va bene pubblica pure». Sollevò appena lo sguardo per cercare gli occhi dell’altra.

A Michiru per poco non andò di traverso il contenuto del suo bicchiere a sentirla dire così, effettivamente aveva ragione. «Il tuo seno rimane in sede privata. L’ arte va condivisa, ripeto. Poi comunque io non scatto selfie a tradimento, per cui». Ribatté puntando il suo sguardo in quello verde, senza nessuna intenzione di cedere.

«Infatti è uno dei miei scatti migliori». Sottolineò ancora la bionda, sorridendo. «Come vedi, in primo piano c’è quello che tu vuoi che rimanga privato, perciò...». Si alzò per avvicinarla per poi sporgersi verso di lei. Fece cadere senza ombra di dubbio lo sguardo sulla camicia leggermente aperta che indossava quel giorno per sottolineare il concetto. « se questo deve rimanere privato». Allungò la mano a prendere il cellulare della violinista. «Questo lo prendo io». Lo ripose nella tasca posteriore dei pantaloni.

«Basta tagliare la foto e ciò che deve rimanere privato rimane tale, credo sia semplice e veloce». Si aveva trovato la soluzione al problema, si spostò appena per darle un bacio nel tentativo di distrarla per riprendere il cellulare dal posto in cui la bionda lo custodiva.

«Non penso proprio Michi, questo lo tengo io». Una mano corse a fermarla. L’altra a toccarle il fondo schiena in un pizzicotto deciso. «Questo è solo mio e di nessun altro».

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Capitolo 21
*** Chiave ***


20. Chiave

162 parole.

 

Sailor Pluto osservò la piccola chiave nella sua mano.

Aveva riflettuto molto sulla possibilità di permettere alla Piccola Lady di viaggiare nel tempo da sola, teoricamente non avrebbe potuto farlo. Era troppo pericoloso e lei era solo una bambina, avrebbe dovuto farlo lei al suo posto ma il suo compito di Guardia dello spazio-tempo le impediva di lasciare la sua postazione.

La situazione era tuttavia molto grave, non avevano altre scelte per tentare di salvare il futuro.

I regnanti erano caduti in un sonno profondo e il Regno era stato totalmente distrutto.

Il piccolo oggetto assomigliava parecchio al Garnet Rod, solamente una versione in miniatura, era l’unica chiave che le somigliava così tanto.

Le sembrava quella più adatta da dare alla bambina.

Una chiave per tornare nel passato.

Una chiave per avere una chance di salvare i propri genitori.

Una chiave che avrebbe potuto cambiare futuro, presente e passato.

Una chiave capace di cambiare il destino di tutte loro.

Compreso il suo.

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