Kairos

di gravityhits
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo- Inizio così ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo- Inizio così ***


Kasper
 
Preparavo la colazione, o meglio, provavo a cucinare qualcosa di commestibile. Erano passate settimane dall’ultima volta che io, Carter e Rebecca ci trovassimo a casa nello stesso momento e decisi di approfittarne per mangiare insieme come una famiglia. 
Non ero brava ai fornelli, passavo più tempo a bruciarmi che a cucinare ma mi piaceva vederli mangiare le mie uova come se fossero le migliori della loro vita. Rebecca non era ancora andata a letto, era appena tornata dal lavoro ed era esausta ma le piaceva l’idea di sederci e passare un po' di tempo insieme. Carter si stava vestendo per il suo turno mattutino in un ristorante italiano e io avevo ancora un mucchio di tempo da occupare prima di dover andare al lavoro. -Joe , c’è posta per te- disse Carter, rivolgendosi a me, lo guardai sorpresa e notai che cercava di nascondere la sua eccitazione. -Nessuno ha il mio indirizzo tranne quelli della Colum…- esordì prima che lui mi mostrasse la lettera con il timbro postale della Columbia. Corsi verso di lui e li strappai la lettera dalle mani.
Era da sei mesi che aspettavo una risposta, avevo mandato domande ad un mucchio di università e avevo ottenuto una risposta da quasi tutte a quel punto. Rebecca e Carter mi spinsero a fare domanda per alcuni college della Ivy League e scelsi la Columbia. Feci domanda un mucchio di volte a diverse università di calibri diversi, sognavo la Columbia e nonostante quello fosse il mio terzo tentativo in due anni, una parte di me ci credeva ancora.
L’unica volta in cui parlai apertamente del mio passato fu quando mi chiesero come fosse la mia vita. Scrissi una decina di pagine, ci misi quasi due settimane per ottenere il risultato che volevo. Desideravo che leggessero qualcosa di diverso, qualcosa di vero che non mirava ad impressionarli ma ad istruirli su come fosse la vita per persone perse come me. Parlai di come mi sentissi un fantasma, di come mi stessi aggrappando alla vita solo perché sentivo di avere ancora qualcosa da fare. Una parte di me sperava di illuminare le loro vite, non aveva alcuna intenzione di venire ammessa ma l’altra parte passava notti a chiedere a chiunque ci fosse lassù di darmi l’unica cosa che avevo mai desiderato fino a quel momento. 
Leggere la parola ‘’ammessa’’ su quel foglio di carta mi cambiò la vita. Fu la prima volta in cui provai la vera e propria felicità. Fu la prima volta in cui le mie lacrime non erano dovute al dolore o alla tristezza. 
-Sapevo che ti avrebbero presa!- disse Carter, mentre mi stringeva tra le sue braccia. 
-Okey…ehm…devo…devo organizzarmi- dissi, Rebecca mi diede un bacio sulla guancia e andò a prendere qualcosa in cucina. Tornò qualche secondo dopo con una vecchia bottiglia di whiskey che comprammo il giorno in cui uscimmo dal riformatorio. -Credo sia il momento di aprirla- disse Rebecca, io e Carter le ricordammo che dovevamo lavorare ma lei continuò a versare whiskey nei bicchieri. -L’abbiamo comprata solo un anno fa…dovremmo aprirla per qualcosa di più..
-Sei uscita da un riformatorio, Joe, la tua istruzione proviene da un luogo dove la maggior parte delle persone non sa cosa sia la grammatica e sei stata ammessa alla Columbia. Sei speciale e ora lo saprà anche il resto del mondo- disse Carter, sorrisi e lo abbracciai. 
I festeggiamenti finirono prima di quanto desiderassimo, bere whiskey alle otto del mattino non fu una delle mia migliori scelte ma pensavo sarebbe andata peggio. Sull’autobus diretta al lavoro iniziai a fare un piano della situazione. Sulla lettera d’ammissione la Columbia mi offriva una borsa di studio, le regole erano semplici: voti alti e comportamento esemplare. Non potevo commettere nessun errore o l’università mi avrebbe tagliato i fondi e con il mio stipendio non mi sarei mai potuta permettere di pagare la retta.
L’università si era offerta di pagarmi gli studi ma mi sarei dovuta arrangiare per i libri e avrei dovuto trovare un lavoro meno impegnativo. La prima cosa che feci una volta entrata nel bar fu informare il mio capo che avrei lasciato il lavoro. Litigammo per un ora e nonostante avessi provato a tenermi il lavoro per un paio di giorni per mettere qualche soldo da parte lui decise di cacciarmi. Non avevo alcun contratto con lui quindi non ci perdevo molto. 
Tornai a casa e iniziai le pratiche per l’iscrizione ufficiale alla Columbia. Rebecca mi preparò del caffè e si sedette accanto a me per darmi una mano. -Sono così fiera di te- disse, sorrisi e la ringraziai. -Dovresti iscriverti anche tu, hai messo da parte abbastanza soldi per la retta alla New York University. 
-Ah…Sun, io non sono come te. Tu sei un genio e io sono quella che ti versa da bere- disse, mi si strinse il cuore. -Non credi di meritare di meglio? Vuoi lavorare in quello strip club per il resto della tua vita?
-È ciò che so fare meglio- rispose, scossi la testa e sospirai. 
 
Mi svegliai presto per il mio primo giorno alla Columbia, infilai una felpa e un paio di jeans e mi assicurai di essere il più normale possibile. Infilai un cappello da baseball e i miei occhiali da vista. Non mi piaceva essere notata.
Passai una mezz’ora a cercare la classe di sociologia e una volta trovata mi sedetti infondo alla classe e sperai che nessuno cercasse di fare amicizia. 
Visitavo il sito dell’università mentre la classe si riempiva e tra un articolo e l’altro vidi il titolo del mio saggio d’ammissione. Tolsero il mio nome e pubblicarono il mio saggio d’ammissione con un’introduzione che citava Sir Winston Churchill “il successo non è mai definitivo, il fallimento non è mai fatale: è il coraggio di continuare che conta’’. Alla fine del saggio dicevano che la persona che l’aveva scritto sarebbe rimasta anonima per il suo bene e la sua privacy e che tutti gli studenti avrebbero dovuto imparare da me. Mi sentì estremamente lusingata e per un attimo fui fiera di me. Poi mi ricordai di quanto odiassi sentirmi dire che ero forte, che ero coraggiosa, che ero riuscita ad attraversare l’inferno e restare in piedi. Spesso parlavano come se il mio passato non mi perseguitasse, come se fossi uscita da quel posto intatta. 
Durante la lezione non riuscì a concentrarmi, nella mia mente passavano vari scenari nei quali gli studenti scoprivano chi fosse l’autore di quel saggio e l’idea mi mandava fuori di testa. 
Camminavo verso la caffetteria e avevo la sensazione di essere seguita, continuavo a ripetermi che il numero di persone che camminavano nella mia direzione mi faceva venire quella sensazione. Poi sentì la mano di qualcuno sulla mia spalla, era un uomo, sentire la sua mano mi spinse a mettermi sulla difensiva ma grazie alla terapia non scappai via correndo. Quando mi voltai vidi due ragazzi davanti a me. Erano entrambi attraenti e dai loro vestiti era evidente che fossero ricchi. Uno dei due mi guardava come se fossi solo un pezzo di carne, ero stata guardata così tante volte in quel modo e probabilmente non sarebbe stata l’ultima. L’altro sembrava si sentisse obbligato ad essere lì, sembrava indifferente. Quello che mi toccò la spalla era più alto di me ma più basso del suo amico. Aveva corti capelli scuri, occhi chiari, mascella pronunciata e sorriso accattivante. La mia attenzione era particolarmente concentrata sul secondo ragazzo. Non era dovuto al suo aspetto fisico nonostante fosse anche lui molto attraente. Il secondo ragazzo aveva corti capelli ricci, indossava una felpa e aveva la testa coperta dal cappuccio, era muscoloso e la sua pelle era color caramello. I suoi occhi erano la sola ragione per la quale non me ne ero ancora andata. Erano grandi, scuri, aveva lunghe ciglia che li davano questa strana aria misteriosa e allo stesso tempo addolcivano il suo sguardo. Il suo viso era perfetto e lui fu il primo ragazzo che guardai senza provare repulsione immediata.
-Il mio amico ha passato dieci lunghi minuti a dirmi che sei super attraente e io di solito li credo sempre ma visto come sei vestita e i tuoi occhiali e il cappello…ecco volevo vedere se sotto a tutti quei strati ci fosse la ragazza sexy che sono sicuro tu sia- disse, provai un brivido freddo attraversarmi la schiena e rivolsi un occhiata al secondo ragazzo. Il primo ragazzo mi guardò e si leccò le labbra, strinsi i pugni e sospirai. -Suppongo resterà un mistero per entrambi- risposi, prima di girare i tacchi e andare verso la caffetteria. 
Mi sedetti al tavolo più isolato del locale e cercai di non pensare. Infilai le cuffie e ascoltai della musica per cercare di zittire le voci che sentivo. Non riuscivo a smettere di muovere la gamba destra e il caffè non era per niente utile. Chiusi gli occhi e vidi il suo viso. Il viso dell’uomo che aveva preso tutto ciò che mi apparteneva e l’aveva reso suo. Rividi la prima volta che mi toccò, quando avevo sette anni e non sapevo nemmeno che cosa mi stesse succedendo. Rividi il suo sguardo, il modo in cui si inumidiva le labbra, sentì le sue mani su ogni centimetro del mio corpo..
Alzai lo sguardo e vidi il ragazzo di prima seduto davanti a me, il secondo ragazzo mi sorrideva. Mi fece cenno di togliere le cuffie, non riuscivo a controllare il mio corpo e i miei tremori ma cercai di non sembrare una pazza davanti a lui. -Volevo scusarmi per il comportamento del mio amico, tende ad essere uno stronzo- disse, cogliendomi di sorpresa. -Devo andare- dissi, alzandomi, presi la mia borsa e mi coprì al testa nuovamente con il cappuccio. Mentre cercavo di andarmene lui mi afferrò per il braccio. Il suo tocco fu delicato e gentile. -Ma credo davvero che tu sia super attraente- disse, cogliendomi di nuovo di sorpresa. La mia mano non smise di tremare e lui se ne accorse. -Stai bene?- chiese, deglutì e scappai via. 
Corsi in bagno e chiusi la porta, mi sedetti sul pavimento del bagno e iniziai a togliermi la giacca e poi il maglione. Curiosai in giro alla ricerca di qualcosa per aiutarmi a togliermi quella sensazione, a far smettere quella voce. Sapevo che cosa avevo bisogno di fare e sapevo di non doverlo fare, di dover affrontare la crisi senza farmi del male. Mi bagnai il viso con dell’acqua fredda e incrociai il mio sguardo nello specchio. Vidi il suo volto alle mie spalle, vidi le sue mani sul mio corpo e in quel momento tirai un pugno allo specchio. Solo quando vidi il sangue colare dalla mia mano che lui svanì. Presi un pezzo di vetro e lo strinsi tra le mie mani mentre mi sedevo sul pavimento del bagno e mi rendevo conto che non sarei uscita da lì senza attirare l’attenzione di tutti. Chiamai Carter.
Non ero sicura di potercela fare, avevo passato solo dieci minuti nei panni della studentessa universitaria e mi era bastato uno sguardo di troppo per farmi crollare. Che cosa non andava in me?
Carter sapeva esattamente cosa fare, lasciò il lavoro per venirmi a cercare in uno dei milioni bagni del campus. Mi bendò la mano, mi aiutò ad alzarmi e mi avvolse la sua giacca attorno alle spalle. Vedere il suo sguardo preoccupato e vagamente deluso mi fece sentire peggio di quanto già non mi sentissi. -Che cos’è successo?
-Niente- risposi, mentre cercavo di ripulire il pavimento dal mio sangue. - Che cos’è successo?- ripeté Carter, evitai il suo sguardo e continuai a pulire il pavimento. -Joe! Che cazzo ti è successo?- gridò, facendomi sussultare, mi voltai e lo guardai. 
-Non è successo niente, okey? Un ragazzo ha detto la cosa sbagliata e ha fatto scattare alcuni…ricordi- dissi, lui uscì dal bagno come una furia e io lo seguì. Si guardava attorno nel campus e sembrava cercasse qualcuno. -Chi è? Dove si trova?- chiese, guardandomi, il mio sguardo finì sul ragazzo che era venuto a scusarsi. Ci stava guardando.
Carter si accorse del nostro scambio di sguardi e prima che potessi fermarlo stava andando verso di loro. Il ragazzo sbagliato finì a terra a causa del potente gancio destro di Carter. 
-Cazzo, Carter!- esclamai, correndo verso di loro. -Vattene! Mi farai cacciare nei guai! Sparisci- esclamai, Carter scosse la testa e andò verso il parcheggio. -Che cazzo è appena successo?- disse il ragazzo massaggiandosi la mascella, notai del sangue colarli dal naso e cercai di aiutarlo ad alzarsi. -Mi dispiace, davvero…- dissi, lui si guardava attorno. Notai anche io gli sguardi di tutti puntati su di noi, avevamo dato spettacolo. Lo portai nel bagno che era ancora sporco del mio sangue e lo feci sedere sul water. -Che cavolo è successo qui dentro?- chiese, guardandosi intorno. Bagnai della carta igienica e la usai per tamponarli il naso. -Dovresti metterci del ghiaccio- dissi, mentre cercavo di fermare il sangue. -Dovresti frequentare ragazzi meno violenti- replicò lui, facendomi sorridere. -È stato lui a mettere sotto sopra il bagno?- chiese, scossi la testa e sospirai. -Mea culpa- dissi, lui notò il sangue e notò la mia mano. -Ti sei ferita…
-Anche tu…grande primo giorno- replicai, lui sorrise e fece una smorfia di dolore nel farlo. 
-Nel giro di mezz’ora il mio amico ti ha trattata come un oggetto sessuale, tu mi hai trattato come una malattia sessualmente trasmissibile e il tuo ragazzo mi ha trattato come se ti avessi messa incinta- disse, sorrisi e lo guardai negli occhi. Aveva dei bellissimi occhi. -E ancora non conosco il tuo nome- aggiunse, ci fu un lungo attimo di silenzio mentre io osservavo la sua iride e venivo affascinata dal suo sguardo. -Non è il mio ragazzo- dissi, per qualche ragione quella era l’unica cosa che sentivo il bisogno di dire. 
Non sopportavo che mi si chiedesse il mio nome, avevo la sensazione di soffocare ogni volta che me lo si chiedeva. La verità era che non avevo un nome, non conoscevo il mio nome e non sopportavo venire chiamata con quelle tre lettere datemi dallo stato. -Joe, la gente mi chiama Joe- risposi, lui sorrise confuso e annuì. -A te come piace essere chiamata?- chiese, sorrisi. 
-Kasper- risposi, lui annuì e si alzò. Era stranamente piacevole il modo in cui mi guardava dall’alto. Mi porse la mano e io gliela strinsi. -Piacere Kasper, io sono Kareem.
Iniziò così, fu così che lo conobbi. In un bagno pieno del mio e del suo sangue. 
 
 
Kareem
 
Stavo avendo la solita stupida chiacchierata con Logan, eravamo seduti su una panchina nel bel mezzo del campus. A Logan piaceva sedersi lì alla fine delle lezioni per osservare, anzi, per guardare le matricole. Passava fin troppo tempo a parlarmi di ragazze e insegnarmi come essere un grande seduttore, come fare una bella vita senza nessun impegno. Facevamo parte della stessa confraternita e nei tre anni che avevo avuto il piacere di conoscere la sua intricata, perversa mente imparai molte cose sugli uomini. Avere un padre single estremamente potente e sicuro di se, non sempre tendeva a creare figli potenti e sicuri di se. Logan, per esempio, fingeva di essere sicuro di se, fingeva di sentirsi superiore, fingeva di ottenere tutto ciò che voleva e fingeva di non provare sentimenti ma era solo un ragazzo stupido e arrabbiato. 
Il giorno in cui lo conobbi capì che non mi si sarebbe staccato di dosso, che sarebbe rimasto al mio fianco e avrebbe finto che fossi io quello ad avere bisogno di qualcuno. Negava di sentirsi solo, distruggeva ogni suo rapporto e riempiva il vuoto lasciatoli dalla madre facendo sesso con tutte le donne che li si presentavano davanti. Spesso le feriva, trattava come oggetti sessuali solo perché tutte loro li ricordavano sua madre.
In molti si chiedevano come facessi a frequentarlo, quelli della nostra confraternita lo odiavano, le ragazze erano disgustate da lui ma per qualche ragione io riuscivo a passare del tempo con lui. Ero particolarmente affascinato dalle persone rotte, persone come lui e come me che avevano estremo bisogno di essere rimesse insieme. 
Mentre il mio migliore amico cercava una ragazza, io leggevo il saggio di una neo-studentessa. 
Il racconto era affascinante, scritto bene, pieno di metafore e figure retoriche. Era come se la scrittrice volesse raccontare la sua storia ma allo stesso tempo cercasse di renderla accessibile a tutti, come se cercasse di far rispecchiare chiunque in lei. Raccontava un evento traumatico che aveva vissuto e dalle parole che usava sembrava fosse durato allungo. Parlava della sua vita come un salto nel vuoto, come se qualcuno l’avesse spinta e che ogni volta che riusciva a salvarsi veniva di nuovo spinta nell’abisso. Descriveva così il suo stupro.
Non avevo mai letto qualcosa di così intenso e dopo aver letto il racconto un paio di volte ancora mi chiedevo che cosa le fosse successo esattamente. Era come se fosse talmente difficile per lei ricordare da non riuscire a scrivere in modo esplicito e diretto ciò che le era successo ma allo stesso tempo il suo modo di raccontare la sua storia era unico.
Logan mi diede una pacca sul braccio e mi fece cenno di guardare davanti a me, in quel modo mi distrasse dal racconto e mi spinse a guardare la mia ex ragazza. Era incantevole, come sempre, e per un secondo mi chiesi quale fosse il mio problema. Per quale ragione mi piaceva distruggere tutto ciò che avevo di bello?
Ma quella sensazione durò solo un secondo e tornai a non sentire nulla. 
Conobbi Lucy al liceo, fu amore a prima vista suppongo. Il genere di storia romantica da film per teenager. Lei mi amava, avrebbe fatto qualunque cosa per me e per anni ho pensato di amarla anche io. Poi un giorno mi svegliai nel letto di un'altra, lei lo venne a sapere. Pensavo di dovermi sentire in colpa, quella era la sensazione che avrei dovuto provare ma non provavo nulla. Lei era davanti a me, piangeva e cercava di risolvere la situazione. Nonostante io le avessi spezzato il cuore lei era pronta ad andare avanti. Così facemmo ma dopo averle spezzato il cuore, iniziai a calpestarlo, sbatterlo al muro e farlo a pezzi. Continuò a perdonarmi fino a che non persi la testa e le puntai una pistola contro, chiedendole se mi avrebbe perdonato se l’avessi uccisa. Non avevo intenzione di farlo, volevo solo capire fino a che punto si sarebbe spinta, fino a dove sarebbe arrivata. Quanto amore provasse nei miei confronti e che cosa volesse dire esattamente.
Lucy era un altro dei miei esperimenti sociali, un altro modo per capire se ero umano, se ero in grado di provare emozioni come tutti gli altri. Esperimento miseramente fallito, suppongo. 
I nostri sguardi si incrociarono, la sua espressione cambiò, il suo sorriso svanì. Le feci cenno con il capo ma lei non ricambiò e continuò a parlare con le sue amiche.
Nel mentre Logan posò gli occhi su una ragazza e corse ad inseguirla e io corsi ad inseguire lui per assicurarmi che non esagerasse troppo. Rimasi in piedi dietro di lui mentre parlava con la sua vittima. Indossava una felpa, una giacca, un cappello e degli occhiali da vista e aveva la testa coperta dal cappuccio. Teneva la testa bassa e non riuscivo a capire perché lui l’avesse fermata.  Lui le rifilò una stupida frase e lei alzò lo sguardo. Quando vidi il suo viso capì perché lui l’avesse notata. I suoi occhi furono la prima cosa che vidi, erano così profondi e delicati, erano azzurro ghiaccio e verdi attorno alla pupilla. Il suo viso era minuscolo, aveva guance paffute, lunghe ciglia scure, labbra carnose a forma di cuore, una fossetta sul mento. I suoi capelli sembravano corti ma non riuscivo a vedere il colore. Era più alta della media, aveva un bel corpo, belle curve nonostante fossero nascoste da tutti quei vestiti. 
Logan glielo fece notare in modo estremamente sessista e volgare. Si offese ma li rispose e se ne andò. -Stronza- commentò Logan, quando lei se ne andò. La seguì con lo sguardo fino alla caffetteria. -Le ho fatto un complimento e..- esordì Logan, prima che lo interrompessi. -Resta qui, torno subito- dissi, prima di correre verso la caffetteria. Lei era seduta al tavolo più nascosto del locale, aveva le cuffie alle orecchie e teneva la testa bassa. Mi sedetti davanti a lei e solo dopo qualche secondo lei notò la mia presenza. Alzò lo sguardo e le feci cenno di togliere le cuffie. - Volevo scusarmi per prima, Logan è uno stronzo e purtroppo non cambierà mai. E per la cronaca, non ho detto nessuna di quelle cose- dissi, non sapevo bene perché mi stessi scusando ma qualcosa mi spinse ad inseguirla. -Devo andare- disse, si alzò, prese le sue cose e andò verso l’uscita. Una parte di me sentiva di non poterla lasciarla andare, le afferrai il braccio e la fermai. Lei mi guardò confusa e li dissi la cosa più stupida che potessi dire. -Ma credo davvero che tu sia estremamente bella- dissi, notai che la sua mano tremava, notai il suo sguardo spento e spaventato. -Stai bene?- chiesi, lei si mise a correre.
Considerai che scappare via da me a gambe levate fosse un modo per dirmi ‘’sei un porco come il tuo amico ’’. Quando uscì dalla caffetteria, Logan era sparito e quindi ne approfittai per rileggere il racconto e approfittare dell’aria fresca. Continuavo a fissare la porta del bagno in cui l’avevo vista entrare e notai che non era ancora uscita. Dopo un quarto d’ora un ragazzo entrò in quel bagno e cinque minuti dopo usciva da lì insieme a lei. Supposi fosse il suo ragazzo e pensai peccato. Poi il ragazzo iniziò a venire verso di me, inizialmente pensai fosse solo una mia impressione ma poi il suo pugno incontrò il mio viso. Mi colse alla sprovvista e mi ritrovai con il culo a terra senza conoscerne la ragione. La ragazza gli disse di andarsene, sembrava arrabbiata e vagamente preoccupata. Lui andò via e lei mi aiutò ad alzarmi. -Che cazzo è appena successo?- chiesi, confuso mentre lei mi dava una mano. -Mi dispiace, davvero..- disse, glielo lessi negli occhi. Mi portò nel bagno più vicino, dove lei aveva appena passato quindici minuti. Come entrai notai lo specchio rotto e il sangue a terra. Associai la reazione violenta del suo ragazzo al casino che c’era in bagno. Diedi per scontato che lui avesse avuto una reazione eccessiva o avesse visto qualcosa che aveva male interpretato. Lei mi fece sedere sul wc, bagnò della carta igienica e la usò per tamponarmi il naso. Notai quanto fosse bella da così vicino e notai la fasciatura che aveva alla mano. -Che cavolo è successo qui dentro?- chiesi, mentre lei cercava delicatamente di fermare il sangue. Guardai di nuovo la sua mano quando incrociò il mio sguardo e lei strinse il pugno. -Dovresti metterci del ghiaccio- disse, cambiando discorso. -Dovresti frequentare ragazzi meno violenti- dissi, lei sorrise. -È stato il tuo ragazzo a mettere sotto sopra il bagno?- chiesi, lei scosse la testa e sospirò. -Mea culpa- disse. -Ti sei ferita- dissi, lei sorrise e mi guardò. -Anche tu…grande primo giorno- replicò, sorrisi e provai un leggero dolore dovuto alla ferita. -Nel giro di mezz’ora il mio amico ti ha trattata come un oggetto sessuale, tu mi hai trattato come una malattia sessualmente trasmissibile e il tuo ragazzo mi ha trattato come se ti avessi messa incinta- dissi, lei sorrise e sospirò. Mi piaceva il suo sorriso, sembrava nascondere qualcosa. -E ancora non conosco il tuo nome- dissi. -Non è il mio ragazzo- disse, soffermandosi a guardarmi. -Kasper, mi puoi chiamare così- disse, lo trovai uno strano modo di presentarsi. -Kasper? Il tuo nome è Kasper? Potevi trovare un nome un po' più credibile almeno- dissi. -Kasper- disse, annuì e mi alzai. Lei mi guardava torreggiare su di lei, era piacevole guardarla dall’alto. -Piacere Kasper, io sono Kareem- dissi, porgendole la mano.
Iniziò così, fu così che la conobbi. In un bagno pieno del suo sangue e del mio.
 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Kasper
 
Un getto d’acqua fredda attraversava il mio corpo, era la temperatura a cui ero stata abituata. A lui piaceva giocare allo scienziato, si dilettava a testare la mia resistenza e la mia soglia del dolore. Passavo ore immersa in vasche d’acqua ghiacciata o a centimetri da fonti di calore a temperatura elevata. Lui prendeva appunti, annotava ogni mia reazione e i miei tempi, ogni singola settimana. Avevo sviluppato una certa freddezza, un’insensibilità al dolore e anche nella vita in generale. Non provavo nulla se non dolore costante e profonda empatia. Quel getto d’acqua fredda era la mia casa, ciò che conoscevo meglio e ciò che mi faceva sentire me stessa. 
Carter era in cucina, si preparava la colazione e si aspettava delle scuse. Non ero come tutti gli altri, non avevo imparato le norme sociali a scuola e quindi non avevo idea di come comportarmi con le persone. Ero stata costretta ad impararlo, ad adattarmi al mondo in cui non sapevo di vivere. Cose come chiedere ad una persona come stava per sentirsi rispondere sempre allo stesso modo nonostante non sia sempre la verità oppure scusarsi per aver ferito qualcuno nonostante non riuscissi a capirne la ragione. Mi limitavo a farlo, mi scusavo e andavo avanti con la mia vita. -Non hai nemmeno idea del perché io sia arrabbiato, non è vero?- rispose Carter al mio tentativo di scusarmi. Non avevo idea del perché fosse arrabbiato, non avevo fatto niente di sbagliato a mio parere ma lui non la vedeva come me. -Hai scelto uno sconosciuto al posto mio- disse, lo guardai confusa. -Hai preferito aiutare un ragazzo che nemmeno conosci al posto di stare con me, la persona che ha perso il lavoro per venire a prendersi cura di te.
Una questione di priorità, ai suoi occhi avevo messo al primo posto un ragazzo di cui conoscevo solo il nome piuttosto che mettere lui. Non avevo idea che potesse ferirlo perché non avrebbe ferito me ma c’erano poche cose capaci di ferirmi. Chiesi scusa, di nuovo, lo guardai negli occhi, sorrisi e lui mi credette. 
Presi le mie cose e uscì di casa per andare a lezione. Entrai in classe più tardi di quello che avevo programmato e i posti erano quasi tutti occupati. Mi sedetti infondo, accanto ad un paio di ragazze e il posto alla mia destra era ancora vuoto. Il professore entrò e si sedette alla sua cattedra. Poi entrò lui, cogliendomi di sorpresa. Guardava il suo telefono e saliva i gradini alla ricerca di un posto vuoto. 
Era a qualche fila al di sotto della mia quando lo vidi alzare lo sguardo, finsi di non guardarlo ma i nostri sguardi finirono comunque per incrociarsi. Mi sorrise e io ricambiai, abbassai lo sguardo e continuai a scrivere. Qualche secondo dopo torreggiava su di me, aveva un buon profumo. . -È libero?- chiese, sorrisi e annuì, si sedette accanto a me e ebbi la sensazione che tutti ci guardassero. -Che cosa ci fai qui?- chiese, lo guardai confusa dalla domande stupida e inutile che aveva posto. Considerai la possibilità di farglielo notare ma poi ricordai che la totale sincerità era una pessima mossa, agli esseri umani non piace. -Non avevo niente da fare quindi ho pensato di dilettarmi al gioco d’azzardo nella classe di una prestigiosa università e vedere come gli studenti avrebbero reagito alla mia presenza, tu?- chiesi, lui sorrise e scosse la testa. -Pensavo fossi studiassi lettere, ecco per quale ragione ho fatto quella domanda- disse, annuì e scossi la testa. -No, criminologia- risposi, lui sembrò sorpreso come se ai suoi occhi non appartenessi a quel posto. Avevo riconosciuto quello sguardo, in molti mi avevano guardata in quel modo per una serie di motivi diversi. -Non ti ho mai detto di che facoltà facessi parte, suppongo ti stia confondendo con una delle tante ragazze con cui flirti casualmente…conosci almeno il mio nome?- chiesi, mettendomi sulla difensiva. Non sopportavo essere guardata in quel modo, come se non facessi parte di quel gruppo di persone, come se non fossi abbastanza. -Conosco il nome falso che mi hai dato, ho solo fatto un’errata supposizione, hai intenzione di crocifiggermi per aver pensato che potessi essere una studentessa di lettere?- chiese, annuì e decisi di aver reagito in modo eccessivo. 
Uscimmo dalla classe insieme e io ebbi la sensazione di essere osservata, odiavo quella sensazione. -Mi dispiace per prima- dissi, sorrisi e infilai le mani in tasca. -Figurati- disse, stavo per andare via quando mi chiese se volessi bere un caffè con lui. Lo guardai, mi piaceva guardarlo, aveva un viso piacevole alla vista. Vidi una serie di immagini, cose che sarebbero potute succedere sei io avessi accettato il suo invito. Lasciai le due parti di me lottare per chi avesse ragione ma alla fine fui io a decidere. C’era qualcosa in lui. Dietro ai suoi occhi c’era qualcuno che avrei voluto conoscere meglio. Non mi capitava spesso di provare interesse per qualcosa o per qualcuno.
-Quindi, da dove vieni, Kasper?- chiese, mentre andavamo a sederci ad un tavolo. -Domanda complicata- risposi, lui sembrò confuso. -Ho la sensazione che ogni cosa con te sia complicata- replicò, serrai le labbra e scrollai le spalle. -Okey, vediamo…dove sei nata?- chiese, in quel momento iniziai a riconsiderare la mia decisione di prendere un caffè con lui. Non avevo considerato la possibilità che tutte le cose che volevo sapere su di lui potesse potenzialmente volerle sapere di me. Non avevo amici normali, persone che avevano vissuto una vita convenzionale, con famiglia convenzionali. Avevo solo due persone nella mia vita e loro avevano una visione del mondo simile alla mia. Rebecca era scappata di casa a sedici anni perché suo padre la molestava e sua madre era troppo occupata a farsi di eroina per fare qualcosa. Carter era stato abbandonato dalla famiglia a causa della sua dipendenza che era nata dalla sua voglia di aiutare la sua famiglia. Ci eravamo ritrovati nello stesso posto, soli, senza una famiglia e a nessuno di noi piaceva parlare del passato. Capitava in rare occasioni solitamente in presenza d’alcol. Io non parlavo mai del mio passato perché non ero capace di mentire e preferivo di gran lunga passare per una stronza piuttosto che raccontare la mia verità. Quella per lui era solo una domanda di routine, qualcosa di normale e innocuo ma per me era una porta della mia vita chiusa a chiave alla quale non avevo accesso e probabilmente non l’avrei mai avuto. -Non ne ho idea- risposi, lui mi guardò confuso. -I tuoi genitori?
 -Che cosa vuoi sapere di loro?- chiesi, lui sorrise divertito e bevette un sorso del su caffè. 
-Loro dove sono nati?- chiese, deglutì e sospirai. -Sono sicura che entrambi siano nati in un ospedale- risposi, lui rise e scosse la testa. -Sei davvero così misteriosa o è solo una finta?
-Nessuno dei due, probabilmente- replicai, lui sorrise. -Che cosa ti ha spinto a scegliere legge?- chiesi, rigirando l’attenzione su di lui. -Non è stata una scelta- disse, non sapevo a che cosa si riferisse ma annuì comunque. -Tu che ragioni avevi?
-Salvare il mondo, attrazione perversa per i crimini e infanzia problematica, scegli quella che preferisci- risposi, lui sorrise e scosse la testa. -C’è una festa sta sera- disse, sospirai all’idea che volesse invitarmi in un luogo affollato, in cui la probabilità di venire drogata e stuprata era una su cinque. -Interessante, grazie per l’informazione- risposi, lui rise e scosse la testa. -Stavo cercando di invitarti- disse, sorrisi. -Non sono esattamente il tipo che va alle feste, hai visto come mi vesto…non è certo perché adoro le conversazioni con gli esseri umani, l’obbiettivo di solito è essere talmente in incognito da diventare invisibile all’occhio non allenato- dissi, Kareem rise e mi scrisse qualcosa su un foglio. -Una confraternita- dissi, leggendo l’indirizzo. 
-I film non ne parlano bene- aggiunsi. -Si, la gente ci vede come un gruppo di stronzi con il testosterone alle stelle e una voglia continua di birra.
-Quindi non siete un gruppo di stronzi con il testosterone alle stelle e una voglia continua di birra? – chiesi. -Siamo un gruppo di stronzi, questo è sicuro.
-Non ti facevo tipo da confraternita, sembri troppo…-esordì, non sapendo bene come terminare la frase. -Intelligente?
-Attraente- risposi, lui mi guardò sorpreso e sorrise abbassando lo sguardo. -I ragazzi come te non fanno parte di una confraternita perché sono abbastanza belli da ottenere le ondate di sesso senza troppo sforzo- continuai, lui rise e annuì. -È un complimento o mi stai prendendo per il culo? È difficile da capire.
-È una semplice costatazione- risposi. -Mi farebbe piacere vederti alla festa, renderebbe l’agonia di discutere con altri esseri umani più piacevole- replicò, sorrisi e annuì.  
Mentre uscivamo dalla caffetteria notai un gruppo di ragazze che mi guardavano e bisbigliavano, ebbi la sensazione che i loro commenti non fossero gentili e pensai chissà se è questo che succede al liceo. Kareem mi chiese di aspettarlo lì e così feci. 
Una di loro venne verso di me, alta, di bell’aspetto e vestita esattamente come le copertine delle riviste. -Joe Randall, giusto?- chiese, annuì e non mi chiesi nemmeno come facesse a conoscere il mio nome finto datomi dallo stato. -Kareem non è solito a fare opere di carità.
-Non ricordo esattamente quando ti ho posto questa precisa domanda, ma grazie per l’informazione- dissi, lei mi fulminò con lo sguardo e io sorrisi. -Non sei alla sua altezza, in più ha una ragazza quindi dovresti starli alla larga. 
-E questa famosa ragazza per caso si trova davanti a me?- chiesi, lei sembrò offesa ma scosse la testa. -Dovresti saper stare al tuo posto, matricola. I ragazzi come…
-Hey, Jennifer, perché…perché non vai a farti un giro? Ci sono talmente tante altre attività che potresti considerare oltre a quella di rompere le scatole ad una ragazza che nemmeno conosci. Per esempio potresti prendere a calci un bambino, spingere i vecchietti dal marciapiede…- disse Kareem interrompendo la ragazza. Lei tornò dal suo gruppo di amiche e visto il modo in cui mi guardava le raccontò l’accaduto. -Spero non sia stata troppo crudele…
-È stata adorabile, devo aspettarmi questo genere di…ambiente alla festa?- replicai.
 -Probabile, ma credo tu sia in grado di gestire la situazione- replicò lui, sorrisi e annuì. -Spero non l’abbia mandata la tua ragazza- ribattei, lui sospirò e strinse i pugni. -Non ho una ragazza..
-È ciò che dici alle ragazze che inviti alle feste?
-È ciò che dico a chiunque, perché è la verità- rispose, il suo sguardo era talmente intenso che non potei fare a meno di crederli. -Quindi quella ragazza ha solo una morbosa cotta per te?
-È una sorta di groupie- rispose, lo guardai confusa. -Hai delle groupie? Wow, ho sempre sognato di conoscere Zac Efron- replicai, lui rise e scosse la testa. -Potevi almeno paragonarmi a qualcuno di più attraente, ad un icona. Bob Dylan, Bon Jovi, Micheal Jackson, avrei accettato persino Mariah Carey- ribatté, facendomi ridere. -Questo posto è molto simile al liceo, tutti conoscono tutti e tutti parlano di tutti, sai com’è?- disse, a quel punto sapevo esattamente cosa dire ma non riuscì a dirlo. -Non esattamente…non sono stata al liceo.
-Non ti sei persa niente. Studiato a casa quindi?- rispose, annuì e sospirai. -Si, più o meno.
-Notevole, è difficile entrare qui senza un buon liceo alle proprie spalle.
-Ho avuto fortuna…il mio saggio d’ammissione è stato d’aiuto- dissi. 
 
Kareem
 
Una volta tornato alla confraternita, dopo aver studiato diritto internazionale e sociologia mi sdraiai sul letto e presi il saggio d’ammissione della ragazza misteriosa. Lo leggevo per la decima volta ma solo dopo aver avuto una lunga conversazione con Kasper iniziai a vedere il volto dell’autrice del racconto. Avevo la strana e inspiegabile sensazione che l’autrice del racconto e la ragazza che avevo conosciuto un paio di settimane  prima potessero essere la stessa persona. Iniziai a notare alcune similitudini tra le due persone o forse la mia mente mi stava prendendo in giro, forse volevo che fossero la stessa persona e cercavo cose in comune la dove non esistevano. Non riesco a spiegare perché la mia mente desiderasse così tanto che fossero la stessa persona ma lo voleva. Pensai alle cose che mi disse quella mattina su come era entrata alla Columbia e al fatto che aveva studiato da casa. Supposi che la ragazza del racconto dovesse aver perso anni e anni di scuola, che probabilmente non sarebbe mai riuscita a tornare in società e frequentare un liceo. Sapevo per certo che i criteri per entrare alla Columbia esigevano un’educazione nelle più buone scuole del paese, che la probabilità di venire ammessi senza aver frequentato una buona scuola erano basse se non inesistenti e infine ero sicuro che nessuno fosse mai stato ammesso solo grazie al saggio d’ammissione. Per la Columbia quelle cinque mila parole che chiedono di scrivere erano considerate solo come una formalità, un qualcosa in più per conoscere meglio lo studente e che mai nessuno era riuscito ad entrare grazie solo a quest’ultimo. -Kareem, hai intenzione di aiutare o vuoi passare il resto del pomeriggio rinchiuso nella tua stanza a fare il secchione?- chiese Jeff, entrando nella mia stanza senza bussare. -La prossimo volta bussa..- dissi, alzandomi e fulminandolo con lo sguardo. -Perché? Non c’è nessuna ragazza con te- replicò, roteai gli occhi al cielo e sospirai. 
-Ho sentito dire che hai una nuova amica e che è piuttosto….brutta- disse, mentre scendevo le scale insieme a lui. -Passare da Lucy a un brutto anatroccolo….opera di carità? Sovracompensazione?- chiese, lo fulminai di nuovo con lo sguardo e lui smise di parlare. 
-Roger ha invitato Lucy- disse, nell’intento di ferirmi o farmi incazzare. -Buon per lui- replicai, lui guardò Roger e quest’ultimo venne verso di noi. -Senti, so quali sono le regole, siamo amici e non dovrei nemmeno parlare con la tua ex ma…abbiamo quasi tutte le lezioni in comune e diciamocelo, lei è stupenda, intelligente e il suo sorriso sembra una chiamata in paradiso. In più non tornerete mai più insieme quindi…
-Roger, non mi interessa- dissi, con indifferenza dirigendomi verso la cucina. -Amico, non voglio che tu ce l’abbia con me perché mi faccio la tua ex ragazza.
-Non usare quel termine- replicai, lui mi guardò confuso. -Quale termine?
-Fartela…Non parlare di lei come se volessi solo fartela, non è il tipo da una botta è via- risposi, lui sembrava gongolare. -Dovresti smettere di difenderla, infondo non è più roba tua, ora è il mio turno come sarebbe dovuto essere fin dall’inizio- replicò, sospirai e presi una birra. -Non volevo dirlo per non sembrare uno stronzo ma non mi sono mai tirato indietro prima quindi perché iniziare ora- esordì, tutti i ragazzi ci stavano ascoltando nonostante fingessero il contrario. -La disgusti, l’hai sempre disgustata. Lucy è una ragazza di classe, esce con gente come me, gente che sa esattamente come comportarsi in luoghi pubblici. Non esce con ragazzini che si ubriacano e ballano nudi sul tavolo della cucina. Ha accettato di venire solo perché sapeva che ci sarei stato anche io- dissi, lui strinse i pugni furioso e prima che potesse fare un passo verso di me e per colpirmi Logan lo fermò. -Ragazzi, c’è una festa sta sera, la gente deve invidiarci quindi perché non fate pace e tornate a farvi le treccine a vicenda?- chiese Logan, sospirai e andai verso il giardino. Conoscevo Roger da tutta la vita, avevamo frequentato lo stesso liceo e lui era la mia ombra. Nella sua mente contorta gli avevo rubato Lucy quando eravamo al liceo. In realtà lei aveva deciso che mi avrebbe avuto prima ancora che la conoscessi, e da brava ragazza del Upper East Side quale era, aveva ottenuto ciò che desiderava. -Quindi chi è la ragazza di cui tutti parlano?- chiese Logan, raggiungendomi in giardino, accesi una sigaretta e ne aspirai il fumo tossico. -Non saprei rispondere alla domanda- risposi, lui inclinò il capo e mi guardò con sguardo accusatorio. -È la ragazza che hai fermato un paio di settimane fa, la matricola, quella che ti ha liquidato freddamente- risposi, lui mi guardò confuso. -La ragazza cipolla? Quella con dodici strati di vestiti addosso?- chiese, io annuì. -Ti piace quel Pokemon li?- chiese, facendomi ridere. -Abbiamo solo preso un caffè, chiacchierato, siamo amici credo- risposi, lui mi guardò di nuovo con sguardo accusatorio. -Tu non hai amici, hai me ma non hai altri amici. 
-Oh davvero?
-Da amico, devi sapere che non piaci alla gente- rispose, sorrisi e scrollai le spalle. -E la gente non piace a me- replicai, lui sorrise. -Quindi dimmi la verità, stai cercando di fartela? È la tua nuova sfida?
-Nuova?- chiesi, confuso. -La tua ultima sfida è stata quella di sedurre e far innamorare di te una ragazza perfetta, stare con lei per quasi sei anni e poi prendere la decisione di distruggerla psicologicamente senza nessuna ragione logica. Questa ragazza cipolla, questa ragazza perfettamente normale, è la tua nuova sfida?- chiese Logan, deglutì e scrollai le spalle. -È solo una ragazza…
-Ti hanno visto tutti con lei, hanno detto che ti divertivi, che sembravi diverso. Quindi non è solo una ragazza, perché se fosse solo una ragazza ora te la staresti scopando da qualche parte nel campus. Se fosse solo una ragazza non avresti preso un caffè con lei, se fosse solo una ragazza ora non staremmo parlando di lei.
-Mi spieghi qual è il problema? Che cosa vuoi che ti dica esattamente? Che questa ragazza mi piace? Perché non è così, non mi piace ma mi intriga. 
-Si, è esattamente ciò che volevo dicessi- replicò Logan, gettai il mozzicone a terra e lo pestai. -Succede raramente ma quando qualcosa o qualcuno ti ‘’intriga’’ tendi a dare del tuo peggio- disse, entrando in casa. -Da quando ti interessi alle ragazze con cui parlo?
-Da quando parli con le ragazze che ti vuoi portare a letto- replicò, scossi la testa e sospirai. 
Il modo in cui Logan mi vedeva mi incuriosiva, sapevo che tutti mi vedevano in quel modo. Che nonostante fossi stato con la stessa ragazza per sei anni ero comunque tossico, impenetrabile, un vero pezzo di merda. Avevo tradito Lucy così tante volte negli ultimi anni da meritarmi il titolo di pezzo di merda e le ragazze con cui l’avevo tradita in qualche modo finivano sempre per odiarmi per ciò che le avevo fatto. Avevo un rapporto disfunzionale con le donne, probabilmente dovuto alla mia incapacità di provare empatia o qualsiasi altro tipo di emozione o forse a causa della mia famiglia. Le persone mi vedevano in un certo modo, sapevano esattamente chi ero e non avevo mai pensato di smentirle perché avevano le loro ragioni. Non ricordo esattamente l’ultima volta che provai qualcosa, anche solo una leggera stretta al cuore nel vedere Lucy piangere, compassione per Logan quando parlava di sua madre o semplice affetto per la mia. Sentivo qualcosa solo in rare occasioni, nel leggere il racconto di quella ragazza per esempio. 
Per le undici la villa iniziò a riempirsi, ragazze e ragazzi di ogni età entravano in casa, andavano verso la cucina e ne uscivano con un bicchiere di birra. Rimasi al piano di sopra ad osservare la gente entrare e gradualmente ubriacarsi e magari fingere di divertirsi. Poi vidi lei.
 
Kasper
 

Tornai all’appartamento e fui sorpresa di trovare Rebecca e Carter in casa. Erano seduti sul divano e guardavano la tv, mi sedetti accanto a loro e dibattei con me stessa su che cosa raccontarli. Ero piuttosto sicura che raccontare di Kareem li avrebbe spaventati, avrebbero avuto paura che io potessi raccontare troppo e ferirmi. Come se fosse possibile.
D’altra parte però ero piuttosto curiosa di vedere che cosa sarebbe successo se fossi andata a quella festa, se per una volta avessi smesso di pensare e avessi semplicemente agito. Infondo desideravo sentirmi come tutti gli altri, avevo lavorato allungo per imparare a sentirmi come loro forse era il momento di testare ciò che avevo imparato su persone che non mi conoscevano per niente. -Mi hanno invitato ad una festa- borbottai, gli occhi di entrambi finirono su di me, sorpresi che qualcuno osasse parlarmi. -Ti hanno…tu?- chiese Rebecca. Come se l’idea che qualcuno potesse considerare l’idea di invitarmi da qualche parte fosse impossibile. -Non personalmente, ma si…è sta sera se vi va di andare- risposi, cercai di rimanere vaga e non farli capire che qualcuno in particolare mi aveva invitata. Avevo l’impressione che l’idea che io potessi sentirmi o comportarmi come gli altri li spaventasse. Forse li spaventava l’idea che la gente potesse venire a conoscenza del mio passato, forse temevano che la verità mi avrebbe potuta consumare. Avevano paura che gli altri mi vedessero per chi ero veramente e non li biasimavo, anche io avevo paura. Loro non conoscevano la mia verità, sapevano solo ciò che li avevo permesso di sapere, le piccole briciole di me con cui li avevo nutriti fino a quel punto. Nonostante fossero lontani da conoscere la verità l’idea che qualcuno mi vedesse come mi vedevano loro li terrorizzava. Mi chiedevo spesso che cosa sarebbe successo se avessi detto tutto, tralasciando alcun dettaglio. Se avessi raccontato ogni mia cicatrice, sarebbero comunque rimasti al mio fianco, mi avrebbero comunque guardata allo stesso modo?
-Perché no…- disse Rebecca, guardammo entrambe Carter in attesa di una risposta. -Una confraternita?- chiese, scrollai le spalle e sorrisi nella speranza che potesse decidere di venire con noi. -Sai che alle feste saresti circondata da un gruppo di persone, vero? Che la possibilità che qualcuno ti tocchi accidentalmente aumenti in un luogo così affollato?- disse Carter, sospirai e annuì. -Non vi lascerò andare da sole, questo è poco ma sicuro- disse, Rebecca lo abbracciò e mi afferrò per il braccio trascinandomi nella sua stanza. -Aiutami a scegliere che cosa mettere- disse Rebecca, la guardai aprire il suo armadio e tirare fuori i suoi vestiti succinti che fanno impazzire ogni ragazzo sulla faccia della terra. Esitai a chiederle un consiglio su che cosa mettere, non volevo farle credere di voler incontrare qualcuno a quella festa e non volevo cambiare il mio modo di vestire per conformarmi ad un gruppo ma volevo anche sentirmi normale. -Che ne dici di questo?- chiese mostrandomi un tubino nero piuttosto corto. 
-Mi sembra perfetto- dissi, lei mi lanciò un’occhiataccia. -Ti dispiace aiutarmi a scegliere che cosa mettere?- chiesi, lei sorrise e annuì. -Dovrei scegliere tra felpa nera e felpa nero scuro? Perché non segui il tuo istinto?- disse, sorrisi e scossi la testa. -Magari mi puoi prestare qualcosa- disse, il suo viso si illuminò e iniziò a frugare nel suo armadio, qualche secondo dopo estrasse un vestito in latex rosa fluo e mi sorrise. 
-Non ho nemmeno idea di come si faccia a metterlo- ribattei, lei roteò gli occhi al cielo e sospirò. -Borotalco e lubrificante- disse, mi misi a ridere e la portai nella mia stanza. 
La portai nella mia camera e la lasciai cercare qualcosa di adatto ad una festa. Prese una delle mie magliette degli AC/DC oversized e me la gettò addosso. -Potresti fare uno sforzo in più- replicai, lei mi lanciò un occhiataccia e sospirò. Mi passò dei pantaloncini e andò a prendere delle calze a rete e degli stivali alti fino alla coscia dalla sua stanza. -Quindi, per chi è che fai tutti questi sforzi?- chiese, mentre infilavo le calze a rete. -Nessuno- risposi. -Sei sicura?- chiese, mentre mi guardavo allo specchio cercando di capire se fosse una buona idea uscire vestita in quel modo. Mi sentivo esposta, il mio corpo era in bella vista e non ero abituata a vederlo. Le felpe e i maglioni di tre taglie più grandi tenevano nascosta da ogni tipo di sguardo. Vestirmi in quel modo, con vestiti della mia taglia, come una ragazza….era diverso. Carter bussò e qualche secondo dopo entrò in camera. -Se volete andare dobbiamo…- esordì prima che mi girassi a guardarlo. Mi diede una lunga occhiata, dalla testa ai piedi e viceversa. Per qualche ragione il suo viso si illuminò e pochi secondi dopo si spense, come se avesse trattenuto un sorriso. -Stai davvero bene vestita così, avevo dimenticato che avessi delle gambe- scherzò , sorrisi e ringraziai. -Come mai questo cambiamento?- chiese, scrollai le spalle e sistemai i stivali. -Solo per te, Carter- scherzai, lui sorrise e arrossì. 
 
Kareem
 
Avrei preferito essere altrove, qualsiasi altro posto era meglio di quello. Una stanza affollata, piena di persone di cui non mi importava nulla, ragazze pronte a buttarsi ai miei piedi e pettegolezzi sulla mia esistenza. Notavo la gente bisbigliare dalla balconata, parlavano di me e di chissà quale nuova storia fosse uscita fuori. Mi guardavano, poi bisbigliavano qualcosa alla persona più vicina e quest’ultima posava gli occhi su di me. Avevo smesso di frequentare quelle feste, solitamente mi chiudevo nella mia stanza o andavo dove nessuno aveva idea di chi fossi. C’era un magazzino abbandonato in un quartiere malfamato del Queens, nessuno conosceva il mio nome lì. Era il mio posto sicuro, piuttosto paradossale visto che la sicurezza era l’unica cosa di cui mi sarei dovuto preoccupare andando lì. C’era sempre una possibilità di rimanerci secco, anche solo per sbaglio ma era l’unico modo che conoscevo per provare qualcosa.
Non ci andai quella sera, aspettavo qualcuno. 
Mi ci volle fin troppo tempo per rendermi conto di chi fosse, solo quando alzò lo sguardo e incrociò il mio la riconobbi. Non indossava la solita felpa larga e i soliti jeans scuri, i suoi capelli non erano nascosti da un cappello e un cappuccio e i suoi occhi non erano mai stati così belli. Notai quanto fossero lunghe le sue gambe, pensai che il rossetto le stesse bene e apprezzai il leggero trucco che aveva messo. Il suo corpo era perfetto e non riuscivo a smettere di guardarla. Prima di quel attimo non avevo idea che i suoi capelli fossero corti e neri, si accordavano perfettamente con la sua pelle dorata. Si soffermò a guardarmi tanto quanto mi ero soffermato io, poi una ragazza la tirò per il braccio e svanì nella massa. Vidi il suo amico, quello che mi aveva preso a pugni, con lei.
Decisi che era il momento di scendere e partecipare al divertimento, quella fu la scusa che usai per illudermi di non essere sceso a causa sua. Andai verso la cucina per prendermi qualcosa da bere, la vidi insieme ai suoi amici vicino al bancone dove tenevamo i fusti di birra. -Sbaglio o quella è la ragazza cipolla?- chiese Logan, distogliendo il mio sguardo da lei. 
-Si chiama…- esordì prima di rendermi conto di non conoscere il suo vero nome. -Questo è il Kareem che conosco!- esultò all’idea che non conoscessi il suo nome. Come se facesse parte della mia personalità, come se fosse normale per me non dare importanza alle persone con cui parlavo tanto da non ricordare il loro nome. Persino lei aveva fatto un commento del genere quella mattina eppure non aveva idea di chi fossi ma in qualche modo anche lei lo sapeva. -L’hai invitata tu suppongo- aggiunse, annuì e presi una bottiglia di whiskey dal bar, misi un paio di cubetti di ghiaccio e versai due dita di whiskey. –È vestita in modo diverso…capisco perché tu voglia fartela ora- disse Logan, strinsi i pugni e sospirai. -La sua amica è davvero sexy!- esclamò. -Ho l’impressione di averla vista da qualche parte- aggiunse, smisi di ascoltarlo quando lei mi rivolse un’occhiata. Le feci cenno di andare verso il salotto e lei annuì, versai in un altro bicchiere del whiskey e andai verso il salotto. Mi misi vicino alla seconda uscita dalla cucina e aspettai. Vidi che i suoi amici erano dall’altra parte della stanza a ballare e fui sollevato all’idea di poter stare un po' solo con lei. Un paio di minuti dopo uscì dalla seconda porta della cucina con un bicchiere rosso tra le mani. -Hey- dissi. -Hey- disse, con un sorriso. Le tolsi il bicchiere di birra dalle mani e le porsi il whiskey. Lei lo annusò e sorrise. -Grazie- disse, annuì. -Sei venuta.
-Mi hai invitata.
-Non mi aspettavo venissi.
-Era solo un invito educato, quindi? Non volevi che venissi?
-No, sono felice di vederti qui, felice e piacevolmente sorpreso- replicai, lei sorrise e arrossì. 
-Non ti avevo riconosciuta all’inizio- aggiunsi, la misi in imbarazzo e la trovai particolarmente bella in quel momento. -Tutte le mie felpe erano a lavare quindi…
-Mi piace…fa molto anni novanta- replicai, lei sorrise. 
 
 Kasper
 
Aveva un buon profumo, delicato e attraente, muschio con una nota di agrumi e rosa. Indossava una camicia bianca, leggermente sbottonata e dei jeans strappati. Le luci soffuse in qualche modo accentuavano il suo sguardo, i suoi occhi castani brillavano. Nonostante la musica assordante, la sua voce era particolarmente rilassante. Il suo sorriso illuminava la stanza, la sua presenza era indescrivibile. Nel momento in cui misi piede in quella casa lui fu la prima persona che vidi, era come se i suoi occhi brillassero alla ricerca dei miei. Ci fu un lungo silenzioso attimo in cui lui vedeva me e io vedevo solo lui. Mi sentivo estremamente stupida a pensare cose come quella, non riuscivo a capire che cosa mi stesse succedendo e perché quello sconosciuto avesse così tanto potere su di me. Avevo la sensazione che lui sapesse esattamente come comportarsi con me, come se sapesse che non volevo che i miei amici lo vedessero perché temevo il loro giudizio. Come se mi avesse letto nel pensiero quando mi chiese di raggiungerlo dall’altra parte del salotto. Era il posto perfetto, abbastanza buio da non essere visti e abbastanza vicino alla pista da ballo per poter tenere d’occhio Carter e Rebecca. -Sei venuta con Rocky- disse, sorrisi e annuì. -Prometto che ti proteggerò da eventuali pugni inattesi d’ora in poi- dissi, lui rise e alzò il mignolo, sorrisi e incrociai il mio al suo. -Kareem!- esclamò una voce alle mie spalle, mi voltai e vidi il suo amico, quello che aveva portato a galla ricordi che avrei preferito tenere nascosti. -Non mi presenti la tua amica di sesso femminile?- chiese, avvolgendo il braccio attorno alle spalle di Kareem, lo fece con estrema difficoltà considerati i centimetri di differenza. -Nah, passo- rispose lui, il suo amico lo guardò e poi guardò me. Non mi infastidì come la prima volta che posò gli occhi su di me. 
-Logan, piacere di conoscerti- disse, porgendomi la mano e guardandomi in modo sospetto, guardò il suo amico mentre io gli stringevo la mano. -Joe- dissi, Logan fece l’occhiolino a Kareem e sparì tra la folla. -Particolarmente inquietante- dissi, Kareem sorrise e abbassò lo sguardo. -Cercava di…aiutarmi- disse, esitante, lo guardai confusa e lui buttò giù un goccio di whiskey. -Aiutarti?- chiesi. -Si è presentato per farti dire il tuo nome..
-È così che funzionano solitamente le presentazioni…- dissi, confusa. -Pensavo che non mi ricordassi il tuo nome, quindi è venuto qui per presentarsi e spingerti a dirmi il tuo. 
-Oh…giusto, tu non conoscevi il mio vero nome fino a poco fa- replicai, lui annuì e guardò verso la pista da ballo. -Quindi ti succede spesso?- chiesi, lui rivolse l’attenzione verso di me con sguardo interrogatorio. -Dimenticarti i nomi delle ragazze che inviti alle feste...ti succede spesso.
-Non così spesso..
-Abbastanza spesso da creare una dinamica nella quale il tuo migliore amico viene a salvarti il culo- replicai, lui rise e passò una mano tra i capelli. -Non è successo con te- replicò, sorrisi e sospirai. -Questo perché non ti ho detto il mio vero nome e il falso che ho usato era piuttosto difficile da dimenticare- dissi, lui si poggiò al muro e mi guardò. -Prima o poi avresti scoperto chi sono- disse, incuriosendomi. -Zac Efron?- chiesi, lui rise e scosse la testa. -Ho una pessima reputazione, il mio fascicolo è pieno di brutte testimonianze- disse. -Cerchi di usare il fascino del ragazzo cattivo per sedurmi? Perché non funziona- replicai, lui si morse il labbro inferiore e continuò a guardarmi. Probabilmente era solo una mia impressione ma mi guardava come se fossi l’unica persona in quella stanza. -Ho puntato una pistola contro la mia ultima ragazza, ho preso a pugni l’ultimo ragazzo che ha cercato di guardarla e…- esordì prima che Rebecca mi trascinasse verso la pista da ballo. Ballammo su una vecchia canzone di Beyoncé, lei sembrava felice di vedermi in quell’ambiente e io continuavo a pensare a lui e a ciò che mi aveva detto. Per qualche ragione non riuscivo a credere che avesse davvero puntato una pistola contro la sua ex ragazza. Avevo la sensazione che fosse solo rotto, come lo ero io, come lo era Carter. Avevo sviluppato una particolare attrazione per le persone come me, le persone che erano state spezzate, calpestate e rese più inclini ai problemi. 
 
Kareem
 
Quelle parole uscirono dalla mia bocca naturalmente, non ci pensai nemmeno per un secondo. Ciò che Logan aveva detto di me quel pomeriggio non smetteva di fare eco tra i miei pensieri. Volevo proteggere quella giovane ragazza indifesa, allontanarla da me nonostante avessi la sensazione di non esserne capace. Quelle parole uscirono dalla mia bocca per tenerla lontana, per spaventarla e farla scappare. Ma in qualche modo una parte di me sperava non mi credesse o che fosse abbastanza stupida da restare. La osservavo perché ero fisicamente incapace di staccarle gli occhi di dosso, ballava con l’amica poco vestita e sembrava non voler essere lì. Si muoveva con attenzione, sembrava stesse calcolando ogni sua mossa, come se prima di muoversi a destra o a sinistra ci pensasse per bene. Distolsi lo sguardo da lei e incrociai quello del suo amico dal pugno facile. Mi guardava come se volesse davvero farmi male e da amante delle sfide quale ero sostenni il suo sguardo. Una parte di me moriva dalla voglia di prenderlo a pugni e l’altra continuava a pensare che una cosa del genere avrebbe spinto Kasper a scappare, per davvero. Abbassai lo sguardo e osservai il mio bicchiere e quando lo rialzai vidi Logan ballare in modo troppo spinto con l’amica di Kasper, nessuna delle due sembrava apprezzare le capacità di Logan e notai disagio. Mi infilai nella pista da ballo nonostante odiassi quel contatto umano e posai la mano sulla spalla di Logan. Non feci in tempo di parlarli che l’amico dal pugno facile lo aveva già steso a terra. Guardai Kasper e poi il suo amico, mi misi in mezzo per evitare una rissa così vicino a lei e nel momento in cui guardai lei per vedere come stesse il suo amico mi colpì diritto in faccia. Feci qualche passo indietro e poi non ci vidi più. In un attimo non mi importava minimamente di chi si trovasse attorno a me o di chi avrei potuto ferire. Colpì il ragazzo una volta allo stomaco e una al volto, lui indietreggiò e poi corse verso di me placcandomi a terra. Riuscì a colpirmi una decina di volte prima che riuscissi a ribaltare la situazione e trovarmi io sopra di lui. Lo colpì fino a che le mie nocche non furono ricoperte del suo sangue, fino a quando non sentì la sua voce. Mi fermai e la guardai. -Te l’avevo detto- dissi, con un sorriso, lei mi guardò per un attimo che sembrò un eternità e poi si precipitò per aiutare l’amico. Il suo amico sembrava non avere ancora perso i sensi ma era piuttosto stordito. Mi feci spazio tra la folla e andai verso le scale per chiudermi nella mia stanza. Rimasi seduto davanti allo specchio per mezz’ora. C’era qualcosa di estremamente soddisfacente nel vedere quel sangue colare dalle mie nocche, di provare quell’adrenalina mista a rabbia insensata. Mi facevano sentire vivo. Lei mi aveva fatto sentire vivo ma mi erano bastati tre giorni di normalità per trovare una ragione per buttare tutto all’aria. Non era fatta per me, fingere di essere il bravo ragazzo, quello simpatico e gentile che ti fa complimenti e ti guarda come se fossi l’unica presente. Non era fatta per me la normalità.
 
 
 
 
 
 
 
 
Kasper
 
-Devo vedere come sta- dissi, dopo aver infilato Carter nell’auto. -Lo vedi come sta! Quel tizio gli ha spaccato la faccia!- esclamò Rebecca, con lacrime che le scivolavano lungo il viso. 
-Kareem, devo vedere come sta Kareem- dissi, lei mi guardò confusa e arrabbiata. -Chi?- chiese, deglutì. -L’altro ragazzo.
-Vuoi vedere come sta il ragazzo che ha ridotto il nostro migliore amico ad uno straccio?- chiese, stringendo i pugni e guardandomi con estrema delusione. -No devo vedere come sta il ragazzo che Carter ha preso a pugni senza ragione!- esclamai, lei chiuse la portiera dell’auto, andò alla guida e lanciandomi un’occhiataccia sgommò via dalla confraternita.
Sapevo di non doverlo fare, sapevo che avrei dovuto essere arrabbiata con Kareem per ciò che aveva fatto Carter, lo sapevo. Ma non mi importava, in quel momento volevo solo vedere come stesse Kareem, non mi importava quanto fosse sbagliato. Non pensai alle conseguenze, a che cosa sarebbe potuto succedere. Per quanto ne sapevo avrebbe potuto fare del male anche a me o spaventarmi al punto da spingermi a farmi del male. Non sopportavo la violenza, tutto quel sangue era capace di riportarmi indietro nel tempo, dove non volevo essere. Ma non mi importava.
Guardai la villa da fuori e sospirai, l’ultima cosa che mi aspettavo di vedere a quella festa era una rissa. Gli avevo promesso che non sarebbe più successo e nemmeno dieci minuti dopo erano di nuovo l’uno con le nocche dell’altro sul viso. Entrai nella villa e notai come a nessuno importasse l’accaduto, continuarono a ballare come se non fosse successo niente. Andai verso le scale e un ragazzo mi fermò. -Non puoi salire da sola, devi essere accompagnata dal proprietario di una stanza, tesoro- disse, roteai gli occhi al cielo e corsi su per le scale. C’erano un mucchio di porte ma grazie a delle gocce di sangue trovai immediatamente quella giusta. Bussai e aspettai. Quando venne ad aprire notai che non aveva nemmeno cercato di ripulire il sangue. Era passata quasi mezz’ora e lui era ancora ricoperto di sangue, non si era nemmeno cambiato. -Cosa ci fai ancora qui?
-Pensavo avessi bisogno di una mano- risposi, lui rise e notai il sangue sui suoi denti. -Credo che il tuo amico sia messo peggio di me- replicò, mi feci strada nella sua stanza e lui non oppose resistenza. Mi guardai attorno e notai quanto pulita e in ordine fosse, aveva una libreria che ricopriva tutta una parete ed era piena di libri. Ero sorpresa che uno come lui leggesse così tanto. -Dove tenete la cassetta del pronto soccorso?- chiesi, lui si sedette sul letto e non disse nulla. Andai a cercare in bagno e dopo qualche minuto tornai nella sua stanza. -Trovata, grazie del silenzioso contributo- replicai, trascinai la sedia accanto al letto e bagnai del cotone con del disinfettante. Mi sedetti un istante e mi fermai a guardarlo, apprezzavo quanto il suo viso potesse essere perfetto nonostante le ammaccature. Il suo profumo era delicato e ricopriva tutta la stanza, le sue mani erano calde e morbide, i suoi occhi continuavano a brillare e io continuavo a chiedermi che cosa mi stesse succedendo. 
Presi delicatamente la sua mano destra e tamponai le ferite. Aveva piccoli tagli sulle nocche ma tutto il sangue sembrava provenire da Carter. -Mi dispiace- dissi, lui alzò lo sguardo sorpreso. -Ti avevo promesso che non sarebbe successo di nuovo…
-Io prendo a pugni il tuo amico e tu ti scusi con me?- chiese, annuì. -Ha iniziato lui…ho visto cosa cercavi di fare- risposi, lui abbozzò un sorriso che cercò di nascondere.
 
Kareem
 

Respiravo il suo profumo e non c’era nulla di più inebriante. Tamponava delicatamente le mie ferite, soffiava su di esse per calmare il dolore e sembrava estremamente concentrata. Le sue mani erano morbide e piccole in confronto alle mie. Riusciva a guardarmi negli occhi nonostante fossi ridotto male, nonostante il sangue e le ferite. Persino quando mi vide non notai nemmeno un po' di disgusto nel guardarmi. -Dovresti essere con i tuoi amici- dissi, lei scosse la testa. -Carter sta tornando a casa con Rebecca, c’è già qualcuno che si prende cura di lui. Tu sei solo- disse, nel modo più innocente e umano possibile. -Vedo che non sei disgustata dal sangue- dissi, mentre si avvicinava con estrema delicatezza al mio viso. -Ho visto di peggio- disse, si soffermò a guardarmi negli occhi quando assunsi un’espressione confusa. -Con un amico come Carter non immagino quante altre volte ti sia ritrovata a ricucirlo.
-Non mi riferivo a lui- replicò lei. Finì di medicarmi e si alzò per curiosare in giro. Andò verso la libreria e passò le dita sui libri respirando l’odore della carta che proveniva da lì. -Li hai letti tutti?- chiese, mentre andavo verso il mio armadio. Presi una t-shirt nera e sfilai quella che portavo, lei si girò in quel esatto momento e il suo volto divenne rosso. Sorrisi nel vederla imbarazzata. -Quasi, alcuni li ho letti un paio di volte e altri per ora sono riuscito solo a sfogliarli- dissi, notai che era rimasta immobile per qualche secondo. -Sono ordinati per paese, interessante- disse, fermandosi nella sezione russa. -Guerra e Pace, l’hai letto?- chiese, prendendo con attenzione il libro dallo scaffale. -Quasi, ho particolare difficoltà con la letteratura russa. Il loro simbolismo è più complicato di quanto pensassi.
-Gira tutto attorno alla verità alla quale l’uomo aspira ma non riesce ad arrivare a causa del suo materialismo. E visto il posto in cui vivi suppongo che sia questa la ragione principale per la quale i russi sono complicati per te- disse, sorrisi sorpreso di scoprire quanto acuta potesse essere. -Hai letto i russi suppongo- replicai, lei sorrise e annuì. -Ho letto Guerra e Pace a dieci anni- disse, mi sedetti sul letto e la osservai. -Questa è la prima domanda a cui non rispondi ‘’non lo so’’ o ‘’è complicato’’- replicai, lei sorrise. -Dieci anni, notevole. L’ho finito la prima volta a quindici quindi mi hai battuto.
-Pensavo non l’avessi letto.
-Oh no, l’ho letto e finito un paio di volte ma non posso dire di averlo davvero letto fino a quando non avrò capito ogni singola figura retorica che utilizza Tolstoj- dissi, lei sorrise e annuì. -A dieci anni giocavo alla playstation nella mia stanza al buio mentre tu leggevi Tolstoj…
-Avevo molto tempo libero- disse, con un sorriso vagamente malinconico. Si avvicinò alla mia scrivania e notò il saggio d’ammissione. Ero piuttosto curioso di vedere la sua reazione, probabilmente non le sarebbe piaciuta l’idea che qualcuno avesse pieno accesso ai suoi ricordi più oscuri. Avrei capito immediatamente se fosse o meno lei l’autrice del racconto. -Come lo hai avuto?- chiese, sul volto aveva un espressione spaventata. -L’hai rubato dall’archivio scolastico?- dissi, lei sfogliò le pagine e notò le note che avevo messo. -L’hai annotato? 
-Si ci sto lavorando.
-Trovi normale lavorare su qualcosa di così intimo e personale? La persona che l’ha scritto non avevo idea che qualcuno…
-È tuo non è vero?- chiesi, lei deglutì e scosse la testa. -No, io….non vorrei che qualcuno leggesse anche il mio saggio d’ammissione.
-Come sai che quello è un saggio d’ammissione?- chiesi, lei sembrava confusa e frustrata. 
-Io…l’ho supposto- disse, insicura di ciò che diceva. Era confusa, arrabbiata e probabilmente si sentiva estremamente violata da me. -Lo sapevi?
-Cosa?
-Sapevi che ero stata io a scriverlo?- chiese, mi sedetti e la guardai. -Non ne avevo idea- risposi.
 
Kasper
 
La paura durò meno di quanto pensassi, ebbi un attacco di panico e rimasi seduta in un angolo nella stanza di uno sconosciuto ma durò solo qualche minuto. Lui era in ginocchio davanti a me e mi guardava come se non ci fosse niente di sbagliato in me. Aveva avuto accesso ad una parte di me che non avevo deciso di condividere con lui, aveva letto qualcosa di estremamente personale che avrebbe fatto cambiare idea su di me a molte persone. Ma mi guardava allo stesso modo, niente era cambiato e quella era la ragione per la quale il mio attacco di panico durò solo qualche minuto. Rimanemmo seduti su quel pavimento per ore a parlare.
Non fece domande, non mi chiese niente di ciò che aveva letto e sembrava tutto così normale. Iniziai a chiedermi se fosse il momento di essere me stessa e mostrarmi per chi ero veramente, se fosse il momento di indossare le mie cicatrici come una bandiera. Forse tutti avrebbero reagito come lui o forse lui era un caso a parte. Forse mi preoccupavo troppo di come mi vedevano gli altri o forse lui era diverso. 
-È strano- dissi, interrompendolo. -Cosa?
-Che tu non abbia alcuna domanda, che non cerchi di farmi parlare o che non cerchi di dirmi che non è stata colpa mia. Nessuno osa mai chiedere, la gente quando scopre chi sono davvero si limita a guardarmi e trattarmi come un bicchiere di cristallo scheggiato. Ho l’anima in pace, il mio passato è passato e ricordare è inevitabile per me quindi nessuna domanda tu decida di fare rischierà di ferirmi - dissi, lui sorrise e abbassò lo sguardo. -Vuoi che ti faccia qualche domanda?
-Non lo so, hai qualche domanda da farmi?- chiesi. -Hai il simbolo di un cerchio sul polso destro- disse, fissando il pavimento, mi guardai il polso e trattenni il respiro per un secondo. –‘’Lui è riuscito a marchiare l’oscurità dentro di me, per sempre’’- disse, citando una delle frasi del saggio. -È una cicatrice, a forma di luna piena che rappresenta l’oscurità. Lui ha letteralmente marchiato l’oscurità dentro di te- disse, annuì sorpresa che fosse riuscito a notarlo. -Ho solo una domanda- disse, guardandomi negli occhi. -Che cosa gli è successo?- chiese, deglutì e annuì. -È morto- risposi, fredda e distaccata. Tralasciai i dettagli legati alla sua morte, se il mio passato non l’aveva spaventato fino a quel momento, la verità sulla sua morte avrebbe sicuramente cambiato le cose. 
Lui aveva passato due settimane a studiare la mia storia, mettere note e studiarne la struttura. Parlava di me come se fossi la migliore scrittrice al mondo, usava la parola ‘’racconto’’ per riferirsi al mio saggio d’ammissione. Pensavo che un giorno avrei trovato il coraggio di raccontare a qualcuno la mia storia, che avrei amato qualcuno e che avrei deciso di condividere quella parte della mia vita con lui. L’avevo fatto, inconsciamente avevo raccontato la mia storia a qualcuno di cui, per qualche strana ragione, mi fidavo. Avevo ottenuto la reazione che speravo, nessuna. Nessun cambiamento, ero ancora la stessa persona per lui. Avevamo passato la notte a parlare, ore e ore a discutere di tutto e di niente seduti sul pavimento della sua stanza. 
Mi riportò a casa e nel momento in cui scesi dalla sua auto la magia che ci aveva invasi svanì. Tornai alla realtà dove l’idea che qualcuno scoprisse la verità su di me spaventava i miei amici a morte. Dove nascondermi e mescolarmi era vitale per la mia sopravvivenza, dove l’unica cosa bella che mi era mai successa doveva rimanere un segreto perché la paura che loro due la distruggano era troppo forte. Quindi mi limitai ad entrare in casa, bussare alla porta di Carter e chiedere scusa. Scusarmi per non essere rimasta al suo fianco, per non averlo aiutato e scusarmi per aver fatto ciò che mi aveva sempre pregato di non fare : lasciare qualcuno entrare nella mia vita. Lui mi perdonò e io provai una tale rabbia per essermi scusata e aver permesso ad entrambi di avere così tanto controllo su di me e sulla persona che ero diventata.
Volevo essere normale ma prima o poi nascondere la vera me mi avrebbe uccisa.
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Kasper
 
Gli incubi erano frequenti, una scena diversa della mia vita ogni notte. Era un’abitudine, qualcosa che era ormai incapace di farmi soffrire e nonostante le lacrime non provavo nulla. Ma quella notte avevo visto lei e le cose erano diverse. Non mi svegliai solo in lacrime, ero anche sudata, non riuscivo a respirare e avevo graffi su tutto il corpo, autoinflitti ovviamente.
Eravamo solo cinque in quello sgabuzzino, io ero stata la prima ad arrivare e per molto tempo ero stata anche l’unica. Poi ci fu Rosalie, dieci anni, Carmen, dodici anni, Laura, sedici anni e infine, Hope cinque anni. Avevamo tutte questo istinto protettivo verso Hope, io più delle altre visto che ero arrivata quando avevo la sua età. Temevo finisse come me e avrei fatto di tuttp per salvarla e darle la vita che meritava, sapevo che per me non c’era più speranza ma c’era lei. Lo vidi come un segno, come se l’universo cercasse di dirmi che era il momento di fare qualcosa. Avevo messo in atto un piano ma si era ritorto contro di me, contro di noi. Non ci faceva mai del male davanti alle altre, era il suo momento privato con noi e non voleva condividerlo ma quella notte era arrabbiato. Si sentiva tradito da me e voleva farmela pagare. Ci marchiò, eravamo di sua proprietà da quel momento in poi.
Infine prese Hope e entrò dentro di lei mentre noi sedevamo legate l’una all’altra a guardare la scena, non potevamo girarci, non potevamo chiudere gli occhi o lui avrebbe fatto solo di peggio. Le sue grida sarebbero rimaste stampate nella mia memoria fino alla fine dei miei giorni. Morì qualche giorno dopo, tra le mie braccia, a causa mia.
Mi ero tatuata il suo nome nel secondo in cui avevo avuto la mia libertà, era un modo per ricordarla, per farla vivere attraverso me. 
Mi svegliai presto come al solito, preparai il caffè per tutti, indossai i soliti vestiti monotoni e uscì per andare a lezione. Nonostante tutto fosse estremamente simile a prima sentivo un’aria di cambiamento. Riuscivo a percepire il qualcosa di diverso e forse era dovuto principalmente alla presenza di Kareem. In due mesi era riuscito ad infiltrarsi nella mia vita, come un ladro. Avevo dimenticato di chiudere la porta e lui era sgusciato dentro senza chiedere il permesso a nessuno. La cosa non mi dispiaceva affatto, avere qualcuno con cui parlare di tutto senza sentirsi lontanamente giudicata o compatita era piacevole. C’era qualcuno di nuovo nella mia vita, qualcuno che era riuscito a vedere la persona che si nascondeva dietro a quelle grosse felpe. Con lui potevo parlare del mio passato anche se non lo facevo mai, avevo la possibilità di farlo, avevo una scelta. 
Ci vedevamo principalmente in biblioteca, in un reparto che nessuno visitava e abbastanza lontano dall’area studio da non disturbare nessuno. Era tranquillo lì, lui mi raccontava la sua giornata e io li raccontavo la mia e solitamente finivamo per dibattere su un autore qualunque o sull’ultimo film uscito al cinema. Era piacevole, solo io e lui e nessun’altro. Era venuto a conoscenza della mia avversione per i luoghi affollati quindi non frequentavamo spesso feste o locali. I suoi amici non erano a conoscenza del nostro rapporto e a me andava benissimo soprattutto dopo aver ricevuto sguardi ambigui da metà della popolazione femminile del campus. Stavamo bene così, due ore al giorno riuscivano a purificarci dal mondo esterno. Era il genere di amicizia che non avrei mai pensato di avere. 
 

Kareem
 
Era un giorno come un altro. Mi svegliai con una ragazza nuda avvolta dalle mie lenzuola, un mal di testa atroce e un vago e lontano senso di colpa. Era la prima volta che mi sentivo in colpa per aver fatto sesso, era già qualcosa. Ogni mattina provavo la sensazione di aver tradito qualcuno e mi ritrovavo sotto la doccia a fare una lista di ragioni per le quali non avevo commesso alcun reato. Ero single, giovane e le ragazze erano sempre molto consenzienti. Ma ogni mattina sentivo di dovermi scusare con qualcuno per qualcosa. Sapevo esattamente per quale ragione mi sentivo così ma ero piuttosto deciso ad ignorare la cosa.
Le cose erano insolitamente diverse e ne ero piuttosto soddisfatto. Avevo qualcuno che non mi conoscesse, che non associasse una lunga lista di difetti al mio nome, qualcuno a cui avrei potuto mostrare una parte di me che non pensavo nemmeno di avere. L’idea era quella di di capire se tutte le cose orribili che avevo fatto alle persone nella mia lunga e tempestosa vita fossero dovute alle aspettative che quest’ultime avevano o se fossi davvero io il problema. 
In più la compagnia giornaliera di Kasper era più che piacevole. Il fatto che non conoscesse me, il mio passato, la mia famiglia e tutto il peso che comportavano riusciva a rilassarmi. Non dovevo fare attenzione alla mia reputazione e alla mia immagine con lei. Non che in passato avessero avuto importanza ma era una cosa in meno per la quale sentirsi in colpa. Lei non si sentiva in dovere di essere d’accordo con ogni mio pensiero, idea o opinione perché lei non conosceva il cognome di mio padre o quello di mia madre. Per lei non facevo parte dell’elite studentesca della Columbia, non era a conoscenza di ogni mia svista e prima di conoscermi non si era già fatta un’opinione sul mio conto. Per lei ero solo Kareem e non c’era niente di più piacevole. 
Avevamo programmato i nostri incontri secondo i nostri orari nel luogo più privato e lontano dal mio mondo che conoscessi. Avrei fatto di tutto per tenerla lontana dal vero me e dal mondo in cui ero stato cresciuto, aveva attraversato l’inferno e avrei fatto di tutto per proteggerla dal mio inferno. Certo, sapevo che prima o poi la verità sarebbe uscita fuori e che lei si sarebbe resa conto che le persone come me non erano abbastanza per qualcuno come lei ed ero pronto a vederla uscire dalla mia vita. Ma probabilmente avrei buttato all’aria le cose ancora prima che possa scoprire chi sono davvero. 
Andai a prendere mia sorella e a portarla a scuola, era una di quelle cose che facevo per assicurarmi che lei stesse bene senza mostrarle la mia preoccupazione. A lei non piacevo, non le ero mai piaciuto, come tutti dava la colpa a me e io non la biasimavo. Era troppo giovane per aver visto ciò che aveva visto, era troppo giovane per lasciarselo alle spalle, nemmeno io ci riuscivo. Non mi parlava mai, rimaneva in silenzio fino al nostro arrivo quando mi salutava e se ne andava. Avevo l’impressione di aver perso anche lei, avevo un talento nel far scappare tutti. 
 
Kasper
 
Ero in anticipo, avevo preso del caffè e delle donuts anche se non avevo venti dollari da spendere. Ero seduta al solito posto e cercavo proposte di lavoro su internet mentre sorseggiavo caffè nero senza zucchero. -Hey, scusa il ritardo ma sono passato a…- disse Kareem, apparendo da dietro la zona di mitologia. -Il caffè…si sono passata a prenderlo anche io- dissi, lui sorrise. -Ho preso delle donuts- disse, mentre io li mostravo la scatola accanto a me. -Bene…ho preso caffè freddo però- disse, sorrisi e presi la roba dalle sue mani mentre cercava di sedersi accanto a me. -Sei l’unico capace di bere caffè freddo con questo tempo- replicai, lui scosse la testa. -Fuori fa freddo, qui siamo al caldo quindi anche tu puoi bere caffè freddo- disse, mentre mi porgeva il bicchiere. -È alla nocciola- disse, sorrisi e glielo presi dalle mani. -Tanto non avevo alcuna intenzione di dormire sta notte- dissi, sorseggiando il caffè che mi aveva portato. -Perché quali sono i tuoi programmi per sta notte?
-Girare per i quartieri di New York alla ricerca di un lavoro- risposi, lui annuì e sorseggiò il caffè che li avevo preso mentre cercava una donuts alla fragola nel sacchetto. -Credi sia una buona idea? New York non è famosa per la sua sicurezza, specie quando sei di sesso femminile e sei particolarmente attraente.
-Se vuoi dirmi che sono una bomba sexy, non girarci troppo attorno- dissi, lui rise e scosse la testa. -Probabilmente tu non avrai problemi...- aggiunse facendomi ridere. -Posso accompagnarti se vuoi.
-La regola è di non vedersi al di fuori del luogo sicuro, Kareem..
-Posso fare un’eccezione se ne va della tua sicurezza- replicò, sorrisi e abbassai lo sguardo. 
-Sono una donna di città, posso cavarmela da sola- risposi, lui non insistette. -In più è venerdì sera, non ho alcuna intenzione di rovinare i tuoi piani- aggiunsi, lui scosse la testa e mi guardò. -Non avevo piani.
-Un uomo di mondo come te non ha piani per il venerdì sera? Non ti vedrai con la tua nuova conquista?- chiesi, notai immediatamente la sua espressione cambiare e mi misi a ridere. Nel momento in cui l’avevo visto avevo notato una traccia di rossetto sul maglione e un vago rossore sulla guancia, in più aveva profumo da donna. -Non sarai mica gelosa, Kasper…
-Nah, volevo sapere da dove ha comprato il rossetto la tua amica- replicai, lui sorrise e notò la traccia sul maglione. -Okey mi hai beccato.
-Come si chiama? Hai bisogno di consigli sulle donne da me? Vuoi sapere come dovresti comportarti durante quel periodo del mese?- chiesi, Kareem sorrise e scosse la testa. -Spero tu l’abbia trattata come si deve.
-È solo…
-Una botta e via? Dai, racconta!- esclamai. Ero sinceramente curiosa anche se una parte di me provava un leggero prurito chiamato invidia o gelosia, credo…
-Non parlerò della mia vita ses…sentimentale con te- disse, correggendosi e facendomi scoppiare a ridere. Guardai l’ora e iniziai a mettere via le mie cose. -Mi dispiace ma devo andare- dissi, lui si alzò con me. -Tutto bene?
-Si, certo ma se voglio andare in giro a cercare un lavoro mi conviene andare prima dell’apertura serale in caso propongano un giorno di prova- dissi, lui mi porse il caffè e annuì. -Sicura di non avere bisogno di me?
-Sicura, se succede qualcosa infrangerò la regola- dissi, lui annuì e mi aiutò a mettere la giacca, avvolse la sciarpa attorno al mio collo e mi sorrise. -Fa attenzione- disse, mentre andavo verso l’uscita. -Infrangi la regola, Kasper- disse, prima che sparissi dietro gli scaffali. 
 
Kareem
 
Rimasi seduto in biblioteca a leggere la biografia di un vecchio giornalista britannico mentre sorseggiavo caffè e mangiavo nervosamente le donuts che Kasper aveva preso. Non riuscivo a smettere di pensare a lei, temevo che potesse succederle qualcosa e che qualcuno potesse farle del male. Non riuscivo a smettere di pensare al fatto che l’aveva chiamata ‘’regola’’, come se le avessi fatto capire intenzionalmente che non ci saremmo mai visti al di fuori di quel reparto in quell’immensa biblioteca. L’ultima cosa che volevo era che lei sentisse che mi vergognavo di lei, perché non era così. Presi il telefono e chiamai Bill.
L’avevo conosciuto durante una solitaria serata per bar in città e da quel giorno frequentavo spesso il suo bar. Ricordo che la sera in cui l’avevo incontrato tornavo da una cena con la mia famiglia e avevo solo voglia di ubriacarmi fino a zittire le voci nella mia testa. Lui era stato davvero d’aiuto, mi aveva chiesto se mi piacesse la musica e li avevo detto che mi piaceva dilettarmi alla chitarra. Mi aiutò a perfezionare la mia tecnica alla chitarra, a comporre e a scrivere e da quella sera suono nel suo locale occasionalmente. -Dimmi che cerchi ancora qualcuno per aiutarti nel pub- dissi, nel momento in cui rispose al telefono. -Ciao anche a te figliolo, è da tanto che non ti si sente, stai bene? Come va la scuola? Io sto bene e si, mi sei mancato anche tu.
-Allora? Cerchi ancora qualcuno?
-Si ma se hai intenzione di portarmi uno dei tuoi amici della confraternita perché suo padre ha deciso di tagliarli i fondi…per favore evita.
-Ci vediamo più tardi allora. Ciao Bill, mi sei mancato- dissi, prima di riattaccare. Presi la mia roba, infilai la giacca e corsi verso la mia auto. Guardai l’orario dell’autobus per andare in città e vidi che sarei riuscito ad intercettare Kasper alla fermata. La trovai seduta sulla panchina, completamente assorbita dalla sua giacca e dalla sua sciarpa e nonostante gli strati sembrava stesse ancora tremando. -Sali!- dissi, fermandomi davanti a lei dopo aver abbassato il finestrino. -Che cosa ci fai qui?- chiese lei, avvicinandosi all’auto. Dallo specchietto vidi l’autobus avvicinarsi. -Sali, l’autobus sta arrivando- dissi, lei sembrava confusa. -Kasper, dai, fa freddo!- esclamai, dopo un lungo istante di esitazione entrò in macchina. -Per qualche strana ragione ti immaginavo esattamente con questo genere di auto, lussuosa ma mascolina- disse, osservando la mia Jeep. -Non ti ho chiamato- disse, accesi l’aria condizionata e avvicinai le sue mani al riscaldamento. -Ti voglio portare in un posto- dissi, lei si tolse la sciarpa e sbucò fuori dal suo guscio. -Dovrei preoccuparmi?- chiese, scossi la testa e mi concentrai sulla guida. Lei poggiò la testa contro il finestrino e osservò la città passarle davanti agli occhi. Sembrava immersa nell’immagine di New York ad alta velocità. -Non dovresti fidarti di me- dissi, lei si voltò e mi sorrise. -Chi ha detto che mi fido di te?
-Sei salita spontaneamente nella mia auto, potrei…farti del male- risposi, lei scosse la testa e scrollò le spalle. -Chi ti dice che non sia esattamente questa la ragione per la quale sono salita?- chiese lei, prima di tornare ad guardare fuori dal finestrino. Mentre eravamo bloccati nel traffico Kasper accese la radio e cercò una stazione che le piacesse. Passò quasi cinque minuti a fare il giro di tutte le stazioni senza trovare quella che più l’aggradava. Le passai il cavo AUX e lei inserì il suo telefono. Scelse una canzone di Lana Del Rey che non avevo mai sentito prima e poi mise l’ultimo album di Eminem e ci ritrovammo a cantare le sue canzoni nel bel mezzo del traffico. Dopo una lunga mezz’ora arrivammo nel centro città, poco lontani da Time Square. -Che cosa ci facciamo in città?- chiese, mentre la trascinavo verso il bar del mio amico Bill. -In macchina e a quest’ora la strada sembra più lunga ma in realtà ci metteresti una decina di minuti in autobus, con la linea dodici- dissi, lei mi guardò confusa. -Che ne sai tu di linee di autobus? Guidi una macchina che costa più della mia intera esistenza- replicò lei, sorrisi e scrollai le spalle. Entrai nel bar e la spinsi a seguirmi. 
 
Kasper
 
Mi trascinò in questo bar in Midtown, all’incrocio tra Time Square Street e 7th Avenue. Inizialmente l’idea di andare per bar con lui non mi entusiasmava, non ero molto brava con le persone e non provavo nemmeno ad esserlo. Non volevo conoscere i suoi amici perché probabilmente mi avrebbero odiata e io avrei odiato loro. Probabilmente passare il tempo in biblioteca non era più di suo gradimento e per sopportarmi aveva bisogno d’alcol e ciò significava che presto sarebbe uscito dalla mia vita per noia. La noia era una delle ragioni che non avevo considerato quando avevo analizzato le possibili cause della fine del nostro rapporto puramente platonico. Il bar era molto retro, c’era un jukebox infondo alla stanza, un lungo bancone e un bar ben fornito. Era tutto in legno e decorato con vecchi poster di star famose tra gli anni cinquanta e gli anni novanta, odorava di cannella e birra ed era vuoto. L’uomo dietro al bancone asciugava i bicchieri quando entrammo e per mia sorpresa si alzò per salutare Kareem che lasciò la mia mano nel momento in cui lui si voltò per guardarci. 
-Guarda chi si rivede!- esclamò l’uomo, stringendo Kareem in un caloroso abbraccio. Il proprietario sembrava avere attorno ai quarant’anni, era di bell’aspetto, aveva grandi occhi blu e un sorriso caloroso. Indossava un paio di jeans e una camicia di flanella il che mi fece sorridere. -Quand’è stata l’ultima volta che ti sei fatto vedere?- chiese l’uomo, stringendo ancora Kareem per le spalle. -Dev’essere passato tanto tempo perché sei davvero invecchiato, amico - disse Kareem, l’uomo si mise a ridere e poi mi rivolse un’occhiata. -Hai portato qualcuno- disse, senza togliere gli occhi da me. -Ho portato qualcuno.
-Non porti mai nessuno- aggiunse l’uomo, rivolgendo un’occhiata a Kareem. -C’è una prima volta per tutto- replicò Kareem, l’uomo mi guardò ancora una volta e io feci del mio meglio per non sentirmi a disagio. -Come ti chiami, ragazzina?- chiese l’uomo, sospirai sollevata di sentire qualcosa vagamente rivolto a me. -Kasper, si chiama…Kasper. Cioè, in realtà si chiama Joe ma io la chiamo Kasper il che non so nemmeno se a lei piaccia ma la chiamo così ma non significa che tu debba chiamarla...- disse Kareem, battendomi sul tempo. Lo guardai confusa e divertita dal suo lungo stupido e inutile monologo sul mio nome. Continuava a muovere la gamba e sembrava che li stessero sudando le mani. -Sei nervoso?- chiesi, rivolgendoli uno sguardo accusatorio. -Credo sia nervoso- rispose l’uomo, sorridendo. -Perché sei nervoso?
-Si, figliolo, perché sei nervoso?- chiese l’uomo, cogliendomi di sorpresa. -Oh…devo andare- dissi. L’idea che Kareem mi stesse presentando il padre comportava troppo stress e un peso che non volevo avere. Che cosa voleva dire esattamente? Che ero la sua ragazza? Pensavo fossimo solo amici? Perché mi presenterebbe suo padre?
Prima che potessi raggiungere la porta Kareem mi afferrò per i fianchi e mi prese di peso trascinandomi esattamente dove mi trovavo pochi secondi prima. -Ora sei tu quella nervosa- disse lui, notando il modo in cui giocavo con l’anello. -Non è mio padre- disse Kareem, guardandomi. -Ma ho apprezzato la tua imminente paura che potesse essere mio padre- aggiunse, sorrisi e abbassai lo sguardo. -Okey, io ancora non ho capito il tuo nome ragazzina- disse l’uomo, sorrisi e li porsi la mano. -Joe, piacere di conoscerla- risposi, lui sorrise e mi strinse la mano. -Bill, e il piacere è tutto mio- disse. -Venite, sedetevi- disse Bill. Ci sedemmo al bancone e Bill ci preparò dei drink. -Whiskey on the rock, come piace a te. Spero che ti vada bene, Joe- disse Bill. -Perché non le chiedi che cosa le piacerebbe bere, piuttosto- replicò Kareem. -Mi piace il whiskey, quindi va benissimo così- replicai, abbozzando un sorriso. 
-Allora, suppongo sia lei- disse Bill, guardandomi e spingendo Kareem a guardarmi. -Si, è lei- rispose Kareem, sorseggiando il suo drink. -Posso sapere di che cosa state parlando o…
-Bill cerca una cameriera- disse, sorrisi e mi alzai. -Dovevi dirmelo prima!- esclamai, mi tolsi la felpa e presi il cardigan che tenevo nello zainetto, tolsi il cappello e pettinai i capelli con le mani al meglio delle mie capacità. Presi il mio curriculum dallo zaino e lo porsi a Bill. -Pensavi di ottenere un lavoro mostrando le gemelle?- chiese Kareem, guardandomi dritto negli occhi e ignorando la presenza dei miei seni. -È l’unico modo per ottenere un lavoro quando si è giovani e di sesso femminile.
-Hai lavorato allo Spike Room?- chiese Bill, annuì e lui sembrò sorpreso. -Non ci è morto qualcuno qualche mese fa?- chiese, sorrisi e annuì. -Durante il mio turno- aggiunsi, Kareem mi guardò sorpreso. -Che cosa è successo?- chiese Kareem. -Due uomini litigavano e uno ha pugnalato l’altro e se qualcuno chiama un ambulanza nel Queens alle tre del mattino solitamente l’ambulanza arriva il più tardi possibile a raccogliere il cadavere. Ho cercato di tenerlo in vita ma dopo una mezz’ora di rianimazione è morto.
-Dev’essere stato difficile- disse Bill, il mio sguardo finì su Kareem e per la prima volta sentì il bisogno di mentire davanti a lui. L’ultima cosa che volevo era che lui pensasse che fossi una persona fredda e distaccata, senza alcuna empatia o compassione ma non era la prima volta che affrontavo la morte di petto e nemmeno lo conoscevo quel uomo quindi la sua morte aveva raschiato solo la superfice del primo dei dodici stadi del dolore che conoscevo. -Si, ehm…un’esperienza toccante- dissi, non sapendo bene quali parole usare per quel genere di situazione. -Hai lavorato in molti bar nello stesso periodo…com’è possibile?
-Non avevo altro da fare e ho preso l’abitudine di nutrirmi e sopravvivere ma sto cercando di smettere, glielo assicuro- dissi, entrambi sorrisero e Bill mi chiese di darli del tu. -È una matricola alla Columbia, ha iniziato un paio di mesi fa- disse Kareem. -Okey, sei assunta- disse Bill, sorrisi. -Davvero? Non vuoi vedere come…- chiesi, lui annuì. -Nah, sono sicuro che tu te la cavi piuttosto bene e in caso non sia così sarà Kareem a pagarne le conseguenze- rispose Bill, sorrisi e guardai Kareem. -Prometto che non ci saranno conseguenze da pagare- dissi, guardandolo, lui mi fece l’occhiolino e sorrise. -Ne sono sicuro- disse. -Quando comincio?- chiesi, Bill mi lanciò un grembiule. -Sta sera- disse, annuì e mi tolsi il cardigan e avvolsi il grembiule attorno alla vita. Iniziai con l’abbassare le sedie e pulire i tavoli. -Grazie per il lavoro, Kareem- dissi, mentre lui mi girava attorno. -Figurati…credo di averlo fatto più per me che per te- disse, lo guardai confusa e lui sorrise. -Qui sei al sicuro e posso tenerti d’occhio-rispose, sorrisi e annuì. -Me la sono cavata fino adesso senza la tua attenta supervisione, mi è morto un uomo davanti, ricordi?
-A proposito, grande recita poco fa- rispose lui, lo guardai confusa e poi capì di che cosa parlava. -Scusa?
-Ti si leggeva negli occhi che non avevi alcun interesse per la morte di quell’uomo- replicò lui, mi sentì profondamente offesa da ciò che disse. -Si chiamava Luke Rogers, aveva due figli ed era divorziato. Al suo funerale c’erano poche persone, tra cui Lara e Mike, i suoi figli che non vedeva da dieci anni. Non sono più in grado di provare emozioni forti legate a persone che non conosco ma questo non significa che la sua morte non mi interessasse- risposi, lui serrò le labbra e io mi allontanai per sistemare gli altri tavoli. -Kasper- disse, attirando la mia attenzione. -Mi dispiace- disse, annuì e continuai a lavorare.
 
Kareem
 
Una parte di me sperava che lei fosse tanto fredda da non battere ciglio alla morte di qualcuno e che questo la rendesse una persona orribile quasi quanto lo ero io ma era solo mille volte migliore di me e ne avevo avuto di nuovo la conferma. -Se hai intenzione di esibirti sta sera allora ti conviene sistemare il materiale- disse Bill, evitai lo sguardo di Kasper ma sentivo esattamente il modo in cui mi guardava. -Esibirti? Dimmi che è uno di quei spettacoli di lip sync che fanno le Drag Queen!- esclamò lei, sorrisi e scossi la testa. -Si, è esattamente ciò che faccio- risposi. Salì sul piccolo palco accanto al bancone e iniziai a sistemare il materiale. Mi sedetti sullo sgabello per accordare la chitarra e sistemare il microfono mentre Bill si occupava delle luci e del suono. Suonai qualche nota e testai il microfono, nel farlo notai lo sguardo curioso di Kasper. I suoi occhi finivano su di me ma nel momento in cui la guardavo lei abbassava lo sguardo e tornava a fare ciò che stava facendo. -Hai qualcosa di nuovo?- chiese Bill, presi il quaderno nero che avevo nello zaino e glielo porsi, lui lo sfogliò e si mise a leggere alcune delle ultime canzoni che avevo scritto. -Sei ispirato a quanto vedo- disse, rivolgendo un occhiata a Kasper. -È la prima che porti qui- disse, lo guardai e scrollai le spalle. -Non è solo la prima ragazza ma è anche la prima persona, persino quando stavi con la bionda non hai mai pensato di portarla al Blue. Pensavo ti vergognassi di me.
-Sai che non è così- replicai, lui sorrise e annuì. -È speciale- disse, lo guardai confuso. -Scusa?
-Dev’essere qualcuno di speciale se hai deciso di portarla qui…
-Oppure sono un buon amico che aiuta un’amica- replicai, lui scosse la testa. -Come vuoi, ragazzo, come vuoi- disse, in tono accondiscendente. 
Il bar si riempì in poche ore, più che altro giovani ragazze e ragazzi alla ricerca di una serata di alcol e buona musica. Bill mi aveva proposto di aspettare che tutti i tavoli fossero pieni prima di iniziare a suonare quindi ero seduto al bancone a chiacchierare con alcune ragazze per passare il tempo. In qualche modo il mio sguardo continuava a finire su Kasper e uno dei lati negativi di questo mio indesiderato potere era quello di notare ogni singolo maschio che posava gli occhi su di lei. Notavo il modo in cui la guardavano, i sorrisi seducenti che le regalavano e soprattutto notai che lei non sembrava rendersene conto. Al bancone un ragazzo aveva fatto di tutto per farle capire le sue intenzioni ma lei ne era completamente allo scuro. 
Ero particolarmente affascinato da come lei non riuscisse a rendersi conto di come il resto del mondo la vedeva. Anche solo tralasciando il suo aspetto fisico che era accentuato da quella canottiera nera, il modo in cui sorrideva ai clienti e i suoi grandi occhi verdi erano riusciti a far cadere qualche testa quella sera. -Kareem, tocca a te- disse Bill, annuì e presi la chitarra prima di salire sul palco.
 

Kasper
 
Kareem salì sul palco e attirò l’attenzione su di se, ogni singola ragazza in quella stanza guardava lui. L’avevano notato ancor prima che salisse sul palco, uno come lui era praticamente impossibile da non vedere. I riflettori facevano risaltare i suoi occhi nocciola e lo rendevano mille volte più affascinante. Avevo passato la serata a servire drink e ascoltare Kareem parlare con stupide ragazze superficiali, l’avevo sentito ridere alle loro stupide battute e fingere di essere interessato ai loro stupidi film. Il numero di ragazze che mi avevano chiesto di offrirli un drink da parte loro aveva superato il numero di dita in mia possessione. Sapevo che la serata sarebbe stata lunga e che avrei dovuto sopportare la vista di tutte quelle ragazze attaccate a lui per molto tempo. Ma per rendermi la vita un inferno lui aveva deciso di prendere una chitarra ed esibirsi. Nel momento in cui salì sul palco le urla delle donne presenti erano più forti dei miei pensieri e sembrava che nessuno volesse staccare gli occhi da lui. Nemmeno io volevo farlo. Presi la macchina fotografica dallo zainetto e mi misi nel luogo dove avrei avuto uno scatto pulito. Poi lui iniziò a suonare e io persi la capacità di fare più cose allo stesso tempo. In quel momento le urla svanirono, le persone svanirono ed ebbi la sensazione di essere sola con lui. La sua voce era perfettamente imperfetta, il modo in cui cantava, la sua voce era capace di trasmetterti tutto il dolore che aveva provato. Le sue canzoni…riuscivo a vedere nella sua musica tutte le cose che cercava di nascondere dietro a quella maschera da duro. Era vulnerabile su quel palco, era umano più di quanto avrebbe mai ammesso di essere. In quel momento, mentre lui si esibiva pensai che le cose sarebbero andate davvero male per me. Mi resi conto che rischiavo di finire in una trappola, rischiavo di farmi catturare da lui e in qualche modo volevo davvero che succedesse, volevo mettere piede nella sua trappola e lasciarli fare qualsiasi cosa volesse con me. Sapevo esattamente che genere di ragazzo fosse e non avevo alcuna intenzione di cambiarlo, non ero nessuno per pretendere di cambiare qualcuno e non volevo che cambiasse. In quel momento mi resi conto che avrei sofferto più di quanto avrei mai voluto ma ero pronta a buttarmi. Per la prima volta nella mia vita non ero stata spinta, mi ero buttata e sarebbe stata la caduta più orribilmente magnifica della mia vita.
Scattai qualche foto, bellissime foto di lui nel suo ambiente naturale, foto del pubblico esultante, foto dello sguardo fiero di Bill ma ci fu una foto in particolare che non riuscivo a smettere di guardare. Sembrava che stesse guardando la fotocamera, sorrideva e guardava la fotocamera.
L’esibizione finì presto, troppo presto, suonò una decina di canzoni che dal mio parziale punto di vista erano perfette. Scese dal palco per farsi assalire da un gruppo di ragazze particolarmente eccitate, poi mentre attraversava la folla un secondo gruppo di ragazze un po' più adulte lo fermarono e lo toccarono un po' troppo per i miei gusti e finalmente arrivò al bancone. Si voltò e guardò nella mia direzione, sorrisi e vista la massa di gente davanti a me gli feci cenno di uscire con me. -Non devi dirmi che ti è piaciuto, so quanto tu possa essere critica quando si tratta di musica e non devi sentirti in obbligo di….- disse Kareem, una volta avermi raggiunta fuori. Non lo lasciai finire di parlare perché venni colpita da un attacco di impulsività con il quale non ero familiare. Io e l’impulsività non eravamo grandi amiche, una ragazza come me che è stata rapita a cinque anni e torturata per dieci doveva optare per uno stile di vita controllato e calcolato. L’impulsività non era una buona idea ma quella volta lo fu. 
Avevo letto molto sulle farfalle nello stomaco e le scintille nell’aria, non avevo mai dato un bacio prima quindi le consideravo stupide frasi usate per farti innamorare dell’idea dell’amore. 
Ma poi lo baciai e rimisi in questione la mia intera esistenza. Le sue labbra erano morbide, sapevano di birra e la sua pelle sotto alle mie dita era morbida come quella di un bambino. Non avevo mai baciato e quindi non sapevo che cosa aspettarmi, non sapevo che cosa volesse dire ricambiare un bacio ma lui me lo fece capire. Le sue mani avvolsero delicatamente i miei fianchi e il bacio divenne più intenso ma sempre delicato. Le nostre lingue si intrecciarono in un lento valzer che non pensavo di essere capace di ballare, il suo profumo mi avvolgeva. 
Poi, in un attimo, come se una lampadina si fosse accesa nella mia piccola testolina mi resi conto del grande sbaglio che avevo fatto e mi allontanai. Feci tre lunghi passi indietro e mi passai un dito sulle labbra. -Pessima idea- dissi, lui mi guardò con l’aria confusa e sorpresa.
-Pessima idea…davvero una pessima idea, Joe- dissi, camminando avanti e indietro per il marciapiede. -Kasper- disse, lo guardai e dovetti immediatamente abbassare lo sguardo per l’imbarazzo. -Joe, chiamami Joe, mi chiamo Joe- borbottai, lo vidi sorridere con la coda dell’occhio. -Mi dispiace…non avrei dovuto baciarti e in più non sono nemmeno brava nel farlo quindi mi scuso anche per il mio mancato talento nell’arte del limonare.
-Te la cavi piuttosto bene, in realtà…
-Non voglio saperlo!- esclamai, lui sorrise. -Non è divertente Kareem- dissi, lui sorrise e annuì. -In realtà lo è, c’è qualcosa di esilarante nel vederti perdere la testa per un bacio. 
-Perché non dovrei perdere la testa? Noi siamo amici e non si baciano gli amici.
-Ho baciato un mucchio dei miei amici…
-Tutte donne suppongo- replicai, lui sorrise e abbassò lo sguardo. -Senti, non è niente di così grave, è stato un bacio innocente.
-Ti sei esibito e hai usato quella tua magica voce per sedurre le donne presenti e poi eri davanti a me con i tuoi grandi occhi scuri e io….
-Okey….ti piacciono i musicisti quindi, non pensavo fossi quel tipo di ragazza- replicò lui, scherzando. -Che tipo di ragazza?
-La groupie- rispose, gli tirai uno schiaffo sul braccio e tornai dentro dove passai il resto del turno a fare una lista di pro e contro della situazione.
 
 
 
 
 

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