Arcadia

di ArrowVI
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Arcadia ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1-1: Casa ***
Capitolo 3: *** Capitolo 1-2: Un incontro voluto dal destino ***
Capitolo 4: *** Capitolo 1-3: Futuro ***
Capitolo 5: *** Capitolo 1-4: Jeanne White ***
Capitolo 6: *** Capitolo 1-5: Sorriso ***
Capitolo 7: *** Capitolo 1-6: L'inizio della fine ***
Capitolo 8: *** Capitolo 2-1: Dovere ***
Capitolo 9: *** Capitolo 2-2: Gentilezza ***
Capitolo 10: *** Capitolo 2-3: Rabbia ***
Capitolo 11: *** Capitolo 2-4: Fiducia ***
Capitolo 12: *** Capitolo 2-5: Colori ***
Capitolo 13: *** Capitolo 3-1: Inizio ***
Capitolo 14: *** Capitolo 3-2: Dubbi ***
Capitolo 15: *** Capitolo 3-3: Tutto per qualcosa ***
Capitolo 16: *** Capitolo 3-4: Orion ***
Capitolo 17: *** Capitolo 3-5: Verità Nascoste ***
Capitolo 18: *** Capitolo 3-6: Nebbia ***
Capitolo 19: *** Capitolo 3-7: Rischio ***
Capitolo 20: *** Capitolo 4-1: I Ribelli ***
Capitolo 21: *** Capitolo 4-2: Uno strano incontro ***
Capitolo 22: *** Capitolo 4-3: Serilda Gunhammer ***
Capitolo 23: *** Capitolo 4-4: L'Uroboro ***
Capitolo 24: *** Capitolo 4-5: Evans ***
Capitolo 25: *** Capitolo 4-6: Effetto Farfalla ***
Capitolo 26: *** Capitolo 4-7: Difficoltà ***
Capitolo 27: *** Capitolo 5-1: Forza ***
Capitolo 28: *** Capitolo 5-2: Debolezza ***
Capitolo 29: *** Capitolo 5-3: Dolore ***
Capitolo 30: *** Capitolo 5-4: L'Altro Lato ***
Capitolo 31: *** Capitolo 5-5: Decisione ***
Capitolo 32: *** Capitolo 5-6: Missione ***
Capitolo 33: *** Capitolo 5-7: Rosso ***
Capitolo 34: *** Capitolo 6-1: Odio e Forza ***
Capitolo 35: *** Capitolo 6-2: Diana ***
Capitolo 36: *** Capitolo 6-3: Bugie ***
Capitolo 37: *** Capitolo 6-4: Giuramento [1-2] ***
Capitolo 38: *** Capitolo 6-5: Giuramento [2-2] ***
Capitolo 39: *** Capitolo 6-6: Veri Colori [1-2] ***
Capitolo 40: *** Capitolo 6-7: Veri Colori [2-2] ***
Capitolo 41: *** Capitolo 6-8: Flare ***
Capitolo 42: *** Capitolo 7-1: Problema [1-2] ***
Capitolo 43: *** Capitolo 7-2: Problema [2-2] ***
Capitolo 44: *** Capitolo 7-3: Cambiare Idea ***
Capitolo 45: *** Capitolo 7-4: Domande [1-2] ***



Capitolo 1
*** Prologo: Arcadia ***


  Prologo: Arcadia


Ti sei mai chiesto se questo mondo sia giusto? ~

Furono le parole che sentii quella mattina di quindici anni fa, non appena aprii gli occhi. Confuso e spaventato, mi guardai intorno.
Non vi era nessuno.
Cominciai a respirare faticosamente, in preda all'ansia.
Ero ancora disteso nel mio letto, con le coperte addosso e un pigiama azzurro chiaro.

<< Fratellone? >>
Domandai, alzandomi lentamente dal letto e sedendomi sul bordo.
Le mie labbra tremavano, e mi guardai ancora più attentamente intorno. Avevo appena sei anni quel giorno, incredibile come sia passato rapidamente il tempo...
Tutto era come lo avevo lasciato il giorno prima: davanti a me, dall'altro capo della stanza, la scrivania con le mie matite e i disegni. Guardai in ogni direzione alla ricerca della persona che mi aveva detto quelle parole, e per un istante il mio sguardo si posò sulla libreria che mio padre aveva messo nella stanza, nel disperato tentativo di farmi leggere.

Nessuno era uscito dalla stanza, visto che non avevo sentito il rumore della porta che si chiudeva.
Mi abbassai di scatto, guardando sotto il letto. 
Mio fratello adorava farmi degli scherzi, quindi mi aspettai di trovarlo li sotto... L'unica cosa che vidi fu la polvere e qualche matita.

< Me lo sono immaginato? >
Mi domandai, sollevandomi e guardando il letto, ancora turbato.
Poco dopo il mio sguardo cadde sul comodino, in particolare sull'orologio. Erano le nove del mattino.
Mi diressi verso la finestra, spalancai le tende e la aprii. Rimasi in silenzio a guardare l'orizzonte, con lo sguardo fisso sulla capitale... O dovrei dire, sul muro che separava i villaggi dalla capitale.
In quel periodo non mi chiedevo il perché di quella muraglia.

<< Me lo sono immaginato. >>
Dissi a nessuno, allontanandomi dalla finestra, cercando di convincermi.

Subito dopo sentii bussare nella porta della mia camera.

<< Gilles? Sei sveglio? >>
Mi domandò mia madre, mentre aprì lentamente la porta.
Non appena la vidi, le corsi rapidamente contro e la abbracciai.

<< Mamma! Mi è sembrato di sentire qualcuno... >>
Le dissi, appoggiando la mia testa nel suo petto.

<< Era solo un brutto sogno, Gilles. Non preoccuparti. >>
Mi disse, con un tono gentile, mentre mi scompigliò gentilmente i capelli.
Lasciai la stanza insieme a lei, tenendola per mano e sorridendo.

Ci separammo davanti al bagno.

<< Non metterci troppo tempo, la colazione è pronta. Tuo padre e Viktor stanno già mangiando. >>
Mi disse, sorridendo, mentre scese le scale.

Entrai nel bagno, afferrando il mio spazzolino e il dentifricio. 
Mi guardai allo specchio, dopo essere salito su uno sgabello.

~ Begli occhi. Color oro. ~

Sentii dire da quella voce maschile e autoritaria.
D'istinto feci un verso spaventato, cadendo giù dallo sgabello con un grosso tonfo.
In pochi istanti, mia madre tornò da me correndo, e mi avvolse tra le sue braccia, preoccupata.

Stavo piangendo, ma non per il dolore.
Quella voce era reale... Ma decisi di non dire niente. Non accadeva niente di bello a chi sentiva voci, ed io ero spaventato... Troppo spaventato.
Per il resto della giornata continuai a sentire quella voce. Commentava le mie azioni, il mio aspetto... Ogni cosa.

~ Hai davvero dei capelli molto strani... Viola, con una chiazza bianca proprio sopra l'orecchio sinistro. ~

Mi disse ad un certo punto. Da come parlava, sembrava quasi che fosse al mio fianco.
Volevo ignorarlo. Provai ad ignorarlo. 
Corsi nel cortile, cercando qualcosa da fare per non pensare a quella voce che mi perseguitava, ancora convinto che fosse uno strano scherzo architettato in qualche maniera da mio fratello.... Quando lo sentii.

<< Sparisci! >>
Urlò una donna.

<< Sei un demone, come hai potuto starci vicino tutto questo tempo?! >>
Esclamò un uomo.

Quelle voci provenivano dalla strada, ma non potevo vedere nulla a causa dell'alto muro in pietra che ci separava. Continuai a sentire urla, strani colpi e fischi per dei minuti che sembravano infiniti.
Incuriosito, mi mossi verso il cancello in metallo, e lo aprii lentamente.

Ciò che vidi quel giorno, credo mi abbia cambiato per sempre.
Una enorme folla si era radunata a pochi metri di distanza dalla mia casa, occupata a tirare sassi verso qualcuno.

La "vittima" era un uomo, non molto vecchio, con un accenno di barba bianca e degli occhiali che coprivano i suoi occhi grigi, abiti da dottore e pantaloni scuri.
Una delle lenti dei suoi occhiali era rotta, forse a causa di una pietra.

La folla continuava imperterrita a scagliare sassi e insulti verso quell'uomo, chiamandolo "mostro", "demone", "stregone", ma, nonostante tutto, quell'uomo era impassibile.
Era inginocchiato nel terreno, con qualcosa tra le braccia e lo sguardo, triste, rivolto verso il basso.
Incuriosito, mi avvicinai lentamente, appoggiandomi al muretto di casa, senza farmi notare.

La curiosità di un bambino, si tramutò rapidamente in terrore e rammarico.
Non appena capii cosa stesse reggendo, mi inginocchiai nel terreno urlando e piangendo.

<< Qualcuno porti via quel ragazzino, non è uno spettacolo adatto a lui... >>
Disse l'uomo che stavano lapidando, notandomi.
Nessuno fece caso alle sue parole, quantomeno a me.

Quell'uomo stava sorreggendo il corpo privo di vita di una ragazzina, forse aveva la mia stessa età o poco più. Del sangue le colava dalla fronte, forse era stata colpita da una pietra.
Fino a quel momento non ci feci caso, ma... Tutte le pietre che gli venivano scagliate contro cadevano al suolo: rimbalzavano tutte su una strana cupola trasparente che lo avvolgeva.

Improvvisamente, qualcuno mi raccolse da terra e mi sollevò: era mia madre.
Mentre mi riportò dentro casa, mi voltai di nuovo verso l'uomo, ancora in lacrime. Il vecchio mi sorrise.

<< Mamma, perché stavano facendo del male al dottore? >>
Le domandai, mentre mia madre mi asciugò le lacrime.

<< Non temere, Gilles. Quell'uomo è un mostro, e come tale deve essere cacciato... Non preoccuparti, non ti farà del male. >>
Mi rispose, abbracciandomi.

In verità, quell'uomo non è mai stato una minaccia... Anzi, è stato di grande aiuto al vostro villaggio più volte. ~

Sentii dire da quella voce.
Anche stavolta decisi di ignorarla... Ma capii che aveva ragione.


Passarono mesi, durante i quali continuai a sentire quella voce almeno due o tre volte al giorno. Potevo parlarci, ma non mi rivelò il suo nome.
Alla fine, quel giorno, decisi di parlare con la mia famiglia.

Credevo che mi avrebbero capito...
Speravo che mi avrebbero aiutato...
La loro reazione, non appena dissi loro che potevo sentire una voce, non fu quella che mi aspettavo.

Mia madre, sentendo le mie parole, lasciò cadere dei piatti in terra. Aveva una espressione terribile in volto, e mi diede un forte schiaffo.

<< Non scherzare su queste cose, Gilles! >>
Mi rimproverò. 
Il suo sguardo era un misto di paura e rabbia.

<< Non... Sto scherzando, mamma! >>
Le dissi, in lacrime, mentre mi portai una mano nella guancia.
Mio padre si mosse minacciosamente verso di me, e mi afferrò per un braccio.

<< Smetti di dire idiozie, Gilles! >>
Mi disse, stringendo la presa.

<< Mi fai male, papà, mi fai male! >>
Esclamai, in lacrime, mentre cercai disperatamente di fargli lasciare la presa.
Voltai lo sguardo verso mio fratello, cercando il suo aiuto, ma lui non mi guardò nemmeno in faccia. Rimase in silenzio.

Cercai di liberarmi dalla presa di mio padre, quando accadde ciò che avrebbe segnato una svolta nella mia vita.

Dal palmo della mia mano sinistra uscì un nastro viola, che iniziò a roteare in aria.
Mio padre venne ferito da una frustata in volto, e cadde nel terreno, dolorante. 

Rimasi in silenzio, spaventato e sopreso, osservando quel nastro viola che era comparso dal palmo della mia mano, e che fluttuava in aria come una piuma.
Subito dopo, sentì un urlo terrorizzato.

Mia madre si appoggiò alla cucina, afferrando un coltello, tremando.
Era in lacrime.

<< N- Non sei mio figlio! Sei un mostro! >>
Esclamò, puntandomi contro il coltello.


Sentendo quelle parole smisi di piangere. Guardai mia madre, in silenzio, con occhi e bocca spalancati... 
Poi scappai. Uscii nel cortile e corsi via, verso il bosco in distanza.

Mi sentivo solo, ferito, spaventato, ma continuai a correre... Non so per quanto tempo. Durante quella corsa, quel nastro scomparve nel nulla, allo stesso modo di come era apparso.
Poi, ad un certo punto, lo vidi.
Un uomo, nel mezzo della foresta, insieme ad un piccolo gruppo di persone.
Si mosse verso di me, inginocchiandosi nel terreno.
Istintivamente, feci un passo all'indietro, allontanandomi da lui.

<< Chi sei tu, ragazzino? Ti sei perso? >>
Mi domandò, con un tono gentile.

Le parole di mia madre mi rimbombarono in mente.

<< Sono un mostro... >>
Gli risposi, trattenendo le lacrime ed evitando il suo sguardo.

L'uomo mi guardò in silenzio per qualche secondo, poi un grosso e gentile sorriso apparve nel suo volto. Mi portò una mano nei capelli e iniziò a scompigliarmeli. 

<< Be', allora sei nel posto giusto, ragazzino. Qui siamo tutti dei "mostri". >>
Mi disse, sorridendo.

In quell'istante, lo riconobbi.
Era l'uomo che mesi prima venne cacciato a sassate dal villaggio.


Quello fu solo l'inizio di ciò che dovetti affrontare... 
O, dovresti dire, ciò che noi abbiamo dovuto affrontare? ~


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Grazie dell'attenzione! Spero che la storia sia stata di vostro gradimento: alla prossima!
Vi assicuro che ho grossi progetti per questa avventura! 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1-1: Casa ***


Capitolo 1-1: Casa
 

Il silenzio intorno a me era rotto solamente dal mio ansimare: ero solo in quella stanza.
Intorno a me vi erano tanti oggetti: manubri, sacchi da boxe, funi, e svariati oggetti che ero solito usare per allenarmi.

Colpii il sacco pieno di sabbia davanti a me, appeso nel soffitto, con un rapido pugno seguito poi da un calcio orizzontale. Non appena il sacco tornò indietro verso di me lo colpii con un secondo pugno, stavolta da destra verso sinistra.
Mi fermai per qualche istante, osservando il sacco che lentamente rallentava il suo moto oscillatorio. 
Ero stanco, zuppo di sudore e ansimavo. Dopo aver preso fiato per qualche istante, ripresi ad allenarmi con il mio "compagno".

<< Mi chiedevo cosa fossero gli strani versi che sentivo provenire da qui da qualche ora. >>
Sentii dire da una voce femminile alle mie spalle.
Bloccai il sacco con una mano, e mi voltai rapidamente verso quella persona: riconoscendola, un sorriso apparve nel mio volto.

<< Leona? A cosa devo la tua visita? >>
Le domandai, sorpreso, mentre cercavo di asciugarmi il sudore in fronte con il braccio... Inutilmente, visto che era zuppo fradicio.


Una ragazza dai capelli corti e arancioni, era appoggiata sull'uscio della porta. I suoi occhi erano castani, e il suo volto era illuminato dalla luce del sole che penetrava da una finestra al suo fianco. Indossava una tuta da ginnastica verde.

<< Sono appena tornata da una corsa mattutina intorno al lago. Notandoti ho pensato di portarti qualcosa di utile. >>
Mi disse, mostrandomi una bottiglia d'acqua e un asciugamano pulito.
Mi avvicinai a lei e, rapidamente, mi passai l'asciugamano nel volto.

<< Ancora usi quel soprannome? >>
Mi domandò, con una espressione mista tra stupore e divertimento.

<< E' più semplice da pronunciare del tuo nome, dopotutto. >>
Le risposi rapidamente.

Leona si avvicinò lentamente a me, e cominciò ad annusarmi.
Sorpreso, la guardai con una strana espressione.

<< Cosa sei, un cane per caso? >>
Le domandai, confuso.

<< Ti serve una bella doccia, già. >>
Mi disse, con un tono divertito e tappandosi il naso con le dita, passandomi la bottiglia d'acqua.
Non appena la afferrai, notai che fosse fredda.

<< Fottiti. >>
Le risposi, infastidito, bevendo il contenuto della bottiglia quasi in un sorso.
Non appena le resi la bottiglia vuota, e l'asciugamano, Leona mi guardò con una espressione preoccupata.

<< Hey... Non ti fa di certo bene bere qualcosa di così freddo tutto insieme, specialmente quando sei così accaldato... >>
Mi disse, osservando la bottiglietta di plastica vuota.

<< Ci vuole ben altro per mettermi fuori gioco. >>
Le risposi, voltandomi e tornando verso quel sacco da boxe.

Dopo quelle parole, ripresi ad allenarmi come mio solito. Cadde di nuovo il silenzio, ed ero fortemente convinto che Leona fosse andata via... 
Mi sbagliavo.

<< Non ti andrebbe di fare una pausa? Sei qui dalle sette del mattino, e sono le undici. Sai, ci sono alcune mie amiche che vorrebbero incontrarti... Sono tue ammiratrici. >>
Le sentii dire dopo meno di un minuto di silenzio, con una vocina stridula.

<< Spiacente, non sono interessato. >>
Le risposi, senza smettere di prendere a pugni e a calci quel sacco di sabbia.

La sentii sbuffare.

<< Non sapevo fossi di quella sponda, Yuu. >>
Le sentii dire poco dopo, con un tono ironico.

Mi voltai lentamente, con una espressione seria, dopo aver bloccato il sacco di sabbia con una mano.

<< Divertente, considerando che dovresti sapere meglio degli altri che non lo sono. >>
Le risposi, con un tono serio.
Dopo quelle parole mi voltai di nuovo verso il sacco. 

<< Ora lasciami tornare al mio allenamento. >>
Aggiunsi, senza voltarmi.

Sentii Leona sbuffare, di nuovo, più forte di prima.

<< Lo vedi? Questo è il motivo per cui ti ho lasciato.  Anche quando qualcuno vuole darti una mano, dopo qualche minuto cominci a comportarti come uno stronzo. >>
Esclamò, parlandomi con un tono infastidito.

< Ci risiamo. >
Pensai, sbuffando, chiudendo le palpebre senza però smettere di colpire il sacco.

<< Sei sempre qui, minimo quattro ore di mattina e quattro ore durante il pomeriggio, ad allenarti. Capisco che tu voglia migliorarti, ma non starai esagerando? Di questo passo ti distruggerai da solo! >>
Mi disse, con un tono mistro tra preoccupazione e rabbia.

<< L'allenamento non ha mai fatto male a nessuno. >>
Le risposi, senza voltarmi, e continuando a prendere a pugni quel sacco di sabbia.
Dopo appena pochi istanti, sentii uno schioccare di dita: subito dopo il sacco rimase sospeso in aria.

Mi voltai di novanta gradi, e la guardai con uno sguardo infastidito.
<< Non puoi semplicemente lasciarmi in pace? Grazie per la preoccupazione, ma cominci ad essere noiosa. >>
Le dissi, con un tono serio.

Leona mi guardò in silenzio per qualche secondo, con una espressione infastidita e preoccupata, per poi schioccare di nuovo le dita.
Pochi  istanti dopo venni colpito nella spalla destra dal sacco pieno di sabbia, e caddi nel suolo.

<< Lo hai fatto di proposito, vero?! >>
Esclamai, infastidito, sedendomi nel terreno.

<< Guarda il tuo corpo, razza di idiota! >>
Mi rispose, indicandomi. Era furiosa.
Non le risposi nulla: abbassai lo sguardo e mi guardai il petto. Mi stavo allenando a petto nudo.

<< Sei pieno di cicatrici! Nel petto ne hai tre, e se contiamo quelle nella schiena saliamo a sette. Otto, se contiamo quella che ti sei fatto una settimana fa, che va dal tuo gomito destro fino alla spalla! >>
Aggiunse, urlandomi contro.

<< Mi chiedo davvero come faccia Blake a sopportarti. >>
Le risposi, istintivamente, dopo aver sbuffato.
Non appena alzai lo sguardo, notai che aveva cambiato espressione: si era portata una mano nella bocca, e mi guardava con uno sguardo preoccupato, in silenzio.

<< Non ti sei offesa per quello che ho detto, vero? >>
Le domandai, sorprendendomi.

<< N-No! Il tuo braccio, guarda il tuo braccio! >>
Mi rispose, indicando il mio braccio destro.

Non appena abbassai lo sguardo notai del sangue che goggiolava nel terreno dal mio gomito.
Mossi leggermente il braccio, guardandomi la spalla, e notai che la ferita che andava dalla spalla al gomito si era parzialmente riaperta.

<< Oh, fantastico. Dovevi per forza usare la tua telecinesi, vero? >>
Dissi, infastidito dall'accaduto, guardandola con uno sguardo serio.

Leona portò le mani in avanti, agitandosi.
<< Non volevo, davvero! Mi dispiace... >>
Mi disse, cercando di scusandosi.

Sbuffai, e mi rialzai dal terreno.
Mi appoggiai una mano sopra la ferita, e mi diressi lentamente verso l'uscita della stanza.

<< E' ok. Vado da Blake, mi cucirà di nuovo la ferita. >>
Le dissi, superandola.

<< Quello che è successo ora non significa che avevo torto, ok? >>
Le sentii dire, da dietro di me.

Mi bloccai davanti all'uscita, e feci un sospiro.
<< Lo so. Vedo se posso accontentarti. >>
Le risposi, senza voltarmi.

<< Grazie. >>
Le sentii dire, non appena lasciai la stanza.


Percorsi un lungo corridoio vuoto, le pareti bianche e colmo di stanze, fino a quando non raggiunsi un piccolo laboratorio.
All'interno vi era un ragazzo, intento a leggere delle cartelle cliniche, e bere un caffè dietro una scrivania.

Bussai con due dita sulla porta, attirando la sua attenzione.

<< Oh, Yuu! Come mai sei q... Perché non indossi una maglietta? >>
Mi domandò, con un tono sorpreso.
Come risposta gli mostrai il braccio destro, sorridendo.

<< Di nuovo?! >>
Esclamò, appoggiando con forza la cartella clinica sulla sua scrivania.


Passarono una decina di minuti prima che cominciasse a farmi delle domande.
<< Puoi pure spiegarmi come tu sia riuscito a riaprire una ferita che avevo personalmente cucito. >>
Mi disse, mentre mi tamponava la ferita, ormai cucita, con del cotone.

<< Mi stavo allenando, Leona è entrata nella stanza e... La cosa è andata fuori controllo. >>
Gli spiegai, molto brevemente.

<< Mirajane? Cosa ha fatto di preciso? >>
Mi domandò, mentre si fermò un istante a guardarmi la ferita nel braccio.

Ero seduto su una sedia, mentre lui era seduto davanti a me. Tra di noi c'era un piccolo tavolo che ci separava, sul quale avevo appoggiato il mio braccio.

<< Le solite cose. >>
Gli risposi, voltando lo sguardo.
Blake mi punse con un ago.

Feci un verso di dolore.

<< La hai fatta innervosire, come sempre. >>
Disse.


Conoscevo Blake fin da quando arrivai in questa comunità, circa quindici anni fa. 
Era un ragazzo di circa la mia stessa età, meno robusto di me, con capelli corti e neri e occhi verdi. Indossava un camice da dottore. Era molto abile come medico, e la gran parte delle volte mi rivolgevo a lui quando necessitavo di qualche genere di cura o intervento.

<< Non fare movimenti bruschi per il resto della giornata. Se la ferita dovesse riaprirsi, torna di nuovo da me. Intesi? >>
Mi disse, dopo aver coperto la mia ferita con delle garze.

<< Si, va bene, ok. >>
Gli risposi, quasi ignorando le sue parole, alzandomi dalla sedia.
Prima che potessi allontanarmi dal suo raggio d'azione, Blake mi afferrò per un orecchio e mi tirò verso sé.

<< Ehi! >>
Esclamai.

<< Non mi hai sentito bene, a quanto pare. NON fare movimenti bruschi per il resto della giornata, significa che per oggi tu non torni in quella stanza di allenamento. >>
Mi disse, con un tono minaccioso.

<< Va bene, ma lasciami andare! >>
Gli risposi, afferrandogli il polso con una mano.
Subito dopo, Blake lasciò la presa e si sedette nella sua scrivania.

<< Visto che non mi fido, ti darò qualcosa di sicuro da fare. >>
Disse, guardandomi con uno sguardo divertito.

<< Devo preoccuparmi? >>
Gli domandai, con un tono spaventato.

<< Il Maestro ha domandato a me e Mirajane di aiutare con la spedizione al villaggio. >>
Mi rispose.

<< Di nuovo? Non sono andati ieri? >>
Gli domandai, incuriosito dalle sue parole.

<< Si, ma ci sono stati dei problemi. Purtroppo ho alcuni pazienti da visitare oggi, quindi non posso dare una mano... Il che significa che tu andrai al mio posto. Non hai di meglio da fare, in ogni caso. >>
Mi spiegò, prendendo una cartella clinica e cominciando a leggerla.

<< Non ho voce in capitolo, quindi? >>
Gli domandai. Blake mi rispose con un gesto negativo della testa.

Sbuffai, e poi mi alzai preparandomi a lasciare la stanza.

<< Mi devi un favore. >>
Gli dissi, salutandolo e lasciando la stanza.

<< Non ti lascio flirtare con Mirajane. >>
Gli sentii rispondere dal suo ufficio.

<< Non ti prometto nulla. >>
Gli risposi dal corridoio.

<< E' la mia ragazza! >>
Urlò alle mie spalle.



Trascorsero un paio d'ore prima che io e Leona venimmo chiamati per prendere parte alla spedizione. 
La comunità di cui facevamo parte io, Blake e Mirajane, si trovava nascosta in una foresta foresta, nei pressi del mio villaggio natale. Non avevo la benché minima intenzione di vedere né i miei genitori né mio fratello.
Questa "comunità nascosta" nacque grazie al Maestro, ovvero il dottore che venne cacciato anni fa dal mio villaggio. Lui prese svariate persone che avevano sviluppato abilità speciali e diede loro una casa, aiutandoli a sviluppare i loro poteri in modo tale che non li usassero per fini poco nobili.

Le persone come noi, infatti, non potevano ambientarsi nelle città, sia fuori che dentro le mura. Infatti, una volta scoperti, gli esiti erano due: o venivi cacciato, o ucciso.
Quindi, chi sviluppava questi poteri, scappava via o li teneva nascosti alle altre persone.


Non appena arrivammo all'entrata del villaggio, il leader della spedizione ci divise in più gruppi formati da una o due persone e ci sparpagliammo in giro per la città. 
Io ero da solo.
Ad ogni persona, o coppia, era stato dato un certo quantitativo di soldi e una lista con dei viveri da compare: pane, grano, cereali, acqua e anche, ad esempio, medicine erano presenti nella lista.
Fortunatamente per me, ero stato inviato in una direzione opposta a dove si trovava casa mia.

Non sprecai molto tempo, e in meno di mezz'ora avevo completato quasi per intero la lista che mi era stata assegnata.

Ero perso tra i miei pensieri, leggendo gli oggetti rimanenti nella lista assegnatami, quando mi scontrai con qualcuno, facendo cadere quella persona, e ciò che stava portando, nel terreno.

<< Perdonami, non stavo guardando dove camminavo. >>
Dissi, abbassandomi e aiutando quella persona a raccogliere ciò che stava portando. Erano tre grosse scatole di legno.
Il contenuto di una di esse, una strana polvere rossa, si era riversato nel terreno.

<< N-Non importa, non si preoccupi... >>
Mi disse la ragazza con cui mi ero involontariamente scontrato.

Aveva dei lunghi capelli bianchi e occhi azzurri come il cielo. Indossava un vestito bianco, con una croce dorata nel mezzo, grossa quanto l'intero vestito, e una gonna bianca.
Ad occhio, sembrava più piccola di me, non solo in altezza, di qualche anno.

<< Oh... >>
Disse poco dopo, guardando il terreno.
Seguii il suo sguardo, e capii che stesse guardando il contenuto della scatola che si era riversato nel terreno.

<< Mi dispiace, è colpa mia. >>
Le dissi, cercando di salvare il salvabile, ma era ormai troppo tardi.

<< Non ho i soldi per ricomprarlo... E ora come faccio... >>
Le sentii dire sotto voce.
Non voleva farsi sentire.

Istintivamente, guardai la lista, alla ricerca di cosa mi mancasse per completarla, poi misi una mano in tasca per vedere quanti soldi mi restavano.

< Bastano appena per comprare gli ultimi viveri... >
Pensai, infastidito.

Dovevo scegliere se tenere i soldi e completare il lavoro che mi era stato assegnato, o aiutare una persona che avevo messo in difficoltà.
La scelta fu molto facile.

<< Ecco, dovrebbe bastare per ripagarlo. >>
Le dissi, porgendole una banconota e due monete d'argento.

La ragazza mi guardò con uno sguardo stupito, per poi rifiutare i soldi.

<< Non posso accettare, assolutamente! E' stata colpa mia: stavo camminando con le tre scatole una sopra l'altra, e non vedevo bene la strada... >>
Mi disse, vergognandosi.
Rapidamente raccolsi una delle due scatole ancora intere e la sollevai in aria.

<< E allora questa me la prendo io. >>
Le dissi, minacciandola scherzosamente.

<< N-No! Me la renda, la prego! >>
Esclamò, alzandosi da terra e provando a prendermi la scatola.
Essendo più bassa di me non riuscì a rubarmela, nemmeno mettendosi in punta di piedi.

Cominciai a ridere sotto i baffi, e la ragazza arrossì.

<< Lei non è una persona gentile... >>
Mi disse, imbarazzata.

<< Lascia, allora, che ti ripaghi quello che ti ho fatto perdere. >>
Le dissi, porgendole la scatola.
La ragazza mi guardò in silenzio per qualche secondo, per poi prendermi la scatola in legno.

<< Non deve, davvero... >>
Disse, abbassando lo sguardo.

Subito dopo mi mossi verso una bancarella, e acquistai ciò che le avevo fatto cadere. Erano delle spezie in polvere.



<< Non serviva che facesse tanto per me, davvero... >>
Mi disse, mentre la accompagnavo.

<< Tre casse erano in ogni caso troppo per te. In questo modo evitiamo che tu ne possa perdere altre scontrandoti con qualche altro sbadato come me. >>
Le risposi.
Avevo deciso di accompagnarla fino alla sua abitazione, portando due di quelle tre scatole.

<< Sono sicura che quei soldi le servivano, vero? >>
Mi domandò, senza guardarmi.

<< Non saranno tre ingredienti a fare la differenza, in ogni caso. Sono sicuro che i miei compagni avranno già preso il necessario. >>
Risposi rapidamente.
Per qualche motivo, le strade erano vuote: la cosa mi turbava.

<< Si trovano poche persone come lei in questo periodo, da queste parti... >>
Mi disse, sorridendo.

<< Davvero? >>
Le domandai, incuriosito.

<< Si... Non è di queste parti? >>
Mi domandò, guardandomi dritto negli occhi, con uno sguardo incuriosito.
Esitai per qualche secondo prima di rispondere.. Credo di aver sospirato, involontariamente.

<< Non proprio. >>
Le risposi, senza guardarla in volto.

<< Da qualche giorno il villaggio è stato attaccato da un piccolo gruppo di banditi, ma nessuno ha il coraggio di opporsi a qualcuno di armato... Quindi le persone ormai cominciano a pensare a loro stesse, piuttosto che a chi necessita di aiuto...  >>
Le sentii dire, con un tono rattristato.

<< Come se non bastasse, c'è un plotone militare non molto distante da qui, ma per far allontanare questi banditi vogliono essere pagati... Il sindaco non ha il denaro che chiedono, quindi siamo rimasti soli... >>
Aggiunse.

Feci un verso infastidito.

<< Questo non mi piace dell'impero. Dentro le mura vivono in tranquillità, hanno tutto ciò che vogliono, mentre noi che viviamo al di fuori dobbiamo soffrire anche solo per un pezzo di pane, e non ci aiutano nemmeno! Quei bastardi necessitano di una bella punizione. >>
Dissi, pensando ad alta voce.

La ragazza si mosse rapidamente davanti a me, bloccandomi il passaggio.
Il suo sguardo era triste, ma, allo stesso tempo, sembrava mi stesse rimproverando.

<< Non parli così, per favore! Noi umani non abbiamo alcun diritto di giudicare i nostri simili: è un compito che spetta solo al Signore! >>
Disse, unendo le mani davanti al petto e guardandomi intensamente negli occhi.

~ Da come parla, direi che sia una donna di chiesa. ~

Mi disse la voce.

<< Si, hai ragione... >>
Risposi, ad entrambi, guardandola.
Notai che una espressione sorpresa apparve nel suo volto.

<< Cosa c'è? >>
Le domandai, incuriosito dal suo stupore.

<< N-No, non è niente! Siamo arrivati! >>
Esclamò, indicando una chiesa e muovendosi verso il cancello.
La riconobbi: una volta la avevo visto anche da piccolo, insieme a mio fratello. Non era cambiata per niente in tutti quegli anni.

La ragazza aprì lentamente il cancello in ferro, e poi mi prese le casse di legno che avevo in mano.

<< Quindi non mi sbagliavo. >>
Dissi, mentre lei appoggiò goffamente le scatole in legno una sopra l'altra.

<< Si, sono una suora... O, per lo meno, dovrei diventarne una... Oggi purtroppo non è permessa l'entrata a nessuno, però non andare via! Appoggio queste scatole e ti ringrazierò a dovere. >>
Mi disse, sorridendo. 
La guardai divertito, mentre entrò goffamente dentro la chiesa, cercando di non far cadere le scatole nel terreno.

~ Se non la avessi aiutata, mi chiedo quante scatole le sarebbero cadute durante il tragitto. ~

Disse la voce, divertita.

<< Si, concordo. >>
Risposi, con un sorriso malizioso.
Subito dopo, però, mi guardai intorno.

Le strade erano, ancora, completamente vuote. Non avevamo incontrato assolutamente nessuno negli ultimi dieci minuti... Per un villaggio grande come quello, era qualcosa di davvero insolito.

~ Non siamo soli, Yuu. ~

Mi disse la voce, subito dopo.

<< Venite fuori. >>
Esclamai, mentre mi guardai intorno.
Da dietro un angolo uscì rapidamente un grosso gruppo di persone armato di coltelli e armi da fuoco.

<< Mi piacerebbe sapere come tu ci abbia visto, ma ho paura che non potremo perderci in discorsi troppo a lungo. Non vorrei far del male a nessuno, davvero, quindi se vai via di tua spontanea volontà renderai il tutto più semplice. >>
Disse un uomo, facendo un passo in avanti.

Mi voltai verso di lui, schioccando le dita di entrambe le mani, con una espressione seria.

<< Suppongo sia un no. >>
Disse l'uomo, facendo un passo indietro.
I suoi compagni estrassero le loro armi e me le puntarono contro.

<< Mi dispiace, Blake. Ho paura che non potrò rispettare i patti. >>
Dissi tra me e me.

____________________________________________________________________________________________________________

Fine del capitolo 1-1, grazie dell'attenzione!
Vi do ufficialmente il benvenuto in questa serie, il primo capitolo dopo il prologo, spero che vi stia piacendo! 
Ovviamente, e questo vale da ora fino alla fine del libro, se notate errori non esitate a farmeli notare e provvederò ad aggiustarli (non dovrei averne fatto troppi, in ogni caso, visto che rileggo due o tre volte il tutto).
Alla prossima!



 

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Capitolo 3
*** Capitolo 1-2: Un incontro voluto dal destino ***


Capitolo 1-2: Un incontro voluto dal destino

 
Rimasi in silenzio, contando le persone che uscivano da dietro alcuni vicoli.
Da sei divennero otto, poi dieci. Era un gruppo troppo numeroso per essere dei semplici banditi, ma anche relativamente piccolo per essere l'unico in giro per le strade.

<< Siete troppi per essere semplici banditi. >>
Dissi, rompendo il silenzio intorno a noi.

<< Va' a casa, ragazzo. >>
Mi rispose l'uomo, facendo un gesto ai suoi subordinati.

<< Altrimenti. >>
Aggiunse, mentre quelle persone mi puntarono le loro armi contro.
Erano vestiti tutti con delle armature in pelle, o di maglia, marroni, e armati di armi da fuoco e da taglio.

Dieci in totale:
Due fucilieri, uno armato di coltello, uno di lancia, tre di spada e due di pistola.
Quell'uomo, invece, aveva una pistola e un coltello legati alla cinta.

<< Perché non andate via e basta, eh? Io non ho alcuna intenzione di andarmene. >>
Dissi all'uomo, con un tono cupo.

Non ricevetti risposta: fece un gesto a uno dei tre uomini armati di spada, il quale si lanciò rapidamente verso di me.

<< Come preferite, allora! >>
Dissi, preparandomi al contrattacco.


L'uomo cercò di colpirmi con un affondo in pieno petto, ma mi spostai di lato evitando l'attacco. Subito dopo lo colpii con un rapido pugno in volto: l'uomo, disorientato, fece un passo all'indietro reggendosi il viso con una mano e facendo versi di dolore.
Non appena si riprese lo colpii con un pugno nel mento, dall'alto verso il basso: cadde nel suolo, privo di sensi.

<< Avanti il prossimo. >>
Dissi, con un ghigno soddisfatto in volto, voltandomi verso il "leader".
Non era per niente stupito.

<< Uccidetelo, abbiamo altro da fare. >>
Disse ai suoi uomini.

I due fucilieri, e gli altri due armati di pistola, mi puntarono le loro armi contro, scaricandomi addosso i loro caricatori.

Rapidamente mossi un braccio davanti a me, come se stessi sollevando qualcosa dal suolo.
Dal palmo della mia mano uscirono una enorme quantità di nastri viola che si unirono rapidamente gli uni con gli altri, creando un gigantesco scudo davanti a me.


L' "Egida" era la mia migliore arma difensiva.

Questo era il nome che il mio maestro aveva scelto per quello scudo. Esso era formato da tantissimi nastri viola che si univano insieme, creando un gigantesco scudo sospeso in aria davanti a me, il quale poteva bloccare quasi qualsiasi cosa.
Era gigantesco, a forma d' ingranaggio viola.


Passarono una decina di secondi prima che la raffica di proiettili cessasse.
Feci scomparire l'Egida, riassorbendo i nastri con la mia mano, e poi guardai quelle persone con un ghigno divertito: quell'uomo era sorpreso.

<< Uh. D'accordo. >>
Disse, sorpreso.
Subito dopo si lanciarono contro di me quattro persone.
L'uomo armato di coltello provò a colpirmi, ma rapidamente gli afferrai il polso. Strinsi forte la presa, mentre lui cercava di liberarsi, fino a quando non fece cadere il coltello a terra. Subito dopo lo colpii con un pugno nel volto, facendolo cadere al suolo.

I due armati di spada furono i prossimi: uno provò a colpirmi con un fendente orizzontale, che evitai di spostandomi di lato. L'altro mi arrivò di lato, cercando di colpirmi con un secondo fendente, stavolta verticale. 

Non avendo il tempo per scansare anche questo attacco, feci materializzare rapidamente dei nastri viola, i quali uscirono dal palmo della mia mano e mi avvolsero un avambraccio, creando un grosso guanto metallico di colore viola intorno ad esso.
Portai l'avambraccio in avanti, intercettando l'attacco dell'uomo: non appena entrò in contatto con la spada, essa si spezzò come uno stuzzicadenti.

L'espressione dell'uomo era sorpresa e confusa, mentre osservava i resti della sua spada che cadevano rapidamente nel suolo. Approfittando della sua distrazione, lo colpii con un pugno dal basso verso l'alto, nel mento, facendo cadere anche lui nel suolo.

Nel frattempo il secondo uomo armato di spada mi stava correndo di nuovo contro.
Dopo aver fatto scomparire il guanto metallico, usai un singolo nastro come frusta per colpire l'uomo nel fianco.

Il terzo, e ultimo uomo, armato di lancia mi arrivò davanti, con l'intento di trapassarmi da parte a parte nel ventre.
Intercettai la sua lancia con il nastro viola, tagliandola nel mezzo, per poi corrergli incontro. Lo colpii con una ginocchiata nel ventre, seguita da un colpo dato con entrambe le mani dietro la nuca.

<< Prossimo? >>
Domandai, di nuovo, voltandomi verso le persone restanti, mentre l'uomo armato di lancia cadeva al suolo.
Il loro capo fece un verso infastidito, portandosi una mano nella cinta con l'intento di afferrare la sua pistola.

Rapidamente gli scagliai contro il nastro viola, colpendogli la mano e facendogli cadere l'arma al suolo. 
Guardò il nastro con una espressione sorpresa, il quale si avvolse intorno al suo polso: con la mano libera afferrò il coltello dalla sua cinta, con l'intento di tagliarlo.

<< Non lo taglierai con un semplice coltello. >>
Gli dissi, con un tono serio.

<< Cosa state facendo?! Sparatelo! >>
Disse, rivolgendosi ai suoi uomini, con un tono infastidito.

Rimase sorpreso notando che i "suoi uomini", con espressione preoccupate e spaventate, lo lasciarono da solo pochi istanti dopo.

Mi avvicinai verso di lui, lentamente, senza lasciare andare la presa sul suo polso.

<< Chi siete? Cosa volevate? >>
Gli domandai.

<< Non ti riguarda, ragazzino. È meglio che tu non ti metta in mezzo in questioni che non ti riguardano. >>
Mi rispose, con un tono infastidito.
Lo afferrai per la maglia, tirandolo verso di me con forza.

<< Siete dei ribelli, vero?!  Lo sapevo, eravate troppi per essere dei semplici banditi! >>
Esclamai, furioso.
Non mi rispose: mi guardò con una espressione cupa.

<< Non hai niente da dire, quindi?! Non solo ci sono i militari a trattarci come bestiame, ma anche quelli come voi! Odio i ribelli anche più di quanto non detesti l'impero: invece di aiutare le persone che soffrono come voi, le derubate e fate loro del male! Non provi davvero niente?! >>
Ero furioso, mi sembrava di esplodere da un momento all'altro.
Cominciai a respirare affannosamente, mentre stringevo sempre più forte la maglia dell'uomo, guardandolo dritto negli occhi e digrignando i denti.

<< Non hai alcun diritto di giudicarmi! Non hai la minima idea di cosa abbiamo dovuto fare per sopravvivere, scappare da loro è inutile: alla fine ti trovano. O li segui, o muori.  Credi che io non abbia provato a scappare da loro?! Non potevo dargli ciò che chiedevano, e siamo scappati! Ma ci hanno trovato: me, e la mia famiglia! Non hai la minima idea di cosa abbiamo provato, di cosa IO ho provato nel perdere mia moglie e vedere mia figlia stuprata davanti ai miei occhi! Non comportarti come se tu sapessi qualcosa, non sai un bel niente! >>

Mi rispose, con il fuoco negli occhi.
Rimasi in silenzio per qualche secondo ad ascoltarlo, mentre la mia presa su di lui si fece lentamente sempre più debole.
Lo capivo... Non aveva torto, lui non era altro che una vittima come tutti gli altri.
Ma non potevo scusarlo.

<< Faccio ciò che devo per sopravvivere. Per me e per mia figlia, anche se lei non ha bisogno di me. Non hai nessun diritto di giudicarmi: mi hanno ordinato di prendere ciò che c'era di valore nella chiesa, e ho obbedito. Ma tu ci hai fermati. Chi credi che soffrirà di più non appena tornerò da loro a mani vuote, eh? >>
Aggiunse, con un tono infastidito.

<< Non è una scusante. >>
Gli risposi, con un tono più calmo.

<< Meglio di morire. >>
Mi rispose, guardandomi dritto negli occhi.
Prima che potessi controbattere, sentii una voce femminile alle mie spalle.

<< Che sta succedendo qui? >>
Disse quella voce.
Mi voltai rapidamente, notando la ragazza dai capelli bianchi.

La sua espressione era preoccupata: si guardò intorno, notando delle armi nel terreno e alcune persone prive di sensi.
Mi guardò con occhi e bocca spalancati, portandosi le mani, unite, davanti al petto.

<< Cosa stai facendo qui fuori?! Torna dentro! >>
Esclamai, preoccupandomi per lei.
Non avrei mai dovuto distogliere lo sguardo da quell'uomo.


Un dolore indescrivibile pervase il mio corpo, seguito da un brivido nella schiena. 
Il nastro viola che avevo avvolto intorno al polso dell'uomo scomparve, e io caddi nel terreno dolorante, portandomi una mano nella spalla.

Un mio urlo di dolore pervase l'aria.
Mi guardai il braccio, capendo che quell'uomo mi aveva conficcato un coltello nella carne... Come se non bastasse, era proprio nella ferita che Blake aveva cucito poche ore prima.
Afferrai il coltello con una mano, estraendolo rapidamente. Emisi un secondo urlo di dolore mentre la lama usciva dalla mia spalla.

Non appena scagliai il coltello insanguinato al suolo, il mio sguardo cadde su quell'uomo: mi stava guardando con una espressione furiosa.

<< Te la sei cercata. >>
Mi disse.
Subito dopo si voltò verso la ragazza.

<< John? >>
Sentii dire da lei, con un tono sorpreso e spaventato.

<< Aspetta! >>
Esclamai, ma fu inutile: l'uomo uscì rapidamente dalla mia vista, girando un angolo e scomparendo nel nulla.
Abbassai lo sguardo nel terreno, ancora dolorante, con una mano sopra la ferita.
Potevo sentire il sangue che continuava a sgorgare dalla ferita, inzuppandomi la mano.
Respiravo faticosamente, mentre stringevo più forte possibile la ferita con la mano.

<< Oh mio Dio! >>
Sentii dire dalla ragazza, che si inginocchiò davanti a me.

<< Caz.... zo! >>
Esclamai, dolorante, senza guardarla, con il volto nel terreno.

<< P-Può rialzarsi? >>
Mi domandò con un tono preoccupato.
Non le risposi: cercando d' ignorare, per quanto possibile, il dolore, mi sollevai.
Le mie gambe tremavano, e vidi il sangue che gocciolava nel terreno.

<< Puoi aiutarmi? >>
Le domandai, con un occhio chiuso, sopportando il dolore.

<< C-Credo di poterlo fare! Per favore, mi segua dentro la chiesa! >>
Mi rispose, correndo verso il cancello di ferro e aprendolo.

<< Smetti di darmi del lei, mi stai facendo innervosire! >>
Esclamai, infastidito e dolorante.

<< S-Scusami! >>
Le sentii rispondere.

Respirando faticosamente e reggendomi la spalla, la seguii il più rapidamente possibile.
Non appena entrai all'interno della chiesa mi sedetti su una sedia che aveva preparato per me.

<< Siediti qui... Forse è meglio se ti levi la maglia per evitare che si attacci alla ferita con il sangue... >>
Mi disse, preoccupata.
Senza esitare neanche per mezzo secondo me la levai rapidamente, facendo attenzione a muovere il meno possibile il braccio ferito.
Non appena la lasciai cadere al suolo notai che era zuppa di sangue.

<< Quanto è brutta? >>
Domandai alla ragazza.

<< Non sono una dottoressa ma... Non è messa per niente bene... >>
Mi rispose, guardando la ferita.

Mi feci forza e sollevai leggermente il braccio destro per vedere la ferita.
Feci un verso infastidito.

<< Quel bastardo non poteva scegliere un posto peggiore per infilzarmi! Ha riaperto la ferita che Blake aveva cucito, merda! >>
Esclamai, chiudendo gli occhi e riabbassando il braccio.

<< Posso aiutarti, ma devi restare fermo... Ok? >>
Mi disse la ragazza.
Feci un cenno positivo con il capo.

<< Fa rapidamente, il dolore mi sta uccidendo! >>
Aggiunsi poco dopo.


La ragazza chiuse le palpebre e si inginocchiò davanti a me. 
Si mise in una posizione di preghiera, con capo inchinato e mani unite davanti al petto. Sotto il mio sguardo sorpreso, otto lame lucenti si materializzarono dietro di lei, fluttuando nell'aria e rivolte verso di me.

<< Cosa cazzo?! >>
Esclamai, preoccupandomi.

<< Ti prego, stai calmo... Non ti farà male, te lo assicuro! >>
Mi disse, senza aprire gli occhi e rimanendo in quella posizione.

Le otto lame si mossero lentamente verso di me, con la punta rivolta sulle mie ferite e cicatrici.
Lentamente cominciarono a penetrare dentro il mio corpo, ma era una sensazione strana: non provavo dolore e non mi stavano ferendo.

Sentivo una sensazione simile al piacere, in realtà.
Il mio respiro si fece sempre più lento, e mi lasciai andare: chiusi le palpebre, e dopo appena un minuto sentii di nuovo la sua voce.

<< Abbiamo finito... >>
Mi disse.
Quando riaprii gli occhi notai che lei era in piedi davanti a me, sorridendo, mentre le lame erano scomparse nel nulla.

<< Cosa è appena successo? >>
Le domandai, sorpreso e confuso, mentre mi guardai il corpo: tutte le cicatrici che avevo erano scomparse, anche la ferita che Blake mi aveva cucito era scomparsa nel nulla.
Sentivo, però, una sensazione di prurito dove prima ero stato accoltellato.

<< Sento prurito nel braccio... >>
Dissi.

<< S-Si, è normale... Ho curato le tue ferite, ma per qualche ora continuerai a provare quella sensazione di prurito dove prima c'era la ferita... Scusa, ma non posso fare niente per quello... >>
Mi rispose, abbassando lo sguardo.

<< No, non scusarti... Hai fatto un lavoro eccellente, sembra quasi che la ferita non ci sia mai stata... Come ci sei riuscita? >>
Le domandai, sorpreso.

<< È la mia abilità... Posso curare le ferite, fino a quando non sono troppo gravi... Ecco, già che c'ero ho pensato anche di rimuovere quelle cicatrici dal tuo corpo, non so se ho fatto bene... >>
Mi rispose, inchinandosi nel pavimento e afferrando la mia maglia.

<< Il bagno è di là, nonostante ho curato le tue ferite sei ancora zuppo di sangue... Nel mentre cucirò la tua maglia e la laverò, così poi potrai andare via senza attirare l'attenzione delle persone... Non passeresti inosservato con del sangue nel tuo braccio. >>
Mi disse, indicandomi una porta in legno a pochi metri da noi e dirigendosi verso un'altra stanza.


Quel posto era vecchio, ma allo stesso tempo non era male.
Sopra di me c'era un grosso lampadario appeso al soffitto in color oro, mentre davanti a me c'era un altare in argento. Il pavimento era fatto di marmo grigio, mentre sedie e panche erano in legno scuro.
Le vetrate erano a forma ovale composte da svariati pezzi di colore diverso uniti fra loro.


Dopo aver usufruito del bagno per lavarmi dal sangue che avevo addosso raggiunsi la ragazza nell'altra stanza.

<< Oh, hai finito? >>
Mi domandò, sorpresa dal mio arrivo.

<< Si, mi sono ripulito rapidamente dal sangue che avevo addosso... >>
Le risposi, guardandomi il braccio.
Cominciai a grattarmi istericamente dove prima c'era la ferita.

<< Continua a prudere, maledizione... >>
Aggiunsi, infastidito.

<< G-Già... Scusa ancora per quello, ma è un effetto indesiderato che non posso evitare... Comunque, la tua maglietta ora è pulita. Se mi dai una decina di minuti cucirò la ferita, e poi te la renderò. Va bene? >>
Mi domandò, mostrandomi la maglietta viola, zuppa, che indossavo fino a poco tempo addietro.

<< Conoscevi quel tipo? >>
Le domandai, appoggiandomi a un muro, con le braccia conserte.

<< Si... Il suo nome è John, ed è un falegname... Era da qualche anno che non lo vedevo più in giro... >>
Mi rispose, abbassando lo sguardo.

<< Era un membro dei ribelli, a quanto pare. Gli era stato ordinato di derubare la tua chiesa, e non voglio neanche pensare a cosa avrebbero fatto con te. >>
Le dissi, con un tono cupo.

<< N-No! Conoscevo sia lui che la figlia, non avrebbe mai potuto... >>
Mi rispose, abbassando lo sguardo, con un tono triste e le mani davanti al petto.
Stava stringendo forte la mia maglia inzuppata.

<< Forse non lui, ma c'erano altri nove uomini. >>
Le dissi, evitando di guardarla.

<< Credo... Che cucirò il taglio... >>
Mi rispose, dandomi le spalle.

Cadde uno strano silenzio per qualche minuto.
Avevo detto qualcosa che forse avrei fatto meglio a non dire.

<< Quale è il tuo nome, comunque? >>
Mi domandò, rompendo finalmente quel silenzio.

<< Yuushi Hikari. I miei amici mi chiamano Yuu. >>
Le risposi, rapidamente.

<< "Yuushi Hikari"? È... Un nome strano... >>
Mi rispose, con un tono stupito.

<< Già... Il mio Maestro lo scelse per me non appena mi trovò. In quel periodo non mi feci molte domande, anzi, credevo fosse figo. >>
Le risposi, sospirando.

<< Quindi non è il tuo vero nome? >>
Mi domandò, di nuovo, senza smettere di rattoppare la mia maglia.

<< No, non lo è. Questo nome, secondo il Maestro, doveva essere un "simbolo". Nella sua lingua, "Yuushi" significa qualcosa come "Eroe", mentre "Hikari" dovrebbe significare "Luce"... >>
Le risposi, spiegandole il significato del mio nome.

<< Oh, è carino. Mi piace. >>
Mi rispose, voltandosi verso di me.
Mi mostrò la mia maglia, con un grosso e gentile sorriso in volto. 


Rimasi quasi sorpreso vedendo quel sorriso.

<< Grazie mille. Davvero, non serviva che facessi tanto per me. >>
Le dissi, ricambiando il sorriso e muovendomi lentamente verso di lei. Afferrai la maglia e la indossai rapidamente: il mio sguardo cadde sul rattoppo.

<< P-Perché rosa? >>
Domandai, sorpreso e disorientato.

<< S-Scusa! Non avevo altro spago! >>
Mi rispose, deprimendosi.

Sospirai.

<< Non fa niente, va bene anche così. >>
Dissi.

<< Quale... 
È il tuo vero nome, quindi? >>
Mi domandò la ragazza.

Rimasi in silenzio per qualche secondo, guardandola con una espressione seria.

<< Se... Non ti dispiace dirmelo... >>
Aggiunse, quasi rimpicciolendosi. 

<< Gilles Leroy. >>
Le risposi, sospirando ed evitando il suo sguardo.

<< Non rivelerai il mio segreto, vero Gilles? >>
Mi domandò, con un tono spaventato.

<< Non chiamarmi con quel nome, ti prego. Non voglio più sentirlo. >>
Le risposi, con un tono infastidito.

<< Scusami... Yuu... >>
Si scusò rapidamente, abbassando lo sguardo.

<< Non so se lo hai visto, ma anche io ho una abilità. Non ho alcuna intenzione di rivelare il tuo segreto a nessuno, tranquilla. >>
Aggiunsi, concludendo il discorso.

<< Hai parlato di questo Maestro, ma non dei tuoi genitori... Sono morti? >>
Mi domandò, preoccupata.
Non le risposi.

<< Mi dispiace... Non volevo farmi gli affari tuoi... >>
Disse, scusandosi.

<< No, non sono morti...
È più complicato... >>
Le risposi, voltando lo sguardo.

<< Sei... Nato in questo paese, vero? >>
Mi domandò.
Non le risposi niente: il mio sguardo bastò per farle capire di non pormi altre domande.

<< Piuttosto, il tuo nome? >>
Le domandai, cambiando discorso.

La ragazza fece un verso sorpreso, quasi come se si fosse appena ricordata di qualcosa.

<< Oh! Mi dispiace, ero convinta di essermi presentata! >>
Esclamò, agitandosi.

<< N-Non devi agitarti per così poco... >>
Le dissi, cercando di farla calmare...
Inutilmente.

<< Il mio nome è Jeanne White! Piacere di conoscerti! >>
Aggiunse subito dopo, presentandosi e sorridendo.


Non so se è stato in quel momento, ma... Quel suo sorriso mi faceva sentire... Strano.
Era come un qualcosa che non avevo mai visto prima.
Ma non rimasi ancora a lungo in quel posto: dovevo incontrarmi di nuovo con Leona e il resto del gruppo. 

Dopo aver lasciato la chiesa, e aver salutato Jeanne, mi diressi verso il luogo di raccolta.

< Non ho finito la lista che mi era stata assegnata, alla fine... Spero non sia un problema... >
Pensai, mentre mi incamminavo nella strada.
Poco dopo, notai qualcosa di luminoso alla mia destra, sospeso in aria.

Mi voltai, rimanendo di stucco: era una di quelle lame che Jeanne aveva usato per curarmi.
Non appena mi fermai, la lama cadde al suolo: la raccolsi.

< È solida? >
Pensai, sorprendendomi dal fatto che potessi toccarla.

Il manico era a forma di croce, di colore oro, mentre la lama era chiarissima ai lati e più scura al centro.

<< Uh, è davvero bella. Mi chiedo quanto possa valere. >>
Dissi, istintivamente.

~ Vuoi venderla? ~

Mi domandò la voce.

Non risposi subito: il mio sguardo cadde su dei segni nell'impugnatura.
Erano delle lettere: " Y. H. ".

Un sorriso apparve nel mio volto.

<< Nah. Credo che stavolta non lo farò. >>
Gli risposi, mettendo la lama fra la cinta e i pantaloni, per evitare di perderla.


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Fine del capitolo 1-2, grazie di avermi seguito: alla prossima!



 

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Capitolo 4
*** Capitolo 1-3: Futuro ***


Capitolo 1-3: Futuro

 
<< Hey, Yuu! >>
Sentendo quelle parole alzai lo sguardo: in lontananza vidi Leona che mi faceva cenni con la mano. Notai ben presto che ormai l'intero gruppo si era già radunato per il viaggio di ritorno, mancavo solo io all'appello.

<< Rieccomi, scusate per il ritardo. Questo è quello che sono riuscito a trovare. >>
Dissi al capitano della spedizione, porgendogli una piccola busta grigio scura.
Guardò all'interno rapidamente, per poi leggere altrettanto rapidamente la lista che gli porsi insieme alla busta.

<< Hai preso tutto? >>
Mi domandò, confuso.

<< Non proprio. Mentre tornavo ho dato una rapida occhiata alla lista: mancano poche cose. >>
Gli risposi.

<< Mhh... D'accordo. Puoi rendermi il denaro che non hai speso? >>
Mi disse, appoggiando la sacca grigia nel carro di legno.


Tutta la roba che il nostro gruppo aveva acquistato era stata messa sopra un carro a due ruote, trainato da due cavalli marroni.


<< In realtà non ne ho. >>
Gli risposi.
Mi guardò con uno sguardo sorpreso per qualche istante, prima di realizzare le mie parole.

<< Cosa vuoi dire? Non li hai spesi, quindi ti sono rimasti. >>
Mi disse, confuso.

<< No. In tutta onestà mi sono scontrato per sbaglio con una persona, facendole cadere i suoi viveri nel terreno. Mi sentivo in colpa, in fondo era colpa mia, quindi ho deciso di ripagarle ciò che aveva perso. Dalla lista mancano dei cereali e dell'acqua, non è niente di così fondamentale. Si, ovviamente ci farebbero molto comodo, ma dubito che la loro assenza sia così problematica. >>
Gli risposi, spiegandogli i miei motivi.
L'uomo si portò una mano nei capelli, grattandosi il retro della nuca.

<< Non sto dicendo che sia un problema, ma non possiamo andare in giro a fare gli eroi di chi si trovi in difficoltà. Dobbiamo pensare a noi stessi, queste persone non sarebbero così buone con noi se sapessero da dove proveniamo. >>
Mi rispose, preoccupato, quasi facendomi una ramanzina.
Non era arrabbiato, però.

<< Lo capisco, non preoccuparti. Non rimpiango la mia scelta. >>
Gli risposi, con un tono serio.

<< Va bene, va bene. >>
Mi rispose, dandomi le spalle.

<< Muoviamoci, è ora di andarcene! >>
Esclamò al gruppo.


Dopo aver detto quelle parole lasciammo il villaggio, dirigendoci di nuovo verso la nostra comunità.
Poiché vivevamo in una zona sopraelevata nel mezzo di una foresta, il viaggio di ritorno era sempre più stancante dell'andata a causa dell'angolazione.
Seguimmo per qualche centinaio di metri un sentiero battuto, per poi deviare ed inoltrarci nel mezzo della foresta, prendendo dei sentieri che nessuno aveva segnato.

Per circa metà del viaggio potevo sentire lo sguardo di Leona posato su di me.

<< Cosa c'è? Vorresti confessarmi il tuo amore proibito, per caso? >>
Le domandai ad un certo punto, rompendo il silenzio intorno a noi.

<< Dove hai preso quella spada? >>
Mi domandò, ignorando la mia provocazione, indicando la lama che avevo messo tra la cinta e i pantaloni.

<< Diciamo sia un regalo. Devo ancora decidere se portarmela dietro in un fodero o se tenerla nella mia stanza al villaggio. >>
Le risposi, toccando l'elsa della spada con una mano.

Leona si avvicinò lentamente a me, osservando la strana lama.

<< E' davvero... Inusuale. La hai comprata con i soldi che non hai reso? >>
Mi domandò.

<< Chi credi che io sia? Non userei mai i soldi del villaggio per il mio tornaconto. E' un regalo. >>
Le risposi, infastidito dalla sua affermazione.

<< Scusami... Per quale motivo te la hanno regalata? >>
Mi domandò, di nuovo, dopo essersi scusata.

<< Hai per caso visto dei banditi, o qualcosa del genere, dentro la cittadina? >>
Le domandai, prima di risponderle.

<< No... Ma perché hai ignorato la mia domanda? >>
Mi rispose, confusa.

<< Non la sto ignorando, anzi. >>
Le spiegai.

<< Mh? >>
Fu l'unica risposta che mi diede.

<< Ho detto che mi sono scontrato con una persona, no? Ecco, dopo averla aiutata ho deciso di accompagnarla a casa sua. Pochi istanti dopo, un gruppo di ribelli sono usciti fuori dal nulla con l'intento di derubare la chiesa. Non potevo semplicemente andarmene, quindi li ho combattuti. Sono rimasto ferito e lei mi ha curato: questa spada è il suo "regalo di addio". >>
Le spiegai, afferrando la spada e passandogliela.
Leona la guardò per qualche secondo, sorpresa e interessata a quel pezzo di metallo.

<< Quindi... Ti hanno visto? Sei impazzito?! Delle persone potrebbero averti visto usare i poteri. >>
Mi rimproverò, puntandomi contro la lama.

<< Ehi, abbassala prima di fare del male a qualcuno! Non mi ha visto nessuno: le strade erano deserte, e non è uscito nessuno dalle case. Erano tutti impauriti da quel gruppo di ribelli, non ho visto neanche persone affacciarsi dalle finestre delle loro abitazioni. Sono abbastanza sicuro che sia andato tutto liscio come l'olio. >>
Le dissi, sorridendo, mentre le presi la spada dalle mani, rimettendola tra la mia cinta e i pantaloni.

<< No, quella ragazza che ti ha curato ti avrà visto, no? Ti avrà fatto delle domande. >>
Mi domandò Leona, preoccupata.

<< Beh, si. Ma non è un pericolo, te lo assicuro. >>
Le risposi, cercando di rassicurarla.
Leona si portò una mano davanti alla bocca, assumendo una espressione spaventata.

<< Oh mio Dio! Per non farla parlare la hai uccisa! >>
Disse, prendendomi per i fondelli.

<< Non... Sono un mostro, Leona. >>
Le risposi, leggermente infastidito.

Mi guardò in silenzio per qualche istante prima di fare un verso dubbioso.

<< Dipende dai punti di vista. >>
Mi rispose, facendomi l'occhiolino.

<< Ho intenzione d'ignorare completamente ciò che hai appena detto. Tornando al topic principale, quella ragazza ha dei poteri di guarigione. Mi ha curato e poi lasciato andare. Ecco perché dubito seriamente che possa rivelarsi un problema. >>
Le spiegai, con un tono infastidito, cercando però d'ignorare la sua provocazione.

<< Ci sono ancora persone con abilità speciali li dentro? Sono scioccata... Non ne avevo la minima idea... >>
Mi rispose, sorpresa.

<< Neanche io me lo aspettavo: credevo onestamente che fossero tutti scappati da tempo. E' quindi possibile che ci siano altre persone con abilità speciali nascoste nella cittadina, vivendo come persone normali. >>
Le risposi.

<< Noi siamo normali, però... >>
Mi rispose Leona, abbattendosi leggermente.

<< Non dal loro punto di vista. Suppongo che queste persone siano legate ai loro compagni, familiari, amici... O anche a quel posto, e preferiscono fingere di essere come loro piuttosto che andarsene. Non posso dire di non capirli, ma io non rimarrei insieme a qualcuno che potrebbe pugnalarmi alle spalle da un momento all'altro. >>
Le spiegai.

<< Hai ragione... Piuttosto, però. Nonostante Blake ti abbia detto di non fare movimenti bruschi tu hai combattuto con dei ribelli! Non sarà di certo felice. >>
Mi rimproverò subito dopo, puntandomi un dito contro e guardandomi con una espressione infastidita.

<< A proposito di quello. >>
Le dissi, sorridendo, mentre mi sollevai la manica destra fino a sopra la spalla.
Leona fece un salto all'indietro, sorpresa, guardandomi con occhi e bocca spalancati.

<< Cosa!? Come è possibile!? >>
Esclamò, confusa.

<< Quella ragazza ha abilità rigenerative incredibili. >>
Le risposi, abbassando la maglia.

<< Non solo sembra che la ferita non ci sia mai stata, ma è stata anche così gentile da curare tutte le cicatrici che avevo sparse nel mio corpo.  >>
Aggiunsi, sorridendo.

<< E' incredibile! Qualcuno come lei tornerebbe davvero utile nella nostra comunità! Sei sicuro sia stata una scelta saggia lasciarla da sola? Può difendersi? Quei ribelli torneranno all'attacco? Se me lo avessi detto prima ne avremmo parlato con il capo, magari saresti potuto restare li e convincerla! >>
Mi domandò, preoccupata.

<< Li ho conciati per le feste, sia fisicamente che mentalmente. Uno di loro è riuscito a ferirmi, ma non era di sicuro felice. Sono rimasto di guardia per un bel po', ecco perché sono arrivato in ritardo al luogo di incontro, e non credo che torneranno all'attacco oggi. Passa abbastanza inosservata. Lo so per esperienza. >>
Le risposi, cercando di rassicurarla.

<< Anche se mi dici così, ci sono le chance che possano tornare all'offensiva mentre non ci sei... >>
Mi rispose, con un tono preoccupato, portandosi una mano sotto al mento.

<< E' vero, potrebbero. Ma, se fossi al loro posto, non tornerei così presto dove potrebbe esserci qualcuno che mi ha appena preso a calci. Sicuramente torneranno all'attacco, ma non credo sia oggi.  >>
Le risposi, sorridendo e cercando di farla calmare.

<< Spero tu abbia ragione... Se diventasse parte della nostra comunità potrebbe anche darci una grossa mano nel colloquio... >>
Mi rispose.

Quelle sue parole mi lasciarono di stucco: mi fermai di colpo, guardandola in silenzio per qualche secondo, confuso.

<< Cosa vuoi dire? Che colloquio? >>
Le domandai, mentre Leona mi superò.

<< Eh?! O-Oh... Niente, non farci caso... Stavo parlando con me stessa. >>
Mi rispose, agitandosi e dandomi rapidamente le spalle.

<< Cosa mi stai nascondendo, si può sapere? >>
Le domandai di nuovo, infastidito dal suo comportamento misterioso e spaventato.
Rapidamente accellerò il passo, cercando di lasciarmi indietro.

<< Leona? Leona! >>
Esclamai, cercando di attirare la sua attenzione, inutilmente.

<< Mirajane Lion! Non ignorarmi! >>
Urlai, furioso, raggiungendola rapidamente e afferrandole una spalla.

Leona si fermò, abbassando lo sguardo e osservando in silenzio una roccia vicino a noi. Per qualche istante cadde un silenzio tombale, rotto solo dal rumore delle foglie e di un ruscello a pochi metri di distanza da noi.

<< Cosa non mi stai dicendo? >>
Le domandai, rompendo il silenzio.

<< Niente, per favore... Non è davvero niente... >>
Mi rispose, senza guardarmi.
Il suo tono era dispiaciuto e preoccupato.

<< Parla. Ora. >>
Le dissi, con un tono minaccioso.
Leona si voltò lentamente verso di me, contiuando però ad evitare il mio sguardo.
Si resse un braccio con una mano, sembrava quasi impaurita.

<< Hey, non so cosa ti stia spaventando così tanto, ma sai perfettamente che non sono una persona violenta. >>
Le dissi, infastidito dal suo comportamento.

<< Il maestro ha deciso di far avere un colloquio a me, te e Blake per diventare soldati dentro le mura. >>
Mi rivelò rapidamente, senza guardarmi.

Ci misi qualche secondo a realizzare cosa mi avesse appena detto, durante i quali rimasi immobile a guardarla con la bocca spalancata e uno sguardo confuso, reggendole ancora la spalla con una mano.

Non appena la lasciai andare, cominciai a sentire la rabbia crescermi dentro: credevo di esplodere da un momento all'altro.

<< Stai scherzando, vero? >>
Le domandai, innervosito, sperando che non fosse seria.
Non mi rispose.

<< Quando avevi intenzione di dirmelo!? >>
Esclamai, furioso, stringendo i pugni e digrignando i denti.

<< Non prendertela con me! Il Maestro ha detto che ti avrebbe avvertito, la cosa mi è sfuggita di bocca... >>
Mi rispose, cercando di scusarsi.

<< Da quanto lo sapevi? >>
Le domandai, ignorando le sue parole.

<< Due... Settimane... >>
Mi rispose, chiudendo le palpebre.

<< Due sett- ... Mi stai prendendo per il culo?! Non ci posso credere! >>
Esclamai, dandole le spalle e colpendo un albero con un forte pugno.

<< Ho intenzione di parlare con il Maestro e fargli cambiare idea.>>
Aggiunsi, incamminandomi di nuovo per il sentiero con un passo innervosito.



Non appena arrivai alla nostra comunità mi diressi rapidamente verso l'entrata dell'edificio principale, ma venni fermato da qualcuno.
Mi voltai rapidamente, sentendo qualcuno che mi chiamò per nome.

<< Hey, Yuu! Puoi darmi una mano un secondo? >>
Mi domandò una persona: era il capo della spedizione a cui avevo appena preso parte.

<< Non puoi aspettare qualche minuto? Avrei una cosa importante da fare. >>
Gli risposi, cercando di nascondere il mio nervoso.

<< Per favore, ci vorrà un secondo... E' davvero una cosa problematica... >>
Mi rispose, implorandomi.
Sbuffai, ma decisi di dargli una mano.

Non appena mi avvicinai a lui mi indicò una catena del carico.

<< Ci stavamo preparando a scaricare tutto, quando ho notato che la catena che reggeva il carico si è rotta. Se proviamo a scaricare qualcosa c'è il rischio che cada tutto al suolo, e preferirei evitarlo. >>
Mi spiegò, rapidamente.

<< Quindi vuoi che io aggiusti la catena, giusto? >>
Gli domandai.
Mi rispose con un cenno positivo della testa.

<< D'accordo. >>
Risposi, allungando un braccio verso la parte rotta della catena che reggeva il carico del carro.
Un singolo nastro viola si materializzò nel palmo della mia mano, per poi dirigersi verso la catena: rapidamente avvolse la parte spezzata, legandosi ad essa e riparandola.
Era tornata come nuova nel giro di un secondo, senza lasciare nessuna traccia del mio nastro viola.

<< Mi devi un altro favore, Jayce. >>
Gli dissi, sorridendo.
Jayce mi mise un braccio intorno al collo, per poi fare una risatina.

<< Quando vuoi vieni pure al negozio di mia moglie, ti offro qualcosa da bere! Avanti ragazzi, tempo di scaricare tutto! >>
Esclamò, dopo avermi lasciato andare, dirigendosi verso un piccolo gruppo.


Dopo quella piccola deviazione, mi diressi rapidamente verso l'abitazione del Maestro.
Aprii rapidamente la porta scorrevole di un "dojo".

Il pavimento era in legno scuro e la stanza era enorme, quasi vuota.
Al suo interno vi era solo il Maestro, seduto nel pavimento con le gambe incrociate a meditare, con le spalle rivolte verso l'entrata.

<< Non si bussa più? >>
Mi domandò, con un tono calmo.

<< Perché non ne ero al corrente, Maestro? >>
Gli domandai, infastidito.

<< Di cosa parli, Yuu? >>
Mi domandò, senza voltarsi.

<< Il colloquio. >>
La mia risposta fu secca.

Lo sentii fare un profondo respiro, per poi voltarsi lentamente verso di me.
Era invecchiato parecchio dal giorno in cui lo incontrai.

<< Quindi sei venuto a saperlo, eh? >>
Disse, quasi desolato.

<< Quando aveva intenzione di dirmelo?! >>
Domandai, infastidito, mentre mi avvicinai lentamente a lui.

<< Quando lo avrei reputato giusto. So perfettamente quanto tu detesti i miliari e l'impero, ed è esattamente per quello che stavo aspettando il momento giusto per parlartene. Dovresti capire che ciò che sto cercando di fare è qualcosa per il vostro bene. >>
Mi rispose, con un tono calmo e gentile, guardandomi con occhi stanchi.

<< "Il nostro bene"? Cosa c'è di buono nell'andare a lavorare per dei bastardi che ignorano chi necessita di aiuto?! >>
Gli risposi, furioso, stringendo un pugno e guardandolo con uno sguardo cupo.

<< Yuu. Non sono questi i modi che ti ho insegnato. >>
Mi rimproverò rapidamente, con un tono autoritario.
Sentendo le sue parole abbassai lo sguardo, calmandomi.

<< Chiedo scusa... >>
Gli risposi, rattristandomi.

<< Yuu, sei abbastanza maturo da capire che l'odio non fa altro che generare altro odio. Sappiamo entrambi quanto sia difficile vivere al di fuori delle mura, combattere per non morire di fame, razionare il cibo per farlo durare il più al lungo possibile... Ma se tutti la pensassero come te, allora le cose non potrebbero mai migliorare. Se non dai mai una chance a qualcuno per redimersi, allora non ci sarà mai un cambiamento. Se le cose seguiranno questa strada, un giorno ci sarà un bagno di sangue... Ma possiamo provare ad evitarlo. Se qualcuno proveniente dall'esterno riuscisse a guadagnare prestigio dentro le mura... Potrebbero anche aiutare chi è rimasto al di fuori, non credi? >>
Mi spiegò, mentre si alzò lentamente dal pavimento. Si incamminò verso di me, appoggiandomi una mano nella spalla e guardandomi con un sorriso stanco ma gentile.

<< Quindi mi stai dicendo di andare dentro le mura e vivere come se non sapessi quanto le persone soffrano al di fuori? >>
Gli domandai.
Non riuscivo a credere alle sue parole, ero furioso. 

<< Yuu, quando mai ho pronunciato tali parole? Non sentire solo quello che vuoi sentire. Io sto guardando ad un futuro migliore, che magari tu, Mirajane o Blake potete aiutare a costruire. Non ti fidi di me? >>
Mi domandò, mentre quel suo stanco sorriso venne sostituito da una espressione triste e confusa.

<< No, al contrario... Per me lei è il padre che ho perso tanti anni fa: se non avessi fiducia in lei, Maestro, in chi dovrei riporla? >>
Gli risposi, rattristandomi insieme a lui.

<< E allora abbi fiducia nelle mie scelte, Yuu. Abbi fiducia nei tuoi compagni. Abbi fiducia negli umani. Non sei obbligato ad accettare, ma almeno prova a dar loro una chance. Se nessuno prova, le cose non miglioreranno mai. Vedendo le vostre capacità, forse comincerebbero a valutare l'idea di prendere più persone dall'esterno. L'Arcadia non è una tirannia: anche loro vogliono la pace, la sicurezza e che il loro regno prosperi. Io tengo a te, Mirajane e Blake più di chiunque altro, siete quasi figli per me. E per questo voglio che voi possiate vivere tranquillamente, senza nessuna eccessiva preoccupazione... E il modo migliore è dentro le mura. >>
Mi spiegò, sorridendomi di nuovo.

<< Non accetteranno mai di aiutare chi si trova fuori dalle mura. Anche se diventassimo importanti, penserebbero solo al loro tornaconto personale. >>
Gli risposi, dubbioso.

<< Forse hai ragione. Potresti rinunciare... O potresti dimostrare che hanno torto. Ho fiducia in voi: se entraste dentro le mura, magari un giorno potreste ottenere così tanta influenza da agevolare chiunque sia all'esterno. "Non ce la faremo mai" potresti rispondermi... E se, invece, ci riusciste? Non possiamo vedere il futuro, possiamo solo fare ipotesi e teorie. Ma una cosa è certa: se nessuno prova, niente cambierà. >>
Mi disse, lasciandomi andare.
Lo guardai in silenzio, dritto negli occhi, con uno sguardo triste e preoccupato.

<< So cosa ti spaventa, e so cosa tu vuoi fare. Vorresti vedere una nazione sicura, dove chiunque possa vivere in tranquillità, giusto? E' una utopia, e tale resterà se non scenderai in prima fila per cambiare le cose. E, al momento, non vuoi neanche provare a cambiare le cose per paura di fallire. Meglio che tu impari questa lezione ora, Yuu: non raggiungerai mai i tuoi obiettivi solamente facendo quello che ti aggrada. Molte volte ti ritroverai a fare cose che non avresti mai voluto fare, ma ciò non significa che non possano rivelarsi quelle giuste. >>
Mi disse, concludendo il suo discorso.

Abbassai lo sguardo, evitando di guardarlo negli occhi.
Non volevo farlo, ma aveva ragione. Se non avessi mai fatto niente, non sarebbe mai cambiato niente.

<< Ricorda, se non ti senti pronto puoi tornare qui. Nessuno ti sta obbligando, è un semplice colloquio. Parla con loro, mostra la tua determinazione e i tuoi ideali. Mostra a loro la forza che hai mostrato a me quando hai deciso di combattere. Dai loro una chance. Potrebbe rivelarsi la scelta giusta. >>
Mi disse, dandomi le spalle e tornando alla sua meditazione.


Non appena lasciai l'edificio del maestro mi trovai Leona davanti, ad aspettarmi.

<< Cosa c'è? >>
Le domandai: mi sentivo depresso.

<< Come... E' andata? >>
Mi domandò in ritorno, preoccupata.

Sospirai, per poi portarmi una mano dietro la nuca, grattandomi la testa.

<< Parteciperò al colloquio. Ma non prometto niente. >>
Le dissi, superandola.

<< Beh, meglio di niente. Oh, comunque vai da Blake: voleva vederti! >>
Le sentii dire alle mie spalle.
La salutai con una mano, senza voltarmi, per poi dirigermi dal ragazzo.



<< Ok, uhm. Pretendo spiegazioni. >>
Mi disse Blake, mentre ispezionava attentamente il mio petto, la schiena e la spalla dove fino a poche ore prima avevo una grossa ferita.

<< Per farla breve, nel villaggio ho incontrato una ragazza con delle abilità curative fuori dal comune. >>
Gli spiegai, riassumendo molto rapidamente l'accaduto.

<< Ci sono ancora persone con abilità nel villaggio? Sono scioccato. >>
Mi rispose, mentre mi punzecchiò la spalla destra con un ago.

<< A quanto pare si. >>
Gli risposi, leggermente infastidito dai suoi "esperimenti".

<< Sei davvero nuovo di zecca: non c'è neanche il minimo segno della ferita, o delle cicatrici in giro nel tuo corpo. Sono senza parole. Qualcuna come lei... Potrebbe davvero farci comodo qui. >>
Mi disse, sedendosi di nuovo nella sua scrivania e afferrando alcune cartelle.

<< Non bastate voi dottori? >>
Gli domandai, mentre mi rimisi la maglia viola.

<< Si, siamo abbastanza... Però qualcuno con una abilità del genere potrebbe facilitare il lavoro in una maniera assurda... Sarebbe incredibile per me avere un'assistente come lei nel mio ufficio... Dici che accetterebbe di venire da noi se glielo chiedessimo? >>
Mi domandò, esaminando alcuni fogli presi dalle cartelle.

<< Non ne ho idea, non chiederlo a me. >>
Gli risposi, confuso quanto lui.

<< Beh, allora andremo a chiederlo direttamente a lei. >>
Mi disse, appoggiando i fogli nella scrivania e guardandomi con un sorriso divertito.

<< Assolutamente no. Serve a te, non a me: quindi sarai tu a parlarle. >>
Gli risposi.

<< Non so dove si trovi, lo sai vero? >>
Mi disse, con un tono infastidito.

<< La chiesa. Nel villaggio ce ne è una sola. >>
Gli risposi rapidamente, con un tono serio.

<< Non rendermi le cose difficili, Yuu! Se mi accompagni lei non sarà così diffidente, non credi? >>
Mi rispose, arrotolando dei fogli e colpendomi in testa con essi.

<< Alla fine dei conti, mi obblighi sempre a fare quello che vuoi tu, vero? >>
Gli domandai, infastidito, ma sorridendo.


____________________________________________________________________________________________________________

Fine del capitolo 1-3, alla prossima e grazie dell'attenzione!

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 1-4: Jeanne White ***


Capitolo 1-4: Jeanne White
 

Rapidamente chiusi la porta di legno alle mie spalle, appoggiandomi di schiena ad essa.
Rimasi immobile per qualche secondo a fissare davanti a me, senza proferire parole. Le mie labbra tremavano, esattamente come anche le mie mani.


Era un posto molto piccolo, ma ci tenevo tanto: venni abbandonata davanti a quella chiesa, dopo essere nata. Era la mia amata casa.


Improvvisamente sentii il mio corpo venir pervaso dal rimorso e mi sedetti nel terreno, portandomi le mani nel volto.

<< Perché lo ho fatto?! >>
Esclamai, coprendomi il volto, imbarazzata.
Continuai a fare versi imbarazzati per qualche secondo, ripensando a ciò che avevo appena fatto.

<< E se non dovesse piacergli? Magari odia le armi? E se dovesse venderla, o gettarla via?! Ahhh, mi sento così stupida! >>
Esclamai, terribilmente imbarazzata e preoccupata, senza levarmi le mani dal volto.

<< Che succede, Jeanne?  >>
Sentii dire da una voce femminile che conoscevo molto bene.

<< V-Volevo solamente ringraziarlo a dovere, ma non sapevo come fare! Se ne stava andando via e non sapevo se bastasse un grazie, così ho semplicemente agito... Ahh! >>
Esclamai, continuando ad agitarmi, senza levarmi le mani dal volto.

<< Sei davvero cotta come un peperone. >>
Mi disse quella persona.
Rapidamente mi levai le mani dal volto e la guardai.

<< Non è così! Ho agito senza pensare, e ora ho paura che possa dire dei miei poteri e- >>
Le dissi, spaventata.

<< Calmati, Jeanne. Ti stai agitando per niente, non è da te.  Anche lui aveva dei poteri, da quanto abbiamo visto entrambe, quindi che motivo avrebbe di rivelare le tue capacità, considerando che lo hai anche aiutato? >>
Mi disse quella persona, cercando di farmi calmare, con un tono gentile e rilassato, sorridendomi e porgendomi una mano per aiutarmi a rialzarmi.

<< Già, è vero. Hai ragione, non dovrei agitarmi così... >>
Le risposi calmandomi, finalmente, e ricambiando il sorriso.
Quel suo sorriso... Riusciva sempre a mettermi di buon umore.

Ahh, quei lunghi capelli biondi... Da piccola adoravo farle le trecce.
Mi guardava con occhi lucidi e verdi come smeraldi, potevo quasi rispecchiarmi in essi, un enorme e gentile sorriso in volto con una mano rivolta verso di me.
Indossava sempre un corpetto nero che lasciava scoperto parte del minuto petto e una lunga gonna rossa con dei cubi bianchi disegnati in essi.

Afferrata la sua mano, mi rialzai rapidamente dal pavimento.

<< Più che altro mi chiedo se hai fatto una scelta giusta nel dargli una delle tue Otto Lame. Sei sicura non sia un problema? Non voglio intrometterti, ma ti ricordo che sono collegate a te... Se per caso dovesse rompersi- >>
Mi disse, con un tono preoccupato.
Prima che potesse finire la fermai.

<< Non preoccuparti, Beatrice. Anche se una dovesse rompersi non corro alcun pericolo. E' tutto ok. >>
Le dissi, sorridendole, con le mani giunte dietro la schiena.


Scoprii la mia abilità a nove anni, proprio grazie a Beatrice. Potevo, letteralmente, materializzare la mia "essenza", la mia "anima" sotto forma di Otto Lame lucenti. Queste lame, però, sono solide: possono venire danneggiate. Posso usarle per curare ferite, usarle come armi, come scudo... Per tante cose in realtà, sono molto resistenti.
Il problema nacque quando scoprimmo cosa accadeva se le lame si spezzavano... Subivo un "contraccolpo", e innumerevoli ferite comparivano nel mio corpo.
Fortunatamente, posso ricrearle quando accade, ma mi serve del tempo per farlo.
Però... Considerando i danni che subisco quando una si rompe...
"Se dovessero rompersi tutte insieme, o prima che tu possa ricreare le altre, è possibile che tu possa morire."

Furono le parole che mi disse Beatrice, quel giorno, avvertendomi.

Non conosco molto del suo passato, non me ne ha mai parlato fino in fondo. Sembra una donna di circa trenta o trentacinque anni, ma a volte... Sembra abbia vissuto molto più a lungo. Da quando la conosco non sembra essere invecchiata nemmeno di un giorno, e ogni volta che provo a farle delle domande sul suo passato vengo ignorata o mi da risposte vaghe prima di cambiare rapidamente discorso.
Pure lei ha una abilità, anche se non ne conosco i dettagli: può "scomparire" ed "entrare" dentro il mio corpo... Non so come, ma può farlo.

Fin da quando ho memoria, delle voci mi hanno accompagnato ogni giorno della mia vita. Un giorno, una donna apparve dal nulla davanti a me: era Beatrice.
Lei era la causa di quelle voci che sentivo.
Vivevo in un convento in quel tempo, insieme ad almeno altre cinque suore... Con il passare del tempo sono andate via tutte, per un motivo o un altro, lasciando me e Beatrice da sole.
Nonostante i segreti che aveva, mi fidavo di Beatrice: era come una sorella per me, e se non voleva parlarne di sicuro c'erano dei validi motivi.


<< Hey, Beatrice... >>
Le dissi, dopo qualche minuto di silenzio.

<< Dimmi, Jeanne. >>
Mi rispose, sorridendo, interessata alle mie parole e confusa dal mio sguardo preoccupato.

<< Hai... Sentito quella voce maschile, vero? >>
Le domandai, spaventata.

Non appena pronunciai quelle parole il suo sguardò cominciò a tremare: sembrava terrorizzata.

<< Si... La ho sentita, ovviamente... >>
Mi rispose, evitando il mio sguardo.

<< Sembrava che stesse parlando con lui, vero? E' da quando lo ho incontrato che ho iniziato a sentire quella voce... E ora non la sento più... >>
Le dissi, leggermente impaurita.

<< E' ovvio che quel ragazzo, Yuushi Hikari, sia connesso a qualcuno esattamente come lo siamo io e te... Però è strano che tu possa sentire quella voce, mentre lui non possa sentire me... E, come se non bastasse... Credo di conoscere quella voce... >>
Mi rispose, facendo respiri profondi: era palesemente preoccupata.

<< Mi vuoi dire qualcosa? Devo preoccuparmi anche io? >>
Le domandai.
Non lo nego: in quel momento ero impaurita, ma anche incuriosita.

<< No, lasciamo perdere. Meno ci intromettiamo e meglio è. >>
Mi rispose, evitando la mia domanda, e scomparendo nel nulla.
Come al solito, una risposta criptica.



La mattina successiva mi alzai presto: uscii di chiesa per fare le spese per il pranzo, evitando però di fare il macello del giorno precedente.
Come ogni giorno, venni salutata dalla maggior parte dei miei compaesani.
Ero molto conosciuta, mi stimavano tutti. Vedendoli ogni giorno avevo ormai imparato a conoscerli.

Come mio solito, prima di tornare alla chiesa mi diressi verso un orfanotrofio per giocare per circa un quarto d'ora insieme a dei bambini.
Li adoravo, e loro adoravano me. 
Ho sempre amato i bambini.


Finalmente, in tarda mattinata, tornai alla chiesa.

<< Ti sei trattenuta più del previsto. >>
Mi disse la voce di Beatrice, mentre appoggiai una busta grigia con svariati viveri sopra un tavolo.

<< Scusami, ma adoro troppo quei bambini. >>
Le risposi.
Dopo aver detto quelle parole, delle particelle color oro cominciarono ad uscire dal mio corpo, riversandosi davanti a me in un vortice dorato sospeso in aria.
Rapidamente le particelle cominciarono ad assumere una forma fisica, umana. 
Beatrice apparve da esse.

<< Mi chiedo se, sapendo della tua abilità, la gente continuerebbe ad essere così gentile con te. >>
Mi disse, dubbiosa.

Abbassai lo sguardo per un istante, preoccupata.

<< Sono sicura che non mi odierebbero... Forse ne sarebbero spaventati, ma credo che potrei parlare con loro. >>
Le risposi, sicura di me.

<< Sei fin troppo positiva... I legami umani sono fin troppo fragili... >>
Mi disse, quasi divertita dalle mie parole.

Subito dopo aver pronunciato quelle parole, sentimmo bussare alla porta di legno.

<< Arrivo subito! >>
Esclamai, dirigendomi verso l'entrata.
Nel mentre, Beatrice scomparve nello stesso modo con cui era apparsa, tornando "dentro di me".

Lentamente aprii la porta della chiesa, per accogliere chiunque fosse all'entrata.


<< Come posso aiutarvi? >>
Domandai alla persona che mi trovai davanti.
Era un giovane ragazzo con capelli neri, corti, e occhi verdi. Indossava un camice bianco.

<< Hey! Sei Jeanne White, giusto? >>
Mi domandò, sorridendo e porgendomi la mano.

<< Si, sono io. Cosa posso fare per voi? >>
Gli domandai, sorpresa dal fatto che mi conoscesse.

Istintivamente il mio sguardo cadde dietro di lui, notando un'altra figura alle sue spalle.
Aveva una espressione seria e le braccia conserte: lo riconobbi subito.
Gli sorrisi, poi il mio sguardo cadde nella sua cinta.

<< AH! >>
Esclamai, indietreggiando e sbattendo con forza la porta davanti a me.
Imbarazzata, mi portai le mani nelle guance.

<< Perché lo hai fatto?! >>
Sentii dire da Beatrice, con un tono confuso.

<< A-Aveva la Lama che gli ho regalato in un fodero, legata alla cinta! >>
Dissi, imbarazzata.

<< E reagisci così?! >>
Mi domandò, infastidita e confusa.

<< Quella lama è una parte di me! Non ci ho pensato quando gliela ho data, ma si sta portando dietro una parte di me! >>
Le risposi, rimarcando il fatto che fosse  parte di me.


<< Amico, cosa le hai fatto? >>
Sentii dire dal ragazzo che avevo visto davanti alla porta, dopo qualche secondo di silenzio.

<< Non le ho fatto niente, non stressarmi! >>
Gli rispose Yuu, con un tono innervosito.

Dopo un grosso sospiro mi calmai, e riaprii lentamente la porta.

<< C-Chiedo scusa! Ero sorpresa, non mi aspettavo di rivedervi. >>
Dissi, sorridendo.

Il ragazzo dai capelli neri fece una strana risatina.

<< Potremo parlare? Se non ti dispiace. >>
Mi chiese subito dopo, portandosi una mano sotto al mento.

<< A che proposito? >>
Gli chiesi, incuriosita.

<< Ciò che è successo ieri. >>
Mi spiegò rapidamente, ricambiando il mio sorriso.

<< O-Oh! In tal caso, prego accomodatevi. Non credo sia il caso di parlarne all'esterno. >>
Dissi, aprendo la porta completamente e lasciandoli entrare.


<< Carino come posto. >>
Mi disse quel ragazzo, dopo essere entrato nella chiesa, fischiando.

<< Potrei sapere il vostro nome, se non le dispiace? >>
Gli domandai, imbarazzata.

<< Il mio nome è Blake Krow, piacere di conoscerti. Dammi pure del tu. >>
Mi rispose, facendo un piccolo inchino.
Subito dopo si voltò verso Yuu, con un sorriso maligno in volto.

<< Credo che voi due vi conosciate di già. >>
Disse, divertito.

<< Si, ho incontrato Yuushi e ci siamo aiutati a vicenda... Di cosa siete venuti a parlarmi, comunque? >>
Gli domandai, ancora incuriosita dalla loro presenza.

<< Vorremo proporti di trasferirti nella nostra comunità. >>
Mi rispose.
Rimasi spiazzata sentendo la sua offerta.


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Fine del capitolo 1-4, alla prossima! Grazie dell'attenzione!

NB: Questo è il primo di *tanti* altri capitoli dove il punto di vista della storia cambierà.
Un capitolo potrebbe essere raccontato da Yuu/Gilles, mentre quello dopo potrebbe essere dal punto di vista di Jeanne o, chissà, magari qualche altro personaggio...



 

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Capitolo 6
*** Capitolo 1-5: Sorriso ***


Capitolo 1-5: Sorriso

 
<< C-Come prego? >>
Ci domandò Jeanne, colta di sorpresa dall'offerta di Blake.

<< Mi... Chiedevo se volessi trasferirti nella nostra comunità... ? >>
Le disse, di nuovo, Blake, stupito dalla sua reazione.

<< Ho capito cosa mi ha chiesto, ma non ne comprendo il motivo! Non posso di certo abbandonare la mia casa, le persone che conosco, per seguire un gruppo a me estraneo, non crede? >>
Ci domandò, riluttante alla nostra offerta.

<< Vuoi davvero restare qui? Insomma, se la gente venisse a sapere delle tue abilità non credo che sarebbero così cordiali con te. >>
Le feci notare, cercando di convincerla.

<< Qualcuno con le tue doti potrebbe essere davvero molto utile alla nostra comunità. Capisco che ti stiamo, probabilmente, chiedento molto... Ma prova a vedere la situazione anche dal nostro punto di vista. >>
Aggiunse Blake.

<< Capisco cosa stiate cercando di dirmi, ma ho paura che dovrò declinare la vostra offerta. >>
Ci rispose, senza esitazione, con uno sguardo rattristato.

Blake abbassò lo sguardo per qualche istante, deluso.

<< Non posso semplicemente lasciare questo posto, dopotutto lo considero come se fosse la mia stessa casa. In più amo le persone di questo villaggio... Non potrei abbandonarle, mi dispiace. >>
Aggiunse Jeanne, cercando di spiegarci i motivi della sua decisione.
In quel momento capii le sue motivazioni, ma ciononostante... Non ero d'accordo.

Blake rimase in silenzio per qualche secondo prima di sbuffare e portarsi una mano in testa, grattandosi la nuca.

<< Capisco... E' un peccato, ma suppongo che non possiamo obbligarti, è una tua scelta dopotutto. Suppongo che possiamo tornare al villag- >>
Prima che potesse finire la frase, però, Jeanne lo bloccò.

<< Ciononostante... >>
Ci disse, improvvisamente: notai la fiamma della speranza riaccendersi negli occhi del mio compagno.

<< ... Se non siete troppo lontani potrei andare da voi, un paio di volte a settimana, per darvi una mano. Che ne dite come compromesso? >>
Ci propose, sorridendo.
Rimasi, per un istante, quasi sorpreso da quel suo sorriso.

<< Sarebbe fantastico, ma non credo sia necessario. >>
Le disse Blake, portando una mano in avanti.

<< Come mai? >>
Gli domandò Jeanne, confusa.

<< Nonostante apprezziamo l'offerta, non credo sia opportuna: è una cosa pericolosa sia per te che per noi. Cosa credi possa accadere se qualcuno dovesse, ad esempio, seguirti? Non solo scoprirebbero la nostra comunità, ma potrebbero anche risalire alla tua abilità. Noi siamo molti, quindi potremmo anche spaventare le persone, ma tu sei sola. Potrebbero scaricare la loro paura su di te. >>
Le dissi, riprendendomi, cercando di farla ragionare.

Jeanne abbassò lo sguardo, con una espressione turbata.
Potevo notare i suoi occhi che tremavano.

<< Non vogliamo metterti in pericolo per soddisfare i nostri capricci. Non riuscirei a dormire la notte sapendo di mettere a rischio la vita di qualcuno ogni giorno. >>
Aggiunse Blake, appoggiandomi.

<< Però io voglio aiutarvi, mi sentirei in colpa se non lo facessi. In più, se per caso dovessi attirare l'attenzione, potrei sempre usare la scusa del "Tempio". >>
Ci disse, sicura della sua idea.

<< "Tempio"? >>
Le domandò Blake, prima che potessi farlo io.

<< In cima alla montagna c'è un piccolo tempio abbandonato. Alcune volte lo visito... Quando non ho altro da fare. >>
Ci spiegò rapidamente.

Non credo sia una buona idea, onestamente. ~
Mi disse quella voce.
In quell'istante, Jeanne si voltò verso di me con una strana espressione in volto: mi fissò sorpresa per qualche secondo prima di guardare di nuovo Blake.

<< Io... Non sono sicuro se- >>
Le rispose Blake, ma mi intromisi.

<< Onestamente, se è quello che vuole fare non abbiamo motivo per fermarla. >>
Dissi, con un tono serio.

<< Sei sicuro Yuu? Conosci perfettamente i rischi anche tu, sei stato il primo ad elencarli. Non credo sia una buona idea. >>
Mi domandò Blake, preoccupato.

<< Perché no? E' una sua scelta. In più sei stato tu ad insistere per farla venire con noi. >>
Gli risposi.

<< No, no, no! Io avrei voluto che si trasferisse da noi, non che rischiasse la sua incolumità. >>
Mi rispose Blake, preoccupato.

<< Come ho già detto: è una sua scelta. Non siamo nella posizione per fermarla. E' ben consapevole dei rischi che corre. >>
Gli dissi, cercando di concludere il discorso.

<< E' ok, non preoccupatevi! Passo abbastanza inosservata, non ci saranno problemi. >>
Ci disse Jeanne, riprendendo a fare finalmente parte del discorso.

Dopo aver sentito quelle parole, Blake sbuffò grattandosi il capo.
Sembrava deluso o triste... O, forse, era semplicemente preoccupato. 

<< Perché non facciamo così, allora: dicci in quali giorni puoi venire da noi, e io manderò qualcuno al villaggio per scortarti sia nell'andata che al rientro. In questo modo saremo sicuri che nessuno possa seguirti. E, se dovesse succedere, magari possiamo allontanarli. >>
Propose Blake, sollevando un dito come se avesse avuto una idea geniale.

<< Sono felice di sapere che si preoccupa così tanto per me, ma non deve- >>
Gli disse Jeanne, imbarazzata.

<< Credo di avere le idee abbastanza chiare su chi tu abbia intenzione di scegliere per farle da scorta. >>
Dissi, con un tono infastidito, guardando Blake.
Mi rispose con un occhiolino.

Mi voltai, infastidito, dopo aver fatto un verso di sdegno.

<< Beh, quindi è deciso! >>
Esclamò Blake, divertito.

<< Non... Vi state preoccupando troppo? >>
Ci domandò Jeanne, imbarazzata.

<< Assolutamente no! Assicurarci la tua sicurezza è il minimo che possiamo fare per qualcuno che ha deciso di darci una mano, non credi? >>
Le rispose Blake, sorridendole.

Jeanne non rispose: ci regalò un enorme e gentile sorriso.



Pochi minuti dopo lasciammo la chiesa, dopo aver deciso in quali giorni lei avesse dovuto seguirci alla comunità.
Decidemmo di mostrarle la strada quello stesso giorno, per presentarla anche al Maestro e a Mirajane. Per quasi metà del viaggio di ritorno Blake non smise di parlare con Jeanne neanche per un secondo, mentre io rimasi in silenzio, osservandomi intorno.

Ad un certo punto, fra la folla del villaggio di Jeanne, notai qualcuno che conoscevo molto bene.
Rapidamente anche quell'uomo mi notò, e la sua espressione venne pervasa dall'odio. Lo riconobbi subito: era quel "John", l'uomo che mi aveva pugnalato nella spalla.
Lo guardai con una espressione minacciosa, seguendolo con lo sguardo per qualche istante... Poi scomparve tra la folla.

Già in quel momento provai una strana sensazione.



<< Ed eccoci arrivati, finalmente! Grazie per aver usato il Blake-Yuu express! >>
Esclamò Blake non appena arrivammo alla comunità, aprendo le braccia verso la nostra casa.

Il sorriso di Jeanne andò rapidamente scemando.

<< E'... Un posto... Carino? >>
Disse, con un sorriso imbarazzato, osservandosi intorno.
Non era effettivamente un luogo fantastico. 
Le case erano tutte in legno scuro, costruite a mano, e non vi era nessuna strada sotto ai nostri piedi. Eravamo a diretto contatto con la foresta che ci nascondeva, e le uniche fonti d'acqua erano un pozzo e un fiumiciattolo a poche decine di metri di distanza da noi.

Blake sbuffò.

<< Lo so, lo so... Non è il meglio che esista, ma è ciò che noi chiamiamo casa. >>
Disse, deluso.

<< Non era mia intenzione offendervi! Non importa la qualità, fino a quando si sta con persone che si amano, ogni posto è una casa accogliente! >>
Gli rispose Jeanne, sentendosi probabilmente in colpa.

<< Oh! E' lei la nuova arrivata? >>
Sentii dire da una voce femminile alle mie spalle.
La conoscevo fin troppo bene.

Ci voltammo tutti e tre, notando una ragazza in tuta da ginnastica.

<< Yo! >>
Disse, sorridendo, Leona.

<< Piacere di fare la sua conoscenza. >>
Le disse Jeanne, porgendole una mano e sorridendo, con la sua classica cordialità.

Leona fece una strana smorfia, per poi sorridere. Si lanciò rapidamente verso Jeanne, mettendole un braccio intorno al collo.

<< Cosa è questa formalità? Il mio nome è Mirajane, quale è il tuo? >>
Le domandò, divertita.

<< J-Jeanne... Jeanne White>>
Le rispose la ragazza dai capelli bianchi, imbarazzata, presentandosi.

Leona sorrise, allontanandosi da noi insieme a lei.

<< Vieni con me, ti mostro il posto. In più è meglio che tu stia con una ragazza, piuttosto che con quei due scimmioni, no? >>
Le disse, trascinandola via da noi.

Le guardai in silenzio per qualche secondo, divertito e con uno strano sorriso stampato sul mio volto.

<< E poi si chiede perché la chiamo Leona. E' un fottuto leone. >>
Dissi tra me e me.
Poco dopo Blake mi posò una mano sulla spalla.

<< Spero che ti vada bene il fatto che sarai tu ad accompagnarla. >>
Mi disse, sorridendomi.

<< Chi se lo sarebbe aspettato, che colpo di scena. >>
Dissi, con un tono infastidito, facendo gli occhi in bianco.

<< Oh, andiamo. Si fida decisamente più di te che di me. Durante il viaggio alla nostra comunità, nonostante ho parlato con lei per tutto il tempo, non ha fatto altro che provare a far partecipare anche te alle nostre discussioni. >>
Mi fece notare.

<< Come se potessi essere di qualche aiuto in discorsi su piante e bacche. >>
Gli dissi, infastidito.

<< Beh, circa otto anni fa hai mangiato delle bacche velenose... Ricordo ancora che andasti ben sei volte al bagno nel giro in una mattinata solo per cag- >>
Mi rispose Blake, divertito, riportando alla luce avvenimenti che non volevo ricordare.

<< E abbiamo finito di parlare. >>
Dissi, innervosito, allontanandomi da lui.

<< Oh, andiamo! Stavo scherzando amico! >>
Mi disse Blake, afferrandomi un braccio e fermandomi.

Sbuffai, infastidito.

<< Comunque, sono sicuro che la aiuterai anche stavolta, no? Andiamo, infondo sto parlando con qualcuno che si è scontrato con un gruppo di banditi per proteggere una ragazza sconosciuta, qualcuno che ha usato i suoi stessi soldi per ripagare i viveri che lei aveva perso. Non sei una persona cattiva, anche se sai comportarti come uno stronzo, molto spesso. Penso solo che tu sia la scelta migliore per accompagnarla, si sentirà anche più a suo agio. >>
Mi disse, riprendendo il discorso di prima.

<< Ho fatto solo cosa pensavo fosse giusto. Niente di più, niente di meno. >>
Gli risposi, con le braccia conserte e un tono serio.



Passarono prima giorni, poi settimane.
Jeanne divenne piano piano sempre più parte della nostra comunità, venendo due o tre volte a settimana. Strinse rapidamente amicizia con Mirajane e Blake, e ben presto quasi tutta la nostra comunità cominciò ad accettarla e accoglierla a braccia aperte ogni volta che veniva a trovarci.

E, ogni volta, io le facevo da scorta sia all'andata che al ritorno.
"Le farai da scorta per evitare che qualcuno possa seguirla": nonostante quello fosse il mio compito, non mi avevano detto come comportarmi in caso qualcuno ci avesse seguito...
Anche se avevo una vaga idea.

Ben presto divenne l'assistente di Blake nel suo laboratorio, aiutandolo in svariate occasioni.
Spesso si fermò anche ad assistere anche ai miei allenamenti, nonostante facessi finta di non vederla.

All'inizio era snervante averla intorno ogni minuto, non capivo perché ci tenesse così tanto a rimanere dove ero io. 
"Si sente in debito" fu ciò che pensai in quei momenti.
Con il passare delle settimane, però, divenne strano il non averla intorno. Era entrata di prepotenza nella vita di tutti i membri della comunità, diventando ben presto qualcuno di amato da tutti. 

La sua personalità solare, il suo carattere gentile e spensierato avevano ammaliato tutti, anche il Maestro stesso.
Quel suo sorriso, però, mi faceva sentire strano.
Un sorriso così gentile ed amorevole... Ogni volta che lo vedevo, ripensavo al sorriso di mia madre... Poi, quel sorriso amorevole, veniva rapidamente sostituito dal suo sguardo terrorizzato: "Sei un mostro!".

Un giorno, notando che fossi teso, Jeanne provò a parlare con me: non avevo niente contro di lei, però le urlai contro.
Ogni volta che la vedevo sorridere, mi sembrava di rivedere mia madre. 
Nonostante tutto non smise di sorridere: "Cosa ti preoccupa? Puoi sfogarti pure, se vuoi. Posso aiutarti" mi rispose.

Non passò molto tempo prima che anche io mi abituassi alla sua presenza, a quel suo sorriso.


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Fine del capitolo 1-5, grazie dell'attenzione! Alla prossima!





 

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Capitolo 7
*** Capitolo 1-6: L'inizio della fine ***


Capitolo 1-6: L'inizio della fine

 
<< Non ci credo neanche se mi paghi. >>
Mi rispose Mirajane, incredula.

<< Oh, andiamo. Non ci credo che non te ne sia resa conto. >>
Le dissi, sorpreso.


<< No, non è che non me ne sono resa conto, è che non ci credo. Stiamo parlando di Yuu. Per cosa credi che io lo abbia lasciato? Non provava niente per me, se non attrazione fisica. Per lui ero un giocattolo da usare quando non si stava allenando, mettiamola in questo modo. >>
Mi rispose, con un tono infastidito.

<< E, proprio per quello, mi chiedo come facciate ad andare così d'accordo, ora. >>
Le chiesi, dopo aver preso un profondo sospiro.
Eravamo seduti in una panchina, nel mezzo della piazza centrale della comunità.

<< Non è che ci sia voluto chissà cosa. Nonostante non gli ho rivolto la parola per circa tre mesi, alla fine ci siamo passati sopra: siamo cresciuti insieme noi tre, non potevo di certo tenergli il broncio a vita. >>
Mi rispose.

< Già solo che non gli hai rivolto parola per tre mesi è davvero pesante... >
Pensai, divertito.

<< Credo che non se ne sia ancora reso conto. >>
Le dissi, tornando al discorso iniziale.

<< Oppure, più semplicemente, non prova niente. >>
Controbatté, con un tono divertito.

<< Non essere così crudele, Mira... >>
La rimproverai, leggermente infastidito dalle sue parole.

<< Ma è la verità. Andiamo, guarda tu stesso se non mi credi, Blake. >>
Mi rispose, indicando davanti a noi.
Rimasi in silenzio per qualche istante ad osservare quella scena.

Jeanne era appoggiata all'uscito dell'edificio dentro cui Yuu si stava allenando, da almeno dieci minuti.
Yuu non si era neanche voltato per salutarla durante quel lasso di tempo.

<< Come puoi ancora dire che provi qualcosa per Jeanne? >>
Mi domandò, infastidita.
Subito dopo abbassò lo sguardo.

<< Povera Jeanne, sta facendo il mio stesso errore... >>
Disse, con un tono più triste.

<< Sappiamo come si comporta Yuu. Non ha voluto nessun genere di relazione con nessuna ragazza della comunità, eccetto te. Non ti ha esplicitamente detto di non essere interessato ad avere delle relazioni? >>
Le domandai.

<< Esattamente. >>
Confermò, Mira.

<< Quindi, se non la avesse voluta intorno, la avrebbe già allontanata. >>
Le feci notare.
Mirajane sbuffò, sollevando le mani in aria.

<< Ahh, sei un caso perso. Sei un idiota... >>
Disse, arrendendosi.

<< Ed è il motivo per cui ti piaccio. >>
Le risposi, sorridendo.

Mira si voltò verso di me, stupita.

<< Più che altro, eri la seconda scelta. >>
Mi rispose, facendomi una smorfia.

<< Non è un qualcosa che dovresti dire al tuo ragazzo, così mi fai deprimere. >>
Dissi, divertito, ma fingendo di essere offeso.
Subito dopo qualcuno ci chiamò entrambi.

Mi voltai verso la persona in questione, notando che ci stava venendo contro.

<< Ehi, Jeanne. >>
Le dissi, non appena si avvicinò a noi.

<< Di cosa parlate? >>
Ci domandò, interessata.

<< Del fatto che Blake sia la mia ruota di scorta. >>
Le disse Mirajane, divertita.

<< Jeanne, aiutami, mi sta bullizando. Dille qualcosa. >>
Dissi alla ragazza dai lunghi capelli bianchi, sorridendo.

Jeanne si portò una mano davanti alle labbra, facendo una sottile risatina.
Subito dopo mi alzai, dirigendomi verso l'edificio principale.

<< Dove vai? >>
Mi domandò Jeanne, incuriosita.

<< Devo controllare alcune cose nel mio ufficio, quindi vi lascio sole. Così potete parlare di me alle mie spalle quanto volete. >>
Le risposi, dirigendomi poi verso Mirajane.
Mi abbassai lentamente, dandole un veloce bacio nelle labbra prima di lasciare le due ragazze per conto loro.



<< Ok, bene. Vediamo cosa tutto abbiamo... >>
Dissi a nessuno, arrivato nel mio ufficio, dopo essermi messo il mio amato camice.

Non appena mi sedetti davanti alla mia scrivania, aprii un cassetto: era pieno di cartelle cliniche e svariati fogli stampati.
Ne cercai uno in particolare: una lista.

Non appena la trovai, mi diressi verso alcuni scaffali.

<< Aghi... >>
Dissi, leggendo la lista.
Subito dopo guardai gli scaffali di vetro, alla ricerca di ciò che stessi cercando.

<< Ne abbiamo. Perfetto. >>
Aggiunsi, segnando una croce nella lista con una penna.

<< Bende... Bende... Oh, eccole qui. Sono poche, dovremmo prenderne altre... >>
Dissi dopo pochi istanti, continuando ad ispezionare gli oggetti scritti nella lista.
Segnai le bende con una striscia.

Subito dopo, notai l'assenza di qualcosa di importante in uno scaffale.

<< Mh? Dove sono gli antidolorifici? Ero sicuro ce ne fossero ancora tre fiale, eppure ne manca una... >>
Dissi, confuso, mentre ispezionai attentamente un ripiano.

<< Li ho presi io! >>
Sentii dire di colpo alle mie spalle.
Mi voltai, incuriosito, notando una ragazza dai capelli bianchi.

<< Jeanne? Per quale motivo? >>
Domandai, sorpreso.

<< Servivano ad un paziente, ma non ricordavo quanti di preciso... Quindi ho preso un contenitore intero. Fortunatamente quel paziente si ricordava quanti dovesse prenderne. >>
Mi rispose, scusandosi.

<< Eppure ti avevo detto che fossero antidolorifici molto forti. Di solito basta una singola pillola, e avanza pure. >>
Le feci notare, con un tono serio.

<< Scusa... >>
Mi rispose, imbarazzata.

<< Oh, non preoccuparti. Potresti riportarli nel mio ufficio, per cortesia? Sto facendo una rapida lista di cosa abbiamo e cosa ci manca, per prepararmi alla prossima spedizione. >>
Le domandai, rapidamente.
Senza esitazione, Jeanne lasciò prontamente la stanza.

Mi voltai di nuovo verso gli scaffali, controllando la lista.

< Quando si imbarazza è carina. >
Pensai, inconsciamente.

Subito dopo un brivido mi passò nella schiena.

<< Se Mirajane dovesse scoprire che ho pensato una cosa del genere, mi renderebbe sterile. >>
Dissi, spaventato.


Quando Jeanne tornò nel mio ufficio, avevo ormai già controllato l'intera lista.

<< Rieccomi! >>
Esclamò, con una boccetta marrone in mano.

<< Grazie mille, Jeanne. Potresti rimetterla a suo posto, per cortesia? >>
Le chiesi, continuando a guardare la lista.

<< Cosa è quel foglio? >>
Le sentii chiedere mentre si dirigeva verso uno scaffale.

<< E' una lista, più precisamente di medicinali e oggetti di uso quotidiano che non possiamo non avere. >>
Le risposi.
Non appena mi voltai, la notai a fianco a me, intenta a leggere il foglio.

Era piegata in avanti: inconsciamente, il mio sguardo cadde nel suo petto.
Mi schiarii la voce, cercando di ignorare l'accaduto.

<< Comunque, ci mancano alcune cose importanti come cotone, bende e acqua ossigenata. Ci sono anche alcune medicine più importanti che mi piacerebbe avere entro domani, quindi credo che mi farò accompagnare da Yuu al villaggio per fare delle spese extra con i miei soldi. >>
Le dissi, rapidamente.

<< Quei segni cosa significano? >>
Mi domandò, continuando ad osservare la lista che avevo scarabocchiato.

<< Le cose cerchiate ci servono, quelle con una "x" a fianco le abbiamo, mentre le sottolineature significano che ne abbiamo, ma poco. >>
Le spiegai, altrettanto rapidamente.

Jeanne fece un verso incuriosito.

<< Quando hai intenzione di prendere questi medicinali? >>
Mi domandò, ancora una volta, incuriosita.

<< Pensavo di sfruttare Yuu per darmi una mano. >>
Le risposi, dando di nuovo una rapida occhiata alla lista.

<< Quindi oggi? Dopo che Yuu mi ha scortato al villaggio? >>
Mi domandò.

< Perché oggi fa così tante domande? >
Pensai, sorpreso dalla sua inusuale raffica di domande.
Feci un cenno positivo con la testa, senza levare lo sguardo dalla lista.

<< Preferirei avere alcuni di questi medicinali il prima possibile. Alcuni di questi medicinali mi servono entro domani, ad esempio il Dyxol. Fare un cesareo senza anestesia non è molto bello. >>
Le spiegai, continuando a leggere la lista.

<< Ti occupi dei parti?! >>
Le sentii dire, con un tono sorpreso.

<< Qualcuno deve pur farlo. Ho studiato molti libri di medicina e anatomia, in più lo ho già fatto altre due volte. >>
Le risposi, prendendo una penna e aggiungendo una cosa alla lista.

<< Cosa hai aggiunto? >>
Mi domandò Jeanne, dopo qualche secondo di silenzio.

<< Arcetyx. >>
Le risposi, riponendo tutti i fogli e le cartelle che si trovavano sulla scrivania al loro posto, tranne la lista.

<< Perché ci servono? >>
Le sentii domandare, con un tono sorpreso e confuso.
Mi bloccai per una frazione di secondo.

<< Una... Donna è incinta, ma non vuole tenere il figlio. Quindi mi ha chiesto delle pillole per abortire. >>
Le risposi, senza voltarmi.

<< Chi? >>
Mi domandò.

<< Non posso dirlo. >>
Le risposi, voltandomi verso di lei.
Jeanne rimase in silenzio per qualche istante, guardandomi dritto negli occhi: sembrava mi stesse interrogando.

<< Parli di Mirajane, vero? >>
Mi domandò.
Era stranamente seria.

Spalancai gli occhi, confuso e sorpreso dalla sua sicurezza.

<< Come lo sai? >>
Le chiesi, incuriosito.

<< Mi... Ha detto qualcosa... Poco fa... Siete sicuri? >>
Mi rispose, evitando il mio sguardo. 

Feci un profondo sospiro, grattandomi poi il capo.

<< Ha avuto un ritardo... Ho fatto alcuni esami e abbiamo scoperto aspettasse un bambino. >>
Le spiegai, imbarazzato.

<< No, non è quello che intendevo... Siete sicuri di voler fermare la gravidanza? Non è un dono? >>
Mi domandò, portandosi le mani davanti al petto.
Ero stupido da quanto sembrasse coinvolta nella faccenda.

<< N
e abbiamo già parlato, è stato un semplice errore. Non serve discuterne oltre. Non è il momento di pensare ad un bambino, non quando pianifichiamo di diventare soldati per la capitale. Non avremmo il tempo materiale per crescerlo, e piuttosto che lasciarlo a qualcun altro preferirei non farlo nascere proprio. >>
Le spiegai, senza troppi giri di parole.

<< Ma- >>
La fermai prima che potesse continuare la sua frase.

<< Abbiamo deciso così, non serve parlarne oltre. Non so se sia la scelta migliore, ma è nostra. Scusami, ma preferirei che non ti intromettessi oltre... >>
Le dissi, con un tono serio.
Non ero arrabbiato, non con lei per lo meno.
Forse ero infastidito contro me stesso.




Circa mezz'ora dopo lasciai il mio ufficio, alla ricerca di Yuu.
Non ci misi molto a trovarlo: era ancora nella stanza di allenamento. Non appena lo vidi attirai la sua attenzione, chiedendogli il favore di comprare i medicinali della lista che avevo preparato.
All'inizio non accettò, ma alla fine riuscii a convincerlo...
Purtroppo, però, mi obbligò ad andare con lui al villaggio.

" Devo parlarti di una cosa"
Mi disse, con uno sguardo strano. Era la prima volta che non riuscivo a capire cosa stesse pensando, ero davvero sorpreso e incuriosito dalle sue parole.
In più, mi chiese di portargli un'oggetto che mai mi sarei pensato gli sarebbe servito...



<< Parteciperò anche io al colloquio, lo sai vero? >>
Mi domandò, mentre accompagnavamo Jeanne, durante la camminata nel sentiero che portava al villaggio.

<< Si, il Maestro e Mirajane me ne hanno parlato. Era di questo che volevi parlarm- >>
Mi bloccò prima che potessi finire di parlare.

<< Voglio che tu convinca Jeanne a partecipare al colloquio. >>
Mi disse.
La sua richiesta mi lasciò di stucco: non mi aspettavo minimamente quelle sue parole.
Il suo sguardo era rivolto in avanti, intento ad osservare la ragazza davanti a noi che calciava qualche sassolino, o osservava il panorama intorno a lei.

<< Perché questa scelta? >>
Gli domandai, incuriosito.

<< Non voglio che corra dei pericoli. Prima o poi, se continuerà a lasciare il villaggio per venire da noi, la scopriranno e non voglio che succeda. >>
Mi rispose, senza guardarmi.

Un sorriso malizioso apparve nel mio volto.

<< Allora ci tieni a lei, eheh. >>
Dissi, divertito, provocandolo.

Yuu si guardò una mano, stringendola poi in un pugno.

<< E' debole e non ha paura delle persone. Non scapperebbe dai suoi aggressori: proverebbe a parlare con loro. Non voglio che accada, non voglio che muoia. Non lo potrei accettare: qualcuno come lei non lo merita, ma farebbe quella fine. Per questo preferirei che vi seguisse dentro le mura: sarebbe al sicuro. >>
Mi rispose, senza guardarmi.

<< Quindi... Suppongo tu, nonostante parteciperai al colloquio, non accetterai il lavoro... >>
Gli domandai.
Non mi rispose.


Quando Yuu arrivò nella nostra comunità, io ne ero già parte da alcuni anni.
La prima volta che lo vidi era avvolto da una strana aura: faceva quasi paura. Non mostrava nessun genere di sentimento, sembrava un guscio vuoto: passarono mesi prima che riuscissi a parlarci per la prima volta.
Aveva sofferto più di quanto credessi: abbandonato e ripudiato dalle stesse persone che avrebbero dovuto amarlo.
Forse si rispecchiava in Jeanne.
Forse vedeva il se stesso da piccolo, debole ed indifeso, e si sentiva obbligato ad aiutarla.


<< Hai portato l'oggetto che ti ho chiesto? >>
Mi domandò poco dopo, cambiando discorso.

Rapidamente misi una mano dentro la borsa a tracolla che avevo, estraendo un oggetto metallico.

<< Ecco. A cosa ti serve? >>
Gli chiesi, incuriosito, mostrandoglielo.

L'oggetto che mi aveva chiesto serviva per esaminare tessuti, capelli... In genere, materiale organico. 
In alcuni casi poteva anche risalire al proprietario, se i suoi dati erano presenti nel suo database interno.

Yuu estrasse la lama che gli aveva regalato Jeanne, dal fodero legato alla cinta, per poi puntarmela contro.

<< Esamina la lama con lo scanner. >>
Mi disse, con uno sguardo cupo.

Lo guardai, confuso, per qualche secondo, senza capire il motivo del suo gesto.

<< Perché? >>
Gli chiesi.
Non mi rispose: la sua unica azione fu colpire la lama con un dito.

<< Ouch! >>
Sentii esclamare da Jeanne.
Mi voltai verso di lei, preoccupato: si stava reggendo un braccio, sembrava dolorante.

<< Hey, tutto bene? >>
Le domandai, muovendomi verso di lei.
Yuu mi afferrò per la spalla, bloccandomi.

<< S-Si, è tutto ok. Mi sono fatta un piccolo strappo, ma non è niente di che.... Vedi? Eheh... >>
Mi rispose, muovendo il suo braccio e forzando un sorriso.
Subito dopo ci diede le spalle, riprendendo a camminare.

<< Cosa è appena successo? >>
Domandai, incredulo e confuso, voltandomi verso Yuu.

<< Esamina la lama. Sembra metallo, ma in realtà non lo è. >>
Fu l'unica risposta che mi diede.

Confuso, ma allo stesso incuriosito dalle sue parole e dall'accaduto, passai lo scanner sopra la lama... 
Rimasi sconcertato da ciò che apparve scritto nel suo schermo verde.

<< Uh?! Cosa significa? >>
Esclamai, incredulo. 
Continuai ad osservare le scritte rosse che apparvero nello schermo verde.


" Categoria: Materiale Organico
Scansione...
Scansione...

Scansione completata.

Propietario: Jeanne White       Sesso: F     Età: 19     Altezza: 1.68  Peso: 60.7 Kg   Data di Nascita:   12-8      Gruppo sanguigno: 0 >> "


<< Come... E' possibile? Deve esserci per forza un errore... >>
Dissi, confuso dall'accaduto.

<< Hai inserito tu stesso i dati di Jeanne in quella macchina, non credo ci sia un errore. >>
Mi rispose Yuu: non sembrava sorpreso.

<< Come è possibile che un oggetto che a tatto e vista sembri metallico... In realtà sia organico? Quando lo hai capito? >>
Gli domandai subito dopo, incredulo e incuriosito dalla sua scoperta.

<< Ho notato questa cosa quando, per sbaglio, la spada è caduta nel suolo. All'inizio credevo fosse solo una coincidenza, poi ho notato che mi guardava in modo strano ogni volta che lucidavo la lama. Da li ho iniziato a fare alcuni "esperimenti". >>
Mi rispose, con un ghigno divertito in volto.

Un brivido mi passò nella schiena, ma decisi di fare la domanda.

<< So che mi pentirò di averti fatto questa domanda, ma... Che genere di "esperimenti"? >>
Gli domandai, guardandolo con uno sguardo incuriosito e preoccupato, mentre misi di nuovo lo scanner dentro la mia borsa.

Uno strano sorriso malizioso apparve nel suo volto, mentre portò due dita sulla lama.

<< Perché sembri divertito? >>
Gli domandai, sempre più preoccupato: non mi rispose.
Lentamente accarezzò la lama con entrambe le dita.

<< Ahhh! >>
Sentii esclamare, in contemporanea, da Jeanne.
Mi voltai verso di lei, con uno sguardo confuso, notando che si fosse bloccata sul posto.

Lentamente Jeanne si voltò verso di noi, rossa in volto.
Era visibilmente imbarazzata e sorpresa.

<< N... Non farlo più... Sei cattivo... >>
Disse, guardando Yuu quasi in lacrime.

Ci misi alcuni secondi a realizzare perfettamente l'accaduto, durante i quali continuai a processare le assurde informazioni che avevo appena visto con i miei stessi occhi.

Ad un certo punto realizzai anche qualcos'altro.

<< Aspetta, lo sapevi?! >>
Esclamai, rivolgendomi a Jeanne.
Imbarazzata mi fece un cenno positivo con la testa.

Mi voltai rapidamente verso Yuu, infastidito.
Nonostante tutto, però, ero anche divertito... Ma decisi di non farlo vedere.

<< Da quanto stai facendo questa cosa? >>
Gli domandai, con un tono innervosito.

<< Da quando lo ho notato, direi circa due giorni. >>
Mi rispose, stranamente calmo.

Quella notizia mi lasciò di stucco.

<< E non lo hai fermato?! >>
Esclamai, voltandomi di nuovo verso Jeanne.
Evitò il mio sguardo.

<< Tu la finisci, ora! Ti proibisco di continuare a farlo. >>

Dissi, voltandomi di nuovo verso Yuu e puntandogli un dito contro.

<< Oh andiamo, mi stavo solo divertendo un pochino. Non è che le abbia messo le mani addosso senza che lei volesse. >>
Mi rispose, cercando di difendersi.
La sua risposta mi lasciò perplesso.

<< E' praticamente la stessa cosa, idiota: quella spada è, in qualche modo, connessa a lei! Ti tengo sott'occhio: se dovessi notare questa cosa anche solo un'altra volta, avvertirò il Maestro che stai molestando Jeanne. >>
Lo minacciai, con un tono infastidito.
Yuu mi guardò con una espressione confusa, difendendosi rapidamente.

<< Non fare lo stronzo! Non sono un qualche genere di mostro! >>
Mi rispose, confuso e spaesato dalla mia minaccia.
Sembrava quasi non riuscisse a capire il problema di fondo delle sue azioni.

<< E' ok... Possiamo riprendere il cammino? >>
Sentii dire da Jeanne, ancora imbarazzata.

Mi voltai rapidamente verso di lei.

<< No, non è ok! Se qualcosa che fa ti disturba, allora fermalo! Chissà cosa gli passerà per la testa la prossima volta, se continui a lasciargli fare ciò che vuole senza dargli un freno! >>
La rimproverai.
In quel momento, nonostante la situazione fosse *anche* divertente, non riuscivo a capire perché nessuno di loro due notasse il problema di fondo.

<< Come ci sono finito qui in mezzo? >>
Mi domandai, dopo qualche secondo, portandomi una mano nella fronte, confuso dall'accaduto.



Per il resto del viaggio continuai a tenere sott'occhio Yuu, il quale mi guardò più volte con uno sguardo innervosito, ma allo stesso tempo colpevole.
Non appena riportammo Jeanne alla sua chiesa mi feci accompagnare da Yuu per comprare le medicine che ci servivano.
C'erano due farmacie in quel villaggio, quindi decidemmo di dividerci per fare prima e comprare di più.

Dopo meno di venti minuti dal nostro arrivo, una grossa esplosione in distanza attirò la mia attenzione.
Mi affacciai alla finestra della farmacia, osservando del fumo che saliva verso il cielo in distanza.

<< Cosa sta succedendo li? >>
Mi domandai, incuriosito e preoccupato.
Poi realizzai cosa si trovasse in quella direzione....


La chiesa di Jeanne.



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Fine del capitolo 1-6, grazie dell'attenzione: alla prossima con l'inizio del volume 2!






 

 
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 2-1: Dovere ***


Capitolo 2-1: Dovere



Quel giorno mi fece capire quanto quel mondo detestasse le persone che avevano sviluppato abilità speciali, come me.
Persone, leggi, parole, pensieri, luoghi, eventi... Ogni singola cosa ci era proibita, e ogni singola cosa ci andava contro. 

Non importava chi tu fossi o cosa facessi: alla fine dei conti non avevi altra via d'uscita se non chinare il capo e sottometterti; e qualora avessi provato a ribellarti...
L'unica cosa che ti aspettava era la morte.

"Vivi come soldato, muori come criminale o accetta le nostre regole." 
Questo era ciò che dicevano tutti. 
E loro pretendevano di giocare la parte degli eroi? Non fatemi ridere.

Non avrei mai chinato il capo, non mi sarei mai abbassato a seguire i loro ordini...
Ma, ancora più importante, non mi sarei mai lasciato ammazzare da loro. Era poco, ma sicuro.



Seguendo le direttive di Blake, ci dividemmo: lui andò nella farmacia nella zona ad est del villaggio, mentre io andai in quella ad ovest. Eravamo agli antipodi.

" In questo modo abbiamo più possibilità di trovare ciò che ci serve e, in più, se non dovessimo trovare qualcosa nella farmacia che ci spetta, l'altro potrebbe avere avuto più fortuna."
Fu la sua spiegazione.

< Di questo passo non avremo problemi per i prossimi mesi, se Blake ha avuto la mia stessa fortuna. >
Pensai, scorrendo svariati scaffali, prendendo tutti i medicinali che erano segnati nella lista che Blake mi aveva consegnato. Fortunatamente li trovai quasi tutti.
Quelle parole mi fecero ricordare che due settimane dopo avrei dovuto partecipare al colloquio all'interno delle mura.

<< Che scelta del cazzo. >>
Dissi tra me e me, infastidito, dopo aver fatto un verso indisposto.

In quell'istante mi guardai intorno: la farmacia era stranamente vuota. Non era qualcosa di normale, visto che gli scaffali erano ancora quasi tutti pieni.
Di norma le persone facevano la fila per fare rifornimenti di medicinali, per prepararsi a qualunque evenienza.

Confuso e preoccupato finii di prendere ciò che serviva, per poi dirigermi dal cassiere.
Non appena gli porsi la busta colma di medicinali mi guardò con una strana espressione.

<< Hai fatto la scorta per l'inverno, ragazzo? >>
Mi domandò, mentre levava i prezzi dai svariati prodotti.

<< Non sono di queste parti. Il mio villaggio è stato attaccato dai banditi qualche giorno fa, quindi i medicinali scarseggiano. >>
Gli dissi, inventandomi una scusa.

<< Oh, mi dispiace. Spero la tua famiglia stia bene. >>
Mi rispose l'uomo, rattristandosi.

<< Oh, non si preoccupi. Fortunatamente, sono tutti illesi. >>
Gli risposi, sorridendo.

<< Sono felice di saperlo. >>
Mi disse, ricambiando il sorriso.

< Se sapessi della mia abilità, adesso non mi staresti sorridendo. >
Pensai, infastidito, senza però farlo capire.

<< Ecco a lei. Sono centotrentadue Zeni e venti cent. >>
Mi disse, facendomi il conto.
Rapidamente presi i soldi dalla mia tasca, dandogli ciò che mi aveva chiesto.

Dopo aver pagato mi diressi verso l'uscita, ma sentii l'uomo chiamarmi.

<< Ragazzo, aspetta un secondo! >>
Mi disse.
Rapidamente mi voltai verso di lui, incuriosito.

<< Visto che non sei di queste parti, ti consiglierei di evitare la strada principale: un piccolo plotone militare sta tornando dentro le mura, quindi potresti trovare la strada bloccata. >>
Mi avvertì.
Per non destare nessun sospetto, gli sorrisi.

<< Grazie dell'avvertimento, ma credo che andrò ad assistere. Non è una cosa che capita tutti i giorni, dopotutto. >>
Gli risposi, prima di voltarmi.
Non appena gli diedi le spalle, l'espressione che apparve nel mio volto era totalmente differente.



Dopo aver lasciato la farmacia mi diressi in direzione della chiesa di Jeanne. 

< Certo che potevano farle più vicine queste due farmacie. Io e Blake siamo letteralmente agli antipodi l'uno dall'altro, che nervi. Suppongo che, nel mentre, potrò aspettarlo da Jeanne... Magari potrei anche approfittarne per darle fastidio senza che Blake lo noti, eheh. >
Pensai, divertito.
In quei giorni avevo scoperto quanto mi divertisse stuzzicarla.

Durante il viaggio verso la chiesa di Jeanne osservai ogni singola persona che vidi: non riconobbi nessuno, fortunatamente. Non avevo nessuna intenzione di rivedere la mia famiglia, dopotutto. 
Le strade erano, effettivamente, molto più vuote del solito: le persone che notai andavano quasi tutte nella stessa direzione, verso la strada principale del villaggio, per assistere al passaggio del plotone militare che tornava dentro le mura.

Ignoranti.
Venivano sfruttati e ridicolizzati dai militari stessi, ma nonostante tutto li ammiravano: non potevo sopportarlo.
Durante il cammino sentivo persone che parlavano dei soldati e di come volessero diventarlo anche loro... Mi mandava su tutte le furie sentire certi discorsi.

La cosa che, però, mi faceva innervosire ancora di più, era che Blake e Mirajane avevano intenzione di fare la stessa cosa.
" Sono davvero io a sbagliare? Solo io vedo bugie in ogni parola detta dai militari?" Erano alcune delle domande che mi porsi in quel momento...

Non so se, effettivamente, fossi io nel torto... Ma pensai che ogni persona doveva fare ciò che preferiva con la loro vita. 
Se Blake e Mirajane avevano intenzione di diventare soldati, allora io non avevo nessun diritto di impedirglielo. La scelta era la loro, non la mia.



Ci avrei messo ben poco tempo a cambiare nuovamente idea.



Non appena arrivai vicino alla chiesa di Jeanne, una scena che mai avrei voluto vedere si sviluppò davanti ai miei occhi:
Spalancai le palpebre, sorpreso, notando una enorme folla davanti alla chiesa stessa.

Sentivo urla, insulti e forti colpi dati sul cancello metallico della chiesa.
Mi bloccai per qualche secondo sul posto, impallidito e terrorizzato da quella vista... Ma ci misi altrettando poco per riprendermi.

Corsi vicino alla folla cercando di attirare la loro attenzione.

<< Cosa sta succedendo?! >>
Esclamai.
Fu inutile: esattamente come accadde quel giorno, venni completamente ignorato.

" Esci fuori! "
" Vattene, mostro!"
" Come hai potuto stare vicino a noi per tutto questo tempo?! "
Erano solamente alcune delle frasi che riuscii a capire in mezzo a quel macello.

La mia attenzione cadde sul portone della chiesa, non appena lo vidi aprirsi.
Lentamente Jeanne uscì dalla chiesa, con le mani davanti al petto e gli occhi rossi.

<< Per favore, non serve ricorrere alla violenza... >>
Disse, con una voce tremante.

<< Sta zitta, puttana! >>
Esclamò qualcuno, lanciandole un sasso contro. Jeanne venne colpita in una spalla, per poi indietreggiare dolorante.

Il mio corpo si mosse d'istinto: lasciai cadere la busta nel suolo e corsi rapidamente verso quell'uomo.
Non appena mi vide si voltò verso di me, sorpreso: lo colpii in pieno volto con un pugno, facendolo cadere al suolo.

In quel preciso istante la folla si voltò verso di me, sorpresa dall'accaduto.
Ero furioso. 
Sentivo le vene del collo e della fronte pulsare, e notai del sangue sul dorso della mia mano. Continuai a guardare l'uomo che avevo colpito, fino a quando non si voltò verso di me, dolorante.

Perdeva sangue dal naso. 

Credo tu gli abbia rotto il naso, Yuu. ~
Mi disse la voce, con un tono divertito. 
In quel momento ero troppo furioso per farci caso.

<< Cosa cazzo sta succedendo?! >>
Urlai, avendo finalmente attirato l'attenzione della folla su di me.
Alzai lo sguardo, guardando quel branco di pecore con uno sguardo furioso.

In quell'istante non capii più nulla.
Sentivo il sangue ribollirmi nelle vene, e non riuscivo a sentire nessun genere di rumore intorno a me.
Guardavo intensamente quelle persone, digrignando i denti e stringendo i pugni, tremando e respirando pesantemente.

<< E' un demone, una strega! >>
Sentii dire da qualcuno, dopo qualche secondo di silenzio.

<< Come potete esserne sicuri, eh?! Lo avete visto con i vostri occhi, per caso?! E anche se avesse delle abilità quale è il problema?! Vi ha mai fatto del male?! >>
Urlai a quella persona, mentre mi mossi davanti alla folla, mettendomi fra loro e la chiesa.

<< La conoscete tutti: come potete farle una cosa del genere!? Siete voi i mostri, non lei! >>
Esclamai, di nuovo, cercando di fermarli.

<< Lui è come lei! >>
Sentii dire da qualcuno, ad un certo punto.
Mi voltai lentamente verso la persona che aveva parlato: lo riconobbi subito.

<< Tu... >>
Dissi, sorpreso e tremando.
Era l'uomo che mi aveva pugnalato nella spalla il giorno che incontrai Jeanne.

<< Li ho visti usare quei poteri insieme! Anche lui è un demone! >>
Esclamò quell'uomo, indicandomi.

<< Bastardo! >>
Urlai.
Ero furioso, mi sembrava di esplodere da un momento all'altro.

Dopo avermi messo la folla contro lui si allontanò, sorridendo, scomparendo poi dietro ad un vicolo.

Alcune persone si fecero avanti, armate di forconi o coltelli.
Indietreggiai lentamente, fino a quando non toccai il cancello metallico.

Sorpreso mi voltai, notando Jeanne inginocchiata nel terreno e in lacrime.

<< Per favore, non far loro del male... Ti prego... >>
Mi disse, tremando.


Quel suo desiderio mi fece ancora più rabbia.
Quelle persone la avevano ripudiata, insultata e ferita... Nonostante tutto, però, lei voleva proteggerli.



Dopo aver fatto un verso furioso, sollevai un braccio verso il cielo: tre lunghi nastri viola si materializzarono dal palmo della mia mano, per poi cominciare a danzare intorno a me, fluttuando nell'aria come fogli al vento.

Le "Catene del Fato". Ecco come le aveva chiamate il mio maestro. 
Ad occhio nudo sembravano nastri fatti di carta, o stoffa, ma in realtà erano di metallo: potevo muoverli come preferivo o fargli anche assumere delle forme semplicemente pensandolo. 
Nonostante non sembrasse, erano anche terribilmente duri... E affilati.


Cercando di spaventarli feci muovere un nastro come un tentacolo, per poi farlo collidere con il terreno: lasciò una enorme e lunga fenditura fra me e la folla.

<< Se tenete alla vostra pelle, vi consiglio di non superare quella linea. >>
Minacciai, con uno sguardo cupo e minaccioso.

Molte persone indietreggiarono... Anche se le più coraggiore, o dovrei dire stupide, si lanciarono verso di me.
Erano due: uno armato di forcone e uno disarmato.

Feci muovere un nastro come un tentacolo, per poi scagliarlo verso l'uomo disarmato: lo avvolsi nel petto, sollevandolo da terra e poi scagliandolo al suolo con forza.
Mossi il secondo nastro verso l'uomo armato di forcone, tagliando in due la sua arma, nel manico, con un fendente verticale.
Allo stesso tempo scagliai anche il terzo nastro verso lo stesso uomo, puntandoglielo davanti alla fronte.

L'uomo impallidì, bloccandosi sul posto e facendo cadere a terra il manico del forcone.

<< Fai anche solo un altro passo in avanti, e ti assicuro che ti trapasso il cranio da parte a parte. >>
Lo minacciai, con un tono serio e uno sguardo cupo.

L'uomo cominciò a sudare, per poi indietreggiare lentamente.
Non appena superò la linea che avevo segnato con uno dei miei nastri, corse via terrorizzato e urlando.

Il mio sguardo cadde sul primo uomo che avevo scagliato al suolo: anche se dolorante, si era rialzato. Non sembrava ferito gravemente.
Pure lui si allontanò, anche se molto più lentamente dell'altro.

<< E ora sparite dalla mia vista. Vi assicuro che non sarò così clemente con i prossimi. >>
Aggiunsi, parlando alla folla che era ancora davanti a me.

Indietreggiarono tutti, tranne una singola persona.

Indossava vestiti eleganti: una camicia nera e dei pantaloni del medesimo colore, insieme ad una cravatta rossa.
I suoi occhi erano azzurri, esattamente come i suoi capelli.

Quella persona si avvicinò lentamente a me, fermandosi proprio davanti alla linea che avevo fatto poc'anzi. 

Mi guardò sorridendo, con una mano dietro la schiena e una appoggiata sull'elsa della sua spada, legata alla cinta dei suoi pantaloni.


Osservai l'uomo in silenzio... 
Non avevo ancora la minima idea di chi avessi davanti a me... 
Lo avrei capito molto presto.


L'uomo cominciò ad applaudire lentamente per circa cinque secondi, senza smettere di sorridermi.

<< Chi diavolo sei tu? >>
Gli domandai, infastidito dal suo comportamento.

L'uomo smise di applaudire, portando di nuovo la mano sinistra dietro alla schiena.

<< Non so se tu sia coraggioso o pazzo, per mettere in scena questa farsa davanti ad un Generale... >>
Mi disse, portandosi la mano destra davanti al volto, sollevando leggermente i suoi occhiali.

<< Anche se, in tutta onestà... >>
Aggiunse, superando la linea che avevo tracciato.

<< ... La differenza fra le due è piuttosto sottile. >>
Concluse, continuando a sorridermi, e fermandosi subito dopo averla superata.

<< Lasciaci semplicemente andare via. Non voglio far del male a nessuno. >>
Gli proposi, cercando di ragionarci.
Non sapevo chi fosse, ma provavo una stranissima sensazione anche solo avendolo vicino.

Il sorriso nel suo volto si ingrandì.

<< Oh, potrei farlo... Ma dubito fortemente che i cittadini guarderebbero di buon occhio un Generale che lascia impunito un criminale che li ha feriti, non credi anche tu? >>
Mi domandò, portandosi una mano davanti alle labbra e ridacchiando.

Subito dopo schioccò le dita:
Da dietro la folla apparvero almeno una ventina di soldati armati di spade, lance e fucili.

Indietreggiai lentamente, toccando di nuovo il cancello in ferro alle mie spalle, preoccupato e sorpreso.
Oltre ad essere armati fino ai denti, indossavano anche delle armature pesanti color argento.

Si posizionarono in semicerchio, circondandomi.
Davanti a me avevo quell'uomo e i suoi soldati, mentre alle mie spalle la chiesa e Jeanne.
Mi guardai intorno, preoccupato dalla situazione in cui ero finito in così poco tempo.

<< Arrenditi senza opporre alcuna, futile, resistenza e potrei considerare di non farti uccidere. >>
Mi propose, divertito.

<< Neanche per sogno. >>
Gli risposi, rapidamente, infastidito dalle sue parole.

L'uomo abbassò lo sguardo per qualche istante.

<< Che disdetta... >>
Disse.
Per un attimo mi sembrò rattristato...
Fino a quando non sollevò lo sguardo:

Un enorme e sadico sorriso apparve nel suo volto, mentre i suoi occhi luccicavano di gioia.

<< Suppongo non ci siano altre opzioni, allora. >>
Disse, divertito, facendo un segno ai soldati alle sue spalle con una mano.

Una pioggia di proiettili mi investì, ma riuscii a bloccarne la maggior parte con i tre nastri che avevo materializzato poco prima, facendoli roteare davanti a me, evitando di venir trasformato in un colabrodo.

Improvvisamente, però, notai uno strano ordigno rotolare ai miei piedi.

<< Merda! >>
Esclamai, riconoscendolo, saltando rapidamente il cancello di ferro alle mie spalle.
Rapidamente afferrai Jeanne, allontanandomi il più possibile dall'ordigno.

Una enorme esplosione fece saltare in aria il cancello e parte del muro della chiesa, mentre l'onda d'urto scagliò me e Jeanne contro il muro della chiesa stessa.

Una grossa nube di fumo cominciò a salire verso il cielo.


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Fine del capitolo 2-1 e alla prossima: Grazie dell'attenzione!









 

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Capitolo 9
*** Capitolo 2-2: Gentilezza ***


Capitolo 2-2: Gentilezza


Non appena il fumo si diradò mi ritrovai appoggiato al muro della chiesa, con Jeanne al mio fianco, stesa nel terreno ma ancora cosciente. 
Notai qualche piccola ferita lieve nel suo corpo, ma fortunatamente non era nulla di grave.

Subito dopo guardai in avanti, assistendo a quel terribile scenario:
La forte esplosione aveva spazzato via l'entrata e parte del muretto in pietra che circondava la chiesa, lasciando anche un grosso, e fumante, buco nel terreno.

<< Un... Esplosivo? Siete impazziti, per caso?! >>
Esclamai, riprendendo le mie forze.

Posai il mio sguardo su quell'uomo, notando la sua espressione....
Non appena lo guardai mi si congelò il sangue: era furioso. Non avevo mai visto una espressione tanto crudele in vita mia.

Mi guardò per un istante in silenzio, prima di aprire finalmente bocca.

<< Chiedo scusa, ma devo occuparmi di una cosa prima di tornare a noi. >>
Mi disse, voltandosi verso i suoi uomini.

Dopo aver pronunciato quelle parole si avvicinò minacciosamente ai soldati, con un passo rapido e pesante.

<< Chi è stato?! Chi è stato il maiale che ha tirato l'esplosivo?! >>
Urlò, furioso.
Rimasi a bocca aperta sentendo quelle parole.

Uno dei soldati fece un passo in avanti, lentamente e tremando.
Non fece neanche in tempo a parlare: il suo capitano estrasse la spada dal fodero, legato alla cinta color oro, puntandogliela rapidamente in gola.

<< Dammi una singola ragione per cui non dovrei tagliarti la gola qui e ora! In quale universo hai pensato che lanciare un esplosivo nel mezzo di un villaggio abitato fosse una buona idea?! >>
Gli urlò contro.

<< Io- >>
Neanche stavolta l'uomo riuscì a rispondere.

<< Silenzio! Non ho la minima intenzione di ascoltare neanche mezza parola dalla fogna che ti ritrovi! >>
Gli urlò contro, abbassando la sua spada e rinfoderandola.

<< Ora sparisci dalla mia vista, prima che io cambi idea e ti faccia decapitare all'istante. Torna dentro le mura e aspetta il mio rientro: parleremo della punizione allora. >>
Aggiunse, dandogli le spalle e allontanandosi dal soldato, il quale, terrorizzato, si allontanò rapidamente dopo aver fatto un saluto militare.

Il Generale si voltò verso i cittadini, spaventati dall'accaduto.

<< Non abbiate paura, mia cara gente: mi dispiace fortemente dell'accaduto e, quindi, provvederò personalmente a far riparare ogni danno sia stato fatto. Sono felicemente meravigliato dal fatto che nessuno di voi sia stato ferito: non potrei essere più estasiato. >>
Disse, aprendo le braccia come se volesse abbracciare quelle persone.
Non potevo vederlo in volto: mi stava dando le spalle.

Dopo aver detto quelle parole si voltò verso di me, sorridendo.

<< Lo stesso vale per voi. >>
Ci disse.


Quel suo sorriso era così falso.
Me ne accorsi fin dal primo istante che lo vidi: quell'uomo non era un salvatore, non era un eroe....
Era un mostro che si nascondeva dietro la maschera di eroe.



Mi rialzai lentamente dal terreno, notando però che stessi sanguinando: mi guardai il braccio destro, notando di essere ferito.
Fortunatamente, non era una ferita profonda.

<< Maledizione... >>
Digrignai i denti, reggendomi il braccio con una mano, dolorante.

<< Sembra che tu non possa continuare ad opporti. Che ne dici di finirla semplicemente qui? Onestamente, preferirei risolvere la cosa pacificamente. >>
Mi disse, avvicinandosi lentamente a noi, superando il buco che l'esplosivo aveva creato.

<< Stai lontano da noi e lasciaci andare via! >>
Gli risposi, infastidito.

L'uomo si fermò, confuso e sorpreso dalle mie parole, a guardarmi per qualche secondo.

<< Sfortunatamente, non è possibile. >>
Mi rispose rapidamente.
Feci un verso infastidito, senza smettere di fissarlo neanche per un istante, facendo materializzare un lungo nastro viola, che cominciò a fluttuare nell'aria intorno al mio braccio sinistro.

<< Molto bene. >>
Mi rispose, posando una mano sull'elsa della sua spada.
Si scansò rapidamente di lato, evitando prontamente il nastro che gli scagliai contro, per poi lanciarsi verso di me con la spada sguainata.

Prima che potesse colpirmi con la sua spada, feci scomparire il nastro che avevo creato poco prima, facendo successivamente apparire l'Egida davanti a me: l'enorme scudo colore viola a forma di ingranaggio bloccò senza nessun problema il fendente verticale dell'uomo.
La sua spada collise con la mia Egida, generando un forte rumore metallico che echeggiò intorno a noi per qualche istante.

Subito dopo feci scomparire l'Egida, per sostituirla con una decina di nastri: essi si avvolsero intorno al mio braccio sinistro, creando qualcosa di simile al braccio di una armatura.

Mi preparai a colpire l'uomo con un pugno quando accadde qualcosa che non avevo previsto:
Il mio attacco andò a vuoto, ma non perché lui si fosse scansato....

Era come se, all'ultimo secondo, il mio braccio avesse cambiato traiettoria automaticamente.


Sfiorai il volto dell'uomo: approfittando della mia confusione, lui mi colpii in pieno volto con un rapido pugno, facendomi cadere rapidamente al suolo.

<< Devo ammettere di essere rimasto sorpreso, ragazzo. La tua abilità è davvero impressionante... Come se non bastasse, la mia Gioiosa non ha neanche scalfito quello scudo, sono esterrefatto. >>
Mi disse, congratulandosi con me, con una espressione seria in volto.
Lo guardai in silenzio, portandomi una mano sul naso sanguinante.

<< Ma, per quanto sia forte, ha delle enormi debolezze che non ho potuto non notare. >>
Aggiunse, sorridendo.

<< Di cosa stai parlando? >>
Gli domandai, confuso e infastidito dal tono con cui mi stesse parlando.

<< Ho visto centinaia, letteralmente, di persone con abilità simili alla tua... Tu puoi, in quale modo a me oscuro, far comparire strani oggetti metallici dalle tue mani, corretto? >>
Mi domandò, portandosi una mano davanti alla bocca, divertito.
Non gli risposi.

Sorrise.

<< E, da quanto ho notato, non puoi mantenere più "creazioni" contemporaneamente. Se così non fosse, non avresti avuto alcun motivo di far scomparire quei "nastri", per poi sostituirli con quello strano scudo e viceversa. Sbaglio, per caso? >>
Mi domandò, continuando con le sue supposizioni.

Neanche stavolta gli risposi.
Un enorme e divertito sorriso apparve nel suo volto, mentre abbassò le mani.
Ne portò una dietro la schiena, mentre l'altra la posò sull'elsa della sua lama, dopo averla rinfoderata.

<< Prendo il tuo silenzio come un si, se non ti dispiace. >>
Disse, divertito.


In quell'istante rimasi totalmente spiazzato dalla facilità con cui era riuscito a comprendere la mia abilità. 
Non era di certo una persona qualunque... Avrei imparato questa lezione nella maniera peggiore possibile.



<< Possiamo andare avanti con questa farsa per tutto il giorno, ragazzo, ma dubito che il risultato possa cambiare. Considerando che qualcuno dei miei soldati ha causato ben più problemi di voi, avrei l'intenzione di risolvere la cosa il più pacificamente possibile: se ti arrendi adesso, farò finta che il tuo tentativo di aggressione non sia mai accaduto. >>
Mi propose, con un sorriso soddisfatto in volto.

<< Neanche morto... Non credo a niente di quello che stai dicendo. >>
Gli risposi, senza neanche pensare per mezzo secondo alla sua proposta.

Per una frazione di secondo il suo sorriso scomparve, sostituito da una espressione infastidita.

<< La tua mancanza di fiducia è davvero sbalorditiva. >>
Mi disse, riacquistando la sua classica espressione.

<< Mi hai fatto sparare contro e, in più, ci hai quasi fatti saltare in aria. Scusa se mi viene difficile fidarmi di te. >>
Fu la mia risposta.
Anche solamente parlare con lui mi faceva imbestialire.

<< Eccetto la seconda parte, che non era assolutamente prevista... Il resto te lo sei cercato tu stesso. Ho provato, e sto ancora provando, a risolvere la situazione in maniera pacifica... Sei stato tu a rifiutare le mie offerte, e lo stai facendo anche tutt'ora. Io, invece, sto solamente svolgendo il mio lavoro: se un criminale rifiuta di collaborare, come soldato ho il dovere di usare le cattive maniere... Non so se mi spiego. >>
Mi rispose, gesticolando con una mano, senza lasciare andare l'elsa della sua spada con l'altra.

Quelle sue parole mi mandarono in bestia: sentii il sangue ribollirmi nelle vene, e lo guardai con uno sguardo furioso.

<< Quindi alla fine dei conti siamo noi i criminali, non quei mostri che hanno ferito una ragazza innocente, vero?! >>
Gli urlai contro.

Lo sguardo dell'uomo cadde su Jeanne, la quale era ancora dietro di me.

<< Mi duole dirlo, ma conosciamo perfettamente la discriminazione che viene fatta verso coloro che sviluppano delle abilità. Per quanto mi riguarda, in ogni caso, non provo nessuna forma di odio verso di voi, anzi: persone come te potrebbero rivelarsi ottime aggiunte alla forza militare della nostra Arcadia. >>
Mi rispose, abbassando lo sguardo, con un tono più calmo e serio.
Subito dopo sollevò lo sguardo, guardandomi dritto negli occhi con l'indice sollevato verso l'alto.

<< Le persone come voi, se ben addestrate, possono diventare soldati eccelsi e utili in svariate missioni troppo pericolose per le persone "normali". Altre nazioni hanno, ormai, già preso questo approccio... Quindi non vedo perché l'Arcadia dovrebbe essere differente. >>
Aggiunse, sorridendomi.

<< Quindi volete trasformarci in dei cani che obbediscano ad ogni vostro compito, che scendano sul campo di battaglia e siano i primi a morire, eh? >>
Gli domandai, infastidito.

<< Non mettermi in bocca parole che io non ho mai pronunciato, ragazzo. >>
Mi rispose, rapidamente, con un tono infastidito.

Fece qualche passo in avanti, in silenzio, senza smettere di fissarmi.
Si fermò proprio davanti a me.

<< Credi davvero che i nostri soldati non rischino la vita, quando scendono sul campo di battaglia? Ogni soldato ha una intera famiglia dietro di se: non comportarti come un ragazzino viziato. Sei troppo immaturo per comprendere appieno cosa significa diventare un soldato: come tale non ti permetto di insultare il lavoro che svolgo da più di venticinque anni. Le persone con abilità speciali sono temute, e questo è un dato di fatto: se ci pensi per bene anche qualcuno come te potrebbe capirne il motivo. Un buon ottanta, se non novanta percento si è, d'altronde, unito ai ribelli: quindi, criminali. Credi davvero servano altre spiegazioni sul perché le persone vi temino? >>
Mi disse, con un tono infastidito e serio.

<< Non siamo tutti criminali... >>
Disse una voce femminile alle mie spalle, prima che potessi rispondergli: attirò sia la mia attenzione che quella del Generale.

<< Jeanne... >>
Dissi, d'istinto, voltandomi verso di lei.
I suoi occhi erano rossi, e notai lacrime che le scendevano nel volto.

<< Molti di noi volevano solo vivere in tranquillità, una vita pacifica insieme alle altre persone... Perché dobbiamo combatterci? Perché non possiamo semplicemente capirci l'uno con l'altro? >>
Domandò, ad entrambi, singhiozzando.

<< "Jeanne", eh? >>
Sentii dire da quell'uomo.
D'istinto mi voltai verso di lui, preoccupato da quel suo tono.

La sua espressione era cambiata: era seria. Osservò Jeanne per qualche secondo, in silenzio, senza muovere neanche un muscolo.
D'un tratto allungò un braccio verso di lei, porgendole la mano.

<< Miss Jeanne, le assicuro che ho le sue stesse intenzioni. Voglio vedere la nazione prosperare, senza alcuna forma di razzismo, senza futili scontri interni. Tutto potrebbe rimanere uguale, oppure potremo provare a cambiarlo insieme: tempo al tempo, e prima o poi potremo tutti camminare mano nella mano. Mi farebbe l'onore di essere la prima a collaborare con noi? >>
Le propose, sorridendole e inginocchiandosi davanti a lei, con la mano tesa.

<< Stai mentendo... A voi non importa niente delle persone come noi. Non importa niente nemmeno di coloro che sono fuori dalle mura. >>
Dissi, infastidito: erano tutte bugie, non riuscivo a credere a neanche una sua parola.


Eppure, fui l'unico a rendersene conto.


Non mi rispose: mi guardò con la coda dell'occhio, voltandosi subito dopo di nuovo verso Jeanne.

<< Mi perdoni se la chiamo per nome, ma non ho potuto fare al meno dall'udirlo. Miss Jeanne, se mi aiuta a convincere il suo compagno le assicuro che nessuno di voi soffrirà alcuna ripercussione sull'accaduto: vi porterò dentro le mura, avremo un breve colloquio, e poi vi lascerò andare via con una piccola multa. Il suo amico non ha causato enormi problemi, quindi non c'è motivo di arrestarlo, stia tranquilla. >>
Disse a Jeanne, ignorandomi completamente.

La ragazza guardò la sua mano, per poi sollevare lo sguardo verso di lui.

<< Come... Si chiama, lei? >>
Gli domandò, incuriosita, smettendo finalmente di piangere.

Lui sorrise.

<< Levyathan Melvillei. I miei uomini mi chiamano "Generale Levi". >>
Le rispose.

<< Non sta mentendo? Posso fidarmi delle sue parole? >>
Gli domandò, preoccupata, calmandosi.

<< Ha la mia parola da soldato. >>
Rispose Levyathan, chiudendo le palpebre e afferrandole una mano dolcemente.




Dopo quelle sue parole, Jeanne afferrò la sua mano. Ormai era troppo tardi per tornare indietro: fui obbligato a seguirli fin dentro le mura, dove Levyathan ci fece parecchie domande.
Ad alcune mentii, mentre ad altre diedi rispose vaghe: non volevo di certo che potesse rintracciarci una volta lasciate di nuovo le mura.

Fu un tentativo inutile: quell'uomo era entrato in contatto con il Maestro, tempo addietro, preparando i dettagli del colloquio.

Esattamente come ci aveva promesso, fu una cosa breve: segnò ogni nostra risposta, per poi consegnarmi una piccola multa.
Essa sarebbe dovuta essere pagata il giorno in cui dei soldati sarebbero venuti a prendere coloro che erano stati proposti per il colloquio...



Dopo appena mezz'ora fummo liberi di lasciare di nuovo le mura della capitale: venimmo riaccompagnati nel villaggio di Jeanne a bordo di una carrozza militare.
Anche se, probabilmente, non era il posto migliore in cui andare.

<< Cosa farai, adesso? >>
Le domandai, dopo qualche minuto.
Eravamo davanti all'entrata del suo villaggio.

<< Mi piacerebbe tornare alla mia chiesa, anche se non credo sia fattibile ormai... >>
Mi rispose, abbassando lo sguardo, deprimendosi.
I suoi occhi erano tristi e lucidi: sembrava quasi avrebbe potuto piangere da un momento all'altro.

<< Perché non hai voluto arrenderti non appena te lo ha proposto? Se ti fossi arreso fin dal principio forse ora non sarebbe accaduto niente... >>
Mi domandò ad un certo punto, con un tono triste.

<< Non credo a mezza parola pronunciata da quell'uomo. Stai pur certa che, all'inizio, non aveva la benché minima intenzione di lasciarci andare facilmente.
Le risposi, sicuro della mia intuizione.

Jeanne abbassò lo sguardo, delusa.

<< Suppongo non scopriremo mai cosa sarebbe potuto accadere... >>
Disse, con un tono debole.

Cadde il silenzio per qualche minuto, mentre rientrammo dentro il villaggio.
Le voci si erano ormai sparse: non c'era persona che non ci guardasse.

Feci un verso infastidito.

<< Grazie... >>
Sentii dire da Jeanne.
Mi voltai verso di lei, confuso e sorpreso dalle sue parole.

<< Di cosa? >>
Le domandai, incuriosito.

<< Nonostante le cose non siano andate nel migliore dei modi, alla fine mi hai protetta due volte... Non so cosa sarebbe potuto succedere se non fossi intervenuto... >>
Mi rispose, evitando il mio sguardo.

<< Non avrei mai permesso a quella scena di ripetersi... >>
Le risposi, istintivamente, ripensando al giorno in cui il Maestro venne cacciato dal villaggio.

Strinsi i pugni ripensando alla ragazzina priva di vita che quel giorno lui stava tenendo sulle braccia.

<< In più... Grazie di non averli feriti. >>
Aggiunse Jeanne, in un secondo momento.

La guardai confuso, chiedendomi di chi stesse parlando.

<< Quelle persone... Grazie di non averle ferite. >>
Mi disse, notando la mia confusione.

Per un istante rimasi spiazzato da quelle sue parole...
Poi quelle stesse parole mi fecero innervosire.

 

<< Ti preoccupi più per i tuoi assalitori che per te stessa! Sii più egoista, proprio come lo sono le altre persone. Se continuerai ad essere così buona un giorno ti si ritorcerà contro: la tua gentilezza, un giorno, si rivelerà la tua condanna... E quel giorno potrei non essere li per salvarti. >>
La rimproverai, infastidito.








Quelle parole.... Sono così pesanti...


____________________________________________________________________________________________________________

Fine del capitolo 2-2, grazie dell'attenzione e alla prossima!







 

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Capitolo 10
*** Capitolo 2-3: Rabbia ***


Capitolo 2-3: Rabbia


<< Non posso fare una cosa del genere... >>
Non appena Yuu sentì le mie parole il suo sguardo cambiò improvvisamente: era sorpreso, ma notai anche che fosse infastidito.
Nonostante mi sentissi molto triste in quel momento, lo guardai sorridendo, mentre mi accarezzavo i capelli.

<< Non posso essere egoista, è contro la mia natura... Ciò a cui tengo di più sono le persone intorno a me: non riuscirei a sopportare di vederli star male, o soffrire. Mi va bene anche così. >>
Aggiunsi subito dopo, senza smettere di sorridere e portandomi una mano davanti al petto.

Yuu mi guardò in silenzio per qualche istante, con una espressione sorpresa, prima di riprendersi.

<< Ma è sbagliat- >>
Prima che potesse finire la sua frase, qualcuno ci chiamò entrambi.
Ci voltammo, sorpresi, notando Blake che ci correva contro.

<< Grazie al cielo vi ho trovati! >>
Ci disse, rallegrandosi, non appena ci raggiunse.
Aveva il fiatone.

<< Blake? Stai bene? >>
Gli domandai, preoccupata, avvicinandomi a lui e preparandomi ad aiutarlo come possibile.
Blake mi bloccò, sorridendomi.

<< Non preoccuparti per me, sto bene... Sono solo stanco... Vi stavo cercando da quando ho notato una esplosione in distanza, ero terrorizzato! Stavo cominciando a pensare al peggio, non trovandovi da nessuna parte... Avevo deciso di tornare alla comunità, pensando che magari foste tornati li, quando ho sentito qualcuno parlare riguardo ad uno "scontro" davanti ad una chiesa... Ho chiesto informazioni e non ci ho messo molto a capire voi due foste coinvolti... >>
Mi spiegò, respirando affannosamente, ma riprendendosi lentamente.
Subito dopo guardò Yuu, con una espressione cupa.

<< Non credo sia una buona idea rimanere qui a lungo, Yuu... Le voci si sono già sparse rapidamente. >>
Gli disse.

<< Cosa è successo di preciso? Dove eravate finiti? >>
Mi domandò subito dopo, con una espressione preoccupata e confusa.

<< Non serve preoccuparsi oltre, Blake. Stiamo bene. >>
Gli rispose Yuu, dandoci le spalle e incrociando le braccia.
Era frustrato, potevo vederlo.

<< Va tutto bene, Blake... Siamo riusciti a risolvere la cosa senza troppi problemi. Considerando come è iniziato, forse questo è il finale migliore! >>
Gli dissi, cercando di farlo rilassare.
Yuu fece un verso infastidito: non si voltò.

<< Tsk. Non concordo. >>
Mi disse, dandoci ancora le spalle.

Mi guardai intorno rapidamente: notai che, effettivamente, molte persone ci stavano fissando intensamente... I loro sguardi non erano molto amichevoli.
Quella visione mi rattristò molto, ma capii che non dovevo lasciarmi abbattere da cosa era appena accaduto.
Mi feci coraggio, prendendo poi un profondo respiro.

<< Credo che la cosa migliore sia tornare alla comunità. Poi vedremo come comportarci... Per ora Jeanne potrebbe restare con me e Mirajane, non ho problemi a dormire nel divano per qualche giorno. >>
Disse Blake, proponendo delle soluzioni a Yuu.

<< No, non serve che io causi tutti questi problemi... In realtà preferirei rimanere al villaggio... >>
Gli risposi, prima che potesse decidere al posto mio.
Non appena pronunciai quelle parole, Yuu si voltò verso di me: era furioso.

<< Cosa? >>
Il suo tono era cupo.

<< Jeanne, non credo che- >>
Prima che Blake potesse finire la frase...

<< Assolutamente no! Cosa ti sta passando per la testa, eh?! Hai la minima idea di cosa ti accadrebbe se ti lasciassimo qui?! >>
Yuu divenne improvvisamente furioso: potei notare una vena pulsargli istericamente nel collo.

<< Non credo che mi farebbero del male! Io li conosco, loro conoscono me e- >>
Anche stavolta, Yuu mi bloccò prima che potessi finire.

<< Non sai un cazzo! >>
Mi rispose, furioso.

<< Yuu! Calmati, stai esagerando! >>
Blake lo rimproverò rapidamente, cercando di farlo calmare.
Fu inutile: Yuu si voltò verso Blake, con uno sguardo furioso. 

<< Io sto esagerando?! Non sai niente, no, non sapete niente! Ho visto una ragazza di sei anni, morta, in braccio al suo padre! Quella bambina non aveva nessuna colpa, eppure è caduta vittima di questo schifo! E credi che abbiano ricevuto qualche genere di punizione? >>
Gli domandò.

<< Sono ancora li fuori! Vivendo tranquillamente come se niente fosse! E sono io quello che sta esagerando?! Non questi bastardi che ci vedono come mostri?! >>
Esclamò subito dopo, agitandosi, e indicando le persone che continuavano a guardarci da quando eravamo entrati nel villaggio.

Subito dopo si voltò verso di me.

<< Tu non rimarrai qui. Non permetterò che una cosa del genere possa accadere di nuovo, non quando posso impedirla! >>
Mi disse.

<< No! Non puoi scegliere per me! Conosco queste persone, sono sicura di poter parlare con loro! >>
Fu inutile: non importasse cosa provassi a dirgli, non sarei mai riuscita a convincerlo. 
Aveva ragione, ma non riuscivo ad accettarlo...

<< Ho detto di no! Non hai la minima idea di cosa mi stai chiedendo! Se vuoi davvero morire, tanto vale che ti ammazzi da sola! >>
Il suo sguardo era infuocato: la sua voce rimbombò intorno a noi, stava urlando. 
Potevo sentire quanto fosse agitato semplicemente ascoltando il suo tono, ma anche i suoi movimenti non lasciavano spazio a molte interpretazioni.

Quelle sue parole mi fecero molto male... Per un istante lo guardai sorpresa, per poi fare un passo all'indietro, portandomi le mani davanti al petto.
Abbassai lo sguardo, evitando di guardarlo in faccia. 

<< Hey! Smettila di parlarle in quel modo, Yuu! >>
Blake lo rimproverò rapidamente: sentii Yuu fare un verso infastidito.

<< No... Ha ragione... >>
Dissi, facendomi forza, a Blake.
Mi guardò stupito.

<< Jeanne, non devi dargli ragione per forza! Anche se avesse ragione, non è questo il modo in cui dovrebbe parlarti. >>
Mi rispose, confuso.

<< Lo so, ma... Ha ragione in ogni caso. Anche se non voglio accettarlo... Questo posto, queste persone... Sono la mia casa, la mia famiglia... Non voglio abbandonarli, preferirei provare a parlare con loro... >>
Dissi, rattristandomi.

<< Non funzionerà, e lo sappiamo tutti e tre. Prima ce ne andiamo e meglio è. Non voglio rimanere neanche mezzo secondo più del dovuto in questo maledetto posto... >>
Mi rispose, voltandosi verso quelle case, guardando le persone con uno sguardo orribile.

<< Spero facciano la stessa fine di quella bambina. Non meritano nient'altro. >>
Aggiunse.


Quelle sue parole mi ferirono più di qualunque altra cosa.... In quel momento mi sentii come pietrificata per qualche secondo. Lo guardai in silenzio, terrorizzata e preoccupata da quelle sue parole. 
Non mi sarei mai aspettata certe parole da lui... Qualcuno come lui che conosceva il dolore... Non riuscivo a credere che sperasse che qualcun altro soffrisse come soffrì anche lui.

Mi mossi rapidamente verso di lui: non appena si voltò verso di me gli diedi un forte schiaffo.
Questo mio gesto lo lasciò di stucco, visto che rimase fermo a fissarmi, in silenzio, con una espressione sorpresa.

<< Come hai potuto dire una cosa del genere? E' orribile... >>
Ero molto amareggiata in quel momento... Mi sentivo come se avessi potuto piangere da un momento all'altro.

<< Io- >>
Stavolta fui io a fermarlo prima che potesse parlare.
Si stava toccando la guancia con una mano, sorpreso e confuso.

<< No! Stai zitto! Non posso credere tu abbia detto qualcosa del genere! Vuoi davvero che qualcun altro soffra, è davvero quella la soluzione che vuoi? L'odio non fa che creare altro odio, generando un circolo senza fine... Non è la soluzione ai nostri problemi! Non è con la violenza che possiamo risolvere la situazione... >>
Non mi rispose: continuò a guardarmi in silenzio, con uno sguardo colpevole...
Poi evitò il mio sguardo.

<< Vuoi davvero che qualcun altro si senta come te? Come quell'uomo che ha perso sua figlia? Sono persone, proprio come noi: fanno errori, proprio come noi... Non sperare che qualcuno soffra... E' sbagliato, esattamente come lo è ciò che loro hanno fatto. >>
Aggiunsi, abbassando anche io lo sguardo.

<< Non dovremo dar loro ragioni per vederci come mostri... >>
Gli dissi, afferrando la sua mano e stringendola fra le mie. 
Continuò a fissarmi in silenzio, senza aprire bocca.

<< ... Dovremmo far loro capire che non siamo persone cattive. >>
Conclusi, sorridendo.

Yuu evitò il mio sguardo, assumendo una espressione colpevole.

<< Scusami... >>
Mi disse, a bassa voce.

<< E' ok, facciamo tutti degli errori. >>
Gli risposi, lasciando andare la sua mano.

Sentii una risatina alle mie spalle.

<< Ok... Ora che voi due abbiamo finito, cosa facciamo? >>
Ci domandò Blake, divertito, avvicinandosi a noi.

Yuu sbuffò.

<< Ovviamente rimanere qui non è fattibile, lo sapete benissimo entrambi. >>
Gli rispose Yuu, con un tono serio ma calmo.
Entrambi annuimmo.

<< Quindi, direi che l'opzione proposta da Blake sia fattibile. Per un po' di tempo potrai rimanere con loro. Nel mentre, vedremo cosa fare. >>
Concluse, incrociando le braccia.

<< Posso... Fare una cosa prima di andarcene? >>
Gli domandai, dopo aver accettato la loro proposta.
Ero rattristata, ma sapevo non ci fossero altre opzioni.

Yuu mi guardò di sbieco.

<< E' necessario? >>
Mi domandò, con un tono preoccupato.
Gli risposi con un cenno positivo del capo, sorridendo.

<< Ci metterai molto? E' sicuro? >>
Mi domandò, Blake.

<< E' sicuro... Non ci metterò molto. >>
Gli risposi.
Mi voltai di nuovo verso Yuu.

<< Per favore. >>
Gli dissi, portandomi le mani davanti al petto.

Seppur esitante, Yuu acconsentì... Evitando il mio sguardo.
Blake ridacchiò. 

<< Cosa c'è di divertente?! >>
Esclamò, infastidito, verso il suo compagno.

<< E' esilarante come tu obbedisca come un cagnolino... >>
Gli rispose.
Yuu fece un verso infastidito.

<< Al diavolo, sbrighiamoci. Meno ci mettiamo e meglio è. >>
Esclamò, imbarazzato.



Mi seguirono entrambi per le strade, facendomi praticamente da scorta. 
Mi rattristò molto vedere come le persone ci guardassero... Ma non potevo farci nulla.

Raggiungemmo la chiesa in breve tempo: mi voltai verso il muretto in pietra, guardandolo in silenzio per qualche istante... Mi rattristai, ma non avevo tempo da perdere.

Mi mossi verso una casa davanti alla chiesa, bussando all'entrata.

<< Comunque, cosa è successo qui? >>
Sentii dire da Blake.

<< Per farla breve: quell'uomo che mi attaccò quando incontrai Jeanne ci ha messo contro una folla di persone. Poi, come ciliegina sulla torta, è arrivato anche un gruppo di militari. >>
Gli rispose Yuu.

Non sentendo nessuno arrivare alla porta, bussai una seconda volta.

<< Vi ha seguiti? Come ha fatto a scoprirvi? >>
Gli domandò Blake, con un tono incuriosito.

<< No, me ne sarei accorto se qualcuno ci avesse seguito. Credo che, vedendoci insieme, abbia deciso di vendicarsi su di me mettendo in scena quella cosa... Non credo nemmeno che sapesse dei poteri di Jeanne. >>
Gli sentii rispondere al compagno.

<< Davvero?! Sei sicuro? >>
Gli domandò Blake, sorpreso dalle sue parole.

Bussai alla porta una terza volta.

<< Sicurissimo. Non ha visto Jeanne quando mi ha curato, e non ci ha assolutamente seguiti. Voleva vendicarsi su di me e, vedendomi insieme a Jeanne, la ha messa in mezzo. >>
Gli rispose.

La porta si aprì, finalmente.
Una donna che conoscevo mi apparve davanti: era sorpresa e preoccupata.

<< Hey, Fannie. >>
Le dissi, sorridendo.

<< Jeanne? Mi dispiace... Avevo visto cosa stesse accadendo, volevo aiutarti ma... Non potevo... Ti prego, perdonami...>>
Mi domandò, guardandosi intorno.
Le persone intorno a noi continuavano a fissarci intensamente. 


La conoscevo da una vita: era la madre di una mia amica con cui da piccola ero solita giocare nel giardino della chiesa.
Sua figlia aveva dei poteri: poteva far apparire delle piccole fontanelle di acqua dalle sue dita... Chissà cosa avrebbe potuto fare se fosse riuscita a controllare la sua abilità...

Non avrò mai una risposta: un giorno Michaela venne scoperta... La trovai stesa nel terreno, in una pozza di sangue, con un coltello nella schiena.


<< Non preoccuparti... Hai una famiglia a cui pensare, non te ne faccio una colpa. Potresti, però, farmi un favore? >>
Le domandai, sorridendole.


Dopo la morte della figlia cadde in depressione per qualche anno, arrivando quasi a suicidarsi... Furono il marito e il figlio più grande a salvarla.
Da allora continunai a visitarla ogni giorno, cercando di aiutarla come possibile... Ai suoi occhi ero ormai diventata la figlia che aveva perso.


<< Qualunque cosa per te, Jeanne.... Come posso aiutarti? >>
Mi rispose, rapidamente.

<< Non so per quanto tempo starò via dal villaggio... Potresti badare alla chiesa al posto mio? Mi piacerebbe tornare e ammirare il giardino ancora fiorito, un giorno. >>
Le dissi, sorridendo.

Fannie mi sorrise, afferrandomi poi una mano e stringendola forte.

<< Ti prometto che quando tornerai sarà anche più bello di prima! >>
Mi disse.
Quelle sue parole mi resero felice: in quella giornata, erano ciò che mi serviva sentire.

Le persone intorno a noi cominciarono a guardarci con sguardi terribili... Sia me che Fannie.

<< Fai quello che devi per proteggerti... Non esitare, non ti odierò... Tranquilla. >>
Le dissi, sorridendole.

<< Abbiate cura di lei, vi prego... E' come una figlia per me... >>
Disse a Blake e Yuu, quasi in lacrime.
Subito dopo si rivolse contro di me, sollevando una mano verso l'alto.

<< Perdonami, Jeanne, ti prego... >>
Mi disse, con occhi lucidi.
Le sorrisi, chiudendo gli occhi.

<< Vai via, strega! Allontanati dalla mia famiglia! >>
Urlò, dandomi un debole schiaffo in volto.
Subito dopo si allontanò, chiudendo rapidamente la porta di casa e lasciandoci fuori.

<< Perdonatemi... Vi prego, perdonatemi... >>
Le sentii dire, da dietro la porta... Non ci misi molto a capire che stesse piangendo.

Mi voltai verso Yuu e Blake, sorridendo.

<< Possiamo andare, adesso. >>
Dissi.
Stavo trattenendo le lacrime... Non soffrivo per il dolore, non mi aveva colpito con forza... Ma stavo male.

<< E'... Sbagliato... >>
Sentii dire da Yuu, con un tono furioso.
Lo guardai: digrignava i denti, stringendo forte i pugni.

<< Ha dovuto farlo... Altrimenti le altre persone se la sarebbero presa anche con lei... >>
Gli dissi, cercando di farlo ragionare.

<< E' esattamente quello il punto! >>
Esclamò.
Era esploso di nuovo.

<< Non posso accettare una cosa del genere! Cosa abbiamo fatto di male?! >>
Mi domandò, furioso, dando poi un pugno nel muro.

<< Questo mondo è sbagliato... >>
Aggiunse subito dopo, con un tono cupo.

<< Andiamo via... Non rendiamo la cosa più difficile di quanto non lo sia già... >>
Gli disse Blake, portandogli una mano nella spalla.

<< Non avete sentito quella donna?! Andatevene, bestie! >>
Disse una delle persone che che ci stava fissando da tempo.
Mi voltai verso quell'uomo, provando a dirgli che stavamo andando via... Mi urlò contro di essere un "demone", di "stare zitta".

~ Odio... ~
Sentii dire da quella voce autoritaria.
Guardai Yuu, d'istinto.... Un brivido mi passò nella schiena: ero spaventata.

~  ... Razzismo, violenza, abuso di potere... I deboli soffrono, chi è diverso viene punito, odiato e ferito... E'  davvero questa la "Nazione Perfetta" di cui ho così tanto sentito parlare? ~
Aggiunse, quella voce. 

<< Ne ho avuto abbastanza... >>
Disse Yuu, non appena quella voce finii di parlare.

Si voltò verso la persona che ci aveva detto di andarcene: il suo sguardo era minaccioso, ma sembrava stranamente calmo.
Sollevò un braccio, lentamente, puntandoglielo contro, mentre quell'uomo si stava avvicinando a noi.

Capii immediatamente cosa avesse intenzione di fare.

<< Fermo, Yuu! >>
Esclamò Blake, ma fu troppo tardi: non so quanti nastri viola uscirono dal palmo della sua mano, muovendosi rapidamente verso quell'uomo.

<< No! >>
Esclamai, chiudendo gli occhi.
Ero terrorizzata: non riuscii a riaprire gli occhi per qualche istante.

Sentii un forte rumore.
Quando finalmente aprii gli occhi, notai che tutti i nastri avevano mancato il bersaglio nonostante non si fosse mosso neanche di mezzo centimetro...
Lo aveva mancato di proposito.

L'uomo aveva abbassato lo sguardo verso il terreno, impallidito.
Cadde sulle ginocchia, guardando intensamente i nastri viola che si erano conficcati nel terreno intorno a lui.

Rapidamente, Yuu ritirò i nastri, facendoli poi scomparire nel nulla.

<< Apri quella fogna di nuovo, pezzo di merda, e ti assicuro che saranno le ultime parole che pronuncerai in vita tua. Ringrazia questi "mostri" se stai ancora respirando... Perché avevo tutta l'intenzione di farti a pezzi. >>
Gli disse, dandogli le spalle.

<< Yuu! Sei impazzito?! >>
Lo riproverò Blake.

Yuu non gli rispose: lo guardò in silenzio, furioso.

<< Se non ti avessimo fermato- >>
Prima che Blake potesse finire di parlare, Yuu lo interruppe.

<< Oh, stai tranquillo.... Se ci fossi stato solo tu, oggi, quell'uomo ora sarebbe carne da macello. >>
Gli rispose, superandolo, lasciandoci indietro e incamminandosi per conto suo.



In quell'istante vidi la sua vera natura, credo.
Mi spaventava molto anche solamente pensare a cosa sarebbe potuto accadere se non lo avessimo fermato... 
Volevo provare ad aiutarlo, ma avevo paura di cosa avrebbe potuto fare... Di cosa io gli avrei fatto fare, involontariamente.

 

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Fine del capitolo 2-3, alla prossima! Grazie dell'attenzione!

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Capitolo 11
*** Capitolo 2-4: Fiducia ***


Capitolo 2-4: Fiducia



Il viaggio di ritorno fu davvero orribile.
Yuu ci aveva preceduto, quindi non avevamo la benché minima idea di dove fosse finito... Continuai a parlare con Jeanne riguardo a cosa fosse appena accaduto al villaggio, e mi raccontò anche del loro incontro con quel "Levyathan Melvillei"... Avevo già sentito quel nome, tempo addietro.

Prima di arrivare alla comunità vivevo con la mia famiglia all'interno delle mura dell'Arcadia: era li che lo vidi, la prima volta, di rientro da una spedizione.

Non eravamo ricchi, ma nemmeno poveri. Quando scoprii la mia abilità, ebbi veramente molta paura... Fortunatamente, però, la mia famiglia mi aiutò.
Non è un qualcosa che accade spesso, fui davvero molto fortunato.

C'era un solo problema: non riuscivo a controlalrla. La mia abilità consisteva nel manipolare la luce, all'inizio, e non riuscivo a controllarla a dovere. 
In base al mio stato d'animo, la luce che emanavo dalle mani era più o meno forte... Non potevamo rischiare che mi scoprissero.
Quindi, mi fecero lasciare le mura con qualche genere di escamotage che tutt'ora non conosco: riuscirono ad entrare in contatto con il Maestro, che accettò di allenarmi a dovere per controllare la mia abilità speciale.

Con il passare degli anni, ci riuscii: avevo quindi già in programma di tornare dentro le mura facendo affidamento alla mia famiglia.


<< Hey, Jeanne... Stai bene? >>
Le domandai, notando la sua espressione preoccupata e il suo sguardo rivolto verso il terreno.
Stavamo camminando per un piccolo sentiero, di ritrono alla nostra comunità.

<< Si, io... Stavo pensando a cosa era successo poco fa... >>
Mi rispose, con un tono molto debole e triste, senza guardarmi. 

<< Sono sicuro che sia stato solo uno scoppio d'ira, non è mai stato effettivamente così violento... >>
Le dissi, cercando di farla stare meglio.


Stavo mentendo.
Agli inizi, Yuu era effettivamente molto violento e preferiva stare per conto suo. Con il passare del tempo si calmò e siamo anche riusciti a farlo cambiare...
Ma lo sapevo allora, e lo so anche adesso...
Ciò che Yuu era in grado di fare. 
Quando i suoi occhi si riempivano di rabbia... Ho visto di persona cosa era in grado di fare.

Circa tre anni fa c'era un ragazzo nella nostra comunità, si chiamava Friederich. 
Era... Uno stronzo, Yuu non lo ha mai sopportato. Ma lo accettò.
A lui piaceva molto Mirajane, e provò più volte ad avvicinarsi a lei in modi che non piacevano né a me né a Yuu.

Un giorno Friederich diede di matto durante una discussione con qualcuno, per poi attaccare quella persona. Fu una ferita molto grossa, ma non letale.
Il Maestro lo cacciò, ma Friederich non volle andarsene: "Non ho fatto niente di male, voi continuate a venirmi contro per ogni cosa che faccio!" continuava a ripetere, all'infinito.

Poi, capendo che non sarebbe cambiato niente... Friederich ha attaccato la nostra stessa comunità: distrusse un paio di edifici e ferì un paio di persone prima di venir fermato da Yuu.

Avrebbe potuto lasciarlo andare... Ma non lo fece.
" Non basta. "
Fu la sua risposta, prima di tagliarli un braccio con i suoi nastri.

L'abilità di Friederich era collegata al suo braccio... Senza di esso, probabilmente la avrebbe persa.

Il Maestro lo punì Yuu in una maniera esemplare per quella sua reazione, ma non si è mai pentito.
" Se lo avessimo lasciato andare, chissà quanto tempo sarebbe passato prima che avesse fatto del male a qualcun altro. "
Fu la risposta che ci diede.

Non posso dire di non capire come pensa, quanto meno dire che non avesse ragione... Ma sapevo anche quanto potesse diventare pericoloso e cinico in certe situazioni.
Conoscevo bene il suo sguardo: se non lo avessimo fermato, al villaggio... Avrebbe ucciso quell'uomo senza farsi troppi problemi.

Ma Jeanne non doveva sapere questi dettagli.
Per il meglio.


<< Davvero? >>
Mi domandò subito dopo, voltandosi verso di me con uno sguardo speranzoso, ma allo stesso tempo triste.

<< Si, tranquilla. Parlerò con il Maestro e ci penserà lui a fargli una lavata di capo! >>
Le dissi, forzando un sorriso.

Jeanne abbassò di nuovo lo sguardo.

<< Ero spaventata... Credevo lo avrebbe ucciso. >>
Disse, con un tono terrorizzato.

<< Non lo avrebbe mai fatto... >>
Le dissi, cercando di convincerla.

<< Lo abbiamo fermato, ecco perché non lo ha fatto. >>
La sua risposta fu secca: si fermò sul posto, guardandomi con uno sguardo tremante. 
Era pallida, con le mani davanti al petto.  Sembrava stesse per piangere da un momento all'altro.

<< Si sarebbe fermato da solo, tranquilla! >>
Le dissi, cercando di rassicurarla.
Non ci stavo riuscendo.

<< Ha detto che lo avrebbe ucciso se non lo avessimo fermato... >>
Mi rispose, guardandomi di nuovo con uno sguardo debole e triste.

<< Era solamente arrabbiato, non aveva intenzione di farlo, fidati di me! >>
Le dissi.
Jeanne abbassò lo sguardo: era dubbiosa.

Sbuffai, portandomi una mano dietro al capo e grattandomi la testa.

<< Senti, Jeanne... >>
Cominciai a dirle, abbassando anche io lo sguardo ed evitando di guardarla.

<< ... Yuu è ferito. Ha vissuto alcune cose, ad una certa età, che non avrei augurato a nessuno. Necessita solo che qualcuno continui a tenerlo per mano durante il suo cammino, aiutandolo nei momenti di difficoltà. Noi lo abbiamo fatto... >>
Le dissi, voltandomi poi verso di lei.
Era sorpresa.

<< ... E ora anche tu puoi darci una mano. Non è cattivo, lo so. E so anche che tu possa essere un grande aiuto. Quindi, ti prego, non arrenderti con lui... Non ancora. >>
Conclusi, sorridendole.

Jeanne mi guardò in silenzio per qualche istante, sorpresa, prima di riabbassare di nuovo lo sguardo.
Era dubbiosa, ma poi mi sorrise.

<< Farò del mio meglio. >>
Mi rispose, con quel suo sorriso gentile.
Ricambiai il sorriso, riprendendo ad incamminarmi. Jeanne mi seguì a ruota.

<< Oh, a proposito... Io, Yuu e Mirajane parteciperemo ad un colloquio per diventare soldati dentro le mura... Ti andrebbe di partecipare? >>
Le chiesi, ricordandomi dell'accordo con Yuu.

<< Io... >>
Mi rispose, confusa e preoccupata.

<< Oh, non preoccuparti. Non devi far del male a nessuno: qualcuno con la tua abilità sarebbe un ottimo dottore da campo, proprio quello che piacerebbe fare a me. >>
Le spiegai, capendo immediatamente la sua preoccupazione.

<< Uhm... Anche se con le mie abilità di cecchinaggio potrebbero chiedermi di scendere sul campo da battaglia...  E Mirajane finirebbe nelle prime linee, grazie alla sua... >>
Aggiunsi, leggermente preoccupato.

<< Oh! Non ho mai visto le vostre abilità! >>
Esclamò Jeanne, con occhi illuminati dalla curiosità.
Saltellò sul posto, impaziente, portandosi le mani davanti al petto, euforica come una ragazzina davanti alla sua star preferita.

<< Beh... Se insisti... >>
Le risposi, gongolando.
Allungai un braccio in avanti: una sfera luminosa apparve nel palmo della mia mano, per poi allungarsi a destra e a sinistra in due lunghe e curve linee luminose.
Strinsi la presa su quel lungo e curvo fascio di luce: era solido.
Portai anche la mano destra in avanti, muovendola come se stessi caricando la freccia di un arco: vi apparve un secondo fascio di luce a forma di freccia.

<< E'... Un arco di luce?! >>
Esclamò Jeanne, divertita e sbalordita dalla mia abilità.

Allontanai la mano destra dalla sinistra, caricando la freccia, poi puntai l'arco luminoso verso il cielo.
Sparai la freccia luminosa verso il cielo, la quale scomparve dopo pochi istanti dalla nostra vista.

Guardai Jeanne sorridendo, mentre impugnavo ancora il mio arco luminoso.

<< E' così bello! >>
Esclamò.

Le sorrisi, mentre feci scomparire l'arco.

<< Mi sono sempre piaciuti gli arcieri, fin da quando ero piccolo. In verità potrei creare svariati armi e oggetti, ma ho preferito allenarmi solo con l'arco. Ho sempre creduto servissero molte abilità per usarli, in più mi piaceva l'idea che le ragazze pensassero fossi abile con le mani. >>
Le risposi, divertito, facendole l'occhiolino.

Jeanne mi guardò con una espressione imbarazzata per qualche secondo.

<< Sei pessimo... >>
Mi rispose, evitando il mio sguardo.

Feci una grossa risata divertita, prima di riprendere ad incamminarmi.

<< L'abilità di Mirajane, invece, è più tosta della mia. Anzi, se devo essere onesto, lei è un caso speciale anche tra chi possiede abilità. >>
Le dissi, continuando il discorso.

<< Cosa vuoi dire? >>
Mi domandò, incuriosita dalle mie parole.

<< Vedi, ci sono rarissimi casi in cui qualcuno sviluppa due abilità. Mirajane è uno di questi casi: lei ha due abilità. La prima è "telecinesi": può muovere alcuni oggetti con il semplice pensiero, ma non può muoverli se sono troppo pesanti. Ad esempio, non potrebbe sollevare me. La sua abilità "principale", però, è molto simile a quella di Yuu. Come lui, anche lei può materializzare oggetti metallici, ma lei si limita ad una armatura che la avvolge. Può anche creare una spada, volendo. >>
Le risposi, spiegandole rapidamente l'abilità della mia compagna.

<< E' incredibile... Due abilità? Non avevo mai sentito una cosa del genere... >>
Mi disse, sorprendendosi.

<< E' abbastanza raro, si. Ho letto alcuni libri, e pare che solamente il tre percento di chi sviluppa abilità speciali si ritrovi ad averne due. E' davvero speciale, la mia Mira. >>
Le risposi, sorridendo.

<< Sei davvero orgoglioso di Mirajane, eh? >>
Mi domandò, divertita.

<< Davvero... >>
Le risposi, guardando davanti a me, con uno strano sorriso in volto.

<< ... Sono davvero fortunato. >>
Aggiunsi.

<< Voi due accetterete? >>
Mi domandò dopo pochi istanti, tornando sul discorso precedente.

<< Probabilmente si. Vorremo provare a cambiare le cose, e vorrei provarci dall'interno. In una maniera pacifica, se possibile. Se non proviamo, non sapremo mai se avrebbe funzionato: preferisco fallire, piuttosto che non provare. >>
Le risposi, senza voltarmi verso di lei.

<< La penso come te... >>
Mi disse.
Mi voltai verso di lei, capendo di essere riuscito nel mio intento: nel mio volto apparve un sorriso soddisfatto.

<< Mi piacerebbe partecipare al colloquio... Potrei, magari, anche riuscire a farci seguire da Yuu. >>
Disse, sorridendomi.

<< Non prenderlo per assicurato, signorina. Sa essere piuttosto ostinato, quando vuole. >>
Le dissi, divertito.



Quando finalmente raggiungemmo la comunità, capimmo che Yuu non era li.
Ci aveva superato, ma non aveva fatto ancora ritorno. 
Eravamo entrambi preoccupati, ma riuscii a convincere Jeanne di non preoccuparsi. Mi diressi dal nostro Maestro, con l'intenzione di parlargli di cosa accadde al villaggio...

Non volevo farlo, ma non avevo scelta: era una regola che il Maestro stesso ci aveva imposto.

Gli parlai, e mi disse di non preoccuparmi: 
" Ho una vaga idea di dove possa trovarsi. "
Mi disse, sorridendo e portandomi una mano nella spalla.

Gli chiesi di non prendersela troppo con lui, visto che se avesse reagito così dovevano esserci di sicuro delle ragioni più che valide.
" Non ho intenzione di punirlo come l'ultima volta: voglio solo parlargli. "
Mi rispose, rallegrandomi.
Lasciò la comunità subito dopo avermi salutato, andando alla ricerca di Yuu.



Durante la sua assenza, però, accadde qualcosa che tutt'oggi stento a credere.
Jeanne si avvicinò da me e Mirajane, con una espressione preoccupata e dubbiosa.

" Vorrei parlarvi di una cosa a cui ho continuato a pensare fino ad ora... C'è un posto appartato? "
Ero sorpreso dalle sue parole: cosa c'era di così importante che Jeanne volesse dirci, arrivando a tal punto di evitare che qualcuno potesse sentirci?

La mia domanda avrebbe ricevuto rapidamente una risposta:

Dopo aver deciso che Jeanne dovesse ospitare nella nostra abitazione per qualche giorno, finalmente si decise a dirci riguardo a cosa volesse parlarci.



<< Quindi? Di cosa volevi parlarci? >>
Le domandai, seduto nel divano insieme a Mirajane. 
Jeanne era seduta in una sedia davanti a noi: il suo sguardo era stranamente serio e preoccupato... La cosa mi lasciò di stucco.

<< So che potrebbe sembrarvi strano, pazzo direi, ma... Vi pregherei di credermi. >>
Ci disse.
Mi voltai verso Mirajane: anche lei era preoccupata dalle parole di Jeanne.

<< Ok... Vai pure, sono pronto a qualunque rivelazione... >>
Le dissi, dopo aver fatto un profondo respiro.

<< Yuu... Sente delle voci. >>
Ci rivelò.

La guardai in silenzio per qualche secondo, portandomi le mani davanti alla bocca.

<< Sai, non credo sia già così pazzo... >>
Le risposi, confuso e sorpreso dalle sue parole.

<< No, non è quello che voglio dire! Sente davvero una voce! >>
Mi disse, capendo probabilmente quando fossi incredulo.

<< Hai qualche prova che possa confermarlo? Perché crederti così su due piedi è abbastanza difficile... >>
Le risposi, dandole il beneficio del dubbio.

<< La ho sentita anche io, quella voce... >>
Mi rispose, abbassando lo sguardo.
Aveva capito anche lei quanto strana fosse la sua affermazione.

La guardai per qualche istante, con gli occhi spalancati, per poi alzarmi e dirigermi verso di lei: le toccai la fronte con una mano.

<< Non impazzirmi anche tu, Jeanne: mi servi sana! >>
Le dissi, sdrammatizzando.

<< No, ti prego di credermi! Non sono pazza, e non lo è nemmeno lui: ti sto dicendo la verità! >>
Esclamò, con un tono serio e sicuro.
La guardai stupito, per poi voltarmi verso Mirajane.

" Non so che dire o che fare. "
Era quello che lessi nel suo volto: ci guardava con la bocca spalancata.

<< Ok, uhm... Diciamo che io ti creda... Perché volevi dircelo? >>
Domandai a Jeanne, facendo il suo gioco.
In quel momento ero ancora incredulo: credevo seriamente fosse impazzita di colpo.

<< Forse... E' meglio se lo vediate di persona... E' più semplice che sia lei a spiegarlo... >>
Mi rispose, preoccupandosi.

<< "Lei"? >>
Ripetei, sempre più confuso.

<< Hey, Bea? Potresti venire fuori un momento? >>
Domandò, ad un certo punto, a nessuno.

<< Uhm, Jeanne... Ho davvero paura tu sia impazzita... >>
Le dissi, preoccupandomi per lei.

<< No... Non è impazzita, tranquillo. >>
Sentii dire, subito dopo, da una voce femminile che mai avevo sentito prima.
Ero pietrificato: mi voltai molto lentamente, guardando poi la persona che era apparsa dal nulla nella nostra stanza.
Mirajane aveva uno sguardo scioccato.

<< Ok... Questo è... Davvero strano... >>
Furono le uniche parole che riuscii a dire in quell'istante.
Ero confuso, stupito e credevo di essere impazzito insieme a loro:

Una donna dagli occhi verdi e lunghi capelli biondi, che mai avevo visto prima in vita mia, era apparsa dal nulla alle mie spalle.
La guardai in silenzio per qualche istante che sembrò infinito, con occhi e bocca spalancati.

<< So che possa sembrare strano e assurdo... Jeanne reagì allo stesso modo la prima volta che mi vide. Sono reale, non sei ancora impazzito. >>
Mi disse, sorridendomi.

<< Il mio nome è Beatrice. E credo di sapere perché Jeanne voleva parlarvi, visto che sono stata io a dirle una certa cosa che la ha fatta preoccupare... >>
Aggiunse, portandosi una mano nel petto.




Era una donna bellissima.
Non credo di aver mai visto una donna tanto bella in vita mia... 
Ma, per qualche ragione, mi sentivo stranamente sottomesso anche dalla sua sola presenza: quella donna aveva qualcosa di strano... Anche se non avrei scoperto cosa fosse per molto tempo...

Sapevo, comunque, fin da quando la incontrai per la prima volta che aveva qualcosa di diverso da noi. 
Ma, per lo meno, non era lei il nostro nemico.



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Fine del capitolo 2-4, alla prossima con l'ultimo capitolo del volume 2 e grazie dell'attenzione!





 

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Capitolo 12
*** Capitolo 2-5: Colori ***


Capitolo 2-5: Colori


Non so per quanto camminai... Ma non mi voltai mai indietro.
Lasciai quel villaggio molto rapidamente: meno ci rimanevo e meglio era... 

Volevo stare da solo, volevo pensare, riflettere e sfogarmi. 
In quel momento la mia mente non era ancora lucida... Dovevo calmarmi: c'era un solo posto in cui mi piaceva andare, un posto che mi faceva sempre calmare.

Seguii il sentiero che mi avrebbe portato alla mia comunità, però poi cambiai improvvisamente direzione: mi addentrai nel bosco, facendomi attentamente strada tra alberi e arbusti.

Imparai a conoscere quel posto fin da quando arrivai alla comunità insieme al Maestro... 
Non ha mai voluto essere chiamato per nome... All'inizio non capivo il motivo, ma ora mi è chiaro, credo.

Il suo nome gli ricordava chi fosse... La sua casa, la sua famiglia... La figlia che gli venne strappata...
Pensando a quella cosa, colpii un albero con un pugno.

<< Non siamo noi i mostri... >>
Dissi, guardando il mio pugno con uno sguardo furioso.
Tremavo.

Ripresi a camminare.
Ero in mezzo alla natura, il silenzio intorno a me era rotto solo dal fruscio delle foglie, dal vento e da qualche piccolo animale che scappava da me.
Non appena sentii il rumore di un ruscello in distanza mi diressi rapidamente verso di esso.

Seguii il corso di acqua limpida per qualche minuto, arrivando finalmente a destinazione:

In mezzo a quella foresta c'era un enorme lago.
Secondo il Maestro, si formò tanto tempo fa con l'impatto di qualche meteorite.
Onestamente, però, non mi importava come si fosse creato: era un posto incontaminato, solo gli animali ci abitavano.
Lo specchio d'acqua era sempre calmo e limpido, non credo fosse poi tanto profondo... Ero solito andarci ogni volta che mi sentivo stressato, fin da quando lo scoprii.

Era un lago a forma ovale, con un grosso prato verde in un lato.
Mi sdraiai in quel prato con il volto rivolto verso il cielo, chiudendo poi le palpebre. Quel silenzio, il profumo dei fiori e dell'erba... Ogni cosa li riusciva sempre a calmarmi.


Pensavo a tante cose... 
E più ci pensavo, più sentivo la rabbia attanagliarmi.

" Come può esistere qualcuno come Jeanne? Le persone come lei non vivono a lungo... "
Pensai.

" Come può esistere qualcuno come Blake? Le persone come lui vengono facilmente sfruttate... "
Pensai.

Subito dopo aprii le palpebre, osservando il cielo sopra di me.
Ero triste.

<< Sono io che sbaglio? >>
Mi domandai.
Subito dopo mi voltai alla mia destra, inconsapevolmente.

C'era un fiore raro: i suoi petali erano bianchi.
D'istinto allungai una mano verso quel fiore, toccando uno dei suoi cinque candidi petali.

Erano soffici e umidi.

Osservandolo più attentamente, notai che i suoi petali non erano esattamente bianchi: vi erano diverse striature di vario colore, come se fossero piccolissimi arcobaleni intrappolati nei suoi petali bianchi.
Continuai ad osservare quel fiore, senza smettere di accarezzarlo.

<< Tanti colori su uno sfondo bianco... >>
Le parole che pronunciai, per qualche motivo, mi fecero rattristare.

Perché continui ad accarezzare quel fiore, Yuu? ~
Mi domandò quella voce.


Ci misi qualche istante per rispondergli.

<< Non ne ho idea. >>
Dissi, smettendo di accarezzarlo.
Continuai a guardarlo intensamente.


Passarono dei minuti che sembravano infiniti... Poi sentii una voce a me familiare.
Mi sollevai da terra, voltandomi verso la persona che mi aveva chiamato.

<< Maestro... >>
Dissi, riconoscendolo.

La sua espressione era triste.
Sapevo benissimo perché fosse venuto a cercarmi.

<< E' venuto per punirmi, Maestro? >>
Gli domandai, senza muovermi neanche di un millimetro.

<< Cosa ti è successo, Yuu? >>
Mi domandò, ignorando la mia domanda.
Il suo tono era deluso e triste.

<< Io... >>
Non riuscii a finire la frase che volevo dire...
Non riuscii a dire quello che mi tenevo dentro.

<< ... Sono sicuro che sa perfettamente cosa sia successo. >>
Gli risposi, con un tono serio.
Non era quello ciò che volevo dirgli.

Il Maestro non mi rispose subito.
Sentii il suo sguardo addosso, nonostante non lo stessi guardando: potevo sentire come mi stesse scavando dentro.

<< Blake mi ha detto cosa è successo al villaggio... Mi ha anche detto di non punirti... Ma voglio sentirlo da te. >>
Mi rispose.
Guardai il fiore che fino a poco prima stavo accarezzando.

<< Ho provato ad uccidere un uomo. >>
Confermai quello che Blake gli aveva riferito.

<< Ti sei fermato o ti hanno fermato? >>
Mi domandò subito dopo.
Esitai prima di rispondergli.

<< Mi hanno fermato. >>
Fu la mia risposta.
Cadde un profondo silenzio.


<< Non è ciò che ti ho insegnato, Yuu. Vi ho insegnato ad usare le vostre abilità per fare del bene, non per spargere del sangue. >>
Gli sentii dire.
Strinsi i pugni, digrignando poi i denti.
Mi voltai rapidamente verso di lui: ero furioso.

<< Come puoi parlare così?! Come puoi essere così calmo?! >>
Urlai, ansimando.

<< Yuu... >>
Fu l'unica cosa che il Maestro riuscì a rispondermi, guardandomi con pietà.

In quell'istante pensai a ciò che era accaduto poco prima davanti alla chiesa di Jeanne: quella donna, per evitare di attirare la rabbia dei suoi compaesani, ha dovuto colpire ed allontanare Jeanne... Senza volerlo.

<< Non meritano niente... >>
Aggiunsi, abbassando lo sguardo e stringendo i pugni.
Ero furioso.

<< No, tutti meritano di vivere. E' facile odiare qualcuno: ciò che risulta veramente difficile è perdonare. >>
Mi disse.
Il suo tono era serio e calmo.

<< Perdonare, eh? >>
Ripetei, guardandolo con uno sguardo cupo.

<< Proprio come tu hai perdonato le persone che hanno ucciso tua figlia. >>
Dissi.

Non appena pronunciai quelle parole, notai che il suo sguardo cambiò: per un istante tremò.

<< Tu, Maestro, dovresti capirmi più di chiunque altro... Come puoi essere così? Quel giorno, quelle persone hanno ammazzato quella ragazzina davanti ai tuoi occhi, tua figlia. E tu non hai reagito! Li guardavi, con occhi colmi di dolore e lacrime, ma li hai perdonati... >>
Mentre pronunciavo quelle parole, potevo sentire la tensione scorrermi dentro.


Volevo urlare.
Volevo scappare via.
Volevo ridere.
Volevo piangere.
I miei sentimenti erano così confusi... Io, ero così confuso....


<< Come? Come hai potuto perdonarli? Non hai provato nulla?! >>
Continuai, urlandogli contro.
Il Maestro non mi rispose: continuò a fissarmi in silenzio, con occhi pieni di pietà e dolore.

<< Non hai davvero provato niente abbracciando il corpo privo di vita di tua figlia, mentre quei mostri continuavano a lanciarti le pietre contro?! >>
Conclusi, indicandolo e muovendo istericamente un braccio verso l'esterno, quasi come se stessi scacciando qualcosa.

<< Come... Come ci sei riuscito? Come hai potuto perdonare un atto tanto crudele? Come hai potuto sopportare la perdita di qualcuno così importante? Non lo capisco... Non ci riesco... >>
Aggiunsi subito dopo, abbassando lo sguardo.
Mi sentii improvvisamente triste.

Lui non li odiava.
Lui non cercò vendetta.
Non riuscivo a capirlo.

<< Odiarli sarebbe stato facile... Vendicarsi, ancora di più. >>
Mi rispose, finalmente, non appena conclusi di parlare.

<< Quindi perché? Perché li hai perdonati? Come puoi sopportare un tale crimine!? >>
Gli chiesi, confuso e furioso.

<< Yuu... Non lo ho sopportato... >>
Mi rispose.
La sua voce stava tremando.

Lo guardai, sorpreso.
Stava piangendo.

<< Ho sofferto... Più di quanto tu possa immaginare. Ho sofferto così tanto che credevo sarei impazzito... Ho sofferto così tanto che volevo morire... >>
Mi disse, sollevando lo sguardo verso il cielo.

<< Ero furioso, li odiavo... Volevo ucciderli. >>
Disse, senza smettere di fissare il cielo.

Poi un sorriso apparve nel suo volto: mi guardò, bloccando le lacrime con la forza.

<< Poi, però, ho capito che anche quelle persone avessero delle famiglie. Se mi fossi vendicato, anche quelle persone avrebbero sofferto come me... Lo stesso mio dolore... La stessa voglia di vendetta... L'odio genera altro odio, e la vendetta genera altra vendetta: si crea un circolo vizioso senza fine. Anche se li avessi uccisi, mia figlia non sarebbe mai tornata in vita. Cosa avrei ottenuto dalla vendetta? Soddisfazione nel mettere fine ad una vita umana? Poi cosa sarebbe rimasto se non il vuoto? So che la mia famiglia non avrebbe mai voluto vedermi cadere vittima dell'odio: vendicarsi è facile, provare odio è facile... Ciò che è realmente difficile è andare avanti, perdonare chi ti fa un torto. Non è facile: è doloroso, straziante... Spesso vuoi arrenderti, altre volte ti fermi sotto la pioggia a piangere e urlare dal dolore... Ma continui a muoverti in avanti. Perché la tua stessa esistenza potrebbe significare molto per qualcun altro. Vendicarmi non avrebbe fatto altro che causare altro dolore e far aumentare la rabbia verso di noi, non credi? E, se lo avessi fatto, non avrei mai creato la comunità dove ora vivete... Non vi avrei mai incontrato... E chissà cosa ne sarebbe stato di tutti voi. >>
Le sue parole erano calme, sicure e gentili.
Non riuscii a rispondegli niente: lo fissai in silenzio, con gli occhi spalancati e le labbra che tremavano.

<< Hai persone da proteggere, Yuu. Non fare le scelte sbagliate. Segui il tuo istinto, dai sfogo ai tuoi sentimenti: se vuoi odiare qualcuno, fallo. Se vuoi amare qualcuno, fallo. Se vuoi perdonare qualcuno, fallo. Ma non fare del male a qualcuno solo per vendetta... Distruggerà te stesso per sempre. Non aver paura di dar sfogo ai tuoi sentimenti, non significa essere deboli... I sentimenti sono ciò che ci fa capire di essere ancora umani: il pericolo nasce quando smetti di provarli... Quando smetti di essere umano. >>
Mi disse.

Non riuscivo ancora a capirlo...

<< Erano umani, loro, quando hanno ucciso tua figlia? Erano umani, loro, quando hanno provato a ferire Jeanne? Sono umani, loro, quando ci chiamano "Mostri" senza nessun motivo?! >>
Gli domandai, furioso.

<< No, non lo sono. >>
Mi rispose, con un tono serio.
Rimasi sorpreso dalla sua risposta.

<< Ma non significa che debbano morire per quello. Tutti possono cambiare... Non prendere la strada più facile, Yuu... Quando capirai che hai preso la via sbagliata, sarà ormai troppo tardi. Quando capirai che fare del male alle altre persone non ti darà niente, sarà ormai troppo tardi. Pensa a quelli che devi proteggere, Yuu. >>
Aggiunse, mentre si incamminò lentamente verso di me.

Mi posò una mano nella spalla, guardandomi con un sorriso gentile in volto.

<< Non lasciarli. Non deluderli. Non renderli tristi. Non ferirli. Non farli preoccupare. Non farli piangere. Pensa a loro, a come puoi aiutarli... Pensa a come si sentiranno le altre persone, se tu dovessi fare del male ai loro cari. Vuoi davvero che quelle persone si sentano come te? Come me? Non è la strada giusta. Cammina in avanti, soffri, combatti, sorridi. So che puoi farlo, lo hai già fatto. Ti conosco bene, e so quanto tu sia triste nel profondo. >>
Non appena pronunciò quelle parole feci un verso sorpreso.
Mi sentivo triste.

Il Maestro mi strinse forte a se, appoggiandomi una mano nei capelli.

<< Ti capisco più di chiunque altro, hai ragione... So quanto possa essere difficile questa strada, e so che rimarrai ferito nel mentre. Ma pensa al nostro discorso, pensa a cosa potrebbero condurre le tue azioni... E poi prendi la decisione che reputi più giusta. Non ti sto dicendo di perdonare tutti, quantomeno di lasciare che le persone a te care vengano ferite: in quei momenti fai tutto ciò che è in tuo potere per proteggerle. Ma, se non è necessario, non fare del male. Prosegui per la tua strada, per quanto possa essere triste e doloroso... So che hai la forza per farlo. >>
Aggiunse.




D'istinto il mio sguardo cadde di nuovo su quel fiore....

Piccolo... Debole... Indifeso... Fragile.......

Bianco, ma con cromature di diverso colore nei suoi petali.

Il motivo per cui quel fiore attirò la mia attenzione, era perché mi ricordava qualcuno.
Quel fiore, esattamente come quella persona, aveva un colore predominante: il bianco. 
Ed esattamente come per quei petali, il carattere di quella persona si macchiava spesso di svariati colori...

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Fine del capitolo 2-5, grazie dell'attenzione! Alla prossima con l'inizio del volume 3!







 
 

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Capitolo 13
*** Capitolo 3-1: Inizio ***


Capitolo 3-1: Inizio


Quando finalmente arrivò il giorno del colloquio, almeno una dozzina di soldati si presentarono davanti alla nostra comunità.
Era ormai palese che sapessero fin dal principio dove ci trovassimo, e la cosa non faceva altro che far preoccupare Yuu sempre di più...

Quel piccolo plotone non era capitanato dall'uomo che incontrammo tempo addietro dentro le mura, quel generale.
Nonostante le preoccupazioni di Yuu, provai a calmarlo.

Sia io che Blake eravamo scettici: Yuu credeva che avrebbero potuto attaccare la comunità, mentre noi credevamo il contrario.

" La nostra comunità è una miniera d'oro per l'esercito: è una grossa fonte di soldati con abilità speciali, non credo cercherebbero di liberarsene. In più, attaccarla sarebbe un pericolo anche per loro, visto che tutti hanno delle abilità potrebbero difendersi causando non pochi problemi. "
Gli spiegò Blake.
Questa spiegazione, però, non bastò a far rilassare il nostro compagno.

Aveva ragione: era difficile che avrebbero attaccato la comunità, visto che avrebbero tratto più vantaggio tenendoseli vicini... E questo valeva per entrambe le fazioni.


Il tragitto verso le mura fu abbastanza... Teso.
I soldati, per tenerci sotto controllo, si disposero in cerchio intorno a noi.
Blake e Mirajane, in silenzio, tenevano sotto controllo Yuu.



<< Mi è difficile credere a questa storia. >>
Ci disse Blake, sorpreso e confuso, dopo aver sentito la spiegazione di Beatrice. 

<< Non ti sto mentendo, ti prego di credermi. >>
Gli rispose Bea, rapidamente.

Blake ci guardò storto per qualche secondo, prima di incrociare le braccia.

<< Ok, lasciatemi riassumere il tutto in poche parole... Yuu sente una voce maschile. Per qualche motivo anche a voi ignoto, Jeanne può sentirla. Yuu non sa che anche voi due potete sentirla e, infine, quella voce è pericolosa. Ho saltato qualcosa? >>
Disse, incredulo, guardandoci con una espressione seria.

<< No, non direi. >>
Gli rispose Beatrice.

Blake rimase in silenzio per qualche secondo, guardandoci con una espressione confusa.

<< No, mi dispiace, non me la bevo. E' fin troppo assurda come situazione per crederci. >>
Ci rispose, sedendosi di nuovo nel divano.

<< No, non stiamo mentendo! >>
Gli dissi, cominciando a perdere le speranze.

<< Mi dispiace, è troppo assurdo per crederci. Voglio dire, se è davvero così almeno datemi delle prove evidenti, in questo genere di casi la vostra parola non basta! Potrei dire di essere l'arciere più abile dell'Arcadia, ma se non lo dimostro allora la mia affermazione vale quanto un uovo marcio. >>
Mi rispose Blake, infastidito e incredulo.
Subito dopo si voltò verso Beatrice.

<< Poniamo per un secondo che io voglia credervi. Che prove potete offrirmi? Sono sempre stata una persona scettica, quindi preferirei avere qualche genere di evidenza. >>
Le domandò, incrociando le gambe e appoggiandosi con il gomito nella spalliera del divano.
Il suo sguardo era serio e dubbioso.

<< Che genere di prove vorresti? >>
Gli domandai, cercando di fargli capire che non stessi mentendo.

Blake sbuffò.

<< Non ne ho idea... Chi siete, da dove venite, che abilità avete, perché dovremo fidarci di questa donna... Qualunque informazione che possa farmi cambiare idea. >>
Mi rispose, sollevando le spalle.

Beatrice abbassò lo sguardo per una frazione di secondo, prima di guardare Blake.

<< Non posso dirvi da dove vengo. E, riguardo a "chi" sono, posso dirvi che il mio nome è Beatrice. Ma ciò che posso dirvi è che conosco quella voce: non è qualcuno di cui quel ragazzo dovrebbe fidarsi. >>
La risposta di Beatrice non andò a genio a Blake, il quale fece un verso infastidito e una smorfia.

<< Quindi credo che non abbiamo altro di cui parlare. >>
Le rispose Blake.

<< Ti prego, devi credermi... >>
Era inutile: Blake non le credeva.

<< Ascoltami bene, non ho la minima idea di chi tu sia. Non mi vuoi dire niente, eccetto che quella "voce" è cattiva e tu sei la buona. No, non mi basta come risposta, assolutamente. Quindi o mi dai qualche informazione utile e credibile, o il nostro discorso può concludersi qui. Perché, onestamente, non ti credo. >>
Blake la indicò minacciosamente, sollevandosi lentamente dal divano.
Era infastidito.

<< Mi... Dispiace. Non posso darti le informazioni che vorresti... Non perché io non voglia, ma perché non posso: ci sono certe... Regole... Che non posso assolutamente rompere. >>
La risposta di Bea lasciò di stucco anche me: cosa voleva dire con "regole che non poteva rompere"? 

Blake la guardò in silenzio per qualche istante, confuso e sorpreso, con uno sguardo dubbioso.

<< Chi... Sei tu? Che genere di regole? >>
Le domandò, confuso.
Beatrice abbassò lo sguardo.

<< Forse la domanda giusta, ormai, sarebbe "Cosa sono?"... >>
Non appena Bea pronunciò quelle parole la guardammo tutti intensamente, confusi e sorpresi.

Subito dopo sollevò di nuovo lo sguardo verso Blake.

<< Non posso darti le risposte che vorresti, ma lascia che ti ripeta che non sono la tua nemica. >>
Gli disse, portandosi una mano nel petto.
Blake la fissò in silenzio, ascoltando le sue parole con uno sguardo serio.

<< Ma posso chiederti un favore... Qualcosa che potrebbe provarti che non abbiamo mentito. >>
Gli propose.
Blake non le rispose: le fece un cenno con il capo per continuare a parlare.

<< Tenetelo sotto controllo... Ogni tanto noterete che risponderà a qualcuno. Potrebbe non bastare a provare che non ho mentito, ma segnatevi queste mie parole: quando risponderà a qualcuno, sarà quando sarà furioso, frustrato. >>
Ci disse.




Non appena arrivammo alle mura ci diedero il permesso di entrare.
Il piccolo plotone ci lasciò andare, ma fummo seguiti da almeno quattro guardie fino al Palazzo Imperiale.

Ci mettemmo una quindicina di minuti a raggiungerlo: era bellissimo, qualcosa che non avevo mai visto prima in vita mia.
Tempo addietro io e Yuu entrammo dentro le mura, ma ci fermammo subito dopo: non ci fecero andare molto oltre, quando Levyathan ci interrogò.

Il Palazzo Imperiale era una gigantesca villa di colore bianco come il marmo. Le vetrate erano colorate come dei mosaici, simili a quelle nella mia chiesa ma molto più grandi e con svariati disegni tutti diversi fra loro.
Notai un calice, una spada e una colomba nella facciata principale.

Il Palazzo era circondato da un altro muro, molto più basso di quello posto nei confini della capitale: ci fu permesso l'accesso sempre sotto scorta dei soldati.
Non appena entrammo all'interno rimasi sbalordita dalla bellezza di quel posto:

C'era un gigantesco giardino davanti all'entrata del Palazzo Imperiale.
Era bellissimo, non avevo mai visto qualcosa del genere: fontane e statue di marmo da cui sgorgavano fonti d'acqua, svariati stagni pieni di pesci colorati, delle siepi verdi e ben curate facevano da perimetro agli svariati sentieri che si diramavano in quell'enorme giardino.
Notai un grosso prato fiorito alla mia destra, colmo solamente di fiori di ogni colore, altezza e tipologia. Avevo letto molti libri di botanica, ma non riuscii a riconoscerli tutti.

Alla mia sinistra, invece, c'era qualcosa di simile ad un parco: tantissimi alberi, alcuni colorati, panchine, fonti d'acqua... Era un paradiso. Mi sembrò anche di vedere qualche animale... Forse erano dei fenicotteri.

Non ci fu permesso di girare a piacere, quindi fui forzata a seguire il sentiero principale fino a quando non raggiungemmo l'entrata del Palazzo.
Era un grosso portone di legno scuro.
Un soldato bussò nel battente color oro a forma di testa di leone: pochi istanti dopo, il portone cominciò lentamente ad aprirsi.

Rimasi sorpresa notando chi ci accolse: mi voltai verso Yuu, notando che la sua espressione passò rapidamente da stupore a rabbia.

<< Oh cielo. >>
Sentii dire da quella persona.
Mi voltai verso l'entrata, preoccupata.
Sentivo l'ansia pervadermi.

<< Sapevo ci saremo visti di nuovo, ma non mi aspettavo così presto. >>
Aggiunse, Levyathan, sorridendo e portandosi una mano davanti alle labbra.

Yuu e Levyathan cominciarono a fissarsi intensamente: potevo sentire la tensione nell'aria.
Yuu era infastidito, mentre Levyathan sembrava divertito. Subito dopo si voltò verso i suoi uomini, schioccando le dita.

I soldati che fino a quel momento ci avevano fatto da scorta ci lasciarono, finalmente.


<< Mi rattrista anche solo pensare quanto sia stato noioso e ansioso il viaggio insieme a dei soldati. >>
Ci disse, portando una mano dietro la sua schiena e appoggiando l'altra sull'elsa della sua spada.

<< Non ne hai la benché minima idea. >>
Gli rispose Yuu, con un tono infastidito.

Levyathan fece una piccola e sottile risatina, prima di voltarsi verso di me.

<< Sono felice di vederla di nuovo, Miss White. >>
Mi disse, sorridendo.

Subito dopo si voltò verso Blake e Mirajane.

<< Ah, nuove facce. Per favore, seguitemi pure. Vi farò strada fino alla stanza in cui terremo il colloquio. >>
Esclamò, dandoci subito dopo le spalle e incamminandosi.

Lo seguimmo a ruota, entrando finalmente all'interno del palazzo.
Non appena fummo al suo interno, due soldati chiusero le porte alle nostre spalle.

L'interno era anche più bello dell'esterno: il pavimento era composto da marmo rossastro, quasi rosa, con macchie nere, mentre il soffitto a forma di cupola era adornato di svariate decorazioni color oro dalle forme geometriche.
Ai lati dei corridoi, appoggiati ai muri, vi erano tantissimi candelabri, appoggiati al suolo a intervalli regolari. 
Notai anche svariati dipinti nei muri.

Davanti all'entrata vi era una enorme doppia scalinata curva che portava ad un primo piano: al centro, fra le due scale, vi era una grossa statua a forma di donna con un'anfora, dalla quale usciva dell'acqua formando una fontana.


<< Seguitemi, per cortesia. E' un posto abbastanza grande, quindi è molto facile perdersi se non sapete dove muovervi. >>
Ci disse, salendo per le scale.

Subito dopo fece un verso di stupore, come se si fosse ricordato qualcosa.

<< A proposito... Se non siete familiari con la parlata formale, non sforzatevi. Fate come se foste a casa vostra, apprezziamo la sincerità. >>
Aggiunse.

Yuu lo guardò in silenzio per qualche istante, infastidito.

<< Mostraci la strada e basta. >>
Gli rispose.
Levyathan ridacchiò.


Lo seguimmo in silenzio per qualche minuto, passando tantissime stanze e corridoi.

<< Chi è questo tipo? >>
Sentii chiedere da Mirajane, alle mie spalle.

<< Si chiama Levyathan Melvillei. E' il Generale di grado più alto attualmente, nonché il braccio destro dell'imperatore. >>
Le rispose Blake.
Yuu fece un verso infastidito.

<< Sono felice di sapere che la mia fama abbia raggiunto anche la vostra comunità. >>
Disse Levyathan, con un tono soddisfatto.

<< Non è la prima volta che la vedo, in verità... Sono passati molti anni dall'ultima volta che la ho vista... >>
Gli disse Blake, imbarazzandosi.
Levyathan si fermò di colpo, voltandosi verso di lui.
Lo guardò sorridendo.

<< Oh, davvero? E dove mi avrebbe incontrato, se non sono inopportuno?Non ricordo di averla mai vista prima. >>
Gli domandò.

<< Ecco, vede... In realtà sono nato dentro le mura... >>
Gli rispose Blake, grattandosi una guancia.

Levyathan spalancò gli occhi per un istante, sorpreso.

<< Ma davvero? >>
Gli rispose, divertito.

<< La mia famiglia scoprii che avevo una abilità quando ero molto piccolo, ma non vollero liberarsi di me... Sono stato molto fortunato. Poi hanno trovato un modo per farmi lasciare le mura in sicurezza, e ora eccomi qui. >>
Continuò Blake, ridacchiando istericamente.

<< Chi è la tua famiglia, per l'esattezza? >>
Gli domandò Levyathan, senza smettere di sorridere.

<< Cosa ti importa?! >>
Esclamò Yuu, con un tono infastidito e preoccupato.
Levyathan si voltò lentamente verso di lui, senza mai smettere di sorridere.
Giocherellò per un istante con l'elsa della sua spada, prima di rispondergli.

<< Conosco praticamente ogni singolo cittadino della capitale. Mi piacerebbe sapere con il figlio di chi sto parlando. >>
Gli rispose.
Sembrava infastidito.

<< Il mio nome è Blake Krow.  >>
Disse Blake.

<< Oh! La famiglia Krow. Li conosco molto bene: suo padre ha lavorato davvero sodo negli ultimi anni. Sono sicuro che sarà felice di rivederti. >>
La risposta di Levyathan fu rapidissima: chiuse gli occhi, rivolgendosi verso Blake con un sorriso gentile in volto.
Poi si incamminò di nuovo.

<< Proseguiamo. >>
Disse.




Dopo altri cinque minuti raggiungemmo finalmente la nostra destinazione.
Era una stanza alla fine di un corridoio, chiusa da una porta doppia in legno di colore chiaro.

<< Eccoci arrivati, finalmente. Nonostante tutto, l'imperatore è ancora dubbioso sul fatto di accettare persone con abilità come soldati, quindi vi prego di essere il più civili possibile. Se dovreste notare dubbi o preoccupazioni nelle sue parole, cercate di non farci troppo caso: è naturale. L'importante è essere civili e onesti: alla fine vogliamo entrambi cooperare per la prosperazione della nazione, corretto? >>
Domandò il generale, non appena arrivò davanti alla porta.

La aprii lentamente, permettendoci di entrare: era una enorme stanza, ma vuota.
Vi erano solo delle finestre in un lato, un lampadario argentato nel soffitto, una poltrona simile ad un trono al centro della stanza e due porte dall'altro lato della stanza in legno scuro.

Blake e Mirajane furono i primi a entrare, io li seguii subito dopo.
Prima che potessi varcare la soglia, però, Levyathan mi bloccò.

Mi voltai verso di lui, sorpresa.
L'uomo mi afferrò dolcemente la mano, per poi baciare il dorso.

<< P-Perché ha- ? >>
Non riuscii a finire la frase da quanto ero imbarazzata e sorpresa.
Ero completamente sconvolta: non me lo aspettavo minimamente.

<< Sono felice di vederla di nuovo, Lady Jeanne. Ho pensato a lungo a lei e a cosa è accaduto nel suo villaggio... Vorrei davvero farmi perdonare per cosa è accaduto. Ho notato, da come si guardava intorno, che il posto le piace. Spero che decidiate di restare con noi: il palazzo è molto grande, ci sono svariate stanza inutilizzate... Potrei darvi delle stanze per alloggiare nel Palazzo: sia io che alcuni militari alloggiamo qui. >>
Mi propose, sorridendo.
Non riuscii a rispondergli in tempo: Yuu si mise rapidamente in mezzo a noi, colpendo la mano dell'uomo e separandoci.


Ancora una volta, quei due si guardarono dritti negli occhi, in silenzio, senza muovere neanche un muscolo.
Yuu era furioso, mentre Levyathan divertito.

<< Sono desolato, ma credo abbia inteso male la mia proposta, Yuushi Hikari. Posso assicurarvi che non avevo nessun genere di secondo fine: il mio voi non era riferito solo a Lady Jeanne, ma a tutto il vostro gruppo. Spero davvero che questa rivalità che leggo nei suoi occhi possa un giorno cessare. Non ho intenzione di essere vostro nemico, tutt'altro: sono stato io stesso a convincere l'imperatore ad avere questi colloqui. >>
Il generale fece le sue scuse, facendo un rapido e piccolo inchino verso entrambi, per poi dirigersi verso l'entrata della stanza, senza smettere di sorridere.

Yuu si mosse minacciosamente verso di lui: Levyathan di sicuro lo notò con la coda dell'occhio.
Si guardarono per la terza volta, dritti negli occhi.

<< Potrai anche prendere per il culo loro... >>
Gli disse Yuu.

<< Yuu! >>
Provai a farlo calmare, ma fu inutile: la sua attenzione era rivolta solamente verso quell'uomo.
Era furioso, era chiaro come il sole.

<< ... Ma non me. Stacci alla larga. >>
Concluse.


Stavolta, per una frazione di secondo, il sorriso scomparve dal volto di Levyathan, sostituito da una smorfia infastidita.

<< Come desideri. >>
Gli rispose il generale, mostrando ancora una volta quel suo classico sorriso, lasciandoci alle sue spalle mentre entrò all'interno della stanza.
Lo seguimmo subito dopo, poi Levyathan chiuse la porta alle nostre spalle.

Qualche minuto dopo un uomo entrò da una delle due porte in legno dall'altro lato della stanza.
Indossava un lungo mantello color porpora. Era alto, indossava vestiti molto vistosi e decorati in oro.
Aveva occhi e capelli castani, e una sottile barba grigia.

Si sedette nel trono, incrociando le gambe, reggendosi il mento con una mano e guardandoci con uno sguardo incuriosito.
Levyathan si mosse lentamente verso quell'uomo, posizionandosi alla sua destra, in piedi, rivolto verso di noi.

Entrambi ci guardarono in silenzio per qualche istante.

<< Quindi, Generale Levi, sono loro? >>
Domandò il nuovo arrivato.

<< Si, vostra maestà. >>
Gli rispose Levyathan.
Avevo già intuito si trattasse dell'imperatore, ma non lo avevo mai visto prima d'allora.

<< Possiamo cominciare, quindi. >>
Aggiunse l'uomo.

Levyathan sollevò una mano ad altezza del petto, sorridendo.

<< Vi prego di essere sinceri, dite pure ogni cosa che pensate in maniera civile. Non abbiate timore, non riceverete nessun genere di punizione anche se non doveste essere in linea con i nostri ideali: oggi siamo qui per trovare punti in comune e aiutarci l'un l'altro, dopotutto. Vi prego, però, di non avere reazioni violente per nessuna ragione: non le accetteremo. Parleremo con tutti voi, uno ad uno, e vi faremo delle semplici domande alle quali vorremo risposte sincere e specifiche. Alla fine, se accetterete di stare con noi, farete un semplice giuramento... In caso contrario, potrete lasciare la stanza, in attesa che il colloquio finisca anche per gli altri. Accompagnerò io stesso, chi non dovesse restare con noi, fuori dalle mura. Quindi non c'è nessun pericolo, state sereni. >>
Disse Levyathan, spiegandoci rapidamente cosa sarebbe successo.

<< Si certo, come no. >>
Gli rispose Yuu, infastidito e incredulo.

<< Yuu, per favore! >> 
Lo rimproverò Blake.

<< No, no. Non serve rimproverarlo. Sembra che il vostro compagno abbia qualche dubbio, corretto? >>
Domandò il re, incuriosito dalla sua reazione.

<< "Qualche dubbio"? Siete piuttosto ottimisti. >>
Gli rispose Yuu, quasi divertito.

<< Come ti chiami, ragazzo? >>
Gli domandò l'imperatore.

<< Non è buona educazione presentarsi prima di chiedere il nome a qualcun altro? >>
La risposta provocatoria di Yuu non ebbe un effetto positivo.

<< Insolente. >>
Fu l'unica parola che rispose l'imperatore.

<< Yuushi Hikari, vostra maestà. Io stesso ho avuto un lieve screzio al di fuori delle mura con lui, qualche tempo addietro. Non sembra approvare il nostro operato, ma la prego di perdonare i suoi metodi. E' piuttosto diretto, e a volte risulta anche offensivo. Ma, alla fine, è solamente preoccupato per i suoi familiari, e compagni, che vivono in condizioni estreme. >>
Disse Levyathan, rivolgendosi all'imperatore, spiegandogli rapidamente con chi stesse parlando.
Sembrava stesse prendendo le difese di Yuu, all'inizio.

<< Capisco... >>
Rispose l'imperatore, guardando Yuu con una espressione incuriosita.

<< Vuole cominciare da lui, vostra maestà? >>
Gli domandò il generale, subito dopo, sorridendo.

<< Perché no. Se davvero è così contrariato, allora sarà un colloquio breve. >>
Rispose l'imperatore.


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Fine del capitolo 3-1, grazie di avermi seguito e alla prossima!





 

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Capitolo 14
*** Capitolo 3-2: Dubbi ***


Capitolo 3-2: Dubbi

 

Levyathan cominciò rapidamente a parlare, muovendosi lentamente in giro per la stanza, gesticolando con una mano e tenendo l'altra dietro la schiena.
Nonostante tutto, però, non smise mai di fissare Yuu, neanche per un secondo soltanto... 
Lo guardava intensamente, senza smettere di sorridere.

Potevo sentire la tensione che si stava creando fra loro due... O, per lo meno, potevo capire quanto Yuu si sentisse frustrato anche solo nel sentir parlare Levyathan.
Più volte provai ad attirare l'attenzione di Yuu, nel tentativo di farlo calmare, ma fu inutile: non mi degnò neanche di uno sguardo.

<< Detto ciò, direi che possiamo cominciare che ne dici? Ti faremo poche, e semplici, domande. Le rispose, come già detto, dovranno essere secche e sincere. >>
Disse Levyathan, cedendo finalmente la parola a Yuu, il quale non ci mise molto a rispondergli.

<< Non ho niente da nascondere, io. >>
Fu la sua risposta.
Il suo tono era infastidito, e continuava a fissare il generale con occhi colmi di rabbia...

Levyathan, sentendo quelle parole, gli sorrise:

<< Ne sono rallegrato... Lo stesso vale per noi. >>
Gli rispose, divertito.

<< Cominciamo con qualcosa di semplice... Quale è il tuo nome? >>
Domandò l'imperatore.
Yuu lo guardò con una espressione confuso.

<< Sono piuttosto sicuro che ne sia già al corrente. >>
Gli disse, infastidito.
Effettivamente, Levyathan stesso gli aveva rivelato il suo nome, pochi istanti prima.

<< Ti ho chiesto il tuo nome perché non sono poi così sicuro che quello sia il tuo reale nome. Quello è un nome di origine orientali, e tu non hai per niente un aspetto orientale. Quindi rispondi alla mia domanda, ragazzo... A meno che non ne sia nemmeno tu al corrente. >>
Spiegò l'imperatore.
Sembrava infastidito dalla risposta di Yuu.

Yuu abbassò lo sguardo per qualche istante prima di rispondere.
Fece un grosso sospiro.

<< Gilles Leroy. >>
Rispose, finalmente, sollevando di nuovo lo sguardo.

L'imperatore si portò una mano davanti alla bocca, pensieroso.

<< Leroy... Leroy... >>
Borbottò fra sé e sé, continuando a ripetere il cognome di Yuu.

<< Sono piuttosto sicuro che ci siano dei Leroy dentro le mura... Sei, per caso, un loro familiare? >>
Domandò subito dopo.

<< Non ne ho idea, ho rotto i rapporti con la mia famiglia da troppo tempo, ormai, per sapere cosa stiano facendo. Ricordo che mio fratello, Viktor, aveva intenzione di entrare e vivere dentro le mura. Non so se ci sia riuscito, comunque... >>
Rispose Yuu.
Stavolta non sentii rabbia nelle sue parole, era calmo.

<< Viktor Leroy, giusto? >>
Domandò Levyathan, incuriosito dalle parole di Yuu.

<< E' mio fratello, si. >>
Rispose Yuu, infastidito dal tono di Levyathan.

<< Devo accertarmene, ma credo ci sia qualcuno dentro le mura con quel nome. Forse quella persona è tuo fratello... Se deciderai di rimanere qui potrei permetterti di incontrarlo per riallacciare i rapporti con la tua famiglia. >>
La proposta di Levyathan non andò in porto...

<< La mia risposta è no. Ad entrambe le cose. >>
La risposta di Yuu fu rapida e seria.

<< Sei davvero ostinato, eh? Non posso dire di non apprezzare questo tuo lato, comunque. >>
Le parole del generale non provocarono nessuna reazione in Yuu.
Ero preoccupata... In cuor mio temevo che da li a poco Yuu sarebbe potuto scoppiare, per qualche motivo... Alla fine, sapevamo più o meno tutti che Yuu non avrebbe mai accettato le offerte dei militari.

<< Torniamo a noi, per cortesia: stiamo andando fuori tema. Non ho idea del motivo per cui tu abbia abbandonato la tua stessa famiglia, ma non ho intenzione di farti troppe domande a riguardo. Suppongo tu preferisca essere chiamato "Yuushi", ormai, quindi ci rivolgeremo a te con quel nome. >>
Disse, ad un certo, punto l'iperatore, attirando la nostra attenzione.
Subito dopo fece un gesto con la mano a Levyathan.

<< Come desidera, mi perdoni vostra maestà. >>
Rispose il generale, facendo un piccolo inchino.

Subito dopo si voltò di nuovo verso di noi.

<< Dove vivi, Yuushi? >>
Domandò al nostro compagno.
Avevamo già risposto ad una domanda del genere, quando Levyathan ci portò dentro le mura per interrogarci... 
Quel giorno, però, Yuu diede delle informazioni errate di proposito all'uomo.

<< Tra i boschi della montagna Haru. >>
Rispose, con una espressione cupa.

Levyathan fece un verso divertito, misto a stupore.

<< Oh? Non è quello che mi hai detto durante il nostro primo incontro... >>
Disse, divertito.
Yuu fece un verso infastidito.

<< Beh, onestamente sapevo tu stessi mentendo. Ho avuto il piacere di organizzare io stesso l'incontro di oggi con il vostro Maestro, quindi ne ero perfettamente a conoscenza. >>
Aggiunse poco dopo, il generale Levi, con un tono divertito.

Yuu non rispose: notai che strinse i pugni.

<< Quello mi ricorda del fatto che, tempo addietro, mi hai detto di aver incontrato un ragazzo problematico al di fuori delle mura... Parlavi di questo ragazzo? >>
Domandò l'imperatore, subito dopo, rivolgendosi a Levyathan.
Il Generale si voltò verso il suo superiore, sorridendogli.

<< Esattamente, vostra maestà. Ho avuto una piccola, e accesa, discussione con il qui presente Gilles... No, Yuushi Hikari. Ma nulla di cui preoccuparsi. >>
Gli rispose Levyathan, con un tono amichevole.

Yuu fece un verso infastidito.

<< Lo hai fatto di proposito, vero? >>
Disse, digrignando i denti.

<< Non so a cosa tu stia facendo riferimento. >>
Rispose Levyathan.
Capii rapidamente anche io che stesse fingendo di non capire a cosa Yuu si stesse riferendo.

In quel momento Yuu cominciò ad infastidirsi più di quanto non lo fosse già prima... Ma riuscì a contenersi.
Prese un profondo respiro, calmandosi.

<< Vorresti qualcosa da bere? >>
Gli domandò Levyathan.

<< Sto bene così. >>
Rispose Yuu.

<< Proseguiamo, Generale. >>
Lo rimproverò l'imperatore.
Levyathan chinò leggermente il capo in segno di rispetto verso l'uomo.

<< Hai avuto altri contatti con i militari? >>
Domandò l'imperatore a Yuu, subito dopo.

<< No. L'incontro tra me e Levyathan è stato il primo reale contatto che ho avuto con i militari... E di certo non lo dimenticherò facilmente. >>
Gli rispose Yuu.

Una sottile risatina echeggiò nella stanza.

<< Sono onorato di tali parole. >>
Rispose Levyathan, sorridendo, senza smettere di guardare Yuu.

<< Non ti stavo elogiando. >>
Gli fece notare Yuu, con un tono cupo.

<< Beh... E' comunque un onore. >>
Stavolta il tono di Levyathan divenne improvvisamente cupo: il suo sguardo mi fece raggelare il sangue nelle vene, il suo sorriso era enorme.

In tutto questo, notai come il Re fosse incuriosito dal "rapporto" che Levyathan e Yuu avessero instaurato.
Li osservava in silenzio, massaggiandosi il mento con uno sguardo incuriosito.

<< Cosa è successo tra voi? >>
Domandò pochi istanti dopo, rompendo il silenzio che cadde per qualche istante.

<< Diciamo che se dovessi sposarmi, non lo inviterei al matrimonio. >>
Rispose Yuu, con un tono infastidito.

<< E' un peccato, ma non potrei parteciparvi in ogni caso. >>
Disse Levyathan, divertito.
Yuu fece un verso di rabbia.

L'imperatore si voltò verso il suo generale, con uno sguardo minaccioso.

<< Generale, la smetta immediatamente di provocarlo. >>
Lo rimproverò.
Levyathan si voltò lentamente verso il suo imperatore, diventando improvvisamente serio in volto.
Fece un inchino.

<< Mi perdoni, mi sono lasciato trasportare. >>
Si scusò rapidamente.

Subito dopo l'imperatore si voltò di nuovo verso Yuu, innervosito da quella scena.

<< Cosa è successo tra voi due? >>
Domandò, di nuovo.

<< Abbiamo avuto un piccolo diverbio: lui voleva ammazzarmi e io, beh, naturalmente non volevo. >>
Rispose Yuu.

<< Devo dissentire: non avevo la minima intenzione di causare problemi, infatti volevo risolvere la cosa pacificamente. Qualcuno, però, ha rifiutato le mie offerte pacifiche, obbligandomi quindi ad usare le maniere forti. >>
Controbatté Levyathan, assumendo finalmente un tono serio e non provocatorio.
Era immobile, a fianco dell'imperatore, con una mano posata sull'elsa della sua spada e una dietro la schiena...

Quella posizione... La assumeva ogni volta.

<< Non avevi la benché minima intenzione di risolvere la cosa pacificamente, neanche al principio. Ci hai fatto lanciare contro un esplosivo, nel mezzo di una cittadina abitata. >>
Gli rispose Yuu, infastidito.

<< Mi dispiace, ti sbagli di nuovo. Mi risulta di averti più volte offerto vie d'uscita senza bisogno di ricorrere alla violenza... In più quell'ordigno esplosivo non è stato per niente scagliato sotto le mie direttive: il soldato in questione, il quale ha agito di testa propria, ha già subito una punizione esemplare. >>
Spiegò Levyathan, senza scomporsi.

Yuu rimase in silenzio per qualche istante, continuando ad osservare Levyathan senza muovere neanche un muscolo.

<< Puoi prendere per i fondelli loro, ma non me. Sei un mostro. >>
Le parole di Yuu erano colme d'odio.
Cominciò ad avvicinarsi minacciosamente verso il generale, venendo però rapidamente fermato da un gesto dell'imperatore.

<< Quanto astio... >>
Disse il re, sorpreso dalla sua reazione.

<< Riconoscerei quei tuoi occhi spietati anche in mezzo a mille persone identiche a te. >>
Disse subito dopo, Yuu, rivolgendosi a Levyathan.

Il generale lo guardò per qualche secondo in silenzio, con gli occhi spalancati.

<< Se non ti dispiace, ho intenzione di ricordarmi di queste tue parole. >>
Gli rispose, sorpreso e divertito.


Per qualche minuto cadde un silenzio tombale nella stanza.
Yuu e Levyathan continuavano a fissarsi intensamente, senza proferire parola, nel mentre.

D'istinto, mi voltai verso Blake e Mirajane: 
Blake aveva continuato ad assistere a quella scena senza proferire parola per tutto il tempo: stava guardando in avanti con occhi e bocca spalancati.
Potevo notare lontano un miglio quanto fosse preoccupato....

Mirajane, invece, si voltò verso di me:

<< Manderà tutto a monte! >>
Mi disse, sottovoce.


Rapidamente, mi voltai verso Yuu, cercando di attirare la sua attenzione.
Lo chiamai sottovoce, ma non si voltò verso di me.
Volevo provare a calmare le acque, ma non mi guardò nemmeno...

Era inutile... Lo avevano forzato ad andare in quel posto, era ovvio che le cose non sarebbero andate bene...
Forse sarebbe stato meglio se non fosse mai andato li, quel giorno... Alla fine dei conti, sapevamo tutti che non avrebbe mai accettato le loro proposte.

<< Non avremmo dovuto farlo venire... E' colpa nostra... >>
Dissi, mentre abbassai lo sguardo, rattristandomi.

<< Non è colpa vostra. >>
Sentii dire da Yuu: sollevai lo sguardo, sorpresa dal fatto che mi avesse sentito.
Quindi, poco prima, mi aveva ignorato.

<< La colpa è loro. >>
Aggiunse subito dopo, indicando Levyathan e l'imperatore.

Il re lo guardò con uno sguardo confuso, per qualche istante.

<< Cosa vorresti dire con ciò? >>
Gli domandò, incuriosito dalle sue parole.

<< Non odio i militari e la capitale senza alcun motivo: vi odio perché so che non vi importa assolutamente nulla delle persone come noi. Se ora ci state cercando è perché vi siamo utili, perché volete sfruttarci. >>
Il tono di Yuu era furioso: li rimproverò, senza probabilmente neanche pensare con chi stesse parlando.

<< Continua. >>
Fu l'unica risposta dell'imperatore.
Rimasi scioccata da quella parola: l'ultima cosa che mi aspettavo, in quel frangente, era che continuassero a farlo parlare.

<< Le persone la fuori muoiono di fame, lottano per un pezzo di pane, per far giocare i loro figli in sicurezza. I villaggi sono quasi ogni giorno vittima di attacchi da parte di banditi o ribelli... Ciononostante, però, i soldati che dovrebbero proteggerli, li ignorano. Come se non bastasse, chiedono anche di essere pagati per svolgere il loro lavoro! >>
Yuu continuò il suo discorso, con un tono furioso... Sembrava quasi stesse per esplodere da un momento all'altro.
Non potevo vedere la sua espressione, visto che era davanti a noi, dandoci le spalle... Ho paura solamente nell'immaginare quale potesse essere l'espressione che aveva in volto in quell'istante...

<< Stai dicendo che i nostri soldati non svolgono il lavoro per cui vengono pagati? Hai qualche prova a sostegno di questa tua affermazione? E' un'accusa piuttosto grave, considerando che va contro gli ordini che abbiamo dato ai plotoni di pattuglia al di fuori delle mura. >>
Domandò l'imperatore.

<< Che genere di prova? >>
Rispose Yuu, con un tono confuso.

<< Qualche nome potrebbe essere un inizio. In tal caso provvederò io stesso a fare i dovuti accertamenti e a punire chi di dovuto. I soldati sono sotto la mia giurisdizione, e il loro compito è proteggere i cittadini dell'Arcadia... Che essi si trovino dentro o fuori dalle mura. >>
Gli disse Levyathan, facendo un passo in avanti, con un tono serio e collaborativo.
Quella notizia sembrò davvero che gli fosse nuova, sembrava sorpreso dalle parole di Yuu.

<< Non ho idea di chi fossero, non li ho visti di persona. >>
La risposta di Yuu non andò a genio a Levyathan: si fermò improvvisamente, guardando Yuu con una espressione infastidita.

<< Quindi stai basando le tue accuse su delle dicerie? Hai davvero una faccia tosta ad insultare i nostri soldati e i nostri metodi senza avere nessuna prova fra le mani! I miei uomini hanno delle regole che sono obbligati a seguire metodicamente. Caso contrario: espulsione diretta. >>
Lo rimproverò Levyathan.

Yuu abbassò lo sguardo, ma sapevo non si sarebbe arreso... In fin dei conti, ero stata io a rivelargli quella cosa.

Facendomi coraggio, avanzai rapidamente, affiancandomi a Yuu.

Non appena mi vide, notai che si voltò sorpreso verso di me: io, però continuai a guardare Levyathan.

<< Non sta mentendo... Conosce questa cosa a causa mia: lo ho visto con i miei stessi occhi! >>
Rivelai al generale e l'imperatore.

Erano visibilmente sorpresi dalle mie parole.

<< Cosa è successo, di preciso? Può darmi qualche nome, Miss Jeanne? >>
Mi domandò Levyathan, sorpreso dalle mie parole.

<< Ero li quando è successo... Dei banditi hanno attaccato il mio villaggio, e quando il nostro sindaco ha chiesto aiuto ad un piccolo plotone di pattuglia gli sono stati chieste delle monete d'oro... Dissero anche che, senza quel pagamento, non ci avrebbero aiutati... Non potevamo dar loro quello che ci chiesero, quindi alla fine non intervennero... Non mi sono avvicinata, ma ricordo di aver sentito i suoi uomini chiamarlo come "Capitano Harvey" o qualcosa del genere... >>
Gli spiegai, rapidamente, portandomi una mano davanti al petto, sperando che tutto andasse per il meglio.

Levyathan mi rispose con un sorriso gentile.

<< Provvederò ad informarmi sull'accaduto. La ringrazio per la segnalazione, Miss Jeanne. >>
Mi rispose, invitandomi a fare dei passi indietro.
Ricambiando il sorriso, indietreggiai, affiancandomi di nuovo a Blake e Mirajane.

Si voltarono verso di me, per poi congratularsi della mia mossa.


<< Ragazzo... Sei a conoscenza del motivo per cui viviate al di fuori delle mura? >>
Domandò Levyathan, subito dopo.

<< Perché non vi sono utili. >>
Gli rispose Yuu.

<< Non sei lontano dalla verità. >>
La risposta di Levyathan mi lasciò di stucco: ero sorpresa dalla sincerità, e la cattiveria, delle sue parole.


<< Vedi, tutti hanno un lavoro da compiere in una società: tutti collaborano, chi più  chi meno, per far prosperare la propria nazione, no? Infatti, non c'è nessuno dentro le mura che non lavori. Ovviamente, eccezion fatta per bambini e ragazzi più giovani di voi, e anziani. Tutti hanno dei lavori da svolgere, dei compiti da portare a fine, per permettere alla nazione di andare avanti. Coloro che non adempiono ai loro compiti... Vengono rapidamente allontanati. >>
Levyathan cominciò a parlare con un tono serio e calmo, cercando di spiegare la situazione a Yuu nel modo più chiaro possibile.

<< Quindi mi vuoi dire che tutti quelli che vivono al di fuori delle mura non vogliono essere di nessun aiuto? Anche quelle che sono nate al di fuori?! >>
Il tono di Yuu tornò furioso.
Potevo comprendere a pieno la sua frustrazione... Non aveva senso punire anche chi non aveva colpa.

<< Le persone che vivono al di fuori delle mura, si trovano li perché non hanno dimostrato la voglia o le abilità necessarie per favorire lo sviluppo dell'Arcadia, quindi sono state cacciate. E' davvero un metodo così crudele? Io non credo. Chi non vuole fare niente non è altro che un parassita che deve essere estirpato dalla radice: solo chi vuole mettersi in gioco rimane dentro le mura. Il tasso di criminalità è quasi pari a zero, infatti, e il tasso di disoccupazione è inesistente. Tutti lavorano, tutti hanno ciò che desiderano. Cosa c'è di sbagliato nei nostri modi di fare? Le persone ci vedono come eroi, come esempi di persone a cui aspirare. Siamo riusciti a creare un luogo idilliaco, dove chiunque può vivere nel migliore dei modi in base alle loro abilità... Siamo riusciti a creare l'impossibile: una intera città dove criminalità e disoccupazione sono pressocché inesistenti. Quindi lascia che ti chieda di nuovo cosa stiamo sbagliando. >>
Rispose Levyathan, con un tono cupo.

<< Non siamo tutti così! >>
Mi feci avanti, decidendo di intervenire nel discorso.

<< Noi non abbiamo colpe, conosco parecchie persone che avrebbero voluto lavorare dentro le mura, ma che sono state rifiutate... >>
Aggiunsi, abbassando lo sguardo e unendo le mani in segno di preghiera davanti al petto.

Levyathan mi guardò in silenzio per qualche secondo, senza muovere neanche un muscolo.

<< All'inizio, circa duecento anni fa, non vi erano le mura: tutti vivevano nella capitale... Tutti. Come in ogni città del mondo, vi era criminalità, disoccupazione e parassiti della società che vivevano alle spalle di chi lavorava sodo. I nostri antenati non riuscirono più a sopportare di vedere la loro nazione ridotta in un porcile, quindi l'imperatore Charles III, trisavolo dell'attuale Louis II, decise di innalzare quelle mura e di cacciare al di fuori chiunque non avesse contribuito allo sviluppo della sua nazione. La sua azione, per quanto semplice, funzionò a dovere: le persone che rimasero dentro le mura, dopo appena cinque anni, erano solo coloro che contribuivano assiduamente allo sviluppo della capitale... Quindi continuò a crescere a vista d'occhio e, oggi, possiamo vederne i frutti: la capitale dell'Arcadia è il luogo migliore in cui vivere. >>
Levyathan cominciò a muoversi per la stanza, con uno sguardo serio e, direi, anche infastidito.

<< Le persone che vennero cacciate, invece, cominciarono a credere di essere state punite ingiustamente... Quindi si unirono, creando il gruppo che ora è conosciuto come "I Ribelli". Non è vero che noi non accettiamo le persone che vengono da fuori le mura, al contrario: più persone cooperano dentro le mura, più la capitale può prosperare. Io stesso ho capito, però, che dovevamo migliorare lo stile di vita dei comuni circostanti alla capitale: non potevamo continuare in questa strada... Quindi ho proposto all'imperatore di cominciare con persone come voi, nel tentativo di far finire il razzismo verso coloro che sviluppano abilità. Ovviamente, siamo molto cauti nell'accettare chi proviene da fuori le mura, ma solamente per la presenza dei ribelli... Non possiamo correre il rischio di far entrare dei criminali dentro le nostre mura. >>
Concluse, affiancandosi di nuovo all'imperatore.


Devo essere onesta....
Con quel discorso, Levyathan mi aveva convinta... Volevo accettare la sua offerta.
Poi, però, mi voltai verso Yuu.

In quell'istante non capii perché cominciò a tremare.... Era furioso.

<< Non hai la minima vergogna nel mentire spudoratamente... >>
Disse, abbassando lo sguardo e digrignando i denti.

<< Yuu? Cosa ti prende? >>
Gli domandai, notando che qualcosa non andasse.

<< Hai ancora dei dubbi, ragazzo? >>
Gli domandò il re.

Yuu sollevò lo sguardo.
Era calmo.

<< Si, solamente uno. Se mi darete una risposta che possa farmi cambiare idea, allora io accetterò la vostra offerta. >>
Gli rispose, Yuu, guardando intensamente il generale e l'imperatore.

Gli fecero cenno di parlare.

Sei sicuro, Yuu? ~
Gli domandò la voce.

<< Sicurissimo. >>
Rispose Yuu.

D'istinto mi voltai verso Blake e Mirajane: dal loro punto di vista, Yuu aveva appena risposto a nessuno.
Blake mi guardò con uno sguardo cupo.


Rapidamente, Yuu estrasse un foglio di carta dalla tasca dei suoi pantaloni... Sembrava un documento.
Non appena lo mostrò ai due uomini, Levyathan impallidì.

Per la prima volta, Levyathan lo guardò con uno sguardo furioso.

<< Spiegatemi cosa è questo. >>
Domandò Yuu, lanciando il documento nel terreno.

<< Mi stavo chiedendo... Che fine avesse fatto quel documento... >>
Gli rispose Levyathan: il suo tono era infastidito.
Un ghigno furioso apparve nel suo volto... Notai anche un tic nervoso nel suo occhio destro.



Sono sicura che quella, per Levyathan, fu una dichiarazione di guerra.

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Fine del capitolo 3-2, grazie di avermi seguito! Alla prossima!




 

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Capitolo 15
*** Capitolo 3-3: Tutto per qualcosa ***


Capitolo 3-3: Tutto per qualcosa


L'aria intorno a noi si fece improvvisamente pesante: Yuu e Levyathan si guardavano in silenzio, senza muovere neanche un muscolo, con espressioni cupe in volto.

L'espressione di Levyathan era quella palesemente più infastidita rispetto a quella di Yuu: i suoi occhi erano spalancati, notai anche un leggero tremolio nel suo labbro superiore.

<< Devo dire che, dopotutto, mi sento quasi rallegrato. >>
Disse Levyathan, rompendo finalmente quel preoccupante silenzio, lasciando finalmente andare l'elsa della sua spada e avvicinandosi lentamente a Yuu.

<< Solamente il pensare che io avessi potuto perdere un documento così importante mi faceva innervosire non poco: dopotutto, non mi ritengo così disattento... Ciononostante... >>
Aggiunse poco dopo, diventando improvvisamente serio: il suo sguardo, stavolta, era furioso.
Si fermò pochi passi davanti a Yuu.

<< ... Il fatto che qualcuno come te si sia intrufolato nel mio ufficio, abbia rovistato nei miei cassetti e abbia, infine, rubato un documento confidenziale da sotto il mio naso è abbastanza per farmi considerare l'opzione di una punizione esemplare. >>
Concluse, piegando la testa leggermente di lato senza, però, smettere di fissare Yuu neanche per un secondo.

<< Per tutto il tempo avete continuato a parlare con belle parole, cercando di farci capire quanto "bene" volete fare... Però, leggendo quel documento, non riesco a credere a nemmeno una parola di ciò che avete detto. >>
Gli rispose Yuu, indicando il documento ai piedi dell'uomo.

<< Sei davvero convinto che quel documento possa veramente giocare così tanto a tuo favore? Perché, onestamente, lo ho letto più volte e non ricordo ci sia qualcosa che tu possa usare contro di me. >>
Gli domandò Levyathan, raccogliendo subito dopo il documento dal terreno per poi pulirlo con una mano.

<< Vostra maestà... >>
Disse subito dopo, il generale, voltandosi verso l'imperatore, il quale lo guardò con una espressione incuriosita.

<< Le chiedo perdono, ma ho paura che dovremo sospendere momentaneamente il colloquio. Vorrei risolvere questa faccenda, la prego di concedermi qualche minuto. >>
Aggiunse subito dopo, dandoci le spalle.
Il Re lo guardò incuriosito per qualche istante, senza proferire parola, grattandosi il mento con una mano.
Poco dopo gli fece un cenno con la mano.

Levyathan fece un piccolo inchino prima di voltarsi di nuovo verso di noi.

<< Sembra che ci siano stati concessi un pugno di minuti per risolvere la faccenda. >>
Disse Levyathan a Yuu, con un tono infastidito, cominciando a camminare in tondo davanti a noi, senza mai perdere di vista il nostro compagno.

<< Quindi? Vuoi arrestarmi? >>
Gli domandò Yuu.

<< Non vedo cosa potrebbe fermarmi dal farlo, in tutta onestà. Non credo te ne sia reso conto, ma rubando quel documento hai infranto un paio di leggi. >>
Fu la risposta di Levyathan, il quale si fermò di colpo davanti a noi.

Yuu non gli rispose: portò in avanti le braccia, unendo i polsi.

<< Si sta....?! >>
Sentii esclamare da Mirajane, con un tono sorpreso.


Ero sorpresa quanto i presenti alla vista di quella scena: non mi sarei mai aspettata che Yuu si sarebbe arreso così facilmente a Levyathan.
Se devo essere onesta, in quel momento mi aspettavo che avrebbe provato a prenderlo a pugni... Mai mi sarei immaginata che avesse reagito in quel modo.


Levyathan spalancò le palpebre, guardando Yuu con una espressione confusa.

<< Bene, vedo che quando vuoi sai essere ragionevole, almeno. >>
Gli disse.

<< Fa pure, arrestami. Dopotutto... Non è quello che vuoi fare? >>
Gli domandò Yuu.
Rimasi di stucco: il suo tono era divertito.

Levyathan si bloccò improvvisamente: sembrava fosse diventato una lastra di marmo.

<< Fa pure: impediscimi di parlare. >>
Aggiunse, Yuu, con un tono divertito.

Le labbra di Levyathan cominciarono a tremare dalla rabbia, notai anche un tic nervoso nel suo occhio sinistro.

<< Tu, maledetto... >>
Furono le uniche parole che Levyathan riuscì a pronunciare in quell'istante.
Aveva capito cosa avesse in mente Yuu.




<< Strategia pericolosa, ma efficace... >>
Sentii dire da Blake, con un tono sorpreso.
Mi voltai verso di lui, notando che stesse osservando la scena con uno sguardo misto tra preoccupazione e curiosità: aveva una mano davanti alla bocca.

<< Ha messo il generale in una posizione nella quale non importa che scelta faccia: alla fine è Yuu ad uscirne vincitore. >>
Aggiunse subito dopo.
In quel momento ci rimasi di stucco: non riuscivo a credere alle mie orecchie.

<< Pensaci: se Levyathan dovesse arrestarlo, non farà altro che dimostrare quello che ha detto Yuu. Se, invece, dovesse lasciarlo parlare, sarà obbligato a fargli dire ogni cosa che ha scoperto. E', comunque, una scelta pericolosa: se a Levyathan non importasse niente di questo colloquio, potrebbe semplicemente arrestarlo e zittirlo senza nessun problema... Yuu sta giocando una carta pericolosa che potrebbe ritorcersi facilmente contro di lui, in base alle intenzioni che ha Levyathan riguardo al colloquio... >>
Concluse subito dopo.

In effetti, aveva ragione: il fine di quel colloquio era quello di farci diventare suoi sottoposti.
Se avesse impedito a Yuu di parlare ci sarebbero sorte delle domande spontanee: "Cosa voleva dire Yuu?", "Perché lo ha zittito?" o "Sicuramente nascondono qualcosa di brutto." erano alcune delle possibili domande che potevamo farci.


Levyathan continunò a fissare Yuu in silenzio per non so quanto tempo, senza proferire parola.
Il suo sguardo era furioso, sembrava quasi potesse esplodere dalla rabbia da un momento all'altro.

<< Yuushi Hikari.... No, Gilles Leroy: non dimenticherò il tuo nome, stanne pur certo. >>
Gli disse, con un tono minaccioso, per poi darci le spalle.
Tornò rapidamente al fianco del suo imperatore, con un passo frustrato.

<< Vuoi parlare del documento? Benissimo, parliamo del documento, allora! Mi assicurerò di distruggere ogni tua singola affermazione, per poi sbatterti nella cella che meriti. >>
Disse subito dopo, il generale.
Nonostante la sua espressione sembrasse calma, sapevamo tutti perfettamente che si stesse trattenendo.

<< Il giorno che hai interrogato me e Jeanne hai commesso un grosso errore. >>
Gli disse Yuu, rompendo finalmente quel silenzio spaventoso.

<< Specifica. >>
Fu l'unica risposta di Levyathan, il quale assunse rapidamente la sua classica postura.

<< Quando ci hai portati all'interno di una stazione militare per interrogarci, siamo passati davanti ad un ufficio. In quel preciso istante ti sei voltato verso di noi, sorridendo, e ci hai detto queste parole: " Quello è il mio ufficio. Non sarete interrogati li, comunque. " >>
Gli spiegò Yuu.
Era vero, ricordavo perfettamente quella strana scena... Effettivamente, non capii perché ci avesse detto quelle parole, quel giorno.

<< Quindi? Cosa avresti capito dalle mie parole, di grazia? >>
Gli domandò Levyathan, sorpreso dalle parole del nostro compagno.

<< Per quale motivo, mi chiedo, avresti dovuto specificare che quello fosse il tuo ufficio? Potevamo semplicemente passare oltre, non era una informazione che ci serviva. Invece no, hai dovuto dircelo... Volevi farci capire che tu fossi li.  Era il tuo modo per metterci pressione psicologica, giusto? Volevi che noi sapessimo che tu fossi li, ogni giorno, vicino a noi. >>
Spiegò Yuu.
Il suo tono, stavolta, era infastidito.

Il generale lo guardò in silenzio per qualche istante, prima di rispondergli.

<< Sciocchezze, illazioni. Se avessi, davvero, voluto mettervi una "pressione psicologica" avrei usato qualche metodo meno "sottinteso", non credi? >>
Gli domandò, provando a screditare le parole di Yuu.

<< Forse, non lo nego. Ma credo che tu preferisca usare frasi all'apparenza innocue per raggiungere i tuoi fini... Frasi che, però, nascondono significati ben più sinistri. >>
Rispose Yuu.

Levyathan fece un verso infastidito.

<< Quante idiozie. Non riesco a credere di essere forzato a prendere parte a questa farsa! Mi stai insultando, ma ti avverto: continua a dire certe assurdità prive di fondamenta, e ti assicuro che smetterò di essere clemente molto rapidamente. >>
Il tono del generale era cupo e furioso: dopo aver minacciato Yuu lo guardò in silenzio, con una espressione furiosa.

<< Quindi? Cosa avresti mai capito da un documento che altro non è se non la bozza del reale documento, che ho io stesso stampato due giorni fa? >>
Domandò subito dopo, Levyathan, a Yuu.

<< Avete raso al suolo un villaggio intero, per qualche ragione a me ignota. >>
Le parole di Yuu mi fecero gelare il sangue.
Il suo tono era serio, non sembrava stesse inventando niente. Lentamente mi voltai verso Levyathan, notando una espressione seria nel suo volto.

<< Ne ho abbastanza di certe sciocchezze. >>
Disse, furioso.

<< Non sto mentendo, e lo sai perfettamente anche tu! >>
Fu la risposta di Yuu.

<< Idiozie! >>
Esclamò Levyathan, portando un braccio verso l'esterno.
Era furioso.

<< Hai estrapolato parti del documento, usandole poi come meglio ti aggrada! >>
Rispose Levyathan, innervosito dalle accuse che gli stava rivolgendo Yuu.

<< "Il villaggio di Mahari è stato raso al suolo. L'oggetto al suo interno è stato recuperato come previsto dalla missione, senza alcuna interferenza esterna." >>
Disse Yuu, citando il documento.

<< Che assurdità, non significa niente. Ci stai accusando di aver distrutto un villaggio al di fuori delle mura semplicemente per recuperare una reliquia?! Non accetto tale oltraggio! Il villaggio è stato distrutto dai Ribelli, i quali stavano cercando l'oggetto che i militari hanno poi recuperato, come scritto nel documento. >>
Spiegò il generale.

<< Il documento non dice sia stato distrutto dai ribelli. >>
Gli domandò Yuu.

<< Quantomeno dice che sono stati i militari a farlo. >>
Rispose il generale, rimanendo sulla difensiva.

<< "La resistenza trovata all'interno del villaggio è stata sottomessa: nessun superstite." >>
Disse Yuu, citando un nuovo pezzo del documento.
Mi si gelò il sangue per la seconda volta: sentii come un masso nel petto.

<< Piccoli gruppi di ribelli rimasti alla ricerca della reliquia. Come ti ho appena detto, sono stati i militari a recuperarla. >>
Controbatté il generale.

Yuu abbassò lo sguardo.

<< Noto, con dispiacere, che tu non hai intenzione di smettere di sparare sciocchezze. Non posso dire di non ammirare il tuo "senso di giustizia", ma non posso accettare tali mancanze di rispetto nei nostri confronti: non solo ti sei intrufolato nel mio ufficio per rubare un documento confidenziale, ma sei perfino arrivato al punto di accusarci di un crimine che i militari non hanno commesso. Sarò onesto, ragazzo: se avevi intenzione di causare tutti questi problemi fin dal principio, potevi tranquillamente rimanere a casa tua. Nessuno ti ha obbligato a prendere parte al colloquio. >>
Disse Levyathan, notando il silenzio di Yuu.

<< Per tutto il tempo hai continuato a dire frasi come "Non vi importa di noi", o qualcosa del genere... Sai cosa? Non hai poi tutti i torti. >>
Aggiunse subito dopo, il generale.
Rimanemmo tutti di stucco sentendo quelle parole.

<< Non hai neanche la decenza di nasconderlo?! >>
Esclamò Yuu, furioso, sollevando lo sguardo verso Levyathan.

<< Non fraintendetemi, però: il motivo per cui abbiamo deciso di far partecipare le persone come voi a questi colloqui è ovviamente per raggiungere i nostri obbiettivi, non di certo per far un piacere a voi. Però, parliamoci chiaro: era una cosa piuttosto palese. Nessuno fa qualcosa per niente, no? Tutti gli esseri umani, quando fanno qualcosa, lo fanno per raggiungere uno scopo che si sono prefissati. Lo hai fatto tu stesso, fino ad ora: hai continuato ad opporti a noi nel tentativo di far desistere i tuoi compagni dall'accettare le nostre proposte, no? >>
Continuò, Levyathan, parlando con un tono calmo.

Yuu digrignò i denti, infastidito.
Però non poteva negarlo: alla fine dei conti, era quello il suo scopo.

<< In conclusione, non sono stati i militari, però, a distruggere quel villaggio: che tu creda alle mie parole, o meno, non ha importanza. Considerando il tuo carattere e i tuoi modi... Non mi stupirei, un giorno, di vederti tra le fila dei ribelli. >>
Concluse Levyathan.
Sembrava finalmente più calmo.

<< Non seguirò mai gli ordini di bastardi che, invece di aiutarle, fanno soffrire le persone che sono come loro! >>
Rispose Yuu, con un tono infastidito.

<< Quindi non sei né con noi, né con loro... Mi chiedo, davvero, che cosa ha in serbo il futuro per te... >>
Disse Levyathan, sorpreso dalle parole del nostro compagno.

<< Ciononostante, poiché rispetto il tuo forte senso di giustizia e la tua forza d'animo, ho deciso che per stavolta non prenderò provvedimenti. Credo sia inutile chiederti cosa farai, è abbastanza palese. Il colloquio è, quindi, concluso: puoi pure lasciare la stanza. Purtroppo, però, non potrai allontanarti da solo: aspetterai, dunque, che i tuoi compagni finiscano i loro colloqui, poi accompagnerò personalmente all'uscita coloro che non rimarranno con noi, in modo tale che non veniate arrestati dai soldati che non vi hanno visto entrare nella capitale. >>
Aggiunse il generale, subito dopo.


Yuu non se lo fece ripetere due volte: gli diede rapidamente le spalle, per poi incamminarsi verso l'uscita.
Si voltò verso di noi, guardandoci con una espressione dispiaciuta, superandoci senza proferire parola.

Seguii Yuu con lo sguardo, in silenzio, fino a quando non lasciò la stanza.


<< Un personaggio davvero problematico... >>
Sentii dire dall'imperatore.

<< Concordo. Ciononostante, qualcuno con la sua forza d'animo... Avrei davvero apprezzato avere qualcuno come lui tra le nostre fila. Purtroppo, però, i nostri ideali sembrano essere completamente agli antipodi gli uni con gli altri. Prenderemo entrambi le nostre strade... Solo il tempo ci dirà se lo incontreremo, di nuovo, come alleato, come spettatore... O se sarà un nemico. >>
Rispose Levyathan.
Istintivamente il mio sguardo cadde nelle sue mani: strava stringendo i pugni.

<< Direi di proseguire, che ne dice Generale? >>
Domandò l'imperatore.

Levyathan gli sorrise, facendo un piccolo cenno con il capo.



Fino a pochi minuti prima, speravo davvero che le cose si sarebbero risolte per il meglio... Volevo vedere andare tutti d'accordo, lavorare insieme per raggiungere gli stessi scopi e creare un posto migliore...
Purtroppo il mio sogno andò in frantumi davanti ai miei occhi... Yuu non aveva accettato l'offerta, e io non mi sentivo di abbandonarlo...
Ero combattuta: volevo restare dentro le mura, insieme a Mirajane e Blake, ma, allo stesso tempo, l'idea di abbandonare Yuu mi rattristava.

Mi voltai verso Blake e Mirajane: notai che fossero dubbiosi, ma capii che non avessero intenzione di rifiutare l'offerta del generale.

In quell'istante realizzai che mi sarei dovuta separare da qualcuno, e io non volevo farlo...



Sollevai una mano, chiedendo successivamente la parola.
Mi venne rapidamente concessa.

<< Non voglio... Più partecipare al colloquio... >>
Dissi, abbassando lo sguardo.

<< Cosa stai dicendo?! Non avevi detto di volerlo fare?! >>
Sentii dire da Blake, con un tono confuso e sorpreso.

<< Se lui non rimane... Non rimango nemmeno io... >>
Dissi, portandomi una mano davanti al petto, leggermente imbarazzata.

<< Non dovrebbe prendere decisioni così alla leggera, basandosi puramente su una cotta adolescenziale. Dovrebbe fare ciò che è meglio per il suo futur- >>
Levyathan non fece in tempo a dire cosa volesse dire, lo fermai.

<< Se non fosse stato per lui, probabilmente ora non sarei qui a parlare con voi... Mi ha salvato, e non mi sento di abbandonarlo fino a quando non avrò ricambiato la sua gentilezza. Voglio seguirlo e aiutarlo nello stesso modo in cui lui ha aiutato me: se lo abbandonassi ora non riuscirei ad essere in pace con me stessa... >>
Dissi, cercando di fargli capire che non avrei mai cambiato idea.
Sollevai lo sguardo, guardando Levyathan dritto negli occhi: sembrava stranamente infastidito.

<< E' la strada che ho scelto di prendere, e non me ne pentirò mai! >>
Esclamai, sicura della mia decisione.

Levyathan mi guardò in silenzio per qualche secondo prima di rispondermi.

<< Capisco... Quindi... Preferisci stare con lui... >>
Furono le prime parole che pronunciò, in quel momento.
Sembrava lo avesse preso sul personale.

Ci mise poco a riprendersi.

<< Non c'è motivo di continuare, allora. Può lasciare la stanza e attendere la fine dei colloqui all'esterno insieme a Yuushi Hikari, se lo desidera. >>
Mi rispose Levyathan.

Feci un rapido inchino prima di lasciare la stanza.
Non appena aprii la porta mi ritrovai Yuu davanti, appoggiato ad una ringhiera in marmo, intento ad osservare il paesaggio che c'era all'interno delle mura.


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Fine del capitolo 3-3, grazie dell'attenzione e alla prossima!







 

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Capitolo 16
*** Capitolo 3-4: Orion ***


Capitolo 3-4: Orion



Fin da quando ho memoria, le persone mi hanno sempre guardato con quegli occhi.

" Cosa c'è di sbagliato in te?! "
" Mi sento... Strana... "
" Non guardarmi con quei tuoi occhi gelidi! "

Sono nato con una malattia molto rara che, a detta dei dottori che mi hanno visitato, affligge una persona ogni milione. 
Non è una patologia genetica, quantomeno virale... E', semplicemente, un "errore" genetico.

Le mie iridi, infatti, sono di uno strano grigio chiaro, mentre le mie pupille sono "del tutto assenti"...
O, per lo meno, questo è quello che pensano le persone quando mi vedono.

In realtà, infatti, le mie pupille ci sono, ovviamente. La cosa strana, però, è che sono dello stesso identico colore delle iridi.
Quindi, senza una attenta ispezione, chiunque penserebbe che io ne sia privo, notando i miei occhi.

Come se non bastasse, però, la mia vita era stata segnata da qualcosa di ben più problematico.


" Stai lontano da me! "
" Perché metti questa strana sensazione nelle persone? "

Le persone, per qualche motivo a me oscuro, non riescono a starmi vicino molto a lungo: si sentono come sotto pressione, quasi spaventate dalla mia sola presenza.
Non ne capivo il motivo... Non ho mai fatto del male a nessuno, sono una persona piuttosto pacifica.
Ma, forse, anche quello era causato dalla malattia; questa fu la conclusione a cui arrivai.


Sono nato e cresciuto dentro le mura dell'Arcadia, in una famiglia benestante. Anche i miei genitori, ogni tanto, si sentivano in soggezione anche solamente rimanendomi vicino.
A causa del mio carattere serio, il mio sguardo freddo e quella strana "aura" che mi circondava, le persone tendevano a starmi alla larga.
Come risultante, ho sviluppato una certa apatia verso le persone, spesso venivo anche considerato una persona "cinica", nonostante non lo fossi.


<< Oh, sei tu. Prego, entra pure Karna. >>
Quel dottore era una delle poche persone con cui parlavo, ma anche lui non era diverso dagli altri.
Nonostante mi parlasse tranquillamente, non riusciva ad incrociare il mio sguardo. Quando accadeva, però, reagiva come tutti gli altri: evitava rapidamente il mio sguardo, quasi spaventato.

Ci avevo fatto l'abitudine, ormai.
Non mi faceva più alcun effetto, non provavo rancore verso nessuno di loro. Mi ero semplicemente arreso al fatto che sarebbe continuato ad accadere.
Un giorno, considerando che spaventare le persone era la mia specialità, decisi di arruolarmi come militare. 

Lo incontrai quel giorno: un uomo con capelli azzurri, occhiali e una veste militare.


" Piacere di conoscerti: io sono Levyathan Melvillei. "

" Come riesci a guardarmi negli occhi? "

" Perché non dovrei riuscirci? "

" Non sei spaventato? "

" Eheh... Spaventato? Non provo paura. "



Subito dopo aprii gli occhi: la prima cosa che vidi fu il soffitto in legno scuro della mia stanza.
Ero disteso nel letto, coperte fino al petto.
Mi voltai lentamente di lato, rivolgendo subito il mio sguardo sull'orologio che tenevo nel comodino.

<< Ho dormito un'ora in più del dovuto... >> 
Dissi a nessuno, alzandomi rapidamente dal letto.
La mia stanza era sempre ordinata: non sopportavo il disordine. Mi diressi rapidamente nel bagno per rinfrescarmi rapidamente il viso con dell'acqua fredda.

Subito dopo mi appoggiai al lavandino in marmo bianco, guardandomi in silenzio allo specchio.

< Di nuovo quel sogno... >
Pensai.
Appoggiai una mano nello specchio davanti a me, fissando intensamente il mio riflesso.

Capelli biondi, ricci e corti.
Uno sguardo gelido, con occhi e iridi dello stesso identico grigio chiaro.
Una espressione cinica.


Dopo una rapida doccia, mi diressi rapidamente verso l'armadio ai piedi del mio letto: rimasi per qualche secondo ad ammirare la "vasta" scelta di vestiario al suo interno: c'erano solamente copie della stessa uniforme.

Ne presi una, indossandola il più velocemente possibile.
Una divisa militare verde scura con delle rifiniture circolari color oro nei polsi e nel collo. Dopo essermi vestito afferrai una cinta bianca che avevo posato ai piedi del letto, il giorno prima, legandomi i pantaloni.
La custodia di una pistola era legata ad essa.

Mi voltai subito verso il comodino, aprendo un cassetto e afferrando la pistola di colore nero riposta al suo interno, per poi metterla a suo posto nella cinta.

Scesi rapidamente le scale davanti alla mia stanza, per poi dirigermi verso l'uscita della mia stanza: afferrai una giacca appesa al muro davanti a me, indossandola. Afferrai anche il cappello.
Erano entrambi di colore verde scuro.

Non appena uscii dalla mia abitazione, mi incamminai per quei vuoti corridoi.
Poiché alloggiavo al palazzo imperiale, ero perennemente a contatto con l'imperatore e Levyathan: infatti, il giorno prima mi chiesero di prendere parte ad un colloquio con delle persone provenienti da fuori delle mura.
Essendo già in ritardo, affrettai il passo.

Era palese avessero già iniziato senza di me, dopotutto la mia presenza non era assolutamente necessaria. Ma, nonostante tutto, non potevo non presentarmi.

Raggiunsi il luogo del colloquio in meno di cinque minuti, e fu li che li vidi.
Un ragazzo in compagnia di una ragazza dai lunghi capelli bianchi.

Mi avvicinai lentamente verso di loro, sospettoso, non avendoli mai visti prima, con una mano dietro la schiena e una posata sull'elsa di uno dei due stocchi legati alla giacca militare.

<< Potrei sapere i vostri nomi? Le vostre facce mi sono nuove. >>
Domandai ai due ragazzi, cogliendoli di sorpresa: si voltarono entrambi verso di me, con espressioni sorprese in volto.
Il ragazzo, però, sembrava fosse più sulla difensiva.

<< Chi... Sei tu? >>
Mi domandò.
Notai che fosse teso.

< Come sempre. >
Pensai, non sorprendendomi dalla reazione che ebbe vedendomi.

<< Sono abbastanza sicuro che siate voi a dovervi presentare per primi, considerando che non ho mai visto i vostri volti prima d'ora. >>
Gli risposi, con un tono serio.

Il ragazzo era visibilmente infastidito, e non sembrò voler collaborare.
Prima che potessi chiederlo una seconda volta, notai la ragazza dai capelli bianchi muoversi verso di me.

<< Veniamo da fuori le mura. Il mio nome è Jeanne White, lui è Yuushi Hikari! Sono felice di fare la tua conoscenza! >>
Mi disse, sorridendomi, con una mano davanti al suo petto.

Rimasi di stucco dalla semplicità con la quale quella ragazza fu in grado di parlarmi: non aveva paura a guardarmi negli occhi, quel suo sorriso non era finto.
Il suo sorriso era gentile, i suoi occhi privi di paura.

<< Capisco... Siete parte di quel gruppo che il Generale Levyathan ha chiamato, quindi. >>
Le risposi, dopo qualche secondo di silenzio a causa dello stupore.

<< Si, lo siamo! >>
Mi rispose, di nuovo, senza smettere di sorridermi.

<< Chiedo scusa per i miei sospetti. Ci sono altri oltre a voi? >>
Domanda subito dopo, rivolgendo il mio sguardo verso il suo compagno.

<< Si... Due dei nostri sono ancora dentro, noi abbiamo appena finito. >>
Mi rispose, il ragazzo, ancora teso.
Lui, a quanto pare, non era come quella ragazza.

<< Capisco... Avete accettato? >>
Domandai, rivolgendomi di nuovo verso la ragazza dai capelli bianchi.
Era molto più facile parlare con lei.

Abbassò lo sguardo, mentre una espressione triste comparve lentamente nel suo volto.

<< Suppongo non abbiate accettato. In questo caso, vi prego: state fuori dai guai, fate attenzione. >>
Le mie parole li lasciarono turbati e incuriositi.
Li lasciai poco dopo, senza dar loro altre spiegazioni, con un rapido inchino in segno di rispetto.

La loro scelta non era la migliore...
Ma era ben lontana dalla peggiore.


Prima che potessi entrare all'interno della stanza, sentii di nuovo la voce di quella ragazza.

<< Quale è il tuo nome? >>
Le sentii domandare.

<< Orion Karna. >>
La mia risposta fu secca, non mi voltai nemmeno.
Subito dopo aprii la porta davanti a me.


C'erano altre due persone che non avevo mai visto in vita mia, oltre al Generale e l'Imperatore; una coppia.

<< Porgo le mie più sincere scuse per il ritardo: l'allenamento d'ieri mi ha stancato più del previsto. >>
Dissi, rompendo il silenzio intorno a me, facendo un profondo inchino.

<< Oh, Orion, finalmente! Cominciavo a domandarmi dove fossi finito, ragazzo mio. >>
Le parole del Generale furono le prime che sentii.

<< Colonnello Karna, sono felice di vederla, finalmente. Si è perso, ormai, la metà del colloquio. >>
Mi disse subito dopo, l'imperatore.

<< Porgo ancora una volta le mie scuse. >>
Mi scusai di nuovo.

<< Non preoccuparti, l'importante è che ora tu sia qui con noi. >>
Mi rispose Levyathan, sorridendomi.

Subito dopo il mio sguardo cadde sulla coppia alla mia sinistra.
Entrambi impallidirono non appena incrociarono il mio sguardo.

D'istinto, sbuffai.

< Ho paura che, quindi, solo quella ragazza era speciale... >
Pensai, deludendomi.

<< Bene, possiamo proseguire con il colloquio, che ne dite? >>
Sentii dire da Levyathan, con un tono divertito.

Il generale e l'imperatore ripresero finalmente a rivolgere le loro domande alla coppia, mentre io rimasi alle loro spalle, in silenzio, ad ascoltare ogni cosa che si dicevano.
Nel mezzo della discussione afferrai un paio di guanti bianchi da una delle tasche della giacca, indossandoli rapidamente.

< Tutto questo... >
Pensai, osservando in silenzio il generale parlare con quella coppia.

< ...Mi disgusta. >
Aggiunsi, in un secondo momento, afferrando il mio cappello.


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Fine del capitolo 3-4, grazie dell'attenzione e alla prossima!


 

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Capitolo 17
*** Capitolo 3-5: Verità Nascoste ***


Capitolo 3-5: Verità Nascoste


La sola presenza di quel ragazzo di nome Orion bastò per mettermi a disagio: lo osservai in silenzio fin da quando entrò all'interno della stanza senza, però, mai smettere di provare una strana sensazione di ansia.

Non appena i nostri sguardi si incrociarono, però, mi voltai rapidamente.
Non so bene come spiegarlo, ma... Solamente la sua presenza bastava a farmi sentire strano, quasi ansioso... Spaventato. Per un istante mi sembrò quasi che mi si fosse congelato il sangue... Sembrava quasi come se emanasse una strana "aura"... Non ho mai provato qualcosa del genere in vita mia, era una sensazione davvero strana e mi preoccupò non poco.
Non ne capii il motivo.

Il colloquio riprese molto rapidamente dopo l'interruzione, concludendosi altrettanto velocemente.


<< Perfetto. Il vostro colloquio è stato molto più veloce e semplice rispetto al precedente, ne sono rallegrato. >>
Disse Levyathan, non appena smise di farci quelle domande.

<< Prima di dare una risposta, potrei farle una domanda, Generale? >>
Domandai all'uomo, ancora preoccupato da ciò che era accaduto pochi minuti prima.
L'uomo mi guardò confuso, dandomi però il permesso di parlare.

<< Ciò che Yuu ha detto... E' vero? >>
Gli domandai.

Levyathan abbassò lo sguardo facendo un verso dispiaciuto, seguito da uno sbuffo.

<< Comprendo perfettamente le tue preoccupazioni. >>
Mi rispose, sollevando finalmente lo sguardo e fissandomi direttamente negli occhi.

<< No, il tuo compagno non ha mentito... Per lo meno, non lo ha fatto citando il documento. >>
Aggiunse subito dopo, portando una mano dietro la schiena e gesticolando con quella libera.

<< Quindi... Cosa è successo? >>
Gli domandai, cercando una risposta più precisa.

<< Orion stesso era a capo della spedizione in quel villaggio: lui stesso mi ha consegnato il rapporto che il vostro compagno ha citato. >>
Mi rispose, voltandosi rapidamente verso il ragazzo che era entrato poco prima nella stanza.

<< Orion, mi faresti il favore di spiegare cosa è successo nella missione che ti è stata affidata qualche giorno fa? >>
Domandò al ragazzo, sorridendo.
Mi voltai anche io verso quel ragazzo, nonostante non mi fossi ancora abituato alla sua presenza.

Orion assunse rapidamente una postura molto simile a quella del Generale Levyathan: la cosa mi lasciò sorpreso.

<< Suppongo vi stiate riferendo al villaggio di Mahari. Non appena siamo arrivati sul luogo, abbiamo notato che il villaggio era stato raso al suolo in precedenza. Nessun superstite è stato trovato. Abbiamo, poi, perlustrato i resti del villaggio e recuperato l'oggetto in questione. Dopodiché ho provveduto personalmente alla stesura di un documento che ho successivamente consegnato al Generale Levyathan di persona. >>
Il suo sguardo era fermo, quasi freddo.

<< Ci credi, adesso? Come puoi ben vedere, non è stato il gruppo di Orion a distruggere quel villaggio. Hai, ancora, altri dubbi? >>
Sentii domandare da Levyathan.

Mi voltai di nuovo verso il generale, ancora dubbioso e preoccupato.
Non sapevo se credere davvero alle loro parole fosse la scelta giusta... Non mi avevano effettivamente dato nessuna prova schiacciante che li potesse scagionare...

<< E' la verità, giusto? >>
Gli domandai, confuso e preoccupato.

<< Stai insinuando che io abbia mentito? >>
Sentii domandare dal ragazzo alle mie spalle.

Mi voltai ancora una volta verso di lui, sorpreso.

<< Non vi conosco... Potreste aver mentito. >>
Gli risposi.

Mi guardò per qualche secondo in silenzio: sembrava mi stesse infilzando con quel suo sguardo freddo.

<< Io non mento, non mi serve farlo. Se non credi alle mie parole sei libero di farlo: non è un problema mio. >>
Nonostante il suo tono sembrasse infastidito, la sua espressione sembrava non mostrase nessun genere di sentimento.

Non ero convinto.

<< Posso assicurarti che Orion non stia mentendo. Non è nel suo carattere. >>
Sentii dire da Levyathan.

<< Yuu voleva la stessa cosa che vogliamo anche noi... >>
Le mie parole lasciarono il Generale sorpreso e incuriosito.

<< Anche se... Non credo che i suoi modi siano quelli giusti. Ma io voglio provare... Voglio aiutare le persone che si trovano al di fuori delle mura: ci permetterà di farlo? >>
Domandai all'uomo, cercando una sua risposta positiva.

<< Io voglio semplicemente ciò che è meglio per il mio popolo. Fare del male alle persone, è l'ultima risorsa. Te lo prometto, hai la mia parola: migliorerò la situazione, per tutti. >>
Mi rispose, sorridendo.


Ci fidammo delle sue parole.
Ci fidammo di quel falso sorriso... 

In quel momento le nostre strade si divisero, non solo fisicamente.
Io e Mirajane accettammo l'offerta di Levyathan, mentre da li a poco Jeanne e Yuu sarebbero stati coinvolti in qualcosa che neanche loro si immaginavano minimamente.

Se solo avessi potuto parlare con Orion prima di quel colloquio... Se avessi potuto vedere cosa ci stesse riservando il futuro... Avrei sicuramente fatto delle scelte differenti.


Poco dopo, Levyathan ci mostrò il nostro superiore: era quel ragazzo.
Lasciammo quella stanza, seguendo Orion. Mi sentivo ancora in soggezione solamente standogli vicino.

Non appena uscimmo in quel corridoio vedemmo subito Jeanne e Yuu... 
Notai ben presto una espressione delusa apparire nel volto del mio compagno, ma non potei fermarmi a parlargli.

Levyathan si mise in mezzo a noi, mentre Orion ordinò a me e Mirajane di seguirlo.
Provai a chiedergli se poteva lasciarmi qualche secondo per parlare con Yuu, ma mi rispose che non era possibile farlo.

Mi voltai solamente per vedere Levyathan accompagnare Yuu e Jeanne nella direzione opposta dalla nostra.
Mi sentivo uno schifo... Lo avevo abbandonato... Ma, in quel momento, volevo provare. Non potevamo semplicemente andarcene senza neanche provare a fare niente.

In appena pochi minuti avrei capito quanto mi sbagliavo.


<< Suppongo che io debba introdurmi a dovere. >>
Sentii dire a un certo punto, da quel ragazzo.
Non si voltò: continuò a camminare in avanti dandoci le spalle, facendoci strada per quei corridoi.

<< Il mio nome è Orion, della casata dei Karna. Ho ventiquattro anni, sono dentro l'esercito da otto e mezzo, quasi nove. >>
Continuò.
Il suo modo di camminare era fin troppo simile al suo.

<< Camminate tutti in quel modo? >>
Gli domandai, incuriosito.

Orion si fermò di scatto, per poi voltarsi leggermente verso di noi.
Mi fissò intensamente con la coda dell'occhio, senza voltarsi completamente.

<< Cosa vorresti dire? >>
Mi domandò.

<< Ho notato che anche Levyathan cammina in quel modo: una mano dietro la schiena e una appoggiata sull'elsa di una spada. Mi chiedevo se fosse un'usanza dei soldati o se fosse una semplice coincidenza... >>
Gli spiegai, sentendomi ancora preoccupato dalla sua sola presenza.

Non mi rispose subito: mi diede di nuovo le spalle, riprendendo a camminare.
Lo seguimmo in silenzio.

<< Non è nessuna delle due cose. Il Generale Levyathan mi ha accompagnato nel mio cammino come soldato: come risultante, ho assorbito alcune delle sue usanze, come il modo di camminare. >>
La sua risposta fu secca e precisa.

<< Cercate di rilassarvi, comunque. Prima o poi vi abituerete alla mia "strana" presenza. >>
Aggiunse subito dopo.

Quelle sue parole mi lasciarono di stucco: quindi non era un qualcosa che avevamo notato solo io e Mira.
C'era effettivamente qualcosain lui che mi metteva sotto pressione, ma ancora non comprendevo cosa fosse.

<< Quindi conosci il Generale da molto tempo? >>
Gli domandò Mirajane, incuriosita dalle sue parole.

<< Assolutamente. Teoricamente, potrebbe anche essere mio padre. >>
La sua risposta ci lasciò di stucco: lo guardammo in silenzio per qualche istante con occhi e bocche spalancate, increduli.

<< E' tuo padre?! >>
Domandò Mirajane, riprendendosi.

<< Potrebbe. Mia madre ebbe una relazione clandestina con Levyathan, circa ventiquattro anni fa. Poco dopo incontrò il suo attuale marito, e si sposarono. Ciononostante, non ho poi così tanto in comune con lui... In ogni caso, che Levyathan sia o meno mio padre non ha importanza per me. >>
Ci rispose.
Il suo tono era più serio.

<< Cosa vuoi dire con "Non ha importanza"? Non può non importarti...  >>
Gli domandò Mira, con un tono preoccupato e triste.

<< Lo rispetto, gli devo molto... Ma il nostro rapporto è molto più simile a un Maestro-Allievo rispetto a quello di Padre-Figlio. Mi ha allenato, mi ha dato un posto in cui ero effettivamente accettato. Non mi ha mai trattato come un figlio, però, quantomeno mi considera tale: non lo ho mai guardato con gli occhi di un figlio. Che sia o meno il mio padre biologico non ha importanza, ormai. >>
Le rispose, senza voltarsi neanche stavolta.


<< Hey, posso farti una domanda? >>
Gli domandai dopo qualche minuto di silenzio.
Mi diede prontamente il permesso.

<< Cosa è quella "strana presenza" di cui hai parlato poco fa? Hai qualche genere di abilità? >>
Gli chiesi, incuriosito da quelle sue strane parole.

<< No, non possiedo alcun genere di abilità. Non ho la benché minima idea di cosa sia: fin da quando ho memoria, le persone mi hanno sempre guardato con occhi impauriti, messi a disagio anche dalla mia semplice presenza. >>
Cominciò a spiegarmi, senza voltarsi e continuando a camminare.
Era esattamente quello che stavamo provando io e Mirajane... La cosa mi fece preoccupare, e incuriosire, non poco.

<< ... Forse è a causa della malattia. >>
Aggiunse poco dopo.

Quelle sue parole attirarono la mia attenzione: di quale malattia parlava? 
Non appena gli chiesi delle spiegazioni più precise, lui si fermò di colpo.

Si voltò verso di me, guardandomi dritto negli occhi con uno sguardo freddo: sembrava privo di sentimenti.
Si portò una mano davanti al volto, indicandosi gli occhi.

In quell'istante capii perfettamente di cosa stesse parlando: la riconobbi subito, avendo letto qualcosa in alcuni libri di medicina.
Avevo letto qualcosa inerente a quella malattia in alcuni libri e svariate cartelle cliniche, qualche anno prima.
Era piuttosto rara, ma non aveva quasi nessun effetto collaterale... Non avevo, infatti, mai sentito o letto niente inerente a delle "strane" presenze emanate dal malato.
Incuriosito da questo strano fatto gli domandai se, ogni tanto, avessi potuto fare qualche esame. Accettò senza troppi giri di parole, specificando, però, che non gli importasse molto dell'origine di quel problema: "E' una parte di me, ormai, ho imparato a conviverci. Una spiegazione non cambierà niente, continuerà a vivere con me in ogni caso.".


Dopo pochi minuti si fermò davanti ad una porta in legno scuro.

<< Queste sono le vostre stanze, preparate da Levyathan stesso. Le vostre abitazioni sono adiacenti alla mia: in caso vi servisse qualcosa non esitate a chiamarmi. >>
Ci disse, porgendomi due paia di chiavi.

<< Decidete voi come dividervi le stanze. Il Generale non permette alle coppie di alloggiare nella stessa stanza. >>
Mi disse subito dopo.

<< Jeanne e Yuu dove sono? Sono preoccupata per loro... >>
Gli domandò Mirajane, poco dopo.

<< Stanno bene. Levyathan probabilmente li starà accompagnando fuori dalle mura, al momento. >>
Dopo aver detto quelle parole si voltò verso di noi.

<< Se posso dire la mia... Forse sarebbe stato meglio se foste rimasti fuori da questa faccenda. >>
Ci disse poco dopo, con uno sguardo cupo.


Ciò che ci avrebbe rivelato da li a poco, unito a ciò che stava per accadere... Se solo lo avessi saputo, non avrei mai accettato.

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Fine del capitolo 3-5, grazie per l'attenzione e alla prossima!

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 3-6: Nebbia ***


Capitolo 3-6: Nebbia

 


Rimasi a osservare il paesaggio che si diramava davanti ai miei occhi, non appena lasciai quella stanza.
Ero ancora frustrato dal fatto che probabilmente non fossi riuscito a convincerli... Mi appoggiai a una ringhiera, osservando la città che continuava a vivere all'interno delle mura. 
Se non avessi saputo come si viveva al di fuori, avrei davvero detto si trattasse di un posto bellissimo.

< Quando Levyathan ci ha portati all'interno delle mura non ho avuto il tempo per guardarmi intorno... E' completamente differente dai villaggi al di fuori. >
Pensai in quel momento.
Strinsi un pugno con rabbia, infastidito.

<< Se solo... Non fossero tutti così egoisti.... Sarebbe stato tutto diverso... >>
Dissi tra me e me, continuando a osservare quelle strade, quelle case.


Le abitazioni erano molto più grandi, robuste e belle rispetto a quelle al di fuori delle mura, ovviamente. Le strade erano erano fatte in pietra cesellata di colore celeste chiaro.
Le persone vestivano eleganti, fumavano pipe, leggevano giornali seduti nei bar... Era tutto così normale.
Una normalità che difficilmente avevo visto al di fuori.


Improvvisamente sentii una porta alle mie spalle aprirsi lentamente: mi voltai, incuriosito, riconoscendo la persona che ne uscì subito dopo.

<< Sei uscita prima di quanto mi aspettassi. >>
Dissi, dandole di nuovo le spalle e riprendendo a osservare quella città idilliaca.

<< Ho... Declinato le loro offerte... >>
La risposta di Jeanne mi lasciò perplesso, ma decisi di non farle domande.

<< Va tutto bene? Posso aiutarti in qualche modo? >>
Le sentii chiedere poco dopo, con un tono preoccupato.

Sbuffai, appoggiandomi a quella ringhiera di ferro, reggendomi il volto con una mano.

<< No, non va tutto bene... >>
Le risposi, con un tono depresso.

Mi sentivo sconfitto, nonostante fossi riuscito nel mio intento.

<< So... So che le mie parole non sono bastate a far cambiare loro idea. Rimarranno, lo so perfettamente... >>
Aggiunsi subito dopo, senza sollevare lo sguardo.

<< E' una scelta loro... Proprio come io ho scelto di seguirti.  Anche se dovessero restare, non dimenticheranno le tue parole, stai tranquillo. >>
Mi rispose, con un tono calmo e gentile, provando sicuramente a rasserenarmi.

Sollevai finalmente lo sguardo, osservando di nuovo la città che si espandeva davanti a me.

<< Suppongo sia così... >>
Le risposi, nonostante mi sentissi ancora sconfitto.
Da quel momento smettemmo di parlare per non so quanti minuti.

Rimanemmo in silenzio a osservare la città davanti a noi, attendendo che Blake e Leona lasciassero l'aula dell'incontro.
Nel mentre incontrammo anche un ragazzo che emanava una strana "aura"... Anche solo fissarlo era abbastanza per farmi sentire strano.
Jeanne, però, non sembrò per nulla sotto pressione vicino a lui.


Quando, finalmente, i nostri compagni uscirono da quella stanza, rimasi con l'amaro in bocca: Blake provò a muoversi verso di me, ma Levyathan lo bloccò.
Sia lui che Leona seguirono quello strano ragazzo che avevamo visto poco prima, allontanandosi da noi.


<< Che significa? Fammi parlare con loro. >>
Domandai a Levyathan, infastidito dal fatto che avesse impedito a Blake di parlarmi.

<< Mi dispiace, ma abbiamo davvero poco tempo a disposizione, oggi: Orion deve mostrare il posto ai tuoi compagni il più rapidamente possibile. >>
Mi rispose, dandomi le spalle e incamminandosi nella direzione opposta rispetto a Blake e Mirajane.
Subito dopo ci fece un cenno di seguirlo.

<< Vi accompagnerò personalmente all'uscita, poi sarete liberi di rimanere o andarvene. La scelta è vostra. >>
Ci disse.

Quel suo tono sembrava quasi volermi dire "Alla fine, ho vinto io.".
Non riuscivo a sopportarlo, ma decisi di seguirlo senza fare storie, anche a causa di Jeanne.



Forse, quel giorno, avrei dovuto oppormi.
Forse, avrei dovuto parlare con Blake e Mirajane nonostante Levyathan me lo avesse impedito.
Avrei dovuto confrontarlo prima... Nonostante sapessi di essergli inferiore.

Lo ero allora, e lo sono tutt'ora.



Quando arrivammo nel giardino, accadde ciò che mai mi sarei aspettato.
Ci fu una grossa esplosione in distanza, talmente intensa da far tremare il terreno ai nostri piedi.
Sollevai ben presto lo sguardo verso il cielo, notando del fumo proveniente dall'esterno delle mura, nella zona est della capitale.

<< Cosa era quell'esplosione? >>
Domandò Jeanne, spaventata, a Levyathan.

Levyathan non le rispose: fissò intensamente il fumo che saliva sopra il cielo, con uno sguardo infastidito.

<< Incompetenti. >>
Gli sentii mormorare.

Ero confuso da quelle sue parole: a chi si stava riferendo?

<< Mi dispiace, ho paura che dovrò abbandonarvi per qualche minuto. Rimanete in questa zona: i soldati saranno, ormai, all'erta, non vorrei che vi scambiassero per intrusi. >>
Furono le parole con cui ci lasciò, dirigendosi nella stessa direzione da cui era apparso quel fumo.


Non appena Levyathan si allontanò abbastanza da noi, decisi di approfittare della situazione.

<< Muoviamoci, dobbiamo trovare Blake e Leona! >>
Le dissi, muovendomi verso di lei.
Non volevo abbandonarli senza, prima, parlare con loro. Jeanne non sembrò, però, apprezzare la mia richiesta.

<< Non so se sia la scelta giusta... Il Generale Levi ci ha raccomandato di non allontanarci... >>
Mi rispose, dubbiosa.

<< Preferisci ascoltare lui, piuttosto che me?! >>
Le domandai, infastidito.

Jeanne portò in avanti le mani, scuotendo poi la testa rapidamente.

<< No, non intendevo dire quello.... >>
Mi rispose, rattristandosi.

<< Quindi muoviamoci! >>
Aggiunsi, dirigendomi di nuovo all'interno del palazzo, percorrendo la strada di poco fa al contrario.



In breve tempo raggiungemmo di nuovo la stanza del colloquio, poi proseguimmo di nuovo in avanti, passando per lo stesso corridoio che Blake e Leona percorsero poco prima.


<< Non è strano? >>
Sentii domandare da Jeanne, mentre camminavamo per quel lungo corridoio.

<< Cosa? >>
Le domandai, incuriosito, senza però voltarmi, continuando a osservarmi intorno.

<< Non c'è nessuno, è tutto vuoto... Levyathan non aveva detto che i soldati erano all'erta? Sono già tutti andati nella zona da cui proveniva l'esplosione? >>
Aggiunse subito dopo.
Effettivamente, non aveva torto, però non ci feci troppo caso.

<< Se qualcuno ha veramente attaccato la capitale, è più che naturale che i soldati si siano diretti nel luogo dell'attacco... >>
Le risposi, cercando di dare una risposta ai suoi dubbi.

< Però, se fossi un militare, di certo non manderei tutte le mie forze in un unico punto, lasciando tutte le altre zone scoperte... Sarebbe una pessima scelta... >
Nonostante tutto, però, non ero del tutto convinto da quella situazione: qualcosa mi puzzava.


Continuammo a muoverci per quei corridoi deserti, alla ricerca dei nostri compagni... Non li trovammo.
In compenso, però, trovammo qualcun altro...

Tre soldati armati fino ai denti e con delle armature argentee erano davanti a noi.
Stavano parlando, non ci avevano ancora notato.

<< Finalmente, dei soldati! >>
Esclamò Jeanne, muovendosi rapidamente nella loro direzione.

<< Hey! Voi sapete cosa sta succedendo? >>
Domandò subito dopo a quel trio, attirando la loro attenzione.

La loro reazione mi lasciò completamente di stucco: non appena ci notarono afferrarono le loro armi, muovendosi minacciosamente verso di noi.

<< C-Cosa state facendo? >>
Domandò Jeanne, spaventata, indietreggiando lentamente a ogni loro passo.

Tutti e tre ci caricarono all'unisono, sguainando le loro armi: due erano armati di spada, uno di lancia.

Non appena allungai un braccio in avanti, tre lunghi nastri viola si mossero rapidamente verso Jeanne, incrociandosi davanti a lei e bloccando il fendente di uno dei tre uomini.
Subito dopo un quarto nastro uscì dalla mia mano, muovendosi rapidamente verso quell'uomo e colpendolo in un fianco come se fosse una frusta, scagliandolo contro un muro.

Feci scomparire i nastri, scattando subito dopo in avanti, avvolgendo il mio braccio sinistro con dei nuovi nastri viola.
Deviai il fendente del secondo uomo armato di spada con l'avambraccio ricoperto dai nastri, colpendolo poi con un pugno nello stomaco e un secondo pugno con il dorso dell'altra mano, facendolo cadere al suolo.

Il terzo uomo mi ferì nel fianco con la punta della sua lancia, obbligandomi a indietreggiare.

Mi caricò una seconda volta, approfittando della situazione, provando a infilzarmi una seconda volta: tagliai la sua lancia con un nastro viola.
Approfittai della sua confusione per colpirlo in pieno volto con un pugno...

Non bastò a metterlo fuori gioco: era più robusto degli altri.
Mi afferrò il braccio con una mano, colpendomi poi in fronte con una testata, seguito da una ginocchiata nel ventre.

Indietreggiai facendo versi di dolore, reggendomi il fianco ferito.
Quell'uomo mi caricò per la terza volta, ringhiando come un animale.

Avvolsi di nuovo il mio braccio sinistro con i nastri viola, colpendolo dritto nel volto con un pugno.

Anche quel gorilla cadde finalmente al suolo.



Mi inginocchiai nel terreno, ansimando e soffrendo, reggendomi il fianco destro: stavo sanguinando.

<< Stai bene?! >>
Mi domandò Jeanne, preoccupata, inginocchiandosi davanti a me.
Era terrorizzata.

<< E' ok, è un semplice graffio.... Dobbiamo muoverci... >>
Le dissi, alzandomi lentamente dal terreno.

<< Aspetta, lascia fare a me! >>
Mi disse subito dopo, assumendo una posizione di preghiera.
Una singola lama argentea, molto simile a quella che mi aveva regalato, si materializzò sopra la sua testa, muovendosi poi verso la mia ferita.
Si conficcò in essa, curandomi esattamente come fece la prima volta.

La gran parte del dolore sparì di colpo, permettendomi finalmente di muovermi liberamente.

<< Ti devo un altro favore. >>
Le dissi, ringraziandola.
Non mi rispose: sorrise.


Riprendemmo ben presto a camminare per quei corridoi, ma non trovammo più nessuno...
L'unica cosa che ci stava aspettando, era una strana e folta nebbia grigia che si faceva sempre più fitta a ogni passo che facevamo.

Era strana, apparsa quasi improvvisamente e dal nulla.
Non era solo quella strana nebbia a preoccuparmi, ma anche la reazione di quei soldati. 

Jeanne stessa, poco tempo dopo mi domandò perché ci avessero attaccati, secondo me.
Lei suppose che quei soldati ci avessero scambiati per intrusi, ma non ne ero così convinto: dopotutto, ero più che convinto di aver incontrato uno dei due uomini armati di spada davanti all'entrata del palazzo imperiale.



< Non riesco a vedere neanche a un metro davanti a me, merda... >
Pensai, a un certo punto, ritrovandomi improvvisamente a camminare nel mezzo di una folta nebbia.

<< Hey, puoi sentirmi? >>
Chiesi a Jeanne, voltandomi.
Non la vidi: quella nebbia era così fitta che, nonostante fosse alle mie spalle, non riuscivo neanche a vederla.

<< S-Si... Ma non riesco a vederti... >>
Sentii rispondere da una voce debole proveniente dal mezzo di quella nebbia.

<< Dovresti essere esattamente dietro di me: allunga la mano, così non rischio di perderti! >>
Esclamai.
Dalla nebbia vidi uscire un braccio femminile, il quale si mosse lentamente verso di me.

La presi per mano.

<< S-Sei tu? >>
Sentii domandare subito dopo.

<< Si, sono io. Non lasciarmi andare per nessun motivo: la nebbia è così fitta che non possiamo neanche vederci. Se dovessimo separarci potremmo rischiare di non trovarci più in mezzo a questa maledetta nebbia! >>
Le dissi.
Jeanne strinse la presa.



Non so esattamente per quanto camminammo, ma a un certo punto capii che fossimo tornati all'esterno: notai infatti la strada cesellata di colore azzurro che vidi poco prima dal palazzo Imperiale.
Nonostante, però, fossi in grado di vedere il pavimento ai miei piedi, ormai non potevo vedere neanche a un centimetro davanti a me: stavamo camminando alla cieca da chissà quanto tempo, ormai.

Avendo capito di aver percorso la strada sbagliata, decisi di tornare indietro... Poi sentii delle voci.


<< Il piano è fallito: erano a conoscenza del nostro attacco. >>
Sentii dire da qualcuno, molto vicino a noi.


<< Chi era? >>
Sentii domandare da Jeanne, con un tono preoccupato.
Rapidamente, e a bassa voce, le dissi di non fare rumore.

Mi spostai rapidamente di lato, collidendo improvvisamente con qualcosa di duro: era un muro.
Mi appoggiai a esso, continuando ad ascoltare quelle persone.



Non avevo ancora la più pallida idea di cosa stesse per accadere... 
In che cosa sarei stato coinvolto.

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Fine del capitolo 3-6, grazie per avermi seguito, alla prossima!

PS: Le uscite saranno meno frequenti (un capitolo minimo a settimana più uno o due capitoli extra ogni tanto), ma almeno uno settimanale a causa di alcuni problemi in questo periodo.
Vi consiglio, anche, di seguire la mia seconda storia (se non lo avete fatto), Shadows of Gaia.
Potrebbe avere qualcosa a che fare con Arcadia.
Grazie dell'attenzione! ^^

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Capitolo 19
*** Capitolo 3-7: Rischio ***


Capitolo 3-7: Rischio


Ci trovavamo al di fuori delle mura: la cosa mi lasciò perplesso.
Mi appoggiai rapidamente al muro al mio fianco, era di una casa in rovina: se mi fossi appoggiato con troppa forza, sarebbe crollato immediatamente.


<< Cosa è successo, Mist? >>
Sentii dire da una voce a me familiare.

<< Sfortunatamente, sembra fossero al corrente del nostro attacco. I nostri uomini sono caduti vittima di una imboscata, quindi siamo stati forzati a una ritirata. >>
Rispose qualcun altro.
Era una voce maschile, però non sembrava provenire da un adulto.


Inconsciamente, il mio sguardo cadde su Jeanne.
Era spaventata e confusa... Non avevamo la benché minima idea di come fossimo finiti in mezzo al nulla: infatti, fino a pochi istanti prima ci trovavamo all'interno delle mura.

<< Cosa è successo? Come siamo finiti qui fuori? >>
Mi chiese, guardandosi intorno.

Prontamente le feci segno di abbassare la voce.

<< Ne so quanto te. >>
Le dissi, sottovoce.

<< Probabilmente hanno usato qualche genere di teletrasporto... Ho sentito qualcosa riguardo ad abilità di questo tipo... >>
Aggiunsi, senza mai allontanarmi da quel muro, continuando ad ascoltare quelle persone. 

< Maledizione, non riesco a sentirli bene... Devono essersi allontanati un po'... >
Pensai, frustrato dal fatto di non riuscire più a sentire cosa si stessero dicendo quelle due persone.

Feci cenno a Jeanne di non parlare, poi mi affacciai lentamente, cercando di capire dove fossimo finiti.

Riconobbi immediatamente il paesaggio: eravamo ai piedi del Monte Olymp, la montagna più alta di tutta l'Arcadia, nei pressi della foresta.
Eravamo, quindi, a circa tre o quattro miglia di distanza dalla capitale.

Ben presto, però, mi nascosi di nuovo dietro quel muro di mattoni.

<< Maledizione... >>
Sussurrai, cominciando a preoccuparmi da quella vista.

<< Cosa hai visto? >>
Sentii chiedere da Jeanne, con tono preoccupato.

<< Ci sono parecchie persone, un bel gruppo. Sono armati fino ai denti. Dobbiamo allontanarci il prima possibile senza farci vedere... Siamo stati involontariamente coinvolti in qualcosa che non ci riguardava... >>
Le risposi, allontanandomi finalmente da quel muro.

Purtroppo, però, non appena lo feci, un mattone cadde al suolo causando un grosso tonfo.

< Merda! >
Pensai, spaventandomi, osservando il fumo che si era sollevato davanti a noi con uno sguardo terrorizzato.



<< Cosa è stato? >>
Sentii dire da qualcuno, con tono sorpreso.

<< E' una vecchia abitazione, Mist. Sta semplicemente cadendo a pezzi. >>
Gli rispose la voce a me familiare.
In quell'istante ero troppo preoccupato per provare a capire chi fosse.

<< Forse hai ragione... >>
Rispose l'altra persona, quel "Mist".

Sentendo quelle parole per un istante mi sentii sollevato, ma la mia felicità durò ben poco.

<< ... Però vado ugualmente a controllare. >>
Aggiunse, poco dopo.


< E che cazzo! >
Pensai, frustrato da quell'ultima frase.

In quell'istante mi voltai verso Jeanne: entrambi avevamo espressioni preoccupate: potevo sentire il cuore battermi all'impazzata nel petto.

< Siamo finiti in mezzo ai ribelli, maledizione! >
Pensai, in quell'istante.

<< Jeanne, stai pronta a scappare... Potremmo dover combattere per uscire da qui... >>
Le dissi, avvolgendo il mio braccio destro con dei nastri viola.


Il mio respiro si fece sempre più lento e silenzioso: mi concentrai completamente sul rumore dei passi di quel "Mist" che si stava muovendo nella nostra direzione.

Sentivo il cuore quasi esplodermi nel petto dall'ansia: non c'ero solo io li in mezzo, ma anche Jeanne.
Non avrei mai permesso che le avessero fatto del male.


Non appena capii che quell'uomo si trovasse esattamente dietro l'angolo, uscii allo scoperto, provando a colpirlo con un pugno.

Il mio attacco andò, però, a vuoto.... 

O, per meglio dire, colpì qualcosa... Ma non il bersaglio che mi ero prefissato.

Sotto il mio sguardo confuso e sorpreso, il mio pugno colpì il muro adiacente a quello dietro cui eravamo nascosti.
Non c'era nessuno davanti a me.

L'unica cosa che notai fu dello strano fumo grigio intorno a me.


<< Cosa...? >>
Balbettai, confuso da quanto fosse appena successo.

<< E... Chi saresti, tu? >>
Sentii dire da una voce maschile alle mie spalle.

Non appena sentii quelle parole mi voltai di scatto, ma non fui abbastanza veloce da difendermi in tempo: venni colpito in pieno volto da un pugno che mi fece cadere al suolo.


L'ultima cosa che ricordo prima di perdere i sensi fu il cielo azzurro sopra di me, seguito da un urlo spaventato di Jeanne.




Quando, finalmente, riaprii gli occhi, capii subito mi trovassi all'interno di una cella.
Il letto in cui mi svegliai era scomodo e più piccolo di me.

Talmente scomodo, che praticamente mi sembrava di essere disteso nel terreno da quanto fosse duro.
Effettivamente, però, quel materasso era stato messo nel pavimento lercio della cella. Esso era altrettanto sporco quanto l'interno di quella cella.

La luce del sole entrava da una piccola finestra proprio sopra la mia testa.
Era sbarrata.

Mi voltai verso le sbarre, provando poi ad aprire la porta della cella.

< Chiusa. >
Pensai, infastidito.

Provai a guardarmi intorno, ma non fui in grado di vedere nulla, dall'interno.
Non sapevo se fossi solo o se ci fosse qualcuno esattamente dietro l'angolo.

Per un attimo pensai di scappare da quella cella usando la forza, ma cambiai ben presto idea.

Nonostante fossi terribilmente preoccupato per Jeanne, non sapevo né dove fosse né come stesse.
Riuscii in qualche modo a calmarmi e a pensare lucidamente.

< Se avessero voluto uccidermi, l'avrebbero fatto mentre ero privo di sensi... Maledizione, come ho fatto a farmi prendere così alla sprovvista?! >
Pensai, agitandomi subito dopo nel ripensare al mio precedente tentativo fallito.

Feci un profondo sospiro, provando a calmarmi.

Non sapevo cosa fare.
Preoccupandomi per Jeanne, pensai di usare la mia abilità per lasciare la cella e andare a cercarla, ma ciò che mi bloccò fu la paura che questa mia azione improvvisa avrebbe potuto causarmi molti più problemi di quanti ne avrebbe potuto risolvere.
Dopotutto, sia la sua ubicazione che il suo status mi erano oscuri.

Di norma, sono un pessimista: preferisco prendere le mie decisioni partendo dalla situazione peggiore che possa accadere.
In questo modo, le cose possono o andare come avevo previsto, o andare meglio.

Ma in quel momento non riuscii a decidermi: avevo paura che la mia azione avventata avrebbe potuto causare una reazione dei ribelli, i quali avrebbero usato Jeanne come scudo per fermarmi.

Per la prima volta, decisi di non rischiare: decisi di rimanere calmo, attendendo che qualcuno venisse a farmi visita.
Dopotutto, si erano presi la briga di chiudermi in una cella, quindi era palese che, prima o poi, qualcuno sarebbe venuto da me.

Decisi di aspettare qualche ora al massimo: se entro quell'arco di tempo nessuno fosse venuto a farmi visita, allora sarei andato all'offensiva.


Non aspettai a lungo.
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Fine del capitolo 3-7 e, con esso, del volume 3! Alla prossima con l'inizio del volume 4!


 

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Capitolo 20
*** Capitolo 4-1: I Ribelli ***


Capitolo 4-1: I Ribelli


Finalmente, dopo qualche minuto di attesa, sentii un picchiettio metallico provenire dalle sbarre della cella in cui mi trovavo.
Mi voltai rapidamente, ritrovandomi davanti un ragazzo che non avevo mai visto prima di quel momento.

I suoi capelli erano corti e di colore grigio macchiato con delle venature più scure, occhi neri come la pece.
Erano spenti, sembravano quasi stanchi.


I suoi indumenti li trovai piuttosto strani.
Sembrava, infatti, indossare qualcosa di simile a una armatura, ma incompleta: nella mano destra indossava un guanto metallico, le cui punte delle dita erano appuntite e affilate come rasoi. 
Il braccio sinistro, invece, era ricoperto per intero da un pezzo di armatura che saliva fin sopra al gomito.
Indossava anche una maglia scura che, però, lasciava scoperto parte del petto, spalle e zone circostanti.

Inoltre i suoi pantaloni, di quali erano dello stesso materiale e colore della maglia, erano sorretti da una grossa cinta marrone.
Infine, aveva dei gambali metallici che arrivavano fino alle ginocchie.


Rimasi a fissarlo per qualche secondo, confuso e sorpreso da quello strano e insolito abbigliamento.
Dopotutto, non era un qualcosa che avevo mai visto prima in vita mia. Non sembrava molto comodo, però quella persona sembrava essere a suo agio in quell'outfit.

Insomma... Chi sono io per giudicare?


<< Quindi... Chi sei? >>
Domandai al ragazzo davanti a me, dopo qualche secondo di silenzio.

<< Dovrei essere io a farti le domande, considerando la tua situazione attuale... Non credi? >>
Mi rispose, guardandomi con uno sguardo cupo.

<< Il mio nome è Mist, comunque. >>
Aggiunse subito dopo, incrociando le braccia davanti al suo petto, senza perdere quel suo sguardo serio.

<< ... Sono felice di vedere tu non abbia fatto niente di avventato mentre ero via... Considerando il tuo tentativo di poco fa mi aspettavo qualche reazione. >>
Continuò.

In quell'istante, però, riconobbi la sua voce: era una delle due che avevo sentito prima, insieme a Jeanne.

<< Sei il tipo che mi ha messo al tappeto, quindi. >>
Gli dissi, con tono infastidito, riconoscendolo.

Notai per un istante un ghigno divertito apparire nel suo volto.

<< Suppongo di essere io, si. >>
Mi rispose.

Quella sua risposta mi fece infastidire.

<< Dove mi trovo? >>
Gli domandai subito dopo.

<< Non ti ho detto che dovrei essere io a fare le domande? >>
Mi rispose, senza perdere quella sua espressione neanche per un secondo.

<< Non è che tu me ne stia facendo. >>
Fu la mia risposta istintiva.

Per qualche secondo Mist continuò a fissarmi in silenzio dall'esterno della cella con quella sua cupa espressione.
Poi, però, notai un sorriso apparire lentamente nel suo volto.

<< Mi piaci. Sei davvero una testa calda come diceva quella ragazzina. >>
Non appena prounciò quelle parole scattai d'istinto verso le sbarre, afferrandole con forza e guardando la persona davanti a me con uno sguardo furioso.

<< Dove è Jeanne?! >>
Gli urlai contro.

Mist portò in avanti una mano, facendomi cenno di indietreggiare.

<< Rilassati, sta benissimo: non le abbiamo fatto nulla. Capisco come ti senti, e ti assicuro che non ti sto mentendo. Dovesti avere già capito dove vi trovate, giusto? Siete all'interno della base dei Ribelli, io sono uno dei capi di questa fazione. Sono felice di vedere che non hai agito impulsivamente, nonostante la tua situazione. Diavolo, se fossi stato nella tua situazione probabilmente avrei dato di matto e sarei uscito a suon di calci, dalla cella. >>
Mi disse, mostrando finalmente una espressione più tranquilla e umana.

Quel suo cambio d'umore, all'inizio, mi lasciò piuttosto di stucco.
Pensai che stesse provando a prendermi in giro, o che volessero farmi abbassare la guardia: quindi continuai a parlargli senza, però, lasciare aperture.

<< Ci stavo pensando, non mentirò. >>
Gli risposi, senza distogliere lo sguardo da lui neanche per un istante.

L'espressione di Mist tornò improvvisamente seria e cupa.

<< Non serve essere così sull'attenti. Non vogliamo farvi del male: se davvero avessimo voluto farlo, avremmo aprofittato del tempo in cui eri privo di sensi, non credi? Capisco tu voglia andartene il prima possibile, portandoti dietro anche la tua amica, ma vorrei che tu rispondessi ad alcune domande che il nostro capo vorrebbe farti. Quindi vorrei solo tu rimanga qui, tranquillo, ad aspettare il mio ritorno. Vi faremo delle domande e poi sarete liberi di andarvene. Non siete nostri bersagli o qualcosa del genere: far del male a te o a quella ragazzina non è un qualcosa che rientra nei nostri interessi. >>
Mi disse, cercando in tutti i modi di convincermi.


Non mentirò: non avevo alcuna intenzione di credergli.


<< Crederò alle tue parole solo quando lo vedrò con i miei occhi. Mi è difficile credere a qualcuno che odio, dopotutto. >>
Gli risposi, con tono infastidito e di sfida.

<< Mi va benissimo... Però come puoi dire di odiarci se neanche ci conosci? >>
Mi domandò, sorpreso dalle mie parole.

Non gli risposi: lo fissai intensamente, in silenzio, con una smorfia infastidita stampata in volto.
Mist evitò il mio sguardo per un istante, durante il quale la sua espressione sembrò rattristarsi, sorprendentemente.

<< Ho paura tu abbia incontrato quelli sbagliati, allora. >>
La sua risposta mi lasciò molto confuso, in quel momento.


"Quelli sbagliati"?
Cosa voleva dire con quelle parole?

Non c'erano Ribelli giusti o sbagliati, erano tutti uguali.
Questo era il mio pensiero, a quei tempi.



Forse non avevo poi così torto, tutto sommato.



<< Tornerò in meno di un'ora accompagnato dal mio capo, Evans, e dalla tua ragazza, così vedrai con i tuoi occhi che sta bene. E, te lo ripeto ancora una volta, non le abbiamo fatto del male: sarà lei stessa a dirtelo. Vi faremo solo delle semplice domande. >>
Non appena finì di parlare, Mist si avvicinò lentamente alle sbarre, assumendo una espressione improvvisamente più cupa.

<< Non... E' la mia ragazza. >>
Gli risposi rapidamente.

<< Non fare niente di avventato mentre sono via... Nonostante tutto, se dovessi rivelarti un problema, Evans non si farebbe problemi a usare quella ragazza come scudo, intesi? >>
Continuò, ignorando la mia risposta.
Sentendo quelle parole cominciai a ringhiare verso le sbarre, innervosito dalla sua minaccia.

<< Minacciarmi non ti renderà il lavoro più facile, lo sai vero? Anzi, in verità odio le persone che mi fanno domande a raffica. Non ho NULLA che vi possa interessare. >>
Gli risposi, innervosito dal suo tono.

<< Ragazzino... >>
Pronunciando quelle parole si avvicinò ancora di più alle sbarre.

La scena che seguì mi lasciò completamente di stucco: impallidì dallo stupore.


Mist attraversò le sbarre di metallo come se non ci fossero. 
Fece solamente due passi: 
Un secondo prima era davanti a me, al di fuori della cella... Un secondo dopo lo vidi attraversare le sbarre che mi separavano da lui come se fossero aria, ritrovandomelo davanti a me all'interno di quella cella un secondo dopo.


Lo fissai in silenzio con gli occhi spalancati, sorpreso e confuso dall'accaduto.
Sono sicuro che l'abbia fatto solamente per farmi vedere di cosa fosse capace.

<< ... Non ha importanza quanto possiamo comportarci bene con voi, non dimenticare dove ti trovi. Un passo falso e sia tu che la tua compagna non uscirete da qui, intesi? Conosco molto bene le persone come te, quindi voglio mettere subito in chiaro la situazione. Preferirei non dover ricorrere alla violenza, quindi stai buono, rilassati e aspetta il mio ritorno. Risponderai a qualche domanda, e poi sarete liberi di andarvene. Se non vuoi farlo puoi lamentarti e fare ciò che preferisci... Ma non venire a piangere da me quando le cose andranno male. Dopotuttoio ti ho avvertito. >>
Continuò, parlando con tono minaccioso e guardandomi con uno sguardo cupo.

Non appena pronunciò quelle parole mi diede le spalle, incamminandosi di nuovo verso le sbarre e superandole come se neanche ci fossero.
Ero ancora scioccato da ciò a cui avevo appena assistito.


Mist si incamminò per un corridoio, uscendo ben presto dal mio campo visivo.

Pochi istanti dopo corsi verso le sbarre, afferrandole e toccandole una ad una, cercando qualche che potesse aiutarmi a spiegare cosa fosse appena successo.


Non c'era niente.
Le sbarre erano normali.

< Come ha fatto a passare attraverso le sbarre? >
Mi domandai, ancora confuso dall'accaduto.



Continuai a ispezionare le sbarre della mia cella alla ricerca di qualsiasi segno rimasto dalla sua abilità, quando accadde l'ultima cosa che mi sarei mai aspettato potesse accadere in un posto come quello.


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Fine del capitolo 4-1, alla prossima e grazie di avermi seguito!















 

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Capitolo 21
*** Capitolo 4-2: Uno strano incontro ***


Capitolo 4-2: Uno strano incontro 



Se devo essere onesto, ero mentalmente pronto a ogni evenienza.

Avevo preso in considerazione che Jeanne fosse ormai morta, che mi stessero mentendo, che magari da un momento all'altro i ribelli sarebbero usciti fuori dal nulla pronti a uccidermi.

Ero pronto a tutto...
Tutto, tranne quello.

Forse è per questo che mi ha sorpreso così tanto.



Accadde mentre stavo ispezionando le sbarre metalliche della mia cella, alla ricerca di qualunque segno rimanente dell'abilità di Mist.

Ero incuriosito, in fin dei conti: volevo sapere cosa fosse e come funzionasse la sua abilità... 
Come precauzione... Sarebbe potuto tornarmi utile, dopotutto, se avessi mai dovuto trovarmelo davanti.

Mentre fissavo intensamente le sbarre, qualcuno saltò improvvisamente davanti alla mia cella.

All'inizio credetti si trattasse di qualcuno con cattive intenzioni: balzai istintivamente all'indietro, preparandomi mentalmente e fisicamente a uno scontro, ma ciò che accadde in quei brevissimi istanti mi lasciò completamente di stucco, confuso e, sopratutto, incredulo.

<< Buh! >>
Esclamò quella figura, con, sicuramente, l'intenzione di spaventarmi.

Ci misi alcuni secondi per realizzare cosa fosse accaduto, durante i quali continuai a fissare la figura davanti a me con una espressione mista tra stupore e confusione.


... 
Tutt'oggi non riesco ancora a capire se sia o meno fuori di testa.



Era una ragazza che non avevo mai visto prima in vita mia, la figura che saltò davanti alla mia cella, la figura che urlò "Buh!" come si fa ai bambini piccoli, quando si prova a spaventarli, saltando fuori da dietro un angolo.

Dopo qualche secondo di silenzio e confusione finalmente mi ripresi, riuscendo a capire cosa fosse veramente accaduto.


<< Cosa cazzo era quello?! >>
Esclamai, scuotendo la testa e spalancando gli occhi, ancora, però, confuso dall'accaduto, fissando intensamente quella ragazza.

Ella ricambiò il mio sguardo con una espressione, credo, sorpresa, posando un dito davanti alle sue labbra rosa chiaro.

<< Uh? Ti sei spaventato, per caso? >>
Mi domandò, con un tono quasi divertito.

<< Assolutamente no! Chi cazzo sei, da dove salti fuori?! >>
Urlai, infastidito, avvicinandomi minacciosamente alle sbarre metalliche.

La ragazza fece un passo all'indietro, sollevando le mani al cielo.

<< Rilassati, non serve prendersela così tanto per uno scherzo! >>
Mi disse.
Sembrava quasi divertita.


I suoi capelli erano lisci e lunghi di colore biondo macchiato, legati a coda di cavallo che le scendeva fin dietro la schiena.
Incredibilmente lunghi, aggiungerei.
I suoi occhi brillavano di un colore azzurro chiaro e, nonostante tutto, aveva un divertito sorriso stampato in volto che non sembrava aver intenzione di smettere di mostrarmi, la sua pelle non era pallida come quella di Jeanne, ma leggermente più rossastra.


All'inizio mi sembrò quasi una persona normale....
Non considerando cosa fosse appena accaduto, ovviamente.


Indossava un camice bianco, molto simile a quello di Blake, ma era molto più macchiato. Sembravano quasi chiazze d'olio nero.
Aveva anche dei guanti e degli stivali neri, uniti a dei pantaloni di colore viola scuro.

La cosa che, però, attirò di più la mia attenzione furono un paio di occhiali da fabbro appesi al suo collo.
A occhio, sembrava avere la mia stessa età.


<< Hey-O! Sei il tipo nuovo, vero? >>
Domandò subito dopo, avvicinandosi rapidamente alla mia cella.

<< Mi stai ignorando, per caso? Rispondi alle mie domande prima di fare le tue, maledizione! >>
Digrignai i denti, infastidito dalla sua domanda, afferrando una sbarra con una mano e mostrandole una espressione innervosita.

<< Che ne dici, ti andrebbe di restare qui con noi? >>
Mi domandò subito dopo, attaccandosi alle sbarre di metallo e avvicinando rapidamente il suo volto al mio.


Eravamo a pochi centimetri di distanza, separati solamente da quelle verticali sbarre metalliche arrugginite.


Rimasi per qualche secondo a fissarla sorpreso dal suo strano comportamento...
Per una frazione di secondo il mio sguardo cadde sulla sua scollatura, mentre sentii un dolce profumo di fiori inebriarmi le narici.

Mi ripresi rapidamente, scuotendo leggermente il capo.

<< Puoi rispondere alle MIE domande?! >>
Digrignai, innervosito.

La ragazza dagli occhi azzurri piegò la testa di lato, mostrandomi una espressione incuriosita e sorpresa dalla mia risposta.

<< Uhm? Non sai chi sono? >>
Mi domandò, con un tono più serio.


Per un attimo mi sembrò di poter finalmente parlare normalmente con lei.
Feci un sospiro di sollievo.


<< Se te lo sto chiedendo significa che non ti conosco. >>
Le risposi, calmandomi.

< Stupida pazzoide. >
Pensai, evitando di dar ulteriore sfogo alla mia rabbia.
Ero, infatti, ancora infastidito dal suo comportamento.


La ragazza fece un grosso salto all'indietro, indicandosi poi con un dito e mostrandomi un grosso e soddisfatto sorriso.

<< Stai parlando con la grande Serilda Gunhammer in persona, amico mio! >>
Esclamò, con tono euforico.

<< Che diavolo c'è di sbagliato in te? >>
Le domandai, sempre più confuso dal suo atteggiamento, capendo che le cose non sarebbero andate meglio.

<< Considerati onorato! >>
Continuò, puntandomi un dito contro.

<< Ho come l'impressione che continuerai a ignorarmi ogni volta che aprirò bocca, giusto? >>
Le domandai, scioccato dalla sua teatralità.

<< Visto che stai parlando con la più grande costruttrice di armi in tutta l'Arcadia! >>
Concluse, sollevando il mento verso l'alto, soddisfatta della sua teatrale presentazione.

<< Si... Come sospettavo. >>
Dissi dopo qualche secondo di silenzio, sempre più confuso da cosa stesse accadendo.


Come dissi poco fa, non ero decisamente pronto a un qualcosa del genere.


<< Puoi, PER FAVORE, smettere di ignorarmi e rispondere alle mie domande, stramboide?! >>
Le urlai contro, digrignando i denti.

Serilda fece una smorfia offesa.

<< Non serve essere così rudi... >>
Mi disse, mostrando finalmente una espressione più seria...
O infastidita.

Non so ancora bene cosa diavolo le passasse in mente in quei momenti.

<< Smetti di farmi incazzare, e forse potrei considerare di cambiare atteggiamento. >>
Le dissi, infastidito.

<< Oh, comunque! >>
Esclamò subito dopo, come se si fosse ricordata qualcosa.


Per un istante credetti avesse intenzione di dirmi qualcosa d'importante.


Rapidamente si avvicinò di nuovo alle sbarre della mia cella.

<< Tutti mi chiamano Sera, e lo preferisco! >>
Mi disse, divertita.

<< Stai ancora parlando di quello?!?! >>
Urlai.


Non so esattamente cosa mi aspettassi da lei...
Nonostante avessi già capito che fosse strana, continuavo inutilmente a sperare avrebbe cominciato a comportarsi normalmente, prima o poi.



<< Ok, ora che abbiamo rotto il ghiaccio... >>
Disse subito dopo, assumendo improvvisamente una espressione più seria.

Dopo aver pronunciato quelle parole si allontanò rapidamente dal mio campo visivo.
Tornò pochi secondi dopo, trascinando una sedia di legno insieme a se.

Poggiò la sedia davanti alla mia cella, sedendosi subito dopo in essa, incrociando le gambe.


<< ... Non preoccuparti, non vi succederà nulla. Non è nei nostri interessi. >>
Aggiunse, fissandomi intensamente con uno sguardo serio.

Non appena pronunciò quelle parole anche io mi calmai improvvisamente: assunsi una espressione molto più cupa.

<< Quindi anche tu sei un membro dei ribelli, stranamente. >>
Dissi, con tono serio, fissando intensamente la ragazza davanti a me.

<< Yup. Ero qui dietro l'angolo, mentre parlavi con Mist. Ti direi di non prendere troppo sul serio la sua minaccia, visto che gli è stato detto di tenerti al guinzaglio. Dopo il tuo attacco, e ciò che ci ha detto quella ragazza, direi che sia meglio tenerti buono. >>
Mi disse, chiudendo gli occhi e ridacchiando.

Poco dopo aprì un solo occhio, guardandomi con una espressione che mi sembrò essere un misto tra divertimento e curiosità.

<< Sembri essere una testa calda, dopotutto. >>
Concluse.

Istintivamente feci un verso infastidito.

<< Continuate a farmi innervosire, poi vediamo quanto posso essere testa calda. >>
Le risposi, innervosito dalle sue parole.

Non appena sentì le mie parole, Serilda cominciò a ridere di gusto, arrivando persino a lacrimare.

<< E' una minaccia? Sei sicuro di poterci minacciare nella tua situazione attuale? >>
Mi domandò, cercando inutilmente di trattenere le risate.


Quel suo comportamento mi fece andare ancora più in bestia rispetto a quello precedente.


<< Mettimi alla prova, stronza pazzoide. >>
Le  dissi, assumendo una espressione furiosa.
Potevo sentire il sangue ribollirmi nelle vene: nessuno era mai riuscito a farmi infuriare così tanto come Serilda, la prima volta che la incontrai.


Sera appoggiò il gomito sinistro su una delle sue gambe, reggendosi il mento con la stessa mano.
Mi fissò intensamente negli occhi con uno sguardo divertito, mostrandomi un ghigno soddisfatto.

<< Non serve. >>
Disse, con tono divertito.


<< Comuuuunque... >>
Mi domandò subito dopo, saltando in piedi dalla sedia su cui era seduta, tornando ancora una volta davanti alla mia cella.

<< ... Che ne dici della proposta che ti ho fatto poco fa? Ti andrebbe di restare insieme a noi? >>
Concluse, dopo aver giocherellato con la sua coda di cavallo, con due dita.

Istintivamente feci un verso infastidito.

<< Oh, ma certo! Chi non accetterebbe questo genere di offerta dopo essere stato messo K.O., rinchiuso in una cella, minacciato, separato da un suo compagno, e dopo essersi personalmente incazzato con la persona che gli ha fatto tale proposta? >>
Le dissi, con tono ironico e infastidito, fissandola con una smorfia innervosita in volto e digrignando i denti.

Serilda ridacchiò divertita per qualche secondo.

<< Oh, wow! Conosci il sarcasmo! Non mi aspettavo una cosa del genere, da parte tua... Eheh... >>
Disse, ridacchiando sotto i baffi, mostrandomi un ghigno divertito.


Stranamente, però, quella situazione stava cominciando a piacermi.


<< Ti conviene star zitta prima che io faccia qualcosa di cui potrei non pentirmi in futuro. >>
Le dissi, avvicinandomi minacciosamente alle sbarre, e afferrandone due con le mani, una ciascuna.


Eravamo ancora una volta a pochi centimetri di distanza l'uno dall'altra e, ancora una volta, sentii quel suo profumo inebriarmi le narici.
Stavolta, però, mantenni il mio sguardo fisso su di lei.

Serilda sorrise.

<< Oh? Stavolta non hai abbassato lo sguardo? >>
Mi domandò, ridacchiando.

Non le risposi.

Improvvisamente Serilda saltò all'indietro, portandosi una mano nella tasca del camice.

<< Sappiamo entrambi che tu puoi uscire quando vuoi da quella cella... Quindi che ne dici di un piccolo accordo? >>
Mi domandò, guardandomi con uno sguardo soddisfatto.

Per qualche istante ricambiai il suo sguardo con una espressione confusa.

<< Che genere di "accordo"? >>
Le chiedi, per la prima volta incuriosito dalle sue parole.


In quel preciso istante Serilda estrasse un paio di chiavi dalla tasca del suo camice bianco.


<< Se tu uscissi dalla cella con la forza, né Evans né Mist ne sarebbero felici, e tu rischieresti di mettere nei guai la tua amichetta. Quindi, che ne dici se ti facessi uscire e ti portassi da lei, così vedresti che sta bene? In cambio, però, voglio solo che tu ascolti la mia proposta. Nessun obbligo. >>
Mi rispose, facendo roteare il paio di chiavi su una delle sue dita, senza mai smettere di fissarmi con quel suo ghigno divertito e soddisfatto che aveva stampato in volto.


Non appena sentii le sue parole, un sorriso interessato apparve lentamente nel mio volto.

<< Beh... Ora si che parliamo, finalmente, la stessa lingua. Sera. >>
Le risposi.


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Fine del capitolo 4-2, alla prossima!



 

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Capitolo 22
*** Capitolo 4-3: Serilda Gunhammer ***


Capitolo 4-3: Serilda Gunhammer

 

<< Quindi? Cosa vorresti propormi, Sera? >>
Le domandai, incuriosito dalle sue parole.


La ragazza dai lunghi capelli biondo macchiato non mi rispose subito.
Mi fissò divertita per qualche secondo, senza proferire parola, per poi inserire rapidamente la chiave nella serratura della mia cella, aprendo successivamente la porta metallica lentamente, con fare quasi teatrale.


<< Et voilà. >>
Esclamò, allontanandosi lentamente dalla mia cella, permettendomi finalmente di uscire da quella maledettissima gabbia.

Non appena superai quel varco feci un profondo sospiro di sollievo.
Subito dopo, posai il mio sguardo su Serilda.

<< Ora cosa ti fa pensare che io sia obbligato ad ascoltarti? >>
Le domandai.

Sera si appoggiò con la schiena al muro davanti a me, ridendo sotto i baffi.

<< Oh, nulla. Puoi tranquillamente andartene e lasciarmi qui. Ma, mi chiedo... >>
Mi rispose, sollevando le spalle e fissandomi con uno sguardo divertito.

<< ... Riuscirai a orientarti qui dentro? E cosa penserebbero Evans o Mist, se dovessi incontrarli per caso nei corridoi? >>
Mi domandò.




In quell'istante quel suo sguardo sembrò penetrarmi da parte a parte.

Mi fissò intensamente negli occhi, senza più aprire bocca per qualche secondo, mostrandomi un sorriso divertito o... Soddisfatto.
I suoi occhi erano lievemente serrati, notai come le sue pupille fossero molto più ristrette rispetto a pochi istanti prima e continuò a fissarmi con le sopracciglia abbassate.




<< Direi, semplicemente, che mi hai fatto uscire. >>
Le risposi, con tono infastidito.

Sera sollevò lo sguardo, fissandomi con una espressione mista tra divertimento e stupore.

<< Ooohhh? >>
Esclamò, prolungando quel verso per qualche secondo, senza smettere mai di fissarmi con quei suoi occhi.



Per un istante, in quel preciso momento, mi sentii quasi come messo in soggezione da quel suo comportamento.



<< A chi pensi crederanno, mhh? Qualcuno che sta liberamente girovagando per i corridoi, da solo, e che fino a pochi istanti prima era rinchiuso in una cella... O una loro compagna che conoscono da anni? Mhh? >>
Mi domandò, mostrandomi un ghigno sempre più divertito e provocante.



In quel momento sentii un tic nervoso sul mio labbro superiore.
Sicuramente anche Serilda lo notò, visto che cominciò a ridacchiare in silenzio.



<< Oh cielo... Ma guarda un po'... >>
Ridacchiò, portandosi una mano davanti alla bocca, ridendo di gusto.

<< E' la prima volta che qualcuno ti risponde a tono, eh? Non sei abituato, piccola stella? >>
Continuò, avvicinandosi lentamente verso di me.



Il mio tic nervoso si tramutò rapidamente in rabbia, e cominciai a digrignare i denti davanti a quella ragazza.


<< Stai cominciando a infastidirmi, lo sai? >>
La minacciai con tono infastidito, guardandola con uno sguardo frustrato.

Serilda non fece neanche un passo indietro.
Continuò a sorridermi.

<< Oh, non arrabbiarti. Quindi? Accetti la mia offerta? Probabilmente la tua amica è insieme a Mist ed Evans, e staranno sicuramente parlando tutti e tre nell'ufficio di quest'ultimo. Potresti andartene e cercarlo da solo, ma non credo saranno felici di vederti girovagare da solo per i corridoi... Oppure, accetti di ascoltare le mie domande e, nel mentre, io ti accompagno da loro. Mi sembra una offerta più che valida, non credi? >>
Mi domandò, con tono divertito e provocante.



Esitai prima di risponderle.
Balbettai per qualche secondo, evitando il suo sguardo e chiudendo le palpebre.
Digrignai i denti e strinsi i pugni, infastidito dal fatto che fossi stato appena messo alle strette da una stronzetta.


Quindi posai di nuovo il mio sguardo su di lei, mostrandole una smorfia infastidita.



<< D'accordo. >>
Le risposi, digrignando i denti.


In quell'istante Serilda fece un balzo all'indietro, unendo le mani insieme e mostrandomi un sorriso completamente differente da prima, gentile e innocente.


<< Fantastique!  Sono felice che tu abbia accettato! >>
Disse.


Quel suo repentino cambio di carattere mi lasciò completamente di stucco.
La fissai con uno sguardo confuso per qualche secondo, senza proferire parola, durante i quali lei mi diede le spalle, facendomi segno di seguirla.


<< Andiamo! Ti porto dalla tua amica! >>
Aggiunse poco dopo.




<< Quindi? Mi vuoi spiegare cosa era quel cambio improvviso di carattere di poco fa? >>
Le domandai, mentre la seguii per quei strani corridoi.


Non riuscii a capire dove mi trovassi, esattamente.
L'unica cosa che capii fu di essere in qualche posto sopraelevato, probabilmente in una montagna, all'interno di un qualche genere di edificio fatto interamente di metallo.

I muri intorno a me erano metallici, esattamente come i pavimenti.
Non c'erano molte persone... 
Anzi, in realtà non vidi nessuno in giro, in quei minuti.

Non c'era niente in quei lunghi corridoi metallici. 
Niente e nessuno.

Vuote strade rettangolari con svariati bivi... Sembrava quasi un labirinto.


<< Uh? Di che parli? >>
Mi domandò, senza voltarsi, con tono innocente.

La sua risposta mi fece innervosire.

<< Non fare la finta tonta con me. Sai perfettamente di cosa parlo! >>
Le risposi, facendo un verso infastidito.

<< Nope! Serilda non sa di cosa parli. Serilda è sempre gentile e sincera con tutti! >>
Mi rispose, cominciando stranamente a parlare di se stessa in terza persona.


Digrignai i denti, sempre più infastidito dal suo comportamento.

Improvvisamente si voltò di scatto, fermandosi in mezzo al corridoio.
La fissai con sguardo sorpreso.


<< E tu? Come ti chiami? >>
Mi domandò, con tono divertito.

<< Yuushi Hikari. >>
Le risposi.

<< Il tuo vero nome. Voglio sapere quello. >>
Non appena pronunciò quelle parole...

... Notai che pochi istanti dopo lo sguardo nel suo volto cambiò rapidamente.
Da provocatorio e divertito, mutò rapidamente in uno spaventato: ricordo perfettamente che impallidì subito dopo avermi fatto quella domanda.



Non so esattamente con che occhi la guardai...
Ma considerando la sua reazione.... 




<< O-Ok... Non mi interessa più, non serve fare quella faccia.... >>
Balbettò, facendo un passo all'indietro.


In quell'istante chiusi le palpebre, cercando di calmarmi, prendendo un profondo respiro.



<< P-Parliamo di qualcos'altro, allora, Yuushi Hikari. Quello strano nastro che hai usato per avvolgere il tuo braccio nel tentativo di colpire Mist, era fatto di metallo, giusto? >>
Mi domandò, cambiando rapidamente discorso.

Per la prima volta, la sentii parlare con un tono normale, un po', però, anche spaventato.

<< Si, perché? >>
Le risposi, confuso da quella sua curiosità.

<< Ti dispiacerebbe mostrarmelo? >>
Mi chiese subito dopo, mostrandomi uno sguardo che brillava.

La fissai sorpreso da quell'ulteriore e rapido cambio di comportamento.


<< Perché dovrei farlo? >>
Le chiesi, confuso da quella sua richiesta.

<< Oh, andiamo! Solo un pochino, ti prego? >>
Continuò, incessantemente, senza smettere di fissarmi con uno sguardo implorante.

<< Dammi una valida ragione per mostrartelo. >>
Le risposi, infastidito e confuso dalla sua strana insistenza verso la mia abilità.

In quell'istante notai un ghigno malizioso apparire nel suo volto.

<< Oh, andiamo... Lasciamelo vedere... >>
Mi domandò, facendomi poi l'occhiolino e toccandosi il labbro inferiore con due dita.



< Stai rendendo questa situazione più dura di quanto non dovrebbe essere...! >
Pensai, in quel momento.



<< V-Va bene! >>
Esclamai, evitando il suo sguardo.

<< L'importante è che ti faccia stare zitta! >>
Continuai.



Subito dopo allungai un braccio in avanti, assumendo una espressione seria e liberando la mente da ogni pensiero.



... Sia per calmarmi, sia per concentrarmi meglio.



In quell'istante un lungo nastro di colore viola acceso si materializzò dal palmo della mia mano, librandosi in aria per qualche istante, per poi avvolgersi intorno al mio braccio a forma di spirale.


Per la prima volta, vidi Serilda assumere uno sguardo più normale... Incuriosito.


<< E'... Fantastico! >>
Esclamò, fissando il nastro sospeso in aria intorno al mio braccio con uno sguardo totalmente differente da quelli che aveva assunto fino a pochi istanti prima.
Era completamente focalizzata su quel nastro metallico: lo fissava con occhi luccicanti, bocca spalancata e continuava incessantemente a toccarlo e sfiorarlo con le sue mani, ispezionando ogni suo singolo millimetro.

<< E' impressionante... Non ho mai visto niente del genere, prima d'ora! E' sicuramente un metallo, non c'è dubbio a riguardo, ma non riesco a capire quale sia... Non ho mai visto alcun metallo di questo colore, quantomeno... >>
Continuò, parlando tra se e se.

In quell'istante si voltò verso di me, occhi lucenti e incuriositi.


Quel suo sguardo mi piacque moltissimo.


<< Cosa sono questi romboidi bianchi incastonati nel nastro come se fossero gemme preziose? >>
Mi domandò.

<< Non ne ho idea. Non so esattamente né cosa siano, né come faccio a far materializzare questi nastri. Ho imparato a farlo, e non mi interessa più di tanto il "perché funziona così" ma, piuttosto, il "come posso usarlo". >>
Le risposi, con tono serio e cooperativo.

Serilda posò di nuovo lo sguardo sul nastro, per poi guardare il palmo della mia mano.


<< Ho visto altre abilità che potevano "creare" materiali con il loro corpo... Come puoi usare questi nastri? >>
Mi domandò, senza voltarsi verso di me.

<< In realtà, quasi per tutto. Mi basta pensare a cosa voglio facciano, e i nastri reagiscono di conseguenza. Posso unire più nastri per proteggere il mio corpo, usarli come fruste o come scudi. >>
Le spiegai.


<< E' stupefacente... Quindi, è un po' come se questi nastri fossero collegati al tuo cervello? Magari qualcosa di simile a un sistema nervoso? Ma è possibile un sistema nervoso all'interno di un metallo? >>
Domandò a nessuno, voltandosi poi verso di me.

Il suo sguardo brillava, sembrava quasi implorante.


<< Vorrei davvero tu considerassi l'opzione di rimanere qui insieme a me. Vorrei davvero fare degli studi su questo metallo, sono davvero incuriosita... >>
Mi disse.


La mia unica risposta fu un verso infastidito.


<< Sono sorpresa anche dal fatto che questo metallo possa piegarsi così facilmente... Generalmente, l'unico modo per piegare un metallo duro come questo è riscaldandolo... E, in quel caso, non appena si raffredda torna duro come prima. Eppure questi tuoi nastri, nonostante la loro solidità, possono piegarsi tranquillamente intorno al tuo corpo senza perdere la loro robustezza, senza riscaldarsi... E'... >>
Riprese a parlare voltandosi di nuovo verso il nastro avvolto intorno al mio braccio, osservandolo con occhi incuriositi e confusi, toccandolo e provando a piegarlo con la forza, inutilmente.

<< Si, posso piegarlo come voglio. >>
Le confermai.

<< E' fantastico... Questo tipo di metallo è un sogno che si avvera, per un fabbro come me... E'... >>
Balbettò, incredula al solo udire le mie parole.


Fissai quella ragazza in silenzio per qualche istante, pensieroso.
Era palese, ormai, che il nostro incontro non fosse stato casuale.


<< Sapevi già della mia abilità, vero? Per questo sei venuta da me di persona. >>
Le domandai.

Non appena le feci quella domanda, Serilda si bloccò di scatto, voltandosi lentamente verso di me e fissandomi con la coda dell'occhio, in silenzio.

<< Stavi puntando alla mia abilità fin dall'inizio, vero? >>
Le domandai, con tono infastidito.


Serilda non mi rispose subito.
Abbassò lo sguardo, assumendo una espressione colpevole.


<< S-Si... E' così. Ho visto quello che è successo li fuori, quando Mist vi ha scoperti, e sono rimasta incuriosita dalla tua abilità. >>
Mi rispose, voltandosi poi verso di me, assumendo improvvisamente uno sguardo più sicuro e deciso.

<< In ogni caso, non dovresti poi prendertela più di tanto, visto che sono stata io a chiedere a Mist di non farvi fuori. Era incline a uccidervi, sai? Non gli piacciono i ficcanaso. >>
Continuò.

Sbuffai.

<< Non è che siamo venuti di qui di nostra iniziativa. Qualcuno ci ha trasportato qui insieme a loro contro la nostra volontà. >>
Le spiegai, infastidito dalla sua risposta.

<< Beh, duh! Siete entrati nel raggio d'azione dell'abilità di Mist, non è di certo colpa nostra se siete stati trasportati via insieme a loro. >>
Mi rispose, con tono infastidito.

<< Oh, quindi ora è colpa nostra?! >>
Le domandai, indicandomi con un dito, sempre più innervosito dal suo tono e dalle sue parole.

<< Ovvio che è colpa vostra! Sapevate quella fosse opera di Mist, è già successo in passato! E' colpa vostra se vi siete avvicinati troppo, non nostra! >>
Continuò.


<< Di cosa cazzo stai parlando, eh?! Se avessi saputo di cosa si trattasse, non mi sarei neanche avvicinato! Specialmente perché vi odio tutti. Non mi sarei mai avvicinato a quella maledetta nebbia, se avessi saputo mi avrebbe portato da voi. >>
Le dissi, avvicinandomi a lei con fare minaccioso.

<< Come puoi odiarci se non sai neanche chi siamo? >>
Mi domandò, incredula.

<< Uh? "Non so chi siete"? Siete tutti uguali, ovviamente so chi diavolo siete. Non siete altro che criminali che feriscono chi dovrebbero aiutare. Non penserai davvero che io rimanga qui a fare un favore a te, lasciandoti analizzare la mia abilità, solo perché hai un bel faccino, vero?! >>
Le spiegai.
Ero frustrato, potevo sentire la rabbia ribollirmi dentro.


<< Non sai un cazzo di noi. >>
Mi rispose Serilda, voltandosi del tutto verso di me, fissandomi con uno sguardo infastidito e minaccioso.

<< Oh, al contrario, so abbastanza di voi. So che non vi fate scrupoli a colpire una chiesa perché sapete ci viva una ragazzina indifesa, e chissà cosa le avrebbero fatto se non fossi intervenuto io. So che non vi fate scrupoli ad attaccare i villaggi indifesi al di fuori delle mura per rubare alle persone che dovreste aiutare, a cui dovreste chiedere supporto! >>
Esclamai, furioso.

Serilda rimase in silenzio per qualche secondo, evitando il mio sguardo.


<< Non hai capito niente, invece. >>
Mi disse, posando poi lo sguardo sul mio braccio.
Il nastro era ancora li, dopotutto.

<< Cosa vuoi dire? >>
Le domandai, confuso e incuriosito da quelle sue parole.


Serilda rimase in silenzio per qualche secondo, fissando il nastro metallico con uno sguardo triste.

<< Sembra la tua abilità non reagisca ai tuoi stati d'animo. >>
Disse.

Quelle sue parole mi fecero infastidire.

<< No, la mia abilità non è influenzata da come mi sento. Non provare, comunque, a cambiare discorso come tuo solito. Rispondi alla mia domanda. >>
Le risposi, con tono infastidito.

Serilda sbuffò, dandomi poi le spalle.

<< Non volevo cambiare discorso. Ho semplicemente notato questa cosa piuttosto rara, visto che le abilità che ho avuto modo di osservare erano, chi più chi meno, influenzate dagli stati d'animo del proprietario... Avevo intenzione di risponderti, tranquillo. >>
Mi rispose.

In quell'istante si voltò di nuovo verso di me, braccia conserte e sguardo serio.


<< Non sai tutto su noi ribelli. E' vero che siamo un gruppo che si oppone fermamente all'Impero, ma non siamo tutti uguali. >>
Non appena Serilda proferì quelle parole rimasi sorpreso, fissandola con uno sguardo confuso e incredulo.

<< Vedi, ci sono tre fazioni di ribelli nell'Arcadia, ognuna delle quali ha modi e fini differenti dalle altre due. >>
Continuò, facendo il numero tre con una mano.


<< La prima, e quella più conosciuta, è la Fazione Azzurra del Corvo, capitanata da Alphonse Crawler. Questi ribelli hanno un corvo nero stilizzato tatuato da qualche parte nel loro corpo, e sono la fazione più violenta, numerosa e forte. >>
Sentendo quelle parole, mi tornò in mente l'uomo che mi ferì il giorno che aiutai Jeanne.

< Un corvo... Stilizzato.... >
Pensai, riconoscendo quel simbolo.

<< Sono il gruppo che, di sicuro, hai visto in giro. Non si fanno scrupoli a far del male a chi dovrebbero aiutare, e ambiscono a distruggere l'impero per poi instaurarsi al suo posto con la forza. >>
Continuò.

<< Il secondo gruppo è la Fazione Gialla dell'Aquila, capitanata da Lissandra Crownguard. Un tempo erano un gruppo fedele all'imperatore Roland, ma quando egli morì questo gruppo lasciò la capitale, diventando un gruppo separato sia dal resto dell'impero che dai ribelli. Lissandra vive da qualche parte nascosta nella Foresta di Pietra insieme al suo gruppo. Non vogliono avere nulla a che fare né con i ribelli, né con l'impero, e hanno deciso di vivere per conto loro nascosti da occhi indiscreti. Nonostante non siano effettivamente un gruppo di ribelli, l'Impero e, soprattutto, il nuovo imperatore, li ha considerati un gruppo problematico e pericoloso, avendo rifiutato di servire il nuovo impero. 

Il terzo, e ultimo gruppo, è il nostro: la Fazione Rossa dell'Uroboro, capitanata da Evans. Siamo un gruppo meno estremista rispetto a quello di Alphonse, e crediamo che l'impero e i ribelli possano, un giorno cooperare e vivere gli uni con gli altri. Purtroppo questa altro non è che una utopia che mai diverrà realtà, fino a quando l'Imperatore e tutti i suoi seguaci rimarranno in vita. 
Infatti, il nostro scopo è quello di tagliare la testa del capobranco, per poi attendere che salga finalmente qualcuno al suo posto che decida di far cambiare le cose.

Fino a quando quello non accadrà, noi non ci fermeremo. >>
Non appena Serilda finì di parlare, sollevò leggermente la sua maglietta, mostrandomi il fianco sinistro.


Notai un tatuaggio, più precisamente uno strano serpente che si mordeva la coda di colore rosso acceso inciso nella sua pelle chiara.


<< Come puoi vedere, questo è il nostro simbolo. L'Uroboro è simbolo di infinito, ma anche di rinascita. Abbiamo scelto questo simbolo per rappresentare i nostri ideali. >>
Mi spiegò, abbassando poi la sua maglia, fissandomi con uno sguardo serio e deciso.


Rimasi in silenzio per qualche secondo, ripensando e analizzando ciò che mi aveva appena detto.


<< E' sbagliato in ogni caso. >>
Le risposi.

Le mie parole la lasciarono di stucco.

<< Nonostante sia un fine che apprezzo, il metodo è sbagliato. State semplicemente spargendo sangue inutile anche voi. Nessuno dentro le mura vuole aiutarci, nessuno. Uccidere chi è al potere non farà cambiare nulla: salirà qualcuno dopo di loro che ha gli stessi ideali. Vite sprecate, sangue versato inutilmente. >>
Continuai, con tono cupo, fissandola con uno sguardo minaccioso.

<< Non lo nego, hai probabilmente ragione... Anche io non approvo tutte le loro scelte. >>
Mi rispose, dandomi le spalle.
Notai che abbassò lo sguardo.

<< Ma è ciò che siamo. Provare a parlare con loro è inutile, ci vedono come mostri. Forse non sbagliano, ma noi non ci sentiamo tali. Rispetto al gruppo di Alphonse, il nostro numero di vittime è insignificante. E non abbiamo mai fatto del male a chi vive al di fuori delle mura, anzi. Abbiamo cercato più volte il loro supporto, aiutandoli per quanto possibile. Evans stesso ha dato a molte vittime della Fazione Azzurra una casa, uno scopo per vivere... Lo ha fatto anche con me. Per questo lo seguirò fino alla fine, dovesse anche rivelarsi la mia tomba: non abbandonerò gli ideali della Fazione dell'Uroboro. >>
Non appena finì di parlare si voltò verso di me, guardandomi con uno sguardo deciso.

<< Non vi obbligheremo a restare qui. Se vorrete andarvene, sarete liberi di farlo. Tutti e due. >>
Disse.


Fissai Serilda con uno sguardo incuriosito, in silenzio, per un istante.



<< Avete già parlato con Jeanne, eh? Avete deciso di offrirmi di restare perché credete che i miei ideali siano in linea con i vostri, vero?  >>
Le domandai.

Serilda non rispose alla mia domanda.
Mi diede le spalle, facendomi poi segno di seguirla.

<< Seguimi. Evans e Mist sono poco più avanti. Potrai fare loro tutte le domande che vuoi. >>
Fu la sua unica risposta.



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Fine del capitolo 4-3, alla prossima e grazie di avermi seguito!






 

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Capitolo 23
*** Capitolo 4-4: L'Uroboro ***


Capitolo 4-4: L'Uroboro

 


Quel giorno lo ricordo perfettamente come se fosse accaduto appena poche ore fa...


Inconsciamente, avevo già cominciato a credere alle parole di quella ragazza.
Volevo crederle.

Nonostante tutto, però, il mio desiderio di crederle andava costantemente in conflitto con la mia diffidenza.
Dopotutto, lei era un membro dei ribelli che avevo già avuto il dispiacere di incontrare, nonostante lei stessa mi avesse confermato di non fare parte della "fazione" di quell'uomo.


Prima di quel momento, però, non avevo mai sentito parlare di quelle fazioni fra i Ribelli, quindi mi risultava ancora difficile credere a tutte le sue parole.


Da quel momento, continuai a seguire quella ragazza per quei lunghi e vuoti corridoi, senza mai però abbassare la guardia.
Mi guardai spesso intorno alla ricerca di chiunque, senza però mai vedere neanche l'ombra di altre persone.

Non appena le chiesi spiegazioni, lasciando esplicitamente intendere anche il mio stupore e diffidenza, Serilda mi rispose molto rapidamente.

<< E' un posto molto grande. >>
Mi disse, senza voltarsi verso di me.

<< Di norma le persone stanno al piano terra o primo piano. Sono in pochi quelli che salgono nel secondo. >>
Continuò, gesticolando con una mano.


Approfittando di quel momento, continuai a farle altre domande, incuriosito da quel posto.

<< Dove ci troviamo, esattamente? Non ho visto molte finestre in giro. >>
Le domandai, continuando a fissarla con uno sguardo sospettoso.

Serilda si fermò di colpo, voltandosi rapidamente verso di me.
La sua espressione era dubbiosa: mi fissava con occhi incuriositi, toccandosi il labbro inferiore con un dito.

<< Mhhh... >>
Borbottò, senza rispondermi.

<< Quindi? >>
Le chiesi, di nuovo, infastidito, dopo qualche secondo di silenzio.

<< Non credo di poterti dare questo genere di informazioni... Dopotutto i militari, se dovessero venire a conoscenza della nostra reale ubicazione, non esiterebbero un istante ad attaccarci, lo sai vero? >>
Mi domandò, con un tono quasi divertito.


In quel preciso istante sentii un lieve tic nervoso sulla palpebra inferiore del mio occhio sinistro.


<< Credi davvero io lavori per i militari? >>
Le domandai, con tono infastidito.

Serilda sorrise.

<< Ti trovavi all'interno della capitale, dopotutto... >>
Mi rispose, afferrando una ciocca di capelli e giocandoci delicatamente con un dito.


Stavolta fui io a non rispondere.
Rimasi a fissarla in silenzio per qualche istante con una espressione tutt'altro che divertita.

Pochi secondi dopo, Serilda cominciò a ridacchiare.

<< Oh, non preoccuparti, stavo solo scherzando! >>
Esclamò.

<< Abbiamo già potuto parlare con quella Jeanne, e sappiamo perfettamente tu non sia uno di loro. >>
Continuò, senza smettere di ridacchiare.


Improvvisamente, però, Serilda smise di ridere, cominciando a fissarmi dritto negli occhi con le palpebre leggermente socchiuse e leggermente piegata in avanti.

Non proferì parola per qualche secondo.

Subito dopo assunse di nuovo una posizione eretta, reggendosi poi il fianco con una mano e sollevando l'altra all'altezza della spalla.


<< Al momento ci troviamo all'interno del Monte Olympus. >>
La sua affermazione mi lasciò completamente di stucco.

<< Che significa "all'interno"? >>
Le chiesi, incredulo, guardandomi intorno.

<< Vedi, le fazioni dell'Uroboro e quella dell'Aquila sono le più giovani. Mentre quella di Lissandra è nata quando l'imperatore Roland è deceduto, la nostra è nata circa un decennio prima, per mano di Evans. L'ideologia di Evans era quella di riuscire a unire sia i Ribelli che l'Impero, quindi provò a cercare dei punti in comune tra la fazione di Alphonse e l'Impero stesso. Purtroppo, però, il suo tentativo fallì amaramente, e Alphonse lo cacciò via con le cattive, minacciandolo persino di morte.

Anni dopo provò con la fazione di Lissandra, ma anche lei rifiutò di allearsi con lui.


Decenni prima della nascita della fazione di Lissandra, Evans trovò l'entrata di una caverna nel monte Olympus e decise di esplorarla.
Scoprì, quindi, che all'interno della montagna più grande dell'Arcadia vi era una gigantesca rete di tunnel e gallerie.

Sapendo che né Alphonse né l'Impero sarebbero mai scesi a trattative con l'altra fazione, Evans decise di creare una fazione che rispettasse le sue ideologie, sfruttando quell'immenso network all'interno della montagna come nascondiglio. 


Con il passare degli anni riuscì a radunare un gruppo di persone che la pensavano come lui, e si instaurò silenziosamente all'interno della montagna.
Non aveva, però, ancora esplorato tutti quei tunnel, ed essendo un gruppo ancora relativamente piccolo di persone non si spinse mai troppo oltre nell'esplorazione, non necessitando di troppo spazio. 

Passarono molti anni e, un giorno, io e Mist entrammo come membri della sua fazione.
A quei tempi eravamo poco conosciuti, i militari ci vedevano ancora come semplicissimi banditi... Hanno continuato a vederci in quel modo fino a pochissimi anni fa.

Grazie a me e Mist, infatti, la fazione di Evans cominciò rapidamente a crescere.
Insieme a Mist, Evans esplorò tutto il sistema di caverne, scoprendo finalmente che non vi era nessun'altra uscita.
L'unica entrata era anche l'unica uscita.

Originariamente Mist faceva parte della fazione Azzurra, ma dopo alcuni avvenimenti li abbandonò, unendosi alla nostra. La sua sola presenza fu abbastanza per far crescere esponenzialmente la paura nei nostri confronti, e finalmente sia gli altri gruppi di ribelli che l'Impero cominciarono a riconoscerci.

Io, invece... >>
Non appena pronunciò quelle ultime parole, Serilda si avvicinò a un muro metallico, toccandolo con una mano, voltandosi poi verso di me con uno sguardo soddisfatto.

<< ... Io, invece, mi dedicai a migliorare l'interno della caverna, rendendola finalmente degna di portare il nome di "base operativa". Ovviamente ci serviva denaro e gente per lavorare, quindi Evans decise di cercare anche l'aiuto dei villaggi fuori dalle mura. 
Sentendo le sue proposte e ideali, e anche notando la presenza di Mist, molte persone accettarono di seguirlo e aiutarlo.

Quindi cominciammo ad assaltare svariate carovane militari dirette verso la capitale, rubando le loro armi, armature, denaro e così via.


Evans, essendo al corrente delle mie abilità come fabbro, mi diede il compito di nascondere l'entrata della base e di migliorarne l'interno.
Quindi, mi misi all'opera. 

Fusi i metalli che mi portavano, creando una speciale lega che ho usato per ricoprire le pareti dei tunnel.
Alcune gallerie erano impraticabili, per un motivo o un altro, quindi decisi semplicemente di chiuderle con dei muri.


Le restanti vennero rimodellate per permettere di camminare e vivere tranquillamente al loro interno; usai anche una seconda lega metallica, sempre di mia invenzione, che mi permise di sigillare l'entrata della caverna con una grossa "porta mimetica" che, a occhio nudo, non è differente da una normale parete rocciosa.
Infatti, a differenza dei normali metalli, modificai questa lega in modo tale che non fosse in grado di riflettere la luce come fanno di solito gli altri metalli, rendendola anche il più simile esteticamente alla roccia di cui è composta il monte.

Come ringraziamento, Evans mi offrì un posto come uno dei capitani della fazione, e poco dopo mi seguì anche Mist, viste le sue grandi abilità. >>
Concluse, fissandomi con un sorriso soddisfatto.

Prima che potessi anche solo aprire bocca, Serilda riprese rapidamente a parlare.

<< Hey, se vuoi avere informazioni più dettagliate allora dovrai parlare con Evans. Io sono relativamente nuova qui dentro, meno di quattro anni per essere specifica, quindi posso solamente darti risposte generali. >>
Disse, bloccandomi all'istante.

<< Cosa puoi dirmi di questo Evans, quindi? >>
Le domandai, sospirando.
In quell'istante, Serilda mi diede di nuovo le spalle, riprendendo a camminare.

<< Non molto, in verità... >>
Mi disse, con un tono finalmente più serio.

<< E' il leader della nostra fazione e si aggira sui quarant'anni. E' una persona molto mite di natura, ma non si fa problemi a comportarsi in maniera meno... Cordiale, se necessario. 

Il suo ideale, e quello della fazione dell'Uroboro, è quello di vedere un giorno Impero e Ribelli lavorare insieme. Purtroppo, però, è una cosa molto difficile da fare, visto che i capi dell'Arcadia non vedono molto di buon occhio coloro che vivono al di fuori delle mura, anche meno se parliamo di Ribelli. Quindi siamo disposti a liberarci di questi "capobranco", agevolando la riuscita del nostro intento. >>
Non appena Serilda pronunciò quelle parole sentii quasi un brivido passarmi nella schiena.

Mi fermai improvvisamente nel mezzo di quel corridoio, fissando quella ragazza con uno sguardo tutt'altro che soddisfatto.
Ero molto infastidito da quelle sue parole.

Lei, notando la mia reazione, si fermò pochi istanti dopo, osservandomi con uno sguardo sorpreso e confuso.

<< Che c'è? Ho detto qualcosa di strano? >>
Mi domandò, con tono sorpreso.

<< "Qualcosa di strano"?! >>
Esclamai, incredulo.

<< Mi hai appena rivelato che siete disposti a uccidere chiunque non la pensa come voi, e hai il coraggio di chiedermi se hai detto "qualcosa di strano"?! >>
Continuai, avvicinandomi minacciosamente verso di lei, stringendo i pugni e digrignando i denti.

<< A-Aspetta... Non credo tu abbia capito cosa ho cercato di dirti... >>
Mi rispose, portando le mani avanti e facendo qualche passo all'indietro.

Continuai a fissarla in silenzio, infastidito, con uno sguardo tutt'altro che calmo.

<< Non facciamo del male alle persone innocenti, ai cittadini, neanche ai semplici soldati. Miriamo sempre a chi sta in alto e prende le decisioni. Il Generale Levyathan Melvillei o l'imperatore sono esempi di bersagli di cui vorremo sbarazzarci. >>
Mi rispose.

<< Non so se sentirmi meglio o peggio dopo questa tua risposta. >>
Fu l'unica risposta che fui in grado di darle.

Serilda abbassò lo sguardo, sospirando.

<< Capisco perfettamente cosa vuoi dire. Nonostante tutto, siamo disposti a fare del male alle persone, è vero. L'abbiamo anche già fatto. E' una cosa sbagliata ma è inevitabile. >>
Disse, sollevando subito dopo lo sguardo, assumendo una espressione convinta.

<< Però è necessario. Più quelle persone rimarranno al potere, più difficile sarà riuscire a cambiare le cose. Sono tiranni nascosti dietro una maschera da eroi e santi. Io lo so, tu lo sai e anche loro lo sanno! Per loro, e i loro cittadini, non siamo altro che criminali... Forse hanno ragione, ma noi siamo convinti dei nostri metodi e dei nostri motivi. Noi non vogliamo salire al potere al posto loro: un giorno qualcuno salirà al loro posto e riprenderà a fare le cose come le faceva il vecchio imperatore Roland. Se lui fosse rimasto al potere, adesso quei muri sarebbero già stati abbattuti. Mi fido di Evans e dei suoi metodi, perché sono i miei stessi ideali e convinzioni. >>
Concluse, fissandomi con uno sguardo deciso e fermo.



Mi piacque quello sguardo.



<< E poi? Eliminare chi sta al potere è inutile: chiunque salirà al potere dopo di loro comanderà seguendo gli stessi ideali dei suoi predecessori. Sangue versato da entrambe le parti senza alcun risultato. >>
Le dissi, mostrandole il mio disappunto e la mia contrarietà.

<< Non ho mai detto sarebbe stato facile o rapido. Potrebbe richiedere secoli, non mi importa. Non possono essere tutti uguali... Roland non lo era. Un giorno nascerà qualcuno che vorrà cambiare le cose, e noi della fazione dell'Uroboro supporteremo quel qualcuno come meglio possiamo. Fino a quel giorno, però, siamo disposti a liberarci di chiunque non abbia intenzione di raggiungere quell'obiettivo. >>
Mi rispose Serilda, senza mai smettere di fissarmi con quello sguardo.

<< Quindi basate i vostri metodi sulla paura. State esplicitamente dicendo ai vostri nemici che "Siamo disposti a uccidervi tutti fino a quando non ci sarà qualcuno che la penserà come noi". Credete davvero che il popolo, o chiunque, accetterebbe mai di lavorare insieme a qualcuno con questa mentalità? >>
Non appena le feci questa domanda, notai che per un istante lo sguardo di Serilda perse la sua fermezza.

Le sue palpebre si spalancarono, abbassando poi lo sguardo verso il terreno.
Rimase in silenzio per qualche secondo, evitando il mio sguardo, pensierosa.



<< Non è questo quello che volevamo, ma ormai è inevitabile... >>
Mi rispose, senza sollevare lo sguardo.

<< Abbiamo provato con metodi più pacifici, ma siamo stati ignorati... O peggio. So sia sbagliato, ne sono perfettamente cosciente. Però è l'unica strada che possiamo percorrere, ormai. >>
Continuò, sollevando lo sguardo e incrociando di nuovo il mio.

<< E' la cosa giusta da fare. Le persone al di fuori delle mura vivono in condizioni pietose, le persone che sviluppano abilità vengono considerate come mostri e, nei migliori dei casi, allontanate. Questo non è giusto! Se loro non vogliono cambiare, allora saremo noi a farlo. Un giorno tornerà qualcuno con gli stessi ideali dell'Imperatore Roland. Quel giorno noi della fazione dell'Uroboro daremo a quella persona tutto il nostro supporto. Ma fino a quel giorno faremo in modo di limitare i danni. Ciò che facciamo sarà pure moralmente sbagliato... Ma è la cosa giusta da fare. E continueremo ad andare avanti, non importa cosa accadrà. >>

Il suo sguardo era fermo, sicuro e serio.
Non c'era alcun dubbio nelle sue parole, nessun ripensamento o paura.

Credeva fermamente in ciò che aveva appena detto, non avrebbe mai abbandonato quei suoi ideali.



Quelle sue parole mi bastarono.



<< Ho avuto tutte le risposte che volevo, da te. Portami pure dal tuo capo, così potrò finalmente parlare direttamente con lui, come era vostra intenzione fin dal principio. >>
Non appena pronunciai quelle parole notai uno sguardo sorpreso apparire nel volto di Serilda.

<< Tu... Mi stavi, per caso...? >>
Mi domandò, incredula.

<< Sono bravo a capire quando qualcuno mente. Questa breve discussione con te mi ha fatto capire tu non lo stia facendo... Che io approvi o meno il vostro modo di fare è una questione completamente diversa. >>
Le risposi, parlandole con un tono più serio.

Serilda sospirò, dandomi poi le spalle.

<< Beh, ammetto tu mi abbia colto alla sprovvista. Non mi aspettavo di certo volessi usare questo nostro breve discorso per verificare se ti stessi, o meno, mentendo. Non che lo stessi facendo, in ogni caso, ma ne sono rimasta sorpresa. >>
Mi disse, sollevando una mano verso l'alto.

<< Mi piacerebbe davvero tu considerassi la possibilità di rimanere con noi. >>
Continuò, gesticolando con la mano, senza voltarsi verso di me.

<< Non solo perché credo i nostri ideali siano più simili di quanto tu possa pensare, ma anche perché mi piacerebbe averti come assistente nel mio laboratorio. Amo ogni cosa abbia a che fare con i metalli, e sono rimasta colpita dalla tua abilità fin dalla prima volta che ti ho visto. Quindi... >>
Aggiunse, voltandosi subito dopo verso di me.

<< Mi piacerebbe se tu considerassi questa opzione, ok? >>
Mi domandò, facendomi l'occhiolino e mostrandomi un sorriso ammiccante.


La fissai in silenzio senza risponderle, fino a quando lei non mi diede di nuovo le spalle.


<< Andiamo. L'ufficio di Evans è appena davanti a noi. >>
Mi disse, indicando una porta in metallo scuro a una decina di metri da noi.







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Fine del capitolo 4-4, alla prossima e grazie di avermi seguito!

PS: Chiedo scusa per il ritardo, ma era la mia ultima settimana di vacanza e ho preferito godermela un po' più del dovuto. 
PS2: Consiglio, per chi non l'ha già fatto, di seguie anche il mio secondo racconto "Shadows of Gaia", che riprenderà domani. Potrebbe, in futuro, avere qualche correlazione con Arcadia.

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Capitolo 24
*** Capitolo 4-5: Evans ***


Capitolo 4-5: Evans

 


Quando Serilda aprì la porta di quella stanza, la prima cosa che notai fu Jeanne, seduta davanti a una scrivania, in compagnia di Mist.

<< Che significa questo?! Perché è fuori dalla cella, Sera?! >>
Esclamò Mist, non appena ci vide arrivare, assumendo rapidamente una espressione, credo, mista a rabbia e preoccupazione.

In quell'istante Jeanne si voltò verso di noi.
Per qualche secondo mi guardò con occhi spalancati, sorpresa probabilmente dal fatto che fossi li, poi mi mostrò ancora una volta quel suo sorriso.

Non appena la vidi sorridere mi sentii molto più calmo e sollevato.
Le mie paure scomparirono in una frazione di secondo, tutte insieme.

Inconsciamente, ricambiai il sorriso.


<< Non prendertela, Mist! Ho tuuuutto sotto controllo, giuro! >>
Rispose Serilda, ridacchiando, al suo compagno.

<< Credevo ne avessimo già parlato, Sera! Cosa credi sarebbe successo se ti avesse attaccato?! >>
Esclamò Mist, con tono furioso, posando il suo sguardo minaccioso su di me.

<< Sono molto più razionale di quanto tu possa pensare. >>
Gli dissi, ricambiando il suo sguardo cupo.
Rimasi a fissarlo in silenzio senza muovere neanche un muscolo, ricambiando quel suo sguardo con uno altrettanto intenso.

<< Ho seri dubbi a riguardo. Conosco quello sguardo. >>
Mi disse, dopo qualche secondo di silenzio.

<< Lo conosco meglio di chiunque altro. >>
Continuò, avvicinandosi minacciosamente a me.

<< Di cosa diavolo stai parlando? >>
Gli domandai, confuso ma, allo stesso tempo, incuriosito dalle sue parole.
Non mi rispose.


<< Andiamo, Mist... >>
Disse Serilda, correndo rapidamente tra noi due, cercando poi di far calmare il suo compagno.

<< Non c'è niente di cui preoccuparsi, avevo tutto sotto controllo... >>
Continuò, cercando di convincere il suo compagno.

Mist la guardò con la coda dell'occhio per un istante, prima di posare di nuovo il suo sguardo su di me.

Dopo aver fatto un verso infastidito si allontanò, tornando nei pressi della scrivania al centro della stanza.


In quell'istante Jeanne corse verso di me, afferrandomi una mano e stringendola forte tra le sue.


<< Non serve litigare con loro, stai tranquillo! >>
Mi disse, sorridendo.

<< Ho parlato con tutti e tre, non sembrano persone cattive! >>
Continuò.


< Tutti... E tre? >
Pensai, in quell'istante, sorpreso dalle sue parole.

In quel momento notai che ci fosse qualcun altro in quella stanza, ma non lo avevo ancora visto in volto.

Era seduto su una sedia dall'altro capo della stanza, ma non riuscii a vederlo in faccia: ci stava dando le spalle.


<< Se siano, o meno, persone di cui diffidare è un qualcosa ancora da vedere. >>
Le risposi, avvicinandomi lentamente verso la terza persona.


Per qualche motivo, sentii una strana sensazione mentre mi avvicinai a lui.


<< Non è molto cordiale dare le spalle ai propri ospiti, non credi? >>
Domandai all'uomo, con tono innervosito.

<< Oh, perdonami. >>
Mi rispose l'uomo, chiudendo rapidamente il libro che stava leggendo.


< Q-Questa voce...! E' la stessa che ho sentito prima... Quella con cui stava parlando Mist! >
Pensai, riconoscendo quella voce.

Però... 
C'era ancora qualcosa che mi preoccupava.

Solamente sentire quella voce mi fece passare un brivido nella schiena.

< Eppure... Perché mi è così familiare? >
Pensai subito dopo, mentre l'uomo si alzò.



Quella scena mi colse del tutto impreparato.



<< Permettimi di presentarmi... >>
Disse, voltandosi finalmente verso di me.

Impallidii al solo vedere il suo volto.


Quei capelli azzurri, esattamente come i suoi occhi...
Quegli occhiali...
Quel sorriso...


In quel preciso istante sentii la rabbia ribollirmi dentro.
Fissai quell'uomo con uno sguardo furioso, stringendo forte i pugni.

<< LEVYATHAN!! >>
Esclamai, riconoscendo quella persona, ruggendo come un animale mentre gli scagliai contro una decina di nastri viola tutti insieme, sotto gli occhi spaventati e sorpresi dei presenti.

Rimasi completamente di stucco quando, però, vidi che il mio attacco non fosse andato a segno.
Sotto il mio sguardo misto tra rabbia confusione, rimasi in silenzio a fissare i miei nastri sospesi in aria, immobili, quasi come se fossero stati congelati nel tempo.

Poi, improvvisamente, qualcuno mi arrivò alle spalle, scagliandomi al suolo e bloccando ogni mio movimento.
Provai a dimenarmi in un disperato tentativo di liberarmi da quella presa, ma quella persona era molto più forte, fisicamente, di me.


<< Lasciami andare! >>
Urlai a quella persona.

<< Cosa diavolo ti è saltato in mente?! Sei impazzito, per caso?! >>
Mi domandò Mist, continuando a fare pressione sul mio corpo per bloccare ogni mio movimento.

<< E' Levyathan! Come puoi chiedermi "cosa ti è saltato in mente"?! >>
Gli risposi, incredulo e confuso da quel suo comportamento.

<< Non è Levyathan, razza di idiota! >>
Disse Mist, con tono inferocito.


Quelle sue parole mi lasciarono completamente di stucco.
Sollevai, quindi, lo sguardo, posandolo di nuovo su quell'uomo.

< Mi sono... Confuso? >
Pensai.


No.
Erano uguali.

L'uomo che avevo davanti era Levyathan Melvillei, non c'era alcun dubbio a riguardo.
Stessa espressione, stessi occhi, stessi capelli e stessa postura.

Non poteva essere nessun altro.


Quindi mi dimenai di nuovo, cercando di liberarmi dalla presa di Mist.

<< Yuu! >>
Sentii esclamare da Jeanne.

Mi voltai rapidamente verso di lei, notando che si stesse muovendo rapidamente nella mia direzione.

Jeanne si inginocchiò davanti a me, guardandomi con una espressione preoccupata, senza, però, perdere quel suo sorriso.

<< Non è Levyathan... Ero sorpresa anche io la prima volta che l'ho visto, ma lui è Evans. >>
Mi disse.


Non appena Jeanne pronunciò quelle parole, mi bloccai improvvisamente.
Non riuscivo ancora a crederci: dopotutto, erano due gocce d'acqua.

Posai il mio sguardo incredulo su quell'uomo, cercando di capire di cosa stessero parlando.


<< Mist, lascialo pure andare. >>
Disse l'uomo, facendo un cenno a chi mi stava bloccando.

<< Ne sei sicuro, Evans? >>
Gli rispose Mist, con un tono confuso.

L'uomo gli rispose con un cenno positivo del capo.


In quell'istante Mist lasciò la presa, permettendomi finalmente di muovermi.
Mi rialzai rapidamente, senza mai perdere di vista l'uomo davanti a me, incredulo e confuso da quella scena.


<< Ti... Dispiacerebbe sbarazzartene? >>
Mi domandò, indicando i nastri viola sospesi in aria davanti a lui.

Nonostante fossi confuso e ancora diffidente, decisi di ritirare il mio attacco, facendo scomparire i nastri con cui, pochi istanti prima, avevo provato ad attaccarlo.


L'uomo mi sorrise.


<< Jeanne mi aveva detto fossi una testa calda, ma non mi aspettavo questo genere di reazione. >>
Mi disse, portandosi una mano davanti alla bocca.

Non gli risposi.
Continuai a fissarlo in silenzio, infastidito dalla sua voce e aspetto.

<< Suppongo di averti colto di sorpresa. >>
Continuò, muovendosi lentamente nella mia direzione.



Magari dovresti ascoltare cosa ha da dire... Non credi? ~
Sentii dire da quella voce.

< Sta zitto, non è il momento! >
Pensai, innervosito.


<< Il mio nome è Evans Melvillei. Da quanto mi è stato riferito dalla tua amica, so abbiate già potuto incontrare mio fratello gemello... E, da quanto ho potuto constatare... Non sembrerebbe sia stato un buon primo incontro. >>
Disse l'uomo, presentandosi.

<< Fratello... Gemello? Credi davvero io mi beva questa bugia?! >>
Gli risposi, infastidito e ancora diffidente.

<< Non è una bugia. Se non fossi io, ma Levyathan, mi spiegheresti come sarei arrivato qui, dalla capitale, senza farmi notare? >>
Mi domandò, sorridendomi.

<< Può averti trasportato Mist. Dopotutto lo ha fatto con me. >>
Gli risposi rapidamente, con un tono cupo.

L'uomo fece un verso sorpreso.

<< Astuto... Purtroppo no, però, non è così. Credi davvero Mist, un ex-membro della fazione azzurra, avrebbe accettato di lavorare insieme a uno dei comandanti dell'Impero? >>
Mi domandò subito dopo.

<< Ad essere onesti, non so nulla di voi. Quindi si, per me ogni opzione è probabile, al momento. E di certo non mi bevo la storiella del "fratello gemello". >>
Gli risposi, senza indietreggiare neanche di un centimetro.

L'uomo mi fissò in silenzio per qualche istante con uno sguardo sorpreso, reggendosi il mento con una mano.

<< Non hai torto... Sarebbe strano se tu non fossi cauto, in questo genere di situazione, dopotutto. >>
Disse, poco dopo, con tono pensieroso.

<< Se sei davvero il gemello di Levyathan, dammi qualche prova. >>
Gli dissi.

<< La mia abilità non è una prova sufficiente? >>
Mi domandò, come risposta.


< Abilità? >
Pensai, sorpreso dalla sua risposta.

In quell'istante capii a cosa si stesse riferendo.


<< Parli di come hai bloccato i miei nastri, vero? >>
Gli domandai, chiedendo conferma.

L'uomo sorrise.

<< Magnetismo. La mia abilità mi permette di creare dei campi magnetici più o meno intensi intorno a me, impedendo a ogni genere di metallo di arrivare troppo vicino a me. >>
Mi spiegò.

<< Non è una spiegazione soddisfacente. Potresti, semplicemente, aver deciso di non usare la tua abilità all'interno delle mura. >>
Continuai, non fidandomi delle sue parole.

<< Sei piuttosto cocciuto, eh? >>
Disse, mostrandomi una espressione confusa e sorpresa.

<< Se fossi veramente Levyathan, che senso avrebbe avuto creare una intera fazione di ribelli il cui unico scopo è eliminare i leader dell'impero, incluso "me stesso"? >>
Mi domandò subito dopo.


Abbassai lo sguardo, cercando una risposta che, però, non riuscii a trovare.
Quando lo sollevai di nuovo, il mio sguardo cadde inconsciamente sulla sua cinta.


~ Non sta indossando la spada che aveva alla capitale... Come si chiamava? Gioiosa? ~
Disse quella voce.

< Potrebbe semplicemente averla lasciata li... >
Pensai, cercando una possibile soluzione.

~ O, magari, non sta mentendo. Magari è davvero Evans Melvillei, e non Levyathan. ~

Disse, di nuovo, quella voce.

Stavolta non gli risposi: strinsi forte i pugni, infastidito.


<< Se hai qualunque domanda, fammela pure. Ti risponderò come meglio posso, per convincerti. I qui presenti Mist e Serilda potranno confermare ogni risposta che ti darò. >>
Mi disse poco dopo, l'uomo.

Sollevai lo sguardo, fissandolo con uno sguardo cupo, senza proferire parola.

<< Molti anni fa scappai di casa. >>
Disse, senza aspettare nessuna mia domanda.

<< Quella notte, circa trentaquattro anni fa, la mia famiglia venne a conoscenza della mia abilità. La mattina seguente decisero, quindi, di "liberarsi del mostro": mi legarono e portarono davanti a una ghigliottina. In un modo o in un altro, Evans Melvillei è morto quel giorno. 

Riuscii salvarmi, bloccando la lama prima che potesse decapitarmi, poi corsi via in direzione della foresta, riuscendo, infine, a uscire dalla capitale.
Il nome di "Evans", però, è scomparso del tutto dagli annali e dall'albero genealogico della famiglia Melvillei, quindi sono ufficialmente un morto che cammina.

Ufficialmente, sono morto.
In pratica, però, sono ancora qui. >>
Non appena finì di parlare, sentii un brivido passarmi nella schiena.

Non ero ancora sicuro se credergli o meno, mi servivano più prove.

<< Quindi hai deciso di creare i ribelli per vendicarti? >>
Gli domandai.

L'uomo mi rispose con un cenno negativo del capo.



<< La fazione dell'Uroboro è nata perché non accettavo i comportamenti della fazione Azzurra. Ero, e sono, tutt'ora convinto che i Ribelli e l'Impero possano trovare dei punti in comune per lavorare insieme. Ovviamente, sono più che sicuro che morirò prima di vedere quel giorno diventare realtà. Richiederà molto tempo e, probabilmente, anche molti sacrifici.  >>
Mi disse, dandomi poi le spalle, cominciando a muoversi senza meta all'interno di quella stanza.

<< La fazione dell'Uroboro non mira a eliminare l'impero e a sostituirsi a esso, cosa che invece vuole la fazione Azzurra: noi eliminiamo i corrotti, chi abusa del proprio potere, chi fa male a persone innocenti fisicamente o mentalmente. Lavoriamo per aiutare chi vive fuori dalle mura, offrendo loro la possibilità di un futuro più luminoso, un posto dove possano vivere senza troppe preoccupazioni e minacce, un motivo per lottare. >>
Continuò, voltandosi verso di me.


Il suo sguardo mi sembrò molto differente da quello di Levyathan.
Ero ancora confuso, non sapevo cosa pensare...


<< Ma questo non vi impedisce di uccidere le persone, giusto? >>
Gli domandai, con tono cupo.

<< No. Non lo ha mai fatto. >>
Mi rispose, senza esitare neanche per un istante.


Quella sua risposta mi fece infastidire.


<< E allora quale sarebbe la differenza tra voi e gli altri? >>
Chiedi all'uomo, con tono frustrato.

Non mi rispose subito.
Chiuse le palpebre, sospirando, dandomi poi ancora una volta le spalle.

<< Non ce n'è. >>
Mi rispose, lasciami di stucco.

<< Non è vero, Evans! >>
Sentii esclamare da Serilda, con tono triste.

<< No, Sera. Non siamo gli eroi nella storia dell'Arcadia... E non mi sono mai visto come tale. >>
Rispose alla ragazza, mentre si voltò verso di noi.

<< Assassini, ladri. Ci chiamano criminali, ed effettivamente lo siamo. Fino a ora abbiamo ucciso una trentina di figure importanti dell'Arcadia, a quanto pare inutilmente. Abbiamo rubato loro parecchio denaro, armi e armature. Perfino carovane intere, insieme ai cavalli e carri. Abbiamo attaccato i loro avamposti più volte, riducendone alcuni in cenere. 

Non siamo di certo i buoni, in questa storia.
E, onestamente, non credo lo saremo mai.

Ma ciò non significa che ci fermeremo: continueremo ad andare avanti in ogni caso, fino a quando non tornerà qualcuno al potere che avrà ideali quantomeno simili a quelli del vecchio imperatore Roland.

Ci chiamano criminali e lo siamo... Ma se dovessi dare un nome alla fazione a cui ho dato vita, la chiamerei "famiglia".

Abbiamo aiutato persone che vivevano fuori e dentro le mura, dando loro un posto che potevano chiamare "casa", un motivo per vivere e lottare.
Molte persone che hanno accettato di seguirmi non avevano nulla, altre erano alla mercé della fazione Azzurra, di alcuni banditi o dei militari corrotti.

Non obbligo nessuno a seguire i miei ideali: le persone che sono qui hanno deciso di seguirmi di loro spontanea volontà. Abbiamo dato loro speranza, motivi per combattere, come ho già detto, a persone che, altrimenti, si sarebbero arrese... In un modo o in un altro.

Quindi... A chiunque dovesse chiedermi che differenza c'è tra la mia e la fazione Azzurra, risponderei questo.
Se dovessero chiedermi se mi sento nel giusto, risponderei di no... Ma ciò non significa che non continuerò a fare ciò che sto facendo. 

Le opzioni sono poche, per chi vive fuori dalle mura:

Cadere vittima della fazione Azzurra, o banditi.
Unirsi alla fazione Azzurra per non diventare un bersaglio e avere protezione.
Vivere fuori dalle mura, morendo, un giorno, di fame o ucciso da qualcuno che voleva derubarti.
Cercare modi per entrare all'interno delle mura, e quindi vivere una vita tranquilla.
O, ultima possibilità, avere fortuna e trovare un posto in cui potrai vivere una vita tranquilla.


La tua amica mi ha detto voi foste in quest'ultima categoria. Siete fortunati. Più o meno una persona su cinque ha questa fortuna.
Io ho semplicemente deciso di dare alle persone una possibilità che non risultasse nella loro morte o venire obbligati a fare qualcosa che non vogliono fare solamente per vivere.

Qui siamo riusciti a radunare persone di ogni tipo:

Ex membri della fazione Azzurra che sono scappati per cercare tranquillità.
Persone che cercavano un posto in cui vivere, senza dover rischiare ogni giorno di venire derubati o uccisi solamente per un pezzo di pane.
Le persone qui dentro non sono obbligate a combattere: chiunque esce fuori per partecipare alle nostre missioni è un volontario. Sanno a cosa stanno andando incontro, e sanno perfettamente cosa potrebbe accadere.

Qui non c'è nessuno che prende le decisioni per gli altri: sono il leader, ma solo formalmente. 
Quando siete arrivati qui, Mist era propenso all'uccidervi. Abbiamo votato, noi tre. 

Due voti contro uno, quindi vi abbiamo tenuto sotto custodia.
E' sempre così: nessuno prende decisioni per tutti, noi tre decidiamo insieme cosa fare.
Alcune volte funziona, altre no. Però andiamo ugualmente avanti, impariamo dai nostri errori.

Lo abbiamo fatto in passato, capendo a nostro malgrado che né la fazione Azzurra né i militari avrebbero accettato compromessi...
Perdendo compagni, parenti, amici come risultato.

Siamo riusciti a creare qualcosa che speriamo sia, un giorno, in grado di risollevare questa situazione.
Non vogliamo salire al potere.
Non è quello il nostro obbiettivo. >>
Non appena finì di parlare, Evans mi porse una mano.

Rimasi sorpreso dalla sua azione: fissai in silenzio quella mano, senza neanche muovere un muscolo.

<< E, come sempre, ho intenzione di chiederlo. >>
Disse.

<< Rimarrai con noi, Yuushi Hikari? >>
Chiese subito dopo.



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Fine del capitolo 4-5, alla prossima e grazie di avermi seguito!

PS: Invito, chi non lo fa, a seguire anche la mia seconda storia "Shadows of Gaia"! Potrebbe, prima o poi, avere qualcosa a che fare con questo racconto.

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Capitolo 25
*** Capitolo 4-6: Effetto Farfalla ***


Capitolo 4-6: Effetto Farfalla

 



In tutta onestà, non so perché non riuscii a rispondergli.

Ciò che avevano detto... Lo capivo. 
Compresi perfettamente le loro ragioni e, sotto certi versi, i loro metodi e ideali andavano in linea con ciò che io, nel mio subconscio, avevo sempre voluto fare.

Ciononostante, però, rimasi in silenzio a fissare quella mano con una stranissima sensazione in corpo...
Ci misi molto tempo a capire cosa fosse l'origine di quella sensazione.


Quando sollevai il mio sguardo, fissai intensamente quell'uomo negli occhi senza proferire parola.


~ Accetterai? ~
Sentii dire improvvisamente da quella voce.

<< Non lo so. >>
Risposi a entrambi.

<< Capisco. Non ti biasimo, non è una decisione semplice. >>
Mi rispose Evans, abbassando la mano.

<< Voglio tu sappia che io non ho intenzione di obbligarti. Qualunque scelta tu voglia prendere, io l'accetterò. In ogni caso, però, non posso fare a meno ma ricordarti che il tuo dovere è quello di prendere una decisione di cui, in futuro, tu non debba pentirti. >>
Continuò, attirando la mia attenzione con quelle parole.

<< Sono disposto ad attendere ventiquattro ore. Prenditi pure questo tempo per decidere il tuo futuro, considera ogni singola possibile conseguenza. E tieni bene a mente che, se ti unirai alla nostra causa, per loro tu sarai un criminale. Le cose potrebbero andare male da un momento all'altro, senza preavviso, e tu dovrai essere pronto ad affrontare qualunque ostacolo ti si metterà davanti. Tieni a mente che potresti ritrovarti a ferire persone, o assistere a questo genere di scene senza poter fare niente per aiutare quelle persone. Prima di prendere qualsiasi decisione, ragiona su ogni singola conseguenza, come ti ho già detto. Ma tieni bene a mente che non devi pensare solo alle conseguenze che avranno effetti su te stesso, ma anche ciò che potrebbe accadere alle persone intorno a te. Vedrai persone ferite, non importa quale decisione prenderai oggi. Ma ciò che puoi cambiare, è da che angolo guarderai queste cose. Proverai a cambiare le cose? Rimarrai a guardare, senza prendere alcuna decisione? Tornerai dai militari, e ti unirai a loro? Scegli il tuo destino, ma fai molta attenzione. L' "Effetto Farfalla" può cambiare il futuro partendo anche da eventi che sono, all'apparenza, di poco conto. >>
Concluse, dandomi poi le spalle.



Dopo quelle sue parole, lasciammo tutti il suo ufficio.
Non appena fummo fuori, Jeanne si lanciò su di me, abbracciandomi.

"Sono così felice sia andato tutto bene!"
Furono le parole che mi disse.

Poco dopo, Jeanne chiese a Mist di farle da guida.
Nonostante la mia titubanza e le mie preoccupazioni, Jeanne riuscì a convincermi di non preoccuparmi.

"Ho già passato del tempo con Serilda."
Mi disse.

"Ora vorrei conoscere un po' meglio Mist e questo posto!"
Continuò.


Non capisco tutt'ora come facesse a essere così spensierata...
Sapeva dove fossimo, e non credo non avesse capito in che genere di situazione eravamo coinvolti.

Esplorare quel posto, in quella situazione, non faceva altro che dare loro più motivi per tenerci rinchiusi, in caso non avessimo accettato la loro offerta.
Dopotutto, più scoprivamo su quel posto, più pericolosi diventavamo per loro.

Avere troppe informazioni in quelle circostanze, non faceva altro che giocare a nostro sfavore. Erano un'arma a doppio taglio che loro potevano usare contro di noi in qualunque momento.

Mentre la guardai allontanarsi insieme a Mist, il quale accettò l'offerta di Jeanne senza farsi troppe domande, istintivamente pensai alla cella in cui mi avevano rinchiuso.

Già mi immaginavo il peggio...

"Sapete troppo di noi, ormai. Non possiamo lasciarvi andare, potreste rivelarvi un pericolo."
Avevo paura di sentire queste parole provenire da Mist o Evans.


Improvvisamente, sentii qualcuno darmi un colpetto nella spalla.
Mi voltai verso quella persona rapidamente.

<< Uh? Cosa è quel muso lungo? >>
Mi domandò Serilda, con un ghigno divertito stampato in volto.

<< Ti interessa? >>
Le risposi a tono.

<< Non devi preoccuparti. Mist non toccherà la tua ragazza neanche con un dito. >>
Mi disse, facendomi l'occhiolino.

<< Non è la mia ragazza, mi sembra di avertelo già detto. E no, è l'ultimo dei miei problemi, al momento. >>
Le risposi, voltandomi del tutto verso di lei, fissandola con uno sguardo innervosito.

<< Ohh? E quale sarebbe il "primo" di questi problemi, eh? >>
Mi chiese subito dopo, divertita.

<< Sai essere davvero odiosa, quando vuoi, eh? >>
Le domandai, con tono infastidito.

Serilda mi rispose ridacchiando.

In quell'istante mi diede le spalle, facendomi poi segno di seguirla.

<< Perché dovrei seguirti? >>
Le chiesi, senza fare neanche un passo in avanti.

In quell'istante Sera si voltò leggermente verso di me, guardandomi con la coda dell'occhio.

<< Oh, stai pure qui se vuoi. Non mi interessa. >>
Mi rispose, sollevando leggermente le spalle.


Sbuffai, ma decisi di seguirla.
Non sapevo come muovermi li dentro, dopotutto. 


<< Quindi, cosa hai intenzione di fare? >>
Mi domandò, mentre mi faceva strada per quei lunghi corridoi.

<< Non lo so. Mi piacerebbe fare qualche domanda a questi "volontari" di cui il tuo capo ha parlato. >>
Le risposi.

<< Dovresti scendere di un piano, però, per trovare qualcuno. Questa sezione della base è, di norma, vuota. C'è solo l'ufficio di Evans. >>
Mi rispose, senza voltarsi, continuando a camminare.

<< Come mai questa scelta? >>
Le chiesi, incuriosito da questa cosa.

<< Non ne ho idea. Evans preferisce la solitudine, suppongo. >>
Fu la sua risposta.
Dal suo tono, non mi sembrò stesse mentendo.

Sbuffai.

<< Qualcosa ti turba? >>
Le sentii domandare.

<< Userete le informazioni che otterremo contro di noi? >>
Non appena le feci quella domanda, Serilda si bloccò di scatto, voltandosi poi verso di me.

<< Cosa vuoi dire? >>
Mi chiese, con espressione confusa.

<< Insomma, se facessi domande alle persone nella base e venissi a sapere informazioni importanti e poi dovessi rifiutare la sua offerta? Ci lascerete andare, nonostante ci sia il pericolo che queste informazioni possano cadere in mano ai militari? >>
Le spiegai.

In quell'istante una espressione sorpresa apparve nel volto di Serilda.

<< Oh! >>
Esclamò, guardandomi con occhi spalancati.

Rimasi in silenzio per qualche secondo, confuso e sorpreso dalla sua reazione.

<< Cosa?! >>
Le domandai, non riuscendo a capire la ragione del suo stupore.

<< Quindi non sei un idiota! >>
Esclamò.

La sua risposta mi lasciò di stucco.

<< E io che credevo tu fossi uno di quei classici "tutto muscoli e niente cervello". Sono scioccata, non me l'aspettavo... >>
Continuò.

<< Stai mettendo a dura prova la mia pazienza, stronzetta. >>
Le dissi, digrignando i denti e stringendo i pugni.

Serilda ridacchiò.

<< Can che abbaia non morde.
~~ >>
Canticchiò, dandomi poi le spalle e riprendendo a camminare.

Titubante, ripresi a seguirla.

<< Quindi? Vorresti farmi qualche domanda, prima che arriviamo al mio laboratorio? >>
Mi domandò subito dopo.

<< Si. Perché stiamo andando li? >>
Le chiesi.

<< Mist probabilmente riporterà la tua amica li, quando avrà finito di farle fare il giro turistico. >>
Mi rispose, senza voltarsi.

<< Come fai a esserne sicura? >>
Le domandai, sorpreso dalla sua sicurezza.

<< Conosco Mist meglio di chiunque altro. >>
Rispose.

<< Da quanto tempo sei in contatto con Evans? Ci si può fidare di lui? Mi viene difficile dare fiducia a qualcuno che è la copia sputata di Levyathan. >>
Le domandai, di nuovo.

<< Da parecchio tempo, in realtà. Sono entrata nella fazione di Evans un po' prima di Mist. E si, mi fido ciecamente di lui. Non ha importanza che sia il gemello di quel mostro. >>
Mi rispose, senza esitazione.

<< Fa sempre quel genere di discorsi? Non mi piacciono le persone logorroiche. >>
Continuai, subito dopo.

<< Parli del discorso sul "decidere cautamente"? Fa sempre quel discorso, quando chiede a qualcuno di seguire la sua causa. Molti non sanno neanche cosa sia l' "Effetto Farfalla" di cui parla. >>
Mi rispose, continuando a darmi le spalle.

<< Tu sai cosa sia? >>
Mi chiese subito dopo, voltandosi leggermente verso di me.

<< Blake una volta me ne aveva parlato. >>
Le risposi, posando il mio sguardo su di lei.

Una espressione incuriosita apparve nel suo volto.

<< Blake? Chi è? >>
Domandò.

<< Un mio compagno. Eravamo insieme alla capitale prima che... Insomma. >>
Le risposi.

<< Capisco. Quindi sai cosa sia l'Effetto Farfalla? >>
Mi domandò subito dopo, dandomi di nuovo le spalle.

<< Più o meno le informazioni basilari. Blake era solito dire che "la storia è come le nervature di una foglia". Secondo lui non esiste un singolo futuro: ogni scelta che prendiamo, per quanto insignificante possa essere, determinerà in quale di questi futuri noi finiremo. Alcune decisioni potranno essere più importanti di altre, altre invece potrebbero non significare nulla, ma noi non possiamo saperlo. Blake ha sempre detto che l'Effetto Farfalla potrebbe cambiare radicalmente il corso della storia, anche partendo da un evento insignificante come il cogliere un fiore. >>
Le dissi.

<< Oh, è così poetico e romantico! >>
Esclamò Serilda, con uno strano tono.

<< Ma si, praticamente quello è l'Effetto Farfalla. Eventi semplici, all'apparenza insignificanti, a lungo andare potrebbero avere effetti devastanti nella storia. Questo è esattamente perché noi non siamo rimasti a guardare. Se il battito d'ali di una farfalla può causare un tifone dall'altro lato del pianeta, non vedo perché le nostre azioni non possano, un giorno, dare i risultati a cui noi ambiamo. >>
Non appena finì di parlare, si fermò di colpo.

<< Siamo arrivati. >>
Dopo aver pronunciato quelle parole svoltammo in un angolo.

Mi ritrovai davanti una grossa porta metallica scura, senza maglia o serratura.
Nel muro adiacente alla porta notai uno strano dispositivo.

C'era una strana tastiera numerica verde con un piccolo macchinario in cui si poteva inserire una carta magnetica.

Serilda prese rapidamente una strana scheda grigia dalla tasca, inserendola nel macchinario, poi scrisse qualcosa nella tastiera.

Improvvisamente la porta davanti a noi cominciò a salire lentamente verso l'alto, scomparendo poco dopo nel soffitto, permettendoci di entrare all'interno della gigantesca stanza.


Non appena entrammo, Serilda si voltò rapidamente verso di me, aprendo le braccia e sorridendo.

<< Benvenuto nel mio laboratorio, Yuushi Hikari. >>
Esclamò.


Sarò onesto: non avevo mai visto qualcosa del genere in vita mia.

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Fine del capitolo 4-6, alla prossima con la fine del volume 4!

 

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Capitolo 26
*** Capitolo 4-7: Difficoltà ***


Capitolo 4-7: Difficoltà

 


<< Porca... Troia... >>
Furono le uniche parole che uscirono dalla mia bocca, non appena entrai all'interno di quella assurda stanza.


Rimasi immobile, quasi pietrificato, davanti a quella vista: non avevo mai visto qualcosa del genere in vita mia.
Quel Laboratorio era gigantesco: era un enorme cubo privo di finestre, illuminato da intense luci bianche attaccate al soffitto e collegate a un sistema elettrico.

Conoscevo quel genere di tecnologia, ma non l'avevo mai vista così da vicino.

I muri e il soffitto erano bianchi come la neve, mentre il pavimento era di un colore grigio scuro. 
Nel pavimento vi erano una infinità di chiavi inglesi, pezzi metallici sparsi in ogni dove e così tanti strumenti in metallo che non riuscii neanche a contarli.

Chiavi inglesi, cacciaviti, martelli, giganteschi chiodi... Vidi persino lame e resti di ogni tipo di arma esistente sparsi nel pavimento e sui tavoli, anch'essi in metallo, e una infinità di pezzi di armature di ogni genere, materiale, forma e colore.


<< Fa' attenzione a dove cammini, potresti farti male se non guardi dove metti i piedi. >>
Mi disse Serilda, incamminandosi verso un tavolo davanti a lei.

Pochi istanti dopo sentii un rumore metallico alle mie spalle: mi voltai di scatto, sorpreso, notando poi l'enorme porta metallica chiudersi lentamente davanti a me, chiudendomi all'interno di quella stanza insieme a quella ragazza.


Non mentirò... In quella situazione non mi sentii per nulla a mio agio.


<< H-Hey! Quella porta si può aprire di nuovo, vero? >>
Domandai a Serilda, voltandomi di scatto verso di lei.

<< Oh no, non preoccuparti. Rimarremo chiusi qui dentro per l'eternità, in attesa che un archeologo con frusta e cappello venga a recuperare i nostri resti. >>
Mi rispose la ragazza, senza voltarsi verso di me, liberando dello spazio da un tavolo.

<< Quell'esempio era stranamente specifico, e ho paura di non aver capito a cosa tu ti stia riferendo. >>
Le risposi, confuso da quelle sue parole.

<< Non preoccuparti... Posso aprire la porta quando voglio. >>
Mi disse subito dopo, voltandosi verso di me e facendomi poi cenno di avvicinarmi.

<< Ok... Questo è rassicurante. >>
Dissi sottovoce, mentre mi avvicinai verso di lei con un passo lento e cauto.
Continuai a guardarmi intorno, sempre più confuso, e stranamente incuriosito, da quante armi, armature e oggetti metallici di ogni tipo erano presenti in quella stanza. 

Notai perfino oggetti che non avevo mai visto prima.


<< Quindi? Cosa dovremmo fare qui? >>
Le domandai, mentre Serilda si sedette su una sedia davanti al tavolo, facendomi poi segno di accomodarmi nella sedia davanti a lei.

Esitai per qualche istante, ma alla fine mi sedetti.

<< Avevo intenzione di chiederti un piccolo favore. >>
Mi disse la ragazza, con un tono stranamente serio.

<< Che genere di "favore"? >>
Le domandai, incuriosito da quelle sue parole.

<< Hai attirato la mia attenzione fin dal primo momento che ti ho visto, grazie a quella tua abilità. Quindi mi stavo chiedendo se saresti così gentile da permettermi di studiare quel metallo. >>
Mi rispose, accavallando poi le gambe.

<< Perché dovrei? A che ti serve? >>
Le domandai.

<< Sono un fabbro, dopotutto. Un genio. Creo armi, armature... Ogni cosa correlata ai metalli, mi interessa. Quindi, mi piacerebbe scoprire come funziona la tua abilità, studiarla. >>
Mi rispose.

<< Me lo permetterai? >>
Domandò subito dopo, facendomi l'occhiolino.


Rimasi in silenzio per qualche istante, fissandola con una espressione infastidita.

<< Non so che idea tu ti sia fatta di me... >>
Le dissi, con un tono infastidito.
Serilda sembrò sorpresa dalle mie parole.

<< ... Ma non credere di poter ottenere ciò vuoi da me solo perché hai un bel faccino. >>
Continuai, piegandomi leggermente verso di lei.

Mi fissò senza aprire bocca, guardandomi con uno sguardo sorpreso.

<< Le donne che si comportano così non le trovo attraenti: mi disgustano. >>
Conclusi, fissandola intensamente dritta negli occhi.


Avevo capito cosa stesse cercando di fare, non ero stupido.
Purtroppo per lei, però, quel genere di comportamento, con me, non l'avrebbe portata a nulla.


Per qualche secondo notai una espressione scioccata apparire nel volto di Serilda.
Poi, qualche istante dopo, quella espressione mutò in uno strano sorriso.

<< Uh. Non mi aspettavo avresti fatto così il difficile, sinceramente. >>
Ridacchiò.

<< Perché? Ti aspettavi davvero ti dessi il permesso per studiare la mia abilità? Magari per sfruttarla a vostro vantaggio, creando un materiale simile a quello che creo io? O usare me come arma, o come fonte per creare le vostre armi? >>
Le domandai, con tono frustrato.

Serilda portò le mani in avanti, agitandole rapidamente in segno negativo.

<< No, no! Assolutamente no, non farei mai una cosa del genere. Ciò che mi interessa è solo scoprire a che genere di metallo puoi dare vita, è semplice curiosità. Non è nelle mie intenzioni né ferirti, né usarti in nessun modo. >>
Mi rispose.

<< Perché dovrei crederti? >>
Le domandai, non credendo alle sue parole, fissandola con uno sguardo cauto.

Serilda sospirò.

<< Se non vuoi credermi, mi va bene comunque. Alla fine era solo un favore che volevo chiederti, nient'altro. >>
Mi rispose, appoggiandosi con il gomito al tavolo al suo fianco, reggendosi il mento con la mano.

Non le risposi.
Continuai a fissarla in silenzio per qualche secondo, senza mai smettere di mostrarle quel mio sguardo cauto.
Mi guardai anche più volte intorno, forse alla ricerca di dettagli che potessero confermare le mie preoccupazioni o paure.

Mi sentivo anche parecchio in ansia, ripensandoci... Non ero di certo a mio agio sapendo che Jeanne si trovava di nuovo da sola, fuori dalla mia portata.


Ad un certo punto, sentii Serilda sbuffare per la seconda volta, attirando la mia attenzione.
La ragazza allungò la mano sul tavolo, afferrando un paio di occhiali da fabbro neri dal tavolo, alzandosi poi di scatto dalla sedia.

<< Nota personale: essere provocanti con lui non attacca. >>
La sentii borbottare, mentre si allontanò.
Quelle parole mi diedero fastidio, ma decisi di ignorarle.

<< Dove stai andando? >>
Non appena le feci quella domanda, Serilda si bloccò di colpo.

<< Sai cosa? Speravo veramente che, dopo tutto ciò che ho fatto per provare a farti capire di non essere una tua nemica, avresti acconsentito ad un mio singolo capriccio. E invece no. >>
Mi rispose, senza neanche voltarsi.

<< Fai la preziosa, all'improvviso? >>
Le domandai, divertito dalla sua reazione.

Serilda si voltò rapidamente verso di me, mostrandomi una espressione infastidita.

<< No, sono solamente infastidita dal tuo comportamento. >>
Mi rispose, indicandosi il petto con un dito.

<< Ti ho fatto uscire da quella cella, e, in più, l'unico motivo per cui tu e quella ragazza non siete stati uccisi, qualche ora fa, è perché io ho votato per tenervi in vita, mentre Mist era favorevole a uccidervi. Almeno mostrami un po' di gratitudine, maledizione! >>
Continuò, visibilmente frustrata.

Non le risposi.

<< L'unica cosa che ti ho chiesto in cambio per la mia gentilezza, mi è stata negata. Quindi torno a fare il mio lavoro. Non mi interessa se vuoi rimanere qui o andare via, fa come ti pare! Se vuoi andartene, premi il bottone verde a fianco dell'entrata, e potrai lasciare il mio laboratorio. >>
Continuò, parlandomi con tono alterato.

Non appena smise di parlare mi alzai dalla sedia, dirigendomi lentamente verso l'entrata del laboratorio.

<< Assurdo. >>
Le sentii borbottare alle mie spalle.



Per un attimo, mi sentii in colpa.
Era vero che, dopotutto, non aveva mostrato alcuna cattiva intenzione, ed era vero che non credevo potesse essere una minaccia. Mi aveva aiutato, e aveva anche risposto alle mie domande più e più volte, senza mai nascondermi effettivamente nulla di ciò che mi preoccupava.


Quando mi voltai nella sua direzione, la vidi allontanarsi lentamente da me, afferrando qualcosa da uno di quei tavoli in metallo, sedendosi poi su una sedia davanti a esso.

Sospirai.

<< Ok, va bene. >>
Le dissi.

Sentendo quelle mie parole, Serilda si bloccò di colpo, voltandosi poi lentamente nella mia direzione.
Subito dopo portai il braccio destro in avanti, e dal palmo della mia mano si materializzò un lungo nastro viola.

La ragazza si alzò lentamente dalla sedia, fissando con occhi e bocca spalancati la mia creazione.

<< Wow... >>
Fu l'unica cosa che le sentii dire, mentre si avvicinò lentamente al nastro viola che fluttuava in aria.
Il lungo nastro era sospeso in aria a forma di spirale.

Serilda cominciò a toccare la mia creazione, con uno sguardo incredulo stampato in volto.


<< E'... Fantastico. >>
Disse pochi istanti dopo, ammirando ogni centimetro della mia creazione: i suoi occhi brillavano dalla curiosità.


Quei suoi occhi... In quel momento li adorai.


<< E' pesante? >>
Mi domandò, senza voltarsi verso di me, continuando ad ammirare quel nastro viola, toccandolo e guardandolo da ogni angolazione.

<< No. In realtà è davvero molto leggero. >>
Le risposi.

<< Quanti puoi crearne? >>
Domandò, di nuovo, subito dopo.

<< Non ne ho mai creati più di venti. Non ne ho mai avuto la necessità. >>
Fu la mia risposta.

Serilda si voltò verso di me, fissandomi con uno sguardo incuriosito.

<< Puoi andare oltre quel numero? >>
Continuò.

<< Non ci ho mai provato, ma credo di si. Anche se, probabilmente, non credo di essere in grado di reggere uno sforzo tanto grande. >>
Continuai a rispondere alle sue domande, cercando sempre, però, di capire se avesse intenzione di usare quelle mie risposte contro di me.

In quell'istante Sera mi guardò con una espressione confusa, quasi stupita.

<< Oh? Quindi puoi venir danneggiato dalla tua stessa abilità? >>
Mi domandò, incuriosita dalla mia risposta.

Esitai a risponderle.

<< Non ho intenzione di usare queste informazioni contro di te. Stai tranquillo. >>
Mi disse subito dopo, notando sicuramente la mia incertezza.

Sbuffai.

<< Se creo troppi nastri, le mie energie vengono rapidamente prosciugate. Di norma, riesco a reggere una decina di nastri senza sforzare troppo il mio fisico anche per un arco di tempo decisamente lungo... Andare oltre quel numero, però, comincia a causarmi problemi. Sopra i quindici, reggo appena pochi minuti. >>
Le spiegai.

<< Interessante... >>
La sentii bisbigliare, mentre posò di nuovo il suo sguardo sul nastro viola.

<< Puoi controllarlo a piacimento? >>
Mi chiese, ancora.

<< Si. Posso decidere in quale direzione scagliare i nastri, come farli muovere... Posso controllarli con il mio pensiero. >>
Le risposi.

Serilda si voltò verso di me, mostrandomi una espressione incuriosita.

<< Qualche tipo di... Telecinesi? >>
Mi domandò.

<< No, non credo. Non posso controllare altro, se non i miei nastri. Posso muoverli come se fossero le mie stesse braccia, per rendere la cosa più semplice da capire. >>
Non appena pronunciai quelle parole, Serilda si portò una mano sotto al mento, assumendo una espressione pensierosa.

Afferrò il nastro con una mano, stringendolo con forza.

<< Mhh... Mi chiedo se sia possibile che, all'interno di questi nastri, esista qualcosa di simile a un "sistema nervoso" che li connette al tuo cervello. >>
Le sentii dire tra se e se.

<< Non credo sia possibile. Se così fosse, dovrei provare del dolore quando i miei nastri vengono spezzati, non credi? >>
Quella mia domanda la colse alla sprovvista. 

<< Uh?! Possono spezzarsi? >>
Esclamò, chiedendomi conferma.

Le risposi con un cenno positivo del capo.

<< Uh... Mi piacerebbe davvero fare esperimenti più approfonditi. >>
Mi rispose, posando di nuovo il suo sguardo sul nastro viola.

<< Questo metallo è insolitamente caldo. In più, mostra la palese capacità di piegarsi senza spezzarsi, e perfino di tornare alla posizione originale, senza mostrare alcun danno. E' una caratteristica che non si vede molto spesso... Di norma i metalli sono freddi, e si riscaldano quando sono vicini o a contatto con una fonte di calore. >>
Continuò, posando poi il suo sguardo sulla spirale a cui il nastro aveva dato vita.

<< In più, non conosco metalli che hanno questo genere di caratteristica... Di norma, anche se un metallo è facilmente piegabile, difficilmente ritorna alla sua forma originale: rimarranno sempre delle imperfezioni. I tuoi nastri, invece, mostrano la capacità di piegarsi, senza spezzarsi, per poi riacquistare anche la loro forma originale, senza mostrare alcuna imperfezione o danno. E' davvero affascinante, e mi piacerebbe davvero studiarlo più a fondo. >>
Concluse, voltandosi poi verso di me.

<< Mi permetteresti di tagliare un pezzo di questo nastro? >>
Mi domandò, con occhi imploranti.

La fissai in silenzio per qualche istante senza aprire bocca, fissandola sicuramente con uno sguardo infastidito.

<< Perché dovrei farlo? Così puoi replicarlo e creare armi migliori da dare ai tuoi compagni? >>
Le domandai.

Sentendo le mie parole, Serilda assunse una espressione infastidita.

<< Cosa?! No! Perché sei così cocciuto, non riesco a capirlo! Non ho secondi fini, voglio solo dare sfogo alla mia curiosità, maledizione! >>
Esclamò, innervosita.

Il suo sguardo, però, si calmò rapidamente.

<< Non chiedo molto, solo qualche centimetro per poterlo studiare con il microscopio. Non potrei fare molto con un pezzo così piccolo, al limite un piccolo coltello, ma non sprecherei mai un materiale tanto interessante per un qualcosa di tanto insignificante. >>
Aggiunse subito dopo, fissandomi di nuovo con quello sguardo triste, implorante.

Sbuffai ancora una volta, ma accettai.

Lo sguardo di Serilda si illuminò.
In un battito di ciglia afferrò uno strano coltello da uno dei tavoli in quella stanza, premendo poi un pulsante nel manico.

Improvvisamente la lama di quel piccolo coltello divenne rossa come il fuoco, mi colse davvero di sorpresa.


<< Che diavolo è quello? >>
Le domandai, leggermente preoccupato da quell'oggetto.

<< E' una mia creazione. E' un coltello che può tagliare il metallo come se fosse burro. >>
Mi rispose.


Immagina cosa accadrebbe se lo usasse su una persona. ~
Sentii dire da quella voce.

< Sta zitto, non cominciare anche tu a mettermi ansia. >
Gli risposi.


<< Non è pericoloso? >>
Domandai a Serilda, dopo qualche secondo di silenzio.

Sera sollevò lo sguardo verso di me, sorridendo.

<< No, non lo è. Ho creato personalmente sia il sistema di riscaldamento, che quello di raffreddamento. Ho rivestito la lama con una speciale pellicola che isola il calore, tranne quando entra in contatto con il metallo. >>

Non mentirò: rimasi a bocca aperta, non appena disse quelle parole. Non avevo la benché minima idea di cosa stesse dicendo, o se fosse realmente possibile fare una cosa del genere.

Serilda sicuramente notò i miei dubbi.

<< Vedo che... Sei piuttosto scettico. Quando ho detto di essere un fabbro e un genio, non stavo mentendo. Posso creare ogni cosa, se ho i materiali giusti. Anni fa c'era una persona qui dentro che aveva un'abilità, per me, davvero interessante. Poteva creare una speciale sostanza gelatinosa che si attaccava a ogni cosa come se fosse colla, e questa sostanza era in grado di agire come isolante termico. Lui stesso era solito avvolgersi con quella sostanza per aiutare durante gli incendi. Per farla breve, questa sostanza isola il calore ma non del tutto... Infatti, parte del calore poteva superare la sostanza gelatinosa, lasciando lievi ustioni persino nel corpo di quella persona, se esposta per troppo tempo al calore. Io, quindi, gli chiesi se potesse darmi un po' di quella sostanza e ci ho lavorato per anni, riuscendo alla fine a creare questo coltello. Ok, non è perfetto, e ogni tanto mi brucio da sola e devo cambiare la pellicola, ma nove volte su dieci va tutto come dovrebbe. >>
Mi rispose, mostrandomi poi un grosso sorriso.

<< Nove su dieci... Uh? >>
Le domandai, scettico.

<< Ok, sette su dieci. >>
Mi rispose, sollevando le mani verso il cielo come se non le importasse.


<< Sai cosa? Sto cominciando a rivalutare la fiducia che ti sto dando. >>
Le risposi, con tono innervosito.

<< Oh, non preoccuparti! Andrà tutto nel migliore dei modi! >>
Esclamò subito dopo, con tono divertito.

<< ... Probabilmente. >>
Aggiunse subito dopo, 

<< P-Probabilmente?! >>
Ripetei, incredulo davanti alla tranquillità che aveva in quella situazione.

<< Oh andiamo! Quali sono le chance che questa cosa possa andare male? >>
Mi domandò, con tono divertito.

<< Perché sembri divertita da tutto questo?! E, per rispondere alla tua domanda, direi tre su dieci, quindi un bel trenta percent- >>
Non feci neanche in tempo a finire la frase che Serilda tagliò di netto un piccolo pezzo del nastro viola.

Rimasi di sasso davanti a quella scena. Potei sentire il cuore salirmi in gola, guardando quel frammento viola lungo qualche centimetro cadere rapidamente al suolo.

Subito dopo posai il mio sguardo su Sera, fissandola con occhi spalancati per qualche istante senza proferire parola.



Ti aspettavi davvero un finale differente a questa farsa? ~
Sentii dire da quella voce.


In quell'istante mi lanciai verso Serilda, dopo aver fatto scomparire il nastro viola.


<< Ti ammazzo! >>
Le urlai contro, furioso, avvicinandomi minacciosamente a lei.

Serilda cominciò a ridere di gusto, divertita da quella situazione.


Seriamente, ripensandoci non riesco ancora a capire se mi stesse prendendo per i fondelli o se sia veramente fuori di testa.


<< Oh, andiamo! Perché sei arrabbiato? E' andato tutto bene, no? >>
Mi domandò, ridendo così tanto da arrivare persino a piangere.

Quella sua reazione mi mandò in bestia: sentii il mio cuore in gola, le vene pulsare all'impazzata.

<< Non è quello il problema! >>
Esclamai.


Subito dopo aver pronunciato quelle parole, sentii un forte rumore metallico provenire dalle mie spalle.
Sia io che Serilda ci voltammo allo stesso momento verso l'entrata, osservando poi in silenzio due persone entrare all'interno del laboratorio.


<< Ah, vedo state già facendo amicizia. >>
Disse Mist, con un sorriso divertito stampato in volto.

<< Sono abbastanza infastidito al momento, non peggiorare la situazione. >>
Gli dissi.

Sentii Serilda ridacchiare.

Mi voltai verso Serilda, digrignando i denti, solamente per vederla mentre mi faceva l'occhiolino, allontanandosi con in mano il nastro lungo qualche centimetro che aveva tagliato poco prima.

<< Tu, piccola... >>
Borbottai, trattenendomi dall'insultarla.


Subito dopo sentii Jeanne chiamarmi per nome.
Mi voltai rapidamente verso di lei.

Era al fianco di Mist, che sorrideva. 
Mi calmai improvvisamente, notando che stesse bene.

Ricambiai rapidamente quel suo sorriso, senza proferire parola.

Subito dopo mi voltai verso Mist, assumendo un'espressione del tutto differente.


Rimasi in silenzio a fissarlo per qualche istante, notando che anche lui ricambiò quel mio sguardo con uno deciso, quasi di sfida.

<< "Mist", giusto? >>
Gli domandai, chiedendogli conferma.


<< Si. Credo sia il mio nome. >>
Mi sorrise.

<< Lo è davvero? >>
Gli domandai, non credendo a quelle sue parole.

Mist rimase in silenzio per qualche istante, fissandomi con uno sguardo divertito.

<< E' "Yuushi Hikari" il tuo vero nome? >>
Mi domandò subito dopo, rigirandomi contro la mia stessa domanda.

Istintivamente, feci un verso infastidito. 

<< Ho toccato un tasto dolente, per caso? >>
Mi domandò subito dopo, divertito.

<< Prima di decidere se accettare o meno la vostra offerta, voglio vedere di che pasta sono fatti i membri dell'Uroboro. >>
Gli dissi subito dopo, muovendomi lentamente nella sua direzione.

Mi fermai a meno di un metro di distanza da lui, guardandolo dal basso verso l'alto, senza però mostrare alcun segno di inferiorità.
Era, dopotutto, più alto e robusto di me.

Continuai a fissarlo dritto negli occhi, mostrandogli una smorfia di sfida.

Mist mi mostrò un sorriso incuriosito.

<< Ti sfido ad uno scontro uno contro uno. >>
Aggiunsi subito dopo.


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Fine del capitolo 4-7 e, con esso, del volume 4! Alla prossima con l'inizio del volume 5!













 

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Capitolo 27
*** Capitolo 5-1: Forza ***


Capitolo 5-1: Forza

 


Mist mi guardò in silenzio per non so quanti secondi, con una espressione palesemente sorpresa stampata in volto.
Continuai ad attendere impazientemente una sua risposta, inutilmente, senza mai distogliere lo sguardo dalla sua faccia, per almeno un minuto che sembrò non finire mai.

Prima che potessi, però, aggiungere qualcosa, Mist fece una sottile risatina.

<< Mi hai colto di sorpresa, se devo essere onesto. >>
Non riuscii a sopportare quel ghigno divertito che mi mostrò: non mi considerava nemmeno una minaccia.

<< Credi io stia scherzando, per caso? >>
Ringhiai, irritato dal suo comportamento, incrociando le braccia davanti al petto.

<< E' passato tanto tempo dall'ultima volta che qualcuno è stato così pazzo da sfidarmi a duello. Quindi perdonami se mi è difficile prenderti sul serio. >>
Mi rispose, con tono divertito.

Feci un verso infastidito alla sola vista di quel suo sorrisetto.

<< Sottovalutami, fai pure. Ti pentirai di guardarmi dall'alto in basso. >>
Non appena pronunciai quelle parole, notai che il sorriso stampato nel volto di Mist cambiò.

Stava sempre sorridendo, ma non era più un ghigno di scherno....
Era diverso.

Mist si avvicinò lentamente a me, arrivandomi talmente vicino da riuscire a sussurrarmi all'orecchio.

<< Fa attenzione a dire certe cose davanti a qualcuno come me, ragazzino... >>
Quel suo tono fu talmente cupo e intenso che sembrò quasi penetrarmi dentro le ossa. 
C'era qualcosa di sinistro nei suoi occhi, nel modo in cui mi parlò ... Ancora, però, non avevo idea di cosa fosse.

Come se non bastasse, notai, con la coda dell'occhio una strana foschia scura intorno a noi, quasi come se fosse del fumo.

<< ... Le parole possono metterti in guai grossi, se non sei in grado di tener fede a ciò che dici. >>
Subito dopo aver detto quelle parole, si allontanò di nuovo da me, assumendo di nuovo un sorriso e uno sguardo di scherno.

<< Perché non mi metti alla prova? >>
Gli risposi, riacquistando finalmente la mia compostezza, dopo qualche istante.
Quelle mie parole colsero Mist di sorpresa: spalancò le palpebre, fissandomi con una espressione divertita, ma decisamente incuriosita.

<< Sei divertente. >>
Ridacchiò.

<< Non so dire se tu sia spavaldo, o semplicemente stupido. La linea che divide le due cose non è poi così tanto grossa, in fin dei conti. >>
Continuò.

<< Sono solamente curioso di vedere ciò che il membro più forte della fazione dell'Uroboro può fare. Mi servirà come indicazione per decidere se restare qui o meno. >>
Sentendo le mie parole, Mist ridacchiò.

<< Oh, no. Quel titolo è di Evans, non mio. Io sono il numero due, qui dentro. >>
Mi disse.

<< In più... >>
Continuai, cominciando istintivamente a ringhiare, ignorando letteralmente la sua risposta.

<< ... Non mi è andato per niente a genio il modo in cui si è concluso il nostro *primo* incontro. >>
Aggiunsi subito dopo.

La mia risposta non sembrò cogliere Mist alla sprovvista.

<< Oh? Non ti piace essere colpito alle spalle da un altro uomo? >>
In quell'istante, il mio corpo si mosse da solo.
Scattai istintivamente in avanti, deciso a colpirlo con un pugno in pieno volto: Mist evitò il mio attacco con facilità.

Mi voltai verso di lui, digrignando i denti, subito dopo aver completamente mancato il mio attacco.
Era divertito, ma l'avevo obbligato a indietreggiare. 
Non mi stava sottovalutando.


Nonostante tutto, però, quel suo modo di fare mi diede, ugualmente, sui nervi. Non riuscii a sopportarlo.
Un solo pensiero mi passò per la testa, in quel momento: prenderlo a calci e fargli scomparire quel maledetto sorriso dal volto era l'unica cosa a cui riuscii a pensare.


Istintivamente, cominciai a respirare talmente pesantemente che sembrò quasi stessi ringhiando.
Mist non sembrò per nulla preoccupato.

<< Oh, scusami. A quanto pare non ti piacciono le battute: ne ho preso nota. >>
Mi disse, con tono divertito.

Continuai a fissarlo in silenzio per qualche istante, fino a quando non sentii qualcuno strattonarmi con forza alle spalle.
Mi voltai di scatto verso quella persona, vedendo una Serilda visibilmente infastidita.

<< Sei sordo, oltre che cocciuto, Beethoven? Ti ho chiamato per ben tre volte, e non ti sei neanche girato! Ti dispiacerebbe non attaccare briga nel mio laboratorio? Non vorrei rompeste qualcosa, sai? >>
Mi disse.

<< Volevo parlarti proprio di questo, Sera. >>
Aggiunse Mist, in quel preciso istante.
Sia io che Serilda ci voltammo verso Mist, all'unisono.

<< Che ne dici se ci trasferissimo nella tua "Testing Room"? >>
Le domandò.

<< Per lo meno non romperete nulla qui. >>
Rispose Serilda, alzando gli occhi al cielo.


Dopo aver detto quelle parole, Sera si diresse verso uno schermo verde appeso su un muro alla nostra destra, toccandolo poi come se stesse inserendo un qualche genere di codice.

Pochi istanti dopo sentii il pavimento tremare: il muro a pochi metri di distanza da Serilda cominciò lentamente ad aprirsi, per poi scomparire nel pavimento in modo simile all'entrata del laboratorio, dopo pochi secondi.
Quel tremare cessò non appena si aprì del tutto quel nuovo passaggio.


<< Prego. >>
Disse Serilda, invitandoci a entrare nella stanza che era apparsa in quel muro.
Non appena varcai quella soglia, rimasi completamente sbalordito davanti a quella vista.

Una seconda stanza, grande ad occhio quanto quella in cui eravamo prima, ma completamente vuota.
Il pavimento era grigio metallico, mentre il soffitto e le mura erano di un intenso bianco.

Per un attimo, mi sembrò di rimanere quasi abbagliato dalla luce che vi era all'interno della stanza.


<< Questa, signori e signore, è la mia "Testing Room". Dopo aver creato qualcosa, sono solita fare i collaudi qui dentro. >>
Disse Serilda, dandoci poi le spalle.

<< Il pavimento è fatto quasi interamente di titanio, per svariate ragioni che non ho intenzione di elencare. Quindi datevi pure alla pazza gioia. >>
Continuò, voltandosi poi verso di noi, facendo un occhiolino.

<< Io, invece, ho intenzione di stare qui a godermi lo spettacolo dalla distanza, quindi dateci dentro! >>
Aggiunse subito dopo averci superati, sedendosi su una panca alle nostre spalle, per poi fare cenno a Jeanne di sedersi vicino a lei.

<< Voi assicuratevi non sia noioso, noi ci assicureremo di fare il tifo. >>
Concluse, facendo di nuovo l'occhiolino.

<< Titanio?! Quanto è costato ricoprire un'area così grande con lastre di titanio?! >>
Esclamò Jeanne, incredula.

Serilda la guardò per un istante con una espressione sorpresa, per poi cominciare a ridere.

<< H-Ho detto qualcosa di strano? >>
Le domandò Jeanne, visibilmente confusa dalla reazione di Serilda.

<< "Quanto è costato"? Niente! Abbiamo rubato i materiali ai militari! >>
Le rispose, divertita.

<< Oh... >>
Fu l'unica risposta di Jeanne.

<< Non so davvero quale altra risposta ti stessi aspettando, Jeanne. >>
Le dissi.

Jeanne si voltò verso di me, rossa in volto.

<< Beh ecco... Io non... In realtà... >>
Balbettò, non sapendo cosa rispondermi.


Davanti a quella scena, mi scappò involontariamente un sorriso divertito.




<< Sei davvero sicuro di voler fare questa cosa? >>
Mi domandò Mist.

Eravamo entrambi al centro di quella stanza, a pochi metri di distanza l'uno dall'altro.

<< Se non vuoi che io ti prenda a calci, dillo pure. Non c'è vergogna nell'avere paura di sfidare qualcuno faccia a faccia. >>
Gli risposi, cercando di farlo innervosire, con tono divertito.

<< Sai... Credo che sto cominciando ad avere un'idea piuttosto chiara di quale genere di persona tu sia... >>
Mi rispose Mist, assumendo una espressione seria.

<< Oh, ma davvero? >>
Gli domandai, incuriosito dalle sue parole.

<< E che genere di persona sono, sentiamo? >>
Aggiunsi subito dopo.

Mist sorrise.

<< Facciamo così... >>
Disse.

<< Se resisti per ben cinque minuti, te lo dico. >>
Aveva riacquistato, per l'ennesima volta, quel tono e quel ghigno di scherno.
Infastidito da quel suo comportamento, mi lanciai verso di lui senza neanche pensare a una strategia.


Ora che ci penso... Considerando tutto... 
Levyathan non era il solo ad avere un problema di gestione della rabbia.


Non fu una scelta saggia: Mist evitò con disinvoltura ogni mio attacco, senza mai perdere quel ghigno divertito.

<< Smettila di sfottermi! >>
Urlai, frustrato dalla sua faccia, mentre provai a colpirlo con un montante.

Mist bloccò anche questo mio attacco con una singola mano.
Prima che potessi anche solo provare a liberarmi dalla sua presa, Mist si mosse rapidamente, piegando con forza il mio braccio dietro la mia schiena.

Sentii una forte fitta, quasi come se fosse una scarica elettrica, passare per tutto il mio corpo, e lanciai un istintivo urlo di dolore.
Istintivamente, provai a liberarmi da quella presa provando a colpire Mist al volto con una gomitata, con il braccio libero.

Mist bloccò anche questo mio tentativo, per poi buttarmi al suolo con un calcio nella schiena.


La differenza fisica tra me e lui era troppo elevata... Scegliere un approccio così diretto contro di lui non fu per niente una scelta saggia.
Il braccio era dolorante, ma potevo ancora muoverlo. 
Si era assicurato di non farmi danni significativi.

Mi rialzai rapidamente dal terreno, ma non feci in tempo a mettermi su due piedi: Mist mi colpì con un calcio in pieno volto, facendomi cadere per la seconda volta di fila nel terreno.


<< E' questo tutto quello che sai fare? >>
Gli sentii dire.

In quell'istante, potei sentire una rabbia che non avevo mai provato prima crescere dentro di me come un vulcano che stava per esplodere.
Colpii con forza il terreno con un pugno, facendo risuonare quel rumore metallico per tutta la stanza.

Mi rialzai lentamente, voltandomi poi di scatto verso di lui.
Non dissi nulla. Non mi mossi nemmeno.
Rimasi in silenzio a guardarlo, digrignando i denti, con occhi spalancati.


Tra le cose che odiavo, quella era una di loro.
Sentirmi debole... Era un qualcosa che non avevo più intenzione di provare.


<< Abbiamo appena iniziato, non penserai davvero di avere la vittoria in pugno, vero?! >>
Ringhiai, indicandolo.

L'espressione di Mist cambiò in un istante.
Non era più divertito.


<< Fin'ora ne avevo solo il dubbio, ma ora ne ho avuto la conferma. >>
Mi disse.

<< Di cosa diavolo stai parlando?! >>
Gli domandai, non riuscendo a capire a cosa si stesse riferendo.

Mist non si degnò neanche di rispondermi: scattò verso di me, ed era molto più veloce di quanto mi fossi anche solo immaginato... Molto più veloce anche del Maestro.

A malapena fui in grado di bloccare il suo pugno con l'avambraccio, però venni colpito in pieno volto dal suo secondo attacco.

Prima che potessi anche solo provare a contrattaccare, Mist mi colpì in pieno ventre con una ginocchiata.
Mi piegai leggermente in avanti, reggendomi dolorante il ventre con una mano, tossendo, per poi venir colpito nel collo da una gomitata, cadendo per la terza volta nel terreno.


< Non posso crederci...! >
Fu l'unica cosa che mi passò per la testa, in quel momento, mentre sollevai lentamente lo sguardo, posando un'occhiata furiosa e dolorante su Mist, che ricambiò con uno sguardo quasi infastidito.


<< Ho cominciato ad avere dei dubbi da quando la tua amica mi ha parlato di te, poco fa. >>
Quelle sue parole mi colsero alla sprovvista.

Gli mostrai una smorfia infastidita, senza proferire parola.

<< All'inizio credevo fosse semplice spavalderia, nata probabilmente da una serie di vittorie e nessuna sconfitta. Poi, però, guardando queste tue reazioni, ho capito che non potevo avere più torto. >>
Continuò.

<< Sta zitto! >>
Per qualche motivo, quelle sue parole mi fecero molto più male dei suoi attacchi. Mi fecero sentire... Strano.

<< Non sono debole... >>
Sussurrai.

Mist sicuramente mi sentì: spalancò per un istante le palpebre, quasi come colto alla sprovvista dalle mie parole.

<< Non sono così debole da farmi battere così facilmente, non credere! >>
Esclamai subito dopo, rialzandomi rapidamente dal terreno.

Per qualche motivo, stavo tremando.
Ma non dalla paura.



Disprezzavo la debolezza, a quel tempo.
Essere deboli, per me, significava essere soli. E io non volevo più restare da solo.

I forti, avrebbero avuto tante persone vicino. Persone che li ammiravano, persone che chiedevano loro consigli. 
I deboli, sarebbero rimasti da soli. Nessuno avrebbe voluto stare con loro, nessuno avrebbe chiesto loro consigli, nessuno li avrebbe ammirati.

Tutti li avrebbero guardati con gli stessi occhi con cui si guarda un cane ferito, per poi lasciarseli alle spalle.

Avevo... Paura della solitudine.
Essere abbandonato, di nuovo... Non volevo più provare quella sensazione.

"Se diventerò forte, nessuno avrà più il coraggio di abbandonarmi o di ferirmi."
Fu questo ciò che mi dissi, quando il Maestro mi prese con se.

Mist sicuramente aveva notato questa crepa nella maschera che stavo indossando.
Aveva completamente infranto la sicurezza che mi ero creato in quegli anni, nell'arco di pochi minuti.


Mi voltai istintivamente verso Jeanne e Serilda.
Le loro espressioni erano... Preoccupate.


< Non sono debole... >
Pensai.

< Non guardatemi in quel modo... Non sono debole... >
Non fui in grado di mantenere il contatto visivo, quindi mi voltai di nuovo verso Mist.
Anche lui mi stava guardando con quegli stessi occhi.
Dall'alto in basso, con occhi colmi di pietà.


Le parole che sentii dire dal Maestro la notte che mi accettò nella sua comunità, improvvisamente acquisirono tutt'altro significato.

" Questo ragazzino è fragile. "

Per tutta la mia vita pensai il Maestro si riferisse alla mia forza fisica, ma non potevo essere più lontano dalla verità.
La mia debolezza, non era fisica.


In quell'istante, sentii qualcosa dentro di me andare in frantumi, come uno specchio.

<< Non sono debole! >> 
Urlai, sollevando un braccio verso di lui.


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Fine del capitolo 5-1, grazie di qvermi seguito e alla prossima!

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Capitolo 28
*** Capitolo 5-2: Debolezza ***


Capitolo 5-2: Debolezza




Mi sorsero i primi dubbi quando Jeanne mi disse quelle parole:
"Dopo essere stato allontanato dalla sua famiglia, quell'uomo lo ha accolto nella sua comunità..."

Un ragazzino, ormai solo, senza famiglia o qualcuno con cui potersi aprire... 
Quella scena mi era fin troppo familiare.

Più domande le feci, su quel fantomatico "Yuushi Hikari", più le mie preoccupazioni crescevano.

" ...E' forte, fiducioso... Ma, alcune volte, sa essere aggressivo e anche un po' troppo arrogante..."


Tutti i suoi comportamenti mi erano fin troppo familiari, in verità:

Eccessiva fiducia nelle proprie abilità.
Difficoltà nell'accettare una sconfitta.
Eccessivo allenamento giornaliero, arrivando persino a ferire gravemente il proprio corpo, nel mentre.

"Hai idea del perché?"
Fu la domanda che le feci.

"Mirajane ha detto che... E' ossessionato 'dalla forza'. Ma non ne conosco il motivo... "




<< Non sono debole! >>
Quando mi urlò contro quelle parole, cominciai finalmente a mettere insieme i pezzi del puzzle.

Io e lui non eravamo poi così tanto differenti, dopotutto.


Prima che potessi, però, rispondergli, vidi tre di quei lunghi nastri viola volare nella mia direzione ad una velocità spaventosa, oscillando nell'aria quasi come fossero lunghi tentacoli.
Una persona normale, non sarebbe mai riuscita a spostarsi in tempo.


Rimase visibilmente scioccato quando vide quei tre nastri passarmi attraverso, senza neanche graffiarmi, per poi conficcarsi nel terreno alle mie spalle.

Mi fissò con occhi spalancati, confusi, senza muovere neanche un muscolo o proferire parola.
Nonostante mi avesse trapassato da parte a parte, il suo attacco era andato a vuoto.


<< Stai cercando di uccidermi, per caso? >>
Gli domandai, mentre mi spostai di lato, facendomi attraversare da quei nastri come se fossi un ologramma.

Non mi rispose.
Era sicuramente troppo confuso per fare caso alle mie parole.

<< Perché, insomma... Una persona normale non sarebbe sopravvissuta a quel genere di attacco. E non credo che, nella vostra situazione attuale, uccidere un membro dell'organizzazione che vi ha offerto un posto avrebbe giocato a vostro vantaggio, non pensi? >>
Continuai.

In quell'istante Yuu si alzò di scatto dal terreno, mostrandomi un pugno e digrignando i denti.

<< Non ho intenzione di perdere contro qualcuno è troppo spaventato dall'affrontarmi faccia a faccia! Non sono così debole! >>
Continuò a ripetere quelle parole.

< Sei davvero ossessionato da questa cosa, eh? >
Decisi di tenermi quel pensiero per me stesso.


Avevo scatenato qualcosa dentro di lui che l'aveva mandato in bestia. 
Quei suoi occhi erano spalancati, ringhiava come un cane mentre mi fissava.

In più occasioni lo vidi anche cominciare a tremare, per poi bloccarsi di colpo... Presumo che lo bloccasse di proposito, notandolo lui stesso.


Ne ero sicuro, ormai. Quella sua ossessione era nata esattamente da ciò che Jeanne mi aveva detto. 



Mi si lanciò contro, furioso: non era assolutamente lento, ma i suoi movimenti erano fin troppo banali e scoordinati.
Evitai ogni suo attacco semplicemente facendo qualche passo di lato, fissandolo in silenzio mentre osservavo la sua rabbia crescere secondo dopo secondo.

Improvvisamente smise di attaccarmi. Fece qualche passo all'indietro, abbassando lo sguardo: incominciò a tremare.

<< Non di nuovo... Non di nuovo... >>
Lo sentii borbottare.

<< Non lascerò che accada di nuovo! >>
Urlò, alzando lo sguardo verso di me.

Era fuori di se: in una frazione di secondo fece un rapido movimento con entrambi gli arti nella mia direzione, poi notai almeno una dozzina di quei nastri metallici volare verso di me a una velocità spaventosa.

Se non fosse stato per la mia abilità, sarei diventato un colabrodo ambulante.


Quei nastri si conficcarono nel terreno ai miei piedi e alle mie spalle, facendo echeggiare quel profondo e metallico suono per tutta la stanza.


<< Yuu! >>
Sentii esclamare dalla ragazza dai capelli bianchi, dalla distanza.

<< Basta così! Stai davvero cercando di ucciderlo, per caso, Dottor Jekyll?! >>
Esclamò Serilda, subito dopo.


Quel ragazzo sembrò non sentire nessuna delle loro voci.


Non era più in se: in quel momento non era più un semplice "scontro amichevole", come avevamo programmato.
Era tempo di finirla, per evitare che facesse ulteriori danni.


<< Per ora, è meglio se ti dai una calmata. >>
Dissi.
Sotto il suo sguardo sorpreso e confuso, scomparvi da davanti a lui avvolto da una folta nube di fumo grigio, riapparendo poi alle sue spalle, a sua insaputa.

Quando si accorse della mia presenza fu, infatti, troppo tardi.
Lo colpii con forza con il dorso della mano nella tempia, facendolo cadere subito dopo nel terreno con un forte tonfo, privo di sensi.


Rimasi a fissarlo in silenzio per qualche secondo, senza proferire parola, poi sentii dei rapidi rumori di passi provenire dalle mie spalle.
Mi voltai lentamente, notando Serilda e Jeanne correre nella mia direzione, con espressioni preoccupate in volto.

Jeanne era quella più preoccupata.


<< Cielo... Non mi aspettavo di certo avrebbe reagito in questo modo... >>
Disse Serilda, ammirando il ragazzo privo di sensi disteso nel terreno.

Posai istintivamente il mio sguardo su Jeanne, la quale si era inginocchiata nel terreno per accertarsi dello status del compagno.

<< E' vivo. So dove colpire per mettere al tappeto qualcuno senza causare troppi danni. Si risveglierà con un forte mal di testa, ma non dovrebbe avere nulla. >>
Le dissi, notando la sua preoccupazione, provando a farla rilassare.

<< Era veramente necessario? Non c'era un altro modo? >>
Mi domandò, con occhi lucidi.

<< Stava perdendo il controllo, aveva smesso di ragionare. >>
Sentendo le mie parole, Jeanne abbassò di nuovo lo sguardo, posandolo sul ragazzo.

<< Ammetto di averlo provocato un po' più del necessario... >>
Sospirai.

<< Ma avevo alcuni dubbi che volevo verificare. >>
Non appena pronunciai quelle parole notai una espressione confusa apparire nel volto di Jeanne, la quale si voltò ben presto nella mia direzione.

<< "Dubbi"? Che genere di dubbi? >>
Mi domandò.

<< Ti dispiacerebbe se ti facessi alcune domande su di lui, Jeanne? >>
Acconsentì senza farsi troppi problemi alla mia richiesta.

<< Non so molto... Però il Maestro, Blake e Mirajane mi hanno detto alcune cose. Perché vorresti avere informazioni su di lui? >>
Chiese subito dopo.

<< Per avere le ultime conferme che mi servono. >>
Le risposi.
Quella era anche la giusta occasione per informare anche Serilda di ciò che Jeanne mi aveva detto prima.



<< Mi hai detto che è stato abbandonato da piccolo, giusto? >>
Le chiesi conferma.
Dopo aver sentito quelle parole, Serilda posò il suo sguardo sorpreso su di me.

Jeanne rispose con un cenno positivo del capo.

<< Da quanto mi ha raccontato Blake, Yuu è stato ripudiato dalla sua famiglia quando era molto piccolo, poi è scappato di casa... Il loro Maestro, poi, lo ha trovato e accettato nella sua comunità. >>
Mi rispose, confermando ciò che mi disse qualche tempo prima.

<< Mi hai detto che è solito allenarsi duramente ogni giorno, giusto? >>
Continuai.

Anche stavolta, Jeanne rispose positivamente.

<< Si... Mirajane mi ha detto che a volte arrivava a spendere gran parte della giornata ad allenarsi da solo, a volte ferendosi gravemente nel mentre... >>
Mi confermò anche stavolta ciò che mi aveva già detto.
Non mi serviva avere di nuovo quelle informazioni, ma volevo che fosse anche Serilda a venire a conoscenza di quei dettagli.

<< Hai idea di quando ha iniziato ad allenarsi così duramente? >>
Stavolta, Jeanne mi rispose con un cenno negativo.

<< No, purtroppo non ne ho idea... >>
Mi rispose.

<< E' possibile che abbia cominciato quando è arrivato nella comunità? >>
Le domandai.

<< Forse...? Il Maestro mi disse che era ormai diventata una routine per lui, per anni. >>
Mi rispose.

<< Chi è questo Maestro di cui continui a parlarmi? Non ha un nome? >>
Avevo quella domanda già da prima, ma non ero ancora riuscito a fargliela.

<< Non saprei... Non ho mai sentito nessuno chiamarlo per nome. Forse a lui non piace, e ha chiesto a tutti di non farlo? >>
Continuò.

<< Ha mai avuto reazioni di questo tipo? >>
Stavolta fu Serilda a farle una domanda, togliendomi le parole di bocca.

Jeanne abbassò lo sguardo per un istante, posandolo sul compagno.
Poi, qualche secondo più tardi, lo posò di nuovo su di noi.

<< No. >>
Ci disse, facendo un cenno negativo con il capo.

<< Sei sicura? >>
Le chiesi conferma, non riuscendo a credere a quella sua risposta.
Jeanne mi fissò in silenzio per qualche secondo, poi mi sorrise.


Tutt'ora non so se mi abbia mentito o meno, in quel momento. 


Nonostante fossi ancora dubbioso, accettai la sua risposta.
Mi voltai verso Serilda, la quale si stava reggendo il mento con due dita, pensierosa.

<< Stai pensando a qualcosa? >>
Le domandai.

<< Potrebbe trattarsi di PTSD. >>
Mi rispose.
In quell'istante Jeanne la guardò con una espressione confusa.

<< "Disturbo da stress post-traumatico".  Si può sviluppare in persone che hanno vissuto qualcosa di traumatico dal quale non riescono più a riprendersi. >>
Le spiegò, posando poi il suo sguardo su Yuushi.

<< Da quanto avete detto, è possibile sia nato quando la sua famiglia l'ha abbandonato. Hai idea di cosa sia successo esattamente? >>
Continuò, voltandosi poi verso Jeanne.

<< Uhm... Se ricordo bene, Blake mi disse che Yuu provò a chiedere aiuto alla sua famiglia, ma non andò bene... >>
Le rispose la ragazza.

<< Se dovessi tirare a indovinare... >>
Disse Serilda, posando di nuovo il suo sguardo sul ragazzo.

<< L'ossessione che ha con la forza è dovuta proprio a quel trauma. Deve aver collegato, in qualche modo, la debolezza a quell'evento. >>
Continuò.

<< Dici? Come, perché? >>
Le domandò Jeanne, incredula.

<< Quelle sono domande alle quali solo lui può rispondere. >>
Le risposi, aggiungendomi al loro discorso.


<< Perché stai sorridendo? >>
Sentii domandarmi da Serilda, con un tono sorpreso e leggermente infastidito.

<< Quando si sveglierà, vorrà di sicuro sfidarmi di nuovo. >>
Le risposi.

<< E' palese. E farò di tutto per impedire che voi due- >>
Non lasciai finire Serilda.

<< Ho intenzione di accettare la sua offerta. >>
Non appena pronunciai quelle parole, Sera e Jeanne mi guardarono con espressioni scioccate.

<< Sei fuori di testa?! Perché dovresti?! >>
Mi domandò, confusa dalle mie parole.

<< Per prima cosa, non ho intenzione di accettare qualcuno nella fazione dell'Uroboro che non sia in grado di mantenere il controllo di se, in una situazione problematica. Quel genere di persone causano più problemi che altro, e non voglio gente di quel tipo con noi. >>
Sentendo le mie parole, Serilda incrociò le braccia davanti al suo petto, sospirando, posando lo sguardo sul ragazzo ancora privo di sensi.

Sapeva che non avevo torto.

<< Hai qualcosa in mente? >>
Mi chiese Serilda.

<< Ho vissuto in prima persona ciò che lui sta provando in questo momento... >>
Quelle mie parole colsero Jeanne alla sprovvista.

<< ... Non posso curarlo, ma posso dargli una mano. >>
Continuai.
Con la coda dell'occhio, vidi Serilda sorridere.

<< Anni fa non avresti mai detto una cosa del genere. >>
Mi disse.

<< Anni fa non ero neanche qui. >>
Le risposi.


<< Comunque... Avrei un'ultima domanda, Jeanne, se non ti dispiace. >>
Dissi alla ragazza dai capelli bianchi.

<< Quale sarebbe? >>
Mi domandò, con tono incuriosito.

<< "Yuushi Hikari" non è il suo vero nome, giusto? >>
Le chiesi conferma riguardo quel mio ultimo dubbio.

<< No... E' Gilles Leroy. >>
Mi rispose.
Subito dopo una espressione preoccupata apparve nel suo volto.

<< P-Però non chiamarlo in quel modo! Mirajane e Blake mi hanno detto che odia essere chiamato così! >>
Aggiunse.

<< Oh? Ma davvero? >>
Le risposi, divertito dalle sue parole.

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Fine del capitolo 5-2, alla prossima e grazie di avermi seguito!


 

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Capitolo 29
*** Capitolo 5-3: Dolore ***


Capitolo 5-3: Dolore

 



Non appena risposi alla domanda di Mist, cominciai a chiedermi se avessi o meno fatto la scelta giusta a rivelargli il vero nome di Yuu.

Lo odiava, non voleva sentirlo...
Se Mist l'avesse chiamato in quel modo, Yuu avrebbe sicuramente dato le colpe a me...

Mi sentii in colpa, non desideravo che lui se la prendesse con me...

"Ho fatto la scelta sbagliata, Beatrice?"
Istintivamente mi rivolsi a lei, cercando  quel supporto materno che mi diede fin da quando ero piccola.

<< Stai cercando conferma alle tue preoccupazioni, o un modo per non sentirti in colpa? >>
Fu la sua risposta.

Non le risposi: entrambe quelle opzioni mi fecero star male.
Istintivamente posai il mio sguardo su Yuu, il quale era disteso, privo di sensi, sul pavimento a pochi metri di distanza da noi.
Non mi sembrò giusto lasciarlo li su quel pavimento freddo, ma né Mist né Serilda sembrarono preoccuparsi per lui. 

Chiesi loro se sarebbe stato più opportuno distenderlo da qualche altra parte, ma Mist mi disse che non ce ne fosse bisogno, che si sarebbe ripreso da li a pochi minuti e che sarebbe stato troppo impegnato a sbraitare per rendersi conto di dove l'avessimo lasciato.

Non mi sembrò comunque giusto, quindi decisi di avvicinarmi da lui per vedere quale fosse la sua condizione.


Esattamente come predetto da Mist, non passò molto tempo prima che Yuu si riprendesse.
La prima cosa che fece, non appena riaprì gli occhi, fu guardarsi intorno con un'aria confusa.

Per un attimo non mi sembrò neanche infastidito dall'accaduto... E per un attimo mi sentii anche più tranquilla.

"Magari non vuole più scontrarsi con Mist"
Pensai.
Purtroppo, però, cambiò tutto in una frazione di secondo.

<< Stai bene? >>
Gli domandai.

Yuu cominciò a guardarsi istericamente intorno, come se fosse alla disperata ricerca di qualcosa, per poi bloccarsi di scatto nella direzione di Mist.
In quell'istante capii che la situazione non si era assolutamente risolta, e che fui una sciocca a pensare il contrario.


Mist ricambiò lo sguardo di Yuu da lontano, senza muoversi, appoggiato ad un muro di schiena e con le braccia conserte.
Sembrò quasi lo stesse sfidando con lo sguardo... Quella situazione non mi piacque per nulla.

Yuu si alzò rapidamente dal terreno, dando le spalle a me e Serilda, ringhiando nella direzione di Mist.

<< Ed ecco Mr Hyde. >>
Sentii borbottare da Sera.
Sono sicura fosse un qualche genere di riferimento a qualcosa, ma non riuscii a coglierlo.
A dir la verità, non feci per quasi caso alle sue parole: avevo be altre preoccupazioni in testa, in quel momento.

<< Bastardo! Non penserai davvero che il nostro incontro sia finito, vero?! >>
Urlò Yuu.

Istintivamente mi mossi nella sua direzione, allungando una mano verso di lui.
Volevo provare ad aiutarlo, ero sicura che stesse soffrendo.

Quella situazione aveva innescato qualcosa in lui che ancora non era in grado di controllare, da solo... 
Quindi decisi di aiutarlo, esattamente come feci il primo giorno che lo incontrai.

Solamente perché non stesse chiedendo aiuto, non significava che non ne necessitasse.


Purtroppo, però, non fui in grado di raggiungerlo.


<< Non serve continuare così, Yuu... >>
Gli dissi, parlandogli con un tono calmo e gentile, con tutta l'intenzione di aiutarlo a calmarsi.

<< Che ne dici se esploriamo insieme la base? Non ti andrebbe di parlare con altre persone, per sapere cosa pensano di questo posto? >>
Continuai, provando ad appoggiargli la mano sulla sua spalla.

In quel preciso istante Yuu si voltò di scatto verso di me, allontanando con forza la mia mano da se.
I suoi occhi erano fermi, spalancati, e ringhiava così intensamente che per un attimo mi sembrò un animale feroce.

Non mi fece male... Non fisicamente, per lo meno.

<< Non dirmi cosa devo fare, fatti i cazzi tuoi! >>
Urlò, con la stessa rabbia di un lupo affamato.


Non... 
Non riuscii a rispondergli.

Continuai a fissarlo in silenzio, abbassando lentamente la mano che avevo allungato verso di lui, mentre Yuu mi diede di nuovo le spalle.
Riprese a parlare con Mist, ma non feci caso a ciò che si dissero.


"Ho fatto qualcosa di sbagliato?" 
Mi domandai.


Quelle sue parole mi fecero ancora più male di quanto mi aspettassi, in quel momento... Le sentii pesare sul mio petto, lacerarmi come lame affilate.
Per qualche istante, mi domandai se avessi detto qualcosa di sbagliato, se avessi sbagliato approccio.

Sapevo mi importasse di lui: c'era qualcosa che non riuscii a spiegarmi ancora ma che mi spingeva a stare con lui, qualcosa che mi diceva di stargli vicino, porgergli la mano esattamente come lui aveva fatto con me.

Sapeva essere un po' acido, quando voleva, e anche leggermente egocentrico e sfacciato, ma sapevo non fosse una cattiva persona.
Volevo aiutarlo di mia spontanea volontà, esattamente come lui fece con me.

Fin da quando lo incontrai, lui continuò a mostrare quell'aria da duro, senza però riuscire a nascondere appieno quel suo lato gentile che ben poche volte fui in grado di vedere in qualcuno.
Ogni tanto falliva nel mantenere quella facciata, imbarazzandosi e dando rapidamente le spalle al suo interlocutore, continuando però a recitare la sua parte come se nulla fosse accaduto.
Adorava prendersi gioco delle altre persone, scherzosamente, eppure odiava vederle in difficoltà.

Sapeva essere un idiota, ma non per cattiveria: ne ero certa.


Quel giorno avrebbe potuto abbandonarmi a me stessa.
Dopotutto, che motivo aveva per soccorrermi? Non sapeva chi io fossi. Che motivo avrebbe avuto per mettersi in pericolo per qualcuno che a malapena conosceva?

Molti mettevano in dubbio i suoi metodi e le sue parole, tanti altri preferono stargli lontano proprio a causa di quel suo carattere.
Era, però, esattamente quello che lo faceva soffrire.

Più le persone dubitavano di lui, più lui avrebbe continuato a mostrare sempre di più quella maschera.
Forse compresi appieno il motivo dietro a quel suo carattere in quel preciso istante...

Aveva paura che le persone dubitassero di lui, quindi si sentiva obbligato a mostrare loro la sua forza.
Spesso, però, risultando sfacciato, arrogante ed egocentrico.

Probabilmente, secondo lui quello era l'unico modo che aveva per evitare che le persone lo abbandonassero di nuovo.


Mi avvicinai ancora una volta a lui, provai a parlargli.
Fu inutile.

Yuu si voltò verso di me di scatto.
Era furioso.

Rimasi in silenzio a fissarlo per qualche istante, non riuscendo a capire perché mi stesse guardando in quel modo.

<< Non mi serve il tuo aiuto, non sono così debole! >>
Continuò a ripetere quelle parole, ignorando ogni mia singola parola.

Sembrò quasi non volesse sentire nulla di ciò che provai a dirgli.
Continuai imperterrita a provare a convincerlo, ma senza successo.


<< Perché diavolo sei qui?! >>
Esclamò ad un certo punto.

Quella sua domanda mi colse completamente alla sprovvista.

Continuò a fissarmi con uno sguardo accigliato, muovendosi lentamente e con passo minaccioso nella mia direzione, puntandomi un dito contro.
Ad ogni suo passo in avanti, istintivamente ne seguii uno mio all'indietro.

Non ebbi neanche il tempo di rispondergli.

<< Non saresti dovuta venire qui! >>
Continuò.

<< Saresti dovuta rimanere con Blake e Mirajane all'interno delle mura, hai una minima idea di dove siamo finiti, vero?! >>
Continuò imperterrito a ringhiare nella mia direzione indicando il posto intorno a se e me, ad alternanza. 

Non riuscii a capire come mai avesse cominciato a parlare di tutto quello, in quel momento.
Non fui in grado di trovare il nesso tra ciò che provai a dirgli e quelle sue parole.

<< Voglio solo darti una mano come tu hai fatto con me. >>
Le mie parole non furono in grado di raggiungerlo.

<< Rivelare a tutti il mio nome è il tuo aiuto, il tuo modo di ripagami?! >>
In quell'istante capii perché se la fosse presa con me, così all'improvviso.

Mist l'aveva sicuramente chiamato per nome, e lui era furioso con me per quello.
Sapeva che l'unica persona che poteva averglielo rivelato, ero io.

<< Non mi servi qui, vattene! >>
Quelle parole stavolta mi fecero ancora più male di prima.

Provai a parlargli, ma le parole non uscirono dalla mia bocca.
Sentii una forte fitta nel petto, e non fui in grado neanche di muovermi...

Il mio corpo cominciò a tremare...
Non appena sentii la prima lacrima rigarmi il viso, le altre la seguirono a ruota come un fiume in piena.

Fu straziante per me sentirgli dire quelle parole, e l'unica cosa che riuscii a fare fu guardarlo in silenzio, singhiozzando, con la vista completamente appannata e lucida.
Ogni parola che provai a dire mi si bloccò in gola, quasi impedendomi di respirare.


Tremavo, non riuscivo a fermarmi.
Continuai a sentire le lacrime rigarmi il viso quasi come se qualcuno mi stesse graffiando.

Non fui più in grado di controllarmi...
Istintivamente diedi loro le spalle, scappando via di corsa da quella stanza, senza mai guardarmi indietro.


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Fine del capitolo 5-3, grazie di avermi seguito e alla prossima!

 

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Capitolo 30
*** Capitolo 5-4: L'Altro Lato ***


Capitolo 5-4: L'altro lato

 



"Forse sarebbe stato meglio se foste rimasti fuori da questa faccenda."

Quelle sue parole mi colsero del tutto impreparato e, per qualche motivo, mi misero in corpo una strana sensazione.


<< Cosa vorresti dire con queste parole? >>
Gli domandai.

Orion rimase immobile a fissarmi per qualche istante con quei suoi occhi vuoti, spenti, mostrandomi una espressione che, se dovessi descriverla, direi fosse un misto tra curiosità e diffidenza, il tutto accompagnato dalla sua stessa posa.

Quel ragazzo mi ricordò Levyathan in una maniera terrificante.
Quella mano dietro la sua schiena, l'altra posata delicatamente sull'elsa della sua spada, quella espressione.

Se non fosse stato per quei suoi occhi, l'altezza e i capelli di diverso colore, avrei detto si trattasse della stessa persona.


<< Avete accettato di diventare soldati. Per quale motivo, se non vi dispiace dirmelo? >>
Mi domandò, senza cambiare espressione.

<< Non... Ne abbiamo già parlato con il Generale, poco fa? >>
Gli chiesi.

<< Mi piacerebbe sentirlo di nuovo. Lontano da lui. >>
La sua risposta fu secca.

<< Cosa pensi di poter fare, che altri non possono? >>
Mi domandò, avvicinandosi con un passo lento verso di me.

<< Pensi di poter cambiare il mondo intorno a te? Di essere in grado di cambiare il modo in cui le persone vi guardano? >>
Continuò, fermandosi poco davanti a me.

I suoi occhi erano terrificanti.
Fui obbligato ad abbassare il mio sguardo per evitare il suo: mi fece congelare il sangue.

<< Ti abituerai, con il tempo. >>
Gli sentii dire, mentre mi diede le spalle, allontanandosi lentamente da me.

<< Voglio mostrare alle altre persone che noi non siamo una minaccia, per loro. Forse non sarò in grado di far cambiare loro idea, ma posso cominciare a farlo, e sono felice del fatto che il Generale Levyathan ci stia dando la possibilità di fare la differenza... O, per lo meno, cominciare a piantare i semi che un giorno potrebbero far cessare l'odio. >>
Orion non si voltò verso di me.

Si bloccò di scatto nel mezzo del corridoio, mentre io dissi quelle parole, ascoltandomi in silenzio senza neanche muovere un muscolo.

<< Pensi davvero di riuscire a fare una cosa del genere? >>
Mi domandò, fissandomi con la coda dell'occhio.

<< Non so se posso farlo. Ma ciò che so è che posso provare: probabilmente non farò cambiare nulla, ma devo fare ciò che posso. Se io non sarò in grado di raggiungere questo obbiettivo, allora farò in modo di spianare la strada per chi mi seguirà. >>
La mia risposta sembrò andargli a genio.

Si voltò rapidamente verso di me, per poi porgermi la mano.

<< Mi piaci. Mi piace il modo in cui ragioni, e mi piacerebbe chiederti di darmi una mano. >>
Quelle sue parole mi colsero, ancora una volta, alla sprovvista.

"Dargli una mano? Per cosa?"
Mi domandai, confuso dalla sua proposta.


Prima che potessi chiedergli spiegazioni, però, uno strano fumo intorno a noi apparve dal nulla, in una frazione di secondo, diventando man mano sempre più fitto.
Non rimasi all'oscuro per molto tempo, riguardo alla sua origine.

Seguimmo Orion, il quale ci disse che ci fosse stato un attacco da parte dei Ribelli.
A quel tempo ancora non lo sapevo, ma durante quell'attacco, finito male, Yuu e Jeanne vennero trasportati via dall'individuo conosciuto con il nome di "Mist", involontariamente.

Non durò a lungo.
Poco tempo passò, e finalmente quel fumo scomparve nel nulla, senza lasciare traccia.
Orion ci rivelò che i militari erano a conoscenza del fatto che i Ribelli avessero programmato un attacco diretto alla capitale, e che avevano preso tutte le precauzioni necessarie per scacciarli, obbligando gli invasori a fuggire anche prima di causare danni.

Quel giorno, fortunatamente, non ci furono perdite da nessuna delle due parti.
O, per lo meno, questo fu ciò che i militari ci dissero.

Levyathan non fu reperibile per due giorni interi, durante i quali Orion ci fece non solo da guida, ma fu persino talmente gentile da rispondere alle nostre domande.


Purtroppo, però, le sue parole non furono tutte positive.
"
Forse sarebbe stato meglio se foste rimasti fuori da questa faccenda.", quelle parole continuarono a rimbombarmi in testa.
Quando finalmente riuscii a chiedergli il loro significato, capii finalmente che, forse, Yuu non aveva torto riguardo a quel posto.



<< Levyathan è in grado di far credere a qualcuno che stia piovendo anche quando c'è il sole. >>
Mi disse.

<< Ci stai dicendo che ci abbia mentito? >>
Gli chiese Mirajane, preoccupata dalle sue parole.


Ci trovavamo tutti e tre nel mio alloggio.
Orion ci rivelò del fatto che gli era stato dato il compito di rispondere alle nostre domande, controllarci e di farci da guida nel Palazzo Reale.
Essendo un posto enorme, dopotutto, era molto facile perdersi per i nuovi arrivati.


<< Non ha mentito, tecnicamente... Ha, semplicemente, nascosto parti della verità. >>
Le rispose Orion, sospirando.
Sentendo quelle parole, sentii il mio cuore saltare un battito.

<< Cosa ci ha nascosto? >>
Gli domandai.
Orion mi fissò in silenzio per qualche secondo, fissandomi dalla sedia su cui era seduto con le braccia conserte e le gambe accavallate.
Il suo sguardo era freddo come sempre... Non mi ero ancora del tutto abituato alla sua presenza.
Era un qualcosa che non avevo mai provato in vita mia... Quasi come una perenne e profonda sensazione d'ansia ogni qual volta lui si trovava vicino a me.


<< Sei sicuro di volerlo sapere? Potrebbe non piacerti. >>
Mi rispose.
Sentii un brivido passare nella mia schiena, ma nonostante tutto gli risposi con un cenno positivo del capo.
Non potevo *non* sapere.

Orion sospirò.

<< Ricordate quando abbiamo parlato di quel villaggio, giusto? >>
Disse.

<< Il villaggio di Mahari. Si. Quello che ha nominato anche Yuu. >>
Gli risposi.

<< Siete stati veramente voi a raderlo al suolo? >>
Gli chiede Mirajane.
Fu la stessa domanda che mi feci anche io, ma non trovai il coraggio di fargliela.

<< No. E' vero che quando sono arrivato li, quel villaggio era già stato distrutto in precedenza. >>
Le rispose.
Subito dopo posò il suo sguardo su di me.

<< Ricordi le parole che ha detto? >>
Mi domandò.

<< Perché non ce lo dici direttamente, invece di essere così criptico? >>
Fu la mia risposta.

<< Dovete capirlo voi stessi. Se, magari, lo rivelassi io, ci sarebbe il rischio che voi non mi crediate. >>
Mi rispose.

<< Pensa a ciò che vi ha detto, quali sono le parole che ha detto? C'era qualcosa che avrebbe tranquillamente potuto evitare di dire, non credi? >>
Continuò.


Rimasi in silenzio a pensare alla discussione che avemmo con Levyathan, provando a fare memoria.
"Qualcosa che avrebbe potuto evitare"? Cosa c'era di strano nelle parole del Generale?

Continuai a farmi quelle domande, ripensando a quel discorso per qualche minuto, ma non riuscii a pensare a nulla.
Poi, però, mi bloccai all'istante.

Realizzai qualcosa...
In tutte le sue parole, ci fu qualcosa che effettivamente non aveva motivo di essere li.

Sentii l'ansia pervadermi, mentre sollevai lentamente lo sguardo verso Orion, il quale ricambiò con una espressione cupa.


<< L'hai finalmente capito? >>
Furono le sue uniche parole.

Non riuscii a rispondergli subito.
Provai a farlo, ma sentii le parole bloccarsi nella mia gola: avevo paura di farle uscire.

"Mi sto sbagliando."
Mi dissi.
"Non possono essere quelle."


<< Credo tu lo abbia capito, ormai. >>
Sentii dire Orion, dopo qualche minuto di silenzio durante i quali non sollevai neanche lo sguardo verso di lui.
Si alzò dalla sua sedia, dandoci poi le spalle.


Non ebbi il coraggio di sollevare lo sguardo.
Strinsi con forza i pugni attorno alle mie ginocchia, digrignando i denti dalla rabbia.
Yuu aveva ragione... Quel posto era sbagliato, e non saremmo riusciti nel nostro intento.


<< Levyathan ha detto che non fossero stati i militari a distruggere quel villaggio e, nonostante non abbia mentito, non posso dire che sia vero che non fossero coinvolti. I ribelli sono soliti distruggere le loro basi, quando scoperti, per evitare che i militari possano recuperare informazioni dopo che loro le hanno abbandonate. Quindi appiccarono un incendio per distruggere tutte le loro tracce... Purtroppo, però, la loro base si trovava nel mezzo di un centro abitato. >>
Non fui in grado di rispondergli nulla.

Mi sentii uno sciocco ad aver creduto a quell'uomo e non al mio migliore amico.
Potei solo immaginare come si sentisse Yuu, in quel momento... Tradito, abbattuto, solo.
Non mi sarei stupito se avesse deciso di odiarmi, dopo quello.


<< Avrebbero potuto spegnerlo. >>
Continuò Orion.

<< Ma non lo fecero: dopotutto, quel villaggio era conosciuto come simpatizzante della Fazione Azzurra. Hanno lasciato che accadesse. >>
Quelle parole mi mandarono in bestia.

Erano quelle le persone con cui avrei dovuto lavorare?
Erano quelle le persone a cui avevo giurato fedeltà?

No. 
Non avrei seguito quelle regole.

Se necessario, le avrei distrutte.


<< Ce ne andiamo. >>
Dissi, voltandomi verso Mirajane.
Mi rispose con un cenno positivo del capo. Era ovvio che la pensasse come me.

<< Mi dispiace, ma non potete farlo. >>
Quelle parole di Orion mi colsero di sorpresa.
Mi voltai di scatto nella sua direzione, guardandolo con uno sguardo confuso.

<< Cosa significa che non possiamo farlo? >>
Esclamò Mirajane, infastidita dalle sue parole.

<< Siete soldati, adesso. Avete accettato di esserlo. Qualunque tentativo di fuga o ammutinamento può essere persino punito con una esecuzione. >>
Non riuscii a credere a quelle parole.

Provai a urlare dalla rabbia, ma le mie urla mi si bloccarono in gola come il cibo che va di traverso.

<< N...Non puoi dire sul serio... >>
Balbettò Mirajane.
Il suo tono era spaventato.

<< Siamo persone, non oggetti di sua proprietà! >>
Esclamò subito dopo.


La risposta di Orion mi fece congelare il sangue.


<< Benvenuti nell'Arcadia. Il posto dove, se seguite le regole, vivrete una vita perfetta. >>
Ci disse.

<< Il posto dove, se non lo farete, finirete schiacciati come mosche. >>
Aggiunse subito dopo.


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Fine del capitolo 5-4, grazie di avermi seguito e alla prossima!

 

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Capitolo 31
*** Capitolo 5-5: Decisione ***


Capitolo 5-5: Decisione



Le parole che Orion mi disse quel giorno continuarono a ritornarmi in mente per tutta la notte, impedendomi di chiudere occhio.
Non riuscii a capacitarmi di aver fatto un errore così clamoroso, e cominciai a odiarmi con tutto me stesso per aver creduto alle parole di quel maledetto e non a quelle di Yuu...

Quella notte nemmeno Mirajane riuscì a dormire, quindi decise di ignorare l'avvertimento che Orion ci diede, e trascorse la notte insieme a me.
Non ci parlammo nemmeno... Rimanemmo in silenzio per tutto il tempo, anche se dopo appena qualche ora Mirajane riuscì finalmente a riposare.

Io, al contrario, non ne fui in grado.



Nonostante la notte in bianco, la mattina seguente fui comunque in grado di svolgere la mia classica routine, alzandomi anche prima che Mirajane si svegliasse.
Andai nella cucina, che mi era ancora aliena, e decisi di preparare del caffè in attesa che Mira si svegliasse.
Adorava il mio caffè, era solito dire fosse "l'unico motivo per cui si era messa con me", ogni volta che voleva provocarmi.

Appena pochi minuti dopo, però, sentii qualcuno bussare alla porta della mia abitazione.
Rimasi confuso per un po' dal fatto che qualcuno fosse venuto a controllarci, a quell'ora. Dopotutto erano appena le cinque del mattino.

Non appena aprii la porta, rimasi sorpreso da chi mi ritrovai davanti.


Orion, con indosso la sua uniforme militare, con un grosso fucile legato dietro la schiena e due lame gemelle, corte, legate alla sua cinta.
Notai anche il fodero nero di una pistola nella cinta.

Per un istante, tutte quelle armi mi misero in soggezione: non ero abituato a un numero tanto elevato.


<< Sono felice di vedere tu sia già sveglio, Blake. >>
Mi disse.
Nonostante il suo tono sembrasse amichevole, quel suo sguardo serio e quella strana presenza che emanava mi resero comunque difficile rimanere al mio agio davanti a lui.

<< G-Già. Sono abituato ad alzarmi così presto la mattina. >>
Gli risposi, evitando il suo sguardo.

<< Non serve che ti sforzi a guardarmi negli occhi. Con il tempo ti abituerai alla mia presenza. >>
Gli sentii dire.
Nonostante quelle sue parole, non riuscii comunque a mantenere a lungo un contatto visivo con lui.

<< Comunque, sono felice di sentirtelo dire. Questa tua abitudine ti renderà molto più semplice seguire i nostri orari mattutini. >>
Continuò.

<< A cosa devo la tua visita? >>
Domandai.

Orion mi fissò in silenzio con quel suo sguardo freddo per un istante, per poi osservare la stanza alle mie spalle.

<< Hai idea di dove si trovi Mirajane? >>
Mi domandò subito dopo, posando di nuovo il suo sguardo su di me.

<< Per quale motivo me lo chiedi? >>
Gli risposi, confuso e sorpreso da quella sua domanda.

<< Ho bussato alla porta della sua stanza, ma non mi ha risposto. >>
Mi rispose.

<< Magari sta ancora dormendo? Mirajane, a differenza mia, non è solita alzarsi così presto nel mattino. >>
Gli dissi, cercando di nascondere la sua presenza nella mia stanza.
Dopotutto, ci aveva detto che trascorrere le notti insieme fosse vietato, e avrei preferito evitare problemi già dal primo giorno.

<< Dovrà abituarsi a questi orari, purtroppo. Ma non è questo il punto... Non si trova nella sua stanza, al momento. >>
La sua risposta mi colse di sorpresa.
Anzi, a dirla tutta mi diede molto fastidio.

<< Sei entrato nella sua stanza senza il suo permesso? >>
Gli domandai, con un tono infastidito.
Orion notò sicuramente che le sue parole mi avessero dato fastidio. Mi fissò per qualche secondo in silenzio, sollevando un sopracciglio.

<< Chiedo scusa ma... Non penserai, per caso, io l'abbia fatto con seconde intenzioni? >>
Mi domandò subito dopo.
Non gli risposi.

<< Voi due siete stati affidati a me, ragion per cui devo non solo assicurarmi di farvi da "insegnante", ma anche che non facciate qualcosa di stupido. >>
Continuò, notando che io non avessi intenzione di rispondergli.
In quell'istante fece un breve inchino, e la cosa mi colse del tutto impreparato.

<< Mi dispiace che le mie intenzioni siano state malinterpretate, ma se per puro caso foste scappati durante la notte, sarei stato io a venir incolpato per non avervi tenuto sotto controllo. >>
Aggiunse.

In quel momento ammetto di essermi sentito a disagio.

<< E' ok, non preoccuparti... Capisco i tuoi motivi. Mirajane era preoccupata, e mi ha chiesto di trascorrere la notte da me. >>
Gli spiegai.
Le mie parole non sembrarono coglierlo alla sprovvista, era quasi come se già sapesse dove si trovasse Mirajane.

<< Ero convinto di avervi detto fosse vietato. >>
Stavolta fu lui a parlare con un tono infastidito.

<< Era preoccupata... >>
Ripetei.

<< A malapena siamo riusciti a chiudere occhio, e se la tua paura sia che abbiamo fatto qualcosa, ti assicuro che nessuno dei due era in vena. >>
Fui infastidito dal suo ficcanasare, ma nonostante tutto riuscii anche capire le sue ragioni.
Ciò non leva che, però, mi diede comunque fastidio.

<< Capisco. Mi dispiace di essere sembrato inopportuno, vi assicuro che la vostra vita privata non è assolutamente qualcosa di mio interesse... >>
Mi rispose, facendo un secondo inchino in segno di scusa.

<< Comprendo anche le vostre preoccupazioni e motivi, ragion per cui per stavolta farò finta di nulla. >>
Continuò.


Nonostante fossi ancora infastidito e confuso dalla sua presenza, e da ciò che ci avesse detto il giorno prima, gli domandai di nuovo il motivo per cui si trovasse li, così presto nella mattina.
Orion mi disse che quello era l'orario in cui era solito alzarsi e che noi, essendo ormai suoi subordinati, avremmo dovuto cominciare a seguire le sue routine e a lavorare insieme a lui nel Palazzo Reale.

Per me non sarebbe stato difficile, ma per Mirajane era tutt'altra storia... Dopotutto, non era abituata a svegliarsi così presto.

Orion, però, aggiunse che fosse li per un altro motivo.
Voleva parlare, in privato, con noi due.

All'inizio rimasi sorpreso da quele parole, ma decisi comunque di farlo entrare...
...A patto che lasciasse tutte quelle armi davanti all'entrata. 

Non riuscivo a sentirmi al sicuro insieme a una persona armata fino ai denti.
La sua risposta fu un semplice cenno positivo con il capo.



<< Devo ammetterlo, sai fare davvero un fantastico caffè. Paragonato al tuo, quello che faccio io al mattino è acqua sporca. >>
Mi disse, dopo che gli offrii una tazza di caffè.
Mi sentii lusingato da quel suo complimento, ma non era quello il motivo per cui avevo accettato di farlo entrare.

Eravamo seduti l'uno davanti all'altro, ai capi opposti del lungo tavolo in legno chiaro che si trovava nella nostra cucina.
Orion era seduto con le gambe accavallate e giocherellava con la tazza prima di ogni sorso, quasi come se stesse degustando del vino.

<< Spero non ti dispiaccia se ogni tanto dovessi venire a fare qualche visita mattutina. >>
Continuò, facendomi l'occhiolino.
Quel suo gesto mi mise parecchio in soggezione.

<< Non... Mi dispiace assolutamente, ma non credo tu sia venuto qui per parlarmi del mio... Caffè. >>
Gli dissi, cercando di fargli sputare finalmente il rospo.

Orion abbassò lentamente la tazza, per poi poggiarla delicatamente sul tavolo.
Rimasi in silenzio ad attendere di venire a conoscenza il motivo di quella sua visita, preoccupato però da quale fosse quel motivo.
In quel momento, non mi interessava davvero avere altre brutte notizie.

<< Sai... >>
Cominciò a parlare.

<< ... Io odio a morte tutto questo. >>
Quelle parole mi colsero del tutto impreparato.
Il suo sguardo divenne improvvisamente cupo, e la sua espressione cambiò in un battito di ciglia.

<< Odio il fatto che l'Imperatore sia solo una marionetta nelle mani di Levyathan, odio il fatto che la nazione sia fondata su un sistema elitario, odio il fatto che le persone più povere e deboli non abbiano i nostri stessi diritti e odio il fatto che le persone che nascono con abilità speciali siano vittime di odio e violenza. >>
Continuò, mentre io non fui in grado di fare altro se non fissarlo in silenzio, con occhi spalancati dallo stupore.

<< Sono sicuro voi sappiate di cosa parlo, l'avete visto. Se hai avuto, invece, la fortuna di non viverlo in prima persona, puoi tranquillamente fare un giro per il palazzo: osserva come molti militari ti guarderanno. >>
Aggiunse subito dopo.
Notai che strinse i pugni con forza.

<< Quell'odio è alla base di tutti i conflitti che abbiamo con i Ribelli, ma nessuna delle due fazioni vuole ammettere i propri errori, quindi non ci sarà mai una fine. >>
Continuò.

<< Non sei un soldato? Dire queste cose non ti causerà problemi? >>
La mia domanda attirò la sua attenzione.

<< Sono un soldato, esatto. E, come tale, seguo gli ordini che mi vengono imposti senza battere ciglio... >>
Mi rispose.
Notai, però, insicurezza nelle sue parole: stavolta fu lui a evitare il mio sguardo.

<< Ma, come persona, non posso ignorare tutto ciò che accade intorno a me. Persone innocenti soffrono giorno dopo giorno, e io non posso fare nulla per aiutarli... >>
Continuò, senza mai sollevare lo sguardo.
Prima che potessi rispondergli, però, lo posò di nuovo su di me.

<< L'Arcadia non è comporta solo dalla capitale: anche coloro che vivono fuori dalle mura sono nostri cittadini, e anni fa ho giurato che avrei fatto tutto ciò che era in mio potere per proteggerli. Quindi perché? Perché dovrei ignorare le loro sofferenze? >>
Mi domandò.

Non fui in grado di rispondergli.

<< Tutto questo è sbagliato. L'Arcadia non era così, lo è diventata. E io voglio cambiarla di nuovo. >>
Continuò.
Quelle parole mi colsero alla sprovvista.
Non riuscii a crederci, e per un attimo pensai che stesse cercando di mettermi con le spalle al muro, di farmi dire qualcosa di troppo per poi usarla come arma contro di me.

<< Non dovresti parlare in questo modo della tua gente, non credi? >>
Gli domandai, cercando di ritorcergli le sue parole contro.
Orion posò il suo sguardo freddo su di me.

Non sembrò per nulla sorpreso dalle mie parole.

<< Credi che io voglia incastrarti, vero? >>
Rimasi pietrificato dalla facilità con la quale riuscì a leggermi, e lo fissai in silenzio con occhi spalancati.

<< Non preoccuparti, non è assolutamente mia intenzione. E sei la prima persona con cui sto parlando di queste mie preoccupazioni... >>
Continuò, per poi bere di nuovo un sorso di caffè.

<< ... Senza contare che non potrei mai tradire questa prelibatezza, dove potrei altrimenti gustare qualcosa di così buono? >>
Aggiunse subito dopo.
Non gli risposi nulla.

<< Perdonami, stavo solo cercando di sdrammatizzare. >>
Disse subito dopo, notando sicuramente l'espressione confusa che apparve nel mio volto.


Decisi finalmente di fargli quella domanda che continuò a balenarmi in testa per tutto il tempo.

<< Perché mi stai dicendo tutto questo? >>
L'espressione di Orion divenne rapidamente molto più seria e cupa.

<< Quando Levyathan morirà, sarò io a prendere il suo posto. >>
Mi rispose, cogliendomi alla sprovvista per l'ennesima volta durante quella discussione.

<< E, quando accadrà, ho intenzione di cambiare le cose... Ma non potrò farlo da solo. >>
In quell'istante, Orion mi porse una mano.

<< Ecco perché sono qui. E sto chiedendo a voi proprio perché siete diversi. Voi non avete i paraocchi come gli altri militari, voi venite dall'esterno. Qual miglior modo per far cambiare l'opinione popolare, se non quella di mostrare loro che non siete tutti dei criminali, che le persone che vivono al di fuori delle mura possono essere intelligenti e buone esattamente come loro? >>
Continuò.

<< Quindi vuoi solamente usare me e Mirajane per raggiungere il tuo obiettivo. >>
Stavolta furono le mie parole a coglierlo alla sprovvista.

<< Non ho intenzione di negarlo. Ma la differenza tra me e i motivi di Levyathan, risiede nel fatto che io e te ambiamo alla stessa cosa. Non vogliamo più vedere odio e discriminazione, ma vogliamo entrambi raggiungere un bene comune. >>
Mi rispose, alzandosi dalla sedia e allungando di nuovo la mano nella mia direzione.

<< Il nostro scopo è simile, ragion per cui sarei onorato di ricevere il vostro aiuto. Non so se riusciremo a raggiungerlo, ma ciò che so per certo è che se non farò qualcosa, non cambierà nulla. >>
Quelle parole mi colpirono nel profondo, le avevo già sentite.

Erano le stesse che il Maestro ci disse, prima che partissimo per la capitale.
Forse... Furono proprio quelle parole a convincermi.

Nonostante fossi ancora scettico, decisi di afferrare la sua mano.

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Fine del capitolo 5-5, grazie di avermi seguito e alla prossima!

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Capitolo 32
*** Capitolo 5-6: Missione ***


Capitolo 5-6: Missione

 


Nonostante avessi accettato la sua offerta, i miei dubbi continuarono ad assillarmi per quei giorni seguenti.
"E se mi avesse mentito?"
Mi domandai.
"Forse non avrei dovuto accettare..."

Orion non mi diede l'impressione di qualcuno che avesse l'intenzione di sfruttarmi, eppure continuai a provare una strana sensazione che continuò a dirmi ci fosse qualcosa che non andasse...

E, come se non bastasse, non potei neanche mettermi in contatto con Levyathan, il quale, per più di quarantotto, ore fu irreperibile.

Non mentirò: quella situazione mi mise parecchia ansia in corpo.
Avrei di gran lunga preferito non coinvolgere anche Mira in quella situazione, ma sfortunatamente non riuscii a raggiungere alcuna soluzione.
Lasciare il palazzo senza permesso era ormai impossibile: tra tutte le guardie di pattuglia sia dentro che fuori il palazzo, muoversi di nascosto era infattibile.

Far quindi scappare Mira dalla capitale, a loro insaputa, era impossibile.


Quando finalmente Levyathan fu di nuovo reperibile, due giorni dopo la mia discussione con Orion, provai a parlarci nel tentativo di riuscire per lo meno a proteggere Mirajane.
Gli dissi che mi sarebbe andato bene rimanere nel palazzo, da solo, a svolgere i compiti che mi avrebbero assegnato, ma che avrei preferito che Mira non fosse obbligata a restare.

A Levyathan non piacque sicuramente la mia proposta:
"Siete soldati, ormai"
Mi disse.
"Comportatevi come tali."

In quell'istante compresi non ci fosse nulla che potessi fare per uscire illeso da quella situazione... L'unica cosa che mi restò da fare, fu tenere fede al mio scopo iniziale, il motivo per cui accettai la sua offerta fin dal principio.


Decisi, quindi, di provare a conoscere meglio quell' Orion per confermare o meno le mie preoccupazioni nei suoi confronti: cominciai quindi a invitarlo nel mio alloggio tutte le mattine per offrirgli quel caffè che sembrò piacergli così tanto, per parlargli nel tentativo di scoprire qualcosa di più su di lui, se mi stesse mentendo o meno... Insomma, qualsiasi cosa che potesse tornarmi utile.
Sono sicuro che Orion avesse capito quale fosse il mio scopo fin dall'inizio, ma non fece il difficile.

La gran parte dei soldati all'interno del palazzo erano soliti fissarmi con occhi infastiditi, alcuni perfino spaventati.
Più volte sentii anche delle persone chiamarmi "mostro", o "demone": ormai, però, ci avevo fatto l'abitudine. Non incolpavo più nessuno per quelle parole, le colpe erano del sistema che ci aveva ormai etichettato come tali.

 L'avrei cambiato, in un modo o nell'altro, mi ero imposto quello scopo: non potevo più tirarmi indietro.

Orion, però, era differente. Nonostante continuasse a mettermi quella strana sensazione in corpo semplicemente standomi vicino, non mostrò mai alcuna forma di malizia nei nostri confronti.
Ci parlò di come ci fossero altre persone all'interno del palazzo che possedessero abilità, del fatto che lui li rispettasse e che alcuni di loro erano perfino riusciti a ottenere titoli militari degni di nota.

Orion mi aiutò a capire che non tutti dentro le mura erano come pensai. 
In quei giorni incontrai altre persone, soldati, che, nonostante all'inizio sembrassero preoccupati dalla nostra presenza, ci accettarono a braccia aperte.
Compresi che esattamente come quelle altre persone che ci chiamavano "mostri", anche io feci inconsciamente di tutta l'erba un fascio nel pensare che tutti quanti, li dentro, ci odiassero o vedessero come mostri.

L'obbiettivo che mi imposi fin quando accettai l'offerta di quell'uomo non mi sembrò più irraggiungibile.
Se avessimo giocato bene le nostre carte, saremo riusciti in quell'intento...

... Prima o poi.



<< Che genere di missioni? >>
Domandai al generale, non appena mi disse il motivo che si nascondeva dietro quell'improvvisa convocazione così presto nella mattina.
Erano ormai passati due giorni dalla mia discussione con Orion, e ormai avevo deciso di potermi fidare di lui.

<< Sono passati alcuni giorni da quando siete arrivati qui, no? Suppongo il mio caro Orion vi abbia già aiutato ad ambientarvi. >>
Continuò Levyathan, sorridendoci.
Potei notare lontano un miglio quanto fosse falso quel suo sorriso.

<< Si, signore. Ho mostrato loro la struttura del castello, onde evitare possano perdersi al suo interno, e ho indicato loro anche dove dirigersi in caso dovessero necessitare di ulteriore supporto. >>
Gli rispose Orion.

<< Fantastico! >>
Esclamò il generale, senza smettere di sorriderci.

<< Fin'ora non abbiamo avuto la necessità di chiedere il vostro aiuto, ma credo ora sia finalmente il momento di vedere quale sarebbe il vostro comportamento sul campo. >>
Continuò, assumendo una espressione più seria.
Si sedette subito dopo nella sua sedia, davanti a quella scrivania, facendoci poi cenno di fare altrettanto.

<< Oh, ma non preoccupatevi: non è nulla di difficile o pericoloso, ve lo assicuro. >>
Aggiunse subito dopo.

Senza fare domande, mi sedetti davanti a lui e Mirajane seguì a ruota.
Orion rimase in silenzio, in piedi, alle nostre spalle, mantenendo quella postura.


Ammetto che vederli assumere ogni volta quella stessa posa mi abbia messo più volte i brividi.


<< Vediamo... >>
Disse poco dopo, afferrando un foglio di carta dalla sua scrivania e cominciando a leggerlo, dopo aver indossato un paio di occhiali da lettura.

<< ...Dovrebbero esserci due missioni che fanno a caso nostro, qui in mezzo... >>
Continuò, scorrendo quel foglio con un dito.

<< Ah, eccole qui. Perfetto. >>
Aggiunse subito dopo, appoggiando poi di nuovo il foglio sulla scrivania.

<< Della prima se ne occuperanno Mirajane e Orion. Vorrei facciate da scorta extra a una carovana che lascerà la capitale, oggi. Il vostro compito è semplice: dovrete seguire il convoglio a cavallo fino alla sua destinazione, assicurandovi che non gli accada nulla, per poi tornare al palazzo. Semplice, no? >>
Spiegò poco dopo, voltandosi verso Mirajane.

<< A cosa stiamo facendo da scorta, esattamente? E per quale motivo Blake non verrà con noi? >>
Gli domandò, Mirajane, togliendomi le parole di bocca.

<< Ho scelto personalmente una seconda missione, per Blake.
Ho deciso di farti accompagnare da Orion in modo tale che possa controllarti e darti dei consigli, visto sarà compito tuo consegnarmi il rapporto sugli eventi della giornata. >>
Le rispose Levyathan, sorridendole.

Ancora quel sorriso.

<< Riguardo al cosa state scortando... Mi dispiace, ma non è di vostro interesse. >>
Continuò, piegando leggermente la testa di lato, e sorridendole con le palpebre chiuse.
Quella sua espressione mi mise i brividi.

<< A-Ah... O-Ok, va bene... >>
Balbettò Mira.


Non accettai quella risposta.
Non avevo più intenzione di restare all'oscuro di ciò che sarebbe accaduto intorno a noi, specialmente se eravamo direttamente coinvolti.


<< Credo sarebbe opportuno se sapessimo a cosa stiamo facendo da scorta. >>
Quelle mie parole attirarono l'attenzione di Levyathan, il quale si voltò lentamente nella mia direzione.
Mi fissò per qualche secondo in silenzio con una strana espressione in volto, reggendosi delicatamente il volto con una mano.


Il suo sguardo mi sembrò quasi un misto tra curiosità e stupore. 


<< Come, prego? >>
Mi domandò, piegandosi leggermente in avanti, sorridendomi.
Quel sorriso mi fece congelare il sangue.

<< Insomma, noi- >>
Levyathan non mi fece neanche finire la frase.

<< Per prima cosa: non c'è alcun "noi", considerando tu non prenderai parte a quella missione. Secondo: ciò che loro faranno da scorta non è qualcosa che li riguarda. >>
Mi rispose, senza smettere di sorridere.

<< Credo comunque sia importante rivelarlo comunque ai diretti interessati. Se, ad esempio, dovessero finire in una imboscata architettata da banditi, non sarebbe meglio per loro sapere, per lo meno, se il carico trasportato sia o meno qualcosa di fragile? Se così fosse, si assicurerebbero che non venga colpito per evitare possa rompersi. >>
Continuai.
Non avevo intenzione di farmi prendere per i fondelli da quell'uomo per la seconda volta.

Non appena dissi quelle parole, il sorriso dalla faccia del generale cominciò lentamente a sparire.
Mi fissò in silenzio per non so quanti secondi senza muovere neanche un muscolo, secondi durante i quali mi sembrò quasi mi stesse pugnalando con lo sguardo.

In quei secondi di silenzio assordante sentii un grosso peso nel mio petto, talmente pesante che perfino respirare mi fu arduo...
Provai a nascondere quella sensazione, ma credo che quell'uomo fu in grado di vedere oltre il mio bluff.

Quando mi sorrise di nuovo, il mio cuore saltò un battito.


<< Hai ragione, dovrebbero saperlo. >>
Mi disse, voltandosi poi verso Mirajane e Orion.
Quelle sue parole mi colsero così di sorpresa che mi sembrò quasi di essere stato pietrificato.
Non riuscii a dire nulla, o a muovermi: rimasi in silenzio a fissarlo con uno sguardo da ebete, occhi e bocca spalancati.

<< Accompagnerete un carico che trasporta lingotti d'oro, diretto al porto fuori dalla capitale. Qualche settimana fa una città vicina ci ha venduto delle risorse importanti, quindi ora stiamo ripagando il conto.
Dovrete seguire il carico per qualche chilometro, fino a quando non raggiungerete il secondo gruppo che lo trasporterà a destinazione: a quel punto potrete tornare indietro. >>
Disse subito dopo.


A quel tempo non sapevo ancora se avessi dovuto o meno fidarmi delle sue parole, quindi mi voltai istintivamente verso Orion alla ricerca di una conferma.
Non mi disse nulla: la sua unica risposta fu un cenno positivo del capo, che bastò a farmi capire non stesse mentendo.


Subito dopo aver detto quelle parole, Levyathan fece cenno a Mirajane e Orion di lasciare la stanza e i due obbedirono senza fare domande.
Orion fece un rapido saluto militare, prima di andarsene, mentre Mira posò per una frazione di secondo il suo sguardo preoccupato su di me, prima che Orion chiudesse la porta dell'ufficio di Levyathan, lasciandomi finalmente solo con lui.

Non so per quanto tempo rimasi in silenzio, ma potei sentire lo sguardo penetrante di quell'uomo su di me.
Per un attimo mi sembrò quasi mi stesse trapassando da parte a parte con gli occhi.



<< Sai, Blake... >>
Mi disse, finalmente, rompendo quell'assordante e terrificante silenzio.
Posai lentamente il mio sguardo su quell'uomo, cercando di non lasciar trapelare l'ansia che lentamente stava prendendo il sopravvento su di me.
Credo che anche stavolta fu in grado di leggere oltre faccia da bronzo che provai a mostrargli.

<< ...Mi piaci davvero tanto. >>
Quelle sue parole mi colsero alla sprovvista.

<< Cosa vuole dire con questo? >>
Gli chiesi conferma.
Levyathan ridacchiò.

<< E' dal primo momento che ti ho visto che hai attirato la mia attenzione... C'è qualcosa, in te, che mi ricorda me... Molti anni fa. >>
Mi rispose.

<< La ringrazio, sign- >>
Anche stavolta, mi bloccò prima che potessi finire.

Una espressione cupa e infastidita apparve rapidamente nel suo volto.

<< Idealista, ingenuo e fin troppo sentimentale. >>
Sussultai istintivamente, sentendo quelle sue parole.

<< Se rimarrai così tanto velleitario, non sperare di riuscire né a raggiungere i tuoi obiettivi, né di essere in grado di proteggere le persone a cui tieni. >>
Continuò.

Inghiottii con forza le parole che pensai di dirgli, stringendo con forza i pugni sulle mie ginocchia.

<< Ciononostante... >>
Aggiunse subito dopo, cogliendomi di sorpresa.

<< ...Ben pochi dei miei subordinati avrebbero il fegato di opporsi a una mia decisione, e mi piace questa tua determinazione. >>
Continuò, sorridendomi.
In quell'istante, ancora prima che potessi aprire bocca, Levyathan si alzò dalla sua sedia, assumendo di nuovo la posa che aveva in comune con Orion.

<< Ti dispiacerebbe seguirmi? Ho un compito che fa proprio a caso tuo. >>
Sorrise.

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Fine del capitolo 5-6, grazie di avermi seguito e alla prossima con l'ultimo capitolo del volume 5!

 

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Capitolo 33
*** Capitolo 5-7: Rosso ***


Capitolo 5-7: Rosso

 


Ci furono così tante cose che continuarono a riecheggiarmi in testa, durante quel viaggio in carrozza...
Se Mirajane stesse bene, cosa fosse accaduto a Yuu e Jeanne, dove si trovassero, cosa volesse farmi fare Levyathan...

Non avere risposte certe a nessuna di quelle mie domande mi fece sentire in uno stato completamente impotente e indifeso... Mi sentii alla mercé di quell'uomo, e non riuscii a sopportarlo.

Durante quel viaggio in carrozza verso la nostra direzione, Levyathan non sollevò mai il suo sguardo dal libro che stava leggendo.
Sembrò molto vecchio, la copertina era in pelle scura con il titolo intagliato in pelle rossa, più chiara, con svariate sbavature.

Nessun altro soldato ci seguì: la cosa mi stupì.
Levyathan mi disse che quella fosse una missione facile, ma non mi aspettai assolutamente che saremmo stati solo noi due, a prenderne parte.

"Un membro della fazione Azzurra è stato avvistato nei pressi di un villaggio abbandonato, qualche giorno fa. "
Mi disse, prima di partire.

"Andremo a controllare la zona. "


La Fazione Azzurra, una delle tre fazioni in cui i Ribelli si erano divisi, me ne parlò Orion e, brevemente, anche Levyathan.

L'Azzurra, la più pericolosa, la più violenta, la più numerosa.
La Rossa, più calcolatori, la meno numerosa ma non per questo meno pericolosa.
La Gialla, quella meno problematica, numeri sconosciuti. Non volevano avere nulla a che fare con l'Impero e le altre due fazioni.

Questo, bene o male, era il succo di ciò che mi dissero entrambi.

Mi domandai più volte se fosse vero, o se fosse una bugia.


Quando raggiungemmo finalmente la nostra destinazione, non appena scesi dalla carrozza che ci accompagnò, rimasi completamente esterrefatto davanti a quella vista.

Erano i resti di un vecchio villaggio di cui mi parlò anche il Maestro.
Un tempo molto trafficato, si trovava vicino alla Foresta Nera, ormai conosciuta anche come Foresta di Pietra, ed era una delle fonti principali di legno e carne per l'intera capitale. 

Cadde, un giorno, a causa di un forte terremoto che fece crollare una diga...
Ciò che accadde dopo è palese.

Non so quante persone perirono, quel giorno, ma so per certo che nessuno provò a ricostruire il villaggio. I pochi superstiti si sparpagliarono nelle zone limitrofe, e quel villaggio si trasformò ben presto in un cimitero che non avrebbe mai visto alcun visitatore.

L'unico rumore che fui in grado di sentire in quel posto fu il forte ululare del vento nelle mie orecchie.
Più volte mi sembrò di vedere delle spettrali ombre scure, nascoste dietro le mura diroccate di ciò che restava degli edifici di quel villaggio.

Non sono mai stato una persona superstiziosa, ma non posso negare che quel posto mi mise parecchia ansia.
Il solo camminare per quelle strade ciottolate colme di oggetti ammuffiti che, un tempo, appartenevano a qualcuno mi fece venire la pelle d'oca.

D'altro canto, invece, quello scenario non sembrò fare né caldo né freddo a Levyathan, il quale continuò a camminare nel mezzo di quelle strade mantenendo quella sua classica espressione calma, come se nulla fosse.

Quell'inquietante silenzio... L'occasionale rumore di pietre che cadevano dai pochi muri ancora intatti degli edifici... 
Ogni singola cosa, in quel posto, sembrava urlare. 

Perfino il più insignificante dei rumori echeggiava all'infinito in quel cimitero.


<< Cosa stiamo cercando, esattamente? >>
Domandai a Levyathan, rompendo quel terrificante silenzio.
In quel momento preferii di gran lunga sentire la sua voce, piuttosto che quell'oblio.

<< Te l'ho detto, giusto? Un membro della fazione Azzurra è stato avvistato tra i resti di questo villaggio, quindi siamo qui per investigare. >>
Mi rispose l'uomo, senza voltarsi.

<< Si, questo me l'aveva già detto. >>
Gli risposi.

<< Ciò che non capisco è perché dovrebbe trovarsi ancora qui... O, per meglio dire, perché avrebbe dovuto restarci... >>
Aggiunsi subito dopo, guardandomi intorno.

In quell'istante mi sentii osservato.
Guardai in avanti, notando che Levyathan mi stesse fissando con la coda dell'occhio, con una espressione divertita stampata in volto.

<< Questo posto è raramente visitato. >>
Mi disse l'uomo, senza smettere di camminare, continuando a fissarmi in quel modo fastidioso.

<< Perciò, è uno dei luoghi migliori in cui nascondersi. >>
Continuò.

In quel momento raggiungemmo un bivio.
Nonostante rimanere con quell'uomo non fosse tra le mie priorità, in quel momento avrei preferito di gran lunga restare con qualcuno, piuttosto che incamminarmi da solo per quelle strade spettrali.

Purtroppo, non fui abbastanza fortunato da vedere il mio desiderio realizzarsi.
Ci separammo: io andai a sinistra, Levyathan a destra.

"Se tu dovessi trovare qualcosa, sentiti pure libero di urlare per attirare la mia attenzione: ti sentirò sicuramente."
Sono tutt'ora certo che mi stesse sfottendo, con quel suo consiglio.

Non gli risposi: semplicemente, presi la strada che mi venne indicata.


Man mano che mi inoltrai all'interno di quella necropoli, le cose divennero esponenzialmente sempre più cupe e malridotte.

Alberi caduti, ormai quasi fossilizzati, i resti di antiche scuole, ospedali.... 
Solamente il pensare che le vite di quelle persone vennero spezzate così all'improvviso fu in grado di paralizzarmi dal terrore.


A un certo punto, fu una croce ad attirare la mia attenzione.
Era una croce in legno, ormai talmente danneggiata e ammuffita che sembrò quasi essersi fusa con il terreno.

<< Quale divinità permetterebbe a qualcosa del genere di accadere? >>
Domandai a nessuno, fissando intensamente quel pezzo di legno.


<< Uno stronzo. >>
Mi bloccai all'improvviso, non appena sentii quella voce femminile provenire dalle mie spalle.
Fui in grado di sentire il cuore salirmi in gola dalla sorpresa, mentre rimasi in silenzio a fissare quella croce nel terreno.

Di certo non mi aspettavo di trovare qualcuno all'interno di quel cimitero.
Lentamente, decisi di voltarmi verso l'origine di quella voce.


Fu in quel momento che incontrai per la prima volta quella ragazza.
Rimasi per qualche secondo esterrefatto dalla sua bellezza: non avevo mai visto in vita mia una ragazza come lei, perfino Mirajane le era lontana anni luce.

Capelli lunghi che le arrivavano fin dietro la schiena, rossi come il sangue, e occhi spenti e annoiati di color nero.
La pelle liscia e chiara, una corporatura snella da atleta.
Indossava una giacca sportiva beige sopra una maglia nera e dei pantaloni azzurro scuro, legati da una cinta bianca e, inoltre, dei guanti neri che arrivavano fin sotto le maniche, ma che lasciavano scoperte le punte delle dita.

Ad occhio, mi sembrò avere circa la stessa età di Jeanne.


Quella ragazza non aggiunse altro. Rimase a fissarmi in silenzio con una strana espressione in volto.

<< Scusami... >>
Le dissi, tornando in me, dopo averla fissata per non so per quanti secondi senza dire nulla.

<< ... E' solo che non mi aspettavo di trovare qualcuno, in mezzo a queste rovine. >>
Continuai.

In quell'istante notai avesse un piccolo coltello legato alla cinta.
Istintivamente, feci un passo all'indietro.

<< Sei sorpreso dal fatto io abbia armi per difendermi? >>
Mi domandò quella ragazza, con un tono annoiato.
Aveva sicuramente intuito avessi notato la sua arma.

<< E' che siamo venuti qui alla ricerca di membri dei ribelli e... Insomma... >>
Le risposi, senza finire la frase.

<< "Siamo"? >>
Ripeté lei, con un tono incuriosito, piegando leggermente la testa di lato.
In quell'istante notai che posò il suo sguardo sul mio petto.

<< Sei un militare...? >>
Mi domandò subito dopo.
Aveva sicuramente notato la spilla con il simbolo dell'Arcadia che Levyathan mi diede prima di lasciare la capitale.

<< Più o meno... >>
Le risposi, ridendo nervosamente, mentre mi grattai il capo.

<< Tu... Vivi qui? >>
Le domandai subito dopo.

Quella ragazza mi fissò in silenzio per qualche istante, senza muovere neanche un muscolo.


<< Più o meno. >>
Mi rispose, finalmente.

Capii fin da subito quella ragazza fosse la persona che stavamo cercando.
Non era possibile fosse una cittadina di quel villaggio, sopravvissuta al disastro... Era troppo giovane, e il villaggio venne spazzato via sicuramente prima che lei nascesse.

<< Quindi... Cosa fai da queste parti? Come ti chiami? >>
Le domandai.
Ero preoccupato da ciò che sarebbe potuto succedere da un momento all'altro.
Non avevo idea di cosa sarebbe potuto accadere, ma sapevo perfettamente che qualcosa sarebbe accaduto.

Non ricevetti alcuna risposta.
Notai, però, che quella ragazza portò lentamente la mano al suo coltello.

<< P-Perché non vieni con me? >>
Le domandai, facendo un altro passo all'indietro.
Non era assolutamente mia intenzione scontrarmi con nessuno: avrei preferito evitare qualsiasi forma di violenza... Specialmente perché non avevo mai ferito qualcuno in vita mia, e sicuramente non avrei voluto cominciare con una ragazza.

<< Perché dovrei? >>
Mi chiese.

<< Sai, non è sicuro qui... Ci sono membri dei ribelli in zona, e preferirei assicurarmi la tua incolumità... >>
Le risposi.
Tutt'ora non ho ancora idea del perché non mi attaccò fin da subito... Forse non mi vide come una minaccia?

Avrebbe potuto attaccarmi alle spalle minuti prima, dopotutto, mentre ero intento a fissare quella croce nel terreno, se solo avesse voluto.

<< Hmpf. >>
Mormorò, con tono sdegnato.


In quel preciso istante lo scoppio di una pistola in distanza attirò la nostra attenzione.
Quella ragazza si voltò improvvisamente nella direzione da cui provenne quel rumore, diventando rapidamente pallida in volto.

<< No.... >>
Mormorò, per poi correre via.
Ancora esitante e preoccupato da cosa avesse causato quello sparo, decisi di seguirla. Non potevo permettere che rimanesse ferita, o che fosse lei a fare del male a qualcuno. Dopotutto, non sapevo ancora nulla di cosa fosse successo... Poteva essere accaduta qualsiasi cosa.


Persi quella ragazza per quelle strade desolate, ma in compenso raggiunsi ben presto l'origine dello sparo.
Non fui in grado di credere ai miei occhi:

Vidi Levyathan, immobile, con la sua pistola puntata verso il basso, ancora fumante.


Neanche sapevo possedesse una pistola.


Ai suoi piedi un uomo, appoggiato a un muretto, intento a reggersi la spalla con una mano. 
Nonostante la distanza che ci fosse tra me loro, fui comunque in grado di sentire i lamenti di dolore di quell'uomo.

In quel preciso istante Levyathan posò il suo sguardo sorpreso su di me, notandomi.

<< Oh, hey Blake. Missione compiuta, ho trovato il ribelle. >>
Mi disse, sorridendomi.


Quel sorriso mi fece congelare il sangue: la mia mente non riuscì a comprendere come qualcuno potesse comportarsi in maniera così naturale con il sangue di qualcuno ai suoi piedi e un'arma ancora fumante in mano.

Rimasi in silenzio a fissare l'uomo dolorante appoggiato a quel muretto, tremando. Non fui in grado di rispondergli nulla, quantomeno di muovermi.
Quella scena... Non riuscirò mai a togliermela dalla testa. Me la porterò dietro per sempre.

Fui in grado di vedere i suoi occhi doloranti, i suoi lamenti sofferenti mi fecero stare così male che mi sembrò qualcuno mi avesse infilzato da parte a parte.
Lo guardai in silenzio mentre, lentamente, diventava sempre più pallido.


<< So... Cosa hai fatto... >>
Mormorò l'uomo, attirando anche l'attenzione del Generale.

<< Come, prego? >>
Gli domandò Levyathan, con una espressione genuinamente sorpresa dalle parole dell'uomo.

<< Non fare il finto tonto... Ti ho visto, due giorni fa... Eheh... Per quanto tempo pensi di riuscire a tenerlo nascosto? >>
Continuò l'uomo, tossendo poi sangue.
Levyathan non gli rispose. Continuò a fissarlo in silenzio, con quella sua terrificante espressione calma stampata in volto.

L'uomo continuò a respirare affannosamente, per qualche secondo, senza più proferire parola.
Notai il tatuaggio di un corvo nero stilizzato sulla sua spalla destra.

<< Mi piacerebbe vedere le loro facce... Quando scopriranno che il loro leader in realtà è- >>
L'uomo non poté mai finire quella frase.

...

Levyathan gli sparò una seconda volta... Questa volta, però, in fronte.

Io...

... Fu la prima volta che vidi qualcuno morire davanti a me.
I suoi occhi immobili, spenti, intenti a fissare il vuoto...

Cominciai a tremare compulsivamente, fissando il corpo dell'uomo.
Non avevo la minima idea di chi fosse... Né il suo nome, né l'età... Nulla.

Eppure...
Non so neanche come dovrei descrivere quella sensazione...

Quella sensazione di puro terrore che cominciò a crescere dentro di me, in completo contrasto con la calma di Levyathan.
Qualsiasi cosa su cui posai il mio sguardo si macchiò improvvisamente di rosso... Non riuscii a fissare nulla.

Anche chiudere gli occhi fu inutile: l'oscurità dentro cui provai a nascondermi... Anch'essa si macchiò di rosso.
Non fui in grado di scappare a quella scena, avrei continuato a vederla. 


In quell'istante, però, il ruggito furioso di una ragazza mi aiutò a tornare in me stesso, seppur per qualche secondo.
La ragazza che persi qualche minuto prima tra quegli edifici diroccati era dall'altro lato della strada, davanti a Levyathan.

I suoi occhi erano rossi come il fuoco, lacrime agli occhi.

<< Bastardo! >>
Ringhiò, estraendo il coltello dalla sua cinta.

Levyathan sembrò sorpreso dalla sua presenza: la guardò per qualche secondo in silenzio con una espressione confusa, per poi sorriderle.

<< Guarda un po' chi abbiamo qui... Se oggi non è il mio giorno fortunato, non so quale dovrebbe esserlo. >>
Gli sentii dire.


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Fine del capitolo 5-7, e con esso il volume 5! Grazie di avermi seguito e alla prossima con l'inizio del volume 6!

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Capitolo 34
*** Capitolo 6-1: Odio e Forza ***


Capitolo 6-1: Odio e Forza

 


Li odio tutti.

Le maschere che indossano, quei loro falsi sorrisi, le loro facce da bambole... Selvaggi nascosti dietro cravatte e buone maniere.
Tutti uguali, senza differenze.

L'ho sperimentato sulla mia pelle... Ho potuto sentirlo
Il loro alitare sul mio collo, quei loro occhi esaltati,  le loro risate, le loro mani...

... Le loro urla.



Io li odio tutti quanti.

Odio il modo in cui mentono, il fatto che non fanno altro che porgerti la mano per poi pugnalarti alle spalle quando meno te l'aspetti.

Animali.
E dovrei essere io a sentirmi in colpa?


Fin da quando ero piccola ho visto quanto le persone intorno a me fossero orribili, senza alcuna eccezione.
Chi abusa del proprio status, chi ruba, chi violenta, chi uccide, perfino chi abbassa la testa davanti a quegli atti non è differente da loro.

Vi odio tutti.

Odio come continuate a vivere come nulla fosse, nonostante ciò che avete fatto alle altre persone...
Codardi...!

Non sopporto i codardi... Non sopporto i deboli!

E' per questo che non sopportavo me stessa. 


Ero sciocca: ho creduto... Ho creduto che mio padre fosse in grado di risolvere quella situazione, ma anche lui era troppo debole.

Ed è per questo che dovevo diventare forte... 
Più forte di chiunque altro. 
Nessuno avrebbe avuto più il coraggio di ingannarmi, nessuno mi avrebbe usata, nessuno mi avrebbe ferita.

Ci misi, però, troppo tempo a capire quale fosse la mia forza...
E pagai a caro prezzo quella mia lentezza.


Quando ero piccola, vivevo in un piccolo villaggio insieme ai miei genitori, nei pressi della Foresta Nera.
Il giorno che quella disgrazia accadde, solo mia madre si trovava a casa...

Mio padre lavorava in una fabbrica nei pressi della capitale, io, invece, ero solita scappare da scuola perché non riuscivo a sopportare le lezioni.
Più volte lei mi rimproverò, per quello...

"Devi partecipare alle lezioni!"
Era solita dirmi...

"Tuo padre lavora come un disperato per pagarle!"

Non mentiva.
Prima che io iniziassi ad andare a scuola, mio padre riusciva a malapena a portare il pane a casa ogni giorno.
Eppure riuscivamo ad andare avanti.

Quando cominciai ad andare a scuola, però, a malapena fui in grado di vederlo tornare a casa tardi nella notte, per poi vederlo uscire di casa presto il mattino seguente.


Quelli... Sono probabilmente gli unici momenti felici che mi sono rimasti impressi.


Dopo il disastro, mio padre perse la voglia di fare qualsiasi cosa per parecchi mesi.
Rimase a casa giorno dopo giorno, pagando a malapena il necessario per non morire di fame, spendendo i pochi soldi che aveva in alcool.
Io, come risultato, non fui ben presto più in grado di seguire le lezioni che mia madre mi chiese così intensamente di seguire.

Venne ben presto licenziato, e nel giro di pochi giorni la situazione cominciò a precipitare sempre più in basso...
Un giorno mio padre scomparve nel nulla per due giorni interi: quando tornò, lo fece con un grosso quantitativo di soldi e una bottiglia di un vino pregiato in mano.

Sembrò felice... Per qualche settimana, per lo meno.
Ogni giorno che passava, notai come mio padre diventasse sempre più isterico e paranoico.... 

Non riuscii a capirne il motivo, all'inizio, ma ben presto sarebbe venuto a bussare alla nostra porta.
Una notte notai delle strane figure nere aggirarsi intorno alla nostra casa, e vidi mio padre restare in piedi per tutta la notte davanti alla porta di casa, con un coltello in mano.

"Non è niente, Diana..."
Mi disse, vedendomi preoccupata da quella scena.

"Vai a dormire, va tutto bene"
Continuò.


Qualche giorno dopo quei bastardi bussarono alla nostra porta.
Dissero di essere venuti a trovarci perché mio padre avrebbe dovuto "ripagare il suo debito".

Quando mio padre disse loro di non avere ancora i soldi, uno di quelle tre merde si voltò verso di me, per poi sorridere.
Dopo di ché, senza aggiungere altro, se ne andarono.

Furono giorni terribili, per mio padre, e io non fui in grado di fare nulla per aiutarlo, o per capirne il motivo.
A quel tempo avevo appena nove anni.

Non passò giorno senza che lui vendesse qualcosa, per poi inevitabilmente spendere una parte del ricavato in alcolici.
Un giorno decise perfino di vendere il suo anello di matrimonio, insieme a quello di mia madre... Quella fu, però, l'unica volta in cui non toccò il ricavato.



Quando quei bastardi tornarono, mio padre li fece entrare in casa.

"Prego, sedetevi pure!"
Disse loro.

Io, nel mentre, osservai quella scena dalle scale, senza aprire bocca.

Mio padre diede loro una strana busta, e quei tre infami l'aprirono avidamente: era piena di denaro...
Denaro che mio padre aveva fatto vendendo quasi ogni cosa che avevamo in casa.

"Dovrebbe bastare."
Disse loro.

Quei tre stronzi ridacchiarono.

"Oh, ma certo! E' esattamente ciò che ti avevamo prestato."
Gli rispose uno dei tre.

"Siamo pari, adesso, quindi...?"
Domandò loro mio padre, rallegrandosi finalmente dopo così tanto tempo.
La sua felicità durò ben poco.

"Purtroppo, no, mio caro John..."
Disse un altro.

"Insomma, ci hai lasciato per una settimana intera a bocca asciutta... Non è una cosa bella da fare ai tuoi amici."
Continuò il primo.

"Una settimana...? Sono passati solamente tre giorni dalla vostra visita..."
Balbettò mio padre, impallidendo.

"Vedi, siamo venuti qui quattro giorni prima... Ma tu non ci hai aperto."
Aggiunse il secondo.

Mio padre non rispose.
Era vero: qualcuno bussò una settimana prima alla nostra porta, la notte in cui lui rimase in piedi con un coltello in mano, ma lui non aprì.

"E quello non è bello."
Continuò il terzo.

"Oh, ma non preoccuparti..."
Gli disse il secondo, appoggiandogli una mano sulla spalla.

"Non ti chiederemo altri soldi... Sappiamo che sei in una brutta situazione, John: che razza di amici saremo, se ci approfittassimo di te in un momento del genere?"
Continuò, sorridendogli.


Quell'idiota di mio padre li ringraziò...
Non credo che, in quel momento, non avesse capito cosa sarebbe accaduto... Probabilmente fece finta di non capirlo.

Prima che mio padre potesse anche finire di dire "Vi ringrazio", quell'uomo gli diede una ginocchiata in pieno ventre.
Istintivamente, chiamai mio padre per nome dalle scale, attirando anche l'attenzione di quei tre bastardi.


"Ho sentito tu hai una graziosa bambina, John."
Disse uno di quei tre.

"Aspettate, vi prego..."
Sentii implorare da mio padre, inginocchiato nel terreno, tossendo e sofferente.

Uno di quei tre uomini lo colpì in faccia con un calcio.

"Faremo a turno".

A quel tempo non sapevo ancora cosa significassero quelle parole...
L'avrei capito, però, nel modo peggiore possibile.


Fu quel giorno che tutto mi crollò addosso.

Ciò che accadde esattamente quel giorno... Lo ricordo perfettamente, cristallino come l'acqua.
Ogni. Singolo. Istante.

Ricordo perfettamente la paura... La rabbia... Il dolore... Le lacrime... Le urla... Le risate.
Ricordo tutto quanto.

Quei bastardi..!
Era colpa loro... Tutto ciò che era accaduto fino a quel momento, era colpa loro!

Mio padre era debole.
Non riuscì a sopportare la scomparsa di sua moglie, e quando vide che tutto stava ormai andando a farsi fottere si fece prestare soldi da un gruppo di criminali da quattro soldi, invece di risolvere la situazione con le sue stesse mani...!

Debole...!
Incompetente...!

Ti odio... E' anche colpa tua se...!


...


No...
Ero io quella debole.
Proprio come lui, proprio come mia madre.

Erano troppo deboli per riuscire a prendere le decisioni che avrebbero dovuto prendere.
Non potevo permettermi di rimanere debole come loro... Assolutamente.

Ero troppo debole per proteggere me stessa, quindi continuai a chiamare mio padre sperando che sarebbe stato lui a salvarmi...! 

Stupida! Debole! 
Le persone deboli sono destinate a crollare ai piedi di quelle più forti... E così è stato anche per noi. 


Sai... Forse, però, dovrei ringraziare quei tre bastardi.
Se non fosse stato per loro, non so se sarei riuscita a scoprire quanto fossi stupida nell'aspettarmi che le altre persone potessero aiutarmi.

Nessuna persona forte avrebbe mai aiutato una persona debole... Al contrario, la più forte l'avrebbe spinta sempre più in basso per elevarsi più in alto.
Non è questione di giusto o sbagliato: è semplicemente la legge del più forte.


Non faccio loro una colpa: loro erano più forti di mio padre... E di me. Quindi hanno semplicemente fatto ciò che potevano fare.

E' grazie a quelle tre merde se ho capito quale fosse la mia forza: dovevo ringraziarli, per quello.
Quindi mostrai anche a loro la forza che riuscii a trovare.


...

Mi è piaciuto molto, sai?
Guardarli bruciare vivi, uno ad uno. Urlare dal dolore, rotolare nel terreno, correre in giro senza meta.

Ho adorato il suono delle loro urla: era musica alle mie orecchie.
Ero io quella forte, in quel momento. Ma non era abbastanza... Dovevo essere ancora più forte.

Dovevo diventare la più forte, affinché nessuno avesse più potuto calpestarmi come quei tre bastardi avevano fatto...
...Affinché io non dovessi più cercare l'aiuto delle persone deboli intorno a me.


Non potevo fidarmi di nessuno, se non di me stessa.

I più forti sopravvivono calpestano i più deboli. 
I più deboli dovranno sottomettersi ai più forti. 

E' semplicemente l'ordine delle cose.

Mio padre era debole: non poteva risolvere nulla, da solo.
Quindi spettava a me diventare forte per entrambi... Quindi dovevo imparare a controllare la mia forza.

Se ci fossi riuscita, nessuno avrebbe più osato toccarmi anche solo con un dito.
Nessuno.

Quindi decisi che lo sarei diventata. 
Dovevo semplicemente assicurarmi che tutti gli altri fossero più deboli di me... 

Quanto sarebbe potuto essere difficile?

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Fine del capitolo 6-1! Grazie di avermi seguito e alla prossima!

 

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Capitolo 35
*** Capitolo 6-2: Diana ***


Capitolo 6-2: Diana

 


All'inizio non riuscii a credere a quella scena. Nonostante tutto, quella persona era mio padre.
Mi domandai se fosse vero, se per caso stessi sognando.

Ero abituata, ormai, a quel genere di scene, non so dire se per mia fortuna, o sfortuna... Eppure non riuscii a sopportare quella vista.
Quell'uomo fece così tanti errori... Più volte pensai di abbandonarlo, d'insultarlo, urlargli contro tutta la mia rabbia.

Eppure non lo feci, mai. 
Era mio padre, dopotutto. Non importava quante volte dicessi che l'odiassi, o che non avrei più voluto vederlo...

... Era comunque mio padre.
L'unica persona che mi era rimasta... L'unica persona che non provò a farmi del male...


Era ormai andata.



Non conoscevo le ragioni che spinsero quel bastardo a farlo fuori, quantomeno mi interessarono.
Potei sentire la mia rabbia travolgermi come un fiume in piena, crescere sempre di più come le fiamme nel mezzo di un bosco.

Non riuscii a pensare ad altro, in quel momento.
Più fissai quell'uomo, più quel desiderio cresceva sempre di più dentro di me.

"Voglio vederlo morto."

Quel bastardo mi tolse l'ultima cosa che mi era ormai rimasta... Quindi io l'avrei ripagato con la stessa moneta.



<< Guarda un po' chi abbiamo qui... >>
Lo sentii ridacchiare, in quell'istante.

<< ... Se oggi non è il mio giorno fortunato, non so quale dovrebbe esserlo. >>
Continuò.

<< Cosa c'è? Credi di aver vinto, per caso, la lotteria? >>
Ringhiai.

Non mi rispose. 

<< Anzi, in realtà hai vinto qualcosa. >>
Aggiunsi subito dopo, estraendo il coltello che avevo legato alla mia cinta.

<< Che ne dici di un viaggio di sola andata per il cimitero? Sarò gentile, non ti farò pagare nemmeno la bara. >>
Digrignai i denti, senza smettere di fissarlo.

<< Perdonami, ma ho paura di dover rifiutare l'offerta. >>
Mi rispose, con un tono divertito.


Volevo saltargli addosso e farlo a pezzi con le mie stesse mani. Non so esattamente cosa mi fece desistere.
Quell'uomo... Sapevo perfettamente chi fosse.

Gran Generale Levyathan Melvillei, uno dei militari più importanti dell'Arcadia, conosciuto per essere probabilmente il migliore soldato che abbia mai messo piede in questa nazione.
A furia di ricevere così tante medaglie e riconoscimenti deve aver cominciato a credersi migliore di tutti gli altri.

Lo vedevo dal modo in cui mi fissava.
Mi fissava con gli stessi occhi con cui chiunque guarderebbe un animale da circo, chiuso dietro delle sbarre, mentre prova a raggiungerli.

Non riuscii a sopportare quel suo sguardo, ancora di meno dopo quello che fece.
Mi lanciai contro di lui con tutta l'intenzione di pugnalarlo in pieno petto, ma fu completamente inutile.

Mi afferrò il polso con una mano, non appena lo raggiunsi, prima che potessi colpirlo, stringendolo con forza e facendomi cadere il coltello nel terreno.
Non disse nulla: mi diede una semplicissima ginocchiata in pieno ventre.

Mi accasciai nel terreno, reggendomi il ventre con entrambe le mani, tossendo e sputando nel terreno... Poi sollevai di nuovo lo sguardo verso di lui.


Odiai quegli occhi...! 
Mi fissò dall'alto in basso, con uno sguardo che sembrò quasi sfottermi: non mi vide probabilmente nemmeno come una minaccia.

Non riuscii a sopportarlo. Frustrata da quei suoi occhi, afferrai della terra con una mano, per poi tirargliela addosso.
Se ne rese conto, ma non fu abbastanza veloce da coprirsi gli occhi.

Non appena si portò le mani al volto, mi alzai rapidamente dal terreno, dopo aver afferrato di nuovo il mio coltello.
Provai a pugnalarlo per la seconda volta nel petto, ma stavolta mi sembrò quasi come se qualcosa bloccò il mio attacco prima che potesse raggiungerlo.


Non riuscii a comprenderne il motivo: sembrò quasi come se qualcuno avesse afferrato la mia mano, impedendomi di colpirlo. Eppure non c'era nessuno.
Quell'uomo approfittò all'istante della mia confusione: mi colpì in pieno volto con un pugno, facendomi cadere per la seconda volta nel terreno.

In quell'istante, non mi importò nulla del dolore. Non ci feci caso.
Mi voltai rapidamente verso di lui, ringhiandogli contro.

Potei, però, sentire un sapore metallico provenire dal mio labbro inferiore.


<< Giochi sporco, eh? >>
Disse quell'uomo, infastidito dai miei metodi.

<< Dovresti vergognarti. >>
Continuò, afferrando poi l'elsa della sua spada.

<< Oh? Dovrei essere io a vergognarmi, e non tu?! >>
Ringhiai.

<< Perché dovrei essere io a vergognarmi, esattamente? >>
Non riuscii a credere mi avesse fatto quella domanda.
Lo fissai in silenzio per qualche secondo, incredula, per poi ringhiargli contro e lanciarmi di nuovo verso di lui in preda alla collera.

Non avevo più il coltello in mano, ma non mi interessò. Tutto intorno a me divenne rosso: l'unica cosa su cui riuscii a concentrarmi fu quel bastardo.
Lo volevo vedere morto, volevo farlo a pezzi con le mie stesse mani.


Era troppo forte. In uno scontro di quel tipo, non ne sarei mai uscita vincitrice.
Evitò la mia carica semplicemente spostandosi di lato, quindi mi colpì con una gomitata nel collo.

Potei sentire un forte fischio risuonare intorno a me, mentre caddi al suolo. Provai a rialzarmi, ma sentii qualcosa bloccarmi con forza nel terreno.
Come sollevai lo sguardo, vidi quell'uomo, sopra di me, mentre mi bloccava al suolo con un piede.

<< Certo che sei davvero fastidiosa. >>
Gli sentii dire, non appena fui in grado di sentire di nuovo i rumori intorno a me.

<< Quando rivedi tuo padre... >>
Mi disse subito dopo, estraendo la sua spada e sollevandola verso l'alto.

<< ... Digli che ho detto: "Non mi interessa". >>
Continuò.


Sapevo che, se non avessi reagito, non sarei uscita viva da li.
Avevo sentito dire che quel bastardo fosse forte, ma non mi sarei assolutamente mai immaginata che la differenza tra me e lui fosse così ampia...

Dopotutto, trascorsi gran parte della mia vita, fino a quel punto, ad allenarmi: la sola idea di venire sconfitta così rapidamente in uno scontro corpo a corpo non mi passò neanche lontanamente per la testa, neanche una volta.


Compresi perfettamente che in uno scontro di quel tipo non avrei potuto sconfiggerlo. Se avessi voluto ottenere la mia vendetta, avrei dovuto usare modi molto meno ortodossi.

Prima che, però, potessi fare qualsiasi cosa, sentì la voce di qualcuno urlare "Basta!".

Sorpresa, e confusa, da quell'urlo, mi voltai nella direzione da cui provenne quella voce, e lo stesso fece Levyathan.
Il ragazzo che incontrai poco prima era in piedi, davanti a noi, con in mano uno strano arco rivolto nella nostra direzione, che sembrava quasi fatto di cristallo...

... Anzi, sembrava quasi fatto interamente di luce.

<< Basta così, generale! >>
Esclamò quel ragazzo, ancora una volta.

<< Blake? Che assurdità è mai questa? Sei cosciente del fatto che stai puntando la tua arma verso un tuo superiore, vero? >>
Domandò quel bastardo al ragazzo, con un tono visibilmente infastidito.

<< Lo so perfettamente. Nessun altro deve soffrire, oggi. Dovremo semplicemente- >>
Prima che potesse finire di parlare, quell'uomo lo bloccò.

<< Stai al tuo posto, soldato. Non hai la benché minima idea di cosa stiamo affrontando: io, invece, si. Quell'uomo era un criminale, e questa ragazzina, sua figlia, è esattamente come lui. Stai proteggendo un Ribelle, Blake, e questo è un motivo più che valido per subire la pena capitale! >>
Esclamò Levyathan.

<< Ora, abbassa l'arma... E io ignorerò questo tuo comportamento. >>
Continuò, subito dopo.


Quello, probabilmente, fu il momento migliore per attaccare... Se non fosse che Levyathan avesse la punta della sua spada sulla mia gola.
Se avessi fatto anche il minimo movimento, quindi, mi avrebbe sgozzata li, in quell'istante, come un maiale.

Non mi importava, sinceramente: se avessi potuto farmi saltare in aria e portare quel bastardo all'inferno insieme a me, mi sarebbe andato più che bene.
Ma non mi bastava... Volevo vederlo soffrire


<< Non posso! >>
Continuò quel ragazzo.
Il fatto che si stesse opponendo a quell'uomo mi colse del tutto impreparata: non era una cosa che mi sarei mai aspettata.

<< Non so molto riguardo ai Ribelli, ma... Ucciderli non porterà a nulla! Se è davvero una criminale, allora arrestiamola semplicemente! Non è necessario uccidere anche lei, ho già visto abbastanza! >>
Continuò. 
Levyathan non gli rispose.

<< Se tu la uccidi, io me ne vado. Non ho intenzione di aiutarti in nessun modo, e porterò Mirajane insieme a me. Torneremo al villaggio, non vogliamo niente a che fare con questo genere di cose. >>
Concluse.
Devo ammetterlo, non mi aspettai assolutamente che uno dei suoi sottoposti potesse minacciarlo...

Ma ciò che mi interessò di più, in quel momento, fu il comprendere che quella sarebbe potuta essere la mia occasione perfetta: se mi avessero arrestato, sarei potuta entrare all'interno della capitale.


<< Che idiozia. Hai la minima idea di chi sia questa ragazza? >>
Domandò il bastardo a quel ragazzo.

<< Flare, l'assassina della Fazione Azzurra. Un killer spietato e violento che ha fatto fuori circa ventitré persone... Almeno dieci delle quali soldati. >>
Continuò, senza aspettare la sua risposta.

Quel "Blake" posò il suo sguardo confuso su di me, quasi come se stesse cercando una conferma.



Quella era la mia chance.



<< Di cosa cazzo stai parlando?! >>
Ringhiai al bastardo, attirando la sua attenzione.

<< Non sono io Flare! Hai preso la persona sbagliata! >>
Le mie parole lo colsero di sorpresa.

<< Come sarebbe a dire?! >>
Mi rispose, con tono confuso e sorpreso.

<< Il mio nome è Diana Garcia! Non sono "Flare"! Se lo fossi stata, stai pur certo che ti avrei già cotto come uno spiedino, pezzo di merda! >>
Continuai.
Le mie parole colsero il bastardo alla sprovvista: notai con piacere lo sguardo confuso con cui mi guardò.

<< Cosa?! >>
Ripeté, confuso e infastidito dalle mie parole.
Mi hanno sempre detto fossi brava a fingere.

<< Non provare a prendermi per i fondelli, ragazzina! Non sono così stupido da cadere vittima delle tue bugie! >>
Continuò, infastidito.

<< Generale. >>
Disse quel ragazzo, attirando la sua attenzione.

<< Credo la scelta migliore sia arrestarla per aver attaccato dei militari, per ora. Non appena la porteremo alla capitale, faremo degli accertamenti per verificare se sia, o meno, veramente chi lei dice che sia. In quel caso, prenderemo altri provvedimenti. >>
Continuò.


Mi venne da sorridere, ma fui in grado di trattenermi.

 
<< Ti sta prendendo per i fondelli, soldato. >>
Lo avvisò Levyathan, senza successo.

<< La teniamo sotto controllo e nel mentre ci assicuriamo se sia, o meno, innocente. >>
Replicò il ragazzo.

<< Non è innocente. >>
Controbatté il bastardo, con tono infastidito.

<< E se lo fosse? Le andrebbe davvero bene uccidere un innocente, generale? Se la sua risposta è affermativa, allora le faccio sapere che non è per questo motivo che io mi sono arruolato. >>
Aggiunse il ragazzo.


In quell'istante capii che avessi raggiunto il mio obbiettivo.
Il bastardo si voltò verso di me, furioso come una bestia incatenata. Potei vedere l'odio riflesso nei suoi occhi, e a stento fui in grado di trattenermi dal ridere.

Digrignò i denti, per poi voltarsi di nuovo verso quel ragazzino.

<< E sia. La porteremo alla capitale per accertamenti. Sia ben chiaro, però... Se dovesse succedere qualunque qualcosa, la colpa ricadrà su di te. >>
Lo avvertì Levyathan.


In quell'istante, pensai una sola cosa:
"Grazie mille, Blake."


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Fine del capitolo 6-2, grazie di avermi seguito e alla prossima!




 

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Capitolo 36
*** Capitolo 6-3: Bugie ***


Capitolo 6-3: Bugie



Rimasi del tutto scioccato quando vidi il Generale tornare insieme a Blake, accompagnati da una ragazza che mai vidi prima d'allora.
Il suo sguardo era spento, cupo, ed evitò di guardare chiunque in faccia.

Eravamo da poco tornati dalla missione che Levyathan ci diede, e mandai Mirajane a scrivere un rapporto. Non accadde nulla, fortunatamente, e fui in grado di sfruttare il tempo trascorso con lei per provare ad avvicinarmi un po' di più a lei.
Nonostante fosse ancora palesemente confusa a poco agio con me, a causa di quella mia strana aura, fui comunque in grado di riuscire a farle capire che non fossi una minaccia, per loro.


Guardai il trio in silenzio, mentre Levyathan fece cenno a quella ragazza di camminare per quel corridoio.
Ammanettata, più volte la notai intenta a lanciare sguardi furiosi verso il Generale.

A quel tempo, ancora non sapevo chi fosse.


<< Chi sarebbe questa ragazza? >>
Domandai al Generale, non appena mi passò a fianco.

Levyathan fissò la ragazza in silenzio per qualche istante, con la coda dell'occhio, quasi come se stesse aspettando fosse lei a rispondermi.
Quella ragazza ricambiò il suo sguardo con uno frustrato e minaccioso.

<< E' la figlia di un membro dei Ribelli che abbiamo localizzato durante la missione. >>
Fu Blake a rispondermi.
Sapevo che ci fossero stati avvistamenti di alcuni ribelli, in quella zona, eppure la cosa mi fece comunque preoccupare.

<< Quindi i rapporti dei ricognitori erano corretti? La Fazione Azzurra si sta davvero espandendo così vicina alla capitale? >>
Domandai al generale.

<< Sembrerebbe di si. >>
Confermò il generale, con una espressione cupa stampata in volto.
Non riuscii a comprendere il motivo, in quel momento: non sembrava fosse la presenza dei Ribelli in quella zona a infastidirlo, ma qualcos'altro che ancora non sapevo...

<< Ma fatemi il piacere, non fatemi ridere! Mio padre non aveva più nulla a che fare con quei bastardi, hai preso un fottutissimo granchio, bastardo! >>
Ringhiò quella ragazza.

<< Ne dubito fortemente. >>
Le rispose Levyathan, senza scomporsi più di tanto.

<< Non mi interessa un cazzo di quello che pensi. >>
Controbatté lei, rispondendogli con un tono furioso.


Per la prima volta in vita mia, vidi una espressione comparire nel volto di Levyathan che mai vidi prima.
Una espressione frustrata che, con il tempo, avrei visto altre volte.

Nonostante avesse provato a nasconderla, fui perfettamente in grado di vedere quella smorfia furiosa apparire per una frazione di secondo nel suo volto, i suoi occhi spalancati.

<< Sai... >>
Mormorò, dopo aver fatto un profondo sospiro.

<< ... Se fossi in te, considerando la tua attuale situazione e dove ti trovi, sceglierei le mie prossime parole molto attentamente. 
Quella ragazza non sembrò preoccupata dalle sue parole.
Lo fissò in silenzio per qualche istante, poi le parole che disse mi fecero congelare il sangue.

<< Stai pianificando di farmi fuori come hai fatto con mio padre? >>
Gli rispose.

Non riuscii a credere a quelle parole.
Istintivamente posai il mio sguardo sul generale, il quale notò rapidamente il modo in cui lo stessi guardando.
Ero sorpreso, più che spaventato: dopotutto, Levyathan mi disse, qualche giorno prima, che avrebbe catturato i Ribelli apparsi in quell'area per interrogarli.


<< Generale...! >>
Esclamai, attirando la sua attenzione.

<< Aveva detto che li avrebbe catturati, non uccisi! Cosa è successo, esattamente? >>
Gli domandai.

<< Non c'è molto da spiegare, in verità. Quell'uomo mi aveva attaccato, obbligandomi a rispondere al fuoco. Invece di, però, arrendersi, quell'idiota ha provato ad afferrare il suo coltello. Non potevo semplicemente ignorare quel suo comportamento. >>
Mi rispose il Generale.


Prima che potessi chiedergli qualsiasi cosa mi fosse passata per la testa, sentì quella ragazza alle mie spalle ruggire come una bestia in gabbia.
Mi voltai di scatto verso di lei: i suoi occhi rossi, spalancati, e digrignava i denti con così tanto ardore che, per un attimo, pensai che sarebbero andati in frantumi come delle vetrate.

<< Non dire cazzate! >>
Esclamò, facendo un passo furioso in avanti.

<< Hai davvero il fegato di mentire così spudoratamente!? >>
Continuò, agitandosi con forza, quasi come se stesse cercando di spezzare le manette che la tenevano imprigionata.

<< Come, scusa?! TU hai il coraggio di dire A ME che io stia mentendo?! Da che pulpito viene la predica...! >>
Le rispose Levyathan, infastidito sicuramente dal suo tono e da quelle sue parole.


Rimasi in silenzio ad ascoltare cosa avesse da dire.


<< Hai sparato mio padre nella gamba, maledetto! Anche se avesse impugnato un coltello non avrebbe potuto neanche alzarsi! L'hai ammazzato senza alcuna ragione! >>
Ringhiò la ragazza.

<< Non gli ho sparato alla gamba. Il primo sparo era d'avvertimento, in aria. Quell'idiota ha ignorato il mio avvertimento, e mi ha caricato con la sua arma. Poi l'ho disarmato, e lui è caduto sul suo stesso coltello. Ironico, non trovi? >>
Non appena Levyathan disse quelle parole, quella ragazza si bloccò di scatto a fissarlo per secondi che sembrarono infiniti.
Spalancò occhi e bocca, con fare incredulo, poi improvvisamente cominciò a ringhiare come una bestia furiosa.

<< Fottuto bugiardo! >>
Strillò, con un tono acuto e instabile.

<< Stai mentendo e lo sai perfettamente, pezzo di merda! >>
Continuò.

<< Devo ricordarti, per caso, che stai insultando un militare? >>
Le domandò.

La ragazza non gli rispose nulla: rimase in silenzio a fissarlo con una smorfia stampata in volto, per poi sputare nella sua direzione.

In quell'istante notai la mano di Levyathan scendere lentamente sull'elsa della sua Gioiosa.

<< Ne ho avuto abbastanza del tuo atteggiamento! >>
Ringhiò il Generale, estraendo la sua arma.

<< Generale, aspett-! >>
Prima che potessi intromettermi, la ragazza venne colpita in pieno volto con forza dall'elsa della spada di Levyathan, poi cadde al suolo con un forte tonfo.

Non fui in grado di fare altro se non rimanere immobile a fissare quella ragazza mugolare dal dolore, portandosi le mani, ancora legate, davanti al volto.
Potei vedere del sangue gocciolare nel pavimento.


<< Diana, va tutto bene?! >>
Esclamò Blake, inchinandosi davanti a lei e dandole una mano.

Quella ragazza, di cui finalmente scoprii il nome, non accettò l'aiuto di Blake e provò a rialzarsi da sola, fallendo.
Cominciò a tossire con forza, sputando saliva mista a sangue e mormorando dal dolore.

<< Lasciala stare, Blake. >>
Sentii dire da Levyathan. 
Non mi voltai verso di lui.

<< Che questo le serva da lezione: la prossima volta non sarò così clemente...! I ragazzini indisciplinati come lei devono essere messi in riga con il bastone, non con la carota. >>
Aggiunse subito dopo.

<< Orion. >>
Non appena pronunciò il mio nome, però, mi voltai di scatto verso di lui.
Il suo sguardo era furioso, ma aveva fortunatamente già rinfoderato la sua arma.

<< Si... Signore? >>
Gli risposi, ancora sorpreso da ciò a cui avevo appena assistito.
Dopotutto, quella fu la prima volta che vidi Levyathan ferire qualcuno in quel modo davanti ai miei occhi.

<< Portatela nelle segrete e chiudetela in una cella. Voglio che sia controllata ventiquattr'ore su ventiquattro. Verifica se abbia o meno il marchio della Fazione Azzurra. >>
Continuò.
Il suo tono era cupo e autoritario: era passato tanto tempo dall'ultima volta che lo vidi in quello stato.

<< Qualunque sarà il risultato, voglio tu venga nel mio ufficio a farmi rapporto non appena avrai finito. Sono stato chiaro? >>
Aggiunse subito dopo.

<< Sissignore, cristallino. >>
Fu la mia risposta.

In quel preciso istante Levyathan mi diede le spalle, dirigendosi con passo pesante e infastidito verso i suoi uffici.

<< Se dovesse avere quel marchio... >>
Lo sentii borbottare.

<< ... Sarò io stesso a giustiziarla. >>
Concluse.


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Fine del capitolo 6-3, grazie di avermi seguito e alla prossima!



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Capitolo 37
*** Capitolo 6-4: Giuramento [1-2] ***


Capitolo 6-4: Giuramento [1-2]

 


Rimanemmo per meno di cinque minuti, fuori da quella stanza, attendendo impazientemente, accompagnati da Levyathan stesso, che Mirajane lasciasse la stanza con i risultati dell'ispezione su Diana, avendo ricevuto il compito di cercare qualsiasi segno che potesse indicare fosse o meno un membro dei Ribelli.

Quando finalmente le due ragazze uscirono da quella porta, notai un grosso sorriso soddisfatto sul volto di Mirajane, e una espressione infastidita stampata nel volto di Diana, che evitò perfino tutti i nostri sguardi, ringhiando.

Mirajane ci disse che fosse tutto apposto: non trovò, infatti, neanche un singolo tatuaggio, o segno, nel corpo di Diana.
Non appena la ragazza disse quelle parole, Levyathan sembrò andare su tutte le furie: le ordinò rapidamente di fare un secondo controllo, ripetendo ripetutamente che "sicuramente non aveva prestato abbastanza attenzione durante il controllo".

Mirajane controbatté più volte, confermando che avesse cercato in ogni singolo angolo, dopo averle chiesto di togliersi tutti i vestiti, e che non ci fosse assolutamente nulla, ma le sue parole sembrarono non raggiungere il Generale... Sembrava quasi che sapesse che Diana fosse un membro dei ribelli.


In quell'istante Levyathan si voltò nella mia direzione, ordinandomi di fare un secondo controllo. Prima che potessi rispondergli qualsiasi cosa, però, fu Mirajane a intromettersi: "Non permetterò che sia un maschio, specialmente a lei sconosciuto, a vederla nuda!" esclamò, aggiungendo poi, subito dopo, che il fatto che Levyathan non si fidasse della sua ispezione fosse una grande mancanza di rispetto e di fiducia nei suoi confronti.



<< Non posso lasciare un compito così delicato a dei ragazzini di cui ancora non conosco il giudizio e le capacità. Ho bisogno di accertarmi che l'ispezione sia fatta da una persona competente, di cui io possa fidarmi ciecamente. >>
Disse Levyathan, a Mirajane, mandandola su tutte le furie.

<< Non si fida del mio controllo? Le ho chiesto di togliersi i vestiti esplicitamente per assicurarmi del fatto che non ci fosse quel maledetto tatuaggio! >>
Esclamò Mirajane, con un tono infastidito.

<< Avrei preferito se si fosse trattato di Orion a fare il controllo, fin dal principio. >>
Le rispose il generale, senza scomporsi troppo davanti al tono della ragazza.

<< E ti sembra giusto che un ragazzo debba vedere il corpo di una ragazza senza il suo consenso?! Dovresti fidarti del mio controllo, che motivo avrei di nascondere qualcosa, dopotutto? >>
In quell'istante notai Blake poggiarle una mano sulla spalla, sussurrandole poi qualcosa all'orecchio.
Per un istante notai una espressione strana, quasi preoccupata, apparire nel volto della ragazza.

<< Per prima cosa, non mi sembra di averti dato mai il permesso di rivolgerti a me dandomi del "tu", ragazzina. >>
Ringhiò Levyathan, muovendosi con passo minaccioso verso di lei.
Mirajane abbassò lo sguardo.

<< Come seconda cosa, a me non interessano neanche lontanamente questi "problemi" che vi state facendo. Se sei preoccupata dal fatto che io, o uno dei miei soldati, possa mettere le mani addosso a quella ragazza contro la sua volontà, allora quello è un grosso insulto e mancanza di rispetto nei modi che ho inculcato loro. >>
Continuò subito dopo.

<< Non è quello che intendevo dire...! >>
Gli rispose Mirajane.

<< E allora cosa volevi dire, con quelle parole? Ho visto crescere Orion con i miei stessi occhi, e se pensi a lui possa importare qualcosa di vedere la pelle nuda di qualcuno allora non hai la minima idea di che genere di soldato sia. Non sto dicendo che non mi fido del tuo giudizio o che tu stia mentendo: voglio solamente assicurarmi del fatto che tu non abbia fatto un esame superficiale, considerando quali sono i rischi. È davvero una cosa così difficile da capire? >>
Concluse il generale.

<< Mi faccia controllare ancora una volta, allora. >>
Propose Mirajane.
Levyathan la fissò per qualche istante senza proferire parola.


<< Vuole che sia io a fare un secondo controllo, Generale? >>
Domandai a Levyathan, notando il suo silenzio.
In quel preciso istante mi fece un cenno con una mano.

<< No, non è necessario, Orion. Dovrò comunque pur cominciare da qualche parte a dar loro fiducia. >>
Mi rispose.

<< Così sia. Fa pure un secondo controllo, e che sia ancora più accurato del primo. >>
Aggiunse subito dopo, rivolgendosi a Mirajane, la quale gli rispose rapidamente con un cenno positivo del capo.


Notai una espressione infastidita apparire nel volto di Diana, mentre tornò di nuovo all'interno di quella stanza... Una espressione che ben presto avrei cominciato a vedere molto spesso.



Quando finalmente uscirono da quella stanza, per la seconda volta, Mirajane disse solo due parole: "È pulita."

Levyathan sembrò infastidito da quelle parole, ma per qualche motivo non controbatté.
Ci diede le spalle, allontanandosi e dirigendosi verso uno dei sui uffici, non dopo, però, di avermi ordinato di portare Mirajane in una cella, e di tenerla sotto sorveglianza.

Mirajane detestò le parole del Generale, ma Levyathan non ascoltò alcuna delle sue proteste.
Ci lasciò indietro, dopo avermi dato quell'ordine, e non potei fare altro che seguire le sue indicazioni.


Dalla distanza lo sentii mormorare qualcosa, sottovoce, con un tono infastidito.
Sembrava quasi avesse detto "Deve trattarsi di uno scherzo."


Nonostante le proteste e gli insulti di Mirajane, che mi aiutarono finalmente a capire il motivo che si nascondeva dietro quel suo soprannome "Leona", di cui lei stessa mi parlò durante la missione che Levyathan ci diede, accompagnai quella ragazza in una cella, lasciandomi Blake e Mirajane alle mie spalle.


Non esistevano celle pulite, nel palazzo, ma sapevo ce ne fosse una abbastanza spaziosa, usata pochissime volte, con un letto ancora vivibile, un lavandino e una panca in legno.
Si trovava all'inizio del corridoio che portava alle segrete, prima delle scale, e non era quasi mai utilizzata proprio a causa della sua distanza dalle altre celle, e per il fatto che fosse al piano terra e non al di sotto.
Il sole poteva entrare tranquillamente da una finestra sbarrata sul muro parallelo alle sbarre, e dava sul giardino verde del palazzo.
Nonostante fosse una cella, il fatto che fosse così in bella vista e poco utilizzata la faceva sembrare quasi come una stanza da letto di basso livello.


Quella ragazza, Diana, non disse neanche mezza parola per tutto il tempo: mi seguì senza fare storie, entrando all'interno di quella cella e sedendosi sul bordo del letto, evitando anche di guardarmi negli occhi.

Non appena chiusi la cella a chiave presi una sedia che si trovava nelle vicinanze, e mi sedetti davanti alle sbarre, prendendo un piccolo libro che ero solito tenere in una tasca all'interno della mia divisa.
Dopotutto, mi era stato dato il compito di tenerla sotto stretta sorveglianza.


Era un piccolo libricino che mia madre mi diede quando ero piccolo e che ero solito portarmi appresso, nonostante fosse per bambini e l'avessi letto ormai così tante volte da aver imparato ogni riga a memoria.


Non so per quanto tempo rimanemmo li a ignorarci, ma per qualche motivo quel silenzio non mi diede assolutamente fastidio.
Non sentii la necessità di farle alcuna domanda, o di provare a dirle nulla.
Pensai che, in quel momento, l'ultima cosa che quella ragazza avrebbe voluto sentire era la voce di uno sconosciuto che l'aveva rinchiusa in una cella.

Piuttosto che rischiare farla innervosire ancora di più, o di darle fastidio con la mia voce, pensai che la cosa migliore da fare fu lasciare che fosse lei, in caso, a decidere di parlarmi.

Quindi rimasi li, seduto in silenzio a sfogliare le pagine di quel libro per non so quanto tempo, finché non fu lei ad attirare la mia attenzione.



<< Devi davvero rimanere li? Sei abbastanza fastidioso. >>
Sentii dire, a un certo punto.
Non appena sentii quella voce piatta come il mare calmo, quasi annoiata e priva di sentimenti.


Quel suo tono attirò la mia attenzione, per qualche motivo che non riuscii a capire.


<< Perdonami, sto solamente svolgendo il mio lavoro. >>
Le risposi, tornando a sfogliare le pagine di quel libro.

<< E il tuo lavoro sarebbe quello di sederti davanti a una cella a leggere un libro? Stai facendo davvero un ottimo lavoro. >>
Decisi d'ignorare quella sua provocazione.


<< Come ti chiami? >>
Mi domandò dopo alcuni secondi di silenzio, sicuramente capendo che non avrei reagito a nessun tipo di provocazione.

<< Orion Karna. Il tuo? >>
Le risposi rapidamente, abbassando quel libro e posandolo sulle mie gambe.

<< Conosci già il mio nome. >>
Ringhiò, evitando il mio sguardo.

<< Preferirei sentirlo da te, non da qualcun altro. >>
La mia risposta sembrò attirare la sua attenzione.

<< Diana. >>
Mi rispose, poco dopo, sospirando.

<< Cognome? >>
Domandai subito dopo.

<< Non t'interessa. >>
Aggiunse subito dopo, con un tono infastidito.

<< Ok, Diana Nont'interessa. È un piacere fare la tua conoscenza. >>
Lei non sembrò divertita da quel mio tentativo di battuta.

<< Quanti anni hai? >>
Le chiesi subito dopo, cercando di ottenere più informazioni possibili che potessero aiutarmi a capire se potesse, o meno, trattarsi di un membro dei Ribelli.

<< Circa venti. >>
Mi rispose, sembrandomi piuttosto cooperativa.

<< Da quanto tempo facevi parte dei Ribelli? >>
Non appena le feci quella domanda, però, una espressione cupa e furiosa apparve improvvisamente nel suo volto.
Rimase a fissarmi in silenzio con una smorfia stampata in faccia, ringhiando come un animale in gabbia.

<< Stavo solo controllando se, inconsciamente, mi avresti dato una risposta. Non prenderla sul personale: devo assicurarmi che tu non sia effettivamente un membro dei ribelli. >>
La mia spiegazione non sembrò comunque andarle a genio.
Continuò a fissarmi senza aggiungere altro per i successivi secondi con quei suoi occhi ardenti, cadendo in un silenzio assordante.

<< Come si chiamava tuo padre? >>
Non appena sentì quelle mie parole, l'espressione furiosa di Diana venne rapidamente sostituita da una malinconica. 
Evitò rapidamente il mio sguardo, girando di scatto il capo.

<< ... John. >>
Mi rispose, finalmente, dopo non so quanti secondi di silenzio.

<< Cosa è successo, esattamente? Dove vivevi prima d'incontrare Levyathan e Blake? >>
Continuai quel mio interrogatorio, stavolta, però, alla ricerca di informazioni che potessero confermarmi non fosse un membro dei ribelli.
Per qualche motivo, cominciai a prenderla inconsciamente in simpatia.

<< T'importa davvero, o stai solo cercando di strapparmi informazioni che possano giocare a vostro favore? >>
Le sentii domandarmi, senza però voltarsi verso di me.

<< Se non vuoi rispondermi, sei libera di non farlo. Non sono un tuo nemico, puoi credere alle mie parole. >>
Le dissi.
Non mi rispose nulla, non si voltò neanche verso di me.

<< Feci un giuramento, quando accettai di diventare un soldato: avrei usato le mie capacità per proteggere le altre persone, per aiutarle quando e dove necessario. Permettimi di provare a fare lo stesso con te. >>
Continuai subito dopo.


Diana mi rispose con un singolo verso, non so se fosse una sottile risatina o avesse sbuffato.

<< Si, certo. Proprio come con quel bastardo. >>
Ringhiò, parlando sicuramente di Levyathan.
La mia curiosità era all'apice. 

<< Cosa è successo, poco fa, esattamente? >>
Le domandai, ancora una volta.

<< Quel bastardo ha ucciso mio padre, l'ha sparato in testa. Ha detto che stesse per "afferrare il suo coltello"... Non farmi ridere...! >>
Ringhiò subito dopo.

<< Mi dispiace sentirtelo dire. >>
Le risposi.


In quell'istante Diana mi diede le spalle, per poi distendersi sul letto.

<< Lasciami in pace, ora. Non voglio parlarti. >>
Digrignò subito dopo.
Da quel momento in poi, nessuno di noi aprì più bocca per almeno un ora, ovvero fino a quando non fu Levyathan a tornare a farci visita.

Per qualche motivo, non appena lo vidi, mi sembrò che qualcosa nei suoi occhi fosse cambiato.
Inconsciamente mi domandai cosa fosse accaduto in quell'ora durante la quale Levyathan si chiuse nel suo ufficio.

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Fine del capitolo 6-4, grazie di avermi seguito e alla prossima!

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Capitolo 38
*** Capitolo 6-5: Giuramento [2-2] ***


Capitolo 6-5: Giuramento [2-2]

 

Quando Levyathan tornò, notai rapidamente che non fosse solo.
Accompagnato da Blake, si avvicinò rapidamente alla cella, e i miei occhi caddero sul ragazzo che l'aveva accompagnato: il suo sguardo era spento, cupo, e capii ben presto ci fosse qualcosa che lo preoccupasse.

Prima che potessi chiedergli qualsiasi cosa, però, Levyathan mi domandò cosa fosse accaduto durante l'ora in cui rimasi a fare da guardia a Diana.

"Nulla da segnalare, signore."
La mia risposta non sembrò piacergli poi tanto.


Sembrò quasi non riuscisse a credere che quella ragazza non fosse chi lui pensasse, e che
 stesse aspettando un motivo valido per poter finalmente agire come lui preferiva.

Iniziò, quindi, a farle delle domande lui stesso, ma Diana non lo degnò neanche di uno sguardo.

"Forse sarebbe meglio se fosse qualcun altro a parlarle, signore."
Non appena dissi quelle domande, Levyathan posò il suo sguardo cupo su di me.

"Dopotutto, ha appena perso suo padre. Non credo vorrebbe parlare con..."
Continuai, senza finire la frase. 
Sono sicuro che il Generale capì perfettamente cosa fosse ciò che stessi cercando di dire.


In quel preciso istante Levyathan prese un profondo respiro.

"Tutto questo è ridicolo."
Lo sentii mormorare.

<< Pensi davvero di riuscire a mettere in scena questo teatrino con me, Flare? >>
Domandò poco dopo alla ragazza, improvvisamente.



Flare... Avevo già sentito quel nome, anche prima di quel giorno.

Il killer della fazione Azzurra che prese il posto di Mist non appena quest'ultimo abbandonò i suoi compagni per unirsi all'Uroboro.
Non si avevano informazioni dettagliate su quella figura, se non per il fatto che fosse un killer spietato e violento, una donna dai lunghi capelli rosso sangue che poteva manipolare le fiamme a suo piacimento.

Non si avevano immagini o ritratti. Il suo volto era un mistero: nessuna delle sue ventidue vittime era sopravvissuta per raccontare la storia... O fornire un identikit.

Mi sembrò assurdo anche solo pensare che quella ragazza potesse essere la famigerata "Flare". 
Eppure Levyathan sembrò fermamente convinto di quelle sue parole.

"Sarà una semplice coincidenza."
Dissi a me stesso, cercando di convincermi.
Come soldato non avrei mai dovuto dare nulla per scontato, o considerare qualunque cosa come una "coincidenza".

Eppure, per qualche motivo, in quella situazione qualcosa dentro di me continuò a sperare che quella persona non fosse veramente quel criminale.


Nonostante le domande del Generale, però, neanche stavolta Diana lo degnò di uno sguardo, e quel comportamento sembrò dargli parecchio fastidio.
Si avvicinò rapidamente alle sbarre in ferro, colpendole con forza con la mano sinistra, attirando finalmente l'attenzione della prigioniera.



<< Dovresti rispondere ai militari quando ti vengono fatte delle domande. >>
Ringhiò.

<< Perché dovrei risponderti? Non mi crederesti in ogni caso. >>
Rispose la ragazza, ricambiando lo sguardo del Generale con uno altrettanto cupo e infastidito.

<< E cosa ti fa credere che io voglia parlare con te? Ti disprezzo, non ho nulla da dire a un mostro come te. >>
Aggiunse subito dopo.



Levyathan ringhiò.

Le parole che il generale sussurrò in quell'istante mi colsero del tutto alla sprovvista:
"Puoi ingannare loro, ma non me."
Prima che potessi, però, chiedergli qualsiasi spiegazione, Levyathan si allontanò da noi.

"Interrogatela ancora una volta."
Ordinò, incamminandosi per quel corridoio subito dopo averci dato le spalle.

"Voglio un rapporto dettagliato tra mezz'ora, nel mio ufficio. Se non dovessi riceverlo, la farò giustiziare all'istante."
Aggiunse subito dopo.

"Non levatele gli occhi di dosso neanche per un istante."
Concluse, girando poi l'angolo e svanendo dal nostro campo visivo.



Per qualche secondo cadde di nuovo un silenzio assordante intorno a me.
Diana rimase a fissare il vuoto davanti a lei, senza proferire parola, con braccia conserte davanti al suo petto.

Blake, invece, continuò incessantemente a fissare il pavimento in silenzio, senza muovere neanche un muscolo.
I suoi occhi e le sue labbra tremavano.


<< Cosa succede, Blake? C'è qualcosa che ti preoccupa? >>
Gli domandai.

Blake sollevò lentamente lo sguardo, posandolo su di me per a malapena una frazione di secondo, prima di riprendere a fissare il pavimento.

<< Non... Riesco a togliermi quella immagine dalla testa. >>
Borbottò poco dopo, con una voce debole e spaventata.

Capii all'istante di cosa stesse parlando.

<< Era la prima volta che hai visto qualcuno morire davanti ai tuoi occhi? >>
Le mie parole lasciarono Blake sbigottito.
Sollevò di scatto il capo, fissandomi con occhi spalancati e fermi, pallido in volto come se avesse visto un fantasma.

Per un istante balbettò, non riuscendo a proferire parola.


<< Tu... Hai ucciso qualcuno? >>
Mi domandò, finalmente.

Gli risposi rapidamente con un cenno negativo del capo.

<< No, ma ho assistito alla tragica fine di alcune persone. >>
Aggiunsi subito dopo.

<< Come fai a conviverci? A dimenticarlo? >>
Mi domandò ancora una volta.
Non avevo quelle risposte, non potevo quindi dargliele in alcun modo.

<< Non puoi farlo. >>
La mia risposta lo lasciò di stucco. 

<< Non potrai mai abituarti a quelle immagini, a quei ricordi, nemmeno dopo anni e anni. L'unica cosa che puoi fare è accettarli, tenere bene a mente quella scena e non dimenticarla mai. >>
Non credo si aspettasse quel mio consiglio.
Mi guardò con una espressione confusa, quasi come se volesse chiedermi cosa significasse "tenere bene a mente quella scena", "non dimenticarla mai".
Quelle mie parole, per Blake, furono come un fulmine a ciel sereno.
Credo si aspettasse qualcosa che potesse aiutarlo a lasciarsi quella scena alle spalle, invece l'unica cosa che fui in grado di dirgli fu di "ricordare".

Non credo fosse ciò che stesse cercando.


Continuò a fissarmi in silenzio, incredulo, e con una espressione totalmente scioccata.


<< Come... Perché...? >>
Balbettò, incoerentemente.

<< Qualche anno fa... >>
Cominciai a raccontare.

<< ... Due criminali furono giustiziati davanti alla folla. Uno dei due era, presumibilmente, un ladro e aveva rubato dei lingotti d'oro da una carovana militare. L'altro, invece, aveva ucciso una persona durante una lite. Non conosco tutt'ora quali fossero i loro nomi, ma ricordo perfettamente cosa accadde a entrambi. Il ladro venne bendato, e finì sotto la ghigliottina. Le persone lo insultavano, altre incitavano alla sua morte, ma quell'uomo non tremò neanche per un secondo. L'unica cosa che disse fu: "avete preso la persona sbagliata." Non so se stesse mentendo, o se avesse detto la verità... Ma a nessuno importarono le sue parole. Le persone continuarono a guardare, insultandolo e incitando la guardia a far cadere la lama. Alcuni iniziarono perfino a ridere, quando videro la sua testa rotolare su quel legno scuro.

Per lo meno, non ha sofferto o visto nulla...
L'altra persona, invece, non fu così fortunata.

Non appena toccò a lui, la folla sembrò infiammarsi: la gran parte dei cittadini cominciarono a tirargli le pietre addosso, insultandolo, e urlando che "doveva morire". Quell'uomo cominciò a piangere e ad agitarsi...

"Non sono stato io!"
Urlo alla guardia, inginocchiandosi davanti a quel soldato con le mani legate.

Anche stavolta, a nessuno importò di quelle parole. 
A differenza dell'uomo che venne giustiziato prima di lui, non c'era alcun dubbio su quale fosse il suo crimine. Venne trovato dai militari con le mani insanguinate e un coltello in mano... E un corpo senza vita, sventrato, di un suo collega ai suoi piedi.

E'... Strano come le persone affrontino situazioni dello stesso tipo in modi così differenti, anche quando è la loro stessa vita a essere messa in gioco.
Ricordo che Levyathan disse di aver apprezzato il comportamento del primo prigioniero. Ordinò perfino che venisse sepolto nel cimitero del castello.

L'assassino, condannato alla pena capitale, fu giustiziato tramite impiccagione.

A differenza del ladro, lui vide tutto. Continuò ad agitarsi istericamente come un pesce fuor d'acqua per non so quanti secondi, prima di smettere di lottare.


Ormai, credo che nessuno si ricordi più di quei due uomini. Così odiati per un giorno intero, e già da quello seguente nessuno più sapeva neanche chi fossero.
Non so se fossero, o meno, colpevoli: credo fermamente nella giustizia, ma ciò non significa che gli errori non possono accadere. 

Per amore della mia coscienza, non posso dimenticare quel giorno. Non posso dimenticare i loro volti.
Per onorare la loro memoria, qualunque fosse stato il loro errore, dovevo ricordarmi di loro.

Erano persone. Umani come noi, con famiglie, persone che amavano, amici, compagni. Anche se fossero stati entrambi colpevoli, la loro morte non ha portato a nulla se non più odio e altro dolore.

E' per questo che non puoi dimenticarti di lui. Racconta a tutti di quell'uomo, esattamente come ho fatto io fin'ora. Poi, saranno le altre persone a decidere cosa pensare di lui. Ma erano persone come noi... Non possono scomparire nel nulla, senza uno scopo alcuno. La loro memoria deve sopravvivere, essere un insegnamento per chi verrà dopo. Molte persone pensano che, dopo la nostra morte, tutto finisca. Ma non credo sia così. Sono convinto che, anche dopo la nostra fine, la nostra esistenza possa fungere da catalizzatore per qualcun altro... Le nostre scelte, le nostre azioni, potrebbero diventare insegnamenti per chi verrà dopo... Che sia per il meglio, o per il peggio, non possiamo saperlo. Ma ciò che so per certo è che non possiamo dimenticarci di chi non c'è più, che conoscessimo o meno quelle persone non ha importanza. Le loro memorie devono sopravvivere. Ogni cosa è connessa, ogni cosa che viviamo ci rende chi siamo, e per questo motivo non possiamo dimenticarci di nessuno.
Questo è ciò che penso.

"Violenza per porre fine alla violenza"... E' un sistema sbagliato. Non funziona: l'unica cosa che si ottiene è instaurare il terrore di agire nelle persone, impedendo loro di fare o esprimere qualsiasi idea che, giusta o sbagliata che sia, potrebbe cambiare il corso della storia.

L'Arcadia è un posto "stagnante", dove tutto è rimasto uguale da quasi mezzo millennio a questa parte. 
Immagina cosa avrebbero potuto fare, quei due uomini, se invece di essere stati giustiziati fossero finiti semplicemente in una prigione.

Se fossero risultati colpevoli, allora avrebbero vissuto la loro vita in isolamento, ripensando alle loro colpe giorno dopo giorno, fino a quando non si sarebbero davvero pentiti. La loro morte non ha risolto nulla... Quelle due persone non si sarebbero mai pentite veramente. L'assassino stava solo cercando di salvare la sua pelle.

Se, invece, fossero risultati innocenti, dopo ulteriori esami... Avrebbero potuto continuare a vivere la loro vita. E chissà cosa avrebbero potuto fare in quegli anni che, ormai, hanno perso. >>
Non appena conclusi quel racconto, mi voltai verso Diana.

La sua espressione era diversa, sembrò quasi incuriosita dalle mie parole.
Allungai una mano, aperta, verso di lei.

<< Il sistema in cui viviamo è sbagliato, e io voglio cambiarlo: questo è il giuramento che feci a me stesso, quel giorno. Quindi ti prego: aiutami nel mio intento. Non voglio che Levyathan ti faccia del male, non voglio che anche tu diventi una memoria. >>
Le dissi.


Nonostante il suo sguardo stesse ancora bruciando, fu in grado di farmi provare qualcosa che non sentii mai prima d'allora.
Inconsciamente, le sorrisi.

Non so perché accadde, ma per la prima volta in vita mia sentii qualcosa di diverso solamente nello stare vicino a lei. 
Quella fu una sensazione di pace e tranquillità che non provai mai con nessun altro, prima d'allora.



Ma non fraintendete: quello non era ancora neanche lontanamente considerabile come "amore".

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Fine del capitolo 6-5, grazie di avermi seguito e alla prossima!


 

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Capitolo 39
*** Capitolo 6-6: Veri Colori [1-2] ***


Capitolo 6-6: Veri Colori [1-2]





Sfortunatamente per me, ancora non avevo la benché minima idea di cosa sarebbe accaduto, quel giorno... Di quanto rapidamente le mie convinzioni e ideali avrebbero cominciato a vacillare come le foglie di un albero che cercano disperatamente di non venir strappate via da una intensa folata di vento.

E' divertente come la realtà possa essere, a volte, piuttosto deludente e crudele.


Credetti sinceramente che sarei riuscito a raggiungerla con le mie parole e, per qualche minuto, pensai anche di esserci riuscito.
Forse... Forse non fui in grado di vedere la verità che si nascondeva dietro quei suoi occhi infuocati.


Continuai a parlarle, insieme a Blake, per almeno una decina di minuti, cercando nel mentre di strapparle informazioni che avessero potuto mettere in dubbio le sue stesse affermazioni, parole che avrebbero potuto collegarla ai ribelli.
Diana fu furba, però: non fece trapelare nulla di anomalo. 

Sia io, che Blake, credemmo a ogni sua singola parola.
Levyathan, invece, probabilmente sapeva già chi lei fosse in realtà... E ciò spiega perché avesse voluto continuare a fare controlli e interrogatori su di lei.


Ad un certo punto, senza malizia, accennammo involontariamente alla morte di suo padre.
Realizzando l'errore commesso, ci voltammo verso Diana, notando ben presto l'espressione furiosa che era improvvisamente apparsa nel suo volto e con cui ci stesse fissando.

Digrignò i denti in silenzio, con uno sguardo feroce e minaccioso.


<< Mi dispiace tu abbia dovuto assistere a una scena del genere. Posso solo immaginare cosa si possa provare in una situazione del genere. >>
Fu l'unica cosa che riuscii a dirle, evitando d'incrociare il suo sguardo.

<< I vostri "mi dispiace" non riporteranno indietro mio padre, spero tu lo sappia. >>
Le sentii rispondere, con tono frustrato.
Non le risposi nulla.

<< Inoltre non sopporto che voi fingiate di provare pietà per me. >>
Aggiunse subito dopo.
In quell'istante sollevai di nuovo lo sguardo nella sua direzione.

<< Non puoi capire cosa si prova... Nessuno di voi può. Ho perso tutto fin da quando ero piccola, ogni singola cosa. Mi sono fatta i calli, ormai: ho imparato ad affrontare e sopportare tutto perché era l'unico modo che mi rimaneva per andare avanti senza venir schiacciata. >>
Continuò, ringhiando verso di noi come un leone in gabbia.

<< Quindi risparmiatevi tutte le stronzate che state cercando di farmi ingoiare, perché non me le bevo. Se non foste stati coinvolti direttamente, a nessuno di voi sarebbe importato nulla di cosa avrebbero fatto a me o a mio padre. Siete tutti uguali, nessuna differenza. Mostrate dei sorrisi falsi e provate a far sentire le persone a loro agio per guadagnarvi la loro fiducia, per far abbassare loro la guardia e poi pugnalarle alle spalle...! E ne ho avuto abbastanza. >>
Quelle parole mi colpirono come un fulmine a ciel sereno.


Capii all'istante che il motivo per cui stesse così tanto sulla difensiva, fosse qualcosa accaduto in passato... Qualcosa che ancora io non conoscevo.
Che io concordassi, o meno, con quella sua visione, era un discorso completamente differente.
Il motivo che la spinse a rimanere sempre sull'attenti, a dubitare delle altre persone, a non accettare le loro offerte di aiuto...

All'improvviso, il suo comportamento mi fu molto più chiaro.


<< Non puoi semplicemente lasciare che questi eventi ti scivolino addosso. Non puoi ignorarli per sempre, o alla fine ti schiacceranno. >>
Le disse Blake, togliendomi le parole di bocca prima che potessi dirle io stesso.
Quelle parole sembrarono infastidirla.

<< Di cosa diavolo stai parlando? >>
Ringhiò Diana.

<< Tutti quegli eventi mi hanno reso più forte; mi hanno fatto capire che non potevo restare così debole per sempre. Non li sto ignorando, è l'esatto opposto in realtà: riesco a farmeli scivolare addosso proprio perché sono diventata abbastanza forte da potermelo permettere. >>
Gli rispose subito dopo.
Quelle parole non sembrarono convincere Blake, il quale non ci mise molto a controbattere.

<< Stai solo fingendo di essere riuscita a superarli, proprio perché hai paura che possano ancora ferirti. >>
Sembrò quasi che, in quell'istante, qualcosa dentro Diana andò in frantumi.

Non so cosa le passò per la testa, in quei secondi, ma per un attimo non mosse neanche un muscolo, quantomeno disse nulla. 
Poi sembrò quasi tornare in se stessa, e in quell'istante il suo sguardo sembrò infiammarsi. Cominciò a ruggire dalla rabbia, e si alzò con uno scatto fulmineo da dove era seduta, per poi muoversi con passo pesante e rabbioso nella nostra direzione.


<< Chiudi quella cazzo di fogna! >>
Urlò, bloccandosi a pochi centimetri dalle sbarre di ferro, 
indicando Blake con un dito.
Quella reazione improvvisa non sembrò cogliere Blake alla sprovvista, che, con mio stupore, continuò a mantenere il contatto visivo con Diana, senza perdere il suo autocontrollo.


Non credo che Blake lo notò, ma potei sentire uno strano e intenso calore intorno a me, in quell'istante.


<< Non hai la benché minima idea di cosa ho dovuto affrontare fin'ora, quantomeno potrai mai capire le mie ragioni! >>
Aggiunse, senza aspettare alcuna risposta.

<< Sono dovuta diventare più forte esattamente per poter affrontare quelle situazioni, per assicurarmi che non avessero mai potuto ripetersi una seconda volta! >>
Continuò, senza mai distogliere lo sguardo dal ragazzo.

<< Non riuscirai mai a capire cosa si prova a sentirsi intrappolati, deboli... A gridare aiuto, per poi cominciare lentamente a realizzare che quella persona non potrà mai correre in tuo soccorso! >>
In quell'istante la sua voce cominciò a tremare, ma credo che lei non se ne rese conto.

<< Quella rabbia... Quella paura... Quel dolore, quell'odio... Dovevo diventare più forte per poterli affrontare... E così è stato. Sono diventata più forte di chiunque altro, forte abbastanza per schiacciarli tutti. Quindi non venirmi a dire che ho "paura"... Perché non è vero! >>
Concluse, finalmente, quello sfogo.


Per un istante incrociai lo sguardo di Blake, il quale mi rispose con un semplice cenno del capo.

Poi si indicò con un dito, quasi come se stesse cercando di dirmi di lasciar fare a lui.



<< Sai, Diana... >>
Sentii dire da Blake, ad un certo punto.

<< Tu... Mi ricordi molto una persona che conosco da tanto tempo, fin da quando ero piccolo. >>
Quelle parole attirarono sia la mia che l'attenzione di Diana.

<< Di chi staresti parlando e che cosa dovrebbe importarmi? >>
Gli domandò.

<< Un mio amico... Una testa calda. Qualcuno che ha un punto di vista parecchio simile al tuo. >>
Non appena disse quelle parole, Diana lo fissò in silenzio senza aprire bocca, quasi come se fosse incuriosita da quelle sue parole.
Rimase a guardarlo in silenzio con occhi impazienti, braccia conserte davanti al petto.

<< Il suo nome è Yuushi Hikari, ma noi l'abbiamo sempre chiamato "Yuu" >>
Non appena Blake disse quelle parole, mi tornò improvvisamente in mente il ragazzo che vidi non molto tempo addietro, il giorno che sia Blake che Mirajane accettarono di diventare soldati.

<< "Yuushi"? Che razza di nome sarebbe? >>
Domandò Diana, con un tono divertito, ma ancora visibilmente infastidita da quella discussione.

<< Fu il nostro Maestro a dargli quel nome. Vedi, Yuu abbandonò la sua famiglia quando scoprì la sua abilità, e decise di abbandonare anche il suo vecchio nome insieme a loro. Quando lo trovò, il nostro maestro gli diede quel nome: "Yuushi" dovrebbe significare qualcosa come "Eroe", mentre "Hikari", "Luce". >>
Le rispose Blake.
Quelle parole sembrarono divertirla.

<< E' ridicolo. >>
Ridacchiò.

<< Il suo vero nome è "Gilles Leroy". Ma a lui non piace essere chiamato in quel modo, ormai. >>
Continuò Blake, senza far troppo caso alle risatine di Diana.

<< Il motivo per cui mi hai ricordato lui è semplice... Anche lui, come te, è quasi ossessionato dall'essere forte. >>
Non appena disse quelle parole, però, Diana si bloccò di colpo.
Rimase in silenzio a fissarlo intensamente con uno sguardo confuso e sorpreso stampato in volto, senza muovere neanche un muscolo.

<< Per qualche motivo, Yuu associò la debolezza al pericolo di "restare da solo". Ci misi anni a capirne il motivo, mettendo insieme gli indizi che riuscii a ottenere dalle sue parole e dalle sue azioni. >>
Spiegò Blake.

<< Ci misi un po' di tempo a capirlo, ma quando ci riuscii tutto divenne improvvisamente più chiaro: la sua ossessione per diventare il più forte del villaggio, gli allenamenti talmente pesanti che lo portarono addirittura a ferirsi da solo e quel suo carattere aggressivo. Di colpo, le parole del Maestro acquisirono tutt'altro significato... Quando mi disse che Yuu fosse "debole"  non riuscii a capire cosa volesse dire, pensai mi stesse prendendo in giro. Quando, invece, lo capii, quello fu uno dei motivi per cui decisi di non abbandonarlo. Sapevamo necessitasse di aiuto, e insieme a Mirajane riuscimmo in parte a rattoppare quello strappo. >>
Non appena disse quelle parole, Diana sbuffò.
Sembrò infastidita e annoiata dalle sue parole.

<< Non ho davvero la benché minima idea del perché tu mi stia dicendo queste cose. Non m'interessano neanche lontanamente. >>
Gli disse.

<< Ciò che sto cercando di dirti è che, esattamente come te, Yuu crede fermamente di essere riuscito a lasciarsi alle spalle quel suo trauma, quando in realtà sta vivendo in funzione di esso. Ogni cosa che fa, che dice o che pensa, sono collegate a quell'evento in un modo o in un altro. >>
Quelle parole sembrarono mandare Diana in bestia.

<< Non farmi ridere...! >>
Ringhiò.
In quell'istante sentii quell'intenso calore per la seconda volta.

<< Non paragonarmi a un idiota che ha troppa paura di affrontare le sue paure! Quel tipo non era in grado di affrontarle, quindi ha fatto la scelta più facile: ha deciso d'ignorarle e fingere di averle superate. Io non sono così... >>
Continuò.

<< Io li ho affrontati. Li ho ridotti in cenere. >>


Quelle parole, per qualche motivo, mi rimasero impresse.


<< Perché non la smetti di parlarmi di queste cazzate, e mi lasciate in pace? Voglio stare da sola, sono stanca. Sparite. >>
Ruggì subito dopo, dandoci le spalle per poi distendersi sul letto all'interno della cella.
Dopo quelle sue parole, non ottenemmo più nulla da lei.


Lasciai quella stanza poco dopo, accompagnato da Blake, con il quale ebbi una breve discussione.
Annotai ogni cosa di cui parlammo in quei minuti su un foglio di carta che poi avrei consegnato a Levyathan. Quello sarebbe stato il rapporto che gli avrei consegnato, dopotutto.
Le parole di Diana però continuarono a riecheggiarmi in testa.

Non credo che Blake ci fece caso, ma quel "Li ho ridotti in cenere" mi sembrò strano.
Gli chiesi, infatti, cosa pensasse di quelle parole e lui mi rispose semplicemente che fosse il suo modo di evidenziare di come fosse stata in grado di sopraffare le sue paure.


Eppure, per qualche motivo, mi sembrò quasi che quelle parole non nascondessero alcun secondo significato.
Forse, il vero significato di quelle parole non era nascosto.



"PTSD". 
"Disturbo da Stress Post-Traumatico". Furono queste le parole che Blake mi disse, non appena fummo da soli. 

Continuai a ripensare a quel suo comportamento, e alle parole di Blake, anche dopo che ci separammo.
Al nostro posto, due guardie rimasero a controllare Diana.

Non credo che quello le piacque molto, ma non potei fare altrimenti.

Ripensai a come Diana andò su tutte le furie quando Blake le disse quelle parole, e a come decise semplicemente d'interrompere la discussione senza più darci alcuna risposta concreta successivamente.
Anche Blake mi confermò che, nonostante non fosse esperto in quel campo, quel comportamento gli ricordò molto il disturbo di cui soffriva quel suo amico, anche se Diana gli sembrò essere, per lo meno in parte, riuscita a superare quel trauma.

"Ma credo comunque che abbia lasciato una cicatrice profonda. Il suo comportamento sembra essere più deciso di Yuu, ma sono convinto che si tratti dello stesso disturbo. "
Aggiunse, però.

Ci lasciammo per quei corridoi poco dopo.
Io mi diressi agli uffici di Levyathan, per consegnare il rapporto, mentre Blake si diresse ai suoi alloggi.


Anche dopo aver consegnato il rapporto, quei pensieri non lasciarono la mia testa.
"Li ho ridotti in cenere."

Perché quelle parole continuarono a tornarmi alla mente?

In quell'istante un brivido mi attraversò la schiena.
Improvvisamente mi tornò alla mente quella strana e apparentemente insensata sensazione di calore che provai quando Diana urlò contro Blake.


"Non può essere..."
Pensai, non riuscendo a credere nemmeno io al dubbio che mi assalì.

C'era un solo modo per scoprire se quel mio dubbio fosse fondato, o meno, e sapevo perfettamente come ottenere le mie risposte.

Quindi decisi di cercarle.


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Fine del capitolo 6-6, grazie di avermi seguito e alla prossima!

 

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Capitolo 40
*** Capitolo 6-7: Veri Colori [2-2] ***


Capitolo 6-7: Veri Colori [2-2]

 



Mi diressi rapidamente all'ufficio di Javier Salazar, un compagno d'armi di Levyathan, secondo in comando. Lui era solito ricevere copie di tutti i documenti che entravano in possesso del Generale... Quindi, se esisteva qualche documento che potesse confermare o smentire quei dubbi, non c'era posto migliore in cui cercarlo se non li.

Fui fortunato: non trovai Javier nel suo ufficio. Fui in grado d'intrufolarmi di nascosto al suo interno, senza dare nell'occhio, grazie a una chiave universale che mi permetteva di aprire quasi tutte le porte del palazzo.

Una volta entrato all'interno di quella stanza, mi assicurai di chiudere a chiave la porta alle mie spalle, in modo tale che nessuno potesse cogliermi di sorpresa, o che potessero notare qualcuno fosse al suo interno.
Era un ufficio molto simile a quello di Levyathan, con qualche piccola differenza.

Non c'erano finestre, trovandosi più o meno al centro del palazzo, quindi l'unico modo a mia disposizione per illuminare la stanza fu quello di accendere la luce, nella speranza che nessuno potesse vederla dall'altro lato.

Mi diressi con passo rapido verso la sua scrivania, sedendomi sulla sedia e aprendo rapidamente l'ultimo cassetto in basso.
Non appena aprii quel cassetto, vidi una infinità di documenti... Ci avrei messo ore a ispezionarli tutti, uno ad uno, e non avevo quella possibilità.

Fortunatamente per me, Javier è un uomo rigoroso: i documenti erano divisi tutti in ordine alfabetico, quindi fu molto più semplice del previsto navigare in mezzo a quell'oceano di fogli e cartelle.

Con due dita mi feci strada fra le varie etichette, cercando la lettera "I".

Ben presto trovai ciò che stessi cercando... Una intera cartella di documenti inerenti a "Incendi" di vario tipo, avvenuti negli ultimi vent'anni.


Furono quelle sue parole a innescare in me quel dubbio... 
"Li ho ridotti in cenere"... Interpretai quelle parole in un modo molto più semplice e letterale rispetto a Blake.
Non pensai che Diana intendesse semplicemente di "essere riuscita a superarli"... 


Non c'erano molti rapporti, all'interno di quella cartella: fortunatamente, i casi d'incendio nell'Arcadia non erano poi così comuni. Meno di una dozzina di documenti, la maggior parte dei quali avvenuti tra i quindici e i vent'anni fa... Documenti che saltai, perché troppo vecchi per poter essere connessi a Diana.

Furono tre i rapporti, avvenuti negli ultimi dieci anni, ad attirare la mia attenzione.
Il primo, un incendio avvenuto all'interno di un vecchio orfanotrofio, sette anni prima, all'interno della capitale.

Nessun ferito, nessun morto. Un edificio abbandonato anni prima che prese fuoco a causa di un fulmine che colpì un albero nel vecchio giardino interno dello stabile.

Anche se Diana fosse un membro dei ribelli, quel documento non poteva avere nulla a che fare con lei.
Lo scartai rapidamente, passando al secondo...


... E, come il precedente, neanche questo poteva essere connesso a lei.
Un incendio che vide coinvolti una coppia di anziani, entrambi feriti ma vivi. L'incendio scoppiò in una stalla, per poi espandersi nella loro abitazione... Nessun morto.

Scartai anche il secondo documento, realizzando che non avrebbe portato a nulla.

Il terzo documento, però, mi fece venire i brividi nella schiena.
L'unico, fra i tre, ad avere una immagine dell'incendio.

Ciò che all'inizio mi sembrò il semplice scheletro di una capanna in legno scuro, ben presto ri rivelò essere nientemeno che i resti inceneriti di una casa ormai quasi del tutto ridotta in cenere.
Ogni cosa, tranne il contorno di ciò che un tempo era un'abitazione, era scomparso o bruciato. Non rimaneva altro se non il legno scuro, carbonizzato, che un tempo fece da base per la costruzione di quell'edificio.

Qualcosa, però, mi fece congelare il sangue... Un qualcosa che ci misi qualche secondo a realizzare.
Davanti a quell'edificio, infatti, vi erano tre corpi carbonizzati, ormai irriconoscibili, distesi in ciò che un tempo era sicuramente un giardino.

Rapidamente, andai a leggere la descrizione del rapporto, risalente a circa dieci anni fa.


"L'incendio sembrerebbe essersi spento da solo, senza aiuti esterni, presumibilmente per assenza di materiale da bruciare dopo aver consumato l'abitazione. Nonostante la casa fosse vicino a una zona boscosa, le fiamme non sono riuscite a raggiungere agli alberi, fortunatamente, evitando d'intaccare la fauna e la flora locale e di causare, quindi, un incendio che avrebbe potuto spazzare via l'intera foresta.

Non siamo riusciti a dedurre le cause che abbiano potuto portare all'incendio: non sono strati trovati indizi che potessero indicare ad un cortocircuito, quantomeno che l'incendio sia doloso, non avendo trovato alcun resto di sostanze infiammabili o di qualcosa che abbia potuto appiccarlo. E' possibile che sia stato causato da qualcuno con l'abilità di manipolare le fiamme, magari come vendetta verso le tre vittime che, presumibilmente, abitavano all'interno dell'abitazione.

Riguardo alle vittime: davanti ai resti dell'entrata dell'edificio sono stati trovati tre corpi carbonizzati. Impossibile risalire alle loro identità, anche se, dopo alcune ispezioni, sembrerebbero essere tutti e tre dei maschi oltre i quaranta.

Le fiamme hanno divorato gli indumenti e qualsiasi genere di documento che le tre vittime possedessero, però abbiamo notato un tatuaggio sulla spalla destra di uno dei tre.
Un corvo stilizzato, classico segno dei Ribelli della fazione Azzurra.
E' possibile che sia stato uno scontro interno, o che qualcuno abbia voluto vendicarsi di loro in maniera cruenta.

Poiché le vittime sembrerebbero essere tutte e tre membri dei Ribelli, ulteriori indagini sono state sospese. Comunque, è necessario avvertire i militari in zona dell'accaduto, per evitare che chiunque abbia appiccato l'incendio possa decidere di attaccare anche le forze dell'ordine, cogliendole di sorpresa. "


Quel documento mi fece uno strano effetto... Rapidamente misi tutto a posto, poi cominciai a cercare un secondo documento che, sicuramente, Javier aveva ricevuto.
Tornai indietro alla lettera "F", trovando ben presto ciò che stessi cercando.


" Soggetto: "Flare"
  Vero nome: Sconosciuto
  Età: Sconosciuta
  Altezza: Sconosciuta
  Data di nascita: Sconosciuta
  Peso: Sconosciuto
  Sesso: Femmina
  Colore Occhi: Rossi 
  Colore Capelli: Rosso fuoco
  Livello Pericolosità: 9.5/10
  Status attuale: Attivo
  Abilità: Presumibilmente, controllo delle fiamme. Sono necessarie ulteriori indagini per confermare.
  Origine: Sconosciuta
  Fazione attuale: Azzurra
  Attuale ubicazione: Sconosciuta
  Vittime conosciute: Dodici
  Ubicazione Tatuaggio: Fianco Sinistro "

Il documento non aveva molte informazioni, eppure qualcosa in tutto quello mi fece venire una brutta sensazione.
Il controllo delle fiamme... La fazione Azzurra...

Poteva essere Flare connessa all'incendio del documento che lessi in precedenza?
E, se così fosse... Poteva Diana essere connessa a Flare?

"No, non è possibile... "
Mi dissi, leggendo quel documento ancora una volta.
Era impossibile che Diana fosse Flare... Mirajane aveva ispezionato personalmente il corpo di Diana alla ricerca di qualsiasi segno o tatuaggio... Era impossibile che non avesse visto il tatuaggio classico della Fazione Azzurra nel fianco sinistro di Diana.


Rapidamente misi tutti i documenti al loro posto, per poi lasciare l'ufficio senza venir scoperto.
Tornai ai miei alloggi rapidamente, coricandomi ancora vestito sul mio letto e fissando il vuoto per non so quanto tempo.

La confusione e l'ansia non mi abbandonarono per le prossime ore...
Levyathan sembrò convinto delle sue parole... "Per quale motivo?" Mi domandai.
Una domanda lecita, dopotutto.

"Se Flare fosse veramente Diana", mi dissi, "Allora avremmo trovato quel tatuaggio".

Eppure qualcosa continuò a turbarmi, qualcosa che non riuscii a comprendere. 
Quelle sue parole, quel suo sguardo... Il documento che ispezionai...

Qualcosa... C'era qualcosa che mi disse che fossero connessi, ma non riuscii a comprendere di cosa si trattasse.

Anche dopo cena, quando mi coricai, quei pensieri continuarono a balenarmi in testa.


"Perché non riesco a smettere di pensarci...?"
Mi domandai, non riuscendo a capire cosa fosse a causare quella strana sensazione di ansia che mai, prima d'allora, provai così profondamente.
...


...Finché, improvvisamente, lo capii.

Quando realizzai cosa fosse ad avermi causato quell'ansia, mi si fermò il cuore per un istante.
Rimasi in silenzio a fissare il vuoto, incredulo da ciò che, fino a quel momento, non riuscii a vedere.


In quell'istante scattai dal mio letto, vestendomi rapidamente e correndo fuori dai miei alloggi con il cuore in gola.

"Non può essere...!"
Ripetei tra me e me, correndo per quei corridoi, nel mezzo della notte, dirigendomi ancora una volta nell'ufficio di Javier.

"Devo ricordare male"
Mi dissi, raggiungendo l'ufficio e aprendo la porta.

"Deve essere un errore!"
Continuai, aprendo il cassetto e cercando ancora una volta il documento della casa ridotta in cenere.


Non riuscii a credere a ciò che vidi in quella foto.
Vicino a uno dei tre corpi carbonizzati notai una strana collana con, come ciondolo, un orologio in argento, bruciato.

In quel momento, mi bloccai di colpo.
Avevo già visto quel ciondolo, ma fino a quel momento non ci feci caso.

Intorno al collo, infatti, Diana ne aveva uno uguale.


Lasciai di corsa l'ufficio di Javier, sguainando le mie lame gemelle, dirigendomi il più rapidamente possibile alla cella dove lasciai Diana qualche ora prima.
Non riuscii a credere che non fui in grado di notare quella cosa prima di quel momento... Quando ispezionai quel documento, non feci neanche caso a quel ciondolo. 

Un dettaglio così piccolo eppure così importante.

Quando raggiunsi finalmente la cella di Diana, trovai le due guardie che lasciai a controllarla distese in terra. 
Fortunatamente, stavano ancora entrambe respirando: erano solo privi di sensi.

Le loro spade erano state completamente fuse, esattamente come le sbarre delle cella dentro cui Diana era stata collocata.

In quell'istante compresi il gigantesco errore che avevo commesso.
Nonostante Flare non fosse il criminale più forte mai registrato, era di pubblico dominio il fatto che, in fatto di pericolosità, fosse seconda solamente alla strega Freyja Vanadis.

Le sbarre erano ancora calde... Non poteva essere scappata da molto.
Lasciai le segrete di corsa, ma non feci molta strada.


Non appena svoltai un angolo mi ritrovai davanti una figura che non faticai a riconoscere.
Era di spalle, ma si voltò lentamente verso di me non appena sentì i miei passi.

<< Dovevi davvero rovinare tutto, vero? >>
Mi disse, con quella sua voce annoiata.

<< Oh beh... Non ha importanza... >>
Continuò subito dopo, allungando un braccio verso l'esterno.

In quell'istante, delle fiamme intense avvolsero il suo arto e, lentamente, una spada lunga fatta interamente di un materiale scuro, simile al carbone, si materializzò nel palmo della sua mano.
Diana afferrò l'arma con forza, usando tutte e due le mani, puntandola nella mia direzione.

<< Eri anche tu nella mia lista, dopotutto... >>
Aggiunse subito dopo.
Non appena disse quelle parole, la lama della sua spada prese fuoco, permettendomi di vedere quel suo sorriso crudele e i suoi occhi infiammati.

<< ...Dovrò solamente cambiare l'ordine. >>
Concluse.

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Fine del capitolo 6-7, grazie di avermi seguito e alla prossima con l'ultimo capitolo del volume 6!


 

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Capitolo 41
*** Capitolo 6-8: Flare ***


Capitolo 6-8: Flare

 



Lunghi capelli rossi come il fuoco, occhi cremisi come il sangue e un sorriso malizioso e divertito stampato in volto.
Non riuscii a credere a quella vista... Per qualche secondo, continuai a ripetermi inconsciamente che mi stessi sbagliando, che fosse solamente un brutto sogno, senza riuscire a comprendere il motivo per cui non riuscissi ad accettarlo.

I suoi vestiti erano differenti rispetto a quelli che indossava in precedenza: indossava un corpetto rosso che lasciava scoperto parte del petto, le spalle e il ventre. I pantaloni, neri, arrivavano fino a poco sopra il ginocchio.

Il mio sguardo cadde sul suo fianco sinistro, scoperto.
Non riuscii a proferire parola quando notai quel simbolo...

... Era li, un corvo stilizzato di colore nero.

Diana notò sicuramente la mia confusione.


<< Perplesso, non è vero? >>
Mi domandò, con tono divertito, giocherellando con la sua spada facendola roteare con una mano.
Mi sembrò molto abile con le spade lunghe.

<< Oh, non pensarci troppo... >>
Continuò subito dopo.
Non appena disse quelle parole, quel disegno s'illuminò di un rosso accesso, cominciando a friggere come carne sul fuoco, per poi scomparire lentamente nel nulla come se non ci fosse mai stato.

<< Per chi, come me, nasce con la capacità di manipolare le fiamme deliberatamente, nascondere i segni di un marchio è un gioco da ragazzi. >>
Mi disse.
Il suo tono divenne improvvisamente più cupo, quasi infastidito, subito dopo aver detto quelle parole.

<< Un marchio...? >>
Le domandai, incuriosito e confuso da quella rivelazione.

<< Vuoi dire come- >>
Continuai, venendo rapidamente interrotto da lei.

<< Come il bestiame, si. >>
Il suo sguardo infuocato non lasciò trapelare altro al di fuori di rabbia, odio e rancore.

<< Credevano che fossi una loro proprietà... Sfortunatamente per loro non hanno pensato che ciò che consideravano il loro bestiame si sarebbe potuto opporre. >>
Continuò, ridacchiando con fare sinistro.


Sentii voci, prima d'allora, secondo le quali i membri della Fazione Azzurra fossero marchiati con il segno della loro Fazione per riconoscersi gli uni con gli altri, e quella fu la terribile conferma a quelle voci.

Mi domandai quanto avesse sofferto, prima d'incontrarla.
Basandomi sul suo comportamento e sulle sue parole, accadde qualcosa che la cambiò... Qualcosa che non riuscii a comprendere.

Prima che potessi farle qualsiasi domanda, prima che potessi anche solo provare a risolvere quella situazione con le parole, Diana scattò nella mia direzione con una rapidità disumana.

In un battito di ciglia arrivò davanti a me, preparandosi a colpire.
Non so come, ma riuscii a scansarmi appena in tempo per evitare quel suo affondo che, altrimenti, mi avrebbe trafitto da parte a parte come uno spiedino.


Devo ringraziare gli allenamenti di Levyathan, se quel giorno non ho perso la vita per mano di Flare.


<< Volevo davvero risolvere questa cosa rapidamente, sai... >>
Le sentii borbottare.

<< Perché hai dovuto evitare il mio attacco? >>
Mi domandò subito dopo, dopo essersi voltata verso di me lentamente, con un tono cupo e uno sguardo freddo.

<< Ascoltami: non è ancora troppo tardi. Se tornerai nella tua cella, posso cercare un modo per risolvere questa cosa senza dover ricorrere alla violenza! >>
Le dissi, cercando di farle cambiare idea, ma le mie parole sembrarono ottenere l'effetto opposto a quello sperato.

<< Ma non farmi ridere... >>
Borbottò, con fare infastidito.

<< Cosa ti fa pensare che io voglia risolvere questa cosa pacificamente? >>
Mi domandò subito dopo.
In quell'istante la sua spada s'incendiò ancora una volta.

<< Fammi un favore e muori. >>
Non appena disse quelle parole scattò ancora una volta nella mia direzione: bloccai a stento il suo fendente con le mie lame gemelle, più corte e sottili della sua grossa spada lunga a due mani, ma resistenti abbastanza da permettermi di reggere uno scontro di quel tipo.


Nonostante non sembrasse, la sua forza fisica mi colse totalmente impreparato.
Era molto più abile con la spada lunga a due mani di quanto mi aspettai... In termini di forza bruta, non avrei mai retto uno scontro diretto contro di lei, specialmente se avesse dovuto usare la sua abilità.

Eppure ero io ad avere il coltello dalla parte del manico, nonostante continuasse a mostrarmi quella sua faccia da poker, e Diana ne era perfettamente cosciente: voleva sbarazzarsi rapidamente di me proprio per quel motivo.


Prima che potessi rispondere al suo attacco, Diana mi colpì in pieno ventre con una ginocchiata, obbligandomi rapidamente a indietreggiare e inginocchiarmi nel terreno.
In quell'istante approfittò della mia guardia abbassata per preparare un secondo attacco, un roverso, un attacco che, normalmente, mi avrebbe colpito nei fianchi... Ma essendo inginocchiato nel terreno, Diana aveva un bersaglio completamente differente.

Scattai all'indietro, evitando di venir decapitato da quel suo attacco, per poi rimettermi rapidamente in piedi.


Rimasi in silenzio a fissarla senza muovere neanche un muscolo.


<< Mi stai facendo sprecare fin troppo tempo. >>
Sbuffò.

< E' più forte di me, non ho alcun dubbio a riguardo... >
Pensai, senza distogliere lo sguardo da Flare.

Sapevo perfettamente perché non stesse usando la sua abilità. Dopotutto, se l'avesse fatto, avrebbe fatto scattare l'allarme antincendio del palazzo. Quello era il motivo per cui non usò le sue fiamme per carbonizzare le guardie, ma bensì solamente per sciogliere le barre metalliche della sua cella.

Se fosse scattato l'allarme, allora avrebbe perso la sua unica opportunità di cogliere Levyathan alla sprovvista.
E, quindi, voleva liberarsi di me il più in fretta possibile per evitare che potessi essere io a dare l'allarme.


<< ... Eppure non puoi sconfiggermi. >>
Quella mia risposta la colse alla sprovvista. Per un attimo mi fisso con uno sguardo confuso, per poi ridacchiare di gusto.

<< Non giocare con il fuoco, stronzetto.. >>
Mi rispose, mentre la sua lama prese ancora una volta fuoco.


In quell'istante scattò ancora una volta verso di me, ma stavolta fui in grado di vedere i suoi movimenti: erano lineari, ripetitivi. Forza bruta e violenza senza alcun controllo.
Divenne ben presto chiaro come il sole che lei non avesse mai ricevuto alcuna forma di allenamento nella scherma.

Evitai il suo fendente, che collise con il terreno, spostandomi di lato.
La mia mossa colse Flare alla sprovvista: la notai mentre si voltò rapidamente nella mia direzione con una espressione confusa e sorpresa.
Non le diedi il tempo per caricare una seconda volta: prima che potesse sollevare la sua spada dal terreno la disarmai con un calcio, per poi obbligarla a indietreggiare con un fendente che, prontamente, evitò.


Anche se, a dire il vero, non fu mia intenzione colpirla.


Diana cominciò quindi a ringhiare, disarmata, nella mia direzione.

<< Sei forte, ma non puoi colpirmi. I tuoi movimenti sono lenti, ripetitivi: non hai ricevuto un allenamento nella spada, a differenza mia. >>
Le dissi, cercando di farla desistere.

Non mi rispose.

<< Se non puoi sconfiggere me, non hai speranze contro Levyathan. >>
Ripensandoci, forse non avrei dovuto dire quelle parole.

<< Oh...? Ma davvero? >>
Non appena mi fece quella domanda, la sua spada cominciò lentamente a trasformarsi in cenere davanti ai miei occhi.
In quel preciso istante, una seconda lama si materializzò di nuovo nel palmo della sua mano.

Questa era identica alla prima, se non fosse per la lunghezza. Era più corta e maneggevole, più fine e leggera.

<< Aspetta... Puoi creare altre spade? >>
Le domandai, indietreggiando.

<< Oh... Posso fare molto meglio... >>
Mi rispose, con un tono divertito ma, allo stesso tempo, infastidito.
Non riuscii a credere ai miei occhi: le fiamme avvolsero la sua mano libera, dando ben presto vita a una seconda lama gemella, identica alla nuova che aveva appena creato.

<< Partiamo con il secondo round! >>
Esclamò, scattando verso di me a una velocità di gran lunga superiore alla precedente.

Diana squarciò l'aria con rapidi attacchi, alternando fendenti a tagli orizzontali e obbligandomi a indietreggiare a ogni suo attacco, riuscendo a malapena a bloccare i suoi attacchi ardenti.


Le sue lame, circondate da fiamme cremisi, erano incredibilmente minacciose: più volte mi sfiorarono, sarebbe bastato semplicemente un tocco per lasciare delle bruciature sulla mia pelle, figuriamoci che danni avrebbero potuto causare se avesse dovuto colpirmi.


Nonostante l'aumento di velocità e il cambiamento repentino di stile, non ci misi molto ad abituarmi al suo nuovo stile di combattimento.
Dovrei ringraziare Levyathan, ancora una volta, per quello.


Ben presto smisi d'indietreggiare e cominciai a vedere il pattern nascosto dietro i suoi attacchi: prima un fendente dall'alto con la sinistra, seguito da un taglio orizzontale con la destra.


I suoi attacchi si rivelarono, ancora una volta, ripetitivi e banali.


Affondo con la sinistra, seguito da un montante con la destra.

Ben presto i suoi attacchi cominciarono ad andare a vuoto, permettendomi finalmente di contrattaccare.
Stavolta fui io a farla indietreggiare.

Per prima cosa aspettai un suo affondo e, non appena andò a vuoto, bloccai la sua mano in una morsa tra il mio braccio e il fianco, per poi disarmarla con una gomitata nel braccio.

Non appena lasciò cadere la sua arma nel terreno, Diana rispose con un fendente con la mano destra, ma mi scansai rapidamente di lato, lasciando andare la mia presa su di lei ed evitando il suo attacco.
Risposi con una rapida ginocchiata nel suo ventre, facendola indietreggiare ancora una volta.

Diana cominciò a tossire, abbassando lo sguardo e portandosi una mano sul ventre.
Approfittai, quindi, del fatto che avesse abbassato la guardia per scattare nella sua direzione, preparando un fendente doppio dall'alto verso il basso con entrambe le lame.

La mia intenzione non era quella di ferirla, comunque, e Diana abboccò perfettamente all'amo.
Vedendomi arrivare si alzò rapidamente in piedi, difendendosi dal mio attacco con la sua spada.

Prima che Diana potesse realizzare di essere caduta nella mia trappola, le nostre lame collisero. 
In quell'istante, Diana realizzò che il mio intento non fosse quello di colpirla, ma era troppo tardi ormai per tornare indietro.

Sotto il suo sguardo sorpreso, la disarmai con un rapido movimento circolare del polso, facendo cadere la sua arma nel terreno.
Prima che potesse reagire, le feci perdere rapidamente l'equilibrio con una spazzata, facendola cadere al terreno con un forte tonfo.


La bloccai, a quel punto, nel terreno con la forza usando il mio stesso corpo come peso, impedendole di muoversi e puntandole una lama sul collo.
Non era mia intenzione ferirla, ma non avrei esitato se non mi avesse dato altre opzioni.


<< Non voglio essere tuo nemico! >>
Le dissi.

Eravamo molto vicini.
Potei sentire il suo respiro come se fosse il mio, e fui in grado di specchiarmi in quei suoi occhi rossi come se fossero dei cristalli.

<< Se io sono stato in grado di abituarmi al tuo stile di combattimento così rapidamente, allora non avrai speranze contro Levyathan. >>
Continuai, cercando ancora una volta di farla desistere.

<< Allora puoi tranquillamente farmi fuori adesso perché comunque scoprirà che sono evasa. >>
Ringhiò, furiosa.


Non avrei mai dovuto abbassare la guardia.
In quell'istante il corpo di Diana venne avvolto dalle fiamme, obbligandomi a lasciar andare la presa per non cadere vittima di quel fuoco.


La ragazza si alzò lentamente in piedi, avvolta dalle fiamme ma ancora chiaramente visibile.
Era palesemente frustrata.


<< Va bene, allora. >>
Ringhiò, mentre una palla di fuoco si materializzò nel palmo della sua mano sinistra.

<< Addio modalità furtiva. Si torna al piano A. >>
Aggiunse subito dopo.

Quelle parole mi fecero congelare il sangue.

<< Aspetta! >>
Esclamai, cercando di prendere tempo per farla ragionare.

<< Se tu dovessi lanciare quella palla di fuoco, allerteresti l'intero palazzo! Tu contro tutti i soldati dell'Arcadia, come pensi andrebbe a finire?! >>
Continuai, cercando di dissuaderla.

Diana abbassò lo sguardo, evitando di rispondermi.

<< Calmati un attimo, per favore. Troverò un modo per nascondere cosa è successo, non voglio che nessuno si faccia male, e questo include anche te.  >>
Quelle mie parole sembrarono dare ancora più fastidio alla ragazza.

I suoi occhi si illuminarono dalla rabbia e la sfera di fuoco che fece comparire nel palmo della sua mano divenne ancora più grande di prima.

<< Non credere di riuscire a prendermi anche tu per il culo!! >>
Urlò, scagliando quella gigantesca palla di fuoco nella mia direzione.


Non so come, ma per volere divino riuscii a scansarmi appena in tempo per non diventare cenere.
La palla di fuoco esplose alle mie spalle come se fosse una bomba, lanciando in aria frammenti del pavimento e dei muri, per poi far scattare l'allarme antincendio del palazzo.
Rimasi in silenzio a guardare impotente quelle fiamme, ormai conscio del fatto che non avrei potuto più fare nulla per evitare che Diana venisse scoperta.


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Fine del capitolo 6-8 e, con esso, del volume 6! Grazie di avermi seguito (e chiedo ancora scusa per il ritardo), e alla prossima con l'inizio del volume 7!


 

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Capitolo 42
*** Capitolo 7-1: Problema [1-2] ***


Capitolo 7-1: Problema [1-2]

 


Quando finalmente tornai in me stesso, realizzando cosa fosse appena successo, rimasi paralizzato per non so dire quanti secondi a fissare la porta dalla quale corse via Jeanne, senza riuscire a dire nulla.

Quella non fu la prima volta che reagii in quel modo, con persone a me vicine... Quantomeno sarebbe stata l'ultima.


Anni prima, prima che si fidanzasse con Blake, ebbi una reazione del genere con Mirajane. Ho sempre detestato quando le persone mi restano troppo sul collo, quando cercano di dirmi cosa fare... Anche quando so di essere nel torto.

Leona sapeva che quell'allenamento mi avrebbe fatto male, esattamente come lo sapevo anche io... Eppure ebbi una reazione simile a quella, con lei, quando provò a parlarmene.


Suppongo... 
Suppongo di essere sempre stato io il problema, alla fine dei conti.



<< Congratulazioni, Mr. Hyde. Spero tu sia felice. >>
Sentii dire a un certo punto da Serilda, dalle mie spalle.

Non mi voltai verso di lei, pur sapendo che mi stesse parlando.

<< Mi... Mi dispiace... >>
Furono le uniche parole che riuscii a rispondere.

<< Non era mia intenzione... Non volevo che... >>
Balbettai, cercando una spiegazione per le mie azioni che neanche io, a quel tempo, riuscii a trovare.

In quel momento mi voltai verso Sera, tornando pienamente in me.

<< Devo seguirla per dirle che non era mia intenzione. >>
Le dissi, ma non mi diede il permesso.

<< Oh, ma anche no. >>
Rispose Sera, mostrandomi uno sguardo minaccioso e dirigendosi con passo lento verso l'uscita.

<< Tu stai qui, con lei ci parlo io. >>
Continuò, mentre si allontanò da noi.


Rimasi a fissarla in silenzio fino a quando lasciò la stanza, poi qualcuno alle mie spalle attirò la mia attenzione.

<< Succede spesso? >>
Gli sentii domandare.
Mi voltai lentamente verso di lui, non capendo a cosa si stesse riferendo.

<< Di che parli? >>
Gli domandai, con un tono per qualche motivo ancora innervosito.

<< Quelle reazioni. Non ti ha fatto nulla per meritarselo. >>
Continuò, Mist. 
Il suo sguardo sembrava quasi volermi condannare.

<< Perché non ti fai gli affari tuoi, per una volta tanto? >>
Gli ringhiai contro.
Non riuscivo a sopportare, a quel tempo, quando qualcuno mi faceva delle ramanzine.

<< Questi sono affari miei. >>
Mi rispose Mist, muovendosi lentamente nella mia direzione, con un passo lento e minaccioso.

<< Siete nella nostra base... >>
Continuò, avvicinandosi sempre di più verso di me.

<< ... E a me è stato dato il compito di tenerti sotto sorveglianza. >>
Concluse, a meno di un metro di distanza da me, mentre avvicinò il suo volto al mio.
Il suo sguardo era freddo, fermo fisso nei miei occhi.

Mi sembrò quasi come se stesse leggendo dentro la mia anima, quel suo sguardo mi fece congelare il sangue.

<< Perché dovresti controllare me,  si può sapere?! >>
Continuai, facendo un passo all'indietro, allontanandomi da lui.

<< Perché sia io che Evans sappiamo che sei una testa calda. >>
Quelle sue parole mi fecero imbestialire.

<< Ricordati dove ti trovi, ragazzino. Devo accertarmi che tu non sia una minaccia, che tu debba o meno restare nella nostra base. Non posso avere una testa calda in giro per i corridoi che potrebbe causare problemi con il primo che passa semplicemente perché, per distrazione, gli è andato addosso. >>
Non riuscii a credere a quelle parole.

"Per chi diavolo mi ha preso, questo qui?!"
Mi dissi, infastidito da quella sua ramanzina.

<< Se voi doveste restare con noi, dovrete attenervi alle nostre regole. Se, invece, ve ne andrete, dovrò assicurarmi che non possiate rintracciare l'ubicazione della nostra base. E siate grati a Evans, perché mi ha raccomandato di non chiudervi la bocca nel modo che a me viene più facile. >>
Continuò, picchiettando con un dito sul manico di un coltello nero pece legato alla sua cinta.


In quell'istante, qualcosa di quel coltello attirò la mia attenzione.
Notai il disegno di un corvo stilizzato, rosso, inciso sul manico e non ci misi molto a ricollegare quel disegno con quello che vidi nell'uomo che mi pugnalò il giorno che incontrai Jeanne.


All'inizio, la cosa mi colse alla sprovvista.. Ma dopo qualche secondo, la mia sorpresa si trasformò in rabbia.

<< Cosa cazzo è quello? Fai parte degli stronzi che hanno attaccato il villaggio di Jeanne?! >>
Gli ringhiai contro.

Mist sembrò sorpreso dalla mia domanda, ma non esitò a rispondermi.

<< Ero l'assassino della Fazione Azzurra, prima che la lasciassi per unirmi alla causa della Fazione dell'Uroboro di Evans. Non ho nulla a che fare con gli uomini che hanno assaltato il villaggio di quella ragazzina. >>
Rispose rapidamente.

<< Pensavo sapessi già della differenza tra le diverse fazioni dei Ribelli, e che io, in origine, appartenessi all'Azzurra. >>
Continuò subito dopo.

Non gli risposi. Evitai il suo sguardo, sbuffando.


<< Un killer, eh? >>
Sospirai dopo qualche secondo, infastidito da quelle parole.

<< Come dovrei fidarmi di un killer? >>
Gli domandai subito dopo.

Mist non mi rispose subito. 

<< Non ti obbligo a farlo. >>
Mi rispose, dandomi finalmente anche lui le spalle, dirigendosi verso l'uscita di quella gigantesca e vuota stanza.

<< Ricordati solamente che avete informazioni che per noi potrebbero essere pericolose, se doveste rivelarle ai militari, come la nostra ubicazione. Ero d'accordo nel sbarazzarmi di voi, ma per qualche motivo Evans ha deciso di graziarvi. >>
Continuò.

<< E spero solo questo non torni indietro a morderci. >>
Concluse, lasciando anche lui finalmente quella stanza.


Rimasi, quindi, da solo all'interno di quel silenzioso ed enorme spazio a fissare il vuoto davanti a me per non so quanti minuti.
Parecchi pensieri mi passarono per la testa, durante quei minuti...

"Possiamo fidarci di loro?"
"Non era mia intenzione reagire così con Jeanne..."


Il mio flusso di pensieri venne rapidamente interrotto da una voce maestosa, che conoscevo fin troppo bene.


Cosa ti prende, Yuu? ~
Mi domandò quella voce, cogliendomi, inizialmente, alla sprovvista.


<< Oh, sei ancora qui? Cominciavo a convivere con l'idea di essermi sbarazzato di te. >>
Gli risposi, con fare un po' infastidito.

Quella voce ridacchiò un po' con fare divertito e malizioso.


Mi dispiace d'averti deluso così, Yuu. Sai che solitamente preferisco guardare, non mi piace prendere parte negli affari di voi ragazzini. ~
Continuò quella voce.

<< Hai intenzione di dirmi chi sei, un giorno? Ogni volta che provo a farti questa domanda eviti di darmi una risposta o sparisci nel nulla, sta cominciando a diventare snervante. >>
Gli ringhiai contro.


Un giorno, forse. Per ora non ho motivo per farlo. ~
Mi rispose, con un tono divertito.

<< Odio quando fai così. Spesso mi chiedo se sei vero o se solo solamente impazzito. >>
Continuai, sedendomi nel terreno e fissando il soffitto.

Quella voce ridacchiò ancora una volta.

Chissà. Potrei essere solamente il frutto della tua mente. ~
Mi rispose.

<< Si, certo. >>
Gli risposi, con tono ironico.

<< Ci sei da troppo tempo per essere frutto della mia immaginazione. >>
Continuai subito dopo.

In quell'istante mi portai una mano al volto, massaggiandomi lentamente gli occhi.

~ Qualcosa ti turba, Yuu? Se vuoi, puoi parlarmene. A me importa di te. ~
Quelle parole mi fecero sorridere, ma non dalla felicità.

<< Si, come no. Non sei solito parlarmi così tanto, cosa stai cercando di ottenere? >>
Gli domandai, riconoscendo quell'inusuale comportamento. Quella voce non era solita parlare così tanto con me, quantomeno chiedermi cosa fosse a "turbarmi". Quel comportamento mi confuse non poco.

~ La tua mancanza di fiducia nei miei confronti, dopo così tanti anni trascorsi insieme, mi ferisce, Yuu. A me interessa davvero il tuo benessere. ~
Continuò.
Quelle parole ipocrite non fui in grado d'ingoiarle.

<< Disse colui che non mi ha rivelato né il suo nome, quantomeno i suoi motivi. >>
Gli risposi.


Quella voce rimase in silenzio per qualche secondo, prima di rispondere qualcosa... Secondi durante i quali pensai che avesse deciso di evitare la mia domanda, ancora una volta.
Inutile dire che la sua risposta mi avrebbe lasciato di stucco.

Suppongo tu abbia ragione. ~
Mi rispose, dopo un breve periodo di silenzio, cogliendomi alla sprovvista.

Vorrei tu capisca che a me importi di te. Se vuoi sapere il mio nome, te lo dirò. ~
Continuò subito dopo.
Rimasi in silenzio ad aspettare quella rivelazione così tanto attesa... Avrei finalmente potuto dare un nome a quella voce.

Le persone mi diedero molti nomi...
Alcuni mi conoscevano come "Ares". Altri mi diedero il nome "Seth", mentre altri mi chiamarono "Loki". Ma se dovessi sceglierne uno... Direi che il mio preferito sia, senza alcun dubbio, "Rudra". Tu puoi chiamarmi così, se preferisci. 
~
Per qualche motivo, non mi fidai delle sue parole, ma decisi comunque di accettare quel nome.

Che fosse, o meno, vero, almeno finalmente ebbi un modo con cui chiamarlo.

<< "Rudra", eh? >>
Ripetei, incuriosito da quel nome.

Cosa ti preoccupa, quindi, Yuu? ~
Ripeté ancora una volta, Rudra.

<< Non volevo parlare a Jeanne in quel modo... >>
Sospirai.

Perché ti preoccupi così tanto? ~
Mi domandò, attirando la mia attenzione.

 Non hai detto nulla di sbagliato. La sua presenza qui è un pericolo per se stessa: non avrebbe dovuto seguirti. Le hai solamente ricordato in che posto vi trovate. ~
Continuò.

<< Non avevo intenzione di urlarle contro. >>
Continuai, quasi come se la sua risposta non fosse quella che stessi cercando.

A volte, essere crudi è l'unico modo per far capire agli altri quali possano essere i possibili risultati delle loro scelte e azioni. Non preoccuparti troppo: se le avessi detto i tuoi pensieri con fare gentile e tranquillo, lei non avrebbe mai preso in considerazione i pericoli delle sue scelte. Puoi stare tranquillo che, in questo modo invece, lei penserà alle tue parole. ~

Per qualche motivo, le parole di Rudra non mi tranquillizzarono.
Forse perché sapevo che avevo esagerato...

... O, forse, perché in fondo concordavo con lui e sapevo che gli altri non avrebbero mai appoggiato quel modo di pensare e agire.
Alla fine, il problema ero comunque io.


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Fine del capitolo 7-1, grazie di avermi seguito e alla prossima!




 

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Capitolo 43
*** Capitolo 7-2: Problema [2-2] ***


Capitolo 7-2: Problema [2-2]

 


"Rudra".

Bastò sentire Yuu pronunciare quel nome per farmi accapponare la pelle, per qualche motivo.
Sia io che Mist avemmo la stessa idea: ci nascondemmo dall'altro lato del muro, lasciando Yuu da solo all'interno di quella stanza.

Jeanne ci aveva detto che non era insolito per lui parlare da solo, ma che comunque c'era qualcosa di strano... Come se ci fosse veramente qualcuno insieme a lui.
Non credemmo alle sue parole, inizialmente, ma decidemmo comunque d'indagare, quando possibile. 


Eppure, quel nome... Perché mi suonava così familiare?
Non avevo mai sentito di qualcuno con un nome del genere in tutta l'Arcadia. Eppure... Per un attimo mi sembrò quasi di ricordare una faccia familiare.


Fu Mist a farmi tornare con i piedi per terra.

<< Jeanne aveva ragione. >>
Gli sentii dire, sussurrando.

Eravamo ancora dietro quel muro, nel mezzo del corridoio. Yuu aveva appena smesso di parlare.

<< Andiamo, prima che esca e ci veda. >>
Continuò subito dopo.
Lo seguii ben presto, lasciandomi Yuu e quel nome alle spalle... Senza però riuscire a togliermelo dalla mente.


Raggiungemmo rapidamente la stanza di Jeanne: dovevamo parlarle.
Quando ci aprì la porta si guardò rapidamente intorno.

I suoi occhi erano rossi, ed era ovvio che avesse forzatamente smesso di piangere.

Mist la rassicurò rapidamente, dicendole che Yuushi Hikari non era con noi.
Non so se quelle parole la fecero stare meglio o peggio, onestamente. Non riuscii a leggere dietro quella sua espressione.

Quando le chiesi di farci entrare, accettò rapidamente.
Evans si era assicurato di farle avere una delle camere migliori di quel piano. Era strano che fosse stranamente così premuroso nei riguardi di Yuu e Jeanne, ma non ci feci molto caso. Dopotutto, anche la mia stanza era simile a quella... Eccetto, speculare.

Jeanne si sedette sul divano azzurro appoggiato al muro, per poi riprendere a singhiozzare. 
Stava cercando di trattenersi: non credo fosse abituata a venir maltrattata, la poverina.


Provai a rassicurarla un pochino, per quanto possibile. Non mi piaceva vedere le altre persone in difficoltà... Non dopo quello che io stessa passai, da sola, dentro la capitale.
Quando possibile... Volevo essere d'aiuto alle persone come meglio potevo. 
Volevo essere per gli altri la figura che io volevo, ma che non avevo mai trovato.


Mi sorrise, quando mi sedetti vicino a lei. Era più piccola di me, qualche anno, e forse vidi in lei la sorellina che tanto desideravo da piccola.
Provai a dirle qualche cosa di stupido tanto per farla ridere un pochino, sembrò funzionare... 


Mist mi lasciò fare per qualche minuto, ma non andammo avanti a lungo.
Alla fine, avevamo un motivo preciso per cui eravamo andati a trovarla.


<< Mi dispiace interrompervi, ma vorrei fare qualche domanda. >>
Disse, finalmente, attirando la nostra attenzione.

Sospirai.


<< Reagisce così spesso? >>
Domandò a Jeanne, ben presto.

Lei rispose con un cenno negativo del capo.

<< A volte non è proprio "amichevole", ma... Solitamente non se la prende in quel modo... >>
Mist non sembrò convinto da quella risposta.

Sbuffò con fare infastidito, fissando Jeanne con quel suo classico sguardo gelido e le braccia conserte.

<< E' la prima volta che succede? >>
Continuò subito dopo.
Jeanne fece di si con il capo.

<< L'abbiamo sentito parlare da solo. Succede spesso? Quando è l'ultima volta che ricordi sia successo? >>
Le domandò ancora una volta.

<< Uhm... Non ne sono sicura... Solitamente non lo fa intorno alle persone, sono sicura che anche lui sappia che sia strano. L'ho sentito poche volte proprio perché sa come e quando farlo per non farsi sentire dalle altre persone. >>
Rispose la ragazzina, rapidamente.

<< Di cosa parla, durante quei momenti? >>
Davanti a quella serie di domande, Jeanne venne colta alla sprovvista.
Ci guardò con uno sguardo confuso, non capendo sicuramente il motivo nascosto dietro a quelle nostre domande.

<< Cosa hanno a che fare queste domande con il suo comportamento? >>
Ci domandò, con un tono confuso e incuriosito.

<< Crediamo che il tuo compagno abbia sviluppato una forma di "personalità multipla" con la quale sembrerebbe essere in grado d'interagire. >>
Quella risposta sembrò cogliere Jeanne alla sprovvista.

<< Personalità multipla...? >>
Borbottò.
Ben presto una strana espressione apparve nel suo volto.

<< N-No! Non è così! >>
Esclamò. Quell'improvvisa reazione colse sia me che Mist alla sprovvista.

<< Vi state sbagliando! >>
Continuò subito dopo, voltandosi verso di me.

<< Dici sul serio...? >>
Borbottai, stupita dalla sicurezza con cui ci disse che stessimo sbagliando.

<< Come puoi esserne sicura? >>
Le domandò Mist, ben presto, non credendo alle sue parole.

<< Soffre palesemente di PTSD. Ha subito un trauma da piccolo che, con il tempo, può aver causato questo problema. Non siamo dottori, ma non lo sei nemmeno tu: come puoi dire che "non è così", senza neanche avere uno straccio di prova? >>
Continuò.
Sembrava infastidito dalle parole di Jeanne.


Jeanne abbassò lo sguardo.
Sembrò che qualcosa la stesse facendo preoccupare, il suo comportamento divenne improvvisamente inusuale.
Cominciò a toccarsi i capelli, evitando il mio e lo sguardo di Mist: era palese che sapesse qualcosa... E che non volesse rivelarcela.

Mist non lo realizzò, ma io si.

<< Per favore, non devi provare a giustificare quel tipo solamente perché ti pia- >>
Sentii dire da Mist, prima che lo interrompessi.

<< Sei a conoscenza di qualcosa che noi due non sappiamo, vero? >>
Domandai improvvisamente a Jeanne.
La mia domanda colse sia lei che Mist alla sprovvista: Jeanne mi fissò con occhi spalancati, quasi come se fosse paralizzata.

<< N-No... Beh, Io... Uhm... >>
Borbottò, senza riuscire a rispondere nulla di concreto.

<< Di cosa stai parlando, Sera? Di cosa dovrebbe essere a conoscenza? >>
Sentii domandarmi da Mist.

Non mi voltai verso di lui: continuai a fissare Jeanne che, al contrario, non era in grado di mantenere il contatto visivo.

<< Hai delle prove... Ma non vuoi rivelarcele, vero? >>
Le domandai.

<< S... Si... >>
Borbottò, sollevando poi lo sguardo verso di me, finalmente.

<< Ma... Non mi credereste... >>
Continuò subito dopo.

<< Provaci, allora. >>
Fu la mia risposta.



Ciò che Jeanne ci disse poco dopo, sembrò quasi surreale.

Non solo lo sentì più volte parlare da solo... Sentì anche quella voce
Non parlava da solo: c'era qualcuno con lui... Sempre.

Quando le domandai come facesse a sentire quella voce, Jeanne ci rispose che non ne aveva idea.
Lei era in grado di sentire quella voce autoritaria e minacciosa, per motivi a lei ignoti.

Mist non credette alle sue parole: penso che credesse Jeanne ci stesse prendendo per i fondelli.
Ma io volevo crederle.

Quando le chiesi altri dettagli, mi disse una cosa che mi fece raggelare il sangue.

Il nome di quella voce. Lei lo sapeva.
Quando le domandai come ne fosse venuta a conoscenza, evitò di darmi una risposta chiara.
L'unica cosa che mi disse fu "Me l'ha detto una mia amica."

Rudra.

I nomi combaciavano. Non poteva essere una coincidenza.


<< Deve essere uno scherzo...! >>
Ringhiò Mist, incredulo.

<< Lo giuro, non sto mentendo! >>
Rispose Jeanne, portandosi le mani davanti al petto in segno di preghiera.

<< Non può essere una coincidenza... L'hai sentito anche tu, no? Il nome che prima ha pronunciato Yuu e questo sono uguali. >>
Dissi a Mist, che sembrò andare su tutte le furie.

<< Non significa nulla. Può averlo semplicemente sentito in un qualunque momento prima di arrivare qui! >>
Mi rispose. 
Non compresi, all'inizio, perché Mist fosse così infastidito.

<< Non può essere. Non ricordi cosa stava dicendo Yuu? Ha detto più volte di non conoscere il nome della voce con cui stava parlando. >>
Gli feci notare.

Mist si portò una mano davanti al volto, ringhiando.

<< Questo... Non fa che peggiorare la situazione, allora. >>
Mi rispose.

In quell'istante realizzai cosa fosse a preoccuparlo.
Mi colpì come un fulmine a ciel sereno.

<< Se quello che dice Jeanne è vero... Yuushi Hikari è attualmente in contatto telepatico con uno sconosciuto che potrebbe essere a conoscenza dell'ubicazione della nostra base. >>
Disse, finalmente, confermando le mie preoccupazioni.
Anche Jeanne sembrò stupita davanti a quelle sue parole.

<< E se quel qualcuno avvertisse i militari? Cosa accadrebbe? E se fosse un soldato? >>
Continuò subito dopo, ringhiando.

<< Aspetta, Mist, non possiamo saperlo. Ripensa a cosa stava dicendo Yuu, in quella stanza. Ha detto che quella voce era "con lui da troppo tempo per essere frutto della sua immaginazione". >>
Gli feci notare, cercando di farlo calmare.

<< Per quale motivo un soldato dovrebbe rimanere in contatto telepatico con un ragazzino per così tanto tempo? Inoltre, hai mai sentito parlare di abilità che permettono di parlare con qualcuno dalla distanza? >>
Domandai subito dopo.

<< No, non ho mai visto abilità di quel tipo. E tu, invece, eri a conoscenza di abilità come la mia prima d'incontrarmi? >>
Rispose Mist.


Non aveva torto.
Prima d'incontrare lui, non ero a conoscenza che esistessero abilità in grado di manipolare la realtà... Essere in grado di teletrasportarsi da un posto a un altro tramite la sua nebbia era una cosa che mai avevo visto prima in vita mia. E lui stesso mi disse di non essere l'unico a possedere un'abilità di quel tipo.

Era una possibilità... Qualcuno poteva essere in contatto telepatico con Yuu, e quel qualcuno sarebbe potuto rivelarsi un problema se fosse venuto a conoscenza dell'ubicazione della nostra base operativa... Mist non aveva torto.


Dovevamo tenere Yuu sotto controllo, ed evitare che venisse a conoscenza di dove fosse esattamente la nostra base. Non potevamo lasciarlo andare, ormai... Non così alla leggera. E sia io che Mist sapevamo che Yuu non avrebbe accettato facilmente questa forma di "prigionia forzata". 

Dovevamo pensare a come comportarci...

... Dovevamo capire come poter localizzare l'esatta ubicazione di quel "Rudra" e capire chi fosse in realtà.



Non potevamo neanche immaginare, a quel tempo, che cosa avrebbero portato a galla le nostre ricerche, in futuro. 


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Fine del capitolo 7-2, grazie di avermi seguito e alla prossima!
Mi dispiace per questo lungo periodo di iato, ma sono finalmente tornato anche su Arcadia! 



 

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Capitolo 44
*** Capitolo 7-3: Cambiare Idea ***


Capitolo 7-3: Cambiare Idea



Non potevamo forzare Yuu a stare con noi... Quindi l'unica opzione fu quella di provare a convincerlo del fatto che noi non fossimo i cattivi...
Eppure a tutti e tre sorse la stessa domanda... "Come?"

Era chiaro come il sole che lui non si fidasse ancora di noi, nonostante tutto. 
Eppure non credo che pensasse fossimo cattive persone... Credo che, semplicemente, a causa delle sue esperienze passate, abbia sviluppato un modo di pensare "prevenuto", dove credeva che tutti avessero cattive intenzioni fino a quando non poteva verificare il contrario in prima persona.

...O, per lo meno, questa fu l'impressione che mi diede.


L'idea a cui pensai avrebbe potuto darci abbastanza tempo per riuscire nel nostro intento. Ma non potevo farmi aiutare né da Mist, né da Jeanne.
Dopo ciò che era successo, era meglio che agissi da sola dopotutto.

Yuu necessitava di tempo per rimuginare sul suo comportamento con Jeanne, mentre avere Mist vicino avrebbe potuto metterlo ancora una volta in allerta, o fargli credere che lo stessimo tenendo sotto controllo.

La mia intenzione era quella di provare a metterlo a suo agio, fargli esplorare la base nella speranza che avesse potuto vedere il bene che stavamo effettivamente facendo per le persone al suo interno, nonostante fossimo, ai suoi occhi, ancora dei criminali.


Ero sicura che ce l'avrei fatta: dopotutto, essendo un fabbro, non accetto fallimenti come risultato del mio lavoro... Non posso venderli.



Quando lo raggiunsi, lo trovai ancora all'interno del mio laboratorio.
Era seduto sul pavimento della stanza dove ebbe la discussione con Jeanne, appoggiato con la schiena sul muro mentre fissava intensamente il vuoto davanti a se, perso in chissà quali pensieri.
La sua espressione sembrava essere un misto tra rabbia e rammarico; non sembrò neanche notare che fossi li, fino a quando non lo chiamai per nome per lo meno.

Fu in quell'istante che, finalmente, si accorse della mia presenza.
Si guardò intorno con fare sospetto, quasi come se stesse cercando qualcuno.


<< Non preoccuparti, sono solo io. >>
Gli dissi, cercando di rassicurarlo.
Le mie parole non sembrarono convincerlo.

<< Mist è andato a discutere di qualcosa con Evans, non ci disturberà per almeno un'oretta. >>
Continuai, cercando di persuaderlo con una vocina sottile e un occhiolino.


Non mentirò: lo sguardo freddo con cui continuò a fissarmi mi fece rabbrividire.


<< Cosa vuoi? >>
Mi domandò, dopo qualche secondo, sollevandosi dal terreno e mettendosi le mani in tasca, evitando il mio sguardo.

<< Volevo solamente parlare un pochino, per conoscerci meglio. >>
Gli risposi, invitandolo a seguirmi nell'altra stanza, all'interno del mio laboratorio.

All'inizio pensai non mi avrebbe seguito, ma rimasi sorpresa quando lo vidi sbucare da dietro l'angolo, borbottando qualcosa tra se e se con fare innervosito, anche se non penso fosse necessariamente diretto a me.
Il terreno era ancora pieno di rottami di varie dimensioni, bulloni e chiavi inglesi che Yuu sembrò divertirsi a calciare via uno dopo l'altro fino a quando non mi sedetti su una sedia, a qualche metro di distanza da lui, spesso senza neanche sollevare lo sguardo verso di me.

Non so dire se si sentisse in colpa o se fosse semplicemente il suo modo di fare... Ma quel genere di freddezza quasi annoiata mi colse davvero alla sprovvista.


<< Di cosa vorrei parlare, e perché? >>
Mi domandò, improvvisamente.

<< Insomma, perché no? Se intendi restare qui allora- >>
Mi interruppe ancora prima che potessi finire di parlare.

<< In verità, credo di aver cambiato idea. >>
Disse, smettendo improvvisamente di giocherellare a calcio con i rottami metallici nel pavimento.

<< Non so se voglio restare qui, dopotutto. >>
Continuò, mostrandomi poi uno sguardo distaccato e minaccioso.

Non riuscii a rispondergli qualcosa, e lui notò sicuramente l'espressione preoccupata con cui lo fissai per qualche istante.

<< E se avessi intenzione di andarmene e portare via anche Jeanne? Avevi detto che ci avreste lasciato andare via, no? >>
Quella domanda mi fece preoccupare non poco... 

.. No, non era una opzione... Non più.
Se le preoccupazioni di Mist si fossero davvero rivelate fondate, non potevamo lasciarlo andare prima di capire chi fosse quel "Rudra".
Dovevo guadagnare tempo per permettere a Mist di discutere insieme a Evans di questa faccenda e, allo stesso tempo, provare a convincerlo io stessa a restare qui.


<< Non... Credo sia fattibile, al momento. >>
La mia risposta non sembrò soddisfarlo: cominciò a fissarmi con una smorfia infastidita, senza dire nulla.

<< Mist ed Evans stanno discutendo di qualcosa d'importante, attualmente, e non ci è permesso interromperli durante i loro incontri. Li terrà occupati per almeno un'oretta, quindi che ne dici se ti faccio una offerta per passare del tempo? >>
Stavolta la mia richiesta sembrò attirare la sua attenzione, nonostante fosse ancora palesemente diffidente.

<< Che genere di offerta? >>
Mi rispose.

Sorrisi, realizzando di essere riuscita nel mio intento.

<< Vorrei mostrarti come vanno le cose qui dentro. Come stanno le persone, chi accettiamo dentro la nostra base... Se non credi a noi, potrai chiedere a loro. >>
Gli dissi.

<< Se riuscirò a convincerti che non siamo noi i cattivi, allora rimarrai. In caso contrario, sarete liberi di andarvene. >>
Continuai.

<< Cosa ti fa credere che tu ci possa riuscire? >>
Mi domandò. Era ovvio fosse diffidente ma incuriosito dalla mia offerta.

<< Sono una vincente nata. Non perdo mai le mie scommesse. >>
Gongolai, cercando di provocarlo.


<< Tsk. >>
Ringhiò Yuu.

<< Va bene. >>
Continuò subito dopo.

<< Però... Se possibile non chiedere dove si trova la nostra base. >>
Quella mia richiesta sembrò mandare in frantumi tutto il progresso che avevo fatto fino a quel momento.
Per un istante mi fissò con uno sguardo incredulo, prima di passare ancora una volta all'offensiva. Sapevo che non avrebbe accettato facilmente quelle mie condizioni ancor prima di rivelargli quel dettaglio... Per questo esitai a rivelarglielo, ma compresi che sarebbe stato peggio se glielo avessi impedito successivamente.

<< Cosa diavolo vorresti dire?! Perché non dovrei farlo? >>
Mi domandò, infastidito dalle mie parole.


Non era così stupido da non capire il motivo che si nascondeva dietro quella mia richiesta, e credo lo comprese ben presto perché sbuffò, evitando il mio sguardo senza aspettare una mia risposta.


<< Non mi piace l'idea di essere all'oscuro di dove mi trovo esattamente, non so se rendo l'idea. >>
Quelle sue parole non mi colsero alla sprovvista, ma mi lasciarono un po' confusa.

Ero convinta che Evans fosse riuscito a convincerlo, per lo meno in parte, durante il loro incontro.
Quando espressi la mia confusione, Yuu sorrise, ma non con fare divertito.. Sembrava quasi fosse malinconico.

<< Mettiti nei miei panni. >>
Mi disse, mostrandomi uno sguardo all'apparenza calmo, eppure in qualche modo preoccupato.

<< Chiuso dentro quattro mura nel mezzo del nulla, nelle mani di un gruppo di persone armate e che possiedono abilità, un gruppo conosciuto come parte dei Ribelli... L'unica cosa che potevo fare, con il tuo capo, era stare al gioco... Credi davvero avrei accettato la vostra offerta così facilmente, se non fossi stato chiuso qui dentro con voi? >>
Eppure qualcosa, in quelle parole, mi confuse.
Se non si fidava di noi, allora...


<< ... Perché me lo stai dicendo, quindi? >>
Gli domandai, facendogli notare quanto fossero rischiose le parole che mi disse, considerando fossi in buoni rapporti con Mist ed Evans.

Yuu sembrò esitare, per qualche istante.
Avrei capito più in la che stesse lottando con se stesso, con le paure che non voleva mostrare alle altre persone.

<< Sai che sono vicina a Mist ed Evans... Quindi perché ne stai parlando con me? Per quanto tu ne sappia, potrei parlarne con loro. >
Anche stavolta, Yuu non si voltò verso di me.

Non lo avrei mai fatto, eppure quel comportamento mi lasciò confusa, in quel momento... Per questo gli feci quella domanda.

<< So che potresti farlo. >>
Mi rispose. Il suo sguardo sembrava straziato fra preoccupazione e rabbia. Non pensai che si sarebbe aperto con me, eppure non riuscii a crederci quando realizzai che effettivamente stesse provando con tutto se stesso a fidarsi di noi, nonostante fosse ancora in guerra con se stesso. 

<< Fin'ora ho vissuto una commedia di pessimo gusto. Le persone che credevo mi volessero bene mi abbandonarono a me stesso chiamandomi "mostro"... Gli amici che credevo di avere mi hanno dato le spalle per seguire qualcuno che neanche conoscevano, inseguendo un castello in aria che mai avrebbero raggiunto.. >>
Continuò, ringhiando.

<< Non mi fido di loro. Sento che Evans mi stia nascondendo qualcosa, e quel Mist non è altro che uno stronzo. >>
Non appena disse quelle parole, però, si voltò verso di me.
Il suo sguardo sembrava combattuto 

Fu in quell'istante che compresi cosa stesse cercando di fare. Jeanne ci disse di quanto fosse orgoglioso e diffidente, eppure anche di come, secondo lei, fosse disperatamente alla ricerca di approvazione.

Credo... Credo di averlo visto nel modo in cui mi guardo, in quei brevi istanti, prima che evitasse ancora una volta il mio sguardo, forse sentendosi in soggezione a causa mia, non essendo abituato a essere così sincero con persone estranee.

In quel momento non vidi la persona che fece a gara con Mist pochi minuti prima per chi ce l'avesse più lungo.
Vidi una persona turbata, spaventata dall'aprirsi con gli altri, alla ricerca di qualcosa o qualcuno che lo aiutasse a stare meglio con se stessa.


Forse... Forse fui in grado di relazionarmi così bene con lui proprio a causa di questa nostra somiglianza nascosta. 
Dopotutto, vivemmo situazioni più o meno simili, alla radice, prima d'incontrarci. 


<< Ed è per questo che voglio provare a fidarmi di te, non di loro. Non ancora. >>
Aggiunse subito dopo, senza guardarmi in faccia.
Credo gli fosse più semplice parlarmi in quel modo senza guardarmi.

<< Quindi si, accetto la tua offerta. >>
Continuò, voltandosi finalmente verso di me.
Stavolta il suo sguardo era fermo, anche se all'apparenza ancora dubitante. 

<< Fammi cambiare idea. >>
Concluse subito dopo.


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Fine del capitolo 7-3, grazie di avermi seguito e alla prossima!

 

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Capitolo 45
*** Capitolo 7-4: Domande [1-2] ***


Capitolo 7-4: Domande [1-2]



Non riuscii a credere alle parole che Yuu disse, in quel momento. Credetti di aver sentito male, o che mi stesse prendendo per i fondelli... Ma realizzai ben presto che non fosse così.

Nel suo comportamento, fui in grado di vedere il riflesso delle parole che mi disse Jeanne.

"Odia stare da solo."
"Non è cattivo... Vuole fidarsi delle persone, ma ha paura di farlo. Ed è troppo orgoglioso per ammetterlo."


Subito dopo avermi detto quelle parole, Yuu evitò di scatto il mio sguardo, cominciando a digrignare i denti silenziosamente.
La sua espressione sembrava un misto fra imbarazzo e rabbia... Probabilmente cominciò a rimpiangere di avermi detto quelle parole subito dopo averlo fatto.
Per un po' mi venne quasi da ridere, ma subito dopo cominciai a realizzare che, in effetti, avevamo qualcosa di più simile di quanto mi fossi aspettata fin dall'inizio.


Feci una promessa a me stessa, quindi: l'avrei aiutato come meglio potevo. Non mi avrebbe mai chiesto aiuto, direttamente, ma quella sua richiesta d'aiuto, seppur indiretta, colpì in pieno il bersaglio.


Decisi, quindi, di mostrargli la base nella sua interezza. 
Partimmo dal piano terra, dopo aver preso delle scale. La prima cosa che vide fu una massiccia porta metallica, scura, che faceva da entrata alla base.
Arrivava a toccare il soffitto della caverna, ancora visibile, da cui scendevano alcune stalattiti in roccia.

L'entrata era stata fatta grazie all'aiuto di un uomo che poteva controllare la terra ai suoi piedi. Insieme, creammo una massiccia porta metallica che, semplicemente premendo un pulsante, avrebbe cominciato a muoversi per permettere a chiunque di entrare, o uscire, dalla base. Dall'esterno, invece, nessuno avrebbe mai potuto vedere dove fosse l'entrata della base.

Grazie a quell'uomo, infatti, la porta era nascosta da rocce e terra, mimetizzandosi perfettamente con il paesaggio circostante.


Yuu sembrò sorpreso dal fatto che qualcosa di così grande potesse rimanere nascosta, anche se mimetizzata. A differenza di una porta normale, questa si muoveva verticalmente. Poteva nascondersi sotto il terreno, per permettere alle persone di entrare o uscire, per poi sollevarsi di nuovo verso il soffitto per chiudere l'entrata della caverna senza spostare i massi che quell'uomo piazzò in modo da coprire la porta metallica.

C'erano sempre delle guardie armate, vicino all'entrata. Tramite un telescopio, simile a quello di un sottomarino, era possibile vedere se qualcuno si stesse avvicinando o meno. Molto utile per sapere quando poter aprire, o meno, la porta.


Non ci era permesso disturbare le guardie durante il loro servizio quindi, nonostante Yuu sembrasse interessato a far loro domande, lo invitai a parlare con altre persone che avremmo incontrato più avanti.
All'inizio sembrò titubante, ma accettò la mia richiesta senza fare troppe domande.


Camminammo per qualche decina di metri, fino a quando incontrammo un bivio ramificato a tre strade. Prendemmo quella di sinistra, che portava alla "sala riunioni". 

Non c'erano molte persone, di norma, ma qualcuno era sempre solito sedersi li per stare in tranquillità.


Quando raggiungemmo l'Auditorium, Yuu rimase sorpreso dal fatto che sembrasse un palco scenico, per come era strutturato.

C'erano una infinità di sedie, messe in fila davanti a un palco sospeso qualche metro più in alto. La stanza, per il resto, era quasi del tutto deserta. 

"La vostra scelta stilistica è davvero pessima. Le vostre stanze sembrano tutte uguali"
Lo sentii borbottare.

Eh, non fui in grado di dissentire. Muri e soffitti erano tutti uguali: avevano tutti lo stesso motivo e gli stessi colori. Ma, per ciò che offriva quel posto, era più che sufficiente.


C'erano tre persone, sedute in un angolo dell'Auditorium.
Non appena Yuu le notò, s'incamminò ben presto verso di loro.

Era una piccola famiglia che accettammo due anni prima. Due uomini, entrambi di colore, accompagnati da un ragazzino che decisero di adottare dopo averlo trovato da solo per strada.

Nessuno di loro riconobbe il ragazzo che mi accompagnava, ma riconobbero me all'istante. Mi salutarono caldamente, dopotutto era da qualche settimana che non li vedevo.
Yuushi sembrò incuriosito e sorpreso da quanto fossero felici dall'avermi incontrata, quindi gli spiegai rapidamente che fui io a portarli qui per la prima volta.


<< Sei nuovo da queste parti? Non mi sembra di averti mai visto prima d'ora. >>
Disse uno dei due uomini, alzandosi da terra e porgendo la mano a Yuu che, seppur titubante, decise di stringere.

<< Il mio nome è Viole. Loro sono Joe, il mio compagno, e Lauré. Tu sei? >>
Gli domandò, sorridendo.

<< Yuushi Hikari. >>
Rispose Yuu, senza perdersi in troppi giri di parole.

<< Ah. E' un piacere conoscerti, Yuushi. >>
Continuò Viole, posando poi il suo sguardo verso di me.

<< Hai un nuovo amico piuttosto serio, eh Sera? >>
Mi domandò, ridacchiando.

<< Serio? Mh. >>
Dissi, con un tono divertito.

<< "Irritabile" è la prima parola che mi viene in mente. >>
Continuai, sfottendolo.

Yuu cominciò a digrignare i denti dalla rabbia, senza rispondermi.
Viole rise di gusto per qualche secondo, prima di riprendersi.

<< Quindi, cosa posso fare per voi? >>
Ci domandò subito dopo.

<< Vorrei farti qualche domanda, se non ti dispiace. >>
Viole accettò senza troppi problemi la richiesta di Yuu, fortunatamente.


<< Come siete arrivati qui? >>
Domandò alla coppia, ben presto.

<< Vivevo fuori dalle mura fin da quando ho memoria, esattamente come fecero i miei genitori. Era difficile, ma in qualche modo riuscimmo a sopravvivere.. Poi toccò a me. Vivere da solo fu difficile, ma i miei genitori non potevano più sostenere se stessi e me... Dovevo cavarmela da solo. >>
Cominciò a raccontare Viole, il più grande dei due. Aveva quarantatré anni, se non ricordo male. Era pelato, occhi scuri, una cicatrice sull'occhio sinistro che lo rese cieco da quell'occhio, causata da un proiettile. 

<< Fui abbastanza fortunato da essere scelto per lavorare all'interno di una fabbrica, ma non durò a lungo. Quando tutto andò in malora... Sembrò quasi essere una strada senza uscita. Fu in quel momento che li incontrai... >>
Non appena disse quelle parole, Viole sollevò la sua manica, mostrandoci un tatuaggio di un corvo stilizzato appena sotto il gomito.

Yuu sembrò andare in shock.
Poi cominciò a digrignare i denti.

<< Fai parte del gruppo che ci ha attaccato?! Uno dei vostri mi ha pugnalato! >>
Esclamò, colpendoci entrambi alla sprovvista.

<< Mi... Dispiace. Non ho nulla a che fare con loro, comunque... Non più, ormai, da molto tempo. >>
Gli rispose Viole, abbassando la manica. 
Yuu non sembrò comunque apprezzare quella rivelazione.

<< Avevano armi, persone, un tetto, cibo... Soldi. >>
Continuò subito dopo, abbassando lo sguardo, rattristandosi.

<< Quando non hai opzioni... La via d'uscita più facile, anche se pericolosa, improvvisamente sembra la più allettante. >>
Aggiunse subito dopo, sollevando di nuovo lo sguardo verso di noi.

<< Non incontrai mai il leader. Mi fecero quel tatuaggio, poi una rapida visita medica. Fu li che incontrai Joe, era l'assistente del dottore. >>
Ridacchiò.

<< Passò il tempo, durante il quale m'insegnarono a usare armi bianche e da fuoco, poi mi mandarono finalmente in missione. Potevo fare soldi per comprare del pane, finalmente... Considerando avevano smesso di darmelo da qualche giorno. Dovevo cominciare a "guadagnarmi il pane", mi dissero, abbastanza letteralmente. Io e Joe fummo mandati nella stesso team e il ci venne dato il compito di rubare tutto da una carovana militare di passaggio. Non fu difficile, ma... Quando mi venne ordinato di premere il grilletto non fui in grado di farlo. E, per questo motivo... >>
Viole indicò la cicatrice nel suo volto, senza finire quella frase.

<< Imparai nel modo peggiore che se non sei tu a premere il grilletto, allora lo farà il tuo nemico. Passai mesi infernali, pur avendo Joe insieme a me: non potevo resistere in quel posto e quelle missioni, ma non avevo dove andare... Durante una missione incontrai un ragazzino che decisi di prendere con me... Se non l'avessi fatto, avrei dovuto lasciarlo per strada a morire. Il suo nome è Lauré. Non può parlare, è muto. Quella mia scelta cominciò a ritorcersi contro di me: da quel momento ogni pezzo di pane era da dividere in tre, non potevamo andare avanti... Poi, qualche mese dopo, durante una missione, incontrai Serilda. >>
In quell'istante, il suo volto s'illuminò, e sorrise.

<< Grazie a lei ed Evans riuscimmo a scappare dalle grinfie della fazione Azzurra, e ora possiamo almeno riposarci in pace senza dover ricorrere a violenza. Non ci sono troppe persone, qui, e abbiamo parecchie scorte. E, generalmente, non uccidiamo i soldati che derubiamo. Questo è... Un passo avanti. Preferirei non dover ricorrere a questi metodi in primis, ma... Alcuni di quei soldati hanno visto le nostre facce. Prima o poi, mi riconoscerebbero. Non posso semplicemente... Uscire e provare a trovarmi un lavoro, ormai, capisci? >>
Concluse.


Viole sorrise verso di me, ma ben presto la sua espressione mutò in uno sguardo confuso, quando posò il suo sguardo su Yuu.
Notai una espressione cupa nel suo volto, quasi come se ci fosse qualcosa che non lo convincesse.

<< Quante persone hai ucciso? >>
Quella domanda mi colse alla sprovvista. 
Quello... Non era un argomento di cui Viole amava parlare.

<< Io... >>
Borbottò Viole, evitando i nostri sguardi.

<< ... Ti prego, fammi un'altra domanda. >>
Continuò subito dopo.


Prima che Yuu potesse insistere, lo bloccai. Sembrò sorpreso dalla mia reazione, ma bastò il mio sguardo per fargli capire che quello non fosse un argomento di cui fosse necessario parlare.
Yuu sbuffò, ma sembrò recepire il messaggio.

<< D'accordo. Cosa puoi dirmi di Evans, allora? >>
Domandò, quindi, cambiando argomento.

<< Cosa vorresti sapere, di preciso? >>
Chiese spiegazioni, Viole.

<< Come si comporta? Quando l'avete incontrato? Cosa ha fatto? Qualunque cosa ti possa venire in mente su di lui. >>
Domandò, di nuovo, Yuu.

Viole ci pensò su per qualche secondo, prima di rispondergli.

<< Beh, cominciamo da questa stanza, allora. Questo è l'Auditorium: solitamente, Evans riunisce tutte le persone dell'Uroboro in questa stanza, quando deve fare delle comunicazioni importanti. >>
Quelle parole sembrarono prendere Yuu alla sprovvista.

<< Tutti i membri della fazione dell'Uroboro stanno in questa stanza? >>
Domandò, incredulo, guardandosi intorno.

<< Non siamo molti. >>
Gli spiegai.

<< Siamo meno di duemila, motivo per cui l'Arcadia non ci vede come una minaccia importante. Se dovessi fare una lista, al primo posto ci starebbe la Strega, Freyja Vanadis, seguita dalla fazione Azzurra. Considerando quella Gialla non vuole nulla a che fare con i militari, noi siamo al terzo posto. >>
Conclusi subito dopo.

<< Si... Evans è una brava persona: calmo, composto, gentile.. Ci ha dato un tetto, del cibo, e non ci chiede molto in cambio se non di proteggerci e aiutarci a vicenda. Ovviamente, siamo ancora criminali negli occhi dell'Arcadia, però... Mi piace sperare che, un giorno, potremo finalmente cambiare il nostro status. >>
Continuò Viole.



Quando lasciammo la stanza, notai sul volto di Yuu una espressione confusa e diffidente.

<< Ventidue. >>
Quel numero sembrò coglierlo alla sprovvista: mi fissò in silenzio con uno sguardo confuso, senza proferire parola per qualche secondo, non riuscendo sicuramente a capire di cosa stessi parlando.

<< Viole ha ucciso ventidue persone, prima di entrare nella nostra fazione. Da allora, non ha più premuto il grilletto. >>
Quella mia rivelazione scosse Yuu, palesemente. Impallidì di colpo: non credo avesse mai sentito prima d'allora di qualcuno che aveva un numero così alto di vittime.

<< Di cosa ti sorprendi? >>
Gli domandai, sbuffando.

<< Nella fazione Azzurra, o uccidi o vieni ucciso. Non giudicarli da ciò che hanno fatto, giudica i loro motivi. Nessuno qui è un santo... Se ti stupisci del numero di persone che Viole ha dovuto eliminare per poter sopravvivere, allora è meglio che tu non faccia quella domanda a Mist... Perché il suo numero ha superato da tanto tempo le tre cifre... >>
Yuu sembrò scioccato dalle mie parole.
Eppure, in qualche modo, non sembrarono aver intaccato la sua determinazione ad andare avanti.



"Questo mondo... E' sbagliato."
Le parole che disse, in quel momento, non riuscirono a smettere di riecheggiare nella mia testa.
Erano, dopotutto, quelle che anche io continuai a ripetermi per fin troppo tempo.

<< Su questo... Credo possiamo tutti concordare. >>
Fu la mia semplice risposta.


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Fine del capitolo 7-4. Grazie di avermi seguito e alla prossima.


 

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