Little story

di MonicaX1974
(/viewuser.php?uid=780871)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La creatura dello scantinato ***
Capitolo 2: *** Urban Legends ***
Capitolo 3: *** Run for your life ***
Capitolo 4: *** Monsters of Rythm ***
Capitolo 5: *** La casa sulla collina ***
Capitolo 6: *** Elena, Stefan e Damon ***
Capitolo 7: *** Senti chi parla ***
Capitolo 8: *** L'incubo ***
Capitolo 9: *** La libreria ***
Capitolo 10: *** La vita dopo la notte ***



Capitolo 1
*** La creatura dello scantinato ***


Da grande voglio essere proprio come la mamma. Lei è la migliore ed io cerco di imparare ogni cosa da lei.

È per questo che, anche stasera proprio come ogni venerdì, la seguo nello scantinato. Lei con la sua bacinella, ed io con la mia più piccola, ognuna con i propri indumenti da lavare ed insieme riempiamo il cestello della lavatrice. Mi metto in piedi sul mio sgabello per osservare il riempimento della vaschetta del detersivo, poi io chiudo il cassettino e, solitamente, torniamo su insieme, ma la mamma mi ha detto che ha dimenticato una cosa, di non muovermi e di aspettarla.

La guardo mentre sale le scale, poi, la mia attenzione viene catturata da un rumore proveniente dall'alto.

Alzo gli occhi al soffitto e inclino la testa quando vedo una piccola macchia scura che si muove sul soffitto.

Sono certa di non aver mai visto niente del genere, sono piccola, ma sono sicura che non sia un ragno.

«Ehi!» cerco di richiamare l'attenzione di quella macchia in qualche modo.

La macchia si ferma e si formano quattro piccoli cerchi bianchi proprio al centro. Sono occhi che mi guardano, proprio come io guardo loro.

«Sei cattiva?» chiedo curiosa.

Quegli occhi continuano ad aprirsi e chiudersi, resta ferma, mi guarda ancora.

«Ti ho chiesto se sei cattiva» ripeto.

Sotto quei quattro occhietti si aprono altre due aperture, una sopra l'altra, e mi rendo conto che sono due bocche quando la macchia inizia a parlare.

«Non credo... sto cercando la mia mamma, l'hai vista?» mi chiede quella cosina scura appesa al soffitto.

«No, ma se aspetti un attimo la mia mamma sta per tornare, sono certa che può aiutarti, lei risolve sempre tutto sai?» le dico orgogliosa.

C'è un attimo di silenzio, un attimo in cui penso che vorrei essere già grande, così potrei aiutare quella cosina a ritrovare la sua mamma.

«Non posso aspettare, devo andare subito da lei» mi dice ancora con le sue due bocche mentre muove contemporaneamente tutti e quattro i suoi occhietti.

«Oh... ok» dico con una punta di delusione. So che mamma avrebbe risolto tutto. «Ma fai attenzione ad andare in giro da sola» le dico, proprio come dice mamma a mia sorella più grande.

Ho l'impressione che mi guardi stranamente, ma forse mi sbaglio, dopotutto sono una bambina.

«Ciao creatura» mi dice la piccola macchia scura, poi si allontana continuando il suo cammino lungo il soffitto per sparire nel condotto dell'aerazione mentre io alzo la manina per salutarla.

Poi sento i passi della mia mamma lungo le scale.

«Chi stai salutando?» mi chiede non appena si accorge della mia mano che sventola nel vuoto.

«Una macchia scura che è andata via alla ricerca della sua mamma» le spiego.

Mamma resta a guardarmi per un attimo, poi sorride e mi prende in braccio abbracciandomi.

«La mia bambina coraggiosa» dice infine, per poi lasciarmi un bacio sulla guancia. «Mi aiuti a finire il bucato?» mi chiede sorridente, ed io annuisco felice di poterle essere d'aiuto.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Urban Legends ***


Questa festa di fine estate era proprio ciò che mi serviva per concludere degnamente questi mesi di vacanza che ho dedicato a Lucy.

A breve ricomincerà la scuola, l'ultimo anno del liceo. Ricominceremo con gli impegni, ma stasera tutto è permesso. L'alcool scorre a fiumi, il falò è acceso, e lei sembra essere particolarmente disponibile, non posso non approfittarne.

«Che ne dici se troviamo un posto un po' più isolato?» le sussurro all'orecchio tra un bacio e l'altro.

«Bruce, lo sai cosa si dice di quel bosco» risponde lei a bassa voce. «Non credo sia il caso.»

Conosco ciò di cui parla. Si dice che, sotto ad alcuni alberi, siano stati ritrovati diversi cadaveri decapitati, e che, la causa, sia una creatura sovrannaturale. Io non c'ho mai creduto, e non voglio che una stupidaggine mi rovini i piani per la serata.

«È una leggenda Lucy, non ci crederai davvero?» Per un attimo mi guarda incerta, ed io insisto. «Dai, andiamo...» Le sorrido tentando di rassicurarla e, alla fine si convince, la prendo per mano e seguiamo il sentiero.

Arrivati abbastanza lontani dal resto dei ragazzi, riprendo a baciarla, ma subito veniamo interrotti dal pianto di un bambino.

«Cos'è stato?» chiede Lucy spaventata.

«Non lo so» mi volto a guardare, faccio luce con la torcia del cellulare e, poco più in là, noto quello che sembra essere un bambino in mezzo alle foglie.

Ci avviciniamo e sbarriamo gli occhi alla vista di quel piccolo neonato, nudo, che piange.

«Cazzo!» Affermo sconvolto.

«Oh mio Dio!» dice Lucy chinandosi verso la creatura. «Dobbiamo aiutarlo» poi, si piega sulle gambe e lo prende in braccio.

Il resto è un attimo. Il neonato smette quasi subito piangere, rivelando la sua vera forma di creatura sovrannaturale e, con un solo morso, stacca la testa di Lucy, ingoiandola senza sforzo.

«Merda!» Il sangue è schizzato ovunque, il corpo della ragazza cade barcollando senza più controllo, ed io, dopo il primo momento di confusione, capisco quanto è appena successo.

Mi volto, senza guardarmi indietro ed inizio a correre. Il cuore sembra impazzito nella cassa toracica, il sangue scorre impetuoso, l'adrenalina sale alle stelle, mi manca il fiato, mi brucia la gola, i polmoni, sento quella cosa dietro di me, sento i rami spezzarsi alle mie spalle, ma non posso voltarmi.

Per Lucy non c'è più nulla da fare, ma io posso salvarmi, devo arrivare al limite del bosco, forse quell'essere non può uscirne, quindi corro, ancora, anche se le gambe stanno per cedere, anche se il terrore è tutto ciò che provo, ma non voglio morire.

Vedo in lontananza la festa, le luci, ed è quello che mi serviva per lo sprint finale. Accelero, ma poi inciampo, cado come se fossi nella scena di un film, al rallentatore. Il mio corpo finisce sul sentiero, mi accascio, mi volto, ma tutto ciò che vedo è solo buio. Sono fuori dal bosco, il mostro è scomparso, ed io sono salvo, ma la mia vita non sarà più la stessa.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Run for your life ***


La giornata è finita ed io, zaino in spalla, costeggio il parco - a quest'ora di sera praticamente deserto - per poter tornare a casa e godermi qualche ora di relax prima della giornata di domani. 

Ho terminato la presentazione del libro che devo portare domani al mio agente letterario, ci lavoro da settimane, e per essere sicuro che sia tutto perfetto mi sono portato a casa il computer sul quale ho salvato tutti i file per poterli ricontrollare un'ultima volta.

Non voglio lasciare niente al caso, potrebbe essere l'occasione per dare una svolta alla mia carriera. Ed è con questo pensiero fisso che continuo a camminare su questo marciapiede semibuio, prestando poca attenzione a ciò che accade intorno a me.

Talmente poca che, improvvisamente, cado a terra come un sacco di patate. Ci metto un paio di secondi a realizzare che ho appena ricevuto una spallata degna di un giocatore di football in attacco, poi alzo lo sguardo e vedo qualcuno correre velocemente verso l'interno il parco.

Mi metto in piedi e il cuore mi schizza immediatamente in gola non appena mi rendo conto che lo zaino che ho visto sulla spalla di quel tizio era il mio.

«Cazzo!» D'impulso decido di rincorrerlo. «Fermati, cazzo!» Devo assolutamente recuperare quello zaino!

Corro veloce, come non ho mai fatto, sono fuori allenamento, ma non posso assolutamente fermarmi, nemmeno quando sento i polmoni bruciare in totale carenza di ossigeno.

In mezzo agli alberi si fa sempre più buio, riesco a seguirlo grazie alla luce della luna che penetra tra i rami. Il rumore dei rami spezzati sotto le nostre scarpe segue lo stesso ritmo. «Fermati!» riesco ad urlare dopo essere riuscito ad accumulare abbastanza aria per chiamarlo, ma quel tipo sembra inarrestabile.

Il cuore sembra scoppiare nella cassa toracica, ma non è niente quando mi rendo conto che c'è qualcun altro con noi in questo buio, qualcuno che sembra correre molto più veloce di quanto stiamo facendo io e il ladro dello zaino.

A quel punto sento l'adrenalina scorrere potente nelle vene, sento il cuore battere con forza fino alle tempie, gli occhi mi schizzano fuori per lo sforzo, perché adesso sono io che sto scappando.

Mi volto velocemente all'indietro per poi tornare a guardare avanti. L'uomo alle mie spalle è grosso, veloce, e sembra incazzato. Sta inseguendo anche lui quel ladro? Non posso fermarmi a chiedere, ma se mi avesse preso per un complice?

Corro ancora, più forte, spingo sulle gambe come non mai, il bruciore alla gola diventa insopportabile, il cuore sta per esplodermi nel petto e quella presenza alle mie spalle è sempre più vicina, sento i suoi passi farsi più veloci e le sue minacce sempre più chiare.

«Fermi! Vi ammazzo!» urla quella voce, poi inciampo, cado in un dislivello atterrando su qualcosa di morbido.

Mi sposto e vedo lo zaino, sento i passi concitati farsi più lontani, chiudo gli occhi, riprendo fiato, poi sorrido, perché ho ancora con me il mio zaino.

E anche la mia vita. 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Monsters of Rythm ***


Anche l'ennesimo bis del nuovo singolo ha avuto il solito successo planetario. Grazie alla trasmissione via web in contemporanea mondiale la mia musica è ovunque. Il successo arriva puntuale, gli appuntamenti in diretta in mondovisione anche, ma sento che manca qualcosa.

Saluto le persone che hanno perso parte con me a questo concerto telematico, e mi dirigo verso il mio camerino per rilassarmi prima di partecipare alla serata che ha organizzato mio fratello. Voglio divertirmi e cancellare i pensieri negativi. Mi infilo sotto il getto dell'acqua calda della mia doccia del millennio scorso, mi piace molto di più di quelle di oggi fatte di lampi di luce fredda.

Mentre mi sto rivestendo sento bussare alla porta. «Avanti!» abbottono la giacca e rivolgo lo sguardo alla porta.

«Sei pronto?» Il sorriso di mio fratello mi mette sempre di buonumore.

«Prontissimo.» Lo seguo lungo il corridoio, poi ci fermiamo di fronte ad una porta.

«Godiamoci questa serata!» dice, per poi aprire e ritrovarci improvvisamente catapultati su un enorme palco.

Davanti a me migliaia di persone che urlano impazzite il mio nome, alle mie spalle una gigantesca scritta che dice "Rock in Rio 2017". Sento il calore del pubblico, lo sento nell'aria, sulla mia pelle... non ho mai provato niente del genere in vita mia. Mi volto verso mio fratello Shannon e lo guardo confuso.

«Volevi un concerto live no? Forza Jared è ora di farci sentire.» Si dirige a passo sicuro verso la batteria mentre io mi volto lentamente verso tutti quei volti che mi stanno fissando.

Sento l'aria sul viso, vedo i riflettori illuminare una marea umana fatta si suoni e colori, vedo braccia alzate verso l'alto e sento il mio nome gridato in coro.

Afferro il microfono, le luci si abbassano, le voci anche, poi, appena il mio "ciao" riecheggia negli altoparlanti per un saluto, un boato di voci esplode all'unisono, provocandomi una potente scarica di adrenalina, e più parlo, più loro urlano.

Il pubblico risponde, interagisce con me per davvero, non virtualmente come sono abituato a vedere. Partono le prime note del mio singolo, le urla aumentano e io sento il bisogno di scendere tra loro. Mi avvicino alle transenne mentre canto a squarciagola, sento le mani dei ragazzi afferrare la mia quando mi aggrappo a loro: stanno cantando con me in una partecipazione totale e non a senso unico. Non c'è più l'artista e il resto del mondo, ci sono uomini e donne che condividono la stessa passione per la musica.

Capisco che era questo che mi mancava: il calore delle persone, vedere da vicino gli occhi della gente e sentire amore, passione, sentimento, partecipazione e condivisione.

Non so come ci sia riuscito, ma devo ringraziare mio fratello per avermi dato la possibilità di vivere questo momento che rimarrà impresso nella mia mente e nel mio cuore, ma lo farò a fine serata.

Adesso voglio godermi ogni secondo, e vivermi questo concerto perché non so quando tornerò nel mio tempo, ma ora sono qui e voglio solo cantare. 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** La casa sulla collina ***


Mi strofino il viso con forza, poi gli occhi, infine passo le dita tra i capelli annodati. È stata una lunga notte insonne, e ho dormito poco e male. Credevo che l'ambiente di questa casa, il luogo tranquillo in cui è immersa, mi avrebbero dato la serenità necessaria per poter riposare fisico e mente, così da riuscire a portare a termine il mio libro in breve tempo, ma non mi è stato possibile.

La notte appena trascorsa ha portato con sé incubi, rumori misteriosi, ho persino creduto di sentire il pianto di un bambino. Ho dovuto alzarmi più volte dal letto per andare a controllare se qualcuno si fosse introdotto in casa, o se ci fosse qualcuno all'esterno, ma le mie ricerche notturne hanno portato solamente maggiore frustrazione alla mia psiche già provata dallo stress per la pressione della pubblicazione imminente.

Probabilmente mi sono lasciato condizionare dalle dicerie che circolavano su questa casa, alcune delle quali parlavano addirittura di fantasmi. Sono un uomo concreto, credo ai fatti, e quando l'ho comprata ho visto soltanto un ottimo affare.

Mi alzo dal letto, e dopo essermi dato una rinfrescata vado in cucina a cercare qualcosa per colazione, ma subito mi ricordo che non ho ancora fatto la spesa, così decido di vestirmi e andare al negozio del paese per comprare qualcosa. Apro la porta per uscire e mi ritrovo davanti una bambina che ha circa sei anni. Ha due codini biondi, gli occhi azzurri e indossa un vestitino azzurro.

«Ciao» le dico stranito dalla sua presenza.

«Ciao, hai dei biscotti?» mi domanda con un gran sorriso.

«A dire la verità no, stavo andando a fare la spesa. Ma tu sei da sola?» Volto lo sguardo a destra e a sinistra, ma oltre alla mia auto non vedo altro che alberi.

«Mamma e papà sono a casa» risponde sorridendo.

«Vuoi che ti accompagno da loro?»

«Non fa niente. Ciao!» Mi saluta e si allontana saltellando.

Forse avrei dovuto insistere, ma alla fine la lascio andare, salgo sulla mia auto e mi reco al piccolo negozio di alimentari del posto, dove inizio a cercare tra gli scaffali qualcosa da mangiare. Prendo anche un pacco di biscotti - che solitamente non mangio -, poi vado alla cassa.

«Sono dodici dollari e quarantatré» dice l'uomo dietro al registratore.

Recupero i soldi dal mio portafoglio e glieli porgo, poi alzo lo sguardo e l'occhio mi cade sulla foto appesa al muro alle sue spalle. Una bimba bionda, con i codini e gli occhi azzurri, e un piccolo sorriso nasce sulle mie labbra.

«È sua figlia?» gli chiedo indicando quell'immagine.

«Sì.»

«Ha bussato alla mia porta stamattina per chiedermi dei biscotti» gli dico guardandolo negli occhi notando la sua espressione stranita.

«Dev'essersi confuso... mia figlia è morta tre anni fa...»

E a quel punto mi sento davvero confuso. Ho visto realmente quella bambina, o è stato frutto della mia immaginazione dovuto alla stanchezza? Non ne ho idea, ma in caso tornasse, adesso ho dei biscotti.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Elena, Stefan e Damon ***


Sono qui a scriverti Stefan, come abbiamo sempre fatto io e te, ma stavolta non scrivo per me stessa sul mio diario, scrivo a te per dirti grazie.

Non immaginavo che un giorno mi sarei ritrovata a farlo, ma oggi, dopo tutto quello che ho vissuto nella mia vita, sento l'esigenza di doverlo fare perché te lo devo, tutti noi te lo dobbiamo. 

Grazie per avermi salvata dall'incidente che è costata la vita ai miei genitori: quel gesto mi ha dato la possibilità di essere qui oggi. Grazie per esserti fidato di me al punto tale da rivelarmi il tuo segreto più oscuro: l'ho custodito e l'ho protetto come fosse mio.

Ammetto che è stato difficile accettare la tua natura di vampiro, temevo che ogni persona che amavo sarebbe stata in pericolo se tu mi fossi stato accanto, forse temevo per la mia stessa vita, ma quando ho capito quanto in realtà tu fossi buono, non ho potuto fare altro che accettarti per ciò che sei, e cioè qualcuno a cui poter donare il mio cuore senza riserve.

E grazie per essere stato comprensivo e paziente, so che spesso sono stata esasperante e intrattabile, ma hai sempre fatto in modo di aiutarmi in ogni situazione.

Mi hai protetta anche quando non lo volevo, mi hai sostenuta quando ne avevo bisogno

Abbiamo condiviso momenti terribili e momenti meravigliosi, ci siamo innamorati e sei stato fondamentale per superare avvenimenti che hanno stravolto la mia vita e quella di chi mi stava intorno.

Le nostre giornate sono state scandite da vampiri con il pallino di conquistare il mondo, licantropi affamati e streghe pronte a lanciare incantesimi su chiunque, ma abbiamo fatto squadra e ne siamo usciti più uniti che mai. Tuttavia, qualcosa si è spezzato lungo la strada. Non è stata colpa tua, nemmeno mia, ma è comunque successo. Il mio cuore ha iniziato a battere forte per qualcun altro, qualcuno per cui non avrei mai immaginato di provare dei sentimenti così profondi, eppure è successo.

Hai fatto un passo indietro lasciandomi la possibilità di essere felice, mi hai dato l'opportunità di scegliere e mi hai lasciata libera di essere me stessa, sempre.

So di averti fatto soffrire, ma non era nei miei piani innamorarmi di tuo fratello Damon e grazie al tuo sacrificio, io e lui abbiamo potuto vivere a lungo insieme, avere dei figli, e la vita che abbiamo sempre sognato.

Damon ha voluto dare il tuo nome al nostro primo genito. Gli manchi tanto, ogni giorno viene a trovarti e lascia un fiore sulla tomba di famiglia. Dopo tanti anni non ha ancora smesso di colpevolizzarsi, e spera di poterti riabbracciare un giorno.

Grazie per averci permesso di essere felici, grazie da parte di ogni abitante di Mystic Falls, e grazie da parte di tuo fratello Damon, che al momento è seduto accanto a me con in mano il suo bicchiere di bourbon.

Quindi, grazie Stefan, senza di te non avrei mai conosciuto il vero significato della parola felicità.  

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Senti chi parla ***


Finalmente!

L'unico rumore che voglio sentire stasera è lo scoppiettio della legna nel camino e quello delle pagine del libro che ho deciso di finire.

Il divano è solo mio, sdraiato alla luce fioca della lampada mentre divoro ogni parola senza dovermi preoccupare di Jasmine, o Leslie, o Madison... aspetta, forse si chiamava Margaret. Devo decidermi ad imparare i loro nomi se non voglio essere scoperto.

Lancio uno sguardo a Thor che se ne sta accucciato vicino al camino. Siamo tornati un paio d'ore fa dalla passeggiata serale, e ho avuto l'impressione che fosse lui a portare me. Il mio Labrador stasera è strano, sembra che mi stia studiando, ma poi decido di ignorarlo per tornare a leggere. Devo essere stanco e vedo cose che non esistono.

«Ehi fammi spazio! Mai una volta che mi lasci un po'  di posto al caldo!» Sobbalzo nel sentire all'improvviso una voce sconosciuta.

Mi sollevo in tempo per vedere Thor che sale sul divano costringendomi a spostare le gambe per permettergli di sistemarsi vicino al bracciolo. Lo guardo con aria confusa, estremamente confusa, pensando di aver avuto un'allucinazione, ma è lui stesso a confermare quanto ho immaginato.

«Ebbene sì, sono stato io! Ho sempre finto di essere come tutti gli altri della mia specie, ma io ho il dono della favella e ora che ho iniziato non smetterò più di parlare! È ora che mi prenda i miei spazi.» Lo guardo stranito, lui guarda me e io mi sento un idiota.

«Non sta succedendo davvero.» Lo dico più a me stesso che a lui.

Thor è con me da quattro anni, ed è stato il miglior compagno che abbia mai avuto nella mia vita da single. L'ho portato dal veterinario la settimana scorsa ed era tutto nella norma. La mia mente mi sta facendo brutti scherzi, è l'unica spiegazione possibile.

«E smettila di guardarmi in quel modo. È arrivato il momento di negoziare.» Resto a bocca aperta, con gli occhi spalancati mentre il libro rovina a terra. «Devi cambiare marca di croccantini, non mi piacciono quelli che compri, e preferisco la carne bianca a quella rossa.»

«Sei serio?» domando senza neanche rendermi conto di aver aperto bocca.

«Ti sembra che stia ridendo, Jake?» Richiudo la bocca, sbatto un paio di volte le palpebre e deglutisco a fatica. «Quindi, le cose stanno così, o mi accontenti, oppure sarò costretto a dire ad ogni ragazza che porti a casa che non è affatto l'unica, come dici spesso, e che non ti ricordi nemmeno i loro nomi...» Non ho quasi più salivazione e il mio respiro sembra essere rallentato.

Mi metto seduto e lo guardo con maggiore attenzione. Thor fa lo stesso con me, come se stessimo giocando a chi è il più forte, ma stavolta credo di essere in svantaggio. Non ho sognato, e devo risolvere questa situazione.

«Ok, ci sto, ma tu non verrai più in camera da letto quando sono in compagnia.» Mi osserva per un attimo, poi risponde.

«Abbiamo un accordo!»

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** L'incubo ***


Un incubo.
Ecco quello che rappresenta per me il bambino che abita questo letto durante la notte.

Ma non è sempre stato così.

Una volta ero io l'incubo dei bambini. Appena le luci della cameretta si spegnevano, e le pareti venivano illuminate dalla luce esterna dei lampioni proiettando ombre terrificanti sui muri, io uscivo allo scoperto. Lo facevo lentamente, facendo cigolare il parquet e proiettando altre ombre in movimento che terrorizzavano ogni bambino.

Adesso, invece, non posso più farlo.

Ho provato ad uscire dal mio nascondiglio per fare quello che sapevo fare meglio - spaventare i bambini tanto da costringerli a nascondersi sotto le coperte nel tentativo di sfuggirmi - ma è tutto cambiato.

Adesso i bambini imprigionano i mostri come me, dentro ad un piccolo rettangolo piatto, dentro al quale - tramite le loro piccole e aguzze dita - sono costretti a combattere per la sopravvivenza. Ho visto tutto con i miei occhi, mentre lui era troppo impegnato a far esplodere dei mostri ridotti in miniatura per accorgersi della mia presenza.

C'erano urla di dolore, disperazione, li ho visti esplodere, distruggersi a vicenda, per scomparire in un piccola nuvola di polvere. Li ho visti fatti in mille pezzi, disintegrati, sbriciolati sotto a qualche tocco di dita. Ho sentito le sue risate malvage, ho visto la sua espressione soddisfatta per essere riuscito a sconfiggere con un solo dito uno dei mostri più spaventosi che abbia mai visto.

Nel buio della stanza, quando la luce di quel piccolo oggetto che il bambino stringe tra le mani diventa l'unica fonte di illuminazione, non sono più le ombre sui muri ad essere spaventose, ma è il suo viso a diventarlo.

Il sorriso dolce, di cui vanno tanto fieri i suoi genitori, scompare, per lasciare posto ad un ghigno malefico. A quel punto non c'è più il bambino. No, lui si trasforma nel carnefice dei mostri. Prende quello strumento di tortura che tiene nascosto sotto al cuscino, preme un tasto e una musica inquietante martella nelle orecchie. Subito dopo le immagini dei primi combattimenti compaiono attraverso quel vetro dietro al quale si consumano quotidianamente le tragedie ai danni della mia specie, ma lui ride al grido di "Muori mostro!".

Ed è così tutte le sere. Sono costretto a restare ad ascoltare in silenzio tutte queste morti senza avere la possibilità di salvare nessuno di loro. Un giorno, mentre lui non c'era, ho provato a liberare qualcuno, ma l'unica cosa che ho ottenuto è stata quella di diventare a mia volta carnefice.

Il sole sta calando e tra poco lui sarà qui. Sarò costretto a nascondermi nell'angolo più buio e polveroso per non essere visto, perché non voglio essere catturato e finire dentro quella prigione di vetro, non voglio essere costretto a combattere per il suo divertimento.

D'un tratto sento dei passi, il parquet scricchiola e so che si sta avvicinando. Ho paura, trattengo il fiato, mi faccio piccolo, piccolo, per poi iniziare il solito conto alla rovescia, nella speranza che il mattino arrivi il più presto possibile.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** La libreria ***


Non avrei dovuto, lo so, ma fare cose  vietate è la mia specialità, papà me lo dice sempre. Sono stata spesso punita per questo – come se punirmi servisse a qualcosa – eppure continuo imperterrita a seguire il mio istinto, proprio come ho fatto un paio di minuti fa.

La piccola porticina al fondo della libreria, quella che ho scoperto mentre cercavo un libro per mio fratello, era troppo invitante perché la ignorassi. Mi sono avvicinata, mi sono piegata sulle ginocchia, ho abbassato la maniglia, poi sono scivolata lungo un tubo stretto. C'era un'accesa luce chiara ad abbagliarmi, e mi sono ritrovata su un bellissimo prato. 

I miei occhi si perdono a notare i dettagli dei piccoli oggetti al centro del prato, che si trova in mezzo ad una radura circondata da alberi.

Inspiro profondamente chiudendo gli occhi. Un leggero venticello mi scompiglia i capelli che mi finiscono sul viso. Li sposto con una mano e quasi non sobbalzo per lo spavento quando una voce mi fa spalancare gli occhi.

«Ehi! Che ci fai qui?» Mi guardo intorno, ma non vedo nessuno, poi mi sento tirare il vestito, così guardo verso il basso e vedo un piccolo coniglio bianco che mi osserva curioso.

«Non ne ho idea» rispondo piegandomi sulle ginocchia per guardarlo da vicino. «Tu chi sei?»

Aspetta! Perché non sto trovando strano parlare con un coniglio?

«Dovresti dirlo tu a me. Sei tu che sei venuta qui...» Mi osserva attento, in attesa di una risposta.

«Mi chiamo Eleanor, stavo cercando un libro per mio fratello, poi ho trovato una porta e mi sono ritrovata qui» gli spiego mentre sorrido e noto che una tazza di tè in mano.

Perché parlo e sorrido ad un coniglio che ha in mano una tazza di tè?

«Adesso ho capito, vieni con me!» esclama con entusiasmo per poi voltarsi e andare verso il tavolo.

«Cos'è che hai capito?» domando rialzandomi in piedi per raggiungerlo.

Il coniglio si siede al tavolo. D'un tratto noto una teiera e una ciotola bianca piena di biscotti. Credo ci sia anche una zuccheriera, dei cucchiaini e un'alzatina con dei dolcetti che hanno un aspetto delizioso.

Un momento... C'erano prima tutte quelle cose?

«Allora, si può sapere cos'è che hai capito?» domando di nuovo.

Alle mie spalle spunta un'altra voce che mi fa voltare di scatto.

«Tempo...» È strano, con un bizzarro cappello colorato. Indossa uno stravagante completo e cammina in maniera buffa.

«Tempo? Che significa? E chi sei tu?» Il tizio non smette di sorridere, si siede accanto al coniglio e prende una tazza, si fa versare un po' di tè, poi lo sorseggia lasciandomi nell'incertezza.

«Si chiama Elanor...» il coniglio sta sussurrando al tipo con il cappello, ma non abbastanza sottovoce, perché riesco a sentire. «... ha detto che stava cercando un libro per il fratello...»

«È il suo compleanno?» mi domanda il cappellaio matto – ho deciso che lo chiamerò così.

«Sì, non sapevo cosa regalargli e ho pensato ad un libro.» Mason passa pomeriggi interi a perdersi tra le pagine di quelle che chiama avventure. Quest'anno sono troppo impegnata per cercare qualcosa di diverso da un libro, ma a lui piacciono, quindi va bene così, no?

«Accomodati.» Il cappellaio mi invita a sedermi con un gesto della mano. La sedia è piccola, ma mi sorprendo nel trovarla molto comoda quando prendo posto.

«Potete spiegarmi cosa sta succedendo?» Sono impaziente e la curiosità mi sta divorando.

«Eleanor quello di cui hai bisogno è tempo.» Il cappellaio pronuncia l'ultima parola con una tale calma da riuscire ad infonderne un po' anche a me.

«Tempo?» Non capisco a cosa si riferisca, poi la mia attenzione viene catturata da una tazza piena di tè che il coniglio bianco mi sta mettendo sotto al naso.

Ma da dove arriva questa?

«Tu stai sprecando il tuo» afferma sorseggiando ancora tè.

Lo guardo con aria confusa. Sto sprecando il mio tempo? Quale tempo?

«Spiegati meglio per favore.» Porto la tazza alle labbra e assaggio il tè più buono che abbia mai bevuto in vita mia.

Cosa? Io odio il tè!

«La cosa più preziosa che puoi regalare a qualcuno a cui tieni è il tuo tempo.» Le sue parole sono come una rivelazione. «Smettila di correre e goditi il viaggio.» Aggrotto le sopracciglia e mi concentro su ciò che ha detto.

Che ho fatto finora nella mia vita? Ho corso per raggiungere mille obiettivi e ho lasciato indietro qualcosa di molto importante: gli affetti.

«Adesso hai capito anche tu?» mi domanda il coniglio.

«Sì!» rispondo convinta.

Di nuovo il vento a scompigliarmi i capelli, chiudo gli occhi e li sposto con la mano, ma quando li riapro mi guardo intorno stranita perché sono nel mio letto e la sveglia sta suonando. 

«Era solo un sogno» dico con voce impastata dal sonno. Mi metto in piedi e mi trascino fino alla cucina dove mamma ha già preparato la colazione. «Che si mangia oggi?» domando senza nemmeno salutare perché sento di essere già in ritardo.

«Ho fatto un ottimo tè, dovresti assaggiarlo.» Alzo la testa di scatto e osservo il sorriso divertito di mia madre.

«Mamma io odio il tè, e poi ho fretta!» le faccio presente con un tono di voce infastidito.

«Beh... dovresti trovare il tempo per questo...» Tempo... Mi posiziona davanti una tazza bianca dalla quale arriva un odore familiare, un odore che mi porta a voler assaggiare l'odiato tè.

Quando quel liquido mi scende giù per la gola rivivo il sogno che ho fatto stanotte. Sento le parole pronunciate dal coniglio, dal cappellaio matto e le sensazioni che ho provato nel parlare con loro. Forse dovrei dare retta a quel sogno, perché era un sogno, giusto?

«Allora... hai deciso cosa regalare a tuo fratello per il suo compleanno?» mi chiede mamma sedendosi di fronte a me.

Ed è in quel momento che mi colpisce in pieno l'illuminazione.

«Sì! Ora lo so!» Tempo, gli regalerò del tempo che trascorreremo insieme, del tempo che servirà a tenere vivo il nostro affetto. 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** La vita dopo la notte ***


Sono arrabbiata, così tanto che non riesco a prendere sonno!

Mamma e papà mi hanno messa in punizione per aver lasciato in disordine la mia stanza e adesso non potrò andare alla festa che darà Claire per il suo compleanno. Ci saranno tutti – ci sarà anche Brendon – e io sarò costretta a casa a fare da baby sitter a mio fratello Jamie. Non ho voglia di badare al nanerottolo, voglio uscire a divertirmi, voglio poter fare quello che voglio.

«Non vedo l'ora di diventare grande, così nessuno potrà dirmi cosa devo fare!» Con questo pensiero detto ad alta voce, mi volto su un fianco, e cerco di tenere gli occhi chiusi.

Sento i muscoli del viso in tensione, le sopracciglia corrucciate, le labbra strette in una linea sottile e la mandibola serrata, quasi a digrignare i denti: è così che mi addormento e il mio umore, la mattina successiva, non è migliorato, anzi.

Mi alzo dal letto sbuffando, esco dalla stanza e scendo al piano inferiore dove trovo una situazione a dir poco assurda: papà che si arrabbia con uno stupido giochino che sta facendo al cellulare, mamma che sembra chattare come un adolescente e mio fratello di nove anni che tenta di preparare la colazione.

«Che sta succedendo qui?» domando avvicinandomi al tavolo.

I miei genitori mi degnano a malapena di uno sguardo, poi è mamma a parlare: «Mi devi preparare il pranzo oggi perché ho il corso di scrittura creativa nel pomeriggio». Torna a sorridere allo schermo del suo cellulare come se niente fosse, poi è il turno di papà, che mi guarda in modo strano.

«Domani sera degli amici mi hanno invitato al cinema, posso andarci?» Lo guardo come se fosse un alieno, in realtà guardo tutti e tre allo stesso modo e non riesco a capire stia succedendo.

«Josie?» Stavolta è mio fratello a richiamare la mia attenzione: si volta tenendo in mano un padellino con le uova, che poi porta a tavola per servire la colazione a mamma e papà. «Oggi dovresti passare in tintoria per ritirare il vestito che ho portato a lavare, poi c'è da fare la spesa, il frigo è quasi vuoto, e non dimenticare di passare a pagare le bollette. Te le ho lasciate sul mobile all'ingresso». Sono ancora confusa e incredula: sembra che il mondo si sia rivoltato al contrario. I genitori chiedono il permesso per uscire e i figli hanno le responsabilità da adulti, ma se è davvero così ho anche tutti i privilegi degli adulti, e posso andare a quella festa senza che nessuno possa impedirmelo.

«Josie possiamo prendere la macchina per andare al lavoro?» domanda papà senza staccare gli occhi dal cellulare.

È la mia opportunità, devo approfittarne. «No, papà, la macchina la prendo io oggi».

«Che palle» borbotta a bassa voce, più o meno come faccio io la mattina quando chiedo loro l'auto per andare a scuola.

Sento una crescente soddisfazione farsi largo nella mia testa, mi sento così potente, adesso che sono io a decidere. Inizio a passare in rassegna tutte le cose che potrei fare e sono così tante che non so da dove iniziare.

«Noi andiamo!» Mamma e papà escono di casa mentre Jamie sta finendo la colazione.

Mi unisco a lui intanto che mi ripete tutte le commissioni che devo fare, poi esce anche lui quando arriva il pullmino della scuola e io ho tutta la casa per me. Decido di vestirmi e uscire per sbrigare tutti i compiti che mio fratello mi ha assegnato, così, quando sarò di ritorno, potrò fare tutto quello che voglio.

Arrivata alla tintoria consegno il tagliando per il ritiro del vestito, inizialmente sembra scomparso e il tempo d'attesa che avevo stimato in un paio di minuti, si prolunga fino a diventare mezz'ora. Esco dal negozio spazientita dopo il ritrovamento e mi reco al supermercato per la spesa. Fatico a trovare parcheggio perché sembra che oggi tutti si siano dati appuntamento qui, neanche regalassero la roba!

Sono già nervosa per l'attesa, il traffico e per il posteggio che non riuscivo a trovare, ma mi concentro sul fatto che tornata a casa sono libera, così cammino svelta tra le corsie alla ricerca di tutti i prodotti segnati sulla lista, li butto a casaccio nel carrello e mi metto in coda alla cassa.

Chiudo gli occhi e sospiro pesantemente quando noto sette carrelli prima di me, tutti esageratamente pieni, e la situazione alle altre casse non è diversa. Sbuffo e aspetto, aspetto e aspetto ancora: è passata quasi un'ora da quando sono entrata qui dentro e finalmente tocca a me, ma quando sto per pagare, il terminale va in blocco e non accetta più pagamenti, così la cassiera chiama un tecnico per ripristinare il tutto, e perdo un'altra mezz'ora.

Per pagare le bollette la situazione persiste: coda, attesa, problemi, e se ne va un'altra ora. Ho sprecato l'intera mattina per assolvere ai miei compiti e non mi sono divertita affatto. Sto rincasando, sono stanca e nervosa, e se penso che devo sistemare la spesa rimpiango la mia giornata scolastica.

Scendo dall'auto, prendo i sacchetti e li porto in casa, ma resto impalata sulla soglia della cucina quando vedo i miei genitori seduti al tavolo che mi osservano con aria divertita.

«Che significa?» 

«Volevamo dimostrarti di persona la nostra idea. Ieri sera ti ho sentita brontolare e abbiamo pensato di farti provare cosa implica l'essere adulti». Papà parla tranquillo, mamma sorride e io sono confusa.

«Era uno scherzo?» 

«Era una prova, Josie, che tu hai superato brillantemente. Hai dato la precedenza al dovere e ti sei resa conto del rovescio della medaglia: essere adulti non comporta solo cose divertenti».

«Questo vuol dire che non dovrò occuparmi più di tutto questo?»

«Almeno finché non sarai grande... ora puoi tornare a fare la diciottenne e andare alla festa». Le parole di papà mi fanno tornare il sorriso, ma non dimentico la lezione di oggi: ho tempo per crescere, ora è giusto che mi attenga al mio ruolo, essere adulti può aspettare.
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3806123