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di daphtrvnks_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 2048 ***
Capitolo 2: *** Saiyan ***
Capitolo 3: *** Secret ***
Capitolo 4: *** Prisoners ***
Capitolo 5: *** King of Hearts ***
Capitolo 6: *** weaknesses ***
Capitolo 7: *** Revolution 2033 ***
Capitolo 8: *** Lieste ***
Capitolo 9: *** Paura ***
Capitolo 10: *** Start ***
Capitolo 11: *** The fight ***



Capitolo 1
*** 2048 ***




Aleggiava la morte per le strade, difficile non notarla e passare indisturbati tra i corpi ammassati di terrestri e saiyan, vittime e carnefici, amalgamati insieme nel sangue.

Un unico fiume che lasciava indietro le razze e gli ideali, scorrendo tra i detriti dei tecnologici edifici di un tempo e cadendo come pioggia nei tombini. 

Non c'era tempo per pensare, non quando la fame come una tigre in agguato li osservava deteriorandoli dall'interno e trafiggendo con le sue zanne i loro stomaci vuoti.

L'incombente silenzio ed i furtivi passi di qualche avventuriero; sopravvissuto, lui o lei, alla miseria, in cerca di qualche avanzo di cibo. 

Svegliati da una notte tragica, un mattino senza sole coperto dalle nubi. Sotto, tra la rabbia e le lacrime non più versate sui cadaveri, si rifugiavano, in una metrò affollata di uomini e donne, i terrestri scampati alla lunga falce del dio degli inferi.

Per resistere e difendersi, non cedendo mai alle intemperie di quella devastante epoca, superando gli inverni nel gelo, bruciando libri, le estati nell'afosità del sottosuolo.

In pochi ancora lottavano, serravano i pugni ed in un tacito urlo invocavano e pretendavano la libertà su quel mondo oramai non più loro.

Stanchi i figli dei grandi eroi, di coloro che si erano sacrificati sulla germogliosa terra del loro pianeta, rimanendone uccisi e lasciando in eredità la sofferenza ma anche lo spirito e la forza che erano riusciti a tramandare nella futura generazione.

2048.

Segnato in grande su una delle pareti, sopra il capo degli ultimi feriti.

29 anni rinchiusi come topi in gabbia, senza via di fuga.

Una giovane ragazza appuntava su uno sgualcito diario dei numeri, rifletteva facendo avanti ed indietro cercando di non schiacciare i piedi e le gambe dei soldati fermi e sofferenti, il dolore era lancinante e li udiva gemere e contorcersi contro le mattonelle dure, sbiadite del loro vermiglio rosso.

Equazioni, calcoli complicati e scritte illeggibili, sapeva la sua calligrafia fosse delle peggiori ma, lei, figlia di un rinomato scienziato, non se ne faceva scrupoli, nessuno avrebbe mai capito.

Di quei sette miliardi di persone appena il due percento era riuscito a non perire; nascite in calo, frequenti morti per le battaglie o infenzioni, malattie o semplici suicidi.

Quasi tutti analfabeti, che importanza aveva l’istruzione se da un momento all'altro il tuo petto sarebbe potuto essere perforato dalla mano di uno di quei Saiyan?

La matita recuperata accidentalmente in una delle frequenti ricognizioni sulla città di Tokyo. Mancavano le sostanze prime, medicazioni e tutto ciò che sarebbe potuto servire.

La loro casa era quella e la ventenne, oramai, in una piccola parte del suo cuore, lo aveva accettato.

Era nata lì, come gli altri. Si lasciavano raccontare dai vecchi come fosse la Terra prima dell'invasione: la pace, i verdi prati e la vita felice.

Coloro che non conoscendo il vero significato di quella parola avevano imparato a viverne senza, rimpiazzandola con la speranza.

A malapena alcuni sapevano come fosse la realtà sopra le loro teste, vigliacchi, troppo spaventati per voler davvero sapere come fosse l'aria pulita o quanto davvero grande potesse essere uno spazio.

'Quanti erano?'

Chiese ad uno degli uomini: steso contro la superficie in pietra egli stringeva una fascia sporca contro la ferita alla coscia, il viso madido di sudore, dignignava i denti brandendo nelle sue mani il coraggio necessario, i capelli d'ebano corti dinanzi e più lunghi dietro, una o due cicatrici sull'occhio e la guancia ad adornarlo.

'Quattro, gh.. ah, dannazione!'

Maledì dopo aver fatto un nodo troppo stretto, la divisa di un verde scuro, la maglia piena di fori ed un pantalone militare ricucito in più punti. Puntò i suoi occhi lucidi in quelli blu cielo della donna; una delle poche scienziate, figlia del dottor Brief e sergente in comando di uno dei battaglioni della Ribellione.

'Oh… siete voi, Bulma.'

Asserì quello che si rivelò essere un ragazzo di qualche anno più grande, ella sospirò ed annuendo appena segnò il numero facendo attenzione a non calcare troppo sul foglio.

'Quattro… cinquanta uomini, ne sono tornati solo trentacinque. Cosa è andato storto stavolta?'

Sbottò, il piccolo diario venne riposto con la matita nella tasca del suo camice bianco, l’altra si posò sul muro per avere un appoggio stabile. Anche lì, oltre ai gemiti sommessi e le urla di chi in lontananza si faceva medicare con ortodosse pratiche, regnava il silenzio. Chi mai avrebbe parlato? Eppure erano molti, duecento lungo tutta la vecchia metropolitana, chi nei vagoni cercava riposo ed altri fermi a rimirare il nulla.

'C'era quel Kakaroth, una furia e noi…'

Non continuò, non avrebbe avuto senso. Spostò più volte le iridi nere alla ricerca della tenente; una ragazza bassa e dai capelli lunghi e lisci, carboni ardenti al posto degli occhi ed un carattere da far mettere i brividi.

Reggeva, ella, gli eserciti del sud, le sue tattiche erano eccellenti, una stratega nata e Yamcha, ecco il suo nome, la ammirava profondamente.

'Sapevo che sarebbe stato troppo avventato, quella matta non mi ascolta mai.'

Mormorò Bulma, si guardò anche lei intorno, cercando quella piccola figura e non trovandola. Una stretta al cuore, l'ansia si impossessò del suo corpo scuotendola con violenti brividi, la pelle diafana quasi mai al contatto dei raggi solari impallidì maggiormente.

Lei e Chichi erano unite da un legame profondo, nonostante i disguidi e le personalità oltraggiosamente orgogliose si volevano bene, come sorelle, unite braccio e mente nella conquista di ciò che stava loro di diritto.

'Dov'è…'

Lasciò sfuggire dalle labbra, la bocca le si schiuse quando la vide arrivare tra la penombra ferita al braccio sinistro, eppure rideva. Rideva sguaiatamente come posseduta da qualche demone, sì, molti non avevano retto ed erano diventati folli ma chi viveva lì era un guerriero nell'animo e la corvina non era da meno.

Le andò incontro lanciandosi come una furia, sorpassò la gente accalcata e le si piazzò a qualche centimetro iniziando la sua ramanzina, non avrebbe dovuto.

Sapeva Bulma che ad ogni spedizione il peso dei caduti piombava sulle fragili spalle di Chichi, lasciando ogni volta, senza farlo davvero con cattive intenzioni, che la condottiera di chiudesse nel suo guscio di ferro.

Ma doveva.

'Che diamine ti è saltato in testa!? Ti rendi conto, era un suicidio!'

Non era riuscita a fermarla prima che andasse, aveva portato con sè gli uomini nel lato est della città, lì dove la seconda coalizione dei Saiyan abitava sotto il controllo di Kakaroth.

Perché non erano i soli a lottare, i Saiyan combattevano contro loro stessi, una guerra tra i combattenti d'elite assieme quelli della stirpe reali dei Vegeta e quelli di infimo livello, le terze classi col figlio del generale Bardack.

Chichi rise ancora, come se quello che la turchina le avesse detto fosse stata una delle sue più squallide battute.

'Sai Brief anche Achille aveva un punto debole!' 

Una lacrima sfuggì dal suo occhio destro percorrendo lo zigomo rosato, per un attimo all'amica venne il dubbio che fosse febbricitante.

'Che stai farneticando…'

Confusa, preoccupata ma anche arrabbiata per la sua sconsideratezza. Posò una mano sulla sua spalla iniziando a scuoterla appena, la tenente calmò appena le sue risa e mordendo il labbro già rosso da qualche colpo subito si avvicinò al suo orecchio, scostandole con gentilezza una ciocca dei suoi crini.

'La coda.'

Bisbigliò, come fosse un segreto, una cosa sporca e rozza che non doveva essere rivelata ad anima viva, la entusiasmava.

All’inizio la più grande non capì, socchiuse gli occhi e per un secondo rimase in silenzio, colta dalla curiosità si allontanò per poterla osservare meglio. Era messa male; sulle labbra appariva un taglio, diverse ferite sul viso, una alla tempia attirò la sua attenzione e poi il braccio, la spalla sinistra smussata, la giacca blu scuro strappata, sangue ne sporcava il tessuto. Le chiese come lo avesse scoperto ed ella saccente rispose:

'Ho combattuto; quel bastardo ha slegato la coda nel tentativo di acciuffarmi e non appena gliel'ho tirata ha ululato, l'ho tenuto fermo finchè Lunch non lo ha sparato dritto in fronte.'

Rise ancora e scuotendo il capo alzò un braccio, a mani nude la sua prima vittoria. Aveva capito che quel Saiyan non fosse forte come gli altri e questo aveva giovato a suo vantaggio, nella tasca del suo pantalone apparve della peluria scura, aveva tagliato la coda a quell'alieno, un segno del fatto che quei mostri non fossero indistruttibili.

La turchina rimase allibita ma riprendosi le urlò, come una madre ai propri figli: 

'Curati il braccio o ti entrerà un'infezione, idiota!'

La vide sghignazzare, farle un piccolo occhiolino e poi sparire nel buio del sotteraneo, così come era venuta era andata via.

Sembrò riprendere vitalità: avevano ancora una speranza e ne era certa, avrebbero potuto farcela.


//Yay!

Eccomi qui tornata con una long! Non ho idea di quando aggiornerò ma spero presto, beh, da un salto nel passato con la scorsa storia qui si passa direttamente al futuro. Un universo alternativo simile a quello di mirai! Trunks ma che vede qualcosa di completamente diverso: i saiyan sulla terra divisi in una lotta tra guerrieri d’elite e quelli di terza classe, la ribellione dei terrestri e due donne in carica! 

Insomma, ce ne saranno di belle, spero che vi piaccia e sono curiosa di sapere cosa ne pensiate!

-Daph



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Capitolo 2
*** Saiyan ***


Il lungo mantello rosso scendeva dolcemente sul pavimento in marmo del palazzo, seduto con eleganza il principe volgeva lo sguardo sui combattimenti; al centro della sala due ragazzi di appena sei anni, figli dei guerrieri d'elite, davano scena dinanzi al reale intrattenendolo. Col gomito poggiato al trono ed il viso premuto contro il palmo della mano il giovane Vegeta osservava attento, solo all'apparenza, le continue mosse d’attacco dell'erede di Nappa.

Ancora dubitava sul fatto che fosse davvero suo, ignorando la forza che sarebbe potuta migliorare con un buon allenamento, il viso, gli occhi specialmente non erano i suoi; una forma più ovale, dolce, quasi tipica della razza originaria del pianeta in cui adesso risiedevano.

Avrebbe tenuto per sé quelle ipotesi, restando in silenzio e godendo dei zampilli di sangue che ora macchiavano il candido e pregiato marmo. I suoi pensieri, dopo quel repentino cambio di rotta sul mocciosetto di nome Kyros ritornarono al principio, il punto fisso ed il tarlo che in ogni ora del giorno e della notte si faceva vivo tormentandolo.

Doveva far tornare quei Saiyan sotto il suo controllo, aveva bisogno di carne da macello da mandare per conquistare nuovi pianeti. Sentiva la voglia pungente di poter ancora battersi contro il figlio dell'ex generale per motivi che superavano l’orgoglio stesso di cui il suo cuore era temprato. Bardack, colui che una volta al fianco del padre li aveva condotti alla vittoria contro Freezer. Il fatto che quindici anni prima il divario tra le diverse classi sociali fosse diventato sempre più ingestibile avrebbe dovuto dargli una scossa, fargli capire che quei combattenti di terza classe gli stessero sfuggendo al controllo organizzando in segreto una rivolta, per avere cosa poi?

Avere dei diritti.

Qualcosa di cui nei suoi ventisei anni di vita non aveva mai lontamente immaginato. Aveva vissuto nella monarchia assoluta, circondato da uomini che facevano di ogni suo desiderio un obbligo, era lui a decidere chi dovesse morire o meno, erano lui ed il padre a tenere per il collare quella massa di cani, guidandoli e tenendoli a bada. Ad ogni modo qualcosa si era rotto, quella razza che insieme combatteva con le stesse idee, accomunati dagli stessi peccati, si stava evolvendo. Qualcuno o qualcosa aveva acceso la miccia nel malcontento dei guerrieri di infimo livello, coloro che non avevano mai assaporato la vita di corte perché troppo deboli e non all’altezza. Tarble usava definirli Saiyan di serie B e riteneva che fosse uno spreco di tempo cercare di riportarli sotto l'ala del principe, ma la cosa che egli non intuiva era che in quell'insieme di rozzi uomini se ne trovasse uno che brillava più di tutti.

Kakaroth comandava la rivolta, sapeva della sua potenza fuori dal comune, sempre un passo più avanti della sua. Quell'uomo era indispensabile per fargli creare un nuovo impero, per ritornare agli antichi splendori e reclamare il trono e la corona di imperatori dell'universo che stava loro.

'Puoi andare, avvisa tuo padre che lo richiedo qui in sala tra un'ora.'

Proclamò togliendosi dalla scomoda posizione, si mise ben seduto e sospirando osservò i due ragazzini andar via, subito le schiave si misero a pulire le macchie e rimase qualche attimo a riflettere.

L'ultimo scontro con Kakaroth era avvenuto meno di un mese addietro e non si era risolto nulla, loro possedevano la parte a sud di quella che i terrestri chiamavano 'Giappone', territorio fertile, da quel che gli era stato riferito sorgevano ancora attacchi da parte dei sopravvissuti. Al pensiero di quegli illusi sghignazzò, il loro livello arrivava ad un massimo di dieci e le armi usate, seppur avanzate, non valevano nulla contro un singolo Saiyan.

'Che avete da ridere, fratello?'

Una voce più sottile della sua lo fece sobbalzare, il più piccolo della casata reale amava apparire all’improvviso.

Vegeta quasi stentava a credere che fosse davvero suo consanguineo, nonostante la somiglianza estetica i loro caratteri risultavano essere l'opposto. Il viso ancora fanciullesco e la figura esile, un mantello in seta di un azzurro più scuro del cielo. Lo guardò apparirgli di fronte con un leggero sorriso che avrebbe voluto levargli a suon di pugni.

‘Niente che ti riguardi.'

Rispose altezzosamente. Da quando il padre era morto erano loro due a detenere il comando, il nobile non si era ancora deciso a prendere il posto di re che gli spettava, un po' perché quello di principe lo attirava maggiormente e l'altro perché per farlo toccava sposasse una donna e preso da altro non pensava fosse giunto ancora il momento adatto.

‘Qualche donna?'

Lo vide sedersi al suo fianco, un trono in d'oro massiccio importato da un'altra galassia conquistata decenni prima. Scosse il capo e prendendo a mordere con insistenza il labbro inferiore osservò le schiave, aliene, pulire con i loro abiti sporchi in religioso silenzio.

'Nessuna tra i miei pensieri.'

Il ragazzo sospirò, fece cenno alle serve di lasciarli da soli ed una volta che la grande porta in mogano fu chiusa prese a parlare, sempre con eleganza ed educazione come gli era stato insegnato.

'Vegeta, dovete trovare una donna, una regina. I Saiyan hanno bisogno di una figura di riferimento – ed abbassando il tono aggiunse – o anche loro si rivolteranno.'

Come se avesse detto un'assurdità il maggiore rise di gusto, accavallò le gambe coperte dalla battlesuit e portò le mani rivestite da guanti bianchi sui braccioli del trono del suo vecchio padre.

'Cazzate. Non oserebbero mai farlo, sono troppo forte e loro troppo stupidi.'

L'altro non aprì bocca e scendendo dal posto si avvicinò a lui con timore, il rapporto con suo fratello non era mai stato dei migliori; la madre nei primi anni di vita del principe aveva cercato in tutti i modi di avvicinarli, lasciando che imparassero a convivere insieme nonostante le loro personalità; quella di Vegeta infatti risultava essere più cruenta e meschina, un calcolatore capace di colpire i punti deboli dell’avversario, usava l'astuzia e anche se a volte l'istinto nei suoi gesti predominasse nascondava in sé la figura del leader, al contrario Tarble non possedeva quel lato, agiva senza riflettere e la sua forza benché superiore alla maggior parte dei Saiyan era nettamente inferiore a quella del fratello.

‘Riflettete, è giunto il momento.'

Ci fu un secondo in cui i loro sguardi si incrociarono, uno più insicuro e preoccupato per le sorti del loro regno e l'altro deciso, ostinato. Il lattice bianco si posò sul collo ambrato del più piccolo, le dita strinsero con forza la sua gola ed a denti stretti Vegeta fece capire chi è che comandasse tra le bestie.

'Non ti ho ancora ucciso solo perché mi servi ancora.'

Sentì il suo fiato mancare, la bocca annaspava in cerca di ossigeno e detto ciò lo buttò malamente ai suoi piedi in un inchino forzato.

'È lì che devi stare.'

Si alzò, Tarble dinanzi ai suoi stivali stringeva con forza le palpebre cercando di riprendere il controllo. La porta si aprì prima che Vegeta potesse dire altro, l'imponente figura del fratello di Kakaroth fece il suo ingresso:

Principe, ci sono notizie. Abbiamo preso come ostaggio diverse donne dell'armata di Kakaroth, così come ci avevate ordinato.'

Aveva parlato così velocemente che per Vegeta fu in miracolo aver capito ogni cosa, annuì dopo averlo guardato attentamente. Col fiatone l’uomo dalla criniera pece notò Tarble ai piedi del futuro re, egli venne spinto di lato da un calcio allo stomaco, imbarazzato si alzò senza degnare il guerriero di uno sguardo per poi sparire da una porta secondaria.

Aveva interrotto qualcosa e gli venne la pelle d'oca al pensiero che della sua imprudenza ne sarebbe seguita una punizione.

'Portameli qui e la prossima volta, se non vuoi ritrovarti senza testa, bussa.'

Dopo una breve riverenza ed un 'Sì, Principe.' detto sottovoce, Radish richiuse le porte.

Aveva visto con i suoi occhi il principino venire umiliato dal fratello maggiore e ripensò che, anni prima, avrebbe dovuto fare lo stesso col secondo genito di Bardack.

In tutt'altro luogo, sotto le pendici di un verdeggiante monte, si poteva udire l'accesa discussione tra un genitore ed un figlio. Seduto su di un masso il ragazzo osservava con disprezzo il padre, uno stelo di grano tra i denti rubato da un campo di camelie, gli rinfacciava di non essere stato in grado di proteggere sua madre; qualche giorno prima i sottoposti del nemico avevano preso degli ostaggi, tra queste la bella Gine, nonostante i tentativi di riuscire a recuperarla era stato tutto inutile. Sebbene lo sconcerto iniziale e la rabbia nel sapere che tra quei ‘rapitori' ci fosse anche Radish non si era arreso, voleva a tutti i costi andarla a salvare, era stato fermato dai suoi compagni, specialmente da Bardack che lo aveva additato come un'idiota, un moccioso ancora attaccato alla sua mamma. Si sorprese di come l'affetto dalla parte del padre fosse quasi nullo, sul suo volto non si leggeva neanche un segno di tristezza, doveva esserci abituato alla fine, nella razza dei Saiyan i sentimenti erano banditi.

Un'ora in cui fuori dall'abitazione si lanciavano diverse occhiatacce accompagnate da qualche frase secca e distaccata dalle altre.

Simili nell'aspetto i due differivano solo per una cicatrice sulla guancia del maggiore, i capelli perennemente scompigliati e di un nero scuro, gli occhi dallo stesso taglio come una notte senza stelle, il fisico possente vantava una muscolatura equilibrata, la pelle dura come il granito. Si poteva dire che Kakaroth fosse il suo degno erede; un ragazzo dalla forza inimmaginabile e dal carattere determinato, nascondeva comunque un senso di libertà fuori dal comune, cresciuto tra i prati smeraldo del pianeta Terra aveva perso l'aridità di Vegeta-Sei, quella polvere rossa e l'aria intrisa di sudore che aveva cresciuto i vecchi saiyan in un clima ostile, maturandoli e rendendoli naturalmente più scontrosi e rigidi. Kakaroth era diverso da quelli della sua specie, mostrava a tratti una gentilezza e spensieratezza che veniva spesso assimilata alla madre. Lui, Kakaroth, era formato da due diverse personalità che prevalevano l'una sull'altra durante la lotta o quando si perdeva tra la natura e gli animali.

'Levati quella cazzo di cosa dalla bocca.'

Attaccar briga, il passatempo preferito del padre. Ora che Radish non faceva più parte della famiglia, per i suoi ideali e la devozione al principe che non aveva mai abbandonato, toccava a lui rompere al figlio, stuzzicarlo in ogni modo possibile, vederlo reagire in modo irruento ed iniziare un combattimento. In quel modo il terza classe lo aveva allenato rendendolo l'uomo che aveva sotto gli occhi adesso.

Kakaroth non rispose, si preoccupò solo di alzare lo sguardo al cielo, lì dove uno dei soldati addetti sul fronte stava scendendo in fretta e furia da loro.

Di qualche anno più grande di Bardack dall’espressione sembrava preoccupato, addirittura sorpreso.

Il pensiero che balenò nella testa dei due fu che ci fossero notizie da parte dei reali.

'I terrestri hanno scoperto il nostro punto debole.'

Senza saluti o altro l'uomo si era soltanto degnato di dire schiettamente ciò che aveva scoperto.

Karya, fratello maggiore di Toma, uno degli ex compagni di squadra di Bardack, era un abile combattente dalla corporatura robusta e dai capelli lunghi e folti, la sua particolarità erano gli occhi di un grigio tendente in alcuni punti al dorato, essi spiccavano sul suo viso costernato di cicatrici e segni.

'Non ti capisco, parla bene Karya.'

Kakaroth lo aveva scrutato attentamente cercando in tutti i modi di capire come mai così tanta paura nei confronti di esseri così deboli.

'Ifito, Ifito è morto, ucciso da una terrestre, gli hanno tagliato la coda, ora avete capito?'

Lo sguardo confuso del Saiyan era seguito da quello sconvolto di Karya, passarono pochi secondi prima che una smorfia si dipingesse sul volto del guerriero ed ex generale.

'Ifito era una mezza sega, lo sappiamo tutti, solo uno come lui si sarebbe fatto uccidere da una di così basso livello... Mærea dekvem.'

Rise leggermente borbottando a fine frase 'Povero stolto' nella sua lingua natia, scuotendo il capo portò le mani sui fianchi coperti dalla peluria scura e morbida della sua cara coda.

Ifito aveva appena diciassette anni, figlio di Areto, risultava scarso nei combattimenti eccellendo soltanto nell'arte delle strategie. Uno come lui non sarebbe potuto sopravvivere a lungo nella loro società, un ragazzo che aveva avuto la sfortuna di nascere in un luogo in cui la base fondamentale per poter sopravvivere era dover amare la guerra.

'Sì ma… sanno come poterci fermare, se loro dovessero -'

Venne interrotto dal più giovane, che ancora giocherellando con lo stelo tra le labbra aveva aperto bocca e parato dinanzi una mano nel tentativo di zittirlo.

Quale pazzo si metterebbe mai contro di noi?'

//Yay!

Vi lascio con questo dubbio amletico da parte di Goku, no scherzo, non sia mai! Ho voluto approfondire la razza dei Saiyan qui sulla terra, il rapporto tra Tarble e Vegeta, ma anche quello tra Bardack e suo figlio, al contrario delle mie altre long mi butterò a capofitto nella vita reale della famiglia vegeta, nelle amicizie ma anche nei rapporti di sangue che faranno da contorno a questo scenario di guerra e sopravvivenza, ci saranno molti colpi di scena e di capitolo in capitolo si capiranno meglio sia i personaggi che le situazioni!

Alla prossima!

-Daph



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Capitolo 3
*** Secret ***


La domanda del ragazzo fece apparire un leggero sorriso sul volto di suo padre, la stessa domanda che Freezer aveva rivolto ai Saiyan prima che venisse ucciso, ricordava bene quel momento, impresso a fuoco nella sua mente, nel cuore della notte lo tormentava ancora; insicuro, scalpitante e violento come le nubi all’orizzonte a presagire un temporale. Bardack portava con sé un segreto, uno di quelli che se bisbigliati all’orecchio di qualcuno sarebbero stati considerati come bugie, come delle assurdità che neanche il più matto dei matti avrebbe potuto mai immaginare. Gli altri avevavo visto il corpo del demone del freddo venire bersagliato da potenti colpi di luce, la sua pelle bruciata e il suo viso senz'anima, morto.

Ma l'ex generale sapeva, conosceva la verità che il Re Vegeta aveva deciso di portare nella tomba, intuiva la minaccia che un giorno sarebbe poi tornata ed avrebbe dichiarato vendetta. Freezer era ancora vivo, aveva percepito la sua aura dopo aver iniziato ad invadere la Terra per farne di questa il loro nuovo pianeta, l'aveva sentita flebile come un soffio, a volte costante, altre no, come se egli continuasse ad osservarli come un fantasma. All’inizio credeva di essere impazzito, credeva che la guerra lo avesse cambiato così tanto da fargli sentire cose inesistenti. 

Un tuono e la voce del figlio lo riscossero dai pensieri.

'Voglio andare a controllare, se è così che dici verificherò io stesso.'

I due annuirono, Karya aveva notato qualcosa di strano nelle espressioni di Bardack, lo sguardo rivolto ai fili d'erba mossi dal vento. Era assente, insolito per un uomo del suo calibro.

'Qualche problema?'

‘Nessuno.' 

L'ex generale rispose prontamente, a grandi falcate si diresse verso casa, non aveva voglia di bagnarsi, o almeno, questa era la scusa che aveva rivolto a sé stesso.

Kakaroth non sembrò accorgersene, decise di dirigersi verso la città, voleva vedere con i suoi occhi di cosa quei terrestri fossero capaci.

Atterrò sulla metà ancora in piedi di un grattacielo, i rampicanti ricoprivano in parte la sua facciata assieme a lucertole che tra le verdi foglie ne avevano fatto un nido. La gamba destra spinta in avanti a sostenere il peso e l'appendice pelosa in bella vista. Il vento iniziò a sferzare con più forza scuotendo la sua folta chioma e lasciando che alcune ciocche si muovessero furiose sul suo volto spigoloso. Amava bearsi di quel tocco, così naturale e magico dinanzi alla vista della distruzione, quella tecnologia bislacca era ceduta sotto la potenza dei Saiyan, quelli che una volta risultavano edifici dai lucenti vetri ora si riversavano al suolo, la polvere si alzava sporcando quello che trovava sul suo cammino. Le iridi onice rifletterono la fuga di un lampo in lontananza, tutto taceva, i soldati erano tornati nelle loro case a causa dell'imminente tempesta, riflettè, era il momento giusto per poter ammirare quegli umani, vero?

Un movimento, lieve, quasi invisibile ad occhio nudo, una mano che usciva da dietro una parete. Era candida, di piccole dimensioni, neanche un difetto su di essa. Aguzzò la vista, dei fili corvini sospinti dalla corrente subito dopo, un altro tuono ed una voce, quella di una donna, ci mise qualche attimo, seppur conoscesse la lingua dei terrestri a volte risultava difficile comprenderla pienamente, soprattutto da quella distanza.

'Non mi importa, ho bisogno di quelle garze Bulma.'

Un’altra voce, più squillante, non vide più quei fili fluttuare. 

'Testarda, il braccio non si è ancora sistemato del tutto, è rischioso.'

Una lieve risata e la figura uscì allo scoperto; piccola, così esile che il ragazzo dovette far perno su tutto il suo autocontrollo per non correre lì a ferirla con un solo tocco. Aveva un'arma poggiata sulla spalla destra, il braccio sinistro fasciato in diversi punti, una giacca blu piuttosto malridotta a coprirla. Arricciò il naso continuando a guardare le due femmine, l'altra ancora nascosta.

'Non ho bisogno del braccio per correre, torna dentro e non preoccuparti.'

Si salutarono con un cenno del capo e con lo sguardo seguì i movimenti della sconosciuta, il livello di combattimento era basso, un minimo di venti per un massimo che non riuscì a calcolare. Non poteva una terrestre battersi con un Saiyan, anche se come Ifito, era improbabile.

Non appena la vide girare l'angolo e scomparire dietro un nuovo edificio la seguì, veloce, leggere gocce iniziarono a scendere dal cielo, sentì la ragazza mormorare qualcosa, il tono rabbioso. Sicuramente non gradiva la pioggia.

Ancora un altro rombo proveniente dall'alto, la vide entrare in un vecchio locale, la porta era in legno, dissestata in alcuni punti. Non si era soffermato molto sul viso della giovane; aveva notato delle contusioni, la pelle arrossata sulla tempia in parte coperta dai ciuffi corvini e sullo zigomo, un taglio sul labbro appena livido.

Combatteva.

Gli apparve come un abbaglio, forse era la stessa ad aver fatto fuori Ifito, gli venne spontaneo arcuare le labbra in un leggero sorriso. 

Curioso scese dal grattacielo, si piazzò davanti al locale aprendo la porta, facendo attenzione a non romperla. La osservò, come un lupo scruta l’agnello calcolando la prossima mossa per poterlo mangiare in un sol boccone. La ragazza sembrò non accorgersene, metteva con furia dentro la sua giacca tutto ciò che trovava; dei barattoli in plastica arancioni, della stoffa bianca, siringhe e antibiotici vari.

Frenetica, la sua voce risuonò ancora, fredda e sicura:

'Chi sei?'

Non si era girata, rimanendo immobile a far quello che doveva. 

Non era la reazione che Kakaroth si aspettava, perché gli parlava in quel modo?

Rimase immobile, stringendo la coda intorno alla vita ed incrociando le braccia al petto. Fuori aveva iniziato a piovere, prima con lentezza e poi con più forza sbattendo con un impeto ruggente le gocce d'acqua sull'asfalto distrutto in più parti.

'Non dovrebbe interessarti, piuttosto tu, chi diavolo sei?'

Era tranquillo, non la considerava una minaccia ed aveva ragione a pensarlo, per quanto Chichi fosse abile nelle arti marziali non sarebbe mai riuscita a sfiorarlo.

'Che ti importa chi io sia, ne hai fatti fuori più di mille senza chiedere loro il nome.'

Come avesse fatto a distinguerlo da un terrestre qualunque potevano saperlo solo i sopravvissuti, l’odore della pelle di quei mercenari era percepibile a lunga distanza; aspro e metallico, si mischiava al sudore ed alla terra, una fraganza maschile forte, di quelle che ti fanno girare la testa assieme ad un bruciore alle narici che si espande fino ai polmoni riempendoti la testa ed il cuore di terrore. I passi, pesanti come quelli di giganti e la voce scura, batteva nei timpani simile a tuoni.

'Faccio un eccezione, ti infastidisce donna?'

C'era ironia in quel tono, per quanto coraggiosa fosse la tenente sentiva un tremore scuoterla dalla punta dei piedi fino all'ultima ciocca dei suoi crini, la pelle di porcellana era più gelata del solito, quasi ghiacciata. Quella vecchia farmacia dalle mura piccole, bianche e chine di crepe iniziava a restringersi bloccandola lì con il suo carnefice, una vittima nelle fauci di quello che sembrava un leone. E se quando aveva ucciso quel Saiyan si era sentita potente ora tutta quella fiducia nelle sue capacità andava scomparendo.

Kakaroth fece un sospiro, esasperante, la ragazza non azzardava a girarsi e per un attimo fu grato del suo gesto, forse per colpa della paura, perché lì nella tasca dietro dei suoi pantaloni larghi e dalla stoffa spessa e del verde delle siepi, aveva notato qualcosa che aveva attirato la sua attenzione.

Un manto soffice, peloso e scuro: una coda. Fu facile capire di chi fosse il proprietario e con una smorfia addolorata, sì ne immaginava il dolore, capì di avere ragione, era stata lei ad averlo ucciso.

'Fa pure, mi chiamo Chichi.'

Come colta da un'improvvisa scarica di coraggio si girò ad osservare il Saiyan sconosciuto, il sangue nelle vene sembrò bloccarsi e l'ossigeno non entrare dalla sua bocca schiusa. Lo aveva già visto, ricordava anni prima, quando durante uno degli attacchi guidati dal suo defunto padre lui, o quello che credeva esserlo, aveva colpito il buon Jumaho dritto al petto lasciandolo collassare a terra. Aveva alzato lo sguardo, quella ragazzina di appena quattordici anni, inchiodandolo negli occhi infuocati dell'assassino che ridendo sguagliatamente faceva strage facendo uscire dalle mani grandi e callose fasci di luce. Simile, solo un particolare le sfuggiva tra i ricordi, nessuna fascia rossa sulla fronte o cicatrice sulla guancia destra.

E poi, risultava più giovane, forse quasi pari alla sua età.

'Che c'è? Mai visto un Saiyan? Eppure mi sembra sia il contrario – come una saetta ora le era dietro, tenendo quel trofeo tra le mani e mostragliendolo ad un palmo dal naso. – ne hai addirittura fatto fuori uno.'

Aveva spinto via con un colpo secco la coda spostandosi poi di lato, il braccio le doleva ma non avrebbe fatto storie, doveva tirarsi fuori da quella situazione, non sapeva come ma ci sarebbe riuscita.

'Ma non dirmi, adesso ti fa addirittura schifo?'

Il ragazzo aveva riso, bloccandole nuovamente la visuale al giorno della morte del padre, così simile, la voce e la malignità. Doveva darsi un contegno, non poteva mostarsi debole davanti a lui.

'Sei tu a farmi schifo, maledetta la tua sporca razza di assassini!'

Aveva urlato, perso completamente la ragione gridando, fuori dalla rabbia non aveva notato ora la mano possente del ragazzo premere contro la sua piccola bocca, il taglio iniziò a pizzicare a quel contatto riaprendo la ferita e lasciando che sanguinasse macchiando la pelle d'acciaio del Saiyan e riempiendole il palato del sapore rugginoso della sua stessa linfa.

'Azzardati a dire altro e ti stacco la testa dal collo, intesi donna?' 

Aveva provato a toglierselo di dosso, sforzandosi e mettendo tutta la forza che possedeva, era irremovibile, quasi come un blocco di cemento.

La pelle dell'assasino era calda, bollente da sembrare fuoco, non riuscì a distinguerla pienamente dalla sensazione di bruciore per il taglio. 

Si ammutolì, non poteva farle altro. Portò lo sguardo su quello del ragazzo, era davvero alto e per colpa del buio regnante nella vecchia farmacia non riuscì a vedere i suoi occhi, in compenso potè immaginarli, pieni d’odio e grandi, un mare nero in cui poter affogare.

'Bene, allora capisci. Dicevano che voi terrestri fosse testardi, non tutti.'

Credendo che le acque si fossero calmate spostò la mano, la lingua tagliente della tenente riprese e lui dovette rifermarla.

'Diamine, sta zitta!'

Se avesse urlato si sarebbe trovato circondato da terrestri ed in quel momento non aveva intenzione di fare una strage, aveva altri pensieri nella testa che si tramutavano nella figura di una donna, una delle più belle che avesse mai visto, sua madre era un dono del cielo e se suo padre non avrebbe mosso un dito lo avrebbe fatto lui.

Fuori dell’edificio si udirono alcune urla, allarmata la più piccola cercò di sfuggire dalla presa del Saiyan, temeva che altri avessero preso i suoi simili e doveva in qualunque modo proteggerli e salvarli.

Il terza classe lasciò la giovane, la curiosità iniziò ad ardergli il petto e prima che lui potesse uscire la corvina lo superò aprendo con un impeto la porta. Capelli turchesi, camice bianco ed un blocchetto di fogli a caderle dalle mani fragili e chiare. 

Urlò il suo nome, il sangue continuò a colarle dal taglio automaticamente rimosso poi dalla pioggia. Corse in suo aiuto non lasciandosi intimidire dagli altri Saiyan che riconobbe essere come quelli dell'esercito d'elite. 

Stava stretta nelle braccia di uno dei guerrieri, si distingueva per la folta chioma ed il fisico pari a quello di un colosso. Mentre ella si dimenava cercando una via di fuga egli stringeva con più forza sul punto quasi da frantumarle le ossa.

Scorse altre venir prese; tra queste Lunch nelle medesime condizioni e Lazuli, una bionda dagli occhi come ghiaccio.

Suo fratello era riverso a terra, si teneva con una mano la fronte sanguinante e respirava piano cercando di riprendere le forze. Il tempo sembrava infuriato al pari di Lapis che non essendo riuscito a salvare la sorella si dibatteva con ringhi e bestemmie.

Si ricordò dell'altro solo osservando i crini fradici del diciassettenne, si girò pronta ad urlargli ed addossargli la colpa per averla distratta dall'arrivo di quei mostri quando trovandolo lì immobile e con le iridi rivolte ad un saiyan in particolare sentì, come se anche lui negasse il gesto di quelli della sua razza, una malinconia e risentimento che le rivoltarono lo stomaco.

Sapeva che salvare Bulma e le altre da sola sarebbe stato un suicidio, si ripeté che il nemico del suo nemico sarebbe potuto essere suo amico, e quell'idea come le venne si affievolì notando che anch'egli si era messo a fissarla.

Non faceva caso alla pioggia, nonostante i vestiti bagnati iniziassero a farla rabbrividire, il vento non si era attenuato e quando passo dopo passo quello che ora pensava come 'amico', alleato nella stessa battaglia contro quelli del regime di Vegeta si avvicinava, si sentì un'idiota.

Anche al solo pensiero che se un giorno mai sarebbero riusciti a vincere con quelli si sarebbe trovata un nemico doppiamenta più forte. 

'Non dispiacertene, non avranno neanche il tempo di arrivare che saranno uccise.'


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Capitolo 4
*** Prisoners ***


La paura si era impossessata del suo piccolo corpo, la testardaggine di cui era forgiata la spingeva a lottare nonostante la forza di quel saiyan la tenesse ferma, immobile tra le sue grandi braccia muscolose. Voltò lo sguardo sulla riccia dai capelli dorati, si era arresa, tenuta stretta dalla morsa di un essere ad ella sconosciuto. Credeva che Launch avesse una indole più ribelle della sua, eppure non muoveva un dito per fermare quell'uomo, la speranza aveva abbandonato il cuore della ventiduenne, persa con lo sguardo sul paesaggio sottostante bersagliato dalla pioggia. Dall'altro lato Lazuli, non riuscì a capire se piangesse o meno, gocce le riempivano il volto ed i fili biondi dei suoi crini, un tempo lisci e ora pieni di errori. Nodi, come quelli che  le stringevano lo stomaco scuotendola da capo a piedi in una sensazione che malgrado l'avesse accompagnata fin dalla nascita in quel momento iniziò a rivelarsi più rude e travolgente che mai.

Anche in quel momento di puro terrore la turchina si era fermata a riflettere: perché avevano preso proprio loro? A cosa servivano?

'Dove ci portate?' 

Aveva chiesto dopo un ultimo pugno dato senza troppa forza sulla schiena dell'alieno, non aveva mai avuto molte energie: era Chichi quella che nel combattimento se la cavava egregiamente, ella usava soltanto la testa, contava sulla sua infinita intelligenza e creatività ereditatele dal padre.

Il tono era atono e la risposta non si fece attendere:

'Appena arriveremo vedrai, non fare domande.'

Bulma fece una lieve smorfia, fradicia dalla testa ai piedi, il calore del suo rapitore le donava un minimo di sollievo. I ciuffi azzurrini le si attaccavano al volto pallido e la malsana idea che non sarebbero state salvate arrivò potente quando sotto ai suoi occhi intravide il grande palazzo reale.

Palazzo che un tempo aveva ospitato i grandi imperatori giapponesi, adornato con alberi di ciliegio, il profumo delicato dei fiori rosati e le risate cristalline dei ricchi che una volta abitavano accanto. Ora il nulla: il suolo bruciato che sotto l'acqua era divenuto fango, le mura una volta rosse e dorate erano di un bianco latte, le statue in giada e le fontane erano solo un ricordo che nelle menti dei più vecchi ancora sopravviveva. 

Dava un senso di severità, come se in quel luogo neanche uno sbaglio fosse accettato. Notò la distanza diminuire e quando i piedi di Radish toccarono terra il tepore che l'aveva affiancata, come un abbraccio invisibile pronto a darle conforto, scomparve. L'aveva scaraventata al suolo, liberandosi di lei bruscamente, lasciando che il suo camice una volta pulito e senza pieghe si sporcasse. Il colpo non le aveva fatto particolarmente male, era riuscita ad attutire la caduta grazie ai gomiti che adesso iniziarono a bruciarle, si rialzò con lentezza emettendo un rantolio che non riuscì a fermare. Alzò le iridi al portone in legno, grande ed imponente con decorazioni che le ricordarono l'epoca barocca, venne aperto e lentamente si rimise composta. Fu spinta dentro, assieme alle due, che affascinate come lei, si fermarono qualche secondo attratte dall'ordine che regnava in quello strano posto.

Incredibile e difficile da comprendere come una razza spietata ed aspra come quella dei Saiyan riuscisse a sfoggiare così tanto lusso, un gusto particolare che abbelliva l'entrata di un lungo tappeto rosso, proseguiva lungo e stretto per tutto il corridoio verso un altro portone delle stesse dimensioni del primo, le pareti di un nero lucido ed i pavimenti in marmo.

'Camminate!' 

La voce scura del saiyan che teneva Lazuli la scosse invitandola a percorrere il breve tratto. Sentì gli uomini borbottare qualcosa nella loro lingua, persino quella rivelava la natura degli alieni; ruvida e graffiante, vagamente pensò al tedesco che in giovane età aveva studiato ma neanche quello poteva eguagliare l'idioma dei loro rapitori.

'Erschverd des madkven sin'z nechtz shawördes, wir imerem degest mach's etv.' 

'Queste femmine non sono male, potremmo sempre farci qualcosa'

Il tono usato da Radish la fece rabbrividire, non aveva capito nulla, tuttavia la risata dell’altro e poi la sua risposta, dopo una fugace occhiata rivoltale in modo malizioso, la resero inquieta.

'Necht, ich'es nivew abvast wer.'

'No, non mi abbasso a questo livello'

Guardò Launch, assorta nei suoi pensieri, era arrivata innanzi al portone che venne poi aperto. Due altri corridoi le colsero di sorpresa, quello di sinistra illuminato dalla tenue luce di lampadari sontuosi e sulle pareti degli affreschi raffiguranti uomini dagli stessi tratti del viso; austeri, occhi d'ossidiana dalla forma stretta e lunga, penetranti e micidiali, al di sotto delle scritte che non riuscì a decifrare, proseguiva lasciando sbocco ad altri passaggi sempre seguiti dall'immancabile tappeto. Quello di destra, al contrario, restava spoglio. Il nero veniva abbandonato per lasciar spazio a macchie rossicce ed un grigio sbiadito.

Assieme alle altre venne portata verso quello di destra mentre l'uomo che l'aveva condotta fin lì si separò andando verso sinistra, lo vide sistemarsi l'armatura e rizzare la schiena proseguendo per la sua direzione con passo impeccabile.

Sbrigatevi!'

Sospirò continuando a camminare, i suoi anfibi sporchi di fango lasciavano impronte pesanti. Il corridoio divenne sempre più scuro, i suoi occhi ci misero qualche minuto per adattarsi alla scarsa luminosità. Le pareti erano umide, l'odore della muffa presto si diradò pizzicandole il naso.

Sentì delle voci ovattate provenire dall’oscurità. Lazuli fece una smorfia, il freddo penetrava fino alle ossa facendola rabbrividire, la gola le bruciava e l'ansia per le sorti del fratello le chiudeva lo stomaco.

'Ci sono altre prigioniere qui…'

Mormorò sottovoce Launch, la vide accarezzarsi i capelli nervosamente e proseguendo si ritrovò dinanzi ad un muro.

Ella si girò verso il Saiyan pronta a chiedere spiegazioni quando una mano, piccola e gelida, le afferrò il polso facendola sbattere su qualcosa di duro che riconobbe come metallo.

'Ma che cazzo..'

Sibilò la giovane, la guancia premuta contro la grata e quella presa così forte da farle male.

'Esheks medwez a'stegh texev!'

'Signore, avete compagnia!'

Il rumore di un mazzo di chiavi le fece zittire, la porta della cella venne aperta e tutte e tre vennero buttate all'interno con una spinta.

Ammassate l'una contro l'altra osservarono la porta chiudersi, al loro fianco dei respiri lenti. Si avvicinarono cercando conforto spaventate da ciò che oltre quel fitto buio potesse nascondersi.

'Non siete delle nostre.'

Un fascio di luce proveniente da una piccola fessura illuminò la mano di una donna, il suo polso mostrava una catena dorata fatta d’energia.

La sconosciuta si fece avanti lasciando che le ragazze la vedessero.

I suoi capelli erano scuri, appena mossi, i grandi occhi neri e dolci incorniciavano il viso ovale ed esangue. Le occhiaie violacee non disturbavano la bellezza del suo volto, semplice e delicato.

La coda, unico dettaglio che la distinse dall'essere una terrestre. Launch si fece avanti, non intimorita dalle origini della prigioneria.

'Siamo terrestri, voi… che ci fate qui?'

Altre figure si stagliarono dietro di lei, intimorite, rimasero dietro la sua schiena non lasciandosi vedere.

'Potrei chiedervi lo stesso, quelli del regime di Vegeta ci hanno rapito cinque giorni fa, suppongo vogliano chiedere un riscatto o qualcosa del genere.'

Il suo tono era pacato, Bulma osò pensare "quasi gentile", strano a dirsi per una di quella specie; solitamente poco aggraziate e dal carattere impulsivo e scontroso.

‘Perché portate quelle manette? Noi non le abbiamo…' 

Affermò la turchina osservandosi quel lembo di carne vuoto. Quella che poi scoprì chiamarsi Gine scosse il capo; capiva l’ingenuità di quelle ragazze, gli umani conoscevano solo e soltanto il piccolo spazio che li circondava, non si spingevano oltre e le loro possibilità erano scarse rispetto a quelle che possedevano loro.

‘Perché con la forza che vi ritrovate non potreste mai distruggere questa cella e scappare, siete deboli e… inutili.'

Dovette ricredersi, non era così gentile. Si appoggiò alla parete umida portando le ginocchia al petto e guardando verso il basso, sapeva che Chichi non sarebbe rimasta con le mani in mano e che sarebbe venuta a prenderle con tutti i mezzi a sua disposizione, era loro amica e non le avrebbe abbandonate.

______________________________

'Perciò mi stai dicendo che avete preso delle terrestri, e che quando siete andati verso la città avete visto anche Kakaroth?'

Con le braccia dietro la schiena il principe Vegeta camminava avanti ed indietro nel grande salone dinanzi alla figura di Radish che non osava spostarsi di un centimetro, temeva qualsiasi sua reazione e sperava di non finire come l'ultimo soldato scaraventato contro una delle colonne; riverso a terra in una pozza di sangue, il povero Theni aveva cercato di far cambiare idea a sua maestà chiedendo di non venir mandato in missione, della sua sconsideratezza aveva pagato con la morte, colpito da un ki blast allo stomaco. Un onore venir ammazzato da un reale che da uno dei suoi sottoposti, Vegeta continuava a ripeterlo ogni qualvolta faceva fuori qualcuno di non suo gradimento.

'Sì, principe.'

Aveva risposto abbassando leggermente il capo aspettando uno dei suoi ordini, questo gli venne subito imposto, fu chiesto di portargli una delle prigioniere per interrogarla.

Se i ribelli avevano in mente una coalizione con i sopravvissuti l'avrebbe fermata in tronco, non poteva permettersi che i pensieri rivoluzionari degli umani contagiassero oltre i Saiyan non più sotto il suo controllo. 

Dopo non meno di cinque minuti, comodamente seduto sul suo trono, vide arrivare tra uno strattone e l'altro una delle prigionere: il perché di sole donne era scontato, deboli e facilmente manovrabili, seguivano ogni comando gli venisse dato senza dire nulla in contrario a costo di rimanere in vita.

Quella ragazza dal colore insolito di capelli gli fece scappare una lieve risata, continuava a divincolarsi dalla stretta di Radish, visibilmente scocciato per il suo comportamento. Piccole gocce d'acqua scivolavano dalla punta delle sue ciocche cadendo lungo il suo collo d'avorio, l'aveva ammirata godendo del suo sguardo impaurito quando le sue iridi avevano incontrato quelle del cadavere di Theni, un brividi di terrore aveva scosso la schiena di Bulma ed uno di orgoglio quella di Vegeta.

Si alzò lasciando che il mantello rubino gli cadesse sulle spalle e sul bianco marmo, si avvicinò con lentezza tenendo il capo alto mostrandosi in tutta la sua eleganza, afferrò con delicatezza la mano sinistra della giovane lasciando un bacio dopo un breve inchino. Solo con quel gesto era riuscito a farla stare ferma ed in silenzio, gli occhi blu spalancati e le labbra carnose appena schiuse.

'Perdonatemi cara, Radish è davvero rozzo con le gentildonne, spero vogliate scusarlo. Ho delle domande da porvi e spero che mi rispondiate con sincerità.'

Le rivolse un sorriso falso riprendendo a camminare per la sala non perdendola di vista neanche per un attimo. Aveva intuito che se Kakaroth era lì lei doveva saperne qualcosa. Un tuono disturbò l'attimo prima che la ragazza parlasse, prese a tremare.

'N-non vedo cosa dovrei dirvi… principe.' 

L'ultima parola le si bloccò in gola, il fiato si mozzò allo sguardo indagatore del ragazzo, aveva pronunciato quella frase con troppa indecisione, tanto da pentirsene. Ad ogni modo era sorpresa, non aveva mai visto il principe con i suoi occhi e la sua sfrenata immaginazione lo aveva disegnato con le più svariate forme: alto, possente, rude e bruto. Si era trovata tutt'altro, un uomo affascinante dallo sguardo ammaliatore e dalla voce melliflua, era riuscito in pochi minuti a farla cadere tra le sue brame e pensieri sconci nella sua mente avevano iniziato a divagare senza meta. Vennero poi fermati bruscamente, un uomo era appena morto nella stessa stanza e poco importava a che razza appartenesse. 

'Avete molto da dirmi invece, è stato visto un saiyan, il quale suppongo conosciate ed abbiate rapporti con lui. Perciò parlate e sarò clemente.'

Fece qualche passò verso la ragazza, il suo fisico era minuto ma con delle buone forme nascoste dal camice sporco di fango, dedusse che la terrestre in questione fosse una scienzata o qualcosa di simile. Bulma rimase in silenzio, cancellò quei pensieri a dir poco oltraggiosì e riflettè; il capo dei ribelli saiyan lì, nella città? 

'Non ne so niente, è inutile che chiediate.'

Alzò gli occhi al soffitto, la sua pazienza era limitata e non riuscì bene a controllarsi, presto la sua mano destra coperta dal guanto si attaccò al collo ceruleo della donna alzandola di poco da terra, fece attenzione a non spaccarle le ossa delicate.        Le mani esili tastarono i muscoli del saiyan cercando di aggrapparsi al suo braccio per non soffocare, tenne le palprebe aperte guardando il principe ancora con quell'aria di sfida che fin dall'inizio aveva tenuto nei suoi confronti, si rimangiò tutto ciò che aveva pensato, ogni cosa, cercando una soluzione, qualcosa da buttare per farlo smettere. L’ossigeno iniziò a mancarle e la vista si offuscò.

'Suppongo di essermi spiegato abbastanza bene, rispondimi, che voleva Kakaroth da voi!'

Alzò la voce per intemorirla ma non ciò non accadde, era testarda come una roccia. La lasciò sul pavimento aspettando che gli rispondesse, il tempo di riprendere fiato e tossire cercando le forze per poter parlare nuovamente, la vide stringere le mani in due pugni ed alzare il volto con occhi lucidi.

'Non lo so. Una settimana fa, Chi- noi, noi abbiamo ucciso uno dei Ribelli. Sarà… sarà venuto a vedere con i suoi occhi cosa sia successo, penso…'

La prima cosa che le saltò dalla bocca, senza pensarci la sua lingua aveva preso posizione, non si era trattenuta. Aveva rischiato persino di mettere Chichi nei guai e non poteva permetterselo. 

Il nobile si accigliò, non aspettava una risposta simile e non credeva neanche che dei semplici umani avessero potuto uccidere un Saiyan.

'Menti.'

'Non mento!.'

Aveva urlato Bulma, si era rialzata con lentezza toccandosi la pelle diventata rossa e livida, le venne preso il polso da Radish ed un'occhiata le fu rivolta, come se la stesse avvertendo di smetterla, di non istigare la belva perché lei era la preda e lui non si sarebbe trattenuto.

Rimase in silenzio, strattonò il polso e si spostò di qualche passo verso destra, si guardò intorno; le vetrate non lasciavano penetrare la luce, la pioggia batteva ininterrottamente e c'erano troppi Saiyan. Era circondata e nessuno avrebbe potuto aiutarla se fosse successo qualcosa, dalla tana del lupo non poteva uscirne se non fatta a pezzi.

'Ti avviso, se quello che mi hai detto è falso ne pagherai le conseguenze. Radish, tienila d’occhio e portala nel laboratorio con gli altri scienziati, per le altre terrestri fa ciò che ti pare.' 

Lo mandò via con un gesto della mano e subito il terza classe ubbidì portando la ragazza fuori dalla sala, il principe rivolse loro un'occhiata indecifrabile prima di tornare ai suoi doveri. Una volta fuori, tenendola per un braccio l'uomo sbuffò:

'Dimmi un po', sono davvero rozzo con le gentildonne?'

Sembrò non capire cosa le fu chiesto, semplicemente lo guardò confusa. Trascinò per un po' i piedi e quando si trovò davanti alle porte del laboratorio, anch'esse in legno, trattenne Radish sperando di strappargli una promessa.

'Tu non fare alle altre del male e io non ti darò problemi, intesi?'

L'altro rise di gusto e dopo aver poggiato una mano sulla parete le rispose ironicamente: 

'Vedrò di non ucciderle, sarebbe un peccato sprecare carne così prelibata.'


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Capitolo 5
*** King of Hearts ***


Ore, lunghe ed estenuanti ore, minuti che sembravano non passare mai.

Ferma dinanzi ad una tecnologia aliena che non riusciva a comprendere, schiavi dalle sembianze di rettili dalla pelle violacea le stavano attorno, parlando una lingua composta solo da versi gutturali che la distraevano ogni qualvolta la soluzione le si parava nella mente.

Sfuggiva poi come un lampo lasciandola nella più completa frustrazione.

Gli abiti ed i capelli oramai asciutti, una penna tra le dita ed un blocchetto poggiato sulla scrivania in ferro.

Radish era passato due ore prima istruendola su ciò che avrebbe dovuto fare: ricostruire il sistema di una delle loro navicelle.  

All’inizio le era sembrato facile, curiosa come una bambina aveva iniziato a scomporre la scheda madre di tutti i suoi funzionamenti, cercando poi di rimetterli al loro posto come in un puzzle, quando poi si era accorta di essere incappata in qualcosa di più grande era finita nel non capire più nulla.

Tra fili e pezzi di metallo, quello che era stato il suo pane e la sua acqua fin da quando ne aveva memoria, era piombata nella confusione totale, come fosse estranea ai concetti della matematica e della fisica che l'avevano resa la migliore nel suo campo.

Come un fulmine a ciel sereno ne aveva capito il funzionamento, presa dalla frenesia sul foglio bianco erano apparsi calcoli ed equazioni, tutti i congegni erano andati al loro posto e quando, una volta alzatasi, si era avvicinata alla navicella rimettendo la scheda che aveva preso a funzionare come fosse nuova, un moto di soddisfazione ed orgoglio l'aveva colta provocando sorpresa negli alieni che da settimane provavano a sistemarla.

'Diamine, sono un genio!'

Affermò premendo i polpastrelli sui vari pulsanti della piccola navicella, il suo momento di gloria venne interrotto dalla presenza non gradita del principe, di fatti calò il silenzio nel laboratorio, una cosa insolita per quelle ore passate nel più completo trambusto. 

Complimenti donna. Noto con piacere che a qualcosa servite.' 

Si girò di scatto ritrovando sull'uscio la sua imponente persona, sostava dinanzi alla porta tenendo come al suo solito un espressione truce.

La terrestre incrociando gli occhi scuri del Saiyan piombò, nuovamente, in un vortice di strani pensieri, questa volta bloccati dal susseguirsi del ricordo di ciò che accadde nella sala reale.

Riusciva ancora a percepire le sue dita stringerle il collo ed il suo respiro caldo contro la pelle, la sensazione delle carnose labbra sul dorso della sua mano la fece arrossire dovendo, con forza di autocontrollo, volgere di lato lo sguardo.

'Vi ho lasciato tempo per riflettere ma vedo che avete impiegato le ore in altro modo, siete, addirittura, riuscita a fare ciò che questi insulsi alieni non sono riusciti a compiere in tre settimane.' 

Tenendo le iridi volte alla parete bianca non riuscì a distinguere il rumore dei suoi passi dai ricordi. 

Solo quando una ciocca dei suoi capelli turchesi fu spostata di lato capì che fosse tutto vero e non frutto degli scherzi della sua mente, boccheggiò cercando di parlare ma non riuscendoci venne zittita dalla voce del nobile. 

'Non sprecate fiato terrestre. Non vi servirà, essendo che non vi siete rivelata utile nella domanda che vi ho posto precedentemente voglio che mi costruiate qualcosa per i miei allenamenti.'

Così come si era avvicinato si era allontanato iniziando a camminare per il laboratorio, sempre tenendola d'occhio e non dandole tregua. 

'Non credo di esserne cap-' 

'Non quando vi parlo. Muta.'

La ammonì.

Riprendendo ad osservarlo aveva notato i suoi canini più sporgenti del normale tra la dentatura perfetta.  

Un fuoco profondo si era impadronito del suo basso ventre, quell'uomo era una goduria per i suoi occhi, quell'aria selvaggia ma allo stesso tempo elegante che lo circondava la faceva impazzire. 

Ancora una volta i suoi turbolenti pensieri le giocarono una brutta carta, Re di Cuori; prese ad immaginarlo vicino al suo corpo, con le grandi mani a vagare sulla pelle nuda, a lasciare baci e morsi sul collo che prima le aveva strinto, a palparle con furia e foga i seni e le natiche portandola in un fiume di passione che non voleva e non poteva fermare.

' - pretendo entro due giorni che sia pronta, chiaro donna?'

'Cosa?' 

Domandò. Iniziava a sentire caldo, come se la temperatura del laboratorio fosse diventata improvvisamente rovente, senza che potesse accorgersene aveva iniziato a sventolare una mano davanti al viso cercando di attenuare la calura. 

Vegeta la guardò come se fosse impazzita e posando lo sguardo sulle guance arrossate e le iridi lucide capì che mentre le stava parlando la mente della scienziata fosse da tutt'altra parte, forse su qualcosa di lussurioso dato il suo respiro irregolare e il forte odore d'eccitazione che aveva iniziato ad emenare. 

L'olfatto dei Saiyan era acuto e questo non gli sfuggì.

'Capisco la carne sia debole ma quello a cui aspirate è troppo per una come voi.'

Proferì con una nota di sarcasmo e mentre le passava accanto, tra una breve occhiata colma di bramosia ed un labbro inferiore strinto con troppa audacia tra gli incisivi, le disse altro:

'Non avete la forza necessaria per tenermi tra le cosce.'

Solo dopo essere arrivato all'uscita le ricordò cosa dovesse fare:

'Una stanza per gli allenamenti, pretendo il progetto tra due giorni.'

Quando anche il mantello rosso fu fuori dalla sua visuale e la porta venne chiusa si liberò con un piccolo gridolino e con una manata sul viso, ne stava uscendo matta.


Da tutt'altra parte, nella città, la tenente aveva recuperato dalla vecchia postazione del padre la mappa dei sotterranei di quello che una volta era il palazzo degli imperatori giapponesi. Ignorava cosa ci facesse lì e come i vecchi sopravvissuti avessero intenzione di usarla, assieme a Yamcha e il fratello di Lazuli si erano riuniti nella metropolitana cercando di formare un piano per recuperare le tre ragazze.

È un suicidio, ci troveremo in un vicolo cieco e verremo sorpresi.'

Aveva sbottato il soldato, poggiato contro la parete accanto al tavolino in legno dalle gambe dondolanti, tenendo nella mano destra un bicchiere colmo di birra non più fresca.

La coscia coperta da garze lasciata distesa sul cemento, dolorante come la sua testa che non accettava la perdita della scienziata. 

'I Saiyan neanche sanno dell'esistenza di quei corridoi, è l'unico modo.' 

Dopo un lungo tiro alla sigaretta la corvina aveva lasciato che il fumo le uscisse dalla bocca, le labbra screpolate e rosse. 

Seduta su uno sgabello teneva tra le dita la cartina agitandola quando una delle tante idee le piombava nella testa caricandola di speranza e svanendo poi come l'odore della nicotina nell'aria.

'Non m'importa, devo salvare mia sorella e se questa è l'unica strada io ci andrò con o senza di voi.'

Lapis era testardo, troppo giovane per capire che stesse andando in contro alla morte, ingenuo o troppo stupido, Chichi e Yamcha non riuscivano a capirlo. Lasciavano che parlasse, che sbattesse i pugni e stringesse i denti, che si sfogasse preso dai sensi di colpa per non essere riuscito a salvare la bionda. Spesso si toccava la tempia coperta da una medicazione fatta alla bella e meglio, piagnucolando per qualche fitta. 

La giovane lo osservava, intuiva quanto dolore potesse provare, di certo non quello fisico, ma la paura e la rabbia nel sapere di star perdendo la sua unica famiglia e di non poter far nulla per impedirlo. 

'Calmati e sii paziente, se non vogliamo correre pericoli l'unica soluzione è il corridoio ad est –

'È stato murato, non è più accessibile. Bisogna prendere quello a sud.' 

Proferì una voce, la lampada ad olio illuminava solo lo spazio sul tavolino, con la sua luce rossastra rendeva possibile che i tre soltanto si guardassero in viso. Avevano deciso di spostarsi lontano dalla folla, lungo uno dei tanti binari non conosciuti dai molti. Non aveva dimenticato quel timbro così particolare, soltanto il giorno prima aveva avuto l'onore di essere vicina ad un saiyan tanto da sentirne il calore. 

Si era irrigidita, dopo un attimo di terrore aveva portato la sigaretta tra le labbra con spavalderia, alzandosi, prendendo la lampada decisa a fronteggiare il mostro. Quando senza neanche il tempo di girarsi se l’era ritrovato di fronte a braccia conserte la sua espressione era mutata, da decisa ed ostinata ad una più insicura. Aveva strinto con forza il filtro lasciando che la cenere cadesse sul suo braccio e sugli anfibi. 

Yamcha era scattato sull'attenti brandendo il fucile tra le mani pronto a difendersi, Lapis al contrario si era fatto indietro. 

'Che diavolo ci fai qui.'

Non era una domanda, neanche un'affermazione, il suo tono era incrinato quasi come fosse una minaccia. 

Stava difendendo i suoi simili come un cane, girava intorno alle sue pecore pronto ad affrontare il lupo che voleva divorarle.  

'Su, non t’arrabbiare. Sappiamo bene che vi rifugiate qui sotto, abbiamo la capacità di percepire le aure.'

'A-abbiamo?!' 

Il ragazzo dal viso sfregiato era confuso, si guardava intorno con le mani tremanti, era difficile per lui reggersi in piedi con la ferita non guarita del tutto ma certamente il coraggio non gli mancava.

La corvina aveva intuito ci fosse qualcun altro, l'odore dei mercenari era più intenso, prendeva una nota più agrodolce che non era quella di chi aveva di fronte.

Con un gesto veloce tolse la sigaretta dalla labbra, la tenne tra le dita della mano sinistra mentre con la destra si faceva luce spostandosi al lato, illuminò la parte opposta del binario trovando, appoggiato contro la parete, un altro uomo. 

Decisamente più grande d'età, una bandana cremisi sulla fronte ed una cicatrice sulla guancia, simile per aspetto a Kakaroth, lo riconobbe immediatamente.

'Tu… io ti conosco.' 

Il suo sguardo divenne più cattivo, i suoi occhi dalla forma dolce erano divenuti rigidi come pezzi di ghiaccio. Bardack la ignorò rimanendo nella sua posizione, lasciò che la coda si muovesse intorno alla sua figura quasi volesse istigarla. Suo figlio lo aveva avvertito, riferendogli tutto ciò che aveva visto e scoperto. Contro voglia lo aveva portato tra gli umani, avevano percorso la metropolitana tra le urla delle donne e lo sconcerto dei soldati terrestri, una volta che furono arrivati rimasero nel silenzio più totale ascoltando i discorsi dei tre finchè quello scellerato del suo secondogenito non si era intromesso.

Non aveva idea di come quella ragazzina lo conoscesse e poco gli interessava, era solo curioso di sapere come quella si sarebbe comportata. 

'Guardami dannazione! Sto parlando con te!' 

Il mozzicone venne gettato, incurante del pericolo si era avvicinata all'ex generale.

Bardack non era paziente come suo figlio, di fatti la sua reazione fu incontrollabile.

Fulmineo si era buttato alle spalle della tenente prendendola per il braccio libero e portandolo dietro la sua schiena, aveva riso mentre con l'altro la teneva ferma per la vita.

'St, st, non ti hanno insegnato l'educazione mocciosetta?'

Le aveva sussurrato all'orecchio, brividi le avevano attraversato il corpo mozzandole il fiato. La sua intensa fragranza le riempì le narici; sudore, tabacco e qualcosa che riconobbe come arancia.

'Non posso avere rispetto per chi ha ucciso mio padre.'

Arrogante come poche aveva ripreso il controllo rispondendogli a tono, sfoderando tutto l'odio che teneva ancorato nel suo cuore, aveva sputato  il suo rancore nei confronti dell'assasino, vomitato chiodi e veleno. 

'Kadesv'es'

'Impertinente.'

Ridacchiò appena per poi lasciarla libera, se avesse premuto ancora se la sarebbe ritrovata dolorante, o peggio ancora morta, tra le braccia e non era sua intenzione scatenare l'ira del figlio. Fece qualche passo verso il tavolino pronto a prendere la cartina lasciata incustodita, ma Lapis fu più veloce, la nascose dietro la schiena avvicinandosi a Yamcha sicuro che lui l'avrebbe protetto.

'Ah, mossa azzardata!'

Allungò il braccio volgendo il palmo della mano verso il ragazzino, incurante Kakaroth gliel'abbassò impedendo che un raggio di luce venisse lanciato.

'Violento come al solito. Non si impone così un accordo, padre.'

L'ironia del guerriero fece rivoltare lo stomaco della ragazza, nonostante fosse sconvolta non si perse d'animo. Poggiò la lampada sul tavolino e prendendo l'oggetto di tanto interesse dalle mani del diciassettenne lo tenne stretto a sè.

'Su, parla Kakaroth che volete?'

'Sei matta?!' 

Le aveva sussurrato il ragazzo, l'arma ancora puntata verso i due.

'Vi proponiamo un patto, voi ci lasciate la mappa e noi salveremo le vostre amiche. Ragionevole, non trovi?'

Chichi emise un ringhio, scosse il capo percossa dal nervoso. Infilò la mappa nella tasca interna del suo giubotto e dopo una lieve occhiata rivolta ai due della sua specie prese parola.

'No. La terremo noi, voi ci aiuterete nel riprendere le nostre compagne e noi vi faremo entrare nel palazzo.'

'Ah, non vorrai mica che me la prenda con la forza, vero?'

Kakaroth portò la testa di lato allungando poi la mano pronta a ricevere il pezzo di carta.

'Azzardati.'

Mormorò la giovane facendo qualche passo indietro, ci mancò poco che perdesse l’equilibrio sulle rotaie e cadesse, il Saiyan fu più veloce e la resse impedendole di fare una brutta caduta. Si guardarono per qualche istante, e non era attrazione quello che li accomunava bensì interesse e curiosità, due mondi completamente opposti uniti da due anime con lo stesso colore degli occhi.

'Neanche ti reggi in piedi e pretendi di riuscire ad entrare nella corte?'

Le sorrise appena per poi lasciarla e spostarsi. Ella gli rivolse un'occhiataccia che lui prese come un ringraziamento.

'Smettila di fare il damerino, idiota!'

‘Padre, con le femmine bisogna essere gentili, soprattutto con certe dal carattere troppo aggressivo.'

Bardack sbuffò. Non conosceva quel lato così malizioso del figlio e ne rimase sorpreso. Ad ogni modo si rese conto che da giovane, nei confronti della moglie, aveva avuto gli stessi comportamenti.  

'Con quelle della tua razza, non con esseri così deboli.'

'Come se cambiasse qualcosa.'

'Smettetela!'

L'urlo della ragazza lì zittì, ingoiò a vuoto notando i loro sguardi rivolti tutti nella sua direzione, tra quelli di completo sconcerto risalvatavano quelli divertiti dei mercenari.

'Si fa come dico io.'

Avanzò prendendo un lungo respiro, poggiò la mappa sul tavolino ed indicando un certo punto con l'indice riprese a parlare:

'Si andrà verso sud, risalendo per queste scale ci si trova direttamente nel corridoio delle prigioni. Data la vostra forza sarà un gioco da ragazzi creare un varco ed irrompere nelle celle. Ci saranno delle guardie più avanti, sicuramente verranno a controllare. Voi vi occuperete di loro, noi prendiamo le nostre e le vostre compagne ed usciremo dallo stesso varco. Intesi?'

'Intesi, tenente.'

E per quella volta non fu un terrestre ad obbedire ai suoi ordini.



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Capitolo 6
*** weaknesses ***


Lazuli continuava a rabbrividire, poggiata contro la parete al lato di Lunch teneva le braccia serrate intorno alle ginocchia. La bionda continuava a parlare con la Saiyan, scambiandosi informazioni e divagando in discorsi che per lei non avevano alcun senso: parole buttate al vento e fiato sprecato, in quel modo da lì non ne sarebbero uscite. Nonostante conoscesse la giovane da anni non aveva mai intravisto quel lato logorroico che la prendeva ogni qualvolta fosse nervosa. La mancanza di Bulma era palpabile, con la sua mente aperta e l'infinita caparbietà e determinazione avrebbe potuto trovare una soluzione. Toccava a lei, adesso, farne le veci. 

Gli occhi di una tonalità chiara e fredda iniziarono ad osservare ininterrottamente ogni angolo o anfratto della piccola e tetra cella: le mura in mattoni erano umide, ricoperte da muffa e residui di piante che, con l'avanzare del tempo, si erano formate tra una cavità e l’altra. Dedusse che sarebbero state più fragili del normale, ciò che univa quei pezzi in pietra, vuoti, erano solo radici, la calce che li riempiva non era altro che polvere. Si spostò dalla posizione che da ore e ore aveva avuto, trascinandosi nell’oscurità, a cui ormai era abituata, verso il muro. Tastò con noncuranza la superficie dura macchiando i polpastrelli di una sostanza verde e bagnata, la razza Saiyan non spiccava per intelligenza e questo le fece intuire del perché fossero ancora rinchiuse lì.

'Che diavolo stai facendo?'

'Sta' zitta e dammi una mano invece di blaterare.'

Masticò con rabbia. La più grande non si comportava da tale, sembrava che le piacesse rimanere in quel posto, ma lei no, desiderava la libertà, l'aria pura da respirare e, soprattutto, ritornare dal fratello. 

Si abbassò mettendosi distesa, prese a calciare con forza i mattoni, stanca, solo un leggero scricchiolio. Al lato della porta, dove erano stati inseriti i pistoni sarebbe stato più facile, perciò optò per riprendere a calciare proprio in quel punto.

'Non risolverai nulla così.' 

Amareggiata la compagna posò una mano sulla spalla della bionda, cercando di darle conforto e di smetterla con quell’insulsa speranza che spingeva la diciottenne a tentare, provare qualcosa che non avrebbe portato a nulla.

'Io… io non morirò rinchiusa qui dentro!'

Tra un affanno e l’altro riuscì soltanto a ringhiare quelle parole. Lunch sembrò riprendersi, l'illusione di potercela fare sfiorò la sua mente, la natura degli umani, lo spirito di sopravvivenza che accomunava quella specie così misteriosa agli occhi degli alieni nacque profonda nel cuore della soldatessa. 

'Non morirai qui, te lo prometto.'

Si guardarono, un'intesa perfetta che le portò a sorridere mestamente. Al suo fianco, ripresero, un colpo dopo l'altro. Altri scricchiolii impercettibili che all'udito acuto delle altre donne sembrarono come rimbombi. 

'Sono… matte.' 

Mormorò una.

'Non ce la faranno…'

Sussurrò un'altra malinconica.

'Che fate, volete distruggervi i piedi?' 

Una voce maschile, rauca, si fermarono raggelate dalla nuova presenza. Gine, che era rimasta affascinata dal comportamento delle due alzò lo sguardo verso la figura del figlio, imponente al di fuori delle grate, la capigliatura folta che da anni non accarezzava. 

'Preferisco distruggermi i piedi e spaccarmi tutte le ossa che rimanere qui!' 

Lazuli era tenace, impulsiva, spesso non riusciva a tenere a freno la lingua. Per questo, quando rispondendo in quel modo, senza temere di essere punita, si era ritrovata una delle mani dell'amica pronta a tapparle la bocca, aveva intuito di aver esagerato.

'Inutile, sono rinforzate da fuori.' 

Rispose saccentemente il ragazzo, una smorfia si formò sul viso della riccia che continuando a guardarlo aveva sentito qualcosa spezzarsi dentro il suo piccolo corpo; frustrata, amareggiata. Si alzò appoggiandosi alle sbarre, di spalle. 

'Dove hai portato Bulma?' 

Chiese dimostrando un’apatia che sfoggiava solo in situazioni drammatiche, come durante i continui assedi nelle citta, quando tra la polvere e il rumore incessante dei proiettili vedeva cadere ai suoi piedi i cadaveri degli umani.

'Sta bene, vi basta sapere questo.'

Il tintennare delle chiavi e lo sbloccare della serratura, le due bionde si trovarono improvvisamente fuori, allibite dal comportamento dell'alieno.

'Figlio… noi?' 

Gine aveva gattonato verso le grate, nuovamente chiuse con un sonoro tonfo. Non provava rabbia nei confronti del suo primogenito, l'amore di una madre va oltre gli ideali e la distanza, preme con ostinatezza e sfocia nel senso di protezione che accomuna ogni razza, oltre gli universi. Gine lo amava, non era delusa nonostante il male che egli le avesse fatto sfuggendo via dalle sue braccia quel giorno afoso d'estate. Ricordava, alla tenera età di tredici anni, quello che lei considerava come un bambino bisognoso di affetto, allontanarsi da casa; i capelli lunghi e neri, lo sguardo deciso, correva senza tregua e combatteva contro quelli della sua stessa famiglia, contro gli amici, al fianco di chi li aveva sempre tenuti in miseria, pedine di un gioco a scacchi che poteva vincere solo il più malvagio degli esseri.

'Non sono più tuo figlio, dimenticami, Gine.'

Lazuli sentì il profondo dolore di quelle parole colpire in pieno la Saiyan, la sua espressione sofferente, il tremore delle mani e la voragine di disperazione che la stava facendo cadere in un abissale mare di sconforto. Si fissarono per alcuni secondi, prima che ella si facesse indietro afflitta. 

'Io ti perdono, Radish.' 

Soffiò, non ottenne risposta, solo il rumore dei suoi passi allontanarsi assieme alle terrestri. 

_________________________________

Il principe Tarble continuava a camminare avanti e indietro nel giardino del palazzo, le mani dietro la schiena e la testa bassa, inconscio che cinque ombre lo stessero fissando dietro le macerie di una colonna caduta tempo addietro. L'aria ancora pregna dell'odore della pioggia copriva quello dei Saiyan al fianco della tentente, curiosa di poter finalmente vedere con i suoi occhi uno dei reali; aveva sentito parlare poco di lui, una personalità mite, sottomesso al fratello maggiore in tutto e per tutto.

'Sembra così debole…' 

Yamcha spezzò l'assoluto silenzio sporgendosi maggiormente per poter osservare meglio Tarble, sfuggì una lieve risata a Bardack, il quale con fare paterno, gli rispose: 

'Non farti ingannare dalle apparenze, è forte.' 

La corvina sospirò, stanca di dover guardare la stessa persona si mise seduta di spalle alla colonna, cacciò la mappa dalla giacca e poggiandola sulle gambe si mise a studiarla con attenzione; il piano era semplice ma i pericoli erano tanti, un solo sbaglio e i giochi si sarebbero chiusi. 

'Non ci sono guardie… potremmo -' 

Kakaroth venne fermato bruscamente prima che potesse finire la frase, suo padre aveva capito dove volesse andare a parare. Arricciò il naso cacciando repentinamente una sigaretta incastrata tra i capelli e la bandana, la portò alle labbra e con l'indice della mano destra creò una fiammella; una luce candida e lieve. La sigaretta dell’assassino si accese. A Chichi parve quasi magia; come poteva qualcosa all’apparenza innocua seminare tanta morte? Come poteva un uomo stroncare la vita ad un altro alzando semplicemente una mano? Secondo quale criterio? Perché?

Le si mozzò il fiato, la vista si offuscò mentre un vortice di ricordi la risucchiò portandola in una realtà lontana: 

‘Figliola, anche non se non possediamo più alcun regno e sul capo non potrò mai posarti una corona, sappi che sei e per sempre sarai una principessa.'

Le disse l'uomo, con cura sistemò il lenzuolo sul corpo della bambina per poi prendere ad accarezzare i suoi lunghi ciuffi corvini. Distesa sui sedili e pronta per crollare tra le braccia di Morfeo la piccola si destò colta da un dubbio: 

'Che principessa sarei senza sudditi?'

La sua ingenuità lo fece sorridere, quella che ora era una bambina come le altre presto sarebbe diventata una donna che lui non avrebbe avuto mai occasione di vedere.

'Preferiresti essere una principessa dal cuore oscuro e con mille e più sudditi ai tuoi piedi o una principessa dal cuore nobile e con nessuno a servirti?'

La figlia ci pensò qualche secondo per poi rispondergli con ovvietà: 

'E chi la vorrebbe mai tutta quella gente!'

Una fitta, morse il labbro inferiore con forza.

'Alzati Chichi, loro non avranno pietà di te.'

Fece un respiro profondo alzandosi con fatica, le ginocchia sbucciate parvero cedere sotto il suo peso. Il cemento della galleria sotto i suoi piedi macchiato di sangue e sudore, lacrime e continui 'basta' ripetuti sottovoce.

‘Mostrami cosa faresti se ora ci fosse un Saiyan. Dimostramelo!'

La incitò, l’urlo della dodicenne si propagò nell'aria, un ruggito animalesco e poi il suo calcio che il buon uomo non riuscì a parare. Orgoglioso della guerriera che aveva cresciuto, distesa ora tra una risata di soddisfazione e gocce salate di dolore a scendere dai suoi occhi d'ossidiana.

La voce di Kakaroth la portò a galla dall'oceano di ricordi che l'avevano sommersa, riprese a respirare, come nulla fosse successo i discorsi presero un senso logico. 

'Necessitiamo di informazioni e in guerra tutto è lecito. Non fumare, diamine.'

La stecca bianca venne chiusa nel pugno del ragazzo, una volta che fu riaperta da questa caddero tabacco e cenere, nulla più. Lapis sospirò, quell'allenza forzata con il nemico non lo convinceva, dubitava di loro e continuava a non fidarsi. 

'Siamo davvero sicuri di voler entrare dai sotterranei?' 

Yamcha guardò il diciassettenne, capiva come potesse sentirsi, la confusione e la vigliaccheria si leggevano nelle loro iridi e neanche lui era davvero sicuro di ciò che da lì a qualche ora avrebbero fatto. 

_____________________________

Era riuscita a creare un progetto degno di lode prima del tempo previsto, gli appunti sparsi su fogli e quadernetti gettati alla rinfusa sulla superficie in metallo. Poco prima erano passate delle guardie per dare a lei e agli scenziati del cibo e dell'acqua, nonostante il pane fosse duro Bulma lo divorò presa dalla troppa fame. Giaceva stanca sulla sedia, poggiata sul tavolino con poca grazia e con la testa sulle braccia. Era crollata in un sonno profondo, sotto lo sguardo atterrito degli alieni che evitavano di svegliarla, troppo spaventati dalle sue sembianze simili a quelle dei mercenari. I crini le ricadevano dolcemente sul viso pallido, la punta del naso e le guance imporporate di rosso. In quella stanza la temperatura era relativamente bassa e la donna non era coperta decentemente per poterla affrontare. Le labbra di ciliegia appena schiuse ed il respiro regolare, nella mano destra teneva una penna. 

Quando la sera Vegeta andò a controllare come proseguissero i lavori la trovò in quello stato. La tentazione fu quella di svegliarla con una spinta, scuotendola per le fragili spalle e di rimproverarla a gran voce, ricordandole che il suo comportamento non era ammesso e che se si fosse azzardata nuovamemte l’avrebbe ammazzata senza se e senza ma.

Al contrario però la sua reazione fu un’altra: dopo aver aperto la porta ed aver avanzato elegantemente verso la donna si fermò a qualche passo dalla sua figura, sorpreso ed al coltempo meravigliato da quanta bellezza si potesse celare in un infimo essere.

Fu lampante per lui paragonarla ad un angelo, l'insolito colore dei capelli e la pelle d'avorio, fragile come cristallo. Il cuore di pietra palpitò più velocemente nella cassa toracica quando per puro caso l'odore di vaniglia arrivò alle sue narici inebriandolo. Aveva percepito quella fragranza la prima volta, non ci aveva dato peso cancellandola completamente dalla sua memoria etichettondola come qualcosa di superfluo da dover dimenticare. Ora che invece l'aveva davanti pensò di voler sentire quell'odore da vicino.

La terrestre per la purezza che emanava risultava come irraggiungibile, un'aura divina ad avvolgerla, intoccabile. Se un solo dito avesse sfiorato le labbra carnose e soffici della scienzata si sarebbe macchiato di peccato; esso maggiore rispetto a tutti quelli che aveva commesso.

Sfortuna volle che il diavolo cedesse nuovamente al potere del buono, castità che innanzi alla fiamme sfugge mutandosi in peccaminosa lussuria.

Un tocco leggero, estraneo alle azioni abitudinali del principe. Spostò con attenzione dei fili azzurri, complici di aver rubato il cielo, dietro il suo piccolo orecchio decorato da un orecchino dalla forma sferica. Il respiro caldo della prigioniera si infrangeva come ostro sul suo volto. Rimase qualche secondo ad ammirarla per poi poggiare le mani sulla vita della donna e sollevarla portandola senza fatica tra le braccia.

Dopo un'occhiata rivolta agli alieni uscì dal laboratorio guidato dagli istinti e non più dall'orgoglio. Aveva notato quanto gelida fosse la carnagione, la guancia era premuta sul suo petto e le braccia penzolanti. Proseguì fino alla sua stanza evitando durante il tragitto di incrociare guardie, la distese con attenzione sul grande letto a baldacchino della sua camera, la coprì con coperte in velluto rosse e dopo una smorfia di disgusto, essendosi accorto solo successivamente di quale gesto di umanità si fosse macchiato, andò via sbattendo la porta. 

'deknes jun'chen, das dur sivya kveş!'

‘Stupida ragazzina, che tu sia maledetta!' 

Mormorò in un bisbiglio udibile solo a se stesso.Non riuscì più a capire chi fosse realmente e l'unica spiegazione razionale a cui pensò fu che un attimo di debolezza aveva preso il sopravvento possendendolo. 


//Yay! 

Che faticaccia scrivere questo capitolo, questa mattina alle due Word ha avuto la brillante idea di cancellarne una buona parte, insomma, una tragedia. Spero che vi piaccia e che lascerete qualche recensione dandomi un'opinione! 

Alla prossima!

-Daph



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Capitolo 7
*** Revolution 2033 ***


Anno terrestre 2033, 22 Novembre, 19:57.

Periferia a Sud di Tokyo, superficie. 

Tre uomini seduti a tavolo di un vecchio bar parlavano animatamente di una delle tante conquiste nella galassia del Nord, tra boccali di birra, sigarette e gioco d'azzardo si rilassavano dopo la lunga giornata trascorsa a fermare la resistenza terrestre. Il chiacchericcio e le risse fuori dal locale rendevano l'aria festosa assieme a cameriere in abiti succinti che servivano i clienti. 

Uno di questi attirava maggiormente l’attenzione: generale dell'armata Saiyan e braccio destro del Re. Egli continuava a vincere una partita dopo l'altra, urlando come un matto ogni qualvolta avesse tra le dita buone carte, nelle tasche aveva guadagnato più zeni di quanto in un mese avrebbe potuto prendere con il suo lavoro. 

'Ah, Zerves, di questo passo rimarrai senza un soldo!' 

Mormorò con difficoltà, la sigaretta tra le labbra continuava a spostarsi ad ogni lettera lasciando cadere, come neve, cenere sul tavolino in legno e sugli stivali.

'Kylenies non sarà d'accordo, verrà lei stessa a spaccarti il culo Bardack!' 

Tra un sorso e un altro l’uomo cacciava altre carte dal suo mazzo, sbattendole violentemente sperando così di poter vincere almeno quel giro. La dea della fortuna puntò a sua misfatta, quelle dell'amico avevano un valore maggiore. Le monete dorate sul banco vennero prese dalle mani dell'altro con un gran sorriso. 

'Lo spaccherà prima a te.' 

La partita si era conclusa e le carte, dal terzo giocatore, vennero messe in un angolo per fare spazio. Per tutta la serata era rimasto in silenzio, preso dai tanti pensieri che circolavano nella sua testa prendendo forma di una fitta e lugubre nebbia, a tratti, questa, interrotta da venti d'odio e rabbia repressa. 

'Vorrei poterlo picchiare quel coglione d'élite.' 

Gli sguardi dei due furono subito rivolti al moro dai capelli ribelli: gli cadevano fugaci coprendo in parte il viso giovane, occhi allungati e stretti, il destro adornato da una lunga cicatrice conquistata in battaglia che partendo dal sopracciglio arrivava fino alla guancia. Non spiccava per le abilità in campo ma la sua furbizia e la particolare mente da stratega lo avevano portato ai massimi livelli come spia per i trattati con esseri potenti al pari dei demoni del freddo, nonostante ciò si  si trovava ad essere un semplice saiyan di terza classe, il sangue nelle vene sporco e la possibilità di entrare a corte nulla. 

'L’ha umiliata ancora?' 

Sussurrò Zerves, più grande dei due di sette o otto anni, aveva abbassato la voce cercando di non farsi sentire da orecchie indiscrete. Un gigante per la prestante massa ed il capo calvo, portava una barba rossiccia abbellita da perle nere che la racchiudevano in due piccole trecce. La figlia di Nyos, Kassava, era il fulcro di tutto il malessere del guerriero al suo fianco.

Sedici anni appena compiuti, ancora una bambina per lui. Ella taceva in sua presenza, imbarazzata, a disagio per una colpa non sua. L'adolescenza non aveva impedito che il suo corpo crescesse dando vita ad una donna, alta e dal fisico slanciato, i crini scuri e lisci che ammaliavano uomini d'ogni età. 

Non poteva evitare di mandarla all’Accademia, lì dove un giorno sarebbe divenuta una combattente al servizio dell'impero, ma lì dove anche il nobile ed illustre insegnante d'elite la violentava senza scrupoli sapendo che niente e nessuno avrebbe potuto fermarlo. La violenza carnale per i Saiyan non era peccato, anche se la vittima opponeva resistenza cercando una via di fuga dalle mani sudice e dagli istinti animaleschi, riuscire a dar soddisfazione ai loro bisogni era una vittoria, poco importava fosse un'alunna, una bambina o una donna. 

'Avessi avuto una femmina, al tuo posto Nyos, lo avrei fatto fuori prima ancora che la toccasse.' 

Ribattè Bardack accendendo l'ennesima sigaretta, si stravaccò sulla dondolante sedia e rimase a pensare.

'Beh, mi toccherà finirla di scoparmi tua moglia allora.. 

Il generale lo fissò torvo per poi scoppiare in una fragorosa risata. 

'Gine non è come la tua che si lascia cavalcare da cani e porci.' 

In tutto quel trambusto Nyos si lasciò prendere dallo sconforto, quella situazione andava avanti da mesi e non poteva lasciare che sua figlia subisse le sorti di una rozza aliena. 

'Vedete di calmarvi voi due, nessuno si scopa le mogli di nessuno qui. Datemi una mano, quel Paragas dovrà sparire, una volta per tutte. 

Silenzio, totale silenzio. Quell'idea, quel desiderio di vendetta da parte del ragazzo aveva innescato un fuoco, piccolo e lieve all'inizio, man mano più violento e scoppiettante col tempo.

Il 4 dicembre 2033 con la morte di Paragas il fuoco sarebbe divenuto incendio, la razza Saiyan si sarebbe divisa una volta per tutte e la vita dei ribelli, la terza classe per eccellenza, avrebbe avuto inizio con una tragica rivoluzione per chiedere, come era degno che fosse, gli stessi diritti degli élite.

In quello stesso periodo il grande Re Vegeta fu colpito da una misteriosa mallattia al cuore, medici di tutti i regni si accalcarono al suo capezzale cercando di trovare una cura per il suo malessere, perfino sortilegi ed incantesimi erano stati provati ma nulla era riuscito a salvarlo. Il mese dopo, alla fine di gennaio, la sua vita ostentata da vittorie e vizi d'ogni tipo finì lasciando al trono i suoi due figli incapaci di gestire una tale battaglia tra classi. 

Bardack, alla morte del Re, aveva deciso di schierarsi dalla parte dei suoi compagni venendo acclamato e considerato ufficialmente come loro capo, la sua forza era superiore ai molti e divenne il loro punto di riferimento, cosa che sarebbe continuata con il suo secondogenito Kakaroth. 

____________________________________


Caldo, un caldo opprimente che copriva tutta la sua figura lasciando scoperto solo il viso baciato con dolcezza dai tenui raggi della mattina. Decise di non aprire gli occhi lasciandosi coccolare ancora dall'abbraccio morbido e fedele delle coperte, di rimanere nella tiepida illusione d'essere tornata nel rifugio. Le sue dita tastarono il velluto lasciandola piacevolmente sorpresa dalla bellissima sensazione che le provocarono al tocco. Un odore maschile impregnava il cuscino su cui il naso era poggiato spezzando la realtà lontana a cui aveva preferito buttarsi invece di tornare prepotentemente a quella strana vericità in cui era condannata. Aprì le palpebre con lentezza trovando davanti a sé, in piedi ed a braccia conserte, l'incubo ed il bel sogno che aveva popolato le sue ore notturne. Si fece indietro spostando le lenzuola e stropicciando il lato impeccabile e vuoto dell’altro fianco del letto matrimoniale, grande e spazioso. 

'Era ora vi svegliaste.' 

Inumidì le labbra secche con la lingua e cercando di abituarsi alla luce del giorno si concentrò sul viso del principe. Illegibile, la sua epressione era impossibile da comprendere: un misto imperscrutabile di perenne fastidio e nervoso che sfogava con una vena sulla fronte, le sopracciglia corrugate e la bocca chiusa come una linea retta. Prese un profondo respiro provando a fare mente locale sul perché si trovasse in quella stanza abbellita d'oro e bianco, ovunque poteva intravedere decorazioni barocche sfoggiate sulle intarsiature dei mobili dipinti e vari oggetti. 

'Come ci sono finita qui…' 

Mormorò con la voce impastata dal sonno e la voglia incontrollabile di gettarsi al sicuro nel mondo che fino a qualche minuto prima l'aveva accolta. 

'Non perdetevi in stupidaggini, non vi importa. Tra quanto sarà pronto il progetto? Non ho intenzione di perdere ulteriore tempo.' 

Scese con lentezza poggiando i piedi coperti dai calzini candidi sul pavimento in marmo, riconobbe i suoi anfibi lasciati in un angolo e riportando l'attenzione al suo interlocutore lo trovò già vestito della sua uniforme e l’immancabile mantello rosso a seguirlo come un'ombra.

'Non ne ho idea, non ho mai costruito una macchina gravitazionale e ho bisogno di materiali e-'

'Donna, ti ho chiesto quando sara pronto non come hai intenzione di costruirla.'

Ringhiò facendo qualche passo verso il bordo del letto da cui non si era mossa, allungò una mano pronto a sollevarla per il bavero del camice che non aveva mai tolto. Prontamente ella si spostò di lato e scuotendo appena la testa, con i crini azzurri a caderle teneramente sulle guance arrossate disse una semplice frase che scalfì la già precaria pazienza del reale.

'Ho bisogno di una doccia, prima di tutto.' 

Con un gesto egli indicò una porta sul lato destro proferendo che quello fosse il bagno e che le avrebbe dato non meno di dieci minuti. Dieci minuti dei quali la ragazza passò nella doccia, bagnata dall'acqua bollente in cui decise di perdersi nella speranza di poter fuggire dalle occhiate di quell'indesiderato principe, diverso da quelli delle favole che sua madre era complice raccontarle da bambina. Non possedeva un cavallo ma cavalieri pronti a sporcarsi le mani ad ogni suo crudele ordine, non aveva un castello ma una reggia degna degli orrori più indicibili, non aveva una corona ma guanti pregni della vita di mille dei suoi simili. Venne risvegliata dal bussare incessante sulla porta a cui urlò un veloce 'Un attimo!' che le ricordò le serate quando la corvina le rimproverava di star facendo tardi e lei si trovava indaffarata nella costruzione di nuovi congegni. Velocemente si asciugò con un asciugamano trovato lì per caso, si vestì con i suoi vecchi abiti ed ignorando i ciuffi ancora umidi uscì sotto lo sguardo curioso di Vegeta. 

'Lenta, spero per la vostra incolumità che non mi facciate aspettare allo stesso modo per il progetto.' 

Il tono di schernò la indispettì. Non capiva il perché si ostinasse ad usare il 'voi', era una prigioniera ed essendo il principe non avrebbe dovuto rivolgersi a lei in quel modo specifico, eppure, forse e meno improbabile della virtù del rispetto, voleva tenere una maschera d’uomo cortese che nascondesse la sua furibonda natura d'assassino. 

Il portone in legno della stanza venne aperto bruscamente dalla figura di un ragazzo che poi riconobbe essere Radish. Respirava affannosamente come se avesse appena fatto un grande sforzo, il volto segnato da un taglio grondante sangue il quale partendo dalla tempia colava fino all'occhio sinistro, rendendogli difficile tenerlo completamente aperto. 

'Intrusi principe, Kakaroth è a palazzo!' 

25 Minuti Prima, 06:48. 

Il piano del figlio di Bardack non era stato un completo fallimento, Tarble era stato preso con la forza la sera prima, stonato per bene con dei colpi sul capo ed infine lasciato incosciente e legato da delle catene d'energia ad un albero dopo qualche informazione. Chichi non era stata intusiasta di quell'ortodosso procedimento, il ragazzo non sembrava neanche in grado di far male a qualcuno e un moto di pietà l'aveva colta nel vederlo sofferente e piagnucolante dopo il penultimo pugno. 

'Per me non era il caso di… insomma, combinarlo così.' 

Sbuffò incammandosi seguita da Yamcha e Lapis per i sotterranei del palazzo, quei luogh angusti ed infestati da ratti non la spaventavano ma il cercare di tenere l'aura ai minimi livelli la stremava rispetto agli altri, stancandola e facendola arretrare di passo. 

Stupidi terrestri, la vostra sensibilità mi fa venire la nausea.' 

L'ex generale provava divertimento ad istigare quei tre, sapeva che dopo che avrebbero liberato le Saiyan e quelle umane si sarebbe sbarazzato di loro, erano una palla al piede ed era sempre meglio farli fuori che doversi sopportare altre rivolte dai sopravvissuti. Nel suo piano, creato non appena aveva varcato il rifugio della metrò, avrebbe ucciso la tenente in modo che nessun altro 'esercito' si sarebbe potuto formare. 

Così credeva lui. Non aveva tenuto conto della speranza e dello spirito di rialzarsi ad ogni caduta di quella razza, inferiore sì, ma non debole del tutto. 

Una lieve risata da parte del figlio e poi continuarono verso le scale che portarono sotto le celle. Non ci misero molto a creare un varco con un kiblast, il rumore era stato assordante ed il rischio che il corridoio crollasse non era stato calcolato da nessuno dei cinque. Difatti ci volle poco che con quel maledetto buco il passaggio crollasse bloccandoli, la loro via di fuga era appena stata chiusa. 

Una nuvola di polvere si alzò dopo il boato facendoli tossire e cercare dell'ossigeno entrando in fretta e furia nella cella uno dopo l'altro. 

'Ma che diamine… dovevamo fare un buco non distruggere mezzo palazzo!' 

Chichi non si fermò dal sgridare Bardack il quale dopo una lieve tosse si girò pronto a lasciarle un segno del poco rispetto avuto nei suoi confronti, peccato che la polvere gli avesse giocato un brutto scherzo e si fosse trovato le nocche a scontrarsi contro le grate in metallo. 

'Non parlare a vanvera mocciosa, ti ho mancata ma alla prossima ti prendo sicuro!' 

Sbraitò, innervosito come il suo solito si accorse solo dopo qualche attimo di una piccola mano poggiata contro la sua possente spalla. La nube giallognola ci mise poco a diradarsi ma l'ex generale aveva capito, senza avere il bisogno di girarsi, a chi appartenesse quel tocco delicato e pieno d'amore. 

'Bardack… on'estev nicht forgeteks mirr' 

La breve risata dell'uomo fece sorridere la donna, il quale con una tenera carezza sul volto gli fece capire che avesse sempre pensato a lui. 

'Ichves.' 

Mormorò.

Quando finalmente riuscirono a vedere la tenente si accorse che tra le Saiyan le sue amiche non ci fossero. Ingoiò il vuoto portandosi una mano tra i lunghi capelli, quella di Yamcha si poggiò sul suo capo cercando di darle conforto. Lapis, al contrario, strizzò con forza le palpebre cercando di non pensare al peggio. 

- 'Non dispiacertene, non avranno neanche il tempo di arrivare che saranno uccise.' -

Quel maledetto Saiyan lo aveva predetto, lo aveva detto e lei come un'ingenua non ci aveva creduto, convinta che loro stessero bene, che sarebbero sopravvissute.

Invece no, non c'erano. 

Strinse con forza i pugni, le nocche da rosse divennero pallide e quando vide il profeta di quella fantomatica frase china fino all'orlo di verità, si scagliò come una furia. Lo colpì al petto così tante volte che il dolore e la pelle graffiata e lacerata delle sue mani sembrò non esistere. Le iridi erano lucide, vuote e profonde come pozzi neri di petrolio, digrignava i denti sfogando tutte le colpe che gli stava dando quando sapeva fossero rivolte solo a se stessa per non aver fatto in tempo. Una parte della sua anima sembrò frantumarsi come uno specchio, pezzi taglienti di lame riflettenti le bucarono lo stomaco salendo verticalmente fino al cuore che venne chiuso con forza in catene d'acciaio. Il respirò mancava ma le parole vennero urlate comunque. 

'Sei un bastardo! Ero l'unica a poterle salvare, l'unica!'

Kakaroth la lasciò fare, solo quando il liquido vermiglio gli imbrattò il volto decise di fermarla tenendola per i polsi. Si guardò intorno stringendo e non lasciando la presa alla pelle diafana e alle ossa gracili, si rivolse alla madre che dopo un lieve sorriso e intuendo cosa volesse chiederle annuì appena.

La tenente iniziò a sentire la conseguenza delle sue gesta, aprì le mani lasciando che si sporcasse le dita e che un gemito strozzato uscisse dalle labbra screpolate Poco importava cosa si stessero dicendo quei due, le possibilità di riavere le sue amiche era svanita, futile e stupida come la volontà che l'aveva spinta ad arrivare fin lì, mettendo a rischio la vita dei due che avevano voluto seguirla.

Il più grande sembrò estraniarsi da tutto, aveva percepito una presenza, potente come già una volta aveva potuto sentire e con cui aveva già combattuto.

Veloce, si girò di lato, nulla. 

Sfuggente come un soffio, opprimente con l'ansia e stringergli il petto. Il battito martellante e l'unico suono del suo respiro a tenerlo davvero attaccato a quella dimensione.

Ancora, verso l'alto, nulla. 

Possibile la sentisse solo lui?

La voce della moglie lo portò di nuovo lì tra loro. 

'Sono vive tutte e tre.' 


* 'Bardack... non ti sei dimenticato di me.'
* 'Mai.'

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Capitolo 8
*** Lieste ***


'Ai suoi ordini.' 

Sghignazzò creando un nuovo varco, questa volta senza combinare ulteriori danni come al padre. Non appena la ragazza fu uscita venne seguita dagli altri, tra la confusione fu facile scorgere la figura di due guardie pronte a rendere sicuro il palazzo e scacciare gli intrusi. 

Nell'ala est le due bionde, dopo aver seguito Radish, si erano ritrovate in una grande camera adibita per i soldati e i più grandi combattenti d'èlite. Ignare di ciò che da tutt'altra parte stesse accadendo riposavano ancora nel letto che il saiyan aveva concesso loro. Radish le aveva rassicurate raccontando che la turchina stesse lavorando per il principe e che per il momento fosse al sicuro, si erano abbracciate per la gioia e dopo una doccia veloce avevano deciso di passare qualche ora per riprendere le forze ed aspettare che il guerriero tornasse alle sue faccende per poter creare un piano e fuggire.

Il ragazzo aveva potuto godere solo di poche donne nella sua vita, molte delle quali solo per scaldare il suo letto, provenienti da mondi e galassie lontane che sicuramente non avrebbe mai più rivisto. Ora che aveva due esemplari di una specie simile alla sua, quasi identica se non per futili particolari, si era trovato a pensare con imbarazzo che prendere una compagna non sarebbe stata una cattiva idea. Eppure, conoscendo se stesso, poteva dire con certezza che non sarebbe stato un marito fedele e che, le donne Saiyan, non sarebbero potute essere al suo livello. Un pensiero egoista credere di poter rimanere per sempre da solo e di non aver bisogno di nessuno al suo fianco, quando invece, grande e forte com'era, covava il desidero immane di qualcuno che si prendesse cura di lui. Non aveva mai potuto sapere cosa significasse la parola amore ed era anche certo che nella sua lingua natia quell'idioma non esistesse. L'aveva sentita pronunciare per la prima volta anni addietro, o almeno a quella ne aveva dato il significato, durante una delle tante invasioni, più precisamente sul pianeta N-345: piccolo e lussureggiante di verde, con alieni di bassa statura e dalle orecchie a punta, eccellevano nelle arti magiche e possedevano vaste conoscenze nell'ambito scientifico, all'epoca uno dei gioielli del grande impero di Freezer. Ricordava, sfocatamente, per quanto quello stralcio di qualche secondo gli affiorasse costantemente prima di poter chiudere gli occhi e posare il capo sul cuscino.

Aveva appena nove anni e tra l’erba alta stava inseguendo due degli alieni scampati alla distruzione del loro vilaggio, avrebbe potuto ucciderli all'istante con un ki-blast ma la voglia di divertirsi, un gioco ai suoi occhi, e di poterli acciuffare e stritolare tra le mani superava di gran lunga quel semplice metodo. Alla fine ci era riuscito, tiradoli per i lunghi capelli bianchi e facendoli cadere tra la folta vegetazione; quella che pareva la femmina si stringeva contro il petto del maschio nascondendo il viso colmo di lacrime nell'incavo del suo collo. Ella continuava a singhiozzare e a emettere lamenti che iniziarono ad infastidirlo, non ci volle molto per lanciare un fascio di luce dalla mano destra e placare i suoi versi lancinati. La morte non valeva che il breve istante di una vita spezzata prima del corso naturale delle cose ed erano stati educati al non dare a questa nessun pensiero in merito. Il liquido bluastro aveva macchiato i crini candidi dell'altro che dopo un gemito di disperazione si era abbandonato a cullare il corpo senza vita dell'aliena borbottando sempre la stessa parola, 'Lieste', con un'incrinazione più bassa di attimo in attimo, come chi ha urlato così tanto da perdere la voce ma ha ancora il bisogno di parlare. Gli rivolse uno sguardo, implorando di ucciderlo per dar sollievo al suo dolore e non se lo fece ripetere due volte. Le iridi indaco di quell'essere lo avevano scosso, tanto dal chiedersi il perché egli avesse voluto essere ucciso allo stesso modo. All'inizio si convinse che fosse perché presto gli sarebbe toccata la stessa sorte ma col tempo osservando la stessa scena in contesti e situazioni diverse capì che si trattasse di tutt'altro, di un sentimento forte tanto da spingere a mettere la parola fine per poter rimanere legata ad una determinata persona in un altro mondo, che c’è un 'qualcosa' di indissolubile che porta perfino a voler la morte per se stessi. Non aveva mai visto tra la sua gente quel tipo di rapporto, basato unicamente sull'attrazione, il sesso ed infine la progenie che dava il concetto di unione. Lo aveva poi notato nei terrestri, così sentimentali e attaccati a valori che per lui risultavano superficiali; famiglia, amizia, amore. Non avevano significato nella sua mente. Davanti a lui adesso aveva uno di quei valori, una complicità forte e palpabile nei gesti delle due che si stringevano la mano anche durante il sonno, in cerca di appoggio e sicurezza che potevano trovare solo in quel modo. La riccia aveva attirato la sua attenzione fin da subito, riempiendo i suoi vuoti di memoria con il volto sempre corrugato in un espressione rabbiosa che minuto dopo minuto aveva iniziato ad apprezzare, piacevole nell'insieme della sua bellezza, diversa dalle copie di mille rassunti che aveva sfogliato nel tempo, parole al vento che lei semplicemente evitava con i suoi modi bizzarri. 

Forse ora intuiva cosa 'Lieste' significasse.

La fiamma della curiosità l'aveva portato ad avvicinarsi per osservarla da vicino; dormiva profondamente con un ricciolo ribelle posato sul naso all’insù. Le labbra di pesca socchiuse da cui passava un filo d'aria. Stava per accarezzare con le dita quell'ammasso dai colori caldi e lucenti dei suoi crini, ammaliato a tal punto da ignorare il trambusto circostante, un rumore più forte degli altri lo riscosse facendolo scappare via dalla situazione troppo strana in cui era inciampato. Corse fuori dalla stanza seguendo i suoni con l'udito acuto fino ad arrivare nel luogo in cui sua madre era stata rinchiusa.

Rimase immobile nel vedere suo padre e il fratello intenti ad uscire dalla cella, i corpi inermi di due soldati fuori combattimento, dietro di loro le prigioniere ed una terrestre che gli passò accanto ignorandolo. 

'Kakaroth, che diavolo ci fai qui? E voi, padre?' 

Sbottò vedendo il minore avanzare con un espressione furibonda. Sapeva che egli non fosse mai stato d'accordo con il fatto che fosse fuggito dal nido per andare con il nemico, un rancore che entrambi avevano covato per anni nascondendolo con un banale odio ed indifferenza che li avevano separati una volta per tutte. Quando ancora erano bambini ed una volta arrivati sulla terra avevano amato librarsi per aria liberi dalle catene della loro forza, lontano dalle urla di Bardack che pretendeva si allenassero, a fare gara a chi avesse resistito di più con la coda appesi al ramo di un abete. Venne tutto cancellato con un pugno che lo colpì dritto alla tempia procurandogli una ferita. 

'Questo per aver preso nostra madre, idiota!' 

Gli venne urlato, accennò una lieve risata rimpiazzata poi da un piccolo gemito di dolore. Scosse il capo toccandosi l'occhio ricoperto dal suo stesso sangue. 

'Kakaroth, lascialo a tuo padre! Dobbiamo trovare Bulma e le altre.' 

Radish ingoiò il magone, avrebbe dovuto tenere sotto controllo la terrestre ancora nel laboratorio e non poteva affrontare il Saiyan, non con la potenza di cui disponeva in quel momento. L'unica soluzione era avvisare il principe. 

'Sì. Tra noi non è finita qui.'

Lasciò perdere il suo commento e facendo marcia indietro si diresse da Vegeta, superò i due ed una volta arrivato alla camera del principe aprì la porta con un impeto tale da scardinarla. Bulma era lì, corrugò le sopracciglia confuso per poi dichiarare che suo fratello fosse a palazzo. Non aveva intuito che l'avessero seguito e quando fu spinto via per lasciar spazio vide che il soggetto di tutta la loro attenzione fosse entrato nella stanza. 

'Scusate l’interruzione principe ma avremo da discutere, magari fuori da qui, non vorrei distruggere altro.' 

Sghignazzò portando le mani sui fianchi. Dietro di lui Chichi provava a sorpassarlo, aveva scorso i capelli turchesi della sua amica e prima che succedesse il pandemonio aveva il dovere di metterla al sicuro e trovare le altre. 

'Nel mio palazzo, senza il mio consenso, addirittura nella mia camera. Non te l'hanno insegnato il rispetto lurido terza classe?'

Vegeta fece qualche passo calcando sull'aggetivo con cui l'aveva definito, istigandolo alla violenza che avrebbe voluto possedere ed usare in modo maligno rispetto al suo. Bulma a disagio osservava attentamente la situazione, con quello che stava accadendo il principe sarebbe stato distratto ed avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per poter scappare da quella gabbia di matti. Le sarebbe dispiaciuto dover dire addio alle sue attenzioni ma se ciò valeva non dover più sottostare ai suoi obblighi e dover rischiare per ogni parola pronunciata la vita, non ci avrebbe pensato più di due volte. 

'Dannato Saiyan fammi spazio!'

Sgranò gli occhi nel sentire la voce di Chichi, sorpassò Vegeta pronta a buttarsi tra le braccia dell'amica che aveva aspettato per giorni e giorni nella speranza che arrivasse a salvarla, ed ora eccola lì con la sua solita tenacia, tanto da insultare senza timore uno dei guerrieri più temibili. Un coraggio che aveva sempre invidiato e desiderato. Venne tirata indietro dal camice e sbattuta violentemente contro il petto del reale, il quale senza tante cerimonie l'aveva poi riportata dietro di sé. 

'Vi ricordo che avete un compito da svolgere e da qui non uscirete.'

Quando finalmente Kakaroth le lasciò spazio, la tenente poté vedere come stesse Bulma, lasciando tutte le sue preoccupazioni alle spalle e facendo un sospiro di sollievo carico di tutta la tensione accumulata. Non un graffio o una ferita, niente che potesse far pensare ad un rapimento. 

'Lascia perdere le terrestri, non sono qui per loro e non c'entrano nulla con noi. Sii uomo per una volta e affrontami Vegeta, non morivi dalla voglia di combattere?' 

Fece segno con le mani di avanzare verso di lui ed alzando un sopracciglio con un sorriso di sfida che sapeva avrebbe infastidito il nobile. I pregi di Vegeta non avevano la pazienza in lista e il suo comportamento, infantile, si rivelò vano. Si scagliò contro il guerriero pronto a dar via alla lotta; una serie di calci e pugni che furono facilmente parati o evitati con una velocità tale da non poter essere neanche visti, si spinsero fino al muro del corridoio, frantumandolo sotto il peso di Kakaroth che non riuscendo a far perno con gli stivali continuava ad andare in dietro passando di stanza in stanza ed aumentando esponenzialmente la sua aura. 

La rabbia di Vegeta avanzava a dismisura, ai limiti della sopportazione per l'oltraggiosa forza del Ribelle. Doveva essere lui il Super Saiyan della leggenda, lui che con la sua dinastia aveva governato e conquistato ovunque ci fosse vita, eppure, il biondo che doveva folgorare i suoi crini e circordarlo di una fiamma d'orata si stava manifestando nel suo nemico. Così preso dai suoi pensieri dal non accorgersi di essere sollevato in aria, fuori dal palazzo, al cielo diurno. 

'Dannato! Non ne sei degno!' 

Ringhiò indietreggiando. Prese fiato cercando di non badare ai suoi istinti e di essere oggettivo, per poter calcolare le prossime mosse dell'aversario e poterlo colpire. 

'L'astio è un grave peccato, non sapevi?' 

_________________________

Ormai all'esterno del palazzo Bardack era seguito dalle prigioniere, il costante presentimento e l'intensa aura da lui percepita iniziarono a procurargli un'emicrania. Le iridi scure osservavano tutto ciò che aveva intorno maniacalmente rendendolo nervoso.

Gine aveva intuito cosa stesse accadendo, solo in un'occasione aveva potuto ammirare sul volto del suo amato l'espressione pensierosa e rigida che conduceva ad un nome preciso: Freezer. Le risultava impossibile concepire il ritorno del dittatore ma in lui credeva, si fidava e si era fidata anche quando aveva raccontato il piano del demone del freddo nel voler distruggere Vegeta-Sei al deceduto Re, il quale lo aveva rinnegato come un pazzo per poi ricredersi solo all'ultimo. L'uomo stringeva i pugni con forza, quella che sembrava un’illusione si stava rivelando peggio della realtà, era su quel pianeta, senza dubbio nello stesso paese e nella stessa regione. Lì intorno, nascosto chissà dove.

'So cosa ti tormenta, pensi a lui. ' 

La voce della mora gli fece incurvare le labbra in una smorfia, passò una mano tra la bandana e i folti capelli cacciando da questi una sigaretta che portò velocemente alla bocca mordicchiando il filtro con un canino. 

'Mh… devo parlarne con Zerves. Potrebbe essermi utile.' 

Nonostante fossero passati anni non aveva perso i contatti con Zerves, aveva combattutto con lui su tutti i suoli esistenti accompagnandolo anche durante la gloriosa rivoluzione. Tutt'altro si poteva dire per Nyos a cui spesso rivolgeva qualche pensiero durante la notte, sua figlia era sparita nel nulla, lui e la moglie uccisi, i suoi propositi di vendetta vanificati. La divisione creata non aveva portato diritti bensì soltanto un'accentuata differenza tra le classi. Gli sarebbe stato utile in quel momento, le sue imbattibili strategie e la realisticità con cui riusciva a vedere le cose lo avevano salvato più di una volta, tutta colpa della sua impulsività.

'Bardack l’ultima volta hai…' 

La donna volse il capo di lato stringendo con forza la coda morbida intorno alla vita, intimorita dal ricordo della battaglia contro Freezer. Perderlo non era nei suoi propositi, senza di lui avrebbe potuto vivere ma che senso avrebbe mai avuto farlo? Non aveva nessun vantaggio e quel Saiyan dalla corazza dura e dall'aria rozza e schiva era riuscito a tirarla fuori dall'abisso di nullità che l'aveva inghiottita. 

'Donna di poca fede. Ti porterò la sua testa mozzata se non ci credi.'


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Capitolo 9
*** Paura ***


La tenente dopo un primo momento di felicità nel ritrovare la scienziata a lei cara, stringerla tra le sue braccia seppur ancora doloranti e respirare il dolce odore della vita, aveva trovato la forza di risvegliarsi solo quando dalle sottili labbra di Lapis era sfuggito il nome della sorella, ancora in pensiero il ragazzo desiderava riabbracciarla, accertarsi che stesse davvero bene e che ciò che la saiyan incontrata un momento prima avesse detto fosse la verità e non una menzogna.

" La bionda, la terrestre."

Aveva sussurrato un Radish appena confuso, quella mattina stava accadendo tutto troppo in fretta e per lui era difficile mettere in fila gli eventi e trovare della logicità in ognuno di questi.
Suo fratello minore combatteva contro il principe della sua razza, percepiva chiaramente la sua aura, un qualcosa di inaudito, una potenza fuori dal comune che durante gli anni della sua vita non aveva avuto neppure la capacità di immaginare, sognare o sperare di possedere un giorno.
Aveva trovato quella prigioniera dai capelli inusuali nella camera di Vegeta, i Ribelli sembravano essersi alleati con la Resistenza e ora che gli tornava alla mente il minore della casata reale era svanito nel nulla.

" Launch, Lazuli! "

La voce cristallina della scienziata aveva fatto clamore nella stanza facendo scattare Yamcha e Lapis che ignorando il saiyan erano corsi per il corridoio dalla quale erano arrivati.
Le guardie li superavano per affrontare gli intrusi, non tanto i terrestri che alla loro vista apparivano come formiche, bensì l'ex generale Bardack che annientava i suoi simili uno dopo l'altro facendosi strada verso l'uscita.
Ora che con sé aveva sua moglie pareva aver dimenticato il patto fatto con la tenente, Radish e persino Kakaroth che al momento era impegnato in una lotta all'ultimo sangue sospeso assieme al principe tra la polvere al dì sopra della reggia.
Ma altro lo spingeva ad andare via da quel luogo, quel mostro era tornato e sapeva di non essere l'unico ad averlo intuito.

Le due ragazze svegliate dai continui rumori, impaurite ma desiderose di fuggire, si trovavano nei corridoi alla ricerca di una via per la salvezza.
Lazuli teneva la più grande dal polso trascinandola nella baraonda tra i corridoi infiniti, i corpi di quella razza sanguinaria spesso ostacolavano loro il passaggio, correvano inciampando sul tappeto rosso raggomitolato in più punti, si rialzavano con le ginocchia dolenti, le narici pizzicate da un fumo acre e dalla polvere delle macerie che crollavano sopra le loro teste per i continui colpi inferti dai Saiyan intenti a lottare.
Schivavano tossendo, con la gola bruciante e le iridi lucide.
Delle urla, il nome della riccia soffocato dalle grida di quei carnefici, era Yahmca, Lazuli lo udì.

" È il predone del deserto, loro sono qui!"

La più giovane strillò, la voce le uscì gracchiante quasi sommessa da una risata o un pianto.

" Loro sono qui!"

Sottolineò Launch, un tono più basso quasi incredulo da quella che sembrava essere la fine, al contrario per il dispiacere di tutti, quello era solo l'inizio.
Mancavano pochi metri, Lazuli intravide la figura del fratello a poca distanza da loro, corse trascinando dietro di sé Launch ma prima che potessero sfiorarsi, che la voce di Bulma arrancasse in quello stretto corridoio e che entrambe potessero anche solo distinguere il colore delle vesti dei loro compagni un boato fece scuotere le mura  di quel luogo.
________________

I fasci di luce emessi dal suo nemico quasi accecavano i suoi occhi d'ossidiana, le scariche elettriche emesse da quel corpo marmoreo accendevano in lui invidia.
Il principe dei saiyan non poteva provare un sentimento simile; lui era l'emblema della sua razza in quanto a forza, resistenza, l'astuzia che lo aveva accompagnata in ogni spedizione nelle galassie e terre più lontane.
L'unico a poter affermare di essere colui dal sangue puro, meglio del fratello, del padre che non aveva saputo gestire un regno di ignoranti.
Lui e solo lui, il grande e glorioso principe Vegeta inondato da quella luce, dal calore provocato dall'energia di Kakaroth.
Un guerriero di terza classe, di nessuna stirpe reale, cresciuto nei combattimenti rozzi e in un pianeta fin troppo dolce e ospitale.
Tutta la sua rabbia era stata riversata in un grido di disperazione in risposta a quella battuta da quattro soldi.
Sganciò il mantello lasciando che cadesse sulle rovine del suo castello, ondeggiando sinuoso accompagnato da quel lieve venticello mattutino e poi, in un impeto, si era gettato in una lotta furibonda, calci, pugni schivati dall'avversario.
Il lume della ragione era stato rimpiazzato dall'istinto, l'ultimo barlume di razionalità nello studiare chi avesse davanti era svanito.
Il vecchio Vegeta, furbo ed attento ad ogni tecnica e mossa era stato rimpiazzato da una bestia spinta unicamente dal rancore.
Il sangue ribolliva nelle vene del Saiyan, i denti digrignati e le palpebre ben aperte.
Si spostavano da un punto all'altro del cielo, Kakaroth se la rideva, sghignazzava e poi cambiava espressione in una che sembrava sottovalutare Vegeta, lo sfidava arcuando le labbra in un sorriso stolto.
Entrambi impegnati si accorsero fin troppo tardi di quella nuova energia, di una nuova aura che solo il più grande tra i due in un primo momento riconobbe.
Si allontanò dopo un gancio destro che Kakaroth non riuscì a schivare e che lo portò in svantaggio, distratto anch'egli.

" Chi diamine è…"

Disse in un rantolo sfiorandosi la guancia ed annullando la trasformazione che gli stava sprecando energie inutilmente.
Vegeta sembrava essere entrato in trans, risvegliato poi da un tremendo boato.
Le sue iridi scesero sotto i suoi piedi, la parte est del castello era andata distrutta, nuovamente il suo sguardo si alzò.
Alle spalle di Kakaroth uno dei suoi incubi che più da bambino lo aveva perseguitato aveva preso forma, carne ed ossa.
Quello che apparve a prima vista come un conato, una espressione di disgusto e successivamente atterrita fu tutto ciò che il figlio di Bardack notò prima di voltarsi.

" Che piacere avere di nuovo a che fare con voi scimmioni."

Stridula e nauseante, alle orecchie del principe parve come il peggiore dei rumori mai uditi.

" Vegeta e Bardack? O sbaglio?"

Freezer rise, quella risata sconnessa e diabolica, così finta da far rivoltare le budella.
Comodamente seduto a gambe incrociate e sospeso nel vuoto, dietro di lui arrivavano a decine una schiera di combattenti alieni, i quali aspettavano impazienti di eseguire gli ordini del loro capo discendendo dalla nave madre coperta in parte da nuvoloni scuri e minacciosi.
Perché non era riuscito a captarlo? Nessun presentimento? Perché non lo aveva notato, come si poteva non sentire una forza tanto ostile e potente? Colui che aveva distrutto il suo pianeta ed aveva posto fine a quella lieta sopravvivenza, seppur crudele, dei saiyan?
Un sigulgito, l'invidia aveva lasciato posto all'amarezza e alla vigliaccheria.
Il terrore che da bambino aveva provato si fece nuovamente spazio nel suo cuore ed aveva ricordato, vagamente capito, come i terrestri si fossero sentiti con il loro arrivo sulla Terra.
Vittime di qualcosa di più grande, scossi da una presa pungente che faceva annodare le viscere e perdere le speranze.
La paura.
_______________

Gine era senza energie, fuori da quei corridoi e gettata sul terreno arido le sue pupille erano ferme su quel mostro che anni addietro aveva terrorizzato il suo passato.
Quello che attimi prima non era riuscita a pronunciare perché fermata dalle parole di Bardack rieccheggiarono vivide nella sua mente.

"... l'ultima volta hai rischiato la vita, non puoi sconfiggerlo."

Gine parve sentire nuovamente il calore lasciare il corpo del suo amato, senz'anime dopo l'ultimo colpo violento lanciato con tutte le sue energie contro Freezer, ricordava il dolore pervaderle il petto e le lacrime scorrere sulle sue guance paffute e scivolare sul petto dell'uomo disseminato di tagli, l'odore della sua pelle bruciata.
Poi il flebile palpito del suo cuore, un respiro profondo come se fosse tornato in superficie dopo aver trattenuto per troppo tempo l'ossigeno.
Ma quella era stata solo fortuna, non sarebbe potuto riaccadere nuovamente.

Bardack non aveva avuto neanche il tempo di spiccare il volo per parlare con Zerves, avvertirlo e prepararsi all'imminente minaccia che una volta fuori dalla protezione delle mura della reggia rimaste era stato raggelato da quella presenza.
Lo sgomento era evidente non solo sul suo viso ma anche su quello degli altri saiyan che ammiravano con il capo alzato quello scenario raccapricciante.
Intenti nel fermare Bardack dal fuggire si erano resi conto che qualcosa non andava.
Brividi percorrevano quelle carni di ferro, negli occhi di quegli uomini aleggiava lo scenario di morte del loro pianeta d'origine, i caduti in battaglia, la felicità di quel giorno nell'aver sconfitto il tiranno ora prendeva un sapore amaro, un'illusione covata per troppo tempo ed un segreto che oramai era rivelato.

" Bardack, inutile parlare con Zerves, lui è già qui."

La madre di Kakaroth esalì di colpo, al suo fianco atterrarono i saiyan della resistenza, attirati dall'aura di Freezer che non avevano dimenticato, pronti a proteggere il loro nuovo pianeta e a farsi nuovamente vendetta.
// Okay mi dispiace essere tornata dopo tutto questo tempo ma hey! L'importante è tornare... proprio come Freezer hehehe

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Capitolo 10
*** Start ***


Centinaia di fasci di luce riempivano il cielo cupo sopra la reggia andata parzialmente distrutta dai primi combattimenti dei due nemici giurati, i potenti saiyan di terza fascia si era radunati in fretta e furia incuriositi da quella nuova, o vecchia, energia.

Il volto un tempo duro e intransigente del giovane era stato surclassato da uno sguardo impaurito, consapevole che con un solo colpo di quello spregevole essere il terreno sotto di lui sarebbe sprofondato, la Terra distrutta e con essa anche i loro corpi.
Il pomo d'adamo scese e risalì ripetutamente ingoiando la saliva che gli si accumulava in bocca, un senso di nausea gli rivoltava lo stomaco.
Vegeta aveva paura di morire, per la prima volta quella sensazione disgustosa iniziò a dilagarsi tra le sue membra.
Kakaroth, nel frattempo, manteneva uno sguardo di sfida ma era chiaro che anche lui, sotto quella maschera, provasse timore.
Quando Vegeta-Sei era andato distrutto, Kakaroth non era altro che un bambino e tra i suoi ricordi non balenava nulla di così terribile.
Sapeva, però.
Era a conoscenza, grazie alle voci tra i suoi seguaci della Ribellione, che Freezer era stato l'artefice della scomparsa del loro pianeta; come un'ombra il suo nome aleggiava tra i commilitoni incutendo terrore nonostante sapessero che di lui non vi era di che temere perché il suo spirito oramai bruciava tra le fiamme dell'inferno, un incubo lontano, sospeso tra realtà e finzione.
Ed ora eccolo lì, il suo spirito era integro, racchiuso nel corpo di quell'alieno dalla carnagione biancastra e dalle labbra nere come la morte.

Ogni cellula di quel corpo ribolliva di un'energia diabolica.

'Ebbene, noto che siete tutti molto stupiti del mio arrivo... tranne qualcuno.'

La voce di Freezer arrivò serpentina alle orecchie di saiyan e terrestri presenti, i quali, non riuscendo a percepire le auree, erano ignari di chi fosse e quanto al di là della loro immaginazione potesse spingersi il suo potere.
Era incredibile quanto, nonostante vi fossero centinaia di uomini su quella landa, regnasse un silenzio soprannaturale.

Gli occhi rossastri del demone del freddo si posarono verso il basso trapassando come lame acuminate quelli di Bardack, perse un battito nel vedere quel viso protagonista delle sue notti insonni ma ciò che ne scaturì il suo corpo fu ben altro: una scarica di agitazione pervase ogni centimetro della sua pelle e le mani iniziarono a prudergli in maniera fastidiosa.
L'uomo grugnì dal nervoso, tra i due vi era come un legame sottile e invisibile, percepiva da anni la sua presenza ma aveva assecondato la sua razionalità, eppure, per uno della sua razza, l'istinto valeva come unica via da seguire e credere.
Si sentì colpevole, ancora una volta non era stato capace di avvisare il suo popolo di quella nefasta apparizione, ma ora, al contrario della prima volta, avrebbe vissuto col rimorso di non aver neanche tentato.

'A questo punto, già che siete tutti qui, che ne dite di assaggiare la potenza del mio grande esercito? E poi, se ci sarà tempo, chissà, potrei anche concedere l'occasione a qualcuno di sfidarmi...'

Le pupille di Freezer balenarono sul secondogenito di Bardack, lo aveva osservato in quei lunghi anni compiacendosi di come il saiyan della leggenda avesse in comune il sangue del suo nemico.
Ma ormai, quel che più temeva vent'anni prima faceva solo parte dei suoi ricordi annebbiati. Non era più il Freezer di una volta, il suo potere era terribilmente aumentato sbloccando una nuova trasformazione, pari o maggiore a quella del super saiyan.

Bastò un gesto, l'indice alzato verso l'alto e poi riabbassato di scatto; gli alieni in battlesuit si scagliarono verso i saiyan con una velocità inaudita scansando con cura Kakaroth e Vegeta i quali non poterono che osservare la tragedia che stava per compiersi.
La polvere si alzò in una bufera di massi e pietre scagliate sotto la potenza dei saiyan impegnati nella lotta, tra quelli di terza classe svolazzavano mantelli e armature più lucenti di altre, i nobili si facevano spazio adeguandosi al caos della guerra.
Di fronte alla terribile minaccia di Freezer non vi erano più disuguaglianze, quei saiyan erano un corpo unico guidato dalla stessa voglia di sangue e vittoria.
Bardack non si perse d'occasione per proteggere la donna che finalmente era riuscito a liberare, la stringeva a sé mentre con la mano destra dal palmo aperto faceva piazza pulita di chi osasse avvicinarsi a loro lasciando fuoriuscire colpi potenti e precisi delineando una circonferenza completa.

Davanti a quello spettacolo Chichi sentì le ginocchia cedere, lo sguardo viaggiava tra la confusione mentre con un braccio si reggeva a Yamcha.
In mezzo a quel pandemonio quasi dimenticò l'obiettivo della missione.
Non era la loro guerra, non erano i loro nemici, non era un qualcosa che li riguardasse seppur lo scontro si compiesse su quel che un tempo era il loro amato e verdeggiante pianeta. Ingoiò un boccone amaro tentando di riprendere lucidità della situazione, come lei i suoi compagni erano in uno stato di trans, intimoriti dalle vibrazioni profonde che quelle razze aliene producevano nel terreno, nell'aria e nei suoni prorompenti.
Si ricompose di colpo afferrando in maniera violenta il braccio di Bulma oramai sfuggita dalle grinfie di quel principe, le sue unghie per poco non graffiarono la sua pelle pulita tanto era stata l'agitazione.

'Dobbiamo tornare sotto terra, ora! '

Il tono di Chichi fu perentorio, la sua intonazione parve come una minaccia ma non era altro che la paura a prendere il controllo della sua voce rendendola fin troppo rigida e sicura. Non vi era stato neanche il tempo di salutarsi, abbracciarsi o scambiarsi un unico sguardo di gioia dopo quel ritrovamento tanto agognato.

'Il passaggio è chiuso, quei cazzo di saiyan non sono riusciti a creare una via di fuga decente.'

Lapis mugugnò quelle parole in maniera stizzita mentre il suo sguardo viaggiava veloce tra le rovine, la reggia ormai era abbandonata, tutti i presenti erano impegnati nella lotta per la loro salvezza, la sua mano teneva stretto l'esile polso della sorella che arrancava nel seguirlo superando i detriti lungo il corridoio che un tempo era adornato da quadri e tappeti.
Chichi superò il gruppo, si fece avanti, affacciandosi oltre il punto dove fino a poco tempo addietro sorgevano le grandi porte, cercando una via di fuga lontano da quel combattimento.
A qualche metro di distanza il luogo da cui erano venuti, ripido, su per la collina, dove mura e colonne proteggevano da sguardi indiscreti. Non vi erano altri modi per arrivarci se non superando la salita, sarebbero stati sotto la vista di tutti i combattenti ma contro l'esercito di Freezer nessuno avrebbe posto troppo attenzione su dei terrestri.
Fece un respiro profondo e tirò avanti la mano di Bulma spronandola ad andare per prima, lei li avrebbe tenuti d'occhio e sarebbe salita per ultima.
La scienziata annuì sotto il suo sguardo deciso, a volte si domandava se quella donna non facesse parte di quella razza spietata.
Il suo coraggio, il suo orgoglio, l'amore spassionato per le arti marziali che le avevano dato l'onore di poter salire sul podio degli uomini più forti di quel pianeta.
Ma poi ricordò, Chichi non era come loro.
Chichi era una guerriera, sì, ma combatteva per l'umanità e non per sé stessa.

La turchina avanzò con fatica con una breve corsa fino alla collina, le gambe tremavano allo sforzo della ripida salita.
Dietro di lei Yamcha fece passare avanti Lazuli e Launch, mute come pesci.
La riccia voltava lo sguardo ininterrottamente cercando tra la mischia qualcuno o qualcosa e nonostante tutti se ne fossero accorti nessuno osò chiedere.

' Veloci, dai. '

La corvina li spronò spingendo in avanti  Lapis, ultimo della coda.
Si voltò nuovamente per tenere d'occhio ciò che accadeva intorno a loro, prima di intraprendere lo stesso percorso, ma in quel frangente di attimo in cui il suo capo volse verso le spalle del ragazzo a pochi passi da lei qualcosa le bloccò il polso tirandola indietro e facendola capitolare giù a valle.


Non aveva idea da quanto tempo fosse rimasto bloccato nel piazzale della reggia, la testa pulsava con un dolore acuto ad una delle tempie.
Ai suoi piedi qualcuno era appena stato gettato con impeto dall'alto, si mosse di poco notando i polsi bloccati dietro la schiena da quelle che parvero corde, in un primo momento, poi flussi di energia. Sbuffò alzando gli occhi al cielo rischiando di affogarsi con il sapore ferroso del sangue proveniente dalla sua lingua, probabilmente morsa quando ricevette il colpo in testa.
Un ammasso di capelli senza forma, Radish, era a pochi metri sopra la sua testa.
Si teneva un braccio sanguinante.

' Radish! '

Il fratello del principe urlò per ricevere la sua attenzione ma il ragazzo non parve averlo sentito, si rigettò tra la mischia e Tarble non poté che osservarlo impaurito.
Sapeva i Ribelli avessero attentato alla reggia ma non credeva avessero portato con sé tutto l'esercito.
Dovette ricredersi però, ai suoi piedi l'ammasso carbonizzato da un colpo di energia non era un saiyan, men che meno un terrestre.
La pelle bluastra e le corna facevano intendere altro.
Qualcun altro combatteva contro la sua razza e lo stemma presente sulla spalla destra del soldato deceduto sotto di lui faceva ben intendere di chi si trattasse, peccato che, per quanto ne sapesse, quel Dio degli inferi era morto anni addietro e suo padre lo aveva giurato fino alla morte.

Freezer non sarebbe più tornato, ma oggi quel bastardo era vivo più che mai.

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Capitolo 11
*** The fight ***


La guancia strofinò rovinosamente sul terreno lasciandole dei lunghi graffi dalla tempia fino al mento, il bruciore la fece mugolare portandola a stringere gli occhi.
In lontananza sentì l'urlo di Bulma richiamare il suo nome, fece perno sulle mani tentando di alzarsi ma la faccia sbattè nuovamente al suolo.
Le palpebre ancora strette dal dolore le impedivano di vedere ma sentiva un peso sulla testa, come se qualcosa o qualcuno le imponesse di rimanere ancorata a terra.
Con una mano cercò di arrivare a quel peso individuando la forma di uno stivale.

Nuovamente le urla di Bulma, in mezzo a quel baccano la voce stridula della donna stonava e risultava quasi fuoriluogo.

'Non sei una gallina starnazzante come quella eh?'

Il vocione di quello sconosciuto la fece rabbrividire, riaprì appena gli occhi individuando l'altro piede, afferrò con entrambe le mani la caviglia tirandola in avanti e facendo sbilanciare lo sconosciuto che dovette per forza spostare il peso dalla sua testa liberandola.

La corvina si rimise in piedi con non poche difficoltà, la risata di quello stolto la confuse.
La caduta l'aveva intontita con tutto quel rotolare giù dal breve tratto di salita che aveva compiuto.

' Che cazzo ti ridi...'

Chichi sbottò riuscendo finalmente a visualizzare la figura davanti a sé, fece un breve check del suo corpo tastando braccia e gambe.
Niente di rotto, solo graffi e tagli dovuti alle pietre beccate al suo passaggio.
Un essere dalla carnagione verdognola la osservava divertito, un sorriso sghembo, la battlesuit rovinata dai combattimenti che probabilmente aveva già affrontato nel mucchio pieno di saiyan e alieni a qualche metro da loro.

'Non so cosa ci facciate ancora vivi ma sotto il grande Freezer non avrete scampo.. e ti hanno già strappato la coda a quanto vedo.'

L'alieno partì all'attacco nel tentativo di colpire la giovane, Chichi era abituata a combattere con uomini più grandi di loro, la stazza per quanto corpulenta e all'apparenza spaventosa portava un deficit notevole: la lentezza.
Inoltre il fatto che l'avesse confusa per una saiyan la fece sogghignare divertita.
Combattere era una delle sue passioni più grandi ed uno scontro era quello che le ci voleva dopo tutti quegli anni di lotte fatte solo di strumenti tecnologici e corse a nascondersi.

Ogni colpo del mostro andava nel vuoto, Chichi era veloce, se non poteva colpire tanto da stordirlo poteva farlo stancare lasciando che i suoi colpi fendessero l'aria.

Si fece indietro dopo l'ultimo attacco mancato volgendo lo sguardo verso i suoi amici intimando loro di continuare per la loro strada, a nascondersi e fuggire.
Lei sarebbe sopravvissuta. 

Il nervoso di quell'essere era palpabile, il non riuscire a prendere di mira una femmina con un valore di potenza così infimo lo mandava su tutte le furie.

Chichi fece il grande errore di sottovalutarlo distraendosi e non notando i movimenti delle mani di quest'ultimo.
Le mani dell'alieno si aggrapparono al suo collo, sottile e delicato, la morsa iniziò a lasciare segni rossastri e lividi mentre il corpo della giovane si alzò dapprima di pochi centimetri da terra e poi sempre più in alto.

Il respiro parve mancarle, con le gambe tentò di colpire il suo attaccante ma i piedi si mossero nel vuoto.
Strinse con forza gli occhi annaspando con la bocca nel tentativo di recuperare ossigeno.
Dinanzi a lei ancora quel sorriso nauseante, gli occhi vivaci del tipo mostravano una grande eccitazione, poi, di colpo, assunsero un'altra espressione.
Le sopracciglia si alzarono dalla sorpresa, le pupille scure si allargarono e la bocca si mosse verso il basso.
Il corpo massiccio crollò sulle ginocchia abbandonando la presa dal suo collo lasciandola finalmente libera di poter respirare.

Un foro faceva capolino dalla tempia destra dell'alieno ancora con gli occhi sbarrati.
Chichi volse lo sguardo da dove il colpo sarebbe potuto provenire, in alto una figura già conosciuta.
Il palmo della mano ancora aperta, da quella distanza non riuscì a distinguere se si trattasse di Bardack o del suo primogenito.
In ogni caso ora era consapevole, non erano ignorati dai presenti, tutt'altro, i loro occhi assassini li seguivano, scrutavano, attaccavano e proteggevano.

Non erano al sicuro come credevano.




Tarble ci mise più di qualche minuto a liberarsi, dovette alzare la sua aurea a tal punto da poter rompere le manette fatte di energia che gli stringevano i polsi.
Fece qualche passo in avanti alzando lo sguardo verso lo spettacolo che gli si parò di fronte; orde di combattenti si sfidavano fino all'ultima goccia di sangue e da quel che poteva notare il numero dei caduti alieni era superiore a quelli della sua nobile razza.
A furia di combattere tra loro i saiyan avevano innalzato il loro livello, lottare tra i simili con pari forza li aveva spronati a diventare più forti, tutt'altro si poteva dire sull'esercito di Freezer che, probabilmente, in quegli anni, si era solo occupato di sterminare pianeti con un potenziale nettamente inferiore al loro.

Suo fratello era lì, percepiva il suo malessere interiore e sapeva che anche il Demone del freddo potesse farlo.
Non poteva intervenire, la sua forza non era al loro livello ma era sicuro, col figlio dell'ex-generale, Freezer non poteva niente.
Un sorriso di vittoria apparì sul volto del giovane ragazzo, fece un cenno sul capo e volò nella mischia.
Non poteva rimanere con le mani in mano, non dove il suo popolo combatteva contro lo sterminio di un estraneo.



'Impeccabile, davvero un colpo calibrato.'

Le mani biancastre di Freezer batterono l'una contro l'altra in un breve applauso sarcastico.

'Non avevo idea i saiyan avessero legami con i natii di questo insulto pianeta, eppure, ero sicuro che mischiarvi con altre razze non fosse tra i vostri ideali.'

Continuò osservando Kakaroth che dovette voltarsi mentre ascoltava quelle parole senza senso uscire dalle labbra sottili del nemico.

La risata di Vegeta interruppe quel momento, l'aurea del principe aumentò lasciando che le punte dei suoi capelli svolazzassero nella fiamma argentea che lo circondava.

'Ti sbagli, non è stata che compassione.'

La mano del principe puntò verso destra, alla cieca, un ki-blast partì dalla punta delle sue dita colpendo un bersaglio preciso.

Il giovane cadde di colpo, senza batter ciglio, ignaro di cosa fosse accaduto.
Finì in avanti colpendo la ragazza di fronte a sé e finendo poi sul suolo in una pozza di sangue che fuoriuscì dal suo sterno.
Non ebbe neanche il tempo di poter chiudere le palpebre o lasciar trapelare un sospiro.
Una morte silenziosa tanto quanto inaspettata.
Si alzò un urlo al suo capezzale, disperato.

Vegeta si parò alle spalle di Freezer, le braccia intorno al collo lo scagliarono via dal suo trono ma il suo volò fu momentaneo.
Il Demone scagliò uno dei suoi colpi di energia sul principe il quale venne solo sfiorato sullo zigomo, la potente onda si infranse in lontananza in un boato.

'Non distrarmi.'

Scandì, non prima che Kakaroth si unisse allo scontro fagocitando il corpo dell'alieno con pugni e calci che sulla pelle dura di Freezer parvero non avere riscontri.
I due si librarono nell'aria come puntini, distinguibili solo dalle potenti onde scagionate dalla potenza dei colpi.

Vegeta si sentì ridicolo in quella situazione, quel Ribelle gli aveva tolto l'onore di combattere contro un nemico immemore e la furia divampò violenta nel suo animo costringendolo ad urlare il nome di Kakaroth nella speranza che lo ascoltasse e gli lasciasse il posto.

Il ragazzo qualche anno più giovane era immerso nella lotta, le nocche delle sue mani sanguinavano da un pezzo.
Si fece indietro dopo l'ultima serie di pugni caricando energia che in fasci di luce si divampò come lampi, Freezer li schivò prontamente parandosi a pochi centimetri dal viso del saiyan, un ghigno giocoso prima che una testata colpisse Kakaroth che venne scagliato con forza verso terra.

Vegeta trattenne il fiato, era il suo momento.
Con un scatto tentò di porsi alle spalle del Demone ma il terza classe fu più veloce soffiandogli il posto.
Parve quasi che si fosse teletrasportato da un punto all'altro.
La velocità del figlio di Bardack lo colse di sorpresa e non potè far altro che farsi da parte.

Un kiblast colpì la schiena di Freezer che finì lontano venendo catapultato sul suolo in una grande voragine.
Kakaroth lo seguì scendendo lentamente fino a poggiare i piedi a qualche metro da lui.

'Sei spacciato.'

'No, quello sei tu.'

Una voce alle sue spalle parlò sommossamente, non fece in tempo a voltarsi che due mani strinte in un pugno lo colpirono in testa facendolo crollare privo di sensi.




//HOOOOOLA! Ammetto di essere mancata per un paio di annetti ma da qualche mese a questa parte dragon ball ha iniziato a far parte nuovamente della mia vita e queste settimane di nulla assoluto mi hanno portata a rirpendere in mano la scrittura, dunque, ho deciso di continua e completare questa storia. Spero vi piaccia e se così fosse recensite pure lasciando un parere. Un abbraccio! -Daph

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