How I feel when I'm around you

di StormyPhoenix
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Saviour ***
Capitolo 2: *** Sad story and strange feelings ***
Capitolo 3: *** Someone cares ***
Capitolo 4: *** Dazed ***
Capitolo 5: *** Just in time ***
Capitolo 6: *** Idea ***
Capitolo 7: *** Something goes right ***
Capitolo 8: *** The wait ***
Capitolo 9: *** A normal Christmas Eve ***
Capitolo 10: *** A nice game ***
Capitolo 11: *** What the early morning brings ***
Capitolo 12: *** Unexpected things ***
Capitolo 13: *** Meeting ***
Capitolo 14: *** This talk will be our secret ***
Capitolo 15: *** Long-time friends reunite ***
Capitolo 16: *** Catching-up ***
Capitolo 17: *** Meet the guys ***
Capitolo 18: *** N.Y.D. - New Year's Delirium ***
Capitolo 19: *** At night ***
Capitolo 20: *** Upcoming dawn ***
Capitolo 21: *** First flight ***
Capitolo 22: *** Photograph / Awkwardness ***
Capitolo 23: *** First day ***
Capitolo 24: *** Around the city ***
Capitolo 25: *** Sun and clouds ***
Capitolo 26: *** Acknowledge ***
Capitolo 27: *** Studio day ***
Capitolo 28: *** Chill ***
Capitolo 29: *** Confusion, confusion ***
Capitolo 30: *** Roulette ***
Capitolo 31: *** Exploding ***
Capitolo 32: *** About time! ***
Capitolo 33: *** Bonfire ***
Capitolo 34: *** Small changes ***
Capitolo 35: *** Encounters ***
Capitolo 36: *** What a day! ***
Capitolo 37: *** Fulfilled ***
Capitolo 38: *** Different places, different events ***
Capitolo 39: *** In search ***
Capitolo 40: *** White heat ***
Capitolo 41: *** (Re)Kindling ***



Capitolo 1
*** Saviour ***


Salve a tutti!
Su consiglio di una cara amica (scrittrice come me) ho deciso di iniziare a pubblicare questa storia, anche se è ancora agli inizi e per come stanno attualmente le cose nella mia vita non sarò puntuale/regolare ad aggiornare pure in questo caso... xD
So anche che è un po' cliché, ma ritengo che quando si è agli inizi in un fandom sia normale, e per quanto sia appunto un po' cliché ho cercato e cercherò sempre di renderla meno scontata. :)
Buona lettura, attendo recensioni!







L'asfalto duro e gelido sotto di me.
Il buio della notte appena attenuato dai lampioni.
Mi sento come se mi fosse passato sopra un camion.
Perché sono ancora viva?
Dovrei essere morta...
Ho i muscoli intorpiditi e dolori ovunque, non oso muovermi per paura di peggiorare il dolore o qualche frattura.
Ho la gola in fiamme per quanto ho urlato e non so se ho ancora abbastanza voce per poter chiedere aiuto nella speranza che qualcuno mi senta... non so nemmeno se farlo, tutto questo dolore e tutta questa sofferenza sono troppo per me, sono ormai un relitto senza vita... ma l'istinto di sopravvivenza in me ha la meglio e dunque inizio a implorare aiuto con la voce che mi è rimasta.
Dopo alcuni minuti le mie forze diminuiscono sempre più e la vista mi si appanna... ma proprio quando sto per perdere ogni speranza intravedo una figura che si avvicina e si china su di me. 
Non so chi sia, cosa voglia, ma ormai accada quel che deve accadere...
Mentre mi sento sollevare da terra il mio corpo si arrende e sprofondo nel buio dell'incoscienza quasi senza rendermene conto.

-Serj-
Fare due passi ogni tanto è mia abitudine, ma a volte mi viene lo strano desiderio di camminare in vicoli nascosti e semisconosciuti... forse per fuggire gli sguardi delle persone che mi riconoscono, o per stare un po' più da solo con me stesso. Questa sera è una di quelle volte.
Prima di uscire di casa, lasciando Shavo e John sul divano a fare zapping e chiacchierare e Daron chiuso nella sua stanza a suonare, mi sono accorto di avere un presentimento che non riesco a qualificare e che mi rende inquieto anche ora dopo svariati minuti di passeggiata; quasi prego che succeda qualcosa che lo confermi o lo smentisca, perché mi rende nervoso e non mi piace.
Improvvisamente sento un lamento, abbastanza fioco invero, provenire dalle vicinanze, da quel reticolo di viuzze. Scatto sull'attenti, cercando subito di individuare l'origine del suono che nel frattempo si ripete ancora qualche volta, diventando sempre più debole e implorante; dopo alcuni minuti di girovagare la mia affannosa ricerca ha esito.
Lì, sull'asfalto della strada, giace una figura rannicchiata, con abiti sporchi e disordinati e ferite ovunque... una ragazza.
Mi avvicino e mi chino su di lei, cercando di capire se le sue condizioni sono tali da richiedere un ricovero in ospedale, infine decido che per stasera la porterò a casa, là sarà al sicuro e potrà riprendere conoscenza, ciò che ha appena perso ora che è fra le mie braccia.
Non mi importa di cosa accadrà, non posso lasciarla lì e andare avanti, devo fare almeno quel poco che posso fare.

«Serj, ma ti sembrava la serata adatta per portare qualcuno a cas-» neanche il tempo di entrare che Daron inizia a dire questa frase, ma la voce gli muore in gola perché lo fulmino con gli occhi.
«Oh merda! Chi è? Cosa le è successo?» si allarma Shavo, avvicinandosi e osservando il grosso fagotto fra le mie braccia.
«Non so chi sia e cosa le sia successo, so solo che giaceva a terra in un vicolo e non me la sono sentita di lasciarla lì e ignorarla» spiego, con voce bassa.
«Deve essere stata malmenata, guarda che lividi e che segni!» constata John, osservandola da una certa distanza.
«Dovremmo chiamare un dottore, ammesso che se ne riesca a trovare uno a quest'ora...»
«Shavo, un mio amico è dottore, potremmo provare a chiamarlo.»
«Sì?»
«Là vicino al telefono fisso c'è un biglietto con su scritto il suo numero.»
Il bassista fa come gli ho detto e, dopo un attimo di ricerca, solleva un post-it giallino.
«Serj, è questo? Dottor Najarian?»
«Sì. Chiedigli se può venire ora... meglio non rischiare, non sapendo le reali condizioni della ragazza.»
Shavo annuisce, poi si accinge a fare la telefonata.
«Bene, ci mancava solo questo» commenta Daron, con la faccia fra le mani. «Abbiamo già tante altre grane, prenderci anche cura di una sconosciuta malconcia non è il massimo in questo momento...»
«Quante storie!» lo rimbrotto. «Una volta che si sarà ripresa non avremo più il problema, contento?»
«Contento non proprio, ma sarebbe meglio» mugugna, guardando prima me e poi la ragazza. È già abbastanza difficile la situazione, spero solo che Daron non dia ulteriori noie.
«Anziché brontolare, perché non vieni di sopra con me così sistemiamo la stanza degli ospiti e mettiamo a letto la ragazza?»
«Okay...» risponde il chitarrista, senza troppo entusiasmo, e mi segue. Percorriamo la rampa di scale che porta al piano superiore, sul cui corridoio si affacciano le nostre camere, e arriviamo alla porta in fondo, quella della stanza degli ospiti; per fortuna è stata usata di recente e quindi non odora di chiuso, ed è pulita. Mentre Daron si adopera per sistemare il letto osservo la giovane, cercando di indovinare i suoi tratti del viso sotto la polvere e il sangue: non credo superi i ventitrè o ventiquattro anni di età, e non mi sembra nemmeno un viso già visto per strada o in qualche negozio. La fatica di sorreggere il suo corpo inerte non è eccessiva e, guardandola, sembra peraltro anche troppo magra.
«Ordini eseguiti, capo!» fa Daron, mettendosi sull'attenti in stile soldato.
«Buffone» ridacchio, spintonandolo appena con una spalla, poi adagio la ragazza sul letto, con dei cuscini sotto alle gambe, e stendo su di lei un paio di coperte.
«Chissà cos'avrà passato...» mormoro, guardandola.
«Io più che altro mi chiedo cosa ci porterà la sua presenza...» commenta l'altro, guardandola anche lui. «Spero non porti guai o grane.»
«Sono sicuro che non ne porterà, tranquillo.»
In quel momento compare Shavo, foriero di qualche notizia a ben osservare la sua faccia.
«Ha chiesto qualche minuto per prepararsi e poi verrà» ci avvisa.
«Perfetto.»

Sembra passata un'ora quando udiamo due colpetti alla porta e la morsa dell'ansia si attenua leggermente.
«Serj!» esclama l'uomo sulla soglia, entrando e venendomi incontro per salutarmi.
«Arevik! Ti aspettavo con ansia» dico, una volta sciolto l'abbraccio. «Immagino che il mio collega Shavo ti abbia già detto qualcosa quando ti ha chiesto di affrettarti.»
«Sì, mi ha detto che avete trovato una ragazza ferita per strada e non sapete determinare esattamente le sue condizioni» risponde Arevik, pensieroso. «Dov'è?»
«Vieni e te la mostro.»
Il medico mi segue su per le scale e, aperta la porta della stanza degli ospiti, rimango sulla soglia e lascio che lui prosegua, poi lo raggiungo.
«Quanto tempo fa l'avete trovata?»
«Una ventina di minuti fa. L'ho trovata io mentre camminavo per strada.»
«In che stato era?»
«Era cosciente, ma poi è svenuta fra le mie braccia, non so se per qualche trauma o per lo sfinimento.»
L'uomo, dopo aver poggiato la sua borsa, si avvicina alla ragazza e le prende prima un polso, poi l'altro, osservandole le braccia da più angolature.
«Il battito è buono, regolare e abbastanza forte, e a giudicare dalla posizione delle braccia non ci sono fratture» constata, con aria concentrata. «Quanto alle ferite visibili» e dirige lo sguardo verso il viso «ha un taglio su un labbro e le è uscito del sangue dal naso, ma il setto nasale non mi sembra contuso, non c'è gonfiore e non c'è nessuna chiazza violacea, suppongo sia stata presa di striscio e quindi si sia soltanto rotto qualche capillare. Posso sollevare le coperte per controllare il resto?»
«Certo, fai pure.»
Arevik esamina le gambe e annuisce come per dire che è tutto okay, non c'è niente di rotto nemmeno là; con suo grande imbarazzo è costretto a dover spostare la maglia della ragazza per esaminare il torso ed entrambi trasaliamo alla vista dei numerosi ematomi sparsi sulle costole e sull'addome. 
«Per determinare se c'è qualcosa di rotto che non si vede la ragazza dovrebbe essere cosciente... suggerirei di farla rinvenire solo per sicurezza e di lasciarla poi dormire normalmente. Credo se la sia vista proprio brutta questa sera, ma è quasi miracolata se ha così poche lesioni... a volte le ferite di un pestaggio possono essere gravi e anche mortali.»
Corro a procurarmi dell'aceto e lo accosto al viso della ragazza; la vedo muoversi, ma a malapena apre gli occhi. Deve essere davvero sfinita...
«Farò velocemente, visto che non sappiamo per quanto tempo ancora sarà cosciente» dice Arevik, e procede a tastare con delicatezza la cassa toracica, le braccia e le gambe; la giovane non reagisce quasi, sebbene cosciente, eccetto quando viene toccato qualche livido.
«Va bene, ho finito» annuncia il dottore. «Visto che non ha urlato e all'apparenza non c'è nulla non ha fratture, solo lividi. Con un po' di riposo dovrebbe riprendersi.»
Udiamo un sospiro e per un attimo scattiamo sull'attenti, per poi constatare che la ragazza si è placidamente addormentata.
«Grazie mille, Arevik.»
«Non c'è di che, Serj» replica lui, con un sorriso. «Per un amico questo e altro.»

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Capitolo 2
*** Sad story and strange feelings ***


Salve!
Visto che finalmente il primo capitolo di questa mia nuova storia ha ricevuto un altro poco di feedback, ho deciso di aggiornare di già e questo capitolo è anche un poco più lungo dell'altro :) qui entra in gioco un altro membro della band in questione e sarà un personaggio fondamentale per la storia!
Non vi spoilero più nulla e non vi disturbo più, buona lettura u.u <3







-Serj-
Quando finalmente è giorno tiro un sospiro di sollievo, seppur alzandomi controvoglia visto che per tutta la notte ho dormito a metà, temendo che la ragazza chiamasse per chiedere qualcosa di urgente e nessuno la sentisse; la prima cosa che faccio è proprio andare ad accertarmi delle sue condizioni.
Entro nella sua stanza, in punta di piedi, e mi avvicino al letto: praticamente è nella posizione in cui l'ho lasciata ieri, non pare avere ripreso conoscenza... forse sarebbe opportuno farla rinvenire.
Proprio mentre mi muovo per prenderle un polso e scuoterla leggermente vedo le dita della sua mano sinistra muoversi lievemente e mi blocco; la guardo in viso e finalmente vedo che riapre gli occhi, anche se un po' a fatica.
«D...dove sono?» chiede, con voce rauca e debole, guardandosi intorno e fissando poi i suoi occhi su di me.
«Sei in un luogo sicuro» rispondo, con gentilezza, cercando di metterla a suo agio.
La ragazza cerca di mettersi seduta, con molta fatica, ma la risospingo garbatamente sui cuscini.
«Credo sia un po' presto per alzarti, sei malconcia e senza forze» le spiego «è meglio se rimani stesa. Non c'è fretta, e non porti disturbo.»
Lei mi sorride e io ricambio il sorriso con genuina dolcezza, poi mi alzo un attimo e vado a procurarmi il necessario per pulirle il viso.
«Lascia che ti risistemi un po'» dico, sempre con molta gentilezza; lei si avvicina e lascia che io le lavi il viso con una pezza umida, paziente, e io cerco di essere più attento e delicato possibile.
«Posso chiederti come ti chiami e cosa ti è successo?» domando, una volta finito.
«Certo... e mi sembra d'obbligo visto che ti sono piombata fra capo e collo» risponde, con un sorrisino un po' storto, rimettendosi comoda. «Mi chiamo Nikki, ho ventitrè anni, abito qui e...»
Vedo che i suoi occhi si riempiono improvvisamente di lacrime e l'effetto su di me è pari ad una stilettata; mi azzardo a prenderle una mano fra le mie, cercando di incoraggiarla.
«... e ieri sera sono stata picchiata.»
«Come mai?»
«Suppongo sia stato perché sono una diversa
«Diversa? A me sembri una persona normalissima.»
«Per quelli che mi hanno menata evidentemente non sono così normale... e se mi guardi capisci bene perché...»
La osservo e noto solo in quel momento il colore dei suoi capelli, un blu profondo, un labret e alcuni tatuaggi sui polsi sottili, visibili per via delle maniche sollevate.
«E basta così poco per decidere che una persona merita violenza?»
«A quanto pare... per me non è concepibile che uno non possa fare quello che gli pare nella propria vita, soprattutto se non fa del male agli altri. Non so nemmeno come faccio ad essere ancora viva, visto quanto mi hanno picchiata e con che violenza...»
«Ma, aspetta... tu conosci le persone che ti hanno aggredita?»
«Non ho visto i loro volti nel buio, ho sentito solo le loro voci ma, nello stato in cui ero, non le ho riconosciute.»
«Per ora dovrai pensare a riprenderti, poi quando starai meglio e se te la sentirai faremo ciò che c'è da fare, okay?» dopo una piccola pausa di silenzio parlo di nuovo, seriamente intenzionato ad aiutarla.
«Va bene» risponde lei, con un sorriso, asciugandosi le lacrime con il dorso di una mano e sporcandolo di residui di trucco.
«Comunque io mi chiamo Serj» mi presento, porgendole una mano che lei prontamente stringe con vigore.
«È un piacere conoscerti, Serj... grazie di tutto.»
«Non c'è di che, davvero. Su, ora dormi, devi recuperare le forze» le dico, risistemandole le coperte prima di andarmene. «Dopo un altro po' di riposo provvederemo a tutto.»

-Nikki-
Il mio istinto aveva ragione.
La persona che mi si stava avvicinando poco prima di svenire era buona... così buona che ha deciso di accogliermi in casa sua così, senza nemmeno sapere chi ero, se ero pericolosa o meno, senza giudicare.
Ho un dubbio che vorrei chiarire in qualche modo, ma sono così stordita dagli eventi del giorno precedente che non riesco ancora ad essere totalmente lucida.
Perché il nome di colui che mi ha salvato non mi è del tutto nuovo? Non mi sembra nemmeno un nome originario di questo posto...
Sento il sonno arrivare di nuovo, quindi mi accoccolo di più sotto le coperte e interrompo il corso dei miei pensieri.
Più tardi, da sveglia, tornerò a rimuginarci su.

Quando mi risveglio è pomeriggio e inizio a sentirmi stanca di stare stesa. Dopo aver messo cautamente i piedi per terra, appoggiandomi al comodino, cerco di mettermi in piedi e constato che riesco a stare in piedi, sebbene non sia molto stabile... vorrà dire che dovrò camminare appoggiandomi ai muri.
Apro la porta, che si muove fluidamente senza cigolare, e dopo aver dato rapidamente un'occhiata intorno a me inizio a muovere i primi passi, tenendomi rasente alla parete.
Mi dirigo verso il bagno, avendone bisogno anche per ridarmi un aspetto decente, nel corridoio poco illuminato ma abbastanza chiaro; non accendo alcuna luce perché non voglio che eventuali coinquilini di Serj mi scoprano, anche se probabilmente sanno della mia presenza nella loro casa.
Proprio mentre faccio per svoltare ed arrivare al bagno incrocio uno dei suddetti individui che coabitano in questa grande casa e rimango come pietrificata per qualche attimo.
Davanti a me c'è un ragazzo, suppergiù della mia età, con indosso soltanto un asciugamano attorno alla vita, chiaramente fresco di doccia; i tratti del viso sono orientali, ha grandi occhi scuri, capelli a loro volta scuri e non molto corti e appiattiti dall'acqua, un poco di barba dalla foggia strana, labbra sottili. In due secondi passa dall'essere rilassato all'essere stupito, e so bene di essere io la causa di ciò.
«Scusa... io...» cerco di distogliere lo sguardo e mi volto, facendo per tornare nella mia stanza, ma mi blocco appena sento che mi ha preso gentilmente per un polso.
«Non andare così di fretta, sei ancora troppo debole per correre» esordisce, lasciando la presa e guardandomi senza una particolare espressione. Ha una voce poco profonda, chiara e sonora che, stranamente, mi piace.
«Oh... no, no, certo... è che...»
«Su, non essere così timida. Non hai mai visto un uomo in queste condizioni?» non sembra per niente imbarazzato dalla situazione, anzi è piuttosto sfacciato e ora mi guarda con un sopracciglio inarcato e con le mani posate sui fianchi.
«N-no...»
«Oh, che gran briccone che sono stato a turbare una innocente fanciulla!» ora è scherzoso e perfino vagamente beffardo mentre finge di darsi un buffetto in testa, e mi azzardo ad accennare un sorriso.
«Il bagno è libero, sta' attenta a non caderci dentro!» aggiunge, con una risatina, prima di passare oltre e sparire dietro una delle porte nel corridoio.
Rimango ancora per qualche secondo ferma per metabolizzare ogni cosa dell'evento appena verificatosi, cercando di domare il battito cardiaco che è praticamente un galoppo di cavalli e il respiro che si è fatto rapido e di ignorare il calore sulle guance.
Non so se considerarlo simpatico oppure piuttosto irritante... un momento pareva scherzoso e subito dopo pareva quasi beffardo, al confine fra il positivo e il negativo.
Credo che non sarà facile avere a che fare con quel tipo, ma non sa chi sono io... se questo è il suo modo di essere allora ha trovato pane per i suoi denti.
Mentre rimugino su queste cose arrivo finalmente alla porta del bagno ed entro subito, premurandomi di chiudere a chiave la porta. Giunta nei pressi dello specchio sopra il lavandino esito, non sentendomi molto pronta a vedere come sono messa, quindi mi guardo intorno. Su uno sgabello lì vicino vedo una pila di asciugamani ben ordinata e c'è sopra un biglietto: per curiosità lo prendo e lo leggo.
"Per l'ospite infortunata! Non distruggerli ;) - Daron"
Il tono del biglietto somiglia al tono della piccola conversazione che ho avuto con il ragazzo incontrato poco fa... quindi si chiama Daron, e nemmeno il suo nome mi è del tutto nuovo. Che spiritoso, teme che io sia una persona distruttiva! Non so se ridere o darmi una manata in faccia.
Finalmente prendo coraggio e mi guardo nello specchio e, dopo aver trattenuto il fiato per un paio di secondi, espiro lentamente.
Ho un'ombra viola sotto un occhio, una scia di sangue asciutto che va dalla base del naso fino al labbro spaccato ma per fortuna né l'osso né la cartilagine si sono rotti a quanto pare perché non sento nemmeno molto dolore; per il resto sono ancora giusto un pochino sporca anche se Serj mi ha pulito, ma suppongo sia rimasto qualcosa perché non ha osato premere e sfregare per non farmi male.
Apro il rubinetto e lavo la faccia a lungo, strofinando la pelle e avendo cura di non toccare le lesioni e i lividi né durante il lavaggio né durante l'asciugatura, e quando mi guardo di nuovo nella lastra riflettente lucida di fronte a me finalmente mi riconosco un po' di più. Noto poi che nella pila vi è un accappatoio, quindi ne approfitto per fare una doccia; resto immobile sotto il getto di acqua calda, come se tentassi di lavare via anche i brutti ricordi della recente esperienza insieme al resto. Dopo una decina di minuti mi rassegno ad uscire; mi asciugo, mi rivesto con gli stessi abiti di prima, rimetto tutto in ordine ed esco da lì dopo aver piegato il bigliettino di Daron e averlo infilato in tasca.

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Capitolo 3
*** Someone cares ***


Salve! Eccomi qui ad aggiornare di nuovo :) conviene che lo faccia adesso che posso prima di non potere più... xD
Grazie a chi legge anche senza recensire, ringrazio calorosamente la cara JinxxedOutlawGirl che mi segue con attenzione e recensisce e mi fornisce spesso i suoi preziosi consigli <3
Buona lettura!








«Ciao Nikki, disturbo?» Serj fa capolino dalla soglia della camera, inatteso, ma non mi spaventa.
«Oh no, affatto» rispondo con un sorriso e lui entra, camminando a piccoli passi.
«Stai meglio?» mi chiede, sedendosi cautamente sul bordo del letto.
«Sì, molto meglio» rispondo, grata. «Uno dei tuoi coinquilini mi ha anche messo a disposizione degli asciugamani, così ho pensato di approfittarne per riavere un aspetto più normale...»
«Hai fatto benissimo, non c'è problema» Serj continua a sorridere e annuisce. «Uno dei miei coinquilini, dicevi?»
«Sì» replico, poi decido di fingere di non ricordare il nome «quello bassino con quella strana barbetta.»
«Ah, intendi Daron? Beh, è un bravo ragazzo, quando vuole anche più che bravo... è solo un po' strano e alquanto lunatico.»
«Oh» riesco solo a dire, con genuino interesse per ciò che ho appena saputo.
«Visto che sembri esserti ripresa, ti va di scendere al piano di sotto? Così potrai mettere qualcosa sotto i denti e ti presenterò gli altri miei due coinquilini.»
«Cibo per ora no, grazie, non ho ancora molta fame, però vengo volentieri» replico, contenta, e scendo subito dal letto, rimettendomi le mie Converse.
Arrivati alla rampa di scale Serj mi porge un braccio e io, pur avendo a disposizione il corrimano, accetto la sua offerta e mi lascio aiutare, cercando di non gravare troppo su di lui.
«Ciao!» appena entro nel salotto due voci all'unisono mi salutano; alzo lo sguardo dal pavimento e, sul divano davanti ai miei occhi, vedo seduti due ragazzi. Uno ha capelli cortissimi neri, pizzetto e barbetta neri ed ha la stazza di un buttafuori, l'altro è praticamente il suo contrario ed è senza capelli, con una strana barba biondiccia e lunga. A primo impatto sembrano persone piacevoli.
«C-ciao...» balbetto un po' mentre rispondo al loro saluto, timida; Serj fa le presentazioni e stringo la mano ad entrambi, pregando che la mia non sia sudaticcia. Credo anche che il mio dubbio sull'identità di questi individui stia per essere risolto...
«Stai meglio?» John, quello robusto, riprende poco dopo il discorso; annuisco in risposta.
Lo vedo sorridere. «Bene! Non eri in buone condizioni ieri sera, quando Serj ti ha portato qui... qualche osso rotto oltre ai lividi e al sangue?»
«Per fortuna no, anche perché altrimenti sarei già all'ospedale a farmi ingessare...»
«Sì, certo... ma non stare lì in piedi, vieni a sederti!»
Accolgo il suo invito, ma internamente ho un'ansia terribile. Dio, perché sono così problematica?
«Su, su, niente vergogna» proclama Shavo, con aria fintamente solenne e seria «qua sei praticamente fra amici!» continua e poi mi da un rapido abbraccio che ha l'effetto di mettermi a mio agio.
«Amiciii!»
Un urlo squarcia l'aria, e Daron compare improvvisamente nella stanza, con aria molto allegra: ora finalmente è vestito, indossa una t-shirt nera e un paio di pantaloni morbidi, ma ancora rivedo il suo corpo seminudo nella mia mente e la cosa mi manda in tilt per l'imbarazzo.
«Oh, vedo che sei ancora viva» dopo alcuni secondi il ragazzo si accorge della mia presenza e mi guarda, con espressione indecifrabile. «Sei messa maluccio, cosina. Se mi comparissi davanti nel buio in questo stato mi prenderebbe un colpo!»
«Daron!» lo rimbrotta Serj, accigliato. «Non essere antipatico e sgarbato!»
«Papino, non sto facendo l'antipatico» lo rimbecca Daron, con una smorfia. «Non l'ho mica offesa, eh.»
«Non ti sei nemmeno presentato e già la sfotti, non è molto da gentleman» continua l'altro, sempre con la fronte corrugata.
«Oh, sono proprio uno screanzato» il più basso ancora una volta fa lo spiritoso e finge di rimproverarsi da solo per le sue mancanze, poi viene verso di me a passo rapido e mi scruta per qualche secondo prima di porgermi la sua mano. «Ciao mostriciattolo, ehm... è un piacere conoscerti. Daron, per servirti.»
«Piacere mio, antipatico» rispondo a tono «io sono Nikki.»
«Bestiolina, mi piacciono i tuoi capelli, sai?» riprende subito Daron, scrutandomi da vicino e muovendosi da una parte all'altra. «E anche i tuoi tatuaggi e il tuo piercing.»
«Grazie, ma perché mi chiami così?» lo ringrazio, accigliata. Non capisco perché fa così.
«Beh, doveva essere un soprannome carino» il bruno fa spallucce «bestioline come te ce ne sono poche in giro e sono quelle persone che a noi piacciono.»
«Oh» non so che dire, sono allibita; mi ricompongo subito. «Comunque, non so perché ma... ho l'impressione di aver già sentito i vostri nomi da qualche parte.»
«Ovvio!» esclama Shavo, annuendo, proprio come a farmi capire che ho detto una grande ovvietà.
«Per me non lo è» continuo, grattandomi la testa. «Mi spiegate perché dovrebbe esserlo?»
«Perché noi quattro ragazzacci siamo una band, siamo attivi già da alcuni anni e siamo già piuttosto famosi» Serj fa un gesto plateale con un braccio, quasi come se fosse il presentatore di uno spettacolo.
«Band?» ripeto io, sgranando gli occhi e guardandoli ad uno ad uno mentre faccio lavorare in fretta la mente, poi ho un'illuminazione improvvisa. «Con un nome che per caso inizia per S tipo-»
«System Of A Down!» Daron completa la frase al posto mio, facendo anche lui un gesto teatrale davanti alla mia faccia. «Io sono l'addetto alla chitarra, Shavo prende a schiaffi il suo basso, John sta alla batteria e Serj canta e a volte urla pure.»
Oh Dio.
Sono capitata nella casa di una band.
«Oh Gesù» riesco solo a proferire, avvampando e sentendo le mie mani farsi umidicce.
«Non collassare, per carità, ti abbiamo già salvata una volta, non vorrei dover ripetere l'esperienza!» il chitarrista mi prende per le spalle e mi scuote, con gli occhi così sgranati che sembrano grandi quanto piattini da tè e la voce che è salita di almeno un'ottava.
«Daron! Non è uno shaker da cocktail, smettila che così non migliori la situazione!» osserva Shavo che, al contrario, ha appena serrato gli occhi in due fessure.
«Oh, scusa!» Daron si ritrae prontamente e finge di guardarsi intorno, fischiettando. Mi viene da ridere, ma mi trattengo.
«Non stavo crepando, tranquillo» dopo aver inumidito la gola finalmente torno a parlare, più tranquilla di prima. «So che vi ho dato già un po' di grane, ma a breve dovrei togliere il disturbo...»
«E sentiamo, dove intendi andare e cosa intendi fare?»
«Mi sono trasferita da poco e vivo in un monolocale molto economico...» parlando nomino anche la zona in cui ora vivo, e al sentire il nome Serj storce un po' il naso «e per fortuna mi hanno già assunta in un negozio di elettronica e tecnologia più o meno in quella zona...» e dico il nome dell'attività, ottenendo degli assensi in risposta come per dire che hanno capito.
«Prometti che scriverai ad uno di noi quando sei a casa, così sappiamo che non ti è successo nulla e stiamo più tranquilli» Shavo mi si para davanti, con faccia serissima.
«Va bene, mamma Shavo» rispondo, scherzando, e tutti ridono ma lui torna subito serio.
«Dico seriamente... è stato terribile per me vederti ieri in quelle condizioni e non vorrei ti succedesse di peggio.»
«Posso immaginare... tranquillo, vi scriverò. Chi importunerò?»
«Puoi importunare me se vuoi» interviene il batterista, con un sorriso.
«Non me!» starnazza Daron, sparendo in cucina.
«Okay, antipatico!»
«Antipatico chi?»
«Tu!»
«Vuoi scatenare l'ira di Daron Vartan Malakian?!»
«Devo avere paura?»
«Sì, molta!»
«Cosa mi farai, mi infilerai nel frigorifero visto che ci sei?»
Lo sento grugnire in risposta e sorrido, soddisfatta per la "vittoria".
«Ecco qui» il bassista mi mette in mano un bigliettino con su scritto un numero. «Questo è il mio numero. Per qualsiasi cosa, chiama!»
«Grazie mille, davvero» replico, grata, sorridendo ai ragazzi, poi riprendo la mia borsa, che trovo appesa all'attaccapanni e fortunatamente meno danneggiata di quanto immaginassi; oltretutto c'è ancora tutto dentro, anche il mio cellulare che è ancora perfettamente integro. 
«Ciao ragazzi!» saluto dalla soglia, ad alta voce, ricevendo le risposte dei tre che sono ancora insieme.
«Ciao, bestiolina!» una ormai familiare voce poco profonda giunge alle mie orecchie da un'altra direzione.
«Ciao anche a te, nanetto!»
Okay, basta prendere in giro il chitarrista. 
Mentre cammino a passo sostenuto lungo una via affollata, cercando di ricordare come arrivare a casa, rimugino sugli eventi delle ultime ore.
Sono stata fortunata, che dico, miracolata ad aver avuto così pochi danni dal pestaggio di cui sono stata vittima, nemmeno un osso rotto, solo qualche livido e graffio... e poi sono stata fortunata a trovare quei ragazzi. Dio, la mia amica Georgia non mi crederà mai quando le racconterò che ho conosciuto la sua band preferita! 
Sono stati gentilissimi e carinissimi con me, anche Daron che tutto sommato non è antipatico, ma in qualche modo percepisco che si mantiene un po' distante e non so perché.
Persa in questi pensieri quasi non mi accorgo di essere arrivata nella zona in cui abito e, rapida, sgattaiolo verso casa prima che qualcuno noti il mio occhio nero.
Appena chiusa la porta mi ci abbandono contro, con un sospiro. Dopo qualche minuto di pausa dalla camminata mi ricordo del bigliettino ancora infilato in una tasca dei jeans e lo tiro fuori e, preso il cellulare, scrivo subito un sms; dopo averlo inviato salvo il numero con il nome di "Mamma Shavo", ridendo al pensiero di quando l'ho chiamato così dal vivo.
Da un po' non avevo qualcuno che si preoccupa così tanto per me... non avendo sorelle o fratelli ed essendo fuggita di casa anni addietro, non ho più contatti con alcun parente e ho pochissimi amici... ma sono indipendente e questo per me è tanto, ho svolto vari lavoretti sia in negozi che non, guadagnando qualche soldo con le mie capacità in informatica. Poi, pochi giorni fa, ho trovato lavoro in un negozio di computer e affini rinomato nella zona e sono contenta, perché almeno così potrò avere una piccola sicurezza economica.
Improvvisamente mi viene quasi un colpo pensando al lavoro, poi mi tranquillizzo dopo aver ricordato che oggi è il mio giorno libero e quindi non ho saltato nessuna giornata lavorativa; subito dopo mi impongo di controllare se possiedo un correttore per nascondere le ferite sul viso e, dopo una frugata fra le mie cose, ho conferma positiva e sospiro di nuovo, più tranquilla.
L'ultima cosa che voglio è finire al centro dell'attenzione ed essere importunata.

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Capitolo 4
*** Dazed ***


E rieccomi! c:
Ringrazio ancora JinxxedOutlawGirl e, rivolgendomi a chi legge ma non lascia traccia del proprio passaggio, vi invito a fare il contrario, sono aperta anche alle critiche :)
Buona lettura! <3







«Buongiorno...» saluto, arrivando al lavoro di buon'ora.
«Buongiorno Nikki» il proprietario, un certo Derek, è già lì e risponde affabilmente al mio saluto. «Mi sembri un po' sfatta. Stai bene?»
Strano, non pensavo che quest'uomo fosse loquace e persino così interessato ai suoi dipendenti... «Sto benissimo, ho solo avuto una notte un po' difficile» mento, con inusuale disinvoltura.
«Oh, va bene... tra poco si inizia.»
Mi reco un attimo in bagno e osservo il mio riflesso nello specchio: perfetto, nessun segno è visibile, il trucco sta facendo il suo lavoro.
Prepariamoci alla giornata di lavoro...

«Nikki!»
Una voce mi chiama mentre sono nel magazzino a sistemare alcune scatole, ed è di Derek; lascio ciò che sto facendo e mi avvio per tornare nel negozio, quando sento una voce familiare che si affianca a quella del mio datore di lavoro e, prima di comparire nel loro campo visivo, mi blocco.
«Eccoti!» esclama Derek, con un sorriso, quando mi vede «questo ragazzo cerca un paio di cuffie, occupati tu di lui mentre io mi occupo degli altri clienti.»
Quando alzo gli occhi riconosco una persona che non mi aspettavo davvero di vedere... Daron.
«Ehilà bestiolina, come stai?» mi saluta, usando quel soprannome che non riesco a decidere se mi piace oppure no, sorridendo. 
«Sto bene, antipatico» rispondo a tono come sempre, mantenendo un leggero broncio. 
«Cerco un paio di cuffie con cui sostituire le mie che mi hanno abbandonato di recente... sono qui perché non cerco quelle professionali da studio, ma cerco comunque cuffie di alta qualità.»
«Aspettami qui, torno subito» aggiungo e lo pianto lì, tornando nello stanzone per recuperare alcune scatole che porto lì, davanti a lui, poggiandole sul bancone come se fossero state leggerissime.
«Come sei forzuta» ridacchia.
«Queste sono le cuffie migliori e ovviamente più costose» lo ignoro e gli illustro i modelli che gli ho appena messo sotto gli occhi. «Sono potenti e la qualità del suono è ottima, pulita e bilanciata, non credo ci sia di meglio per ora.»
«Uhm, queste cuffie nere con le decorazioni dorate mi intrigano» commenta il ragazzo, annuendo in segno di approvazione «e queste uguali ma con i dettagli in argento ti donerebbero molto.»
Per un attimo mi immobilizzo e cerco di non avvampare, pur sentendo improvvisamente caldo. «Dunque hai scelto, o devo mostrarti qualcos'altro?» proferisco, combattendo il nodo in gola.
«Mi fido della descrizione che hai dato e quindi sì, ho scelto.»
Una volta imbustato tutto e incassato l'importo porgo a Daron la sua busta e casualmente le nostre mani si toccano e di colpo sento una scarica elettrica lungo il braccio; distolgo lo sguardo dal suo ma, con la coda dell'occhio, riesco a vedere che sta sorridendo, soddisfatto e leggermente malizioso allo stesso tempo.
«Stai bene, cosina?»
«Benissimo, non preoccuparti» replico, quasi scontrosa, consapevole del fatto che il mio corpo stia parlando e rivelando più di quanto io voglia.
Il chitarrista recupera una penna, poi mi prende la mano che giace sul piano di legno e mi scrive qualcosa sul palmo; nel mio cervello è in corso qualcosa di simile ad un terremoto e non so come ma riesco a restare ferma e a non tremare.
«Ecco, così puoi importunare anche me oltre a mamma Shavo» commenta, con un sorriso, poi si volta per uscire. «A presto, bestiolina, e fai attenzione.»
Appena scompare dal mio campo visivo guardo le cifre scritte sul palmo, poi mi puntello con i gomiti sul bancone e respiro lentamente per calmarmi.
Perché Daron mi fa questo dannato effetto?
Non fa altro che sfottermi da quando mi conosce, dovrei ritenerlo soltanto molto irritante ma in realtà è anche piuttosto attraente.
Oh no, non posso permettermi di cadere per una persona del genere.
Molto meglio Shavo, a questo punto... almeno le sensazioni che lui mi ha suscitato non mi hanno ridotta ad un relitto come mi è successo con il collega.
Ecco, sto vaneggiando. 
Non mi sono trasferita qui per cercare di diventare la fidanzata di qualcuno di famoso, sono qui per condurre la mia vita, lavorare e vivere, non posso farmi prendere già ora da queste cose, viste le mie esperienze passate.
Ma se nel frattempo arrivasse l'amore... non sarei così sicura di volerlo rifiutare.
Mi defilo rapidamente in bagno, chiudendo la porta a chiave; dopo un rapido check-up delle mie condizioni mi affretto a ricopiare sul cellulare il numero scritto sulla mia mano prima che sbiadisca, trovandomi a doverlo riscrivere più di una volta perché le mie mani si sono temporaneamente ammutinate contro di me, poi fisso per qualche secondo il contatto in rubrica, denominato come "Chitarrista antipatico".
«Nikki!»
«Arrivo!» rispondo, dopo essere sobbalzata per lo spavento, e mi affretto ad uscire dal bagno imponendomi di concentrarmi sul lavoro.
Sì, ho i numeri di telefono di due celebrità sul mio cellulare e una delle due è venuta in questo negozio, ma no, non è il momento di pensare a queste cose perché devo lavorare ed evitare possibilmente di fare danni.

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Capitolo 5
*** Just in time ***


Salve!
Aggiorno ora perché so già che nei prossimi giorni sarò troppo impegnata per farlo, sono settimane d'incubo T_T vi lascio quindi con un capitolo alquanto lungo e ci rivedremo fra un paio di settimane!
Ringrazio come sempre JinxxedOutlawGirl per il suo supporto e il suo affetto e i suoi consigli! <3
Buona lettura <3








È passata già una settimana dal giorno in cui ho rischiato la vita e sono stata salvata. In questi giorni ho prevalentemente trascorso il tempo a lavorare e, nei momenti liberi della giornata, ho ripensato agli ultimi eventi significativi nella mia vita oppure mi sono lasciata sprofondare in uno stato d'animo in bilico fra tristezza e apatia che da qualche anno è divenuto familiare.
Questa sera ho deciso di incontrare ad un bar non lontano da casa mia una collega di lavoro, Hilary, conosciuta da poco, per bere qualcosa; non voglio passare di nuovo la serata in modo miserevole come nei giorni passati. Ho indossato un maglioncino a righe, una giacca di jeans, i miei soliti jeans aderenti, i miei adorati Dr Martens neri e un cappellino nero leggero: per una volta mi sento carina, e sono sicura che non "spaventerò" la mia collega.
«Alla salute!» dopo esserci incontrate e aver preso da bere cinguetta un brindisi e sorseggia il suo mojito mentre io assaggio appena il mio drink, vodka alla fragola e Red Bull. 
«Allora, ti trovi bene qui?» la domanda della mia collega mi coglie un attimo di sorpresa, ma solo perché per l'ennesima volta ho divagato con la mente.
«Per ora mi trovo bene» replico, omettendo l'aggressione di sette giorni prima. «Mi ci vorrà un po' per abituarmi ad una città così grande, ma per il resto è okay.»
«Già fatto qualche conoscenza?» dopo alcuni secondi di silenzio torna alla carica.
«Oltre a te e quelli del negozio, uhm... sì.»
«Gente interessante, spero!»
«Oh, sì.»
«Di sesso maschile?»
«Ehm... sì.»
«Ahaaa! Beccata! Per caso sono persone famose?»
Rifletto per qualche secondo, poi decido che mi fido abbastanza di lei per dirle la verità. «Più o meno.»
«E ti piace qualcuno di loro?»
«Un po' presto per dirlo, ma c'è uno di loro che non è male.»
La serata passa fra chiacchiere di vario tipo e mi sento così bene mentre parlo con lei, mi sento libera e posso essere me stessa, mi sento persino apprezzata.
Verso mezzanotte Hilary si congeda e la lascio andare, dato che abita nel palazzo di fianco, mentre io rimango lì, con ancora fra le mani il bicchiere vuoto del secondo cocktail della serata. Improvvisamente l'effetto dell'alcol si fa sentire prepotente e mi sento strana, non so se voglio ridere o piangere e ho le guance calde, troppo calde. Decido che è arrivato il momento di tornare a casa, prima che alzi troppo il gomito e mi riduca in condizioni pietose e che mi succeda qualcos'altro di poco piacevole.
Mi incammino, calcando un po' di più sulla testa il berretto per via dell'aria freddina, e guardo dritto davanti a me, insolitamente tranquilla; passando davanti ad un altro bar, però, mi pento di essere sola.
«Hey, bellezza!» mi apostrofa uno sconosciuto, da lontano, e mi sembra palese che abbia bevuto non poco; lo ignoro e passo avanti, cercando di domare la tachicardia... alcuni passi più avanti mi rendo conto che il tipo ha iniziato a seguirmi da lontano, accompagnato da due amici, e parlano a voce così alta che riesco a sentire cosa si dicono.
«Hai visto quella ragazzina tutta sola per queste vie?»
«Sì. Credo sia forestiera, non ho mai visto quel suo bel musino qui.»
«Secondo voi la puttanella ci starà?»
Mi si gela il sangue nelle vene.
Non hanno buone intenzioni.
Che fare?
Istintivamente tiro fuori dalla borsa il cellulare, continuando a camminare ma accorciando la falcata, e scrivo un sms. Sono da sola in *** Street e mi seguono dei tipi con intenzioni non buone... ti prego aiutami, raggiungimi! Lo invio subito a Shavo ma, dopo altri cinque minuti di camminata, i tizi dietro di me non hanno ancora demorso e continuano a seguirmi, mentre ancora bevono dalle loro bottiglie di birra, e dal bassista non è arrivata risposta. Decido di inoltrare il messaggio a Daron, pregando che almeno lui "reagisca" subito... e la mia speranza è ripagata in brevissimo tempo.
Arrivo. Un messaggio corto e formale, ma mi ha pur sempre risposto.
Mi fermo vicino ad un portone, fingendo di essere occupata ad usare il cellulare per ingannare l'attesa e cercando di apparire naturale e distesa, ma mi rendo conto che comunque le mani mi tremano e non riesco quasi a pigiare i tasti; e la tattica non funziona nemmeno, perché i tre tizi si avvicinano inesorabilmente.
Pronuncio in mente una sorta di piccola preghiera, sperando che non succeda nulla.
«Hey ragazzina, tutto okay?» prende la parola uno di loro, il più giovane, a occhio e croce sulla trentina di anni, fissandomi in modo sfacciato.
«Sì, tutto okay, grazie» replico, cercando di mantenere un tono di voce fermo e piatto e fingendo ancora di interessarmi più al telefono che a loro.
«Possiamo offrirti qualcosa da bere, piccola?» si aggiunge un altro, sorridendo in modo a dir poco viscido; ha come minimo quasi dieci anni in più ed è proprio questa differenza di età a farmi quasi percepire quell'uomo come un pedofilo.
«No, grazie, non bevo» declino l'offerta, chiaramente mentendo, sempre usando lo stesso tono di voce, poi infilo il cellulare nel mio zainetto nero. «Ora scusatemi, ma devo andare.»
«Dove pensi di andare?»
Improvvisamente uno dei miei polsi viene stretto in una morsa così forte da far male e mi volto, trovandomi faccia a faccia con il terzo individuo del trio.
«A casa» ribatto, cauta ma con una traccia di sfida.
«Tu non vai da nessuna parte finché non avrai fatto ciò che ti diciamo noi, hai capito troietta?» l'uomo alza il tono di voce e ha uno sguardo cattivo e la mia ostentata tranquillità inizia a vacillare.
«Lasciami!» è la cosa più stupida da dire in quel momento, ma mi esce spontanea e ciò suscita l'ira del tipo di fronte a me e la maligna ilarità dei suoi compagni.
«Ora basta, mi hai già scocciato!» urla e alza una mano, pronto a colpire; chiudo gli occhi, preparandomi al colpo...
«Ehm, signori? Cosa sta succedendo qui?»
Riconosco immediatamente la voce che ha appena pronunciato queste parole con calcolata ingenuità e, girandomi, distinguo la sua figura.
È Daron!
Le mie preghiere sono state esaudite giusto in tempo...
«Nanetto non sono affari tuoi, e ora smamma prima che si metta male per te» l'uomo non molla il mio polso e si volta verso il chitarrista, con aria minacciosa.
«Sarò anche nanetto, ma ti garantisco che non scherzo e, volendo, ho qui vicino rinforzi consistenti pronti ad intervenire» replica Daron, con la voce improvvisamente più dura, sgranchendosi le mani nel frattempo. Sono più che certa che stia bluffando a proposito di quest'ultima cosa, ma è convincente e questo basta. «Lasciate andare la ragazza immediatamente.»
Qualcosa nel suo atteggiamento deve avere intimorito il tipo, perché quest'ultimo mi lascia andare seduta stante e ne approfitto per mettermi al sicuro vicino al chitarrista, che passa anche un braccio sulle mie spalle con fare protettivo.
«E ora... hop hop! Smammate!» l'ultima parola del mio salvatore è un ruggito e i tre uomini corrono via come se avessero alle calcagna qualche mostro.
Resto per qualche secondo in silenzio guardando nella direzione verso cui i miei aggressori sono fuggiti, cercando di riprendere fiato e attendendo che il battito cardiaco torni normale.
«G-grazie...» mormoro, alzando lo sguardo per incontrare il suo.
«Non c'è di che» risponde lui, scrollando le spalle e sorridendo, e non accenna a interrompere il contatto fisico. «Stai bene?»
«Sì, sto bene, solo un po' spaventata... e non esattamente lucida, visto che questa sera sono stata a bere qualcosa con una collega di lavoro.»
«Non è il massimo andare in giro da soli in questo stato» Daron storce un po' la bocca. «Devi stare molto attenta, Los Angeles è grande e cela pericoli e tu che sei forestiera devi tenere alta la guardia.»
«Grazie, lo so» lo rimbecco, senza cattiveria ma con una punta di fastidio «non è la prima volta che abito in una grande città.»
«Beh, però pareva che te lo fossi dimenticato vista la situazione di stasera» commenta, con un accenno di qualcosa che non so se è ironia o è proprio sarcasmo.
«Antipatico» mi scosto e incrocio le braccia, mettendo un broncio finto solo per metà.
«Non pensavo di essere diventato padre» asserisce lui, ridendo.
«Padre? Cosa?»
«Ho appena dato consigli ad una ragazza manco fosse mia figlia, visto che si va cacciando nei guai...»
«Guarda, meglio chiudere qui il discorso. Ti va di andare a prendere qualcosa da bere, visto che ci siamo?»
«Perché no... andiamo.»
Una volta avuti i nostri drink riprendiamo a camminare. Daron prende una direzione inaspettata e io, fiduciosa, lo seguo e sbuchiamo in un posto raccolto, in disparte rispetto alla via; ci sediamo su dei vecchi gradini di pietra.
«Alla salute!» brindiamo e prendiamo un sorso dai nostri cocktail, poi poggio la testa contro il muro al mio fianco e sospiro.
«Ebbene, hai intenzione di rimanere muta tutto il tempo?»
Mi volto verso di lui. «Cosa vuoi che ti dica?»
«Non so, quello che vuoi» mi suggerisce, poi scrolla le spalle.
«Okay, ma sappi che se comincio poi è difficile farmi smettere!»
Chiacchieriamo in modo continuato e attivo, facendo pause solo per bere qualche sorso, e ho così modo di scoprire che Daron è una persona davvero interessante e particolare, nonostante tenda ad essere un po' antipatico con me, e questa cosa mi inquieta perché vorrei tenermi per ora "a distanza" per evitare qualunque rischio ma non ci riesco, mi sento così a mio agio con lui da riuscire ad essere totalmente spontanea. E, paradossalmente, devo ringraziare l'alcol perché il suo effetto ha reso il ragazzo molto più sciolto nei miei confronti. 
«Ti va di illustrarmi il significato dei tuoi tatuaggi?» Daron mi fa improvvisamente questa domanda, dopo alcuni secondi di silenzio.
«C... certo» acconsento, con la voce che di colpo trema, e sollevo le maniche del giubbotto e del maglione scoprendo gli avambracci, poi mi sistemo di fronte a lui in modo che possa vedere per bene.
«Questo 18 in cifre romane è un numero a cui sono legata» dico, indicando i quattro simboli disegnati proprio sul polso sinistro, sopra le vene bluastre visibili per via della mia carnagione molto chiara.
«Piccolo ed elegante, bello» commenta il ragazzo, con un sorriso. «Posso azzardarmi a chiedere come mai preferisci questo numero?»
«Certo che puoi. Questo numero è correlato al giorno della mia nascita e al giorno del mio diploma, oltre che ad alcune ricorrenze minori.»
«Compleanno? In che mese sei nata?»
«A maggio... perché?»
«Perché anche io sono nato il 18, ma a luglio.»
«Toh, che coincidenza!»
«Già...»
Restiamo qualche secondo in silenzio, poi il ragazzo mi incoraggia a continuare.
«Questo aggettivo, "warrior", capisci bene cosa significa ed è legato alle vicende del mio passato» spiego, porgendo l'altro polso. Daron tende cautamente una mano e ci passa sopra un polpastrello con delicatezza e io non riesco a fare a meno di reprimere un brivido improvviso, pregando che non lo abbia notato. «Mi piace» dice, con un sorriso. «Posso sapere qualcosa del tuo passato, visto che ci siamo? Se non sono troppo indiscreto, eh.»
«Va bene, anche se non è un granché» comincio, a testa bassa. «Sono nata nello Utah, lì ho frequentato le scuole e, una volta finite le scuole superiori sono fuggita di casa. Sì, sono fuggita... non sopportavo più i miei genitori e il posto in generale. Tutti, inclusi loro, mi giudicavano e maltrattavano solo perché ero diversa, mi rendevano la vita difficile... a scuola per diversi anni sono anche stata vittima di bullismo e, come ciliegina sulla torta, il mio primo fidanzato ha abusato di me una notte in cui mi ero ubriacata, e la colpa a chi è stata addossata secondo te? A me. Mi fu detto che ero una troia, che aprivo le gambe troppo facilmente... neanche un briciolo di supporto o di compassione. Mi sentivo inutile e odiata. Più di una volta ho pensato al suicidio, poi ho iniziato a progettare una fuga. Da mesi mettevo da parte soldi che racimolavo in casa oppure svolgendo qualche lavoretto a giornata e con quei soldi e i miei effetti personali più cari, alcune foto, le mie cuffie, il mio lettore cd, i miei dischi e buona parte dei miei vestiti in una grossa borsa, mi sono avviata verso l'ignoto.»
Alzo la testa e guardo Daron: sul suo viso leggo solo compassione, per quanto riesco a vedere nella penombra.
«Ho vissuto due anni a Washington, in un misero monolocale, svolgendo vari lavori, e con le mie conoscenze di informatica ho guadagnato qualche soldo riparando computer e software, dopodiché ho vagato un po' di città in città, alla ricerca di un posto che riuscissi davvero a sentire come casa mia, finché non sono arrivata qui a Los Angeles un mese fa. Ora, come sai, lavoro in un negozio di computer ed elettronica e affini, vivo di nuovo in un monolocale e una settimana fa sono stata aggredita da alcuni stupidi a cui, evidentemente, non andavano giù i miei tatuaggi, il mio labret e il mio colore di capelli, persone non dissimili da quelle che ho lasciato nello Utah. Questa sono io, Nikki Gray, una sfigata qualunque.»
«Non sei una sfigata, te lo assicuro» Daron cerca di rincuorarmi. «Sei solo una persona che ha avuto sfortuna nella vita ma che ora si sta riscattando con le sue stesse mani, e questa è una cosa buonissima. Le colpe e gli errori del passato, veri o no, non definiscono ciò che tu sei.»
Alzo lo sguardo e vedo nei suoi occhi una dolcezza mai vista fino ad allora, tale che all'improvviso sento i miei occhi riempirsi di lacrime ma le trattengo socchiudendo le palpebre, non volendo piangere; giusto in quel momento sento il suo respiro caldo e regolare vicino al mio viso, il suo naso contro il mio... e un leggero tocco sulle mie labbra.
Mi ritraggo all'improvviso, con gli occhi spalancati per la sorpresa, ottenendo come risultato anche lo spavento del ragazzo.
«S-scusa...» balbetto, mortificata «è che... uh...»
«Non devi scusarti, sono io a dovermi scusare per il gesto improvviso, mi rendo conto di aver agito d'impulso e di aver fatto una cazzata» risponde lui, con un sorriso imbarazzato.
Entrambi abbassiamo lo sguardo e rimaniamo in silenzio per un poco, poi guardo l'orario e per poco non mi prende un colpo.
«Devo andare, si è fatto molto tardi per me e domani devo lavorare...» dico, alzandomi e spolverandomi i vestiti.
«Ti accompagno» si offre lui, con inattesa premura.
«La strada è breve, ma se proprio vuoi va bene...»
Torniamo nella via principale abbandonata quasi un'ora prima e tutte le luci mi abbagliano dopo essere stata nella penombra a lungo; camminiamo vicini e silenziosi per tutto il tempo e lui mi segue fino a casa, guardandosi attorno ogni tanto come per assicurarsi che non ci sia nessun malintenzionato che ci segue.
«Eccoci arrivati» sospiro, una volta giunti davanti al portone dell'enorme palazzo in cui abito. «Grazie per avermi cacciata dai guai, per avermi offerto da bere e per la chiacchierata» gli dico, guardandolo negli occhi e accennando un sorriso timido e riconoscente.
«Di niente, bestiolina» risponde lui, ritornando ad essere scherzoso come sempre. «Ricorda, se hai bisogno puoi contattare sia me che mamma Shavo.»
«Ahahah, va bene.»
Per qualche secondo ci fissiamo negli occhi, quasi senza sbattere le palpebre, ed è lui a rompere per primo il contatto visivo instaurato chinando la testa.
«Buonanotte, Daron» mormoro, poi mi allontano lentamente.
«Buonanotte a te, cosina» ricambia il saluto, con lo stesso volume di voce, e dopo un ultimo saluto si volta e va via, a passi non troppo veloci.

Una volta a casa, dopo essermi preparata per la notte, mi butto letteralmente sul letto e mi avvolgo nelle lenzuola e la mia mente torna a tutto ciò che è successo oggi.
Mi tocco la bocca con i polpastrelli, piano. No, non è stata immaginazione... le sue labbra hanno davvero toccato le mie... e, sebbene sia passata solo una settimana da quando questo individuo è entrato nella mia vita, non riesco davvero a rimanergli indifferente. Peccato che, dopo questa sera, lui potrebbe "diplomaticamente" decidere di fare finta di niente o addirittura di ignorarmi e questo potrebbe farmi male perché gli ho rivelato una parte intima e mi sono mostrata indifesa e in qualche modo potrebbe colpirmi nella mia vulnerabilità...
Ecco, come al solito penso troppo e mi faccio troppe seghe mentali. Devo smetterla, davvero...
Finalmente Morfeo mi accoglie fra le sue braccia e ci sprofondo volentieri, stanchissima.

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Capitolo 6
*** Idea ***


Saaalve! Eccomi qui ad aggiornare, finalmente libera da esami (almeno per ora... sigh) :3
Come sempre ringrazio JinxxedOutlawGirl per il suo affetto e le sue recensioni (<3) e anche voi che leggete senza lasciare traccia del passaggio... :B
Buona lettura <3




-Nikki-
Tre sere dopo io e Hilary ci reincontriamo allo stesso bar della volta precedente, approfittando del fatto che ci sia un po' di animazione grazie ad un duo cantante-chitarrista che, in sottofondo, canta in versione acustica hit del momento o roba più vecchia e persino qualcosa di vagamente country, solo che i due tipi sono alquanto mosci pur essendo bravi. Facendo due chiacchiere col barman mentre attendo la mia bibita scopro che in questo locale hanno alcuni strumenti musicali e chi vuole può chiederli e suonarli qui in pubblico e, avendo suonato per anni la chitarra, decido all'istante di voler provare anche se tremo tutta per l'ansia. Maledizione.
«Dici che ne avranno ancora per molto?» chiedo ad Hilary, con faccia mogia.
«Spero di no!» risponde lei, assumendo la mia stessa espressione.
Dopo un'altra mezz'ora finalmente i due annunciano di aver finito i brani e si alzano, lasciando la chitarra appoggiata sulle sedie fino a poco prima occupate da loro.
«Avanti il prossimo!» il barista invita, con calore.
L'alcol del mio cocktail è già in circolo e stranamente l'ansia avvertita prima è diminuita, quindi mi alzo e, ignorando gli sguardi delle persone che si fissano su di me, occupo una delle due sedie e prendo la chitarra, assicurandomi prima che sia ancora accordata; strimpello prima qualche accordo per prova, poi prendo un respiro e inizio un brano, "Californication" dei Red Hot Chili Peppers.
Dopo aver concluso il brano ricevo un mezzo applauso e ringrazio con un cenno della testa, poi mi arrovello per qualche secondo alla ricerca di un nuovo brano e ne scelgo uno in verità molto malinconico, "I don't want to miss a thing" degli Aerosmith, che dopo pochi secondi ha l'effetto di farmi inumidire gli occhi, ma cerco di non fare una piega e andare avanti come se nulla fosse, anche se quel brano mi ricorda alcuni eventi del passato e mi rende triste...

-Shavo-
«Uno dei soliti tecnici che ci portiamo dietro in tour, quello che si occupa dei problemi tecnici, ha avvisato che non potrà esserci per questa tournée... ha avuto un incidente abbastanza grave e ha diverse fratture scomposte, per riprendersi del tutto ci metterà mesi» annuncia John, arrivando nella stanza in cui siamo tutti quanti.
«Merda, speriamo si riprenda presto... e ora con chi lo sostituiamo?» brontola Serj.
«Ho un'idea!» salta su Daron, tutto contento.
«Daron, tu sei pericoloso» scherzo io, guadagnandomi un'occhiataccia da parte del chitarrista.
«Nikki potrebbe sostituirlo» pronuncia, serio, guardando a turno ognuno di noi.
«Serio?»
«Sì, nel negozio in cui lavora non è solo commessa, è anche un tecnico di pc e affini, credo potrebbe sostituire il tecnico mancante, male che va può imparare qualcosa dagli altri e collaborare con il team.»
Effettivamente sembra una buona idea...
«Malakian, ogni tanto sei un piccolo genio!» esclama Serj e si avvicina al più basso per dargli un paio di colpetti sulla testa.
«Tankian, devi smetterla di fare il bullo solo perché sei più vecchio di me di otto anni e più alto di me di qualche centimetro» grugnisce l'altro, storcendo il muso.
«Comunque, come lo diremo alla ragazza?»
«Per sms sembra brutto... meglio prima fare qualche telefonata per verificare che sia okay questa sostituzione, poi in caso domattina qualcuno di noi potrebbe andare al negozio per dirglielo, no?»
«Perfetto.»
«Fameee!» il chitarrista inizia a correre per tutta la casa manco ci fosse un incendio. «Ho fameee!»
«Nanetto, un attimo di pazienza, non c'è mica un fast food qui a casa...»
«Uuuff!»

«Vado a fare due passi!» annuncio, dopo cena, con allegria. «Qualcuno vuole accompagnarmi?»
«Io ho troppo sonno» sbadiglia John, strofinandosi gli occhi.
«Nah, non mi va di uscire» mugugna Daron.
«Serj dov'è?»
«In bagno, ma temo ci sia caduto dentro...»
«Okay, ho capito, andrò da solo... ragazzi, siete proprio dei vecchiacci.»
«Gne gne gne, senti chi parla!»
Scherzosamente rivolgo un dito medio a Daron, poi prendo una giacca e alcune cose essenziali ed esco, decidendo di fare una passeggiata senza una meta precisa.
Passo lungo una via abbastanza affollata e, trovandomi davanti per caso il cartello con il nome della strada, mi viene in mente che quello è il posto in cui pochi giorni fa Nikki ha rischiato un'altra aggressione ed è stata salvata giusto in tempo dal mio collega chitarrista... purtroppo quando mi ha scritto stavo giusto sclerando perché non trovavo il telefono, per fortuna che Daron è stato pronto di riflessi, mi sento ancora in colpa perché non le ho risposto in tempo ma sono sollevato perché alla fine se l'è cavata. Sinceramente spero che accetti la nostra proposta, dopo tutto non mi dispiacerebbe conoscerla meglio.
Improvvisamente odo una voce con un qualcosa di familiare provenire da uno dei locali e, incuriosito, mi avvicino alle porte a vetro semi-opache per tentare di scorgere qualcosa.
Su una sedia verso il centro della sala c'è una ragazza che canta, accompagnandosi con la chitarra; non penso di essere in grado di giudicare se ha talento, bravura e quant'altro, ma so che la sua voce mi emoziona, tant'è che ad un tratto mi accorgo che qualche lacrima è risalita agli occhi nell'ascoltare il malinconico brano che sta eseguendo. Dopo aver finito si alza, fa un inchino di ringraziamento e sparisce così rapidamente da non riuscire a vedere il suo viso e capire se la conosco o meno.
Decido di entrare per prendere qualcosa da bere e, mentre attendo, mi guardo intorno; i miei occhi vengono catturati dal guizzo di una chioma blu scuro e riconosco Nikki, seduta ad un tavolo con una ragazza, una brunetta minuta con un caschetto di capelli mossi e i tratti fini, più "formale" di lei nell'aspetto. Tiro fuori il cellulare al volo e scrivo un sms a Serj.
Serj, sono in un locale e c'è Nikki, raggiungimi così le facciamo la proposta.
Una volta inviato attendo impazientemente la risposta del cantante, che non impiega molto 
ad arrivare.
Aspettami, corro lì da te, dimmi dove sei. Rispondo subito e rimetto il cellulare in tasca, poiché il mio cocktail è pronto, e mi allontano dal bancone dirigendomi verso l'ingresso per attendere il mio amico.
«Eccomi!»
Mi volto e vedo al mio fianco il cantante, con occhiali da sole utili solo per camuffarsi e non di certo per la luce.
«Eccoti! Sei stato veloce...»
«Rapido ed efficiente come sempre!»
Gli do una gomitata in modo scherzoso, e lui ricambia.
«Comunque, come ti sono sembrati i ragazzi oggi quando è stata fatta la proposta di portare la ragazza con noi?»
«John è parso contento, ma nulla di eccessivo. Daron ha dato l'idea e l'assenso, ma non mi sembrava molto entusiasta, mi è parso alquanto strano.»
«Mah.»
«Eh.»
«Notizie dal giro di telefonate che bisognava fare?»
«Oh, sì. Tutto okay, nessun problema, va bene come sostituta e alla fine riceverà la sua paga.»
«Perfetto. Nikki è là a quel tavolo» dico, indicando con discrezione «andiamo a farle ora la proposta.»
«Ok!»
Mentre ci muoviamo nel locale gli sguardi di alcune persone si alzano e si posano su di noi, stupiti, forse ci hanno riconosciuti; ci dirigiamo verso il tavolo a cui è seduta la ragazza e, una volta vicini, mi schiarisco la voce.
«Nikki?»
Lei si volta e rimane stupita nel vedere me e Serj.
«Ciao ragazzi! Cosa ci fate qui?» chiede, con gli occhi sgranati.
«Passavamo per caso, eravamo a fare un giro» rispondo, con un sorriso.
«Oh!» sorride, contenta. «Comunque sedetevi con noi, non state in piedi!»
Prendiamo posto davanti a loro, rilassati e incuranti delle occhiate che ancora arrivano in nostra direzione.
«Da quanto tempo siete qui?» domanda ancora la ragazza, riaccomodatasi.
«Pochissimo, giusto un paio di minuti.»
«Che caso! Comunque, Hilary» si rivolge ora all'amica «questi sono due tipi che ho conosciuto di recente, come ti avevo accennato l'altra sera. Serj, Shavo, lei è Hilary, una collega di lavoro.»
«Molto piacere!» esclama lei, con un gran sorriso, stringendoci la mano con vigore.
«Senti Nikki, vorremmo farti una proposta» rompo di nuovo il silenzio dopo pochi attimi, cauto.
La ragazza trasalisce e le sue pupille si dilatano.
«Ovvero?»
«Abbiamo un problema... uno dei nostri soliti tecnici, quello che si occupa della risoluzione di problemi di natura tecnologica, non potrà accompagnarci nel tour che inizieremo il prossimo mese e Daron ci ha detto che tu hai capacità informatiche notevoli visto che sei un tecnico sul tuo posto di lavoro... ti andrebbe di sostituirlo e venire con noi?»
Dopo che Serj ha pronunciato questa frase, la mascella praticamente le casca fin quasi sul tavolo. No, davvero non se lo aspettava. Speriamo sia un buon segno...
«S-state dicendo d-davvero? N-non mi state mica prendendo in giro?» ci dice, con voce tremante, guardando prima me e poi Serj.
«Affatto!» Serj scuote la testa, sorridendo. «Siamo serissimi. Allora, ci stai?»
«I-io... sì!» esclama e allunga le braccia per stringerci le mani, contentissima. «Grazie mille! Sono così felice dell'opportunità che mi state dando! Ma» e per un attimo si avvilisce un po' «come farò con il lavoro?»
«Proveremo a parlare con il tuo datore di lavoro e vediamo cosa si può fare, dai» cerco di rincuorarla, sorridendo.
«Oh, va bene. Verrete domani?»
«Sicuro.»
Nikki torna a sorridere a trentadue denti e anche io sorrido. Sono così contento che abbia accettato e che la proposta l'abbia resa così felice, e devo dire che quando sorride si illumina tutta in viso e, dopo averla vista malmenata e avvilita, è bello vederla più in salute e distesa.
«E gli altri due dove li avete lasciati?» ci interroga dopo un po', con una risatina.
«I vecchietti si lasciano a casa» replica Serj, ridendo. «Seriamente, siamo tutti ancora piuttosto giovani e loro due si comportano proprio da vecchi, non hanno le forze neanche per un'uscita con i colleghi...»
«Me li immagino mentre stanno spaparanzati sul divano a fare zapping e poi si addormentano e magari russano pure» fa lei, poi scoppia a ridere e noi a seguire.
Un'ora circa passa fra battute e chiacchiere di vario tipo, e la serata si conclude non troppo tardi; durante il ritorno io e il cantante continuiamo a parlare del più e del meno, e quando rientriamo in casa, strano ma vero, troviamo la scena immaginata da Nikki: Daron e John addormentati sul divano con la tv ancora accesa. Il batterista sta perfino russando, e il chitarrista dorme a bocca aperta.
Sarà mica una veggente?!
Sveglio con gentilezza i ragazzi, che ancora tutti intontiti si alzano e tornano nelle proprie stanze con passo un po' incerto; domattina, quando saremo tutti freschi e riposati, daremo la buona notizia all'altra metà della band.


 

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Capitolo 7
*** Something goes right ***


-Shavo-

«Buongiorno» bofonchia Daron, entrando in cucina e sbadigliando.

«Buongiorno a te, dormiglione!» rispondo io, seduto e intento a consumare la mia colazione; Serj risponde al saluto con un gesto, troppo impegnato a mangiare per parlare.

«Come fai ad essere così pimpante a prima mattina?» grugnisce in risposta, sedendosi di fronte a me e lottando per tenere gli occhi aperti.

«Io? Pimpante? Ma mi hai visto bene?» rido, cercando di non farmi andare nulla di traverso. «Sono semplicemente di buonumore, ma ciò non significa che sia davvero pimpante e pieno di energia.»

«Su, condividi con me la tua gioia così mi rallegro anch'io» mi fa, con i gomiti puntati sul tavolo e la testa fra le mani.

«Lo farò, ma dobbiamo prima attendere che ci sia anche John...»

«Ah, ho capito, aspetta che vado a chiamarlo» Daron scatta in piedi e si dirige verso le scale, ma non sale.

«Dolmayan, a rapporto!» urla, in stile generale militare.

Dieci secondi dopo si sente la voce del batterista provenire dal piano di sopra e brontolare qualcosa nel frattempo che scende.

«Non si può nemmeno più andare al bagno in santa pace» mugugna, imbronciato.

«Desolato, ma c'è una bella notizia per tutti e mancavi solo tu» fa l'altro e sbatte le ciglia nel tentativo di assumere un'aria dolce che faccia passare il broncio a John. «E poi rischiavi che io e Shavo finissimo anche la tua razione di pancetta.»

«Umpf, e va bene, sei perdonato nanetto molesto» cede alla fine il più grosso, sorridendo. «Su, qual è la buona notizia?» aggiunge, impaziente, una volta sedutosi.

«Ieri sera ho incontrato Nikki in un locale» inizio, risistemandomi sulla sedia «e, visto che c'ero, ho chiamato Serj per farmi raggiungere e le abbiamo parlato, facendole la proposta che voi sapete.»

«E... ?» John ci fissa, attentissimo e ansioso di sapere la risposta.

«Ha accettato» continua al posto mio Serj.

Daron si strozza all'improvviso e tossisce furiosamente, poi Serj lo raggiunge e compie una precisa manovra che lo fa smettere di tossire poco prima che inizi a diventare color puffo.

«B-bene, sono contento» gracchia il chitarrista, ancora senza fiato.

«Anche io!» dice John, sorridendo. «Abbiamo risolto un problema perlomeno!»

«E tra un po' vediamo chi dovrà andare al negozio dove lavora la ragazza per parlare col suo capo e prendere accordi, visto che starà via dal lavoro per diverso tempo per via di questo nuovo impegno... se proprio è costretto a licenziarla gli chiederemo di darle almeno la parte di stipendio che le spetta per questo periodo, così non rimarrà al verde» continua il cantante, raccogliendo tutta la roba da mettere nel lavandino.

«Buono. Chi andrà?» domanda Daron, curioso.

«Qualcuno di voi si offre volontario?»

«Ehm...»

Silenzio di tomba.

«John, vuoi andare tu?» fa Serj, rivolto al batterista.

«Io? No, no, meglio di no» risponde quello, arretrando leggermente.

«Servirebbe qualcuno molto diplomatico, non sapendo che tipo può essere il capo della ragazza» propongo io, ragionevole.

«Allora forse è meglio che vado io» sospira il cantante. «Va a finire sempre che sono io il diplomatico della situazione!»

«Ma è così!»

«Sì, sì, tutte scuse!»

«Ti accompagno» mi aggiungo.

«Perfetto.»

Saliamo a prepararci e, in pochi minuti, siamo bell'e pronti per andare "in missione": speriamo che la cosa sia facile e risolvibile.

«Ah, ragazzi, un'altra cosa!» John ci ferma davanti alla porta.

«Sei pericoloso pure tu... avanti, spara.»

«E se invitiamo Nikki da noi per Natale?»

«Ottima idea! Glielo diciamo appena la vediamo.»

«Cooooosa?»

La voce di Daron arriva da un punto imprecisato del piano di sopra.

«Nikki! Casa! Natale!» urla John, scandendo bene le parole.

Improvvisamente il chitarrista si affaccia e ci scruta con aria truce. «Che geni del male che siete» commenta, scoppiando a ridere.

«Spiritoso! Hai piuttosto qualche idea per il regalo? Sarebbe brutto invitarla e non farle neanche un regalo» interviene John, pensieroso.

«Oh sì!» esclama l'altro, poi scompare e ricompare nel giro di pochi secondi reggendo in mano le sue nuove cuffie, quelle che ha comprato di recente.

«Al negozio da lei ci sono cuffie identiche a queste, ma nere e argento anziché nere e oro. Basta chiedere di vedere le cuffie come quelle che mi ha venduto. Fingete che servano a qualcun altro e via, missione "regalo per Nikki" compiuta!»

«Eh, sì, okay, ma quanto costano?»

«Un po'... ma se dividiamo in quattro la spesa non tanto. Okay?»

«Okay! Bravo, nanetto, ti stai dimostrando davvero utile ultimamente...»

«Il nanetto vi fa il culetto se vi acchiappa!»

«Okay, meglio sparire prima che questo succeda...» dico, aprendo la porta e prendendo Serj per un braccio.

Una volta arrivati ed entrati nel negozio ci fermiamo a guardarci intorno, curiosi; è grande ed è tenuto bene ed è notevolmente pulito. Scorgiamo in un angolo Nikki indaffarata a riordinare alcune cose in esposizione; quando alza la testa ci riconosce e ci saluta allegramente prima di tornare al suo lavoro.

«Salve, come posso aiutarvi?»

Davanti a noi compare un uomo sulla trentina, con capelli castani rossicci, occhi di un verde spento e una spruzzata di lentiggini sulle guance e sul naso, tutto sommato di bell'aspetto; a primo impatto sembra uno alla mano e mi dà un'impressione positiva.

«Salve, siete voi il proprietario di questo negozio?»

«In carne ed ossa!» replica il tipo, con un sorriso. «Mi chiamo Derek, e datemi tranquillamente del tu. Come mai mi cercavate?»

«Avremmo una cosa di cui parlarti in privato» esordisco, in modo posato.

«Certamente» annuisce, con gentilezza «purtroppo il mio piccolo studio è momentaneamente impresentabile, quindi se non vi dispiace dovremo parlare nel cortile sul retro.»

«Non c'è problema» rispondo, con un sorriso. Bene, per ora sembra tutto okay e tutto facile, dove sta il trucco?

Seguiamo l'uomo e sbuchiamo su uno spiazzo vuoto e asfaltato.

«Ti dispiace se fumo?» domando, rispettoso.

«Oh, no, affatto» risponde Derek, affabile «anzi, se non dispiace al tuo amico ne approfitto anche io.»

«Fate pure» fa Serj, con un gesto della mano.

Mi accendo la sigaretta, butto subito fuori la prima boccata e poi prendo un primo tiro, dopodiché sospiro e mi preparo a parlare.

«Allora, ditemi tutto» dice Derek, dopo aver acceso anche la sua stecca di tabacco.

«Prima di tutto vorremmo presentarci» inizia il cantante, pacato. «Mi chiamo Serj Tankian, il mio amico si chiama Shavo Odadjian e siamo membri di una band locale già piuttosto famosa, di nome System Of A Down.»

«Credo di aver già sentito il nome della vostra band... sono onorato di fare la conoscenza di due musicisti! E dunque, ditemi, di cosa dovete parlarmi?»

«Si tratta di Nikki, la commessa che hai assunto abbastanza recentemente.»

«Andate avanti.»

«Abbiamo saputo che Nikki non è solo una commessa, è anche un tecnico qui nel negozio e si occupa di assistenza informatica.»

«Sì, è così. Dunque?»

«Recentemente il nostro tecnico addetto alla risoluzione di problemi di hardware e software si è gravemente infortunato e non potrà accompagnarci nel tour che inizieremo il prossimo mese e vorremmo che lei lo sostituisse, ma per farlo starà via per un periodo molto lungo.»

«Oh, capisco... se sarà con voi non potrà lavorare qui e non posso mantenere come assunta una persona che non c'è, dunque devo per forza licenziarla, ma voglio venirle incontro e darle comunque lo stipendio che le spetta per questo ultimo periodo, e quando tornerà potrà riprendere il posto se vorrà, dopo tutto l'attività va bene e posso permettermi un commesso in più che in fondo fa sempre comodo.»

Ero pronto a discutere o perfino incazzarmi, ma Derek mi ha spiazzato; è davvero molto gentile a consentire a Nikki di riprendere eventualmente il suo lavoro dopo il tour, pochissimi altri datori di lavoro lo farebbero. Questo conferma la positiva prima impressione che ho avuto di lui, senza dubbio.

«Perfetto! Quindi, da accordo, riceverà l'ultima paga, starà con noi e alla fine di tutto deciderà se tornare a lavorare qui, okay?» dice Serj, con tono conclusivo.

«Avete la mia parola» replica Derek, e tende la mano che a turno stringiamo.

Una volta rientrati vediamo di nuovo Nikki, stavolta in un altro angolo del negozio, che ci guarda con aria interrogativa; le faccio segno di aspettare e, dopo essermi scusato con Serj e Derek, mi allontano e la raggiungo.

«Allora?» chiede, trepidante.

«Non potendo far risultare come assunta una persona che non c'è fisicamente è costretto a licenziarti» comincio «ma ti darà lo stipendio previsto per quest'ultimo periodo di lavoro e a fine tour, se vorrai tornare a lavorare qui, ti assumerà di nuovo.»

«Grandioso!» sul viso della ragazza spunta un sorriso da un orecchio all'altro. Sono lieto che finalmente stia ricevendo qualche bella notizia. So pochissimo del suo passato, ma ha gli occhi tristi di una persona che ha sofferto e merita serenità.

«Comunque ho un'altra domanda da farti, ma stavolta non è un'offerta di lavoro» cambio argomento, scherzando.

«Ahahah, spiritoso! Avanti, spara» ride lei, scostandosi un ciuffo di capelli dagli occhi.

«Ti andrebbe di passare il Natale con noi quattro? Sai, qualcuno in casa temeva che tu dovessi passare un Natale solitario e ha avuto questa idea...» dico, un po' più serio di prima. «No, in realtà non solo qualcuno, tutti stavamo pensando di invitarti da noi, sperando che tu gradisca la nostra compagnia. E si intende che sarai nostra ospite in casa, così non dovrai fare un continuo andirivieni da casa tua.»

«Davvero?» Nikki mi guarda, con occhi sgranati e lucidi.

«Sì, assolutamente» replico, con un sorriso «e non sei minimamente obbligata a farci un regalo, siamo più che lieti di avere la tua compagnia e per noi è un regalo il fatto che tu sia ancora viva e in salute.»

«È un pensiero gentilissimo, non me l'aspettavo davvero...» proferisce, con gli occhi pieni di lacrime. «Accetto di tutto cuore l'invito! Grazie!» esclama, poi mi abbraccia forte e io ricambio la stretta, sorridendo.

«Non c'è di che, davvero.»

Mi congedo dalla ragazza dopo poco, con la promessa di rivederci presto e di tenerci in contatto, e raggiungo Serj, che ha in mano un pacchetto dall'aria sospetta.

«Cos'è quel pacco?» gli chiedo, una volta usciti dal negozio.

«È il regalo di Nikki! Ho anticipato i soldi per te, Daron e John, quando saremo a casa sistemeremo i conti» esclama, tutto contento.

«Ma sei un genio!» proclamo, dandogli una pacca su una spalla. «Hai approfittato del fatto che Nikki fosse distratta a parlare con me, eh? Bravo!»

«Modestamente...» il cantante fa spallucce, fingendo di tirarsela un po', poi scoppia a ridere. «Forza, torniamo a casa e risistemiamola un po' per Natale così Nikki troverà un bell'ambiente quando verrà.»

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Capitolo 8
*** The wait ***


Ciao a tutti! 
Chiedo venia per l'assenza di un qualunque messaggio a inizio/fine dello scorso capitolo ma è stata un'impresa aggiornare dal telefono (mai più o.ò") e non sono riuscita ad inserire nulla... dunque, sono tornata ad aggiornare anche qui questa storia (la posto principalmente su Wattpad) visto l'aumento di feedback, e vorrei ringraziare i nuovi recensori Kim_SunshineSoul_Shine e Hanna McHonnor per l'apprezzamento e il supporto!
Questo è un corto capitolo di transizione, penso che nei prossimi giorni aggiornerò di nuovo ^-^ buona lettura!




-Nikki-
No, ancora non ci credo.
Shavo e gli altri ragazzi mi hanno invitata da loro per il Natale!
Mi stavo preparando psicologicamente a subire questa festività più che viverla, come già accaduto negli anni prima, e invece sarò in compagnia e sarà un Natale con una vera "famiglia" fatta di persone che mi fanno sentire a mio agio, mi apprezzano e non mi giudicano a differenza della mia famiglia biologica.
Oddio, sono così emozionata!
 
Una volta tornata a casa dal lavoro, non avendo nulla da fare, decido di iniziare a preparare la borsa per quando sarò ospite dai ragazzi.
Spalanco l'armadio e in quel momento realizzo che ho ben poca roba adatta per dei festeggiamenti, ma poi penso che sicuramente Serj e compagnia non metteranno camicia e cravatta, quindi non sarà un dramma essere poco fornita di vestiti e scarpe eleganti... dopo aver fatto una rapida lista inizio a prendere le cose e a sistemarle. Le scarpe più "formali" che ho sono le mie creepers nere scamosciate, e queste le porto sicuramente insieme ai miei Dr Martens; aggiungo, sistemata in una busta, biancheria varia e una massa indefinita di calze e calzini. Metà bagaglio è praticamente fatto, mancano solo i vestiti.
Passando in rassegna i capi appesi e piegati nell'armadio i miei occhi si posano su qualcosa che non ricordavo nemmeno di aver portato con me: un vestito nero piuttosto corto, scollato, di velluto pesante.
Subitaneamente si forma nella mente l'immagine di me con quell'abito indosso, seguita da quella in cui mi accorgo di avere su di me lo sguardo di Daron.
Mi do una manata in fronte, cercando di fermare quella fantasia.
Come diavolo mi viene in mente roba del genere?!
Anche il mio cervello complotta contro di me, fantastico...
Comunque sia, prendo l'abito e lo metto insieme ad una gonna corta a pieghe con stampa scozzese, alcuni maglioncini e un paio di felpe di vari colori e varie fantasie, due paia di jeans di cui uno normale e uno strappato, per poi sistemare tutto il mucchio ben benino.
Okay, bagaglio fatto, il giorno prima di andare aggiungerò le ultime cose... e spero che nel frattempo la mia mente non inizi a remare contro di me facendomi fare film mentali su un certo chitarrista di mia conoscenza.
 
Il giorno dell'antivigilia mi sveglio verso metà mattinata, serafica: ho iniziato le mie ferie e ho ricevuto da Derek l'ultima paga e sono ultra contenta!
Mentre faccio colazione penso che mi piacerebbe poter fare un piccolo regalo ad ognuno dei ragazzi, ma non so esattamente cosa regalare ad ognuno di loro, li conosco ancora troppo poco... va bene, per ora mi accontento di essere io il "regalo" e, in aggiunta, darò una mano con i preparativi.
In un attimo di pausa, fra una faccenda domestica e l'altra, prendo il mio cellulare e scrivo a Shavo.
"A che ora devo venire domani?"
"Quando vuoi!"
"...se me lo dici tu è meglio magari, eh!"
"Ok, allora vieni nel pomeriggio, anche tardo"
"Ok!"
La sera tardi mi addormento senza troppe difficoltà e sorridendo, cosa alquanto rara in questo ultimo periodo della mia vita.

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Capitolo 9
*** A normal Christmas Eve ***


Ciao!
Sono qui ad aggiornare di nuovo, ne approfitto della coincidenza fra la vigilia di Natale e il tema del capitolo :D
Come sempre grazie per il feedback positivo e buona lettura! E anche auguri <3





-Nikki-
«Ma buonasera! Accomodati!» mi accoglie il bassista sulla soglia, con un sorriso a tremila denti.
«Grazie!» sorrido, entrando e portandomi dietro la borsa con la mia roba; il ragazzo fa per prendermela, ma lo fermo. «Grazie per l'offerta ma faccio io, devo mantenermi in allenamento così poi sarà più facile dimagrire dopo le abbuffate tipiche delle feste» declino l'offerta, ridacchiando, poi mi guardo intorno. «Avete sistemato proprio bene la casa, devo dire, è così bella ed accogliente.»
«Merito mio!» un'altra voce familiare, dal volume decisamente alto, giunge dalla cucina.
«Sì, Malakian, proprio tuo! A stento arrivavi a sistemare le decorazioni poco oltre la metà dell'albero!» lo rimbecca Shavo. Sono dei bambini quando interagiscono fra di loro, è certo, ed è anche divertente.
«Odadjian, hai cinque secondi per rimangiarti ciò che hai appena detto e poi il nano malefico verrà a vendicarsi!» la voce del chitarrista sale di un'ottava.
«Vieni pure!»
Dopo pochi attimi Daron compare nel mio campo visivo, con indosso un grembiule con sopra scritto "Fuck the cook"; in due secondi scoppio a ridere.
«Perché ridi?» mi chiede, accigliato, ma non riesco a rispondergli e la mia risata si fa più fragorosa.
«Indovina?» fa Shavo.
«Ride del mio fantastico grembiule, vero?» l'altro finge di mettere il broncio e avvolge le braccia attorno al suo corpo. «Poveri noi, nessuno ci comprende!»
«È che non avevo mai visto una cosa del genere!» mi giustifico, dopo aver ripreso un poco di fiato. «Okay, vado un attimo a portare su nella stanza il mio bagaglio» concludo, dirigendomi verso le scale; mi sto trattenendo a fatica dal ridere di nuovo e credo che Daron l'abbia notato perché mi sta guardando con aria truce.
Dopo aver poggiato la giacca e il bagaglio riscendo in tutta fretta e mi presento in cucina con tanto di maniche arrotolate.
«Allora, cosa c'è da fare? Voglio dare una mano!» esclamo, tutta contenta.
«Cooosa?!» mi si para davanti Serj, anche lui attrezzato di grembiule e con dei guanti. «Gli ospiti non lavorano!»
«Ma io voglio aiutarvi» replico, imbronciata.
Improvvisamente mi sento toccare su un braccio; mi volto e una piccola nuvola di farina viene soffiata sulla mia faccia e starnutisco con forza; appena mi riprendo vedo il nano malefico, alias Daron, ridere come un matto.
«Se ti acchiappo va a finire male!» protesto, pronta ad un inseguimento.
«Oh, la bestiolina mi sta sfidando» mi canzona lui, dondolandosi.
«La bestiolina viene a prenderti!» aggiungo, poi scatto in avanti e il ragazzo trasalisce e inizia a correre; nonostante sia basso è piuttosto rapido. L'inseguimento si estende nel soggiorno, dove lo rincorro e cerco di braccarlo, poi per caso inciampo nel bordo del tappeto e strizzo gli occhi, preparandomi all'impatto, ma invece atterro su qualcosa di morbido... ho praticamente placcato il chitarrista sul pavimento. Avvampo di colpo.
«Beh... per stavolta hai vinto, cosina» ammette Daron, rassegnato, ma non accenna a scrollarsi di dosso il mio peso; per qualche attimo mi fissa con i suoi grandi occhi scuri, poi interrompe il contatto visivo e il suo sguardo si sposta un poco più in basso e arrossisco ancora di più, incapace di parlare o muovermi.
«Daron! Dove ti sei perso?!»
Il vocione tonante di Serj spezza l'atmosfera momentaneamente creatasi e finalmente il mio corpo torna a rispondere ai comandi del cervello, quindi mi sposto e mi rialzo e tendo poi le mani a Daron per aiutarlo.
«Scusa se sono atterrata addosso a te, non era previsto» dico, timida, sorridendo.
«Oh, tranquilla, non è niente» ridacchia lui, spolverandosi un po' dopo essersi alzato; lo seguo docilmente, sperando che non si noti il rossore comparso sul mio viso.
 
«Bene, ragazzi, qua è tutto pronto, potete andare a sistemarvi» proclama Serj, tutto contento.
«Sistemarci? Dove? Come?» chiede John, perplesso.
«Non vorrete mica passare la vigilia vestiti da barboni, spero!» risponde il cantante, corrugando la fronte.
«Ci avevo pensato, sai?» fa Daron, poi ride e scansa per un pelo uno scappellotto.
«Malakian, sei inqualificabile» commenta Serj, sbattendosi una mano sulla fronte. «Comunque filate a lavarvi e cambiarvi, abbiamo anche un'ospite e dobbiamo essere decenti!»
«Okay mamma Serj!» rispondono gli altri tre in coro, poi prendono la rincorsa su per le scale per scampare l'ira del più vecchio che nel frattempo brontola cose del tipo «Ma vedi un po' se devo fare da mamma a quei tre solo perché sono il più vecchio» prima di zittirsi per qualche momento.
«È un piacere averti qui, Nikki» dice poi, sorridendomi.
«Grazie Serj, per me è sia un piacere che un onore essere qui» replico, ricambiando il sorriso.
«Ti trovo piuttosto in forma... sono guarite le ferite e i lividi?»
«Sì, adesso sto bene.»
«Meno male. E grazie per averci dato una mano, anche se gli ospiti non dovrebbero lavorare...»
«Non c'è di che! Sono stata contenta di essermi resa utile, è il mio modo di ringraziarvi per la gentilezza...»
«Non c'era necessità di farlo, ma comprendo che sei tenace e non cedi facilmente... su, vai a sistemarti se ne hai bisogno.»
«Sì. Tu non vai?»
«Resto un attimo a controllare le ultime cose, quando qualcuno dei ragazzi scende ci diamo il cambio.»
Annuisco e salgo le scale velocemente, dirigendomi verso la mia temporanea stanza e chiudendo la porta.
Apro il mio borsone e tiro fuori un maglioncino nero, la gonna con stampa scozzese e delle calze nere spesse e indosso il tutto; completo rimettendo ai piedi gli anfibi. Per qualche momento resto in contemplazione delle mie gambe, persa in chissà quali pensieri, e mi riscuoto sentendo il rumore di due porte che si aprono e si richiudono quasi in contemporanea e il chiacchiericcio di John e Shavo che scendono le scale.
Raggiungo lo specchio posto su una parete per guardarmi e sorrido, vedendomi per una volta carina; noto che l'accenno di trucco che avevo messo è miseramente scomparso, per cui applico di nuovo kajal nero in abbondanza. Perfetto, ora mi sento a posto.
Dopo aver indossato un paio di accessori esco a piccoli passi dalla camera, sentendomi un po' strana ad essere vestita "bene" in un posto che non è casa mia. Passando nel corridoio incrocio il cantante, che mi sorride prima di sparire nella sua stanza, poi odo Daron imprecare in modo colorito per chissà quale motivo. Com'è fine il ragazzo...
In mente spunta un'idea stupida e azzardata ma allo stesso tempo alquanto intrigante... perché non tentare di origliare o spiare?
Mi avvicino alla porta in punta di piedi e mi pongo in ascolto, ma alle mie orecchie giungono solo altri improperi, al che decido di spiare e mi abbasso al livello del buco della serratura, aguzzando la vista.
Scorgo un guazzabuglio di colori, probabilmente le decorazioni delle pareti della sua stanza, poi proprio a pochi metri da me lo inquadro, con già indosso dei normalissimi jeans ma ancora seminudo, mentre fruga nel suo armadio e riemerge con un paio di cose sottobraccio che si prova rapidamente e poi lancia da qualche parte... mi fa pensare ad una ragazzina in crisi per l'outfit per il primo appuntamento.
«Questo no... uff, nemmeno questo...» si osserva e poi sbuffa, sconsolato; per un attimo scompare dal minuscolo campo visivo che ho e ricompare con qualcosa in mano che pare essere un semplicissimo maglione nero e lo poggia su se stesso, coprendo temporaneamente il suo petto nudo, poi si osserva nello specchio.
«Forse questo potrebbe darmi un aspetto accettabile...» mormora, storcendo un poco la bocca, dubbioso; si tocca le guance rosse e si stringe nelle spalle, poi infila la suddetta maglia e si rimira per qualche attimo.
«Okay, ci siamo, non dovrei spaventarla...» commenta, con un sorrisino speranzoso.
Approfitto del fatto che torna a fare rumore e spostare cose, probabilmente per rimettere in ordine, per allontanarmi da lì e scendere al piano di sotto.
«Come sei elegante!» commenta Shavo quando entro nel salotto, con un gran sorriso.
«Non vedo tutta questa eleganza, ma grazie lo stesso!» replico, abbassando un po' la testa e arrossendo. «Anche voi vi siete sistemati bene, vedo!»
Sia John che Shavo hanno indossato semplici t-shirt scure con varie stampe e sopra giacche dal taglio non esattamente elegante ma nemmeno casual, il tutto abbinato a pantaloni scuri e sneakers scure. «Oh, grazie!» rispondono in coro i due.
«Segnali di vita da Daron?» chiede Serj, avvicinandomisi; a differenza dei suoi colleghi ha preferito indossare una camicia scura e dei pantaloni grigi.
«Credo stia finendo di prepararsi» rispondo, adottando un tono di voce neutrale.
«Eccomi!»
Udiamo la voce del chitarrista provenire dalle vicinanze e subito dopo lo vediamo comparire, tutto allegro; arrossisco appena pensando alla bravata che ho fatto poco prima mentre osservo com'è vestito. Oltre ad essersi conciato in modo accettabile si è persino pettinato per benino e ha sistemato quella sua strana barbetta, wow.
«Incredibile, non sembri un barbone!» esclama Serj.
«Gne gne gne, che spiritoso» fa l'altro in risposta, dedicandogli un dito medio per scherzo  «anche voi siete presentabili, devo dire» continua, guardandoli, poi posa il suo sguardo su di me. «Hey cosina, stai bene.»
«Grazie, antipatico» replico, facendogli una linguaccia «anche tu.»
«Bene, allora... all'attacco del cibo!» strepita Serj.

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Capitolo 10
*** A nice game ***


Ehilààà! :D
Eccomi qui ad aggiornare nell'ultimo giorno di questo 2016 (sciò, anno schifoso!), ci sarebbe stato bene il capitolo in cui ci si trova a Capodanno ma non calcolo i tempi per gli aggiornamenti e ho anche avuto giornate impegnate :'D 
Ringrazio ancora una volta chi segue e recensisce questa storia con molto affetto e non anticiperò assolutamente NULLA di questo capitolo, ve lo lascio pronto da "gustare" :P
Buona lettura <3








«Okay, basta, sto per scoppiare» proferisce Shavo, accasciandosi sul divano vicino a John.
«Pivello» commenta Daron, con ancora l'ultimo boccone da mandare giù.
«Io invece, alla faccia vostra, mi mantengo leggero» interviene Serj, serafico.
«Certo, sei vegetariano e la metà delle pietanze natalizie è fattibile per i tuoi gusti...»
«Anche la ragazzina non scherza, però» aggiunge Daron, voltandosi verso di me.
«Che io sia piccola non esclude che io sia una buona forchetta» ribatto, con una smorfia. «Chiamasi metabolismo veloce.»
«Ahahah, lo so.»
 
«Bene, visto che ci siamo tutti vogliamo fare qualcosa in attesa della mezzanotte?» propone il cantante, alzandosi.
«Qualcosa tipo vagare per casa tutti insieme e darci tanti bacetti vista la quantità industriale di vischio che hai appeso in ogni dove?» replica John, con una risata.
«Ma che simpatico, Dolmayan» lo rimbecca l'altro.
«Un classico "obbligo o verità" vi fa tanto schifo?» propone invece il chitarrista.
«Ma sì, vada per quello» Shavo annuisce e dal divano scivola giù per sedersi sul pavimento. «Seduti per terra è meglio» dice, a mo' di scusa.
Tutti lo imitiamo e dopo aver rintracciato una bottiglia di plastica vuota ci accomodiamo sul grande tappeto posto vicino al divano.
«Chi comincia?» chiedo, curiosa.
«Da bravi gentlemen diamo il privilegio di iniziare alle signore» risponde Serj, con una risata.
«Oh, va bene!» esclamo, stiracchiandomi un po' e poi guardando a turno ognuno di loro con finta aria malefica mentre la bottiglia gira e si ferma in direzione del bassista. «Obbligo o verità?» chiedo, seria.
«Verità» risponde lui, girando di nuovo la bottiglia che si blocca indicando il batterista.
«Bene bene, iniziamo con John» ridacchia, fregandosi le mani. «Leggi giornalini porno?»
John avvampa per un attimo. «Ehm... sì.»
«Beh, sei stato onesto e apprezziamo ciò» sorride Shavo, dandogli un colpetto sulla schiena. «Forza, ora gira tu.»
La "lancetta" del caso si ferma su Serj, che sceglie un obbligo, poi dopo pochi secondi indica Daron.
«Uhm, che obbligo possiamo darti? Vediamo... okay, ti toccherà giocare a "cinque minuti in paradiso" e ora sorteggeremo l'altra persona.»
«Ci sto» replica il chitarrista, tutto tronfio, attendendo il verdetto che non tarda ad arrivare... il collo della bottiglia si arresta ad indicare la malcapitata persona con la stessa decisione di una sentenza capitale.
E indica me.
Merda.
«Ohlalà!» fischietta il batterista.
Daron strabuzza gli occhi e per qualche istante esita, poi si rialza e si risistema e tenta di apparire ancora imperturbabile.
«Mi avete obbligato, so che se rifiuto l'obbligo c'è una penitenza e so anche che voi siete pericolosi quando scegliete le penitenze, per cui non mi ritiro» proclama, poi si avvicina e mi tende una mano per aiutarmi ad alzarmi e la stringo con decisione, tornando in posizione eretta; le mie gambe sembrano un tantino "molli" e me ne accorgo subito, ma non voglio darlo a vedere. Si alza anche Serj, che ci accompagna su e tiene in mano un cronometro.
«Mi raccomando, fate i bravi» ridacchia perfidamente, spingendoci nella camera del chitarrista e chiudendo la porta, poi sentiamo il bip del cronometro che si è avviato e i suoi passi mentre scende le scale.
La stanza è totalmente al buio, solo un filo di luce proveniente dall'esterno entra dentro; a tentoni raggiungo il letto e mi siedo, mentre Daron si sposta e si posiziona da qualche parte non molto lontana.
«Tutto okay, cosina?» la sua voce tradisce una punta di nervosismo.
«Sì, grazie» rispondo con voce neutrale, sebbene mi stia torcendo le mani in grembo.
Qualche attimo di silenzio, poi lo sento parlare di nuovo.
«Avevi mai fatto giochi come questi?»
«Sì, qualche volta, quando ero più piccola.» Mi zittisco dopo aver risposto, ma l'assenza di dialogo genera ancora più ansia di quanta me ne dia la situazione e decido di fargli una domanda che, seppur nascostamente, mi frulla in testa dalla sera in cui mi ha salvata.
«Sei single?»
«Sì, da qualche mese. Non è andata a finire molto bene, ma vabbè.» Risposta laconica e dal tono piatto, ma che instilla in me un mix di sensazioni fra le quali emerge una piccola, innominabile speranza.
Odo improvvisamente un fruscio e avverto un movimento del materasso che si abbassa, e comprendo che il ragazzo si è seduto accanto a me, poi sento una sua mano morbida e calda poggiarsi su un mio braccio.
«Sei nervosa, lo sento» mormora, con una risatina.
«Neanche tu sembri molto rilassato» ribatto, usando lo stesso volume di voce e recuperando un briciolo dell'ironia che sono solita usare nei suoi riguardi; lo avverto più vicino e il cuore inizia a galoppare nel petto.
«Sei astuta, cosina, a cercare di cambiare argomento» commenta.
«Potrei dire la stessa cosa di te.»
Lo sento ridere di nuovo, una risata un po' profonda insolita per il suo timbro di voce, poi si muove e percepisco che si sta avvicinando ancora; essendo i miei sensi più acuti nell'oscurità, avverto la presenza del suo braccio dietro di me.
«Sai essere dannatamente irritante, ma ciononostante questa situazione mi intriga» riprende a parlare, dopodiché si ferma e nel giro di qualche secondo sento il suo respiro caldo vicino, troppo vicino. «Posso?» domanda, con il tono di voce più innocente del mondo.
Il cuore salta un battito e il respiro mi si spezza e, pur provandoci, non riesco a parlare perché la gola mi si è annodata...
Oddio, no, Nikki, cosa fai, in che situazione ti sei cacciata, perché, perché reagisci così alla sua presenza?!
Annuisco, so che è stupido e non è detto che lui lo capisca ma è l'unica cosa che riesco ancora a fare.
Daron prende un paio di respiri un poco tremanti e un secondo dopo le sue labbra si posano sulle mie con la grazia di una carezza. Trasalisco al contatto e la mia bocca, come animata di volontà propria, risponde con altrettanta delicatezza.
Poco dopo essersi accorto della mia risposta il bacio di Daron si fa un poco più deciso e vacillo, sopraffatta da ciò che sto provando; con due dita mi prende per il mento e mi cinge con un braccio per avvicinarmi a sé e, proprio mentre mi sento sull'orlo di un baratro non fisico, qualcuno bussa alla porta.
«Tempo scaduto!»
«Arriviamo!» risponde Daron, dopo essersi allontanato; respira profondamente per alcuni secondi, poi si alza e mi porge una mano per invitarmi a fare lo stesso.
«Stai bene?»
«Sì.» Sto mentendo spudoratamente, lo so, ma non ho scelta.
«Bene. Devo dire che questo tipo di giochi ti scombussola parecchio...»
«Temo di sì...»
«E devo anche dire che questo è stato un bel giochino.»
Non parlo più per tutto il tragitto fino al salotto, ancora scossa da ciò che è accaduto, ma mi ricompongo presto e nascondo ogni traccia di ciò che ho provato e, quando la mezzanotte scatta e inizia lo scambio di auguri, appaio come la Nikki di sempre; ma quando si fa ora di andare a letto e mi ritrovo da sola con me stessa, nel letto che è stato testimone del mio arrivo in questa casa, avverto una sensazione di gelo intorno al cuore.
...è stato un bel giochino. Per lui temo sia stata davvero una ragazzata... per me temo che non sia stata esattamente la stessa cosa.
Nella mia vita ho avuto pochissime relazioni serie e ho baciato poche persone... ma ciò che il bacio di Daron mi ha trasmesso è più vivido e forte di qualunque cosa provata prima.
E lui? Cos'ha provato? Sembrava così nervoso poco prima di baciarmi... dubito che sia rimasto indifferente, ma poco importa perché per lui pare essere stato solo uno scherzo, una sciocca sfida in un gioco.
Nikki, stupida Nikki, stai provando qualcosa per Daron, rimedia prima che sia troppo tardi...
Improvvisamente la stanchezza prende il sopravvento e mi addormento ancora prima che possa rendermene davvero conto, pacificamente.
 

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Capitolo 11
*** What the early morning brings ***


Salveeee, buon 2017 a tutti! :D
Eccomi qui con il primo aggiornamento dell'anno nuovo, come sempre ringrazio tutti coloro che leggono e che recensiscono per il loro affetto, tutto questo feedback positivo mi scalda davvero il cuore <3
Buona lettura!






Riemergo dall'incoscienza del sonno udendo rumori di imprecisata natura e origine; una volta riaperti gli occhi metto a fuoco le prime lame di luce che penetrano dalla finestra e finalmente identifico i suoni: il chitarrista-nano malefico sta molestando i suoi colleghi insistendo perché si alzino, proprio come un bambino che la mattina di Natale butta i genitori giù dal letto presto perché non ce la fa più a stare a letto e vuole aprire i regali.
«Dio santo, Daron, sono le sette e trenta del mattino!» odo la protesta di John.
«Malakian, se non torni a letto entro due secondi ti faccio a fettine!» tuona Serj.
«Ma è Natale e io non ho più sonno e voglio che ci siate anche voi per aprire i regali!» si lamenta il chitarrista, con una vocina da bimbo frignone.
«Natale o no, è ancora presto!»
Mi alzo e mi affaccio sulla soglia, mettendo a fuoco prima la sagoma del ragazzo e poi il suo faccino che mi fa tenerezza e mi viene un'idea.
«Se vuoi compagnia finché gli altri non si alzano io sono sveglia, ti va?» gli propongo, calma.
Lui si volta, alquanto stupito, poi annuisce.
«Vieni qui allora.»
Lo vedo venire verso di me con passo lievemente esitante e apro di più la porta per lasciarlo passare, prima di richiuderla.
«Che ci fai già in piedi?» gli domando, tornando a sedermi sul letto. Sono struccata e indosso un banale pigiama composto da pantaloni di tuta grigi e una t-shirt nera, spero di non essere spaventosa a vedersi, anche se credo fossi messa peggio quando ero sporca e ferita.
«Mi sono svegliato e non riuscivo più a riaddormentarmi» confessa, con aria innocente, sedendosi su un bordo del materasso.
«Mi sei sembrato proprio come quei bambini che a Natale, a prima mattina, saltano sul letto dei genitori per svegliarli così si va tutti a vedere i regali, sai?» commento e poi rido, fermandomi quando lo vedo storcere un poco il muso in una smorfia buffa.
«Grazie del complimento, eh» mugugna, un poco imbronciato.
«Su, non essere permaloso» gli tiro un cuscino con fare scherzoso e lo centro proprio in testa, e lui non perde tempo e me lo rilancia, divertito.
«Niente lotte con i cuscini, troppo rumore, Serj fa a fettine pure me oltre che te» dichiaro, scuotendo la testa.
«Uuuff.»
Cala il silenzio e, in quel preciso momento, vengo come fulminata dalla consapevolezza di una cosa.
Il ragazzo è in mutande e indossa solo una t-shirt viola e l'ho notato solo ora.
Ed è nella mia stessa stanza, sul mio letto.
Sento le guance farsi bollenti e nel tentativo di nascondere il mio viso mi volto e chino la testa.
«Credo sia inutile che tu ti nasconda, me ne sono accorto che sei imbarazzata dal mio abbigliamento.»
La sua voce mi giunge alle orecchie, venata di divertimento, e ha solo l'effetto di farmi arrossire di più.
«Non voglio sembrare una bambina candida e ingenua, è che cose del genere mi stanno accadendo solo ora e mi imbarazzano un po'» mi giustifico, sollevando lo sguardo per incontrare il suo.
Ride sottovoce, una risata comica che mi strappa un sorriso. «Sono pur sempre un mascalzone che turba fanciulle innocenti, ricordalo.»
Nonostante il mio proposito di rimanere quieta gli lancio di nuovo un cuscino, stavolta uno più grosso, che arriva di nuovo a segno sulla sua faccia.
«Ma allora questa è una guerra!» esclama lui, raccogliendolo e brandendolo come un'arma, poi sale in ginocchio sul letto e tenta di colpirmi; in fretta mi armo con un altro dei cuscini e cerco di parare i suoi "attacchi".
«Aiuto! L'ho fatto solo perché la faccia che fai quando vieni centrato non ha prezzo e sei buffo!» rido, con un poco di affanno.
«Adesso affronterai la collera del chitarrista dei System Of A Down!» proclama lui, quasi fosse un personaggio di un film, continuando a tentare di fare breccia nella mia difesa in modo serrato, sogghignando.
Ad un certo punto i cuscini che stiamo usando vengono in contatto con forza e barcolliamo entrambi, essendo in precario equilibrio sulle ginocchia e sul materasso, e in una confusione di bianco, morbidezza e piccole piumette svolazzanti cadiamo entrambi; resto ferma per qualche secondo, ridendo così tanto da strizzare gli occhi, poi quando li riapro mi accorgo di qualcosa che mi fa tornare seria e sgranare gli occhi.
Come diamine è successo che io sono ancora stesa e Daron è sopra di me?!
Queste situazioni imbarazzanti e abbastanza equivoche iniziano ad essere troppo frequenti...
Avvampo di nuovo, peggio di prima; la mia mente ripercorre in un flashback gli eventi della sera precedente, consapevole della presenza di lui e del suo essere abbastanza svestito; come se non bastasse, per mia gran sfortuna, nessun muscolo sembra rispondere ai comandi del mio cervello. Grandioso.
Daron, ancora con il fiatone per la lotta, mi fissa intensamente; si abbassa poi su di me lentamente e il mio cuore inizia a battere furiosamente contro la cassa toracica, al che socchiudo gli occhi, conscia di ciò che sta per avvenire di nuovo... ma, poco dopo aver percepito il suo respiro caldo sul viso, le sue labbra si poggiano su una mia guancia per una frazione di secondo.
Riapro gli occhi, stupita sia per il gesto sia perché non è successo ciò che io credevo stesse per succedere, e metto a fuoco la sua faccia e il suo sorrisino. Il mio battito cardiaco è ancora a mille ed è così forte che temo che lui possa sentirlo, nel silenzio della stanza e della casa.
«Bella lotta, bestiolina» mormora, ravviandosi un ciuffo di capelli, poi si sposta e si rimette seduto, con lo sguardo perso nel vuoto.
Io resto nella stessa posizione, immersa nei miei pensieri; improvvisamente sento le palpebre farsi pesanti e mi riaddormento prima di riuscire a capirlo e quindi spostarmi con la testa sul cuscino.
 
-Daron-
Dopo un lasso di tempo che non so quantificare, qualcosa mi distrae dal guardare un punto indefinito della parete di fronte e mi accorgo del silenzio che impera, per cui mi volto e trovo Nikki in una posizione inusuale e pacificamente addormentata; i suoi tratti sono totalmente distesi, il suo respiro è regolare e poco rumoroso... sembra piccola e fragile, più di quanto possa sembrarlo da sveglia.
Le sue clavicole paiono premere per uscire da sotto la pelle vista la loro sporgenza, le sue gambe sono sottili e segnate da alcuni piccoli segni, probabilmente "ricordi" d'infanzia... poi scorgo alcuni segni traslucidi sulle sue braccia.
Mi avvicino con cautela, per poter osservare meglio.
Cicatrici, in serie, sugli avambracci.
Deduco che sono vecchie dal loro pallore ma non importa, sono lì e non dovrebbero esserci, non avrebbero mai dovuto deturpare la sua pelle.
Nikki mi ha raccontato di aver meditato di suicidarsi, ma ha omesso di essere stata autolesionista. Quella sera mi ha parlato a cuore aperto per effetto dell'alcol e perché, a quanto pare, si fida di me... allora perché non mi ha detto quest'unica cosa? Teme forse che possa essere qualcosa che non capirei o accetterei? Non la giudicherei mai... non è nelle mie corde giudicare, e avendo avuto anch'io la mia dose di esperienze negative e periodi bui non penserei mai e poi mai di fare una tale cosa.
Aspetterò che si svegli, così proverò a farle qualche domanda...
Mi siedo a gambe incrociate sul letto e sorreggo la testa con un braccio puntellato su un ginocchio e per ingannare il tempo guardo prima Nikki, poi la stanza, gli arredi, la sveglia sul comodino e la luce del sole che inizia ad entrare in quantità maggiore dalla finestra.
Sembra passato un secolo quando qualcosa mi riporta alla realtà e poi sento le voci dei ragazzi che stanno scendendo le scale: evviva, finalmente si sono svegliati quei pigroni! Ora devo svegliare la ragazza, così saremo tutti insieme di sotto.
«Nikki?» provo a chiamarla, con un volume di voce un po' basso, ma non da segno di avermi sentito. «Hey, Nikki, sveglia» riprovo, e stavolta le prendo un polso per poi scuoterlo leggermente.
La ragazza apre gli occhi e vedo le sue guance colorirsi appena mi riconosce.
«Che succede?»
«Sono tutti svegli, finalmente» sospiro, contento «alzati anche tu così scendiamo.»
«Okaaay...» sbadiglia lei, strofinandosi gli occhi e mettendosi a sedere. Devo parlarle prima che sia troppo tardi, ora che siamo ancora soli.
«Posso domandarti una cosa?» le chiedo, avvicinandomi.
«Certo... cosa?»
Le prendo un braccio, con l'interno dell'avambraccio rivolto verso l'alto, e lo sollevo verso di me, poi la guardo e lei trasalisce; probabilmente ha capito a cosa mi sto riferendo.
«Perché non me lo hai detto?» domando semplicemente, con gli occhi fissi nei suoi.
«I-io... n-non...» balbetta, poi china la testa.
«Avevi paura che io potessi giudicarti?»
«C... credo di sì, un po'... non so...»
Scorgo una lacrima che le scivola su una guancia e mi sento come colpito da un pugno.
«Guardami» le dico, poi con una mano le alzo con garbo il viso in modo che torni a guardarmi e lei sostiene il mio sguardo con qualche esitazione.
«Non ti sto rimproverando, cosina, e non mi azzarderei mai a giudicare. Ho anche io il mio fardello di esperienze e sensazioni negative e sarei un grande stronzo a permettermi di giudicare chi per un motivo o per un altro giunge a fare determinate cose. Ci sarà sempre qualcuno che non capirà e giudicherà anziché tacere, ma devi ignorarlo e preoccuparti di chi può invece capirti e supportarti. Mi capisci?»
La ragazza annuisce, tirando su leggermente con il naso.
«Bene. Comunque, quanto sono vecchie queste cicatrici?»
«Almeno di due anni. Ho iniziato a tagliarmi negli ultimi anni di scuola, dopo gli abusi subiti da parte del mio primo fidanzato, perché non reggevo più il carico di dolore. Ogni volta che il sangue fluiva fuori, sembrava che almeno per un attimo tutto andasse meglio. Ho smesso qualche tempo dopo la mia fuga sia perché mi sono resa conto che stavo distruggendo me stessa e non valeva la pena farlo, sia perché da un certo momento in poi non ho più sentito il bisogno di tagliarmi.»
Le sorrido in modo incoraggiante. «Sono fiero di te perché hai capito e hai smesso e sei uscita fuori da questa spirale.»
Nikki finalmente sorride di nuovo, poi inaspettatamente mi abbraccia; mentre ricambio la stretta avverto una sensazione di calore nel petto, ma decido di non soffermarmi ad analizzarla.
«Non lo dirai agli altri, vero?» chiede, con la testa semi-abbandonata contro la mia spalla.
«No, sarai tu a dirlo quando ti sentirai pronta. E sappi che anche loro, come me, non ti giudicheranno.»
«Va bene. Andiamo?» aggiunge, sciogliendo l'abbraccio.
«Tu inizia a scendere, io torno in stanza per vestirmi e prendere una cosa e scendo» le dico, alzandomi; annuisce, quindi esco da lì.
Una volta nella mia camera infilo in fretta un paio di pantaloni giusto per non subire una ramanzina da parte di mamma Serj per la mia sconcezza, poi frugo un attimo fra le mie cose.
Ho ancora da parte delle copie dei due album prodotti fino ad ora con i ragazzi, conservate con l'intenzione di regalarle, ma finora non ho trovato il destinatario giusto per un dono come questo; ho deciso che li avrà Nikki, spero che apprezzerà il regalo e, chissà, anche la musica.
Dopo aver incartato i due cd con un sacchetto resto per un attimo fermo a fissare il pacchetto nelle mie mani, poi prendo un respiro e mi accingo a scendere.
"Malakian, ti viene l'ansia anche per un regalo?"
«Taci» zittisco la vocina nella mia mente, scendendo le scale.

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Capitolo 12
*** Unexpected things ***


Salve a tutti!
No, no, non abituatevi a questi ritmi di aggiornamento, sono stati possibili perché ero in vacanza ;-; avviso già che il prossimo aggiornamento arriverà presumibilmente la prossima volta che avrò un pc e internet, dunque alla fine di febbraio, a meno che non riesca prima...
Ringrazio come sempre per l'affetto, mi rende davvero felice. Buona lettura <3





-Nikki-
«Buongiorno!» saluto i ragazzi, raggiungendoli in cucina.
«Buongiorno a te!» risponde Shavo, seguito dagli altri.
«Tutto okay? Niente problemi di stomaco o di intestino per via del cibo di ieri?» mi informo, scherzosa.
«Credo che John abbia scorreggiato per tutta la notte» commenta Serj, serafico «ho sentito rumori sospetti.»
John si volta a guardarlo, contrariato. «Non è vero!»
«Sarà...»
«Buongiorno a tutti, belli e brutti!»
Il saluto urlato del chitarrista ci fa sobbalzare tutti per lo spavento; Shavo rivolge un'occhiataccia a Daron, che in tutta risposta lo ignora e si avvicina, allegro.
«La prossima volta che tenti di svegliarci così presto a Natale ti scasso di botte, capito nano?» fa il cantante, con gli occhi a fessura.
«Su, vecchio, non fare così!» replica il suo interlocutore, con nonchalance, tentando di dargli una pacca su una spalla, ma lui si scansa e lesto tende un braccio nel tentativo di pizzicarlo.
«Hey!! Non si fanno queste cose!»
«Certo che sì!» Serj acchiappa Daron e gli strofina energicamente una mano chiusa a pugno sulla testa, ottenendo ulteriori proteste.
«Okay, time out!» annaspa il più giovane, cercando di liberarsi dalla presa. «Ora andiamo ad aprire i regali?»
«Sì, nano malefico.»
Ci trasferiamo tutti nel soggiorno e, dopo una rapida incursione sotto l'albero, Shavo arriva da noi con il "carico" e scarica i pacchetti sul divano e sul tavolino.
«Bene, quest'anno il più bravo sono stato io!» fa Serj, sventolando i suoi pacchetti.
«Pfff, credici» lo rimbecca Daron, con una smorfia.
«E vedo che c'è qualcosa anche per il nostro tecnico di tour!» aggiunge John, prendendo un pacchetto di dimensioni considerevoli e un sacchetto e porgendomeli; sorpresa, prendo le due cose e le appoggio in grembo, contemplandole con stupore.
«Mi avete fatto dei regali?» li guardo ad uno ad uno, con gli occhi grandi e lucidi.
«Certo! Perché non avremmo dovuto fartene?» risponde Shavo.
«Ma... per me è già un grande regalo essere con voi, non meritavo ulteriori regali!»
«Sssh, troppo tardi, ora aprili» mi fa Serj, con un gesto che sta a significare "suvvia, tranquilla". «Unico appunto, il regalo più grosso è il nostro, non so da parte di chi viene l'altro, quindi ti consiglierei di stare attenta, potrebbe essere pericoloso!»
«Ma che spiritoso!» commenta Daron, alzando gli occhi al cielo.
«Su, Nikki, inizia tu!» mi incoraggia John, sorridendo.
«Oookay, inizio io ad aprire i regali» accetto, con un sorriso, poi inizio a scartare il primo pacco. Quando mi ritrovo davanti la scatola non faccio caso a cosa c'è raffigurato sopra e la apro rapidamente; mi ritrovo in mano delle grosse cuffie e, dopo averle osservate meglio, sento un tuffo al cuore... sono le cuffie identiche a quelle che ha comprato Daron non molto tempo fa, tranne per le decorazioni in argento.
Queste cuffie nere con le decorazioni dorate mi intrigano, e queste uguali ma con i dettagli in argento ti donerebbero molto. Sono le parole che disse il ragazzo quel giorno mentre lo aiutavo a scegliere le sue nuove cuffie... sono sicura che c'è il suo zampino in questa faccenda. Comunque sono molto contenta del regalo, le mie cuffie attuali sono di bassa qualità e stanno per rompersi perché le uso spesso e mi fa davvero comodo averne un paio nuovo e di così buona qualità.
«Ma, ragazzi... sono meravigliose! Oddio, non mi sdebiterò mai abbastanza!» li guardo, contenta e con gli occhi di nuovo umidi. «Grazie davvero!» dopo averle poggiate sul divano salto su e abbraccio e bacio su una guancia ognuno di loro; quando arrivo dal chitarrista mi sento un poco impacciata, spero che non lo noti.
«Ora rimane il presunto pacco-bomba!» fa John, fingendo di essere sospettoso.
«Dai, che esagerati che siete» dico, ridendo, prendendo in mano il sacchetto di carta liscia e grigia su cui c'è scritto il mio nome con una grafia un poco strana; lo apro e lo rivolgo con cautela verso il basso per farne uscire il contenuto... e mi ritrovo in mano ben due cd. I due album prodotti finora da Serj e compagnia, fra cui l'ultimo che è uscito pochi mesi fa.
«Oh!» commento, osservandoli. «Wow, è l'occasione per poter finalmente ascoltare cosa avete fatto di bello in questi anni di attività!» sorrido, tutta contenta, e nel frattempo faccio lavorare un po' la mente. Chi potrebbe avermi fatto un regalo del genere?
«Da' qui, ne metto uno nello stereo così senti subito» mi si para davanti il bassista; mi fa segno di porgergli il disco con la copertina più scura e glielo do e si allontana ad accendere lo stereo, dopodiché lo inserisce e regola il volume in modo che non sia né troppo basso né troppo alto.
Ciò che proviene dalle casse è un vero bombardamento uditivo: parti cantate e urlate, stop and go continui, una carica che sa molto di tribale, alcune modulazioni di musica e voce che sanno di orientale. Per essere il primo album, considerando che erano probabilmente alle prime armi, è davvero niente male. Shavo rimane lì vicino allo stereo e cambia canzone, facendomi sentire quelle che a suo parere sono le più importanti, e alla fine toglie il cd dal lettore e me lo restituisce.
«Wow!» commento, poi mi rendo conto di aver trattenuto il fiato ed espiro di botto.
«Lo stai dicendo solo perché ci vuoi bene» borbotta Daron, con un piccolo broncio.
«Assolutamente no! Non sono una lecchina, io» rispondo, incrociando le braccia e fingendomi offesa, poi rido. «Dico davvero, è fantastico! Credo che appena possibile ascolterò il secondo album in "privato", così poi vi dirò il mio parere, ma sono certa che è altrettanto bello.»
I quattro ragazzi mi guardano e sfoderano sorrisi smaglianti a cento denti e io scoppio a ridere, soprattutto per quello di Daron che è un poco più irregolare ed è per questo più buffo.
«Vi adoro ragazzi, davvero.»
 
«Ci sono visite in programma per oggi o per i prossimi giorni?» domando, indaffarata a lavare roba mentre gli altri sono intenti a cucinare.
«Oh sì, nei prossimi giorni forse vengono a fare visita i miei genitori» risponde Serj, indaffarato ed infarinato «e oggi pomeriggio fanno un salto qui i genitori del nano malefico.»
«Cooosaaa?!»
Lo strepito acuto del chitarrista mi giunge alle orecchie e per un attimo non sento più da un orecchio.
«Ti sei scordato della visita dei tuoi?»
«Giusto un attimo...»
«Suvvia...» do qualche colpetto su una spalla a Daron, tentando di sdrammatizzare. «Saranno mica così terribili i tuoi genitori?»
«Oh, no, assolutamente, è che volevo saperlo un po' prima, così mi preparavo psicologicamente...»
«Non dargli retta, Nikki, sta scherzando, i suoi genitori sono delle persone carine e non sarà per loro un problema incontrare e conoscere te dopo aver allevato una bestiola come lui» interviene Shavo, con nonchalance. Vedo uno straccio volare in direzione del bassista e finire poi sul mobile dietro di lui dopo essere stato scansato.
«Malakian, che mira schifosa che hai...»
«Odadjian, sfotti poco!»
Insomma, tutto regolare, hanno ripreso a bisticciare come bimbi come al solito ed è anche molto divertente osservarli, sembrano proprio fratelli.
 
Come la sera scorsa, una volta che è tutto pronto saliamo a cambiarci per il pranzo.
Passando in rassegna i vestiti nel mio bagaglio, seduta sul mio letto, decido di "riciclare" la gonna usata ieri e di abbinarla con calze scure abbastanza sottili, creepers nere e un maglioncino amaranto; una volta vestita mi osservo allo specchio, mi liscio un po' i capelli con le mani prima di pettinarli e legarli in una treccia, poi mi trucco giusto un poco.
Sono pronta per questa seconda giornata di festa... e anche per incontrare i genitori di Daron oggi pomeriggio.
Ciò che "temo" non è tanto che pensino subito che io sia la nuova fidanzata del loro figliolo, quanto che inizino con eventuali commenti su ex o progetti di matrimonio... ma è anche vero che non li conosco, può darsi che non si comportino così, ed è sicuro che come al solito penso troppo.
Forse è meglio se scendo, gli altri saranno già giù ad attendermi.
 
Una volta scese le scale mi trovo davanti Serj, John e Shavo, di nuovo vestiti per benino ma non propriamente eleganti, che come la sera precedente mi fanno complimenti garbati che mi fanno arrossire un poco. Scorgo in un angolo il chitarrista, intento a sistemare qualcosa, ed esamino la sua mise, che differisce da quella della sera precedente solo per la parte superiore, poiché anziché un maglione indossa una camicia con motivo a piccole stelle colorate su fondo scuro e sotto, probabilmente, una classica t-shirt scura; i capelli sono un po' più ribelli, ma trovo che gli donino di più... scuoto la testa e mi dirigo verso la cucina, cercando qualcosa di diverso a cui pensare e un modo per rendermi utile.

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Capitolo 13
*** Meeting ***


Salve a tutti!
Usufruendo di un pc altrui posso finalmente aggiornare, spero sia possibile far così anche qualche altra volta xD 
Ringrazio come sempre i lettori e i recensori, soprattutto Kim, Soul e Hanna che mi implorano sempre di aggiornare presto :'D
Buona lettura! <3





Siamo seduti su divano e poltrone, chiacchierando del più e del meno, quando udiamo bussare alla porta.
«Sono già arrivati?» salta su Daron, risistemandosi camicia e capelli. «Ma che ore sono?»
«Sono le quattro del pomeriggio, non è molto presto e neanche molto tardi.»
«Vado ad aprire...»
Sento il rumore della porta che si apre, poi due voci nuove e quella del chitarrista; dopo un paio di secondi di ascolto mi rendo conto che il timbro di voce del padre è lo stesso di Daron. Li sento parlottare in una lingua che non riesco a comprendere, probabilmente armeno visto che so delle origini armene dei ragazzi, mentre appendono i cappotti nell'ingresso e si dirigono verso il soggiorno.
Mi liscio rapidamente i capelli e la gonna, assumendo una posizione "formale" e garbata, con le mani posate in grembo. Spero di fare una buona impressione...
Sulla soglia compaiono due persone, all'incirca di mezza età: lui è bassino, con capelli ingrigiti e pizzetto e barbetta dello stesso colore, mentre lei è più o meno della stessa altezza, con capelli di media lunghezza un po' chiari e un sorriso molto carino che somiglia molto a quello del figlio. Entrambi sono vestiti non troppo formalmente e per questo devo ringraziarli perché così non mi sentirò a disagio.
«Salve a tutti!» salutano insieme, sorridendo, e rispondiamo quasi in coro, dopodiché Daron mi fa cenno di alzarmi e raggiungerlo e fa le presentazioni.
«Mamma, papà, lei è Nikki» dice semplicemente, guardando prima loro e poi me. «Nikki, loro sono i miei genitori.»
«Piacere!» timidamente rivolgo loro la parola per la prima volta, stringendo la mano ad entrambi.
«Figliolo, non ci avevi detto che hai trovato una fidanzata!» esclama il padre, sorpreso e contento allo stesso tempo, mentre ci riaccomodiamo.
Io e Daron ci guardiamo per un attimo, straniti, poi lui si affretta a spiegare la situazione.
«Papà, lei non è la mia fidanzata, è solo un'amica... cosa ti ha fatto pensare una simile cosa?»
«Conosco i tuoi colleghi abbastanza da capire che lei non potrebbe essere la fidanzata di nessuno di loro, la vedo molto bene con te. Comunque, anche se non è la tua fidanzata, è molto carina lo stesso.»
Arrossisco e faccio un cenno con la testa per ringraziare per il complimento.
«Cara, come hai conosciuto quel matto di nostro figlio e i suoi colleghi?» mi domanda la madre, dolcemente.
«È successo per caso» inizio, con voce quieta «Serj mi ha soccorsa in un momento di bisogno e così ho conosciuto lui e i suoi amici pazzerelli, incluso vostro figlio. Sono gli amici migliori che potessi mai chiedere di avere, onestamente.»
«Oh, capisco» risponde la signora, con un sorriso.
«E c'è di più» interviene Serj, con una traccia di orgoglio nella voce «visto che uno dei nostri tecnici di tour è infortunato gravemente e noi partiremo a metà gennaio per la nuova tournée, lei lo sostituirà perché non è solo una bella e brava persona, ma ha anche capacità e talenti notevoli.»
Mi si inumidiscono gli occhi per la lode che il cantante ha appena tessuto di fronte a due persone che ancora non conosco.
«Mi fa davvero molto piacere» si esprime il signor Malakian, affabile. «E dici un po', nostro figlio fa il bravo o ti rompe le scatole?»
«Vostro figlio è un caro ragazzo, però sì, ogni tanto fa il monello e pare che voglia proprio essere picchiato» rispondo, scherzosa, dando una mezza gomitata al chitarrista che è seduto alla mia destra e replica il mio gesto, ghignando.
«Oh beh, ordinaria amministrazione, ma sembri una ragazza in gamba, quindi noi stiamo tranquilli perché sappiamo che ci sei tu a farlo rigare dritto!»
Scoppiamo tutti a ridere. Spero che in questo momento il povero Daron non si senta in imbarazzo per quello che i suoi genitori stanno dicendo...
Passa un'ora circa fra una chiacchiera e l'altra e in questo lasso tempo scopro, come succede sempre a parlare con dei genitori, piccole marachelle e piccole disavventure di Daron bambino che mi fanno ridere fino alle lacrime mentre immagino nella mia mente tutto ciò che mi raccontano, doveva essere proprio un bel tipetto già da piccolo.
«Purtroppo dobbiamo andare» dopo una pausa di silenzio il signor Malakian da uno sguardo all'orologio «abbiamo altre visite programmate per questo pomeriggio e rischiamo di fare tardi.»
«E purtroppo abbiamo promesso, quindi non possiamo saltare gli altri appuntamenti» aggiunge la signora Malakian, lisciandosi la gonna scura.
«Venite, vi prendo i cappotti» Daron si alza e loro lo seguono; di nuovo li sento chiacchierare nella lingua di prima, ha un suono strano ma musicale e il fatto che comunichino in una lingua usata in ambito familiare ed intimo è molto dolce e mi fa sorridere. Per un attimo sento la voce di Daron assumere un'inflessione a metà fra lo stranito e l'infastidito, mentre quella del padre rimane morbida e confidenziale, e poco dopo il tono del figlio torna normale; la cosa mi fa pensare a quei genitori che sanno che una determinata cosa accadrà, nonostante le rimostranze e i dubbi dei propri figli, anche se io non ho mai avuto un padre così.
Mentre ancora rimugino i signori tornano da noi per salutarci e, in piedi, attendo che abbiano salutato i ragazzi.
«Conoscerti è stato davvero un piacere, figliola» proferisce il signor Malakian, prendendomi una mano fra le sue. «Mi raccomando, pensaci tu al mio figliolo scapestrato.»
«Farò il possibile» rispondo, sorridendo.
«Ha fatto molto piacere anche a me incontrare una ragazza così carina e garbata come te» aggiunge la signora Malakian, dandomi una leggera carezza sul viso. Oddio, i genitori di Daron mi hanno appena fatto capire che risulto loro simpatica e addirittura una fidanzata papabile per il loro figlio?!
Dopo i saluti torno a sedermi, alquanto frastornata dagli eventi dell'ultima ora.

A pomeriggio inoltrato, proprio poco dopo essere tornata nella mia stanza per cambiare la gonna di cui mi sono stufata con dei jeans strappati, sento improvvisamente un gran baccano fatto di urla ed esclamazioni; sono giunte altre visite che credo servano anche per animare la serata che altrimenti si preannuncia stanca, e pensare che ancora non mi sono ripresa dall'incontro con i genitori di Daron...
«Hey, cos'è questo casino?» chiedo, una volta tornata al piano terra.
«Momento di sclero generale» fa Serj, voltandosi verso di me «ma quando ci rincontriamo fra amici è sempre così, scusa se ti abbiamo spaventata.»
«Ehilà!»
Due facce nuove spuntano nel mio campo visivo e per un attimo rimango di sasso ad osservarle. No, credo di non conoscere questi due individui e sono sicura che siano amici dei ragazzi.
«C-ciao...» saluto, imbarazzata.
«Bella lì!» uno dei due sconosciuti mi si para proprio davanti e mi porge una mano. «Io sono Sako, tecnico della batteria di questa band di matti, piacere di conoscerti.»
«Oh... piacere mio, Sako, io sono Nikki» rispondo, stringendogli la mano.
«Sako, lei sarà la sostituta del nostro solito tecnico dell'assistenza» aggiunge John, avvicinandosi.
«Wow!» esclama l'altro, inclinando un poco la testa di lato. «Quindi, in pratica, siamo colleghi!»
«Beh, credo di sì...»
«Ciao tecnico!» si fa avanti anche l'altro tipo, un ragazzone biondo con occhi chiari e un grande sorriso. «Io sono David, soprannominato Beno, e sono il manager della Velvet Hammer Music.»
«Piacere mio, Beno» replico, durante la stretta di mano «sono onorata di conoscere una persona così importante.»
«Pfff, suvvia, non sono mica la regina d'Inghilterra» ride lui.
«Questi due matti ci terranno compagnia stasera» proclama Shavo, tutto contento.
«Prevedo il delirio totale...»
«E fai bene.»
«Davvero?»
«Beh, hanno portato una scorta di cibo spazzatura e vodka...»
«...oddio...»

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Capitolo 14
*** This talk will be our secret ***


Salve di nuovo!
Piccolo "regalo di S. Valentino" per voi lettori, a prescindere dall'essere o meno fidanzati... XD Ho avuto di nuovo la possibilità di usare un pc quindi aggiorno, visto che è già passato un po' di tempo!
Come al solito ringrazio i miei lettori e recensori per tutto il feedback che è la mia gioia <3
Buona lettura!



 

-Nikki-

«Yeeeee!» un urlo accompagna il gesto di tre dei ragazzi che nello stesso momento mandano giù uno shot di vodka a testa.
La piega assunta dal corso della serata mi pare ben poco rassicurante, considerato che sono al quarto o quinto round di questo gioco "alcolico"; il più sobrio è a quota un bicchierino ed è Serj, poi ci sono Shavo e John che sono a quota due e infine ci sono Sako, Beno e Daron che si stanno sfidando e sono arrivati a quota cinque se non ho fatto male i calcoli. Okay, non sono come me che non reggo molto bene l'alcol, ma sono certa che pure succederà qualcosa stasera.

«Nikki!»

Torno improvvisamente alla realtà quando qualcuno mi ficca tra le mani la "dose" di alcol e, quasi senza pensarci, mando giù in un colpo solo e sento il bruciore dell'alcol misto al sapore dolce della fragola. Uhm, niente male.

«Alèèè, anche lei ha bevuto il primo shot!» tutti esultano come tifosi allo stadio e non so se ridere o sentirmi in imbarazzo. Dopo aver poggiato il bicchiere sul tavolo qualcuno mi prende a braccetto e quasi mi trascina e, quando riesco a rendermi conto di cosa diamine sta succedendo, mi ritrovo al fianco di Beno e Daron e tutti gli altri ci guardano incuriositi. All'improvviso scivolo su qualcosa, il biondo perde la presa sul mio braccio e il chitarrista mi salva giusto in tempo dall'impatto; abbasso lo sguardo per cercare di capire cosa ho pestato e riconosco un rametto di vischio... alzo la testa e vedo praticamente un mezzo cespuglio della stessa pianta sospeso sopra la testa.

«Heeeey, siete finiti sotto al vischio...» inizia Beno, molto divertito dalla cosa.

«...e dunque ora ci vuole un bacetto!» Sako continua, appoggiandosi a lui e ridacchiando.

Tutti scoppiano a ridere vedendomi sgranare gli occhi così tanto da rischiare che i bulbi oculari cadano fuori.

«Un bacio sotto al vischio non si nega mai!» sei proprio d'aiuto, eh Shavo?

«Suvvia, sarà rapido e indolore» mi giungono all'orecchio le parole del chitarrista, che non ha lasciato la presa dopo avermi impedito di cadere.
Merda, ho di nuovo il battito cardiaco a mille... in pochissimo tempo il ragazzo mi prende per il mento e preme le sue labbra sulle mie per un paio di secondi prima di staccarsi con tanto di schiocco e gli altri esultano manco avessimo vinto una qualche gara.
Per qualche momento ancora resto impalata, poi mi riscuoto e, dopo essermi liberata gentilmente dalla presa del ragazzo, faccio un cenno di scuse e mi allontano verso il bagno, al piano superiore; una volta dentro chiudo la porta a chiave e mi siedo sul pavimento di piastrelle azzurre, tentando di calmare il respiro e il battito del cuore.

Sento ancora sulle labbra il sapore della bocca di Daron mischiato a quello aromatizzato della vodka, un mix inebriante ed esagerato.

Improvvisamente il mio cellulare vibra e io sussulto appena per lo spavento prima di prenderlo in mano; sul display c'è il nome della mia amica Georgia.

"Ciao Nikki, come stai? Volevo dirti che nei prossimi tre giorni sarò lì a Los Angeles e mi piacerebbe vederti."

Un sorriso da un orecchio all'altro si fa strada sul mio viso. Anche se pure lei si è trasferita nei dintorni di Los Angeles, non la vedo da un po' per via dei suoi e miei impegni di lavoro e devo assolutamente raccontarle degli ultimi fatti, visto che c'è di mezzo la sua band preferita.

"Ciao Georgia, sto bene, e tu? Vorrei vederti anche io, ci incontriamo domani da Starbucks a Sunset Boulevard alle 16?"

Un minuto circa di attesa, poi la risposta. "Perfetto! Porta un amico, ne porto uno anche io. A domani!"

"Okay, a domani!"

Dopo aver scritto a Hilary per invitarla all'incontro di domani e aver ricevuto la sua risposta positiva sospiro, contenta e un po' più rilassata, poi mi passo la lingua sulle labbra e sento di nuovo quel gusto che mi manda in tilt.

Le cose stanno sfuggendo di mano e il mio cuore va per fatti suoi, indomabile come sempre... se penso che passerò diversi mesi quasi a stretto contatto con quel ragazzo quasi mi sento male, perché non so come si evolveranno le cose.

Dopo una breve serie di respiri profondi esco da lì, sforzandomi di apparire naturale e tranquilla. Incrocio Serj, che mi guarda e poi inarca un sopracciglio come per chiedermi se è tutto okay e io annuisco, con un sorriso, ma temo di non essere stata molto convincente visto che la sua faccia perplessa non è sparita, anzi, mi fa un cenno e capisco che vuole parlarmi in privato, per cui saliamo le scale e ci fermiamo all'ingresso della sua stanza.

«Qualcosa non va, Nikki?» mi chiede, preoccupato.

«Sto bene...» rispondo, tentando ancora di salvare un'apparenza.

«Non ti credo. Forza, sputa il rospo.»

«Niente di che, la vodka sta già facendo effetto su di me e ho reagito impulsivamente al bacio e ho preferito allontanarmi per qualche minuto.»

«Non credo c'entri solo l'effetto dell'alcol...» una pausa, poi riprende. «Provi qualcosa per Daron?»

Le parole mi colpiscono come un pugno nello stomaco. No, non riuscirei a mentire su una cosa del genere, lo capirebbe, sarebbe stupido anche solo tentare.

«P-penso di... sì.»

Lo sguardo del cantante si addolcisce un po'. «Adesso capisco molte cose.»

Non oso indagare su cosa abbia capito, non credo di avere la forza di sostenere le sue affermazioni.

«Non voglio assolutamente darti false speranze o distruggere quelle che potresti già avere, ma voglio dirti comunque alcune cose. Daron è certamente un bravo ragazzo, pazzerello e simpatico, ma alle volte può essere testardo, alquanto stupido, orgoglioso o peggior nemico anche di sé stesso. Lo so che non sembra ma è timido, diventa facilmente ansioso, talvolta ha paura di ferire gli altri o di rimanere ferito e decide di non legarsi o respingere le persone. Di tutte le ragazze con cui è stato finora nessuna è stata, a mio parere, in grado di farlo stare realmente bene e di capirlo davvero, forse è anche per questo che le sue relazioni non sono mai durate molto. So che al cuore non si comanda, ma devi sapere chi è il ragazzo per cui ora provi solo qualcosina che in futuro potrebbe diventare amore. Non ti dirò più di questo, il resto te lo dirà lui se vorrà. Ho già notato che c'è una certa confidenza fra di voi, non so come sia nata ma mi fa piacere che ci sia.»

Sorrido, poi lo abbraccio e lui ricambia con affetto.

«Questa chiacchierata rimarrà un segreto fra noi due, vero?»

«Certamente.»

Sciolto l'abbraccio torniamo di sotto, e cerco di assumere un'aria rilassata e normale per non attirare sospetti e attenzioni; mi siedo in un angolo e osservo Daron mentre sclera con gli amici e ride e parla a ruota libera, con una strana sensazione in fondo al petto.

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Capitolo 15
*** Long-time friends reunite ***


E rieccomi! 
Come sempre ringrazio i lettori e i recensori per l'affetto, ne sono sempre onorata e molto felice! <3 Per il prossimo aggiornamento non so quanto ci sarà da attendere ma credo non molto, dunque pazientate please :3
Buona lettura! <3




 

-Nikki-

Il giorno dopo, una volta finito di pranzare e successivamente di sparecchiare, mi ricordo di avvisare i ragazzi che sarò fuori per qualche ora, mi sembra doveroso farlo visto che sono loro ospite.
«Ragazzi, devo avvisarvi di una cosa» esordisco timidamente.
«Dicci pure» Serj mi invita a continuare, con un gesto della mano.
«Una mia cara amica è qui a Los Angeles per pochissimi giorni e vorrebbe vedermi, quindi, se non vi dispiace, oggi pomeriggio sarò assente per qualche ora.»
«Oh, tranquilla, nessun problema.»
«Amica, hai detto?» interviene Daron, con aria pensosa.
«Sì, amica. Porta con sé un amico e io faccio lo stesso, verrà con me la mia collega Hilary.»
«Uhm...»
Le parole escono prima che possa fermarle, con una venatura appena percepibile di ironia o sarcasmo. «Non preoccuparti, starò attenta e non accetterò caramelle dagli sconosciuti.»
Il chitarrista mi guarda per qualche secondo, gli occhi appena dilatati e la bocca socchiusa, poi riabbassa la testa e, con un cenno che dovrebbe pressappoco significare "okay, lasciamo perdere", torna a fissare un punto nel vuoto e riprende, probabilmente, il corso dei suoi pensieri solitari; sorrido impacciata ai ragazzi, poi torno su nella mia stanza per avere un po' di quiete.
Una volta seduta sul letto vedo i cd ancora poggiati sul comodino e ho come un'illuminazione, per cui mi affretto a recuperare il mio lettore di musica e le cuffie e inserisco il secondo cd, quello che non ho ancora ascoltato.
Il primo brano ha un inizio ben ritmato, devo dire che mi piace molto... lascio scorrere la musica e nel frattempo anche i miei pensieri.
Cosa voleva dire Daron poco fa? Che voleva essere lui ad accompagnarmi all'incontro? Che era interessato a conoscere la mia amica? Che era geloso del fatto che ci sarà un ragazzo? O forse voleva solo assicurarsi che non mi stessi cacciando nei guai? Comunque sia so muovermi da sola dentro Los Angeles, non dovrebbero esserci problemi visto che l'incontro è di pomeriggio, non è un'uscita combinata per coppie, semplicemente Georgia ha con sé un amico e io porto con me Hilary, preferisco ulteriore compagnia femminile per questa uscita, infine non credo assolutamente che si trattasse di gelosia, ne dubito altamente.
Mentre ancora il corso delle mie considerazioni è su questa scia, nelle cuffie risuona l'intro di una canzone che mi risulta abbastanza familiare... dopo alcuni secondo la riconosco, l'ho sentita qualche volta alla radio negli ultimi mesi, deve essere una hit di successo; controllo la tracklist e leggo il nome, "Chop Suey!", che onestamente non mi fa venire in mente nulla, domanderò poi a Serj cosa significa. Il contrasto fra la durezza di alcune parti e la morbidezza di altre mi piace, il testo è suggestivo. Mi fa ancora così strano sentire il canto di persone delle quali conosco il parlato: Serj ha una voce abbastanza normale e quando canta è versatile e potente, quella di Daron invece somiglia un po' di più al parlato ed è una voce più chiara e vibrante, ed entrambe sono davvero piacevoli all'ascolto e si amalgamano bene fra di loro nelle canzoni.
"Bounce" è un intermezzo matto e piacevole prima di "Forest", che causa il prepotente ritorno della pelle d'oca che è affiorata alcune volte già prima. C'è qualcosa di bellissimo in questo brano che mi cattura e non so definire cos'è. Più avanti anche "Toxicity" mi risulta abbastanza familiare e stavolta ricordo con chiarezza di averla sentita alla radio nel negozio un giorno e di aver anche pensato che mi piaceva molto. Il colpo di grazia arriva con "Aerials", che mi porta brividi più forti di quelli avuti finora mentre sento gli occhi inumidirsi appena; credo di essermi appena innamorata di questa canzone.
Una volta finita la riproduzione del cd resto immobile e in silenzio per qualche momento; credo che ci vorrà più di un ascolto per "metabolizzare" musica e parole, ma indubbiamente mi piace, e non lo dico solo perché i musicisti che hanno prodotto questo album sono miei amici.
Una volta visto l'orario mi rendo conto che devo sbrigarmi se non voglio fare tardi all'appuntamento, dunque abbandono sul letto lettore e cuffie e frugo nel bagaglio alla ricerca di cosa mettere; opto per una comoda felpa nera normale abbinata ai jeans strappati e ai dr. Martens e mi trucco applicando giusto una linea di kajal intorno agli occhi, non voglio spaventare nessuno a questo incontro. Una volta indossata la giacca di pelle e presa la borsa mi dirigo giù al primo piano.
«Ci vediamo fra un paio d'ore, fate i bravi in mia assenza» dico ai ragazzi che sono ancora svaccati sul divano, tenendomi sulla soglia.
«Non preoccuparti, ci pensa mamma Serj a tenerci a bada» risponde Shavo, con una risata.
«Fai la brava anche tu, eh» il cantante mi "ammonisce" paternamente.
«Attenzione a non perderti, bestiolina.»
Toh, non mi aspettavo che Daron parlasse. «Tranquillo, antipatico.»
Lo vedo accennare un sorriso e in risposta sorrido anche io; dopo un ultimo saluto esco e prendo appena in tempo un taxi per arrivare al punto d'incontro.
Mancano dieci minuti all'orario stabilito quando scendo davanti al negozio di Starbucks su Sunset Boulevard: trovo Hilary già lì ad aspettarmi mentre si guarda intorno con curiosità. La chiamo e lei si volta, sorridendo dopo avermi riconosciuta.
«Sei arrivata in anticipo, vedo!» le dico, dopo i saluti. «Da quanto tempo sei qui?»
«In realtà da poco, ci tenevo ad arrivare puntuale e a non rimanere imbottigliata nel traffico.»
Dopo qualche minuto un altro taxi si accosta al marciapiede e scendono due persone: riconosco immediatamente la mia amica Georgia per via della sua criniera di ricci neri, mentre il ragazzo deve essere l'amico di cui mi ha detto.
«Georgia!»
«Nikki!»
Corriamo l'una verso l'altra e ci stritoliamo in un abbraccio. Lei è stata la mia unica amica d'infanzia e non ho mai superato il trauma del suo trasferimento in un posto abbastanza lontano, avvenuto quando entrambe avevamo tredici anni, ma per fortuna abbiamo mantenuto i contatti e abbiamo potuto vederci un paio di volte negli anni del mio girovagare... e ora eccoci qui riunite.
«Sei diventata più bella dall'ultima volta che ti ho visto! Qual è il trucco?» chiede, scherzosa, facendomi fare una piroetta e osservandomi.
«Nessun trucco, e sinceramente non capisco dove stia questa bellezza in più, ammesso che sia bella» rispondo, altrettanto scherzosa, e lei mi da un mezzo scappellotto. Credo mi detesti quando demolisco così la mia poca autostima, ma sa che io in fondo accetto volentieri i suoi complimenti. «Tu, piuttosto, ti sei fatta più bella!» dico, seria; è magra, abbastanza alta, ha un viso carino e simpatico ed vestita più o meno come me ma con delle Converse ai piedi e una graziosa collana dorata al collo.
«Che esagerata che sei! Ma ti ringrazio» dice, con un grande sorriso, poi fa un cenno al suo amico, che si avvicina. Ha capelli castano chiaro, con un lungo ciuffo laterale, occhi dello stesso colore e dalla forma leggermente allungata, un viso inusuale e tutto sommato piacevole, è abbastanza alto e snello ed è abbigliato con una felpa, dei jeans, delle sneakers e un parka color oliva.
«Ebbene, Nikki, ti presento Dan, un mio caro amico che vive nei dintorni di Los Angeles» Georgia fa le presentazioni, tutta contenta; io e Dan ci stringiamo la mano, sorridendoci a vicenda.
«Io invece vi presento Hilary, amica e collega di lavoro» dico a mia volta, facendo andare avanti la mia amica che si presenta ad entrambi.
«Ebbene, vogliamo entrare a prendere qualcosa?»
«Sicuro!»

«Allora, che mi dici?» mi domanda Georgia, una volta presi i nostri caffè e cappuccini, sedendoci ad un tavolino.
«Beh, ci sarebbero così tante cose che vorrei dirti» esordisco «ma ti racconterò solo le più importanti per ora. Una di queste cose è strana ma vera e so che non mi crederai mai.»
«Proverò a crederti» fa lei, ridendo e passandosi una mano fra i capelli. «Dai, fata dai capelli blu, sputa il rospo.»
«Ebbene, hai presente i System Of A Down?»
«Certo che sì, ho presente di sicuro la mia band preferita! E dunque?»
«Dunque... uhm... per via di alcune circostanze particolari... li ho conosciuti. Di persona.»
La mia amica spalanca la bocca e la mascella pare cascarle fin sul tavolo. «Oh. Mio. Dio. Com'è possibile?!»
«Vedi, qualche settimana fa, mentre tornavo da una lunga passeggiata serale dopo essere tornata dal lavoro e aver cenato, me la sono vista brutta a causa di alcuni pezzi di merda che, superiori numericamente, hanno ben pensato per chissà quale ragione di assalirmi e picchiarmi, è un miracolo che me la sia cavata solo con ematomi e graffi... per puro caso, Serj si è trovato a passare di là e mi ha portata a casa e fatta visitare da un dottore suo amico, come mi ha raccontato poi, e in seguito ho conosciuto anche gli altri ragazzi.»
«Oh...» credo che Georgia sia rimasta leggermente senza parole. «E poi?»
«Beh, poi ho iniziato a stringere amicizia con tutti e quattro... e visto che il prossimo mese ripartono in tour e uno dei loro tecnici è impossibilitato ad andare, con mia grande esterrefazione mi hanno scelta per sostituirlo.»
«Oh cavolo!» Georgia squittisce, sempre più incredula e sconvolta.
«E non è finita qui... mi hanno invitata da loro per Natale, proprio nel senso che sono ospite in casa loro per tutto il tempo, quindi praticamente io vengo da casa loro.»
«Oddio! Ti prego, portami a conoscerli!»
«Volentieri, mi consulto con loro appena possibile e ti dico, okay?»
«Sì! Oddio, non sai quanto mi rende felice tutto questo! Sono contenta che tu sia ancora viva grazie a loro e che tu abbia addirittura un lavoro migliore e più figo!»
Sorrido, contenta della sua reazione.
«Ma aspetta, c'è ancora una domanda che devo farti!» Georgia mi "ferma", guardandomi con finta aria malefica.
«Cioè?»
«Chi ti piace dei quattro?»
Di colpo le guance iniziano a bruciarmi e abbasso lo sguardo, imbarazzata.
«Beh, sono tutti e quattro carini e simpatici, ma mi sembra presto, troppo presto per capire se davvero mi piace uno di loro...»
«Balle, la tua faccia dice tutto. Allora, chi è dei quattro?»
«Vuoi provare ad indovinare?»
Georgia si gratta il mento, pensierosa, mentre Hilary e Dan si scambiano un'occhiata un po' strana e poi ridacchiano. Cosa combinano, quei due? «Dunque, vediamo un po'. Serj?»
«Assolutamente no, è bravo e talentuoso ma fisicamente non mi piace.»
«Bene... Shavo?»
«Shavo è carino e simpatico, ma lo vedo più come un fratello.»
La ragazza rimugina un poco più a lungo, guardandosi intorno ogni tanto prima di tornare a posare lo sguardo sul mio viso; cerco di apparire tranquilla e impassibile, ma ho il presentimento che stia per azzeccarci.
«Sarà forse... Daron?»
Colpita e affondata... le mie guance avvampano, chiara risposta alla sua domanda.
«Aha! Beccata! Ti piace proprio il più pazzo!»
«Okay, sì, mi hai beccata, però non urlare, ti prego, non voglio che tutta Los Angeles sappia che ho un interesse per il chitarrista dei System Of A Down... vuoi che le altre fan ti sentano e vengano a sbranarmi?!»
Anche Hilary sorride, divertita dalla cosa; lei sapeva già del fatto che trovavo interessante il chitarrista, ma ora ha avuto conferma.
«Tu che mi dici, invece?» cerco di sviare il discorso.
«Stai sviando il discorso, eh? Va bene, ti darò tregua per ora prima di torturarti in privato per sapere tutti i dettagli... comunque nulla di particolare, solita vita, solito lavoro, niente novità sentimentali.»
Cala il silenzio per qualche secondo, rotto poi dalla mia amica.
«Dan, perché non dici qualcosa di te?»
«V-va bene» risponde il ragazzo, con voce leggermente malferma, poi si risistema sulla sedia e si sposta un poco il ciuffo dagli occhi. «Mi chiamo Dan, ho ventitrè anni, sono originario di Anaheim, dove vivo e lavoro in un salone di parrucchiere, nulla di eclatante insomma... poi, uhm, sono timido ma con voi mi trovo a mio agio. E sono anche single, giusto per la cronaca.»
Vedo Hilary concentrata ad osservarlo mentre ancora parla e in mente sorrido; forse quella single incallita che è la mia collega si è interessata, e pare che Dan ricambi poiché la guarda spesso.
Cupido scoccherà la sua freccia?
Dopo un altro po' di tempo di chiacchiere, Georgia si alza con l'aria di chi ha un annuncio da fare.
«Visto che abbiamo finito qui e possiamo andare e non è sicuro che potremo rivederci nei prossimi giorni, propongo una cosa» esordisce. «Avendo notato del feeling fra Dan e Hilary, propongo che passeggino da soli per un po', così possono conoscersi meglio mentre io faccio il terzo grado a Nikki. Un'oretta dovrebbe bastare, ci ritroviamo poi qua fuori. Va bene?»
«Non c'è problema!» esclamano nello stesso momento la mia collega e il ragazzo, scoppiando poi a ridere dopo essersi accorti di aver detto le stesse parole nello stesso momento.
Ci alziamo e usciamo, immergendoci nel crepuscolo cittadino, poi ci separiamo e la "coppietta" prende una direzione, chiacchierando, mentre io e la mia amica ne prendiamo un'altra, temporaneamente in silenzio.

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Capitolo 16
*** Catching-up ***


E rieccomi ad aggiornare! Non so esattamente quando potrò aggiornare di nuovo visto che ho di nuovo le giornate un poco più piene, ma non credo ci sarà molto da attendere :3 
Mi "scuso" in anticipo per il capitolo che è forse un po' ridondante ma in fondo utile all'economia della storia v.v
Come sempre ringrazio lettori e recensori per il feedback positivo che mi dà tantissima gioia <3
Buona lettura!



 

«Sai che adesso ti sottoporrò ad un interrogatorio, vero?» fa lei, con un finto sorriso perfido.
«Chissà perché immaginavo già che lo avresti fatto» rispondo, ridacchiando.
«Ebbene, cominciamo proprio ora, preparati» fa una pausa, preparando la prima domanda. «Per iniziare, raccontami com'è successo che tu sia stata pestata e trovata da Serj.»
Mi schiarisco la voce e poi inizio. «Come già detto, circa due settimane fa sono stata picchiata, probabilmente a quei ragazzi non piacevano il mio colore di capelli, i miei tatuaggi e il mio piercing. Ho chiamato aiuto per un po', e proprio mentre stavo perdendo le speranze e la voce qualcuno è venuto e mi ha preso in braccio e in quel momento sono svenuta. Sono rinvenuta per un attimo dopo un lasso di tempo indefinito, in un luogo che sicuramente non era casa mia, e ho intravisto due persone, di cui una mi stava tastando sulle zone doloranti, e da lì ho capito che era un dottore e stava cercando di capire se avevo delle fratture e aveva bisogno che fossi almeno parzialmente cosciente. Mi hanno poi lasciato dormire, e la mattina dopo Serj è venuto a vedere come stavo e mi ha lavato la faccia e mi ha poi detto il suo nome.»
«Mi dispiace molto che ti sia successa una cosa del genere» mormora Georgia, poggiandomi una mano sulla spalla. «Come al solito queste cose succedono quando sono lontana e impegnata al lavoro, e proprio due settimane fa ero tagliata fuori dal mondo grazie al cellulare balengo che non funzionava... non ci siamo ancora scambiati gli indirizzi, ricordamelo poi.»
«Certo.»
«Ora passiamo all'argomento più scottante!» esclama, ridendo quando vede la mia espressione cambiare da seria a imbarazzata. «Com'è avvenuto l'incontro con Daron, e com'è stato?»
«Uhm...» tentenno un poco, poi tossisco appena. «Diciamo che è successo in circostanze abbastanza imbarazzanti... nello stesso giorno dopo essere stata trovata, dopo ore passate a letto a dormire, ho deciso di alzarmi anche per fare un salto al bagno e mi sono incamminata, con attenzione, reggendomi al muro occasionalmente visto che le gambe erano ancora un poco malferme... e l'ho incontrato faccia a faccia... ed era appena uscito dalla doccia.»
«Merda!» strepita Georgia, poi si zittisce e si chiude la bocca con le mani per qualche secondo, per riprendersi. «Dunque era...?»
«No, non era nudo, almeno aveva un asciugamano in vita... ma è stato comunque terribilmente imbarazzante.»
«Mi immagino la tua faccia paonazza e sconvolta... e lui ha detto qualcosa?»
«Beh, vedendo i suoi occhi strabuzzati ho pensato di averlo spaventato e ho fatto per tornare indietro dopo essermi scusata, ma lui mi ha fermata, poi mi ha presa in giro per il mio imbarazzo e infine se n'è andato, raccomandandosi che non venissi risucchiata da qualcosa nel bagno. Ah, e poi in bagno avevano lasciato una pila di asciugamani per potermi lavare e lui ci ha lasciato sopra un bigliettino in cui si raccomandava ancora che non facessi danni.»
«Molto fiducioso, il ragazzo, eh?»
«Già...»
«Poi?»
«Poi, quando sono scesa al piano terra della casa accompagnata da Serj e mi ha vista, ha coniato ben due soprannomi per me, "cosina" e "bestiolina", giusto per dirmi che ero messa abbastanza male da far paura e che nonostante ciò non gli dispiacevano le cose che mi rendono "strana", cioè tinta, ferraglia e inchiostro sotto pelle.»
«Però, carini questi nomignoli!»
«Hey!! Mi sfotti?»
«Ma no, è una tua impressione!»
«Tu vuoi le botte...»
«Forse, chi lo sa? Ahahah, com'è divertente vederti reagire così! Comunque, torniamo serie... dopo il giorno dell'incontro quante altre volte vi siete visti?»
«Il giorno dopo averlo conosciuto è venuto nel negozio in cui lavoravo... non ricordo se te l'avevo detto, ma fino a prima di Natale ho lavorato in un negozio di informatica ed elettronica, ora ovviamente sono licenziata visto che ho un altro lavoro temporaneo in tour con i ragazzi.»
«Sì, credo me lo avessi detto... dunque è venuto giusto nel negozio dove lavoravi? Wow!»
«Sì, e il tutto è stato nuovamente molto imbarazzante. Ho anche fatto la consulente per il suo acquisto e si è fidato di me. E mi ha chiamata di nuovo bestiolina.»
«Ma allora è un'abitudine chiamarti così!»
«Ormai penso di sì...»
«E basta? Non vi siete più visti?»
«Certo che ci siamo visti di nuovo! Una sera, tornando a casa dopo essere stata a bere qualcosa con Hilary, ho rischiato di essere stuprata e lui mi ha salvata.»
«Merda, Nikki, ma hai la calamita attira-guai?! Dimmi dov'è che te la tolgo!»
«Spiritosa! L'importante è che sia intervenuto e la cosa si sia risolta. Comunque poi siamo andati a bere qualcosa insieme e ci siamo rintanati in un vicolo a chiacchierare e, visto che era curioso di sapere il significato dei miei tatuaggi, ho finito per raccontargli un po' del mio passato... e ho avuto un momento di debolezza in cui stavo per piangere ma non volevo, e...»
«Ti ha baciata?»
«...più o meno.»
«Oh cazzo!»
«Sì! Ho pensato proprio questo! Poi mi ha riaccompagnata a casa, ma non c'è stato un altro bacio.»
«Uff, ci speravo...»
«Qualche sera dopo, però, ho incontrato Serj e Shavo che mi hanno fatto la famosa proposta di lavoro, cioè sostituire il loro tecnico che si occupa di problemi e assistenza che è gravemente infortunato... e hanno esplicitamente ammesso che è stato Daron a proporre questa sostituzione.»
«Woah, bella questa cosa! E quindi non vi siete più visti fino a Natale?»
«Esatto.»
«Ed è successo qualcosa in questi giorni?»
«Mh...»
Esito per un attimo; non ho ancora elaborato appieno i fatti più recenti.
«Ti si legge in faccia che qualcosa è accaduto, e non è una cosa da poco.»
«Considera che la sera della vigilia è iniziata con lui che cercava di sabotare la mia disponibilità a dare una mano e l'ho rincorso per poi inciampare nel tappeto del salotto e cadergli addosso a peso morto, e per qualche secondo mi ha fissata...»
«...oh...»
«...poi, giocando ad obbligo o verità per passare il tempo fino alla mezzanotte, lo hanno obbligato ai "cinque minuti in paradiso" e il caso ha voluto che fossi io la persona che doveva rimanere rinchiusa per cinque minuti, sola con lui, in una stanza, precisamente la sua.»
«Oh porca merda... ed è... è successo ciò che penso io?»
«Dipende da cosa tu pensi.»
«Ti ha baciata di nuovo?»
«...sì.»
«Quanto è durato?»
«Poco, è accaduto poco prima della fine del tempo concesso.»
«E...?»
«Stranamente mi ha chiesto se poteva e all'inizio è stato delicato, ma appena ha captato la mia risposta ha intensificato il bacio, con un braccio mi ha avvicinata a sé e con una mano mi ha preso il mento...»
«Come ti sei sentita?»
«Come se stessi annegando nel mare delle mie sensazioni.»
«Oh.»
«Già...»
Abbasso lo sguardo e taccio per qualche secondo.
«E nient'altro?»
«Ieri mattina era sveglio prima delle otto e, visto che ero sveglia anche io e stava rischiando di prenderle dai colleghi che volevano dormire, l'ho fatto venire da me così da poter fare due chiacchiere, e per via di una battaglia di cuscini ci siamo trovati di nuovo in una situazione imbarazzante, ma il bacio me l'ha dato sulla guancia. Ieri sera invece sono venuti dei loro amici, dopo aver mangiato tutti schifezze varie ci siamo cimentati in un qualche gioco a base di alcol, più che altro Daron e i due nuovi ospiti, e per pura casualità io e lui ci siamo ritrovati sotto a dei rami di vischio e tutti facevano il tifo perché mi baciasse... e quindi un altro bacio, al sapore di vodka alla fragola. Mi sono poi chiusa in bagno per qualche momento per riprendermi, giusto quando mi hai scritto per accordarci per oggi.»
«Ti sei sentita di nuovo come l'altro giorno, vero?»
«Esatto.»
«Beh, mi sembra chiaro ed evidente che tu provi qualcosa per lui.»
«Lo so. L'ho ammesso con Serj, ieri sera, in una breve conversazione privata.»
«Come ha reagito?»
«Ha avuto una reazione come di tenerezza e poi ha voluto dirmi un paio di cose a proposito di Daron, forse per capire meglio che persona è e, magari, gestirmi meglio nei suoi confronti.»
«Carino un gesto del genere da parte sua.»
«Sì. Ha solo undici anni più di me ma a volte è un po' come un padre, sia per i ragazzi che per me. Avrei voluto un padre così.»
«Potresti considerarlo comunque come un padre, anche se sei cresciuta» dice Georgia, posando di nuovo una mano su una mia spalla. «Comunque, prova a lasciare il passato alle spalle se non vuoi che ti renda invivibile il presente.»
«Che filosofa che sei, amica mia...»
Una volta finita la lunga conversazione, con aggiunta di altri dettagli, guardo l'orario e mi rendo conto che è quasi passata un'ora, quindi lo faccio notare a Georgia e ci incamminiamo di nuovo verso Starbucks.

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Capitolo 17
*** Meet the guys ***


Hello people! *3*
Eccomi ad aggiornare agli sgoccioli di un brevissimo tempo trascorso a casa mia, non sapendo precisamente quand'è che potrò aggiornare di nuovo... come sempre ringrazio lettori e recensori per tutto <3
Buona lettura!




 

-Nikki-
Arrivate lì troviamo lì ad aspettarci Hilary e Dan che continuano a chiacchierare fitto fitto e sorridere.
«Già qui?» chiedo, con un sorriso.
«Siamo arrivati tipo due secondi fa!» risponde Dan. «Allora, avete fatto questa chiacchierata immensa e segreta?»
«Certamente! L'interrogatorio di Georgia è stato duro ma sono sopravvissuta» scherzo, dando giocosamente una spallata alla mia amica.
Improvvisamente sento il mio cellulare squillare e mi affretto a prenderlo; sullo schermo ci sono nome e numero di Shavo.
«Pronto?»
«Hey Nikki!»
«Ciao! Come mai mi cercavi?»
«Volevo sia sapere se era tutto okay sia dirti che io e i ragazzi stiamo per uscire a fare un giro.»
«Ah! Tutto okay, tutto nella norma. Vogliamo incontrarci così poi torniamo a casa insieme? Beh, in realtà la mia amica vorrebbe anche conoscervi, essendo vostra fan...»
«Ahahah ma sì, dai, perché no? Dimmi dove sei
«Sono da Starbucks a Sunset Boulevard.»
«Perfetto, ti raggiungiamo fra poco, aspettaci lì.»
«A fra poco!» chiudo la telefonata, riponendo il cellulare in tasca; mi accorgo poi degli occhi sgranati di Georgia.
«Era uno di loro?» domanda, con un filo di voce.
«Sì, era Shavo» replico, sorridendo. «Stanno per venire qui, così prendiamo due piccioni con una fava, te li presento e poi vado via con loro.»
«Oddio! Non ci credo!» la ragazza inizia a saltellare e sclerare, abbracciando un po' me un po' Dan, simile ad una trottola impazzita.
«Aspetta e vedrai» le dico, sorniona; nel frattempo ci sediamo ad uno dei tavolini esterni del bar.
Dopo cinque minuti di attesa scorgo in lontananza la testa pelata e scintillante di Shavo, seguito dagli altri, e mi alzo per andare loro incontro; prendo letteralmente la rincorsa e quasi mi schianto addosso al bassista per poi abbracciare lui e gli altri a turno.
«Hai fatto la brava bambina?» mi fa Serj, picchiettandomi una mano sulla testa.
«Certo papino!» rispondo, con una linguaccia. «Venite» riprendo, con voce più normale «devo presentarvi una persona.»
Affretto il passo per tornare da Georgia, Dan e Hilary e vedo la mia amica sbiancare mentre le iniziano a tremare le mani. Sì, è decisamente emozionata.
«Ebbene, vi presento Georgia, mia amica e vostra fan» faccio le presentazioni, con un sorriso a trentadue denti. Lei rimane come di pietra, quindi con uno sguardo invito i ragazzi a facilitarle le cose e farsi avanti.
«È un piacere conoscerti» dice Shavo, ponendosi di fronte a lei e tendendole una mano che lei stringe mentre ancora trema visibilmente; gli altri seguono il suo esempio e addirittura Serj la degna di un baciamano che la fa diventare color peperone, forse Serj è il suo preferito della band.
«Poi ci sono Dan, amico di Georgia, e Hilary, ormai ex collega di lavoro» continuo «e due di voi, ovvero Serj e Shavo, la conoscono già, avendola incontrata con me quando mi hanno fatto la famosa proposta di lavoro.»
Una volta fatte le presentazioni ci incamminiamo insieme e, per esigenze di spazio, non possiamo camminare uno di fianco all'altro e ci dividiamo: Serj si avvicina a Georgia e inizia a chiacchierare con lei, Shavo e John fanno gli spiritosi tenendosi a braccetto, Dan e Hilary continuano come prima e io mi ritrovo a camminare al fianco di Daron. Devo ammettere che mi dispiace di avergli risposto sarcasticamente prima di uscire, potevo anche ignorare o stare allo scherzo ma le parole mi sono uscite di bocca prima di poterle fermare, come al solito... forse è meglio scusarmi. Per un po' camminiamo in silenzio e lo guardo di tanto in tanto con la coda dell'occhio, osservando la sua felpa da hockey dei Los Angeles Kings.
«Daron?» lo chiamo, incerta, sperando che non abbia deciso di ignorarmi.
Lui si volta e mi guarda, inespressivo. «Sì?»
«Scusa.»
«Per cosa?»
«Non intendevo essere sarcastica, prima.»
«Ah, per quello? Oh, tranquilla, è tutto okay. Piuttosto forse sono io a dovermi scusare, ti prendo in giro e ti rompo le scatole spesso ed è normale che poi ogni tanto sbotti.»
«Sicuro?»
«Oh sì.»
Gli sorrido e lui mi sorride di rimando, poi mi pizzica una guancia. «Sono un rompipalle seriale, sono abituato alla gente che sbrocca per questo.»
«Fai così con tutti i tuoi amici?»
«Certo.»
«E io non sono esente?»
«Da amica e ora anche parte del team tecnico di tour direi proprio di no, assolutamente no.»
«Che peccato» rispondo, prendendolo in giro; lui di rimando mi fa una linguaccia e poi poggia un braccio sulle mie spalle e mi avvicina a sé in una specie di abbraccio a metà. «Dopo tutto ti voglio bene, cosina.»
«Cosa?!» scherzo di rimando e fingo di divincolarmi dalla sua presa. «Aiuto, una piovra gigante mi assale!»
«Hey, la piovra gigante ti sta dimostrando il suo affetto!» il chitarrista non molla la presa, anzi, approfittando del fatto che i ragazzi si sono fermati per via di Shavo che è andato a rifornirsi di sigarette mi abbraccia davvero, stringendomi a sé con una certa energia; avvampo e, rassegnata, abbandono per qualche secondo la testa quasi nell'incavo del suo collo, fra la clavicola e la mascella, sperando che non percepisca il mio battito cardiaco che ha sensibilmente accelerato. Ha un profumo intenso e a tratti inebriante che mi piace troppo, sto così bene fra le sue braccia... no, Nikki, basta, riprenditi e ricomponiti, da brava.
«Posso azzardarmi a chiederti che profumo usi?» gli domando, una volta sciolto l'abbraccio.
«Profumo?» Serj si intromette nel discorso, con faccia sorpresa. «Perché, Daron profuma? Di solito puzza.»
«Pensa alla tua puzza, Tankian» lo rimbecca Daron, tappandosi il naso come se ci fosse seriamente un cattivo odore nei dintorni.
«Puzzo perché sto vicino a te, Malakian.»
Io e Georgia ci guardiamo e scoppiamo a ridere mentre i due continuano a punzecchiarsi com'è loro solito, poi le dico in labiale «Ordinaria amministrazione, è sempre così», con una mano davanti alla bocca.
Circa un'ora è passata quando qualcuno dei ragazzi chiede di tornare a casa perché stanco e la mia amica e Dan si rendono conto di dover rientrare, per cui ci salutiamo; stringo forte la mia amica in un abbraccio, non sentendomi molto pronta a lasciarla andare di già.
«Ci teniamo in contatto, okay?» mi dice, sorridendo.
«Contaci.»
Una volta che i due hanno beccato un taxi al volo per rientrare torno a camminare di fianco al chitarrista, silenziosa.
«Tutto okay, cosina?» mi domanda, osservandomi di sottecchi.
«Sì, tutto okay, è solo che mi manca già la mia amica.»
«Davvero?»
«Beh, l'ho rivista oggi dopo due lunghi anni... considerato che siamo amiche da molto tempo e siamo state sempre inseparabili fino a quando non si è dovuta trasferire altrove...»
«Oh... beh, mi spiace, posso solo immaginare come ti senti.»
Tacciamo entrambi per ancora qualche minuto e nel frattempo divago con la mente, tornando all'improvviso con la mente al dubbio del giorno prima, quello sull'origine dei due CD avuti in regalo: la calligrafia in cui era scritto il mio nome sul sacchetto mi ha dato una strana sensazione a proposito di chi potrebbe avere quella grafia e poi solo ora rivedo i ricordi di quella mattina nella mente e li ripercorro, accorgendomi dunque di come solo Daron abbia risposto allo scherzo del "pacco bomba" e di come fosse molto concentrato mentre ascoltavo per la prima volta il loro primo album... la mia mente giunge ad una conclusione. Che sia Daron il mittente di quel regalo? Lo scoprirò subito.
«Posso chiederti una cosa?»
«Mh? Certo.»
«Sei stato tu a regalarmi quei CD, vero?»
Il ragazzo sgrana gli occhi per un attimo, poi annuisce. «Come ci sei arrivata?»
«Mi è parso strano che tu sia stato l'unico a parlare quando si è scherzato a proposito di quel pacchetto e ti ho visto particolarmente concentrato, se non proprio teso, mentre Shavo metteva il disco nello stereo e poi mentre ascoltavo. Inoltre, non so perché, ma avevo come la percezione che la scrittura sul sacchetto non fosse né di Serj, né degli altri.»
Daron mantiene ancora l'espressione sorpresa, poi si gratta il mento e si risistema distrattamente la barbetta. «Sei perspicace, cosina.»
«Modestamente, ogni tanto questa testolina funziona decentemente» replico, con un sorrisino, prima di abbassare di nuovo la testa.
"Sì, funziona per bene finché non c'è lui di mezzo o finché non è a dieci centimetri da te" la solita vocina nella mia mente mi corregge, impietosa.
"Taci" la zittisco, scuotendo leggermente la testa.
Per il resto del percorso né io né lui proferiamo parola, ma mi accorgo che ogni tanto mi guarda di sottecchi sorridendo appena e io faccio lo stesso... dopo tutto è alquanto divertente.

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Capitolo 18
*** N.Y.D. - New Year's Delirium ***


Salve a tutti! Credo sia finalmente ora di aggiornare di nuovo ed eccomi qui, rubando un attimo ad un impegno pressante solo per voi :3
Come sempre inizio col ringraziare i lettori e i recensori, perché è grazie a voi che ho ripreso a postare qui ed è grazie a voi che mi impegno a fare tutto il possibile, spero sempre che la mia storia vi piaccia e vi coinvolga e, mi raccomando, non abbiate paura o qualsiasi timore nel farmi notare errori di qualunque tipo (battitura, ripetizioni, ecc.), ci conto molto!
Buona lettura <3



-Nikki-
«Nikki?» Serj bussa gentilmente alla porta della stanza.
«Sì?»
«Sei pronta?»
«Un minuto e scendo!»
«Va bene, ti aspettiamo di sotto.»
Mentre il cantante si allontana rimango muta, poi sospiro, non sentendomi in qualche modo ancora pronta a salutare il nuovo anno che inizierà fra poche ore.
Sono già truccata e ho indosso delle calze nere, ma il vestito di velluto nero che intendo indossare è ancora poggiato sul letto e continuo a guardarlo, come se non avessi il coraggio di indossarlo. Sì, è solo un vestito, lo so... ma, da brava campionessa di pippe mentali, da svariati minuti sto cercando di immaginare la reazione che Daron potrebbe avere al vedermi con quell'abito indosso.
Ad un certo punto scuoto la testa, poi finalmente mi decido a finire di vestirmi e infilo rapidamente le creepers ai piedi; dopo aver indossato una collanina argentata con un ciondolo a croce e aver controllato le condizioni di trucco e capelli, finalmente esco di là e scendo le scale con una certa lentezza.
«Eccola!» esclama Shavo appena compaio sulla soglia del salotto. Vi è della musica di sottofondo a basso volume e più "popolazione" del previsto: riconosco Beno e Sako, poi accanto a loro vedo un uomo sconosciuto con barba e capelli lunghi e un inizio di calvizie. Proprio quest'ultimo mi vede e mi scruta per un attimo, inclinando leggermente la testa di lato, poi mi si avvicina e vedo il bassista fare lo stesso.
«Rick, lei è Nikki, sostituta del tecnico dell'assistenza per questo tour!» gli dice quest'ultimo, con un sorriso che l'uomo ricambia prima di avvicinarsi ulteriormente e tendere una mano che io stringo prontamente.
«Io sono Rick Rubin, produttore della band» esordisce, con voce profonda e gentile «è un piacere conoscerti.»
«Anche per me è un piacere, anzi, un onore» replico, sorridendo.
«Come stai? Serj mi ha raccontato delle circostanze del vostro "incontro"...»
«Ora sto bene, grazie per l'interesse.»
«Buono a sapersi. I ragazzi ti hanno fatto ascoltare qualcosa della loro produzione?»
«Certo, entrambi gli ultimi album prodotti, e sono fenomenali! Ho fatto già i miei complimenti a loro e li faccio anche a lei visto che è il produttore...»
«Grazie mille, e dammi tranquillamente del tu.»
«Ehilà!» il chitarrista compare accanto a noi, tutto allegro, poi si ricompone. «Vedo che sono state già fatte le presentazioni...»
«Sei arrivato in ritardo, Malakian» gli risponde Shavo, facendogli una linguaccia. Daron ricambia con una smorfia, poi sposta lo sguardo su di me e vedo i suoi occhi allargarsi un poco e la sua bocca socchiudersi, ma il tutto dura a malapena due secondi, poiché si scusa con un colpetto di tosse e si allontana.
«La cena è pronta!» esclama Serj dalla cucina con la sua voce tonante. Bene, prepariamoci con lo stomaco...

Dopo un pasto a dir poco luculliano restano ancora un paio d'ore circa prima che scatti la mezzanotte e avviene una sorta di "divisione": Daron, Shavo, John e Rick iniziano un mini-torneo di poker, mentre io e gli altri ci sediamo sul divano e sulle poltrone e chiacchieriamo di un po' di tutto; Sako mi racconta persino alcuni aneddoti della vita in tour risalenti a questo mese o ad anni addietro che si rivelano interessanti e talvolta molto buffi.
All'improvviso si forma nella mia mente una domanda a cui è urgente che venga data risposta, e dopo essermi schiarita la gola ed aver attirato l'attenzione la formulo tentando di mantenere un tono di voce normale. «Che mi dite delle groupies?»
«Oh, i ragazzi ne hanno poche» risponde Sako «ma, per quanto mi riguarda, è meglio, anzi, preferirei che non ce ne fossero affatto... non ho mai capito se seguono la band perché interessate alla musica o perché interessate all'attrezzatura dei membri.»
Beno scoppia a ridere e Serj accenna anche lui una risata.
«Perché ridete?» chiedo, un attimo disorientata.
«Perché in "Toxicity" c'è proprio un brano che parla di groupies, se ricordi» dice Serj.
«Intendi "Psycho"?» oh, fico, la memoria mi aiuta ogni tanto.
«Esatto.»
«Groupies psicotiche e cocainomani? Woah.»
«Alcune di quelle avute negli anni scorsi lo erano, fidati.»
«E le attuali?»
«Quelle al massimo sono ninfomani» si intromette Sako, poi scoppiamo a ridere tutti quanti, una risata alquanto imbarazzata invero.
La conversazione continua e nel frattempo si fa sempre più insistente la sensazione di essere osservata; alzo lo sguardo appena in tempo per vedere Daron che distoglie il suo e torna a concentrarsi sulle carte, per cui mi focalizzo di nuovo sui miei interlocutori, ma la sensazione permane e con la coda dell'occhio controllo spesso se il ragazzo mi sta guardando, ricevendo conferma la maggior parte delle volte.
«Nikki?»
Sobbalzo leggermente quando sento Sako chiamarmi sottovoce, approfittando del fatto che Serj e Beno siano un attimo impegnati a dirsi qualcosa.
«Dimmi, Sako.»
«Hai notato?» domanda, con una strana faccia. Faccio la finta tonta e corrugo la fronte e le sopracciglia, sono più che sicura che abbia notato il comportamento del chitarrista ma non voglio che si capisca qualcosa di "compromettente".
«Daron. Ti guarda spesso.»
«...mh...»
«L'avevi notato?»
«Mh... più o meno.»
«Che succede fra te e lui?»
Oddio, no, questa domanda no... Sako, aspetta che io prenda confidenza con te e poi ti scasso di botte. «Nulla, siamo amici.»
«Solo amici? Sicura?»
Do una rapida occhiata a Daron, che proprio in quel momento abbassa lo sguardo per l'ennesima volta, poi torno a guardare il ragazzo vicino a me e cerco di apparire davvero convinta della mia risposta. «Direi di sì.»
«Ragazzi, mancano dieci minuti alla mezzanotte!» Shavo, dopo aver guardato l'orologio, salta su improvvisamente; sospiro, contenta, mentre i ragazzi si affrettano a procurarsi dei bicchierini e dell'alcol per festeggiare l'arrivo del nuovo anno che è ormai imminente.
Con abilità consumata, quasi da barman, Shavo riempie diversi bicchierini con la stessa vodka alla fragola usata qualche sera prima, poi pone dei bicchieri più grandi a parte e scarta il tappo di una bottiglia di spumante, pronto ad aprirla.
«Forza, controllate l'orario e aiutate con il conto alla rovescia» apostrofa gli altri, impaziente.
«Cinque minuti!» fa Serj, tutto contento, munito di una presunta bomba con coriandoli che a un'estremità è tenuta da lui e dall'altra da John.
Ci disponiamo tutti vicini e a semicerchio vicino al bassista e al cantante, continuando a chiacchierare in tono contento; la musica di sottofondo va avanti, nel frattempo, dando un tocco in più al tutto.
«Un minuto!»
Iniziamo a rumoreggiare nell'attesa, finché non mancano pochi secondi e facciamo il conto alla rovescia alzando sempre di più la voce; in frazioni di secondo udiamo le urla del vicinato e, sicuri di essere in orario, li seguiamo a ruota gridando a squarciagola mentre il bassista stappa la bottiglia e il cantante e il batterista fanno esplodere il tubo, liberando una nuvola abnorme di glitter anziché una pioggia di coriandoli.
«Alla salute!» dopo aver versato lo spumante si brinda e si beve e poi, di botto, uno dopo l'altro, mandiamo giù lo shot di vodka; poco dopo sento Shavo lamentarsi per qualcosa.
«Ora il pavimento rimarrà glitterato per secoli!» sta dicendo, in parte divertito e in parte disperato.
«Vabbè, iniziamo a pulire adesso» Daron gli si avvicina, poi si china a raccogliere due manciate di glitter; una la soffia verso di lui, rendendolo brillantinato, e una se la spalma in faccia.
«Oddio che cosa state combinando?!» Serj interviene, ma si becca anche lui una nuvoletta sul viso che gli rende la barba tutta brillante, e John lo segue a ruota; dopo qualche minuto tutti abbiamo la faccia piena di glitter, me compresa, e scoppio a ridere fragorosamente.
«Delirio di inizio anno!» commento, cercando di pulirmi un poco e ottenendo di avere anche le mani tutte luccicanti manco fossi una fatina.
«Ed è solo l'inizio...» commentano Sako e Rick all'unisono, rassegnati ma divertiti.

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Capitolo 19
*** At night ***


Salve a tutti bellissimi! :D
Eccomi finalmente ad aggiornare :3 ci tengo a dire che questo capitolo è uno dei miei preferiti e uno dei più sentiti ed emotivi, spero che vi piaccia tanto quanto è piaciuto a me scriverlo <3
Come sempre ringrazio i lettori e i recensori per il feedback positivo, invito a notificarmi eventuali errori e anche a non aver paura di lasciare recensioni ed esporre dettagliatamente pareri e idee ^-^
Buona lettura!




 

-Daron-
Sono le quattro del mattino. I ragazzi hanno chiesto di poter dormire qualche ora e, a dirla tutta, anche io avevo bisogno di qualche ora di stacco e riposo, ma ora mi rendo conto che è inutile che io stia qui, nel mio letto, ad attendere Morfeo che non arriva e, anzi, mi fa "ciao ciao" con la manina da lontano. Non capisco perché sono così inquieto, eppure avrei bisogno davvero di riposare...
All'improvviso, nel silenzio totale della casa, sento alcuni strani suoni che denotano affanno e paura.
No, non è uno dei ragazzi che sta avendo incubi... è Nikki.
Chissà, magari fra poco si calma e torna a dormire senza problemi... mi siedo a gambe incrociate sul letto, in attesa, nel buio.
Giungono dei lamenti che denotano ancora paura e poi dolore, solo tanto dolore. No, la ragazza sta avendo un incubo serio, forse è meglio se vado a dare un'occhiata e vedere cosa posso fare.
Scatto in piedi, incurante di essere senza maglietta e scalzo, e raggiungo subito la camera della ragazza, che è molto vicina; apro la porta e la richiudo subito senza rumore e mi avvicino al letto, cercando di distinguere qualcosa nel buio quasi totale che è smorzato solo dalle forti luci esterne.
Fra le coperte e le lenzuola sfatte e disordinate Nikki si rigira convulsamente, sudata, con gli occhi strizzati; la sua espressione è di dolore, un dolore fisico che pare non riuscire a sopportare. Sembra che il peggio sia passato, ma mi sbaglio: proprio in quel momento i gemiti iniziano a trasformarsi in urla, e sono urla orrende. Devo svegliarla, assolutamente...
«Nikki, svegliati!» salgo sul letto accanto a lei e la scuoto vigorosamente, tenendola per le spalle, e anche se non da segni di risveglio continuo, testardo.
Qualunque sia l'incubo che sta avendo, voglio che cessi, non posso sopportare di vedere la ragazza stare così male e non riesco a reggere le sue grida, sono tali che mi sembra di iniziare a percepire il suo stesso dolore nel mio corpo...

-Nikki-
Corro, corro, corro.
I polmoni minacciano di scoppiare, la milza e le gambe chiedono pietà, ma non posso fermarmi, no, assolutamente no, ne andrebbe della mia vita e prima ancora della mia sanità mentale.
La strada asfaltata sulla quale corro sembra infinita, sempre uguale, non un segno nel paesaggio che mi aiuti a capire dove mi trovo.
Ogni tanto mi volto a guardare indietro per vedere se ho seminato oppure no il mio inseguitore, ma ogni volta constato con orrore che no, è ancora lì a pochi metri da me; pare non accusare la fatica della corsa e nei suoi occhi c'è una luce sadica, quasi omicida.
Il mio inseguitore è Jake, il mio ex, il mio abusante. La persona che mi ha provocato il trauma a causa del quale per anni mi sono odiata e fatta del male.
«Torna indietro, puttanella, non ho ancora finito con te!» mi urla, in tono metà furioso metà beffardo.
«Te lo scordi, stronzo!» grido in risposta, con il poco fiato che ho a disposizione per fare qualcosa che non sia scappare.
All'improvviso l'asfalto si crepa; dei grossi rovi si attorcigliano attorno ad una mia caviglia inesorabilmente e cado, sbattendo violentemente contro il suolo. Mi dibatto, urlando per il dolore delle spine che mi penetrano nella carne.
«Hai fatto male a non ascoltarmi, stupida.»
Jake torreggia su di me, minaccioso; ha in mano un coltellino a serramanico dall'aria sinistra. Non promette nulla di buono...
Altri rovi spuntano dall'asfalto e mi imprigionano le mani, e a quel punto mi arrendo, comprendendo l'inutilità di tentare di liberarmi.
Sento la lama tagliare via la mia maglietta e il mio reggiseno come fossero niente e poi iniziare ad affondare nella mia carne e urlo, urlo a squarciagola, incapace di sopportare tutto quel dolore. Voglio svegliarmi, voglio che questo incubo finisca, ma non ci riesco...
«Ora ti scriverò sulla schiena ciò che tu realmente sei, così lo terrai meglio a mente nel futuro» riprende, con voce inquietante. «Sei e sarai sempre una troia, ricordalo.»
La tortura riprende e a quel punto mi sento come svenire e, nell'incoscienza del sonno, cado nel buio... poi improvvisamente vedo una luce e sento di star tornando cosciente.
«Nikki!»
Finalmente riesco a riaprire gli occhi; smorzo il mio ultimo grido inspirando avidamente e sentendo i polmoni vuoti e quasi "strizzati" che tornano a riempirsi di aria e ansimo, bagnata di sudore dalla testa ai piedi. Appena cessa il tremito diffuso del mio corpo mi accorgo della presenza di qualcuno, qualcuno che mi ha appena aiutato a risvegliarmi dal terribile sogno che stavo facendo...
«Daron!» scoppio a piangere e mi rifugio fra le sue braccia aperte come se fosse la mia ancora di salvezza.
Per svariati minuti singhiozzo disperatamente e lui mi tiene stretta a sé; inizia a cullarmi e ad accarezzarmi i capelli per farmi calmare, pazientemente, e dopo un poco i singulti si fermano e restano ancora solo alcune lacrime sulle mie guance. Sono al sicuro nel suo abbraccio e con la testa sul suo petto nudo e, strano ma vero, l'imbarazzo è una sensazione leggera e secondaria in quel momento.
«Cosa stavi sognando?»
«E-ero inseguita e correvo a perdifiato...» mormoro, con voce ancora alquanto tremante «ma dei misteriosi rovi spuntati dalla strada mi hanno bloccata... il mio inseguitore mi ha raggiunto, mi ha tagliato via i vestiti con un coltello... e... poi ha... ha cominciato a... a incidere qualcosa nella mia carne, sulla schiena...»
Il ragazzo trasalisce per un attimo. «Chi era il tuo inseguitore?»
Tentenno un poco, sentendo le lacrime che minacciano di tornare a scorrere, poi mi schiarisco la gola. «Il mio ex... quello che ha abusato di me. Jake.»
Una pausa di silenzio. «E... cosa stava incidendo?»
«Una parola.»
«Quale?»
«...troia.»
Il mio corpo ricomincia automaticamente a tremare e il ragazzo ritorna a stringermi e cullarmi appena, per cui in poco tempo riesco a calmarmi di nuovo.
«Non sei ciò che Jake ti ha detto di essere, tienilo a mente...» mormora, dopo un po'.
Sospiro profondamente più volte di seguito... l'incubo è finito, può tornare, lo so, ma ora mi sento accolta e protetta e vorrei che questo momento durasse ancora a lungo... vorrei che mi aiutasse a riaddormentarmi in qualche modo. Un'idea spunta nella mia mente.

-Daron-
«Ti va di cantarmi qualcosa?»
La domanda di Nikki mi coglie abbastanza alla sprovvista anche perché, strano ma vero, il sonno sta arrivando proprio in questo momento.
«Cantare qualcosa, dici?» temporeggio, cercando nel frattempo qualcosa che possa adattarsi ad una sorta di ninna-nanna; si accende una minuscola lampadina dopo un poco.
«Sì. So che ne sei capace. Ovviamente se ti va, non sei forzato...»
Sospiro e poi mi accomodo sul letto su di un fianco, tenendo ancora la ragazza stretta a me; mi avvicino in modo da poter usare un volume di voce basso e ugualmente udibile e ricomincio a cullarla un poco.
«The piercing radiant moon, the storming of poor June, all the life running through her hair...» inizio a cantarle "Spiders" in tono molto sommesso, cercando di renderla più delicata possibile. «Approaching guiding light, our shallow years in fright, dreams are made winding through my head, through my head... before you know I'm awake.»
Mentre continuo la canzone avverto che Nikki si muove sempre di meno, il suo respiro sta diventando sempre più lento e profondo, e quando finisco sono quasi certo che si sia addormentata davvero; improvvisamente sento le palpebre farsi pesanti e inizio a scivolare nell'incoscienza del sonno mentre le parole di una vecchia canzone armena mi risuonano in mente...
"Amen or kes em hieschum, im sirelis, orerov kes em gantschum, im nazelis..."

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Capitolo 20
*** Upcoming dawn ***


E rieccomi ad aggiornare! :3
Con questo capitolo, un po' più breve dei precedenti, siamo di nuovo ad un punto di transizione: con il prossimo aggiornamento inizierà la "seconda parte" della storia che sarà ricca di eventi importanti :D
Ringrazio come sempre lettori e recensori per il feedback e, soprattutto, per la pazienza! xD
Buona lettura <3




 

-Serj-
Morfeo, di solito sono un tipo pacifico, ma in questo momento ti prenderei a calci se potessi.
Prima arrivi e poi allegramente mi snobbi e te ne vai di nuovo?! Mah.
Stavo per addormentarmi quando ho udito le grida di Nikki, chiaramente causate da qualche brutto incubo, ma poi sono cessate e per qualche minuto ho sentito solo piangere e poi dei bisbigli indistinti, per cui ho capito che in un qualche modo la ragazza è riuscita a risvegliarsi, si è calmata e si è rimessa a dormire; ho riprovato poi a prendere finalmente sonno, ma niente da fare. Sarà mica chiedere troppo, voler riposare qualche ora dopo la giornata stancante appena finita?!
Mi alzo cautamente, esco nel corridoio e dopo aver acceso la luce mi accorgo che la porta della camera del chitarrista è socchiusa; dopo un rapido controllo constato che non c'è nessuno lì.
Dove si è cacciato?
Mi dirigo in punta di piedi verso la stanza della ragazza e, attento a non fare il minimo rumore, apro la porta e mantengo abbassata la maniglia in modo da poterla richiudere subito in caso di necessità; quando riesco a mettere a fuoco qualcosa grazie alla poca luce, la scena che mi si para davanti agli occhi mi lascia interdetto...
Daron e Nikki dormono profondamente, molto vicini, lei accoccolata contro il suo petto e lui con un braccio abbandonato di traverso e la mano penzolante vicino alla schiena della ragazza. Allora è per questo che la ragazza ha smesso di urlare e si è riaddormentata... Daron si è svegliato ed è venuto a tranquillizzarla. Ma che bravo, il nanetto.
Sorrido, piacevolmente sorpreso da quella circostanza, poi richiudo la porta e torno nella mia stanza; appena tocco il materasso le palpebre si fanno pesanti e sospiro, contento, prima di addormentarmi.

-Nikki-
Riemergo da un sonno di pietra e senza ulteriori sogni sentendo come il bisogno impellente di aprire gli occhi.
Sollevo le palpebre e metto a fuoco Daron, ancora dormiente e nella stessa posizione in cui era prima di addormentarsi; avverto la sua barbetta che mi tocca appena la cima della testa e la peluria sul suo petto che mi solletica la guancia che è ancora poggiata. Alzo lo sguardo, per quanto mi è possibile farlo senza muovermi troppo, tentando di scorgere il suo viso, e in parte ci riesco: non c'è traccia di quella sua solita aria alquanto strafottente, sostituita da una rilassata dolcezza e da un leggero broncio.
Mossa da un improvviso desiderio muovo un braccio, cautamente, e con un pollice gli sfioro appena una guancia già leggermente ruvida per la barba; proprio in quel momento lui sospira profondamente e ritraggo in fretta la mano, temendo di averlo svegliato e infastidito, ma il ragazzo continua a sonnecchiare beatamente...
Avverto le palpebre farsi di nuovo pesanti e richiudo gli occhi; mentre scivolo di nuovo nel limbo ovattato il caos che di solito regna nella mia mente si placa e lascia che si formi un pensiero che, probabilmente, non avrei il coraggio di formulare da sveglia... se solo potessi dormire fra le braccia del chitarrista ogni notte, non avrei più paura dei miei incubi.

-Daron-
Riapro gli occhi, percependo il cambiamento di luce che preannuncia l'alba.
Noto che non mi sono affatto mosso durante il sonno e, apparentemente, anche Nikki ha fatto lo stesso e dorme pacificamente, ancora rannicchiata contro di me. Il calore del suo corpo mi ha in qualche modo indotto sonno e tranquillità per tutta la notte, ma ora sento strane sensazioni invadermi il petto e ho bisogno di alzarmi...
Cautamente sciolgo l'abbraccio durato ore e giungo alla porta in punta di piedi, dando un ultimo sguardo alla ragazza ancora dormiente prima di chiudere la porta; dopo un rapido salto in camera mia giungo sul piccolo terrazzo e mi accomodo su una vecchia sedia di legno, rabbrividendo appena per l'aria fresca, poi mi accendo una stecca di erba e inizio a contemplare il cielo sempre più chiaro e le prime auto che percorrono le strade, mentre una sensazione di relax mi pervade e zittisce la miriade di pensieri.
Ancora qualche settimana e poi non vedrò più questa città per mesi, girerò per due continenti con i miei amici e suonerò davanti a grandi folle e il pensiero mi elettrizza, perché questa è la vita che volevo ed è ciò che amo fare...
"Ammetti anche che non vedi l'ora di mostrare a Nikki cosa sai fare, su" una vocina nella mente spunta, inopportuna, ma mi rassegno a darle ragione... è così.
Insomma, seriamente, in tutta onestà, non vedo l'ora che questo tour inizi.

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Capitolo 21
*** First flight ***


Ehilà! :D
Voglio essere buona, quindi rieccomi ad aggiornare :3
Come sempre, ringraziamenti calorosi a lettori e recensori sono di dovere <3
Buona lettura!




 

-Nikki-
La sveglia suona rumorosamente e improvvisamente, interrompendo il mio sonno, e per mia sfortuna non posso ignorarla, per cui la spengo e sbuffo sonoramente prima di sbadigliare.
Finalmente è giunto il giorno della partenza per il tour con i ragazzi e ho un'ora di tempo per prepararmi e presentarmi puntuale all'appuntamento stabilito. I bagagli sono ormai tutti pronti da giorni, praticamente è come se stessi traslocando di nuovo visto che mi porterò tutta la mia roba che in fondo non è moltissima; un po' mi mancherà questo monolocale così carino ma con tutta probabilità e per fortuna potrò riaverlo al ritorno dal tour, la proprietaria è una signora adorabile che ha acconsentito ad un nuovo affitto.
Decido di saltare la colazione, sia per mancanza di fame che per timore di stare male durante il viaggio per colpa del mio stomaco balengo, e passo direttamente al vestirmi; indosso una t-shirt nera con il logo di Batman, una felpa con zip, i soliti jeans strappati e i soliti anfibi, per stavolta niente accessori e trucco perché ciò significherebbe mettere mano alla valigia. Una volta pronta mi accerto di aver preso tutto e fatto tutto e controllo l'orario, constatando con sollievo di essere ancora in anticipo di mezz'ora, poi prendo la mia giacca di pelle, lo zaino e i bagagli e mi avvio, passando un attimo a lasciare in portineria le chiavi per la padrona di casa.
Una volta in strada riesco, con un poco di fortuna, a beccare quasi subito un taxi per arrivare a casa dei ragazzi e arrivo con ancora qualche minuto di anticipo fortunatamente.
«Nikki! Ben arrivata!» dopo aver bussato è Shavo ad accogliermi sulla soglia, facendomi entrare e poggiare il bagaglio vicino a quelli suoi e degli altri. «Stai bene?»
«Non c'è male, grazie» rispondo dopo i saluti, sorridendo. «E tu? E i ragazzi?»
«Stiamo tutti bene, non preoccuparti» replica lui, con una risata. «Si è sentita la tua mancanza dopo il periodo in cui sei stata qui con noi, devo ammetterlo.»
«Oh, ma che dolci! Non mi prendete in giro, vero?»
«Niente affatto! E credo che tu sia mancata particolarmente al nanetto malefico.»
«Odadjian!!»
Proprio in quel momento Daron entra nel mio campo visivo e scruta con aria torva il bassista prima di girarsi verso di me. «Ciao cosina, qual buon vento!» mi saluta, degnandomi persino di un mezzo abbraccio. «Hai fatto scorta di sacchetti di plastica?»
La domanda del chitarrista mi lascia perplessa. «Sacchetti? E perché?»
«Beh, non sia mai che mi vomiti addosso in viaggio...»
«Daron!»
«Sì, li ho presi, e ne ho portato qualcuno in più proprio per te, dovessero mai servire» lo rimbecco dopo il rimprovero del bassista, con una risata.
«Ma che gentile!» replica, inarcando un sopracciglio.
In quel momento ci raggiungono Serj e John, decisamente pronti a partire.
«Forza, nanetto, dobbiamo partire, farai lo spiritoso più tardi sull'aereo per ingannare l'attesa» proferisce il cantante, serio ma solo per metà.
«Agli ordini, spilungone» l'altro gli risponde, con una smorfia.
La fortuna sembra arriderci oggi, visto che di nuovo si riesce a beccare qualche taxi libero in pochi minuti; nonostante il traffico arriviamo all'aeroporto con largo anticipo rispetto all'orario del volo e procediamo speditamente con il check-in e tutto il necessario mentre Serj mi fa da guida e mi spiega il tutto visto che è la mia prima volta.
Una volta sbrigato tutto rimane ancora circa mezz'ora di attesa; tutti ciondolano, senza particolare voglia di parlare ed interagire e io mi immergo nei miei pensieri per passare il tempo. Siamo solo noi cinque dato che il resto del team ci raggiungerà con l'altro volo che aveva ancora posti per loro a differenza di questo, e l'enorme luogo in cui ci troviamo si sta riempiendo sempre di più.
Vengo scossa dal mio torpore dopo un tempo che pare essere stato davvero molto lungo da Shavo che mi avvisa del fatto che il volo è stato annunciato; ci affrettiamo all'imbarco e dopo un po', con un misto di paura ed eccitazione, poso piede per la prima volta su un aereo.
Notando che i ragazzi stanno controllando di nuovo i loro posti sui biglietti faccio lo stesso e prendo mentalmente nota del numero.
«A quanto pare siamo tutti vicini, che coincidenza» fa Serj, alquanto sorpreso ma in modo positivo. «Forza, sistemiamoci che fra poco si parte.»
Il posto che mi tocca è il più esterno della sezione centrale di posti e la poca distanza dal finestrino mi permetterà di osservare il panorama di tanto in tanto, anche se temo di avere le vertigini; mi accomodo con grazia, poggiando vicino ai piedi il mio zainetto nero, e osservo per un attimo Serj che si sistema nel posto subito davanti al mio, seguito da John, prima di distrarmi.
«Ma salve!»
Sobbalzo all'udire una voce, tornando così alla realtà; vedo il cantante che si sta sporgendo verso di me, seguito dal bassista e dal batterista e realizzo proprio in quel momento dove si è seduto il chitarrista... si è appena accomodato nel posto accanto al mio, e pare proprio che sia stato lui a salutarmi tutto allegro.
«Nanetto, mi raccomando, fai il bravo e non molestare il nostro tecnico» si raccomanda il più vecchio dei quattro, osservandolo con aria diffidente.
«Tranquillo, vecchio» risponde l'altro, appoggiandosi allo schienale del sedile con le braccia incrociate dietro la testa, e dopo un'occhiata torva ma scherzosa tutti si risiedono.
Giunge finalmente la richiesta di allacciare le cinture e mi affretto a farlo, dopodiché cerco di prepararmi psicologicamente al decollo, sentendo improvvisamente una certa paura.
«Paura, cosina?» mi chiede Daron; deve aver notato che sono tutta contratta e rigida al momento.
«Un po', antipatico. È la prima volta che volo.»
«Respira profondamente e cerca di stare tranquilla... decollo e atterraggio durano pochissimo, fra non molto quasi non farai più caso al fatto che siamo in movimento.» Una pausa di silenzio, poi il ragazzo tira fuori un pacchetto di chewing-gum e me lo porge. «Masticare qualcosa nel frattempo aiuta, come anche ingoiare o sbadigliare, contro il fastidio di timpani.»
Accetto di buon grado l'offerta e, poco dopo aver messo in bocca la gomma, mi sento spinta verso il sedile e comprendo che stiamo decollando... cavoli, è così allora?!
Dopo un po' tutto torna normale, anche la pressione nelle orecchie, e annunciano che ora è possibile usare dispositivi elettronici.
«Che fai?» chiedo, vedendo il chitarrista frugare nel suo zaino.
«Ho voglia di un po' di musica, non mi va ancora di dormire» risponde lui, tirando fuori il suo iPod e un paio di cuffiette. «Vuoi farmi compagnia?»
«Volentieri, ma prima fammi vedere che roba hai intenzione di propinarmi» replico, ridendo, e prendo dalle sue mani il dispositivo, scorrendo la playlist... riconosco nomi di brani di Slayer, Kiss e Black Sabbath fra tutti gli altri. Uhm, il ragazzo ha buoni gusti.
«Tutta roba buona, eh cosina?» fa lui, con un sorrisino sghembo, riprendendolo per poi porgermi un auricolare.
«Eh già, antipatico» sospiro con finta rassegnazione, rilassandomi e sistemandomi meglio sul sedile «devo ammettere che hai buon gusto.»

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Capitolo 22
*** Photograph / Awkwardness ***


E sì... SORPRESA! xD
Ho deciso di regalarvi un doppio aggiornamento, trattandosi di capitoli corti e non particolarmente intensi :3
Et voilà! :*



 

-Nikki-
Riapro gli occhi di colpo, accorgendomi di essermi appisolata di colpo con tanto di cuffietta ancora nell'orecchio, sentendo John e Shavo spanciarsi dal ridere.
«Che succede?» dico, biascicando un poco per via della bocca ancora impastata e secca, poi mi volto e vedo Daron guardare i suoi colleghi con un'aria a metà fra divertita e contrariata.
«Shavo ha scattato una foto a tradimento con la sua Polaroid» spiega Serj, anche lui ridendo ma non ai livelli degli altri due.
«Uhm... posso vedere?»
«Ecco qui!» John mi porge la fotografia incriminata, la osservo e avvampo istantaneamente: hanno catturato un'istantanea in cui io dormivo e Daron si era pure addormentato e si era praticamente accasciato con la testa su una mia spalla e la bocca socchiusa.
«Non è adorabile?» Shavo riesce a parlare ancora nonostante stia annaspando per la mancanza di aria a causa delle risate incontrollabili.
«Voi volete le botte» borbotta il chitarrista, con le braccia incrociate.
«Suvvia, puffetto, prendila a ridere un po', in fondo questa foto non verrà mica pubblicata e usata per uno scoop!» interviene Serj, cercando di sdrammatizzare.
«Potremmo darla a Nikki così la terrà per ricordo, che ne dite?» fa John, ammiccando verso di me.
«Potete farne quello che volete, basta che non diventa pubblica e che non mi facciate altre foto a tradimento» mugugna ancora il chitarrista, imbronciato.
«Su, dai, vivete nella stessa casa da tempo, dovresti sapere come sono fatti» mi metto in mezzo anche io, finalmente lucida, dandogli qualche colpetto su una spalla; il ragazzo è alquanto irrigidito e posso sentirlo, ma dopo un poco finalmente si rilassa e sorride.
«Siete tutti scemi, voi» proferisce, con un ghigno.
«Senti chi parla...»
Okay, è tornato tutto nella norma... la norma dei ragazzi, ovviamente, non quella canonica.
Per una buona manciata di minuti continuo a guardare il pezzo di carta spessa e lucida che ancora ho fra le mani, attenta a non lasciare troppe impronte con le dita.
«Ma come hai fatto?» mi rivolgo a Daron, che sbatte le palpebre e poi si gira verso di me.
«A fare cosa?» replica, perplesso.
«Ad addormentarti ascoltando Slayer e affini!»
«Eh boh, avrò avuto un colpo di sonno... ma guarda che anche tu hai fatto lo stesso!»
«Sì, ma mi sono addormentata mentre ascoltavamo uno dei brani più tranquilli della playlist.»
«Davvero è così noiosa la musica che ascolto?»
«No, è che vengo da varie notti problematiche e un poco insonni. Tu, piuttosto, non eri quello che non voleva ancora dormire?»
Lo vedo grattarsi il mento, riflettendo sulla risposta da darmi... non me la conta giusta.
«Anche io ho dovuto lottare alquanto con una certa insonnia» dice, storcendo un poco la bocca e distogliendo poi da me lo sguardo.

-Daron-
Urgh, che imbarazzo.
Sì, ho avuto qualche notte insonne anche io, ma il problema è che durante una notte, nelle ultime due settimane, ho anche fatto un sogno che mi ha lasciato alquanto "scosso"... ho sognato baci selvaggi e appassionati e contatto fisico strettissimo con una ragazza che è rimasta senza un volto fino alla fine del sogno, quando poi l'ho vista davvero in faccia e ho riconosciuto i tratti di Nikki... mi sono risvegliato da quel sogno con un rigonfiamento equivoco ed imbarazzante nei pantaloni e con le guance che bruciavano, dannato inconscio che mi gioca questi tiri. Ciononostante, faccio appello a tutta la mia nonchalance per non destare alcun sospetto e mi riaccomodo sul sedile, stiracchiandomi un po'.
Saranno passate sì e no tre ore da quando siamo partiti e ancora ne mancano altre nove, se non di più... detesto questi viaggi così lunghi che diventano presto noiosi...

-Nikki-
Ho ricordi abbastanza confusi del resto del viaggio, dell'atterraggio e dell'arrivo all'hotel per dormire, probabilmente a causa del jet lag; l'unica fortuna è stata essere partiti che non era ancora giorno ed essere arrivati di notte, così non si stravolgono troppo le cose.
C'è ancora un giorno per riposarsi e domani c'è la prima data del tour, l'unica data neozelandese di un festival chiamato Big Day Out che si svolge in larga parte in Australia; sono eccitata sia per il fatto che vedrò per la prima volta i ragazzi esibirsi, sia perché sarà il mio primo giorno di lavoro come tecnico.
Dopo tutto la mia vita non è tanto male, ultimamente.

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Capitolo 23
*** First day ***


Rieccomi qui ad aggiornare!
Forse ci sarà di nuovo doppio aggiornamento, chissà... ;P
Grazie come sempre ai lettori e ai recensori <3
Buona lettura!






-Nikki-

Se dovessi riassumere la giornata per come è stata finora userei due parole: caldo e folla.
Prima dei ragazzi si esibiscono diverse band e rimaniamo tutti lì nel backstage, già accaldati e sudati a neanche metà mattinata, nonostante il sole sia velato da una cortina di nubi chiare che dovrebbe in qualche modo attenuare il calore ma pare solo peggiorarlo; con gli altri tecnici passiamo in revisione tutto ciò che deve essere a posto per quando toccherà ai nostri amici e, per fortuna, nessun problema.
Dopo un tempo che pare lunghissimo, l'ennesima band smonta dal palco e poco dopo vediamo i suoi membri passarci davanti, stanchi e sfatti ma dall'aria contenta, e dopo una rapida consultazione della scaletta capisco che ci siamo; osservo dalla "retrovia" Sako e alcuni altri ragazzi mentre sistemano gli strumenti e collegano tutti i cavi necessari, con una strana sensazione formicolante all'altezza dello stomaco.
«Tutto okay, cosina?»
La voce di Daron interrompe il corso dei miei pensieri e sobbalzo leggermente prima di voltarmi verso di lui: vestito di scuro, con gli occhi contornati di kajal nero e la chitarra in spalla, sembra decisamente pronto per salire sul palco. «Sì, tutto okay.»
«Ansiosa?»
«Giusto un po', nulla di che. Tu hai ansia?»
«Oh, sì, ma una volta che sarò sul palco mi immergerò nella musica e nelle belle sensazioni, mi lascerò andare e non ci farò più caso.»
«Beh, meglio così.»
«Su, Daron, è ora!» Serj irrompe, evitandoci così un silenzio imbarazzante; il chitarrista si avvia, docile, e mi strizza un occhio prima di seguirlo, dopodiché raggiungo gli altri tecnici in una zona a metà fra il lato e la parte posteriore del palco per assistere.
Si inizia con una canzone che riconosco quasi subito, "Prison song", canzone di apertura del loro recente album; non solo la versione dal vivo del brano è notevole, ma i ragazzi hanno una tenuta del palco fantastica: John è totalmente concentrato e fissa un punto imprecisato del pubblico, Shavo muove la testa a ritmo, Serj gesticola e si muove spesso e poi c'è Daron che è una scheggia impazzita carica di energia.
Mi ritrovo a pensare a quanto siano adorabili... poi il corso dei miei pensieri si interrompe quando mi accorgo che il più giovane della band, in un momento imprecisato, ha lanciato chissà dove la maglietta e ora continua a suonare mezzo nudo e avvampo violentemente, pur cercando di non farlo notare.
Dopo la terza canzone si ode un fragore e ci accorgiamo che qualcosa non va: le barriere di fronte al palco hanno ceduto, e viene fatto segno di dare un taglio netto alla scaletta musicale. Vedo i ragazzi consultarsi rapidamente con lo sguardo, dopodiché il chitarrista inizia un brano a metà fra cover e improvvisazione di "Goodbye blue sky" dei Pink Floyd in cui il cantante lo accompagna e proseguono con "China Girl" di Iggy Pop riarrangiata similmente, prima di salutare il pubblico e dirigersi nel backstage, dove io e gli altri del team già ci siamo recati.
«Merda, proprio non ci voleva» mugugna Daron, imbronciato, tamponandosi con un asciugamano dopo essersi rinfrescato con un po' di acqua.
«Non è colpa vostra, evidentemente non erano ben sicure quelle barriere» cerco di tirarlo su di morale, standogli vicino. «La vostra esibizione è stata comunque fantastica, stanne certo.»
«Questo mi consola alquanto» replica, con un sorriso.
Un urletto acuto ci fa sobbalzare e l'attenzione di tutti si sposta sulla persona appena arrivata; mi trovo ad osservare una ragazza bruna, probabilmente di qualche anno più giovane di me, vestita a malapena con un reggiseno nero di qualche costume da bagno, una maglietta a rete, shorts inguinali e Converse viola, mentre si dirige verso di noi, e vedo anche Serj e Shavo alzare gli occhi al cielo... con tutta probabilità è una groupie. Merda, ci mancava solo questo.
«Ciao ragazzi!» la nuova arrivata saluta tutti, contenta, ma nessuno dei ragazzi le si fa incontro per un abbraccio o un bacio.
«Ciao, Tina» risponde Shavo, inespressivo.
«State bene? Mi dispiace per l'inconveniente delle barriere, ma siete stati bravi, davvero» continua, imperterrita; ora che è più vicina sento il suo odore, un misto fra qualche nauseante fragranza femminile, fumo e birra.
«Stiamo bene, grazie, non preoccuparti» replica Serj, con voce monotona, ma la tipa già ignora lui e il bassista e si avvicina ora al chitarrista, tutta euforica.
«Daron! Ti trovo in perfetta forma!» cinguetta; lui sorride per un attimo e torna poi serio mentre lei fa per iniziare a girargli intorno e poi, chissà per quale motivo, si immobilizza.
«E lei chi è?!» esclama, in tono quasi oltraggiato. Capisco immediatamente che si sta riferendo a me; aspetto che finisca di guardarmi dall'alto in basso con l'aria di chi sente puzza, scrutando la mia t-shirt blu, il mio gilet nero di jeans con borchie, i miei shorts sicuramente più lunghi dei suoi, i miei anfibi e il mio bracciale borchiato, poi le ricambio il favore.
«Io sono Nikki, tecnico d'assistenza» proferisco, con misurata lentezza e una punta di durezza.
«Ah» fa lei, con finta aria sorpresa.
Pongo distanza fra me e lei aggregandomi a Serj e agli altri, senza distogliere lo sguardo dalla tipa, giusto per farle capire che non ha a che fare con una sciacquetta sua pari, e da lì la osservo mentre parlotta con Daron, con volume di voce più contenuto ma ancora abbastanza udibile al di sopra del rumore.
«Che schifo!» si lamenta, accennando a pestare i piedi.
«Senti, Tina, non ho tempo per badare a bambine capricciose» risponde il chitarrista, stranamente pacato. «Che vuoi?»
«Beh, recuperare, tornare come ai vecchi tempi...» replica lei; la vedo giocherellare con qualche ciocca di capelli ribelli del ragazzo che però rimane apparentemente impassibile, anche quando lei traccia il profilo della sua mascella con un dito.
«Non è così facile, sai, non è come cambiare un paio di scarpe.»
Okay, saranno passati a malapena cinque minuti da quando la tipa si è presentata qui nel backstage e già mi ha dato soltanto l'idea di essere un'oca insopportabile. Ora capisco perché gli altri la tengono a distanza, ma non capisco perché il chitarrista non la manda via... beh, affari suoi, in fondo non ho alcun diritto di avere da ridire sulla gente che frequenta, è grande e grosso e vaccinato e io non sono né la fidanzata né sua madre.
«Forza, Daron, andiamo, così ci cambiamo e poi andiamo a mettere qualcosa sotto i denti» invita Shavo, con voce molto calma.
«Sì» risponde lui, poi rivolge di nuovo la sua attenzione a Tina per poco. «Ciao» si limita a dirle, poi gira i tacchi e ci raggiunge; percepisco su di me lo sguardo livoroso della ragazza ma faccio finta di niente e seguo i miei amici.

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Capitolo 24
*** Around the city ***


Ma sì, dai, sono misericordiosa, doppio aggiornamento per voi visto che sono capitoli brevi ;3
Buona lettura <3




-Nikki-

Una volta in hotel ci laviamo e ci cambiamo; la doccia mi dà un incredibile sollievo dal caldo e dalla tensione, ma cerco di essere rapida per non perdere tempo. Una volta tutti pronti, usciamo alla ricerca di un posto in cui mangiare, trovandone uno dopo non molto. Appena arriva il cibo ci fiondiamo su di esso con famelicità e per qualche minuto si odono solo i rumori prodotti mentre mangiamo.
«Osservate un raro esemplare di capretta Serj mentre bruca la sua erbetta!» ad un certo punto il chitarrista dà il via agli sfottò rivolti al cantante, che sta consumando placidamente il suo sandwich vegetariano; quando Serj manda giù un boccone e si prepara a parlare ci immobilizziamo, come per assistere meglio.
«Invece qui, di fronte a me, potete ammirare una strana bestia che sbrana ali di pollo con lo scopo di far crescere i rotolini di ciccia, sembra una scimmia urlatrice ma non ne sono sicuro...»
John scoppia a ridere come un matto e Shavo per un pelo non si strozza con le patatine, io invece mi limito a ghignare e osservo Daron mentre corruga le sopracciglia e grugnisce per la sconfitta.
Una volta finito e pagato ci immettiamo sulla via trafficata e decidiamo di fare una passeggiata per tornare in hotel, e nel mentre prendo Shavo da parte.
«Era una groupie, quella tipa?» proferisco, in maniera molto calma.
«Purtroppo sì» mi risponde il bassista, con aria alquanto desolata. «Ci viene appresso da qualche anno ormai e ce la sorbiamo solo qui e in America, normalmente non è mai venuta nella sezione europea dei nostri tour... spero che quest'anno non le sia venuta la brillante idea di rimediare a questo.»
«Beh, potreste lasciare detto allo staff di tenerla lontana» suggerisco.
«Sicuro, sperando che nessuno si faccia corrompere... il problema resta comunque all'esterno dei concerti, perché se si presenta mentre siamo in un altro luogo pubblico non la si può cacciare...»
«Pazienza... nel frattempo bisognerebbe ignorarla.»
«Come hai potuto constatare io, Serj e John lo facciamo già... è Daron che non sembra molto deciso... o almeno ora pare freddo e indifferente al contrario degli scorsi anni, in cui non era indifferente alla tipa.»
«Capito... vedremo come si evolveranno le cose, insomma.»
«Proprio così... comunque, sarai mica gelosa?»
«Gelosa? Io? No, voglio solo che stiamo tutti bene e che quell'oca giuliva si levi dai piedi, ho già incontrato molte persone come lei nella mia vita e so che sono inutili fonti di guai.»
«Capito.»
Per gran parte del tragitto nessuno parla e mi perdo fra i pensieri, osservando i palazzi e le auto di passaggio con aria distratta; il cielo è ancora grigio e non c'è un alito di vento.
Spero che in Australia le cose possano andare meglio...
«Buh!» il batterista mi si para davanti, facendomi spaventare di brutto e perdere l'equilibrio, sicché casco a sedere sul marciapiede con un botto.
«John, aspetta che mi riprenda e poi ti acchiappo e ti faccio nero!» protesto, un poco dolorante, scoppiando poi a ridere come una scema.
«Oh, che paura!» replica lui, divertito.
Daron, fino ad allora rimasto in disparte e silenzioso, si avvicina, mi tende le mani, senza proferire parola, e io le afferro, facendo leva su di esse per rialzarmi.
«Grazie» gli sorrido, spolverandomi il didietro.
«Non c'è di che, cosina. Mica ti sei rotta l'osso sacro?»
«Spiritoso, non si rompe mica così facilmente! Che state facendo tu e John, vi associate per sfottermi?»
«Ma è così divertente sfotterti! Non riuscirai nemmeno mai a picchiarci.»
«Dolmayan, aspetta, se mi acchiappa io sono un tantino più fottuto di te...»
«Hey!!»
Finalmente il clima di tensione scompare quando anche Serj si unisce agli scherzi e alle risate, e ciò mi rende contenta; spero che questi piacevoli momenti non vengano mai a mancare durante tutto il tour.

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Capitolo 25
*** Sun and clouds ***


E rieccomi!
Non so quando potrò riaggiornare, e oltretutto si ritorna ad aggiornamenti singoli visto che non rimane molto materiale già pronto...
Comunque, ringrazio come sempre lettori e recensori <3
Buona lettura!




 

-Nikki-

«Australia, siamo qui a farti il culetto!»
Dopo aver vagato da una parte all'altra del backstage, essersi guardato intorno e aver spiato ogni tanto la folla, ora Daron saltella sul posto, carico per l'esibizione imminente; sulla sua maglietta nera campeggia la scritta "Fuck music", che mi strappa una risatina ogni volta che la leggo.
«Hey, canguro, conserva le energie per dopo!» gli dice Sako, scherzoso.
«Non preoccuparti Sako, non mi stanco mica così facilmente» replica il chitarrista, facendogli una linguaccia. «Comunque bella battuta, sei proprio in tema "australiano"...»
«No, vi prego, niente gare di battutacce prima del concerto!» rido, fingendo di tapparmi le orecchie.
«Vuoi partecipare, bestiolina?»
«No, grazie, magari un'altra volta...»
Finalmente giunge il turno dei ragazzi; strano ma vero, poco prima di dirigersi all'entrata del palco Daron rivolge il suo sguardo verso di me e io lo sostengo per un paio di secondi, sorridendo in modo incoraggiante nel mentre, al che sorride anche lui e si avvia mentre io raggiungo gli altri tecnici in una zona in disparte del palco.
Anche qui in Australia fa caldo come in Nuova Zelanda, ma la differenza sta nel cielo limpidissimo, per cui il sole ci inonda tutti con il suo calore; proprio in quel momento mi accorgo che sul palco vi sono dei ventilatori per non far morire di caldo nessun musicista e rimango per un attimo stranita, non avendo mai visto una cosa di quel genere... quando sento i ragazzi partire con la intro di "Prison song" mi impongo di concentrarmi ad ascoltarli.
L'energia dell'esibizione è contagiosa e a malapena riesco a trattenermi dal saltellare e dall'urlare per l'entusiasmo come una qualunque fan, ma li seguo cantando sottovoce e muovendo a ritmo testa e piedi... poi di nuovo, come nel precedente concerto, mi distraggo per un attimo e quando mi riconcentro constato la mancanza di un capo di abbigliamento sulla persona del chitarrista. Improvvisamente sento le guance farsi decisamente bollenti e ringrazio il fatto che faccia così tanto caldo che nessuno noterà mai questo.
Ah, ma allora è un'abitudine?!
Non credo che io mi abituerò, invece...
Mi accorgo di uno dei miei colleghi che mi sta fissando con aria alquanto interrogativa, probabilmente si è accorto della mia temporanea immobilità, e gli sorrido di rimando per tranquillizzarlo, scuotendo la testa, prima di riportare lo sguardo sui ragazzi.
Più avanti, l'assolo di "Psycho" riporta improvvisamente alla mente i racconti dei ragazzi, che me lo hanno descritto come un momento sublime di "genio e follia" del chitarrista, e resto letteralmente imbambolata ad osservare il tutto, rossa in viso e con il cuore che batte furiosamente nel petto, e solo alla fine mi rendo conto di aver trattenuto il fiato fino ad allora ed espiro rumorosamente, tornando a riempire di aria i polmoni che sembrano essere stati strizzati come panni.
Durante "Chop Suey" scorgo un certo movimento vicino al retro del palco e vedo alcuni dei roadies bloccare una ragazza particolarmente agitata: riconosco subito Tina e una sensazione di sordo fastidio mi si forma nel petto e nello stomaco. Qualcuno dei miei colleghi interviene, ribadendo il divieto di accesso, poi la prende per un braccio e la porta via, sottraendola alla mia vista, e successivamente sospiro, sollevata. No, non avevo per niente voglia di dover avere di nuovo a che fare con quell'oca.
Il concerto procede alla grande e senza intoppi e si arriva all'ultima canzone, "Sugar", singolo tratto dal primo album e canzone che io adoro per la carica irriverente che possiede; verso la fine mi sembra di sentire qualcosa di strano a livello di suono della chitarra e, sporgendomi un po' da dove mi trovo, mi ritrovo a constatare che il chitarrista ne ha combinata un'altra delle sue e sta mostrando il suo didietro al pubblico... non ce la posso fare, è proprio matto!
Alla fine di tutto l'inchino dei ragazzi è accolto con il continuo boato del pubblico, contento di averli visti e ancora più contento per la fantastica esibizione; ci raggiungono poco dopo nel backstage, stanchi e fradici di sudore ma felici.
«Yuuuuppiiiiiiii!»
All'improvviso mi sento sollevare da terra e la velocità con cui questo avviene mi fa quasi girare la testa; quando il mondo intorno a me si riassesta capisco di essere stata presa in braccio nientedimeno che dai quattro baldi giovani, ancora in preda all'euforia, dopodiché John e Serj mollano la presa e corrono ad abbracciare Sako e gli altri, lasciandomi in bilico fra le braccia del bassista e quelle del chitarrista.
«O-okay, potete farmi scendere se volete, magari la prossima volta avvisatemi visto che sono così leggera che mi è praticamente parso di volare...» dico, balbettando un poco.
«Dai, ti lascio in custodia al nano sperando che faccia il bravo, vado a fermare quei due prima che soffochino tutti nei loro abbracci umidi e puzzolenti» risponde Shavo, con una risata, prima di fare come detto; se mentalmente, mentre succedeva questo, pregavo dicendo di no, appena rimango fra le braccia del collega mi rilasso quasi automaticamente.
«Sei così leggera, bestiolina» commenta Daron, osservandomi. «Mica stai tentando di fare la dieta e devo nutrirti io a forza?»
«Oh, come sei premuroso, antipatico» replico, con un ghigno «ma sai benissimo che non patisco la fame e che ho il metabolismo veloce.»
«Come dici tu, cosina» fa lui, rassegnato, rimettendomi a terra con cautela.
«Hey, non fare il finto accondiscendente!»
«Finto? Sono serio!»
«Sì, come no!»
Ridiamo per qualche secondo, poi torniamo seri entrambi.
«Siete stati davvero fantastici, comunque» dico, sorridendo. «E tu sei davvero un pazzo.»
«Doppio ringraziamento, allora! Fare il pazzo, modestamente, mi riesce bene» risponde, pizzicandomi lievemente una guancia, poi si allontana un attimo per asciugarsi e si rimette la maglietta che aveva indosso all'inizio del concerto.
«Forza ragazzi, andiamo al buffet del servizio catering prima che gli altri facciano sparire tutto!» sento Serj urlare da qualche metro di distanza e ci incamminiamo tutti dietro di lui, docili.

«Aaah, adesso sì che va meglio» sospira John, picchiettandosi la pancia.
Tutti quanti ormai abbiamo pranzato con ciò che abbiamo trovato e, nel frattempo, ho visto i ragazzi scambiare chiacchiere con gli altri musicisti presenti a questo festival; siamo rimasti quasi da soli, per cui ci avviamo per tornare al backstage a recuperare alcune cose prima di andare via, quando una persona si para dinanzi a noi... oh no.
«Ragazzi! Siete stati bravissimi!» l'odiosa e ormai familiare voce stridula di Tina giunge alle orecchie e trattengo a fatica una smorfia di insofferenza, così come Shavo.
«Ti era stato impedito di raggiungerci» fa Serj, estremamente pacato. «Cosa ci fai qui? Chi ti ha fatto passare?»
«Beh, so essere molto convincente» replica lei, con nonchalance, risistemandosi i capelli; poco dopo, da un angolo recondito dietro di lei, spunta uno dei roadies intento a risistemarsi la cintura dei pantaloni. Ah sì, proprio un bel metodo di persuasione...
«Comprendo» proferisce il cantante, indurendo la voce. «Faremo i conti più tardi, Tom!» si rivolge al tipo, che impallidisce e scappa più velocemente possibile, prima di tornare a porre la sua attenzione sull'irriverente ragazza di fronte a lui. «Hai corrotto una persona, ma non riuscirai a corrompere tutti. Credo ti sia stato fatto comprendere chiaramente che non sei più nelle nostre simpatie e non vogliamo più avere nulla a che fare con te, anche se pare che tu non voglia proprio capire. Sparisci.»
Ci rimettiamo in moto dietro Serj, che insieme ad altri ci supera a grandi falcate; faccio per riprendere a camminare quando percepisco di nuovo gli occhi pieni di odio della tipa fissi su di me, per cui alzo i miei e li punto nei suoi, con durezza e fierezza, prima di distoglierli e superarla, affiancata da Daron che, stranamente, non si volta minimamente a guardarla.

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Capitolo 26
*** Acknowledge ***


Eccomi qui! 
Come avevo anticipato, ci sarebbe stata la possibilità che avrei aggiornato in questa settimana piuttosto che nel weekend e così è stato per via di alcuni imprevisti :c
Ringrazio lettori e recensori, come sempre, e anticipo solo una piccola cosa: questo è un capitolo importante :3
Buona lettura <3




 

-Nikki-

La grande Melbourne risplende sotto il sole e pare promettere bene per la giornata di oggi, in cui si terrà l'ultima data australiana dei ragazzi.
Il caldo non è soffocante e di questo ne sono grata, così non dovrò passare la maggior parte della giornata con i vestiti appiccicati addosso e, non sentendomi dell'umore giusto per indossare colori, ho potuto vestirmi completamente di nero senza temere di morire di caldo. Stranamente anche i ragazzi paiono aver fatto la mia stessa scelta e, ad eccezione di Shavo e John che sono già a torso nudo, gli altri due sono vestiti di nero dalla testa ai piedi.
Dopo aver controllato che tutto sia a posto insieme al team, mi faccio da parte e mi siedo lì nel backstage, attendendo il turno dei nostri con una punta di impazienza; non so cosa mi stia succedendo oggi ma mi sento inquieta, molto inquieta, e non capisco il perché.
Quando finalmente arriva il momento prendo il solito posto in un angolo e mi impongo di seguire con attenzione l'esibizione, pronta a notare eventuali problemi tecnici... ma la concentrazione, sebbene presente, si focalizza su qualcos'altro.
Noto sprazzi di colore negli abiti del chitarrista e, in un momento in cui è fermo, decifro la scritta "Fuck your prayers" all'altezza del petto e noto un quadrato bianco proprio al centro del colletto della t-shirt; riconosco la somiglianza con il tipico collarino portato dai sacerdoti e in un primo momento sorrido, divertita dall'irriverenza del ragazzo.
"Bisogna dire che è proprio carino conciato così, sarebbe un prete molto figo se lo fosse davvero" una vocina nella mia mente si fa sentire, impertinente, e scuoto leggermente la testa come per scacciare quel tarlo; nessun prete ha mai suscitato la mia attenzione e i miei pensieri, e questo pensiero così veniale non mi piace.
C'è da dire che ha il suo fascino e gli occhiali da sole scuri aggiungono un tocco in più... ma quando torno a posare gli occhi su Daron, matto impeccabile come al solito, sento il sangue affluire al viso e colorirlo mentre il cuore accelera appena e comprendo qualcosa che, fino a questo momento, ho cercato di nascondere e negare anche a me stessa fin dalla notte in cui ho condiviso il letto con lui... mi sono innamorata di lui, senza scampo. E non solo per l'aspetto fisico, ma per tutto.
Fantastico, sono fottuta.

«Vado a fumare» Shavo si alza da una delle poltroncine in una saletta privata dell'hotel, durante una pausa dalla lunga conversazione avviata con i suoi colleghi.
«Vengo con te» salto su anche io e lui annuisce, mentre gli altri mi guardano con un pizzico di sorpresa per via della mia improvvisa iniziativa. Percorriamo un corridoio, giungendo davanti alla porta di una terrazza panoramica; l'aria appena fresca della sera ci investe e rabbrividisco appena.
«Vuoi?» il bassista mi offre il pacchetto di sigarette aperto.
«No, grazie, sono solo venuta a prendere una boccata d'aria fresca» declino l'offerta, con un sorriso. «Se possibile, vorrei scambiare due parole con te.»
Shavo si accende rapidamente una stecca di tabacco, poi si volta verso di me. «Nessun problema! Ebbene, dimmi pure.»
Proprio in quel momento tutto il coraggio preso svanisce e mi ritrovo a balbettare, cosa che odio fare. «Beh... uhm... ecco...»
«Stai bene, Nikki?» il bassista si avvicina, scrutandomi.
«C... credo di sì...» mormoro, poi chino la testa e fisso le mie scarpe.
«Si tratta di Daron?»
Alzo la testa di scatto, come sobbalzando. Ecco, così facendo ho dissipato i dubbi...
«S-sì...»
Shavo sorride appena, comprensivo, poi si siede sulla panchina che si trova a poca distanza e mi fa segno di accomodarmi accanto a lui e obbedisco, docile.
«Cosa succede? Ti maltratta?» chiede, preoccupato.
«Oh, no, no!» mi affretto a rassicurarlo, gesticolando furiosamente. «Negli ultimi tempi il rapporto fra me e lui è stato decisamente buono, non è affatto questo il problema.»
«E qual è, dunque?»
«Io... uhm...» esito ancora, maledicendomi mentalmente per la mia mancanza di coraggio; il ragazzo di fronte a me, comprendendo la mia difficoltà, mi prende una mano fra le sue per darmi la forza che mi manca.
«...mi sono innamorata di lui.»
Sentire queste parole pronunciate dalla mia stessa voce e non nella mia mente fa uno strano effetto e una sensazione mista di calore e formicolio mi pervade.
«Oh, Nikki...» Shavo stringe la mia mano e sorride appena. «Da quanto va avanti questa cosa?»
«Già da un po'... ma solo oggi l'ho ammesso con me stessa. Ho cercato di negare e seppellire il tutto, ma non ci riesco.»
«Beh, l'amore non è una cosa brutta da scacciare... perché questo atteggiamento così triste?»
«Perché sono senza speranza. Voglio dire, guardami, come potrebbe mai innamorarsi di me?»
Improvvisamente la mia voce si spezza, segno del pianto silenzioso che inizia di lì a poco e non riesco a fermare.
«Ti guardo» replica lui, sollevandomi la testa e asciugando le lacrime con un pollice «e vedo una ragazza bella, divertente, simpatica e ricca di capacità e un'amica fidata, tutto ciò non è mica poco.»
Sorrido appena, ancora con le guance umide.
«Quindi, quando quella volta mi chiedesti di Tina, eri gelosa?»
«In parte sì» ammetto, chinando la testa. «Ero sia gelosa che, come ti dissi allora, preoccupata per i problemi che una come lei può causare.»
«Capisco» risponde lui, prendendo un tiro dalla sigaretta.
«Pensi che lui lo sappia? Come reagirebbe?»
«Non so se lui sa, né che reazione potrebbe avere, ma ti dirò solo una cosa... da quando sei entrata nella nostra vita mi è parso un poco cambiato e nel periodo dopo le vacanze natalizie, in coincidenza con la tua assenza, l'ho visto insolitamente malinconico, sebbene velatamente. Non voglio darti false speranze, ma voglio anche che tu sappia certe cose.»
«Ti ringrazio» rispondo, tirando leggermente su con il naso; mi alzo, intenzionata a tornare dentro, e il bassista getta in un cestino il mozzicone ormai spento.
«Ho giusto un'altra cosa da dirti, prima di rientrare» fa lui.
«Dimmi pure.»
«Farò il tifo per te in questa faccenda.»
«Ahah, che gentile! Grazie mille. E, per favore, non farne parola con nessuno.»
«Certo.»
Finalmente rientriamo e troviamo gli altri ancora lì su poltrone e divani, intenti a chiacchierare di un qualche argomento che pare essere piacevole, a guardare le espressioni sui loro visi; Serj mi rivolge un'occhiata un poco preoccupata e di rimando sorrido e scuoto leggermente la testa, per tranquillizzarlo.
«Tu che ne pensi?»
Di colpo noto che l'attenzione di tutti è su di me e non ho idea di quale sia l'argomento della conversazione.
«A proposito di cosa, scusa?»
«A proposito di erba. Sai, uhm, quel tipo di erba...» risponde Daron, con aria da malandrino.
«Oh, beh... non l'ho mai provata e so che ha proprietà mediche. Questo è tutto.»
«Vorresti mai provare?»
«La metà buona di me dice di no, la metà cattiva però dice che ormai ho già fatto tante cose cattive e dunque una in più non farà molta differenza.»
«La tua metà cattiva mi sta molto simpatica, sai?»
«Ahah, divertente!»
«Ragazzi, si è fatto tardi» interviene Serj, guardando l'orologio. «Io vado, voi che fate?»
«Vado a letto anche io» sbadiglia John, chiaramente stanco.
«Idem noi» rispondiamo in coro io e gli altri due.
Dopo aver dato la buonanotte ognuno si ritira per conto suo; mentre mi dirigo verso la mia stanza rimugino ampiamente sulla conversazione con Shavo e sugli ultimi eventi.
Credo sia in dirittura d'arrivo una notte in bianco a causa dei miei pensieri e delle mie sensazioni...

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Capitolo 27
*** Studio day ***


Voglio essere generosa, quindi aggiorno di nuovo prima delle vacanze di Pasqua, non sapendo quando potrò riaggiornare :3
Ringrazio come sempre lettori e recensori <3
Buona lettura!




 

-Nikki-

Seduta davanti al computer nella stanza di Serj, con un cappuccino posato alla mia destra sulla scrivania, attendo che la connessione internet ingrani per poter controllare eventuali e-mail ricevute mentre ero via.
Giorni fa siamo tornati negli Stati Uniti e prima di cominciare la sezione americana del tour c'è da aspettare un po', ma ho anche appreso dai ragazzi che, malauguratamente, alcuni loro brani registrati in parte mentre erano in studio per produrre "Toxicity", sono stati piratati e devono dunque darsi un po' da fare già da adesso per lavorare su questo materiale, destinato ad essere inserito in un terzo album che uscirà verso la fine dell'anno; nel frattempo sono anche di nuovo ospite a casa loro e ho chiesto di poter usare il loro computer, ricevendo in risposta occhiate bonarie e un "E c'è bisogno di chiederlo?".
Trovo, con mia sorpresa, una e-mail di Hilary già vecchia di una settimana e mi affretto ad aprirla per leggerla.
"Cara Nikki, ho una bella notizia da comunicarti! Non so se ricordi che ti avevo raccontato di star scrivendo un libro già da tempo... poco dopo la tua partenza per il tour l'ho terminato, poi ho preso coraggio e sono andata a presentarlo ad alcune case editrici in giro per la città e una di esse ha accettato di pubblicarlo, è già uscito e per ora ha avuto discrete vendite! Devo inoltre confessarti che mi sono ispirata in parte a te per un personaggio secondario della mia storia, per cui praticamente diventerai famosa anche tu in qualche modo... spero non sia per te un problema! Un bacio, Hilary"
Mi lascio scappare un gridolino di esultanza, contenta per la mia amica che potrà adesso guadagnare qualcosa anche da una delle sue passioni, poi arrossisco anche un poco al pensiero di essere stata una musa ispiratrice per un personaggio del suo racconto. Sono così curiosa di leggere il suo libro!
Tamburello sulla tastiera, componendo mentalmente l'e-mail di risposta da inviare alla mia amica, poi inizio a scrivere con rapidità, accompagnata dal ticchettio dei tasti.
Una volta inviata la risposta e spento il computer prendo qualche sorso del cappuccino ancora tiepido, con la mente stranamente silenziosa, poi all'improvviso la mia attenzione viene catturata da una piccola quantità di fogli scritti un po' stropicciati e impilati, posata in un angolo della scrivania, la cui esistenza è passata inosservata per via della mia premura di controllare la posta elettronica; so che non dovrei frugare nella roba dei ragazzi e sbirciare, ma la curiosità è troppo forte e in fondo non voglio fare danni, voglio solo scoprire di cosa si tratta.
Prendo il primo foglio in mano, tenendolo con cura quasi fosse un oggetto prezioso... è un testo, una canzone credo, forse una di quelle che rientrano nel materiale rubato ai ragazzi... solo il fatto che parli di pizza mi fa sorridere, forse i ragazzi avevano fame quando hanno scritto questo testo. Lo poggio da parte e prendo il foglio successivo: questo testo è scritto ancora in un'altra grafia che, in qualche modo, percepisco come quella del cantante, e ricorre molte volte nelle righe un nome, mr. Jack. Sarei curiosa di sapere chi è questo signore, ma non saprei davvero a chi dei quattro chiederlo, d'altronde potrebbe essere una cosa casuale.
Faccio per rimettere a posto e l'occhio cade sul terzo foglio della piccola pila... in cima campeggia, scritta in maiuscolo, la parola "Roulette", vi sono molte cancellature e riscritture e stavolta la grafia mi è familiare, riconosco che è quella di Daron.
I have a problem that I cannot explain
I have no reason why it should have been so plain
Have no question but I sure have excuse
I lack the reason why I should be so confused
I, I know how I feel when I'm around you
I, don't know how I feel when I'm around you
Dopo aver letto la prima strofa e il ritornello mi fermo, pensierosa; pare essere una canzone d'amore, un'eccezione nella produzione dei ragazzi con tutta probabilità, e le parole suonano molto bene insieme, aumentando il desiderio di sentir come suona davvero questo brano.
In un angolo del foglio ci sono alcune noticine scritta in piccolo: "Una bella canzone per una bella ragazza" dice la prima, seguita da una seconda, scritta da qualcun altro, che recita "Questa canzone è in cantiere da anni, speriamo esca entro il prossimo decennio", accompagnata da una faccina ridente.
L'input a rimettere in ordine viene dal rumore della porta che viene aperta, che risuona forte nel silenzio della casa; una volta risistemato tutto rapidamente prendo la tazza ormai vuota e scendo per andare a posarla nel lavello e lì incrocio Serj, intento a versarsi un bicchiere d'acqua.
«Hey! Come mai già di ritorno?» domando.
«Sono passato a vedere se era tutto okay qui e anche se per caso c'era posta nuova» risponde, fra un sorso e l'altro. «Vuoi venire da noi in studio, così non stai da sola?»
«Volentieri!» replico, con un gran sorriso; essendo già vestita corro nell'ingresso a prendere la mia giacca e il mio solito zainetto nero e seguo il cantante fuori casa, beandomi del clima tutto sommato piacevole di questa giornata invernale.
«Non sono mai stata in uno studio di registrazione, che emozione!» esclamo, una volta arrivati a destinazione.
«Non è niente di che, è un posto pieno di consolle con tanti pulsantini, tante lucine, stanze insonorizzate, strumenti e così tanti fili che rischi di cadere a terra ad ogni passo» Serj fa lo spiritoso, ma in modo bonario «ma è comprensibile che tu sia emozionata. Ricordo che lo ero anche io, la prima volta che misi piede in uno studio...»
Continuiamo a chiacchierare per tutto il tragitto, destreggiandoci fra scale, corridoi e un certo andirivieni di persone, e una volta oltrepassata una determinata porta entriamo in una specie di salottino adiacente alle sale prove e registrazione e veniamo accolti da un certo chiasso.
«Bambini! Un po' di contegno!» Serj finge di rimproverare i suoi colleghi, ridendo, e loro rispondono con pernacchie o linguacce.
«Sei proprio un vecchio brontolone» Daron spunta dietro John e Shavo, con la sua solita faccia da schiaffi.
«E tu sei un nano irriverente che non rispetta gli anziani» lo rimbecca il cantante con una smorfia. «Su, rimettiamoci al lavoro.»

Dopo un'ora circa, in cui i ragazzi più che altro sono andati avanti e indietro e hanno parlato fra loro e con altre persone, John si allontana per una telefonata e gli altri tre per fumare e, non avendo particolare voglia di alzarmi e camminare, declino l'invito a seguire i tre fumatori, per cui resto sola nella saletta, con l'unica compagnia di Sako nella stanza adiacente.
Noto una chitarra in un angolo e mi viene improvvisamente il desiderio di prenderla in mano per strimpellare un poco per passatempo, giusto ora che i ragazzi sono fermi e so di non disturbare, per cui mi alzo, la prendo e mi risiedo, tenendola con cautela. Si tratta di una chitarra classica, un poco vecchia e visibilmente usata stando ai piccoli graffi qua e là; non c'è traccia di un plettro nelle vicinanze, per cui mi servo delle unghie che sono abbastanza lunghe da rendere la cosa facile.
Strimpello qualche giro a caso, ogni tanto inserisco arpeggi fatti in modo un po' impacciato vista la mia poca esperienza, e nel frattempo sento la mente svuotarsi e una grande calma prende il sopravvento; inizio anche a cantare, sottovoce, l'inizio di "Civil war" dei Guns N' Roses.
Quando scorgo con la coda dell'occhio un movimento mi immobilizzo di colpo per lo spavento e alzo la testa di scatto, mettendo a fuoco Sako che sta in piedi, appoggiato ad uno stipite della porta, probabilmente intento ad ascoltarmi.
«Scusa, non volevo spaventarti!» si affretta a dire, con aria dispiaciuta. «Ti ho sentita e non ho resistito alla curiosità... che brava.»
«Tranquillo, Sako, non devi scusarti... grazie comunque, molto gentile» rispondo, arrossendo un poco.
«Figurati, verità.»
«Cosa succede?» in quel momento spunta Shavo, con aria curiosa.
«Nikki sa suonare e cantare discretamente, lo sapevi?» lo informa subito Sako, nonostante stessi giusto per pregarlo di non dire nulla.
«Oh, no, non sapevo che il nostro caro tecnico avesse anche questi talenti nascosti» risponde il bassista, venendo a sedersi accanto a me.
«Chiamarli talenti è un po' esagerato» replico, a testa china «per me sono solo piacevoli hobbies, il talento è ben altro.»
«Beh, facci sentire qualcosa e ti daremo il nostro onestissimo parere.»
Improvvisamente il battito cardiaco accelera e tossisco un po'. «C-certo... come puoi già vedere l'ansia mi frega troppo e questo non va.»
«Su, tranquilla, non ti giudicheremo, sei fra amici.»
Prendo un respiro profondo e riprendo con la canzone precedente, mantenendo il volume di voce sempre piuttosto basso e cercando di suonare nella maniera più corretta e semplice possibile, giusto per essere sicura di non fare errori; quando mi fermo e alzo la testa vedo il tecnico della batteria ancora assorto e il bassista apparentemente allibito.
«Suvvia, faccio così schifo?» scherzo.
«Aspetta... la sera in cui io e Serj venimmo a farti la proposta di lavoro... eri tu la ragazza che cantò e suonò una canzone degli Aerosmith in quel locale?» proferisce il ragazzo, mantenendo gli occhi sgranati.
«Sì, ero io» ammetto, con un sorrisino. «Mi hai sentita?»
«Sì, passeggiavo da quelle parti quando ho sentito cantare, dalle porte semitrasparenti non sono riuscito a riconoscerti e quando sono entrato nel locale era troppo tardi. Mi sono sempre chiesto chi fosse la persona che cantava e suonava in quel momento, perché la versione di "I don't want to miss a thing" che ho sentito quella sera era la più triste di sempre.»
«Oh... purtroppo quella canzone serba per me ricordi più amari che dolci e non riesco a fingere il contrario.»
«Tranquilla, in fondo la musica è fatta per veicolare le emozioni... e comunque ti faccio i miei complimenti, sei davvero brava.»
«Grazie mille, Shavo, molto gentile.»
«Non c'è di che, Nikki.»
«La nostra piccola Nikki dalle mille sorprese!» esclama il cantante, apparendo sulla soglia di fianco a Sako insieme a John che si limita ad annuire vigorosamente.
«Siete tanto gentili e anche un pochino esagerati» mugolo, nascondendomi la faccia fra le mani per qualche secondo e suscitando l'ilarità dei presenti. Appena rialzo la testa scorgo il chitarrista a pochi centimetri da Serj e sussulto internamente; il contatto visivo dura appena un secondo e, con le labbra piegate in una posa che non suggerisce né un sorriso né un broncio, il ragazzo si allontana verso un'altra stanza e una strana sensazione di incertezza e sorda tristezza si fa spazio nel mio petto.

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Capitolo 28
*** Chill ***


Rieccomi qui con un altro aggiornamento :3 nei prossimi giorni dovrei riaggiornare, ho voluto essere buona u.u XD
Come sempre grazie a tutti, lettori e recensori <3
Buona lettura!




 

-Nikki-

Tutto è pronto per l'inizio della nuova sezione del tour qui in America, niente problemi e la folla sotto al palco già scalpita: si prospetta una bella serata qui a Las Vegas.
I ragazzi sono pronti e carichi come sempre ma non comunicano più di tanto, in fondo sono umani ed è normale che sentano anche una certa ansia; neanche io sono particolarmente comunicativa da qualche giorno, non so bene il perché, ma scambio due chiacchiere con Sako giusto per ingannare il tempo.
«Altro che San Valentino, qui è la festa!» esclama all'improvviso, ridendo, e lo seguo; il volume di voce è tale che anche gli altri lo sentono e gli sorridono pigramente. «Questa sera noi, poveri single sfigati, festeggeremo con un bel concertino e poi con un drink o qualche altro passatempo magari, facciamo vedere alle coppiette smielate o finte che ci divertiamo lo stesso da soli nel frattempo che aspettiamo o cerchiamo una persona giusta per noi.»
«Già» rispondo, distogliendo poi lo sguardo per posarlo furtivamente su Daron.
Da qualche giorno il chitarrista è strano, a volte parla senza sputare nemmeno un attimo a terra e scherza volentieri, a volte si chiude in un cupo silenzio che lo porta ad ignorarci un po' tutti... anche in questo momento lo vedo troppo silenzioso, sebbene sembri meno imbronciato dei giorni scorsi.
Sono combattuta fra l'avvicinarmi per cercare di strappargli un sorriso e il rimanere in disparte, con questa sensazione di calore nel petto che a volte punge appena, ma poi mi decido per la prima opzione e, dopo essermi scusato con il tecnico della batteria, mi alzo e cammino lentamente, con passi un poco incerti. Quando sono ormai a pochi centimetri Daron si volta a guardarmi con aria interrogativa e io riesco solo ad abbozzare un sorriso, ricambiato in egual modo.
«Ragazzi, è ora!»
Una vocina nella mente mi rimprovera per non aver agito con più celerità e anticipo e per quanto possibile la ignoro, nonostante mi venga automatico da abbassare lo sguardo e la testa; improvvisamente sento qualcosa di tiepido toccarmi la parte alta del viso e un secondo dopo mi rendo conto che il chitarrista mi ha baciata sulla fronte... resto per qualche secondo lì, immobile e allibita, a guardarlo mentre si allontana verso il palco, prima di riuscire a recuperare il controllo del mio corpo e raggiungere gli altri.

Alla fine del concerto, fantastico come i precedenti, mi allontano da sola verso una porta che dà sul retro del locale in cui i ragazzi hanno suonato, intenzionata a fumare; dopo aver calcato meglio il cappellino sulla testa e risistemato il colletto della mia camicia di flanella mi accendo una sigaretta, peraltro "leggera" visto che ho iniziato da poco e non fumo nemmeno molto spesso, dopodiché mi appoggio al muro dietro di me e fisso un punto imprecisato, portando la stecca di tabacco alle labbra ad intervalli abbastanza regolari e con una certa meccanicità.
«Non sapevo fumassi» la voce di Shavo interrompe il corso dei pensieri e la sua figura snella compare al mio fianco.
«Ho cominciato da poco e in maniera irrisoria» rispondo, con voce piatta, guardandolo mentre prende una sigaretta e si aggrega.
«Non dovresti prendere questa abitudine» storce un poco la bocca e io ghigno appena, come a dirgli "senti chi parla".

«Mi aiuta a svuotare la mente» dico, soffiando fuori del fumo per un paio di secondi «nulla passa e mi tranquillizzo per un poco.»
«Spiegazione tipica di un fumatore, d'altronde.»
Nessuno di noi due parla fino a quando non abbiamo finito di fumare.
«Novità riguardo alla tua situazione con Daron?»
«Nessuna... poi hai visto come si comporta ultimamente, no? A volte è socievole come sempre e a volte si rinchiude nel suo guscio, alterna momenti di loquacità a momenti di silenzio in cui perfino ignora gli altri e ancora non ha tagliato i ponti con quell'oca, con tutta probabilità... in sintesi, è una situazione abbastanza merdosa.»
«Concordo. Ma perché non smuoverla parlandogli? Ti toglieresti un peso.»
«Oh no!» scatto di colpo, con una strana sensazione di costrizione alla gola. «Non è questo il momento giusto, c'è il tour di mezzo, non voglio creare problemi... poi magari attenderò un altro po' per vedere se questa sua "fase" lunatica passa...»
«Dunque vuoi portarti dietro questo fardello ancora per molto? Non ti gioverà...»
«Non ho scelta al momento, ci sono di mezzo cose più importanti delle mie vicende sentimentali...»
«Riesci ad essere così altruista... ti ammiro molto.»
«Oh, Shavo, sei così gentile.»
«Su, torniamo dentro che fa alquanto freddo.»

Siamo in viaggio da ore e l'unica cosa che ho per la mente è una frase: ho sonno.
Guardo il paesaggio scorrere fuori dal finestrino del tour bus, senza concentrarmi realmente, e solo dopo svariati minuti mi rendo conto del vetro diventato appannato e gelido anche senza contatto e mi ritraggo rabbrividendo.
«Il vetro si è appannato» commento, con voce normale, accennando a disegnare qualcosina sulla condensa. «Quanto freddo farà quando arriveremo a Toronto?»
«Credo molto, l'Ontario è certamente più freddo della California e siamo in inverno» la voce di Serj giunge alle mie orecchie, molto pacata.
«Detesto il freddo» brontola Daron, stringendosi nella sua pesante felpa viola.
«Idem» commento, strofinando le mani nel tentativo di scaldarle; come una scema ho lasciato i miei guanti neri a mezze dita nel bagaglio, ora riposto da qualche parte nel bagagliaio del bus, per cui devo arrangiarmi senza fino a quando stasera andremo in hotel per dormire, spero solo di non perdere l'uso delle mani prima di quel momento.
Scorgo con la coda dell'occhio un movimento vicino a me e, girando la testa, mi ritrovo faccia a faccia proprio con il più giovane dei quattro.
«E-ehi, ma non eri sul divanetto un momento fa?» cerco di apparire disinvolta, sebbene la sua comparsa improvvisa a pochi centimetri da me mi causi un mix di contentezza ed imbarazzo.
«Dammi le mani, così te le riscaldo un po'» dice lui, la sua inespressività facciale tradita da una nota di premura nella voce; con qualche incertezza allungo le braccia e le sue mani morbide si rivelano inaspettatamente calde contro le mie.
«Va meglio?» chiede, sollevando un angolo della bocca.
«Sì, davvero molto meglio» proferisco, con un mezzo sospiro, cercando di assorbire quel calore così piacevole con ogni cellula del mio corpo. «C'è da dire che la lontananza dallo Utah mi ha fatto disabituare al freddo, anche se abitavo al sud e lì è più vivibile che al nord.» Finita la frase, mi assale il timore di aver parlato "troppo" e a vanvera, ma noto che i ragazzi mi stanno sorridendo e mi sento subito più tranquilla.
Vedo il chitarrista frugare nella tasca-marsupio della felpa ed estrarre l'iPod e, pensando che voglia star tranquillo, mi giro dall'altro lato per tornare a guardare il paesaggio e non disturbarlo, ma due dita tamburellano garbatamente sulla mia spalla sinistra e mi volto di nuovo.
«Vuoi farmi compagnia?» chiede Daron, offrendomi una delle cuffiette.
Per qualche attimo resto allibita, certamente ancora stupita da questo repentino ritorno al suo solito atteggiamento socievole e gentile, poi sorrido e annuisco, con una sensazione di calore che si irradia nel petto e in qualche modo scioglie il gelo dei giorni precedenti.
Che sia un buon segno?

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Capitolo 29
*** Confusion, confusion ***


Buonsalve!
Oggi è il mio compleanno e ho deciso di fare io un regalo a voi con questo aggiornamento, un altro capitolo importante... per me il regalo più bello è sempre il vostro feedback positivo <3
Buona lettura!



 

-Nikki-

I giorni passano, procedono ordinatamente in fila come quieti monaci, quasi impercettibilmente.
La cognizione del loro scorrere viene dal continuo cambio di luoghi, con il passaggio dalla più familiare America alla sconosciuta Europa, e dalla percezione del clima, che si sta facendo gradualmente meno rigido... ma la primavera in arrivo all'esterno stride con l'inverno che alberga in me.
Ogni giorno, anche quando non c'è molto da fare, cerco di stancarmi il più possibile così da crollare appena tocco il letto o la cuccetta del bus e fare sonni di pietra e privi di sogni, perché in questo periodo non ce la faccio proprio ad affrontare i miei pensieri, le mie ansie e paure e i fantasmi del mio passato ma, per amor della professionalità e dell'efficienza, non posso né ubriacarmi né fare uso di erba perché devo essere sempre lucida e attenta.
Proprio a questo scopo mi sono improvvisata come aiuto roadie nelle più svariate occasioni, nonostante qualche protesta in merito a qualche pericolo per la mia salute, ed è stato così che ho conosciuto una brunetta robusta di nome Bree ed un ragazzo biondo dagli occhi chiari di nome Paul, le due nuove persone arrivate nel team dei roadies dopo il ritiro di un ragazzo per motivi familiari e il licenziamento di Tom, il ragazzo corrotto da Tina tempo addietro; passare il tempo con loro mi distrae dai pensieri cupi e mi regala un po' di benessere, ma i momenti liberi sono pochi e quando sono assenti la morsa del malessere torna a farsi sentire.
La situazione è in stallo, proprio non trovo la forza di dare voce a ciò che si agita dentro di me e in più il comportamento di Daron continua ad essere abbastanza instabile... non so quanto resisterò ancora prima di crollare.

«Ebbene sì, ragazzi, potete andare, gli altri per una sera se la caveranno senza di voi... mi raccomando, non fate tardi assai e fate i bravi.»
Bree hanno avuto l'idea di andare a fare un salto in qualche locale qui a Glasgow dopo il concerto di questa sera (il primo di due nello stesso luogo) per farmi distrarre e Paul, pur non essendo un entusiasta di locali e discoteche, ci accompagna per svagarsi un po' a sua volta e per nostra sicurezza; sentire Beno che ci parla in modo quasi paterno fa un po' strano.
«Grazie!» sorridiamo tutti e tre insieme, prima di andare via; non facciamo nemmeno tappa al bus dei roadies e dello staff per risparmiare tempo e, dopo una camminata non molto lunga, sentiamo della musica provenire da un luogo e ci intrufoliamo, senza nemmeno voler sapere di preciso che posto è.
«Alla salute!» dopo aver preso uno shot a testa, di quelli piuttosto forti, brindiamo e lo mandiamo giù di colpo e l'alcol mi brucia subitaneamente la gola oltre a dare istantaneamente un leggero senso di vertigine; i miei due nuovi amici non sanno che sono a digiuno, tutto quello che sto provando ultimamente mi chiude spesso lo stomaco, ma non voglio farli preoccupare e dunque non glielo dirò per ora.
Vedo uno sconosciuto piuttosto carino avvicinarsi a Bree e attaccare bottone con lei, che pare dargli corda piuttosto volentieri, per cui mi volto verso Paul, appoggiato al bancone con aria pensierosa.
«Balliamo un po'? Così non facciamo le ragnatele qui al bancone» propone dopo qualche istante di silenzio.
«Va bene.»
Mentre io e il ragazzo ci avviciniamo alla pista inizia una vecchia hit di genere dance, "Blue" degli Eiffel 65, e ci mischiamo nel gruppetto piuttosto nutrito che già è intento a dimenarsi in maniera più o meno apprezzabile; il mio corpo si muove da solo a ritmo con la musica a volume decisamente esagerato mentre la mia mente è lontana ma in qualche modo recepisce ancora le parole e il loro significato... "I'm blue".*
Solo dopo svariati minuti, quando è cambiato il brano, mi rendo conto che io e il mio amico siamo praticamente appiccicati e questo contatto, in fondo, non dispiace e non mi mette a disagio. Ad un certo punto sento le gambe farsi come di gelatina e per poco non cado poiché riesco a mantenere l'equilibrio in qualche modo; Paul si accorge di questo e, sorreggendomi, decide di accompagnarmi al bagno.
«Va meglio?» chiede, dopo esserci chiusi in un cubicolo, mentre sto seduta sul WC con la testa poggiata contro una parete e lui mi guarda, chino e vicino.
«Sì, un po'» replico, biascicando appena.
«Non sembri reggere molto bene l'alcol, eh?»
«Lo reggevo meglio tempo fa, quando ero in forma, fidati.»
«Oh... capisco.»

-Paul-

Nonostante il riverbero della musica fuori dal bagno, nel cubicolo c'è un silenzio alquanto opprimente. Nikki ha chiaramente "incassato" male il colpo che le ha inferto l'alcol, sospetto che non abbia nemmeno mangiato e quindi anche peggio, molto peggio... non ho idea di quale sia il suo livello di lucidità e sobrietà in questo momento.
Improvvisamente la vedo sporgersi verso di me che sono ancora chinato e mi bacia, un bacio dato con fame ma senza alcun reale sentimento che non mi dispiace dopotutto, sono single e lei è una bella ragazza e, se lei vuole, si può passare del tempo piacevole insieme; ricambio il suo bacio volentieri e finiamo contro una parete, schiacciati l'uno contro l'altra, e nelle mie parti basse qualcosa si è risvegliato a causa degli stimoli.
Quasi non mi rendo più conto di ciò che sto facendo per un po', ma quando ritorno alla realtà e mi accorgo di come siamo conciati si accende un piccolo campanello d'allarme e mi fermo.
«Vuoi...?» domando, staccandomi, con voce piana.
Vedo la ragazza guardare nel vuoto con aria persa prima di tornare a premersi contro di me, respirando pesantemente.
«Nikki» la chiamo per nome, fermandola e ponendo qualche centimetro di distanza «non sei lucida, non fare qualcosa di cui potresti pentirti.»
«I-io...» balbetta la ragazza, risistemandosi i vestiti quasi senza farci caso e risiedendosi. «Mi sento così stordita. Possiamo tornare al bus?»
«Certamente, ora rintracciamo Bree e andiamo» rispondo, calmo. «Ma prima, dimmi un po'... stai soffrendo per amore e hai pensato che farlo con qualcuno ti avrebbe arrecato sollievo? Questo è il motivo per cui sei così sfatta e apatica?»
Una pausa piuttosto lunga segue la mia domanda e la risposta arriva con un volume di voce inizialmente sommesso. «Sto una merda, Paul, e non è per l'alcol... scusa per ciò che ho fatto, scusami davvero tanto.»
«Tranquilla, non fa nulla. Su, ora seguimi, rintracciamo Bree e torniamo subito al bus, così puoi stenderti.»

-Daron-

«Che noia...» sbadiglia Serj, nella sua cuccetta. «Ma Nikki dov'è?»
«Nikki è in giro con i due nuovi roadies, me l'ha detto Beno poco fa visto che lui li ha autorizzati ad allontanarsi per un po'» risponde Shavo, sfogliando un giornale, anche lui disteso sul suo giaciglio.
«Mica sai dove sono andati?»
«No, purtroppo, ma credo siano andati in qualche locale vicino...»
Ritorna il silenzio. Sospiro, stanco e allo stesso tempo desideroso di uno svago; dopo qualche minuto decido finalmente di fare qualcosa, per cui mi alzo e prendo alcune cose essenziali, solo telefono e portafogli.
«Dove vai?» chiede il cantante, curioso.
«Esco a fare due passi, tornerò fra una decina di minuti» replico, enigmatico, e saluto i miei colleghi con la mano prima di uscire dal tour bus.
L'aria è fredda come se fosse ancora inverno e rabbrividisco appena, stringendomi nei vestiti, poi mi incammino e la sensazione di freddo si fa molto più sopportabile.
Dalle porte aperte di un locale proviene una canzone, una hit degli Eiffel 65 già vecchia di qualche anno e che personalmente trovo un po' ripetitiva, ma decido di entrare in questo locale perché non ho voglia di camminare ancora per molto da solo e al freddo.
Fortunatamente il luogo non è particolarmente affollato e riesco a farmi strada facilmente; giunto vicino al bancone mi fermo ad osservare la folla danzante in pista, per nulla intenzionato a prendere da bere invero, e in quel momento scorgo Nikki e i due nuovi roadies: la nuova ragazza, la bruna, è intenta a ballare con uno sconosciuto, mentre gli altri due ballano insieme.
Quando noto la poca distanza fisica fra i due, che ridono e stanno l'uno con le braccia sulle spalle dell'altra, si fa strada nel mio petto qualcosa che all'inizio sembra solo una banale fitta di leggera irritazione e poi invece diventa una vera e propria sensazione di fastidio che brucia e sembra quasi aggrapparsi con gli artigli al mio diaframma e sono costretto a distogliere lo sguardo.
"Geloso, Malakian?" la solita vocina impertinente ed inopportuna si fa sentire, beffarda, e le mie guance si fanno
calde, al che guadagno rapidamente l'uscita perché mi sento leggermente soffocare; una volta di nuovo all'aperto mi pongo in disparte e mi accendo una stecca di erba, sperando che possa sortire un effetto calmante.
Allora, Malakian, come butta?
Oh no, non adesso, vocina di merda, perché non mi lasci tregua nemmeno mentre fumo?!
Eh no, non pensavi di cavartela così facilmente! Non puoi scappare da me, sono nella tua mente e, volente o nolente, devi affrontarmi.
Cosa diamine vuoi?
Voglio che tu ti fermi a riflettere, perché ultimamente hai evitato di farlo.
Su cosa, di grazia?
Sui tuoi rapporti sociali, in particolare su quello con il sostituto tecnico di assistenza, una ragazza di nome Nikki Gray che tu conosci ormai piuttosto bene da mesi.
Nikki?
Sì, nanetto, lei. Cosa ne pensi?
Beh... mi intrigano il suo spirito e la sua ironia. È diversa dalla maggior parte delle ragazze in un sacco di cose. È anche carina, e caratterialmente alquanto affine a me.
Che sublime panegirico, ho le lacrime agli occhi.
Hey, non fare la stronza! Sono stato onesto!
Non fino in fondo.
Ah sì?
Suvvia, Malakian, non prendiamoci per il culo... tu provi qualcosa per lei.
Non è così! È un'amica cara, e nient'altro.
A chi vuoi darla a bere, scemo? Ti sei infervorato, la tua faccia è diventata paonazza e il tuo cuore galoppa. E prima, quando l'hai vista ballare con Paul, hai provato gelosia.
Gelosia? Ho solo pensato che lei e Paul fossero troppo appiccicati per i miei gusti.
E perché mai questa cosa ti ha dato fastidio? Normalmente non vai in giro a misurare la distanza media fra persone che ballano.
...non lo so, sinceramente. Sono costretto ad alzare bandiera bianca, qui.
Per ora è andata così, ma non potrai soffocare le voci della tua coscienza, del tuo cuore e della tua mente ancora per molto... non ti conviene farlo ancora, se non vuoi creare guai e fare cazzate di cui potresti pentirti.
Vedrò che fare, ora zitta e non scassare più le balle per stasera, voglio finire di fumare erba in santa pace.
Forse un fondo di ragione c'è... ma ora come ora non ho le forze per affrontare la verità.

 

*: "to be blue" in inglese significa "essere giù, triste" ed ecco spiegata l'associazione fra l'umore di Nikki e la canzone degli Eiffel 65 (che pure non pare tanto triste).

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Capitolo 30
*** Roulette ***


Ehilà!
Voglio essere buona e aggiornare di già/di nuovo, anche se siamo quasi agli sgoccioli col materiale già pronto (altri 2-3 capitoli soltanto sono pronti), ma sono drogata di recensioni e proprio non resisto XD oltretutto non so quando aggiornerò di nuovo, con tutta probabilità lo farò la prossima settimana ma non ne ho certezza...
Anche questo capitolo è importante, il titolo della storia viene dalla canzone del titolo di questa parte dopotutto :3 spero piaccia!
Buona lettura <3




 

-Daron-

Di ritorno in America con i ragazzi non c'è scampo né riposo, sebbene i ritmi si facciano un poco più sopportabili in materia di sonno e letto, bisogna continuare a lavorare sul nuovo album: il nome che io e gli altri abbiamo deciso di dargli, "Steal This Album!", ispirato a "Steal this book" di Abbie Hoffman, è chiaramente sarcastico e riferito alle care personcine che hanno ben pensato di ricorrere alla pirateria informatica per mettere in circolazione tutti i brani non finiti e non confluiti in "Toxicity". Tiè, beccatevi questo!

Oggi il cielo è limpido, macchiato qua e là da piccole nuvolette bianche, ma l'aria è pure troppo fresca per essere ad aprile; in pausa da prove e registrazione, sto affacciato da una finestra che dà sulla trafficata strada sottostante, così in basso rispetto alla mia posizione da provare leggere vertigini.
«Pausa finita, si torna al lavoro! Forza!» il vocione tonante di Serj spezza la mia contemplazione del paesaggio urbano; richiudo l'imposta e sospiro, tirandomi un po' su i jeans e risistemandomi la felpa prima di raggiungere i miei colleghi.
«Sono molto soddisfatto di come l'album si sta sviluppando» Rick, che è lì con noi in studio, inizia a parlare appena siamo tutti insieme. «Che ne dite se oggi, finalmente, registriamo "Roulette"? Credo sia giunto il momento, non si può rimandare in eterno e quella canzone è troppo bella per essere scartata ancora.»
«Dacci un'oretta circa per provarla insieme» dice Serj «poi, una volta sicuri della performance, Daron verrà a registrare almeno la traccia principale di chitarra.»
«Perfetto, a dopo allora» conclude il produttore, alzandosi «io intanto vado a prendere un caffè e qualcosa da sgranocchiare. Volete favorire?»
«No, grazie» una inattesa risposta all'unisono giunge alla domanda.
Ci riuniamo nella sala dove proviamo e, mentre Serj ed io prendiamo posto su delle sedie, Shavo e John preferiscono rimanere in piedi, appoggiati contro una delle pareti. Mi munisco di plettro e imbraccio una chitarra, la stessa chitarra classica con cui Nikki suonò tempo fa; la consapevolezza di ciò, in qualche modo, provoca lievi fremiti diffusi lungo le mie mani.
«Pronto?» mi domanda il cantante, osservandomi con aria un po' curiosa.
«Sono nato pronto, io» ridacchio per scaricare la tensione. «Tu?»
«Certamente.»
Dopo pochi attimi di esitazione mi concentro e inizio a strimpellare con dolcezza, Serj tossisce appena e poi comincia; mi aggrego a lui nella parte in cui cantiamo insieme, cioè nel ritornello, ma la voce mi esce più volte semi-strozzata e alla fine decido di rimanere in silenzio per questa prima prova.
«Daron, tutto okay?» il cantante mi si avvicina, un po' preoccupato, a fine brano.
«Sì, Serj, tutto okay, non preoccuparti... giusto un po' di stanchezza, passerà» replico con voce più inespressiva possibile, sperando di non essere smascherato in qualche modo.
«Uhm... tu non me la conti giusta» risponde il mio interlocutore, scrutandomi «ma per ora sei salvo perché abbiamo altro da fare. Su, riproviamo.»
La seconda e la terza prova vanno decisamente meglio, al che decidiamo che è giunto il momento di registrare e, toccando a me per primo, mi dirigo verso la sala di registrazione.
«Fino a ieri funzionava, non so cosa sia successo!»
«Su, calma e sangue freddo, troveremo la soluzione.»
«Che succede?» domando, affacciandomi nello spazio attiguo in cui vi sono tutte le consolle per il controllo dell'audio e per tremila altre funzioni: trovo un paio di tecnici dall'aria un po' disperata, in piedi, e Nikki seduta su una sedia da ufficio e apparentemente molto più placida.
«C'è qualcosa che non va, ma non credo ci sia un vero guasto» spiega la ragazza tranquillamente. «Simon, hai controllato se tutti i cavi sono collegati in maniera corretta?»
Il tecnico da lei nominato si precipita a controllare minuziosamente, poi all'improvviso proferisce un'esclamazione esultante.
«C'era un cavo inserito al posto sbagliato!»
«Bene, d'ora in poi un po' più di attenzione basterà. La prossima volta che mi fai prendere un infarto per una cosa simile ti mordo, eh!»
La ragazza è così disinvolta e professionale in veste di tecnico d'assistenza, ma nonostante l'importanza del suo compito non è superba... è affascinante, devo ammetterlo.
«Tutto risolto ora, vai pure a registrare» si rivolge a me, sorridendo in modo affabile; in quel momento noto che le ombre sotto i suoi occhi sono più scure di quanto ricordassi e percepisco lo sforzo fisico e mentale dietro quell'espressione facciale, ma mi limito a ricambiare quel gesto gentile prima di voltarmi e andare nella sala insonorizzata di fronte.
Una volta pronte le tracce necessarie, quella principale di chitarra e quella cantata di Serj, tocca di nuovo a me per completare la parte vocale. Il microfono nero di fronte a me, una vista usuale, improvvisamente mi mette in soggezione ed è per questo che esito per diversi minuti prima di dare l'okay per partire; una volta che la musica giunge nelle cuffie ogni cattiva sensazione si affievolisce... solo dopo aver finito mi rendo conto di aver cantato bene nonostante un piccolo nodo nella gola.
Ho un problema che non posso spiegare, non ho una ragione per cui avrebbe dovuto essere facile, non ho domande ma ho una scusa, manca la ragione per cui dovrei essere così confuso. So come mi sento quando ti sto vicino, non so come mi sento quando ti sto vicino.
È come se avessi appena cantato parlando di...
"Una bella canzone che parla di una bella ragazza."
...lei.

«Hey Shavo, ti spiace se ti faccio compagnia per un po'?» chiedo, vedendo il mio amico fumare.
«Ma figurati» replica lui con un sorriso, dandomi una lieve manata amichevole su una spalla.
È quasi mezzanotte di una giornata di fine aprile e siamo finalmente a casa dopo l'ennesima giornata sfiancante in studio. Serj e John sono già a letto e ronfano da almeno un'ora, probabilmente anche Nikki starà facendo lo stesso ma non vi è certezza... visto quanto è stata silenziosa e malinconica oggi, nessuno è andato a indagare per rispetto della sua privacy e della sua tranquillità.
Accendo con molta calma la mia stecca di erba, l'ultima prima di andare a dormire, e prendo un paio di tiri quasi meccanicamente prima di sospirare.
«Tutto okay?» domanda il bassista, osservandomi di sottecchi.
«Sì, almeno credo.»
«Non ne sei certo? Ad ogni modo, ultimamente sei strano un botto... cos'hai?»
Lo sapevo che me l'avrebbe chiesto... prendo un respiro profondo e un altro tiro mentre formulo mentalmente la risposta. «Nulla, è solo un periodo particolare... passerà, come tutto.»
Shavo non sembra affatto convinto, ma capisce che non ho intenzione di essere molto loquace e dunque lascia perdere l'argomento. «Speriamo sia così, allora... nel frattempo, qualunque sia il problema, ti raccomando di non cedere alla tua solita tendenza alle seghe mentali.» Facile a dirsi, purtroppo...
Dopo aver spento l'esiguo mozzicone sulla nuda ringhiera metallica il bassista mi augura la buonanotte e gli rispondo con appena un filo di voce; resto ancora per un po' imbambolato ad osservare la distesa di case e grattacieli di fronte a me prima di riscuotermi e rientrare, chiudendo accuratamente la finestra.
I miei passi sembrano perfino rumorosi nella casa silente, per cui sfilo le scarpe per fare meno rumore; arrivato alla mia stanza, appoggio sul pavimento le mie sneakers e poi mi accorgo che la porta della camera usata da Nikki è rimasta socchiusa e, preso dalla curiosità, decido di andare a dare un'occhiata.
La piccola abat-jour sul comodino è ancora accesa, segno che deve essersi addormentata così velocemente da non ricordarsene, e diffonde una luce aranciata soffusa e tenue. La ragazza sembra quasi scomparire nel piccolo cumulo di cuscini e sotto la coperta e il suo sonno è apparentemente pacifico. Mi avvicino in punta di piedi per osservarla: le ombre scure attorno agli occhi saltano subito all'occhio, seguite da alcune lievi tracce di trucco sbavato sulle guance magre, poi mi accorgo che sta dormendo abbracciata ad un cuscino lungo.
Credo che, oltre a sentirsi sola e a cercare di farsi compagnia con un oggetto inanimato, abbia anche pianto un poco, così silenziosamente che nessuno se n'è accorto, e questa consapevolezza mi provoca una piccola fitta nel petto.
Spengo la lampada e proprio in quell'attimo la ragazza si muove nel letto e a me si mozza il respiro, temendo di averla disturbata, ma subito torna immobile e il suo respiro rimane lieve e regolare. Dopo una rapida occhiata e qualche ragionamento breve decido di passare qualche ora qui per tenerle compagnia, per cui mi tolgo felpa e calzini, lasciandomi addosso la t-shirt nera e i pantaloni di tuta neri, e mi stendo con cautela al suo fianco, rivolto verso di lei. Nella semioscurità riesco ancora a distinguere i tratti del suo viso rilassato e, sentendo improvvisamente che il sonno non accenna ad arrivare, lascio il corso dei pensieri libero di fluire.
All'inizio Nikki rappresentava un "imprevisto" piombato dal nulla che mi inquietava alquanto perché in fondo si è tutti un po' abitudinari: lei era l'eccezione nella routine in un periodo che non era esattamente molto facile, perciò all'inizio il mio atteggiamento era spiritoso ma non particolarmente positivo o affettuoso.
Poi l'ho conosciuta. Ho scoperto che persona autentica lei è, nella sua sofferenza e nel suo essere, ho visto cosa lei nascondeva sotto quella corazza fatta di capelli blu, un piercing, due piccoli tatuaggi, stile rocker e un'attitudine da dura, ho visto le sue cicatrici e conosciuto parte del suo passato e il "muro" eretto da me è crollato miseramente.
So e non so, allo stesso tempo, come mi sento quando c'è lei perché non so cosa provo esattamente per lei, che mi ostino a definire "mia cara amica"... o forse lo so e non voglio ammetterlo e per paura di dare un nome a ciò che provo "scappo" da lei e anche da me stesso.
Temo di non avere speranze di qualche reciprocità di sentimento perché, diciamocelo, non sono bello né fisicamente né caratterialmente, sono soltanto un ridicolo fattone con un carattere difficilotto che soffre d'ansia e suona la chitarra in una band e forse non sono nemmeno pronto per una nuova relazione dopo le precedenti delusioni... in fondo temo anche che lei prima o poi ripartirà, sparirà così com'è apparsa e per questo ci rimarrei davvero troppo di merda perché mi sono affezionato a lei.
Tina doveva rimanere nel passato, nei ricordi dei primi anni con la band, quando suonavo in una band emergente e già adorata da molti fans, mi vestivo e truccavo in maniera super eccentrica e scopavo con tante ragazze e groupies che avrebbero dato tutto per farsi una fama e per passare una notte a letto con me e dunque mi sentivo anche figo; poteva anche essere brava e interessante a letto, ma ha finito solo per stancarmi perché era un'ochetta senza cervello. Ma, chissà come, è stato sempre per ragazze come lei che ho sofferto perché mi sono innamorato dei bei visi e dei bei corpi e l'aridità interiore che nascondevano l'ho scoperta tardi, a volte anche grazie ai loro tradimenti che hanno finito per ferirmi anche se cercavo di non darlo a vedere.
Nikki unisce bellezza esteriore ed interiore e mi piace, ma se finissi per rovinarla in qualche modo? Se soffrisse per colpa mia? E se meritasse qualcuno migliore di me?
No, è troppo per me, non posso averla... anche se vorrei.
Allungo una mano per sfiorarle il viso più delicatamente possibile, con il cuore che batte un po' veloce, e appena i miei polpastrelli toccano la sua pelle lei sospira profondamente, come se fosse cosciente di ciò che succede, poi abbandona docilmente la testa contro il palmo... ora sono costretto a rimanere qui. Dio, che devo fare...

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Capitolo 31
*** Exploding ***


Salve!
Non so di nuovo quand'è che potrò aggiornare la prossima volta e, vi giuro, la voglia di aggiornare per vedere le vostre reazioni è sempre tantissima... ma ho deciso di postare di nuovo, anche se da dopo questo capitolo ne restano soltanto due già pronti e poi ci sarà da attendere un poco :c
Unica anticipazione: siete preparati psicologicamente? Non vi dirò perché, l'importante è che abbiate risposto sì, perché servirà xD
Ringrazio tutti come sempre, sia lettori che recensori, e per questo capitolo, pure un po' più lungo del solito, aspetto con trepidazione i vostri pareri, e mi auspico che siano lunghi e ricchi :'D
Buona lettura <3




 

-Shavo-

Si avvicina la prima ora della notte: Morfeo ancora non si è deciso a venire a farmi visita, per cui continuo a rigirarmi nel letto e a pensare nonostante la stanchezza. Detesto quando questo succede, davvero.
Dopo ancora qualche minuto di inquietudine mi alzo, esasperato e intenzionato a scroccare a Daron un po' di erba per tentare di rilassarmi abbastanza da addormentarmi: una volta nel corridoio, però, noto che la porta della sua camera è socchiusa e le sue scarpe sono lì vicino all'ingresso. Do un'occhiata cauta all'interno e constato l'assenza del ragazzo, poi all'uscita mi rendo conto che anche la porta della stanza che è temporaneamente l'alloggio di Nikki non è chiusa come al solito; sbircio dallo spiraglio e, oltre all'esile forma del corpo di lei sotto la coperta, distinguo un'altra figura distesa al lato.
Daron è lì con Nikki.
All'apparenza le loro interazioni si sono ridotte alquanto e in maniera graduale almeno dalla fine di gennaio in poi, forse la ragazza sperava che mettere un po' di distanza fra lei e il chitarrista potesse essere un rimedio per i sentimenti da lei maturati verso di lui... ma se fosse accaduto lo stesso anche a lui? Daron non è stato loquace nella piccola chiacchierata di un'ora fa circa, ma ormai da un po' vedo stranezze nel suo comportamento che mi danno da pensare... ricordo ancora, per esempio, che espressione assunse quando gli fu riferito che Nikki era in giro con Bree e Paul e, ancora di più, che faccia aveva quando tornò dalla passeggiata che decise di fare subito dopo aver avuto quella notizia.
Ho il presentimento che anche lui si sia innamorato di lei, ce l'ho fin dalla fine delle feste natalizie, quando l'assenza della ragazza, perdurata fino alla partenza per il tour, pareva rendere il mio amico più malinconico e pensoso del solito, ma, mi ci gioco la testa, sono quasi certo che le sue mille seghe mentali lo spingano a non voler ammettere né fare alcunché al riguardo. Cielo, che situazione... se dovesse avvenire prima o poi una "esplosione" non vorrei dover assistere invero perché non saprei nemmeno cosa aspettarmi.
Sospiro profondamente, poi torno nella mia camera e mi stendo sul letto, rassegnato.

-Nikki-

Dopo le lunghe ore di incoscienza del sonno percepisco l'arrivo del mattino, ma mi rifiuto di aprire gli occhi. Non so come sia possibile, ma la qualità del sonno di questa notte appena trascorsa è stata di gran lunga migliore della solita e non so come questo sia potuto accadere; ad un certo punto mi è parso di non essere più sola nel mio letto e di percepire il calore di un corpo umano, ma con tutta probabilità sono state cose provate nei sogni di stanotte che ormai non ricordo nemmeno più... dopo qualche minuto, sentendo i primi raggi di sole arrivare fin sul letto, mi rassegno al risveglio e finalmente sollevo le palpebre ancora un poco pesanti.
Sono sola, come previsto, ma c'è qualcosa che non mi torna: ricordavo di non essere nemmeno riuscita a spegnere l'abat-jour prima di addormentarmi, stanca e con le lacrime agli occhi come spesso mi succede di recente, ma eccola lì spenta... forse uno dei ragazzi si è accorto della cosa ed è venuto a farmi questa cortesia. Improvvisamente sento un profumo familiare e un po' di pelle d'oca affiora sulle mie braccia; prendo cautamente uno dei cuscini vicino ai due o tre che di solito uso, lo annuso e l'odore di prima torna inaspettatamente nelle mie narici... credo che Daron sia stato qui stanotte a tenermi compagnia mentre dormivo. Il pensiero mi fa inizialmente sorridere, poi le lacrime mi riempiono di nuovo gli occhi: probabilmente avrà provato pena vedendo qualche traccia di trucco sbavato sulle mie guance e sarà rimasto solo per quello.
Settimane di distanza fisica e di interazioni diradate non hanno sortito l'effetto desiderato, i miei sentimenti sono riemersi più potenti di prima, ho fallito nel mio tentativo di soffocarli... sono soltanto una stupida che si è innamorata di un ragazzo che non può avere. Perché, perché a me?!
Dopo alcuni minuti di pianto silenzioso mi riscuoto, mi asciugo le guance con un fazzoletto per rimuovere anche le piccole strisce nere e mi esercito a dipingermi in faccia il sorriso realistico e rilassato che indosso ogni giorno come una maschera.

«Sei sicura?» chiede Serj, sorseggiando il suo caffè.
«Sì, se non è estremamente necessaria la mia presenza in studio preferisco rimanere a casa» rispondo, tranquilla «così posso anche dare una ripulita per tenermi occupata.»
«Ma non preoccuparti, possiamo fare anche noi, ci sentiamo in colpa al pensiero che in nostra assenza tu ti metta a fare la donna delle pulizie al posto nostro» protesta lievemente Shavo, ma scuoto la testa e lui si zittisce.
«Farò come ho già pensato e deciso, voi non preoccupatevi.»
«Come preferisci» dice John, accomodante «e grazie mille per tutto ciò che fai per noi.»
Mi si inumidiscono un po' gli occhi ma non lo do a vedere. «Non c'è di che, ragazzi.»
Giusto in quel momento passa il postino, lo capisco dal trillo del campanello sulla sua bici, e poco dopo esco a ritirare la posta dalla cassetta; una volta rientrata mi fermo per controllare di cosa si tratti e, improvvisamente, una busta decisamente più piccola scivola dalla pila e atterra sul pavimento senza quasi far rumore. La raccolgo immediatamente e salta all'occhio il candore della busta, su cui apparentemente non vi è alcun riferimento ad un possibile mittente; la giro e vi trovo scritto il mio nome in una calligrafia alquanto impersonale.
Chi mai può avermi inviato qualcosa? E come fa a sapere che risiedo dai ragazzi di recente?
Sento l'ansia aumentare percettibilmente assieme alla velocità del mio battito cardiaco mentre apro la busta con mani malferme, finendo per stracciarla alquanto, e mi ritrovo fra le mani un biglietto.
"So dove sei, troia. I tuoi amichetti non mi fermeranno. Verrò presto a prenderti e vendicherò la vergogna che hai gettato sulla tua famiglia e sulla tua città. J."
Mi costringo a mantenere l'equilibrio a dispetto delle gambe improvvisamente tremanti, poi infilo la lettera in una tasca e torno in cucina a consegnare le buste a Serj, cercando di non far trasparire nulla di sospetto... per ora non dirò nulla al cantante e ai suoi colleghi, hanno già abbastanza da fare e non voglio dare loro noie, devo cavarmela da sola in qualche modo.
Quando i ragazzi vanno via li saluto sulla soglia con un sorriso e un abbraccio per ognuno di loro e, una volta di nuovo dentro, mi barrico girando la chiave nella serratura, chiudendo ogni singola finestra al primo piano e tirando anche le tende dove ci sono, poi finalmente mi sento abbastanza sicura e mi butto nelle pulizie a capofitto e con alacrità.
Qualche ora più tardi, mentre sono seduta sul divano per riprendermi da un capogiro che mi ha assalito alla fine del tour de force che ho appena fatto, sento squillare il mio cellulare lì vicino; lo afferro e rispondo senza neanche controllare numero o nome sul display.
«Pronto?»
«Nikki, sono Shavo!»
«Shavo! Dimmi tutto.»
«Oggi torniamo a casa dallo studio nel pomeriggio e ti meriti doppio ringraziamento.»
«Suvvia, perché mai?»
«Perché ci siamo appena ricordati che stasera verranno da noi Sako, Beno e Rick e ci hai salvato le chiappe facendo le pulizie visto che ce ne siamo dimenticati.»
«Oh! Beh, fortuna che è capitata questa coincidenza allora...»
«Tu stai bene, è tutto okay lì a casa?»
«Certo, tutto okay.» Quanto mi costa dirlo e cercare di mantenermi naturale...
«Bene, a più tardi allora! Ti salutano tutti qui in studio, specialmente Daron.»
Sento il chitarrista protestare in qualche modo e ridacchio appena. «Grazie mille, ricambia i saluti da parte mia. A dopo!»
Una volta chiusa la chiamata mi stendo sul divano e sospiro, pensando alla lunga serata che mi attende.

«...dunque, ti stai trovando bene?»
La sera è tiepida e, mentre alcuni sono dentro, io sono sul terrazzino a chiacchierare con Rick e Sako, sorseggiando un bicchiere di Sprite.
«Sì, grazie» rispondo all'indirizzo del produttore, con un sorriso.
«Meglio così. Di recente qualcuno dei ragazzi ha espresso preoccupazioni riguardo alla tua salute e mi sono preoccupato un po' anche io, è qualcosa di serio?»
«No, nulla di grave... è solo un periodo in cui spesso sono stanca e tornano alla mente brutti pensieri, ma finora me la sono cavata piuttosto bene, quindi non c'è bisogno di preoccuparsi per me.»
«Mi raccomando, Gray, non fare scherzi!» interviene Sako, chiamandomi per cognome come talvolta fa per prendermi in giro.
«Tranquillo, Karaian, non ne farò» replico, scoppiando poi in una sonora risata quando vedo l'espressione da lui assunta.
In quel momento si avvicina a noi Shavo con il resto della comitiva, con l'aria di chi ha qualcosa da dire.
«Sembra che stiate avendo una conversazione piacevole» esordisce sorridendo «possiamo aggregarci?»
«E c'è bisogno di chiederlo?» è la risposta di Rick; un attimo e poi ci sistemiamo in una sorta di cerchio stretto, rimanendo in piedi.
Dopo poco i discorsi virano su argomenti come la politica e la mia attenzione diminuisce, non avendo nulla da dire al riguardo per carenza di cultura, così mi distraggo a fissare il cielo scuro, troppo inquinato dalle luci per poter vedere più di qualche misera stella qua e là. All'improvviso sento qualcosa sfiorarmi una mano che penzola nel vuoto e il contatto mi fa trasalire appena; quando mi volto per capire qualcosa di ciò che è appena accaduto mi trovo ad incrociare i grandi occhi scuri di Daron che, colto in flagrante osservazione attenta, abbassa un attimo la testa e poi la rialza e mi sorride appena... subito una sensazione di calore mi assale, facendosi sentire sulle guance e all'altezza del petto, ma mi sforzo di ricambiare il gesto.
«Stai bene?» mi domanda, con una nota di preoccupazione nella voce.
«Sì, grazie» replico quasi senza pensarci, sperando di apparire convincente. «Tu?»
«Anche.»
Torniamo a concentrarci sui nostri discorsi con gli altri e per un bel po' ci rivolgiamo soltanto frequenti sguardi furtivi... beh, va sicuramente meglio di quando sono trascorsi giorni senza che quasi ci rivolgessimo la parola.

È notte. Sono in una stanza simile alla mia, con una lampada accesa che illumina soffusamente e delicatamente l'ambiente con una calda luce quasi rossastra, e sono distesa sul mio letto con indosso soltanto biancheria intima... ma non sono da sola. Improvvisamente la figura piuttosto piccola ed esile di un uomo compare sul materasso vicino a me. La poca luminosità mi permette di distinguere un viso familiare: occhi castani e grandi, sopracciglia spesse e regolari, naso diritto, labbra sottili, capelli scuri ribelli che gli sfiorano la base del collo...
Daron.
Cosa ci fa qui?!
Un subitaneo moto interiore di vergogna per le mie condizioni mi spinge a coprirmi come posso e fa bruciare il mio viso paonazzo, ma le braccia non possono nascondere nulla e lui, osservando i miei sforzi, si lascia sfuggire una piccola risata bassa e più profonda del solito prima di prendermi gentilmente per i polsi e stendermi sotto di lui. Il desiderio che leggo nei suoi occhi fa correre un brivido lungo la mia schiena, e quando mi bacia con foga non oppongo alcuna resistenza.
Le sue mani sottili e callose esplorano avidamente il mio corpo e rimuovono i pochi ostacoli rimasti fra i nostri corpi; sento il suo petto premere contro il mio e un'espressione intensa appare sul suo viso, ma di lì a poco risprofondo nel buio totale prima di poter fare qualunque cosa.
Mi risveglio quasi di colpo e getto via le coperte, assalita da un caldo insopportabile; i miei occhi scrutano la semioscurità affannosamente prima di realizzare che è stato soltanto un sogno... un sogno così verosimile da scombussolarmi come se il suo contenuto fosse un fatto realmente avvenuto.
L'iniziale mix di sorpresa, piacere e persino eccitazione degrada in una malinconia venata di desiderio nel giro di pochi minuti: tutto ciò che la mia mente ha elaborato è bello ma dannatamente irreale e pensare che forse non avverrà mai davvero mi fa male, provoca piccole fitte al cuore come spilli infilzati in un cuscinetto.
Il mio cervello si è definitivamente ammutinato contro di me, grandioso.

-Daron-

Siamo arrivati a Tucson da cinque minuti e già ho proferito un numero imprecisato di maledizioni e parolacce: il dannato clima tropicale dell'Arizona mi sta facendo sudare più per l'umidità che per la reale temperatura e mi sento osservato, quasi passato ai raggi X.
Sbircio per l'ennesima volta in direzione di Nikki, che è più avanti e intenta a conversare con Serj su chissà quale argomento. Da dopo quella notte in cui le ho tenuto compagnia a letto fin quasi all'alba e in cui ho capito cosa provo per lei, non riesco a starle vicino... sento il desiderio di stringerla a me con forza, di baciarla fino a non farla respirare, di rivelarle ciò che mi brucia dentro, ma non posso, non ce la faccio...
All'improvviso mi rendo conto di essere rimasto un po' indietro rispetto ai miei colleghi e mi fermo e, proprio in quel momento, da un angolo nascosto spunta una figura femminile familiare...
Tina.
Una lampadina si accende repentinamente nella mia testa, per cui non arretro né cambio direzione e la fisso mentre mi si avvicina.
«Ciao caro» esordisce, con un sorriso palesemente finto.
«Ciao Tina» rispondo con tono di voce piatto, poi la fermo prima che possa parlare di nuovo «dopo la fine dell'evento aspettami sul retro, dobbiamo parlare.»
«Oh, va bene!» si illumina in viso.
«No, non accadrà nulla di ciò che pensi» mi affretto a smontare il suo entusiasmo, cosa che mi dà un sottile piacere «e avrò da dirti cose serie. A dopo» concludo, piantandola in asso per raggiungere il resto del gruppo.

A concerto finito, fradicio come non mai, mi accascio su una sedia nel backstage e mi asciugo, poi resto per alcuni minuti come incantato a fissare le persone che si muovono intorno a me e ad ascoltare i rumori della folla sotto il palco che ora sta mostrando il suo apprezzamento alla band che è succeduta a noi.
«Hey, tutto okay?» dopo un tempo indefinito Serj mi scuote dal mio torpore, posandomi una mano su una spalla.
«Sì, certo, sono solo un po' affaticato e sudato. Odio questo clima così caldo.»
«Io e gli altri stiamo tornando al tour bus così possiamo lavarci e sistemarci, Shavo e John hanno anche intenzione di andare a fare un giro in città. Tu che vuoi fare?»
«Vengo certamente per farmi una doccia, ma non credo che vi accompagnerò a fare i turisti, non sono in vena.»
«Va bene, come preferisci.»
Una volta lì, per fortuna, capita a me il privilegio di essere il primo ad usare il bagno: la doccia è un sollievo immane dall'afa e dal sudore ma cerco di non impiegarci troppo per non far aspettare a lungo gli altri e perché ho fretta.
Mi allontano dal bus con molta circospezione, favorito dalla notte già arrivata, vestito con banale t-shirt nera, jeans e sneakers e così nervoso da percepire una sorta di elettricità nel mio corpo; giunto a destinazione noto che non c'è nessuno ad attendermi.
Dove diamine si è cacciata Tina?
Dopo questo tiro mancino per me è ufficialmente come morta, questo è sicuro.
Un fruscio nei dintorni mi distrae, poi due braccia si serrano al mio collo da dietro e sobbalzo violentemente, liberandomi dalla presa e voltandomi a fronteggiare il possessore di quegli arti.
«Caro, non te l'aspettavi?» la voce acuta di Tina raggiunge le mie orecchie e ha l'effetto di un'unghia che striscia su una lavagna.
«Mi hai fatto prendere un colpo, idiota!» ribatto, irritato. «Non c'era bisogno di architettare questo scherzetto. Pensavo di essere stato chiaro prima, questo non è l'inizio di una nuova serie di incontri segreti per fare sesso.»
«E cosa significa questo appuntamento, allora?» domanda lei di ritorno, palesemente infastidita, incrociando le braccia.
«Significa quel che ti ho detto oggi pomeriggio: è un incontro per parlare. Dobbiamo parlare.»
La ragazza sta erigendo un muro fatto di indifferenza ed ostinazione, questo non promette bene. «E di cosa? Io non ho niente da dirti.»
Prendo un respiro profondo per resistere all'impulso di liquidarla con male parole e gestacci. «Sono io ad avere qualcosa da dirti, invece.»
Lei pare improvvisamente incuriosita, ma la sua espressione rimane ugualmente stolida. «Okay... dici.»
«Ebbene, voglio dirti che non voglio più vederti... intendo mai più, intendo dire che devi sparire per sempre.»
«Cosa?» si indigna, pur impallidendo allo stesso tempo.
«Visto che queste parole sono per te aria fritta se dette dai miei amici, ho pensato che forse avresti ascoltato se te le avessi dette io» proseguo, stranamente calmo. «Se davvero ci tieni a me come hai sempre detto, fai come ti chiedo.»
«Qual è il problema?» Tina inizia a puntare i piedi, classica bamboccia viziata e capricciosa. «Perché ti fai mettere i piedi in testa dai tuoi colleghi che mi odiano? Ti hanno chiesto loro di dirmi questo, ne sono sicura!»
«Ma quali piedi in testa, è un'opinione condivisa» replico, ironico. «Nessuno mi ha scelto come piccione viaggiatore per questo messaggio.»
«Allora chi c'entra in questo?» la ragazza prosegue, in tono lagnoso. «C'entra forse Nikki, quella sciacquetta sfigata e con i capelli orrendi che era con voi nel backstage quel giorno? Ma sì, è chiaro che c'entra lei, dev'essere diventata la vostra nuova groupie!»
Una repentina ondata di rabbia mi assale al sentirla parlare di Nikki in quei termini. «No, Nikki non è la nostra nuova groupie, è nel team tecnico. Ripeto, sono io a non volerti più fra i piedi.»
«Sei forse innamorato di lei, cretino?»
«Può darsi, ma non sono affari tuoi!»
Di colpo tacciamo entrambi, io ancora furente, lei assorta in chissà quale pensiero, poi improvvisamente inizia ad avanzare verso di me, ancheggiando.
«Un tempo stavamo benissimo insieme, c'era un'alchimia innegabile» comincia, con tono suadente, sempre più vicina mentre io resto immobile «a letto facevamo faville, soprattutto appena dopo ogni volta che ritornavi single. Possiamo ancora recuperare tutto se lo vuoi, devi solo dirmelo...»
«Non funzionano le tue lusinghe, Tina Carter» proferisco sottovoce, gelido, quando lei si ferma ad una trentina di centimetri di distanza da me. «Il passato è passato, non tornerà mai più. Non provo più assolutamente nulla per te, voglio solo che tu sparisca dalla mia vita.»
«Smettila di pensare troppo, lasciati andare!» urla di colpo la ragazza prima di fiondarsi contro di me; prima di poter parlare sento la sua bocca impiastricciata di lipgloss premere sulla mia e la sua lingua che tenta di farsi strada per raggiungere la mia, ma dopo l'iniziale sorpresa respingo con forza il suo assalto, mi stacco e la spingo via da me con una tale energia che quasi cade. In quel momento scorgo qualcosa in movimento con la coda dell'occhio, sposto velocemente lo sguardo e metto a fuoco Nikki e la sua aria ferita per pochi secondi prima che lei si dia ad una rapida fuga... oh no, che guaio...
«Finiamola qui. Non osare ricomparire davanti ai miei occhi o sei finita, è una promessa. A mai più rivederci!» concludo, ripulendomi il viso dal glitter appiccicoso lasciatomi da lei, poi mi volto e inizio a correre più velocemente possibile.
«C'è qualcuno sul bus?» chiedo all'autista una volta giunto a destinazione, trafelato.
«I ragazzi sono andati via, c'è soltanto una ragazza che-»
«Okay, grazie» rispondo, poi prendo l'uomo per un braccio e lo porto fuori dal bus con una certa energia «vai a fare anche tu una passeggiata, per favore, ho bisogno di privacy.»
«Ma...» il tipo non fa in tempo a protestare che ormai io sono salito e gli chiudo la porta in faccia, bloccandola subito dopo; scorgo la sua faccia preoccupata dall'altra parte del vetro e cerco di rassicurarlo con un gesto, poi mi allontano.
Lo spazio in cui mi trovo è apparentemente silenzioso, ma quasi subito capto dei suoni, rumore di singhiozzi soffocati e di naso chiuso.
«Nikki?»
«Vai via!» una voce strozzata giunge da un punto imprecisato, ma di certo non demordo così facilmente.
«No, non vado via, parliamo piuttosto!» cerco di essere conciliante, ma ciò che di lì a poco accade è davvero imprevisto: la ragazza esce come una furia dal bagno e mi raggiunge a grandi passi, più incazzata che mai, non so se temerla anche solo un poco oppure no.
«Va bene, parliamo!» ruggisce, con gli occhi rossi, il naso paonazzo e le guance ancora bagnate e sporche di kajal nero colato. «Di cosa dobbiamo parlare? Di quanto tu sia uno stronzo incoerente? Prima dici che non vuoi più avere a che fare con quell'oca di merda e poi invece lasci che ti baci con quella bocca laida dopo che ti ha detto due paroline dolci per persuaderti!» mi dà improvvisamente uno spintone sul petto, barcollo e poi arretro di un passo. «Ma sì, prima giochi con un'altra ragazza, due coccole di qua, due bacetti di là, cosa vuoi che siano?, poi te la fai con altre come se niente fosse!»
«Non me la stavo spassando con Tina, ci stavo parlando seriamente, lei ha avuto la balzana idea di baciarmi ed è successo tutto così velocemente che non ho potuto evitare e ci è voluto un po' per reagire, scusa se non ho i riflessi di Superman!» rispondo, un tantino piccato, ma lei pare non sentirmi e prosegue nella sua furia.
«Ti credevo diverso, pensavo fossi un ragazzo maturo nonostante tutto, e invece ecco che io, povera fessa, devo ricredermi per l'ennesima volta, come sempre nella mia miserabile vita!»
Le sue rabbiose rimostranze proseguono ancora per un po', a tratti confuse e quasi incomprensibili, poi però decido che è giunto il momento di fermare il suo fiume in piena.
«Ora basta! Time out!» alzo un poco il tono di voce e le blocco i polsi mentre le sue mani premono ancora sul mio torace, lei si divincola per qualche istante ma poi rinuncia e si ferma, ansante, gli occhi ardenti e le mascelle serrate e contratte. «Ho ordinato a Tina di sparire, ecco perché l'ho incontrata. Contenta?»
«Non mi fa piacere il contentino, non sono un fottuto cane» Nikki risponde a denti stretti.
«Ma poi, perché reagire così? Qual è il senso?» riprendo, fingendo di non sapere qualcosa per vedere la possibile reazione. «Capisco che Tina ti sta proprio sul cazzo, ma lei per me non è niente e, oltretutto, io e te siamo amici...»
«Ed è qui che ti sbagli! Sbagli su tutta la linea! Gli amici di sesso opposto non si baciano e non condividono il letto come abbiamo fatto, e inoltre reagisco così perché mi importa, mi riguarda!»
«Mi sbaglio? E perché, allora? Spiegami perché allora ti senti così punta sul vivo, su!» mi concedo di riassumere il tono di voce usato in precedenza per frenarla.
«Perché ti amo, coglione!» Nikki urla infine; le lacrime tornano a riempirle gli occhi e a scorrere senza freno mentre lei si divincola dalla mia presa e si allontana a testa bassa, scossa dai singulti.
Ho... ho capito bene?
Mi ama?
E io in tutto questo tempo ho ignorato la cosa e le ho fatto del male...
Ciò che mi ero ripromesso di non farle.
Sono davvero un gran coglione, ha ragione.
«Nikki, aspetta!» proferisco, poi muovo dei passi in avanti, l'acchiappo e quasi le faccio fare una piroetta per far sì che mi fronteggi di nuovo; lei fa come per spingermi via di nuovo, ma torno a bloccarle i polsi come prima.
«Cosa vuoi, ora? Prenderti gioco della scema che ti sta davanti? Non ce n'è bisogno, l'ho capito da sola quanto sono patetica, è meglio che mi dilegui in questo istante» mi apostrofa, smozzicando alcune parole per via del pianto, senza guardarmi.
«Lasciami rimediare, ti prego» il mio tono di voce si fa supplichevole, ma lei non mi dà retta.
«Non voglio la tua pietà» risponde, amara «non ho bisogno della pietà di qualcuno, voglio solo sparire...»
Le sue rimostranze sommesse proseguono e decido che è ora di fare qualcosa di concreto: spingo la ragazza contro una parete del bus, certo che nessuno vedrà alcunché dall'esterno grazie ai finestrini oscurati, poi le sollevo la testa con una mano.
«Nikki» pronuncio il suo nome con calma decisa «guardami.»
Lei obbedisce quasi di malavoglia, ma una volta che i suoi occhi incrociano i miei pare quasi ipnotizzata e la sua bocca si schiude come se volesse parlare...
Questo è il momento di agire.
Senza preavviso la bacio con foga, come mai ho fatto prima, e la sua risposta arriva dopo qualche secondo di iniziale sorpresa con uguale forza; non oppone resistenza alla mia lingua che si insinua fra le sue labbra, anzi, replica il gesto subito dopo e mi sento assalire da un capogiro causato da quel meraviglioso contatto.
Dio, ne voglio ancora...

-Nikki-

Qualunque rabbia o risentimento io abbia provato nei confronti del chitarrista negli ultimi dieci minuti è sparito, la parte irrazionale e sentimentale di me ha preso le redini... non c'è ritorno da tutto questo.
I baci di Daron sono febbrili, quasi prepotenti, ma mi piacciono da morire e sento la necessità di ricambiarli in ogni fibra del mio corpo; un improvviso bisogno di stringerlo a me più forte possibile mi assale e allaccio le braccia al suo collo, affondando una mano nei suoi capelli alla ricerca di un appiglio.
Mi trovo costretta a staccarmi per qualche attimo nel tentativo di recuperare un po' di fiato ed aria e lui ne approfitta per iniziare a rimuovere gli ostacoli fra me e lui, cominciando dalle rispettive t-shirt che vanno a finire chissà dove, poi si riappropria delle mie labbra con fame ancora per qualche secondo prima di spostare la sua bocca bollente sul mio collo, disegnando lunghe scie di saliva e lasciando morsi. Il piacere sta annebbiando sempre più la mia mente e, nel tentativo di mantenere ancora un barlume di lucidità, porto una delle mani sul suo petto; sento il battito forte e rapido del suo cuore dietro la pelle morbida e i muscoli tesi e accenno delle carezze, al che Daron vacilla per alcuni istanti e geme contro la mia clavicola destra prima di riprendere da dove ha lasciato. I miei shorts vanno a raggiungere le magliette sul pavimento e l'improvvisa consapevolezza di essere rimasta con indosso soltanto l'intimo mi provoca un piccolo ma inutile moto di vergogna dovuto alla mia timidezza e alla mia poca autostima, poi serro le gambe attorno ai fianchi del ragazzo quando lui mi solleva un po'.
Nelle mie rare fantasie immaginavo di sentirmi bene in un momento del genere, ma non così tanto, visto il mio passato: sarà diverso forse perché sto acconsentendo, perché lo voglio anch'io e non solo lui, perché non c'è traccia di violenza ma solo passione e sentimento.
Nell'attimo in cui cadono a terra i jeans del ragazzo con cintura compresa e il mio reggiseno mi sento improvvisamente vulnerabile; la pressione del suo petto caldo e tonico sui miei capezzoli così duri da essere dolenti è per me un mix fra un tormento e un sollievo.
«Ti prego...» mugolo fra i denti, quasi incapace di sopportare ulteriormente.
«Sssh...» sussurra lui ad un mio orecchio, tracciandone il contorno con un sinuoso movimento di lingua. L'ultimo mio indumento viene via e una sua mano si fa spazio fra le mie cosce con esitazione percettibile; appena il contatto fra le sue dita lunghe e sottili e il mio intimo avviene mi sfugge un forte gemito e gli rivolgo uno sguardo implorante prima di tornare a posare i piedi per terra.
L'ultimo ostacolo scompare in quel momento e il chitarrista compare finalmente in tutta la sua nudità, incredibilmente bello; mi soffermo a guardarlo mentre strappa con i denti un quadratino argentato e fa scivolare un preservativo sul suo membro con un gesto di consumata esperienza. Oh Dio, ora arriva la parte seria...
Un'altra volta vengo sollevata e poggiata contro la parete del bus mentre il mio corpo inizia a tremare un poco per la tensione, ma stare pelle contro pelle mi infonde gradualmente benessere.
«Sei sicura?» la domanda di Daron arriva all'improvviso, in un tono gutturale e inusuale, mentre i nostri busti tornano ad aderire e il suo naso si poggia contro il mio.
«Sì.»
Dopo un ultimo sospiro lo sento affondare in me e gemiamo nello stesso momento.
Presto il ritmo si fa sostenuto, una sensazione di forte calore si allarga a macchia d'olio sulla mia pelle e il mio sangue si fa bollente. Nessuno dei prodotti della mia immaginazione è riuscito mai ad avvicinarsi a ciò che sto sperimentando adesso e devo ammettere che, dannazione, il ragazzo ci sa fare...
Più avanti, dopo un lasso di tempo non quantificabile, l'incapacità di contenere ulteriormente ciò che sto provando dentro di me si manifesta con l'aumento di volume della mia voce, cosa che pare non dispiacere al chitarrista che, anzi, rinforza le spinte e mi dedica un sorrisino malizioso prima di riprendere a segnare il mio collo e le mie spalle con baci e morsi.
Sono così presa dalle sensazioni e dal momento da non riuscire a mettere in fila delle lettere per formare una parola qualunque, fosse anche il nome di lui; ad un certo punto percepisco che ormai non manca molto al culmine e chiudo gli occhi, preparandomi. Le labbra del ragazzo si impossessano delle mie e diventa di colpo difficile respirare, tutti i miei mugolii muoiono sul nascere.
Le spinte continuano a toccare il punto giusto in me e per questo il tremito del mio corpo aumenta, strizzo gli occhi così forte da vedere migliaia di minuscole luci... finalmente l'agognato orgasmo arriva e mi sento come travolta da una forte onda e do fondo alla forza delle mie corde vocali e, mentre il tutto si prolunga ancora un poco prima di iniziare a scemare, il ritmo rallenta di botto fino a bloccarsi e un meraviglioso verso di piacere dai toni quasi selvaggi viene fuori dalla bocca di Daron; dopo essere uscito con cautela da me le gambe gli cedono e finisce prima in ginocchio e poi disteso a terra, con me ancora aggrappata al suo corpo. Per diverso tempo ansimiamo all'unisono, sfiniti; nel frattempo continuo ad apprezzare il contatto con la sua pelle nuda, ora caldissima e sudata.
«Nikki...» dopo diverso finalmente parla, ancora un poco affaticato, e subito drizzo la testa, attenta.
«Dimmi.»
«Avevi ragione, sono un coglione.»
«E perché mai?»
Una piccola pausa di silenzio e un respiro. «Perché ti amo anche io... da un po', solo che le mie insicurezze mi hanno spinto a comportarmi da coglione.»
Mi sollevo e sorreggo sulle braccia e lo guardo, incurante della mia nudità e alquanto incredula, con gli occhi sgranati. «Non lo stai dicendo solo perché non vuoi rovinare il momento che abbiamo appena condiviso, vero?»
«No, lo sto dicendo perché è vero» risponde lui placidamente, poi allunga un braccio e mi accarezza una guancia.
«Voglio dire... s-sei sicuro? Ami una... come me?» balbetto, ora a mia volta preda delle mie paranoie come un animale in pasto ai piranha.
«Non hai nulla che non va, cosina. Sei bella, intelligente, capace, spiritosa, adorabile. Come ti dissi dopo averti conosciuta, sei una bestiolina di quel tipo che adoro. Sì, sono sicuro di amarti, ora lo sono davvero.»
Sentir menzionare i miei vecchi soprannomi che non venivano usati ormai da tempo mi fa sorridere e dissipa qualunque cattiva sensazione io stia provando; una sensazione piacevole che credevo dimenticata mi riempie il petto e per un attimo le volte in cui il mio cuore si è spezzato finiscono obliate.
«I-io...» la gioia mi riempie gli occhi di lacrime e di colpo diventa difficile parlare; mi riavvicino a lui e finalmente mi sento libera di baciarlo e felice di sentirlo ricambiare quel contatto così intimo e delizioso.
Una volta calma dopo la tempesta di emozioni, la consapevolezza del tempo trascorso e del fatto che l'autista sia bloccato fuori insieme agli altri riemerge nella mia mente. «Daron, ma... quanto tempo è passato?»
«Un po', credo. Perché?»
«C'è l'autista bloccato fuori e probabilmente ci sono anche gli altri con lui!»
Il chitarrista si sbatte una mano in fronte. «Cazzo, è vero... allora forza, rivestiamoci e poniamo rimedio a questo.»

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Capitolo 32
*** About time! ***


Salve! Finalmente posso riaggiornare x.x
Penultimo capitolo pronto, fortunatamente il prossimo è molto lungo, quindi si riuscirà ad ingannare l'attesa mentre scrivo il nuovo capitolo :3
Come sempre ringrazio tutti, lettori e recensori <3
Buona lettura!




 

-Nikki-

Riprendiamo i nostri vestiti più rapidamente possibile e, dopo esserci sistemati un po' i capelli per riacquistare un aspetto più normale che non suggerisca ciò che è avvenuto, ci avviamo insieme verso la porta del bus. Dal finestrino intravediamo, come previsto, le facce preoccupate dell'autista precedentemente sbattuto fuori dal tour bus e dei tre ragazzi che erano andati a passare la loro serata altrove prima di essere, con tutta probabilità, chiamati indietro dal pover'uomo sconvolto e spaventato da ciò a cui ha solo in minima parte assistito.
Con un pulsante la porta viene sbloccata e si riapre e una folata di vento caldo ci investe.
«Buonasera, gente» esordisce Daron, scendendo i gradini e accendendosi una stecca di erba con molta grazia. «State bene?»
«Cosa diamine è successo, nano?» la voce di Serj ha una nota di lieve pericolosità.
«Oh, nulla, c'era bisogno di un po' di privacy e ho mandato il nostro amico autista a farsi un giro nel frattempo» replica l'altro, tranquillo.
«Direi più sfrattato e spintonato!» protesta debolmente la persona nominata, ma poi si zittisce.
«E ti sembra una buona ragione per sbattere fuori questo poverino e rimanere chiuso nel tour bus per tutto questo tempo?» continua Shavo, accigliato. «Cosa ne è venuto da questo, poi?»
«Oh, beh, si sono sistemate un po' di cose.»
In quel momento scendo anche io dalla scaletta con passi lievi e mi avvicino a loro; il bassista guarda prima me, poi il suo collega, poi di nuovo me e un'espressione interrogativa appare sul suo viso. «Intendi forse...?»
«Sì» annuisco, serafica.
«Oh, era ora che la finiste di tenervi il broncio come i bambini!» esclama John, alzando le braccia al cielo. «E ora?»
Il chitarrista prende una mia mano e la porta alle labbra per baciarla in risposta alla domanda del batterista e ci scambiamo alcune rapide occhiate complici; nel frattempo gli occhi di Shavo si fanno grandi quanto due piattini. «E ora stiamo insieme.»
Un attimo ancora di incredulità, poi diverse esclamazioni si levano, accompagnate da occhi alzati al cielo, sospiri, fischi e poi sorrisi a tremila denti.
«Era ora, cazzo!» Shavo batte le mani e poi allarga le braccia in una sorta di gesto di ringraziamento a qualche entità superiore. Beh, l'hanno presa proprio bene...
«Ora tutti a bordo, si riparte» aggiunge l'autista; sembra esser di umore decente adesso, ma ancora scocca occhiatacce al più giovane della band ogni volta che può, non pare aver digerito molto bene il trattamento che gli è stato riservato in precedenza.
Annuisco e mi avvio verso l'altro bus, quello dello staff, ma qualcuno mi prende una mano e mi volto per capire cos'altro succede ora.
«Resti con me?» chiede Daron, con tono appena implorante.
«Ma ho la mia roba sull'altro bus» replico, a malincuore «come faccio a prepararmi per la notte?»
«Non fa niente se per una notte non lavi i denti e non ti cambi, dai...»
«Va bene... se per gli altri non è un problema...» acconsento, incerta; John, che ha intercettato i nostri movimenti e ha già capito che succede, dà l'okay con un gesto della mano e mi sento rassicurata.
Mentre i ragazzi fanno la spola fra il bagno e le loro borse avanzo a piccoli passi ed esploro la zona delle cuccette; sogghigno leggendo le etichette riportanti i nomi e notando piccoli disegnini stupidi negli spazi bianchi a mo' di decorazione, poi mi trovo ad esitare e non so se aspettare il proprietario del letto o no per salirci su e non sentirmi un'intrusa.
«Prima tu» la voce del chitarrista mi distrae subitaneamente e sobbalzo giusto un attimo.
«Sicuro?» chiedo, senza voltarmi a guardarlo, improvvisamente molto, molto timida.
«Certo, cosina, voglio che tu stia al sicuro.»
Mi guardo un attimo intorno, poi mi inginocchio per strisciare dentro la cuccetta che sta al ripiano più basso, cosa molto comoda per il chitarrista che è un po' basso e ora anche per me che non sono una spilungona; è identica alla mia, non troppo bassa, ristretta.
«Oooh» sospira il ragazzo, accomodatosi sul materasso, tirando la tendina di colore chiaro per nasconderci un po' alla vista altrui mentre io ancora gli do le spalle «finalmente anche questo concerto è andato, sono distrutto... cosina, tutto okay? Puoi girarti e guardarmi, mi hai già visto altre volte in queste condizioni.»
Cambio posizione, vincendo in qualche modo il mix di timidezza e ansia, e mi si mozza il respiro quando mi accorgo dell'assenza della t-shirt nera di prima... oh cazzo, è un po' come nel sogno avuto alcune notti fa... arrossisco pesantemente, di colpo impacciata come non mai.
«Sei così carina quando arrossisci, bestiolina» mi prende in giro, con un sorrisino maliardo che fa accelerare di molto il mio battito cardiaco; si avvicina e posa una mano su una mia guancia bollente prima di darmi un bacio sorprendentemente dolce e casto, poi attende che io mi accoccoli con la testa contro il suo petto e cinga il suo torace in un semi-abbraccio.
«Ci stava proprio questo... sai, in memoria dei vecchi tempi» mormora, contento e nostalgico.
«Parli della notte di Capodanno, quando ho avuto quel brutto incubo e hai dormito con me dopo avermi cantato qualcosa, giusto?» replico, con tono basso e dolce.
«Esattamente. È stata una delle notti più belle degli ultimi mesi, credo di non aver più avuto un sonno così pacifico come quello di allora nei giorni a venire.»
«Anche per me è stato così, i miei incubi hanno girato alla larga solo quando c'eri tu vicino a me.»
Restiamo in silenzio per un poco, occhi negli occhi; medito sulla possibilità di metterlo a parte di quel messaggio "anonimo" minaccioso ricevuto alcuni giorni prima, un segreto che mi sta rodendo interiormente per l'angoscia, ma solo quando ho quasi raccolto tutto il coraggio necessario mi accorgo degli occhi chiusi del ragazzo.
No, non è questo il momento, abbiamo entrambi bisogno di dormire... domani, a mente fresca, si penserà anche a questo.

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Capitolo 33
*** Bonfire ***


Salve a tutti!
Questa volta dovrò scusarmi doppiamente, sia per l'attesa che è stata più lunga del previsto e sia per il fatto che, essendo già in sessione estiva, non avrò probabilmente molto tempo per scrivere e dunque ci vorrà un po' per il prossimo capitolo T___T
Ebbene, ecco qui il capitolo lungo di cui vi avevo accennato nelle note d'autore dello scorso aggiornamento, spero sia di vostro gradimento :3 come sempre un grazie calorosissimo a lettori e recensori! <3
Buona lettura!





 

-Nikki-

Reduci dal viaggio e dal concerto, la voglia di un diversivo piacevole per la giornata di riposo ci ha portati qui alla spiaggia di Santa Monica per un falò, muniti di tutto l'occorrente; quando finalmente il fuoco è grande abbastanza da scaldarci e consentirci di sederci intorno il crepuscolo è ormai inoltrato e la spiaggia è deserta.
«Ci voleva proprio una cosa del genere» sospira Serj, con in mano una bottiglietta d'acqua e lo sguardo fisso sull'orizzonte quasi del tutto indistinguibile.
«Concordo» interviene Shavo, mollemente adagiato su un telo da mare ed intento a godersi un po' di erba scroccata al chitarrista.
«Quando si mangia?» chiede John ad un certo punto, così, senza preavviso.
«Dolmayan, non farai mica un po' schifo visto quanto hai mangiato ultimamente?! Comunque il cibo è a portata di mano, serviti pure.»
Mentre i ragazzi interagiscono fra di loro e si rimbeccano occasionalmente, giusto per tenersi in allenamento, fisso un punto indefinito del cielo e ogni tanto prendo un sorso dalla mia lattina di Sprite con fare quasi meccanico, ma la mia contemplazione si interrompe una volta che mi rendo conto degli sguardi interrogativi di tutti rivolti a me.
«Che succede?» chiedo, smarrita.
«Ci stavamo chiedendo come passare il tempo» comincia Serj «e pensavamo che non sarebbe male fare qualcosa in "vecchio stile" come raccontare una storia. Tu che ne pensi?»
«Sono d'accordissimo» replico, con un gran sorriso.
Ci sistemiamo intorno al falò crepitante, seduti sui teli e con qualche coperta; Shavo e John prendono per sé una birra, Daron si accende una canna e viene ad accoccolarsi con la testa nel mio grembo e io e Serj prendiamo una sigaretta.
«Chi comincia?» chiede Shavo, curioso.
«Proporrei di far iniziare la bestiolina» risponde il chitarrista, muovendosi per potermi guardare anche da steso. «Siete d'accordo con me?»
«Sì!»
Avvampo leggermente quando gli sguardi dei ragazzi si puntano su di me, carichi di aspettativa.
«Beh, cosa volete che io racconti?» temporeggio, alla ricerca di un qualche argomento. «Potrei narrare, che so, qualche aneddoto divertente, qualche storia che ho letto...»
«Potresti narrarci della tua vita. Della tua infanzia, della tua strada fin qui a Los Angeles, di ciò che ti piace. Sappiamo qualcosa per via delle varie conversazioni avute finora, ma non abbiamo mai avuto il coraggio di indagare sul tuo passato. Ovviamente se non te la senti possiamo lasciar perdere, nessun obbligo» proferisce Serj, con tono di voce basso e gentile.
«Mi fido abbastanza da sapere di potermi aprire con voi senza timore di giudizio o ripercussioni negative e credo che questo sia il momento giusto, quindi non mi tirerò indietro.» Mi schiarisco la gola dopo aver preso un tiro dalla mia sigaretta e raddrizzo la schiena, preparandomi al racconto.
«Ebbene, ragazzi, ora vi narrerò di me, senza alcun filtro, davanti a questo falò. Non è una storia degna di un film o di un libro né particolarmente felice, vogliate scusarmi se talvolta sarà troppo tediosa o triste per voi. Ricorderete che compirò ventiquattro anni il 18 maggio e che sono nativa dello Utah. Sono nata precisamente a Cedar City, città in cui ho abitato fino alla fine del liceo. La mia famiglia è cristiana, di confessione battista, ma soltanto i miei genitori e alcuni nonni e zii erano bigotti e persino simpatizzanti della Westboro Baptist Church, per cui potrete immaginare l'ambiente in cui sono cresciuta e ho vissuto, un ambiente gretto e arretrato. Il mio parente preferito era lo zio Augustus, un fratello di mio padre, un uomo di mente molto più aperta, colto e amante di musica rock, grazie a lui mi sono interessata a generi musicali che esulavano dalla musica sacra o classica ed è a lui che devo moltissimi insegnamenti di vita. Purtroppo un tumore maligno e aggressivo lo portò alla morte quando avevo quattordici anni e così persi l'unica persona che fosse davvero stata per me come un genitore e che avesse il coraggio di difendermi apertamente davanti a chi mi bersagliava di giudizi e critiche spesso infondati e solo mirati a ferire... non credo di aver mai davvero elaborato completamente questo lutto, neanche mio padre probabilmente l'ha fatto, ma quello è un altro discorso. Ho avuto qualche amico lì a Cedar City, ma la mia amica Georgia è l'unica a essere rimasta in maniera continuata durante gli anni, anche dopo il suo primo trasferimento in Texas e il suo definitivo spostamento in California di alcuni anni più tardi, a dispetto della distanza, degli impegni e persino delle restrizioni... molti altri sono semplicemente spariti, e forse è meglio così.»
Un lieve accesso di tosse mi costringe a fermarmi, poi con un sorso di Sprite rinfresco la bocca e la gola e nello stesso tempo noto le facce ancora assorte dei ragazzi seduti di fronte a me; il chitarrista, rimasto finora immobile, incrocia il mio sguardo quando chino il capo e in risposta le sue labbra assumono una piega un poco strana, una sorta di sorriso quasi mesto.
«Tornando a noi, questo è un quadro sintetico della mia situazione familiare e intima in generale, a voler raccontare qualche aneddoto memorabile o soltanto dei ricordi ci vorrebbe troppo tempo e dunque riserverò questi argomenti per future conversazioni scaccia-noia. Ora tratterò un argomento sul quale potremmo trovarci d'accordo senza alcun indugio in quanto a pareri e disagi: la scuola.» Faccio una pausa per enfatizzare l'inizio di quest'altro racconto e sorrido appena fra me e me al vedere che la reazione fatta di occhi alzati al cielo e mugugni è assolutamente comune. «Ovviamente ho frequentato nella stessa città in cui vivevo, erano scuole con fama di prestigio, certo, ma solo sulla carta a parer mio. Tutti gli anni scolastici sono stati alquanto solitari, a parte Georgia pensavo di avere qualche altro amico, ma i rapporti che al tempo definivo ingenuamente come amicizie erano soltanto rapporti opportunistici: c'è da dire che ero una studentessa piuttosto diligente, fino ad un certo punto studiare è stato qualcosa che mi piaceva molto, ovviamente c'erano materie in cui andavo meglio che in altre e non mi dispiaceva dare una mano a chi era eventualmente in difficoltà, peccato che questo mio istinto caritatevole mi ha spesso spinto nella rete degli opportunisti... ero così fessa, al tempo. Mi piacevano molto le materie letterarie ed ero discreta in quelle scientifiche, ma ho sempre avuto una predisposizione naturale per l'informatica, era interessante e mi riusciva piuttosto facile, e nelle poche volte in cui ero da sola a casa, magari anche in punizione, ho approfittato del computer dei miei per mettere in pratica ciò che studiavo e anche per sperimentare, tendenzialmente rimanendo sul sicuro per non causare guai o danni. Dunque ho preso il mio bel diploma con una buonissima valutazione, conclusione apparentemente felice di circa dodici anni di sforzi, dei quali gli ultimi quattro sono stati infernali... come detto prima, la mia amica Georgia si trasferì quando avevamo entrambe tredici anni, prima dell'inizio della scuola superiore vera e propria, e da allora non ho più avuto qualcuno che potesse in qualche modo alleviare la mancanza che sentivo, né ho avuto più pace, perché per almeno un paio di anni sono stata vittima di regolari atti di bullismo a scuola fino a quando non ho avuto la fortuna di trovare qualcuno che fosse misericordioso abbastanza da difendermi e farmi giustizia, un insegnante, mr. Harper, che morì proprio durante l'ultimo anno di liceo. È stato durante la mia prima adolescenza che, a dispetto dell'opposizione dei miei genitori, ho iniziato a seguire le orme del mio adorato defunto zio ascoltando la musica che lui amava e che a me piaceva, smettendo gli abiti rigorosamente classici e di colori chiari che mia madre e i miei parenti mi regalavano spesso per abiti neri, jeans e anfibi, talvolta indossavo le borchie e le catene che tenevo rigorosamente nascoste in un luogo che sapevo solo io per evitare che i miei le buttassero via, ma non rinunciavo mai al kajal nero e ai guanti senza dita, erano quasi una sorta di segno distintivo... purtroppo anche il codice di abbigliamento della scuola mi poneva grossi limiti e non volevo avere più guai di quelli che già affrontavo giorno per giorno. Al tempo già lavoravo saltuariamente, specialmente durante l'estate, quindi potevo permettermi di comprarmi vestiti, libri, CD e altro, approfittando perlopiù degli sconti; ma quando fu finalmente palese che le persone che mi avevano messa al mondo erano così accecate dal bigottismo e dai pregiudizi da essere giunte ad odiarmi, mi imposi di mettere da parte ogni singolo spicciolo per potermi guadagnare finalmente la libertà da quella casa e da quella vita, che erano ormai diventate delle prigioni e delle torture. È stato duro abituarsi all'idea di non essere amata dai miei genitori, più del fronteggiare i bulli o la silenziosa ostilità della maggior parte dei miei compagni di scuola o concittadini... quando questa consapevolezza si è palesata mi è parso per un momento di sprofondare dritta in un abisso irto di spine, ma mi sono fatta forza pensando che presto mi sarei liberata di loro e sarei andata per la mia strada. Ma, come se tutto questo non fosse bastato, c'è anche il capitolo sentimentale... un altro bel disastro, direi.»
Mi fermo di nuovo e bevo d'un fiato tutta la Sprite rimasta prima di buttare la lattina nella busta adibita a pattumiera lì vicino a me; chiudo gli occhi e respiro profondamente, sapendo che sta per arrivare la parte peggiore del racconto. Sento una mano morbida dai polpastrelli callosi accarezzarmi una guancia, riconosco che è di Daron e la trattengo contro il mio viso, godendo del contatto... percepisco il gesto come una dolce rassicurazione, dunque inspiro e mi preparo a riprendere.
«Per quanto possa avere un aspetto accettabile, posso garantirvi che un tempo ero peggio di così, devo riconoscere che quel periodo di merda di nome adolescenza è stato in fondo abbastanza caritatevole da rendere più decente la mia faccia... e dunque ogni volta che avevo una cotta ero divisa fra la dolce euforia tipica di ogni inizio di interesse o relazione e l'amara consapevolezza di non essere "abbastanza", in nessun senso, e dunque di essere senza speranza. Per i miei genitori ero bella quando mi conciavo come piaceva a loro, per Georgia lo ero a prescindere da tutto e teoricamente era così anche per i pochi ragazzi che ho frequentato... o così loro dicevano, almeno, probabilmente mi hanno mentito per compiacermi, cosa che odio con tutto il cuore. Ho avuto storie di poco conto con un paio di ragazzi nel giro di un paio di anni: il primo si chiamava Gabriel, era bruno di occhi e capelli e purtroppo, come scoperto in seguito, anche quasi bigotto quanto i miei genitori, e appena le cose si sono fatte leggermente più serie mi ha improvvisamente definita inadeguata a lui e si è dileguato, quasi lo stesso è accaduto per il secondo, Luke, biondo e con occhi chiari. Quando è arrivato Jake, verso la fine del penultimo anno di liceo, ho creduto che finalmente fosse arrivato il mio momento di essere felice... aveva capelli biondo scuro, occhi color castagna, corporatura robusta e tutto sommato un carattere apparentemente piacevole, sembrava essere genuinamente interessato ad ascoltarmi quando parlavo e non mi toglieva mai gli occhi di dosso, talvolta sapeva essere molto galante e gentile e questo mi attraeva molto. Ma, come dimostrato più volte nel corso del mio racconto, ogni cosa buona ha rivelato a suo tempo l'altra faccia della medaglia.» Bevo di nuovo per dare sollievo alla gola che sembra riarsa come dopo una lunga giornata calda. «Per amore ho perso la verginità con lui e mi sono lasciata istruire in arti amatorie, ma in tutto questo ho messo da parte me stessa, i miei bisogni, la mia volontà. A volte ho accettato di fare ciò che mi chiedeva ma controvoglia, per non deluderlo, per non apparire come un'ingrata... o forse anche perché la nostra sfera privata è in seguito diventata motivo di ricatto per molte, molte cose. Toccai il fondo dopo circa un anno, quando, durante una festa a casa di amici comuni, bevvi più del solito e iniziai a rivelare cose scomode sul conto di lui che mi riguardavano e a dire che ero in procinto di piantarlo in asso definitivamente; uno dei suoi amici, un po' "nerd" e "sfigato" come me, mi credette senza indugio, qualcun altro insinuò che mi stessi inventando tutto con la scusa dell'essere alticcia, quando invece è ben risaputo che i pensieri di un sobrio sono le parole di un ubriaco. Jake lo venne a sapere e per il resto della festa non mi si avvicinò, ma una volta che tutti erano messi fuori gioco dall'alcol in giro per la casa e io cercavo di dormire in una delle stanze da letto venne da me e, ignorando il mio rifiuto e approfittando della mia non esistente sobrietà, abusò di me con impietoso vigore, poi il giorno dopo la notizia si sparse. Sono stata tacciata di essere una puttana, una bugiarda, una serpe... non avrei dovuto aprire tanto facilmente le gambe, non avrei dovuto bere, non sarei dovuta andare ad una festa fra compagni e amici di liceo, il mio fidanzato non poteva avermi stuprato perché mica era uno sconosciuto, il mio fidanzato era un bravo ragazzo di buona famiglia e non avrebbe mai potuto essere un mascalzone depravato così come lo dipingevo io... eccetera, eccetera. Dovetti sorbirmi queste parole e chiacchiere dagli sconosciuti così come dalla mia famiglia, i miei mi picchiarono persino prima di mettermi in punizione. Era chiaro che nessuno voleva più avermi intorno, per cui feci fagotto e, approfittando di un giorno e di un momento in cui la casa era vuota, andai via per sempre. Avevo con me pochi effetti personali, pochi vestiti, le scarpe che avevo ai piedi e tutti i soldi che avevo messo da parte fino ad allora, un gruzzoletto non indifferente ma che non sarebbe durato molto e avrei dovuto mantenere con un lavoro. Mi stabilii a Washington per circa un anno, ritenendo la città abbastanza lontana dal mio luogo di origine da potermi sentire sicura, poi mi sentii come soffocare e iniziai una lunga peregrinazione che mi riportò sulla costa ovest, fino a quando non giunsi qui a Los Angeles e, in qualche modo, finalmente ebbi una percezione di casa e sicurezza perché nessuno mi conosceva ed ero certa di poter condurre una vita modesta e tranquilla. Ma mi sbagliavo, perché i pregiudizi sono diffusi ovunque così come i bigotti e gli idioti, ed ecco il probabile motivo del pestaggio dal quale sono uscita meno distrutta del previsto forse per miracolo... anzi, mi sbagliavo doppiamente, ed ora ve ne darò la prova.»
Tiro fuori dalla tasca dei miei jeans il biglietto anonimo ricevuto poco più di una settimana addietro, ora un poco stropicciato, tentando di mantenere regolare e calmo il respiro a dispetto della tachicardia che si sta manifestando, e lo porgo prima a Serj, che siede alla mia sinistra; man mano vedo le facce dei presenti impallidire leggermente e tradire un mix di emozioni e quando il messaggio arriva finalmente fra le mani del chitarrista per un attimo fremo interiormente per l'incertezza della sua reazione... Daron poggia il pezzo di carta in disparte, poi chiude a pugno le mani con forza e le nocche si fanno bianche.
«Perché non ce l'hai detto prima, Nikki? Avremmo preso provvedimenti subito...» si limita a dire Serj, ancora un poco sconvolto.
«Non volevo disturbare e addossarvi ulteriori pesi mentre già eravate molto indaffarati fra il lavoro in studio e le prove per il concerto di ieri, ve ne avrei comunque parlato a tempo debito... e poi, per quanto sia terribilmente in ansia e spaventata, penso che un biglietto solo non significhi granché, bisogna vedere se davvero si farà vivo o meno.»
«Oh, Nikki, Nikki, quando smetterai di gareggiare con Daron nel campionato mondiale di seghe mentali?!» protesta Shavo, avvicinandosi e prendendomi le mani fra le sue. «Non devi farti assolutamente problemi a parlarci di cose che ti turbano o di cose così importanti come questa, chiaro? Tienilo in mente per il futuro.»
«Dunque dobbiamo occuparci di questa faccenda, ora» sospira John, chiaramente preoccupato, con la fronte corrugata.
«Se si tratta di scegliere chi concerà per le feste quel coglione, sappiate che sono il primo prenotato nella lista» commenta Daron, la voce accompagnata da un leggero ringhio gutturale di fondo.
«Non è la violenza la miglior soluzione» interviene il cantante «dobbiamo piuttosto pensare a come mantenere la sicurezza.»
«C'è da dire che Jake è stato raramente di parola nella sua vita» dico, in tono amaro «ma stavolta potrebbe davvero avere l'intenzione di fare ciò che ha promesso. Ma essendo cinque contro uno, dei quali quattro del suo stesso sesso, c'è un netto svantaggio numerico che forse lo trattiene ancora dall'agire, per non parlare del fatto che, se tenta di aggredire voi o me, è sicuro che lo attenda il carcere.»
«Ma poi, mi chiedo» aggiunge Serj «come ha fatto a sapere che sei qui? Se ti avesse pedinato di persona lo avresti notato e non può averlo fatto per tutti questi anni e nonostante tutti i tuoi spostamenti... quindi le possibilità sono due: o ha qui in città dei conoscenti che ti hanno vista, o lui stesso è qui ora e ti ha riconosciuta.»
«Hai ragione... ma per quale motivo lui potrebbe trovarsi qui? E che dire dell'essere riconosciuta? Non vedo un motivo per lui per essere venuto fino a Los Angeles a parte quello che si evince dal biglietto, poi so di essere comunque abbastanza riconoscibile ma non esco molto di casa e anche ora che lavoro per voi sto dietro le quinte, mai in prima linea.»
«Anche questo è vero... beh, credo che scopriremo questo e molto altro nei giorni a venire.»
I tre ragazzi di fronte a me si alzano, si avvicinano e si inginocchiano per stringermi in un abbraccio collettivo al quale si aggrega anche il ragazzo rimasto finora accomodato in parte sulle mie gambe; sento il loro affetto e la loro preoccupazione nella stretta e gli occhi mi si fanno lucidi.
«Non sei sola... gli amici servono anche ad affrontare i problemi insieme.»
Finalmente si cambia argomento e la conversazione diviene più leggera e continua per almeno un'altra ora prima di arrestarsi nuovamente, al che Daron si alza, fruga nel bagagliaio dell'auto parcheggiata lì vicino e torna con una chitarra acustica in spalla; ora sì che il falò è perfetto.

Dopo qualche ora di intrattenimento musicale la stanchezza prende il sopravvento, visti gli strapazzi dei giorni precedenti, per cui ci predisponiamo a passare la notte: Serj, Shavo e John si addormentano apparentemente senza difficoltà, mentre io resto ancora sveglia a guardare un punto indefinito del cielo scuro.
«Piccola, tutto okay?»
Il sussurro del chitarrista mi riporta alla realtà; cambio posizione e ora la sua faccia è di fronte a me e non contro le mie spalle. «Credo di sì. Sono soltanto un po', diciamo, stordita... è passato molto tempo dall'ultima volta che mi sono aperta così tanto con qualcuno.»
Il ragazzo mi fissa per qualche attimo, poi tende le braccia verso di me; mi accoccolo ben volentieri nel suo abbraccio, con il viso affondato nell'incavo fra la sua mascella e la sua spalla sinistra.
«Sei stata coraggiosa a confidarti, così come lo sei stata nell'affrontare la tua vita finora» prosegue Daron, con tono di voce morbido «hai il mio amore e la mia ammirazione sincera. E, sai, c'è una vocina nella mia testa che ancora mi rimprovera per essermi comportato da coglione nei mesi scorsi, perché dopo quello che hai passato non meritavi anche gli sbalzi di umore e le stranezze di una testa di cazzo come me.»
«Ormai è andata com'è andata, hai tutto il tempo del mondo per rimediare, e mi sembra che tu lo stia già facendo egregiamente. Non ascoltare sempre le vocine, a volte sono delle grandi stronze.»
«Concordo pienamente... se avessimo partecipato ad un campionato di pippe mentali, probabilmente avrebbero assegnato il primo premio ad entrambi per la bravura, non trovi?»
Mi sfugge una piccola risata che smorzo per non svegliare gli altri. «Sono d'accordo con te» mormoro, poi lascio qualche piccolo bacio sulla pelle soffice del suo collo e sorrido interiormente quando lo sento sospirare.
«Su, piccola, è ora di dormire» aggiunge, dandomi un bacio; dopo pochi secondi Morfeo rapisce entrambi nel suo abbraccio.

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Capitolo 34
*** Small changes ***


Salve a tutti! :D
Sì, lo so che è passato del tempo, ma purtroppo ho avuto da fare T.T abbiate pietà, non tiratemi i pomodori marci!!
In ogni caso spero che questo capitoletto di transizione vi piaccia e ringrazio tutti i lettori e i recensori per aver seguito la storia fin qui :D buona lettura <3





Quando il tour richiama a rapporto dall'altra parte dell'oceano, nel continente europeo, è ormai piena primavera e pare che la stagione non si limiti al clima e ai cicli naturali, ma contagi anche gli spiriti.
Sono nettamente più felice di quanto lo sia stata negli ultimi anni, la cappa di grigiore e malinconia che di solito permeava la mia quotidianità sembra essersi dissolta o perlomeno attenuata di molto e dentro di me cova la sensazione che i concerti venturi saranno storici, alcuni dei migliori di sempre della carriera della band. 
Dopo quel biglietto anonimo non è più giunta alcuna minaccia e apparentemente la situazione sembra risolta, ma proprio per mancanza di certezza manteniamo tutti la guardia alta, pur non perdendo il buon umore e non covando tensione per giorni interi; proprio per non pensarci e contenere l’ansia cerco di tenermi occupata con cose da fare durante tutta la giornata.
Prima della partenza diventa quasi d’obbligo sistemarsi ed ecco che nel giro di una giornata i capelli e la barba di Serj e di John perdono un paio di centimetri, la testa di Shavo torna ad essere pelata e per ultimo Daron dà un taglio netto alle due ciocche della sua barba, lasciando soltanto le basette e una striscia lungo la mascella… un piccolo trauma per me che ero abituata a vederlo sempre con quelle due “treccine” sotto al mento ma niente disperazione, dopotutto il suo appeal è ancora intatto, se non anche aumentato dai suoi capelli, ora lunghi abbastanza da coprirgli la nuca e avvolgersi in larghe onde alla fine, assolutamente adorabili.
 
«Daron, sei caduto nel gabinetto o cos-»
La mia lamentela causata dall’impellente bisogno fisico e dall’aver trovato occupato il bagno si interrompe con l’apertura della porta che io credevo chiusa a chiave, facendomi sentire totalmente scema.
«No, piccola, potevi tranquillamente entrare» la voce del chitarrista arriva dall’altra parte; alzo la testa per guardarlo e noto che manca qualcosa… la sua piccola barba non ha più le due ciocche separate, pur rimanendo assolutamente la stessa per il resto.
«Ma…» sgrano gli occhi, indicando l’elemento che causa la mia sorpresa.
«Sì, per ora ho leggermente cambiato, so che non sei abituata» replica lui, divertito dalla mia reazione.
«Nessun problema, mi riabituerò» commento, avanzando di qualche passo «piuttosto scusami per averti apostrofato in quel modo, non pensavo che il bagno fosse accessibile e che tu ci fossi dentro da poco, di solito quando sparisci per diverso tempo è perché potresti esserci caduto dentro…»
Il ragazzo ridacchia, poi mi attira a sé e mi dà un bacio sulla fronte. «Nah, sono troppo grosso per scendere nei tubi.»
 
Anche per me, infine, arriva il momento di sistemare la mia zazzera ormai disordinata e dal colore indefinito: dopo essere passata sotto le mani di un bravo parrucchiere, vecchia conoscenza dei ragazzi, spariscono almeno cinque centimetri di lunghezza e le doppie punte e compare un bel verde al posto del blu da lungo tempo sbiadito, un colore che ho scelto come simbolo della mia “rinascita” e della mia ritrovata felicità.
Al ritorno a casa le reazioni sono lusinghevoli, soprattutto quella del chitarrista che, durante le ore dopo cena solitamente dedicate alla conversazione stando comodi su divano e poltrone, quasi non mi toglie gli occhi di dosso un attimo e più volte arrotola piccole ciocche dei miei capelli attorno alle sue dita, come stordito dal fatto che adesso siano di un altro colore e, grazie al sapiente lavoro svolto, anche molto belli; lo lascio fare, troppo intenta a godermi il suo abbraccio e ad ascoltare ciò che gli altri dicono, ma anche perché la cosa non mi dà assolutamente alcun fastidio. 
 
A tarda sera, in attesa del chitarrista disperso chissà dove in casa, per distrarmi dalla crescente ansia per la partenza sempre più vicina mi impegno in una lettura abbastanza leggera; le pagine crepitano appena fra le mie dita, strisciando appena contro le lenzuola che mi coprono per metà, piene di parole che talvolta mi trovo a dover rileggere perché ho messo solo a fuoco la loro forma nera sulla carta bianca, distratta. 
«Cosa leggi?» la voce del mio ragazzo mi risuona nelle orecchie inaspettatamente, ma non sobbalzo e non mi muovo. 
«Un vecchio libro di racconti di fantasmi» rispondo, guardandolo con la coda dell'occhio mentre si accomoda al mio lato, incastrando la testa sopra la mia spalla per vedere ciò che io ho davanti agli occhi. «Ti piacciono?» 
«Non saprei, non sono un gran lettore, dovrei leggere prima di pronunciarmi» dice, con una minuscola risata. «Ma, a giudicare da quanto parevi concentrata, dev'essere interessante.» 
«Lo è» sorrido, rimettendo il segnalibro e posando il volume sul comodino e lasciando poi che Daron si accoccoli di nuovo contro il mio corpo. 
«Tutto bene, piccola?» chiede, guardandomi attentamente. 
«Sì, solo un po' in ansia per la partenza che si avvicina» rispondo con una certa leggerezza, per non destare preoccupazione. «Tu stai bene?» 
«Sì, sto bene» sospira, poi affonda il naso fra i miei capelli sparsi sul cuscino. «I tuoi capelli hanno un profumo divino, mi sento un drogato.» 
«Ahahah, non sarai mica un po' esagerato?» ghigno, divertita e lusingata allo stesso tempo. 
«Io non esagero mai» mugugna lui, fingendo un tono di voce offeso, al che per scherzo lo pizzico su un fianco e lui si ritrae con un balzo. 
«Ouch!» si lamenta un po' per finta, chiaramente divertito. «Questo è un colpo basso e ora mi vendicherò!» dichiara, prima di piombarmi addosso e iniziare a farmi il solletico. 
«Daron, no, pietà, lo sai che soffro da morire!» rido, con le lacrime agli occhi, cercando di liberarmi dalla sua presa e dalle sue dita dispettose. 
«Oh, è divertente sentirti implorare, sai?» ghigna lui, continuando. «Ritenta, sarai più fortunata!» 
«Scemo! Dai, ti prego, fermatiii» annaspo, agitandomi come una pazza. 
Finalmente la tortura finisce, ma le mie mani restano ancora bloccate al di sopra della mia testa; Daron si china fino a che il suo viso è a un soffio dal mio. 
«Sei così carina quando ti agiti, cosina» mormora, con una nota profonda nella voce che mi provoca brividi... l'indefinibile entità del mio amore per lui è qualcosa che contemporaneamente mi spaventa e mi esalta. 
«E tu sei dannatamente eccitante» sussurro a mia volta, prima di prendere l'iniziativa per un bacio; sorride contro le mie labbra ad un certo punto e sorrido anche io a mia volta. 
«Quasi mi dispiace dormire, sapendo che non avremo spesso tutta questa tranquillità e questa privacy nei prossimi giorni» mugugna lui, guardandomi. 
«Beh, la notte non è solo per dormire, potremmo approfittarne...» 
«Ottima idea, piccola.» 
Un altro bacio ci tiene occupati per un po' e il desiderio di rimuovere gli ostacoli fra i nostri corpi è ormai evidente; fermo il ragazzo con una mano quando prova a spogliarsi.  
«Voglio farlo io.» Daron si mette seduto di fronte a me e lascia che io gli tolga la sua t-shirt nera, sospira ad opera compiuta e fa lo stesso con il mio leggero vestito di cotone grigio. Mi avvinghio a lui, baciandolo di nuovo, avida di sentire il calore della sua pelle; nel frattempo lui mi porta di nuovo a stendermi e rimuove metà della mia biancheria, faticando per un attimo ad aprire i gancetti con gli occhi chiusi. Di colpo un lieve moto, forse di vergogna, mi porta a sciogliere l'abbraccio per un momento per poter spegnere la luce. 
«Da dove viene questa improvvisa timidezza?» domanda il chitarrista, perplesso, sollevandosi un po'; non riesco a rispondere, sentendo le guance bruciare fieramente, ma lui pare capire anche il mio silenzio. 
«Anche se l'altra volta eravamo così presi da avere fretta, ho avuto ugualmente modo di osservarti» dice, accarezzandomi il viso. «Sei perfetta così come sei, piccola, non hai nulla di cui vergognarti...» continua, poi riaccende la luce e sorride intenerito alla vista del mio viso paonazzo. 
«Ora rilassati e lascia fare a me» sussurra ad un mio orecchio, prima di leccarne il lobo, facendomi rabbrividire dalla testa ai piedi. Mi bacia di nuovo con una certa fame e io rispondo con uguale intensità, poi si stacca e prende di mira il collo, mordendo senza troppa forza all'altezza della giugulare. Si sposta verso il basso, seguendo la linea dello sterno; pare che in prima istanza stia ignorando il resto del torace e, scoprendo quanto la pelle tesa sopra le costole sia sensibile, ride appena. Sentendo che non riesco più a trattenere dei piccoli lamenti, torna a spostarsi verso l'alto con lentezza snervante... appena la sua bocca è sul mio seno inspiro di colpo e soffoco un grido. Successivamente l’ultimo ostacolo viene via; lo sguardo che Daron mi rivolge dal basso, facendosi spazio tra le mie gambe, provoca un ribollire interno che riesco ad esplicare soltanto con una piccola smorfia… durante il delizioso tormento che segue perdo qualunque contegno io abbia avuto fino a quel momento.
Quando il ragazzo si interrompe e torna su per baciarmi dapprima mi avvinghio a lui, poi prendo l’iniziativa e capovolgo la situazione: godo interiormente per ogni mugolio e fremito che riesco a strappargli con ogni bacio sul collo e ogni carezza sul torace e sullo stomaco. Più avanti anche il suo ultimo indumento scompare e indugio ad osservarlo nella sua nudità per qualche secondo, prima di strisciare leggermente verso il basso, intenzionata a fare qualcosa; a quel punto Daron porta una mano al mio viso, sollevandomelo perché io lo guardi.
«N-non sentirti obbligata, piccola…» mormora, guardandomi fisso e accarezzandomi il labbro inferiore con il pollice.
«Voglio farlo» rispondo con egual tono di voce; la mano di lui si sposta fra i miei capelli giusto mentre inizio la mia opera… i suoi gemiti e ansiti sono musica per le mie orecchie.
Dopo qualche minuto, per il desiderio di provare qualcosa di nuovo, continuiamo a regalarci piacere a vicenda, fino ad un orgasmo simultaneo che ci lascia entrambi senza fiato, attaccati l’uno all’altra.
«Che meraviglia…» sospira Daron, baciandomi e accogliendomi fra le sue braccia prima che Morfeo rapisca entrambi in pochi battiti di ciglia.




 

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Capitolo 35
*** Encounters ***


Salveee! :D
Anche se ancora occupata a studiare sono riuscita a scrivere un nuovo capitolo, le idee per fortuna non scappano a dispetto del poco tempo e dunque sto anche avendo tempo per elaborarle al meglio :3 quindi eccomi qui ad aggiornare con un capitolo che, tra l'altro, è anche un po' più lungo del previsto! Non anticipo nulla, vi renderete conto voi stessi della "portata" del capitolo a fine lettura ;)
Come sempre ringrazio calorosamente i recensori e i lettori che sempre mi incoraggiano a migliorare e proseguire con questa storia <3
Buona lettura!





Tornati sul suolo europeo, è la Germania il luogo da cui si ricomincia il tour, sui palchi di due famosi festival tedeschi quali Rock im Park e Rock am Ring. Un clima primaverile alquanto fresco ci accoglie a Norimberga per la prima esibizione e non mi dispiace affatto, è gradevole non doversi ritrovare di già a sudare tanto e credo siano dello stesso avviso anche i miei amici, che pur vivono tutto l’anno in un posto notoriamente caldissimo durante la bella stagione e soprattutto durante l’estate.
Il giorno dell’esibizione giunge portando con sé un cielo abbastanza pulito e un sole un poco pallido, temperature accettabili e una notevole mole di spettatori nell’area festival. Il backstage e alcune zone vicine sono affollate da varie band che attendono di esibirsi e dalle rispettive crews: fra loro scorgo alcuni artisti noti sia ai ragazzi che a me come Lenny Kravitz e Ozzy Osbourne e l’emozione si fa sentire per qualche momento, non essendo abituata a frequentare posti di questo tipo, per cui mi permetto di attirare l’attenzione di Sako con un leggero movimento di gomito per condividere i miei pensieri e lui di rimando sorride, comprensivo.
Da quando io e il chitarrista stiamo insieme non si è mai cercato di nascondere alcunché, dunque la nostra relazione va avanti apertamente, ma neppure tendiamo a mostrarci insieme ogni momento; per questo non tutti quelli dello staff sanno come stanno esattamente le cose, vuoi per altri impegni vuoi per disinteresse, mentre quelli che lo sanno hanno tendenzialmente preso bene la cosa: i miei amici Bree e Paul sono stati semplicemente entusiasti per me, così come Sako e Beno prima di loro, mentre gli altri sanno ma non se ne curano più di tanto dato che questa cosa esula dal piano professionale e il rapporto è principalmente improntato sul lavoro… ho anche il sospetto che a un paio di persone dello staff la cosa non vada giù in qualche modo, ma ciò mi importa relativamente poco: la mia relazione non ha comportato dei privilegi, continuo a lavorare duro come tutti, prestandomi ancora al doppio ruolo di tecnico dell’assistenza e di roadie quando necessario, inoltre le mie ragioni per stare con Daron esulano dal materialismo e devono essere chiare soltanto ai diretti interessati, non per forza anche ad esterni.
«Serj! Daron!» ad avvicinarsi per interloquire con il cantante e il chitarrista è proprio il precedentemente nominato cantante dei Black Sabbath e io, a pochissimi passi da loro e vicino a Sako, quasi mi pietrifico mentre Daron mi passa vicino per raggiungere il suo collega.
«È bello trovarvi qui, ragazzi» esordisce Ozzy, emanando quella sua tipica aura di fascino e carisma. «Sapete, talvolta mi sembra passato così poco tempo dalle prime volte in cui ci siamo visti e in cui avete suonato all’Ozzfest… stiamo già diventando vecchi, sigh... ma voi siete sempre più bravi.»
«Molto gentile, grazie» risponde Serj, con un leggero inchino fatto con la testa.
«E quella ragazza con i capelli verdi lì dietro, che parla con qualcuno che presumibilmente fa parte del vostro team?»
«Oh, è anche lei nel team» si fa sentire Daron finalmente «sta sostituendo un altro nostro tecnico infortunato; è una lavoratrice particolarmente alacre e precisa» continua, poi si volta e mi fa cenno, al che mi faccio avanti timidamente.
«È un piacere conoscerti, sostituto tecnico dalla buona fama» dice Ozzy «penso tu sappia già il mio nome ma io non so il tuo.»
«N… Nikki Gray» per un attimo mi impappino, poi mi riprendo per bene e finalmente ergo la testa sul collo ben dritto, guardando in faccia il mio interlocutore senza però poter vedere i suoi occhi, nascosti dietro occhiali da sole tondi e scurissimi.
«Da quanto tempo lavori per i System Of A Down? E che mansione svolgi?»
«Sono entrata nel team a gennaio, sostituisco il tecnico d’assistenza e collaboro con il team tecnico per qualunque problema di hardware e software.»
«Benissimo. Ti trovi bene con loro?»
«Una meraviglia!»
«Buono a sapersi! Sono indubbiamente dei tipi peperini, ma sono persone piacevoli e musicisti notevoli.»
«Concordo.»
«Oh, vedo che qualcuno mi fa segno là dietro, non so cosa diamine voglia ma è meglio che vada a vedere» Ozzy si acciglia un po’, risistemandosi gli occhiali sul naso. «Vogliate scusarmi… ci becchiamo dopo, ragazzi» ci saluta e si affretta verso una meta ignota.
«Mi… mi avete appena presentata al famosissimo Ozzy Osbourne? Credo di star per avere un colpo» esclamo, ancora sorpresissima.
«Considera la cosa come un piccolo regalo di compleanno anticipato» scherza Daron, facendomi una linguaccia e prendendomi poi per mano.
«Uh, giusto, domani è il tuo compleanno!» rammenta Serj, ad occhi sgranati. «Dovremo pur fare qualcosa, no?»
«Beh, visto che dopodomani voi suonerete al Rock am Ring c’è da viaggiare, e certamente ci saranno altri impegni… dubito che ci sarà il tempo per fare qualunque altra cosa» rispondo, un po’ mogia. «E poi non voglio costringere nessuno...»
«Però te lo meriti, quindi è deciso, si farà qualcosa» conclude Daron, poi mi tacita con un dito sulla bocca «e tu non potrai farci nulla, non potrai protestare e, cosa più importante, resterai all’oscuro di tutto fino al momento giusto.»
«E va be-» il chitarrista mi bacia senza alcun preavviso e poi mi lascia andare; resto impalata, rossa in viso, a guardarlo mentre raggiunge gli altri. Non mi ha neanche dato il tempo di “arrendermi” e ringraziare, mannaggia.
«Mi fate venire l’iperglicemia, giuro» al mio lato compare Sako, con un sorriso divertito.
«Che esagerato, Karaian» lo prendo in giro, fingendo di alzare gli occhi al cielo.
«Niente affatto, Gray» mi risponde per le rime, poi ride. «Sul serio, siete tanto carini insieme e sono felice per voi.»
«Sei gentilissimo, Sako, grazie mille davvero. Comunque, quanto manca all’esibizione dei ragazzi?»
«Non saprei, credo non molto.»
«Ti sei già accertato che sia tutto a posto?»
«Sì, tutto sistemato, pare sia tutto okay.»
Guardandomi intorno, qualcosa cattura la mia intenzione e metto a fuoco Daron che parla con un membro della crew che mi dà le spalle e, visti i capelli biondicci del tipo, si tratta quasi certamente di Paul. Per un attimo riaffiorano ricordi di marzo, di quella serata a Glasgow in cui malessere, confusione ed alcol mi crearono una situazione imbarazzante e indesiderata… non ne ho mai fatto parola con Daron e penso sia giusto così, è stato un momento di sbandamento come probabilmente ne ha avuti anche lui e non servirebbe a molto dirglielo, anche perché i miei sentimenti di allora non furono minimamente intaccati dalla cosa, però talvolta mi chiedo se lui ha mai intuito o pensato qualunque cosa al riguardo… in ogni caso vedo che sta trattando il roadie in maniera gentile e alla pari e alla fine del discorso, qualunque sia stato, gli dà un paio di pacche su una spalla in maniera amichevole. Ah, i maschietti e lo spirito di cameratismo!
Quando arriva finalmente il turno dei ragazzi di esibirsi tiro un grosso sospiro di sollievo e mi sento di colpo più contenta; fuori dal backstage il pubblico è rumoroso e il cielo, stando agli sprazzi visibili, è uguale a prima, forse il sole è diventato soltanto più caldo e brillante.
«Forza ragazzi, andiamo a spaccare culi!» esclama Serj; un abbraccio collettivo, qualche “rito” pre-concerto, poi sono pronti per comparire di fronte ai fans; il cantante apre la fila, dirigendosi verso il palco. Daron si ferma un attimo e mi stampa un bacio sulla fronte; «A dopo» mormora sorridendo, poi segue gli altri, ed io raggiungo i miei colleghi nel solito posto nel lato del palco.
Si parte con “Prison song” come già accaduto in altri concerti e si prosegue direttamente con “Jet Pilot”, una canzone che trovo apprezzabile e molto sottovalutata, “Deer dance” accompagnata da qualche momento di sclero; durante “DDevil”, però, fare il matto costa a Daron un colpo con la fronte contro un microfono vicino a lui, ciononostante continua a suonare come se nulla fosse accaduto. All’inizio di “Suggestions” qualcuno lancia una bottiglia vuota sul palco e sempre lui è a creare un momento strano e divertente: come ipnotizzato segue la traiettoria dell’oggetto, poi si avvicina, si inginocchia e continua a strimpellare in quella posizione per un po’.
Si arriva quasi in un batter d’occhio a “Psycho”, una delle perle della setlist dei ragazzi. Una sorta di ballo, come in trance, coinvolge il corpo del chitarrista sulle note del basso di Shavo che suona l’intro del brano… poco dopo una cosa nera atterra direttamente sulla mia faccia, la prendo in mano e riconosco la maglietta di Daron con il finto collarino da sacerdote e la scritta “Fuck your prayers”, la stessa che indossava il giorno in cui ho ammesso di essere innamorata di lui, dunque alzo lo sguardo e ho la conferma che il chitarrista si è denudato in pubblico come al solito… ah, ci risiamo…
Durante il brano si verificano piccole corse, al momento dell’assolo che è ormai il mio preferito si assiste a strani movimenti, poi ad un certo punto sia Shavo che Daron sono in ginocchio sul palco, dando le spalle al pubblico: il primo rimane molleggiato, il secondo si abbassa a terra, suona ad occhi chiusi e ad un certo punto scalcia un po’ in stile bambino prima di rialzarsi e cimentarsi nella solita piroetta finale… in tutto questo lasso di tempo non so se ridere o urlare per quanto sono gasata e la mia faccia continua ad essere più colorita del solito.
Dopo “Chop Suey!” che è ormai una delle mie canzoni preferite, a sorpresa viene regalata ai fans una piccola cover di “La Isla Bonita” di Madonna: all’inizio quasi nemmeno io la riconosco, ma appena Daron inizia a cantare qualcosa torna in mente e sorrido… ad un concerto metal certamente non ci si aspetta una cover pop, ma come sempre i System sono imprevedibili e impossibili da incasellare entro schemi o aspettative.
 
A fine concerto le migliaia di persone sotto il palco tributano un saluto entusiasta prima di ripiombare nell’attesa concitata del prossimo artista; già da qualche minuto sono seduta nel backstage quando i ragazzi compaiono nel mio campo visivo, sfatti e fradici di sudore ma contenti.
«Yeeehaaa!» l’esultanza del momento prende il sopravvento; assisto all’assalto dei tecnici degli strumenti da parte dei ragazzi prima che si gettino su di me intrappolandomi in un abbraccio sudaticcio nel quale ad un certo punto mi pare di soffocare, al che Serj e colleghi capiscono che è il caso di farmi respirare di nuovo.
«Siete stati fantastici» esalo, ancora senza fiato.
«Troppo gentile» risponde Serj, con un leggero inchino a mani giunte, e gli altri ringraziano a seguire.
«La gamma di espressioni facciali che hai avuto durante tutta l’esibizione di oggi è stata meravigliosa, bestiolina» Daron si avvicina e mi scompiglia i capelli; non so proprio cosa replicare e arrossisco di nuovo, porgendogli la sua t-shirt.
«Hai perso le parole? Aspetta, ti aiuto io» il chitarrista inizia a farmi il solletico e io grido e scappo via dalla sua presa, nelle orecchie le risate dei nostri amici e soprattutto quella sguaiata di John e Sako.
La scenetta dura qualche minuto, poi sono costretta a fermarmi perché la milza mi sta maledicendo in almeno tre o quattro lingue e a quel punto anche il ragazzo si ferma, ansante. «Sei adorabile» mormora, mi stampa un bacio leggero sulle labbra e poi va a munirsi di qualcosa per asciugarsi un po’ prima di rivestirsi.
«Forza ragazzi, il cibo ci aspetterebbe pure ma ci sono altri pretendenti!» il più vecchio della band ci chiama a raccolta e ci avviamo; nel mentre Daron intreccia discretamente le dita di una mano con le mie e improvvisamente mi sembra di camminare sulle nuvole.
Arrivati nell’area pranzo sospiriamo al notare che non è passato nessun “barbaro” a devastare il buffet e che quindi ce ne sarà per tutti. Ci imbattiamo di nuovo in Ozzy, stavolta impegnato a parlare con un uomo dall’aspetto singolare, robusto, vestito di nero e con la faccia parzialmente pitturata di nero.
«Ciao ragazzacci, complimenti» ci apostrofa il più vecchio, con un sorriso, e il suo interlocutore annuisce in segno di approvazione.
«Grazie mille» replica Serj, quieto. «Ciao Maynard, come stai?»
«Non c’è male, grazie, e tu?» parla finalmente l’altro, rivelando una voce peculiare.
«Anche io, ti ringrazio.»
«Ehilà» una voce giunge alle orecchie da una direzione opposta; ci voltiamo e ci troviamo di fronte un omone con barba e capelli lunghi e biondi dallo stile rocker “sporco”, intento a riempirsi un piatto.
«Oh, ciao Zakk» Daron risponde al saluto per primo, affabile, ricevendo un sorriso dal nuovo arrivato. Insomma, è la giornata delle celebrità e io sono frastornata.
Mentre i miei amici proseguono le loro chiacchierate io mi guardo intorno, masticando con aria pensierosa e scambiando occasionalmente qualche parola con Sako, che pure sembra non volersi immischiare più di tanto nelle conversazioni.
«Chi sono le persone che hanno salutato Serj e gli altri?» chiedo.
«Quello con il viso dipinto è Maynard James Keenan, il cantante dei Tool» replica il tecnico della batteria, snocciolando informazioni con molta facilità «mentre quella sorta di vichingo rockettaro è Zakk Wylde, chitarrista per Ozzy Osbourne e chitarrista e cantante dei Black Label Society, noto anche come “colui che stupra le chitarre”.»
«Oh… il primo nome non mi è del tutto nuovo, il secondo sì» proferisco, poi mi gratto sulla testa, imbarazzata «temo di essere un po’ ignorante, tendo ad ascoltare musica senza informarmi troppo sugli artisti.»
«Non fartene una colpa, non c’è motivo» mi consola Sako, con una “fraterna” pacca sulle spalle.
Proprio un secondo dopo mi volto alla ricerca del mio ragazzo e scorgo un movimento con la coda dell’occhio che subito desta la mia attenzione; fingo di distrarmi nuovamente, poi torno a fissare nella stessa direzione di prima e colgo in flagrante un viso affacciato da dietro le cabine WC che scompare dopo un secondo… che ci fa qui Tom?!
«Sako?» richiamo l’attenzione del mio amico, incredibilmente perplessa. «Credo di aver appena visto Tom, l’ex roadie.»
«Quel Tom? Dove?» il ragazzo si guarda intorno, condividendo il mio stato d’animo.
«Credevo di averlo visto dalle parti dei bagni» replico, poi l’enfasi del momento scema subito via. «Forse mi sono confusa.»
«Forse sì e forse no, non lavora più nel nostro team ma magari è stato assunto da qualche altra band nella sua crew. In ogni caso, perché avrebbe dovuto spiarci?»
«Non ricordi?» storco un po’ il naso nel rievocare il ricordo. «A gennaio, durante una delle date del Big Day Out, l’ex groupie di Daron gli ha fatto un servizietto per corromperlo così da poterci raggiungere nel backstage, luogo che teoricamente le era stato interdetto.»
«Forse mi sovviene qualcosa… credo di aver cercato di rimuovere l’accaduto perché era troppo squallido» risponde, accennando una risatina ironica. «Tu credi che quei due siano ancora in contatto?»
«Mai dire mai…»
«Giusto, meglio rimanere sull’attenti.»
 
In una notte primaverile, una ragazza bruna è ferma sul ciglio della strada dalle parti di Las Vegas, una mano impegnata a fare un segno che dice: ho bisogno di un passaggio.
Molte auto passano senza fermarsi, alcuni autisti esprimono apprezzamento per la giovane e il suo abbigliamento alquanto succinto, consistente in shorts cortissimi, top nero, Converse viola e calze a rete, poi finalmente un furgone bianco sembra ascoltare la muta preghiera e si ferma, ponendo soluzione al suo problema.
«Grazie, era ora che qualcuno mi desse retta» la ragazza brontola, salendo a bordo; si siede in maniera non troppo composta e chiude la portiera, così che il veicolo possa ripartire.
«Non mi entusiasma il tuo tono lagnoso, comunque non c’è di che» una voce maschile non molto profonda le risponde: appartiene ad un ragazzo, suppergiù venticinquenne, con capelli biondicci e occhi scuri, robusto ai limiti del sovrappeso, vestito con abiti slargati e scoloriti. «Visto il punto in cui stavi, suppongo tu debba tornare verso Los Angeles, è così?»
«Sì.»
«Stavo andando verso San Francisco ma vabbè, posso allungare un po’ il percorso per una bella ragazza. Come ti chiami?»
«Tina. Tu?»
«Jake.»
Il viaggio dei due giovani procede tranquillamente per un po’; lei non parla, lui talvolta canticchia qualcosa in maniera palesemente stonata. Ad un certo punto un rumore sospetto avvisa il guidatore che ha una gomma quasi a terra.
«Merda, ho una ruota bucata» impreca tra i denti «meno male che qui vicino dovrebbe esserci una stazione di servizio.»
Ed effettivamente è così: un chilometro più avanti, quando ormai la ruota è quasi del tutto moscia, appare una piccola costruzione con un’insegna illuminata, affiancata da un’altra casupola come talora se ne trovano per strada, adibite a camere da letto per gente di passaggio.
«Ovviamente è tutto chiuso… toccherà aspettare domani mattina» sbuffa Jake, scontento.
«Beh, nel frattempo possiamo occupare quella casetta lì vicino e riposare» propone Tina, con disinvoltura.
«Buona idea.»
Dopo aver parcheggiato i due scendono dall’auto: prima che lei possa fare alcunché si accorge che lui l’ha bloccata contro il cofano anteriore del furgone.
«Intendi pagare?» domanda lui, con voce bassa e improvvisamente più graffiata, guardandola dall’alto in basso.
«Pagare? Non si era minimamente accennato a questo, prima!» Tina protesta con voce alta e stridula, poi si calma; si guarda attorno un paio di volte prima di rispondere. «In ogni caso ho con me a malapena tre dollari, se proprio vuoi essere pagato posso farlo solo in natura.»
«Prospettiva interessante, direi» risponde l’altro, con una risatina. Tina lo fissa: gli occhi castani le ricordano colui a cui solitamente scaldava il letto, un certo musicista armeno nato in America, sebbene quelli di Jake siano decisamente più piccoli e porcini. Anche il timbro della voce glielo riporta alla mente, anche se solo per una vaga somiglianza. Ma lei con quel tizio ci andava a letto per il gusto di potersi vantare di essere intima di una celebrità, di essere una groupie “ufficiale”, non perché ne fosse innamorata: fisicamente non lo trovava così attraente, e poi la musica che componeva le faceva alquanto schifo, la riteneva roba talora troppo strana e talora troppo melensa, lontana da sonorità commerciali in voga che suonavano sicuramente meglio alle sue orecchie.
Si entra finalmente nella casetta, trovandovi un letto ancora sfatto ma apparentemente pulito; Jake inizia subito a spogliarsi, gettando a casaccio i propri vestiti su una sedia lì vicino, poi avvia un approccio sessuale nei confronti di Tina, che ci sta senza troppi problemi, prima di finire sul letto a consumare il rapporto.
«Che avevi prima della scopata? Eri pensierosa» proferisce Jake, fumando una sigaretta come d’abitudine dopo il sesso.
«Niente di che. Pensavo al ragazzo con cui andavo a letto fino a non molto tempo fa.»
«Oh. Chi è?»
«Un musicista armeno, si chiama Daron Malakian, suona in una band metal chiamata System Of A Down.»
«Dunque eri la sua groupie?»
«Sì, finché non mi ha scaricata su suggerimento dei suoi amichetti e di una nuova sgualdrina.»
«Capito.»
«Anche tu prima sembravi concentrato a pensare a qualcosa in particolare, comunque.»
«Beh, in effetti sì. Pensavo che, con questo look, mi ricordi una mia ex.»
«Si vestiva come me?»
«Sì, più o meno. Era tutta strana, fissata col rock e col metal.»
«Come mai è finita tra voi due?»
«Perché era una puttana frigida e mi ha grandemente mancato di rispetto più volte.»
«Oh, capisco… beh, almeno ti sei disfatto di questa brutta persona. Posso chiederti come si chiamava?»
«Nikki.»
Il cuore di Tina manca un battito, poi salta quasi fino alla bocca dell’esofago. Starà mica parlando di quella stessa Nikki che ha incontrato lei? Se così fosse, lui rappresenterebbe una possibilità di vendetta.
«Non mi è nuovo quel nome, sai?»
«Dubito tu possa averla conosciuta, ci sono tante Nikki in giro per gli Stati Uniti e lei ha fatto perdere le sue tracce anni fa. Abitavamo nella stessa città, e se n’è andata poco tempo dopo la nostra… rottura.»
«Ma ne ho conosciuta una che sta appresso ai System Of A Down da mesi, lavora con loro. Proprio lei mi ha rivoltato contro il chitarrista con cui andavo a letto, presumibilmente per averlo tutto per sé.»
«Uhm… descrivila.»
«Quando l’ho vista per la prima volta aveva capelli lunghi, di un colore strano, ed era vestita un po’ come me, ma più “coperta”. Aveva gli occhi castano scuro, un piercing al labbro e forse anche dei tatuaggi sui polsi. Magra al limite dell’anoressia e bassina.»
All’udire quelle parole, Jake sente un fremito interiore di gioia cattiva: la fuggitiva è stata scoperta e rintracciata. Sembra che Nikki continui a condurre una vita sregolata, senza Dio e senza famiglia, dedita a musica probabilmente piena di messaggi subliminali cattivi e altre cose sconce, forse ora è diventata anche la puttana personale di quei musicisti da quattro soldi nominati dalla tizia. Pensava di farla franca, scappando dopo aver tentato di infangare il suo nome e quello della sua famiglia con quelle accuse di stupro e violenza senza alcun successo… ma ora quell’essere insignificante è stato scovato, e la vendetta può avere inizio.
«Pare proprio che stiamo parlando della stessa persona, allora… com’è piccolo il mondo. Sai dove abita?»
«No, ma credo stia abitando insieme ai musicisti per cui lavora. Non so nemmeno di preciso il loro indirizzo, ma ho conoscenze che potrebbero aiutarmi.»
«Benissimo. Sai, penso di aver capito cosa vuoi fare… vuoi vendicarti, e anche io voglio vendicarmi. Possiamo unire le forze per questa comune causa. Ti va?»
«Perché no? Ci sto.»
I due nuovi complici si scambiano i numeri, con la promessa di mantenersi in contatto per il nuovo comune progetto, prima di addormentarsi per la stanchezza post-coito.

 

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Capitolo 36
*** What a day! ***


Buon pomeriggio a voi, cari lettori!
Rieccomi qui finalmente ad aggiornare questa storia, sono abbastanza certa che dopo gli ultimi eventi narrati nei recenti capitoli l'ansia dell'aggiornamento vi sia salita un po' xD e dunque ecco qui un nuovo capitolo, bello corposo, per dei versi alquanto nerd e per altri particolarmente significativo (e spero coglierete tutto questo durante la lettura), sperando che la stesura del prossimo capitolo, fra i vari impegni, non prenda troppo tempo :3
Come sempre ringrazio i lettori e i recensori, siete sempre la mia gioia <3 buona lettura!







In teoria pensavo di poter passare questo pomeriggio di relax post-concerto con il mio ragazzo… in pratica no, non ho ben capito quale grana devono affrontare lui e i suoi colleghi, per cui mi hanno proposto di fare un giro turistico con Paul, il quale è ben contento di accompagnarmi visto che adora visitare luoghi nuovi.
«Dove andiamo?» chiedo, corrugando le sopracciglia mentre il mio amico, servendosi di quel poco di tedesco che conosce – con mia somma sorpresa – mischiato con l’inglese, domanda informazioni su dove acquistare una mappa di Norimberga.
«Per prima cosa abbiamo bisogno di una cartina, se no ci perdiamo» proferisce il ragazzo prima di defilarsi verso una piccola edicola dall’altra parte della strada rispetto a dove ci troviamo: per fortuna ha provveduto a convertire una certa somma di dollari in euro, la nuova valuta corrente in questo posto, dunque acquista ciò di cui abbiamo bisogno e torna verso di me, già intento a studiare una piccola guida turistica con mappa integrata.
«Pensavo fossimo più lontani dall’Altstadt, invece no» esclama, trionfante «su, da questa parte!»
«Quali posti intendi vedere? Forse alcuni richiedono prenotazione o biglietti…»
«Qui sulla guida c’è una lista di luoghi che si possono visitare senza questi impicci, dunque ci atterremo ad essa. Di solito almeno le chiese sono ad ingresso libero e gratuito…»
Durante il cammino verso il centro della città vecchia io e Paul chiacchieriamo occasionalmente, interrompendoci spesso per guardarci intorno e magari indicarci a vicenda qualcosa di curioso che abbiamo visto.
Improvvisamente vedo qualcosa, non molto lontano, stagliarsi contro l’azzurro del cielo e la mia curiosità si accende. «Scorgo da qui le torri di una chiesa, andiamo a vederla?»
«Certo! Forse me l’avevi anche detto, ma non ricordavo ti piacessero le chiese…»
«Anche se non entro in una di esse da anni, mi piacciono ugualmente. E poi ho sempre avuto un debole per l’architettura gotica!»
«Concordo, anche se sono ateo e non metto piede in un luogo sacro da un po’ mi piace ammirare le chiese come strutture architettoniche a prescindere dal loro scopo.»
Arriviamo finalmente di fronte alla costruzione intravista in precedenza e rimango per qualche momento senza parole, soltanto un «Wow» mi esce dalla bocca.
«Stupenda, vero?» Paul sorride, ammirato, poi riapre il libricino che ha fra le mani. «Chiesa di san Lorenzo, protestante fin dal Cinquecento. Stando a quanto dice la guida, questa chiesa è stata alquanto danneggiata dai bombardamenti della guerra negli anni ’40 ma è stata restaurata secondo i piani originali. Così è stato anche per una chiesa che vedremo più avanti, quella di san Sebaldo.»
«Che stretta al cuore, distruggere pezzi d’arte è barbarie assoluta per me…» proferisco, in tono basso e un po’ lamentoso, cercando di immaginare un edificio malmesso e pericolante al posto di quello intatto ed imponente che ho dinanzi a me.
«Entriamo, dai» propone il mio amico, improvvisamente più entusiasta.
«Sì» replico, sorridendo.
All’entrata del tempio un cartello avvisa i visitatori sul vestiario più adeguato per la visita: fortunatamente non fa abbastanza caldo per andare in giro con abbigliamento estivo, solo che sia io che Paul siamo vestiti di nero da cima a fondo e, con tutta probabilità, la gente che passa ci sta scambiando per becchini o goth… il mio amico indossa una giacca di pelle, una felpa e pantaloni neri e sneakers bicolore, mentre io indosso una giacchetta di jeans, una felpa con cappuccio, pantaloni aderenti e anfibi sempre in unica tinta, e sono anche truccata sebbene non troppo.
Entrati in punta di piedi, quasi temendo di fare rumore, notiamo che vi sono pochi turisti nella chiesa: la sensazione di vuoto data dal soffitto altissimo, dalle molte colonne e dalle pareti forate da finestre è soverchiante, così come la bellezza complessiva delle vetrate colorate, delle sculture e dei tre organi a canne che distinguiamo in tre diverse zone. Eccetto un lieve chiacchiericcio di fondo, il luogo è silenzioso e ogni minimo suono riecheggia ingigantito tra le pareti di pietra. In silenzio io e Paul facciamo un giro, fermandoci qua e là ad ammirare qualcosa in particolare e comunicando solo tramite sguardi e leggere gomitate per non rovinare in qualche modo l’atmosfera pacifica che regna.
Dopo vari minuti usciamo da lì, trovandoci di nuovo immersi nell’andirivieni di persone e nel calore del sole di maggio che cerca di addolcire il fresco clima che permane ancora; seguendo la mappa a nostra disposizione proseguiamo il cammino e attraversiamo il ponte sul fiume Pegnitz e ci fermiamo nel cuore dell’Altstadt, davanti ad un’altra chiesa dalla facciata peculiare, su cui vi è un orologio.
«Fico!» commenta Paul, fissando la facciata, poi si volta e intravede una fontana. «Ancora più fico! Questo posto è fantastico!»
«Sì!» mi entusiasmo anche io come una bambina e poi rido, è bello sentirmi in qualche modo tornata piccola per un breve lasso di tempo mentre faccio la turista perditempo.
«La chiesa di san Sebaldo promette bene, vedendo le foto» commenta il mio accompagnatore, di nuovo col naso fra le pagine «e pensare che le bombe l’avevano semidistrutta… il lavoro di ricostruzione è stato magistrale!»
Giunti dalle parti di quest’altro tempio seguendo le indicazioni, quasi non ci accorgiamo di aver di fronte l’ingresso: manca il grande portone centrale che di solito si riscontra in mezzo alle due porte laterali e più piccole, e di fronte a noi svetta un enorme crocifisso appeso a quel muro.
Una volta entrati, gioisco interiormente nel notare che non c’è assolutamente nessuno all’interno e il silenzio è pressoché totale. Qui dentro dai lati e persino dall’abside entra molta più luce, resa multicolore dalle pitture delle finestre istoriate, che si riflette sulle lucide canne dell’organo e su qualunque cosa ci sia nei paraggi: la sensazione che ne viene è quella di un luminoso abbraccio ed è così forte che decido di sedermi su una panca per poterla metabolizzare meglio. Paul non proferisce parola nel vedere le mie azioni, forse la sua empatia gli ha suggerito la rara e delicata situazione che si sta verificando.
Resto muta per qualche tempo, gli occhi fissi su un punto qualsiasi della parete di fondo; nella mente rivedo per breve tempo immagini di una me adolescente, con capelli lunghi mai tinti, a malapena due orecchini, niente piercing o tatuaggi, la faccia pulita senza trucco, costretta in abiti più “normali”, imbronciata e al seguito dei genitori tutti ben vestiti per la messa della domenica a dispetto dell’assenza di un codice di abbigliamento stretto… oh beh, loro erano pur sempre simpatizzanti con i battisti più estremisti che per quanto ne so hanno anche imposizioni più rigorose, se ci fosse stata nella nostra zona una chiesa battista amica di quei pazzi esaltati l’avrebbero certamente frequentata, invece non ce n’erano, si dovevano accontentare del luogo e delle persone che lo frequentavano.
Dopo aver visualizzato queste cose, il pensiero torna al presente: dopo almeno cinque anni sono entrata di nuovo in una chiesa, di mia spontanea volontà, con un look che i miei genitori sicuramente non mi avrebbero mai permesso, ma alla fine chi se ne frega. Ho abbandonato il credo inculcatomi dai miei genitori, ma non mi sembra né strano né disdicevole credere che ci sia effettivamente un’entità superiore da qualche parte, probabilmente troppo occupata a pensare ad altro o impotente ad agire se non attraverso gli uomini. Per me non è più quell’opprimente tiranno che emergeva dalle parole e dalle credenze dei miei genitori bigotti.
Vecchio barbuto, chiunque tu sia, qualunque cosa tu sia di preciso, non ce l’ho con te, almeno non più.
Appena dopo aver formulato questo pensiero mi sale un groppo in gola, esce qualche lacrima ma l’asciugo più velocemente possibile. Mi rialzo, sorridendo a Paul per tranquillizzarlo, e infine usciamo da quel luogo che, così come Los Angeles mesi prima, mi ha fatta sentire accolta e in pace.
Il giro turistico prosegue ancora per un po’ prima che ci si fermi per un rinfresco; la parlantina che in precedenza sembrava scomparsa torna di gran carriera.
«Annuncio che Norimberga è ufficialmente entrata nella lista dei miei posti preferiti!» esclamo mentre sorseggio la mia bibita fresca.
«Si era capito fin dall’inizio della camminata» ride Paul, tornando ad ingozzarsi di noccioline. «L’Europa è davvero niente male, non ha moltissimo da invidiare all’America a parer mio.»
«Concordo.»
Sulla via del ritorno mi rendo conto di non ricordare minimamente la distribuzione delle camere da letto, per cui, giunta in hotel, mi siedo su un divanetto nella hall per una telefonata; in quel momento spunta dal nulla Shavo.
«Shavo!» lo chiamo, sventolando una mano: mi pare quasi che sobbalzi un po’ al mio saluto prima di raggiungermi. «Come mai questo spavento?»
«Ero sovrappensiero, soltanto questo» risponde lui, grattandosi la testa per qualche secondo. «Com’è andata la tua visita turistica?»
«Benissimo!» esclamo, tutta contenta. «Questo posto è davvero molto bello, avrei voluto che ci foste anche voi con me.»
«Anche a me avrebbe fatto piacere esserci, sono sicuro che gli altri siano d’accordo con me… se non avessimo avuto q-quell’imprevisto, saremmo venuti certamente.»
«Già… a proposito, avete risolto?»
«Ehm… nì… Serj e gli altri stanno ancora rimediando.»
«Capito. Gentilmente, puoi ricordarmi come ci siamo organizzati per le camere?»
«Eravamo organizzati diversamente prima, ma sul posto abbiamo pensato ad alcuni cambiamenti opportuni, lo staff ce lo ha permesso, e abbiamo fatto in modo da farti condividere una camera doppia con Daron.»
«Oh, meglio così… allora lo raggiungo in camera.»
«Aspetta!» il bassista mi si para davanti visibilmente allarmato; aggrotto la fronte, perplessa di fronte al comportamento bizzarro del ragazzo. «Oltre a lavorare per risolvere quella questione, i ragazzi… ehm… sono rimasti chiusi nella camera che devi condividere con Daron… p-porta difettosa, si è anche rotta la loro c-chiave e non era saggio tentare anche con il passepartout… è stato già chiamato un fabbro m-ma ancora non si sa quando arriverà, ha detto che aveva ancora da fare…»
«Da quando balbetti, Shavarsh?» lo prendo in giro bonariamente, seppur intimamente sospettosa al riguardo di tutta questa faccenda così oscura.
«Scusa, è che queste cose mi fanno venire l’ansia e mi fanno impappinare» replica lui, asciugandosi una goccia di sudore dalla fronte.
«Capisco… tranquillo» sorrido, mettendogli una mano su una spalla. «Dunque non posso nemmeno usufruire della stanza per una doccia… come posso fare adesso?»
«Il tuo bagaglio è nella camera che devo dividere con Serj, se vuoi puoi usare il bagno lì… per rispetto della tua privacy rimarrò fuori per tutto il tempo che ti serve.»
«Oh, potrebbe andare… non c’è nemmeno bisogno che ti chiuda fuori, mi porto l’occorrente in bagno e il gioco è fatto, no?»
«Effettivamente…»
Ancora piena di dubbi seguo Shavo su per un paio di rampe di scale, lungo un corridoio dipinto di verde pastello e ben illuminato e infine in una camera doppia spaziosa, arredata in maniera semplice ma fine, con le pareti verniciate di un tenue azzurro e una grande finestra che dà sulla grande strada sottostante. Il mio bagaglio è posato contro il muro proprio all’ingresso; una volta chiusa la porta raccolgo la roba necessaria, convinco Shavo a non auto-sfrattarsi dalla stanza per assenza di reale necessità e poi mi chiudo in bagno. La sensazione di rilassamento portata dall’acqua corrente è incredibile, sento tutti i muscoli delle spalle contratti sciogliersi… ma non posso rimanere sotto il getto per un secolo.
Dopo essermi asciugata per bene mi rivesto, poi asciugo i capelli con pazienza; ho scelto di indossare la mia biancheria più fine in vista della condivisione di letto con il mio ragazzo e del mio compleanno e sono già curiosa  riguardo alla possibile reazione del chitarrista…
«Ho una fame…» commento, uscendo dal bagno e trovando Shavo seduto sul letto, con aria intenta e il cellulare fra le mani. Si starà tenendo in contatto con gli altri, suppongo.
«Anche io» replica, con un sorriso «e per fortuna si mangia a breve, ho consultato gli orari dei pasti.»
«Bene! Hai notizie degli altri?»
«Sì, ha detto Serj che conviene che iniziamo a scendere per la cena… pare che il fabbro sia quasi in dirittura d’arrivo, dunque ci raggiungeranno più tardi.»
«Capito… allora andiamo.»
Scese le scale, in un salone finemente ammobiliato e luminoso, la vista della cena a buffet ci fa perdere qualunque dignità e ci fiondiamo sul cibo, affamati come non mai; per diverso tempo si sente soltanto il suono delle nostre mascelle. Quando la fame inizia a placarsi un po’ Shavo ed io riprendiamo a scambiare qualche chiacchiera, occasionalmente lui controlla anche il cellulare per vedere se ci sono news e pure io faccio lo stesso. Un poco di rumore e di vociare proviene dalla hall ad un certo punto, forse è finalmente arrivato il fabbro… ovviamente non capisco una singola parola di tedesco, quindi non ho idea di cosa si stiano dicendo.
Proprio quando io e il bassista facciamo per alzarci da tavola, finalmente sazi, tre figure familiari compaiono sulla soglia della sala e ci corrono incontro.
«Siamo liberi!» esala Daron e mi abbraccia, ansante.
«Alla buon’ora, ma il fabbro è infine venuto» dice Serj, con un leggero tono brontolante di fondo. «Avete mangiato come vi avevo suggerito di fare?»
«Certo papino!» scherza Shavo, schivando poi uno scappellotto.
«Bene, ora finalmente mangeremo anche noi prima che chiudano tutto e ci buttino fuori a pedate» ride John. «Ho notato che di fianco a questa sala c’è una sorta di salottino con un pianoforte, dopo vi va di fermarci un po’ lì per chiacchierare e magari suonare un poco?»
«Fantastico! Sì!» esclamo, saltando su tutta contenta. «Io e Shavo andiamo ad aspettarvi lì allora. Buon appetito!»
Lasciamo che i ragazzi vadano a mangiare e raggiungiamo la suddetta sala: è tappezzata con una carta da parati di un tenue color pesca, costellata di sedie dalla fattura alquanto fine e occupata da due divanetti fatti allo stesso modo su almeno due lati; vicino alla grande finestra vi è collocato un pianoforte a mezza coda nero, dall’aspetto un po’ consunto.
«Vediamo come sta messo lo strumento» dico, pensierosa, avvicinandomi e toccando un tasto: il suono è pulito e nemmeno troppo scordato, probabilmente è stato accordato di nuovo di recente e non molto usato.
«Pensavo peggio» commenta Shavo, annuendo. «Sai suonarlo?»
«Più o meno. Ho studiato per qualche anno da piccola e poi non più, credo di saper al massimo strimpellare qualcosa con accordi semplici. Attendiamo gli altri, sono certa che almeno Serj sia più capace di me…»
Dopo un’attesa relativamente breve finalmente il resto di noi ricompare nel nostro campo visivo; mi affretto a liberare lo sgabello davanti al pianoforte per poi sedermi su uno dei divanetti lì vicino mentre Daron mi raggiunge, si siede e mi attira a sé con un braccio.
«Tutto okay, cosina?» mi chiede, sorridendomi. «Com’è andato il tuo giro turistico?»
«Molto bene, grazie» rispondo, sospirando di contentezza «Norimberga è un bel posto. Sarebbe stato ancora più bello vederla con te, però.»
«Come sei dolce!» il sorriso del chitarrista si allarga, così come il mio, e mi tendo verso di lui per un bacio.
«Quanto zucchero» fa John, fingendo di svenire.
«Sempre molto spiritoso, Dolmayan» lo rimbecca l’altro, con tanto di linguaccia.
«Tu invece stai bene?» domando, quasi sottovoce.
«Sì, piccola, sto bene» risponde, depositando poi un bacio sulla mia fronte.
«Ebbene, che si fa qui?!» esclama Serj, tirando fuori per un attimo il suo vocione.
«Prego, maestro, si accomodi al pianoforte e ci faccia sognare» proclama il chitarrista, con tanto di gesto d’invito fatto con entrambe le braccia.
«Uh mamma, che emozione e che onore» scherza il più vecchio, facendo finta di essere un novellino imbarazzato, poi si siede sullo sgabello del pianoforte e si prepara ad iniziare.
Fra i vari brani, perlopiù improvvisazioni o cover e giusto un paio di brani pianistici più “classici”, dei quali molti riconosciuti in poco tempo, quello che mi colpisce quasi come un pugno in pancia al sentire le prime note è “Tears in heaven” di Eric Clapton… era una delle canzoni preferite di mio zio, una di quelle che ascoltavo pensando a lui dopo la sua morte. Lo sforzo di trattenere le lacrime è notevole.
«Hey Nikki, tutto okay?» Serj si ferma a poco dalla fine della canzone, accortosi che qualcosa non va, si alza e viene da me.
«Sì, Serj, tutto okay… ho dei ricordi non felici legati a questa canzone, tutto qui» rispondo, tirando un attimo su col naso mentre l’abbraccio di Daron si fa un poco più stretto e gli altri due mi guardano con dolcezza e comprensione.
«Allora sarà il caso di puntare a qualcosa di più allegro…»
Eccetto quel momento, il resto della serata passa in serenità e divertimento; ad una certa ora i ragazzi iniziano ad essere vistosamente stanchi e capisco che è arrivata per tutti l’ora di andare a letto.
«Porto il vecchio a letto prima che gli si sloghi la mascella a furia di sbadigliare» scherza Shavo, trattenendo anche lui uno sbadiglio, ridacchiando quando il cantante gli rivolge un’occhiata in tralice.
«Io devo raggiungere Sako che chissà da quante ore starà già dormendo… meno male che mi ha lasciato la chiave» commenta John, strofinandosi un occhio.
«Bene, anche noi andiamo» dico, tenendo per mano il mio ragazzo. «Buonanotte ragazzi!»
Seguo Daron in silenzio per tutto il percorso, simile a quello già fatto in precedenza al seguito del bassista, e lo osservo mentre armeggia con le chiavi per aprire.
«Prego» mi invita ad entrare per prima, con un gesto.
«Oh, troppo gentile» replico, lusingata. Metto un piede dentro la stanza ancora buia e tocco con la punta dell’anfibio qualcosa di morbido che produce un rumore “plastico”; arranco un poco con la mano e, quando finalmente trovo l’interruttore e riesco ad accendere la luce, mi si para davanti una scena inaspettata.
La camera è invasa di palloncini multicolore di ogni dimensione!
«Ci sono anche dei bicchierini d’acqua nascosti sotto i palloncini» mormora il chitarrista, con tono divertito e dispettoso «chi riesce ad arrivare al letto facendone cadere meno possibile vince e il perdente paga pegno a scelta. Ci stai, bestiolina?» aggiunge, lasciandomi un piccolo bacio vicino ad un orecchio.
«Oh, sai che adoro le sfide, antipatico» replico, senza riuscire a trattenere un brivido e un sorriso finto malefico. Inizio a procedere con cautela, ma in soli cinque passi sento più volte rumore di plastica accartocciata e il suono dell’acqua che mi finisce sui piedi e talora schizza sui miei jeans. Ad un certo punto inciampo pure, finendo immersa nei palloncini, e scoppio a ridere per la situazione comica in cui mi ritrovo prima di avviarmi verso il letto strisciando, tastando il pavimento per incrociare altri eventuali bicchieri prima che li calpesti o li versi.
«Sto per raggiungerti, se ti acchiappo sei spacciata!» annaspa Daron, un metro più dietro, troppo impegnato a ridere per poter procedere in maniera attenta e veloce.
«Oooh, che paura» lo sfotto, ormai vicina alla meta. Improvvisamente mi sento trattenuta per un piede e mi sfugge un singulto di lieve spavento prima di capire che, ovviamente, solo il chitarrista può essere stato a giocarmi questo tiro; per vendetta mi trascino con più forza e faccio sì che incappi in ogni singolo bicchiere sul percorso.
«Ho vinto» ansimo, tirandomi finalmente sul letto con ancora il ragazzo attaccato ad una mia gamba «ho bagnato soltanto scarpe, una zona sul polpaccio e un’altra zona su una manica! Tu sei messo maluccio» commento, divertita: lui ha bagnato le sneakers, una coscia e un’ampia zona che spicca notevolmente più scura sulla sua t-shirt viola.
«Uff!» brontola il ragazzo, fingendo cocente delusione. «Però si può sempre rimediare» ridacchia, con tono perfido; sento una zona del davanti della felpa bagnarsi e uno splash sonoro…
«Ma allora è guerra!» esclamo, dopo essermi tolta gli anfibi, sporgendomi dal letto per recuperare un paio di bicchierini dal pavimento; ha luogo una battaglia senza esclusione di colpi in cui i nostri vestiti diventano progressivamente bagnati e, in dei punti, persino fradici… lancio su una sedia la giacca e la felpa tolte frettolosamente, tenendo la mia t-shirt nera non ancora troppo bagnata, poi torno all’attacco e mando a segno altri due colpi contro il mio ragazzo, uno all’altezza del petto e uno quasi all’altezza dell’inguine.
«Oh, ti sarai mica fatto la pipì addosso per la paura?» lo canzono, ridendo di gusto mentre mi affretto a rifornirmi di “munizioni”.
«Pare sia successo anche a te, sai?» un’altra volta Daron centra un bersaglio sul mio corpo prima che possa difendermi; ormai mi ha raggiunta sul letto.
«Questa me la paghi!» protesto, fiondandomi sul ragazzo. Cerco di placcarlo sotto di me, ma lui elude la mia presa e inizia a farmi il solletico, ben sapendo che non gli resisterò a lungo; non cedo soltanto per un arduo sforzo di concentrazione, ma poco dopo entra qualcos’altro in gioco… finalmente riesco a fermarlo e lo bacio, poi entrambi veniamo presi da un impeto e ci spogliamo in fretta e furia dei nostri vestiti bagnati. Ho una posizione di “potere” sul mio ragazzo che mi eccita alquanto e che mi porta ad essere sfrontata, così mi strofino sul suo bacino, l’unico ostacolo al contatto la nostra biancheria intima, ma quella mossa si rivela controproducente poiché Daron riesce a capovolgere le posizioni, dopo avermi privato di un altro indumento con una straordinaria e veloce precisione, e a quel punto soccombo al suo attacco passionale: le sue labbra bollenti vanno continuamente dalla mia bocca al mio petto, sui capezzoli già induriti dall’acqua fredda che mi ha impregnato gli abiti prima, e io non riesco a fare altro se non aggrapparmi alla sua schiena con le unghie, abbastanza corte da non aprire squarci.
Dopo ancora alcuni minuti di contatto fisico stretto e segnato da una certa foga, facciamo l’amore con la stessa passione della nostra prima volta, placando il desiderio attizzato da giornate occupate senza spazi e privacy per poter stare insieme in quel modo; dopo la fine del nostro momento d’amore diversi minuti trascorrono soltanto fra respiri terribilmente affannati, e il silenzio viene interrotto all’improvviso soltanto da un suono breve proveniente dal cellulare del ragazzo, forse un sms o un promemoria. Daron allunga in fretta un braccio per riportare l’apparecchio al suo stato di quiete, con la solita aria corrucciata che assume ogni qual volta ha a che fare con la tecnologia, poi torna ad abbracciarmi con forza, non intenzionato a staccarsi presto da me.
«Buon compleanno, piccola!»
Oh, cavoli, è già mezzanotte?! E sono già ventiquattro anni per me?
«Sta correndo troppo, il tempo» mugolo, con le mani in faccia, attenta a non spargere ulteriormente l’eyeliner già rovinato sul resto della faccia. «Grazie mille, tesoro…» replico, con un sorriso da un orecchio all’altro, tendendomi verso Daron per dargli un bacio.
«Spero ti sia piaciuta la sfida nei palloncini con l’acqua, c’è voluto l’intero pomeriggio per preparare tutto!»
All’improvviso il chitarrista prima sorride, poi scoppia in una sonora risata che riecheggia nella stanza silenziosa; l’illuminazione giunge e capisco finalmente cosa c’era dietro alle stranezze di quel pomeriggio.
«Quindi non c’è stato nessuna faccenda seria e privata da risolvere col management oltreoceano e nessun problema con la porta, vero? Dovevo intuirlo che stessi macchinando qualcosa, furbone!» mi sbatto una mano sulla fronte.
«Proprio così» gongola il ragazzo, soddisfatto. «Ci sei cascata come una pera cotta! Anche Paul ha collaborato, portandoti in giro, era fondamentale che lo facesse, così io, Serj e John abbiamo avuto il tempo di allestire questo scherzo.»
«Oddio, mi sento una scema totale in questo momento…»
«Ma no, dai, è stato meglio così, almeno la sorpresa ha avuto ottimo esito!»
Sorrido ancora, poi riabbraccio il mio ragazzo, con il naso semi-schiacciato contro l’incavo della sua clavicola sinistra. «Grazie davvero, hai reso questo compleanno il migliore dei miei ventiquattro e prevalentemente tristi anni di vita… non sono certissima di aver meritato tutto questo, ma sono invece sicura che non smetterò mai di ringraziare te e gli altri…»
«Te lo sei meritato eccome, cosina, meriti di essere felice» mormora lui in risposta, stringendomi a lui con fare protettivo; le sue carezze fra i capelli e sulla nuca sono l’ultima cosa che percepisco prima di addormentarmi accoccolata contro il suo corpo.

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Capitolo 37
*** Fulfilled ***


Ciao a tutti!
Mi sono appena resa conto che è passato quasi un anno dal mio ultimo aggiornamento... mi scuso perché in quanto lettrice so quanto sia pesante attendere un aggiornamento, ma ho delle spiegazioni per questo che riassumerò con assenza di pc (anche quello che potevo usare prima talvolta all'uni è ora alquanto off-limits) e vari problemi personali che hanno portato ad una totale battuta di arresto su tutti i fronti creativi e da cui mi sto riprendendo solo ora.
So che questo capitolo è probabilmente qualitativamente inferiori ad altri che ho prodotto finora, ma spero possiate capirmi in virtù delle ragioni esposte e, d'ora in poi, farò in modo di non fermarmi e lasciarmi fermare più e di continuare a scrivere per sfogare ed esorcizzare, mi è mancato tanto da far male...
Sono contenta di essere qui a pubblicare di nuovo, e ringrazio calorosamente tutti i lettori e recensori, abituali o giunti durante la mia pausa, per l'affetto e la pazienza! Soprattutto le mie adorate KimWinterNight e Soul_Shine che in questi mesi mi hanno dato spunti e suggerimenti utilissimi oltre ad un grande supporto <3
Buona lettura!



 
Il mattino giunge dopo un tempo apparentemente lunghissimo; fasci di luce entrano dalle finestre e si depositano sul letto, a non molta distanza dal viso. Apro gli occhi lentamente e constato con una certa sorpresa che sia io che Daron siamo ancora nella stessa posizione in cui ci siamo addormentati, lui a pancia in su e io con metà corpo spiaccicata su di lui e la testa abbandonata sul suo torace… il ragazzo non dà alcun segno di risveglio: il suo viso è incredibilmente disteso, i suoi capelli sono spettinati e sparsi sul cuscino e dalle sue labbra socchiuse il respiro esce lento e poco rumoroso. La vista fa fremere di gioia il mio cuore: tendo una mano verso di lui con la massima cautela e traccio delicatamente il contorno della sua mascella, sentendo la barba pizzicare sotto i polpastrelli… voglio svegliarmi di fianco a quest’uomo per il resto della mia vita per godere di questo spettacolo ogni mattina. 
Il mio limbo di pensieri e sensazioni viene interrotto da un basso mugolio che segnala il possibile risveglio di Daron e cerco di non sobbalzare violentemente proprio per non spaventarlo… mi allontano di pochi centimetri e vedo il ragazzo muoversi, sebbene ancora ad occhi chiusi, e giusto mentre mi accomodo di nuovo sul mio cuscino succede qualcosa: abbandona la testa sul mio petto e torna a dormire beatamente, in una posizione identica alla precedente ma invertita nei ruoli. Arrossisco, presa alla sprovvista, poi il calore del suo corpo mi concilia di nuovo il sonno e si torna così nelle braccia di Morfeo ancora ben disposte ad accoglierci.  
 
La suoneria del telefono della stanza interrompe infine il sonno di entrambi, dopo un tempo a malapena quantificabile; ad occhio e croce è abbastanza presto e il mezzogiorno è lontanoDaron, chiaramente scontento del risveglio, si trattiene dallo sbuffare e preferisce schiarirsi la voce prima di sollevare la cornetta. 
«Qui Daron Malakian.» 
«Ben svegliatonano!» persino io riesco a sentire un vocione possente familiare provenire dall'apparecchioed appartiene a Serj«A breve si partedunque provvedi a sollevare il tuo grazioso culetto dal materasso e preparati!» 
«Agli ordini, capo» sbadiglia il chitarristachiudendo la telefonata; lo osservo stiracchiarsi per bene, emettendo qualche grugnito. 
«Cosina, la partenza è imminente» dice, riavvicinandosi a me e accarezzandomi i capelli «purtroppo la pacchia è finita.» 
Mi sfugge un grosso sbadiglio mentre sposto controvoglia le coperte; dopo una rapidissima rinfrescata, indossando soltanto della biancheria pulita e più comoda di quella tolta la sera prima, cedo il bagno al ragazzo e nel mentre raccolgo i vestiti in parte sparsi sul pavimento. Una volta finito, recupero una busta per raccogliere tutti i bicchieri di plastica usati, poi si pone un dubbio: come smaltire i palloncini? Sgonfiarli sciogliendo i nodi uno per uno richiederebbe un secolofarli scoppiare produrrebbe casino... alla fine decido per lseconda opzione, ripromettendomi di essere più svelta possibile, e dopo aver messo da parte un palloncino nero e piccino che intendo conservare mi butto a capofitto nella mia opera.  
Non appena il primo palloncino esplode con un sonoro botto, il chitarrista trasalisce violentemente in bagno. «Che diamine è stato?!» poco dopo compare sulla soglia, allarmato e coperto soltanto da un asciugamano in vita ma altrimenti asciutto. «Ah, ora capisco... avvisare no, eh? Mi è preso un colpo!» ansima, portando le mani sul petto. 
«Perdonaminon l'ho fatto apposta!» con facilità tiro fuori lo sguardo più languido che io riesca ad assumere e vedo il ragazzo perdere la sua aria contrariata a favore di un sorrisetto malandrino. 
«Aspettamicosinavengo in tuo aiuto.» 
«Sai che faremo morire di paura tutti e probabilmente ci cacceranno dall'hotel calci?» 
«Nahstai tranquilla.» 
In due finiamo in tempo record di disfarci dei pallonciniprepararci e rimettere in valigia le poche cose usate. 
«Visto, paparinoPronto in tempo!» appena incontriamo gli altri nella hall il chitarrista inizia subito a pavoneggiarsi con Serjche tuttavia lo scruta con aria leggermente truce. 
«Hai solo fatto il tuo doverenano» replica il cantanteimprovvisamente lo acchiappa e gli strofina un pugno chiuso sulla testa con fare giocoso mentre il collega annaspa e tenta di divincolarsi. «Sei un'adorabile peste!» 
«Mi hai spettinato!» il collega finge di crucciarsi per i suoi capelli, ora ancora più disordinati e riottosi di prima.  
«Come se normalmente tu fossi più ordinato...» sogghigna Shavo, guadagnandosi un’occhiataccia. 
«Ma oggi è una ricorrenza importante!» salta su Sako dal nulla, correndomi poi incontro per stritolarmi tra le sue robuste braccia. «Auguri, Gray, ti sei fatta vecchia di un altro anno!» esclama, dandomi qualche fraterna pacca sulla schiena. 
«Se fossi vecchia come dici allora dovresti essere più delicato con i gesti di affetto!» annaspo leggermente, ridendo e ricambiando la stretta. «Grazie, vecchio mio!» 
«Auguri al nostro tecnico dai molti talenti!» appena il tecnico della batteria mi lascia andare si fa avanti Shavo, il cui abbraccio è meno soffocante ma ugualmente affettuoso. 
«Auguri, piccola Nikki!» esclamano in coro John e Serj, prima di regalarmi anche loro un abbraccio a testa e dei baci sulle guance come gli altri.
«Tu
 le hai fatto gli auguri, nano malefico?» 
«Ovvio» Daron risponde in tono oltraggiato, incrociando poi le braccia «sono stato il primo, a mezzanotte.» 
«Ma che bravo!» lo prende in giro Sako. «L’hai tenuta sveglia per questo o l’hai lasciata dormire?! Mi auguro che la seconda ipotesi sia quella giusta!» 
A quel punto un rossore diffuso colora gli zigomi del chitarrista e anche io percepisco il calore in aumento della mia faccia mentre fisso un punto a caso nel vuoto per combattere il lieve imbarazzo. «Karaian, sei un dannato indiscreto! Ma sarò magnanimo e lascerò correre...» 
Gli altri trattengono una risata, poi cambiano rapidamente argomento di conversazione. Alzo lo sguardo e incontro quello del chitarrista: gli sorrido e lui mi sorride di rimando, poi mi fa l’occhiolino e mi manda un bacio e non riesco ad evitare di arrossire di nuovo, sia per i gesti che per il ricordo della notte passata. 
 
Di nuovo in viaggio, un po’ di traffico rallenta la nostra uscita da Norimberga e la lentezza mi risulta stranamente pesante. Dapprima mi guardo intorno, resistendo alla tentazione di ricorrere già alle cuffiette, ma dopo non molto cala una sensazione di sonnolenza a dispetto della recente dormita; accetto l’auricolare offertomi da Daron, ma dopo non molti minuti sento le palpebre farsi incredibilmente pesanti e nel giro di circa un minuto cedo al sonno, appoggiando la testa su una spalla del ragazzo. Non so quanto tempo sia passato nel momento in cui mi ridesto, inavvertitamente finita in tutt’altra posizione – accoccolata nel grembo del chitarrista, ancora quietamente dedito all’ascolto di musica – e leggermente stordita. Sento un lieve chiacchiericcio distante e la curiosità mi risveglia del tutto; l’apparizione di Serj nel mio campo visivo infine dà risposta alle mie domande.  
«Siamo in dirittura d’arrivo a Nürburg annuncia, con un sorriso. 
«Buono a sapersi» rispondo, prima di coprirmi la bocca per sbadigliare. «Com’è il tempo fuori?» 
«Poco nuvoloso, ma pare che qui faccia persino più fresco che a Norimberga, quindi conviene coprirsi.» 
Scendendo dal bus, una brezza quasi fredda mi muove un ciuffo di capelli sulla fronte ma non accuso minimamente il freddo, avvolta nella mia felpa e nella mia giacca di pelle.
«Siamo leggermente in mezzo al nulla o è una mia impressione?» dice Daron, guardandosi intorno con aria perplessa mentre aspettiamo che lo staff ci raggiunga. 
«Penso di sì» replico, pensierosa «non vedo grandi e alti palazzi in lontananza, quindi probabilmente siamo nei paraggi di un villaggio. Ma quella che si vede da qui è la pista di F1, il Nürburgring?» 
«Sì!» nelle mie orecchie scoppia improvvisamente la voce di Sako, apparso nelle vicinanze. «Il festival Rock am Ring si tiene là. Praticamente il villaggio sussiste ancora grazie a questo posto, mi sa...» 
«Nikki!» prima di potermi voltare, due persone mi piombano addosso e mi abbracciano contemporaneamente; subito capisco che si tratta di Paul e Bree. «Tanti auguri!» 
«Grazie mille, ragazzi!» rispondo, contenta. Gli altri membri della crew, avendo notato il clamore, si avvicinano a farmi gli auguri anche loro, senza grandi cerimonie e gesti di affetto, e li ringrazio con garbo; il tutto si svolge sotto l’occhio attento ma tranquillo dei ragazzi. 
Dopo aver sistemato tutto nelle stanze e aver placato la fame a pranzo, resta un pomeriggio senza molto da fare e i ragazzi si ritirano nelle proprie camere con aria pensierosa, forse intenti a cercare un modo produttivo per passare il tempo. Appena ritornati in camera, Daron si libera dei vestiti e si stende sul letto senza troppa grazia, per poi assumere una posizione quasi da dormiente, poi mi osserva mentre prendo alcune cose dalla mia valigia e, dopo una rapida rinfrescata, torno in camera con un top e degli shorts di cotone banali, neri e comodi. 
«Cosina, non c’è niente che vuoi fare oggi per il tuo compleanno?» domanda lui, senza smettere di osservarmi. 
«Non ho nemmeno idea di cosa si possa fare in questa zona, onestamente» rispondo, sedendomi sul letto. «Dovremmo provare a chiedere a Paul, visto come se l’è cavata a Norimberga col giro turistico.» 
«Mi sembra una buona idea, potremmo coinvolgere anche gli altri, così non restano soli ad annoiarsi qui. Ma prima...» 
Nemmeno il tempo per fare qualsivoglia domanda e mi ritrovo catapultata a gambe all‘aria sul letto, stretta fra due braccia, le cui mani iniziano poi a solleticare. 
«Daron, no! Che stronzo che sei, mi hai attaccata alle spalle!» annaspo, rido e cerco di liberarmi dalla presa e in qualche modo pure ci riesco; a quel punto inizia una lotta all‘ultimo pizzicotto e all’ultima solleticata, che si conclude dopo pochi minuti con me vincitrice che blocco sotto di me il perdente sfruttando il peso. 
«Ti ho lasciato vincere perché oggi è il tuo giorno, sappilo» scherza il chitarrista, leggermente ansante. 
«Non so se sei più imbroglione per questo o più faccia di bronzo perché stai cercando di giustificare la tua disfatta» fingo di essere offesa, incrociando le braccia e girando la testa. «Sei-» 
«Baciami.» La richiesta di Daron, formulata a voce abbastanza alta per interrompermi, ma in tono basso e un poco gutturale, mi coglie alla sprovvista. Torno a guardarlo, noto i suoi occhi languidi, le labbra schiuse, il collo disteso e una generale attitudine arrendevole e il suo stesso languore e desiderio mi pervade. Le sue palpebre si abbassano mentre ancora c’è qualche centimetro di distanza tra i nostri visi e, dopo un lieve tocco ad un angolo della sua bocca, le mie labbra sono contro le sue. Con una mano che quasi in automatico va a poggiarsi sul suo petto completo l’estasi del momento, percependo la calda morbidezza della pelle e il battito cardiaco al di sotto. 
«Ora che ci ripenso, a parte le sorprese di ieri non ti ho fatto un regalo vero e proprio» sono le prime parole che Daron tira fuori, una volta finito il bellissimo momento condiviso, proferite in tono basso e con una vena di imbarazzo. 
«Scherzi? Erano dei bei regali anche quelle!» esclamo, arruffandogli i capelli. «E poi, so che è sdolcinato da morire, ma penso che come regalo tu possa andare più che bene.» 
«Oh, una bestiolina romantica, chi l’avrebbe mai immaginato?!» il ragazzo scoppia a ridere, divertito assai. 
«Parla mister Romanticone!» ribatto, e lui risponde con una linguaccia. 
Due leggeri colpi alla porta annunciano l’arrivo di qualcuno; con un riflesso di risposta inusualmente veloce mi alzo, imitata da Daron che si riveste in fretta. Trotterello verso la mia destinazione, apro e la prima cosa che vedo è la zazzera bionda e arruffata di Paul. 
«Paul! Proprio a te pensavamo, poco fa» esordisco, con un sorriso a trentadue denti. 
«Oh, che onore!» si schermisce lui, scherzoso, poi torna serio dopo un leggero colpetto di tosse. «Serj mi ha implorato di organizzare qualcosa sia in virtù del tuo compleanno, sia per scacciare la noia e allora ho organizzato al volo un paio di cose ora sono venuto a proporre a voi questo piano dopo averlo già mostrato agli altri» riprende, con aria improvvisamente quasi professionale. 
«Entra allora, così ce lo illustri» lo invita dentro il chitarrista, curioso, ora di nuovo vestito e seduto a gambe incrociate sul letto. 
Il roadie entra con passo felpato e si ferma di fronte a lui, mentre io mi risiedo. «Ho proposto di andare prima a dare un’occhiata al Nürburgring, anche se dubito che al momento vi siano corse visto che ospita il Rock am Ring, e poi di recarci nel villaggio e al castello, che è su una collina vicina, nel quale si può fare una piccola visita guidata. Magari voi della band conoscete già il primo luogo, ma Nikki no...» 
«Mi sembra un buon piano. I miei colleghi di band cosa hanno detto? Sako?» 
«Tutti hanno dato parere positivo» replica il biondo, con un sorriso. 
«Bene! Anche io sono d’accordo. Tu, Nikki?» il chitarrista mi interpella, sorridendo a sua volta. 
«Anche io, senza dubbio! Tu sarai dei nostri, Paul?» 
«Direi di sì, essendo qui l’unico che mastica ancora un minimo di tedesco...» 
«Oh, giusto... viene anche Bree?» domando, curiosa. 
«Le ho fatto la proposta e si è detta disponibile.» 
«Benissimo! Allora ci prepariamo al volo e vi raggiungiamo nella hall.» 
«Perfetto, aggiorno gli altri. Ci si vede dopo!» si congeda Paul, uscendo dalla camera a passo leggero e chiudendo la porta con attenzione. 
Non vedo l’ora di iniziare il giro. 
 
«Woah, ma è immenso questo posto!» 
In piedi sugli spalti in una delle zone intorno al circuito di F1, dopo un breve giro nei dintorni, la visuale del luogo è amplissima: il verde circonda la pista e l’immenso palco del festival troneggia sulle strutture circostanti, alcune erette per l’occasione, altre preesistenti e normalmente usate come box delle auto da corsa. L’area concerti è ancora brulicante di gente e soltanto al vedere quello sciame umano si fa strada in me un leggero senso di agorafobia. 
«Sì! So che mi sentirò minuscolo su quel palco» conviene il chitarrista «ma cercherò di non pensarci scorrazzando di qua e di là. Lo farò mio!» 
«Immagino già la scena» rido, stringendogli un po’ la mano che tiene intrecciata alla mia già da tempo. 
«E noi, anche se lavoriamo, avremo la visuale migliore» mi fa Sako, con un’occhiata malandrina. 
Ci allontaniamo da lì, sotto l’occhio vigile di un uomo dello staff locale che occasionalmente interagisce con Paul e, usciti da lì, lo ringraziamo e ci lascia. 
«Bene, ora tocca al villaggio e al castello. Non vi dispiace fare una camminata, vero?» ci interpella Paul, tenendo tra le mani una mappa del luogo che è riuscito a procurarsi chissà quando. «Possiamo anche chiamare dei taxi se serve, ma non ho idea delle tariffe...» 
«Meglio a piedi, allora, se no sai che casino!» ride Shavo, grattandosi la testa. 
«E poi una camminata per smaltire il pranzo ci sta» aggiunge Serj, serafico. 
Insieme ci incamminiamo, chiacchierando in tranquillità, talora qualche autista di passaggio ci scocca un’occhiata strana, forse riconoscendoci come forestieri. Il cielo è ancora nuvoloso, ma non sembra che la pioggia sia in arrivo, per cui non affrettiamo il passo e la fatica si sente poco. Passando nel bel mezzo del villaggio ci guardiamo intorno, incuriositi dallo stile architettonico delle poche costruzioni, in parte inusuale per gli stranieri, e osserviamo l’andirivieni invero alquanto scarno degli abitanti che avviene intorno a noi. Alzando lo sguardo, il castello si erge proprio davanti a noi, ma si prospetta come minimo ancora un po’ di cammino per raggiungerlo. 
Dopo una breve sosta e un ultimo tratto di strada che va alquanto in salita, raggiungiamo la biglietteria posta all’ingresso del castello. L’edificio è chiaramente un’ombra del passato, ne resta in piedi forse poco, e in molti punti è visibile il lavoro di restauro applicato in tempi più recenti, ma rimane comunque interessante e vale la pena di arrivare in alto per godere di una visuale sicuramente fantastica.  
«Visto che oggi è il mio compleanno, mi sembra giusto che offra io» mi faccio avanti e pago per tutti, con molta tranquillità, prima che qualcuno possa fare qualunque cosa. «E non voglio sentire ragioni!» aggiungo con una risata, vedendo il mio ragazzo trattenere a fatica una protesta per il gesto che ho compiuto e poi alzare le braccia in segno di resa, mettendo su un finto broncio che contrasta con gli occhi sorridenti. 
Il giro all’interno del castello è alquanto breve ma non per questo noioso o frettoloso, e nel mentre l’audioguida ci illumina sul passato di questa fortezza, caduta in rovina e spesso distrutta o danneggiata. Tra corridoi, scale e scalette varie, di cui alcune al buio e a chiocciola al limite della claustrofobia, saliamo sempre più fino a giungere alla zona scoperta del muro che corre intorno alla fortezza e collega le torri. In quel momento ci si para davanti un panorama mozzafiato, che si stende per chilometri di fronte a noi, una distesa in cui predomina il verde, punteggiato da edifici e attraversato da strade. In lontananza riusciamo anche a vedere il Nürburgring, un grande ammasso grigio circondato dalle macchie di vegetazione circostanti. Vicino ad alcuni parapetti vi sono alcuni grossi binocoli su dei supporti, per poter vedere ancora più lontano. 
«Sembra un po’ di rivedere la mia natìa Armenia» ammette Shavo, guardandosi intorno con gli occhi che gli brillano, non si capisce bene se per la gioia o per una certa commozione. «Anche lì c’è tanto verde, come qui.» 
«Incantevole, non c’è che dire» commenta un sorridente Serj. 
Gli altri proferiscono qualche parola, sotto voce, come a non voler rompere la magia visiva di fronte a loro; Daron è incredibilmente taciturno e fissa ciò che ha davanti a sé, salvo occasionalmente voltarsi a cercare i miei occhi per rendermi partecipe della sua inespressa contentezza. 
«Ci vuole una foto!» 
«La scatto io, non amo troppo essere fotografato» si fa subito avanti Paul. 
«E no, dai, ti voglio nella foto con me! Sarà il mio ricordo tangibile di questo compleanno» protesto con vigore e subito vedo il ragazzo vacillare nella sua decisione, poi dà il suo assenso. «E va bene» si arrende «chiedo allora la cortesia a qualche turista nei dintorni.» 
In breve tempo troviamo un visitatore che ci fa questo grande favore e, poco prima dello scatto, qualcuno fa una battutaccia che mi fa scoppiare a ridere... perlomeno il sorriso sarà venuto bene!  
Ad opera compiuta, i ragazzi iniziano ad avviarsi verso l’ingresso dal quale siamo usciti prima, mentre io e Daron sostiamo ancora un po’ presso il parapetto, invece il biondo, tornato in possesso della macchina fotografica, si avvicina a noi. «Naturali e sciolti, vi faccio una bella foto ricordo» bisbiglia, facendoci l’occhiolino. 
Il chitarrista sembra un poco a disagio in un primo momento, poi segue la direttiva di Paul egregiamente. Il click e il flash ci immortalano davanti allo splendido panorama, l’uno di fronte all’altra, intenti a guardarci negli occhi con un sorriso leggero mentre lui tocca lievemente la mia guancia dal lato nascosto e io ho le mani posate sulla sua felpa, all’altezza della base del collo. 
«Bene, possiamo andare» sospira soddisfatto il nostro fotografo mentre ci avviamo giù per le scale. 

In previsione di una possibile levataccia all’indomani, la sera preferiamo non fare tardi e, con un ulteriore brindisi a cena, si concludono gli inattesi festeggiamenti del mio compleanno. 
Una volta pronta per dormire, mi concedo lo sfizio di buttarmi a peso morto sul letto, dove il mio ragazzo si è già accomodato in posizione fetale, provocandogli così uno spavento, ma le sue proteste si tramutano in risate nel momento in cui vado in estasi per la combinazione di lenzuola fresche più gambe nude e lisce. 
«Sei una bestiolina molto strana e divertente» ride, avvicinandomisi e poi stringendomi a sé. «Tutto okay, cosina?» 
«Sì, tutto okay» sospiro nel suo abbraccio, riempiendomi le narici del suo odore. 
«Soddisfatta della giornata?» 
«E c’è da chiederlo?! Credo sia stata una delle giornate più belle della mia vita, che si contano sulle dita di una mano. Il miglior compleanno di sempre, con le migliori persone che potessi mai volere al mio fianco.» 
«Sono felice di sentirti dire questo» replica lui, accarezzandomi lungo la colonna vertebrale per farmi rilassare,  scatenando così i brividi, e baciandomi a fior di labbra per darmi la buonanotte. 
Non vedo l’ora che sia domani. 

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Capitolo 38
*** Different places, different events ***


Ciao a tutti!
Rieccomi ad aggiornare con un bel capitolo lungo, che dapprima era pure troppo breve e poi, complice un'ondata di ispirazione, si è allungato ben oltre le previsioni! Speravo di riuscire ad aggiornare quasi due settimane fa, precisamente l'8 novembre, per onorare la ricorrenza del terzo "compleanno" di questa storia, ma per varie ragioni non sono riuscita >.< parte di queste ragioni resterà valida per l'attesa del prossimo aggiornamento, dato che il prossimo mese sarà tempo di esami per me e il tempo da dedicare alla scrittura si ridurrà significativamente, purtroppo :(
Ringrazio tutti i recensori e i lettori per l'affetto e per la pazienza, spero siate contenti di aver dovuto attendere meno dell'altra volta (:'D) e che vi piaccia questo aggiornamento :3
Buona lettura! <3





 

Il cielo su Nürburg è inaspettatamente grigio, velato ma senza minaccia apparente di pioggia, e l’aria è fresca ma non troppo; tutta la zona antistante il palco del Rock am Ring è affollata di gente, chi in t-shirt e chi in felpa, ma tutti ugualmente elettrizzati nell’attesa, in sintonia con la premura e la trepidazione che dominano la turba che ingombra il backstage, composta parimenti da tecnici e artisti. Molti di questi ultimi sono tedeschi, perlopiù sconosciuti, e nonostante alcuni cenni di saluto preferiscono tenersi in disparte, parlottando nella loro lingua e risultando dunque indecifrabili. 
Entrati nella fase di preparazione mentale pre-concerto, i ragazzi sono sparpagliati qua e là e ognuno cerca di domare la propria ansia da prestazione a modo suo ed è per questo che Shavo talora saltella sul posto, mentre Serj riscalda la voce, John ripassa le sue parti e Daron fissa il vuoto, quasi immobile, fumando meccanicamente una stecca di erba, forse già la seconda della mattinata. La sua apparente trance è interrotta da Sako, che gli si avvicina e gli bisbiglia qualcosa all’orecchio: a quel punto il chitarrista risponde annuendo, poi salta in piedi e improvvisamente inizia a trasudare euforia da tutti i pori. 
«Ciao ragazzi!» dal nulla spunta Ozzy Osbourne, fasciato come al solito nei suoi abiti scuri e armato dei suoi immancabili occhiali scuri e rotondi. «Pare che a breve tocchi a voi, miei cari colleghi di festival, quindi sono passato ad augurarvi buona fortuna.» 
«Grazie mille, amico» ringrazia Serj a titolo collettivo, con un sorriso. «Ci si becca più tardi, nel caso.» 
«Certamente» risponde l’altro, sorridendo e guardando ognuna delle persone davanti a sé, me inclusa per qualche ragione, poi se ne va. 
«Cinque minuti e tocca a voi» avvisa il tecnico della batteria. 
«Bene» commento, rivolta più che altro a me stessa, osservando i ragazzi nei loro rituali pre-concerto collettivi, e quando si dirigono verso il palco batto un pugno di incoraggiamento con ognuno di loro, salvo poi ricevere da parte del chitarrista anche un bacio sulla fronte che per qualche istante mi trasforma le rotule in gelatina. 
Finalmente il concerto inizia e, a parte un piccolo “intoppo” con un cameraman che resta insistentemente davanti al chitarrista e si sposta solo dopo averlo infastidito alquanto durante l’esecuzione di “Drugs” come intermezzo, ingrana subito, entrando nel vivo già dopo pochi brani. Verso la fine del bridge di “Deer dance” vedo Daron salire su uno degli amplificatori, abbandonare la chitarra da parte e prendere lo slancio, per poi fare un tuffo sulla folla e continuare ad agitarsi come un tarantolato mentre il pubblico lo sorregge e, com’è ovvio che sia, ne approfitta per toccare con mano uno dei propri idoli; dapprima uno degli uomini della security si mette le mani in testa, incerto e agitato, poi con l’aiuto di altri suoi colleghi recupera il chitarrista scatenato dalle mani del pubblico e lo deposita sul palco, dove uno dei tecnici prontamente gli restituisce chitarra e plettro. Nel mentre John già ha iniziato la sua parte che apre il brano successivo, “DDevil”, e anche alla fine di questo Daron compie un’altra bravata, una corsa scomposta che finisce con la sua caduta sul palco, quasi a ridosso del suo strumento e a rischio di danno, seguita da esibizioni del proprio didietro nei momenti in cui il testo della canzone successiva ne contiene menzione.  
Con “Psycho” si giunge al cuore dell’intera esibizione, quello che tutti sanno essere l’apice della trasformazione in bestia da palco del chitarrista della band; la maglietta del suddetto musicista fa come al solito un volo parabolico in direzione del mio punto di sosta verso il retro e la reazione è sempre quella della prima volta, non posso farci nulla. Nel momento clou del brano in cui è lui il re, Daron sventola la sua chitarra in direzione del pubblico, regala sorrisi a caso, si avvicina a Serj che è in piedi a suonare una tastiera, sulle ginocchia, e prolungano insieme l’assolo finale; ad un cenno del cantante, si rialza per la piroetta finale e a malapena si ferma per un secondo prima di ripartire, super carico, con “Chop Suey!”, un’altra delle mie canzoni preferite. Un’altra chicca viene regalata sempre da lui prima degli ultimi ritornelli, con un improvviso sfogo verso il cielo a suon di occhiatacce, finte grida e dito medio e tutta una serie di movimenti scomposti e scoordinati, prima di sorprendere i fans del Rock am Ring così come quelli del Rock im Park con un inatteso arrangiamento di “La isla bonita” e poi incitarli all’inizio di “Bounce”. 
In qualche modo l’energia sul palco si abbassa un po’ di livello nella seconda parte della scaletta, probabilmente un attimo di stanchezza pienamente comprensibile, ma la ripresa comincia con “Science”, con un’improvvisazione vocale di Daron da brividi durante il bridge a sostituzione dell’originario cantante che ha collaborato alcune volte coi ragazzi per l’album, tale Artogiunto il momento di “Toxicity”, l’aria è elettrica e l’intesa tra band e audience è alle stelle. 
Dopo altri due brani e la solita chiusura con “Sugar” arriva dunque la fine di un concerto veramente fenomenale per i ragazzi; li vedo ringraziare il pubblico con un profondo inchino e qualche parola prima di avviarsi verso il backstage, visibilmente stanchi ma sorridenti. Sako e alcuni colleghi tecnici si avvicinano per prendere i loro auricolari e il resto dell’attrezzatura sulla loro persona, altri passano gli asciugamani e io mi aggrego a questi ultimi, porgendone uno al chitarrista sfatto e fradicio come uscito da un bagno. 
«Ugh» è l’unico suono che emette, affondando la testa nel telo e procedendo a strofinare energicamente per assorbire più umidità possibile. «Dunque?» riemerge alla luce con un sospiro, la faccia parzialmente nascosta dalla sua zazzera scomposta. 
«Fantastico» replico, con un sorriso da un orecchio all’altro, prima di avvicinarmi e spostargli una ciocca di capelli dietro un orecchio, e lui risponde con un piccolo e affettuoso bacio prima di riprendere ad asciugarsi. 
Appena i ragazzi si sono risistemati un po’ avviene una fuga generale verso l’area catering per acchiappare qualunque cosa commestibile vi si trovi. Serj e compagni ritrovano OzzyMaynard e Zakk, nella scaletta del giorno anche loro, poi si imbattono in altri colleghi che salutano cordialmente: Sako torna a farmi da cicerone musicale, sapendo che potrei conoscere le band ma non i loro membri, e mi indica Dave Williams, vocalist dei Drowning Pool, gruppo inserito nella scena nu metal e nella cerchia dell’Ozzfest Sonny Sandoval, cantante di un gruppo originario della California di nome P.O.D., diventato famoso negli ultimi anni. Annuisco per ogni menzione, collegando qualche brano ai rispettivi artisti, ma come l’altra volta preferisco rimanere in disparte a mangiare, con la compagnia del tecnico della batteria; di tanto in tanto Daron si guarda intorno alla mia ricerca, ogni volta che i nostri sguardi si incontrano gli sorrido e lui ricambia, talvolta schioccandomi un bacio a distanza. 
«Stanca, Gray?» chiede Sako, notando il mio sguardo spesso rivolto ad altro che lui non riesce a scorgere. 
«NahKaraian. Nemmeno un po’.» 

-Georgia- 
Davvero curioso come talvolta, nel giro di pochi minuti, si manifesti tutta l’instabilità delle emozioni e delle sensazioni. Fino a pochi minuti fa ero super eccitata al pensiero di prendere un drink in uno dei locali più famosi della città degli angeli, il Whisky a Go Go, soprattutto per la possibilità di incontro con qualche vip... ma poco dopo aver varcato la soglia insieme a Dan, un misterioso e cupo presentimento si è fatto strada in me e ha iniziato ad inquinare il mio stato d’animo positivo. Nonostante questo mantengo un sorriso sulle labbra, intenzionata a godermi il più possibile quella serata; per puro caso trovo un tavolo libero e lo occupo, in attesa che il mio amico torni dopo aver ordinato per entrambi. 
«Allora, com’è andato il trasloco?» chiede, sedutosi, allungandomi il mio mojito e prendendosi il suo gin tonic. 
«Direi bene, ovvio stress a parte» commento, prendendo subito un primo, lungo sorso. «Però sono contenta di abitare più vicina a Los Angeles, sono stufa di stare in un posto lontano che non mi piace più, almeno ora posso vedere te e Nikki più spesso.» 
«Lei sa già che ti sei trasferita?» fa lui, curioso. 
«Non ancora, voglio farle questa sorpresa quando torna dal tour con i ragazzi, tra meno di un mese» rispondo, allegra «un po’ come fosse un regalo di compleanno, sebbene in ritardo.» 
«Capisco... mi sembra una buonissima idea, dai, sicuramente ne sarà felice.» 
Mi guardo intorno con grande curiosità, sorseggiando il mio cocktail con estrema calma e compostezza: il locale è abbastanza pieno, non a livelli caotici per fortuna, e quando scorgo un paio di visi celebri qua e là un fremito di infantile eccitazione mi corre lungo la schiena. Vuotato il mio bicchiere, mi appoggio allo schienale della sedia con un sospiro, godendo degli strascichi al gusto di menta rimasti sulla lingua, Dan mi fissa e ricambia il sorriso che gli rivolgo. 
Il brutto presentimento è ancora lì in un angolo della mente, accucciato come un gatto... ed è in quel momento che questo, con un balzo, si risveglia. 
Dalla porta del bar è entrato un gruppetto di persone, ma la mia attenzione si sceglie un soggetto: una ragazza, suppergiù mia coetanea, fasciata in una maglia a rete trasparente sotto la quale ha indossato un reggiseno nero e in una minigonna strizzata addosso, con aggiunta di calze a rete, Converse e trucco piuttosto carico che spunta sul viso pallido contornato da capelli scuri. Ad accompagnarla c’è un ragazzo biondiccio, forse più grande di lei di qualche anno, in jeans classici, maglietta nera e sneakers... il suo viso, caratterizzato dalle guance rotonde per il diffuso sovrappeso e da un paio di occhi quasi porcini, è inspiegabilmente familiare. 
Il mio cervello si attiva immediatamente e procede a velocità inaudita a sfogliare ricordi su ricordi, probabilmente esasperato nella sua attività dall’alcol, e si ferma solo quando nella mia mente ricompare la visuale di una vecchia foto di Polaroid, allegata a una lettera che Nikki mi spedì diversi anni fa, in cui lei era ritratta con quello stesso ragazzo, intento a cingerle le spalle con un braccio sorridendo appena. 
Mi si gela il sangue, non prima di essere affluito copiosamente al viso per imporporarlo. 
Jake RowleyIl ragazzo che, con il pretesto dell’amore, ha usato e maltrattato Nikki per diverso tempo, prima di darle il colpo di grazia consumando ai suoi danni una violenza sessuale per la quale è rimasto impunito... so tutto, Nikki me lo ha raccontato in passato, e la rabbia impotente che ho provato allora occasionalmente torna a farsi sentire. 
E, a giudicare dagli atteggiamenti, la ragazza al suo fianco dev’essere la nuova fidanzata di questo individuo... oh beh, adesso se l’è trovata proprio come piace a lui, certamente ne sarà felice. 
Ma, a parte tutto questo, mi inquieta il fatto che lui si trovi qui. Cosa ci fa a Los Angeles? 
Un altro flash mentale, ricordo di uno stralcio una e-mail mandatami da Nikki agli inizi di maggio, in cui mi raccontava di aver trovato un biglietto nella cassetta della posta dei ragazzi, indirizzato a lei, firmato solo con “J.”, contenente un messaggio minaccioso. “Non so se sia uno scherzo o cosa, ma ho paura” diceva la mia amica, concludendo questa parte del racconto. Poteva riferirsi soltanto a lui, nelle nostre conversazioni lo abbiamo sempre citato con l’iniziale del suo nome, e non conosco nessun altro con la stessa iniziale che possa avercela tanto con lei. 
Temo si sia messo sulle tracce della sua ex, per qualche ragione che mi sfugge e che voglio scoprire al più presto. 
«Georgia, tutto okay?» domanda Dan, con un filo di preoccupazione, mentre mi affretto a distogliere lo sguardo da quella coppia. 
«Sì, tutto okay... perdonami, ho intravisto una persona che non mi piace.» 
«Se vuoi possiamo andare via...» 
«Ma no, tranquillo! Figurati se per un pirla qualsiasi mi lascio rovinare una bella serata in un famoso bar di Los Angeles.» 
Nel corso della serata ci raggiunge un altro paio di amiche, per cui la situazione si movimenta, sebbene temporaneamente; nel bel mezzo di una conversazione, però, scoppia un improvviso clamore nella zona dell’ingresso che attrae la nostra attenzione in una certa misura, per cui mi alzo e vado a controllare personalmente cosa diamine sta accadendo. La scena che mi si para davanti è un poco surreale: Jake, visibilmente alticcio, sta blaterando – o forse, più correttamente, starnazzando – una serie di invettive del tutto casuali contro un uomo sulla trentina, alto, robusto, dalla pelle ambrata, con capelli non molto corti e una barba abbastanza lunga e dalla foggia certo strana parimenti scuri, forse di origine mediorientale, accompagnato da due amici che condividono con lui alcune di queste caratteristiche, che lo guardano alquanto infastiditi. Vicino a lui, la ragazza ride in maniera fastidiosa, torcendosi una ciocca di capelli; tutti stanno a guardare, qualcuno ride per l’assurdità della scena, ma nessuno interviene per ora. Un moto di rabbia mi investe ed è ciò che mi spinge ad avvicinarmi, mentre penso al da farsi. 
«Amico, ma qual è il tuo problema?» domanda uno sconosciuto lì vicino, con una birra in mano. 
«Mi fanno ridere questi stranieri che vengono nel nostro paese e non hanno nemmeno voglia di imparare a non sembrare dei terroristi» proferisce Jake, con una presunta serietà nel suo discorso... sta delirando. 
«Per me ti stai facendo solo seghe mentali» ribatte il tipo di prima, scrollando le spalle. «Anche gli ebrei e gli Amish portano barbe lunghe o con aspetto non usuale, ma non mi pare che siano tutti terroristi. Generalizzare è da idioti.» 
«Concordo» trovo alla fine il coraggio di dire, avvicinandomi per fare fronte comune con chi si sta ponendo in difesa di quegli uomini. 
«Beh, prestare ascolto alle parole di un beone e di una scema a caso invece è molto sensato» continua Jake, sprezzante, poi sputa per terra. 
A quel punto, uno del trio sotto attacco scatta in avanti come per acchiappare il bullo della situazione ed è solo in quel momento che finalmente si interviene anche fisicamente, facendo in modo da separarli per non far degenerare la situazione, cosa che riesce a malapena perché quel deficiente subito pare dar di matto, urlando e quasi scalciando; alcuni buttafuori ci raggiungono e, preso il ragazzo dalle braccia, lo allontanano di malo modo, intimandogli di sparire. In tutto questo, la sua fidanzatina ha smesso di ghignare e ora si tiene vicina a lui, improvvisamente premurosa e tenera, e si allontana con il fidanzato sottobraccio, guardandoci tutti in cagnesco.
«Tutto bene?» mi accosto alle persone prese di mira fino a poco fa, preoccupata. 
«Sì, grazie» risponde quello che ho notato per primo. «Ti ringrazio per aver preso parte alla mia difesa, anche se è stato rischioso per te, non avresti dovuto.» 
«E invece dovevo, non mi riesce di stare a guardare mentre qualcuno subisce un’ingiustizia bella e buona.» 
«Ah, ti vedo giovane e piena di ideali, ragazza» sorride infine l’uomo, prima di porgere la sua mano. «Mi chiamo Sevag, grazie ancora per quello che hai fatto.» 
«Piacere di conoscerti, Sevag, io sono Georgia» replico, stringendogli la mano con energia. «Suppongo che quel deficiente ti avesse preso di mira perché sei di origini straniere, è così?» 
«Esatto. Sono di origini armene, vivo qui negli Stati Uniti ormai da anni.» 
«Oh!» esclamo, meravigliata, poi una pazza ipotesi spunta nella mia testolina. «Allora posso azzardare l’ipotesi per cui conosci i System Of A Down, visto che condividono le tue origini?!» 
«Ci hai azzeccato in pieno!» commenta lui, facendomi un occhiolino, poi abbassa il tono della voce. «Si dà il caso che li conosca personalmente... di solito non lo dico quasi a nessuno, non mi va di sbandierarlo, ma sono il fratello del cantante.» 
La conferma della mia tesi mi spiazza, per cui avvampo e mi si mozza il respiro. Mio Dio, ma com’è piccolo il mondo! «Allora sono doppiamente onorata di fare la tua conoscenza!» 
«Suvvia» si schermisce Sevag «sono un ragazzo qualunque. Posso chiederti, invece, se conoscessi quel ragazzo? Qualcosa nella tua voce, prima, me lo suggeriva.» 
«Purtroppo sì» sbuffo, alzando gli occhi al cielo. «Si tratta dell’ex della mia migliore amica... inutile che perda tempo ad esprimere cosa penso di lui, penso si sia già capito 
«Meglio perderlo che trovarlo, un fenomeno del genere» aggiunge lui, storcendo la bocca. «Spero che la tua amica stia bene ora.» 
«Oh, sta benone... per un puro caso, la mia amica è nello staff tecnico della band di tuo fratello.» 
«Aspetta...» fa Sevag, lisciandosi la barba con fare pensieroso. «Serj mi ha parlato un poco di lei! A giudicare da quel che ho sentito, è una persona niente male.» 
«Sono contenta di sentire questo» sorrido, contenta, poi però torno subito seria. «A questo punto... posso chiederti una cosa?» 
«Certamente, vorrei sdebitarmi per il tuo supporto.» 
«So che potrà sembrare folle, strano, che magari non ti interesserà, ma penso di avere bisogno del tuo aiuto. Ora non ho abbastanza tempo né privacy per raccontarti tutto per filo e per segno, ma è una cosa che riguarda, in parte, anche la band di tuo fratello.» 
«Se è così, allora sappi che ci sto. Ti lascio il mio numero di telefono» dice, gli porgo il cellulare e lui digita il suo numero rapidamente sulla tastiera «così possiamo discuterne prossimamente 
«Va bene, grazie mille Sevag» lo saluto, allontanandomi per raggiungere di nuovo Dan e le altre, ancora un poco sconvolta dai recenti fatti.

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Capitolo 39
*** In search ***


Ehilàààà! :D
So che è passato un altro po' di tempo dal mio precedente capitolo, ma sono stata molto occupata da novembre fino agli ultimi giorni prima di Natale, nelle feste non ho combinato granché e ora mi sto rimettendo sotto con lo studio, per cui è quasi un miracolo che io abbia un nuovo capitolo pronto in tempi così "brevi"... xD E ora non ho idea di quando riuscirà ad esserci il prossimo, ma sappiate che nonostante tutti gli impegni la mia testa non smette mai di ruminare e trovare cose nuove, sono determinata a portare avanti questa storia fino in fondo! ^-^
Dunque, buone feste fatte e buon 2019 a tutti, spero che sia per tutti un anno ricco di esperienze e cose buone ^-^
Ringrazio come sempre tutti i lettori e i recensori che ormai mi accompagnano da tempo in questa avventura e mi motivano a proseguire <3
Buona lettura!





 

-Georgia- 
Sono passati due giorni da quando ho casualmente conosciuto Sevag e, con grande fortuna, siamo già riusciti a combinare un primo incontro per parlare. Uno squillo da parte sua sul cellulare mi avvisa che è fuori casa mentre mi affretto a dare un’ultima sistemata ai capelli, afferro al volo la borsa e il telefono ed esco dalla porta, trovandomi davanti a un’auto discreta, verniciata di nero. Aprendo la portiera vengo investita dall’aria condizionata quasi a palla, un po’ più fresca rispetto alla temperatura esterna ma non sgradevole; il ragazzo siede alla guida con aria estremamente rilassata, i capelli coperti da un cappellino con visiera dritta, la barba leggermente più corta di quanto ricordassi ma ben tenuta e un paio di occhiali da sole sul naso. 
«Ciao Georgia, tutto bene?» ci salutiamo con una stretta di mano. 
«Sì, tutto bene, e tu?» replico, sorridendo. 
«Sì, dai. Ho pensato di fare un semplice giro in auto, per prima cosa potremmo chiacchierare di cose leggere così ti metti a tuo agio, poi possiamo andare dove ti pare. Che ne dici?» 
«Ottimo.» 
Sevag riparte a velocità media, la sua guida si dimostra impeccabile e non particolarmente sportiva; ci destreggiamo nel traffico moderato della zona con pazienza, non avendo fretta. 
«Raccontami qualcosa di te, se ti va.» 
«Va bene, ti accontento subito. Mi chiamo Georgia Benson, ho ventiquattro anni e sono originaria di Cedar City, Utah. Mi sono trasferita nel nord della California quando avevo tredici anni, e ora da poco mi sono nuovamente trasferita, questa volta a Huntington Park, per mio comodo, e ho già trovato nuovamente lavoro presso un salone di parrucchiere.» 
«Bene, Georgia. Io, come ti ho accennato, sono il fratello minore del famoso cantante Serj Tankian, nato quando ancora abitavamo a Beirut in Libano, prima del nostro trasferimento qui, per vivere faccio lavoretti a caso o part-time.»  
Per un po’ continuiamo su questa linea, raccontando qualcosa di noi e trovando punti in comune nel vissuto e nei gusti; nel frattempo arriviamo in centro, Sevag parcheggia per un attimo e insiste nel sapere quale sia la mia cosa preferita da Starbucks. Una volta estorta l’informazione scende dall’auto e, miracolosamente, nel giro di cinque minuti ritorna con un cappuccino al caramello per me e un caffè per sé, cosa per cui lo ringrazio ripetutamente e calorosamente. 
«A parte questo, l’altra sera hai detto di conoscere il ragazzo che mi ha insultato: chi era?» riprende, dopo aver preso qualche sorso dal suo bicchiere ed essersi rimesso in strada. 
«Si chiama Jake Rowley, è originario dello stesso posto da cui vengo, figlio viziato di una famiglia benestante e rispettabile all’apparenza. Non l’ho mai conosciuto direttamente, ma ti ho riferito di aver saputo di lui tramite corrispondenza con la mia migliore amica: si chiama Nikki Gray, è sempre nativa di Cedar City e ha avuto con lui una relazione in passato, finita malissimo. Si è trasferita qualche mese fa qui a Los Angeles e ora lavora nello staff della band di tuo fratello. Rivedere a Los Angeles quel pezzo di merda è per me presagio di guai.» 
«Oh, Nikki, ecco come si chiamava... l’ho conosciuta nel periodo di Natale, ma poi mi sono scordato il suo nome e mi vergognavo a chiederglielo di nuovo. Questo spiega perché mi hai chiesto aiuto. Mi stai dicendo che tra di loro è finita talmente male che questo Jake potrebbe rappresentare un grosso pericolo per lei?» 
«Sì. Mi toccherà illustrarti, in confidenza, parte del vissuto della mia amica. Lei e Jake sono stati insieme in passato, come ti dicevo, ma hanno rotto in circostanze orribili... lei era sempre più infelice con lui e voleva lasciarlo, ha palesato l’intenzione sotto l’effetto di alcol a una festa e lui, venuto a sapere ciò, come per punirla, l’ha stuprata quella notte. Lei ha tentato di denunciare ma non è stata creduta... lui è riuscito a far ricadere la colpa su di lei e a sputtanarla, usando a suo favore il buon nome della sua famiglia e il bigottismo dell’ambiente cristiano battista della città.» 
In prima istanza Sevag pare rimanere impassibile, poi noto la sua mano destra serrarsi attorno al volante finché le nocche non sbiancano. «È terribile. Mi dispiace moltissimo per lei.» 
«Non molto tempo dopo questi fatti, lei è fuggita di casa per insofferenza, ormai era isolata e maltrattata sia a casa che in pubblico. Ha girato per gli Stati Uniti per qualche anno e poi è approdata a Los Angeles a dicembre, quando ha incontrato tuo fratello e i suoi colleghi.» 
«Una fortuna dopo tante sventure, direi.» 
«Direi di sì.» 
«E dunque è chiaro che ora, insieme a lei, anche mio fratello e gli altri sono potenzialmente in pericolo perché sono associati a lei.» 
«Esatto. Il problema si è palesato dopo un preciso avvenimento: Nikki, verso l’inizio di questo mese, ha trovato nella cassetta delle lettere dei ragazzi un messaggio minatorio destinato a lei, firmato soltanto con l’iniziale di Jake, in cui era promessa vendetta per il presunto tentativo di lei di infangare il buon nome di lui e della città. Dubito che si trattasse di un’altra persona il cui nome inizia con quella lettera, o di uno scherzo.» 
«Il ragazzo ha qualche problema, eh?» 
«Diversi. Ha trattato Nikki come un giocattolo, illudendola continuamente e umiliandola quando ha deciso di sottrarsi al suo dominio. Pensa di poter fare ciò che gli pare, che tutto gli sia dovuto, incluso il sesso. E, per avercela così tanto con lei perché ha cercato di avere giustizia, deve avere una coda di paglia e una presunzione pressoché infinite.» 
«Per aver ricevuto il messaggio lì dove si trovava, qualcuno deve aver fatto la spia e riferito che lei era lì con Serj e gli altri.» 
«Esatto, ma non ho idea di chi sia la spia. Ho qualche sospetto sulla sciacquetta che era con lui l’altra sera, forse è qualcuno di cui Nikki mi ha parlato di recente, ma ora non ricordo... mi toccherà recuperare le vecchie email.» 
«Pensi ci sia anche qualche altro fattore di rischio?» 
«Sì, perché Nikki è sentimentalmente legata a Daron 
Sevag frena a un semaforo rosso, ne approfitta per bere ancora un po’ del suo caffè, poi si toglie gli occhiali e mi guarda, sorpreso, gli occhi così sgranati da sembrare piattini da tè. «Quel nano malefico non mi ha detto nulla! Da quanto tempo va avanti questa cosa?!» 
«Si piacevano da tempo, ma solo all’inizio di questo mese si sono finalmente messi insieme» spiego, arrossendo un poco. «Puoi chiedere a Serj, così come agli altri due, o a Sako, tutti avevano notato qualcosa tra i due... tranne, probabilmente, i diretti interessati» mi concedo di scherzare, con una risata. «Comunque Daron e Nikki preferiscono mantenere un basso profilo per adesso, per sicurezza e anche per un minimo di privacy.» 
«A questo punto temi anche che lui sappia della nuova relazione di lei e che possa usarla come arma a suo vantaggio?» 
«Beh, sì. Forse sto sopravvalutando l’intelligenza di quell’individuo, ma è un timore che ho.» 
«Che situazione un po’ merdosa. Che cosa possiamo fare?» 
«Forse scavare un po’ nel passato della band potrebbe aiutare. Penso che il fatto che qualcuno abbia fatto la spia con quel farabutto a proposito di dove i ragazzi abitano e del fatto che lei fosse nella stessa casa sia un pessimo segnale, qualcuno forse ce l’ha con i ragazzi, e dovremmo capire chi può essere. Ex amici? Ex groupies?» 
«Per prima cosa, dovresti recuperare le email che ti ha mandato Nikki negli ultimi mesi e rileggerle accuratamente. Io, nel frattempo, ho accesso sia alla vecchia camera da letto di Serj in casa dei nostri genitori che alla casa dei ragazzi, avendo una copia delle chiavi, e potremmo frugare lì, sperando di trovare qualcosa tra vecchie fotografie e simili; eccezionalmente potremmo anche andare dai genitori di Daron e chiedere se lui ha lasciato qualcosa da loro e, in caso affermativo, domandare l’autorizzazione per esaminare le sue cose. Mio fratello e i suoi colleghi si fidano di me, io non invaderei mai la privacy di qualcuno, ma visto che c’è un pericolo in agguato dobbiamo svolgere accurate ricerche per capire e prevenire. Vogliamo iniziare oggi che siamo entrambi liberi?» 
«Per me va bene.» 

«Perdona se la casa non è completamente in ordine, ho avuto una giornata indaffarata nonostante fossi di riposo» una volta tornati a casa mia faccio entrare Sevag e mi affretto a risistemare qualche cosetta in disordine qua e là, conscia di avere a casa con me non una persona qualsiasi e di voler fare bella figura; sento il ragazzo ridere appena, dietro la mia schiena. 
«Ma tranquilla, ho visto di peggio... in passato ho avuto l’opportunità di vedere la camera del signorino Malakian e non ti dico, un campo di battaglia» commenta lui, sedendosi garbatamente sulla poltrona rivestita di tessuto blu. 
«Vuoi qualcosa da bere?» 
«No, ti ringrazio, sto bene così.» 
Accendo il computer, pregando mentalmente che non decida proprio ora di sabotarmi; la padrona di casa mi ha ceduto in comodato d’uso questo e anche un modem, avendoli a casa sua per una serie di circostanze ma non sapendo che farsene, pur non volendo buttare via tutto, ma io della tecnologia mi fido poco a prescindere, non essendo molto esperta. Per fortuna, l’apparecchio decide di collaborare ed è subito pronto per l’uso, per cui avvio la connessione a internet e, nel giro di un’altra manciata di minuti, entro nella mia casella e-mail. 
«Vieni, Sevag!» invito il ragazzo e lui si avvicina a grandi passi. 
Inizio a scorrere rapidamente le ultime e-mail ricevute da Nikki da gennaio in poi e apro la prima, datata agli inizi di febbraio. 
Dopo le consuete formule di apertura e saluto, Nikki narra della serie di concerti tenutisi tra Nuova Zelanda e Australia e di tutta una serie di cose di contorno; per la prima volta, qui, lei parla dei neonati sentimenti per Daron che la tormentano per varie ragioni, quali incertezza di corrispondenza, insicurezze, paure legate anche al passato... e, con una punta di gelosia che traspare anche da delle sterili parole messe in nero su bianco, parla del ritorno di una vecchia groupie del chitarrista, apparentemente interessata a riprendere il suo “posto”, un’americana di nome Tina, procedendo a fornire una breve descrizione fisica. 
«Sono informazioni abbastanza generiche, ma già è qualcosa» commenta Sevag. «Ci mancava solo il ritorno di una groupie.» 
Man mano che rileggo le missive digitali, riemerge tutto il mix di emozioni che Nikki provava in quel periodo, divisa tra il dichiarare i propri sentimenti e il rimanere in disparte con professionalità, impegnata in occasionali consulti con Shavo o con due amici nel gruppo dei roadies, più tutta una serie di dettagli e aneddoti in verità non troppo rilevanti. A quel punto ripenso a una conversazione telefonica con Nikki, successiva all’ultima e-mail e precedente alla partenza per l’Europa: mi raccontò di come la situazione fra lei e Daron si fosse risolta, menzionando l’incontro fra lui, che intendeva finalmente chiudere con una parte del suo passato, e la suddetta groupie, che tentò di sedurlo sempre per l’iniziale scopo per cui era ricomparsa, riuscendo a creare una scena equivoca agli occhi di lei ma fallendo nell’intento con il ragazzo, che giunse così a liquidarla definitivamente. Questa potrebbe essere una base ideale per costituire una spia a danno di Serj e compagni: una ragazza di quel genere, quando non ottiene ciò che vuole, può diventare anche pericolosa. 
«Sevag, conosci questa Tina? O ne hai sentito parlare?» 
«Può darsi che l’abbia incontrata in passato, ma non ho alcuna certezza... probabilmente non mi ha colpito troppo, altrimenti avrei avuto uno straccio di ricordo in merito. Potremmo recarci a casa dei ragazzi, a cercare nella roba.» 
«Andiamo, allora.» 

«Ecco le fotografie» annuncia Sevag, contento ma leggermente sotto sforzo, reggendo una grossa scatola stracolma. «Meno male che un paio di volte ho visto dove Serj le mette di solito.» 
«Cavoli, è una bella mole di roba» commento, in piedi accanto a lui. «Conviene spostarci sul divano per stare più comodi, non credi?» 
«Ottima idea» Sevag arranca leggermente fino alla prima poltrona e appoggia sul tappeto il suo fardello, prima di accomodarsi, e poco dopo faccio lo stesso. 
I ragazzi, o perlomeno Serj, hanno avuto un’ottima idea nella scelta di scrivere le date in ogni dove, dagli album alle Polaroid “svolazzanti”, in modo da avere sempre un riferimento cronologico. La prima cosa che mi capita sotto mano è un album datato 1998, contenente una serie di foto in cui i ragazzi siedono su una panchina posta proprio in mezzo alla strada: quelli che spiccano di più sono John, vestito da chirurgo e con il viso nascosto da una mascherina e un paio di occhiali da sole, e Daron, a torso nudo, col suo sgargiante ciuffo di capelli fucsia, un collare, polsi carichi di bracciali, corti pantaloni di tessuto lucido e sneakers... sorrido, ricordando che fu proprio nel 1998 che scoprii la loro musica, alcuni mesi dopo l’uscita del loro primo album, poi ripongo l’oggetto, non essendo particolarmente utile al mio scopo. 
Mi impegno a ripescare tutte le fotografie sparse e fuori da qualunque catalogo, impilandole sul tavolino accanto alle mie gambe: anche su di esse, sul retro o in basso in zone bianche, ci sono scritte delle date. Le sfoglio, osservando i visi degli sconosciuti che si alternano accanto ai membri della band insieme ai luoghi. Nella quinta foto del mazzo che ho tra le mani vedo, abbracciata con un fare evidentemente adulatorio al chitarrista, una ragazza dal viso familiare che la mia mente subito associa a quella vista pochi giorni prima in compagnia di Jake: un caschetto di capelli neri, trucco carico, vestiti non particolarmente coprenti. Guardo le poche parole scribacchiate nella striscia bianca, “After show in Phoenix, AZ, 16 luglio 2000”, poi continuo a cercare, percorsa dall’eccitazione della scoperta: ritrovo quella ragazza in almeno altre quattro o cinque foto, sempre uguale a parte i vestiti – diversi di volta in volta, ma sempre succinti – e sempre con lo stesso sorriso untuoso sulle labbra, datate tra la fine del 1998 e il 2000, tutte scattate dopo alcuni show dei ragazzi in giro per gli Stati Uniti. 
«Ho trovato qualcosa» rompo il silenzio con delicatezza, riprendendo in mano le Polaroid che ho messo da parteSevag viene a sedersi vicino a me e le prende dalle mie mani. «Vediamo» dice soltanto, poi resta assorto per qualche momento. 
«Mi sembra proprio la ragazza che accompagnava Jake l’altra sera. Come ha detto Nikki che si chiama?» 
«Tina. Nessuna traccia del cognome, quello penso che lo sappia soltanto il chitarrista visto che si conoscevano piuttosto bene 
«Forse in camera di Daron c’è qualcos’altro che può tornarci utile. Sì, lo so che non è il massimo frugare nella roba altrui» aggiunge, vedendo l’ombra della vergogna sulla mia faccia «ma è necessarioOrmai ci siamo dentro, no?» 
Annuisco, mordendomi il labbro inferiore, poi seguo docilmente il ragazzo su per la rampa di scale che porta al piano superiore. Grazie a delle targhette sulle porte individuiamo con facilità la camera che ci interessa: appena entrati, saltano subito all’occhio i colori delle decorazioni – tutta roba di tifoseria di hockey, come deduco dalle scritte e grazie a quel poco che so al riguardo – e un poco di disordine lasciato su una sedia e ai piedi del letto, con le coperte a malapena riaccostate. 
Senza proferire parola ci dedichiamo all’esplorazione, dapprima nei posti che possono risultare come ovvi nascondigli, e la ricerca dà subito un primo risultato: sotto il letto rinveniamo una prima scatola, anonima all’apparenza e senza nastro adesivo a chiuderla, per cui viene facile aprirla per esaminarla. Davanti ai nostri occhi si para una serie di riviste maschili – il che non mi sorprende affatto, essendo cosa comune – incluso qualche numero di Playboy e, dando un’occhiata alle date in sovraimpressione, notiamo che sono tutte abbastanza vecchie; tiriamo fuori uno per uno i giornali e improvvisamente, dopo aver prelevato l’ultimo, da esso cadono due o tre foglietti di carta che sicuramente non gli appartengono, spargendosi sul pavimento, e subito ne raccolgo uno per capire di cosa si tratta. È un vecchio post-it giallo, scolorito e un poco stropicciato, su cui c’è scritto qualcosa in penna blu in una grafia un po’ infantile: “Per consolarti in mia assenza, qui dentro ci sono le mie foto di nudo di cui ti parlavo. A presto, caro. Tina xx”.  
Lo porgo a Sevag, che lo legge rapidamente. «Vediamo queste foto, allora» fa, con aria di sufficienza, prendendo la rivista da cui è caduto il post-it per sfogliarla; ad un certo punto si ferma e osserva le pagine, prima di alzare le sopracciglia scure in un’espressione a metà fra il sorpreso e il perplesso. «Ti risparmio la vista, non vorrei farti rigurgitare le ultime cose che hai ingerito» scherza, richiudendo il giornale e rimettendolo sul fondo della scatola, poi dopo una veloce occhiata vi riaggiungo gli altri bigliettini sparsi, sempre dello stesso tenore del primo e con la stessa firma, e il resto del contenuto. «Tutta questa polvere mi fa pensare che questo contenitore sia stato negletto per lungo tempo... d’altra parte sarebbe tipico di Daron, spesso dimentica perfino l’esistenza di certe cose sue.» 
«Probabile. Comunque, pare che le prove raccolte finora puntino tutte all’ex groupie di Daron. Abbiamo trovato del materiale che prova la loro passata relazione, io ho testimonianza scritta del rifiuto che il chitarrista le ha opposto di recente» dico, facendo una sorta di riepilogo. 
«Credo che il tuo ragionamento sia valido. Ma nonostante le prove, penso ci sia poco da fare: ciò che abbiamo non è abbastanza concreto e clamoroso da ottenere un ordine restrittivo per Jake o Tina, e penso che i ragazzi siano al corrente delle nuove cattive intenzioni di lui. Però fino a che punto potrebbe essere utile avvisarli del fatto che l’abbiamo visto in giro con quella tipa? Non abbiamo prove di un possibile sodalizio criminale, né di come lei ha ottenuto l’indirizzo dei ragazzi per passarlo a lui.» 
«Hai ragione. Potremmo avvisarli con un’email, ma sono dall’altra parte dell’oceano e non torneranno fino agli inizi di giugno, non vorrei dar loro ulteriore ansia visto che hanno da pensare al tour...» 
«Potresti comunque scrivere a Nikki, dicendole di stare genericamente in guardia per via delle circostanze che abbiamo notato, magari troverà lei il momento migliore per dirlo agli altri in modo che non siano impreparati quando torneranno.» 
«Lo farò.»

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Capitolo 40
*** White heat ***


Sì, sono io, niente allucinazioni ^-^
Sono stati anni particolari caratterizzati da un forte blocco dello scrittore che mi ha lasciato rare tregue (quelle in cui ho prodotto one shots per il fandom di Good Omens, l'altra mia super fissazione, per capirci), poi quest'anno si è smosso qualcosa... ora ho anche un PC nuovo, e apparentemente è servito anche questo per sbloccarmi un po'. Questo capitolo è venuto fuori nel corso di alcuni mesi, a pezzi piccoli, visti e rivisti, e spero che vi piaccia, non posso garantire nulla su quando arriverà altro, ma intanto pubblico questo e ringrazio tutti quelli che hanno continuato a leggere anche quando ero in pausa. <3

-Nikki-


«Landgraaf!»
Un sospiro collettivo molto rumoroso riempie il tour bus subito dopo l'annuncio dell'autista; stanchi del concerto, ci siamo comunque rimessi in viaggio per raggiungere questo piccolo lembo dei Paesi Bassi quasi intrappolato fra il Belgio e la Germania, già visitato dai ragazzi un anno fa circa per un altro concerto, fortunatamente non troppo distante dalla nostra precedente ubicazione. Arrivati in hotel, ci distribuiamo nelle stanze secondo previa organizzazione ed è un fuggi-fuggi generale, quasi una gara a chi si butta per primo sotto la doccia; per quel che mi riguarda non voglio competere e do semplicemente la precedenza al chitarrista, stanco e ancora sfatto dopo l'esibizione di oggi. Dopo essermi fermata per qualche minuto a riprendere fiato mi libero di quasi tutti i vestiti tranne la biancheria, mi lego i capelli in una crocchia disordinata e tiro fuori un cambio di abiti pulito e l'occorrente per struccarmi.

«Hai chiuso la porta a chiave?» chiedo, dopo aver brevemente bussato alla porta del bagno.
«No no, vieni pure» risponde il chitarrista, la voce appena più forte del rumore dell'acqua corrente.
Apro e vengo investita da una nuvoletta di vapore acqueo irrisoria per dimensione e temperatura; la sagoma del ragazzo appare offuscata attraverso le antine di plastica della doccia.
«Pensavo di trovare una sauna qua dentro» commento, appoggiando le mie cose in un angolo e procedendo a rimuovere accuratamente ciò che rimane del trucco ormai sciolto «invece è solo normale condensa, questo bagno è decisamente piccolo.»
«Di solito sei tu quella che usa acqua calda a manetta» risponde il ragazzo, alle mie spalle, accompagnando le parole dal tono leggermente canzonatorio con un rumore di strofinio.
«Non è colpa mia se ho praticamente sempre freddo nella doccia» fingo di mettere il broncio mentre riordino, poi mi sciacquo la faccia. «Quanto pensi che ti ci voglia ancora, orientativamente?» domando, uscendo un attimo per andare a recuperare i miei teli da bagno e i prodotti per i capelli.
«Non uscirò mai più da qui e sarai costretta a puzzare!» mi prende in giro Daron, aprendo di nuovo il getto dell'acqua.
«Allora poi mi appiccicherò a te come un polpo e ti farò puzzare di nuovo» gli rispondo per le rime.
«Insomma, cosina, mi stai dichiarando guerra?»
Un rumore di plastica che striscia mi avvisa dell'apertura del box doccia; mi volto e l'inattesa visione di Daron nudo e gocciolante che si presenta al mio sguardo ha un tale impatto che dimentico qualunque cosa volessi dire. «Unisciti a me, così risparmiamo sull'acqua» mi invita, non riuscendo a trattenere un sorrisino malizioso e tendendo verso di me una mano ancora schiumosa per prendermi il mento fra due dita.
Il mio sguardo si sofferma su un paio di rivoli d'acqua che colano lungo il suo collo, poi torna ad incrociare quello di lui, sostenendolo con un poco di fatica a causa dell'intensità; senza proferire parola apro i ganci del reggiseno e lo lascio cadere per terra insieme agli slip e in due passi entro in doccia, il tutto con una disinvoltura sorprendente per i miei standard.
«Deduco tu non voglia bagnare i capelli per ora, visto che li hai legati» dice lui, voltandosi per richiudere le ante.
«Proprio così. Li lavo dopo cena con i prodotti appositi, adesso mi scoccio.»
Sono nell'angolo più interno del box e questo gioca a favore di Daron, che avanza verso di me e poggia una mano al muro, creando con il suo braccio una barriera e una situazione in cui la tensione sessuale è quasi palpabile.
«Non dirmi che improvvisamente sei diventata timida, bestiolina» mormora, mordendosi il labbro inferiore... appena finisce di parlare gli getto le braccia al collo e lo bacio con avidità, aderendo perfettamente col mio corpo al suo. Una volta staccatosi con fatica da me, il chitarrista riapre di poco il getto dell'acqua, che lo investe in piena schiena, e mi passa bagnoschiuma e spugna.
«Come sei gentile» commento, andando avanti a stuzzicarlo mentre mi insapono.
«Ma grazie!» ribatte lui con lo stesso tono, incrociando le braccia contro il petto nudo. «E per mostrare di meritare il complimento, mi offro volontario per aiutarti.»
«Oh, che emozione» ridacchio, divertita dalla piega che le cose stanno prendendo, porgendogli la spugna «allora non ti dispiacerà aiutarmi ad insaponare la schiena, suppongo...»
Senza parlare, il ragazzo afferra ciò che gli porgo e si prodiga nella sua opera mentre io resto immobile, intenta a godermi il tutto. Lo stato di relax che mi invade è tale da farmi estraniare un poco, per cui il ritorno alla realtà mi colpisce improvviso quando mi accorgo che non è più la spugna a toccarmi sui fianchi, bensì le mani del chitarrista.
«Va bene così?» mormora, con la bocca contro il lobo di un mio orecchio per poterlo mordere; quando mi intrappola contro la parete del box col proprio corpo e sento qualcosa di duro e pulsante premere contro una natica, mi muore in gola la voce.
«Daron...» è il gemito implorante che riesco ad emettere dopo qualche faticoso istante e in risposta lo sento inspirare bruscamente. Una sua mano scivola fra le mie cosce, dove quasi mi sento bruciare per il desiderio, l'altra risale per poter raccogliere il seno sinistro nel palmo, ed è in quel momento che la mia stabilità sulle gambe inizia a farsi precaria, al punto che quasi scivolo sul piatto della doccia, e il ragazzo mi afferra giusto in tempo.
«Aspetta, forse è un po' rischioso qui» mormora il ragazzo; sciacqua via la schiuma dal mio corpo mentre mi tiene vicina a sé, come se temesse ancora che io possa cadere, esce dalla doccia per indossare il suo accappatoio e prendere il mio telo, appoggiato lì vicino, che mi avvolge addosso prima di portarmi fuori dal box, sempre stringendomi.
«In effetti era un po' scivoloso là dentro» penso a voce bassa, mentre entrambi ci asciughiamo. Quando faccio per afferrare la biancheria, però, Daron mi issa in spalla senza preavviso e mi porta in camera, deponendomi sul letto.
«Ma-» inizio a parlare ma la voce mi si spezza quando Daron mi bacia con foga e, appena il suo corpo fresco di doccia torna ad aderire al mio, vengo scossa da forti brividi che mi portano ad affondare le mani nei suoi capelli umidi. La temperatura nella stanza sembra essere salita di botto e il bacio si fa sempre più febbrile...
Improvvisamente qualcuno bussa ed entrambi ci prendiamo uno spavento.
«Sì?» chiede Daron a voce alta, fingendo disinvoltura mentre ansima.
«Nano, è ora di cena, sbrigati!» la voce di Shavo di fa sentire dall'altra parte della porta.
Un respiro profondo e un'occhiata di intesa. «Va bene, testa di uovo, arrivo» è la replica, espressa con un borbottio di sottofondo.
Attendiamo qualche secondo per essere certi che si sia allontanato, poi sospiro, mi sposto da sotto il chitarrista e torno in bagno a recuperare i vestiti puliti abbandonati lì. Niente fiatone, in compenso ho ancora il cuore a tremila, fra la paura e l'eccitazione del momento che stavo condividendo con Daron.
«Su, avremo tempo, anche più tardi» cerco di far tornare il sorriso sul viso del ragazzo, intento ad allacciarsi le scarpe, ancora un po' contrariato per il tempismo del collega, accarezzandogli una guancia. Lui alla fine cede e mi sorride, poi gli sfugge anche una risatina.
«Meno male che ha bussato e la porta era chiusa a chiave» commenta, passandosi una mano in faccia. «Poteva essere una catastrofe.»
«Non oso immaginare!» esclamo, avvampando leggermente. «Beh, ora andiamo a rimpinzarci, ce lo meritiamo dopo la giornata di oggi.»

«Eccoti, nano!» sono le prime parole proferite da Shavo quando arriviamo in sala per la cena.
«Ciao, pelatone, da quanto tempo» lo sbeffeggia il chitarrista, mollandogli una pacca su una spalla prima di allontanarsi verso il buffet con passi rapidi. «Nikki, siediti pure, ci penso io al cibo!»
Mi accomodo con un sospiro sulla sedia vuota accanto a quella del bassista, lasciando a disposizione l'altra tra me e Sako. «Tutto bene, ragazzi?» chiedo, guardando in viso ognuno dei miei commensali.
«Finché si mangia va tutto bene, Gray» risponde il tecnico della batteria a bocca piena, intento a sbafare.
«Karaian, sei inqualificabile» Serj si mostra disgustato dall'ignoranza di Sako in materia di galateo, ma vedo un angolo della sua bocca tremare e tradire una risata.
Finalmente Daron ritorna con due piatti strabordanti e li appoggia con estrema cautela ai nostri posti, prima di scivolare in maniera stranamente graziosa nella sedia accanto alla mia, e lo ringrazio con un bacio su una guancia. «Ho una fame assurda, quindi se per un po' non darò corda a nessuno sapete perché» annuncio, prima che cominci l'abbuffata, e in risposta tutti ridono.
Una volta riempito lo stomaco si continua a far chiacchiere, ma non riesco a concentrarmi granché sulla conversazione e la socializzazione... un altro appetito chiede di essere saziato, accentuato dall'interruzione e dall'attesa, e in parte mi dispiace perché mi sembra qualcosa di egoista. In ogni caso il momento conviviale giunge abbastanza presto al termine, poiché i ragazzi, così come me, sono stanchi e ormai vogliono solo buttarsi nel letto, in previsione della giornatona che ci attende, per cui ci salutiamo e ci ritiriamo nelle nostre camere.
Mi armo di santa pazienza e lavo i capelli con degli appositi prodotti per mantenere più a lungo possibile il colore e poi li asciugo con una cura abbastanza rara, ottenendo un risultato finale molto buono. Strano ma vero, la mia criniera ha deciso di collaborare senza fare resistenza.
Due colpi di nocche alla porta. «Posso?»
«Sì, vieni pure» rispondo, senza distogliere lo sguardo dallo specchio mentre finisco di pettinarmi. Non aver prestato attenzione al mio compagno di camera, però, ha delle conseguenze: improvvisamente due braccia si avvolgono al mio corpo e mi caricano in spalla come un sacco di patate e la spazzola cade per terra con un tonfo. Il tragitto dal bagno al letto è brevissimo e, appena depositata sul materasso, non faccio nemmeno in tempo a protestare per lo spavento che Daron sale su di me e mi spinge tra i cuscini con urgenza per baciarmi.
«Mi hai fatto prendere un colpo, scemo» mormoro, rubando qualche attimo di fiato durante il contatto.
«Non resistevo più» la sua voce è bassa e ruvida, le sue mani si muovono senza sosta per rimuovere qualunque ostacolo tra i nostri corpi, ben poca cosa in realtà visto che ci sono soltanto i suoi boxers, i miei slip e il mio reggiseno a separarci; ad opera compiuta il suo corpo è sul mio, la sua erezione preme insistentemente contro un'anca e il suo respiro è già affannato.
«Sono state le due ore più lunghe degli ultimi giorni, giuro» il chitarrista si distende per un attimo, per effetto dell'abbraccio in cui l'ho avvolto «e adesso ho una voglia assurda di te» continua, la voce ora profonda e arrochita.
«Cosa ti va di fare?» gli chiedo, accarezzandogli i capelli. Vedo che ci pensa su un attimo, fissandomi con i suoi grandi occhi scuri e intensi, poi scioglie l'abbraccio e si sposta lentamente verso il basso.
«Ho un'idea.»
Il chitarrista si accomoda fra le mie gambe aperte, seminando baci sull'interno di una coscia e ripetendo il gesto dall'altro lato. Sembra essere sparita l'urgenza di pochi momenti prima; gli sfugge una piccola risata profonda quando i miei arti inferiori continuano a tremare sotto le sue attenzioni, poi li blocca a tutti gli effetti con i palmi delle mani. Sentirmi così esposta a lui da una parte mi crea ancora imbarazzo, mentre dall'altra mi fa ribollire tutto dentro; il mio corpo dà ragione alla parte più disinibita della mia mente in una maniera inequivocabile che io posso percepire e lui può sicuramente vedere. Una frazione di secondo e la sua bocca è su di me, e mi esplode un fuoco dentro.
«Ti prego» imploro Daron, non so bene per cosa, lui continua, concentrato e soprattutto compiaciuto per le mie reazioni, poi gli sfugge un gemito soffocato quando affondo una mano fra i suoi capelli e tiro leggermente. Una delle sue mani, fino a quel momento premute contro la carne delle mie cosce, lascia andare la presa e due dita, umide di saliva e non solo, mi penetrano con delicatezza, la loro intrusione mi fa risalire dalla gola un mezzo grido e stringere la morsa sulla sua criniera spettinata; le vibrazioni del suo verso gutturale mi causano una sorta di scarica elettrica, passando dalla sua bocca al punto nevralgico a cui è ancora attaccata.
«Ti prego, Daron, ti prego» quasi singhiozzo, preda di un'eccitazione così forte da rasentare il dolore. La mia mente è talmente offuscata da non accorgermi dei movimenti del chitarrista che, con agilità, si alza sulle ginocchia, indossa un preservativo e prende un respiro profondo. Chiudo gli occhi aspettandomi che lui venga a farsi spazio fra le mie gambe, ma vengo colta di sorpresa quando avverto un peso accanto a me sul materasso e le sue braccia che cingono il mio corpo, tirandomi su in modo che io stia seduta sopra di lui.
Daron mi fissa dalla sua posizione subalterna, lo sguardo colmo di vulnerabilità e passione allo stesso tempo. Tendo una mano dietro di me, lo vedo socchiudere gli occhi con un lamento intriso di desiderio e lieve frustrazione quando la mia mano viene in contatto con il suo membro, bollente anche attraverso il lattice del profilattico. Mi sollevo, tenendo ancora la mano là, per facilitargli l'ingresso, e quando affonda in me quasi fino all'elsa sfugge a entrambi un grido soffocato.
La mia mente si concentra sui movimenti, prima i miei, poi quelli di lui che inizia ad assecondarli, con le mani strette quasi ad artigli intorno ai miei fianchi, prima di sollevarsi per stringermi a sé.
L'insistente calore della bocca del chitarrista, semiaperta per il suo ansimare, si ferma prima sul mio seno, tormentandone uno, poi si sposta e si richiude per mordermi lì dove il palpito del mio cuore è più forte, sul collo. La cognizione del tempo si fa nebulosa, le spinte diventano più vigorose, finché non inizia a cigolare il letto sotto di noi.
«Non durerò ancora a lungo» sento Daron gemere disperatamente, la voce smorzata dal fiatone e dalla posizione «baciami, Nikki, ti prego-»
Premo le mie labbra contro le sue con foga, aggrappandomi alla sua schiena con le unghie, e questo fa scattare qualcosa nel chitarrista, che in poco tempo capovolge la situazione e mi placca sotto di lui, perso in un abisso di passione. Le spinte di lui iniziano a perdere regolarità di ritmo ma non mancano l'obiettivo interno, la mano che mi tiene una coscia spinta verso dietro si serra quasi a farmi male e la mano libera si sposta fra le mie gambe e accelera la mia corsa verso l'apice, che mi travolge di lì a poco con potenza di una scarica elettrica e mi strappa dalla gola un verso, a metà fra l'estasi e la sofferenza, che contiene il nome di Daron in una versione fatta di vocali trascinate.
L'intensità dell'orgasmo attutisce per qualche momento il mio udito, per cui non riesco a sentire se sto gridando o meno; il verso finale di Daron arriva alle mie orecchie ovattato, ma avverto le vibrazioni delle sue corde vocali per via dello stretto contatto, che suggeriscono un suono prolungato e graffiato. Quando si abbandona a peso morto su di me, un tremito lo percorre dalla testa ai piedi.
«Mi sento come fatto di gelatina...» lo sento biascicare dopo qualche minuto, quando ha ripreso una parvenza di fiato. «Piccola, tutto okay?»
«Molto più che okay» sospiro, guardandolo, prima di accarezzargli una guancia ruvida; lui chiude gli occhi, poi prende la mia mano e ne bacia il palmo, con una dolcezza disarmante, prima di muoversi con lentezza per alzarsi.
«Torno subito» mi dice, dirigendosi verso il bagno, e resto ad osservare senza alcuna vergogna il suo didietro mentre si allontana; tempo qualche minuto e torna in camera meno sudato, più asciutto e senza il preservativo, tenendo in mano un asciugamano inumidito che poi mi porge.
«Vuoi che ti aiuti, piccola?»
«Non mi dispiacerebbe un aiuto, tesoro.»
Mi godo le cure di Daron, che mi asciuga con attenzione e delicatezza; ci scambiamo qualche piccolo bacio, diversi sguardi e sorrisi, finché la stanchezza non prende il sopravvento e ci addormentiamo, accoccolati e beati.

La giornata si presenta con una marcata nuvolosità e temperature fresche ma gradevoli per stare all'aperto e in movimento senza patire eccessivamente il caldo o il freddo, e di movimento ce n'è molto, fin dal mattino, trattandosi di un grande festival.
L'ultimo artista che precede i System Of A Down termina la sua esibizione poco prima delle 19, quando quel poco di sole che si intravede è già obliquo nel cielo e conferisce alla coltre grigia e all'atmosfera una peculiare colorazione dorata; le eventuali scenografie precedenti sono smontate e sostituite con quelle necessarie, i tecnici degli strumenti montano poi la strumentazione e, insieme al resto del team, ci assicuriamo che sia tutto a posto.
Raggiungo i ragazzi nel backstage insieme a Sako per informarli che è tutto pronto per la loro esibizione, tutti e quattro mi sorridono e poi tornano a prepararsi psicologicamente per l'esibizione che li attende, con il rumore del pubblico di sottofondo. Nello stesso luogo vi è una certa folla, tecnici e roadies misti a musicisti più o meno noti.
«Guarda, quelli sono i Rammstein» dice Sako, indicando discretamente un punto vicino al palco: intravedo sei ragazzi vestiti con una sorta di tuta da lavoro grigia con bretelle e con l'aspetto di operai appena usciti da una miniera, vista l'apparente fuliggine sparsa sui visi e sui corpi. Certamente sono particolari; non li avevo mai visti prima, pur avendone sentito parlare. «Dovrebbero esibirsi più tardi sul Zuidpodium, il palco a sud, iniziando intorno all'orario in cui Serj e colleghi dovrebbero finire di esibirsi qui sul Noordpodium, il palco a nord. Evidentemente sono venuti a perdere un po' di tempo prima che tocchi a loro.»
«Carino da parte loro.»
La platea sterminata acclama i ragazzi, come per incoraggiarli a salire sul palco, e viene accontentata nel giro di qualche minuto: l'ultimo ad allontanarsi è Daron, che mi dà un bacio lieve sulla fronte e così compie il suo ultimo rituale pre-concerto.
Si inizia, come sempre, con "Prison song", il brano di apertura del loro ultimo album, ma quasi subito si capisce che c'è qualcosa che non va: non si sente affatto la chitarra. Subito l'intero staff si attiva per capire quale sia il problema e anche io faccio la mia parte, cerchiamo di metterci meno tempo possibile ma non possiamo fare magie, per cui Serj e colleghi devono continuare ad esibirsi ugualmente. Una volta effettuati i miei controlli soliti, capisco che per quel che riguarda il lato informatico è tutto a posto, ma c'è sicuramente qualche guasto in atto a livello di strumentazione... strano, dato che quando è stato montato tutto sembrava funzionasse tutto come sempre, ma c'è sempre un margine di imprevedibilità, alla fine.
Inizia il secondo brano, "Jet pilot", e intanto è stato identificato il problema, ovvero l'amplificatore a cui è collegata la chitarra che ha deciso di ammutinarsi, e rimediamo subito; verso la fine della canzone si torna a sentire un po' di suono della chitarra e tiriamo tutti un sospiro di sollievo.
«Wow, abbiamo suonato due intere canzoni senza chitarre!» Serj si rivolge al pubblico, cercando di sdrammatizzare. «Il suo amplificatore è saltato» aggiunge, indicando il chitarrista intento ad armeggiare col suo strumento per assicurarsi che sia stato risolto il problema.
«Mi chiedo perché le nostre chitarre vanno sempre a puttane quando siamo in Olanda» si aggiunge Daron poco dopo. Ah, giusto, è già successo l'anno scorso, me lo hanno raccontato, certo che ci vuole proprio fortuna. Diversi fans urlano per esprimere il loro appoggio, qualcuno ridacchia per il tono della frase. «Chi c'era la volta scorsa? Sì, il mio amplificatore mi ha giocato uno scherzetto. Che diamine suoniamo ora?» continua il chitarrista, col suo solito modo di parlare che rasenta il flusso di coscienza, sporgendosi a controllare il foglio con la setlist attaccato lì vicino. «Volevo dire, mi dispiace che facciamo schifo... ecco la nostra danza coi cervi» conclude, e attacca con "Deer dance".
Da quel brano in poi, passando per "Know" e "Suggestions", pare andare in crescendo l'intensità della performance, i ragazzi appaiono concentrati ma comunque a loro agio, soprattutto il chitarrista che, come sempre, intrattiene il pubblico con la sua imprevedibilità e comicità e non sta fermo un attimo, correndo di qua e di là e saltellando all'occasione, tant'è che mentre Shavo suona l'introduzione di "Psycho" lo vedo togliersi la maglietta in corsa come se fosse in fiamme e buttarla in una direzione imprecisata; in quel momento una vampata avvolge pure me che assisto alla scena, internamente sto urlando come una fangirl impazzita e, anche se cerco di dissimulare, Sako che è vicino a me se ne accorge, mi lancia un'occhiata e ammicca con le sopracciglia, riuscendo a farmi sentire ancora più caldo e imbarazzo.
Quando giunge l'assolo finale sono ancora nelle stesse condizioni di qualche minuto prima, seguo tutti i movimenti del chitarrista che, dopo una "sventagliata" e qualche passetto di danza accennato, decide di fare qualcosa di inaspettato che mi spezza definitivamente il fiato.
Disteso su una delle pedane sul fronte del palco, Daron suona a occhi chiusi, il volto imperlato di sudore parzialmente offuscato dalla zazzera di capelli umidi, le labbra socchiuse, il petto che si muove al ritmo del suo respiro affannato, scuotendo lievemente la testa di tanto in tanto. Un flashback della sera precedente invade la mia mente e improvvisamente il tutto assume una connotazione incredibilmente erotica che mi incendia dentro.
La visione si spezza nel momento in cui il chitarrista torna in piedi per la solita piroetta finale ed è in quel momento che riprendo a respirare normalmente.
Dopo l'altro brano preferito mio, "Chop Suey", ecco che arriva, per la terza volta, la breve cover di intermezzo di "La isla bonita", accolta anche con qualche fischio tra le tante acclamazioni; il chitarrista, una volta finita la sferza di adrenalina e salti che è "Bounce", sfotte un po' il pubblico. «Scommetto che non sapevate che vi potesse piacere così tanto Madonna!»
Un altro momento carino si verifica durante l'inizio di "ATWA", quando alzo lo sguardo sui musicisti tedeschi che mi ha indicato prima il tecnico della batteria e li trovo intenti a muovere la testa a ritmo e sorridere, uno di loro più di tutti, cosa che mi strappa una piccola risata e su cui richiamo l'attenzione di Sako con un discreto tocco di gomito.
Fra questo brano e "Aerials" se ne inserisce un altro che non è presente in alcun album ufficiale della band, "DAM", che ho sentito provare un paio di volte in versione originale in sala prove. Mi piace moltissimo la versione "studio" nella sua malinconica bellezza, ma la versione che Daron regala al pubblico olandese, come già ha fatto con le platee tedesche dei festival, è da pelle d'oca: non vi è il testo originale con le sue delicate allegorie, sostituito da un'improvvisazione completamente urlata che parla di morte, deportazione e manipolazione e mi fa accapponare la pelle in maniera assurda come tutte le altre volte in cui l'ho ascoltata. Sensazioni che tornano di nuovo più avanti con il bridge di "Science", questa volta interpretato da Daron con maggior potenza e più modulazioni all'orientale delle volte scorse.
La scaletta si conclude dopo una manciata di altri brani con l'immancabile "Sugar" e la fine dell'esibizione viene salutata con lunghi e forti applausi, mentre i ragazzi fanno il solito inchino; proprio mentre rientrano nel backstage si odono in lontananza i Rammstein che iniziano la loro esibizione sul palco a sud.
«Ragazzi, avete seriamente spaccato» mi congratulo con loro quando me li vedo venire incontro e loro mi sorridono a trentadue denti; do il cinque a Serj, Shavo e John, poi, incurante di tutto e tutti, acchiappo la faccia di Daron fra le mie mani per stampargli un bacio sulle labbra e lui me lo lascia fare, replicando la posizione delle mani sul mio viso.
«Meraviglioso» gli dico, staccandomi appena da lui.
«Questa sì che è una bella conclusione per un concerto» replica lui, sorridendo, prima di un altro bacio a stampo. Ci allontaniamo di pochi centimetri, continuando a fissarci a vicenda per qualche secondo, lui col fiatone e io invece senza fiato, ma entrambi sorridenti. «Ti amo anche io.»
«Di', volevi uccidere qualcuno durante l'assolo di "Psycho"? Tipo, che so, me?!» gli chiedo di botto, cogliendolo un po' di sorpresa.
«Io? Con questa faccina da angelo?» risponde lui, sbattendo le lunghe ciglia.
«Proprio tu, sì.» Mi sporgo verso di lui, accostando la bocca a un suo orecchio. «Appena siamo a tu per tu, te la farò pagare.»
Il chitarrista rabbrividisce, poi si avvicina a sua volta per sussurrare. «Non vedo l'ora, bestiolina.»

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Capitolo 41
*** (Re)Kindling ***


Ciao a tutti!
Probabilmente non mi aspettavate così presto, e vi capisco, eheh :B non mi dilungherò troppo qui sopra con le note, per cui buona lettura, e grazie a chi ancora mi segue nonostante tutto <3


 

-Serj- 
L’ultima settimana di tour europeo, che ci porta in Francia e Belgio e, attraverso il Canale della Manica, in Inghilterra e Irlanda per due date del prestigioso Ozzfest, è un turbinio che in conclusione lascia tutti un po’ storditi mentre rientriamo negli Stati Uniti, cercando di non pensare a ciò che ci aspetta ancora per qualche ora, o magari qualche giorno. 
Nella mia mente si rincorrono due pensieri principali, che sono la ripresa delle esibizioni a partire dal 7 giugno e l’album in studio da completare, poi ve n’è un altro collegato alla mia professione “accidentalmente”, potremmo dire: prima di ripartire, appena ho avuto la chance di utilizzare un computer in un internet point, ho trovato un’e-mail di mio fratello Sevag. Fin qui nulla di strano, dato che io e mio fratello manteniamo una regolare corrispondenza quando siamo distanti, se non fosse per l’argomento della sua missiva digitale: durante una serata al Whisky à Go Go non solo ha incontrato Georgia, l’amica d’infanzia di Nikki che ho conosciuto anche io a dicembre, ma è stato bersaglio di insulti xenofobi insieme ad alcuni suoi amici e si è sfiorata la rissa; apparentemente, lui e Georgia hanno entrambi riconosciuto persone sgradevoli del passato, quali l’ex groupie di Daron, Tina, e l’ex fidanzato abusante di Nikki, Jake.
Il biglietto ricevuto da Nikki a inizio maggio, a questo punto, non è uno scherzo stupido ma un pericolo piuttosto concreto e, quanto prima, devo parlarne con i ragazzi per capire il da farsi per mantenere la sicurezza nostra, di Nikki e dell’intero staff, ma non ora che siamo in viaggio, stanchi morti. Nel frattempo ci rimuginerò su, chissà che non venga in mente qualcosa.
 
Al ritorno a Los Angeles, dopo aver smaltito il più possibile il jet lag, decidiamo tutti e quattro di recarci in studio per salutare Rick e magari, se riusciamo, lavorare un altro po’ all’album prima di ricominciare la tournée; il nostro produttore è contento di rivederci e ci invita a restare un po’, anche senza dover per forza tornare subito al lavoro sull’album, perché vuole sentire com’è andato il tour e qualche chicca aggiuntiva da parte di ognuno di noi. 
Per non sospendere i miei racconti seguo Rick in pausa sigaretta all’ingresso dello stabile, restando al fresco nell’ombra, ma il mio discorso viene comunque interrotto dalla comparsa di due persone dall’aspetto familiare: riconosco Mike Shinoda, membro di un’altra famosa band losangelina di nome Linkin Park, e il produttore della sua band, Don Gilmore, amico di Rick.
«Rick, vecchio mio!» Don saluta allegramente il collega con un abbraccio fraterno. «Passavo da queste parti e ho pensato di venire a salutarti. Come butta? Lui è Mike Shinoda dei Linkin Park, non so se vi conosceste già.» 
«Non c’è male, amico» risponde Rick, sorridendo. «Sono contento di averti visto, e contento di conoscere te, Mike» stringe con vigore la mano del ragazzo, apparendo decisamente allegro. «Mi sono preso una pausa per una sigaretta, e Serj mi sta raccontando del tour appena concluso.» 
«Il famoso Serj Tankian!» esclama Don, tendendo la mano, e gliela stringo. «Un gran piacere incontrarti, ho sentito dire da molti che in Europa tu e i tuoi colleghi avete fatto faville, è così?» 
«Così pare» replico con una leggera risata.  
«Mi sono ricordato di una cosa, per cui io e Don ci allontaniamo un attimo a discutere di business, ragazzi, scusateci» dice Rick, e io e Mike replichiamo con un sorriso e un gesto della testa, prima di tornare a guardarci in faccia.  
«Ciao Mike, da quanto tempo!» 
«Eh già! Ne abbiamo fatta di strada, entrambi, coi nostri gruppi, da quella sera del 1997 al Whisky à Go Go» sono le prime parole di Mike, che fino a quel momento si era limitato ad assistere ai nostri scambi di battute con un sorriso. «Abbiamo un nuovo cantante, lo sapevi?» 
«Me ne sono accorto la prima volta che ho beccato un vostro singolo in radio e la voce non era quella che ricordavo! Appena ho modo vorrei ascoltare il resto del vostro album per apprezzare al meglio, ma già da ora mi complimento per il lavoro che avete fatto, siete bravi e avete finalmente anche un cantante all’altezza.» 
«Grazie! Siamo molto contenti dell’album che abbiamo pubblicato e siamo molto orgogliosi di Chester.» 
Un’idea si forma improvvisamente nella mia testa. «Te la butto lì: ma se ci si beccasse un giorno di questi, anche in sala prove? Io e i miei colleghi, tu con i tuoi, magari anche qualcuno dei nostri tecnici più affezionati se vuole aggregarsi. Ci stai?» 
«Eccome se ci sto!» esulta Mike, stringendomi una mano. «Un po’ di cazzeggio agli strumenti accompagnato da una birretta ci vuole proprio. Anche io, Chester e gli altri veniamo da un periodo estenuante, ci vuole un po’ di leggerezza e socializzazione.» 
Una volta concordati luogo e orario, mentre io e Mike ci scambiamo i rispettivi numeri di telefono, Don e Rick si riavvicinano a noi. 
«Noto che è nata un’amicizia!» commenta Don. 
«Nata ora non proprio, ci conosciamo già da anni» rispondo «e finalmente ci siamo ribeccati, è bello.» 
«Evviva!» si aggiunge Rick. «Don, Mike, è stato un grande piacere, ora torno dentro al lavoro. Ci si becca!» 
«Ciao Rick, alla prossima!» si congeda Don con una stretta di mano, seguito da Mike, e i due si allontanano. 
Una volta tornato dentro, riferisco la proposta ai miei colleghi e tutti l’accolgono con entusiasmo, e siamo concordi nel voler far aggregare a noi anche Nikki, Sako e Beno. Shavo chiama al volo Beno, mentre John acchiappa Sako di fronte a una delle consolle per aggiornarlo; forse attirati dal rumore compaiono alcuni tecnici, inclusa Nikki, e Daron le corre incontro per informarla. 
«Serata con i Linkin Park? Seriamente?!» la ragazza è esterrefatta. «Sono senza parole, ma al tempo stesso sono super curiosa di conoscerli!» 
«Sapevo che l’idea ti sarebbe piaciuta» commenta Daron, abbracciandola. 
«Ammetto di essere un po’ in ansia, trattandosi di musicisti celebri, ma è un problema mio di insicurezza personale. Ormai un po’ mi sono abituata ad avere a che fare con celebrità, aiuta pensare che sono persone come me e come tutti gli altri... beh, ha aiutato un po’ anche il fatto di stare con una celebrità» aggiunge poi, dando di gomito a Daron per scherzare, e lui ride, tenendola per mano, prima di darle un bacio. 
«Ragazzi, non so voi ma questa notizia mi ha fatto sentire meglio, quasi quasi vorrei passare un po’ di tempo in studio a lavorare sull’album.» 
«Si può fare, dai.» 
«Mi raccomando, non strapazzatevi!» udiamo la voce di Rick venire dal fondo del corridoio. 
«Va bene, mamma Rick!» 
«Un giorno di questi ci picchierà» mormora John, trattenendo una risata. 

-Nikki- 
È una sera tiepida e uno splendido tramonto ancora illumina tutto nel momento in cui, alla spicciolata, ci raggruppiamo all’indirizzo che Mike ci ha dato. Non so cosa aspettarmi, non ho idea di che faccia abbiano i musicisti che sto per conoscere; conosco soltanto uno o due brani che ho beccato in radio di tanto in tanto. 
«Nervosa, bestiolina?» Daron mi si rivolge con delicatezza, intuendo il mio stato d’animo. «Hai la mano un po’ sudata.» 
«Sì, un po’» rispondo «mi dispiace per la mano appiccicosa, se la lasci l’asciugo un attimo da qualche parte...» 
«Ma no, non serve, non mi dà fastidio» replica lui, e per rinforzare il concetto stringe un po’ la presa. «Può capitare, dai. Respiri profondi, e ricorda che con loro il pericolo di figuracce non esiste; sono come noi, in fondo.» 
Seguo le istruzioni di Daron e subito mi sento meglio. «Va meglio, grazie.» 
Serj si fa avanti e bussa e dopo pochi secondi la porta si apre. Sulla soglia compare un ragazzo, potenzialmente mio coetaneo, fasciato in felpa e pantaloni larghi e grosse sneakers, con capelli e barbetta scuri e occhi dal taglio allungato, asiatico, che brillano quando la sua bocca si apre in un sorriso a trentadue denti. 
«Ciao ragazzi, benvenuti nella mia umile dimora!» il musicista saluta Serj con un abbraccio, poi procede a salutare nello stesso modo gli altri componenti della band, che già lo conoscono; Daron lascia temporaneamente la mia mano quando è il suo turno. 
«Abbiamo con noi tre persone in più» esordisce Serj, facendo cenno a me e agli altri due del gruppo di farsi avanti. 
«Sako Karaian, tecnico della batteria» si presenta Sako. 
«David Benveniste, detto Beno, manager della Velvet Hammer Music.» 
Dopo aver asciugato furtivamente la mano sui jeans, la tendo verso il ragazzo che mi sta davanti, rilassato e sorridente, e improvvisamente non ho più alcuna ansia poiché la mia prima impressione di Mike si è rivelata positiva. «E io sono Nikki Gray, tecnico di assistenza informatica.» 
«Sono contento che ci siate anche voi» dice Mike, guardandoci a uno a uno dopo averci stretto la mano, con genuina contentezza. «Su, venite dentro, di là ci sono gli altri.» 
Giunti nel grande salotto troviamo ad attenderci non solo delle altre persone, ma anche cibo e birre e qualche strumento musicale qua e là, pronto per un’eventuale jam session, una scena estremamente gradevole alla vista. I colleghi di Mike si avvicinano alla spicciolata per salutare Serj e gli altri, con una familiarità che implica di essersi già conosciuti anni addietro, tutti tranne uno che inizialmente resta in disparte: di lui spiccano subito gli occhi castani dietro un paio di occhiali dalla montatura sottile, lievemente velati di malinconia, e le fiamme blu tatuate sui polsi che spezzano la semplicità cromatica della sua maglietta bianca e dei suoi pantaloni cargo neri. 
«Tempo di presentazioni!» irrompe Mike nella piccola calca che si è creata, generando così un po’ di spazio; fa un gesto della mano allo sconosciuto lì vicino, che risponde all’invito facendo qualche passo in avanti ed ergendosi in tutta la sua altezza, che non è poca cosa. «Dall'Arizona a Los Angeles, vi presento Chester Bennington, il nostro fantastico vocalist!» il ragazzo in questione lancia un’occhiata al collega, come a dire “non starai esagerando?”, poi scrolla le spalle. 
«Ciao!» la voce chiara e sonora di Chester si fa sentire per la prima volta ed è piuttosto diversa dalla voce cantata che ricordavo, certamente più pacata; sorride, e spicca così un labret centrale. «Ho sentito parlare tanto e bene dei System Of A Down, sono felice di potervi finalmente conoscere.» 
Dopo che Mike ha presentato l’altra band al cantante, è il turno di noialtri che abbiamo accompagnato Serj e gli altri; Sako e Beno fanno il loro giro di presentazioni in maniera molto rilassata, poi tocca a me e una punta di ansia torna a farsi viva. Daron lo nota e mi viene vicino, per sincerarsi che io stia bene, annuisco e gli sorrido per tranquillizzarlo, stampandogli poi un bacio su una guancia. 
«Ultima ma non ultima, eccomi anche io» esordisco, sperando di fare una buona impressione. «Sono Nikki Gray, tecnico informatico, chiedo scusa se sembro un’ebete ma ancora non sono abituata ad avere a che fare con gente famosa, nonostante ormai lo faccia per lavoro da qualche mese» sento il mio ragazzo ridacchiare alle mie ultime parole «Daron ne sa qualcosa, in effetti» aggiungo, guardandolo, e lui risponde con un sorriso da squalo, cingendomi le spalle con un braccio e dandomi un piccolo bacio su una tempia prima di incoraggiarmi a fare un passo avanti, con un tocco sulla schiena. 
Mike resta da parte, essendoci ormai conosciuti, mentre stringo la mano agli altri che mi vengono presentati: Brad, chitarrista, con la sua corta criniera riccia, Rob, batterista, alto e dall’aspetto serioso, Dave, bassista, con la faccia fresca da adolescente, il giradischi Joe con i suoi intensi occhi a mandorla. Per ultimo si fa avanti Chester, che mi osserva e poi mi regala un grande sorriso che ricambio senza fatica alcuna; per ora conosco solo il suo nome, ma quel che prima ho letto nel suo sguardo, e ora il suo atteggiamento, sono abbastanza da accendere nel mio cuore un affetto fraterno per lui. 
«Forza ragazzi, il buffet è aperto» scherza Mike, prendendosi una birra dal tavolo, e tutti seguono il suo esempio, andando poi ad accomodarsi in vari punti del salotto. Anche io prendo per me una birra e mi siedo sul divano, in un angolo; Daron mi si siede vicino, intento a parlare con Brad, d’altra parte sono colleghi di strumento, ma non mi sento ignorata poiché ogni tanto si volta a guardarmi, come a sincerarsi che sia tutto a posto. 
Con la coda dell’occhio vedo Chester venire nella mia direzione, con un piatto misto di cibo, per poi sedersi anche lui sul divano vicino a me, e mi volto a guardarlo. 
«Vuoi favorire?» porge il piatto verso di me. «Ho preso abbastanza roba per tre persone.» 
«Oh...» per un attimo resto stupita. «Sì, grazie!» rispondo poi, allungandomi a prendere qualcosa dall’aspetto delizioso. «Gentilissimo.» 
«Non c’è di che» replica lui, con un sorriso. «Mi sei sembrata un po’ spaesata, prima... di’ un po’, ora che ci hai conosciuti ti sembriamo un gruppo di cazzoni, vero?» 
«Dei cazzoni estremamente simpatici, non c’è che dire» esclamo, con una risata. «Scherzi a parte, mi sento meglio ora. Come dicevo prima, sono soltanto una comune mortale che lavora a contatto con gente famosa e ancora non ci ho fatto il callo; non sapevo cosa aspettarmi da questa sera, ma ora che ho capito con chi ho a che fare, sono tranquillissima. Molto carino da parte tua, preoccuparti per me.» 
«So cosa significa sentirsi pesci fuor d’acqua, per cui voglio sempre che tutti in nostra compagnia si sentano accolti e a proprio agio.» 
«Mike diceva che sono venuti a raccattarti fino in Arizona, com’è la storia?» 
«Brad conosceva un tipo importante, tale Jeff Blue, e quando il precedente cantante della band è andato via sono stato raccomandato a Mike e colleghi... pensa te, ho lasciato in anticipo la mia festa di compleanno per registrare il mio provino per la band, e ho lasciato di botto il mio pallosissimo lavoro per volare a Los Angeles quando mi hanno preso. Sono stato fortunato perché mi hanno scelto, e si è creata un’ottima chimica internamente alla band.» 
«Indubbiamente sono stati fortunati a trovarti.» 
«E tu come sei stata “trovata”, invece?» cambia argomento Chester, prendendo un sorso di birra. 
«Se intendi in senso letterale, beh, sono stata trovata orizzontale sull’asfalto in un vicolo di questa città» inizio, cercando di usare un tono ironico per stemperare. «Pare che quasi debba ringraziare chi mi aggredì quella notte, perché mi ha messo sulla strada di Serj, che mi ha soccorsa. Da allora ho stretto amicizia con i ragazzi e, quando un loro tecnico informatico ha annunciato di doversi mettere in malattia per lungo tempo, hanno chiamato me perché li avevo messi al corrente di ciò di cui mi sono occupata per anni per lavoro. Poi anche io, come te, vengo da un altro stato, nel mio caso Utah.»  
«Entrambi veniamo da posti dimenticati da Dio, insomma» scherza Chester, anche se nel suo sguardo leggo empatia. 
In quel momento, per l’ennesima volta, Daron si volta in mia direzione nello stesso momento in cui l’altro cantante e io guardiamo nello stesso punto, e ci sorridiamo a vicenda. Il chitarrista, oltre a Brad, ora ha come ulteriori interlocutori Rob, Dave e Mike e non riesco bene a capire di cosa stiano parlando, ma la loro conversazione mi sembra interessante e dai toni pacati. 
«Daron si volta spesso a guardarti» constata Chester, con un sorriso. 
«Penso voglia assicurarsi che io stia bene... sa che ero in ansia prima di venire qui, e sembra sia contento di vedermi tranquilla e intenta a socializzare.» 
«Questo è il bello di una relazione, guardarsi le spalle a vicenda» replica il ragazzo; sorride quando nota il cambio di colore del mio viso e delle mie orecchie, che vanno a imporporarsi. «Vi ho visti entrare mentre ti teneva per la mano, ho visto il suo linguaggio non verbale mentre ti incoraggiava a presentarti... ma il concetto vale per qualsiasi relazione, anche amichevole. Non volevo metterti in imbarazzo, perdonami se per caso l’ho fatto.» 
«Tranquillo, non hai da scusarti!» lo blandisco subito. «È una relazione iniziata da relativamente poco tempo, ecco il motivo della mia reazione.» 
«Ebbene, ragazzi, tutto okay?» chiede Mike alla “platea”, alzandosi. «Che dite, suoniamo qualcosa al volo?» 
«Sì!» rispondono più persone nello stesso momento, quasi in coro. 
«Cominciamo con qualcosa di vostro» propone Serj, con un sorriso «poi proporremo qualcosa di nostro e dopo suoneremo insieme delle stesse canzoni.» 
«Mi sembra un’ottima idea.» 
«Propongo “Papercut”» salta su Chester. «Quando abbiamo girato il videoclip fingevamo di suonarla in acustico, ma secondo me renderebbe bene se la suonassimo per davvero in versione “unplugged”» Brad e Dave annuiscono. «Gli strumenti ci sono tutti... invece a Joe toccherà riprodurre lo scratching a voce, mi sa» Joe scoppia a ridere, facendo poi segno con il pollice in su. 
In pochi minuti Mike e compagni si predispongono e comincia la loro esibizione, e niente da fare, spaccano anche in versione acustica. Il brano non ricordo di averlo già sentito; ha un’atmosfera peculiare, che avvolge fino a far sentire anche all’ascoltatore il disagio di cui parla, per cui se l’avessi già ascoltata prima ricorderei di aver provato le sensazioni che sto provando ora. 
Appena concludono Serj, io e gli altri facciamo loro un applauso perché sì, se lo meritano eccome, e i ragazzi fanno tutti un breve inchino lì dove si trovano, prima di cedere il posto agli strumenti. In poco tempo Daron aggiusta l’accordatura della chitarra alle sue necessità, John si prepara con il cajon e Shavo si siede imbracciando il basso acustico; fanno segno a Serj, che annuisce, e a sorpresa si parte con “Aerials” che anche in versione acustica riesce ad essere sempre meravigliosa.  
«Spaccate» commenta Mike, applaudendo con gli altri, e di fianco a lui Chester annuisce vigorosamente. «Forza, che si mettano in gioco anche gli altri ospiti, ora! Che si suona?» 
«Io non sono capace di cantare o suonare» mette le mani avanti Beno. 
«Io posso provarci, ma non garantisco qualità» dice Sako «in compenso Nikki può fare qualcosa.» 
«Eh?!» mi volto verso il tecnico della batteria con uno scatto a rischio di colpo di frusta. 
«Vero!» salta su Shavo. «L’abbiamo sentita dal vivo, sa cantare e sa pure suonare un po’ la chitarra.»  
«Me la cavo, nulla di eccezionale» mi schermisco. 
«Va bene lo stesso, qui siamo fra amici, niente ansie» risponde Chester, cercando di incoraggiarmi. «Se non ti senti a tuo agio a cantare e suonare contemporaneamente, nemmeno quello è un problema: sei circondata di baldi giovani che sanno suonare.» 
«Incluso te, che sei niente male!» gli dà di gomito Mike di fianco a lui. «Perché non l’accompagni tu alla chitarra per un brano?» 
«Sfida accettata» Chester finge di gonfiare un po’ il petto come un pavone, poi ride e si fa passare la chitarra, risistemandone l’accordatura in poco tempo. «Allora, Nikki, cosa ti va di cantare? Dimmelo, e ti accontenterò» mi si rivolge, in posizione, pronto per iniziare.  
«Sono pessima con le scelte, soprattutto quando c’è un ampio “catalogo”» rispondo, seriamente in imbarazzo. 
«Proviamo così: ti suono l’intro di qualcosa, se la conosci mi fai cenno e la continuiamo. Okay?» 
«Perfetto, proviamo.» 
Chester inizia a strimpellare un’introduzione dai toni piuttosto cupi e nel giro di poco riconosco “Heart-shaped box” dei Nirvana. Non sono sicurissima di rendere bene, non è uno stile vocale che sento del tutto mio, ma decido di provarci ugualmente, per cui faccio segno a Chester, che a sua volta fa segno a John, e proseguiamo con il brano. Sento gli altri canticchiare con me e questo mi incoraggia. A fine brano si levano delle esclamazioni e un applauso da parte di chi non ha le mani occupate che mi fanno arrossire e chinare la testa per qualche momento, prima di ringraziare tutti. 
«Avevano ragione i tuoi amici!» esclama Chester, mettendo temporaneamente da parte la chitarra. «Dammi il cinque, collega!» e risuona un sonoro schiocco di mano contro mano mentre rido, contenta. 
«Sono piacevolmente sorpresa da tutto questo entusiasmo e apprezzamento» dico, schiarendomi la voce «mi sono sempre ritenuta una cantante mediocre.» 
«Ebbene, ragazza, noi qui adesso ti diciamo che devi avere più fede in te stessa, perché hai del potenziale!» aggiunge Mike, mentre tutti gli altri annuiscono. 
«Se dico che mi sei piaciuta un filino più dell’originale poi sembro di parte, vero?» si inserisce Daron. 
«Assolutamente» scoppio a ridere e mi alzo per andare un attimo ad abbracciarlo e lui mi stampa un grosso bacio sulla fronte, prima di lasciarmi tornare a sedere e chiedere che gli passino una chitarra. 
«Ho avuto un’idea per un brano, sicuramente vi piace, ai nostri fans piace da matti» dice, facendo un occhiolino a Serj che lo ricambia. Già dopo i primi due accordi ho capito di quale canzone si tratta, ma mi trattengo dal ridere per non rovinare la sorpresa agli altri; dopo poco si alza la voce di Daron, chiara e vibrante come sempre, con Serj che lo accompagna dapprima sottovoce. Una volta riconosciuta la canzone, Chester soffoca velocemente una risata mentre Mike e gli altri sorridono divertiti, e a fine esibizione tutti scoppiano in una cacofonia di risate più o meno sguaiate. 
«Questa cover è geniale!» commenta Chester, asciugandosi una lacrima mentre ancora ride. «”La isla bonita” di Madonna nel vostro stile! Vi adoro!» 
«Gentilissimo» risponde Serj, ringraziando a mani giunte e capo chino, imitato da Daron. 
«Chaz!» richiama l’attenzione Mike. «Ho avuto anche io un’idea per un brano!» 
«Avanti, spara!» 
«“Bye bye bye” degli *NSYNC!» 
«Mikey, hai appena avuto un’idea del cazzo che però mi piace da morire!» 
In qualche modo, in mezzo alle risatine e con occasionale incertezza sul testo, la cover prende vita e alla fine scoppiamo tutti quanti in risate rumorosissime a piena pancia. Mentre l’intera stanza è permeata di ilarità osservo le facce di tutti, imprimendo la scena nella mia mente e nel mio cuore: non c’è traccia alcuna di tristezza o tensione su alcun volto e finanche gli occhi castani di Chester ora sono accesi e illuminati, oltre a essere finalmente visibili senza ostacoli poiché il ragazzo, avendo riso fino alle lacrime, si è sfilato gli occhiali per non bagnarli. 
«Dio, vi adoro tutti!» biascica, con la voce ancora deformata dalla risata, e gli altri rispondono con versi o gesti di assenso. 
«Il sentimento è assolutamente reciproco!» gli rispondo, facendogli compagnia con gli occhi umidi e il sorriso a trentadue denti. 
La jam session va avanti per un po’, con qualche pausa per uno snack, e quando ci ricordiamo di controllare l’orologio notiamo che si è fatto lievemente tardi. 
«Ho bisogno di una pausa per fumare, chi vuole aggregarsi?» si alza in piedi Shavo, frugando in una tasca per cercare il pacchetto di sigarette, seguito da me, Daron, Serj, Mike e Chester. «Non ci metteremo molto» aggiunge poi il bassista in direzione di chi non si è alzato, a mo’ di scuse. 
«Andate tranquilli» risponde Brad «io devo andare un attimo in bagno.» 
«E io ho bisogno di almeno un litro d’acqua» aggiunge Joe, e dietro di lui Dave annuisce. 
«E io devo chiamare un attimo la mia fidanzata» si inserisce Rob. 
Ci disponiamo in un cerchio largo sul terrazzo e per un po’ c’è andirivieni di pacchetti e di accendino, dopodiché per qualche secondo restiamo tutti in silenzio, tempo di prendere i primi tiri. Mi distanzio un attimo dal gruppo, affacciandomi dalla ringhiera per guardare un po’ il panorama circostante, quando un braccio mi circonda la vita e avverto il calore di un corpo. 
«Tutto bene, bestiolina?» è Daron ad essersi avvicinato. 
«Assolutamente» annuisco, appoggiandomi con la testa alla sua spalla «mi sto divertendo e mi sento decisamente meno fuori posto di quando siamo arrivati.» 
«Molto bene» risponde lui, contento, a voce bassa. «Sono contenta che tu abbia iniziato subito a fare amicizia con gli altri, e specialmente con Chester.» 
«Niente gelosia?» 
«Assolutamente no. Penso di capire perché me lo chiedi e sono lieto di confermarti che no, nessuna gelosia, anzi, come detto, sono contentissimo se fate amicizia.» 
«Non so praticamente nulla di lui e del suo passato, ma quando me lo sono trovato davanti gli ho letto qualcosa nello sguardo che mi ha ricordato me» gli confesso. «L’ho percepito quasi fosse un fratello perduto e ora ritrovato.» 
«Anche io ho percepito nei suoi occhi qualcosa, e anche io come te l’ho conosciuto solo stasera, ma mi è già molto simpatico e penso sia davvero talentuoso, magari in futuro potremmo anche fare qualche collaborazione, sia come band che da soli.» 
«Sarebbe splendido e so già che fareste faville, insieme!» 
«Sempre troppo buona, tu...» 
Zittisco Daron per qualche secondo con le mie labbra sulle sue prima che possa eventualmente passare a sminuirsi da solo, e quando mi stacco rimane in silenzio a fissarmi con aria imbambolata e guance un po’ rosse. 
«Sei un’iniezione di serotonina, come sempre» mi dice, dandomi a sua volta un altro bacio prima di allontanarsi per un attimo a spegnere la sigaretta. Insieme ci riavviciniamo agli altri, che stanno finendo di fumare. 
«A breve devo andare via» esordisce Chester, spegnendo la sua sigaretta «avevo promesso a mia moglie che non sarei stato via per troppo tempo.» 
«Come sta il piccolo?» chiede Mike. 
«Sta bene, è tranquillo, non ci sta facendo perdere troppo sonno, per fortuna.» 
Rientriamo in salotto e, dopo qualche altro minuto di chiacchiere, Chester avvisa anche gli altri colleghi del fatto che deve andare via, per cui si avvia un giro di saluti con la sua band e poi con Serj e compagni; in ultima istanza saluta Beno e Sako, poi si avvicina a me. 
«Nikki, sono contento di averti incontrata questa sera insieme ai System Of A Down» inizia, sorridendomi. «Non so chi dei tuoi colleghi ha il numero di Mike, ma ho pensato che potrei lasciare a te il mio numero, per qualsiasi evenienza, che sia organizzare di nuovo una serata come questa, oppure questioni lavorative, cose così...» 
«Per me va benissimo» rispondo, tirando fuori il telefono e porgendoglielo. «Digita pure.» Il ragazzo inserisce rapidamente il suo numero e subito lo salvo. 
«Anche per me è stato un enorme piacere averti conosciuto, sei stato gentilissimo e accogliente con una comune mortale come me e questa è una cosa bellissima che non dimenticherò mai» aggiungo, prima di salutarlo con un abbraccio fraterno. 
«E di che, è il minimo» replica lui, continuando a sorridere. «Buonanotte, ragazzacci!» saluta a voce alta, prima di scomparire nel corridoio che porta all’ingresso.
 






Note dell'autore: ho scelto il 20 marzo per pubblicare questo capitolo perché è il giorno del compleanno di Chester Bennington. Questo capitolo è nato nella mia testa alcuni mesi fa e vuole essere un tributo a lui, alla sua vita e alla sua arte, e fa anche parte del mio personale processo di elaborazione del lutto, iniziato veramente soltanto 2 anni fa circa anche se sono quasi 7 anni che Chester ci ha lasciato. Spero che il capitolo vi sia piaciuto tanto quanto è piaciuto a me scriverlo, ovvero tantissimo <3

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