Electa una via, non datur recursus ad alteram

di ArtemisiaBlack
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Firenze - Ottobre 2018 ***
Capitolo 3: *** Villa Medici, Fiesole - 1469 ***
Capitolo 4: *** Raggiungendo Firenze - 1469 ***
Capitolo 5: *** Palazzo Medici Riccardi, Firenze - Primavera 1469 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Godi, Fiorenza, poi che se' sì grande,

che per mare e per terra batti l'ali,

e per lo 'nferno tuo nome si spande!

Dante Alighieri - Divina Commedia, Inferno, Canto XXVI 
 
Al centro di un fiume in piena. Immobile. Piazza della signoria è attraversata da una fiumana ininterrotta ed io rimango immobile.  L’unica persona senza ombrello a dispetto della pioggia scrosciante. Non posso far a meno di esser grata alla pioggia.
Un anziano signore mi si avvicina; ha il volto limpido e genuino nonostante i profondi solchi lasciati dallo scorrere degli anni. Mi si scioglie il cuore a vederlo porgermi il su ombrello; giura di non averne necessità, scherza sul cappello a falda larga che indossa. Lo protegge da 50 anni, lo proteggerà anche dal diluvio di stamane. Mi si spezza la voce nel ringraziarlo, mi si intristisce il cuore nello scorgere la tristezza nei suoi occhi. Tanta bontà non andrebbe ripagata con mezze parole sussurrate sotto voce. Trattengo le lacrime, lo invito per un caffè. Devo averlo stupito parecchio ma accetta di buon grado. Posso solo immaginare quanto debba sentirsi solo: è il nonno, il padre, il fratello di qualcuno, eppure irrimediabilmente solo. Mi chiedo perché anche le persone così, quelle genuine, che meriterebbero affetto, che si fermano per strada ad aiutare uno sconosciuto, che sembrano fatte di sogni veri e di sentimenti buoni, debbano soffrire l’abbandono. 
Entrando nel bar colmo di turisti scorgo la gioia che sgorga dai suoi occhi ora che ha la possibilità di scambiare quattro chiacchiere con un altra anima. Mentre ordiniamo mi ringrazia per la compagnia, i figli e i nipoti non si scomodano mai per andarlo a trovare e la solitudine lo assale. Per questo passeggia per Firenze, dice. La folla lo fa sentire meno solo. Quanto ama Firenze, dalle sue parole trasuda l’ammirazione per la bella città di pietra. “Piovene disse che l’architettura ha la magia di uno strumento ottico di precisione nella nostra bella città. Non siete d’accordo?” mentre lo dice osserva la loggia, distante all'altro capo della piazza, come un innamorato che scorge tra la folla la luce die suoi occhi, la ragione del suo cuore. Quasi involontariamente cito il cancelliere von Metternich: 

Tutto qui spira grandezza, gusto, umanità, purezza, e bellezza, nel più alto grado. Credo che sarei più felice qui con voi, che in qualsiasi altro luogo. Ciò è il massimo elogio che io possa fare a questa città. Non so se voi amiate pitture, statue, bronzi, marmi antichi di tutte le qualità. Lo credo, perché lo desidero.

ll gentil signore, il quale ho scoperto chiamarsi Giulio, sorride bonario. Condividiamo un ammirazione viscerale, ineluttabile per la nostra terra natia. Questi sentimenti condivisi, uniti alla sua gentilezza e arguzia nel conversare, suscitano in me una simpatia profonda. Le lacrime smettono di pizzicarmi gli occhi. Nulla più può esser pace se non esser a Firenze in compagnia di chi la ama. 

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Capitolo 2
*** Firenze - Ottobre 2018 ***


E quando in Palazzo Vecchio, bello come un’agave di pietra,
salii i gradini consunti, attraversai le antiche stanze,
e uscì a ricevermi un operaio, capo della città, del vecchio fiume,
delle case tagliate come in pietra di luna, io non me ne sorpresi:
la maestà del popolo governava.
Pablo Neruda - La città
 

I giorni passano ed ogni mattina Giulio racconta un pezzetto della sua storia, intessuta con quella della bella città. L’ormai anziano uomo, fiero dipendente della soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato, mi diletta con racconti concernenti la sua gioventù mentre passeggiamo tra le vie senza tempo. Uno dei suoi primi ricordi risale al 1942 quando, bimbo issato sulle spalle del padre, ammirò per la prima volta la loggia dei lanzi. Quel signore gioviale sembra incredibilmente fragile mentre ripercorre gli eventi della sua infanzia. C’è tristezza e rammarico nella sua voce quando parla del padre, uomo immensamente amato e perso troppo presto: è morto partigiano poco prima dell’armistizio. Ma non prima di insegnargli ad amare l’arte sopra ogni cosa, aggiunge sorridendo bonariamente. La sua aria baldanzosa mi spinge a sorridere. Nonostante la passeggiata nei ricordi amari dei suoi primi anni, con mia sorpresa l’affabile signor Giulio ha dipinto sul volto un sorriso rilassato, genuino. Sono anni che nessuno dei nipoti lo ascolta più raccontare storie della sua vita, sembra rinvigorirsi sempre più con il passare del tempo. Il terzo giorno mi accompagna a Palazzo Vecchio, lui ne decanta le meraviglie ed io mi estraneo, distratta dai ricordi. L’incessante palpitìo nelle orecchie rende difficile ascoltare il discorso di Giulio, così mi limito a sporadici segni di approvazione. Presente e passato si intrecciano in un turbinio di immagini davanti ai miei occhi.  “Ti sto annoiando?” mi accorgo che mi pone la domanda con uno sguardo comprensivo ma un poco triste. Immagino tema di essere lasciato solo nuovamente, ignorato e dimenticato. “No no, si figuri. Apprezzo che lei condivida con me le storie della sua vita. Per un attimo mi sono persa nella memoria della prima volta che visitai il palazzo.” Lui sorride e sembra credermi. “La prima volta non si scorda mai, questo luogo è intriso di storia e la trasmette carica di emozioni. Per esempio questo scrittoio, all’apparenza alquanto comune, è stato testimone di eventi straordinari” dice mentre passiamo la sala dei Cinquecento. Giulio gioisce nel vedere il mio rinnovato interesse e procede a descrivermi le figure che nei secoli hanno fatto uso della mobilia. Entriamo poi nello studiolo di Francesco I. Il mio erudito chaperon sembra andare particolarmente fiero del lavoro di restauro operato dal Vasari e del Borghini, e ne decanta le opere. Mentre mi mostra i due passaggi segreti che conducono fuori dallo studiolo la mia mente torna ad un altro momento; la stanza muta sotto il mio sguardo. Appare in tutta l sua passata gloria. Tappeti ricoprono il pavimento di fredda pietra, scaffalature ricolme di libri riempiono la sala, oggetti d'arte adornano ogni angolo come se chi li ha posizionati soffrisse di horror vacui. Al centro una grande scrivania in legno massiccio, finemente intarsiata e ben preservata nonostante l'incessante utilizzo. Dietro la scrivania un ragazzo ventenne ha appena ereditato il peso del mondo sulle spalle, eppure sorride tendendo la mano ad un uomo dall’espressione arcigna. Accanto a quest’ultimo si erige un giovane dai lineamenti marcati intento a leggere attentamente una lettera. Nel ricordo il giovane voltandosi alza lo sguardo dalla missiva, nella realtà Giulio mi riscuote chiamandomi in tono eccitato. Sprizzando felicità, il viso illumianto dal più ampi dei sorrisi, mi trascina letteralmene nella sala adiacente: “Oh cielo! Vieni presto, devi assolutamente conoscere Flavia. La mia amica è l’angelo salvatore che si occupa del restauro della magnifica Sala degli Elementi”. Passiamo la giornata a vagabondare tra le sale del palazzo e per la prima volta in un lungo, lunghissimo tempo, mi sento a casa.
Al quinto giorno ci ritroviamo nuovamente a passeggiare ammirando la loggia, facendo slalom tra le orde di turisti armati di fotocamera e outfit opinabili. Giulio confessa che la vocazione della vita gli fu chiara quando visitò la galleria degli Uffizi per la prima volta. Ripercorre decenni di dolceamari ricordi passati a lavorare tra le sale del museo ed il suo animo artistico lo infervora particolarmente quando descrive concitato gli eventi del 4 Novembre 1966. Quel venerdì è rimasto impresso a fuoco nella sua memoria, e in quella di molti altri Toscani. Mentre visitiamo gli Uffizi mi racconta degli immensi sforzi fatti per restaurare alcune delle opere danneggiate dall’acqua e dal fango. Si fa genuinamnte triste nel ricordare quelle che non sono riusciti a salvare. Il suo entusiasmo per le cose belle della vita mi ricorda tanto un altro uomo in la con gli anni, il quale soleva racontare l’infinita meraviglia che l’arte suscitava nel suo cuore. Si chiamava Lorenzo. Lorenzo de Medici.

 

 

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Capitolo 3
*** Villa Medici, Fiesole - 1469 ***


Il buon Giulio continua a farmi compagnia, dilettandosi in spiegazioni sempre più infervorate ed appassionate che mi scaldano il cuore; ed io ripenso al giorno in cui conobbi Lorenzo nella primavera del 1469. Per quanto la mia vita fosse già stata segnata da alcuni eventi alquanto significativi fu in quell’anno che tutto ebbe inizio.

 

Fiesole -1469​

La carrozza corre veloce sulla strada dissestata dirigendosi a gran velocità verso una delle ville di campagna appartenente ai de Medici. Gli occupanti dell’abitacolo sobbalzano, malamente sballottati, man mano che il sentiero sconnesso procede verso la cima della collina. La conversazione all’interno della carrozza è animata. Il matrimonio di mia sorella Caterina, argomento prescelto da nostro madre per far passare il tempo, non è cosa di cui la cara sorella desideri discutere. A nostra madre dice di essere troppo giovane, sebbene ormai diciassettenne. Io sospetto ella voglia temporeggiare, nella speranza di convincere padre a maritarla con un giovane tedesco di cui si è invaghita. Speranza vana a parer mio, considerando quanto può essere flebile l’amore giovanile e visto che ci stiamo dirigendo ad incontrare i rampolli dell’altro ramo della famiglia de Medici. I nostri parenti, che non vediamo da quasi vent'anni, con cui madre spera di combinare matrimoni vantaggiosi. l’idea del matrimonio non potrebbe essere meno intrigante a parer mio, ma avere la possibilità di conoscere qualcuno con il mio stesso sangue mi incuriosisce parecchio, uno dei pochi motivi per cui ho intrapreso questo viaggio. Il principale di questi è il desiderio di poter ammirare Firenze, città in cui sono nata ma che non ho mai avuto il piacere di abitare.
-Lucrezia, tu cosa ne pensi?- chiede mia madre.
Che voglio morire, o per lo meno cavalcare in pace sino a destinazione. Questa conversazione era già noiosa nei pressi di Prato, ora si è fatta insostenibile. Sembra di sentire il sordo parlare con il muto: mia madre ripete le stesse cose da ore ricevendo in risposta le medesime obiezioni. Nonostante io sia infastidita oltremisura, scelgo la via della diplomazia -Credo sia il caso di non giungere a conclusioni affrettate. Una volta conosciuti i giovani, e giudicate le loro doti, si potrà valutare di avanzare una proposta matrimoniale.-
Ricevo un sorriso grato dalla mia gemella, Caterina sembra annoiarsi tanto quanto me. Madre invece storce il naso -Dovremmo fare pressione sin da subito, insisto. Il minore di loro figli con la minore dei nostri. Questo unirà la famiglia-
Cercando di non far trasparire il tedio nella mia voce, rispondo -La banca unirà la famiglia madre, non certo un matrimonio di facciata.- Finalmente il mio commento peccato la zittisce e io posso tornare a godermi il paesaggio. Le colline toscane sono incredibilmente belle, rese verdi brillanti dall’arrivo della primavera ed i cipressi ai lati delle strade rendono l’atmosfera bucolica un pizzico più intrigante. In questo momento sento la mancanza di mio fratello Giorgio; a diciannove anni appena compiuti il suo animo artistico si sarebbe perso per ore in contemplazione dei paesaggi collinari che ci circondano, forse spingendosi anche a dipingerli. Invece egli è rimasto a Verona, per aiutare nostro padre nella gestione della Banca. Al suo posto con noi sono venuti il primogenito Alessandro e il quindicenne Giovanni, i quali io invidio profondamente per aver avuto la fortuna di poter viaggiare in un altra carrozza, lontano da nostra madre ed i sui tediosi discorsi.
Persa nelle mie riflessioni quasi non mi accorgo che la carrozza sta diminuendo velocità, sennonché madre esclama -Ragazze ricomponetevi, siamo arrivate! Schiena dritta e sorrisi cortesi, ricordate.- Io quasi non la sento, persa come sono alla vista di Fiesole. Essa è una città raffinata alla vista, due colline lussureggianti punteggiate di ville magnifiche, dotate di immensi giardini all’italiana ricchi di vegetazione accuratamente plasmata in forme artificiose. La carrozza rallenta ancor più avvicinandosi ad una bella villa ben proporzionata, elegante a dispetto delle mura solide. La diligenza si ferma proprio all’ingresso della villa, posta in posizione panoramica su un declivio alquanto scosceso. Posta su di un grande terrazzamento, la casa fiesolana dei de Medici è un edificio alquanto innovativo, dotato anche un giardino dalle forme geometriche perfette situato sul declivio collinare. L’edificio intonacato di bianco appare sobrio, a pianta quadrangolare e con ampie logge aperte su due lati della villa, le quali devono conferire una vista magnifica della città. Tuttavia le finestre riquadrate da cornici in pietra serena conferiscono un tocco di raffinata particolarità all’elegante casa padronale. Come vorrei che Giorgio fosse qua con me, a condividere l’ammirazione per il lavoro svolto dall’architetto di Cosimo il Vecchio, Michelozzo. Sulla soglia dell’edificio si trovano due donne molto rassomiglianti tra loro, con i capelli bruni portati in morbide onde. Deduco che siano Lucrezia de Medici, nata Tornabuoni, e sua figlia Bianca. Non appena la carrozza si arresta le due donne vengono prontamente raggiunte da un ragazzo, un giovane uomo con gli stessi crini castani. Madre si appresta ad uscire, seguita a ruota da Caterina, e vengono aiutate da quello che posso solo supporre sia Lorenzo, il primogenito di messer Piero. Le quattro donne si scambiano i saluti, baciandosi le guance con disinvoltura. Allo stesso tempo la porta della seconda carrozza viene aperta da Alessandro, il quale scende elegantemente i gradini con al seguito un Giovanni, perso nella contemplazione della facciata. Entrambi si apprestano a salutare con galanteria le due donne e Lorenzo.
Rendendomi conto di essermi attardata sin troppo nella contemplazione degli altrui saluti mi affretto ad uscire dalla carrozza, ma prima che possa unirmi alle presentazioni il terzo rampollo, Giuliano, arriva dal giardino aggiustandosi la giubba. Saluta mia madre facendole il baciamano -Perdonate il mio ritardo, ero a cavalcare-. Ella sorride compiaciuta ma il profumo da donna che impregna il giovane tradisce la sua affermazione. Madama Lucrezia sembra tirare un sospiro di sollievo al sorriso di Caterina quando Giuliano le prende la mano. Mia sorella è ingenua e terribilmente romantica e trovarsi protagonista delle attenzioni di un uomo di così bell’aspetto le ha imporporato le guance in una maniera quasi stucchevole, impedendole di notare la menzogna del giovane. L’ironia della cosa fa salire un sorriso spontaneo sulle mie labbra. Lascio che anche Lorenzo le faccia il baciamano, causando un ulteriore arrossamento delle sue gote, e mi accingo a scendere definitivamente dalla carrozza. Alessandro deve aver notato il mio temporeggiare perché si avvicina e mi porge il braccio, presentandomi ai nostri anfitrioni. Bianca mi sorride di cuore, contagiandomi con la sua espressione gioviale, mentre madonna Lucrezia si delizia del fatto che portiamo lo stesso nome. Lorenzo invece mi sorprende con la profondità del suo sguardo, sospetto che dietro a quegli occhi incredibilmente blu egli possa nascondere tanto un poeta quanto l’astuto successore di Cosimo il Vecchio. Se mia sorella è diventata tanto rossa quanto la giovane Bianca durante i saluti, due perfetti esempi di virginale pudicizia, Lorenzo sembra quasi sollevato che la mia reazione non sia la medesima. Scambiamo solo poche parole ma potrei giurare che egli abbia qualche affinità con Giorgio, il mio fratello preferito. Ancora una volta mi ritrovo a pensare a quanto sarebbe bello che fossimo qui insieme. Giuliano invece deduco che sia quello più esuberante, ma meno pronto ad essere deriso a sua volta. Quando il suo tentativo un po’ impudente di essere affascinate dipingendomi come “più bella del sole” ottiene solo una risata in risposta sembra spaesato, come un cucciolo che ha smarrito la via. Al che, per evitare ulteriori imbarazzi e lanciando occhiate al figlio Giuliano, Madonna Lucrezia ci invita ad entrare per conoscere suo marito. Ci apprestiamo ad accedere alla villa. 

 

Pure, ad osservarla bene, la dolcezza non è la più intima caratteristica della terra toscana, come invece del”Umbria. Anche nelle parti più amene, quali le valli del Mugello ed il Chianti, sotto l’involucro grazioso si scopre una precisione, una purezza di contorni, uno scarno rigore di disegno: mentre l’occhio si incanta sulla dolcezza delle prime apparenze, scivola dentro l’anima una lezione più severa. La bellezza Toscana è una bellezza di rigore, di perfezione, talvolta di ascetismo, sotto l’aspetto della grazia.

Guido Piovene

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Capitolo 4
*** Raggiungendo Firenze - 1469 ***


«Quant'è bella giovinezza,

Che si fugge tuttavia!

Chi vuol esser lieto, sia:

di doman non c'è certezza»
 

La settimana trascorsa a Fiesole in compagnia dei miei consanguinei mi fu è stata sufficiente per comprendere quanto siano contraddistinti da dicotomie, ognuno a modo proprio. Bianca incallita sognatrice, inguaribile romantica in attesa del principe azzurro si è dimostrata una persona estremamente determinata. Lucrezia, la quale appare donna angelo petrarchesca, in realtà è una stratega raffinatissima. Giuliano lo stilnovista scavezzacollo dal cuore d’oro, disincantato amante della vita e dei suoi piaceri ma devoto all’onore della famiglia. Piero, fiaccato dalla gotta eppur signore di Firenze de facto. Lorenzo si è rivelato il più poliedrico: scaltro pur conservando un ingenuità fresca di gioventù, politico con idee più atte ad un filosofo, idealista ma pronto ad accettare i compromessi necessari. Sebbene li conosca solamente da pochi giorni sento di apprezzare già questi miei consanguinei.
-Lucrezia cara, voi cosa ne pensate? - Ancora una volta la voce di mia madre mi riporta bruscamente alla realtà
-Riguardo a cosa madre? -
-Perdonatemi Madonna Lucrezia, mia figlia sembra non ricordare le dovute maniere oggi- sentenziò quell’anima impietosa della mia progenitrice. Madonna Medici mi sorride, con l’intento di nascondere il malcelato fastidio per la mia disattenzione. -Chiedevo a vostra madre cosa ne pensate dei miei figli.-
Ecco, la nota dolente. Il dovere di ogni donna. La croce di ogni donna.  La scelta di un compagno oculatamente operata dai famigliari basandosi su criteri ben lontani dall’amore. Il matrimonio. In pratica una prigione per la vita. -Bianca è una giovane tanto bella quanto arguta, Madonna. Ho trascorso dei bellissimi giorni in sua compagnia.-
Madonna Medici inclina la bocca in una smorfia: il mio continuo glissare deve averla infastidita. -E Lorenzo? Mi pare abbiate passato del tempo assieme in biblioteca.-
-Vostro figlio è dotato di fine intelletto; sono grata abbia condiviso con me le lezioni filosofiche di messer Poliziano.-
L’ennesima risposta vaga causa l’increspassi di sottili rughe di disappunto sul bel volto di mia madre. Madonna Lucrezia non si lascia scoraggiare e tona alla carica -E Giuliano? Non è un ottimo cavallerizzo il mio figliolo?-
-Invero. E lasciatemi complimentare con voi per la meravigliosa scuderia. Il Baio di vostro figlio è un animale magnifico.
Dall’espressione delle due donne sedute di fronte a me in carrozza traspare impazienza, tuttavia non ho alcuna intenzione di esprimermi in modi che possano essere interpretati come dimostrazioni di interesse verso nessuno dei due giovani. -Indubbiamente entrambi i miei figli sono prestanti giovani-
-Ed oserei dire alquanto affascinanti.- asserisce mia madre. Sono persistenti, debbo ammetterlo, ma non mi lascio abbiandolare -Avete dato tre bellissimi eredi a Casa Medici Madonna.-
Sfortunatamente per me Lucrezia Tornabuoi non è donna che demorde facilmente, e finalmente mi incalza in modo più diretto -Ho notato una certa preferenza da parte tua nei confronti del mio tesoro, Lucrezia.-
Arguta, ma questa insistenza comincia a infastidirmi. -Bianca è una ragazza così a modo, passare il tempo in sua compagnia è molto piacevole. Abbiamo auto modo di approfondire vari argomenti. Uno in particolare che mi ha colpito sono le specie di fiori esotiche che possedete nei giardini della villa. Avete iniziato voi a coltivarli madonna? -
Ora mia madre sembra volermi strozzare sul serio. La sua espressione è livida. Madonna Lucrezia sembra aver ingoiato un rospo, ma abbozza lo stesso un sorriso. - Si il giardino è la mia passione. Voi apprezzate la botanica?
Quest’improvvisa arrendevolezza potrebbe ingannare una giovane sprovveduta, ma dopo aver passato una settimana in compagnia di Madonna Medici mi rendo presto conto che essa è solo un mezzo per farmi abbassare la guardia. -Certamente Madonna, mi piacerebbe assistervi nella cura del giardino. Se ne avrete l’occasione desidererei imparare dalla vostra maestria.-
Lei sorride affabile ed io inizio a temere che Lorenzo o Giuliano abbaino una segreta passione per la botanica di cui non sono ancora venuta a conoscenza. -Ne sarei lieta. Lorenzo, caro figliuolo, ama curare i giardini tanto quanto me. Trovo passeremo dei bei momenti assieme.-
Ecco, ora come faccio a liberarmi dall’impiccio? Rimpiango la fortuna di Caterina, la quale condivide il viaggio verso Firenze con messer Piero e Bianca. Improvvisamente un cavallo nitrisce e il sibilo di una moltitudine di frecce fende l’aria. Madonna Lucrezia e mia madre gridano quando la carrozza si ferma di botto un attimo dopo. Lo sportello viene spalancato da Giovanni, ha gli occhi sbarrati dalla paura e ci intima di restare al riparo all’interno dell’abitacolo. Oltre le sue spalle scorgo le guardie affrontare un gruppo di banditi. Il cuore palpita impazzito nel mio petto, cerco Alessandro ma non lo vedo. Ho paura, certo non è la prima volta che veniamo attaccati dai banditi. Purtroppo è un evento assai comune di questi tempi. Tuttavia gli assalitori non paiono miserabili il cui solo scopo è di rubare i mezzi per sostentarsi, anzi. Ben vestiti ed equipaggiati, i nostri assalitori paiono più mercenari al soldo di qualcuno che briganti. Non attaccano le diligenze ed i bauli, ma le persone.
-Dobbiamo scappare, non sono qui per derubarci.- esclamo. Mia madre mi fissa per una frazione di secondo prima di annuire decisa, seguita da madonna Lucrezia. Devono aver tratto le medesime conclusioni.
Cercando di non espormi troppo mi sporgo verso l’esterno -Giovanni di alla guardia di mettersi alla guida della carrozza e partire.- Mio fratello mi guarda spaesato e titubante ma annuisce e grida ad Alessandro di fare lo stesso. Gli assalitori sono a piedi e ormai anche gli arcieri hanno ingaggiato le guardie in uno sconto corpo a corpo. Questo è il momento perfetto per scappare. Con uno scossone la carrozza parte ma invece che in avanti ci voltiamo per raggiungere l’altro veicolo. -Stringetevi, l’altra carrozza è danneggiata.- Giovanni ha il fiato corto dalla paura, ma è coinciso e determinato, sono così orgoglioso di lui. Appena ci fermiamo spalanco lo sportello verso la carrozza di fronte a me per creare una copertura e scendo, incontrando lo sguardo di mia sorella immobile sui gradini.
-Lucrezia per dio ma che succede?- Caterina e bianca sono pallide e tremano, così le esorto ad entrare nella carrozzo alle mi spalle. Messer Piero è stato ferito ad una gamba. Giovanni cerca di aiutarlo a camminare così mi unico a loro. Trasciniamo il poveruomo al sicuro nell’abitacolo e chiudo la porta con forza. Giovanni sale svelto al posto del conducente. Qualcuno mi afferra per un braccio -Risalite, siete forse impazzita? Non è sicuro all’aperto.- Mi volto impaurita per scoprire che è Giuliano a strattonarmi -La carrozza non può portare sei persone, andrò a cavallo.- Lo vedo mordersi il labbro inferiore, indeciso sul cosa fare. Alla fine mi indica un destriero poco distante ed io corro a montarlo. Lorenzo e Alessandro sono già a cavallo, intenti a combattere con i pochi banditi che ci sbarrano la strada. Pochi istanti dopo partiamo a tutta velocità verso la città. Una manciata di banditi tentano l’inseguimento a piedi ma non durano molto.
Con il veno sulla faccia la paura scema, lasciando il posto all’adrenalina. E all’orizzonte si staglia nitido il profilo della città.

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Capitolo 5
*** Palazzo Medici Riccardi, Firenze - Primavera 1469 ***


Per coloro che non conoscono Firenze o la conoscono poco, alla sfuggita e di passaggio, dirò com’ella sia una città molto graziosa e bella circondata strettamente da colline armoniosissime. Questo strettamente non lasci supporre che il povero cittadino debba rizzare il naso per vedere il cielo come di fondo a un pozzo, bene il contrario, e vi aggiungerò un dolcemente che mi pare tanto appropriato, giacché le colline vi scendono digradando, dalle più alte che si chiamano monti addirittura e si avvicinano ai mille metri d’altezza, fino a quelle lievi e bizzarre di cento metri o cinquanta. Dirò anzi che da un lato soltanto e per un tratto breve, la collina rasentando la città la sovrasta a picco, formandoci un verone al quale con impareggiabile gusto ci possiamo affacciare. Aldo Palazzeschi - Le sorelle Materassi

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