Hanakotoba

di steffirah
(/viewuser.php?uid=700933)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Day 1: Sakura (cherry blossom) - Kind, gentle ***
Capitolo 2: *** Day 2: Benibara (red rose) - Romance ***
Capitolo 3: *** Day 3: Amaryllis - Shyness ***
Capitolo 4: *** Day 4: Tsubaki (yellow camellia) - Longing ***
Capitolo 5: *** Day 5: Bijozakura (verbena) - Cooperative ***
Capitolo 6: *** Day 6: Renge (lotus) - Far from the one you love ***
Capitolo 7: *** Day 7: Botan (peony) - Bravery ***



Capitolo 1
*** Day 1: Sakura (cherry blossom) - Kind, gentle ***


Sakura’s flower - 優しい花


 
A circa dodici mesi dal ritorno di Syaoran, egli ebbe la fortuna di poter trascorrere il giorno del compleanno di Sakura con lei. Era la prima volta da quando si conoscevano che festeggiavano insieme, loro due, da soli, e forse ciò dipendeva anche dal come si era evoluto il loro rapporto nel corso di tutto quel tempo. Da rivali erano diventati amici, e poi, con sua grande meraviglia, innamorati. Talvolta ancora non ci credeva, ancora si chiedeva se non fosse tutto un sogno, se potesse essere vero che lei, lei, l’unica persona che fosse riuscita a catturare il suo cuore e a far sì che lui si mostrasse per ciò che realmente era, scoprendone la gentilezza che celava dietro i suoi modi burberi da infante, ricambiasse i suoi stessi sentimenti.
Volendole donare dei ricordi speciali che non si limitassero ad un’unica giornata, il trentuno marzo le diede appuntamento al parco, dove lui la aspettava su una panchina. Come suo solito Sakura arrivò in ritardo e per quello si scusò a lungo, sebbene lui le facesse capire che non ce ne fosse bisogno. Ormai conosceva le sue abitudini e quei piccoli difetti, che la rendevano soltanto più adorabile ai suoi occhi. Si sedette quindi per riprendere fiato e, quasi fosse lui stesso il festeggiato, senza avvisarlo provò a rubargli uno scatto di sfuggita. Era un po’ contrariato da quell’azione, ma dato che sembrava desiderarlo tanto glielo concesse, provando a mettersi in posa, chiedendosi se fosse “giusta”…. Finché poi non sbucarono Daidouji e Kerberos da dietro i cespugli.
Entrambi in imbarazzo, Syaoran si alzò per primo proponendole di passeggiare un po’, pur consapevole che con quei due nei paraggi non sarebbero mai stati soli. Camminarono tranquillamente tra bassi arbusti e rosei boccioli, lei chiacchierava per tutto il tempo, lui la ascoltava pacato, fino al momento in cui il cielo cominciò ad annuvolarsi, mettendo loro i bastoni tra le ruote. Nonostante lei portasse con sé un ombrello la salutò, andandosene prima, avendo ancora delle ultime cose da organizzare.
Quella sera finì infatti di preparare i cinque dolcetti a forma di ciliegio e le incartò il regalo, ponendolo in un sacchetto chiuso con un nastrino rosa. Per quando completò il tutto e guardò l’orologio si accorse che mancavano pochi minuti a mezzanotte, così preparò il messaggio che le avrebbe mandato.
“Sakura, buon compleanno. Continuiamo a festeggiarlo ogni anno insieme”.
A questo allegò sia la fotografia che le aveva scattato quel pomeriggio di nascosto per ricambiare, immortalando il suo meraviglioso sorriso, sia un selfie che si scattò al momento, con suo grande impaccio. Non era esattamente abituato a fotografarsi – così come non lo era a farsi fotografare –, ma seppure la cosa gli creava un enorme disagio ed imbarazzo era certo che l’avrebbe resa felice.
Il giorno successivo, il primo aprile, si diedero appuntamento di primo mattino per andare a Tokyo. Passeggiarono al di sotto delle chiome fiorite, bevvero frullati fruttati in un adorabile café, e fecero infine un giro in barca sul fiume Sumida, la cui superficie era ricoperta del tutto da un tappeto rosato.
Fortunatamente quel giorno poterono starsene totalmente soli e mentre remava Syaoran non faceva che guardarla dolcemente, ammirando tacito la sua bellezza genuina.
Quando giunsero all’ombra di alcuni ciliegi si fermò. Essi sfioravano i loro corpi coi loro petali mentre lui apriva la borsa, porgendole come prima cosa il pacchetto coi wagashi. Lei esultò nel vederli, li assaporò e si complimentò, trovandoli buonissimi, facendolo sospirare di sollievo. Attese che finisse di mangiarli prima di porgerle il sacchetto, che lei aprì con gli occhi pieni di curiosità. Quando ne estrasse il ciondolo per cellulare cui pendevano un fiore di ciliegio e un orsacchiotto gli rivolse un sorriso radioso.
«È bellissimo!!» esclamò su di giri, saltando ad abbracciarlo, facendo dondolare la barca coi suoi movimenti repentini. Per un attimo lui temette che potesse ribaltarsi, ma fortunatamente riuscirono a mantenersi in equilibrio, come avevano sempre fatto.
 
 
Ad una settimana di distanza da allora erano andati tutti insieme in collina a fare l’Hanami, posizionandosi sotto il ciliegio enorme che Sakura aveva trovato l’anno precedente, durante la cattura di “Gravitation”. Dopo non molte ore lui e lei si alzarono per stare in solitaria, approfittando di quegli attimi di pace per rievocare quella penultima primavera che non avevano trascorso insieme. Allora Syaoran aveva l’abitudine di visitare quotidianamente un parco di Hong Kong in cui fiorivano i ciliegi giapponesi, in modo tale da sentirla più vicina; spesso leggeva libri all’ombra di essi e, cullato dal loro dolce profumo, finiva anche con l’addormentarsi. Se Sakura non glielo avesse detto, non aveva idea che Meiling – che spesso andava con lui lì – lo avesse fotografato mentre dormiva, mandandole foto a sua insaputa. Alla fine, con sua grande sorpresa, Sakura si ritrovava ad avere più immagini che lo ritraevano di quanto pensasse.
I ciliegi simboleggiavano tantissimo per lui. La prima volta in assoluto che l’aveva vista, quando ancora la considerava la sua “rivale”, era circondata da infiniti fiori rosa, quasi annegava in un mare di essi – opera di “The Flower”. E quando l’aveva rincontrata, un anno fa, un’onda di petali la rese visibile ai suoi occhi, attraversando la sua figura, volandole attorno, conferendole un’aria angelica.
I ciliegi, poi, portavano il suo stesso nome. Erano delicati, come lei. Ti strappavano un sorriso solo a guardarli, come riusciva a fare lei con un solo sguardo. Rinascevano ogni volta più fiorenti, crescevano più forti, esattamente come lei, che giorno dopo giorno diveniva sempre più aggraziata, sempre più potente. Ma simboleggiavano anche l’efferatezza, e lui a questo non voleva pensarci. No, lei non sarebbe scomparsa, lei non sarebbe sfiorita, lui l’avrebbe impedito mettendo in gioco pure la sua stessa vita. Perché nessuno, mai, poteva osare toccare il suo tesoro più prezioso.
La ragazza più gentile, buona, dolce, altruista, onesta, sincera, genuina, vera, che avesse mai incontrato.
Il ciliegio più bello che avesse mai trovato sulla sua strada.
La persona per lui più importante al mondo.
 
 
***
 
 
Stavamo ripercorrendo la salita, stavolta salendo gli scalini in pietra, tra i quali spuntava dell’erbetta, quando mi accorsi di avere una scarpa slacciata. Ero in procinto di chinarmi, ma mi bloccai a metà percorso.
Syaoran-kun scese di qualche gradino più in basso, accovacciandomisi innanzi, sostituendosi a me per riallacciarla. Diceva sempre che la gentilezza era uno degli aspetti che mi caratterizzava, ma era anche uno dei tanti tratti che più mi piacevano in lui.
Attesi che si alzasse, per poi domandargli: «Perché l'hai fatto?»
«Non volevo che il mal di schiena peggiorasse, piegandoti.» Mi affiancò, posando una mano nella zona lombare ove avevo preso lo strappo qualche giorno fa, mentre mi allenavo. «Come ti senti?» chiese apprensivo, una ruga di preoccupazione increspò le sue sopracciglia.
Sorrisi, prendendo quella stessa sua mano, riprendendo il cammino.
«Meglio» risposi sincera.
Con lui al mio fianco non potevo che stare sempre così: meglio.










______________________________________________________________________________________________
Angolino autrice:
Buongiorno! Sono tornata con una raccolta che cercherò di aggiornare settimanalmente (il sabato o la domenica, dipende dagli impegni).
Come avrete notato, in questa os sono passata dalla terza persona incentrata sul pov di Syaoran alla prima persona dal pov di Sakura; piccolo "spoiler": l'ultimo capitolo sarà così, ma al contrario. Si tratta di una mera scelta stilistica che probabilmente vi confonderà, ma vi prego di portare un po' di pazienza.
Alta cosa che sarà risultata piuttosto lampante, è la scelta dei momenti descritti qui: ho ripreso la prima ending di Clear Card, "Jewelry", la frase che Kumai-san (la doppiatrice di Syaoran) dice alla fine del programma radio di Tange-san (la doppiatrice di Sakura) del 25 marzo 2018 per il suo compleanno e infine l'immagine locandina con Syaoran, Sakura e Kero-chan sulla barca sul fiume (che non ricordo in occasione di cosa venne realizzata, nel caso in cui dovesse tornarmi alla memoria ve lo dirò).
Traduzioni:
- Hanakotoba = linguaggio dei fiori
優しい花 (yasashii hana) = fiori gentili
- Hanami = "vedere i fiori", attività che si fa all'aperto sotto i ciliegi in fiore durante la quale si mangia e beve con gli amici
- wagashi = dolcetti tradizionali giapponesi

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Day 2: Benibara (red rose) - Romance ***


恋愛


 
È da un po’ di tempo che Sakura ha preso questa decisione: il 14 febbraio è riservato esclusivamente a me, ossia devo essere io a regalarle la cioccolata, che poi ricambierà il 14 marzo per il White Day. Non so neppure com’è cominciata questa storia, s’è indispettita per un qualcosa che neppure io stesso sono riuscito a comprendere appieno.
Il mese scorso stava preparando un dolce al cioccolato, per l’appunto, e notandola in difficoltà ho provato a darle qualche consiglio. Lei non mi ha dato retta, intestardendosi a seguire la ricetta passo passo, convinta che ne avrebbe ottenuto un risultato eccellente… e che invece s’è rivelato essere un fallimento totale. Per qualche ragione se l’è presa prima con me, accusandomi di averle portato sfortuna, poi si è pentita e ha rivolto contro se stessa la sua rabbia e frustrazione. A nulla sono serviti i miei tentativi di consolarla, dicendole che non importava, si poteva sempre rimediare preparandone un’altra. Mi sono offerto di aiutarla, il che è parso servire soltanto a stizzirla maggiormente. E allora ha sentenziato che non avrebbe mai più cucinato il cioccolato – ferendomi al cuore mortalmente. Inizialmente ci sono rimasto malissimo, ma poi ho compreso quanto fosse vano tentare di comunicare con lei mentre era di quell’umore – detesto quando succede questo durante quel periodo – e quindi l'ho semplicemente assecondata.
Così eccomi qui a prepararle la sorpresa del giorno, sperando che possa perdonarmi – e soprattutto perdonarsi.
Adagio con cura il bouquet di rose rosse davanti all’ingresso, in modo tale che sia la prima cosa che vede appena rientra. Mi rialzo poi per sparpagliare alcuni petali nel corridoio, creando un percorso che conduce fino in cucina. Al centro del tavolo creo un letto di rose e petali, ponendovi al di sopra il piatto col budino a cioccolato a forma di cuore, circondato da fiocchi di panna montata. Arrossisco lievemente guardandolo, rendendomi conto di non essere mai arrivato a fare qualcosa di tanto smielato. Eppure mi spingerei a realizzare anche l’impossibile per me pur di vedere un sorriso spuntare su quel suo viso d’angelo.
Passo quindi ad accendere delle candele profumate, sapendo che adora la fragranza di vaniglia, dopodiché mi allontano spegnendo le luci per guardare il mio operato, assicurandomi che non manchi nulla. La luce soffusa delle fiammelle crea un’atmosfera aranciata, sui toni del rosso quando tocca i fiori. Ha un’aria… surreale.
Dato che ormai mancano pochi minuti al suo ritorno attendo trepidante in cucina, nascosto dietro un mobile e qui mi stendo la camicia, cominciando a sentirmi sudare freddo.
Spero di non aver compiuto nessun passo falso. Spero le piaccia la sorpresa. Spero mi perdoni per la mia involontaria invadenza.
Sento la porta scattare e mi asciugo il sudore delle mani sui pantaloni, trattenendo il respiro.
«Tadaima.», si annuncia, seguita da un tintinnio di chiavi.
Odo il lieve chiudersi della porta e lei trattenere un’esclamazione – mi auguro di stupore o gioia.
«Syaoran-kun!», esclama con voce squillante.
Suppongo stia armeggiando con le scarpe per togliersele, qualcosa sbatte contro qualcos'altro, si lamenta un po' e immediatamente mi faccio avanti, dimenticando i miei piani. Non appena giungo dietro al tavolo, tuttavia, me la ritrovo all’ingresso della cucina, trafelata e trasandata, coi capelli scomposti, come se avesse fatto una corsa chilometrica, reggendo le rose tra le mani.
Mi mordo un labbro per non ridere e faccio il giro, avvicinandomi a lei, aggiustandole un po’ i capelli e approfittandone per baciarle una tempia, augurandole: «Bentornata.»
I suoi occhi vagano da me ai fiori al percorso ai suoi piedi al dolce per poi fare il percorso a ritroso, riempiendosi sempre di più di lacrime.
«Oh, Syaoran-kun!»
Mette il bouquet da parte per saltarmi letteralmente addosso, lasciandomi spiazzato. Mi stringe fortissimo, quasi stritolandomi.
«Non dovevi.», farfuglia, la voce attutita dalla mia maglia.
«Non mi è costato nulla.», la tranquillizzo, lasciandole un bacio tra i capelli, sulla testa.
Lei si sposta di poco, allungandosi sulle punte, posando le sue labbra sulle mie per un tempo infinito.
«È veramente tantissimo.», mugola felice, strofinando la punta del naso contro il mio.
Arriccio le labbra per il solletico e mi tiro un po’ indietro, porgendole una mano. Lei vi posa la sua, sorridendomi radiosa mentre la accompagno fino alla tavola. Qui sposto una sedia per farla accomodare e lei si fa scappare un risolino, ringraziandomi. Mi accomodo alla sua destra e intreccio delicatamente le mie dita alle sue, prendendo una cucchiaiata del budino.
«Fai “aaah”.»
«Vuoi viziarmi!», ride deliziata.
«Hai scoperto il mio piano.», ammetto, mostrandomi sconfitto.
La sua risata affievolisce un po’, ma il sorriso non svanisce quando effettivamente fa “aaah”. La imbocco, sorridendo della sua espressione felice. Sembra quasi essere tornata una bambina. Pensandoci, mi sa che questa è la prima volta che sono io a darle da mangiare.
«Ora tocca a me!», esclama, togliendomi il cucchiaio di mano.
«Ma questo è il mio regalo per te.», ribatto pacato, riprendendone possesso.
«Non è giusto che lo mangi solo io! E anche io voglio imboccarti.», si lamenta, facendomi il muso.
Ma quanto può essere adorabile e disarmante?
Sospiro, rinunciando. «Come desideri.»
«Yay!», esulta, prima di fare lo stesso con me.
La assecondo, assaggiandolo, scoprendo che fortunatamente è venuto buono.
La guardo soddisfatto, notando uno scintillio malizioso traversarle gli occhi, evidente pure con questa luce fioca. So già che sta meditando qualcosa, ma non faccio in tempo ad indagare più a fondo che mi sporca il viso con la panna. La fisso esterrefatto.
«Sakura!»
Lei ride soltanto e in tal modo capisco che il mio desiderio di renderla felice si sta realizzando.
Chiudo gli occhi, sollevato, e la percepisco allungarsi verso di me. Non ho idea di che altro le stia passando per la mente, a volte ha queste pensate folli totalmente imprevedibili. Come quando decise di fare un picnic in giardino, improvvisandolo al momento, per potercene stare un po’ all’aria aperta e rilassarci dopo una lunga giornata lavorativa. Anche oggi, chissà quanto è stanca….
Avverto le sue labbra posarsi sul mio naso e sto per riaprire gli occhi, quando poi le dischiude, leccandomi. Sorrido sghembo, capendo.
«Guarda che devi pulire bene eh.» Mi fingo perentorio e lei mormora un consenso, leccando tutti i punti in cui mi ha sporcato.
«Sei buono.», constata in tono morbido, non appena sembra aver finito.
Riapro gli occhi e la trovo come incantata, ma subito scuote la testa, tirandosi indietro. Prende una rosa, portandosela al naso per odorarla; poi, come colta da un’illuminazione, si avvicina ad una candela, annusandola.
«Vaniglia!»
Il suo viso si illumina e io, qui, sento che potrei restare a mirarla in eterno. È così bella. Il suo sorriso rischiara tutto ciò che la circonda, come fosse una stella. E anche quando lo riduce ad un accenno sereno la luce delle fiammelle danza sulla sua pelle, creando un fascinoso gioco di luci e ombre. Un gioco di cui desidero, improvvisamente, essere parte. Non restando più in ombra, per essere avvolto dalla sua luce. La stessa che risplende nei suoi occhi, adesso, facendoli sembrare più chiari, come se in essi scoppiassero morbide scintille di seta.
Sotto il sortilegio del suo fascino mi sposto silenzioso verso di lei, prendendo tra le dita uno dei petali, incuriosito. Chissà come reagirebbe…. Le passo il lato morbido di esso sulla mandibola, seguendone la linea fino al mento. La vedo chiudere le palpebre in quell’espressione che ormai ho scoperto essere per lei una rappresentazione di completa beatitudine. Scivolo lentamente sul suo collo, e lei rabbrividisce. Noto che si stringe la gonna tra le dita. Poso l’altra mano su queste per stendergliele, cosicché non si faccia inconsciamente male. Proseguo nel cammino verso il suo petto, che vedo alzarsi e abbassarsi a fatica. Percepisco le sue dita artigliare le mie, infilando le unghie nel mio palmo, per poi sfiorarlo delicatamente coi suoi polpastrelli.
«Sya-Syaoran-kun…», si morde il labbro, ansante.
Mi guarda, sperduta, così come io mi sento totalmente perso in lei. Lascio cadere il petalo, sostituendolo con le mie dita, sbottonandole di poco la camicetta, sfiorandole l’orlo in pizzo del reggiseno… rosso. Sorrido, notandolo. Aveva previsto tutto.
«Cosa c’è, Sakura?», domando in tono mellifluo, soffiando le parole direttamente nel suo orecchio.
Si poggia a me anche con l’altra mano e mi stringe il braccio non appena la bacio proprio lì; a stento reprime un gemito. Eppure dovrebbe sapere, ormai, che non c’è bisogno che si trattenga. Continuo a baciarle il collo, scendendo sulla clavicola, risalendola con la lingua. Ha un profumo così delizioso e delicato, un sapore così dolce….
Il suo respiro mi giunge sempre più spezzato e mi interrompo un attimo, temendo che possa sentirsi male. Mi distanzio di poco, vedendo che le sue dita tremano e così le sue labbra, che cerca di serrare come può. Le sfioro con le mie, chiamandola di nuovo, e lei le schiude, alitando il mio nome. Alle mie narici giunge un profumo dolcissimo e familiare: cioccolato. Un profumo che amo ancora di più se combinato alla donna che amo.
La bacio di nuovo, stavolta permettendomi di assaggiarla. E lei non fa alcuna resistenza, me lo concede subito, come se a sua volta non aspettasse altro. Affonda una mano tra i miei capelli e, istintivamente, la stringo a me, facendola finire sulle mie gambe, approfondendo maggiormente il bacio.
Le carezzo i fianchi e lei si stacca giusto di un millimetro, boccheggiante.
«A-andiamo in camera…. Letto…»
Sorrido, dandole un rinnovato bacio d’approvazione. Non poteva chiedermi regalo migliore.









 
Angolino autrice:
Dato che sono in imbarazzo, dico solo che questa è la ragione per cui come rating della raccolta ho messo il giallo.
Spiegazioni/traduzioni:

恋愛 (ren'ai) = amore (affetto, passione)
- White Day è il giorno in cui si ricambia ciò che si riceve a San Valentino
- Tadaima = sono tornata (a casa)

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Day 3: Amaryllis - Shyness ***


恥ずかしがり屋

 
È da un mese circa che ho cominciato a lavorare in questo negozio di fiori.
Sin da bambina ho sempre provato un interesse particolare nelle piante, soprattutto in quelle che fioriscono, scoprendo con mia meraviglia – grazie a mia cugina Tomoyo – che ciascuna di esse è capace di parlare e comunicare tramite un significato che porta con sé.
Tale passione s’è sviluppata nel corso del tempo e la devo principalmente a mia madre: a casa nostra non avevamo un giardino molto grande, ma nella nostra residenza estiva c’era un’immensa distesa verde, in cui coltivavamo varie tipologie di piante. La mamma adorava prendersene cura e, probabilmente influenzata dal suo entusiasmo, quando mi domandava cosa volessi fare da grande rispondevo senza neppure avere bisogno di pensarci: “La fioraia!”
Ed ora eccomi qui, a realizzare questo mio piccolo, modesto sogno.
Mi guardo intorno, sorridendo serena alle fresche corolle e i piccoli boccioli che ho appena diviso nei vasi. Metto a posto anche le rose arrivate proprio stamattina, ponendole in ordine in base al colore e mi tengo occupata, fino a che Matsumoto-san, la proprietaria del negozio, non mi si avvicina per chiedermi: «Sakura-chan, andresti con Rika-chan a riceverne altri?»
Annuisco immediatamente, gasata. Questa è la prima volta in cui fa andare anche me al vivaio per raccogliere altri fiori.
Raggiungo intrepida la mia collega, mettendomi in macchina con lei. Naturalmente è lei a guidare, non sapendo io dove dovremmo recarci.
Osservo il paesaggio che cambia scivolando rapidamente davanti ai miei occhi e quanto più ci avviciniamo alla periferia tanto più la mia eccitazione sale. Ad essere onesta, c’è anche un’altra ragione per cui non vedo l’ora di arrivarci: è a causa del figlio della proprietaria della serra.
L’ho “conosciuto”, per così dire, nel corso di questo mese. In realtà, a causa della mia timidezza non sono mai riuscita a rivolgergli la parola, eccetto che per salutarlo quando viene e se ne va e dedicargli i miei sorrisi migliori nel ringraziarlo insieme a Matsumoto-san per tutta la strada che periodicamente fa. Non ci siamo mai detti nulla di più, eppure non riesco ad ignorarlo.
Il profumo dei fiori lo precede quando entra nel negozio e mentre consegna tutto alla mia responsabile non faccio altro che fissarlo di sottecchi, cercando di non farmi notare. Segnandomi mentalmente tante piccole caratteristiche che lo riguardano. Ad esempio, la gentilezza che mette in ogni suo gesto e in quei brevi, fugaci, cortesi sorrisi che ci rivolge. Quando sta sulle sue ha un’aria un po’ burbera, inavvicinabile, e confesso che è proprio questo ad intimidirmi. Molte volte ho pensato di farmi avanti, per scoprire se davvero è un mio coetaneo come sembra e chiedergli come ci si senta a possedere un vivaio. Se anche lui, come me, ha un legame particolare coi fiori. Ma poi chino il capo e lascio perdere, arrendendomi subito. Quando poi i suoi occhi incontrano i miei svia immediatamente lo sguardo, il che mi blocca persino di più. Non ho proprio idea di come fare ad approcciarmi a lui. L’unica cosa che so su di lui è il suo cognome, Li; so che si è trasferito dalla Cina anni fa, insieme alla sua famiglia, e che da allora si sono sempre occupati del vivaio su in collina.
Spero tanto di incontrarlo, quest’oggi. Magari, fuori le quattro mura del negozio può essere più semplice intavolare una conversazione.
«Sakura-chan, hai le guance rosse.» ridacchia Rika-chan, riportandomi con la mente in auto.
Mi volto a guardarla, sorpresa.
«Eh?! Sul serio?!»
Abbasso il parasole, osservandomi nello specchietto. Oh cielo, ha ragione…
Cerco di calmarmi come posso, al che lei emette un altro risolino, rivolgendomi uno sguardo amorevole.
«Speri di incontrare Li-kun, non è così?»
Arrossisco maggiormente, colta in flagrante. Naturalmente, tutti i miei colleghi si sono accorti che ogni volta che c’è di mezzo lui evaporo, andando in ebollizione. Per questo sia Rika-chan che Chiharu-chan, un’altra mia collega, sono convinte che mi sia presa una cotta abissale per lui. Da un lato mi sembra ridicolo perché non lo conosco per niente. Come sarebbe possibile? A malapena conosco le sue fattezze e il suono della sua voce. E il mio sapere finisce all’incirca qui.
«Te lo auguro di cuore.» mi dice, prima di svoltare in un vialetto selciato – seppure io non replichi niente.
Imbarazzata, volgo la testa verso il finestrino, sgranando gli occhi dinanzi a tutti quegli ettari di verde e le serre immense che si intravedono in lontananza. Sembrano non avere fine! Non vedo l’ora di entrarci!
Parcheggia alla fine del sentiero, dinanzi ad una villa grandissima, a tre piani. Scendo immediatamente dall’auto, restando a bocca aperta. È completamente in legno, sullo stile di una casa occidentale, col tetto a timpano e una veranda che la circonda. Su quella della facciata noto un’altalena a dondolo a divano, oltre a diverse piante in vaso. Deve essere meraviglioso vivere qui, totalmente immersi nella natura. Mi ricorda la nostra casa estiva, sebbene questa sembri essere di tutt’altra epoca.
Sul portico noto una donna elegante, dai lunghi capelli d’ebano legati in una coda alta e occhi sottili di una cromatura altrettanto scura. Indossa un lungo abito floreale che le conferisce un’aria nobile e aggraziata, scivolandole sinuosamente fino alle caviglie. Chissà se è lei sua madre…
«Signora Li, buongiorno.» la saluta Rika-chan, profondendosi in un inchino.
La imito e quando ella ricambia con una voce soave oso rialzare lo sguardo, trovandola a studiarmi curiosa.
«Lei è una mia collega.»
«Mi chiamo Kinomoto Sakura, è un piacere conoscerla.»
Mi inchino di nuovo e lei mi rivolge un sorriso sottile, molto simile a quello del figlio. Ma a parte questo, non sembrano avere altro in comune.
«Il piacere è mio. Se vuoi puoi cominciare ad andare in serra.»
Rivolgo un’occhiata interrogativa a Rika-chan e lei mi porge un foglio coi nomi dei fiori e le quantità che ci servono, mostrandomi poi una cartellina che ha sottobraccio. Non l’avevo per niente notata.
«Abbiamo bisogno di alcune firme.» spiega.
Faccio un cenno di comprensione e mi avvio verso le serre, dando una rapida occhiata ai fiori che dobbiamo portare con noi. Sorrido leggendo l’amarillide, considerando il suo significato. “Timidezza”. Non poteva esserci scelta che più rispecchiasse la me di questi ultimi tempi.
Piego il foglietto per riporlo nella tasca della salopette in jeans e prendo un respiro profondo prima di aprire la porta della serra che mi è stata indicata.
Appena vi metto piede chiudo gli occhi, inspirando a pieni polmoni le diverse fragranze che si odorano in quest’aria più umidiccia. Da capogiro. Sorrido contenta, cominciando a guardarmi intorno e ad aggirarmi tra le file con le piantagioni, alla ricerca di quelle che mi occorrono. Scorro con lo sguardo sulle etichette coi nomi e non ci metto molto ad individuarle; mi allungo quindi sul ripiano con gli amarillidi, tendendo una mano verso un gambo. Nello stesso istante altre dita sfiorano le mie e sobbalzo, sorpresa, voltandomi alla mia destra. Spalanco la bocca nel trovarmi davanti proprio quel ragazzo, altrettanto sbigottito nel vedermi. Ritraiamo le mani quasi ci fossimo scottati, sviando lo sguardo. Sento il mio cuore partire al galoppo e mi do della scema.
“Insomma, Sakura, non sei mica un’adolescente. Puoi farcela.”
Tento come posso di infondermi coraggio e mi volto a guardarlo, esitante. Lo trovo con gli occhi fissi sui fiori, le sue gote rosse quanto i petali di essi.
«Ciao.» Faccio un esile tentativo, redarguendomi immediatamente. Insomma, finora non ho mai trovato alcuna difficoltà nel fare amicizia con qualcuno. Perché con lui non mi riesce facile? Perché mi assale sempre il batticuore, bloccandomi la gola?
Vedo i suoi occhi posarsi con indugio su di me, prima che ricambi il saluto in un tono altrettanto basso.
“Forza Sakura, questo non basta.”
«Perdonami se non mi sono annunciata, non pensavo ci fosse già qualcuno qui.» mi scuso, mortificata per quanto sono stata scostumata, seppur involontariamente.
«Non ti ha avvisata mia madre?» Sembra confuso.
Scuoto la testa e lui pare soppesare la cosa. Osserva i fiori per un istante, prima di rivolgersi nuovamente a me.
«Cosa vi serve?»
Gli mostro la lista, sorridendogli poi con sicurezza. «Non preoccuparti però, posso cercarli anche da sola se hai altro da fare.»
Mi fissa alzando un sopracciglio e sembra trattenere un sorriso. «Non ce la farai mai a portarli tutti da sola.» replica con ovvietà. «Ti aiuto.»
Provo a ribattere, ma subito cambio idea. Questo significa che possiamo trascorrere del tempo insieme! Da un lato mi sento elettrizzata, ma dall’altro avverto il panico abbarbicarsi al mio cuore.
Accetto in silenzio la sua gentile offerta e comincio a seguirlo in ogni passo e azione che fa, ammutolita. Mi porge i primi fiori con delicatezza dopo averli recisi, facendo attenzione che non si rovinino, mettendoci una cura particolare in ogni gesto. Lo osservo come imbambolata, ammaliata dai suoi movimenti, e attendo che mi dia l’ultimo amarillide richiesto. Allora ho la baldanza di posare una mia mano sulla sua, avvicinandomi le altre corolle al petto, tenendole attentamente con l’altro braccio affinché non caschino.
«Credo di non essermi ancora presentata. Sono Kinomoto Sakura.»
«Sakura.» ripete stupito, facendomi arrossire per l’intimità che ci mette. «Hai il nome di un fiore.»
«Siamo una famiglia floreale.» scherzo, seppure in parte sia vero.
Si fa scappare un sorriso, un sorriso diverso dal solito. Questo sembra più onesto e sincero. Più spontaneo. Più caldo.
«Potrei dire lo stesso di noi.» Prende quella mia stessa mano, accompagnandola sull’altra, per far ricongiungere l’ultimo fiore ai suoi fratelli. «Li Syaoran. È il mio nome.»
«Syaoran…» pronuncio, imprimendomelo bene nella memoria. Ma sento già che, solo nell’udirlo, la linfa che lo compone abbia già cominciato a scorrermi nel sangue, raggiungendo il mio organo vitale. Mi accorgo poi di essere stata troppo sfacciata, per cui tento di rimediare: «… kun?»
Stavolta non trattiene una breve risata, voltandosi per raggiungere le successive infiorescenze.
«Saresti la prima persona al di fuori della mia famiglia a chiamarmi soltanto per nome, ma se lo desideri puoi farlo.» concede, in maniera sorprendente.
Mi affretto ad affiancarlo, sentendo una radiosità sconosciuta irraggiarsi in me.
«Anche tu, ti prego, chiamami soltanto Sakura.»
Mi guarda di sbieco, sembrandomi lievemente impacciato mentre mormora il mio nome. Ma io gli sorrido incoraggiante, sentendomi già meglio. Come se, anche soltanto scoprendo come ci chiamiamo, avessimo abbattuto una prima parete che ci divideva, facendo un piccolo passetto l’uno verso l’altra.









 
Traduzioni/spiegazioni:
恥ずかしがり屋 (hazukashigariya) indica una persona timida
- Con "famiglia floreale" si intendono i nomi/cognomi: in Fujitaka c'è il carattere di glicine, in Touya c'è quello di pesco, Nadeshiko significa garofano e Sakura ciliegio; per quanto riguarda Syaoran, Li significa pruno, nel nome di Yelan c'è il kanji di orchidea, in Shiefa quello di fiore, in Fanren quello di loto e Feimei ha gli stessi kanji di hibai, che sarebbe l'albicocco giapponese. 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Day 4: Tsubaki (yellow camellia) - Longing ***


切望


 
In questo mondo si potevano trovare le più svariate tipologie di esseri. Fate, gnomi, folletti, nani, animali parlanti, stirpi reali e popolani, druidi, bestie magiche e così via, chi più ne ha più ne metta. Creature fantastiche popolavano boschi, ruscelli, catene montuose, vaste pianure, i mari e il cielo stesso. Era un mondo pieno di vita e colori e risate e musiche e odori. Un mondo bello, come uno di quelli che si trovavano nelle illustrazioni delle fiabe, di quelle vivaci scene dipinte dai miniaturisti.
Qui, nel fitto cuore della foresta, viveva un lupo insieme alla sua famiglia. A differenza dei restanti membri di essa, tuttavia, egli possedeva un’abilità particolare: poteva temporaneamente assumere sembianze umane. Accadeva precisamente al mattino, dallo spuntare del sole fino alle ore del tramonto; una volta giunto il crepuscolo, tornava ad essere ciò che di natura gli toccava.
Tale metamorfosi non si limitava unicamente al suo aspetto esteriore, ma apportava mutamenti anche alla sua interiorità, spingendolo a provare di conseguenza sentimenti umani. Oltre quindi a saper camminare “su due zampe” in maniera innata ed aver imparato ad esprimersi con un linguaggio basato su un alfabeto fonetico, scoprendo tutte le tonalità che potevano raggiungere e sfiorare le sue corde vocali, possedeva ogni altra caratteristica di un uomo. E tra queste vi erano volontà e aspetti psicologici vissuti in ogni loro sfaccettatura, tra i quali non poteva di certo mancare la brama. Un desiderio di possedere qualcosa che potesse essere solamente suo, esclusivamente suo, e di nessun altro. Una nostalgia di qualcosa di assente, qualcosa che gli mancava, qualcosa privo di aspetto, privo di nome, privo di forma, privo di definizione, che restando nel suo piccolo branco non sembrava riuscire a trovare. Un oggetto o forse un sentimento ancora ignoto, indefinito, per cui valeva realmente la pena anelare.
In parte non si spiegava quella sensazione. Si trovava bene con la sua famiglia di predatori, i quali nonostante la sua doppia identità non lo avevano emarginato, anzi continuavano a considerarlo un loro simile, parte della loro stessa specie. Come se non ci fosse nulla di strano in lui. Come se la sua natura fosse spiegabile, comune, e non un fenomeno raro che non si rivelava da secoli. Ma nonostante volesse loro bene e vi fosse grato per accettarlo così com’era, nonostante avesse tutti loro al suo fianco, non si sentiva soddisfatto. Era come se fosse privo di un pezzetto di sé, una parte che azionasse l’ingranaggio di qualcosa che aspettava di accendersi. Era lì, sopito in lui, in attesa di aprire gli occhi e conoscere l’alba. Sapeva che quel tassello mancante era uno degli anelli della catena dei sentimenti che formavano gli uomini, ma per quanto lo cercasse non lo aveva ancora trovato.
Per questo decise di salutare i suoi compagni per mettersi in cammino, alla ricerca di quell’incognita. Di giorno si affidava all’istinto per orientarsi, di notte seguiva il suo fiuto… e alla fine, in una notte di luna piena, dopo un lungo viaggio durato mesi interi, giunse nei pressi di una piantagione che si apriva oltre il bosco, estendendosi fino alle alte montagne. Qui crescevano infiniti fiori dalle ampie corolle, realizzate da numerosi petali arricciati d’un giallo pallido. Erano camelie.
Dopo così tanto tempo esse furono la prima cosa ad attrarre la sua attenzione, ottenendola del tutto, per cui decise di fermarsi lì, trascorrendo la notte steso tra esse. Era il suo istinto animale ad averlo guidato, lì dove stranamente, seppure a miglia di distanza da casa, si sentiva come se fosse ancora nella sua tana.
I chiusi boccioli gli accarezzavano il pelo marrone, quasi volessero abbracciarlo per accoglierlo e cullarlo, sospinti dal lieve vento che ne faceva ondeggiare gli steli. Sussurravano parole mielose, cantilenanti, che divennero per lui come una ninnananna….
Al mattino si stiracchiò, aprendo lentamente le palpebre, sentendosi disorientato, finché non ricordò quel che aveva scovato. Ecco, quel campo gli piaceva. Provò un inspiegabile, incontrollabile, irrefrenabile desiderio di prenderne possesso, renderlo suo, celarlo agli occhi degli altri e tenerselo tutto per sé. Il suo segreto posto nel mondo che appagava il suo ego. Che lo faceva sentire finalmente completo.
Gironzolò in quel campo fiorito, facendo conoscenza con i fiori che vi crescevano, finché non si accorse che ce n’era uno ancora dormiente. Vi si inginocchiò innanzi e ne sfiorò con quelle dita un po’ rozze, tozze e polverose i petali chiusi, con tutta la delicatezza che riusciva a mettere nei suoi polpastrelli. Promise loro che li avrebbe protetti tutti, uno per uno, impedendo a chiunque di fare del male a quel tesoro dorato che era riuscito a scovare.
I raggi dell’alba sostituirono ben presto le sue dita, al che i pigri petali finalmente si dischiusero; da essi ne emerse una figura minuscola, graziosa, grande quanto il suo pollice. Si stiracchiò, sbadigliando, come se si fosse appena svegliata.
Lui si abbassò maggiormente per arrivare alla sua altezza, scrutando più da vicino quell’ignota creatura. Non aveva mai incontrato razze simili prima.
La vide stropicciarsi gli occhi con le manine chiuse in pugno, per poi aprirne uno alla volta, guardandolo sorpresa. Per quanto fossero due piccole sfere le sue iridi rilucevano, come rugiada mattutina che si posa sulle foglie.
«Chi sei?» domandò con una voce sottile, fine, floreale, non negandogli un sorriso.
Lui si mise composto, allontanandosi di poco nel timore di spaventarla.
«Mi chiamo Syaoran.» rispose, lievemente imbarazzato dal come lo guardava, con quell’aria insistentemente curiosa su quel viso da folletto.
«Sei il lupacchiotto di ieri?» I suoi occhi si illuminarono a quella questione e dinanzi alla sua conferma splendettero più delle stelle che si radunavano in cielo. «Meraviglioso! Come fai a cambiare aspetto?»
«N-non lo so, è una sorta di dote con cui sono nato.» balbettò, preso in contropiede. Non aveva mai ricevuto un complimento prima e mai se lo sarebbe aspettato di quel genere. Proprio sulla sua diversità, sul suo essere strano, inconsueto, fuori dall’ordinario.
Vedendo che tentava di calarsi giù dal fiore allungò una mano, come a dire che poteva anche saltare. Lui l’avrebbe presa.
Lei lo ringraziò per quella gentilezza, saltando sul suo palmo, le sue gonne rosate fluttuarono al movimento, avvolgendone il corpicino minuto.
«Grazie. Io sono Sakura, sono la figlia di un ciliegio baciato dal sole.»
Lui la guardò perplesso, non conosceva una specie simile; tuttavia, dinanzi a quel sorriso che avrebbe sciolto persino i ghiacciai, capì che non doveva dubitare che non potesse essere vero. Sembrava una creatura totalmente incapace di mentire.
«Come mai vivi in una camelia?» domandò allora.
Lei si sedette più comoda, facendo ondeggiare le gambe contro il suo polso. Era un tocco talmente flebile e gentile che, a tratti, gli faceva il solletico.
«Cercavo qualcosa di cui sentivo la mancanza.» Lui si sentì totalmente rapito da quelle parole, sembravano riprendere le sue.
La fanciulla si rimise in piedi, alzandosi poi sulle punte e aprendo le braccia, quasi come se volesse abbracciarlo, rivolgendogli un sorriso più bello di tutti gli splendori che conosceva.
«Cercavo te.»
Il giovane lupo rimase senza parole e, quando lei allungò di più le braccia, la avvicinò al suo volto. Ella poggiò le sue mini manine sulla sua pelle, posandogli un bacino su una guancia.
Fu allora che comprese il sentimento che gli mancava: con quel piccolo gesto, la figlia solare del fiore aveva vinto il suo cuore.









 
Angolino autrice:
Se non facevo almeno una favoletta non ero io, haha! 
So che il termine inglese "longing" può essere interpretato in molteplici modi, qui ho cercato di riprenderli un po' tutti - e spero di esserci riuscita. Il titolo si legge "setsubou" e non è altro che la traduzione del termine, quindi un ardente desiderio/la ricerca di qualcosa ecc.
Per concludere, vi annuncio che se ho tempo (considerando che starò all'università per la maggior parte della giornata) pubblicherò una nuova storia su CCS "a tema Halloween". Male che vada la pubblico il primo novembre, ma spero di farcela per fine ottobre. 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Day 5: Bijozakura (verbena) - Cooperative ***


僕達の力を合わせてる


 
La ragione per cui mi trovavo ad Hong Kong era molto semplice.
Quando ero bambina venni qui in viaggio insieme a mio padre e mio fratello maggiore e mentre il primo si occupava dei suoi scavi noi fummo affidati ad una sorta di balia che ci fungeva anche da guida turistica. La signorina Yu Yan, infatti, ci portava sempre in giro, un giorno ci permise di andare anche sul posto di lavoro di papà, così che potessimo vedere di cosa si stava occupando. La sera ci faceva divertire accompagnandoci ai parco-giochi oppure facendoci assistere agli spettacoli di luce sulla baia, mentre durante l’arco della giornata visitavamo un po’ di tutto tra templi, giardini, quartieri e mercatini.
All’epoca avevo appena compiuto sei anni, quindi è naturale che col tempo molti ricordi fossero sbiaditi. Ciononostante alcune cose mi rimasero vividamente impresse, come l’allegria e la vivacità della città. I mille colori che la dipingevano. Gli immensi edifici che sembravano sfiorare le nuvole. Le voci accese e acute degli abitanti, che talvolta suonavano come una cantilena. Erano tante canzoni per me indecifrabili, ma mi divertivano e, in qualche modo, mi rallegravano, facendomi sentire a mio agio seppure mi trovassi in un Paese straniero. Le luci che rischiaravano la città dopo il tramonto, rendendola persino più luminosa di quanto fosse di giorno. Gli odori e i cibi, così differenti da quelli a cui ero abituata, così vari, come se lì vi si mescolassero diverse tradizioni. Per quel che ricordavo c’era in effetti una zona traboccante di modernità, dalle caratteristiche totalmente occidentali; ma c’era anche una parte antica, legata alle tradizioni. Ed era legata proprio a quest’ultima la ragione per cui quel giorno, a distanza di tanti anni, mi trovavo di nuovo lì.
Un lunedì, durante un giro con mio fratello e la signorina Yu Yan, costrinsi entrambi a fermarsi dopo che mi fui arrestata sul posto, stupefatta. Udivo a poca distanza rumori di legno colpito, respiri pesanti e una voce maschile che batteva un certo ritmo, accompagnandola con le mani. Incuriosita da cosa potesse essere mi guardai intorno, alla ricerca delle origini di essa, supponendo che si trattasse di una danza e, in tal caso, trepida di assistervi.
L’unica cosa che attualmente ricordavo era un campo di verbena ai piedi di una scalinata; la salii ignorando i richiami di mio fratello e i rimproveri della signorina finché, una volta in cima, non raggiunsi un cancello in legno, d’un marrone consunto. Attraverso esso vidi diversi bambini di varie età, abbigliati tutti allo stesso modo seppure con tonalità diverse, alle prese con un palo di legno cui erano attaccati paletti a lieve distanza, mentre un uomo anziano vestito sempre con abiti tradizionali grigi ma lunghi camminava in mezzo a loro, controllandone le pose e le mosse, aggiustandole occasionalmente.
Non avevo più idea di quanti ne fossero, fatto sta che i miei occhi si bloccarono per tutto il tempo su un bambino dagli occhi ambrati, in cui ardevano fiamme dorate. La sua immagine sopravviveva in me, come se allora l’avessi fotografata nella mente e qui si fosse conservata, impedendovi quindi di sbiadire. Non sapevo dire con certezza cosa fu a colpirmi di più di lui: se fu il colore della sua casacca con la fascia in vita su pantaloni di tre tonalità di verde tanto simili a quelle degli occhi della mia adorata madre che ancora mi mancava, se fu la concentrazione su quel suo volto tondo da infante che sorprendentemente gli faceva acquisire un’aria quasi matura, oppure furono i colpi che tirava che ai miei occhi sembravano impeccabili. A conferma di ciò, quello che col tempo avevo compreso essere il loro maestro gli si avvicinò, dicendogli qualcosa di incomprensibile con un grande sorriso a tingergli le labbra. Doveva essere un complimento perché il viso del bambino sconosciuto si illuminò come il sole. Mise un pugno nell’altra mano facendo un inchino, quasi fosse un saluto, e poi si voltò, incrociando il mio sguardo.
Per un attimo mi sentii mancare il fiato, colta in flagrante a spiarlo. Ero certa che se la sarebbe presa, ma a parte fissarmi sorpreso e, contemporaneamente, interrogativo non disse una parola. Non mi svelò. E non ebbe effettivamente neppure il tempo di aprire bocca, visto che mio fratello mi acciuffò, portandomi silenziosamente via di lì.
Da quel giorno, nonostante fossero trascorsi ben 12 anni, non mi diedi pace. Da autodidatta imparai la lingua che si parlava a Hong Kong, il cantonese, e fortunatamente sul web conobbi una ragazza simpatica che mi aiutò nell’apprendimento, il cui nome era Li Meiling. E da lei ero ospite mentre mi trovavo qui, con il pretesto di studiare all’estero e l’intenzione di ritrovare quel bambino ormai ragazzo – sperando ardentemente che non avesse lasciato il Paese. Tuttavia il mio cuore mi suggeriva che non stavo sbagliando: tornare lì era stata la decisione migliore che avessi mai preso perché sentivo che proprio lì sarei riuscita a rincontrarlo.
Durante il soggiorno la mia amica Meiling mi funse da guida turistica e un pomeriggio, mentre eravamo in giro, quando le descrissi al meglio il luogo verso cui ero diretta affidandomi al meglio alla mia memoria fotografica, prendendo a riferimento elementi del paesaggio e diversi negozi, lei ne parve sorpresa.
«Sembra la scuola di wing chun che frequentavo» mi disse, prima di condurmi lì. E in effetti, la verbena fiorita era esattamente dove la ricordavo, solo più rigogliosa, avvolta da più erbaccia. Le scale erano un po’ più grigie e consumate dagli anni, ma il cancello era diverso da quello dei miei ricordi, in legno dipinto di rosso, dai bordi smussati.
Meiling decise di entrare per farmi dare un’occhiata all’interno e, conoscendo il suo vecchio maestro, avere l'opportunità di salutarlo; mentre parlava con lui ne approfittai per guardarmi intorno. Osservai scrupolosamente tutti gli allievi mentre si allenavano, senza però riuscire a scorgerlo da nessuna parte.
Ero un po’ giù di morale quando ci allontanammo, ma ciononostante mi mostrai attenta a ciò che mi riferiva la mia amica, partecipe della sua gioia nell’aver rivisto il maestro Wei.
Quella stessa sera mi promise di portarmi al festival delle lanterne, dove mi avrebbe fatto conoscere i suoi cugini, particolarmente “Xiaolang” visto che era nostro coetaneo, cui sembrava essere molto affezionata. Anche in passato mi aveva parlato spesso di lui e da quel che potevo discernere dai suoi racconti sembrava una persona dall’animo molto gentile. Sarei stata veramente lieta di fare la sua conoscenza, sebbene mi sentissi un po’ triste e delusa dal mio fallimento. Dove potevo ritrovare quel bambino che aveva il miele nello sguardo?
Durante il festival, non sapendo bene come, persi di vista Meiling e finimmo con l’essere separate. Procedetti per un po’ per le strade da sola senza scoraggiarmi, bloccandomi dinanzi ad un palchetto su cui delle fanciulle con abiti fiammanti si stavano esibendo in diverse acrobazie. Ad una di queste, tuttavia, cadde un bastone, finendo tra il pubblico ai piedi di un uomo. Non mi piaceva la sua aria, sembrava un gangster, proprio come uno di quelli che si vedevano nei film; ma ancora meno mi piaceva la sua accusa di essere stato colpito in testa, rivolta contro quella povera ragazza del tutto innocente. Per questo, istintivamente, mi misi in mezzo, ponendomi dinanzi a lei, dichiarandomi testimone a suo favore e cercando di farlo ragionare. Altri due uomini con il suo stesso atteggiamento si alzarono in piedi ponendosi al suo fianco e io, dopo aver spinto indietro la ragazza, mi preparai a ricorrere alle maniere forti. Ecco a cos’altro mi aveva portata la mia curiosità infantile: a rimanere affascinata dalle arti marziali, di ogni genere, soprattutto quello che praticava il bambino, che avevo scoperto essere kung fu. Ma in madrepatria, avendo poche possibilità, mi limitai a prendere lezioni di karate.
Così colpii l’uomo di destra non appena fece un passo verso di noi e a malapena mi resi conto che tutt’intorno si stava creando scompiglio. Non volevo disturbare la quiete pubblica, ma non vedevo alternative se non combattere. Egli arretrò preso alla sprovvista, per cui potei occuparmi anche dell’altro di sinistra. Tuttavia proprio mentre ero occupata con questi mi accorsi contemporaneamente di due cose: il primo uomo si era ripreso e tornava alla carica contro di me, mentre quello che supponevo essere il capo si avvicinava pericolosamente alle ragazze. Atterrai frettolosamente quello che avevo di fronte con un calcio, ma non appena mi girai per proteggerle mi accorsi che qualcun altro mi aveva anticipata, allontanandoli.
Spalancai le labbra dinanzi a quei capelli indomabili del colore del cioccolato, quelle spalle larghe e quel lungo changshan verde. Mi dava le spalle, ma ancora una volta il mio cuore lo sentiva e coi suoi palpiti frenetici me lo suggeriva. Era lui. Lo avevo trovato.
Lo guardai col fiato sospeso, trovandolo a dir poco magnifico mentre lottava contro i due energumeni sferrando pochi colpi, sconfiggendoli entrambi in un battito di ciglia. I suoi movimenti erano così puliti, precisi ed eleganti, da sembrare passi di danza. Persino l’apertura delle sue gambe quando tirava i calci era impressionante, invidiabile. Lo trovavo bellissimo.
Seppure la mia attenzione fosse totalmente rapita da lui, con la coda dell’occhio mi accorsi che proprio quando stava per avere la meglio l’uomo che avevo atterrato aveva raccolto un pugnale da una bancarella, dirigendosi verso di lui. Che sleale!
Corsi afferrando al volo il bastone perso per sbaglio dall’acrobata, raggiungendolo proprio mentre il ragazzo si girava, probabilmente percependolo; ciononostante anticipai ogni sua mossa, colpendo il brutto ceffo sulla nuca con tutta la forza che possedevo.
Sospirai vedendolo perdere i sensi e mi voltai alla mia sinistra, verso di lui, immergendomi in un mare d’oro. Non mi ero sbagliata! Il cuore mi si riempì di gioia, la terra scomparve da sotto i miei piedi, l’aria colmò i miei polmoni. Mi sentivo un palloncino scoppiettante di emozioni e soddisfazione, soprattutto quando nelle sue iridi lampeggiò il riconoscimento.
«Tu sei… la bambina di tanti anni fa?»
«Ti ricordi di me?» domandai sorpresa, restando a bocca aperta. Quella era anche la prima volta che lo sentivo parlare. Rivolgendosi a me. Ricordandosi di me!!
«Occhi così non si dimenticano.»
Con un sorriso i suoi tratti spigolosi si addolcirono, somigliando di più al bambino che era, il bambino impresso eternamente nella mia memoria.
Mi morsi un labbro emozionata, prossima alle lacrime, non riuscendo a crederci. Mi sentivo così felice che mi sembrava il cuore volesse scoppiarmi.
«Sakura, ti ho trovata!» Meiling sbucò allora dalla folla, approcciandomisi di corsa, facendo scorrere lo sguardo da me al ragazzo. Avevo una storia abbastanza lunga da raccontarle, ma lei mi stroncò sul nascere: «Oh, vedo che hai già conosciuto Xiaolang!»
Sgranai gli occhi. Possibile?!
Gli rivolsi uno sguardo stupito e lui mi guardò altrettanto incredulo.
«Quindi sei tu l’amica giapponese di mia cugina?»
Scosse la testa, trattenendo il riso, come se cercasse di capacitarsene. Era assurdo, impossibile, incredibile, un miracolo anche per me.
Ma poi gli risposi con un sorriso presentandomi a dovere, mentre lui faceva lo stesso. Ciò poteva significare soltanto una cosa: che se non ci fossimo ritrovati per caso, il destino spinto dalle nostre memorie e i nostri sentimenti ci avrebbe in ogni caso condotti l’uno dall’altra.










 
Angolino autrice:
Perdonate il ritardo, ho ricordato solo adesso che oggi fosse domenica... E pensare che è anche una delle shot che preferisco in questa raccolta!
Traduzione del titolo: 
僕達の力を合わせてる (bokutachi no chikara o awaseteru) = unendo le nostre forze
Scusatemi ancora per l'orario, proprio prima di cena. E grazie mille a chi legge, sperando che stiate apprezzando queste piccole storielle :3

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Day 6: Renge (lotus) - Far from the one you love ***


愛がある場所


 
Se ne stava seduto sul bordo dello stagno, immerso nel verde, lo stesso verde dei suoi occhi, quel colore che lui aveva sempre amato, che lo faceva sentire a suo agio, quel colore associato a gemme preziose e alle proprie tradizioni, quel colore cui connetteva la sua famiglia.
Armato di penna e diversi fogli ponderava i suoi pensieri, scavando nella sua mente, ammirando i fiori di loto in piena fioritura in quel periodo, sperando quasi di udire un suggerimento da parte loro. Tuttavia ricevette unicamente silenzio, interrotto talvolta dal guizzo di un pesciolino nel laghetto alle sue spalle, il fruscio di qualche animale curioso che andava a sbirciare, o lo stormire del vento tra le fronde che smuoveva i fili d’erba attorno a lui, facendoli lievemente ondeggiare seguendo un suono inudibile alle sue orecchie.
Provò a buttare giù qualche riga, ma ben presto appallottolò la carta, insoddisfatto. Si scompigliò i capelli, frustrato, e appoggiò la testa tra le ginocchia, sperando di trovare le parole da qualche parte nel proprio cuore. Non era certamente la prima volta che le scriveva, ma quel giorno non era sicuro di nulla. Non sapeva come approcciarsi. Non aveva idea di come scusarsi. Le aveva telefonato, ma parlare per pochi minuti non bastava a rispondere a quell’ultima missiva che lei gli aveva spedito. Non era riuscito a dirle nulla di ciò che realmente pensava. Non ce n’era stato il tempo. E adesso che c’era, non aveva idea di come fare a comunicarle tutto ciò che vorticava vertiginosamente nella sua mente.
Il giorno in cui lesse quell’ultima lettera, anche se si trattava di una fusione di mere frasi scritte, si era accorto che qualcosa non quadrava; e quando le telefonò ebbe la sua conferma: per quanto tentasse di nasconderlo, Sakura era triste. E la ragione di quella tristezza era lui stesso.
Strinse le mani attorno ai gomiti, mordendosi il labbro tremante, mentre le lacrime gli si formavano negli occhi. Erano già trascorsi cinque mesi. Cinque mesi da quando aveva lasciato Tomoeda. Cinque mesi da quando l’aveva vista per l’ultima volta. Cinque mesi da quando era lontano dalla persona che amava. La mancanza, la sua assenza, cominciavano a farsi sentire. A divenire opprimenti.
Non faceva altro che allenarsi e trascorrere ore, giornate intere su libri di magia, per affinare le sue tecniche e impararne di nuove. Sapeva che era necessario. Sapeva che lo stava facendo per lei. Sapeva che tutto ciò, un giorno, avrebbe dato i suoi frutti. Sapeva che così l’avrebbe protetta. Ma proprio questo gli impediva di contattarla quando desiderava e soltanto in quei momenti in cui la sentiva o leggeva ciò che lei gli scriveva si sentiva finalmente calmo, rilassato, leggero. Tutta la tensione spariva, lasciando spazio ad un sentimento caldo, che gli cingeva le membra, gli strappava un sorriso. Quando le telefonava, bastava anche la prima mora che pronunciava a rasserenarlo. Ma non l’ultima volta. Il suo tono era meno allegro del solito, più tirato, talvolta fioco e tremante, e lui lo capì: capì che si stava trattenendo dal piangere, e lo stava facendo soltanto per lui.
Si riscosse da quell’attimo di sconforto, afferrando la penna con decisione. Doveva dirle ciò che provava, senza farla preoccupare. Doveva essere sincero, senza farle capire quanto in realtà avesse bisogno di lei. Perché lei gli aveva cambiato totalmente la vita, lei gliel’aveva resa più radiosa, più rosea. Rosa, come quelle ninfee che galleggiavano dinanzi ai suoi occhi.
Cominciò quindi col chiederle come stesse, cosa aveva fatto negli ultimi giorni e come avesse trascorso le vacanze estive. Poi le parlò di sé, facendole un breve resoconto – piuttosto superficiale, limitandosi a ciò che gli era concesso dirle, per quanto avesse preferito poterle parlare di ogni cosa – di ciò di cui si stava occupando negli ultimi tempi. Si scusò per le sue sparizioni e la avvisò che purtroppo sarebbe accaduto di nuovo: sarebbe stato assente, sebbene per lei lui desiderasse essere costantemente presente.
Le scrisse anche che avrebbe allegato una cartolina alla lettera, rappresentante la baia, con la speranza così facendo di farla sentire più vicina a lui. Prese la cartolina e, in maniera incontrollabile, lasciò che la porta del suo cuore si aprisse, cosicché esso potesse prendere il sopravvento, lasciandole il suo primo più intimo pensiero.
 
***
 
«Ah! Meiling-chan, mi potresti fare un piacere?»
Sakura si alzò dal tappeto e non appena la sua amica le fece un segno di assenso, curiosa di quale avrebbe potuto essere la sua richiesta, si accostò alla bacheca, togliendone cauta le cartoline di Hong Kong per non rischiare di rovinarle.
«Mentre eravamo lontani Syaoran-kun mi ha mandato queste e dietro ha scritto delle cose in cinese. Ma non riesco a tradurle.»
Gliele porse e si risedette a gambe incrociate davanti a lei. Una volta che la sua ospite le ebbe girate a stento trattenne una risata.
«Non pensavo che Xiaolang potesse essere tanto smielato!»
Kero-chan fortunatamente era troppo immerso in una partita per badare a loro, per cui, dopo avergli rivolto uno sguardo furtivo, la ragazza si avvicinò alla padrona di casa.
«“Mi manchi”», cominciò a tradurre, restituendogliele una alla volta.
Il cuore di Sakura si sciolse, ricordando che quella era stata proprio la prima che le aveva spedito.
«“Non smettere mai di sorridere, hai la forza di affrontare ogni cosa”», proseguì, e lei ricordò che prima gli aveva scritto confessandogli che in quel periodo si sentiva un po’ mogia e abbattuta – forse era anche a causa del tempo grigio e l’ansia di dover dire addio al passato e accogliere il nuovo, durante il passaggio dalle scuole elementari alle medie.
Nella lettera di risposta le aveva assicurato che era normale sentirsi talvolta incerti, anche a lui accadeva spesso. Ciononostante lei doveva essere sicura di sé e restare sempre fedele a se stessa.
«“Presto ci rivedremo”»
A sentire ciò spalancò la bocca, incredula. Lui gliel’aveva detto!
Quella fu l’ultima cartolina che ricevette, poco tempo prima che, effettivamente, si rincontrassero.
«E quella?» chiese, notando che ne avesse tralasciata una.
La ragazza dai capelli corvini sorrise furba.
«Questa non te la dico, chiedilo a lui. Anzi, prova a dirglielo anche tu, sono tre paroline semplici.»
«Ossia?»
«“Wo ai ni”»
La biondina provò a ripeterle, tentando di memorizzarle, sentendosi scaldare il cuore a quel suono. Assolutamente, doveva ricordarsi di chiederglielo.










__________________________________________________________________________________________________________________
Angolino autrice:
Prima di tutto, voglio scusarmi se ho saltato una settimana ma nel week-end scorso sono stata straimpegnata e mi è proprio passato di mente ç_ç
Spero di essermi fatta perdonare con questa shot, per quanto triste e breve.
Traduzioni/spiegazioni:
愛がある場所 (ai ga aru basho) = il luogo in cui c'è l'amore
- "more" è come sono chiamate le "sillabe" giapponesi
- "wo ai ni" = ti amo 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Day 7: Botan (peony) - Bravery ***


Syaoran’s flower - 君の勇気


 
Da quando scoprì che in quel parco crescessero delle peonie, ogni anno in maggio vi si recava insieme a Syaoran. Si sedevano su una panchina o facevano allegri picnic all’ombra delle imponenti chiome degli alberi, approfittando della pace di quei giorni sereni, ove nessuna nube ne minacciava la tranquillità.
Per puro caso aveva scoperto che quelli fossero i suoi fiori preferiti, glielo aveva accennato una volta Meiling chiedendole appunto se ci fosse qualche zona a Tomoeda in cui sbocciassero e, in caso positivo, le suggerì lei stessa di portarcelo, visto che sarebbe sicuramente stata una sorpresa gradita.
Quando effettivamente li trovò e lo condusse lì notò immediatamente i suoi occhi illuminarsi, pieni di meraviglia. Allora indagò per scoprire come mai proprio quello fosse il suo fiore preferito.
Lui non sembrava trovare una vera e propria motivazione, alla fine le disse: «È un fiore che, sin da bambino, mi ha incoraggiato molto nei momenti in cui mi rassegnavo. Mi dava forza ogni volta in cui mi sentivo più debole.»
Dopo aver udito quelle parole decise di fare una ricerca approfondita sulla pianta, sempre più curiosa, informandosi anche sul periodo in cui andava seminata, cominciando conseguentemente a fantasticare su un ipotetico loro futuro insieme. Erano infatti arrivati a quella fase della loro relazione in cui, dopo tanti anni trascorsi l’uno al fianco dell’altra, entrambi lasciavano alla loro immaginazione prendere il sopravvento. Avrebbero vissuto in una bella casa spaziosa con un giardino enorme, pieno di peonie e ciliegi; lì avrebbero costruito la loro famiglia, avrebbero giocato coi loro figli e sarebbero stati felici, insieme, per anni e anni, senza mai più essere costretti a doversi dire addio.
Tra le informazioni che risultarono, oltre a quelle pratiche sul giardinaggio trovò anche il significato del fiore: “coraggio”. E allora capì. Capì perché esso lo risollevava quando più ne aveva bisogno, nei momenti di maggiore sconforto. Capì perché sembrava rappresentarlo così tanto, non solo nella bellezza esteriore, ma anche per ciò che racchiudeva in sé.
Lui c’era sempre stato per lei, l’aveva sempre aiutata, sostenuta e protetta, si era sempre fatto avanti accettando ogni sfida, si spingeva costantemente al limite, talvolta mettendo a repentaglio persino la sua vita, senza pensarci due volte. Non aveva paura di nulla, soltanto di perderla. Era il suo unico, grande timore e per questo metteva lei prima ancora di se stesso.
Sakura era consapevole di tutto ciò, così come lo era del ruolo che ella stessa, semplicemente con la sua presenza, giocava nella sua vita: sapeva di fargli dono di un coraggio persino maggiore, un coraggio da leone. Uno di quelli che ti danno l’impressione di avere la prodezza necessaria ad attraversare le fiamme, sconfiggere le tempeste, spaccare la terra e i ghiacciai e gettarti nel vuoto.
Era lo stesso coraggio che, ogni volta, lui infondeva in lei, quel coraggio racchiuso in quei fiori che anch’ella era giunta ad amare. Ecco perché quando giunse quel momento Sakura scelse le peonie, ponendole al centro d’un velo d’amore.
 
***
 
La guardavo procedere verso di me col fiato sospeso, trovandola bella come non lo era mai stata. Splendeva avvolta in quell’abito bianco, più di ogni stella nel cielo, e non ero certo di quanto il mio cuore potesse ancora reggere con quella visione incantevole.
Non udivo più niente, non esisteva più nessuno, c’era soltanto lei al centro di tutto il mio mondo, portando tra le mani il mio cuore.
Spostai lo sguardo sul suo bouquet, adornato da peonie avvolte da ciliegi in un mare di fiorellini bianchi. Lei mi cingeva, lei mi abbracciava, lei mi proteggeva, dalle mie paure, dai miei dubbi, dalle mie insicurezze. Lei mi leniva, lei mi carezzava, lei mi amava. Lei, che era diventata il fiore che più amavo, con la sua gaiezza, con la sua onestà, con la sua temerarietà.
Sakura era sempre stata coraggiosa. Sebbene inizialmente fosse una piagnucolona, in un battito di ciglia era cresciuta e maturata, fino a diventare la ragazza più forte ed impavida che io avessi mai conosciuto. E il suo coraggio non si limitava soltanto all’affrontare i nemici o al superare con positività e ottimismo ogni difficoltà. No, lei aveva mostrato tutto il suo coraggio già da piccola, con me.
Il coraggio di avvicinarsi a me, nonostante il mio essere scontroso.
Il coraggio di parlarmi e sorridermi, seppure io a malapena la degnassi di attenzioni, non capendo nella mia immaturità tutto il suo potenziale, né quanto fosse dolce e premurosa.
Il coraggio di non desistere e diventare mia amica.
Il coraggio di amarmi, nonostante non potessi restare lì con lei.
Il coraggio di aspettarmi, senza sapere quando sarei tornato.
E adesso, il coraggio di restare al mio fianco per sempre.
Ero infinitamente grato al destino per avermi permesso di incontrarla ed amarla, e a tutto questo pensavo mentre ci scambiavamo gli anelli e le nostre promesse, promesse di un futuro che avremmo trascorso insieme in eterno.









________________________________________________________________________________________________________
Angolino autrice:
Buonasera! E così siamo giunti alla fine ç_ç Non so come sentirmi, al solito. Mi auguro quantomeno che sia stata una buona conclusione çwç
Se ci avete fatto caso, come vi avevo già detto lo stile qui riprende quello del Day 1, ma all'inverso.
Quando sono usciti i prompt di questa raccolta una parte di me non ci credeva che finalmente si incentrasse sui fiori e i loro significati. Ho cercato di fare del mio meglio nel convogliarli in tante piccole storielle, nella speranza di riuscire ad aprire sette piccoli mondi pieni d'amore. 
Ringrazio chi ha recensito, ma anche chi ha letto soltanto e chi inserisce la raccolta tra le preferite (o che l'ha già fatto). Spero con tutto il cuore che vi sia piaciuta.
Grazie ancora di cuore,
Steffirah.


Traduzione: 君の勇気 (Kimi no yuuki) = il tuo coraggio

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3798052