FAMILY

di Feisty Pants
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** RICORDAMI ***
Capitolo 2: *** APPARENZA ***
Capitolo 3: *** AMICHE CRESCIUTE ***
Capitolo 4: *** MAMMA ***
Capitolo 5: *** CRUDA REALTA' ***
Capitolo 6: *** MICHELE ***
Capitolo 7: *** GHIACCIO ***
Capitolo 8: *** CONFORTO ***
Capitolo 9: *** SCONTRO ***
Capitolo 10: *** ADDIO ***
Capitolo 11: *** CICATRICI ***
Capitolo 12: *** SOGNI INFRANTI ***
Capitolo 13: *** SCOPERTE ***
Capitolo 14: *** SCONOSCIUTI ***
Capitolo 15: *** FALSA SPERANZA ***
Capitolo 16: *** FORZA INTERIORE ***
Capitolo 17: *** ENNESIMA DELUSIONE ***
Capitolo 18: *** BENTORNATA ***
Capitolo 19: *** CASA ***
Capitolo 20: *** COCO ***
Capitolo 21: *** ANGELO ***
Capitolo 22: *** DESTINO ***



Capitolo 1
*** RICORDAMI ***


CAPITOLO I

RICORDAMI

 

Ottobre...

 
“Mamma, guarda che bello!” esclamò una bimba dai lunghi capelli rossi girandosi verso la donna alle sue spalle.

“E' meraviglioso! Chi ti ha aiutata a farlo?!” rispose la giovane adulta ammirando il pupazzo di neve un po’ goffo che aveva davanti ai suoi occhi.

“Emma! E’ sempre lei che mi aiuta!” disse la piccola guardandosi intorno alla ricerca della sorella, corrugando la fronte non riuscendo a notarla.

Un momento di silenzio ed ecco una principessina dai capelli biondi comparire da dietro un albero e abbracciare forte la più piccola.

“Mi hai spaventata!” rise la piccina cingendo il collo della maggiore.

La donna alle loro spalle le osservò estasiata. Sul suo volto erano visibili l’amore, la gioia, la gratitudine nel vedere le proprie bambine così legate.

Mamma Anna guardava le due perle più belle della sua vita e sperava che restassero così unite per sempre, anche da grandi.



 
“Stai ancora guardando quelle scemenze?” disse una voce.

Una ragazza di circa tredici anni interruppe la registrazione lasciando l’immagine alla tv ferma sull’abbraccio delle due sorelle.

“Emma, non sono scemenze!” si difese lei senza voltarsi indietro e iniziando a sentire divampare la rabbia.

“Invece sì, perché non siamo le sorelle che hai visto in quel filmato! L’infanzia è infanzia Ariel, non pensare che tutto torni come una volta” gracchiò ancora la maggiore prendendo di scatto il telecomando e spegnendo la televisione.

La bionda si allontanò e, sbattendo la porta d’ingresso, lasciò la casa senza aggiungere altro.

Ariel rimase immobile davanti allo schermo avvolta dal silenzio sporcato solo dal ticchettio profondo dell’orologio a cucù. La ragazza restò ferma sul divano fissando il vuoto e lasciando che qualche lacrima, silenziosa, le rigasse il volto punteggiato di lentiggini.

Ariel, quella dolce bambina un po’ cresciuta, dai setosi capelli rossi e gli occhioni azzurri, soffriva per la lontananza della sorella da sempre considerata come il suo eroe e la sua migliore amica, anche se questa ammirazione non era più corrisposta da parecchio tempo.


Emma camminava speditamente tra le vie della città guidata dal ritmo delle canzoni che rimbombavano nelle orecchie grazie alle sue cuffiette bianche e azzurre. Emma era cambiata molto in quegli anni.

La ragazza aveva 15 anni ed era nel pieno di una crisi adolescenziale…un po’ esagerata e portata agli estremi.

Da circa due anni la ragazza dolce, premurosa ed educata si era trasformata in una ribelle. Il motivo non lo conosceva nessuno, nemmeno lei! Solo una cosa era chiara nella sua mente: nella sua famiglia non si trovava bene anche se possedeva tutto. I genitori Anna e Kristoff facevano di tutto per le proprie figlie ma a lei questo non importava. Emma voleva la sua indipendenza e autonomia! Voleva smettere di andare a scuola e divertirsi ogni giorno senza dover, soprattutto, fare da balia alla sorellina di tredici anni.

Emma ed Ariel. Due sorelle.
Una diversa dall’altra.
La prima bionda, l’altra rossa.
Una ribelle e l’altra rispettosa.
Una insensibile e l’altra affettuosa.
Una di ghiaccio e una di fuoco.
Due calamite che non riuscivano più ad incontrarsi.
Due opposti, due contrari.

“Hey, bella bionda!” urlò un ragazzo alle spalle di Emma circondato da altri cinque o sei giovani dai 16 ai 18 anni.

Emma tolse le cuffiette e si girò abbozzando un sorriso. Quello era il suo clan, il suo gruppetto di amici, anche se il termine amici era un po’ azzardato. Emma li conobbe l’anno precedente, in prima superiore e non si separava mai da loro. Erano tutti maleducati, spocchiosi e ribelli, proprio come lei. Il loro compito era portare scompiglio all’interno della scuola, far paura ai ragazzi più piccoli e comportarsi, quindi, da veri e propri bulli anche se Emma non prendeva mai parte alle loro brutte azioni per paura di farsi beccare dai genitori e, soprattutto, perché non condivideva ancora a pieno quei comportamenti. A lei bastava uscire con loro, ascoltare musica di cattivo gusto e sentirsi superiore.

“Ecco la ragazza più bella del mondo” disse ancora il ragazzo avvicinandosi a lei. In un batter d’occhio lui la tirò contro il proprio petto ed iniziò a baciarla con foga senza farla respirare per poi staccarsi ansimante e mangiarla con occhi ardenti e desiderosi di andare oltre quel bacio.

Bacio… era quello il termine giusto? Forse “scambio di saliva” sarebbe stato più appropriato. Emma, grazie al suo fisico slanciato, i capelli mossi e dorati che le ondeggiavano lunghe le spalle e gli occhi celesti, aveva colpito e affondato Alessandro.

Alessandro era un nome dolce, delicato, motivo per cui nessuno doveva chiamarlo così.

Biff… Alessandro aveva deciso di battezzarsi come Biff, un soprannome forte, meschino, animalesco e potente.

Biff era alto, muscoloso, con i capelli castani corti e due occhi neri come la pece. Era il capo dei bulli, da sempre cacciatore di femmine. Nell’ultimo periodo si era invaghito proprio di Emma, la sua nuova fiamma, la sua preda più succulenta che mai si sarebbe lasciato sfuggire.

“Dai andiamo” salutò una ragazza dietro alla coppia ed Emma, dopo aver ricevuto una sigaretta, se la portò alla bocca ed iniziò ad inspirare profondamente per poi allontanarsi con loro. Sì, Emma fumava perché convinta che quello della sigaretta fosse il suo ossigeno e il gruppo la sua aria pulita dove poter respirare a pieni polmoni. Emma non se ne rendeva conto, ma quello che inalava con quelle persone era solo smog ed inquinamento.


In una via parallela…


Un ragazzino di circa undici anni camminava spedito per strada. Aveva dei folti capelli neri e un ciuffo cespuglioso che ricadeva sugli occhi castani, indossava una felpa a quadri blu, teneva le mani in tasca e portava una chitarra sulle spalle. Il ragazzo ciondolava, saltellava, correva e camminava seguendo il ritmo delle canzoni che invadevano le sue orecchie. Occhi chiusi e mani che dirigevano un’orchestra immaginaria quando ascoltava musica classica, passi corti e regolari per le canzoni pop e ciondolio della testa per il rock.

Michele amava la musica, anzi… la musica era la sua vita. Il ragazzo suonava la chitarra da quando aveva quattro anni e si stava dirigendo dalla persona che aveva portato alla luce il suo talento: sua nonna.

“Ciao nonna!” salutò Michele aprendo la porta d’ingresso e togliendosi le cuffiette dalle orecchie. La nonna era in soggiorno, sulla sedia a rotelle con lo sguardo vuoto rivolto verso il muro. Michele le si sedette accanto e accolse la solita routine. La nonna, infatti, lo guardò torva come se avesse davanti uno sconosciuto. Michele non parlò, ma imbracciò la sua chitarra e cominciò a suonare e a cantare una dolce melodia:

“Ripensa a me
Non dimenticarlo mai
Ricordami
Dovunque tu sarai
Lo sai che devi fare se
Non sono insieme a te
Ascolta la canzone e tu
Sarai vicino a me…”


Il volto della donna cambiò radicalmente: le guance si tinsero di rosso, un sorriso si fece largo sul suo viso sofferente e gli occhi cominciarono a vedere.

“Michele! Ciao tesoro!” disse lei accarezzandolo dolcemente. Michele ricambiò il sorriso.

Il ragazzo era abituato a quegli eventi e non ne aveva paura. La nonna aveva lottato tutta la vita contro un tumore che riuscì a tenere a bada per diversi anni grazie alla cura Hopps. Ora, però, la situazione era degenerata. La nonna perdeva costantemente conoscenza e stava dimenticando ogni cosa della propria vita. Michele era l’unico in grado di farle riacquisire, anche se per poche ore, i ricordi e il possesso della sua esistenza.

“Com’è andata a scuola? La mamma e il papà?” chiese allora la nonna premurosa.

“Tutto bene, ho imparato tante cose nuove. Mamma e papà sono in caserma, arriveranno tra un’ora a prendermi” rispose lui guardando l’orologio.

Il tempo trascorse velocemente e nonna e nipote risero e si divertirono insieme. Michele assaporava ogni singolo momento guardando affascinato la nonna e memorizzando tutti i piccoli particolari del suo volto. Le rughe, gli occhi castani come i suoi, il capo coperto da un berretto per non mostrare l’assenza dei capelli. Era tutto così bello e perfetto.

“Permesso, posso entrare?” disse un uomo alto dai capelli rossi e gli occhi verdi all’entrata dell’abitazione.

“Ciao papà!” salutò Michele rivolgendo uno sguardo al padre.

“Nick!” disse la nonna felice guardando l’uomo in divisa.

“Mamma, ti trovo bene!” aggiunse lui emozionato posando un bacio sulla guancia della madre. I tre trascorsero altri istanti insieme e Nick osservava quella calda atmosfera. Erano ormai pochi i momenti in cui sua mamma si ricordava di lui e voleva goderseli a pieno.

Dopo averla salutata e affidata alle cure delle persone addette alla sua protezione, Nick avvolse con il braccio il collo del figlio e si diresse fuori.
“La trovo bene, non trovi?” disse Michele una volta in macchina.

“Sì tesoro, io e la mamma ti dobbiamo tanto” rispose Nick tenendo la concentrazione alla guida.

“Perché? Alla fine è la medicina della mamma ad aver migliorato la salute della nonna!” domandò perplesso il figlio.

“Certo, Judy è stata capace di aiutare la nonna ma ora che sta di nuovo male e si dimentica di noi tu sei l’unico capace di farla vivere. Non so come fai, forse perché la tua musica è meravigliosa ma ritengo che tu abbia un dono.” Continuò Nick guardando la strada abbozzando un sorriso.

“Quale?” chiese ancora Michele curioso.

“Sai amare. Fin da piccolo sei sempre stato in grado di riunirci tutti. Il tuo arrivo ha rallegrato me e la mamma, ci hai fatto mantenere i contatti con gli amici visto che i loro figli hanno la tua età ma, soprattutto, hai sempre avuto un occhio di riguardo per la nonna. Hai imparato ad amarla anche quando non aveva un bell’aspetto, quando piangeva, quando si dimenticava di te. Tu la guardavi e non ti importava in che condizioni fosse. Le prendevi il viso tra le mani e la chiamavi Coco, un soprannome solo tuo che è stato in grado di stregarle il cuore. Ed ora la nostra Coco vive grazie a te”


NDA:
Eccomi di nuovo qui nel tentativo di scrivere alcune idee che mi ronzano nella testa. Come avevo già affermato nella scorsa ff, ormai mi sono affezionata troppo a questi personaggi e ho deciso di continuare a trattare le loro vicende. Premetto che, per chi avesse letto l'ultimo capitolo della precedente storia, le cose cambieranno. I bambini nominati nell'ultimo capitolo non sono gli stessi che verranno trattati in questa fanfiction. Le storie raccontate nella precedente ff sono le stesse ma cambiano, per esempio, le età dei bambini. Tutti i figli, infatti, avranno più o meno la stessa età in modo da renderli un gruppo omogeneo tranne Emma, la figlia di Anna e Kristoff avuta a 19 anni, che rimane invariata. 
Come potete vedere ho voluto inserire nuovi personaggi appartenenti ad altre storie per esempio Michele è ovviamente Miguel di Coco, personaggio che mi affascina moltissimo e cercherò di esplorare al meglio in questa storia. 
Bene, come mio solito ho già parlato troppo. Ringrazio già la mia Ivy alla quale dedico l'intera storia. E' grazie al suo supporto e la sua voglia di leggere qualcosa di mio se ora mi trovo qui di nuovo a scrivere. 
Buona lettura!

Anna

 

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Capitolo 2
*** APPARENZA ***


CAPITOLO II

APPARENZA

 
“Emma, sono le 19.30, è ora di cena e tu rientri adesso?!” la voce di Kristoff è forte e aggressiva. La famiglia attendeva la figlia maggiore attorno al tavolo da circa mezz’ora.
Ariel, dopo lo scontro con la sorella nel pomeriggio, aveva preferito starsene zitta, mandare giù e non pensarci. Non voleva dirlo ai suoi genitori perché loro avrebbero sgridato Emma facendola allontanare sempre di più, ed Ariel non desiderava questo.

“Ero da un’amica a studiare” sbuffò lei senza guardare i presenti.

“Emma! Vieni qui!” continuò il capo famiglia brusco. La maggiore si tolse la giacca e, facendo roteare gli occhi, si avvicinò ai genitori.

“Perché non vuoi mai stare con noi? Ora siediti e mangiamo tutti insieme!” disse ancora Kristoff.

“Vado a cambiarmi e arrivo va bene?!” aggiunse lei scocciata facendo per andarsene.

“Emma” la interruppe Anna afferrandole il braccio. “Puzzi di fumo, tu con le amiche studi fumando?”

“Smettila mamma! Lo sai benissimo meglio tu di me! Al giorno d’oggi la gente fuma e fare una passeggiata vicino ai fumatori ti impregna i vestiti. Ora, se volete scusarmi, vado a sistemarmi” rispose Emma togliendosi dalla presa della madre e correndo in camera sua.

I tre rimasero in silenzio. Kristoff ed Anna si guardarono preoccupati e si fecero un cenno col capo, segno di riaprire l’argomento una volta da soli senza Ariel ed Emma nei paraggi.

La cena proseguì tranquillamente ed Emma si mostrò più cordiale del solito. Rideva, scherzava, raccontava aneddoti divertenti ma la sua era tutta una strategia: mostrarsi cordiale per potersi alzare prima dal tavolo.
Non vedeva l’ora di allontanarsi da quella situazione da bambina per mettersi sotto le coperte e messaggiare a Biff.

Dopo aver salutato le figlie, i coniugi si ritirarono nella propria stanza. Anna indossò una canottiera di seta e si lavò i denti per poi restare ad osservarsi di fronte allo specchio.

“Cavolo, due parti, 35 anni, una marea di bimbi da tenere la mattina e un fisico impeccabile… più invecchi e più mi innamoro.” Disse Kristoff cingendo i fianchi della moglie cercando di farla rilassare.

“Sì come no, poi intanto abbiamo una figlia che ci nasconde qualcosa” rispose lei prendendo per mano il marito e dirigendosi verso il letto.

Kristoff, nel sentire quell’affermazione, si bloccò di colpo ed osservò la stanza circostante.
La loro camera matrimoniale raccoglieva tanti ricordi.

Kristoff ricordava la prima notte di nozze, Emma di circa due anni che piangeva e non li faceva dormire, il ciuccio e la lettera sul letto che gli annunciavano la seconda gravidanza della moglie, le lotte con i cuscini, le chiacchierate e litigate con Anna, le nottate in cui avrebbero voluto avere un po’ di intimità e che, invece, venivano interrotte dall’arrivo delle bambine spaventate per gli incubi, le sveglie alle 5 del mattino per dare le medicine per le prime malattie e i semplici momenti in cui, al posto di dormire, mamma e papà preferivano alzarsi ed osservare le piccole addormentate nelle loro stanze. Ora tutto quello sembrava svanito.

Kristoff non sopportava l’idea di avere davanti un’altra Emma. La sua dolce piccolina dai codini biondi si era trasformata in una ragazzetta infelice, arrabbiata, con lo smalto nero sulle unghie e tre chili di matita e quegli altri aggeggi che usano le donne per apparire più belle attorno agli occhi.

“Cosa facciamo?” chiese il marito sdraiandosi accanto alla moglie.

“Siamo stati giovani anche noi Kris, anche se io non ho mai avuto delle fasi così strane come le sta avendo lei. E’ chiaro che ci stia tenendo nascosto qualcosa. La storia del fumo, dei pomeriggi sempre fuori, del non raccontarci mai niente… non è normale!” disse Anna mostrando le sue preoccupazioni.

“Sicuramente si sta cacciando in qualche cavolata e prima o poi ci sbatterà la testa!” puntualizzò il marito.

“Non possiamo permetterle di sbattere la testa! Se la sbattesse nel posto sbagliato? Io vorrei solo riavere un rapporto con lei” continuò Anna triste mettendosi una mano sulla fronte.

“Lo so amore, lo vogliamo tutti.” Aggiunse Kristoff confuso e rammaricato non sapendo come risolvere la situazione.

“Domani andrò a parlare con i suoi professori. Emma è da tenere d’occhio. Solo così potremo capire che cosa fare” concluse Anna girandosi verso Kristoff e, una volta ricevuta la sua approvazione, si addormentò tra le sue braccia dimenticando, almeno per qualche ora, i suoi problemi.

Il giorno seguente…


“Emma, sei già sveglia oppure dormi?” chiamò Ariel bussando alla porta della sorella senza ricevere risposta come sempre.

“Per favore, andiamo a scuola insieme?”

Nessuna risposta.

Ariel, allora, tirò un calcio alla porta della stanza della maggiore e fece per allontanarsi quando fu proprio Emma a bloccarla.

“Hai tredici anni per l’amor del cielo! Non sai camminare con le tue gambe?! Hai bisogno ancora della mamma per entrare sana e salva a scuola?!” offese la maggiore spintonando la più piccola.

“Sei un mostro!” urlò Ariel con gli occhi gonfi di lacrime e, senza più dire nulla, corse fuori dall’abitazione.

“Ti senti forte comportandoti così?!” si intromise Anna uscendo dalla propria camera da letto pronta per andare al lavoro.

“Non deve starmi tra i piedi” rispose la più grande allontanandosi.

“Tu non mi stai piacendo signorina, prima o poi faremo i conti sia chiaro! E vedi di toglierti quest’aria di superiorità! Fila!” ringhiò Anna inarcando le sopracciglia e guardando la figlia allontanarsi.

Quel giorno avrebbe parlato con i professori: aveva bisogno di aiuto e supporto nell’affrontare una ragazza particolarmente ribelle.

Per strada…


Ariel camminava spedita per raggiungere la scuola. Aveva gli occhi rossi e le lacrime scorrevano silenziose sulle sue guance. Quella giornata era iniziata particolarmente male, come tutte le giornate d'altronde…

“Ariel!” urlò una voce alle sue spalle. La ragazza si girò e, velocemente, cercò di asciugarsi le lacrime con le maniche della giacca.

“Non devi nasconderti, noi ti troveremo sempre” risero dei ragazzi di tredici anni avvicinandosi a lei.

“Sentite non è giornata” rispose lei accelerando il passo tenendo lo sguardo fisso per terra.

“Ah perché decidi tu quando è giornata?!” la accusò una ragazza alta, magrissima con una sigaretta tra le dita.

“Ma quella giacca da dove arriva? E’ di tua sorella maggiore? Sei diventata miss riciclo?” la criticò un altro giovane facendo ridere l’intero gruppo.

“In realtà quella giacca l’ha comprata con noi, ed ora andatevene” si intromise un ragazzo alle loro spalle seguito da una giovane dai capelli biondi e gli occhi celesti. 

“Oh è arrivato il ragazzo comprato con la sua amichetta! Va bene Ariel, resta pure con i tuoi cuginetti ma sappi che, tanto, ci rivedremo in classe” ringhiò ancora la spilungona capobranco facendo segno agli altri di seguirla. Il gruppetto dei bulli di seconda media, infatti, aveva paura dei ragazzi di terza, motivo per cui si allontanò velocemente.

“Grazie” sussurrò Ariel ricevendo l’abbraccio dei suoi soccorritori.

“Ariel, devi parlare di questa situazione ai tuoi genitori! Noi non possiamo esserci sempre!” disse il giovane dai capelli di un biondo scuro e gli occhi verdi.

“No, Pietro non posso. I miei hanno già abbastanza problemi con Emma, manca solo che si preoccupino per me” rispose la rossa prendendo le difese della sorella maggiore.

“Emma sta esagerando e tu la biasimi? Va beh, scelta tua! A me non piace vederti così cuginetta! L’importante è non lasciarti condizionare da quello che dicono quei rincoglioniti!” aggiunse la bionda.

“Lo so Aurora, grazie. Voi promettetemi di non dire niente ai vostri genitori. Zia Elsa e Rapunzel potrebbero confidarsi con mia mamma” concluse Ariel avviandosi verso la scuola con il cuore più leggero.

Aurora e Pietro erano i suoi cugini.
Entrambi avevano un anno in più di Ariel e frequentavano la terza media. Aurora era una ragazza molto studiosa, intelligente ed era la fotocopia di sua madre Elsa. Pietro, invece, aveva una storia particolare. Era figlio adottivo di Rapunzel e Flynn. Era un ragazzo docile e mansueto anche se, durante le elementari, aveva vissuto un vero e proprio momento di crisi in cui rifiutava i genitori perché non capiva il motivo dell’abbandono.

La sua storia, però, ci interesserà in seguito. In quel momento era chiara una situazione: Emma e Kristoff non doveva preoccuparsi solo di Emma ma anche di Ariel che, ogni giorno, era vittima delle cattiverie e delle offese di un gruppo di bulli.

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Capitolo 3
*** AMICHE CRESCIUTE ***


CAPITOLO III

AMICHE CRESCIUTE

 
“Buongiorno principessa” sorrise un uomo biondo con gli occhi celesti intento ad abbottonarsi la camicia.

“Jack, vai già?” chiese la donna dalla chioma dorata stropicciandosi gli occhi per poi ricadere sul cuscino.

“Dormi pure, Aurora è già andata a scuola. Io ho un’udienza tra un’ora. Tu continui a poltrire dormigliona?” rise Jack avvicinandosi alla moglie e porgendole la cravatta per farsi aiutare.

“Sei sempre bellissimo!” constatò la moglie ammaliata dall’aspetto del consorte.

“Anche tu. Oggi che fai?” chiese poi lui indossando la giacca.

“Io e Judy abbiamo il giorno libero dal lavoro e come brave donne incinte parleremo un po’, verrà nel pomeriggio” aggiunse Elsa accarezzando il leggero rigonfiamento.

“Che cose da femmine! Ci vediamo stasera, ciao amore!” salutò Jack rubando un bacio alla moglie per poi allontanarsi… e tornare di nuovo da lei per baciarla di nuovo, con più gusto e passione questa volta.

Elsa ormai conosceva bene quella tradizione. Suo marito sapeva che quel minuto in più speso per salutarla meglio magari lo avrebbe fatto arrivare leggermente in ritardo al lavoro, ma sicuramente gli avrebbe permesso di cominciare la giornata con il piede giusto.

Nel pomeriggio…


“Buongiorno signora Bjorgman siamo qui per parlare di sua figlia” iniziò la professoressa di scienze, nonché coordinatrice della classe della ragazza.
“Sì, mi dica quello che ha da dirmi su mia figlia e poi le risponderò” disse Anna sedendosi di fronte.

“Siamo solo all’inizio dell’anno ed è quindi difficile da giudicare. Emma l’anno scorso ha terminato la prima superiore con risultati eccellenti e ci auguriamo che possa fare lo stesso anche quest’anno. Per ora le prime valutazioni, per quanto riguarda la mia materia, sono discrete. Non sta dando il meglio di sé ma alla sufficienza o al sette ci arriva. L’unica cosa che volevo chiederle è se mi può confermare queste due assenze effettuate negli ultimi giorni di settembre e settimana scorsa.” Cominciò la docente mostrando il registro di classe.

“La studentessa Emma Bjorgman esce alle ore 11.00 per motivi familiari”

“La studentessa Emma Bjorgman è stata assente nel giorno 3 ottobre per malattia”

Anna guarda le due giustifiche e cerca di nascondere la sua preoccupazione. Osserva la firma riportata alla fine delle frasi e si meraviglia della bravura di Emma nel copiare perfettamente la calligrafia di Kristoff. Anche Anna aveva provato a falsificare la firma dei suoi genitori durante i primi anni di superiori ma almeno sapeva di averlo fatto solo per l’ebrezza di provare a marinare la scuola ma, Emma perché lo faceva? Dove era andata in quei due giorni?

“Signora Bjorgman? Tutto ok?” riprese la professoressa interrompendo i pensieri della madre.

“Ehm, sì sì. Confermo queste due assenze.” Concluse Anna cercando di farsi vedere sicura. Se avesse smentito la docente avrebbe disposto la sospensione della figlia e non sarebbe stata la scelta migliore in quel momento delicato.

“Bene allora non ho altro da aggiungere” disse la docente facendo per alzarsi.

“Mi scusi, un’ultima domanda. Per caso voi vedete chi frequenta mia figlia? E’ da un po’ che non mi parla dei suoi amici e vorrei capire con chi trascorre le sue giornate” domandò Anna sperando di trovare un indizio.

“In classe la vedo dialogare un po’ con tutti i compagni mentre fuori dall’aula l’ho intravista qualche volta insieme ad un gruppo di giovani di altre classi, ma più di questo non le so dire mi spiace! Se ritiene opportuno che venga monitorata me lo faccia sapere”

“Va bene, grazie mille professoressa e a presto!” concluse Anna stringendole la mano ed allontanandosi dalla scuola.
Quel colloquio avrebbe dovuto aiutarla, invece l’agitò ancora di più: ora sapeva solo che Emma marinava la scuola e a volte usciva con ragazzi di altre classi.

Nel frattempo in un’altra casa…


“Ciao Judy!” salutò Elsa facendo accomodare in casa sua una donna affascinante dai lunghi capelli corvini e gli occhi violacei.

“Che strano vederti senza divisa!” ironizzò la bionda sedendosi in soggiorno.

“Mi mancava la maternità! Ovviamente noi poliziotti dobbiamo stare attenti, non potevo restare in servizio con questo pancione.” Rise l’altra accarezzandosi il grembo.

“Come sta procedendo? Avete saputo qualcosa sul sesso del nascituro?” domandò Elsa offrendo una tazza di thé all’amica.

“Potremmo saperlo ma abbiamo deciso di non volerlo vedere. Sarà una sorpresa quando nascerà. Michele è in trepidazione anche se manca ancora un po’!”

“Che bello! Nick e sua madre invece?” chiese Elsa sapendo di aver toccato un tasto dolente.

“Nick sta benissimo, ora si occuperà lui del lavoro. Sua madre purtroppo peggiora. La mia cura ha potuto solo rallentare il tutto, ma ora le rimane poco. Grazie a Michele si sta godendo questi ultimi attimi. Per ora dobbiamo tenercela stretta. Tu invece?” ricambiò Judy puntando al grembo dell’amica.

“Sto per entrare nel terzo mese. Non ci credevo più sai? Sono anni che Aurora ci chiede un fratellino ed ora, anche se hanno molti anni di distanza, potranno finalmente stare insieme. Lo sai meglio di me purtroppo… non è facile avere dei figli” spiegò Elsa abbassando lo sguardo.
Dopo l’arrivo di Aurora, lei e Jack provarono e riprovarono ma il secondo figlio non voleva proprio arrivare.

“Lo so cara, è quasi questione di chimica. E’ uno dei processi più semplici ma anche complessi che esistono in natura. Rapunzel ed Anna le hai sentite recentemente? Merida dovrebbe tornare in Italia verso Natale, ovviamente faremo il solito pranzo tutti insieme.” domandò lei cambiando di nuovo discorso.

“Rapunzel è in tour. Ora è in Francia a suonare presso un’orchestra molto importante. Anna invece…”

Elsa non fece a tempo a terminare la frase perché ecco lo schermo del cellulare illuminarsi e squillare.

“E’ Anna, parli del diavolo e spuntano le corna proprio!” rise la bionda accettando la chiamata e portandosi il cellulare all’orecchio.

“Elsa, sono disperata. Ho appena finito di parlare con i professori! Emma marina la scuola!” urlò Anna dall’altra parte dell’apparecchio e la sua voce era talmente forte da essere sentita pure da Judy.

“Come mai si sta comportando così? Dove sei tu adesso?” domandò la sorella maggiore inarcando le sopracciglia dubbiosa.

“Sto per salire in macchina. Non ne ho la più pallida idea! Magari dovrei contattare Judy e chiederle di pedinare Emma e…”

“Vuole che arresti sua figlia?!” sussurrò Judy continuando a sentire la conversazione.

Elsa scoppiò a ridere e, dopo aver scosso la testa, fermò i fiumi di parole della sorella.

“Anna, Anna, fermati! Ascolta, vieni a casa mia che ne parliamo. Judy è qui con me e ha sentito tutto, vedremo come aiutarti. Magari Jack potrà fare anche un esposto alla procura per questa cosa.” Ironizzò la maggiore provocando anche la risata dell’ospite.

“Pensi che lo possa fare davvero?!” rispose Anna ingenua non capendo la proposta.

“Ma ti pare?! Dai muoviti furia scatenata e raggiungici così ne parliamo con calma” concluse Elsa accennando un ultimo sorriso per poi tornare a parlare con Judy.
Le due amiche avevano scherzato sull’ingenuità di Anna ma, in realtà, anche a loro stava a cuore la storia di Emma e avrebbero fatto di tutto per aiutarla.

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Capitolo 4
*** MAMMA ***


CAPITOLO IV

MAMMA
 

 

Lo stesso pomeriggio, in un’altra casa…


“Ciao Papà” salutò Pietro una volta rientrato in casa. Il ragazzo fece scivolare la cartella dalle spalle e si accasciò sul divano affaticato dopo la lunga mattinata scolastica.

“Ciao Pie, tutto bene a scuola?” domandò Flynn, ormai diventato un affascinante ingegnere super impegnato.

“Tutto bene. Ehm…si vede che non c’è la mamma eh” scherzò il figlio abbozzando un sorrisetto.

“Perché?” chiese il padre sollevando lo sguardo dalla scatola ricolma di oggetti che stavano catturando la sua attenzione.

“La barba…” constatò il più piccolo indicando il mento del genitore.

“Hai ragione, con la mamma lontana che non si occupa di me è un casino” rispose Flynn accarezzandosi il mento barbuto.

“A proposito… tra poco tornerà e le sto preparando una sorpresa. Vuoi aiutarmi?” esordì l’adulto e, una volta ricevuta l’approvazione del figlio, illustrò la sua idea.

“Come vedi tra le mani ho uno scatolone pieno di fotografie disordinate che si sono staccate dagli album. Ho intenzione di incollarle di nuovo tutte e scrivere un pensiero su ognuna di esse”

“Wow, è proprio una cosa da femmine!” ironizzò il figlio per poi sedersi accanto al padre ed iniziare a frugare all’interno di quella che pareva una scatola dei tesori.

“Bene, da dove iniziamo?” domandò perplesso Flynn osservando le miriadi di fotografie sparpagliate sul tavolino.

“Dall’inizio, inizio…” rispose il figlio prendendo tra le mani un’immagine in particolare. Questa raffigurava Rapunzel con in braccio un fagottino di pochi giorni. Le labbra della donna erano arricciate e le guance arrossate e lucide segno di essere state attraversate dalle lacrime.

“E’ stato uno dei momenti più belli della nostra vita…la prima volta che ti abbiamo visto” aggiunse il padre malinconico ed emozionato prendendo tra le mani l’immagine e custodendola come se fosse un antico cimelio per poi rituffarsi nel passato, proprio a quel momento descritto dallo scatto.

Anni prima…


“Cari genitori, dopo diversi anni abbiamo finalmente valutato la vostra posizione considerandola idonea per l’adozione. Qualche giorno fa è nato in ospedale il bambino che vi verrà affidato. Si chiama Pietro ed è in piena salute. Durante il parto non ci sono state complicazioni. Ora, se per voi va bene, vogliamo presentarvelo”

Flynn e Rapunzel rimasero fermi immobili davanti alla scrivania in trepidante attesa. La donna, ogni tanto, si sporgeva in avanti per cercare di vedere meglio dietro la porta. Quell’attesa era diversa da quella che avevano vissuto per anni. Era un’attesa dolce, positiva, bellissima che si sarebbero ricordati per sempre. Un’attesa che finalmente avrebbe portato a una risposta affermativa dopo tutti i no sbattuti in faccia nel corso della loro giovane vita.

“Eccoci qui” disse di nuovo il referente tenendo tra le braccia un batuffolino azzurro.

“Bene, Signori, ecco vostro figlio! Vi lascio un po’ di tempo per conoscervi e poi tornerò per firmare le ultime carte. Congratulazioni!” continuò l’assistente porgendo il bambino a Rapunzel.

Flynn si distaccò leggermente perché voleva gustarsi la scena da una prospettiva più ampia.

L’uomo osservò sua moglie e si innamorò di nuovo di lei e del percorso che aveva fatto. Rapunzel teneva saldamente il bimbo tra le braccia senza incertezze o paure, segno che dentro di sé aveva un istinto materno fortissimo. Quella donna ne aveva affrontate di cotte e di crude. Flynn ricordava il giorno in cui lei lo chiamò al telefono in lacrime dicendogli di avere una malattia fastidiosa e incurabile, proprio quella che le avevano ipotizzato quando era finita in ospedale per il pneumotorace.

Lacrime, pianti disperati, rabbia, interventi chirurgici, dolori, traumi psicologici che assillarono Rapunzel e i suoi 22 anni. Flynn aveva bene in mente anche quando, dopo un concerto, si inginocchiò davanti a lei porgendole l’anello. Rapunzel era felice ma anche dubbiosa e spaventava.

Lo guardava e gli diceva: “Tu lo sai Flynn, sono sterile e non potrò mai darti dei figli” ma a lui non importava perché fiducioso di riuscire, prima o poi, a formare una famiglia con lei.

Ed ora eccola lì davanti a lui. Rapunzel sorrideva e piangeva di fronte a quel piccino che dormiva beatamente avvolto dal calore dei suoi genitori.

“E’ mio figlio, sono la sua mamma e lo sarò per sempre!” sussurrò Rapunzel baciando il neonato sulla fronte.

Flynn pensò molto a quell’affermazione. Sua moglie si era vista strappare di dosso la femminilità e la capacità di donare la vita a qualcuno. Sua moglie non poteva procreare, non poteva diventare madre e quello non era giusto. Per questo Pietro rappresentava la loro rivincita contro la malattia e contro le ingiustizie che spesso colpiscono le persone migliori. Pietro era la conferma che credere in un lieto fine è possibile. Rapunzel e Flynn sapevano che non sarebbe stato facile. Prima o poi avrebbero dovuto affrontare delle liti con il figlio nelle quali lui li avrebbe allontanati, scoprendo di non essere nato da loro ma da degli sconosciuti. Erano difficoltà che, però, avevano già messo in conto perché tutti i genitori sanno di dover affrontare delle vere e proprie sfide educative.

Rapunzel, però, ora era una mamma. Mamma, sì e quel ruolo non glielo avrebbe tolto nessuno. Rapunzel e Pietro: la mamma e il suo bambino.

Flynn prese il cellulare e scattò una fotografia. Voleva ricordare per sempre sua moglie così: coraggiosa ed emozionata mentre stringeva tra le mani il suo personale trofeo, la sua rivalsa contro la sofferenza.

Presente…


“Eccoti qui Anna! Entra” accolse Elsa facendo entrare la sorella.

“Allora, super mamma dell’anno come va? Dai, sfogati” disse Judy dopo aver abbracciato e salutato l’amica.

“Non ho la più pallida idea di che cosa fare! Emma è un’altra persona. Ci risponde male, è sempre truccata, tratta malissimo Ariel, rientra a casa tardi la sera ed ora ho scoperto che salta la scuola ed esce con gente di altre classi. Non sta nemmeno più con la sua amica del cuore a quanto pare” si sfogò Anna gesticolando con le mani.

“Ma, provare a sgridarla e metterla in punizione?” rispose Judy alterata portando alla luce il suo mestiere di poliziotto.

“Non penso sia la soluzione migliore. Io e Kristoff non ci facciamo mettere i piedi in testa da lei ma siamo dell’idea che, mettendola in punizione o altre cose simili, lei possa odiarci ed allontanarsi maggiormente. In più ormai ha quasi 16 anni, insomma…sta diventando grande” spiegò Anna agitata.

“Ho capito Anna, si vede che sei un’educatrice e vorresti vedere il positivo e cercare di rientrare in contatto con tua figlia ma dovete bloccarla il primo possibile! Se lei si cacciasse nei guai? Se frequentasse gente strana? Sicuramente devi provare a parlarci!” aggiunse Elsa parlando chiaro alla sorella.

“Avete ragione. Tentar non nuoce… stasera ne parlo con Kristoff e vi terrò aggiornate. Grazie mille!”

Una volta rientrata a casa…


“Sono a casa, c’è qualcuno?” disse Anna varcando la soglia della sua abitazione dopo il dialogo con le amiche.

“Sì mamma, ci sono io” rispose una vocina dolce in cucina.

“Ciao Ariel come…” Anna si interruppe perché notò la figlia pallida curva sui libri di scuola. Senza esitare si avvicinò a lei posandole una mano sulla fronte.

“Amore, scotti!” constatò la madre leggermente preoccupata.

“Non è niente mamma, sarà solo un po’ di febbre” aggiunse la piccola tenendo lo sguardo fisso sugli esercizi di matematica preparatori per la verifica dell’indomani. Anna guardò la sua bambina e la notò nervosa.

“Tu adesso smetti di studiare, indossi il pigiama e ci mettiamo sul divano a guardare un film insieme ok? E domani niente scuola!” decise la madre chiudendo i quaderni della figlia.

“Ma mamma, ho la verifica domani!” disse ancora Ariel non capendo.

“Ariel sai benissimo come la penso: prima la salute. Ti sei beccata l’influenza e adesso la curi. La scuola viene dopo ricordatelo sempre… ed ora vieni forza” continuò sicura Anna accompagnando la figlia sul divano e prendendo delle medicine dalla dispensa.

Ariel si rilassò sotto le coperte e attese la madre che non tardò ad arrivare.

Anna le porse la medicina, le rimboccò la coperta, fece partire un film comico alla tv e si sedette accanto a lei abbracciandola.

Ariel, pur sentendosi strana e affaticata, provava una sensazione piacevole. Era da tanto che non riceveva un abbraccio e non si considerava mai troppo grande per gustarsi le coccole della mamma.

Anna era veramente una madre fantastica.

La donna aveva altri progetti in quel momento. Avrebbe dovuto preparare le attività da svolgere al nido il giorno dopo, aveva una montagna di panni da stirare, la cena da preparare, parlare a Kristoff di Emma, eppure in quel momento la priorità era un’altra: preoccuparsi della figlia e farla sentire bene. E’ questo il super potere delle mamme: trovare il tempo per fare tutto e riuscire a non far mancare niente alla propria famiglia.

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Capitolo 5
*** CRUDA REALTA' ***


CAPITOLO V

CRUDA REALTA’


 
Trascorsero alcuni giorni dal colloquio di Anna con i docenti. Kristoff e la moglie avevano deciso di monitorare la situazione, tenere d’occhio Emma, controllare il registro di classe online e cercare di parlare con lei. Si erano ripromessi, però, di intervenire pesantemente al prossimo sgarro della figlia.

Ariel era guarita dalla brutta influenza motivo per cui si recò a scuola accompagnata da Aurora e Pietro. Ariel era una ragazzina molto timida. A scuola non aveva mai fatto chissà quali amicizie e l’atmosfera in classe era pessima per colpa dei bulli. La sua migliore amica era Aurora e, un tempo, lo era anche Emma.

Quando trascorreva del tempo con loro si sentiva felice, sollevata, quasi in un universo parallelo. Quell’atmosfera, però, non durava per sempre.
Una volta arrivata in classe l’attendeva la cruda realtà: un branco di ragazzini esaltati e cattivi pronti a criticarla per ogni singola cosa.

“Oggi ragazzi continueremo la lettura del Piccolo Principe…” cominciò il docente di italiano scrivendo alla lavagna il titolo della lezione.

“Pssshhh… sfigata!” disse Greta, la spilungona incaricata di aprire le danze degli insulti.

Ariel non si girò e fece finta di non sentire continuando a scrivere sul quaderno.

“Sei stata a casa ammalata eh? Guarda come ci siamo vestiti bene noi per darti il benvenuto!” rise di nuovo la bulla.

Ariel li guardò con la coda dell’occhio e solo allora notò quattro suoi compagni con il volto coperto dalla mascherina da infermiere.
Il cuore della ragazza si frantumò in un secondo. Cosa aveva fatto di male per meritarsi quel trattamento?!

“Voi, cosa state facendo?! Siamo a carnevale!?” sgridò il professore notando l’abbigliamento degli alunni accorgendosi anche degli occhi lucidi di Ariel. Ricordando di aver firmato la giustifica per il rientro a scuola dell’alunna dalla malattia, collegò tutto.

“Veloci, in presidenza! Tutti e quattro! Vergognatevi! Scriverò ai vostri genitori così vi passerà la voglia di ridere su argomenti delicati!” sbraitò ancora l’insegnante indicando la porta a tutti e quattro i bulli che, con la coda fra le gambe, uscirono in silenzio.

“Voi continuate a leggere il capitolo e Bjorgman, vieni fuori con me” continuò ancora lui severo. Ariel cercò di ricacciare dentro le lacrime e, facendosi forza, uscì dall’aula con il professore.

“Ariel, da quando quelli lì ti prendono in giro?!” domandò lui a braccia conserte.

“Da inizio anno.” Rispose lei titubante.

“Sappi che d’ora in poi non la faranno franca, almeno durante le mie lezioni. Parlerò con i colleghi e ci muoveremo per risolvere questa situazione. I tuoi genitori lo sanno?”

“Sì, sono già informati” mentì ancora Ariel preoccupata nel far conoscere agli altri la sua condizione.

“Perfetto, ora torniamo in classe. Tu ricordati che non sei quella che loro dipingono! Sei migliore e nel corso della tua vita capirai quanto vali!” concluse il docente mettendo una mano sulla spalla della fanciulla.

Ariel ne uscì confortata da quel dialogo ma sapeva anche che tutto quello era controproducente: ora i bulli l’avrebbero presa di mira ancora di più e fu proprio quello che accadde.

Finita le lezioni Ariel si mise a camminare spedita verso l’uscita della scuola, ma ecco che, davanti al cancello dell’istituto erano già pronti ad aspettarla i suoi compagni, neri di rabbia per il trattamento subìto.

“Oh eccola la sfigata! L’hai fatto apposta a farci andare in presidenza eh?!” le urlò contro un ragazzo pieno di brufoli e con il berretto al rovescio.

“Io non ho fatto niente!” rispose Ariel con il cuore in gola facendo per andarsene.

“Tu adesso resti qui e le prendi” la fermò Greta afferrandole lo zaino e scaraventandolo con violenza a terra. Il branco la stava accerchiando pronto a divorarla in un sol boccone quando un angelo, un eroe che mai si sarebbe aspettata, lo bloccò.

“Siete scemi?! Smammate pivelli e lasciatela stare, se vi vedo ancora una volta non la passerete liscia!” ringhiò il soccorritore spintonando i ragazzi che, spaventati, corsero via a gambe levate.

Ariel aprì gli occhi e non si sarebbe mai aspettata di trovare davanti Emma.

“Non sai nemmeno cavartela da sola?! Da quando sei così debole da essere bullizzata?!” disse Emma facendosi vedere dura come sempre.

“Grazie Emma, andiamo a casa?” riuscì a replicare Ariel incredula per l’accaduto. In un secondo le speranze della piccola si riaccesero e le riscaldarono il cuore. Emma era tornata quella di sempre? L’aveva appena difesa? Quello sì che era un bel giorno!!

“Tu vai, io ti raggiungo…devo finire una cosa” rispose lei accortasi di Biff intento a chiamarla dietro a un cespuglio.

Ariel non se lo fece ripetere due volte e si incamminò verso l’abitazione non prima, però, di aver osservato bene quel ragazzo dagli occhi diabolici che aveva chiamato sua sorella.

“Da quando ti intrometti nei lavori che i nostri piccoli seguaci svolgono?!” la sgridò il ragazzo di 18 anni accendendosi l’ennesima sigaretta.

“Possono toccare tutti Biff, ma non mia sorella. Arrivare quasi ad alzare le mani su di lei! Non si devono permettere!” si difese Emma mostrando un lato di lei che ormai non conosceva più: una parte dolce, apprensiva, educata che da tanto stava cercando di soffocare.

“Stai tornando debole?! Che cazzo stai dicendo Emma?!” replicò lui divorandola con i suoi occhi infernali.

“A che ora oggi pomeriggio?” chiese la bionda per cambiare argomento.

“Oh, così mi piaci…vedrai che ci divertiremo. Alle 16, solito posto” rispose lui felice avvicinandosi a lei dopo aver buttato per terra il mozzicone. Emma fece per allontanarsi ma lui la bloccò all’istante unendo la bocca alla sua e stringendole i glutei tra le mani.

“Sei mia, ricordatelo sempre!” affermò convinto lui per poi lasciarla andare e permetterle di allontanarsi.

Ecco quindi svelata la situazione: Emma pensava di essere innamorata di quel ragazzo che, invece, la stava solo piegando al suo volere introducendola a realtà dalle quali avrebbe dovuto prendere le distanze.

Nel pomeriggio…


“Ariel io esco… torno per cena” salutò Emma mettendosi lo zaino in spalla ed uscendo di casa.

“Ok, grazie per oggi comunque” si azzardò a replicare la più piccola mentre riponeva i libri in cucina pronta a fare i compiti.

Emma si fermò un attimo a pensare. Quel giorno le era piaciuto comportarsi nel modo giusto e aiutare sua sorella. In quel momento avrebbe voluto trascorrere il pomeriggio con lei e capirne di più. Sua sorella soffriva ed era vittima di bullismo, lo stesso bullismo di cui il gruppo di Emma era precursore. Che senso aveva andare avanti in quella direzione? Quale attrattiva c’era nel comportarsi così?

Ok, no, Emma stava pensando troppo. La sua vita era Biff e il clan, non poteva staccarsi! Per questo motivo scosse la testa scacciando quei brutti pensieri ed uscì di casa.

La ragazza camminò velocemente per raggiungere prima il punto di ritrovo che ormai conosceva bene: una casa abbandonata dove lei e i ragazzi tenevano le loro sedute. Quel giorno, però, sarebbe stata introdotta una novità.

“Ciao Emma” salutò una giovane sedicenne intenta a fumare davanti alla porta.

“Biff ti sta aspettando” aggiunse ancora questa senza guardarla negli occhi.

La bionda entrò nella catapecchia e salì le scale. In una stanza laterale c’erano 5 ragazzi seduti intorno ad un piccolo falò ed avvolti da una nuvola di fumo.

“Ecco la mia fiamma, vieni Emma unisciti a noi” salutò Biff facendo sedere la ragazza attorno a lui e porgendole una sigaretta.

La ragazza cominciò a fumare e a chiacchierare di argomenti sporchi con tutti i suoi “amici”.

Una sigaretta consumata, due sigarette consumate…era ormai tempo per accendersi la terza sigaretta consecutiva quando Biff, ormai stanco di stare seduto a non far niente, invitò la ragazza ad alzarsi e a seguirlo nella stanza accanto dove era presente un materasso trasandato.

Il ragazzo chiuse la porta e, come un lupo affamato, corse addosso alla giovane scaraventandola sulla sottospecie di letto ed iniziando a spogliarla di ogni indumento. Emma era abituata a quei momenti e le piaceva, anzi ne andava matta.  

Biff mordeva e leccava, come un animale, ogni lembo di pelle della ragazza. Le divorava il seno, le addentava il collo e travolgeva la sua intimità con le dita senza nemmeno chiederle il permesso. Emma sentiva un miscuglio di dolore e piacere del quale era assuefatta ma non si rendeva conto che era tutta finzione. La ragazza chiamava amore quei sudici trattamenti che somigliavano più a una violenza.

Ed ecco, poi, la solita routine: Biff si levò tutti i vestiti pronto a possedere la ragazza ma, in quel momento, fu lei a fermarlo.

“No Biff, sai che non voglio” disse lei finalmente cosciente di quello che stava accadendo.

“Oh insomma Emma! Tutti i ragazzi della nostra età fanno sesso, perché noi no?!” si alterò lui sedendosi sul letto ed arrabbiandosi.

“Non me la sento, lo sai. Tutto il resto sì, ma il rapporto ancora no” continuò lei rivestendosi e sentendosi leggermente in imbarazzo di fronte a lui quando si affrontava quell’argomento.

“Allora fammi il resto” ordinò lui afferrandola per un braccio e obbligandola a fargli qualche lavoretto.

Il ragazzo in qualche modo doveva sfogarsi, motivo per cui Emma sapeva bene che non poteva lasciare l’appartamento se non prima di aver completamente soddisfatto il suo padrone. Il ragazzo violava ogni parte del corpo della ragazza dal seno, alla bocca, alle mani immaginando, nel frattempo, il giorno in cui si sarebbe preso anche la sua verginità.

Era questa la brutta realtà in cui era immersa la giovane. Pomeriggi di fumo, sesso e piacere apparente. Emma stava diventando una bestia e i suoi genitori, che davano la vita per renderla felice, ne erano all’oscuro.

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Capitolo 6
*** MICHELE ***


CAPITOLO VI

MICHELE

 

“Mamma, potrò scegliere io il nome del mio fratellino/sorellina?” domandò Michele di punto in bianco mentre giocava con delle costruzioni in soggiorno.
Judy, invece, era in cucina intenta ad asciugare i piatti.

“Sì tesoro, lo sceglieremo insieme! Hai già qualche idea?” domandò la madre avvicinandosi a lui con un piatto in mano.

“No, no… i nomi sono come la musica: serve l’ispirazione per deciderli! Come ha fatto la nonna, che ha scelto il mio nome quando sono nato” rispose lui saggio continuando a costruire un’intera città di lego.

Judy si limitò a sorridere ritornando, con la mente, al giorno in cui Michele venne al mondo.

Anni prima…


Judy, un’affascinante poliziotta, era in caserma a risolvere un caso nonostante l’enorme pancione. La donna non ne voleva proprio sapere di riposare e di questo Nick la rimproverava. Quel giorno, però, Nick era in servizio in un’altra città e Judy pensò bene di aiutarlo nel lavoro portandosi avanti.
La donna stava frugando tra le carte della scrivania e parlando con un collega quando avvertì delle fitte spaventose.

“Agente Hopps, tutto bene?” domandò il collega preoccupato.

“Ci siamo già?! E’ in anticipo!” disse fra sé e sé la donna piegata in due dal male.

“Agente?!” continuò il poliziotto cercando di avvicinarsi.

“Per la miseria chiamami Judy in questo momento! Rossi, chiama mio marito e mio fratello, Lupi tu invece avverti mia suocera e la mia amica Elsa, ci penseranno loro a contattare gli altri… e tu Tritacarne…” cominciò lei in preda alle contrazioni.

“E’ Tritapepe!” corresse il poliziotto infastidito.

“Fa lo stesso! Tu devi…ahhh” urlò la donna non riuscendo a terminare la frase scossa dalle fitte.

“Portarla in Ospedale, ho capito” intuì l’uomo correndo fuori a prendere la macchina mentre gli altri aiutavano Judy ad uscire.

Una volta in macchina l’aiutante attivò le sirene ricevendo subito l’occhiataccia del capo.

“Addirittura le sirene?! Tutta la città deve sapere che sto per partorire?! Ahhhhhh” un altro urlo uscì dalla bocca della donna che corresse all’istante la sua precedente affermazione: “Hai fatto bene ad attivarle…non ce la faccio già più, sbrighiamoci”

Il povero poliziotto Tritapepe schiacciò a fondo l’acceleratore e si ripromise di aspettare un bel po’ ad avere figli con sua moglie.

La donna venne trasportata in ospedale, visitata e adagiata su un lettino di una stanza dove iniziò il travaglio.

Judy rimase abbandonata ai suoi dolori quando, finalmente, qualcuno entrò nella camera pronto a darle sostegno e compagnia.

“Judy! Sempre a farci sorprese tu eh?!” disse il ragazzo dai capelli neri e gli occhi violacei avvicinandosi a lei e stringendole la mano.

“Oliver! Hai visto che tempismo?” rise lei ansimante.

I due fratelli trascorsero insieme un’ora in cui il più piccolo raccontò alla maggiore tutte le novità amorose e lavorative.

“Oliver, ti do il cambio io…vai a bere un caffè” si intromise una donna magra e con i capelli corti dietro alle loro spalle.

Il ragazzo si allontanò dalla stanza e lasciò le due donne da sole: sapeva che Judy era in buone mani.

“Che fatica” sospirò Judy rivolta alla suocera che le si sedette accanto stringendole la mano.

“Lo so cara, ci siamo passate tutti” constatò l’adulta sorridendole e ricordando quel dolore atroce.

“Come hai fatto tu? Hai avuto due figli e poi la malattia… hai sofferto tanto eppure sei sempre positiva!” disse Judy iniziando ad essere stanca di quella situazione.

La donna aspettò a rispondere perché notò l’arrivo di una contrazione più dolorosa delle altre motivo per cui afferrò saldamente la mano della nuora e la invitò a respirare profondamente.

Judy non si aspettava una fitta acuta come quella in grado di farla piegare in due ed urlare.

“E’ quasi finita, ancora qualche secondo e avrai tregua” disse la donna tranquilla e in grado di gestire il momento.

Judy si fidò dell’altra e, una volta finita la contrazione, si accasciò ancora contro il cuscino e si lasciò asciugare il sudore dalla fronte.

“La sofferenza la si riesce sempre a combattere Judy! E’ proprio come una contrazione. Quando la stai vivendo ti pare interminabile ma poi capisci che, in realtà, tutto passa e svanisce. E sai qual è la cosa bella? E’ che, anche se non vedi più la luce in fondo al tunnel, il mondo non ti crollerà mai addosso perché arriverà qualche sorpresa in grado di rimetterti in piedi ed affrontare la prossima contrazione. La cosa bella poi è che si lotta sempre per uno scopo, un obbiettivo! Proprio come sta succedendo a te! Stai soffrendo tantissimo figlia mia, ma entro al massimo qualche ora stringerai tra le braccia il tuo bambino e tutto avrà senso.”

Judy rimase di sasso. Quasi non sentiva più il dolore perché ammaliata dalla voce di quella donna che ammirava e che ascoltava proprio come un nipote si lascia stupire dalle favole del nonno.

“Ricordati anche che nella vita bisogna avere Fede. Io ce l’ho fatta perché so che Dio, i santi e il mio angelo del coraggio Michele sono sempre con me. Mi sono stati vicini durante tutte le prove della vita e soprattutto lungo il corso della mia brutta malattia. Sono vicini anche a te ora” continuò la donna con serenità mostrando la sua Fede e il suo coraggio.

Il travaglio, proseguì per altre due ore quando, finalmente, arrivò il momento di far nascere il bambino.

Judy ringraziò la suocera, Oliver e l’amica per averla aiutata e si lasciò trasportare verso la sala parto. La ragazza, però, si sentì improvvisamente triste e smarrita: Nick non era ancora riuscito ad arrivare e lei avrebbe dovuto mettere al mondo il bambino da sola.

“Tutto bene signora?” disse un infermiere vedendola nervosa e in cerca di qualcosa.

“Non voglio partorire! Non senza mio marito!” spiegò lei con gli occhi inumiditi di lacrime.

“Fermi! Aspettate!” urlò una voce da lontano avvicinandosi a loro.

“Nick?! Ce l’hai fatta?!” esultò Judy incredula vedendosi comparire il marito davanti agli occhi.

“Ovvio! Non me lo sarei perso per nulla al mondo! Probabilmente ci arriveranno a casa un sacco di multe visto che sono passato con il rosso e ho superato 3 volte i limiti di velocità ma dovevo volare” rise lui riprendendo fiato e accarezzando il volto della moglie per poi darle un leggero bacio sudato sulle labbra e accompagnarla dentro la sala parto.

Il bimbo arrivò pochi minuti dopo. Judy, nonostante il dolore del travaglio, partorì in poco tempo, senza soffrire troppo e senza problemi.

Il bambino che stringeva tra le braccia era sano, con un bel colorito e una miriade di capelli neri come la pece sulla testa. Judy e Nick gioirono e rimasero per alcuni secondi a contemplare il frutto del loro amore.

“Mi dispiace interrompere questo momento ma dobbiamo registrare il nome del nascituro” disse l’ostetrica avvicinandosi alla famiglia.

“Certo, allora Judy… si chiamerà Francesco come stabilito no?” disse Nick sicuro e pronto a dare conferma.

Judy attese un attimo e osservò il bimbo. Quel piccino era fragile, aveva bisogno di cure e affetto, eppure sua madre capì all’istante che sarebbe diventato grande e tenace. In un attimo ricordò il travaglio e la conversazione con la suocera alla quale doveva tanto. Ed ecco balenarne in testa la soluzione.

“No! Si chiama Michele” corresse Judy accarezzando le guance di suo figlio.

“Michele? Perché?!” domandò confuso il marito non capendo la scelta dell’ultimo minuto.

“E’ il nome preferito di tua madre. Michele è un nome forte, coraggioso proprio come è stata tua mamma. Anche lui dovrà essere così”

“E Michele sia!” sussurrò emozionato Nick grato alla moglie per la scelta.
Non voleva sapere altro, non voleva chiedere nulla, non gli interessavano le ragioni: quel nome era la benedizione di sua mamma: una donna con la D maiuscola che rappresentava un vero e proprio esempio di vita da seguire.

Presente…


I giorni passarono e si avvicinò l’arrivo di novembre caratterizzato dal primo gelo, dal cielo sempre grigio e le foglie sempre più colorate dalle tinte autunnali.

Emma non aveva vissuto niente di particolarmente trasgressivo a parte incontrare ogni tanto Biff e il gruppo nel loro putrido covo.

Ariel, invece, dopo l’intervento di Emma, aveva ricevuto tregua da bulli che la lasciarono stare. Alla ragazza sembrava di respirare dopo una lunga apnea e si sentiva bene. Una sera si recò a casa di una compagna di classe che avrebbe festeggiato il suo compleanno e la cosa bella stava nel fatto che, per la prima volta, i gruppi di bulli non erano stati invitati.

Ariel trascorse la serata osservando gli altri ragazzi della sua età giocare e mangiare e si divertì con loro anche se non si azzardava a chiamarli ancora amici.

“Io propongo di fare il gioco della bottiglia” disse la festeggiata invitando tutti gli amichetti a sedersi in cerchio attorno a lei. Ariel si agitò. Non aveva mai fatto una cosa del genere ma aveva voglia di provare e comportarsi esattamente come tutti loro.

Le regole erano semplici: la bottiglia sceglieva le persone che si dovevano baciare. Ariel osservò i vari giri e, addirittura, c’erano persone che si baciavano due, tre, quattro volte di fila finché…

“Ariel! La bottiglia ha scelto te!” constatò una ragazza facendo girare di nuovo il contenitore per vedere chi le sarebbe capitato.

Ad Ariel iniziò a battere forte il cuore. Tu, tum, tu, tum, tu, tum… giro nullo… tu, tum, tu, tum, tu, tum…no non era possibile!... tu, tum, tu, tum, tu, tum… proprio lui?!...

Eh sì, la sorte aveva stabilito proprio il bacio con Giacomo. Giacomo era un ragazzino dai capelli castani e gli occhi verdi, uno dei più carini della scuola. Era in terza media e tutti cercavano di mettersi con lui. Ariel lo osservava sempre di nascosto durante gli intervalli e sperava che lui, un giorno, potesse accorgersi di lei.

Giacomo si avvicinò alla ragazza con sicurezza e le posò un velocissimo bacio a stampo sulle labbra.

Ariel era diventata tutta rossa e quel bacio fu quasi impercettibile, però era successo veramente! Giacomo l’aveva baciata a stampo!

La serata continuò con lo stesso andazzo quando arrivarono i primi genitori pronti a ritirare i figli per tornare a casa.

Ariel si era finalmente calmata, stava per uscire di casa e dirigersi verso papà Kristoff quando qualcuno la bloccò e la immobilizzò al muro.

“Scusami Ariel, prima non abbiamo avuto occasione di approfondire… vorrei poterti baciare meglio, sei molto carina!” spiegò il ragazzo che l’aveva fermata.

Ariel non riuscì a rispondere e Giacomo ne approfittò per appoggiare di nuovo le labbra a quelle della tredicenne. Fu un bacio casto, ma più vissuto e lungo. Le loro lingue si sfiorarono appena e le gote di entrambi si tinsero di rosso.

“Allora, ci vediamo a scuola!” concluse il playboy facendole l’occhiolino per poi staccarsi ed allontanarsi.

Ariel era in crisi. Le guance sembravano due pomodori maturi e si sentiva scottare. La giovane si appoggiò al muro ed espirò profondamente: quello era stato il suo primo bacio e Giacomo la sua prima cotta.

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Capitolo 7
*** GHIACCIO ***


CAPITOLO VII

GHIACCIO


Qualche giorno dopo…


“Aurora, devo raccontarti una cosa!” esclamò Ariel chiudendo il cancellino di casa e avvicinandosi ai cugini che l’attendevano sulla strada pronti a fare una passeggiata.

“E io non posso saperlo?” chiese Pietro scocciato per non essere stato considerato.

“Sì scusami Pie, è che sono agitata! Dovete promettermi di non dirlo a nessuno!” continuò la piccola sognante.

“Beh parla! Muoviti!” sollecitò Aurora perplessa.

“Giacomo, alla festa di sabato…mi ha baciata!” continuò Ariel saltellando e mettendosi le mani sulle guance.

“Cosaaa?! Giacomo nostro compagno?!” risposero in coro gli altri due fermandosi di colpo per strada.

“Sì! Ha detto che sono carina e che ci rivediamo a scuola. E’ stato bellissimo!” sussurrò ancora la tredicenne con la testa fra le nuvole.
“Quindi come è stato?” domandò Aurora ancora scossa dalla notizia.

“Bellissimo, proprio come lui!” rispose lei ciondolando con la testa come se stesse danzando sulle note di una canzone immaginaria.

“Ti abbiamo persa ho capito…” constatò Pietro leggermente schifato dagli atteggiamenti femminili, ma comunque felice per la cugina.

“Quindi…” iniziò Aurora per poi interrompersi catturata da una scena che si stava svolgendo poco più avanti di loro.

“Ma quella, non è Emma?!” constatò Pietro notando, nel parco accanto, la cugina maggiore intenta a fumarsi una sigaretta e chiacchierare con un gruppo di ragazzi.

“Allora fuma! Mamma aveva ragione!” disse Ariel arrabbiata nel vedere la sorella in quello stato.

“E non solo…quel ragazzo lì mi sembra troppo vicino a lei” continuò Aurora notando Biff completamente appiccicato alla giovane.

“Andiamocene di qui, prima che ci vedano” propose Pietro facendo segno alle due amiche di seguirlo ma Emma e gli altri li videro comunque.

“Oh cazzo!” disse Emma buttando velocemente la sigaretta per terra.

“Che hai?!” le chiesero gli amici stupiti.

“Quelli sono mia sorella e i miei cugini! Mi hanno vista! Cosa faccio adesso?!” affermò lei con il cuore in gola.

“Ci penso io!” concluse Biff arrabbiato alzandosi e avvicinandosi ai tre ragazzi.

“Cazzo avete da guardare eh?! Cosa volete?!” aggredì lui una volta davanti a loro.

“Stavamo girando di qui! E’ forse solo tuo il parco?!” rispose a tono Pietro senza paura.

“Ti credi forte eh?! Tutti sanno chi sei! Il figlio rubato, il figlio comprato! Adesso te la vedi con me!” continuò il diciottenne infantile spintonando il più piccolo.

“Biff, smettila! Lasciali stare!” urlò Emma fermando il ragazzo e ricevendo uno strattone in risposta.

“Andatevene e non fatevi più vedere! E guai a voi se dite qualcosa riguardo a noi ed Emma! Non vi conviene!” ringhiò ancora il capo clan mentre, con un gesto secco, spingeva Emma verso di sé ritornando nel loro covo in mezzo al parco.

“E’ un mostro!” constatò Ariel spaventata per ciò a cui aveva assistito.

“Almeno ora sappiamo con chi esce tua sorella” disse Aurora prendendo per mano la cugina.

Pietro non disse nulla. Si limitò ad allontanarsi in silenzio, troppo scosso dagli insulti ricevuti. Figlio rubato, figlio comprato, figlio adottato… erano parole che gli facevano sempre male e lo facevano tornare alla prima elementare: anno in cui scoprì di non essere nato dai suoi genitori.

Nel frattempo in un altro luogo…


Elsa aveva trascorso una pesante mattinata a scuola ed ora, dopo essere salita in macchina, si dirigeva verso casa pronta a rilassarsi.

La donna alta, magra, con i capelli biondi e gli occhi glaciali era il genere di insegnante che tutti gli alunni sperano di incontrare alle superiori.

Elsa insegnava latino e greco presso un liceo classico ed era una docente severa, in grado di farsi rispettare ma anche affettuosa, aperta al dialogo e legata ai suoi alunni con la speranza di aiutare ognuno di loro a scoprire le proprie potenzialità. Ad Elsa la vita aveva sorriso fino a quel giorno.

L’evento traumatico avvenuto durante i suoi 19 anni l’aveva cambiata, l’aveva resa una donna forte e coraggiosa capace di capire e custodire i veri valori della vita. L’amore con Jack era semplicemente perfetto.

L’uomo era un vero e proprio principe azzurro: affettuoso, delicato, innamorato e protettivo al punto giusto. L’unico problema l’avevano riscontrato nel cercare di avere il secondo figlio. Aurora riempì le loro vite di gioia ma l’idea di vedere un altro bambino per casa piaceva ad entrambi. Ora, finalmente, dopo tanti anni e tanti tentativi ecco instaurata la seconda gravidanza che sembrava procedere a gonfie vele…o almeno sembrava…

Elsa, una volta arrivata a casa, si sedette sul divano e chiuse gli occhi rilassandosi qualche minuto poi, appena riprese le forze, fece per mettersi in piedi e continuare le faccende di casa lasciate in sospeso dalla sera prima.

La donna si alzò, fece qualche passo e avvertì subito una strana sensazione. Aveva capogiri, mal di testa e sentiva un senso di bagnato e umido invaderle l’intimità. Il panico bussò alla sua porta e in quel momento Elsa, con la poca lucidità rimasta, telefonò all’istante alla sorella che non tardò ad arrivare.

“Elsa che succede?!” disse preoccupata Anna entrando senza chiedere permesso nell’abitazione dei parenti.

“Perdo sangue” constatò Elsa dal bagno.

Anna entrò immediatamente nella stanza e trovò la sorella appoggiata alla vasca da bagno. La donna sudava freddo, era pallida e continuava a tremare come una foglia.

“Calma! Hai capito?! Stai tranquilla!” le disse Anna prendendole il volto tra le mani e sentendolo freddo, ghiacciato come ogni parte del suo corpo.

“Andiamo insieme al pronto soccorso, lo sai che a volte sono normali delle perdite in gravidanza!” cercò di rassicurarla la più giovane abbracciandola a sé per poi accompagnarla alla macchina.

La notizia conosciuta in ospedale non piacque per niente ad entrambe. Elsa urlò e pianse avvolta dalle braccia della sorella che si sentiva inerme ed impotente. Vista la situazione Anna preferì tenere la nipote Aurora da loro a dormire e lasciare i due coniugi da soli di fronte a quella brutta notizia.

Jack aveva avuto una giornata lavorativa entusiasmante e soddisfacente. Non vedeva l’ora di tornare a casa, farsi un bel bagno caldo, cenare allegramente con le due donne più importanti della sua vita e poi sdraiarsi a letto con la moglie. Gli imprevisti, però, succedono e nessuno se li aspetterebbe mai.

L’uomo entrò in casa e già si insospettì trovandola fredda, spenta e silenziosa. Provò a chiamare Aurora ma nessuno gli rispose segno di un eventuale problema. Jack si diresse verso la camera da letto e trovò la moglie seduta sul letto con le mani sul volto.

Il marito le si avvicinò senza chiedere niente perché fu Elsa stessa a sollevare il viso solcato dalle lacrime e affermare con voce spezzata:

“L’abbiamo perso. Il bambino non c’è più”

Quelle parole ferirono molto Jack che, d’istinto, abbracciò la moglie cercando di darle tutto il calore possibile.

Era un duro colpo. Dopo anni di tentativi, di fatiche, ora eccoli sprofondare nella rabbia e nella frustrazione.

L’uomo non si sarebbe mai immaginato una cosa del genere, non pensava che la gravidanza potesse risultare una cosa così delicata e complicata.

Si erano illusi per tre mesi e quel piccolino che cresceva stava già ricolorando le loro vite.

Per un papà è difficile comprendere questo mistero, ma per la moglie lo è ancora di più. Per questo Jack non parlava ma preferiva stringere la donna fra le sue braccia perché nemmeno immaginava il dolore di una madre che, di punto in bianco, sente morire la vita che porta dentro di sé.

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Capitolo 8
*** CONFORTO ***


CAPITOLO OTTO

CONFORTO


Trascorsero altri giorni, parecchio bui.
Elsa si chiuse in casa e, per colpa dell’aborto spontaneo e del suo dolore psicofisico, fu costretta ad assentarsi dalla scuola per malattia.
Si odiava e odiava il mondo. Non sapeva dove trovare la forza per ricominciare da capo a vivere e a comportarsi normalmente. Nel suo cervello c’erano solo paranoie, paure, noia e rabbia. Jack cercava in tutti i modi di tirarla su, ma i due finivano anche per litigare visto che non riuscivano a far fronte a quella delusione che riguardava entrambi. I due si abbracciavano, urlavano, litigavano e poi Elsa ricominciava a piangere o ad abbattersi.

Anna e Judy provarono a parlare ad Elsa ma non riuscirono a tirarla su, in effetti nessuna delle due aveva mai provato un dolore simile… l’unica in grado di incoraggiare la donna era una persona che di schiaffi dalla vita ne aveva ricevuti parecchi: Rapunzel!

All’aeroporto…


Una donna bellissima dai setosi capelli biondi e dagli occhi verde smeraldo, camminava veloce verso l’uscita dell’aeroporto.
Il suo aereo era appena atterrato e lei conosceva bene quel momento.
Rapunzel era abituata a vivere lontana da casa, a prendere aerei, treni, pullman per raggiungere città, paesini, metropoli e altri stupendi posti per suonare la sua musica in tutto il mondo.

Il mondo l’aveva girato quasi tutto: Parigi, Tokyo, Bruxelles, Chicago, New York… posti magnifici dei quali custodiva ricordi meravigliosi.

Nessun posto, però, era paragonabile a quel momento vissuto in aeroporto: l’attimo in cui, sommersa da valigie e impregnata di sudore e smog, scorgeva due persone dai capelli bruni, uno più alto e l’altro che ogni volta pareva più grande, lì ad aspettarla tra la folla.
Vedere il volto del marito, osservare il figlio che si faceva sempre più bello, contemplare quei loro sorrisi per poi abbandonare i bagagli per terra e lasciarsi avvolgere dalle loro braccia non aveva prezzo: quella era casa, quello era il luogo più stupendo al mondo, quella era la sua famiglia che tanto aveva faticato a costruire.

“Pietro, stai diventando sempre più alto! Ho tanto da raccontarvi!” disse la donna emozionata staccandosi dal ragazzo per guardarlo meglio.

“Anche noi abbiamo tanto da raccontarti e molto da mostrarti una volta arrivati a casa!” aggiunse Flynn sorridendo ed avvicinandosi di nuovo alla donna per poi essere interrotto da una simpatica affermazione del figlio.

“Già, come la montagna di panni da stirare!” disse appunto Pietro interrompendo, sul più bello, i due genitori che stavano per scambiarsi un bacio.
“AMORE!” si indispettì Rapunzel allontanandosi giocosa per poi scuotere la testa divertita e riavvicinarsi al marito. Dopotutto Flynn era un uomo e faceva già tanto di suo per aiutare quella stupenda famiglia…non era di certo una pila di panni stropicciati a dividerli o a farli litigare.

“Allora come è andato il tour?” chiese Pietro una volta in macchina.

“Molto bene! Ho suonato tutti i miei nuovi brani ed eseguito varie opere di Bach ed altri compositori che tu reputi noiosi” rise Rapunzel girandosi verso il figlio che abbozzò un sorriso.

“E qui invece? Che mi raccontate? Avete visto i nostri amici ultimamente? Le mie cugine?” domandò Rapunzel notando subito il cambiamento nell’espressione dei due uomini al nominare le parenti.

“Mamma, non te l’abbiamo detto perché eri in concerto e sappiamo che la concentrazione è importante per te…poi non è nulla di grave, nessuno si è fatto male ma…” iniziò a dire Pietro con grande maturità per poi essere interrotto dal padre.

“Elsa e Jack hanno perso il bambino qualche giorno fa”

“Oh cazzo” riuscì a dire Rapunzel mettendosi una mano sul volto e chiudendo leggermente gli occhi. Le dispiaceva molto per la cugina ma, a differenza delle altre amiche, si fece vedere sicura e ottimista fin da subito.

“Riuscite a lasciarmi da lei? Sapete bene che conosco questi momenti e se non le parlo subito potrebbe cadere in una depressione che non la molla più. Va bene starle vicino, ma bisogna anche scuoterla!” aggiunse coraggiosa e determinata la donna che ricevette subito l’approvazione dei due uomini.

A casa di Elsa…


Rapunzel bussò alla porta dell’abitazione pensando, nel frattempo, a quali parole utilizzare per aiutare Elsa in quella brutta situazione.
“Rapunzel! Sei tornata?!” affermò Aurora spalancando la porta ed abbracciando forte la parente.

Rapunzel ricambiò l’abbraccio e si fece vedere sicura e sorridente, come in realtà si sentiva.

“Dov’è la mamma?” domandò poi la donna.

“In camera da letto…come sempre da quando è successo quello che probabilmente già sai” rispose Aurora abbassando lo sguardo e facendo accomodare l’ospite in casa.

Rapunzel bussò alla porta della stanza e, anche se non ricevette risposta, entrò lentamente.

Elsa era seduta sul letto intenta a leggere un libro. Aveva il viso smunto e gli occhi spenti, ma vedere la cugina davanti a lei dopo tanti mesi la fece stranamente sorridere.

“Che bel libro! L’ho letto anche io!” affermò Rapunzel sedendosi accanto alla maggiore e posandole un bacio sulla guancia.

“Sì, sarà anche bello se non fosse che non ricordo nulla di quello che leggo. E’ solo una distrazione dai pensieri…”

“Allora non dovresti nemmeno leggere. Elsa…ti stai rovinando!” disse Rapunzel andando dritta al sodo.

“Lo so, ma per quanto io provi a rialzarmi finisco sempre nell’oblio” rispose Elsa a braccia conserte distogliendo lo sguardo dalla parente.

“Forse significa che non vuoi rialzarti…” punzecchiò Rapunzel con l’intento di far riflettere l’altra.

“E se anche fosse vero?! Non ho il diritto di essere arrabbiata?!” cominciò ad infuocarsi Elsa vogliosa di esplodere e tirare fuori quella rabbia che covava da giorni.

“Non può sempre andare così! Cosa ho fatto di male per meritarmi sto schifo?! Questa non è la vita che immaginavo! E’ tutto brutto! Questo mondo è sbagliato e forse lo sono anche io…” cominciò a sbottare Elsa.

“Questo mondo è brutto e sbagliato? Ah sì? Spiegami il perché!” continuò sicura Rapunzel consapevole e desiderosa di far sfogare la cugina.

“Penso che questa sia la mia punizione. E’ tutto collegato non lo capisci?! Quello che mi fece Hans e la mia fatica a reagire e rialzarmi dopo quel trauma, la fatica nell’avere Aurora e adesso anche questo?! Innumerevoli tentativi, dieci anni passati con la speranza di instaurare una gravidanza, le paure e le aspettative per poi gioire, scoppiare di felicità per cosa?! Per poi avvertire lo spegnersi di quel piccolo dentro di me al quale avevo già sentito battere il cuore e che stava facendo battere il mio… ed ora cosa dovrei fare?! Rialzarmi e ricominciare?! No, sono stanca. Non sono fatta per fare la madre!”

Seguì un momento di silenzio interrotto solo dai singhiozzi di Elsa al quale la stessa Rapunzel esitò a ribattere.

“Aiutami tu Rapunzel! Che cosa dovrei fare?!” disse Elsa asciugandosi le lacrime e ponendosi in ascolto.

“Puoi fare tutto, ma non arrabbiarti con te stessa.”

 “Ognuno di noi cresce e nella vita deve affrontare delle situazioni che sembrano più grandi e impossibili da superare. La cosa importante è capire come rispondere a questi attacchi. Puoi decidere che non sarebbe dovuto toccare a te, incazzarti col mondo ed uscirne sconfitto. Oppure puoi scegliere di vedere la cosa in un modo diverso. Puoi cominciare a correre e pian piano accorgerti di non essere solo. Ci sono tanti altri partecipanti accanto a te! Da quello che ti risolleva, a quello che ti destabilizza fino a trovare quello che diventa il tuo primo fan… e se corri prima o poi a un traguardo ci arrivi.” Continuò Rapunzel sicura di sé.

Seguì una breve pausa di riflessione per poi continuare.

“Tralasciando questa affermazione che potrà sembrarti molto filosofica, quello che voglio dirti è che di schiaffi ne riceverai tanti Elsa e molti li hai già ricevuti! E fidati che non saranno mai abbastanza…ad ogni respiro di sollievo seguiranno altri mille momenti di apnea.”

“Lo so ma ora mi sento debole! Impotente! Non mi riesce nemmeno la cosa più naturale per una donna ossia essere madre!” disse Elsa senza rendersi conto di aver toccato un argomento delicato per la persona che aveva davanti. Rapunzel, infatti, incassò il colpo e reagì istantaneamente.

“Chi meglio di me può capire la perdita di un figlio? Per colpa di quello che ho avuto, io è come se ne avessi perduti mille” ricambiò la cugina facendo ragionare Elsa che, accortasi della frase inappropriata, cercò di scusarsi ma venne interrotta.

“Fidati Elsa… la sensazione che ora provi la capisco benissimo e la ricordo sia con affetto che con rabbia. Non devo stare qui a ricapitolarti la mia storia perché già la sai. Io non ho più niente dentro di me! Essere sterile e il dover patire una malattia proprio in quei punti del corpo che un giorno avrebbero potuto regalarmi un figlio, sono le cose più brutte.
Tu sai a quante speranze io mi sia aggrappata! Dalle cure ormonali, alle operazioni, agli innumerevoli tentativi con Flynn per poi non avere nulla!
E nonostante tutto in quel momento sono riuscita ad alzarmi. Inizialmente mi sono aggrappata alle certezze e alla realtà che avevo a disposizione: essere madre forse non faceva per me e il mio lavoro me lo confermava.
Viaggi, musica, viaggi e ancora viaggi mi tenevano la testa occupata. Poi ho capito che dovevo ricominciare e la forza è arrivata da sola, solo quando mi è venuta voglia di cambiare ed alzarmi in piedi.
Ed ho riscoperto tutto!
Pian piano non avevo più paura, non ci badavo più, facevo l’amore con Flynn senza pensare al fatto che quel gesto non avrebbe mai dato frutto e, proprio quando ho imparato a convivere con le mie cicatrici, ecco la telefonata più bella della mia vita attorno a quella lunga tavolata di tanti anni fa: Pietro… la mia ricompensa per aver sofferto”


“Cosa intendi dire con l’ultima frase?!” chiese Elsa scossa dal racconto della parente.

“Intendo che le cose arrivano quando meno te le aspetti, quando abbandoni la convinzione di poter risolvere tutto tu! A me è successo con Pietro e sono sicura che succederà anche a te… vedrai Elsa che questo bambino vivrà sempre nel tuo cuore e prima o poi riuscirai ad avere un altro figlio. Ci riuscirai, però, quando metterai da parte la rabbia, la paura, la preoccupazione e le paranoie. Adesso rialzati in piedi e cammina! Hai un marito che ti ama, degli ottimi amici, un lavoro che ti piace e…Aurora! Lei ha bisogno della sua mamma e tu di lei.”

Un abbraccio, un fazzoletto per asciugare le lacrime, un sorriso, una risata per sdrammatizzare e si concluse così quel lungo dialogo.
Per Elsa non fu facile superare lo sconforto ma, prima o poi, si sarebbe rialzata e avrebbe preso in mano la sua vita per davvero senza perdere nemmeno un secondo di essa.

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Capitolo 9
*** SCONTRO ***


CAPITOLO IX

SCONTRO


Qualche settimana dopo…


Emma si svegliò strana quella mattina. Non aveva dormito bene, sentiva un leggero mal di testa ed era di pessimo umore per colpa del ciclo mestruale al quale, molto spesso, dava la colpa dei suoi malesseri adolescenziali.

La ragazza si alzò dal letto prima del solito, scese le scale e si preparò la colazione con largo anticipo senza pensare al resto della famiglia.

La seconda a raggiungere la cucina fu Ariel che, notando la sorella intenta a mangiare senza aver svegliato gli altri, non esitò a farla riflettere.

“Sì che potevi anche evitare di finire i cereali che piacciono a me!” constatò Ariel con tono scocciato rovesciando il contenitore vuoto nella speranza di trovare una pallina di cioccolato incastrata da qualche parte.

“Anche a me piacciono” continuò la maggiore indifferente.

“Dove sono mamma e papà?” chiese la più piccola guardando l’orario e meravigliandosi di non trovarli in piedi.

“Se dormono significa che si sono dati alla pazza gioia stanotte” scherzò schifata la più grande scorrendo i messaggi sul suo cellulare.

“Questa avresti potuto evitarla” si arrabbiò Ariel e, con uno scatto fulmineo, raggiunse la camera da letto dei genitori e fu sorpresa di trovarci solo Kristoff.

“Ariel! Già in piedi?” disse l’uomo muscoloso intento ad allacciarsi la camicia.

“Dov’è la mamma?” chiese la figlia incuriosita.

“Stanotte ha dormito da Elsa. Jack ha avuto un imprevisto sul lavoro ed è dovuto restare in un’altra città per la notte. Tua mamma e la zia hanno quindi deciso, all’ultimo momento, di trascorrere la nottata insieme” spiegò lui mettendosi le scarpe.

Ariel salutò il padre, si cambiò in fretta e furia e, piena di rabbia, scese le scale pronta a litigare con la sorella.

“Mamma ha dormito dalla zia quindi vedi di non avere fantasie sui tuoi genitori la prossima volta. Magari sei solo gelosa di loro”

“Che intendi dire?!” l’aggredì subito Emma alzandosi dal divano e avvicinandosi a lei.

“Ricorda che quella volta ho visto il ragazzo che ti teneva stretta a sé. Non sono nata ieri, le capisco certe cose”

“Tu prova solo a dirlo a mamma e papà e ti ammazzo!” ringhiò Emma rossa in volto per l’ira accumulata.

“La fase della spia l’ho chiusa da un po’. Non è mio interesse dire i tuoi affaracci ai genitori…piuttosto mi preoccupo per te e per le cazzate che potresti fare con un gruppo del genere” concluse Ariel con grande maturità e, dopo questa bella stoccata, si mise la cartella in spalla ed uscì dall’abitazione.

Emma rimase di sasso forse per lo shock o per la rabbia. Nella sua testa frullavano tantissime paranoie e pensieri. Da una parte odiava sua sorella, era gelosa di lei, considerava Ariel una bambina, una stupida, una rompi scatole, un’impicciona…eppure dall’altra parte sorgevano in lei delle domande contraddittorie: “E se Biff e gli altri non fossero per davvero gli amici giusti?” “E se sua sorella avesse ragione?”

No, alt. Di nuovo quel momento umano e fragile. La ragazza scosse la testa ed affermò:

“Bene, come inizio di giornata è stato proprio uno schifo” e, sbattendo il portone d’ingresso, corse fuori con le cuffiette nelle orecchie per non sentire la banalità di suoni che il mondo avrebbe potuto offrirle.

La mattinata trascorse lentamente, come sempre durante le ore scolastiche. Emma, dopo la scuola, si diresse verso il solito albero in attesa della sua “dolce” metà.

“Ciao bellezza!” salutò Biff mordendole la guancia al posto di lasciarle un delicato bacio.

“Che hai è?” si alterò lui vedendola sulle sue e con il broncio.

“Giornata di merda. Mia sorella mi ha rotto le palle stamattina, ho le mie cose e in più ho preso 4 nell’interrogazione di inglese. Ne ho piene le scatole di tutto! Della mia famiglia, della scuola! Vorrei solo poter andare via…” si lamentò lei prendendosi una sigaretta dalla tasca dello zaino.

“E sai benissimo che cosa vogliamo fare noi…vedrai, se accetterai, metterai fine a tutti i tuoi problemi!” disse Biff alludendo a un discorso che solo i due conoscevano. Emma si fece subito scura in volto e si agitò. Non aveva ancora preso in considerazione quella misteriosa proposta ed era combattuta sulla risposta.

“Non so ancora Biff…mi sembra troppo azzardato. Ci devo ancora pensare va bene?” rispose lei dubbiosa sperando di non ricevere brutte risposte.

“Certo, tanto noi abbiamo già tutto preparato da un po’. Quando te la sentirai potremo attuare il tutto. Nel frattempo possiamo fare altro…” disse lui languido non terminando la frase e dirigendosi, con la ragazza, verso il loro solito covo per soddisfare i propri istinti animali e divertirsi un po’.

La sera…


Sono a casa!” avvisò Anna entrando nell’abitazione e abbandonandosi sul divano dopo un’estenuante giornata lavorativa.

“Ciao amore, dobbiamo parlare” salutò Kristoff scendendo le scale.

“Aspetta che?!... che ansia! Che è successo?!” rispose la moglie sbuffando già super preoccupata.

“Niente di grave ma ho novità. Le ragazze ci nascondono qualcosa. Hanno litigato stamattina e ho sentito la fine della conversazione” spiegò il marito sedendosi accanto a lei.

“E cosa hai sentito?” chiese Anna con voce pesante, facendosi passare una mano sul volto per alleggerire la tensione.

“Ariel sa qualcosa su Emma. Magari vede come si comporta a scuola, chi frequenta o così perché ha detto: “Non voglio fare la spia, ma te lo dico perché ho paura che tu faccia cazzate…” insomma una cosa del genere” continuò Kristoff parlando a bassa voce per non farsi sentire dalla figlia minore che studiava al piano di sopra.

“Quindi è confermato che Emma abbia qualcosa di losco in giro… perfetto” si irritò Anna facendo ricadere il capo sul poggiatesta del divano.

Proprio in quel momento, la protagonista dei loro discorsi entrò in casa e, senza badare ai genitori fece per salire le scale.

“Ferma, dove credi di andare?!” bloccò Kristoff parecchio infastidito dall’atteggiamento.

“In camera mia perché?!” rispose lei facendo roteare gli occhi.

“Sei stata fuori tutto il giorno, come sempre, adesso rientri senza nemmeno salutare! Tu ci stai nascondendo qualcosa!” tuonò ancora il padre cercando di contenersi.

“Esatto e visto che lo faccio sempre, ora vado su e mi faccio una doccia senza che nessuno mi rompa le scatole, grazie!” rispose scorbutica la ragazza che, senza badare alle lamentele dei genitori, corse di sopra e si preparò per entrare in doccia.

I due rimasero in silenzio, sconvolti e senza parole per la maleducazione ricevuta. Non sapevano come comportarsi, se arrabbiarsi o cercare un dialogo più tranquillo. In quella situazione non avevano idea di cosa sarebbe stato meglio.

“Ok, ci provo io. Vado a parlarle.” Prese posizione Anna mettendosi in piedi di scatto e dirigendosi verso il bagno. Si sentiva abbastanza calma, consapevole di poter reggere la situazione ma, quello che vide le fece subito cambiare idea.

Anna notò che la porta del bagno era stata chiusa a chiave, cosa che lei aveva sempre proibito visto lil pericolo di rimanere bloccati nella stanza in caso di malessere, così prese una chiave di scorta e la infilò nella serratura. La donna aprì velocemente la porta, giusto in tempo per vedere la figlia in reggiseno e notare tutti i segni sul suo corpo. Emma aveva addome, torace, braccia, collo e una parte del seno completamente disseminati di lividi.

Anna, ovviamente, sapeva che quelle macchie violacee non erano il risultato di un trauma o di una contusione ma piuttosto della saliva e della bocca di un’altra persona.

“Tu ci stai prendendo in giro!” iniziò ad infiammarsi Anna sentendo il cuore accelerare.

“Cosa ci fai qui?! Esci subito!” ordinò Emma preoccupata portandosi al petto l’accappatoio per nascondere i segni.

“E questi?! Chi te li ha fatti?! Non mi vorrai dire che sei caduta in bicicletta!” cominciò ad urlare la madre togliendole con un gesto secco l’indumento ed indicando i succhiotti.

“Sono affari miei! Non te lo dico!” rispose a tono la figlia creando un muro con la persona che aveva davanti.

“Emma, hai fatto sesso?!” domandò allora Anna cercando di calmarsi anche se sudava freddo e temeva di svenire da un momento all’altro.

Come aveva potuto rimanere all’oscuro di tutto?! Perché Emma non le aveva confidato di avere un ragazzo o di essersi innamorata? E se la stessa Emma non fosse innamorata ma si comportasse così e cedesse il suo corpo a un deficiente solo per essere alla moda?... forse era più plausibile la seconda opzione.

“E tu pensi che io venga a dirtelo!? Non ci penso nemmeno!” proseguì Emma alquanto imbarazzata e non sapendo più come uscire da quella situazione.

“DIMMELO!” sbraitò allora Anna tirando fuori tutta l’ira che celava dentro di sé.

Quell’urlo avvertì Kristoff ed Ariel che accorsero fuori dal bagno ma rimasero fuori in silenzio senza intervenire. Anche Emma rimase di stucco di fronte a quel grido e, con un po’ di paura, rispose:

“No! Ma avverrà presto!”

“Perché sei così incosciente?! Vivere la sessualità così non te lo permetto per nulla! Perché lo fai?! Ti credi bella, forte e invincibile regalando la parte più preziosa di te a un cretino?!” continuò la madre inferocita muovendo velocemente le mani nell’aria.

“Da che pulpito lo dici?! Parla quella che a 18 anni si è fatta mettere incinta!”

Emma non fece a tempo a rendersi conto della cavolata che aveva detto perché una sensazione di calore e bruciore si irradiò nella sua guancia sinistra. Un gesto che la scosse molto e la fece davvero tacere, una volta per tutte. La ragazza si accarezzò il punto dolente e, per la prima volta, provò una sensazione di vergogna e di delusione oltre alla rabbia.

Anna l’aveva colpita. La donna si era ripromessa di non picchiare mai le sue figlie, soprattutto una volta diventate grandi e capaci di intendere e di volere, ma quell’affermazione fu la goccia che fece traboccare il vaso. Quella di Emma non era una semplice frase buttata lì in un litigio, ma era un’offesa che doveva essere punita.

“Non parli più adesso vero?! Bene! Io non ti ho mai impedito nulla! Non ti ho mai proibito niente e ho sempre cercato di insegnarti e darti il meglio! Sono forse stata chiusa? Ti ho dato motivo per non parlarmi più? A me non sembra! Sei solo una ragazza infantile che ha deciso di farsi invadere dalla crisi adolescenziale! Sappi, però, cara mia, che da queste crisi si può benissimo uscire senza per forza seguire le mode o il primo ragazzo ribelle e cretino che incontri!”

Anna si fermò un attimo per respirare e poi riprese con il suo fermo discorso:

“Puoi fare quello che vuoi della tua vita! Vai! Arrangiati! Vuoi bruciare le tappe e fare sesso con uno, solo perché pensi di poter conquistare il mondo?! Bene! Fallo!...ma non osare Mai più paragonare la mia esperienza con la tua. Ricorda che dietro a quel gesto, forse incosciente come lo chiami tu, di tanti anni fa, c’era l’amore mio e di tuo padre…e non mi devo certo giustificare con te!”

Anna cercò di proseguire ma, proprio quando la voce cominciò a rompersi, si intromise il marito per concludere il discorso.

“E, cosa ancora più importante, io e tua madre non ci pentiamo di aver condiviso quel momento, di aver detto sì all’imprevisto più bello della nostra vita senza il quale ora tu non saresti qui. E so per certo che questo non lo potrai mai capire, perché quello che vivi con quel moccioso non è amore…fidati! Non lo è, e lo capirai quando ricomincerai ad usare cuore e cervello!”

Seguì un altro attimo di silenzio in cui Anna, troppo scossa dal momento vissuto, uscì dalla stanza dirigendosi verso la camera matrimoniale lasciando il marito insieme alla figlia. Anche Ariel, dopo aver origliato tutto, preferì allontanarsi e chiudersi nella sua stanza senza interferire.

“Ora, visto che sono tuo padre e voglio comunque il tuo bene, mettiamo delle condizioni. Tu, da domani, tornerai a casa Tutti i giorni e se vorrai vedere qualcuno lo inviterai a casa nostra. Alla prossima parola scortese verso di noi o nei confronti di tua sorella scatteranno le punizioni e parlerò a scuola con i tuoi docenti finché non scoprirò il nome del teppista che dice di amarti conciandoti in questo modo. Vedila come una maledizione, insultaci quanto vuoi… ma noi lo facciamo perché ti vogliamo bene…anche se dopo stasera, di ceffoni te ne meriteresti di più” concluse Kristoff che, dopo la sentenza, uscì dal luogo per poi raggiungere la moglie.

Emma rimase sola in un silenzio assordante. Percepiva il sangue rimbombare fastidiosamente nelle orecchie, le gambe tremare e un senso di malessere dentro di sé. Aveva perso. Si era fatta umiliare dai genitori che, però, avevano ragione su tutto. In cuor suo Emma sapeva che ad Anna, Kristoff ed Ariel non si poteva dar torto ed era anche consapevole di averli offesi. Il problema di Emma, però, stava nel fatto che non riusciva a domare quella rabbia che, nonostante tutto, continuava a ribollire dentro di lei.

Scegliere tra la rabbia o la ragione e i sentimenti? Ovviamente Emma sceglieva sempre la rabbia.

Per questo motivo la ragazza prese il telefonino e, in pochi secondi, scrisse un messaggio a Biff:

“Ok, Biff. I miei hanno scoperto tutto. Ci sto per fare quello che ci siamo detti. Preparo tutto e già da domani sono disponibile… prima si fa e meglio starò.”

Messaggio inviato.

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Capitolo 10
*** ADDIO ***


CAPITOLO X

ADDIO

 
 
La mattina seguente Emma si alzò velocemente e osservò la sua stanza cercando gli oggetti importanti.

Quel giorno avrebbe avuto lezione di educazione fisica: la scusa perfetta per riempire il borsone di vestiti e altre attrezzature che sicuramente non le sarebbero servite per la scuola ma, bensì, per scappare.

Sì, Emma aveva deciso di darsela a gambe e ricominciare in un’altra città lontana dallo schifo che aveva attorno.

Magliette, felpe, pantaloni, tutti i soldi che aveva a disposizione, gli occhiali da sole, qualche medicina e molto altro veniva ingoiato dalla sacca con voracità. Ogni tanto la ragazza si fermava e guardava la sua camera. I ricordi vissuti in quella stanza, il suo letto caldo, i poster e le scritte sulle pareti cercavano di bloccarla ed implorarla di restare ma Emma era troppo determinata: non stava più bene in quella città, con la sua famiglia, con gli amici, con la scuola…tutto ciò che aveva di importante si chiamava Biff e doveva seguirlo.

La ragazza chiuse la zip della borsa, prese il telefono e preparò l’ultimo tassello della missione: abbandonare l’apparecchio sul letto per non essere più rintracciabile.  

La giovane scese le scale velocemente e, tanto per cambiare, trovò la sorella in mezzo ai piedi.

“Io vado a scuola” salutò Emma cercando di svincolarsi velocemente.

“Ok, io ci andrò tra qualche minuto. Buona giornata Emma! Ci vediamo oggi pomeriggio” si congedò cordiale Ariel salendo le scale per andare a cambiarsi senza badare troppo alla sorella maggiore.

Emma rimase immobile ancora un secondo, mangiata da alcuni rimorsi e dalla voce della sua coscienza che la supplicava di restare. In effetti la stessa Ariel l’aveva salutata bene ed era da tanto che non riceveva una frase gentile da qualcuno. Tanti erano i pensieri nella sua testa: “Dai Emma non fare cazzate” “Dove pensi di andare? Credi di trovare fortuna nel luogo in cui andrai?” “Dai, disfa tutto e resta qui!” poi, come un lampo d fulmine, nella sua mente si fece vivo il ricordo della sera prima. La rabbia, l’invasione di sua madre, lo schiaffo, le urla, il litigio, la sfuriata di suo padre e la conseguente punizione di reclusione imputabile a una bambina di 4 anni. Ecco divampare di nuovo l’ira e per Emma fu facile scegliere: uscì dall’abitazione e chiuse la porta…senza guardarsi indietro. Ciao casa, ciao famiglia.

“Ciao piccolina, sei pronta?” chiese Biff andando incontro alla ragazza fuori dalla scuola.

“Sì Biff, non si torna indietro!” rispose lei con decisione senza pensare a nulla.

“Vedrai che ci cambierà la vita. Anche i ragazzi sono pronti e hanno già preparato la macchina. Ci vediamo qui dopo la scuola e faremo un bel viaggetto. Ci giriamo l’Italia e se ci sarà bisogno andremo anche all’estero. I soldi li abbiamo non ti preoccupare” spiegò lui a bassa voce per non far sentire a nessuno i loro progetti.

All’intervallo…

Ariel era uscita dall’aula di soppiatto, senza fretta come sempre e si era fermata in un corridoio poco affollato. Giacomo le aveva dato appuntamento proprio lì. Ormai la relazione tra i due continuava di nascosto dal giorno del famoso gioco della bottiglia al compleanno della sua amica.

Il ragazzo aveva implorato Ariel di stare in silenzio e di non rivelare a nessuno la loro cotta. Ad Ariel andava più che bene perché la ragazza custodiva e gustava quelle emozioni nel cuore senza sentire il bisogno di confidarlo a chissà chi, se non a Pietro ed Aurora.

“Ciao Ariel!” salutò Giacomo di corsa dopo aver fatto due tiri a pallone con i compagni di classe.

“Ciao” si limitò a dire lei sentendosi già le guance infuocate.

“Che carina che sei oggi!” si complimentò lui prendendola per mano e facendole esplodere il cuore.

“Grazie, tu sei tutto sudato” ironizzò la tredicenne scostandosi un ciuffo di capelli dal viso.

“Oh, sì lo so…fa niente. Senti mancano 5 minuti e direi che…”

Giacomo non terminò la frase perché, come ad ogni ricreazione, si avvicinò ad Ariel e cominciò a baciarla. Ariel si era follemente innamorata di quel ragazzo. Amava il suo contatto, il sapore delle sue labbra, il modo con cui la toccava e baciava, il suo sorriso, insomma tutto! Giacomo, inoltre, era uno dei ragazzi più belli delle classi medie e per Ariel era una grande conquista. L’idea che un bel giovane avesse scelto proprio una “sfigata” come lei le metteva sicurezza e l’aiutava a convincersi di non essere quello schifo di persona maltrattata e bullizzata dai compagni.

Quei cinque minuti passarono più velocemente del previsto e i due furono costretti a separarsi non prima di darsi di nuovo appuntamento nello stesso luogo e alla stessa ora per il giorno successivo. Ariel si sistemò i capelli, cercò di ricomporsi e, una volta calmata, si incamminò verso la classe con un sorriso stampato sulle labbra. Peccato che quel sorriso sarebbe svanito presto: qualcuno l’aveva vista insieme a Giacomo e sicuramente sarebbe stato un gossip molto succulento per i suoi compagni bulli.

La sera a casa…


“Che giornata devastante” affermò Anna rientrando in casa e facendo cadere le chiavi della macchina in una bacinella contenente qualche monetina.

“Dov’è Emma?!” domandò subito Kristoff ancora in giacca e cravatta scendendo di fretta le scale.

“Sarebbe dovuta rientrare dopo la scuola e mangiare con Ariel come le avevi imposto no?!” cercò di pensare Anna buttando per terra la borsa da lavoro e avvicinandosi al marito.

“Ariel ovviamente non sa nulla perché ha mangiato da tua sorella!” rispose ancora il marito sempre più infiammato.

“Dove può essere allora?!” si preoccupò Anna cominciando a tremare.

“Ariel!” chiamò Kristoff sperando di ottenere ulteriori risposte dalla figlia minore.

“Devi aiutarci! Sai qualcosa di Emma?! L’hai vista a scuola?!” interrogò lui appena notata la figlia in cima alle scale.

“No papà…non so nulla. L’ho salutata stamattina ed era di fretta, come al solito. Mi sembrava molto strana però… Prima di uscire di casa ha esitato.”
Rispose la rossa iniziando a temere il peggio.

“Chiamiamo Judy, subito… potrebbe esserle successo qualcosa” propose il marito spaventato e premuroso porgendo il telefono alla moglie.

“Pronto Anna?!” disse la poliziotta rispondendo immediatamente.

“Emma non è rientrata in casa!” disse Anna cercando di mantenere la calma.

“Provo a rintracciare il suo telefono. Aspettate, mi metto al computer e…”

La donna continuava a parlare ma qualcosa, tra le mani di Ariel, fece tremare i presenti. La ragazza, nel frattempo, era entrata nella camera della sorella e aveva trovato il cellulare sul cuscino.

“Judy, il telefono è qui! Ed è colpa mia…ieri ho litigato con lei ” constatò Anna non riuscendo a dire correttamente tutte le parole per colpa dei tremori.

“Avverto subito Nick e i ragazzi e io vi raggiungo lì a casa vostra per vedere se trovo qualche indizio utile.” Propose la donna facendo per chiudere la telefonata.

“Dove potrebbe essere?!” domandò Anna nella speranza di ricevere risposte rassicuranti.

“Adolescente ribelle ed infelice come ci raccontavi quel giorno a casa di Elsa, litigio pesante, cellulare accidentalmente dimenticato a casa, nessuna assenza scolastica per non dare nell’occhio e guadagnare tempo… è brutta da dire Anna, ma penso proprio che Emma sia fuggita. Non ci rimane che cercare di scoprire le identità dei suoi accompagnatori perché sicuramente è insieme a dei ragazzi.”

Anna non riuscì ad ascoltare altre parole perché si sentì mancare il respiro e, infatti, dopo aver socchiuso gli occhi, si accasciò a terra perdendo i sensi.

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Capitolo 11
*** CICATRICI ***


CAPITOLO XI

CICATRICI


Anna si risvegliò qualche minuto dopo. Si sentiva la testa pesante, dolorante per la quantità di stress accumulato e per la confusione.

“Amore, è tutto ok!” disse Kristoff al suo fianco tirando un sospiro di sollievo nel vedere la moglie di nuovo cosciente.

No, non era tutto ok. Anna avrebbe preferito restare svenuta ancora e ancora pur di dimenticare il dolore nel sentire l’ipotesi sulla possibile fuga della figlia.

“Avete saputo qualcosa?!” chiese Anna mettendosi in piedi con le poche forze che aveva.

“Judy è appena arrivata. Le pattuglie stanno perlustrando qualsiasi posto della città ed ha già avvertito la polizia delle altre province, ma per ora nulla. L’unica cosa che bisogna fare è capire in tutti i modi chi siano i ragazzi in viaggio con lei. Se li scoviamo potremo rintracciarli” spiegò Kristoff con gli occhi intenti a fissare il vuoto. Anche lui, da papà, si sentiva un fallito. Non era nemmeno riuscito a tenersi stretto la figlia.

“La polizia sta cercando in giro ma per ora nulla. Non preoccupatevi, vedrete che si risolverà tutto. Le persone con cui è le troveremo immediatamente. Ariel ci ha fornito qualche dettaglio sull’aspetto fisico del presunto fidanzato di Emma e domani contatteremo scuola e famiglie. In base agli assenti in classe e all’aiuto dei docenti sarà possibile ritrovarli subito.” Disse Judy entrando nella stanza dei coniugi.

“Non è vero Judy, non la troveremo più perché è lei che non vuole farsi trovare!” urlò Anna con gli occhi gonfi di lacrime.

“Sono ragazzini Anna! Non sono dei professionisti! Di sicuro commetteranno degli errori e sarà facile per noi trovarli. Cercherò di tenere tutto nell’ombra perché Emma potrebbe avere delle conseguenze civili e penali e non può permetterselo, anche se sto andando contro al mio lavoro. Emma sta facendo una cazzata ma pagherà con ciò che vivrà. E’ probabile che torni da sola quando si renderà conto di aver perso quello che aveva di più importante. Ora cercate di riposare, la questione è in buone mani” rispose Judy cercando di confortare l’amica per poi lasciare l’abitazione accompagnata da Kristoff.

In una città vicina…


“Eccoci arrivati Emma! Siamo qui in questa casa che apparteneva ai miei zii ed ora è intestata a me. Non è niente di che ma la metteremo a posto noi. Respira quest’aria di libertà!” disse Biff scendendo dalla macchina ed indicando alla ragazza e agli amici una casa di due piani.

“Gio e Fra voi prendete le prime due stanze a destra, Rob tu invece la seconda a sinistra. Io ed Emma ovviamente abbiamo la più lussuosa di tutte al piano di sopra… così non ci romperà le palle nessuno quando saremo occupati…” sussurrò Biff all’orecchio della ragazza che rabbrividì.

Non sapeva perché ma si sentiva strana. Provava un senso di libertà ma anche angoscia e paura. Pensava che stare insieme agli amici e a Biff potesse farla stare meglio e sentirsi finalmente a casa, ma non era così. Biff le pareva uno sconosciuto quasi.

“Che hai?” le chiese lui vedendola preoccupata.

“No, niente…sono un po’ stanca” rispose lei cercando di non mostrare le sue paranoie e la sua fragilità.

“Vieni su con me” disse lui prendendole la mano ed accompagnandola al piano di sopra.  

La stanza pareva confortevole e pulita. Aveva un letto matrimoniale nel centro, due armadi ai lati e uno specchio che abbracciava tutta una parete.

“Stanotte dormiremo insieme per la prima volta, vedrai che ti passerà tutto e ti abituerai a questa nuova vita.” Disse lui facendole fare il tour della camera per poi stringerla a sé ed iniziare a baciarla con dolcezza, per la prima volta nella sua vita.

Emma si sentiva strana. Non aveva voglia di baciarlo, aveva paura a stare lì. La ragazza era scappata di casa da poche ore, eppure sentiva già il bisogno di tornare. Forse si stava facendo prendere dall’agitazione nell’essere in un luogo nuovo e per aver fatto qualcosa di illecito. La ragazza decise così di lasciarsi trasportare dal bacio e di fidarsi di chi aveva intorno: doveva solo ambientarsi nella nuova situazione.

In un’altra casa…


“Sono a casa!” annunciò Elsa pulendosi le scarpe sullo zerbino prima di entrare nella sua abitazione.

“Ma che?” disse tra sé e sé corrugando la fronte notando la casa tutta illuminata, pulita e con la tavola apparecchiata per due.

“Sorpresa!” salutò Jack sbucando dalla porta della cucina. L’uomo indossava una maglietta azzurra che faceva risaltare gli occhi celesti e portava tra le mani un vassoio che ripose delicatamente sulla tavola imbandita.

“Che succede? Che strano non trovarti in giacca e cravatta!” rise lei osservando il marito e il suo outfit insolito che non vedeva spesso.

“Sono uscito prima dal lavoro, ho tolto gli abiti da avvocato per tornare ad essere un Jack ragazzino e super sexy!” ironizzò lui avvicinandosi a lei e afferrandole i fianchi con le mani.

“Senti Jack fighetto, Aurora dov’è? E perché tutto illuminato? Le bollette chi le paga dopo?” lo istigò lei cercando di mostrarsi una donna adulta matura e severa.

“Aurora è da tua cugina e le luci, beh…possiamo spegnerle se vuoi” disse lui languido cominciando a lasciarle dei teneri baci sul collo segno di voler approfondire quel momento. Elsa stava per cedere, inebriata dal profumo dell’uomo che amava ma fece per staccarsi.

“No, non lo voglio fare!” disse con un groppo in gola ripensando al dolore vissuto per la perdita del figlio.

“Amore, invece lo vuoi” rispose lui serio abbracciandola di nuovo e cercando di non farla staccare nonostante i suoi tentativi.

“No Jack, e se sarà un altro tentativo nullo?! Se ci rimarremo male di nuovo?!” continuò preoccupata lei tentando di allontanarsi da lui nonostante la forte attrazione che il suo corpo doveva combattere.

“E’ qui che sbagli Elsa! Smettila di agitarti e ascolta il tuo corpo! Non ti sto dicendo che ho voglia di fare un figlio o di riprovarci, ma ti sto facendo capire il bisogno di sentirti vicina e di vivere i nostri momenti di intimità con più serenità!” la rimproverò Jack cercando di farla ragionare.

“Ma per me è troppo… e se al prossimo ciclo mi accorgo che sarà di nuovo tutto uguale? E se restassi incinta per poi rivivere quel dolore?” disse ancora Elsa tirando fuori le paranoie.

Jack si mise a sorridere e restò in silenzio con gli occhi innamorati.

“Perché fai così? A che pensi?” chiese la donna non capendo la reazione del marito.

“Mi sembra di rivedere una Elsa di 19 anni, durante la vacanza maturità dopo quel bellissimo viaggio trascorso tutti insieme al mare. Avevi detto le stesse identiche cose, ti ricordi?”

Elsa non rispose perché la mente tornò subito a quel periodo.

Anni prima…


Un gruppo di ragazzi trascorse la serata con il sorriso, lo sguardo rivolto verso il mare e un falò in mezzo a loro per legarli ancora di più.
Risate, spensieratezza, canzoni cantate a squarciagola e suonate da Rapunzel, giochi e tanto altro. Un’amicizia perfetta, pulita, sana che faceva sorridere anche i presenti contenti di vedere dei giovani capaci di meravigliarsi e divertirsi con le attività più semplici e banali.

“E’ mezzanotte! Andiamo a letto? Domani ci aspetta una giornata intensa!” propose Flynn alzandosi ed influenzando così tutto il gruppo che cominciò a ripulire la spiaggia per poi tornare nell’abitazione.

Ogni coppia entrò nella propria stanza. Elsa si sentiva sempre leggermente imbarazzata nel momento in cui restava da sola con Jack, ma quella sensazione svaniva subito nel momento in cui lui la stringeva tra le braccia e la faceva sentire la persona più fortunata del mondo.
La ragazza fece per indossare un leggero pigiama di seta quando Jack la bloccò cominciando a spogliarle la canottiera.

“Che fai?!” domandò lei con il cuore in gola. Quei gesti spesso la spaventavano per colpa dei fantasmi del suo passato. La ragazza non si era ancora abituata a ricevere attenzioni delicate da un uomo.

“Fidati di me, rilassati!” disse Jack con un sussurro per farla rilassare. Elsa si fidò di lui e si gustò quei momenti. Il modo con cui la baciava, le accarezzava il seno, le sfiorava la pelle…Jack riusciva a farla impazzire.

Pochi minuti ed entrambi si ritrovarono nudi sul letto riuscendo finalmente a godere del contatto reciproco senza interferenze con pensieri negativi. Ad un certo punto, però, Elsa si rese conto che quel momento focoso avrebbe potuto portare ad altro. Si bloccò all’improvviso facendo fermare Jack che, però, non osò staccare il proprio corpo dal suo.

“Che c’è?” domandò lui con serenità consapevole di dover affrontare quel momento.

“Ho paura. So che tu vorresti farlo con me ma io non ce la faccio. Ho ancora il ricordo di Hans, delle sensazioni che ho provato quella sera e toccare quei punti così fragili del mio corpo mi spaventa.” Spiegò la ragazza preoccupata.

“Elsa, io non sono Hans. All’odio e al dolore si risponde con l’amore. Lo so che potrebbe sembrare una frase presa da qualche libro di letteratura latina studiato quest’anno ma ti assicuro che è quello che penso. Nemmeno io so cosa si proverà, non so se mi piacerà, ma so che ti amo ed ogni cosa con te è meravigliosa. Tu sei la cosa più preziosa che ho e non oserei mai farti del male o rivolgermi a te con gesti bruschi o violenti. So benissimo della responsabilità che ho in questo momento ma sono anche sicuro che fare l’amore con te sarà la vera cicatrice capace di ricucire il tuo ricordo della violenza”

Elsa rimase impietrita di fronte alle parole del ragazzo che amava. La sua mente le diceva di no, ma il corpo e il suo cuore urlavano un sì forte e chiaro. Il silenzio e il sorriso della ragazza fecero capire a Jack di avere ricevuto l’approvazione.

Il ragazzo, allora, si preparò all’atto avvertendo anche lui il cuore esplodere nel petto. Lentamente entrò in lei consigliandole di non interrompere mai il contatto visivo con lui.

“Guardami sempre, solo così potremo essere partecipi di questo momento e fidarci reciprocamente” sussurrò ancora lui dolcemente.

Elsa alternava momenti di rigidità e spavento. Qualche lacrima le solcò il viso per colpa dello stress psicologico che stava affrontando. Jack cominciò a muoversi piano in lei gustandosi quelle sensazioni sconosciute che lo inebriavano ma mantenendo sempre la concentrazione sulla sua donna.

Elsa inizialmente non riuscì a vivere serenamente quei movimenti, la troppa rigidità le faceva male ma Jack, prontamente, cominciò ad accarezzarle le guance, a sorriderle, a baciarla. Il dolore fece posto al piacere in brevissimo tempo permettendo ai due di abbattere quel muro traumatico che ancora li separava. Quel giorno fu molto importante per Elsa perché lei riuscì, finalmente, a mettere una pietra sopra al suo passato.

Presente…


“Ti ricordi quindi?” chiese ancora Jack notando la moglie assorta nel rivivere il ricordo.

Elsa, emozionata dal momento, annuì morsicandosi le labbra.

“Ascolta Elsa… io non so cosa la vita abbia ancora in servo per noi. Voglio solo dirti che questo è un momento molto simile a quello che abbiamo appena ricordato insieme. Finché non superiamo un gradino che ci ferma, non potremo mai andare avanti. Vogliamo avere un figlio nonostante le sofferenze? Allora lo avremo! Ma non in questo modo… prima dobbiamo ricominciare a volerci noi e a rivalutare quel gesto. Ho voglia di fare l’amore con te non perché desidero un figlio, ma perché desidero te! L’amore nasce dall’amore…” concluse Jack riavvicinandosi alla moglie che, per la prima volta, fece un passo avanti cominciando a baciarlo per poi staccarsi e, con un sorriso tra le labbra affermare:

“Spegni le luci”

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Capitolo 12
*** SOGNI INFRANTI ***


CAPITOLO XII

SOGNI INFRANTI

 

Il giorno dopo…


Anna si alzò presto dal letto anche se non si sentiva bene. Nonostante la questione in sospeso con Emma, la donna doveva andare al lavoro e cercare di vivere normalmente. La donna andò in cucina e si preparò un caffè. Non aveva ancora iniziato a berlo quando una sensazione di forte nausea la costrinse a correre in bagno e rigettare. La donna si rialzò lentamente e si risciacquo il viso con dell’acqua fresca per rimettersi in sesto.

“Questa storia di Emma mi deve aver stressato più del previsto” disse Anna rivolta alla sé stessa pallida mostrata nello specchio. Non le capitava mai di vomitare… le uniche volte erano avvenute per colpa di un virus intestinale o nel momento in cui scoprì di essere incinta di Ariel.

Quell’ultimo pensiero fece immobilizzare la donna che stava uscendo dal bagno.

Immediatamente fiumi di ricordi e pensieri si fecero vivi in lei.

Qualche mese prima Anna parlò con Kristoff dell’ipotesi di avere un altro bambino, constatando il fatto di essere ancora in età fertile, con un buon supporto economico, delle figlie ormai grandi e tanta grinta e desiderio di rivivere la genitorialità ancora una volta.

“Cazzo” sussurrò lei mettendosi una mano sulla fronte e chiudendo gli occhi. Non aveva dubbi! Sapeva di aver fatto l’amore con Kristoff, di avere un ritardo del ciclo e il vomito…il test di gravidanza non sarebbe stato necessario. Era incinta, per la terza volta…peccato che quello non era il momento adeguato.

A scuola…


Ariel attese Giacomo nel solito posto durante l’intervallo notando, però, un eccessivo ritardo nel suo arrivo.

“Pensi veramente che gli importi di te?” disse una voce stridula alle sue spalle capace di farla sobbalzare.

Ariel si girò di scatto ed avvertì il cuore infrangersi in mille pezzi vedendo proprio Giacomo che teneva per mano Greta, la sua compagna bulla.

“Lui ha scelto me, tu eri solo una piccola esperienza per capire come si sta con una sfigata” l’aggredì ancora la ragazza senza permettere a Giacomo di intervenire. Il ragazzo, però, sembrava essere d’accordo con la nuova fidanzatina.

Ariel riuscì a stento a trattenere le lacrime, fece per allontanarsi quando le piombò davanti Pietro.

“Che succede?!” domandò il cugino notando il volto rosso e gli occhi gonfi della parente.

“Ora vai a piangere dal cugino rubato eh?” esordì Giacomo istigato dall’altra aiutante che rise di gusto di fronte a quella brutta affermazione.

Quello fu troppo. Pietro aveva subìto per anni gli insulti sul suo stato di figlio adottivo ed ora quello stronzo del compagno di classe si era addirittura permesso di tradire Ariel per poi avere il coraggio di insultarlo pubblicamente. Pietro non aveva detto niente ad Ariel ma sapeva bene della tendenza di Giacomo ad indossare più maschere. Giacomo, infatti, andava dove tirava il vento: simpatico e affettuoso se seguiva gli amici buoni e bullo professionista quando incontrava nuovi gruppi di disturbo.

Pietro non riuscì a trattenersi e, immagazzinando tutta la forza che aveva dentro, si avvicinò al compagno colpendolo in pieno volto con il pugno destro.

Pochi secondi ed ecco i due ragazzi intenti a picchiarsi. Pietro riuscì solo a dire ad Ariel di andarsene prima di finire nei casini pure lei e la giovane ascoltò subito l’esortazione ancora scossa da tutti quegli eventi brutti. Prima Emma che se ne va, il tradimento di Giacomo ed ora anche Pietro che sarebbe finito in presidenza per colpa sua.

Anche per Ariel stava per aprirsi un periodo buio, molto più oscuro del solito.

Dopo la scuola…


Michele attendeva l’arrivo di un parente per poter tornare a casa dopo il corso di chitarra. Non vedeva l’ora di correre dalla nonna e suonarle i nuovi brani o esercizi musicali che aveva imparato proprio come era solito fare.

Si aspettava di trovarsi davanti Judy o Nick invece, dopo qualche minuto, sbucò un ragazzo alto, muscoloso e con gli occhi violacei.

“Zio Oliver!” esclamò Michele abbracciandolo forte.

“Ciao campione! La mamma non poteva venire oggi così l’ha chiesto a me… e sappi che ho tantissime novità da dirti!” esordì Oliver facendo sedere il nipote in auto.

“Beh dimmi!” chiese il ragazzo curioso.

“Sai che me ne intendo anche io di musica e sono venuto a conoscenza dell’esistenza di un concorso per giovani musicisti come te! In pratica si terrà tra qualche mese. Tu dovrai essere presentato da un docente del tuo strumento, suonare dei brani di studio e comporne uno tuo. Il vincitore avrà diritto a una somma di denaro per incidere un proprio disco musicale e, quindi, iniziare ad essere conosciuto dal pubblico” spiegò Oliver mantenendo la concentrazione alla guida.

“Wow! Ma tu pensi veramente che io ne abbia le capacità??!” domandò Michele un po’ titubante all’idea di un’esperienza così importante.

“Assolutamente sì! Ascolta, a te non serve per vincere ma per dimostrare a te stesso e agli altri quanto vali. Suoni la chitarra da quando tua nonna te ne ha regalata una a 4 anni e io ricordo quel giorno! Appena l’hai presa in mano hai cominciato a suonarla senza nessun insegnamento o consiglio. Sono convinto che più crescerai e più migliorerai e questo è il tuo trampolino per lanciarti di più in questa avventura!”

Michele non rispose perché stava già immaginando quel bellissimo giorno. Si vedeva sul palco a suonare acclamato da tantissime persone. Notava la mamma, il papà, Zio Oliver, il fratellino/sorellina e nonna Coco emozionati davanti a lui. L’adrenalina, la felicità fino a sentire il proprio nome proclamato vincitore. Forse stava sognando troppo il grande ma questo è il bello dei bambini: hanno la capacità di desiderare e desiderare cose gigantesche.

Peccato che la vita riservi sempre delle sorprese. Alcune belle che migliorano le nostre aspettative e altre brutte capaci, invece, di cancellarci la capacità di sognare.

Oliver non lo sapeva ancora, ma quella era una brutta giornata.

Il bambino salutò lo zio ringraziandolo per l’opportunità e scese dalla macchina mettendosi a correre velocemente verso la porta di casa per poi esclamare a gran voce appena entrato:

“Mamma, papà! Zio Oliver mi ha iscritto ad un concorso di musica che si terrà tra qualche mese! Sarà bellissimo, potremo andare tutti insieme e…”

Oliver fermò quel fiume di parole perché il padre con il volto arrossato e solcato dalle lacrime lo mise in allerta.

“Papà?” domandò lui avvicinandosi e cercando di consolarlo.

Judy rimase in disparte nell’ombra, anche lei distrutta per la notizia da dare al figlio.

“Insomma, mi volete dire che sta succedendo?!” domandò agitato Michele trasferendo lo sguardo da un genitore all’altro non riuscendo a trovare supporto.

“Amore, quello che stiamo per dirti ti farà male, ma devi essere forte e trovare la serenità” si fece forte Judy inginocchiandosi ai piedi del figlio seppur avendo il pancione che pesava su di lei.

“La nonna, non c’è più” affermò Nick mettendosi in piedi e raggiungendo la sua famiglia.

A Michele crollò il mondo addosso in pochi secondi.

La sua fonte d’ispirazione se n’era andata, la sua musa, la sua più grande forza, il suo angelo custode, la sua migliore amica, la sua insegnante l’aveva abbandonato.

Per un bambino era difficile figurarsi la morte, soprattutto quella di una persona cara.

Michele non ci capiva niente. Sapeva solo che stava male e sentiva un pugnale trafiggergli il cuore.

Il bambino scoppiò in lacrime e si aggrappò al collo della mamma per trovare supporto.

“Ora è in un posto migliore, non soffre più” disse Nick accarezzando la testa del figlio che continuava a singhiozzare tra le braccia di Judy.

“Ero io il suo posto migliore!” riuscì ad affermare Michele tra le lacrime.

 E come dargli torto?

Michele aveva ragione: la sua Coco stava bene quando aveva vicino il nipotino, ma ora Coco non c’era più.

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Capitolo 13
*** SCOPERTE ***


CAPITOLO XIII

SCOPERTE

 

Tre giorni dopo…


Trascorsero giorni dalla fuga di Emma e alla ragazza sembravano passati secoli. Le notti con Biff non le facevano né caldo né freddo. Qualche momento sessuale, la solita richiesta di Biff di poter avere un rapporto completo e il sonno profondo di lui. Emma, però, passava le notti a non dormire, a rigirarsi nel letto e ad essere mangiata dai rimorsi. Nel suo letto caldo a casa stava meglio, si sentiva a suo agio e, soprattutto, al sicuro. Quei giorni di “nuova vita” l’avevano già cambiata molto. Aveva girato la città nella quale si trovavano, avevano bevuto fino a star male, fumato e fatto gli incoscienti. All’inizio alla ragazza piaceva l’ebrezza di questi atteggiamenti libertini ma, ora, la nauseavano. Si sentiva vuota, apatica e infelice. Il suo più grande desiderio era fuggire per capire qualcosa di più su sé stessa, vedersi più responsabile, indipendente e felice. Nulla di tutto questo stava avvenendo…anzi, era sempre più confusa.

“Guardate cosa abbiamo qui!” disse uno dei ragazzi mettendo sul tavolo un superalcolico.

“Vai beviamolo adesso!” propose l’altra ragazza non prima di aver fatto un tiro di sigaretta.

“Ci sto, però con un gioco! Quello degli insulti!” disse Biff propositivo ricevendo l’approvazione di tutti. Emma non sapeva in che cosa consistesse quell’attività e così affermò di osservarli prima di prenderne parte.

“Ok inizio io. Ora sono qui insieme a voi e posso finalmente prendere la mia rivincita dai genitori! Mia madre è una stronza che cerca sempre di controllarmi! Mi guarda tutto! Zaino, registro elettronico, armadi, cellulare! Non ce la facevo più a casa! Diceva di non fidarsi di me! Mio padre non l’ho nemmeno mai conosciuto…non so chi sia, quindi a prescindere è una testa di cazzo” disse un ragazzo insultando pesantemente coloro che gli avevano donato la vita.

“Io invece non parlo quasi mai ma eccomi qui a raccontarvi dei miei genitori mezzi pazzi. Mia madre è sempre stata in mezzo alla droga, ha abortito un sacco di volte e ha deciso di tenere me solo perché mio padre l’aveva pregata di farlo. Poi quel deficiente di mio padre, quando si accorse che mantenere mia madre ubriaca e pazza costava troppo, ha deciso di darsela a gambe. Ed eccomi qui… prima ho attraversato le comunità per minori, i servizi sociali ed ora, finalmente maggiorenne, ho deciso di prendere in mano la mia vita e arrangiarmi a modo mio. Pensavo di terminare gli studi ma, prima di partire con voi, ho scoperto di aver avuto degli zii molto vecchi e ricchi che, morendo qualche mese fa, hanno lasciato tutto in eredità a me: il loro unico nipote. Ora sarà tutto più figo! Niente scuola, niente lavoro…soldi e piacere a volontà! E i miei genitori possono andare a quel paese!” spiegò Biff lasciando tutti i presenti senza parole. Il loro boss non aveva mai raccontato le sue radici e, nel sentire quel genere di racconto, molti compresero le ragioni di alcuni suoi atteggiamenti bizzarri.

“E tu Emma? Tocca a te! Raccontaci dei tuoi genitori stronzi!” disse un ragazzo rompendo il ghiaccio dopo il silenzio creato.

Emma avvertì le guance scottare e le girò la testa. Nella sua mente si fecero largo molti pensieri e per quanto si sforzasse di concentrarsi, non riusciva a trovare nulla di negativo sulla sua famiglia. Voleva insultarli anche lei e soprattutto parlare male di sua madre che aveva osato picchiarla. Voleva, ma non ci riusciva. Per una volta la rabbia e la cattiveria fecero spazio alla coerenza e all’intelligenza. Fu allora che Emma se ne rese conto: la sua famiglia non le aveva fatto niente! Era lei il problema dei problemi. Tutti quei ragazzi venivano da storie complicate, genitori malati, iperprotettivi o menefreghisti. I suoi di genitori invece? Anna e Kristoff le volevano bene. L’avevano partorita a 19 anni fregandosi delle idee della gente e della fatica…e lei li stava ringraziando così: a chilometri di distanza, bevendo, fumando con degli sconosciuti e facendoli sicuramente preoccupare.

Si faceva schifo da sola.

“Allora? Che rispondi?” stuzzicò Biff desideroso di vedere la sua ragazza esplodere come una mina di fronte a quei discorsi focosi e cattivi, ma lei non parlò.

“Preferisco andare a letto scusate” concluse lei guardando un punto fisso del muro ed alzandosi stando attenta a non incrociare nessuno sguardo.
Biff le corse dietro con l’intento di conoscere il motivo di quell’atteggiamento poco “educato”.

“Tu non ti alzi senza il mio consenso hai capito?!” iniziò a sgridarla lui afferrandole il braccio.

“Chi sei il mio padrone?! No! Ed io ho sbagliato tutto…non sarei mai dovuta venire! Ora voglio tornare a casa mia” disse lei con il magone. Era la prima volta che mostrava la sua fragilità, ma aveva capito la lezione e temeva il peggio a restare insieme a quelle persone.

“Tu non vai da nessuna parte hai capito?! Mi appartieni e sarai mia per sempre! Guai a te se provi ad uscire da questa casa senza il mio consenso!” le urlò contro Biff prendendola per il collo e mettendole veramente paura. Gli occhi del ragazzo sembravano riflettere le fiamme dell’inferno. Neri come la pece, impenetrabili ed inquietanti che scrutavano Emma da cima a fondo.

Emma finì per annuire e scusarsi con lui. Aveva troppa paura di lui. Dopo aver tolto le mani da lei Biff decise di allontanarsi e tornare in cucina con gli amici. Emma restò immobile tenendosi una mano sul collo dove erano già visibili i segni rossi delle dita di lui. Si sentiva il cuore in gola e il corpo tremante. Lei non sapeva cosa fosse l’amore, ma sicuramente una persona che ti vuole bene non si comporta così. La ragazza non sapeva che cosa fare! Era in trappola, senza un telefono, senza niente di niente!

Nella testa le balenò un’idea: la mattina seguente se ne sarebbe andata senza dirlo a nessuno.
Per fare ciò la ragazza indossò la maschera di ragazza santarellina e tornò in cucina insieme al gruppo facendo bere tutti: doveva farli ubriacare pesantemente in modo da farli cadere in un sonno profondo.
Le ore passavano ed Emma guardava quel gruppo bere e vomitare in giro. Nel corso della serata si susseguirono giochi alcolici espliciti e anche giri della bottiglia dove Emma osservò più volte Biff baciare e toccare l’altra ragazza del gruppo. Emma non sapeva perché ma quell’atteggiamento non le dava fastidio, le provocava piuttosto un certo ribrezzo e disgusto. Come aveva fatto a mettersi con una persona del genere? Più trascorreva tempo con loro e più capiva di aver sempre sbagliato tutto.

Finalmente quell’interminabile attività terminò, ossia alle 5 di mattina, e tutti i presenti si addormentarono. Uno dormiva per terra, uno sulla sedia, uno fortunato sul divano e Biff sul tavolo. Ad Emma non importava più nulla. Era stanca, distrutta dallo stress accumulato, dall’agitazione, dal ricordo delle mani di Biff intorno al suo collo e non voleva restare lì un secondo di più. Fu così che, di soppiatto, preparò il suo borsone e lasciò l’appartamento in fretta e furia cercando di non farsi sentire.

Una volta fuori la ragazza si mise a correre per allontanarsi il più velocemente possibile da quel luogo. Solo quando macinò metri di distanza, si fermò per riprendere fiato guardandosi intorno. La città desolata era ancora addormentata ed immersa nel buio e quell’atmosfera era sicuramente più rassicurante di qualsiasi altra.

La ragazza, terminata la pausa, si mise di nuovo lo zaino in spalla e proseguì il suo cammino. Non sapeva dove andare, magari avrebbe chiesto aiuto in qualche bar e fatto una telefonata ma un altro problema la bloccava: dove poteva trovare il coraggio e la forza per chiamare i genitori con il timore di non essere perdonata?

Nel pomeriggio, in un altro luogo…


Quei giorni erano passati lentamente anche per tutti gli altri protagonisti. I funerali della signora Vanessa, nonna Coco per Michele, avvennero nel silenzio e nel rispetto della famiglia motivo per cui Anna e Kristoff non osarono interferire e fare domande sulla storia di Emma anche se sapevano che Judy e Nick continuavano a lavorare per loro segretamente.

Anna non aveva ancora detto a nessuno della gravidanza perché voleva tenerlo per sé stessa e passare inosservata. Perché riferirlo a tutti per poi sentirsi dire: “Congratulazioni!”…di che cosa doveva festeggiare? Aveva vinto il premio di: “Mamma peggiore dell’anno?”

“Pronto Kris?” rispose lei al telefono durante la pausa pranzo all’asilo nido.

“Anna, ho buone notizie! Hanno scoperto chi sono i ragazzi scappati con Emma. Sono tutti minorenni tranne il loro capo che si chiama Alessandro detto Biff. I compagni dicono che sia questo il delinquente che ha traviato nostra figlia. Ora hanno contattato gli assistenti sociali e andranno a vedere in una casa intestata al ragazzo che si trova a 4 ore da qui. E’ molto probabile che si siano rifugiati lì” spiegò Kristoff euforico contento di aver trovato la soluzione. Presto Emma sarebbe tornata a casa e avrebbero ricostruito tutto.

“O-ok…bene…” disse Anna cercando di nascondere la sua preoccupazione.

“Non sei convinta?!” continuò Kristoff non riuscendo ad interpretare il suo tono di voce.

“Sì sì ok, però ne parliamo meglio stasera quando torno a casa, ora devo lavorare” tagliò corto lei per non mostrare ciò che la turbava.

Dopo aver concluso la telefonata, Anna si mise le mani tra i capelli. La continua nausea, l’idea di avere una figlia chissà dove e con persone poco raccomandabili la distruggevano. La donna cercò di rimettersi in sesto e non pensarci troppo.
Doveva essere fiduciosa e seguire i suggerimenti del marito: presto Emma sarebbe tornata a casa e si sarebbe risolto tutto.

Presso le scuole medie…


“Parlo con i coniugi Ryder?” domandò il preside telefonando a casa di Flynn e ricevendo risposta da Rapunzel, appena rientrata a casa dopo una lezione al conservatorio.

“Sì, sono la moglie mi dica” rispose Rapunzel seria.

“Sono la preside della scuola di suo figlio, vorrei convocarla immediatamente perché Pietro è stato coinvolto nella rissa con un compagno di classe e vorrei parlarne in privato” spiegò la preside chiedendo a Pietro di accomodarsi fuori dal suo studio nel frattempo, in modo da poter parlare segretamente con la madre.

Rapunzel riagganciò la telefonata e corrugò la fronte: era insolita una notizia del genere! Pietro non aveva mai picchiato nessuno! Cosa gli era balenato in testa?!

“Io e te facciamo i conti dopo” disse Rapunzel una volta raggiunta la scuola e notando il figlio con un livido sulla faccia e del ghiaccio sul ginocchio.

“Professoressa mi scuso in anticipo per il comportamento di mio figlio ma…” cominciò a giustificarsi la donna una volta entrata nello studio del dirigente scolastico.

“Si fermi, non è necessario. Pietro mi ha spiegato di essere stato insultato ed istigato alla violenza. Devono aver preso in giro la solita questione dell’adozione, anche se a mio parere deve esserci stato dell’altro. Un docente dice di averlo visto difendere più volte una vittima di bullismo.” Interruppe la preside facendo accomodare Rapunzel.

“Pietro non mi ha mai detto nulla del genere… e chi sarebbe la vittima di bullismo ipotizzata?... se mi è consentito saperlo” la mente della donna cominciò a fantasticare. Rapunzel immaginò una eventuale fidanzatina, un’amica del cuore, una compagna in difficoltà o il suo migliore amico ma mai si sarebbe immaginata di sentire quella risposta.

“Si tratta di Ariel Bjorgmann”

Rapunzel rimase spiazzata nel sentire il nome della parente. Pietro stava proteggendo la cugina nel silenzio senza dirlo a nessuno.

“La figlia di mia cugina?! Come è possibile! E’ così una bella e brava ragazza! Da quanto è bullizzata?!!” chiese la bionda scioccata non riuscendo a trovare le parole giuste.

“Ce ne siamo accorti recentemente anche se la ragazza lo ha sempre smentito. Ora stiamo monitorando la situazione e tenendola d’occhio perché sono solo ipotesi, ma al più presto contatteremo i genitori di Ariel per metterli al corrente della cruda realtà nella quale è immersa la figlia. E per quanto riguarda suo figlio…le consiglio di parlare con lui sia delle ragioni della rissa che del resto. Dovrei essere molto più severa ma lo conosco ed è sempre stato un ragazzo d’oro, studioso, appassionato e premuroso nei confronti degli altri. Non mi sembra giusto punirlo proprio l’anno della terza media se comunque la questione è facilmente risolvibile”

Rapunzel ringraziò di cuore la docente e, una volta per strada con Pietro si girò verso di lui e, a braccia conserte, cominciò l’interrogatorio.

“Perché hai picchiato Giacomo?!” domandò lei arrabbiata.

“Mi danno del ragazzo rubato perché sono stato adottato! E io non ne posso più! E’ già dura per me sapere di essere nato da altri, mi ci mancano solo loro a ricordarmelo!” disse lui iniziando a piangere. Per Rapunzel era una pugnalata aprire tutte le volte quel discorso perché aveva paura di perdere il suo bambino.

“Perché ti fa così male questa cosa?! Ok, sei adottato ma non sei felice di avere noi?!” continuò la madre con il timore di farlo soffrire.

“Perché voglio delle risposte! Dentro di me vorrei sapere chi sono i miei veri genitori!” disse lui arrabbiato con sé stesso e con la circostanza.

Una pugnalata. Ecco la sensazione che provava Rapunzel in quel momento. Dove aveva sbagliato? Lo aveva educato male, lo aveva traumatizzato? Perché in lui rimaneva la curiosità e il desiderio di conoscere quegli sconosciuti che si erano solo limitati a partorirlo? Perché Pietro?! Perché!?

“Ascolta, io e papà ci abbiamo provato. Ti abbiamo cresciuto, ti abbiamo curato e amato. Sei la cosa più preziosa della nostra vita e l’idea di perderti mi terrorizza. E’ giusto che tu conosca il tuo passato. Se vorrai, quando raggiungerai l’età consentita, potrai cercare i tuoi veri genitori ed andartene da noi.” Disse lei con le lacrime agli occhi.

“Me lo lascereste fare?!” chiese stupito Pietro guardando la donna negli occhi.

“Sì”

Una risposta forte, rapida e pungente che arrivò dritta al cuore di Pietro. Il ragazzo non avrebbe mai abbandonato Flynn e Rapunzel, ma il soffrire della sua condizione di fronte a una presa in giro significava che, in fin dei conti, non si era ancora accettato.

“Mi ha detto anche di Ariel, è vero che viene bullizzata?!” chiese poi la donna asciugandosi le lacrime e cambiando argomento per permettere al figlio di pensare e riflettere.

“Sì, lei non lo vuole dire a nessuno.” Spiegò lui chinando il capo.

“Perché non l’avete detto almeno a noi?!” si alterò Rapunzel preoccupata anche per la parente.

“Perché lei si arrabbiava con noi! Io e Aurora le abbiamo consigliato di denunciare la cosa, ma lei…”

“Aspetta, anche Aurora sa di questa faccenda?! Ragazzi, in che guai vi state cacciando?” lo interruppe lei sempre più confusa.

“Mi dispiace mamma, ma nemmeno noi sapevamo come comportarci e così ci limitiamo a difenderla quando siamo insieme” terminò Pietro consapevole della gravità della cosa.

Rapunzel si mise a ragionare sulla questione. Era incredibile scoprire quante cose succedono alle loro spalle e nelle vite dei propri figli senza venirne a conoscenza! Non sapeva come comportarsi. Parlare ad Anna di un altro problema oltre a Emma la distruggerebbe. L’unica soluzione era parlarne con Elsa e gli altri familiari prima che la faccenda finisca per sfuggire di mano.

Quanto era complicato fare il genitore!

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Capitolo 14
*** SCONOSCIUTI ***


CAPITOLO XIV

SCONOSCIUTI


Nel pomeriggio dello stesso giorno…


Emma camminava per le strade di quella città che ora, alle 18.00, si muoveva in modo frenetico. Le persone uscivano dagli uffici con il sorriso per poter finalmente tornare a casa e riabbracciare i propri cari. C’erano dei papà che tenevano per mano i propri bambini, adulti indaffarati che parlavano al telefono con i colleghi di lavoro e donne che uscivano dai supermercati con borse cariche di alimenti. Emma osservava tutto ciò e sentiva continuamente delle strette al cuore quando vedeva quelle situazioni. A quell’ora, in genere, suo padre Kristoff rientrava in casa e preparava la cena visto che Anna, bene o male, rientrava sempre più tardi.
Emma socchiuse gli occhi e ricordò momenti della sua vita passata che aveva rimosso da ormai troppo tempo. Le tornarono in mente le partite a carte con Ariel e il papà prima di cena, le risate e i giochi mentre si mangiava, i discorsi seri e, infine, il film tutti insieme sul divano.

Ora tutto questo dov’era? Sparito. Emma aveva buttato tutto nel cestino e si trovava sola in una città sconosciuta. Visto che iniziava a farsi buio, la ragazza si sedette su una panchina per capire che cosa fare. Era in piedi dalla sera prima, aveva trascorso la notte più brutta della sua vita, era scappata da Biff che sicuramente la stava cercando ed ora non sapeva dove andare. A pranzo si era comprata un panino nel primo bar aperto e per la cena non voleva mangiare nulla perché l’agitazione le aveva tappato lo stomaco.  Non aveva il coraggio di chiamare nessuno, non aveva un posto dove dormire, temeva che Biff spuntasse da qualche parte per attaccarla… immersa da quei pensieri la ragazza cominciò a piangere mostrando di nuovo la sua fragilità. Alla fine la quindicenne era umana, aveva dei sentimenti, dei pensieri, delle paure e l’averle represse per troppo tempo non le aveva fatto bene.

Stava continuando il suo pianto liberatorio quando qualcuno la interpellò.

“Che c’è, hai provato gli schifosi panini di Igeo? Ah, lo sapevo che quel panificio fa schifo!”

Emma smise immediatamente di piangere e sollevò il volto per osservare chi le stava parlando. Davanti a lei c’era un ragazzo alto, magro, con i capelli mori e gli occhi castani nascosti da due occhiali quadrati. All’apparenza lo sconosciuto sembrava buono e simpatico, un prototipo di ragazzo che Emma non aveva mai visto.

“Ehm, sì in effetti non era buonissimo quel panino” rispose la ragazza asciugandosi le lacrime.

“Allora, visto che mi sembri un po’ sciupata, ti porterei a mangiare in un posto carino di qui… è ovvio che tu non sei di queste parti e magari ti serve una guida!” continuò il ragazzo sorridendole con serenità.

“Ah che stupido… mi chiamo Luca e sappi che ti puoi fidare di me. Non ti mangio mica! Sono un povero studente di Psicologia, che male potrei farti?” terminò lui ridendo e facendo sorridere anche Emma.

Emma esitò un attimo per poi alzarsi e seguirlo. In effetti in quella condizione cosa aveva da perdere? Almeno lo sconosciuto simpatico l’avrebbe fatta mangiare e stare al caldo. Per la notte ci avrebbe pensato dopo.

“Eccoci arrivati! Guarda io ti consiglio un piatto di mare! Qui sono davvero buoni!” disse lui indicando il menù del ristorante.

“Ehm…non ho abbastanza soldi…” aggiunse Emma abbassando lo sguardo intimidita.

“Hey tranquilla! Sei una sorta di forestiera, offro io. Ah…e non metterti in testa strane idee eh! Non è un appuntamento e non voglio provarci con te!”
spiegò Luca entrando nel locale e facendo accomodare la ragazza ad un tavolo.

“Tu abiti qui?” chiese poi Emma riuscendo, finalmente, ad aprirsi un po’ con lo sconosciuto.

“Sì, ho un appartamentino in affitto da circa due anni. Tra poco mi laureo e vedrò dove andare. Tu come hai detto di chiamarti?”

“Veramente non l’ho detto. Sono Emma” si presentò lei ringraziando il cameriere per averle portato da bere.

“Emma, bel nome. E quanti anni hai?” domandò lui portando alla bocca il bicchiere.

“Ehm… tra un mese faccio i 16… sono in seconda superiore”

Luna non si aspettava una risposta del genere e finì per ingozzarsi con l’acqua e tossire.

“Oddio, sono perseguibile per legge allora! Io ho 23 anni… cosa ci fai in una città completamente da sola?!” chiese lui incuriosito dalla strana adolescente.

La ragazza non riuscì a rispondere. Affermare di essere scappata le metteva una certa vergogna.

“Sei scappata, ho capito” intuì lui.

“Come lo sai?!” domandò lei colpita dall’intuito del ragazzo.

“Perché è la stessa cosa che feci io due anni fa trasferendomi qui. Avevo una situazione pesante a casa e me ne sono andato. Posso dirti, però, che scappare non serve. Io ora ho trovato un equilibrio con la mia famiglia e ho imparato a convivere con le due realtà. Devi riuscire a farlo anche tu…con chi sei venuta qui?” domandò lui senza farsi troppi scrupoli.

“Dei deficienti…ho sbagliato tutto” cominciò a dire la ragazza intenzionata a svuotare il sacco di fronte a una persona che pareva molto competente e sensibile.

“Quest’anno mi faceva schifo tutto. La scuola mi ha mandata in crisi perché non mi dava niente, mi annoiavo a studiare, la mia migliore amica mi ha piantata in asso, mia sorella più piccola mi stava addosso, i miei genitori mi guardavano come se fossi una bambina e io ho finito per attaccarmi ad un gruppo di ragazzi un po’ ribelli.”

“E scommetto che ti sei fidanzata con il loro leader e hai capito a tue spese che è una persona poca affidabile” la interruppe lui facendo un cenno con la testa per indicare i segni rossi ancora ben visibili sul collo della ragazza.

“Esatto… il modo con cui mi ha trattata ieri sera mi ha fatto spaventare e capire che stavo facendo una cavolata. Di sicuro i miei genitori mi stanno cercando e probabilmente anche la polizia ma io non so che cosa fare. Da una parte non voglio tornare, dall’altra ho capito di aver sbagliato e che loro non meritano tutto questo” concluse Emma con rammarico non riuscendo a guardare l’altro in volto.

“Ok ascolta…sei minorenne, sicuramente quando tornerai avrai delle conseguenze e probabilmente i tuoi amichetti passeranno guai grossi visto che ti hanno praticamente costretta a vivere con loro. Tu però non puoi tornare se non capisci chi sei…”

“Che intendi dire?!” chiese Emma confusa.

“Sei partita per trovare la tua vera identità e ora vuoi tornare a casa più confusa e distrutta di prima. Devi capire di avere sbagliato veramente e avere la voglia di ricominciare per diventare una persona migliore. Senti, non mi pare che tu abbia altre alternative, ma ti proporrei di restare in questa città ancora per qualche giorno. A casa mia ci sono due letti separati…e stai tranquilla che non ho intenzione di fare nulla con te. Abbiamo 8 anni di differenza, potresti essere mia sorella anche se sei veramente una bella ragazza per l’età che hai” propose il giovane facendo per alzarsi e pagare il conto.

Emma ci pensò qualche secondo. Quel ragazzo l’attraeva, possedeva qualcosa che non aveva mai visto nelle altre persone. Lo conosceva da qualche ora e già si sentiva al sicuro con lui, come quando si sta vicino ad un amico capace di farti sentire al riparo. Luca era semplice, simpatico, serio e maturo al punto giusto. Probabilmente aveva affrontato dei problemi molto seri che erano riusciti a farlo cambiare in meglio…da una persona così c’era solo da imparare.

A casa di Luca…


L’appartamento era piccolo ma confortevole. Aveva una camera con un letto singolo, un bagno un po’ stretto e un bel soggiorno con angolo cucina molto raffinati.

“Sì beh, adesso ti preparo il divano. Dicevo di avere due letti ma in realtà intendevo il divano. Mi spiace ma, per quanto sia comodo, non ho intenzione di cederti il mio letto. Sembrerò maleducato ma io non riesco a dormire negli altri posti” spiegò Luca prendendo una coperta e un cuscino dall’armadio.

“Va benissimo, anzi…stai già facendo tanto per me!” ringraziò Emma sedendosi su una sedia.

“Dimmi un po’ Emma… quali sono le tue passioni, i tuoi sogni?” chiese Luca mettendo dell’acqua a bollire sul fuoco.

“Non ne ho” rispose schietta la ragazza rendendosi conto di essere veramente vuota. Non aveva desideri, non sapeva più cosa le piaceva, cosa la ispirava…non si conosceva per nulla.

“E…allora dimmi qualcosa su di te” stuzzicò ancora Luca porgendole la tazza di tè.

“Non so più niente di me… e dico per davvero. Ci sto pensando ma non mi viene in mente nulla. Mi sento così confusa” rispose Emma scuotendo la testa.

“Perfetto allora abbiamo capito qual è il nostro obbiettivo!” esclamò il ragazzo mettendosi in piedi e dirigendosi verso una buffa lavagnetta a forma di elefante.

“Che fai con quello?” rise Emma nel vedere quell’aggeggio da bambino piccolo.

“Tutto! E’ essenziale per vivere avere uno strumento di questo tipo! Ci scrivo sopra tutto… per ricordarmi qualcosa, per tirarmi su di morale quando sono triste, per divertirmi. Ora ti spiego ciò che ho capito, e fidati che non mi comporto così perché studio psicologia eh, ma… tu, cara Emma, non te ne andrai da qui finché non scoprirai: CHI SEI!”

Durante la spiegazione il ragazzo aveva preso un gessetto azzurro e aveva scritto: “Chi sono?” su quella bizzarra lavagnetta.

“Ed ora ti consiglio di andare a dormire, devi essere molto stanca dopo una giornata in giro. Se hai bisogno di farti una doccia fai pure, tanto non vengo a spiarti…ho troppo sonno per farmi prendere dagli ormoni. Buonanotte Emma, e rifletti su ciò che ti ho detto! Prima capirai chi sei e meglio starai!”
Concluse Luca sorridendo all’ospite e allontanandosi.
Emma si distese sul divano e fissò il soffitto ripensando a quella giornata e a come l’avesse cambiata. In 24 ore aveva capito di essersi comportata male, di non volere più una vita come quella di prima e di desiderare il ricongiungimento con la sua famiglia. Luca poi, che dire…era perfetto. La ragazza non capiva ma il suo corpo si trasformava e le mandava dei segnali quando era a contatto con lo sconosciuto. Sentiva il cuore battere forte, una sensazione di pace e spensieratezza e una forte attrazione nei confronti dell’altro. Forse era ammaliata dal modo con cui lui le parlava, o per la bravura con cui le diceva le cose aiutandola a interiorizzarle o dalla capacità di farla sentire al sicuro.

Emma sapeva che non doveva fidarsi degli sconosciuti, ma Luca era diverso.

A casa di Elsa…


“Rapunzel? Che ci fai qui?” disse Elsa vedendo la cugina dal citofono e correndo ad aprirle.

“Devo parlarti, ed è abbastanza urgente” affermò la donna entrando in casa e spogliandosi la giacca.

“Dimmi tutto, ti posso offrire qualcosa?” chiese Elsa facendola accomodare sul divano.

“Nono, tranquilla. Sono andata a scuola perché Pietro ha fatto a botte con un compagno. Cosa abbastanza insolita per lui… ma pare che l’abbia fatto per difendere Ariel” spiegò la donna cercando di essere esaustiva.

“Ariel? Cosa c’entra?” replicò Elsa sempre più dubbiosa.

“I nostri figli la stanno proteggendo dal bullismo. Non ci hanno detto nulla, ma pare che appunto Ariel sia una vittima da molto tempo.” Concluse Rapunzel accavallando le gambe.

“Oh no…povera Anna!” sbuffò Elsa mettendosi le mani tra i capelli.

“Esatto…stessa cosa che ho pensato anche io. E’ già distrutta per la fuga di Emma, per il fatto che la cosa stia uscendo troppo allo scoperto e lei non si sa dove sia e in più…”

“E in più è incinta di nuovo…” concluse Elsa guardando l’amica in volto.

“No aspetta, che? Questo non lo sapevo!”

“L’ho capito da sola… è venuta a trovarmi dopo il lavoro ed aveva un sacco di nausea, tanta preoccupazione e un test di gravidanza nella borsa. Non le ho detto nulla perché penso che nemmeno Kristoff ne sia a conoscenza.”

“Ecco questo spiega il nostro discorso. Non si sente degna di diventare madre di nuovo e l’idea di avere anche l’altra figlia bullizzata non so quanto possa far bene alla sua salute e a quella del piccolino che forse aspetta” ipotizzò Rapunzel.

“Io ne parlerò direttamente con mia nipote. Magari Ariel riuscirà ad aprirsi e confidarmi tutto. Farò anche un bel discorsino ad Aurora… il bullismo è grave e bisogna intervenire al più presto.” Terminò Elsa con convinzione.

“Speriamo si risolvi tutto” aggiunse Rapunzel prima di tornare a casa.

 
…Speriamo…

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Capitolo 15
*** FALSA SPERANZA ***


CAPITOLO XV

FALSA SPERANZA



Il giorno dopo…


“Emma ci ha messi nei casini! Se ne è andata, ieri l’abbiamo cercata tutto il giorno ma non l’abbiamo trovata. Ora che cazzo facciamo?!” si arrabbiò uno dei ragazzi picchiando i pugni sul tavolo.

“Non lo so, ero ossessionato da quella stronza! Se la riprendo l’ammazzo…” aggiunse Biff nero di rabbia fumando la terza sigaretta della mattina.

“FERMI, POLIZIA!” urlarono degli agenti entrando nell’appartamento con le pistole bene in vista.

“Ecco lo sapevo, quella cretina ci ha fatti scoprire! Dovevamo tenercela stretta!” si alterò uno dei ragazzi cercando di liberarsi dalla presa dei poliziotti.

“In realtà non siete stati molto intelligenti. Scappare dalla scuola e rifugiarvi nella casa del vostro capo?! Non è stata un’ottima mossa” disse un poliziotto portando in macchina i piccoli delinquenti.

“Manca proprio Emma però!” precisò un altro agente dopo aver perlustrato la casa.

“Alessandro, tu probabilmente passerai guai molto seri. Hai portato dei minori sotto l’ala, avrai sicuramente delle ripercussioni! Ora dicci… dov’è Emma Bjorgman?” lo interrogò il responsabile dell’operazione ma Biff non rispose.

“E’ fuggita… Biff l’ha minacciata l’altra sera e lei deve essersi spaventata” disse l’altra ragazza del gruppo cercando di aiutare gli agenti. Magari avrebbero premiato la sua buona condotta.

“Come facciamo a trovarla adesso?! Potrebbe essere ovunque! Avvertiamo Judy subito”

Quella stessa mattina…


“Anna, sono Judy!” disse la donna telefonando alla madre della ragazza dispersa.

“Dimmi che hai buone notizie!” implorò Anna preoccupata incrociando le dita e strizzando gli occhi.

“Sono entrati nell’appartamento e hanno preso tutti i ragazzi, ma Emma non c’era. Dicono che sia stata maltrattata e minacciata e che l’altra notte se la sia data a gambe” rispose Judy dispiaciuta di dover dare una notizia del genere a una mamma.

Anna non rispose perché le gambe le crollarono di nuovo. Riagganciò la telefonata e si fece mangiare dai pensieri. Emma ormai era perduta! Aveva trascorso una notte intera chissà dove! Poteva essere stata presa da qualcun altro, rapita, aggredita, poteva essersi sentita male e ora non l’avrebbero mai più trovata. Anna si sentiva morire, si dava dell’incosciente, della pessima madre. Se solo non si fosse lasciata prendere dalla rabbia quella sera!
Stava per essere divorata dai sensi di colpa quando non si accorse di un bambino dell’asilo nido che stava picchiando un altro coetaneo.

“Anna! Che succede?! Non li hai notati?!” la rimproverò la coordinatrice comparendo in quell’esatto momento.

“Scusami, non so dove ho la testa” rispose Anna muovendo la testa e cercando di ricacciare indietro le lacrime.

“Hai saputo qualcosa per tua figlia?” le chiese l’altra premurosa.

“Non l’hanno trovata, e scusami ma io mi sento male. Sia fisicamente che psicologicamente. In più sono anche incinta e questa cosa mi sta mandando fuori di testa” si sfogò Anna tirando fuori tutti i segreti.

“Senti, non riesco ad immaginare il dolore che stai provando, ma vivere così non ti fa bene. Lavorare al nido richiede energia e vitalità. Tu rischieresti di trascurarti e di rovinare la gravidanza…come sai i primi mesi sono fondamentali per una buona formazione del bambino. Per questo ti proporrei di congedarti dal lavoro per un po’, almeno finché non sarai più serena. Non è un licenziamento, non lo direi mai perché sei la migliore del team, ma se stai male te di conseguenza sta male anche tutto il servizio” concluse la coordinatrice mettendo una mano sulla spalla di Anna e invitandola a seguirla nell’ufficio per firmare le carte di congedo.

Anna tornò a casa completamente distrutta, con lo sguardo vuoto, il volto pallido e un senso di smarrimento e delusione dentro di sé.

“Ciao mamma” salutò Ariel sperando di ricevere buone notizie.

“Ariel, purtroppo tua sorella non è ancora saltata fuori. Non so più che cosa sperare…” riuscì a dire Anna dando una veloce carezza alla figlia per poi chiudersi nella stanza matrimoniale. Ariel rimase immersa nel silenzio. Anche lei avrebbe voluto parlare, raccontare il dolore che aveva dentro per essere stata tradita dal suo primo fidanzatino, per gli insulti che si accumulavano di giorno in giorno, per i quattro in matematica causati da una sua crisi interiore. La ragazzina finì per tornare nella sua stanza e, in preda alla confusione, cominciare a piangere. La verità era che anche Emma le mancava…e le mancava molto.

Nel frattempo, a casa di Luca…


I due nuovi amici avevano trascorso la mattinata in armonia raccontandosi del più e del meno. Emma si sentiva finalmente diversa! Un amico del genere le serviva. Luca l’affascinava veramente tanto e, da una parte, aveva paura di esserne innamorata. Sapeva bene della differenza d’età, ma non l’importava: più passava il tempo insieme a lui e più capiva di non aver mai amato nessuno, nemmeno Biff.

“Perché hai scelto di studiare psicologia?” domandò Emma sedendosi accanto a lui sul divano.

“Perché ho sempre voluto aiutare gli altri. Sono un ragazzo molto calmo come vedi e questo mi consente di pensare, ragionare e trovare sempre le soluzioni migliori. La mente umana poi mi ha sempre affascinato!”

“Allora potresti descrivere il periodo che sto vivendo attraverso la psicologia?” chiese Emma cominciando a ridere.

“E’ forse una delle età più complesse l’adolescenza. Come ti sarai resa conto il tuo corpo è cambiato, hai qualche brufolo sul viso, in piena pubertà, magari non ti piaci e vorresti cambiare qualcosa di te. Dal punto di vista dello sviluppo, la tua testa è un completo disastro. Vorresti una normale indipendenza dai genitori, non sai più chi sei, cosa ti piace e quindi è come se fossi immersa nel caos…poi a monte il fatto che tu abbia fatto una vera e propria cazzata scappando di casa e seguendo dei delinquenti” spiegò lui serio ammonendola con lo sguardo per la cattiva condotta.

“Che problemi hai con la tua famiglia?” domandò poi Emma incuriosita, senza sapere di aver toccato un tasto molto dolente.

“I miei genitori continuano a tradirsi a vicenda e la cosa mi ha scosso all’inizio. Io non sono d’accordo sul vivere la vita matrimoniale così. Loro facevano tutto, si scagliavano pietre e insulti addosso e si dimenticavano di me. O meglio…mi usavano come arma per ammazzarsi reciprocamente. Non ce l’ho più fatta e me ne sono andato” disse lui guardando un punto fisso nel vuoto.

Emma ripensò molto a quelle parole e, ancora una volta, si rese conto di aver sempre avuto tutto. Due genitori innamorati come Anna e Kristoff non li aveva nessuno.

“I tuoi genitori invece?” chiese lui interrompendo i suoi pensieri.

“Sono perfetti. Me ne sto rendendo conto ora che ho sentito la tua esperienza. Mamma è rimasta incinta di me a 18 anni, in quarta superiore. Lei e papà hanno deciso di non mollare e mi hanno cresciuta insieme arrivando a sposarsi a 20 anni… e poco dopo è nata mia sorella”

“Cavolo…sei fortunata Emma. E’ difficile amarsi per tanti anni, soprattutto quando le storie cominciano così presto. Hai una famiglia speciale e devi tenertela stretta”

 “Quali sono le tue materie preferite?” domandò poi lui incuriosito.

“Scienze, Chimica, Matematica…insomma tutte quelle scientifiche” rispose lei subito. Su quello non la schiodava nessuno: Emma amava ed era affascinata da quei contenuti.

“E che voti hai in quelle materie?” chiese lui.

“Nelle altre ho a malapena il 7, ma in queste ho il 10”

“Wow! Allora vuol dire che hai un dono…” constatò lui sbalordito.

“Non lo so, io veramente non ho mai dato troppo peso a questa cosa. Penso sia normale…” rispose lei dubbiosa.

“Non è normale. E’ un segno Emma…significa che sei portata per quegli argomenti e che devi approfondirli! C’è qualcos’altro che ti piace di quelle materie? Cosa facevi nel tempo libero prima di diventare una piccola teppista?” continuò a interrogarla lui puntando a un obbiettivo.

“Io…penso di amare la medicina. Ora che mi ci fai pensare, l’anno scorso passavo ore e ore di fronte ai documentari o quei film cruenti dove fanno vedere le operazioni dal vivo. Non mi hanno mai fatto paura, anzi…mi affascinavano. L’idea che un uomo possa, attraverso le medicine e la chirurgia, curarne un altro è una cosa molto bella” disse lei emozionata di fronte a quei ricordi. Quanto le mancavano quei momenti!

“Ti brillano gli occhi sai? Forse hai nascosto la parte più bella di te per troppo tempo… e sono contento perché più ragioni e più ti accorgi, da sola, di essere una brava persona. Io non sono nessuno ma davvero ti consiglio di approfondire questa tua passione e di tentare il test di medicina appena potrai farlo. Servono buoni medici al giorno d’oggi e devi darti più fiducia perché le capacità le hai”

Terminate quelle parole, i due finirono per essere avvolti da un silenzio imbarazzante. Luca si sentiva confuso ad avere vicino quella ragazzina. Anche lui provava una certa attrazione nei suoi confronti, soprattutto perché era convinto che con il tempo, Emma si sarebbe trasformata in una bellissima rosa. Il ragazzo stava per imbambolarsi su quei pensieri quando concluse il discorso dicendo:

“Bene, abbiamo scoperto cosa ti piace. C’è un bellissimo museo della scienza qui, che dici ci andiamo?”

Emma annuì con energia e i due si prepararono ad uscire.

A casa di Judy e Nick…


Michele si era chiuso nel silenzio dopo la morte di nonna Coco. La sua vita era radicalmente cambiata. Il bambino andava a scuola triste, non riusciva a concentrarsi, non giocava più come una volta e, soprattutto, non ascoltava più musica.

“Non sono mai stato capace di suonare, figuriamoci se suonerò a una stupida audizione” si irritò lui guardando il volantino del concorso a cui lo zio Oliver l’aveva iscritto. Più pensava alla musica e più si arrabbiava. Fu così che il bambino afferrò il foglio e, dopo averlo stracciato in mille pezzi, lo buttò nel cestino.

Le lacrime gli scorrevano silenziose lungo il volto. Michele sapeva dentro di sé che la musica lo chiamava, lo cercava, ma lui non aveva più voglia di suonare. Senza sua nonna non aveva ispirazione, non aveva gioia. Per questo motivo Michele, dopo averci pensato bene, afferrò il manico della sua speciale chitarra bianca e la rinchiuse dentro l’armadio.

Per una settimana niente musica: solo silenzio.

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Capitolo 16
*** FORZA INTERIORE ***


CAPITOLO XVI

FORZA INTERIORE


A casa Bjorgmann la mattina successiva…


Kristoff non aveva chiuso occhio tutta notte. Anche lui il giorno prima era venuto a conoscenza della reale scomparsa di Emma e cominciava a temere il peggio. L’uomo aveva paura, ma si era promesso di mostrarsi sicuro e speranzoso proprio per dare supporto alla moglie e all’altra figlia che sembravano, ormai, due morti viventi.

“Non vai al lavoro oggi?” chiese l’uomo alla moglie notandola ancora nel letto nonostante l’orario.

“No, mi hanno sospesa per un po’” rispose lei per poi alzarsi di scatto e correre nuovamente in bagno.

Anna si stava trascurando, non gli diceva più le cose e non aveva più quello sguardo romantico e positivo di cui si era innamorato.

“Tu sei ancora qui?” disse lei uscendo dal luogo tutta tremante e dirigendosi verso il letto.

“Mi vuoi dire che ti prende?” chiese lui titubante iniziando ad insospettirsi.

“Sto male Kris…questo deve bastarti” rispose lei secca cercando di tagliare corto.

“Questo l’avevo capito anche io” rise il marito avvicinandosi e mettendosi in ginocchio di fronte a lei per guardarla meglio in volto. Anna non riuscì a reggere il silenzio e la situazione motivo per cui tirò fuori tutto.

“Non ce la faccio più Kris, sono un disastro. Non sono stata nemmeno capace di tenermi appresso nostra figlia, lei mi odia, non la troveremo più e io come faccio a…crescerne un altro senza rimorsi?!...sono incinta Kris, e non sono pronta.” Sbottò lei mossa dai singhiozzi. Kristoff si aspettava una notizia del genere e, a differenza della moglie, ne fu molto felice motivo per cui, sul suo volto, comparì un sorriso.

“Amore, ma non capisci? E’ un segno anche questo! Io sono sicuro che Emma tornerà e il bimbo sarà l’occasione per ricordarti quanto sei brava!” disse lui porgendole un fazzoletto per asciugarsi i fiumi di lacrime.

“Non è vero, sono una frana! Non ho la forza per fare la madre!” continuò lei testarda.

Kristoff non ascoltò quell’ultima affermazione perché gli tornò in mente un ricordo di molti anni prima. Anna stava avendo un momento di crisi, ma Kristoff aveva impresso nella memoria la nascita di Emma: uno dei momenti più belli ma allo stesso tempo pericolosi e angoscianti della sua esistenza.

15 anni prima…


Kristoff, Anna, Rapunzel e Flynn erano ormai in quinta superiore, costantemente immersi dallo studio e dalle attività scolastiche. Elsa, Jack, Merida, Hiccup, Judy e Nick avevano iniziato le proprie carriere universitarie anche se i momenti di convivialità e ritrovo non mancavano.

Anna aveva trascorso quei mesi a studiare nonostante la gravidanza e la fatica.

“Quindi avete scelto il nome?” domandò Elsa rivolta alla sorellina.

“Non ancora…” rispose schietta Anna tenendosi le mani su quel pancione che sembrava più grande di lei. La ragazza non era di molte parole perché non si sentiva benissimo.

“Io e Jack pensavamo che in effetti sono molto belli i nomi corti, proprio come i nostri! Suonano bene e soprattutto…”

“Elsa, sento delle fitte” la interruppe Anna sporgendosi in avanti.

“Ci siamo dici?! Oddio che ansia… no cioè stai tranquilla, chiamo Kristoff e i nostri genitori” disse Elsa alzandosi in piedi e cominciando a fare telefonate a destra e sinistra mentre Anna iniziava ad avere le prime contrazioni.

In una mezz’oretta arrivarono i parenti ed Anna venne trasportata immediatamente in ospedale.

La ragazza rimase monitorata a lungo ed assistita durante il doloroso e lungo travaglio.

“Ma, più o meno, quanto ci vuole a partorire?” chiese Flynn curioso accorso in ospedale per dare supporto agli amici.

“Dipende dai casi…Anna non è stata molto fortunata. E’ dentro da sei ore ormai” spiegò Elsa parecchio agitata mentre camminava avanti e indietro lungo il corridoio.

“Io non voglio averlo un figlio…che ansia” affermò Jack parecchio preoccupato per i futuri parenti.

“Tu stai zitto, tanto se staremo ancora insieme, sarò io a dover partorire” ribatté a tono Elsa guardandolo torvo in viso.

“Sono con te amico” supportò Flynn mettendo una mano sulla spalla di Jack e immaginando la scena futura.
 
“Ok Anna, sei dilatata abbastanza finalmente! Sei pronta? Ci siamo!” avvertì l’infermiera trasportando Anna verso la sala parto. La ragazza era provata, tutta sudata e pallida. Quelle ore di contrazioni l’avevano particolarmente distrutta e la parte più difficile doveva ancora arrivare.

“Amore, andrà tutto bene!” disse Kristoff accarezzandole la testa mentre l’accompagnava in sala parto. Anche il ragazzo era rimasto segnato da quelle ore infernali e sperava che tutto andasse per il verso giusto.

Il parto cominciò ed Anna ce la metteva tutta. Urlava, si tirava su, non prendeva quasi mai fiato, ma niente da fare: il figlio non voleva saperne di venire alla luce.

“Non ce la faccio più!” gridò Anna crollando e lasciando che delle lacrime dolorose le solcassero le guance sul viso paonazzo.

“Sì che ce la fai! Sei forte tesoro!” disse Kristoff continuando a guardarla in volto e cercando di darle forza in quel momento così delicato. Perché ci stavano mettendo così tanto? Anna era distrutta, dove avrebbe trovato tutta l’energia per far nascere il piccolo? Anche i medici e l’ostetrica parevano provati e preoccupati…cosa c’era che non andava?

Poi eccolo, limpido, chiaro come un fulmine nel cielo: un pianto melodioso irradiò l’intera stanza.

“Congratulazioni! E’ una femmina!” annunciò l’ostetrica tenendo tra le mani una bimba che strillava e si dimenava.

La donna non esitò maggiormente e posizionò la piccola sul petto di Anna.

“E’ bellissima! Come te!” disse Kristoff con le lacrime agli occhi mentre osservava le sue donne finalmente insieme. Sembrava una magia! La piccolina si era subito calmata nel momento in cui entrò in contatto con il corpo della sua mamma. Le magie, però, tendono a finire perché Anna, che non aveva ancora detto nulla, chinò il capo e svenne. Il battito accelerato fece da indicatore per tutti i medici che si radunarono attorno alla ragazza e fecero allontanare Kristoff.

“Cosa sta succedendo?! Perché è svenuta?!” gridò lui mentre veniva spinto fuori dalla sala parto e nessuno voleva dargli spiegazioni.

Il ragazzo si ritrovò immediatamente fuori, circondato dagli amici e dalla famiglia che, come lui, non ci capivano niente.

“Allora? E’ nato?” chiese Flynn incuriosito.

“Anna! Deve esserle successo qualcosa! Mi hanno buttato fuori e non ho visto niente! Ho paura! Se non si risveglia più io non…”

Il ragazzo si sedette sulla sedia facendo per strapparsi i capelli dalla disperazione. Aveva il respiro affannato e la pelle d’ora dovuta al panico.

“Kris! Tranquillo! Vedrai che andrà tutto bene! Non sarà nulla di grave, siete giovani! Non è più un’età abituale per avere figli questa…calmo!” cercò di confortare Jack avvolgendogli il collo con il braccio.

“E il piccolo?” domandò Rapunzel spaventata.

“E’ una femmina… e per quel poco che l’ho vista ha gli stessi lineamenti di Anna. Niente capelli rossi però”

L’affermazione fece scalpore tra i presenti visto che tutti avevano scommesso sulla probabilità di far nascere una bambina dai capelli ramati.

“Kristoff Bjorgman, ora può rientrare” disse una dottoressa invitando il ragazzo a seguirla.

“E’ tutto sotto controllo, non si preoccupi! La ragazza ha sofferto molto ed era in carenza di zuccheri e liquidi, oltre ad aver perso molto sangue. Non sappiamo come abbia fatto ad affrontare un parto naturale con quella grinta! Deve essere davvero una ragazza forte… Ora è in quella stanza, con la vostra bambina che ha battezzato come Emma” spiegò il medico lasciando entrare il neo papà nella camera di ricovero.

Kristoff aprì la porta e si precipitò ai piedi del letto dove la sua dolce guerriera riposava.

“Kris” sussurrò lei con un fil di voce aprendo leggermente gli occhi.

“Tu non finisci mai di stupirmi eh?!” rise Kristoff sedendosi accanto a lei e prendendole le mani.

“Devo sempre fare le cose in grande” rispose lei abbozzando uno stanco sorriso.

Kristoff le baciò delicatamente le mani per poi girarsi ed osservare il loro batuffolino dormire tranquillo nella culla.

“L’ho voluta tenere in braccio fino ad ora e ci siamo addormentate insieme. Ho scelto Emma come nome, lo so che non era proprio tra i tuoi preferiti ma…”

“Va benissimo così Anna… ho avuto seriamente paura di perderti, quindi è il minimo che tu abbia scelto il nome dopo tutto quello che hai passato. I medici hanno detto che sei stata fortissima e non avevo bisogno della loro conferma. Ho visto come hai affrontato il tutto ed ero allibito dall’energia che avevi in corpo. Sei una guerriera Anna, e sarai una mamma formidabile per Emma. Ricordati questo momento quando, in futuro, dovremo vivere delle vere e proprie sfide educative e non saprai dove trovare la forza.”

PRESENTE: A casa di Rapunzel e Flynn…


“Tesoro, sono giorni che ti vedo spenta. Cosa c’è che ti turba?” domandò Flynn mentre si abbottonava la camicia.

“Tutto quello che sta succedendo mi mette tristezza. Non ne va bene una! Ho sentito Judy ed è in crisi visto che Michele non vuole più suonare la chitarra e si rifiuta di fare lezioni con me, Anna è depressa per la scomparsa di Emma e in più è all’oscuro del bullismo che opprime Ariel, Pietro…ha tirato fuori di nuovo il discorso dell’adozione” spiegò Rapunzel sedendosi sul letto ed incrociando le braccia.

“Cioè?!” domandò preoccupato Flynn voltandosi di scatto.

“A scuola l’hanno preso in giro ma sembra che lui non abbia ancora interiorizzato la cosa. Io non sapevo che cosa fare e gli ho detto che, se vorrà, quando raggiungerà l’età consentita potrà andarsene” disse Rapunzel con la voce spezzata.

“Ma sei matta?! Perché gli hai detto questa cosa?!” chiese Flynn sbuffando ed alterandosi.

“Ha il diritto di sapere la verità! Se ha bisogno di fare chiarezza su sé stesso è giusto che approfondisca la cosa!” disse Rapunzel cominciando ad alzare il tono della voce.

“No Rapunzel! Io non voglio che lui arrivi a tanto! L’abbiamo cresciuto dando il meglio di noi, abbiamo sofferto per lui e fatto dei sacrifici dei quali non mi lamento perché li ho sempre desiderati con tutto il mio cuore, e ora mi dici che gli hai dato questa opzione di scelta?! Sono io suo padre e tu sua madre! Gli altri sono tutti estranei…” iniziò ad urlare Flynn guardando torvo la moglie e continuando a litigare sulla questione.

Nel frattempo, fuori dalla porta, Pietro stava origliando tutto. Dentro di sé aveva una tale confusione! Vedere i genitori così animati e accesi su quell’argomento fece intendere al giovane di essere amato più di chiunque altro e gli dispiaceva procurare disagi. Aveva bisogno anche lui di riflettere e capire veramente quale fosse il suo posto.

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Capitolo 17
*** ENNESIMA DELUSIONE ***


CAPITOLO XVII

ENNESIMA DELUSIONE

Settimane dopo…


Emma non se ne era resa conto ma il tempo insieme a Luca volava. I due diventavano sempre più affiatati! Lui era in grado di farla crescere, riflettere, aprirle gli occhi sulle cose belle della realtà. Emma aveva imparato a stupirsi di nuovo di fronte a un tramonto, ad ascoltare il canto di un uccellino, a sorridere ai bambini per strada, ad amare la vita e a volerla tutelare. Insieme a Luca aveva visitato un bellissimo museo della scienza e visto programmi televisivi sulla medicina che la portarono a disintossicarsi dal fumo e ragionare sull’importanza della salute. Prima la ragazza era abituata a fumare molte sigarette al giorno, ora, grazie a Luca che la monitorava, stava guarendo dalla dipendenza in pochissimo tempo.
Più trascorreva il tempo con lui e più si accorgeva di esserne innamorata. Ne aveva sempre più la conferma! Luca era un amico, un fratello, un angelo in grado di proteggerla. Emma lo osservava cucinare, studiare, pulire la casa e voleva imparare ad assomigliargli sempre di più.

“Tu hai fratelli?” domandò Emma mentre mangiavano e trovando nuovi spunti di conversazione.

“No, figlio unico. E devo dirti che è davvero un peccato…se avessi un fratello ora il fardello familiare sarebbe più facile da superare” rispose lui versandole dell’acqua da vero gentiluomo.

“Parlami di tua sorella invece… perché ti sei così staccata da lei?” chiese lui curioso.

“Penso che la mia fosse una gelosia inconscia. Non capivo il perché ma nell’ultimo anno Ariel non la potevo sopportare. Lei era la coccolona di casa, la più brava, perfetta ed io mi sentivo un’emarginata. Ora mi rendo conto che molto del male che porta dentro è colpa mia” rispose Emma alzandosi dal tavolo e sedendosi sul divano dove lui non tardò a raggiungerla.

“Mi piace vedere come tu sia diventata sicura e dolce in una settimana!” si congratulò Luca guardandola negli occhi.

Tra i due si ricreò di nuovo uno strano silenzio, opprimente e leggermente imbarazzante. Entrambi provavano una strana pulsione, una propensione che li spingeva ad avvicinarsi. Emma non ce la faceva più a reggere quella tensione e così cominciò a sporgersi verso di lui. Luca socchiuse gli occhi e accorciò le distanze appoggiando le proprie labbra su quelle di lei.

Un bacio casto, leggero, quasi rilassante per quanto fosse delicato. Emma non aveva mai provato nulla di simile! Con Biff era solo violenza! I loro baci erano morsi, quello di Luca era una vera e propria carezza. Le loro labbra morbide si incastravano perfettamente, le lingue si toccarono, i loro corpi entrarono in contatto e, quando l’aria si fece più calda, qualcosa cambiò improvvisamente. Luca si staccò da lei e si mise le mani sul volto.

“Scusami, scusami…non dovevo! Che scemo che sono!” disse lui continuando a nascondersi il viso.

“No, perché? E’ stato stupendo!” riuscì ad affermare Emma ancora scossa da quel momento così diverso.

“Ho sbagliato tutto Emma! Tu non puoi innamorarti di me! E io non posso provare qualcosa per te!” continuò lui gesticolando leggermente con le mani.

Emma non capiva. Perché non la voleva? Ok, avevano 8 anni di differenza ma ce l’avrebbero potuta fare!

“Io sono fidanzato” affermò lui bloccandole il flusso di pensieri.

Ad Emma parve di percepire un coltello perforarle il cuore. Fidanzato?! Lui?! No, era uno scherzo!

“Mi dispiace tanto. Io sono venuto qui anche per riflettere sulla mia storia con lei. Sono tre anni che stiamo insieme, lei mi è stata accanto quando sono iniziati i problemi, mi ha dato molti consigli, ma io non ero più sicuro di amarla e me ne sono andato. Proprio ora che abbiamo quasi scelto di riprovarci tu mi hai riaperto il dubbio e non posso farmi condizionare!”

“Perché no? Se non sei sicuro di amarla perché non la lasci?” chiese Emma scossa cercando di trattenere le lacrime che si accumularono nei suoi occhi.

“Perché non è questa la cosa giusta da fare! Io ho voluto aiutarti per farti scoprire chi sei e ora che l’hai finalmente capito mi rendo conto che sei una ragazza molto matura e affascinante…ma è tutto impossibile! Tu ti meriti di meglio, sei molto più piccola di me, per legge non potremmo stare insieme ora, siamo di due città differenti…è un casino” Sussurrò lui scuotendo la testa per poi ritrovare la calma.

“Tu devi tornare a casa Emma. Domani ti riporterò personalmente nel tuo paese e tu ricomincerai la tua vita. E’ la cosa giusta da fare” concluse lui cercando di sorriderle consapevole, però, di averla illusa.

In effetti Emma sapeva che la loro relazione sarebbe stata impossibile, ma sperava in un lieto fine. Luca, però, aveva comunque ragione: lei doveva tornare alla sua vita e ricominciare, dimenticandosi di quella forte cotta.

A casa di Rapunzel…


“Ciao Michele! Eccoti finalmente a lezione di chitarra!” salutò la donna facendo entrare Michele nella sua casa.

Il bambino aveva la chitarra in spalla ma il volto era scuro e imbronciato.

“Ho parlato con tuo zio e mi ha spiegato come funzionerà il concorso. Dovrai suonare due studi e un brano scritto da te. Ne hai le competenze credimi, quindi bisogna solo allenarsi!” spiegò Rapunzel abbracciando la sua chitarra e invitandolo ad unirsi a lei.

“Hey coraggio! Ti ho già sentito suonare e so che non stai dando il meglio di te!” lo incoraggiò lei dopo aver sentito qualche nota del bambino.

“Io non penso di essere capace di scrivere un brano. Prima mi aiutava nonna, ma ora non ci riesco più” spiegò lui smettendo di suonare.

“Sai Michi, tutti i musicisti hanno un momento in cui si sentono incompetenti!” cominciò a spiegare Rapunzel.

“Dici davvero?” chiese il bambino curioso voglioso di ritrovare la forza per suonare.

“Sì, io ho avuto questa fase moltissime volte. Non sapevo che cosa fare, dove cercare, cosa suonare! Mi ascoltavo e mi facevo schifo da sola! Poi arrivava sempre qualcosa di bello… la musica è così devi saperla ascoltare sempre! Se tu apri il tuo cuore a lei, vedrai che l’ispirazione ti tornerà quando meno te l’aspetti. Devi solo fidarti di lei!” disse Rapunzel sorridendogli e cercando di comunicargli qualcosa.

“Ma io da solo non ho mai scritto nulla! La nonna mi dava le idee!” disse lui ancora triste cominciando subito a piangere.

“Hey! Non è vero questo! La nonna era la tua fonte d’ispirazione perché è lei che ti ha insegnato ad amare la musica! Ma le tue canzoni, che giustamente tieni private, sono opera tua. Ora ci sono io ad aiutarti per questo concorso ma, per la vita, dovrai ricominciare a suonare ricordandoti di avere sempre tua nonna nel cuore. Lei in questo momento avrebbe tanta voglia di sentirti suonare!” concluse Rapunzel accarezzando il figlio dei suoi amici e porgendogli un fazzoletto di carta per asciugarsi le lacrime.

Michele sembrava finalmente convinto o almeno speranzoso. Non sapeva quando gli sarebbe tornata l’ispirazione, ma ora almeno aveva ricominciato a suonare e farsi aiutare da una chitarrista bravissima.

A casa di Elsa…


Anna aveva trascorso quelle settimane in camera da letto. Nonostante i discorsi di Kristoff, la donna non riusciva a trovare la forza per ricominciare. Judy e Nick non avevano notizie di Emma e la ragazza pareva essere sparita nel nulla. Avevano cercato nelle città vicine, contattato la polizia, ma sicuramente non potevano mettersi a perlustrare tutte le case dei paesi circostanti!

Elsa aveva così deciso di invitare la sorella a casa con lei per cercare di supportarla e scuoterla.

“Anna, che brutta cera che hai!” constatò Elsa aprendole la porta e facendola accomodare.

“Non ricordarmelo grazie…” le rispose lei apatica sedendosi sul divano e ringraziandola per la tazza di tè.

“Perché non ti sfoghi con me?! Un tempo mi dicevi tutto! Ero la tua migliore amica!” si lamentò Elsa polemica.

“Sei la mia migliore amica…” ribadì Anna comunque sicura dei suoi sentimenti.

“E allora perché non me ne parli?! Sono sempre stata qui! Abitiamo in vie parallele, ci siamo aiutate per tuta la vita ed ora siamo diventate due sconosciute!” continuò Elsa vedendo che in questo modo, però, non otteneva nulla.

“Ok, inizio io a dirti una cosa importante. Io e Jack ci siamo finalmente ritrovati, abbiamo ricominciato ad amarci diciamo e… ce l’abbiamo fatta…speriamo non succeda nulla di brutto questa volta” disse Elsa sorridente.

“Mi stai dicendo che sei incinta?” chiese Anna stupita e finalmente contenta di fronte a una notizia.

“Sì… è stato più semplice del previsto. Mancava un po’ di spensieratezza e tranquillità ai nostri rapporti. Quando l’ho scoperto sono scoppiata a piangere… mi sono fatta mangiare subito dalla paura e dalla responsabilità. Se dovessi perderlo di nuovo? Se non dovesse stare bene? Poi Jack mi ha convinta a mettere da parte questi pensieri… non sappiamo come andrà, ma sappiamo che ora questo bambino c’è e ha voglia di nascere. Stessa cosa la devi pensare anche tu” raccontò Elsa.

La bionda fece poi per alzarsi e sedersi accanto alla sorella. Durante un attimo di silenzio, la maggiore posò una mano sul ventre della più piccola.

Anna fu sorpresa di quel gesto. Da una parte cercò di allontanarsi, ma quel calore la faceva stare bene.

“Allora lo sai…” constatò Anna guardando la mano della sorella.

“Ovvio. Le riconosco le nausee… non ti ricordi con Aurora che fatica?” rise Elsa ricordando quei momenti e facendo ridere anche la sorella.

“E’ che non mi sento pronta ad avere un altro figlio. Non ora che Emma non c’è più. Kristoff dice di avere fiducia ma è passato quasi un mese e di lei neanche l’ombra. Non me ne frega niente se hanno preso i suoi compagni di avventura, lei non c’è” spiegò Anna con voce rotta.

“Questo lo sappiamo ma tu Anna non puoi smettere di far vivere la vita che c’è in te! Lo so che è dura ma devi provarci…o rischierai di farti veramente male! Proviamoci insieme, ognuna con i propri problemi” concluse Elsa per poi abbracciare la sorella e lasciarla piangere sulle sue spalle.

Lei non lo sapeva ma Emma era più vicina di quanto pensasse. Le cosa stavano per sistemarsi realmente…o forse no…

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Capitolo 18
*** BENTORNATA ***


CAPITOLO XVII

BENTORNATA
 

La mattina dopo…


Anna si era leggermente calmata insieme alla sorella ma ciò non bastava per farla tornare quella di sempre. Anche Kristoff non sapeva più come confortarla e, dentro di sé, prendeva sempre posto la rabbia, la delusione, l’ingiustizia. La sua vita aveva cominciato a fargli schifo. Lavorare non aveva più senso: aveva perso una figlia, aveva una moglie depressa e incinta che peggiorava ogni giorno. Erano passate settimane ormai e nessuno si dava pace.

“Io penso che tu debba tornare al lavoro” constatò Kristoff vedendo la moglie a letto intenta a guardare il vuoto.

L’uomo non ricevette risposta e la cosa lo fece imbestialire.

“Senti, visto che ormai sta andando tutto a rotoli, non capisco che senso abbia andare avanti! Non vogliamo reagire e ci stiamo rovinando la vita! Da quanto non stiamo insieme Anna? Da quanto non facciamo l’amore? Io non ce la faccio a vederti così! Soffro anche io ma almeno cerco di vivere normalmente la mia vita. A sto punto se tutti i giorni devo svegliarmi e trovarti con l’umore a terra che senso ha stare insieme?”

Ariel era appena passata davanti alla camera dei genitori e quell’ultima frase bastò per agitarla. I suoi genitori volevano lasciarsi?! Anche quel dolore volevano darle?! La tredicenne non ci capiva più nulla. Da quando era sparita Emma, lei era andata in secondo piano. Nessuno si ricordava di lei! Tanto era sempre stata quella tranquilla e senza problemi! Un divorzio era proprio ciò che mancava a quella famiglia.

Peccato che la ragazza avesse frainteso tutto. Anna e Kristoff non avrebbero mai divorziato! La cosa che la giovane non capiva ancora è che spesso i genitori, soprattutto in momenti di crisi, litigano e dicono cose pungenti per stuzzicarsi e rianimare il loro amore. La vita matrimoniale era impossibile senza qualche litigio e i suoi genitori stavano solo passando un momento buio dal quale non riuscivano a riprendersi.

Ariel si sentì abbandonata, per l’ennesima volta e, senza salutare, uscì di casa per andare a scuola.

“Ciao Ariel!” salutò Elsa piombandole davanti.

“Zia, che ci fai qui?” chiese Ariel dubbiosa non capendo il motivo della visita della parente.

“Devo andare a portare delle cose vicino alla scuola così ho pensato di fare la strada con te!” mentì Elsa mettendole una mano sulla spalla. In realtà la donna, preoccupata per la questione del bullismo, aveva deciso di accompagnare la nipote a scuola per poter avere delle informazioni in più sulla faccenda.

“Ariel, ascolta…l’altro giorno ho visto che dei compagni ti stavano dando fastidio” disse Elsa per rompere il ghiaccio.

“Cosa? Quando l’hai visto?!” chiese subito preoccupata la ragazza dai capelli rossi.

“Io l’ho visto e basta, non ti deve importare quando. Cosa volevano da te?” domandò Elsa prendendo la palla al balzo.

“Mi prendono solo un po’ in giro…niente di grave” rispose la piccola giocando con i lacci della cartella per smorzare la tensione.

“Ariel ascolta” cominciò la zia inginocchiandosi e guardando il volto pieno di lentiggini della nipotina.

“Nessuno ha il diritto di dirti chi sei, che cosa fare e come essere. Se ti prendono in giro è perché non sanno quanto vali realmente e sono gelosi di te. Non assecondarli mai e non dare peso a quello che sta succedendo a casa. Mamma e papà sono molto preoccupati per la storia di Emma, ma almeno tu devi avere la speranza che tutto possa risolversi” concluse Elsa spostando una ciocca di capelli rossi dal volto della giovane per poi accarezzarle il viso.

Le due si salutarono, ma Ariel restava comunque della sua idea. Non piaceva a nessuno, i genitori si volevano lasciare ed Emma non sarebbe mai più tornata. La sua vita non aveva senso.

Nel frattempo in macchina…


Emma e Luca erano in viaggio dalla mattina presto e in due ore sarebbero giunti a destinazione. Emma, nonostante la delusione amorosa, era comunque serena e felice di aver incontrato una persona come Luca anche se il suo cuore avrebbe faticato molto nel dimenticarsi di lui. Rimaneva solo un ultimo gradino che la separava: non sapeva come fare a rientrare in casa e chiedere perdono.

“Ho paura che mi rifiutino” disse lei guardando il ragazzo.

“Secondo me non lo farebbero mai… senti io resterò in città per un po’ così nel caso ti darò una mano a trovare una soluzione” rispose lui tenendo gli occhi sull’autostrada.

La ragazza appoggiò la testa allo schienale e sospirò profondamente per gestire l’ansia.

“Non devo portarti per forza a casa. Magari prima dei tuoi genitori vuoi incontrare qualcun altro e chiarire con lui…” propose Luca facendo ricordare molti momenti alla giovane.

Emma si mise ad osservare fuori dal finestrino e nella sua mente si susseguirono diversi ricordi: l’immagine sfuocata di Anna con il pancione, la visita ad Ariel in ospedale appena nata, i giochi da piccoline con la cucina finta, gli scherzi, i travestimenti, i film, le chiacchiere fino a mezzanotte, la crociera tutti insieme, i disegni di Ariel fino ad arrivare ai ricordi rievocati dalle videocassette che ritraevano sempre loro intente a costruire pupazzi di neve o creare castelli di sabbia al mare.

Per la prima volta Emma ripensò a quei momenti lasciando gioire il cuore e sorridere le labbra. Quanto le mancavano quelle attività! Come aveva fatto a vivere quegli anni senza dei momenti di convivialità con la sorella?! Ariel le mancava, finalmente, e con lei i suoi abbracci, i suoi occhioni azzurri, la stima nei suoi confronti, il suo coraggio e la sua energia. Per Emma fu allora semplice decidere dove andare prima di tornare a casa, per questo affermò sicura:

“Andiamo a scuola: voglio vedere Ariel prima di tutti”

In ospedale…


Elsa, dopo aver accompagnato la nipote a scuola, si incamminò verso l’ospedale. La donna, anche se aveva scoperto da poco di aspettare un bambino, aveva prenotato subito una visita ginecologica per affrontare al meglio la nuova gravidanza, farsi dare delle dritte ed incoraggiare che tutto sarebbe andato bene. Elsa voleva essere rassicurata e viversi la sua nuova condizione senza la paura di poter perdere il bambino da un momento all’altro.

“Signori Frost, prego tocca a voi” chiamò la ginecologa facendo accomodare Elsa sul lettino e permettendo a Jack di stringerle la mano.
“Mi sembrate parecchio agitati” constatò la ginecologa preparando il tutto per l’ecografia.

“Sì, lo siamo. E’ uno dei tanti tentativi che speriamo possano andare a buon fine” rispose Jack stringendo la mano alla moglie. L’uomo aveva le mani sudate ed era preoccupato. Sperava che il bambino fosse sano, che si fosse impiantato correttamente nell’utero, che fosse forte, perché davvero temeva il peggio dopo quello che avevano passato.

La ginecologa cominciò ad osservare il suo monitor scrutando ogni piccolo particolare. Qualche secondo e, all’improvviso, la dottoressa si fermò su un punto preciso cominciando ad ingrandire l’immagine. Quell’atteggiamento fece preoccupare molto i coniugi che cercavano di percepire qualsiasi tipo di informazione dall’espressione facciale del medico.

“Dottoressa, cosa c’è? Vede qualcosa di strano, qualcosa non va bene?” chiese allora Elsa cercando di sporgersi verso il monitor e capire la situazione. Il suo cuore batteva all’ennesima potenza e il corpo aveva iniziato a tremare.

“Va tutto benissimo! E’ nella norma, ben impiantato, è sano…c’è solo una piccola cosa che…” cominciò a dire lei ingrandendo sempre più le immagini.

“COSA?!” chiesero allora in coro Elsa e Jack con i nervi a fior di pelle.

“Penso di potervelo confermare. E’ tutto a posto e ho il piacere di dirvi che diventerete genitori due volte. Aspettate due gemelli!” affermò sorridente la ginecologa togliendosi i guanti.

Jack rimase a bocca aperta di fronte a quella notizia ed Elsa ne fu letteralmente scioccata. La donna guardò le immagini ritraenti i due fagiolini che crescevano dentro di lei e si portò una mano alla bocca cominciando a piangere e ridere per la felicità.

“Hai visto a forza di non crederci? Siamo pronti ad essere genitori e lo siamo doppiamente” disse Jack con il cuore in gola posando un bacio sulle labbra della moglie per poi sentirsi mancare e sedersi sulla sedia vicino, già preparata dalla ginecologa.

“Mi sono sentita in dovere di preparare acqua e sedia… in genere i papà tendono a svenire di fronte a notizie di questo tipo” concluse lei facendo ridere di gusto i due presenti.

La serenità, per loro, era finalmente arrivata.

A scuola durante la ricreazione…


Ariel non aveva ascoltato nulla delle lezioni, era stata interrogata, aveva collezionato un altro 4 in storia ed ora era pronta a viversi quei 10 minuti di pausa seduta sul banco, senza mangiare nulla, nell’attesa che finissero.

“Guarda guarda chi ha preso 4 oggi! La ragazza più ignorante del pianeta!” disse Greta entrando nell’aula e cominciando a pizzicare la rossa.

“Avete visto che è triste?” rise un altro compagno indicandola e denigrandola.

“Lasciatemi in pace” rispose Ariel digrignando i denti e cercando di non ascoltarli.

“Lasciarti in pace?! Proprio ora che sei così fragile?! Guardati sfigata! Non hai niente! Non sei brava a scuola, sei brutta, metti sempre il solito paio di jeans, sei sempre da sola ed ora anche la tua cara sorellona ha deciso di non farsi più vedere…sai perché? Perché lei ti odiava! Non ti voleva bene! Nessuno ti vuole bene! Potresti sparire che nessuno se ne accorgerebbe!” aggredì ancora la capa dei bulli suscitando altri commenti che però Ariel non ascoltò visto che l’essenziale era già stato detto.

La banda decise poi di allontanarsi ma Ariel si sentì morire definitivamente.

La giovane guardò fuori dalla finestra e una strana sensazione si fece viva in lei. I compagni bulli avevano ragione: lei faceva schifo, Emma non la voleva più, nessuno l’amava! Non aveva senso portare avanti una vita di questo genere.

Un’idea stupida, egoista, azzardata che però riflette la sofferenza di chi si sente al limite, al capolinea. Mille furono i pensieri che ronzavano nella sua testa: i consigli di zia Elsa, l’affetto di Anna, l’amicizia con Aurora e Pietro, la coscienza che la frenava, ma niente da fare. Ariel si sentiva troppo male.

Così la ragazza, senza pensarci due volte, aprì la finestra dell’aula e, sotto lo sguardo e le urla dei compagni di classe, si lasciò cadere giù, nel vuoto, dove non avrebbe più sofferto.

In quello stesso identico momento, nello stesso luogo, in macchina…


“Ok la scuola è qui, mi vuoi aspettare? Vado a chiamare Ariel sperando che mi lascino entrare in aula” disse Emma facendo per slacciarsi la cintura per poi fermarsi di colpo e mettere le mani sul viso.

“Che succede?!” domandò Luca non capendo la sua reazione improvvisa.

“Qualcuno è volato giù dalla finestra!” urlò la ragazza che, mossa da chissà quale forza, schizzò fuori dalla macchina e si mise a correre per raggiungere il ferito.

“Chiunque tu sia, tieni duro, sto arrivando e…” disse la ragazza mentre correva per poi fermarsi di colpo di fronte al corpo disteso sulla ghiaia e sentendosi male nel trovare davanti una persona che non si sarebbe mai immaginata.

“Ariel?!?!” gridò Emma identificando la figura della sorella e inginocchiandosi accanto a lei.

“Emma?” sussurrò Ariel con gli occhi semichiusi e un sorriso sulle labbra nel rivedere la maggiore.

“Mi riconosci, vuol dire che il cervello ti funziona ancora. Cerca di stare sveglia hai capito?!” disse la maggiore osservando le ferite e notando una grande quantità di sangue sgorgare dal capo della sorella. Parole al vento perché Ariel svenne immediatamente.

“Che cazzo faccio?! Ok Emma tranquilla!” si disse tra sé e sé la bionda iniziando a riflettere.

Sangue freddo, coraggio e ragionamento ecco cosa serviva.

Nel frattempo erano accorsi bidelli, insegnanti, passanti e lo stesso Luca che aveva chiamato immediatamente l’ambulanza.

Non si sa come e con quale forza ma Emma immobilizzò il corpo della sorella, le tamponò la ferita con un panno pulito e le praticò un massaggio cardiaco dicendo numeri e parole incomprensibili a bassa voce.

Nessuno avrebbe dovuto interromperla perché la sicurezza con cui si muoveva nella situazione aveva lasciato tutti senza parole. Tutti pensavano che fosse un medico per la fluidità dei suoi gesti!

Luca aiutò l’ambulanza, appena accorsa, a raggiungere velocemente il ferito ed osservò gli agenti congratularsi con Emma per aver dato ad Ariel i primi fondamentali soccorsi. Il ragazzo rimase imbambolato ancora un secondo e guardò Emma, completamente immersa nella situazione, salire sull’ambulanza e sfrecciare con lei alla volta dell’ospedale.

Luca era ora certo di aver assistito alla metamorfosi di Emma. Quella ragazzina sperduta, incosciente e ribelle aveva lasciato il posto a una vera eroina, a una donna con un grande dono medico che era stata in grado di soccorrere la sorella.

Luca si allontanò in silenzio e, con il sorriso stampato in volto, cercò alloggio in un albergo vicino con l’intento di riposarsi e ritornare a casa la sera stessa. Emma aveva capito tutto da sola, era cresciuta e non aveva più bisogno di lui.

“Missione compiuta Emma…ora sai chi sei” sussurrò Luca per poi allontanarsi in silenzio e, con il sorriso stampato in volto, cercare alloggio in un albergo vicino con l’intento di riposarsi e ritornare a casa la sera stessa.

Emma aveva capito tutto da sola, era cresciuta e non aveva più bisogno di lui.

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Capitolo 19
*** CASA ***


CAPITOLO XIX

CASA

 

In ospedale…


Emma era riuscita a mantenere il sangue freddo durante tutto il tragitto. Aveva continuato a guardare il volto inespressivo della sorella cercando di sopprimere l’ansia e la paura nel vedere la parente in brutte condizioni.

“Grazie Emma, da qui proseguiamo noi. Attendi in accettazione” disse un soccorritore correndo in sala operatoria dove Ariel sarebbe stata operata d’urgenza.

Solo allora Emma cominciò a mostrare i sintomi dello stress accumulato e, per questo motivo, si sedette su una sedia ed aspettò sbattendo le gambe in modo frenetico.

Passarono pochi minuti ed ecco, una voce squarciò il silenzio.

“Emma?!?” disse incredula Elsa che, avendo terminato la visita ginecologica, stava uscendo per tornare a casa.

Emma non rispose perché la donna, senza dire una parola, l’abbracciò forte. Ad Emma mancava una sensazione del genere! Calore, amore…la sua amata zia l’aveva già perdonata senza chiederle nulla.

“Un disastro sei! Ne pagherai di conseguenze ora! Che bello averti qui però, non sai…”

“Ferma zia. C’è Ariel in sala operatoria” disse Emma non riuscendo a nascondere la preoccupazione.

“Che cosa?!” chiese Jack avvicinandosi dopo aver lasciato un po’ di spazio alle parenti.

“E’ volata giù dalla finestra della scuola, io ero lì in quel momento per chiederle scusa, per tornare insieme a lei, ma non ho fatto in tempo. Se fossi arrivata qualche minuto prima questo non sarebbe successo! Ho cercato di rianimarla grazie a ciò che ho studiato da sola di medicina, ma…”

La ragazza non riuscì a terminare perché il respiro e la voce cominciarono a mancarle. L’essenziale l’aveva riferito.

“Non ci credo! E pensare che stamattina ho cercato anche di tirarla su di morale!” disse Elsa preoccupata di fronte alla notizia.

“Ed ora cosa vuoi fare?” chiese Jack notando la nipote stanca e agitata.

“Hanno già chiamato mamma e papà, dovrebbero arrivare a momenti ma io non me la sento di vederli ancora.” rispose Emma timorosa della reazione dei suoi genitori.

“Emma, sapere di riaverti sana e salva potrebbe farle bene visto che, inoltre…”

Elsa decise di fermarsi. Non voleva dire ad Emma della gravidanza di sua madre. Che situazioni complesse!
La zia propose alla nipote di andare a casa con loro, farsi una doccia e tornare subito in ospedale dove avrebbe dovuto, però, affrontare i suoi genitori.

Anna e Kristoff corsero in ospedale il più velocemente possibile. La loro vita era andata a rotoli in pochissimo tempo. Avevano due figlie ed ora erano in pericolo entrambe. Il tentato suicidio di Ariel non se lo sarebbero mai aspettato. Come avevano fatto a non accorgersi della sofferenza della figlia? Forse si erano soffermati troppo su sé stessi.

“Dottore, la prego ci dica qualcosa!” implorò Anna arrivando dinanzi alla sala operatoria.

“La situazione è sotto controllo. La ragazza ha fatto un bel volo, ma fortunatamente l’altezza non era elevata. Ha avuto un trauma cranico e un’emorragia alla quale abbiamo posto rimedio. La paziente resterà in coma farmacologico finché non lo riterremo opportuno. Potrebbero volerci giorni, ma non preoccupatevi: è fuori pericolo e le zone cerebrali non sono state lesionate. Ha inoltre una frattura al polso e alla gamba sinistra ma è tutto rimediabile.” Spiegò il chirurgo contento di poter dare delle buone notizie ai genitori.

“Ah, dimenticavo la cosa più importante. E’ salva grazie all’intervento straordinario di un soccorritore che è corso sul posto. Senza quelle prime cure ora la ragazza non sarebbe qui” aggiunse il medico per poi allontanarsi.

“Dottore” chiamò Anna incuriosita da quell’ultima notizia. Avrebbe voluto stringere la mano e ringraziare infinitamente quel misterioso soccorritore!

“Mi sa dire il nome di chi è intervenuto?”

“Era una ragazza alta, con i capelli biondi di al massimo 17 anni. Ha detto di chiamarsi Emma”

Anna, a sentire quel nome, si sentì mancare il respiro. Aveva detto Emma?! Perché una qualsiasi ragazza bionda, di nome Emma avrebbe dovuto salvare una giovane che, casualmente, porta il nome della sorella di un’altra ragazza che si chiama Emma? La Emma di cui parlavano doveva per forza essere la loro.

La donna si lasciò avvolgere dalle braccia del marito e, per la prima volta, un sorriso si fece largo sul suo volto.
Emma era lì, nel loro paese, sana e salva.

A casa di Judy…

Michele era intento ad esercitarsi con la chitarra. I consigli di Rapunzel erano molto preziosi e il bambino aveva ritrovato la passione di suonare.

Le mani gli bruciavano e i calli premevano sulle corde senza pietà. Michele si divertiva, gli piaceva studiare i brani per il concorso ma sentiva qualcosa che mancava ancora. L’ispirazione non era arrivata e il brano musicale da lui composto era stato preparato da Rapunzel che, vista la giovane età del concorrente e il poco tempo a disposizione, aveva deciso di aiutarlo.

“Tesoro, che bello sentirti suonare!” disse Judy entrando in stanza e invitando il piccolo ad andare in cucina per mangiare.

“Sì ma non sono ispirato” disse lui scuotendo la testa.

“Arriverà Michi, arriverà…abbi fede!” continuò la madre preparandogli il piatto.

“Nah…ormai mancano pochi giorni all’audizione. O arriva adesso o mi toccherà suonare senza dare il massimo di me.”

“Anche io ho paura Michi” disse Judy sporgendosi verso di lui.

“Perché?” chiese lui corrugando la fronte e girandosi verso la madre. Le mamme non avevano mai paura!

“Tu tra pochi giorni avrai il concerto più bello della tua vita, io sicuramente farò nascere il tuo fratellino. Ci vuole coraggio e ispirazione anche per quello sai? Quello che voglio dirti è che, quando salirai sul palco e io partorirò, ci sentiremo deboli, incapaci ma arriverà all’improvviso una forza, un’energia che ci aiuterà. Fidati di me!” disse Judy cercando di passargli il messaggio con parole semplici. Michele sorrise alla mamma e ricominciò a mangiare il pasto.
La sua mamma aveva sempre ragione e si fidava ciecamente di lei.

Nel pomeriggio a casa di Anna e Kristoff…


Anna rientrò a casa da sola. Kristoff era rimasto in ospedale per stare con Ariel e lasciare ad Anna qualche momento personale. L’uomo era convinto che Emma, dopo il caos della mattina, sarebbe tornata a casa e le due donne avevano bisogno di tempo per stare da sole.

Emma, infatti, era già in casa. La ragazza aveva pranzato da Elsa e attendeva i genitori con ansia. Quando sentì sbattere la porta d’ingresso, decise di scendere le scale ed aspettare i parenti.

Anna abbandonò tutto per terra, stanca e scossa da tutti quegli avvenimenti poi, nel riflesso del cellulare, notò qualcuno muoversi vicino alle scale. Anna si voltò di scatto ed ecco che si trovò Emma davanti. Gli occhi della donna si dilatarono, il cuore cominciò a battere all’impazzata e il respiro mancava. Pochi secondi di contemplazione, di silenzio, ad ammirare ciò che pensava di non rivedere mai più.

“Mamma, scusami!” iniziò a dire Emma emozionata di fronte alla madre che, senza lasciarla finire, le corse incontro stringendola in un abbraccio.

“E’ tutta colpa mia! Scusami! Per colpa mia ti ho fatto stare male, papà non vorrà più vedermi, siete tutti tristi e Ariel si è quasi ammazzata! Se fossi arrivata prima tutto questo non sarebbe successo!” cominciò a singhiozzare Emma stringendo con i pugni la felpa della madre come per implorarla di non mandarla via. In quell’abbraccio erano racchiusi tutti i momenti che non aveva voluto vivere, quel calore che voleva cancellare perché si sentiva troppo grande, quella sicurezza che era semplicemente casa. 

“Shhh, Emma!” sussurrò Anna staccandosi da lei un attimo per guardarla negli occhi e accarezzarle il viso.
La sua bambina era così cambiata! Era semplicemente bellissima! I capelli biondi di Kristoff, gli occhi azzurri e qualche lentiggine che spuntava qua e là che aveva preso da lei. Era la sua creatura, in carne ed ossa! Anna non riusciva a crederci. Abbracciare sua figlia era come infilarsi sotto le coperte calde dopo essere stati ore ed ore nella neve e al freddo.

“E’ tutto ok…non è colpa tua se tua sorella ha fatto quello che ha fatto. La colpa è di tutti noi che pensavamo fosse molto più facile e banale fare i genitori. Ora sei qui e si risolverà tutto. Ho avuto tanta paura Emma! Temevo di non rivederti più e stavo ormai perdendo la speranza. Sei il mio regalo più bello, mi hai cambiato la vita a soli 18 anni e non mi sarei mai permessa un futuro senza di te” disse Anna continuando ad accarezzare le guance della figlia cominciando a piangere con lei.

“Ho comunque sbagliato tutto. Ho imparato la lezione, ho capito cosa significa avere paura e stare con le persone sbagliate ed ora sono pronta a pagarne le conseguenze. Non voglio più avere segreti con te!” pianse ancora Emma non badando a quella fragilità.
La Emma burbera e cattiva aveva lasciato spazio a una Emma buona che non si vergognava di piangere.

“Voglio sapere tutto di te Emma! Anche se, mettitelo in testa, finirai nei guai adesso. Non so per quanto tempo io e papà ti metteremo in punizione” affermò Anna ridendo tra le lacrime.

“Sono pronta a prendermi le mie responsabilità. Ti voglio bene, mamma” concluse Emma per poi cercare un nuovo intreccio tra quelle braccia che le erano mancate, tra quelle mura, quel porto sicuro.

La sera…


Kristoff era rientrato in casa e, dopo discorsi e abbracci, aveva accolto e concesso alla figlia di tornare in famiglia. Quella sera a cena sembrava tutto normale! Emma parlava, parlava e parlava e i genitori erano sconvolti di fronte a quel cambiamento! Finalmente sembrava essere tornata l’armonia anche se la storia di Ariel li agitava comunque.
L’idea che la piccolina fosse in coma, seppur fuori pericolo, faceva soffrire tutti che non vedevano l’ora di poterla riabbracciare ed aiutare a sentirsi unica e speciale.

“Stai sorridendo” disse Kristoff notando la moglie sorridente e radiosa mentre si preparava per andare a dormire.

“Kris, ti chiedo scusa” rispose lei mettendosi a letto e appoggiando il capo al petto del marito.

“Scusami anche tu…in questo periodo abbiamo litigato tanto e ci siamo trascurati a vicenda. Ora voglio rimediare” si scusò lui mettendo una mano sul ventre della moglie. Il contatto fece sussultare Anna che non era più abituata a quelle carezze e quelle attenzioni.

“Sta crescendo hai visto? Ora sono pronta amore. Voglio questo bambino, e lo voglio con tutta me stessa…anche se delle nausee così non le avevo mai avute” disse Anna mettendo una mano sopra a quella del marito come per coccolare la loro creatura.

“Sarà bellissimo anche se rimpiangerò questi momenti.” Aggiunse lui malinconico.

“Che intendi dire?!” chiese Anna tirandosi su di scatto.

“Beh sarà stupendo ma, uffa…ora mi attendono dei mesi dove tu diventerai ingestibile per via degli ormoni, mangerai un sacco, continuerai a spogliarti per via del caldo, metterai su tantissimi chili in più! E poi il parto, le paranoie, il tuo seno che diventerà inutilizzabile per un anno” si lamentò lui imbronciato facendo ridere l’altra.

“Come vedi ora ho finito le nausee e la pancia ci metterà un po’ a crescere…un po’ di tempo ce l’abbiamo ancora…” aggiunse lei languida mettendosi a cavalcioni su di lui e cominciando a baciargli il collo.

“No amore, non possiamo…e se facciamo male al bambino?” si frenò lui già in balia degli ormoni.

“Allora vedi che non sono l’unica paranoica, caro il mio papà?” rise Anna facendo partire una scia di baci che partivano dal collo e scendevano sempre di più.

Kristoff osservava la moglie con i suoi capelli mossi, il corpo coperto solo da un indumento di seta, le linee perfette, il leggero rigonfiamento che custodiva suo figlio, muoversi sinuosamente su di lui e non ci capì più nulla.

“Sei sicura?” chiese lui assecondandola e invitandola a tornare su per poi lasciare le loro bocche a pochi centimetri di distanza, tanto per rendere il tutto più eccitante.

“E’ tanto che non lo facciamo… quindi sì, sono sicura” rispose lei accorciando le distanze a dando il via al loro momento di intimità.

“Però…fai piano, anzi pianissimo! Proprio delicato e leggero” si interruppe lei mostrando una leggera preoccupazione nel fare l’amore con lui nonostante la gravidanza anche se, ormai, dopo Emma ed Ariel avevano preso una certa confidenza.

“Sembra un menù quello che mi chiedi! Tranquilla amore, ho solo bisogno di sentirti mia. Ti amo!” terminò Kristoff per poi spegnere la luce e unirsi a lei.

Era quello il bello della vita matrimoniale: la capacità di riscoprirsi e innamorarsi giorno per giorno, cercando di rendere speciale anche la quotidianità.

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Capitolo 20
*** COCO ***


CAPITOLO XX

COCO

Il giorno dopo…


Emma era stata accolta calorosamente da tutti e mai si sarebbe aspettata una reazione simile.
La ragazza aveva già fatto i conti con la scuola, con le assenze e le materie da recuperare, con la polizia e le questioni giuridiche e tutto si stava aggiustando. La cosa più bella, però, era il calore che aveva ricominciato ad avvertire all’interno di casa sua. Il morbido divano dove saltava con papà quando mamma non c’era, le scritte sui muri, le cornici e i quadri che ritraevano tutta la famiglia al completo, la sua camera che ora appariva vuota perché la ragazza aveva passato la mattinata a staccare poster e buttare oggetti che le ricordavano la Emma delinquente che non voleva più essere.

“E’ permesso?” domandò Anna bussando alla porta della figlia in segno di rispetto.

“Certo, entra!” acconsentì Emma prendendo dallo scaffale un album di fotografie tutto ricoperto di polvere.

“Mamma, perché non sei al lavoro?” domandò la quindicenne pulendo con la mano il raccoglitore e cominciando a sfogliarlo.

“Te ne parlerò…” rispose Anna non ancora pronta a rivelare la storia della gravidanza e della sofferenza provata dall’allontanamento con Emma.

“Cosa stai guardando?” chiese la madre avvicinandosi e cambiando discorso.

“Un album di foto che avevo nascosto e che ora ho voglia di guardare” rispose lei facendo un po’ di spazio sul letto per la madre.

“Oh che bei momenti!” affermò Anna con gli occhi lucidi vedendosi ancora una volta ragazza di 19 anni con Emma tra le braccia.

Kristoff che insegna ad Emma ad andare in bicicletta, Anna ed Emma addormentate nel lettone, il suo battesimo, Elsa intenta a farla giocare, la prima foto insieme ad Ariel nella culla, le due bambine che giocano con del cibo finto o travestite da principesse per carnevale e una foto insolita staccata da tutte le altre.

“E questa che ci fa qui?” chiese Anna prendendo la fotografia tra le mani e aprendo la bocca per lo stupore.

“Fammi vedere!” disse Emma sporgendosi in avanti.

L’immagine ritraeva Anna e Kristoff davanti al Colosseo di Roma. Non si vedeva bene perché era buio e la fotografia era stata scattata di fretta. Anna aveva una mano sul volto e Kristoff la stava abbracciando.

“Cosa avevate fatto?” chiese Emma non capendo il significato.

“Mi aveva appena chiesto di sposarlo” rispose Anna sognante ricordando ogni singolo momento.

“Mi ero allontanata da casa per fare un corso di musica di due mesi. Tu avevi già due anni e papà avrebbe dovuto tenerti senza il mio aiuto. Lo sentivo grazie alle telefonate, ai messaggi dove mi chiedeva quanti grammi di pastina potessi mangiare tu, se aveva usato la crema giusta dopo averti fatto il bagnetto, dove fosse il ciuccio di scorta quando tu decidevi di buttarlo dietro al letto, come lavarti i vestiti e tanto altro. Al termine di quei due mesi io ricevetti una sorpresa. Stavo camminando per strada fuori dal Colosseo per staccare un po’ la testa e non pensare a tutte le cose da fare ed ecco tuo papà comparirmi davanti.
Ti aveva lasciata dai nonni ed era partito subito per chiedermi una cosa importante. Mi disse che erano bastati quei due mesi per fargli capire che senza di me non voleva più stare, che era fiero di me per come mi prendevo cura di te…insomma, morale della favola si inginocchiò e mi diede l’anello. Un passante osservò la scena e, emozionato, decise di farci questa foto per poi girarcela.”


“Wow!” si limitò a dire Emma con sguardo sognante sperando, anche lei, di vivere un amore così. Quell’ultimo pensiero le mise malinconia e tristezza perché solo in quel momento la ragazza si ricordò di Luca e non averlo ringraziato e salutato.

“Che c’è?” chiese Anna vedendo la trasformazione nell’espressione della figlia.

“Stavo pensando a una cosa…” rispose lei ancora leggermente imbarazzata nel raccontare di sé alla madre. Alla fine non le aveva mai detto niente e non era abituata a quel cambiamento, ma la poca differenza d’età tra le due permise ad Emma di vedere la madre come un’amica di cui fidarsi motivo per cui le spiegò tutto comunque.

“Stai pensando a Biff, non mi vorrai dire che è successo qualcosa con lui a casa sua…” si preoccupò Anna richiudendo l’album e voltandosi verso la figlia per vederla meglio in viso.

“No. Con lui ho fatto di tutto e di più mamma e mi vergogno di questo. Avrei voluto condividere quel momento che tu sai con lui visto che continuava a chiedermelo ma non l’ho fatto. Lui insisteva, insisteva e diventava sempre più violento ad ogni mio no, così sono scappata ed ho incontrato una persona…” cominciò a dire Emma fermandosi per prendere fiato e far metabolizzare la notizia.

“Chi?” insistette Anna incuriosita dal racconto.

“Si chiama Luca. E’ grazie a lui se sono diventata così. Mi ha accolta in casa, mi è subito diventato amico, mi ha fatto smettere di fumare, mi ha portato nei musei e mi ha fatto capire che, da grande, voglio fare il medico. Nessuno era stato capace di cambiarmi come ha fatto lui, poi…” esitò Emma lasciando intuire la continuazione alla madre.

“Te ne sei innamorata…”

“Non lo so questo. Io pensavo di sì, ma forse ero solo ammaliata dalla sua dolcezza e dalla sua perfezione. Lui mi ha anche baciata una sera ed è stato il bacio più bello della mia vita.”

“Ed ora lui dov’è?” chiese Anna scioccata dal racconto.

“Se ne è andato ed è giusto così. Ha una sua vita, una ragazza, una famiglia, un’altra città… io non ho nemmeno il suo numero o il suo indirizzo. E’ stato un amico essenziale e porterò sempre nel cuore il suo insegnamento.” Rispose lei sorridente dimostrando una forte maturità.
“Sono fiera di te tesoro, ma voglio darti un consiglio. Tu non sai come andrà la vita, cosa succederà o cosa avrà in serbo per te il destino. Devi solo fidarti”

Emma abbracciò forte la madre anche se non capì a pieno cosa volesse dirle con quel messaggio.

A casa di Luca…


Il ragazzo aveva deciso di tornarsene a casa la sera stessa dell’incidente avvenuto alla sorella di Emma. Emma aveva ritrovato la sua casa, la sua famiglia e le sue attività. La loro amicizia era servita per farli crescere e focalizzarsi sugli aspetti della propria vita. Emma era stata una bellissima scoperta ma alla fine non la conosceva, era molto più piccola e diversa da lui. Non poteva lasciarsi ammaliare e mettere in forse la relazione con Chiara, sua fidanzata, solo per aver vissuto qualche giorno con una ragazza!

Luca aveva vissuto delle situazioni molto brutte in famiglia e la fidanzata era stata una boccata di aria fresca, non poteva perderla così.

Il ragazzo mise la macchina in garage ed entrò nell’appartamento, accese le luci e, mentre la malinconia e la tristezza stavano per prendere il sopravvento, ecco qualcosa attirare la sua attenzione.

Al posto della scritta “Chi sono” sulla sua simpatica lavagnetta a forma di elefante, c’erano delle nuove parole: “Grazie di tutto!”
Emma le aveva scritte prima di partire e, sul volto del ragazzo, si fece largo un grande sorriso.

Qualche giorno dopo…


“Allora campione! Domani è il grande giorno! Devi essere carico eh! Mi raccomando!” disse zio Oliver al telefono.

“Sì,sì…ci vediamo domani” rispose Michele poco convinto.

Il ragazzo era pronto a suonare, aveva studiato molto, ma quella famosa ispirazione non era ancora tornata e la cosa lo demoralizzava. Ormai era troppo tardi!

Il bambino si preparò per andare a letto, non prima di aver sistemato gli spartiti e la chitarra per il giorno dopo.

Degli esercizi di riscaldamento, due studi di Bach, un brano di Mozart, il pezzo originale scritto con Rapunzel e Ricordami…no un attimo…Ricordami? Il brano scritto per la nonna? Cosa ci faceva insieme ai brani per l’audizione?

Il bambino abbandonò gli spartiti sul letto e prese tra le mani quel foglio pentagrammato dove anni prima aveva scritto la sua canzone più bella.
Michele girò il foglio ed ecco qualcosa che non aveva mai visto prima. Inizialmente il bambino pensò che la nonna avesse scritto il testo della canzone, ma era impossibile visto che le frasi erano troppo lunghe.

Quella era una lettera.

“Caro Michele,
spero che questa mia lettera possa arrivarti il prima possibile. L’altro giorno hai dimenticato questo spartito qui da me e, nello stesso momento, ho saputo che tuo zio Oliver ti ha iscritto a un concorso. Io, tesoro mio, non potrò esserci a quell’importante traguardo della tua vita. Non potrò esserci fisicamente ma sarò la più fortunata di tutti e sai perché? Perché io sarò in un luogo bellissimo dove i concerti si sentono benissimo, con delle sedie comodissime fatte di nuvole e accanto il tuo protettore: l’arcangelo Michele. Pensa che bello! La tua musica volerà e arriverà a me! Tu, però, mi devi promettere che darai il meglio di te. Sei un bambino speciale, l’unico capace di farmi tornare la memoria, hai un talento strepitoso nel suonare la chitarra e con te ho vissuto i momenti più belli della mia vita. Ora, però, devi andare avanti e coltivare i tuoi sogni. Lo so che non mi vedi ma ti assicuro che sono accanto a te sempre…soprattutto quando suoni.
Forza Michele che il concerto si avvicina e tu dovrai dare il massimo di te! Divertiti, impegnati e sorridi…solo così riuscirò a sentirti pure io.
Ti voglio bene Michele e, come dice la nostra canzone: ricordati che ovunque andrai sarò sempre con te
In bocca al lupo!
Nonna Coco”

Michele finì di leggere e si asciugò le lacrime con la manica del pigiama. Quella lettera aveva mosso in lui molte emozioni ed avvertì un senso di benessere e serenità farsi strada dentro di sé.

Ora aveva qualcosa di Nonna Coco e lei sapeva benissimo di questo suo importante obbiettivo.

Al bambino venne un’improvvisa voglia di suonare, come se la chitarra lo stesse chiamando nonostante l’ora tarda e, così, imbracciò lo strumento e lasciò muovere le dita sulle corde senza pensarci troppo.

I musicisti sanno benissimo come si chiama questo fenomeno: ispirazione

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Capitolo 21
*** ANGELO ***


CAPITOLO XXI

ANGELO

 

Il giorno dell’audizione…


Michele si alzò agitato quella domenica mattina. Aveva suonato la chitarra fino a notte inoltrata ed era particolarmente fiero e sicuro di sé.
Il bambino indossò una camicia, una giacchetta nera e delle scarpe eleganti e si posizionò davanti allo specchio per controllare che tutto fosse in ordine: scarpe allacciate, mani pulite, ciuffo moro sulla fronte e colletto abbassato.

“Quanto sei bello!” disse Judy vedendo la sua piccola fotocopia davanti allo specchio che si faceva sempre più uomo.

“Sei pronto tesoro?” domandò Nick entrando nella stanza e mettendo una mano sulla spalla all’ometto di casa.

“Lo spero, la camicia dovrei averla abbottonata giusta anche se mi stringe troppo!” si lamentò lui facendo finta di strozzarsi.

“E’ l’agitazione! Stai benissimo ed è anche una taglia in più!” rispose Judy sistemandogli il colletto e sbottonandogli due bottoni per farlo respirare meglio.

“Allora andiamo” concluse lui determinato, prendendo per mano la sua mamma e il suo papà.

Al teatro…


“Buongiorno a tutti, siamo qui per presentarvi la prima edizione di questo concorso per giovani musicisti prodigio. Abbiamo in totale 25 candidati che suoneranno degli studi, un brano di repertorio e una composizione originale. Il vincitore avrà diritto all’incisione di un disco grazie ad un produttore. In bocca al lupo a tutti e divertitevi!” disse il presentatore facendo partire l’applauso di tutta la folla.

“Che paura…” disse Michele dentro una piccola stanza insieme a Rapunzel che cercava di tranquillizzarlo.

“Hey calma, è il tuo primo concerto importante è normale! Devi inventarti un rituale per calmarti!” consigliò lei massaggiandogli le spalle.
“Tipo?” chiese lui non capendo.

“Prova ad urlare fai un bel: AHHHHHHHH” urlò lei non curandosi del luogo e facendo ridere Michele che, però, provò anche lui ad imitare quel suono.

“Sei un po’ bloccato ma puoi lavorarci. Vedi? Stai già ridendo, significa che ti ha fatto bene! Vai tranquillo e mi raccomando: ricorda il motivo per cui sei qui… vuoi vincere oppure vuoi dimostrare qualcosa a te stesso?” concluse Rapunzel per poi accarezzargli la testa e sedersi in sala accanto ai parenti del bambino. Anche Elsa, Jack, Pietro, Aurora e Flynn erano presenti per sostenere il piccolo amico. Tutti tranne la famiglia Bjorgman che, ovviamente, era in ospedale con Ariel.

“Ora è il momento di un bambino di 10 anni. Michele suona la chitarra da quando ha 4 anni e ha da sempre dimostrato un grande talento. Ci suonerà degli studi di Bach, un brano di Mozart e, infine, la sua composizione originale. In bocca al lupo Michele e buon ascolto a tutti” disse ancora il presentatore aiutando il bambino a sedersi su una sedia con la sua chitarra e sistemare tutti gli spartiti sul leggio.

Michele esitò e si prese pochi secondi per riflettere e gestire la tensione. Il trucco stava nel non guardare il pubblico fino alla fine per non farsi condizionare. Doveva suonare come se lui non ci fosse e così, preso un grande respiro, diede il via alla sua audizione.

“Sta andando bene, ce la farà” sussurrò agitata Rapunzel all’orecchio di Judy.

“Punzie, calmati! Non sono agitata io che sono la madre e lo sei tu?” le rispose Judy scocciata.

“Sarai pure l’investigatore oggettivo migliore del mondo ma è impossibile che tu sia tranquilla nel vedere tuo figlio che suona!” la stuzzicò ancora la bionda.

“Infatti me la sto facendo addosso” concluse Judy mangiucchiandosi le unghie facendo sorridere l’altra.

Michele aveva eseguito alla perfezione il programma ed era il momento del brano composto da lui.

Il bambino aspettò molto prima di suonare. Guardò il pubblico, anche se gli era stato consigliato di non farlo e chiuse gli occhi per gestire la tensione. Una volta riaperti, dopo aver pensato a qualcosa di personale, attaccò con il pezzo.

“No aspetta che?” sussurrò Rapunzel tirandosi su con la schiena.

“Che c’è?!” chiese Nick non capendo la reazione.

“Non è il brano che abbiamo scritto insieme!” affermò l’insegnante meravigliandosi del coraggio dell’alunno nell’eseguire qualcosa ex novo.

Michele, infatti, stava suonando un brano composto da lui che aveva intitolato “Angelo”. L’aveva scritto quella stessa notte e racchiudeva tutti i brani che aveva composto per nonna Coco. Avendolo provato una sola volta, il bambino sbagliò molte note e, inoltre, non essendo un professionista, alcuni passaggi non erano piacevoli all’ascolto.

Il pubblico pensava che il ragazzino fosse agitato ma la sua famiglia era emozionata ed aveva le lacrime agli occhi.

“Mi sa che la genialità l’ha presa proprio da sua madre” disse Nick all’orecchio di Judy.

“L’allievo supera il maestro!” affermò Rapunzel con le lacrime agli occhi. Solo una musicista come lei poteva capire la difficoltà nello scrivere un brano in poche ore ed eseguirlo subito davanti a tutti.

Michele muoveva le dita, sbagliava le note ogni tanto, saltava dei punti ma aveva un sorriso ad illuminargli il volto. Il bambino si stava divertendo!
“Ha lo stesso atteggiamento di quando suonava con mia madre! Sembra che le sia accanto” disse Nick emozionato nel vedere il figlio così disinvolto.
Nonna Coco, infatti, era proprio lì: batteva le mani a tempo, rideva, ciondolava con la testa e danzava grazie alla musica del nipote e l’unico che riusciva a vederla in quel momento era proprio Michele.

Nel frattempo…


“Signori Bjorgman, vostra figlia si è svegliata ed è pronta ad incontrarvi. Mi raccomando non fatele troppe domande e non assillatela, è ancora molto debole!” disse un medico accompagnando i genitori nella stanza.

“Aspettate” disse Anna facendo fermare i presenti prima che entrassero nel luogo.

“Voglio che entri Emma per prima. Per Ariel sarà importantissimo” spiegò la madre rinunciando a quel momento magico per fare spazio all’unica vera salvatrice.

Emma, emozionata, varcò la soglia della stanza e si sedette accanto alla sorellina pallida e con le palpebre olivastre.

“Ariel, ci sei? E’ tutto ok! Stai bene!” disse l’infermiera aiutando la piccola ad aprire gli occhi e a mettere a fuoco le persone.

Ariel mosse lentamente la testa e aprì gli occhi a fatica come se un mattone la stesse obbligando a tenerli chiusi. Non riusciva a percepire bene la stanza, vedeva tutto sfuocato, ma una cosa l’aveva messa a fuoco benissimo. Davanti a lei c’era una persona bionda, con una felpa bianca che sembrava un angelo! Lo stesso angelo che aveva visto prima di svenire e che aveva le sembianze di sua sorella Emma. Ariel ricordò tutto in pochi secondi. Emma era sparita, come faceva quell’angelo ad assomigliarle così tanto?

“Hey, dormigliona! Apri gli occhi!” disse Emma emozionata di fronte alla scena. Era come assistere alla nascita di una persona e vedere la sua reazione nello scoprire il mondo. Quella era la loro rinascita.

“E-mma? Emma?!” chiese Ariel riuscendo ad aprire meglio gli occhi e rendendosi conto di non essere ancora nel mondo dei sogni. Il suo cuore cominciò a battere all’impazzata, tanto che l’infermiera si preoccupò ma, visto il momento carico di tensione emotiva, si limitò a sorridere e lasciare le due sorelle in intimità. Non sarebbe successo nulla di male.

“Sei tornata?” riuscì a dire Ariel con voce rauca. La ragazza non riusciva a parlare per colpa della gola secca e dolorante.

“No guarda sono finta! Certo che sono tornata!” disse Emma stuzzicandola e cominciando a sorridere.

“Vedi cosa mi combini? Sparisco per un po’ e tu decidi di buttarti da una finestra! Quante volte ti ho detto che non devi imitare Peter Pan? Noi non ce l’abbiamo la polvere magica!” rise ancora Emma prendendola in giro e lasciando che i suoi occhi si riempissero di lacrime. Anche sul volto di Ariel era ora presente un grande sorriso.

“Ti voglio tanto bene” affermò Ariel cercando di sporgersi in avanti ed abbracciare la sorella.

“Stai ferma! Non devi muoverti! Dopo queste cose devi ricominciare piano piano!” la bloccò Emma tirando fuori il medico nascosto in lei.

“Sei ancora la solita stronza vedo!” rise Ariel contenta di poter insultare in amicizia la maggiore.

“Cos’è la caduta ti ha dato il permesso di usare le parolacce?” scherzò Emma accarezzandole la mano, unico punto non lesionato di quel corpicino fragile.

“Sono tornata per te che non hai mai smesso di credere in me. Ti voglio bene Ariel e te lo prometto: d’ora in poi ci sarò sempre per te… cascasse il mondo, ma voglio esserci” concluse la maggiore non riuscendo a portare a termine la frase per colpa delle lacrime.

Anna e Kristoff osservarono la scena da lontano ed entrambi sorrisero nel vedere le figlie di nuovo unite proprio come quando erano piccole e le guardavano costruire pupazzi di neve e abbracciarsi.

“Mamma, papà!” disse Ariel sempre con voce spezzata per colpa della fatica.

“Cosa hai combinato cucciola?” disse Anna sedendosi accanto ad Emma e unendo la sua mano a quelle già intrecciate delle sorelle.

“Voi due mi avete fatto esplodere il cuore in pochi mesi! Spero che il prossimo non sia scalmanato come voi due!” affermò Kristoff ricevendo una gomitata dalla moglie.

“Che intendi dire papà?” chiese Emma guardandolo in pieno volto.

Kristoff guardò la moglie facendole segno di rivelare la notizia e, nel frattempo, prese anche lui per mano la piccola guerriera.

“Proprio quando avete iniziato a combinarne di tutti i colori ho scoperto di essere incinta. Tra qualche mese saremo in cinque” dichiarò Anna sorridendo alle figlie e gustandosi le loro reazioni.

Ariel si limitò a sorridere ed Emma regalò un abbraccio al padre per poi fare mille domande sulle cose da fare e preparare per vivere al meglio il nuovo arrivo.

Il fratellino era ciò che ci voleva per ricominciare tutti insieme e ritrovare l’armonia familiare.

Intanto al concorso…


“Signori e signore, la giuria ha pensato e ha espresso il suo giudizio. Il vincitore del concorso è…”

I familiari di Michele erano tutti in trepidazione, con le dita incrociate e gli occhi strizzati. Non vedevano l’ora di sentire la proclamazione del nome del figlio!

“Giorgio!! Vieni qui, hai vinto!” gridò il presentatore mentre invitava un piccolo pianista a prendere posto sul palco.

Tutta la famiglia rimase male di fronte a quella notizia ma vedere Michele sorridente e orgoglioso camminare verso di loro li tranquillizzò.

“Michele mi spiace! Sei stato bravissimo però!” disse Aurora rompendo il ghiaccio.

“Da dove arriva il brano che hai suonato?” chiese Rapunzel curiosa.

“L’ho scritto stanotte, insieme alla nonna! Mi ha aiutato lei!” affermò felicissimo il bambino aprendo le braccia in segno di esultanza.

La famiglia non fece a meno di sorridere. Michele non voleva vincere, voleva solo ritrovare la passione per lo strumento e risentire sempre la vicinanza della nonna…e c’era riuscito alla perfezione.

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Capitolo 22
*** DESTINO ***


CAPITOLO XXII

DESTINO


Qualche mese dopo…


Giugno arrivò velocemente portando con sé un’ondata di novità. Judy aveva partorito da ormai 4 mesi una bambina meravigliosa dai capelli neri e gli occhi verdi che Michele aveva ovviamente battezzato Vanessa come la nonna. Anche le donne in dolce attesa si avvicinavano sempre di più verso la fine della gravidanza. Elsa e Aurora correvano da un negozio all’altro alla ricerca di biberon e vestitini per i due gemellini che avevano scoperto essere un maschio e una femmina. Casa Bjorgman, invece, aveva subìto delle modifiche: ora c’era una stanza in più tutta azzurra per Nicola, il piccolo principino che avrebbe aiutato papà Kristoff a sopportare la casa estremamente femminile.

Ariel era tornata a scuola e aveva superato la sua paura per i bulli grazie all’aiuto di uno psicoterapeuta. I suoi compagni, d’altra parte, avevano pagato delle serie conseguenze essendo stati tutti denunciati per bullismo e istigazione al suicidio. Anche Giacomo, prima fiamma della ragazza, era tornato a farsi vivo ma lei, ormai sicura e matura, l’aveva ampiamente rifiutato.

Emma era tornata a scuola collezionando bei voti e instaurando rapporti di amicizia sani con persone simpatiche ed umili.

Mancavano solo Aurora e Pietro che, ormai al termine delle scuole medie, erano pronti a sostenere l’esame finale.

“Pietro noi ti aspettiamo fuori” disse Flynn quando sentì chiamare il nome del figlio per svolgere il colloquio orale.

“No, voglio che entrate. Tutti e due!” rispose lui di fretta obbligando Rapunzel e Flynn a seguirlo ed accomodarsi in aula. Loro non capivano il motivo di quella scelta, in genere i genitori non venivano mai invitati dai figli! Peccato che non fossero a conoscenza del piano di Pietro intenzionato a far loro una sorpresa proprio attraverso l’esame.

“Allora Ryder, ha 10 minuti di tempo per descriverci la sua tesina e fare tutti i collegamenti con le materie” disse il presidente avviando il timer.

“La mia tesina ha come argomento centrale l’adozione”

Rapunzel alzò di scatto la testa e guardò il marito negli occhi. Erano stati completamente all’oscuro della tesina di Pietro!

Il ragazzo spiegò tecnicamente le caratteristiche dell’adozione, i sistemi che se ne occupano, le conseguenze, i rischi, fece i collegamenti alle materie per poi terminare con un messaggio conclusivo.

Il lavoro era molto oggettivo e i genitori non capivano dove volesse arrivare il figlio.

Pietro iniziò poi a rispondere alle varie domande egregiamente e con tranquillità, arrivando a terminare il colloquio velocemente proprio grazie alla qualità delle risposte.

“Scusami” lo interruppe un docente mentre il ragazzo era intento ad osservare le prove scritte.

“Ti faccio questa domanda che non fa media. Perché hai scelto proprio questo argomento per la tesina?”

Pietro aspettò un attimo a rispondere e, all’improvviso, si girò ed osservò i suoi genitori.

“Perché è la mia storia e ho capito solo quest’anno quanto sia un processo complicato. Ho avuto tanta rabbia dentro e desiderio di scoprire i volti di chi mi ha messo al mondo. Sono arrivato anche a volermi staccare dai miei genitori adottivi per mettermi a cercare chi mi ha partorito. Ho riflettuto su questo… e non ho trovato nessun senso. Perché andare a trovare chi non ha potuto o voluto tenermi con sé? Le motivazioni del mio abbandono possono essere molte e ho capito solo ora che non le voglio sapere. Ringrazierò sempre quei due sconosciuti per avermi dato il dono della vita, ma i miei genitori sono solo due: papà Flynn e mamma Rapunzel. Sono il loro sogno, il loro gioiello più prezioso, mi hanno desiderato per anni… e mi hanno dato tutto”

Il colloquio si concluse in silenzio e, una volta fuori dall’aula, Pietro abbracciò Rapunzel in lacrime ed emozionata per ciò che aveva sentito. Pietro si lasciò avvolgere dalle sue braccia e sorrise perché quello era il posto più bello, era la sua casa, la sua famigllia.

“Mi basta sapere che mi vuoi bene e il resto non conta più. Sei solo tu la mia mamma” concluse lui, per poi invitare anche il papà a prendere parte dell’abbraccio. Anche Pietro aveva capito che la famiglia non è necessariamente stabilita dai legami di sangue, ma dall’affetto e dalle opportunità che ti può offrire.
 

TRE ANNI DOPO…


Una ragazza dai setosi capelli biondi e gli occhi azzurri camminava velocemente per raggiungere una meta precisa. Accanto a lei c’era un’altra giovane dai capelli rossi e gli occhi dello stesso colore che cercava di starle dietro e di calmarla.

“Oh ma vai piano!” urlò la più piccola trattenendo la più grande e non ricevendo risposta.

Emma ed Ariel erano diventate due ragazze meravigliose, dai lineamenti delicati, un portamento elegante e un corpo impeccabile. Le due avevano ora 19 e 17 anni e, dopo gli avvenimenti di tre anni prima, trascorrevano la maggior parte del tempo insieme condividendo qualsiasi cosa della propria vita.
Proprio come quel giorno.

Emma si era diplomata al liceo scientifico ed ora stava correndo, frenetica ed agitata, per scoprire se avesse passato il test per entrare all’Università più prodigiosa di Medicina.

“Ok ci siamo!” affermò la bionda fuori dall’entrata dell’Ateneo.

“Aspetta un attimo che devo prendere aria!” rispose Ariel mettendosi le mani sulle ginocchia dopo quella corsa estenuante.

“Non ho il coraggio di guardare! Ci sono solo 100 posti disponibili! No non entro!” disse Emma con il cuore in gola facendo su e giù dalle scale.

“Ok, vado a vedere io per te va bene?” propose Ariel entrando nell’Università e dirigendosi verso i tabelloni.

La ragazza ci mise pochi minuti ed uscì dal luogo con uno sguardo strano.

“Allora? Ecco! Lo sapevo non l’ho passato, sono una frana e adesso…”

“Emma! Sei Idonea!” urlò Ariel prendendo le braccia della sorella e cominciando a scuoterla felice.

Emma non poteva credere a ciò che aveva sentito e, presa dall’entusiasmo, abbracciò la sorella iniziando a saltare con lei sul posto.

“Andiamo a bere qualcosa per festeggiare!” propose Ariel indicando un bar lì vicino.

Una volta entrati nel locale Emma cominciò a fare telefonate a destra e sinistra per avvertire parenti e amici del risultato ed Ariel, nel frattempo, le faceva segno di tagliare per poter finalmente ordinare.

“Sì mamma, sono contentissima! A casa festeggiamo, ora sono fuori con Ariel e…aspetta che?...mamma ci sentiamo dopo” concluse sbrigativa Emma avendo notato qualcuno che attirò la sua attenzione.

“Si può sapere che ti prende?!” chiese Ariel non capendo il suo comportamento e mettendosi ad osservare nello stesso punto in cui guardava la sorella maggiore.

“Non ci posso credere!” affermò Emma alzandosi in piedi e, piena di coraggio, raggiungere la persona che l’aveva sconvolta.

“Luca?!” esclamò la ragazza avvicinandosi proprio al giovane che stava bevendo una birra insieme ad altri quattro studenti.

“Emma?!?!” disse lui scrutandola da cima a fondo.

“Che ci fai qui?!” domandò lei felicissima di vederlo.

“Ho iniziato un master di psicologia clinica qui all’Università di medicina. Tu cosa ci fai qui?” Domandò lui emozionato non riuscendo a toglierle gli occhi di dosso. Emma era così diversa! Lui se la ricordava più bambina, piena di brufoli, un po’ più in carne ed estremamente truccata. Ora aveva davanti una donna più alta, magra, con i lineamenti signorili, un filo di trucco e un atteggiamento maturo… quanto era bella?!

“Ho appena scoperto di aver passato il test di medicina, quindi studierò anche io qui!” rispose lei sorridendo felice.

Luca non poteva crederci! Aveva la sua occasione: i due avrebbero studiato nello stesso posto ed Emma ce l’aveva fatta! Grazie a quei pochi giorni con lui aveva capito di dover diventare un medico.

“Congratulazioni! Lo sapevo che sarebbe stata la tua strada! Non avrei mai pensato di rivederti… di te mi è rimasta solo la scritta sull’elefante!” rise lui facendole ricordare le discussioni su quella simpatica lavagnetta.

“Non l’hai mai cancellato? Dopo tre anni? Come facevi quando dovevi scrivere le cose importanti?” si stupì lei.

“Quella era la frase più importante di tutte” rispose lui sicuro facendo tingere di rosso le guance dell’altra e facendole capire di aver sempre pensato a lei in quegli anni.

“E adesso? Ti sei trasferito qui? La tua famiglia? La tua ragazza?” disse Emma senza timore, desiderosa di conoscere le faccende personali dell’altro.

“Sì, sono qui a vivere e…con Chiara ho chiuso. Ho scoperto che mi tradiva con un suo amico. E’ stato meglio così…io non l’amavo più già da un bel po’” rispose lui mettendosi le mani in tasca.

“Beh, se vuoi ora con la legge non ci sono più problemi per uscire!” rise lei facendogli intuire di essere single e più che maggiorenne per far fronte alla differenza d’età. Emma, in quegli anni, aveva avuto un altro ragazzo ma la storia non durò molto proprio perché la giovane cercava costantemente il sosia di Luca.

Il ragazzo si mise a ridere e, prendendo coraggio, le chiese:

“Allora, se me lo permetti, ti inviterei ad uscire…però questa volta proponilo tu il ristorante perché non conosco la città” concluse lui facendo sorridere l’altra e continuando la discussione.

“Che bello bere insieme a te! Mi sono proprio divertita!” disse Ariel apatica appena Emma si sedette al tavolo.

“Scusami ero…”

“Con un tipo, ho visto…chi è?!” interruppe Ariel continuando a guardare il giovane occhialuto in lontananza.

“Uno che mi ha fatto capire chi sono veramente e mi ha permesso di tornare da te” rispose lei continuando a sorridere guardando un punto del tavolo.

“Oddio, ti brillano gli occhi…che ti piace già? Ci esci?” chiese ancora la rossa osservando la maggiore imbambolata.

“Ti racconterò tutta la storia…” rispose Emma per poi girarsi e fare un cenno a Luca con il quale avrebbe avuto un appuntamento il giorno dopo.

La ragazza si sentiva felice e le pareva di toccare il cielo con un dito. In un attimo le passò davanti agli occhi tutto il suo percorso: dal bullismo, a Biff, alla fuga, a Luca, alla famiglia, all’incidente di Ariel, allo studio e la gioia dopo aver cambiato stile di vita.

Luca era sempre stato un sogno in quegli anni ed ora era di nuovo realtà.

Fu proprio in quel momento che la ragazza si ricordò una frase pronunciata da sua madre anni prima:

“Lascia fare al destino”… e ne capì finalmente il significato.

Quante probabilità c’erano di incontrare di nuovo quel ragazzo che era stato capace di rubarle il cuore?...
solo il Destino lo sapeva.

FINE

 
NDA:

Giuro che mi metto a piangere! Non avrei mai voluto concludere questa storia perché ne vado particolarmente fiera e mi sono affezionata ai personaggi. Prima o poi, però, dovevo portarla a termine.

Spero di aver toccato tutti i punti, di non aver creato buchi nella trama e di aver spiegato l’evoluzione di ogni personaggio dando il giusto spazio a tutti. Ho voluto provare a mostrarvi vari tipi di famiglie con i propri problemi e le proprie difficoltà che riguardano anche il mondo di oggi. Da qui il titolo Family.

So bene che questo ultimo capitolo può avervi lasciato l’amaro in bocca visto che l’incontro tra Emma e Luca è ambiguo e lascia la questione in sospeso. L’ho fatto perché, magari, prima o poi mi verrà voglia di continuare questa storia e ripartire da qui e anche perché l’idea di lasciare il dubbio mi ispirava.

Posso solo dirvi che, come è ormai mio solito, la maggior parte delle mie storie sono autobiografiche.
…quindi non abbiate paura per Luca ed Emma perché anche io, come lei, mi sono presa una cotta per un ragazzo di 8 anni più grande di me a 15 anni per poi non vederlo più e ritrovarlo casualmente a 18 anni… ed ora sono fidanzata da 3 anni… con questo ho detto tutto.

Ringrazio di cuore le mie due sostenitrici. Ivy che ormai è un’amica con cui condivido molto, non solo a livello di passioni ma a livello umano e Marziani che ho scoperto essere una lettrice appassionata delle mie storie.

Ora mi prenderò, come mio solito, un po’ di tempo per buttarmi nella vita quotidiana, studiare, studiare, studiare e lasciarmi venire qualche nuova ispirazione.

Grazie davvero per essere arrivati fin qui e ci si legge in giro!

Anna

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