Sigue tu corazon, trust him.

di Bloody Wolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: La consapevolezza degli eventi è la peggior condanna ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Perdere tutto potrebbe spaventare chiunque ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Se ti manca l'intenzione, molla tutto. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: Grazie per aver combattuto anche per me. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: La consapevolezza degli eventi è la peggior condanna ***


Ed eccoci qui a pubblicare il primo capitolo per questa Challenge che mi ha dato la possibilità di scrivere dei due sport che di più amo al mondo: l'equitazione e il pattinaggio artistico. Il primo capitolo sarà incentrato sul cavaliere Miguel Rodrigues perchè diciamo sarà quello che ha avuto il problema più grande e che, di conseguenza, aveva bisogno di più spazio diciamo...
Ho già scritto anche il secondo capitolo e mi sto apprestando a scrivere il terzo quindi spero di ruscire a completarla in tempo!
Ringrazio infinitamente chiunque abbia voglia di leggere,commentare o lanciarmi pomodori marci (perchè anche quello significa che vi ho fatto perdere tempo nel leggerla e lanciarmi i pomodori! XD)
Ho messo Slashnelle noto perchè se tutto va come ho pensato, ma non andrà mai così, ci potrebbe essere qualcosa di fluffoso alla fine ma non si sa per certo... Il giallo l'ho messo per le scene in questo capitolo perchè qualcuno (io piangevo mentre la rileggevo perchè sono idiota) potrebbe rimanere un poco scioccato dagli eventi.
Come sempre la grafica l'ho fatta io e... basta vi lascio alla lettura.
 

Capitolo 1: La consapevolezza degli eventi è la peggior condanna.

Il cavallo scosse la testa muovendo i crini e Miguel strinse le dita su quelle redini premendo leggermente il calcagno sulla pelle dell’animale per farlo proseguire. Toccava a loro, quella gara era l’ultima tappa del mondiale, un solo percorso e sarebbe stato il primo cavaliere a ricevere, per la seconda edizione consecutiva, il premio.

Aveva iniziato a piovere da poco ma la cosa non lo preoccupava, si allungò a battere la mano sul collo del compagno di corse incoraggiandolo per quel percorso che sarebbe durato minimo un paio di ore. Il Cross Country non era mai stata la disciplina in cui eccelleva ma era consapevole di quanto fosse importante per quel titolo…

Il purosangue si impuntò alzandosi sui posteriori nervoso e irrequieto quando un operatore si avvicinò per controllare la ferratura ma lui, conoscendo l’animale, riuscì a calmarlo parlandogli.

“Numero 18 pronto a partire.”

Miguel annuì spingendo il cavallo fino al cancelletto di partenza, aspettò il via della giuria e poi partì cercando di non far stancare l’animale, era importante calibrare la velocità e il passo per arrivare alla fine. Si erano allenati per ore e ore per aumentare la loro resistenza quindi confidava nel lavoro che avevano fatto.

 

“Notizia dell’ultima ora: il cavaliere Miguel Rodrigues, porta bandiera della Spagna, durante l’ultima gara del mondiale è rimasto ferito e il suo cavallo Fuego II è stato ritrovato ad alcuni chilometri dal luogo dell’incidente con ferite profonde. Al prossimo aggiornamento con TG4”

L’uomo spense il televisore lanciando il telecomando e portandosi le mani nei capelli, non poteva tollerare quella caduta da parte del proprio allievo. Erano fuori da quella sala operatoria da quasi quattro ore, era il suo allenatore e doveva prendere una decisione importante riguardo a quella bestia.

La preparatrice atletica di Miguel guardò il collega e puntò gli contro un dito con fare minaccioso, cercò di fermare le lacrime che, calde e violente, continuavano a cadere dai suoi occhi

”Non ti azzardare a fare del male a quel cavallo… non devi osare chiaro? Uccideresti Miguel…”

L’uomo indurì lo sguardo e negò con il capo, uccidendo quel cavallo non avrebbe perso troppi soldi, non più di quelli che avrebbe dovuto spendere per curarlo. Alfred odiava quel lavoro ma continuava a farlo nonostante tutto per i soldi che, grazie alla bravura di Miguel, continuavano a fluire sul suo conto arricchendolo.

La luce sopra alla sala operatoria si spense obbligando i due a fermarsi, immobili ad attendere che uno degli infermieri o uno dei medici arrivassero da loro per dirgli le condizioni in cui versava l’atleta.

 

“Si sta svegliando, chiamate il medico”

Gli occhi di Miguel si aprirono lentamente, cercarono di abituarsi a quella luce fredda e a quel bianco quasi soffocante. Mugugnò infastidito dal leggero bip che riempiva la stanza in continuazione, non ricordava molto e l’unica cosa che ricordava era di essere caduto e poi, il buio.

“Rodrigues, segua la luce, per favore”

Il medico gli afferrò il mento e gli puntò una luce negli occhi, infastidendolo ma obbligandolo a fare ciò che gli aveva richiesto di fare. Aveva la gola secca e la testa gli pulsava, si leccò le labbra prima di riportare lo sguardo sul volto del medico mentre gli parlava

“Ok, risponda a queste domande: cosa è l’ultima cosa che ricorda?”

Miguel guardò attorno a sé trovando Shjra, la sua preparatrice atletica che, nonostante i quarant’anni passati rimaneva una donna bellissima con quei suoi occhi verdi e quei capelli neri. Lei gli sorrise con le lacrime agli occhi mentre gli tendeva una mano come per incoraggiarlo a parlare.

“L’incidente…”

Il dottore annuì e continuò una breve serie di domande per capire gli eventuali danni riportati, andandosene dopo pochi minuti lasciando i due Spagnoli da soli nel silenzio opprimente di quel dramma che il cavaliere aveva già, nella sua mente, ipotizzato.

“Dimmi che non l’ha fatto. Dimmi che quando uscirò da qui lui sarà nel suo box...”

La donna a quelle semplici parole scoppiò a piangere, iniziò a singhiozzare distrutta e addolorata per quel suo atleta che, nonostante tutte le difficoltà, aveva imparato ed ad adorare alla follia, quasi come se fosse suo figlio. Miguel quando aveva iniziato a cavalcare era un giovane come tanti altri, con occhi azzurri e capelli neri ma nel suo sguardo si poteva leggere l’intensità di quella determinazione che lo avevano portato, competizione dopo competizione, sulla cima del suo primo podio mondiale.

Sembrava nato per restare in sella ma soprattutto sembrava essere nato per stare in mezzo ai cavalli e per la donna quello bastava, le bastava vederlo felice nel suo ambiente per smettere di preoccuparsi di tutto il resto.

Gli occhi del giovane si velarono di lacrime mentre si mordeva le labbra con furia, non avrebbe perdonato quell’uomo, non lo avrebbe mai fatto. Avevano sempre avuto dei disguidi tra loro ma arrivare a compiere quel gesto era da codardi…

Si ritrovò a prendere un bel respiro, gonfiò il petto mentre cercava di ricacciare le lacrime indietro, non avrebbe permesso a nessuno di sconfiggerlo moralmente, nemmeno Alfred poteva avere quel privilegio.

“Fuego II stava galoppando...”

La voce gli si bloccò nella gola mentre fissava un punto fisso di fronte a sé, non aveva il coraggio di guardare la donna negli occhi, così si limitò a parlare evitando, il più possibile di interrompersi per via del peso sullo sterno che, parola dopo parola, si andava formando appesantendolo.

“Avevo adocchiato il prossimo salto così ho tirato le redini per farlo rallentare e lui ha ubbidito alzando la testa e frenando per poter arrivare all’ostacolo con la giusta velocità...”

Miguel spostò lo sguardo sulle proprie mani che, incontrollabili e prepotenti, tremavano nonostante la fasciatura che partiva dalle dita e saliva fino alle spalle e al collo. Ora che ci pensava, non aveva nemmeno chiesto i propri mali…

“Ha saltato in maniera impeccabile nonostante il terreno bagnato, erano mesi che ci allenavamo per quella gara e ormai eravamo in perfetta sincronia ma quando siamo entrati nel boschetto qualcosa lo ha spaventato...”

Strinse le mani a pugno avvertendo le scariche di leggero dolore che lo percorrevano lungo tutte le braccia e lungo il collo. Il suo respiro si accorciò obbligandolo a respirare con maggiore frequenza, si impose di calmarsi dicendosi che quella reazione era dovuta al fatto di rivivere quei tragici attimi, secondi in cui aveva capito seriamente che la forza della natura era più forte di qualsiasi cosa, anche di anni e anni di allenamenti.

“Penso che fosse un corvo o qualcosa di simile. Gli è sfrecciato sotto il muso e lui terrorizzato ha sgroppato impuntandosi sulle zampe posteriori e lasciandosi prendere dal panico. Non riuscivo a controllarlo, ha impennato nuovamente poco dopo ma si vede che non aveva calcolato la pendenza ed è scivolato all’indietro ...”

La donna chiuse gli occhi , tremando mentre si immaginava la scena e decidendo di alzarsi dalla sedia per afferrare quelle mani fasciate e sedersi di fianco a quel letto per ascoltare il resto della storia

“...cadendo io non sono riuscito a districarmi dalle staffe, il mio piede era bloccato e la mia schiena ha impattato sulla staccionata portandoci a scivolare in quei pochi metri scoscesi nel bosco.”

Negò con il capo mentre chiudeva gli occhi, il suo labbro tremava e le sue lacrime avevano iniziato a sgorgare limpide e impetuose come quel racconto.

“Mentre scivolavamo ho sentito che il cavallo stava cercando di tirarsi in piedi ma la mia gamba destra era bloccata così più lui si muoveva e più io impattavo contro alberi e rocce… Ricordo che quando sono riuscito ad afferrargli il collo eravamo fermi, penso in fondo a quel breve dirupo, era sdraiato accanto a me e respirava profondamente...”

Si fermò nuovamente dal parlare riaprendo gli occhi e, sbattendo le palpebre, si ritrovò ad abbracciare la donna con bisogno, ricordava ogni singola parte di quell’incidente, se si impegnava sentiva ancora la terra che franava sotto di sé e quella memoria faceva male.

“…perdeva sangue ma non sapevo da dove e io non riuscivo a muovermi perché era sdraiato sulla mia gamba destra. Quando ha sentito che gli stavo parlando ha raddrizzato le orecchie, Shjra penso di non aver mai udito dei lamenti così dolorosi come quel nitrito…”

Lei accarezzò quella testa con amore e calma, poteva percepire tutto ciò che il ragazzo stava spiegando tra i singhiozzi, le sembrava quasi di essere lì con lui, forse era anche perché li aveva visti crescere assieme, ma le dispiaceva moltissimo e non poteva farci nulla se non starsene lì a piangere assieme a lui.

“Si è alzato in piedi e io non me lo aspettavo, il suo spostamento mi ha portato a battere la testa contro un sasso e da lì ho solo un’immagine sfuocata di Fuego II che corre via.”

Si piegò su se stesso e si portò le mani davanti al volto scoppiando a piangere, si sentiva morire dentro nel risentire quel nitrire disperato, era come se avesse visto ciò che era successo e avesse capito la gravità del fatto, il dolore di un animale che pensa di aver perso il proprio cavaliere.

 

Alcune settimane dopo.

“Miguel oggi abbiamo fisioterapia. Oh, sei al telefono scusa, finisci pure io torno tra poco.”

L’infermiere uscì dalla stanza lasciando lo spagnolo con il telefono attaccato all’orecchio con un sorriso dolce stampato in volto, parlare con la madre adottiva lo aveva sempre addolcito, il tono di quella donna riusciva a curare il suo animo meglio di qualsiasi medicina.

Mama, mi hanno solo messo una placca di ferro sul femore perché era frantumato, il resto erano tagli e abrasioni. Sono vivo.”

La donna iniziò a sbraitare contro quella finta superficialità che aveva da sempre distinto quel suo figlio così particolare e unico, l’avevano chiamata imponendole il silenzio stampa e, di conseguenza, non aveva potuto telefonare al figlio ma aveva appreso le sue condizioni da Shjra che, giorno per giorno, la teneva informata.

“Quanti punti ti hanno messo in testa, nio?”

Il giovane ridacchiò a quella richiesta, era forse l’unica cosa che non faceva poi così male la testa quindi si ritrovò a rispondere alla madre con un semplice numero: sette.

Era consapevole che la donna volesse porgergli ancora mille domande ma decise di anticiparle tutte, non aveva voglia di lasciare questioni in sospeso, soprattutto con una persona che lo aveva sempre sostenuto e amato per qualsiasi cosa.

“Continuerò mama, quando uscirò da questo ospedale e tornerò in Spagna, ti giuro che prenderò nuovamente in mano una sella e delle briglie per mostrare a chi ha ucciso il mio Fuego II che nulla mi può fermare.”

Avrebbe lottato e a tutti i costi avrebbe mostrato al mondo chi era, Fuego era morto per colpa di una persona avida e stupida, una persona che non amava ciò che faceva e che lo aveva dimostrato dimettendosi dopo aver firmato la soppressione del cavallo.

Alfred era sparito così, dopo tutto quello che era successo, dopo che aveva incoraggiato quel giovane a dare il massimo, aiutandolo e monitorando i progressi del binomio alla fine se l’era data a gambe levate, con la coda bassa uccidendo non solo un animale ma demoralizzando anche il cavaliere.

Siempre supe que eras un luchador, hijo mío.”                        (Ho sempre saputo che eri un combattente, figlio mio.)

[...To Be Continued...] by BloodyWolf

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Perdere tutto potrebbe spaventare chiunque ***


Ciao a tutti ed eccoci qui con questo secondo capitolo <3
Ringrazio sempre chiunque legge, recensisce e mette nelle liste questa mini long di 4 capitoli.
In questo secondo capitolo verrà introdotto Benedict ovvero Ben (il pattinatore per la cronaca hahahaah), spero di non avervi deluso con questo capitolo, dopo tutte le recensioni che mi avete lasciato sul primo capitolo che era il capitolo di Miguel, sono andata quasi in panico da secondo capitolo XD
Comunque sia ora vi lascio alla lettura e speriamo che vi piaccia <3 

Capitolo 2: Perdere tutto potrebbe spaventare chiunque

“Ben! Che diavolo era quello? Ti sembra un Loop fatto bene? Riparti dall’inizio.”

L’allenatore lo aveva fermato a metà coreografia e lui si era avvicinato alla barriera con calma, aveva portato le mani ad appoggiarsi sui fianchi e aveva aperto la bocca per incanalare una quantità maggiore di aria. Erano già due ore che si allenavano e quel giorno doveva ancora finire del tutto la coreografia, la sua coreografa ogni tanto lo fermava per dargli consigli o per cambiare alcuni aspetti dell’esibizione mentre il suo allenatore aveva deciso che quel giorno sarebbe stato imparziale facendolo fermare ad ogni singolo errore per poi farlo ripartire dall’inizio.

Annuì all’uomo e tornò al centro del ghiaccio, aveva sbagliato la rotazione e, di conseguenza, l’atterraggio era risultato traballante facendolo quasi cadere. Si posizionò nuovamente aspettando l’inizio della canzone muovendo un poco le caviglie e sentendo un leggero dolore in quella di sinistra. Era sicuramente legato a quell’atterraggio fatto male ma non poteva fermarsi in quel preciso momento, non voleva farlo, doveva finire almeno quella parte del programma breve.

La musica riempì l’aria e Ben iniziò a danzare sul ghiaccio, i suoi pattini scivolavano con leggiadria mentre si muoveva ripassando quei movimenti che ormai conosceva a memoria.

Prese velocità mentre si preparava per la prima sequenza di salti ovvero un doppio Axel, dal primo atterrò in maniera perfetta ma, mentre si dava lo slancio per il secondo salto, un dolore lancinante andò a diffondersi dalla caviglia verso tutta la gamba obbligandolo a lasciarsi cadere a terra con un tonfo sordo per rallentare.

Strinse i denti e soffocò un urlo mentre i due preparatori si fiondavano da lui alla ricerca del problema, la donna cercò di rimuovere il pattino ma Ben urlò mentre alcune lacrime scendevano dai suoi occhi.

“Chiama un’ambulanza. Lo portiamo in ospedale. Avanti ragazzo usciamo dal pattinaggio almeno, appoggiati a me”

Ben si ritrovò ad afferrare la giacca del proprio allenatore, si tirò in piedi senza appoggiare quella gamba offesa, fare quel breve tragitto sul ghiaccio gli sembrò difficilissimo.

Si ricordava le prime volte che aveva messo dei pattini, ogni metro che faceva sul ghiaccio si ritrovava a terra sbattendo il sedere con forza, non aveva mai avuto una soglia del dolore elevata ed era iniziato tutto da quella semplice costatazione: non voleva più sentire il dolore della caduta e così aveva iniziato, giorno dopo giorno, a pattinare migliorando fino ad arrivare al mondiale.

Si sedette su una delle panchine aspettando i paramedici dell’ambulanza, la caviglia pulsava ininterrottamente mentre lui si stringeva una gamba appena sopra al ginocchio in un inutile tentativo di lenire quel dolore atroce che pareva diffondersi in tutta la gamba. Stava iniziando a sudare freddo mentre il suo respiro si era mozzato obbligandolo ad aumentare l’intensità della respirazione. Nella sua mente si formò un unico pensiero, si fissò come un cancro nelle sue meningi obbligandolo a negare con il capo, era un pensiero razionale e giusto ma che, in quel preciso momento, era terrorizzante per l’atleta

“Tyler non voglio andare in ospedale! Tyler ti prego!”

L’uomo si avvicinò a lui afferrandolo per le spalle nel momento stesso in cui lui cercò di alzarsi dalla panca, Ben aveva gli occhi lucidi e in volto gli si poteva leggere il panico, aveva gli occhi sgranati ed era pallido.

“Ben calmati. Perchè non dovrei portarti in ospedale?”

Il giovane respirò intensamente prima di leccarsi le labbra mentre lasciava che i suoi occhi saettassero a destra e a sinistra del palazzetto del ghiaccio, ancora una volta il ragazzo cercò di alzarsi ma fu bloccato dalla presenza di due grandi e forti mani

“Perchè mi impediranno di pattinare e io non posso, non ora che c’è il mondiale”

Tyler si ritrovò a spalancare gli occhi di fronte a quell’insensato discorso, quel giovane stava davvero pensando al peggio senza però mettere per scontato che, se in quel preciso momento non si fosse fatto curare, sarebbe peggiorato fino a perdere l’uso dell’intera caviglia. Poteva essere slogata o rotta ma andava comunque medicata da qualcuno di esperto.

“Tranquillo, Ben.”

 

L’ospedale si era prodigato a sedare il giovane per poter rimuovere quel pattino, avevano dovuto tagliarlo per via della caviglia che si era gonfiata impedendone la rimozione manuale.

I medici dovettero fare una piccola operazione di un ora per fare in modo che quella parte lesa potesse tornare ad essere forte ed elastica come prima.

“Lei è l’allenatore se non erro? Una caviglia malridotta come quella del giovane Benedict non sarebbe mai tornata ad essere la caviglia di prima quindi abbiamo ricostruito la parte lesa in modo che possa tornare a gareggiare tra qualche mese, servirà tantissima palestra ma non penso che ciò sia un problema per un atleta.”

L’uomo annuì in parte sollevato da quelle parole, i medici prima di intervenire gli avevano spiegato a cosa andava in contro se non avesse firmato per quella breve operazione e, una volta che aveva parlato anche con i genitori del giovane, si era ritrovato a decidere che era meglio rischiare che perdere tutto.

 

Ben si svegliò sbattendo le palpebre, mugugnò dolorante e girò la testa verso destra. Addormentata di fianco a sè c’era sua madre, allungò una mano accarezzandole la testa con amore. I suoi occhi si appannarono di lacrime mentre le gocce, traditrici, iniziavano a sgorgare da quegli smeraldi preziosi.

Aveva fallito, aveva mandato tutto a rotoli solo per il suo maledetto ego, se si fosse fermato invece di andare avanti ora non sarebbe in quel letto d’ospedale ma soprattutto non avrebbe deluso sua madre.

“Perchè piangi, mio principe?”

Aveva preso gli stessi colori della madre, aveva gli stessi occhi color smeraldo e quei capelli castani che, uniti alla delicatezza dei loro tratti, li rendeva belli.

Ben dovette spostare lo sguardo mentre stringeva una mano della madre nelle proprie, cercando di contenere quelle emozioni che lo stavano affondando minuto dopo minuto.

“Ti ho deluso, ora non potrò mai più farcela… scusami”

Chantal chiuse gli occhi e negò con il capo alzandosi da quella sedia su cui si era addormentata per abbracciare il figlio che, in pochi secondi, scoppiò in un pianto isterico e disperato. Gli accarezzò i capelli sussurrandogli parole dolci per farlo tranquillizzare ed infine parlò poggiando le labbra sulla fronte dell’atleta

“Non mi hai delusa, i medici dicono che se farai fisioterapia nel modo corretto la tua caviglia tornerà quasi come nuova. Dovrai stare qui per un paio di settimane e…”

Negò il giovane mentre i medici entravano per medicarlo e per vedere come stava facendogli le classiche domande di rito. Sua madre se ne andò lasciandolo solo ad affrontare quella difficile prima giornata d’ospedale, consapevole che la donna non potesse affiancarlo sempre per via del lavoro.

 

“Merda!”

L’infermiera che aveva vicino si fermò dall’aiutarlo ritirando le proprie mani e portandosele al grembo mentre, sul suo viso, nasceva una smorfia di compassione per quel giovane uomo.

Ben odiava la compassione, non voleva che la gente lo guardasse così, si sentiva ridicolo ma nonostante tutto era una di quelle emozioni che tornava, prepotente e perenne, in qualsiasi persona che lo riconosceva.

Il fato, pensava Ben, aveva ben pensato che non bastasse il pensiero fisso di aver chiuso con il pattinaggio no, servivano anche i “fans” che glielo ricordavano, giorno dopo giorno.

“Sto bene, vado in bagno e basta. Grazie Laila”

L’infermiera annuì e si defilò mentre lui saltellò fino al bagno, si risciacquò il volto guardandosi allo specchio, si ritrovò a negare deciso verso il proprio riflesso...

Sarebbe stato un ricordo, un potenziale andato sprecato finito ad insegnare a qualche idiota come stare in equilibrio su dei maledetti pattini.

Sapeva che doveva solo crederci, era consapevole che doveva solo impegnarsi ma la forza scemava sempre di più, si sentiva sempre più stremato e senza uno scopo che lo obbligava a combattere…

 

Laila gli sorrise mentre lo accompagnava nella sala giochi, lui sbuffò negando con la testa guardando la ragazza da sopra la spalla. Era difficile abituarsi alle stampelle ma trovarsi in quella sala era molto peggio, era circondato da persone anziane che giocavano a carte e che gli raccontavano esperienze del loro passato che a Ben non interessavano minimamente.

“Ancora? Non devi smistare le siringhe? E’ una settimana che sono qui ed è già la terza volta che mi porti qui… Sii sincera, mi vuoi morto per noia?”

La ragazza ridacchiò per poi farlo accomodare vicino ad alcuni anziani che giocavano a scala quaranta, li presentò a grandi linee e poi appoggiò le mani sulle sue spalle per avvicinarsi con il volto al suo orecchio e sussurrargli di restare lì che, per quella volta, gli avrebbe trovato compagnia. La donna sparì nel corridoio opposto a quello da cui era venuto lui tornando dopo un poco accompagnata da un ragazzo sulle stampelle.

Ben si perse a guardarlo da lontano, aveva la pelle olivastra e i capelli neri, ridacchiava con la giovane infermiera con leggerezza nonostante fosse infortunato, aveva una spessa fasciatura a livello del femore ma era coperta da quei pantaloni larghi in tuta.

Lo fece sedere di fianco a lui e quel giovane subito salutò educatamente sia gli anziani che lui con una naturalezza che lo fecero rimanere a bocca aperta

“Piacere Miguel e tu sei?”

Imbambolato e sbalordito dal carisma che quel ragazzo emanava, non bastava che fosse anche bello…

“Benedict piacere mio.”

Il silenzio calò sovrano, era quasi imbarazzante avere di fianco un ragazzo così, Ben iniziò a pensare che era illegale avere un sorriso così disarmante, era da carcere.

“Giochi a carte, Benedict?”

La domanda arrivò imprevista, obbligandolo a girare il volto spalancando gli occhi meravigliato, trovandosi a specchiarsi in quegli occhi colore del cielo, annuì quasi in maniera meccanica mentre sorrideva in risposta a quel giovane sconosciuto.

Passarono l’intero pomeriggio a giocare a carte, a parlare del più e del meno ma nello stesso momento parlarono di cose senza senso, e se ne accorse solo quando Laila,l’infermiera, arrivò per accompagnarli nelle rispettive camere.

Ben aveva appena imboccato il corridoio quando si fermò per girarsi, si ritrovò quegli occhi puntati su di sé e si sentì quasi il respiro mancare mentre sorrideva nella sua direzione tornando a camminare.

Quanto poteva essere bello incontrare gente a caso in ospedale? Improvvisamente era diventata meravigliosa quella prospettiva.

Gli erano sempre piaciuti gli uomini ed aveva avuto un paio di storie ma, per via del suo sport a livello agonistico e, di conseguenza, del poco tempo a disposizione, erano tutti scappati a gambe levate…

 

[...To Be Continued...]



Per la cronaca mi manca il quarto capitolo da scrivere quindi dovrei essere in tempo però non sono molto sicura... 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: Se ti manca l'intenzione, molla tutto. ***


Ed eccoci qui, siamo giunti al penultimo capitolo di questa... cosa... storia.... va bhe, soprannominiamola abbozzamento di parole per una challenge super fiqua XD
Ok! Questo secondo me è il peggior capitolo che io abbia mai scritto in tutta la mia vita, l'ho letto cinque volte e sei ho cambiato qualcosa quindi oggi ho deciso di buttarlo sul sito così da smettere di farmi le paranoie. Sì devo smetterla.
Capitolo importante ma anche molto di passaggio, sono quasi 2600 parole ma il grosso della storia arriverà nell'ultimo capitolo che devo ancora finire, per lacronaca eh.
XD Spero che vi piaccia e che i sentimenti di Ben siano chiari perchè ho fatto davvero fatica a scriverli.... 
Devo ringraziare enormemente chiunque legge questa storia e vorrei ringraziare chiunque recensisce perchè mi rende felice e vogliosa di continuare questa sfida con me stessa (per chi non lo sa, questa è la mia terza originale e per me non è così semplice)
Va bene, vi lascio alla lettura ma nel frattempo vado a rinchiudermi in un bunker sotterraneo per evitare bombe atomiche o tnt volante, see you soon ^-^

Capitolo 3: Se ti manca l’intenzione, molla tutto.

Benjamin si era ritrovato, dopo qualche giorno, seduto sulla stessa sedia di quando aveva incontrato quel ragazzo spagnolo che lo aveva tirato fuori da quella monotonia apatica e quasi depressiva.

Di fianco a lui c’era un’anziana signora che aveva deciso di raccontargli la sua vita, l’infermiera ogni tanto passava di lì e ridacchiava di fronte al giovane che, con la caviglia bendata e steccata, cambiava mille posizioni per cercarne una in cui riuscisse a non addormentarsi e a stare concentrato

“…e non ti auguro di dover mettere la dentiera quando diventerai vecchio, ragazzo mio è una cosa fastidiosissima. Sai che mia sorella ha un gatto nero cieco e incontinente e che vive con lei in simbiosi?”

Ben alzò gli occhi al cielo gemendo, quasi disperato, mentre gli stavano salendo le lacrime agli occhi, non ce la faceva più, quel posto era un inferno!

Laila appoggiò una mano sulla spalla del ragazzo per poi conversare con l’anziana e portandola nella propria stanza, graziandolo da quella tortura.

Rimase seduto su quel divanetto sbuffando di tanto in tanto, aveva preso tra le mani il piccolo telecomando e stava facendo passare i canali quando qualcosa attirò il suo interesse…

Lo spagnolo dell’altro giorno era arrivato fino lì accompagnato da una bellissima donna, lei lo aveva abbracciato con dolcezza scoccandogli un bacio sulla guancia per poi andarsene senza voltarsi.

Ben si guardò le mani, quasi imbarazzato di fronte a quella scena, si leccò le labbra pensando che non ci sarebbe stato nulla di male se si fosse alzato per andare a salutarlo, dopotutto il primo passo lo aveva fatto quel ragazzo dalla pelle olivastra invitandolo a giocare a carte, quindi perché lui non doveva azzardarsi a fare il secondo?

Si alzò da quella poltroncina scomoda e, utilizzando le stampelle, si portò vicino a Miguel per parlargli con tono dolce e quasi imbarazzato

“Ehi, per fortuna sei arrivato, mi stavo per addormentare assieme a quelle mummie”

Il pattinatore si ritrovò ad osservare quel sorriso trovandolo perfetto, non poteva negare a se stesso che quel giovane gli interessava, lo intrigava come pochi altri avevano fatto eppure non riusciva a dire cosa calamitasse la sua attenzione verso di lui, sì era un bel ragazzo ma ne aveva conosciuti di molto più belli eppure…

“Anche le mummie laggiù fanno parte della storia e valgono molto più di noi, ne sei consapevole?”

Ben si ritrovò stranito nel sentire quella risposta, l’aveva detta sorridendo, come se avesse detto la cosa più ovvia del pianeta e lui si ritrovò a pensarci: quelle persone avevano passato anni difficili tra guerre, povertà e carestie quindi aveva ragione Miguel nel dire che erano la storia, loro erano solo tasselli di passaggio, nulla che nessuno avrebbe ricordato. Questo pensiero gli mise i brividi, lui non voleva essere uno dei tanti, lui voleva essere ricordato.

La voce calma e calda dell’altro raggiunse il suo orecchio obbligandolo a girarsi e ad annuire sorridendo nel perdersi in quegli occhi azzurri

“Andiamo a fare un giro, magari nei giardinetti, che ne dici?”

Camminarono in silenzio lungo tutto il corridoio fino ad arrivare all’ascensore, Ben restò leggermente dietro e si ritrovò a guardare quel giovane chiedendosi cosa lo avesse portato fin lì ma soprattutto sembrava conoscere a memoria quei labirinti di camere e reparti ed era assurdo per lui, impensabile quasi, che era arrivato da pochissimo, da quanto tempo era lì?

Entrarono in ascensore e Miguel premette il piano dove, ipoteticamente dovevano starci i giardini mentre lui non riuscì più a fare silenzio e chiese, curioso e forse senza molto tatto ma, dopotutto, non ne aveva mai avuto molto quindi per lui non era un problema

“Che cosa hai alla gamba? Usi le stampelle ma non sembri star male… nel senso che non hai gesso o altro...”

Il ragazzo lo guardò alzando un lato della bocca e, alzando le spalle, rispose fissando gli occhi chiari in quelli del giovane pattinatore che, in quel momento, si sentì schiacciare da quell’intensità

“Cambierebbe qualcosa sapere cosa ho io quando la tua caviglia è palesemente operata?”

Deglutì negando con la testa e abbassando lo sguardo sulla propria punta della scarpa, aveva fatto centro, stava cercando qualcuno che lo capisse, senza realmente essere in grado di capirsi da solo ed era strano come uno sconosciuto lo avesse fatto, zittendolo quasi subito, con poche ma mirate parole. Miguel aveva risposto in maniera brusca ma Ben aveva capito perfettamente ciò che volevano dire quelle parole, ovvero che il dolore di uno sconosciuto non avrebbe attenuato il suo.

“Seguimi.”

Ben si ritrovò a seguirlo con calma camminando prudentemente e raggiungendo i giardini in pochi minuti. Uscirono nell’aria fresca e lo seguì fino ad arrivare ad una panchina isolata.

Si sedette tranquillamente appoggiando le due stampelle di fianco a sé, sbadigliò mentre la sua attenzione veniva calamitata dall’altro che cercava, con fatica, di sedersi senza caricare troppo la gambe ferita. Il cuore di Ben ebbe un fremito a quell’immagine e qualcosa di indescrivibile lo obbligò a muoversi appoggiando una mano sulla schiena dell’altro mentre l’altra andava ad accompagnare quel movimento dalla spalla. Non si era nemmeno accorto di ciò che aveva fatto fino a quando si ritrovò a pochi centimetri dal volto di Miguel che lo guardava curioso e meravigliato, nessuno dei due si era aspettato un gesto del genere.

Lo spagnolo si schiarì la gola riportando entrambe sul pianeta terra, ringraziò sorridendo mentre Ben abbassò lo sguardo e si leccò le labbra per evitare di fare stronzate e avvicinarsi troppo a quel ragazzo.

Ben decise di iniziare a parlare, voleva che quella passeggiata non rimanesse avvolta in quell’imbarazzante tensione che si era creata. Non voleva pensarci troppo, non in quel momento.

“Non potrò più pattinare, la mia caviglia non sarà mai più come prima...”

Lo sguardo chiaro di Miguel si focalizzò sul suo volto, poteva sentirlo su di sé e lo trovava piacevole, quasi in maniera assurda. Non amava essere fissato, sembrava sempre una forma di stalkeraggio e detestava essere al centro dell’attenzione a meno che lui non fosse su una pista di pattinaggio.

“Loro dicono che tornerà al top della forma ma ho molti dubbi a riguardo e non voglio abbandonare tutto.”

Si ritrovò a voltare la testa puntando i propri occhi in quelli dell’altro e sorrise triste di fronte a quella confessione che non aveva fatto a nessuno prima di quel momento. Si sentiva bene, il dirlo ad alta voce gli aveva fatto materializzare quel pensiero, quella paura di rimanere così, uno zoppo che cercava di pattinare.

Gli veniva voglia di piangere, di sfogare quella rabbia repressa che aveva dentro ma qualcosa nell’espressione del giovane lo obbligava a restare immobile ad attendere alcune delle sue parole, voleva sentire la sua voce come un assetato che sente il rumore della fonte e appaga i sensi con essi prima di bere.

“Hai ragione.”

Chiuse gli occhi, Miguel, lasciando che la propria testa cadesse indietro, in religioso silenzio dopo quella risposta così sicura e secca. Non erano amici ma nemmeno quel poco tatto era simpatico, Ben indurì lo sguardo mentre seguiva, con gli occhi, la linea del mento e del pomo d’Adamo del giovane che saliva e scendeva con calma.

“Che significa, scusa?”

Chiese il giovane americano con tono quasi piccato, era abbastanza demoralizzato di suo e non aveva bisogno di altri che glielo dicessero. Qualche giorno prima sarebbe stato già in piedi e già pronto a rientrare in ascensore dopo una risposta di quella portata, non era mai stato bravo a gestire la rabbia e l’andarsene era sempre stata la scelta migliore ma, dopo aver incontrato Miguel, c’era qualcosa che lo teneva lì incatenato ad attendere la sua risposta?

“Significa che hai ragione, la tua caviglia non tornerà mai come prima, semplicemente perché tu per primo non ci credi”

Gli occhi dello spagnolo vagavano verso il cielo, si muovevano calmi mentre seguivano le nuvole con guizzo divertito. Il pattinatore negò con il capo di fronte a quell’affronto, non era il crederci o meno che lo avrebbe guarito, maledizione!

“Sono, anzi ero un pattinatore a livello mondiale… senza una caviglia in ottimo stato sono morto! Capisci che la mia carriera è finita! Il crederci o meno non mi porterà da nessuna maledettissima parte!”

Stava ansimando per aver detto quelle dolorose parole mentre alcune lacrime calde erano sgorgate dai suoi occhi, quelle gocce dispettose erano scivolate via infrangendosi sulla panchina di legno.

“Non puoi capire.”

Quelle lacrime e quell’ultima breve frase formata da tre parole catturarono l’attenzione del giovane che, con una naturalezza disarmante, gli sorrise e parlò con tono amorevole.

“Forse hai ragione, non posso capirti ma se non ci provi credendoci puoi anche lasciar stare di farlo...”

La scintilla di determinazione e di passione che sorvolò quelle iridi celesti mozzarono il respiro del pattinatore, non capiva perché quel discorso lo stesse scuotendo fino a quel punto ma si decise ad ascoltare, mordendosi un labbro per non piangere ancora ed impedirsi di scappare come una ragazzina.

“...sarai solo uno dei tanti che ha mollato la presa, un perdente e null’altro.”

Ben ascoltò quella voce, così calma ma così letale, e negò con la testa, come era possibile che quello straniero parlasse con quella voce morbida e quasi ammaliante mentre nello sguardo aveva quella determinazione e quella carica positiva da farlo fremere?

Non era umanamente possibile, non voleva tutto quello ma…

Affondò i denti nel proprio labbro alzandosi in piedi afferrando le stampelle con decisione, fece un paio di passi incerti senza alzare lo sguardo e si decise a parlare con tono debole e tremolante

“Grazie ma non ho bisogno di qualcuno che mi butti a terra invece di aiutarmi a rialzarmi.”

Miguel rimase seduto su quella panchina per alcuni minuti, immobile a godersi la leggera brezza prima di decidersi ad afferrare il cellulare e, quasi incuriosito, iniziò a cercare l’incidente del ragazzo trovando la notizia del suo infortunio e della sua caviglia.

Ridacchiò tra se, quel ragazzo aveva un’aria da principe. Era la classica persona che bisognava metterla di fronte alle peggiori situazioni per fargli apprezzare ciò che aveva ottenuto ed impedirgli di perderle per sempre.

Lo aveva capito fin dal primo momento in cui lo aveva incontrato, quel suo fare da ragazzo con la puzza sotto il naso era solo una facciata che nascondeva una delle paure più terribili: la solitudine.

Era quasi sicuro di aver centrato appieno il problema e si ritrovò a passarsi le mani nei capelli corti, socchiudendo gli occhi e sbuffando con un sorriso ebete stampato in volto.

Tornò in stanza trovando sua madre che gli aveva preparato la valigia, l’abbracciò con forza mentre annuiva e respirava.

“Sono pronto… torniamo in Spagna.”

Nonostante che il suo femore dovesse ancora guarire del tutto, i medici gli avevano dato il permesso di tornare in patria così da poter restare vicino ai propri parenti.

Stava uscendo dalla hall dell’ospedale quando incontrò Laila, l’infermiera che gli aveva permesso di passare quegli ultimi giorni in compagnia di quel Benedict. Si fermò e la guardò sorridendole affabile mentre lei, subito, si intristì chiedendogli informazioni

“Te ne vai già? E io ora con chi lascio Ben?”

Miguel ridacchiò alzando gli occhi al cielo mentre alzava le spalle in un gesto spontaneo e delicato.

Non era riuscito a chiudere occhio, si era girato e rigirato in quel letto bianco per un numero indicibile di volte ma solo quando aveva guardato l’orologio che indicava le quattro e mezza della mattina aveva deciso di dire basta a tutto quel caos che aveva in testa.

Ben scese dal letto afferrando le stampelle e dirigendosi verso il piccolo bagno, abbassò la tavoletta e ci si sedette sopra sbuffando, afferrò il cellulare scorrendo le storie piene di immagini su Instagram.

I suoi colleghi di pattinaggio si stavano allenando, gareggiavano e si divertivano mentre lui era lì, obbligato in quell’ospedale per via della propria caviglia, inerme di fronte a quella sventura.

“Sono un cretino.”

Quelle parole fluirono dalla sua bocca con dolore e rassegnazione mentre i suoi occhi si colmavano di lacrime nel vedere i volti sorridenti di quelle persone che chiamava amici. Per via del suo carattere, in quel preciso istante voleva solo scoppiare a piangere e distruggere tutto ciò che aveva attorno ma il suo cervello, in quel preciso istante, glielo stava impedendo obbligandolo ad ingoiare un nodo alla gola.

Chiuse gli occhi e fece dei profondi respiri, ricercando dentro di sé quella calma che aveva imparato a controllare quando era sul ghiaccio. Mosse il collo un paio di volte prima di immaginarsi, nella propria mente, su quella lastra trasparente e fredda che ormai considerava come una seconda casa. Immaginò di muoversi vibrando al dolce e familiare suono della lama che fendeva il ghiaccio, il solo ricordo di questa sensazione portò la pelle di Be ad essere percossa da piacevoli brividi che, nella loro semplicità, gli mozzarono il respiro.

Spalancò gli occhi di fronte a quella sua rivelazione, non voleva rinunciare a quelle sensazioni, non si sarebbe arreso per così poco…

Era sicuro che sarebbe caduto ancora, avrebbe quasi sicuramente rotto qualcosa d’altro ma ora aveva la consapevolezza che non doveva lasciarsi mettere in ginocchio da un semplice infortunio.

“Il mio mondo e la mia vita sono sul ghiaccio. Devo tornarci altrimenti morirò, giorno dopo giorno, come in uno di quei film scadenti che nessuno guarda...”

Si sciacquò il volto con dell’abbondante acqua fresca e, abbandonando una delle due stampelle, uscì dal bagno dirigendosi verso il proprio letto con una sicurezza che ultimamente gli era mancata. Mentre camminava si ritrovò a ridacchiare pensando a quanto assomigliasse al Dottor House in quel momento con quell’appoggio precario, da aggraziato pattinatore a grezzo medico zoppo, non male!

Toccò il materasso con le proprie dita e, semplicemente, si girò guardando la distanza tra il letto e il bagno. Ora gli sembrava così lontana ma non impossibile, c’era riuscito, era arrivato fino lì senza una delle due stampelle. Poteva farcela.

Estrasse il telefono dalla tasca della tuta e si scattò un selfie che postò sui social con una scritta semplice quanto d’impatto:   I’m back stronger than before!

Si addormentò con una luce nuova negli occhi, una luce che lo avrebbe portato nuovamente sulla pista.

 

Percorse tutta l’ala dell’ospedale con una sola stampella, Laila era dietro di lui curiosa ma pronta ad afferrarlo in caso di cedimento. Ben fece passare l’intero piano fino a quando, in una della cartelle esposte all’esterno di una camera, trovò il nome di Miguel Rodrigues, entrò guardandosi attorno con il fiatone e gli occhi spalancati.

“E’ stato dimesso ieri, è tornato in patria, pensavo che te lo avesse detto...”

Ben negò con il capo mentre si mordeva il labbro inferiore pensando che, in effetti, non gli aveva lasciato il tempo materiale per dirglielo perchè era stato capace solo di lamentarsi e prendere quelle parole come un’offesa invece di vederle come un incentivo.

Era stato stupido ed infantile e si vergognava. Strinse i pugni annuendo alle parole della donna mentre guardava quelle lenzuola sfatte che dovevano ancora essere cambiate per un nuovo paziente e parlò con voce sicura e con un tono che non ammetteva repliche

“Non so se ci rivedremo ancora ma ti prometto che salirò su quel ghiaccio e farò del mio meglio, sarò più forte di prima, te lo prometto!”

Laila dietro di lui si portò le mani alla bocca sbalordita da quella forza d’animo che aveva mosso quel giovane pattinatore, era stato un incontro quasi del tutto casuale che, però, aveva portato luce nella vita di entrambe gli atleti.

[...To Be Continued...] by BloodyWolf

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Capitolo 4
*** Capitolo 4: Grazie per aver combattuto anche per me. ***


Note in fondo al capitolo, non ce la faccio a scriverle anche qui, piango troppo...
L'unica cosa che vi lascio è questa canzone che fa parte di questo quarto capitolo <3
 https://www.youtube.com/watch?v=9fYdy9TDm5k

Capitolo 4: Grazie per aver combattuto anche per me.

“Benedict Hoechlin preparati, manca poco alla tua esibizione.”

Il giovane annuì continuando a muoversi per tenere i muscoli ben caldi e pronti a scattare. Ripassò mentalmente gli ultimi passi di quel programma che aveva scelto, era difficile ma lo aveva deciso per dimostrare al mondo stesso e a sé stesso che poteva superare tutto.

Ben si guardò allo specchio e sospirò togliendosi le cuffie dalle orecchie, spense la musica e tornò nel rumore del mondo esterno. Era vestito in modo semplice ma d’effetto con quei pantaloni neri con dei sottili ricami azzurri che richiamavano i ghirigori che riempivano il gilet, sotto di esso aveva una camicia nera semi trasparente che, con le luci, sembrava quasi piena di brillantini.

Si inumidì la punta delle dita passandosele sui capelli che, per l’occasione, erano stati lasciati crescere e legati in un piccolo chignon alto. La sua truccatrice aveva svolto un lavoro molto semplice e leggero contornando gli occhi di nero e azzurro.

Si appoggiò al lavandino e prese un bel respiro, quella era l’ultima tappa del Gran Prix, era rimasto in testa alla classifica per quasi tutte le gare da quando aveva ricominciato a gareggiare ma questa era la gara che avrebbe messo la parola fine a quella lunga stagione e, per una volta ancora, voleva che fosse da vincitore.

La sa vita era cambiata dopo l’incontro con quel ragazzo spagnolo e quella vittoria gliela avrebbe dedicata perché se non ci fosse stato lui, a incoraggiarlo in quel modo brutale ma necessario, Ben era convinto che sarebbe finito in qualche bettola a ballare vivendo solo come un’ombra del passato.

Con le mani andò a sfiorare i disegni su quel gilet, quel colore lo aveva scelto per il colore degli occhi di Miguel, così particolari ed intensi da mettergli i brividi.

“Te lo avevo promesso e così sarà.”

Mise il cellulare nella felpa della divisa e camminò fino al suo allenatore consegnandogli il vestiario per il dopo gara, non servirono parole ma solo un assenso di buon auspicio da parte di entrambe.

Si scaldò facendo un paio di giri all’interno dell’area ed infine si fermò nel centro, prese un bel respiro e annuì mentre poggiava un ginocchio a terra e lasciava il pattino dell’altra gamba teso indietro a creare, assieme alle mani intrecciate sopra la testa con naturalezza, una figura che partiva da terra.

Il commentatore parlò prima di far partire la musica con voce piena di gioia:

“Benedict Hoechlin, USA, 23 anni. Ha scelto la cover di Alejandro Càzares di Rise, Katy Perry, in bocca al lupo”

“Sobrevivirè

y me veras crecer

crearè mi historia

yo podrè ir mas alla

sin conformarme

no importa si me canso pues

tan profunde es mi raiz, oh”

 

La sua figura si snocciolò verso l’alto districando le braccia e alzandosi in piedi mantenendo gli occhi chiusi, mentre permetteva alla musica di fluire dentro di sè. Il pattino emise un leggero fischio mentre veniva strisciato sul ghiaccio in sincronia con le braccia che venivano allargate verso l’esterno con calma, sul suo volto si poteva leggere un’espressione quasi sofferente eppure decisa.

Prese a muoversi subito dopo le prime strofe, pattinando all’indietro con grazia e sicurezza, completando un primo giro della pista. Con quella canzone sarebbe risorto dalle proprie ceneri come una fenice, ne era certo!

 

“Personas de poca fe

no dudes no dudes

yo la victoria tendrè

lo saben lo saben

y no lo negociarè

lo quieren lo quieren

transformacion”

 

Si preparò ai primi salti eseguendo in maniera perfetta un doppio Salchow seguito subito da un Toeloop, atterrò in maniera impeccabile e ricominciò a muoversi su quella pista portando le mani al petto e poi allontanarle verso l’alto iniziando a ruotare su se stesso in una sequenza acrobatica che portò il pubblico a mantenere il respiro, ammaliata da quella perfetta armonia tra la musica e quella danza.

“Pues

cuando el fuego esta

a mis pies

y envidias llegan

otra vez

diciendo que

no puedo mas

voy a luchar”

 

Si mosse perfettamente bilanciato saltando deciso e sicuro concludendo un triplo Axel e un Toeloop seguiti da un salto senza appoggio per facilitare la prossima mossa, si allineò restando in equilibrio su un pattino come un angelo pronto a spiccare il volo. Ruotò su se stesso alcune volte per poi ricominciare a pattinare guardandosi attorno sorridendo, doveva dare il meglio del meglio quindi aveva già deciso che, quel giorno, avrebbe osato...

Aveva scelto quella canzone per le parole che usava, quelle parole intrecciate in spagnolo gli ricordavano il suo infortunio e, più ci pensava, più dentro di sé sentiva quella furia ribollire.

Come il titolo di quella canzone, Rise, lui voleva dimostrare di essersi rialzato.

“No hay errores ni accidentes

y se piensas que

el final es

piensa que

siempre me voy a levantar”

 

Sì. Quell’esperienza gli aveva insegnato che doveva sempre trovare la forza per rialzarsi ed era certo che avrebbe sempre cercato, nei suoi ricordi, quello sguardo con cui si era scontrato, quella scintilla che aveva trovato negli occhi di quel giovane spagnolo che era così deciso e sicuro delle proprie parole che era riuscito a smuoverlo facendogli fare quel passo che gli era comunque costato tanto: il rimettere i pattini.

Era partito con euforia ma tutti i buoni propositi erano svaniti quando era arrivato al cancelletto della pista: si era bloccato, immobilizzato e forse terrorizzato da quel dolore sordo che lo aveva inchiodato mesi prima. Aveva chiuso gli occhi e dentro di sé aveva sentito quella voce “...sarai solo uno dei tanti che ha mollato la presa, un perdente e null’altro.”

Doveva combattere per quella medaglia e avrebbe trovato un modo per mostrargliela!

“Estoy consciente

de la demencia y el caos

angeles he llamando

dicen

personas de poca fe

no duden no duden

yo la victoria tendrè

lo saben lo saben

y no lo negociarè

lo quieren lo quieren

transformacion”

 

Era migliorato, si sentiva meglio e doveva dimostrarlo al mondo intero! Si staccò dal ghiaccio aprendo le gambe ottenendo una perfetta spaccata a mezz’aria seguita da un atterraggio perfetto. Fermò il passo guardando il pubblico, facendo l’occhiolino ad alcune ragazze mentre portava una mano dopo l’altra a dare pugni ai propri lati riportandoseli al petto per ripartire e prendere velocità.

Uno, due, tre. Il pattino si staccò da terra e la forza della rotazione lo portò ad effettuare tre salti di fila, un doppio Lutz, un triplo Loop ed infine un doppio Salchow. Il pubblico scoppiò in applausi e in urla di felicità mentre lui tornava a respirare dopo quella sequenza particolarmente elaborata.

Il suo allenatore lo aveva creduto pazzo quando gli aveva parlato di questo programma, gli aveva chiesto se avesse battuto la testa ma alla fine aveva ceduto ed ora era lì, su quel ghiaccio che aveva visto vittorie e fallimenti. Aveva già il fiato corto nonostante le miriadi di volte che lo aveva provato e riprovato.

“Pues

cuando el fuego esta a mis pies

y envidias llegan otra vez

diciendo que

no puedo mas voy a luchar

no hay errores ni accidentes

y se piensa que

el final es”

 

La coreografia era quasi al termine, gli mancavano poche strofe ma ora veniva il bello, doveva riposare un attimo prima di eseguire gli ultimi due salti, doveva farli in maniera perfetta, non doveva sbagliare!

Si librò in aria per pochi secondi mentre ruotava le gambe in aria tenendo il busto perfettamente fermo per poi ricominciare a girare su se stesso afferrandosi il pattino sinistro e tirandosi la gamba sopra la testa, ruotò ancora, scendendo verso il basso fino a sfiorare il ghiaccio. Si mise in posizione eretta mantenendo quella ferocia che aveva usato per quel passo per ripartire a saltare da una lama all’altra dei pattini mentre con le mani e le braccia formava figure astratte atte ad incantare ed ammaliare chiunque lo stesse guardando.

“Piensas que

siempre me voy

a levantar

Luchar!

Siempre me voy...”

 

Il gran finale era arrivato, calcolò la distanza perfetta e si mise in posizione pronto per eseguire quel triplo Axel, atterrò e subito saltò nuovamente eseguendo un triplo Salchow.

Aveva il cuore in gola e ormai le sue gambe avevano iniziato a tremare ma ce l’aveva fatta, non aveva sbagliato, non era caduto e solo questi due fatti lo portarono alla conclusione della canzone che lo vide in lacrime mentre si lasciava cadere a terra sulle ginocchia con le braccia levate verso l’alto mentre una voce dentro di sé urlava che ce l’aveva fatta, aveva sconfitto quella insana paura di essere nulla.

“...a levantar.”
 

Le lacrime continuarono a cadere dai suoi occhi mentre si guardava attorno e rideva mentre il pubblico impazziva acclamando la sua performance in maniera concitata. Sul ghiaccio venivano lanciati fiori e peluche dai suoi fans, si inchinò ringraziando tutti quanti mentre si apprestava ad uscire da quel ghiaccio con calma. Si diresse verso il proprio allenatore che, orgoglioso e fiero, lo stritolò in un abbraccio quasi soffocante.

Ben si coprì per non prendere freddo e si sedette al Kiss and Cry per aspettare il proprio risultato finale mentre copriva la lama dei suoi pattini.

Sua madre gli appoggiò la bandiera americana sulla schiena e gli sorrise con dolcezza mentre, gli passava il cellulare e un mazzo di fiori baciandogli le guance orgogliosa e con le lacrime ad imbrattargli il volto truccato.

“Sei stato grandioso! Sono così fiera di te… vorrei tanto che quel vigliacco di tuo padre fosse qui.”

Benedict negò con la testa abbracciando la madre con trasporto, suo padre se ne era andato abbandonandoli in un giorno d’estate, aveva fatto semplicemente le valige e se ne era andato lasciandogli un semplice biglietto in cui non dava motivazioni ma solo colpe.

“Non ho bisogno di vigliacchi nella mia vita, mamma.”

Il suo allenatore lo strappò da quell’abbraccio puntando un dito verso il cartellone elettronico posto in alto, mancava un solo atleta alla fine della competizione ma il nome di Ben svettava sopra quello di tutti gli altri pattinatori, era riuscito a far scivolare nela seconda posizione il favorito.

Il giovane aspettò a guardare il proprio risultato, abbassò lo sguardo verso l’ultimo atleta, non poteva cantare vittoria così si portò le mani al volto e iniziò a piangere, senza un motivo apparente…

“Perchè piangi, Ben?”

Alzò le spalle e cercò di contenersi, inutilmente. Per la prima volta in tutta la sua carriera era sulla vetta più alta del podio, sarebbe stato un podio che non avrebbe mai dimenticato perché lo aveva vissuto, lo aveva agognato come poche altre volte gli era successo.

Prima di questa stagione gareggiava per la perfezione, si infuriava e pensava di essere il migliore nonostante le sue performance non fossero mai al top ma l’infortunio aveva portato qualcosa nella sua vita, qualcosa che non avrebbe dimenticato facilmente, una luce che sapeva di vita e di forza di volontà.

L’atleta che stava gareggiando fece un errore di calcolo cadendo subito dopo un triplo Salchow, si rialzò subito ma ormai aveva perso sia la grazia che la coordinazione, atterrò in malo modo anche sull’ultimo salto.

Ben si sentì quasi crudele ma si ritrovò ad annuire e ad alzare lo sguardo sul cartellone che si era appena aggiornato. Iniziò a ridacchiare nel vedere quel numero, era il suo record personale, non era mai riuscito a concludere nessuna gara con quel punteggio e pensare che era tutto iniziato grazie ad un infortunio era… sensazionale.

 

Si portò al centro della pista assieme agli altri due ragazzi del podio, si congratulò con loro abbracciandoli e scherzando, dopotutto li conosceva fin dalle loro prime gare ed, inoltre, erano suoi coetanei o poco più vecchi.

“Il podio è colorato quest’oggi!”

Il commentatore parlò con allegria mentre scherzava con il pubblico e con i ragazzi, iniziando con lo stilare la classifica.

“Al terzo posto abbiamo l’atleta russo con un punteggio di 197.84”

Il giovane salì sul terzo gradino accettando i fiori e le medaglia di bronzo con entusiasmo, quella era l’ultima tappa del Gran Prix quindi anche solo l’arrivare lì era, per tutti loro, un grande vanto.

“Al secondo posto abbiamo l’atleta coreano con un punteggio di 213.48”

Il ragazzo gli passò accanto e lui gli appoggiò una mano sulla spalla annuendo e sorridendogli con amicizia, si girò per guardare verso la madre che era più emozionata di lui ma in quel momento qualcosa catturò la sua attenzione.

Un ragazzo appoggiato alla balaustra degli spalti, aveva un berretto con la visiera calato sul viso, non poteva vederlo benissimo ma quel sorriso lo aveva già visto, ne era certo. La voce del commentatore lo riportò con il volto verso il podio.

“Al primo posto abbiamo l’atleta americano che si porta a casa la medaglia d’oro con un punteggio di 229.75”

Riportò la propria attenzione a quel podio tanto desiderato, salì sul primo gradino, aiutato da Nikolai che, come era normale tra loro, scherzò sulla sua goffaggine nel salire sul suo primo podio.

 

Afferrò il cellulare sboccando lo schermo e guardando il messaggio che gli era arrivato dalla sorella, aspettò che si caricasse l’immagine che gli aveva mandato mentre leggeva il messaggio di congratulazioni. Amava la sua famiglia perché, tranne quel vigliacco del padre, c’erano sempre stati tutti a sostenerlo.

Aprì quell’alleato e si ritrovò a portarsi la mano libera a coprirsi la bocca mentre alcune lacrime scivolavano dai suoi occhi e cadevano a terra.

Brutta giornata per la Spagna. Il cavaliere Miguel Rodrigues, dopo un brutto incidente a cavallo, è stato ricoverato in ospedale con varie fratture al femore e un probabile trauma cranico. Il suo fido destriero è stato abbattuto poche ore dopo per via delle ferite che aveva riportato.”

Benedict si ritrovò a comporre il numero della sorella senza pensarci, aspettò che lei rispondesse con trepidazione. Quel sorriso che aveva rivisto sugli spalti era di quel ragazzo che aveva incontrato in ospedale, non poteva essere una coincidenza, quel nome e quel cognome erano identici a quelli dell’atleta…

“Bravissimo il mio fratellino!!”

Si impose di mordersi le labbra per non farla stare zitta all’istante, non voleva essere così freddo con lei ma quell’articolo era più importante perchè nella sua testa significava che aveva sbagliato, aveva insultato quel giovane dicendogli che non poteva capirlo quando era lui stesso messo male anzi forse per Miguel la situazione era peggiore. Ben dopotutto non aveva perso nulla se non la speranza mentre quel ragazzo aveva perso anche il proprio compagno di gare…

“Kristel… di quando è quell’articolo che mi hai mandato?”

La ragazza ridacchiò cercando nel cellulare la fonte di quell’articolo che aveva inviato al fratello per via dei suoi racconti su quel giovane spagnolo che lo aveva incitato a continuare nonostante tutto.

“Risale a due settimane prima del tuo infortunio e…. ho già controllato eravate nello stesso ospedale, potrebbe essere lui?”

Come poteva essere stato così superficiale di fronte a quel ragazzo? E soprattutto come aveva fatto a reagire tanto in fretta in quella situazione? Altre lacrime lasciarono i suoi occhi cariche di dolore, questa volta però non era per sé quel dolore ma era rivolto a Miguel.

 

“Fernand posso chiederti una cosa?”

Il pattinatore spagnolo si fermò e annuì, aveva sempre avuto un debole per Ben e lui lo sapeva benissimo così lo guardò con dolcezza mentre si stringeva nelle spalle e parlava con calma apparente. Apparente perché dentro di sé aveva un tornado di emozioni e di sensazioni che non poteva rivelare a nessuno.

“Quando mi sono fatto male nel mio stesso ospedale c’era un’atleta spagnolo di equitazione, mi pare si chiamasse Miguel se non sbaglio, Fernandes? O qualcosa del genere, volevo salutarlo e chiedergli come stava quindi… ti chiedevo se sapevi dove posso trovarlo”

Nei suoi occhi era sicuro che ci fosse una scintilla di speranza e di disperazione, una scintilla che simboleggiava la calma che divampava nel centro del caos della sua anima.

 

Ben si strinse nelle spalle mentre cercava inutilmente calore in quella giacca invernale che aveva addosso, non faceva freddissimo ma quel maledetto vento lo disturbava, gli dava noia considerando che era fermo fuori da quel maneggio a fissare le persone che si spostavano da circa venti minuti. Per colpa della sua stupidità aveva freddo.

Prese coraggio respirando, doveva solo entrare e ringraziarlo, nulla di difficile eppure le sue gambe sembravano fatte di cemento in quel momento. Si obbligò ad abbassare la testa contando fino a tre per poi iniziare a camminare, passo dopo passo fino a raggiungere una ragazza che gli dava le spalle e che stava lavorando con dei cartelli vicino all’ingresso.

Si schiarì la voce indossando un sorriso caloroso e iniziò a parlare con calma verso quella giovane che si era girata per ascoltarlo.

“Sto cercando Miguel Rodrigues. Sono stato in ospedale con lui e volevo salutarlo.”

La giovane annuì, si illuminò in un sorriso dolcissimo e, scusandosi per il suo pessimo inglese, lo afferrò per una manica trascinandolo verso le stalle interne. Lei sembrava cercare Miguel con gli occhi, sembrava quasi che dovesse spuntare da un momento all’altro. La giovane era a suo agio in quelle stalle mentre Ben si sentiva rigido come poche altre volte era stato.

Quei cavalli erano grossi e, per i suoi canoni, ogni animale più grande di un gatto era da evitare come la peste quindi sì, era a disagio, e non poco. Non era paura era solo che nessuno gli aveva insegnato ad avvicinarsi agli animali nel modo corretto.

Està por allà, ve…” (E’ laggiù, vai...)

La donna gli indicò una zona fuori dalla stalla e poi se ne andò richiamata da una voce alle loro spalle. Ben aveva passato la notte insonne nel tentativo di cercare le parole adatte e aveva seriamente pensato di averle trovate ma in quel preciso istante, a pochi metri dal cavaliere era in panico. Rivederlo e per la prima volta vederlo nel suo “mondo” gli aveva asciugato la gola.

Miguel era in sella ad un cavallo completamente nero, erano in perfetta sincronia e stavanosperimentando qualche tipo di coreografia sotto le direttive dell’allenatrice. Ben si perse ad osservare quella scena mentre camminava verso la staccionata con passo cauto. Come poteva una creatura di quel peso sembrare quasi aggraziata? Lui ci aveva messo anni a muoversi sul ghiaccio con grazia mentre a quella creatura sembrava venire quasi naturale, si spostava da un paio di zampe all’altra camminando come se stesse sfiorando leggermente il terreno sotto di sé.

Sembrava essersi ripreso del tutto il giovane dalla pelle olivastra, almeno a giudicare dai movimenti che compiva per seguire i movimenti dell’animale. Ben si fermò timoroso alla staccionata, non parlò e non emise nessun suono continuando a guardare rapito quell’insieme, ci pensò l’allenatrice di Miguel a palesare la sua presenza indicandolo mentre gli parlava in quella lingua che non aveva mai imparato.

Miguel tiene alguien para ti.” (Miguel c’è qualcuno per te.)

Lo spagnolo si voltò rimanendo sorpreso a scontrarsi con la figura del pattinatore, alzò una mano verso l’allenatrice e spinse il cavallo al trotto raggiungendolo con calma.

Miguel tiròi finimenti del cavallo per farlo fermare e poi scese dalla sella con eleganza mentre Ben abbassò la testa e iniziò a parlare a denti stretti.

“Avevi ragione… avevi ragione su tutto, su di me e sulla mia stupida caviglia… io, io devo chiederti scusa perché ti ho trattato male mentre tu...”

Le lacrime avevano iniziato a scendere copiose dai suoi occhi, si sentiva come una ragazzina di fronte alla prima marachella che aveva combinato. Si sentiva pieno di vergogna ma nonostante tutto voleva parlare, voleva scusarsi e voleva ringraziare quel giovane che gli aveva permesso di diventare migliore e più forte di prima.

Alzò il viso ritrovandosi ad osservare tra le lacrime la figura di Miguel che scavalcava quel legno e che, inaspettatamente, lo abbracciava stringendolo contro il proprio petto.

Scoppiò a piangere, non cercò nemmeno di contenersi contro quella stoffa che non apparteneva alla sua nazione mentre la mano dello spagnolo andò ad accarezzargli i capelli con dolcezza.

“Sei stato bravissimo.”

Ben spalancò gli occhi puntandoli in quelli del giovane, aveva alzato d’istinto le braccia e lo aveva abbracciato senza paura, non sapeva cosa dire di preciso e cosa fare ma era anche consapevole che doveva essere lui a parlare e a chiedergli scusa.

Ill fato era crudele e, come in ospedale, era bastata una singola frase di quel ragazzo che tutte le convinzioni di Ben erano crollate.

“Eri tu allora… quel giovane con la visiera, non ci ho visto male.”

Miguel sorrise mostrando quei denti perfetti e annuì a quell’affermazione. Strinse i pugni puntandoli contro quel petto cercando di darsi un contegno per riuscire a parlare senza singhiozzare.

“Sei stato l’unico che ci ha creduto davvero, se non fosse stato per te sarei da qualche parte in America a mangiarmi il fegato per via di ciò che non ero riuscito a raggiungere ma oggi sono qui…”

Afferrò dalla propria tasca la medaglia d’oro che aveva vinto con tanta fatica, prese le mani del cavaliere sciogliendo quell’abbraccio e gliela mise tra le sue dita, strinse quella presa morbida con le proprie ed infine lo guardò negli occhi, carichi di lacrime ma anche decisi a combattere ancora.

“Questa l’ho vinta grazie a te. Vorrei che la tenessi tu anche se so che non sarà mai abbastanza per ripagarti dall’affronto che ti ho fatto.”

Miguel alzò un sopracciglio, non capiva di cosa stesse parlando di preciso ma era certo che quel giovane pattinatore che aveva incontrato mesi prima non era lo stesso giovane che aveva di fronte.

“Ti ho detto che non mi potevi capire, non ti ho lasciato parlare e ti ho insultato senza sapere cosa avevi alle spalle… mi sento terribilmente in colpa perchè ieri ho trovato l’articolo di ciò che è successo a te e al tuo cavallo quindi… grazie.”

Miguel liberò le mani tornando ad abbracciare il giovane, incastrò il volto contro la sua spalla e ascoltò le ultime parole di quel ragazzo mentre nei suoi occhi si formavano alcune lacrime cariche di dolore e di gratitudine.

“Grazie di aver combattuto anche per me”

Le mani del ragazzo lasciarono cadere a terra quella medaglia e, tremanti, andarono a cingere le spalle del guerriero che era stato dieci volte più forte di lui. Miguel aveva sofferto in silenzio a differenza sua che era stato capace solo di lamentarsi.
 

[Este es el final de esta historia… O tal vez no?]
[Questo è il finale di questa storia… O forse no?]

 

 

 

Intanto parto con il ringraziare chiunque abbia avuto il coraggio di arrivare in fondo a questi 4 capitoli, grazie davvero, mi avete reso felice e se devo dirvi la verità mi commuovo ogni volta che leggo le recensioni, è più forte di me…

Devo ringraziare il gruppo di FB Boy’s Love per avermi dato lo spunto per questa storia perché altrimenti questi due sarebbero rimasti nella mia testa come piccoli fantasmi senza corpo. Sono felice di aver scritto su di loro e di vedere quanto voi vi siate affezionati a loro perché l’ho fatto anche io e senza volerlo spero che la prossima challenge sia su qualcosa che mi permetta di scrivere ancora su di loro <3

Ogni cosa che scrivo, ogni frase e ogni parola sento che mi aiuta a migliorare nonostante io non me ne renda conto e per questi motivi devo ringraziare tantissimo le ragazze che hanno portato avanti questo progetto con me: Mahlerlucia, Aivy_demi, Nemesis01, Shilyss e BlueRoar perché in queste ultime tre challenge mi avete ispirato e dato manforte quindi grazie di cuore.

Sto tirando per le lunghe la pubblicazione di questo ultimo capitolo perché mi dispiace tantissimo che sia l’ultimo, so che scriverò altro su di loro ma diciamo la storia con cui sono nati mi ha fatto piangere tantissimo e mi ha fatto emozionare quindi spero sul serio che io sia riuscita a trasmettervi queste emozioni.

So che potrei quasi togliere l’avvertenza Slash ma preferisco tenerla perché nelle prossime storie vorrei che ci fosse, oltre all’agonismo e la forza di volontà, vorrei che tra loro sbocciasse quell’amore che li unirà nonostante i continenti che li divideranno.
La canzone l'ho scelta in lingua spagnola proprio per ricordare al ragazzo che è stato uno spagnolo a ridargli la forza di continuare e lo so che non è un programma perfetto anzi, fa schifo e ne sono sicura, però se traducete lacanzone o se conoscete quella di Katy Perry potete capire quello che significa. Soprattutto quello che significano quelle parole per un pattinatore che pensava di aver perso tutto ma che ricomincia a vivere. 

Non riesco a mettere nemmeno fine alle note, sono scandalosa T.T

Ci vediamo nella prossima storia su loro due è l’ultima cosa che vorrei dire ma… alla prossima storia.

<3 Grazie per avermi seguito <3

 

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