Scent Of Moss

di svalkyria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


 

Oh, I hope someday I'll make it out of here,
even if it takes all night or a hundred years
Need a place to hide but I can't find one near.

Lovely - Billie Eilish feat. Khalid


 

1

 

Sfrega, sfrega, sfrega… ecco cosa devo fare tutto il giorno. Sfregare e stendere. Troverò mai altra occupazione nella vita?

Ambra continuava a sfregare energicamente i fazzolettini bianco candido delle ricche ragazze borghesi. Mentre li stendeva, pensò che poteva rubarne qualcuno e venderlo al mercato la mattina seguente. Le ragazze non se ne sarebbero neanche accorte, da quanti ne avevano. Ma non fece niente del genere, era una ragazza ben educata, lei.

Ad un tratto, un bambino sfrecciò dentro la lavanderia chiamando sua madre...Non sentì le parole pronunciate dal bambino, soffocate dai singhiozzi. Doveva essere successo qualcosa di grave, i bambini non si comportavano mai così. Si scambiò un’occhiata con l’altra ragazza che stendeva a fianco a lei, ed entrambe entrarono nella lavanderia, preoccupate. Il bambino era aggrappato alla vita della madre, impaurito e bianco come un lenzuolo,come se avesse appena visto un fantasma. Singhiozzava energicamente e la madre cercava di calmarlo accarezzandogli la testa. Alcune donne si erano raggruppate intorno a loro, cercando di capire cosa fosse successo. “ Mamma… i cattivi… i cattivi stanno entrando!” il bambino riuscì a dire solo quelle parole prima di soffocare il pianto nelle gonne della madre, che alzò il volto impallidito. “ Elena, che cosa è successo?” una donna si fece avanti, appoggiando una mano sulla sua spalla. “I tedeschi” Elena schiarì le lettere come se stesse pronunciando il nome di una creatura mostruosa. Appena le donne si resero conto di quello che avevano appena sentito, alcune chiusero gli occhi e sospirarono, dispiaciute, altre si girarono e tornarono al lavoro. Nessuno avrebbe mai reagito nel modo giusto, perchè non esisteva. Annunciava l’arrivo dei nemici, degli stranieri. Entro la sera, ognuno avrebbe avuto uno straniero ad occupare il letto al posto loro. Avrebbero mangiato allo stesso tavolo, come se fossere amici di lunga data. Le ragazze si sarebbero abituate ad essere guardate, e qualche volta saranno loro le prime a guardare. I pochi ragazzi che rimanevano, praticamente bambini, sarebbero stati quasi invidiosi di come venivano trattati i soldati.

Ma Ambra… il primo pensiero che fu era rivolto alla sorella. Avevano già vissuto questo momento. Lei aveva già sofferto per l’occupazione precedente. Il suo cuore si era unito a quello di un altro soldato, ed era rimasto ferito quasi irreparabilmente. Adesso, con l’arrivo di questi sopravvissuti, avrà una speranza. Ambra si augurò che quella speranza non fosse vana. Guardò la madre, per chiederle se poteva correre in piazza a vedere cosa fosse successo, e lei annuì in silenzio. Ambra prese il cappotto, e corse verso il centro del paese. Trovò una folla attorno ad un gruppo di uomini infangati seduti sulle sedie della caffetteria. Le persone che gli stavano attorno cercavano in tutti i modi di capire qualcosa di quello che un uomo con il volto oscurato dalla terra stava dicendo. “ Noi...siamo...entkommen” ripeteva per l’ennesima volta il soldato, ma le persone non capivano. Muoveva le mani avanti e indietro, per far capire con i gesti, ma gli uomini anziani non riuscivano a comprendere. “Insomma! Ora sono qui! Portate del tè a questi poveracci!” urlò il proprietario del caffè. Ambra si avvicinò al gruppetto. Erano in una decina, due stavano cercando di parlare con altri signori, e gli altri erano immobili, solo gli occhi si muovevano, il capo chino verso terra, come se fossero rassegnati ad una fine vicina. Forse erano ancora sotto shock, ancora non pensavano di essere sopravvissuti. Invece, eccoli li. Sani e salvi. O perlomeno salvi. Un soldato cadde mentre si stava alzando dalla sedia, urlando di dolore. Ambra d’istinto, si avvicinò a lui. “ Oh… signore!” il soldato si rotolava sul fianco, tenendosi stretta la gamba destra. “ Si è... rotto mentre arrivavamo ” disse un soldato alle spalle della ragazza.

“ Dobbiamo stenderlo su un letto comodo. Aiutatemi.” Le persone attorno a lei, stupite dalla prontezza con cui aveva reagito, ci misero un attimo a comprendere le richieste della giovane ragazza. Arrivò il soldato che aveva parlato prima, e insieme a lui altri due che si offrirono di portarlo al posto suo. Ambra li guidò a casa sua. Il dottore era scappato chissà dove all’inizio della guerra, e lei prendeva lezioni di infermieristica da sua madre, che lo era stata per un breve periodo prima di sposarsi. Aprì la porta e li lasciò entrare. Il soldato ferito sbraitava nella sua lingua dura e i compagni gli rispondevano con voce calma e rassicurante.“ Distendetelo lì.... si, lì su quel letto. Forza!” Ambra affrettò gli uomini ad entrare nella sua stanza da letto e fecero come lei aveva detto. “Ma cosa sta succedendo qui?!” Debora, sua sorella era sul ciglio della porta, sconvolta nel vedere quattro uomini ricoperti di sporcizia nella propria stanza da letto. “Eccoti! Portami delle stecche di legno e dei bendaggi. Ha una gamba rotta e sta perdendo molto sangue” I soldati guardavano la giovane ragazza muoversi velocemente attorno al corpo del compagno, in completo controllo della situazione. Gli aveva tolto la giacca pesante e ora gli stava chiedendo di togliergli i pantaloni. “ Tirare via… togliere… i pantaloni… hose!” gesticolava in modo da fargli capire cosa dovevano fare, e aggiunse anche una parola in tedesco che aveva imparato durante l’occupazione precedente. Alzò lo sguardo, e vide la sorella ancora sulla porta “ Debora! Per favore! Delle bende e un pezzo di legno!”

“ E dove le trovo?!”

“ In quell’armadietto in fondo al salotto!”

La sorella si risvegliò dalla trance e corse a prendere l’occorrente per la medicazione. Nel mentre, i compagni del ferito avevano rimosso gli strati di tessuto non necessari. Ambra cominciò a tastare la gamba destra dell’uomo, per capire dove era ferito. Era gonfio, e il sangue imbrattava il lenzuolo del letto sottostante. Debora arrivò con una ciotola piena di acqua e delle bende in mano. “ Ecco! Ho anche del liquore per pulire la ferita!”

La ferita… o meglio… lo squarcio, copriva un raggio di dieci centimetri. Fortunatamente, pensò Ambra, non si vedeva l’osso.  Cominciò a medicare il taglio, mentre la sorella offriva degli stracci bagnati agli altri soldati con cui pulirsi almeno il viso. Appena ebbe terminato di medicarlo, gli applicò la stecca di legno e aggiunse altre bende per evitare che la ferita potesse andare a contatto con il legno grezzo che usava come stecca.

“ Questo è tutto quello che posso fare per aiutarlo”, disse agli uomini che aspettavano impazientemente al capezzale del letto. “Ora lasciamolo riposare, è svenuto dal dolore mentre gli medicavo la ferita, lasciamolo riprendere”. Gli uomini la guardavano, e lei capiva che non comprendevano neanche la metà di quello che stava dicendo, ma gli annuì mentre li guidava fuori dalla stanza e chiudeva la porta alle sue spalle.

“Accomodatevi” disse agli altri soldati indicando il tavolo. Debora aveva preparato del tè e glielo stava servendo, anche se Ambra poteva immagine che avessero bisogno di un qualcosa di un pò più forte di acqua aromatizzata. Dopo essersi tolta il sangue dalle mani, si sedette anche lei e tutto d’un tratto scoprì di essere terribilmente esausta. “ G...Grazie, fräulein” mormorò uno degli uomini impacciatamente. Ambra lo guardò: aveva le mani ancora sporche di terra, i capelli e la barba originariamente di colore chiaro, lunghi e crespi. Ambra fece un cenno con la testa e sorseggiò il suo tè in silenzio. “ C’è una fontana in centro. Vi consiglio di lavarvi lì. Se volete possiamo farvi il bucato, così eviterete di sporcare ovunque andate”, disse dopo qualche istante, guardando tutta la terra che avevano portato dentro casa. “Da dove venite?” chiese poi Debora, come se avesse trattenuto quella domanda fin dal principio. I soldati si lanciarono un’occhiata, poi il biondo parlò: “ Veniamo da nord. Siamo stati catturati da soldati francesi, ma fortunatamente siamo riusciti a scappare. Camminiamo da settimane, e questo è il primo paese in cui incontriamo delle persone che ci aiutino. Robb, il soldato ferito, ha la gamba rotta da giorni, ma non siamo riusciti neanche a medicargliela”. Il soldato non parlava perfettamente l’italiano, ma doveva essere quello che lo sapeva meglio perchè tutti gli altri continuavano a guardare il fondo delle loro tazzine senza dire una parola. “Io sono Ambra, lei è mia sorella Debora”, disse infine. Thomas, era il nome del soldato biondo, Felix e Elko erano gli altri due, fratelli da quanto aveva capito. Finirono di bere il tè, poi si congedarono per andare a lavarsi nella fontana come aveva detto Ambra. Dissero che sarebbero ritornati più tardi per controllare le condizioni del loro compagno, poi avrebbero trovato alloggio in un qualche ostello.

 

Appena chiusasi la porta alle spalle, Ambra preparò delle bende bagnate per andare a migliorare le condizioni di Robb. Entrò piano nella stanza, cercando di fare meno rumore possibile e aprì leggermente le finestre. Il tonfo di sangue, sudore e fango era insopportabile. Alzò il lenzuolo per controllare che la ferita avesse smesso di sanguinare, e un poco il flusso era rallentato. Aggiunse un’altra garza per essere sicura, poi quando sarebbe tornata sua madre avrebbe messo i punti. “ Heilige Maria… Mutter Gottes… bitte für uns Sünder… jetzt und in der Stunde…unseres Todes…* ” un mormorio si alzò dalla bocca del giovane ferito, e Ambra capì che stava pregando. Ripeteva quelle parole più e più volte nella sua lingua, magari pensando che qualcuno l’avrebbe veramente ascoltato. “ Per cosa prega?” sussurrò Ambra, parlando più a se stessa che all’altro. “Non credo proprio che qualcuno la ascolterà… Se fosse altrimenti non sarebbe qui, su un letto di una sconosciuta zuppo di sangue.” Imbevve la benda nell’acqua tiepida, e cominciò a pulirgli le mani incrostate di terra e sangue. “ Ma cosa le è successo…” questa volta non parlò, lo pensò solo. Non poteva evitare di pensare a lui come una povera anima abbattuta da una guerra che non era neanche sua. Catturato e maltrattato per una causa… ma che causa? Non venivano spinti da patriottismo, neanche dall’orgoglio. Erano obbligati, punto e basta. Cadevano in una battaglia che non centrava niente con loro. “Signorina…” il ragazzo aveva aperto gli occhi e ora la stava guardando. Erano di un azzurro che poteva essere paragonato al mare in tempesta, oppure al cielo invernale nelle giornate più fredde. Risaltavano come due fari nella nebbia sul suo viso ancora lercio. Ambra ritrasse lo straccio dalla sua mano. “ Oh… mi scusi, io stavo solo pulendo le sue mani… lei è un pò… sporco… insomma… volevo… io”. Quella situazione era diventata piuttosto imbarazzante, e Ambra era arrossita così tanto che molto probabilmente il soldato l’avrebbe scambiata per un pomodoro ambulante. Lui rise piano. Quella risata le sciolse leggermente il cuore. Non sentiva qualcuno ridere da un bel pò di tempo… probabilmente da quando la sua scuola era stata chiusa. Non vedeva da tempo una faccia amica. La sua migliore amica se n’era andata, scappata con la sua famiglia ai primi annunci della guerra. Chissà se si sarebbero mai riviste, o se la guerra le avrebbe tolto anche lei. I ragazzi non erano ancora in guerra, ma ci sarebbero andati presto. Ora erano tutti nelle accademie militari. Sola come si sentiva, accettava bene la compagnia di questi stranieri. Erano esseri umani, nient’altro che quello. Le persone crudeli si potevano trovare ad ogni angolo della strada, in Italia, in Germania, in Francia. Non c’era differenza. “Non si preoccupi.” mormorò il soldato con il sorriso ancora sulle labbra. “Grazie… per… la gamba.” Non cercava minimamente di muoversi, doveva fargli male solamente a respirare.

“ Beh, ecco… non ho fatto niente di che. Mia madre le metterà i punti appena tornerà a casa. Lei era un’infermiera.” disse alzandosi dalla sedia che aveva accostato al letto. Il soldato fece un cenno di ringraziamento con la testa.

“E… quando si sentirà meglio, usi questo per pulirsi la faccia” disse indicando il catino con l’acqua e la benda, appoggiati sul comodino accanto al letto.

Gli offrì dell’acqua, poi si congedò dicendo che sarebbe tornata più tardi con qualcosa da mangiare. Il soldato non disse niente, si limitava ad annuire. Molto probabilmente capiva qualcosa ma non sapeva rispondere nella sua stessa lingua. Ma mentre stava per uscire, disse finalmente qualcosa: “Robb. Io… Robb”

“ Ambra. Io sono Ambra.”

Poi uscì, lasciandolo solo nella stanza che puzzava di fango, sangue e sudore e ora anche di sapone al muschio bianco.









NOTE: *Ave Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte.
 

Note Autore: Ciao, ragazzi! Con questa storia io mi presento per la prima volta su EFP! Spero tanto sia di vostro gradimento, su pinterest potete anche trovare la bacheca a loro dedicata, svalkyrie - [oc]scent of moss.
Accetterei molto volentieri qualche critica costruttiva ma anche tanta gentilezza! 
Grazie mille per avere letto!

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Capitolo 2
*** 2. ***


2

 

La mattina seguente, Ambra si alzò presto per non perdere troppo tempo al mercato. Comprò della verdura e una gallina per fare il brodo con cui avrebbero mangiato per un paio di giorni. Comprò del sapone, che stava per finire e anche qualche asciugamano in più. Le lenzuola non si sarebbero più pulite dal sangue del soldato, perciò decise di comprare della stoffa per farne di nuove. Spese un pò troppo denaro, ma era tutto ciò che le serviva.

Si fermò a prendere dell’avena dal mulino e anche delle mele, che avrebbe preparato per la colazione. Avrebbe avuto bisogno di tante altre cose… ma era tutto ciò che poteva permettersi. Rincasata, cominciò a preparare la colazione, mentre anche sua sorella si svegliava. Sua madre era andata già a lavorare, per controllare che il bucato steso la sera precedente si fosse seccato. Aveva accettato in silenzio il fatto che ancora una volta uno straniero occupasse un posto nella casa, medicandolo e preparandogli da mangiare come se fosse una persona del posto, un conoscente. Il padre aveva reagito nello stesso modo. La prima volta che un soldato aveva occupato la loro casa, non era stato per niente semplice farglielo accettare. Sbuffava, si alzava e se ne andava ogni volta che erano nella stessa stanza. Poi, un giorno, chiamarono tutti gli abitanti in piazza, e maltrattarono un poveretto che si era ribellato perché il soldato assegnato alla loro casa guardava un pò troppo sua figlia. Dopo quell’evento, sopprimeva il disgusto e la rabbia, cercando di darlo a vedere il meno possibile.

“Questa mattina vengo con voi alla lavanderia”, Debora si sedette a tavola e cominciò a mangiare l’avena con qualche pezzo di pesca. “ Io rimango qui, devo tenere controllato… Robb”. Non era facile pronunciare il suo nome, come se fosse una persona qualsiasi. “E’ quello il suo nome?”

“Si. Si è presentato ieri. Quando sono entrata nella stanza stava sussurrando delle preghiere nella sua lingua. Forse qualcuno lo ascolterà, prima o poi” Non era per niente sicura che si dovesse cercare aiuto in Dio. Lei non ci aveva mai creduto. Come può un essere così potente come lui, permettere che i suoi figli, le sue creazioni, si distruggano l’un l’altra? No… lei credeva più che altro nel Destino. Se doveva succedere, succederà, non possiamo fare niente per cambiarlo, pensava.Finirono di fare colazione, poi Debora uscì per andare alla lavanderia, e Ambra rimase in casa da sola. Da sola, con  Robb. Controllò l’orologio appeso al muro della cucina, e vide che erano appena le sette di mattina. Aveva messo a bollire il brodo, e aveva cominciato a scaldare l’acqua per fare l’unico bagno della settimana. Dopo qualche secondo, decise che doveva assolutamente andare nella sua stanza da letto.

Era così incuriosita da quel nuovo ospite. Voleva sapere dove era stato, cosa gli era successo, da dove proveniva, come stava adesso. Erano diversi, lui era sicuramente più grande di lei, ma sotto quel fango l’unica cosa che riuscì a distinguere furono i suoi occhi blu. Sapeva, però, che nel profondo dovevano essere uguali. Anime giovani cresciute troppo in fretta, che supplicavano per la libertà da questo peso della guerra che incombeva sulle loro spalle, la liberazione dalla paura di morire a causa delle bombe che cadevano dal cielo, oppure in un campo di battaglia, con una pallottola nel cuore. Lei non sopportava di pensare neanche un solo istante che sarebbe dovuta morire lì, così giovane. Non lo sopportava proprio, questo pensiero.

Si avvicinò alla porta, ed accostò l’orecchio. Non sentiva neanche un rumore. Il letto non cigolava come faceva di solito, e non si sentiva neanche il suo respiro. Ebbe un attimo di panico: e se fosse morto? Magari aveva perso così tanto sangue e non ce l’aveva fatta. Eppure, quando era andata a portargli da mangiare la sera prima, aveva un colorito abbastanza… vivo. Aprì la porta, spaventata anche solo dal pensiero di dover avere un cadavere in casa. La luce che filtrava tra le tende, anche se chiuse, invadeva la stanza. La finestra era stata aperta tutto il giorno precedente, ma ancora l’odore di morte non se n’era andato. Si avvicinò lentamente al letto, tenendo lo sguardo fisso sul petto del ragazzo. Dopo qualche istante, si sollevò, e Ambra ringraziò il cielo che non fosse morto. Notando che il ragazzo era pesantemente addormentato e non minacciava di svegliarsi, uscì. Prima di chiudere la porta, notò che si era pulito il viso. Sembrava così giovane, ora. Le lentiggini, prima invisibili, ora si notavano e sembravano come delle spruzzate di vernice sul viso candido del giovane. Le sue labbra erano secche, come se non bevesse da giorni, cosa che molto probabilmente era accaduta. Ambra sospirò, come per liberarsi di pensieri stupidi, e si diresse nell’altra stanza.



 

Più tardi, verso l’ora di pranzo, sua mamma e sua sorella erano già tornate. Mentre aspettavano che anche il padre rincasasse, Ambra e Debora si recarono sul campo posteriore alla casa. Andavano lì molto spesso, soprattutto quando il tempo era buono. Parlavano, giocavano, si rilassavano. Era il loro luogo di pace in un mondo dove la pace non esisteva nemmeno sul vocabolario. Raccolsero alcuni fiori, si fecero delle coroncine di margherite con il fil di ferro, e portarono grandi mazzi di fiori in casa. Entrarono e ne lasciarono un mazzo nel vaso in mezzo al tavolo. Mentre passava davanti alla porta della sua camera da letto, esitarono per un momento. Si scambiarono un’occhiata.  Entrambe volevano entrare nella loro camera da letto, ma non sapevano se sarebbe stato opportuno.

Ambra decise di entrare. Aprì la porta con la coroncina di margherite tra i capelli bruni sciolti sulle spalle. Ancora una volta, controllò che il ragazzo steso sul letto respirasse, ed emise un sospiro di sollievo quando si accorse che ancora viveva. Debora rimase fuori dalla stanza, esitante sulla porta, guardando i movimenti della sorella mentre cercava di aprire le ante dell’armadio senza fare troppo rumore. Ambra aveva depositato il mazzo di fiori sul comodino che fino a qualche giorno prima era suo. Debora la vide dare un’occhiata al viso del giovane, per poi rivolgerlo al pavimento. Non capiva cosa stava succedendo nella mente della sorella, però era sicura che qualcosa era cambiato in lei, in questi ultimi giorni. La ragazza si diresse verso la porta e la chiuse alle sue spalle, senza dire una parola.

Debora fissò la sorella per qualche istante, cercando di cogliere un pensiero sul suo volto ma Ambra non fece trasparire nulla e si diresse verso il bagno per cambiarsi il vestito.


A tavola parlarono di cosa farne del soldato che occupava la loro camera, ma l’unica opzione fu chiamare un medico dal paese più vicino per farlo medicare, anche se sapevano che prima di una settimana non sarebbe arrivato. “E durante questa settimana cosa facciamo?” chiese Ambra, che sembrava molto interessata all’argomento. “Lo aiuteremo e cercheremo di farlo sopravvivere. I punti che gli ho dato dovrebbero bastare, la ferita non era infetta quindi è già abbastanza fortunato così” disse sua madre chiudendo il discorso. Ambra si accasciò sulla sedia, finito di mangiare e poi tutti si ritirarono per dormire.

 

La giornata seguente Ambra andò in lavanderia presto mentre tutti erano ancora a letto. Cercò di pulire il lenzuolo dal sangue del soldato, ma non funzionò. Allora stirò qualche vestito e li consegnò ai proprietari entro le otto, infine si diresse a casa. La famiglia l’aspettava per colazione, e nessuno parlò se non della messa che ci sarebbe stata a breve. Si era dimenticata che era domenica, ma non aveva voglia di sentir parlare quella mattina, quindi decise di rimanere a casa a godersi la giornata. Aspettò che tutti fossero usciti per entrare nella sua camera con la colazione per il soldato. Ci aveva riflettuto tutta la mattina: era una cosa giusta cercare di essere gentile con lui, oppure doveva tenersene lontana?

Non avrebbe mai avuto una risposta, pensò.

Lo trovò già sveglio concentrato sulle tende muoversi con il vento che entrava dalla finestra socchiusa. “Ti ho portato la colazione” disse Ambra sorridendogli e lui ricambiò il sorriso mentre si sedeva. Ambra appoggiò il vassoio sulle sue gambe, il caffè quasi strabordava dalla tazzina.

“Immagino che tu non sia abituato a questo tipo di colazione, però è meglio di niente,no?” Robb guardava il cibo come se non avesse mai visto nulla di più gustoso, e poi cominciò a mangiare.

Ambra si accomodò sulla sedia della sua scrivania, anche sapendo che avrebbe dovuto andarsene ma era incuriosita dallo sconosciuto…

“Da dove vieni?” gli chiese mentre lui sorseggiava il latte con foga. Lui si fermò di mangiare, e la guardò “Francoforte. In Germania” , e affondò il viso nella tazza. “Da quanto sei in Italia?” continuò lei, cercando di saperne di più. “Tre anni. Sono stato reclutato da giovane” e le sorrise, e Ambra fu stupita della sua scioltezza nel parlare l’italiano. Ci fu un attimo di silenzio, Robb finì la sua colazione e le consegnò il vassoio.

“Grazie… per la colazione, era deliziosa.” Ambra annuì, e si avviò verso la porta per continuare le sue faccende. “Adoro quei fiori.In Germania passavo tutto il giorno nei campi a raccoglierli...Erano le mie giornate preferite.” le ultime parole quasi le sussurrava, trasmettendo tristezza anche se non parlava bene la lingua.

“Li ho raccolti qui dietro. Quando starai meglio… posso mostrartelo”,parlò piano come se quello che gli aveva proposto fosse un invito romantico, intimo, ma proibito allo stesso tempo.

Robb la guardò per un attimo con occhi che lasciavano trasparire tutto quello che gli passava per la mente, poi annuì distogliendo lo sguardo subito dopo, arrossendo. Ambra rise ed uscì dalla stanza, lasciando la porta aperta, questa volta.

Entrambi, una volta separati sorrisero, sentendosi patetici.

E forse questa volta Ambra aveva trovato la risposta.

 

Si, era giusto.

 

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