Just Dance

di Indaco_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** nuova luce ***
Capitolo 2: *** Nuove giornate ***
Capitolo 3: *** Inviti ***
Capitolo 4: *** Di corsa ***
Capitolo 5: *** incontri ***
Capitolo 6: *** Tante sorprese ***
Capitolo 7: *** Ritrovi ***
Capitolo 8: *** Ritorno al passato ***
Capitolo 9: *** Incubi ***
Capitolo 10: *** Nuovi incarichi ***
Capitolo 11: *** Passato ***
Capitolo 12: *** Acqua, fango e foglie ***
Capitolo 13: *** Sfuriate ***
Capitolo 14: *** Chiarimenti ***
Capitolo 15: *** Problemi ***
Capitolo 16: *** litigi 1 ***
Capitolo 17: *** litigi 2 ***
Capitolo 18: *** litigi 3 ***
Capitolo 19: *** Sogni poco carini ***
Capitolo 20: *** Nottata intensa ***
Capitolo 21: *** Novità ***
Capitolo 22: *** A volte i piaceri diventano dispiaceri ***
Capitolo 23: *** Piccoli dettagli ***
Capitolo 24: *** Il passato tace ***
Capitolo 25: *** Conoscenze ***
Capitolo 26: *** piccole disattenzioni ***
Capitolo 27: *** Serate divertenti ***
Capitolo 28: *** Piccoli passi ***
Capitolo 29: *** Carte e problemi ***
Capitolo 30: *** Un'ardua causa ***
Capitolo 31: *** Avventure serali ***
Capitolo 32: *** Visite ***
Capitolo 33: *** 4 lettere ***
Capitolo 34: *** Sorprese ***
Capitolo 35: *** Piccole corsette ma grandi domande ***
Capitolo 36: *** Svolte ***
Capitolo 37: *** Confessioni ***
Capitolo 38: *** Opzioni ***
Capitolo 39: *** Processo 1 ***
Capitolo 40: *** Processo 2 ***
Capitolo 41: *** Tra birra e vetro ***
Capitolo 42: *** Caccia al tesoro ***
Capitolo 43: *** Valigie e sgambetti ***
Capitolo 44: *** Aaaaah, l'amour! ***



Capitolo 1
*** nuova luce ***


Amy era sdraiata sul grande letto sfatto nella sua camera. Le doglie erano iniziate da poco, ma ad ogni secondo che passava il dolore si intensificava sempre più, sbocciando, regolare come un orologio svizzero, in una contrazione. Era terrorizzata, non aveva idea di cosa sarebbe successo e soprattutto non aveva idea di come comportarsi . Di sicuro quell’evento avrebbe stravolto completamente la sua vita, lo sapeva benissimo, non sapeva però se sarebbe riuscita ad occuparsi di quella nuova che stava per arrivare. 
 Con una gran voglia di piangere e bloccata dal dolore, aveva iniziato a mordersi il dorso della mano in cerca di un qualsiasi, anche leggero, sollievo.  Aveva la gola secca e il respiro si faceva sempre più ansimante, gocce di sudore la stavano inzuppando da cima a fondo, i capelli umidi le si erano incollati alla fronte disegnando un complicato merletto. Una contrazione ancor più forte delle altre la fece gemere di dolore, mentre tutti i muscoli, tutti gli organi e ogni briciola di se stessa si impegnava ad espellere il neonato dalla sua pancia.
Qualcosa di viscoso, bagnato e caldo le colò sulle cosce. Non ebbe il tempo di preoccuparsene che una nuova fitta le spezzò la schiena rubandogli un ringhio, per questo strinse i denti e le coperte come unica valvola di sfogo.
Anche respirare le risultava difficile, il dilatamento dei polmoni accendeva i suoi sensi già al massimo del dolore. Nessuno le teneva la mano come aveva visto in quei film americani. Era sola, non aveva idea di dove fosse il suo compagno Jason. Forse a bere, forse al lavoro, chissà. Ma in quel momento non le importava nulla, voleva solo stare  bene e smettere di patire, perciò respirò molto profondamente e alla nuova contrazione spinse con tutte le sue forze, mentre dalle sue guancie rotolavano giù grosse lacrime di frustrazione.
Ansimando lanciò un’occhiata alla finestra. La falce di luna brillava quieta e contenuta, nemmeno il rombo di una macchina spezzò quell’immobile tranquillità. Possibile che il mondo fosse così calmo mentre lei veniva spremuta come un limone? Passarono interi minuti ed ore, scandite tra una contrazione e l’altra, ma col passare del tempo, la riccia si agitò sempre di più.
Che vi fosse un problema? Forse il/la piccola era morto/a? Perché non usciva? Come poteva raggiungere il telefono in cucina? Oltretutto si sentiva stremata, aveva iniziato a spingere con meno forza rispetto a prima e la vista aveva iniziato ad oscurarsi. Il suo corpo, al limite della sopportazione, la stava spolpando di ogni briciola di energia.
Si asciugò le lacrime con il dorso della mano tremante come una foglia, quando ad un tratto, una fitta la fece gridare di dolore irrigidendole ogni muscolo, ne seguì un’altra meno intensa e subito dopo un’altra ancora che la fece sollevare dal cuscino. Boccheggiò mentre il mondo iniziò a traballare velocemente, accasciandosi inerme sul cuscino iniziò a non sentire più gli arti. Era così stordita da udire perfino dei passi pesanti in salotto.
La poverina tentò di riprendere velocemente conoscenza ma non ci riuscì, svenne e si abbandonò alle lenzuola fradice si sudore e sangue.
 
Quando Amy si svegliò la prima cosa che udì, fu un lontanissimo mormorio. Intontita, respirò profondamente facendo entrare quanto più ossigeno possibile nei polmoni, le sue membra iniziarono a formicolare. Impiegò qualche secondo a svegliarsi e altri tanti ad aprire gli occhi. La luce del neon bianca e candida la colpì dolorosamente. Sbatté le palpebre mettendo a fuoco la stanza: non era a casa sua, l’odore di disinfettante e le pareti bianche le indicavano che si trattava di una stanza dell’ospedale.
“IL BAMBINO” ricordò la sua testa con foga, mandandole gli spezzoni degli ultimi ricordi registrati. La riccia si riprese in men che non si dica, innervosita e carica d’ansia iniziò a guardarsi attorno in cerca di una culla, un dottore o di un’ infermiera. Ma non c’era nessuno attorno a lei, di nuovo.
Iniziò involontariamente a tremare come una foglia, dov’era il suo piccolo? Che fosse morto? Alla sola idea il cuore iniziò a galopparle nel petto come un martello pneumatico. Facendosi forza sulle braccia,  si sollevò dal cuscino con un gemito, ogni fibra del suo corpo era esausta e sfinita, soprattutto nella zona del basso ventre che era, per ovvi motivi, la zona messa peggio.
Crollò di nuovo priva di energia e iniziò a cercare con lo sguardo qualche carta o documento riguardante le sue condizioni, ma non trovò nulla di nulla. Fu invece distratta da un vagito acutissimo proveniente dall’esterno della stanza. Allarmata, puntò le orecchie verso la porta rimanendo in ascolto e con innato piacere e speranza, lo sentì di nuovo ancor più vicino. Amy si sollevò impaziente e preoccupata, iniziando a pregare con fermezza che fosse il suo piccolo e che stesse bene.
Fortunatamente fu così, un’infermiera corpulenta entrò lentamente spostando il peso da un piede all’altro con dolcezza, tentando di calmare il pianto disperato del fagottino che teneva tra le braccia. Era una donnola color salmone, vestita interamente di bianco, bianco come il morbido asciugamano che avvolgeva interamente il piccino. Ma per quanto Amy aguzzasse lo sguardo non riusciva a scorgerne nemmeno un aculeo e il passo dell’infermiera sembrava sempre più lento.
< Oh, finalmente si è svegliata! E’ da ore che strilla come un’aquila dalla fame! > Esclamò la donnola guardandola severamente, continuando a cullare il/la piccina. La rosa non badò alla frecciata e allungò le braccia, rosa dalla curiosità.
< sta bene? E’ sano? > chiese come prima cosa, divorata dalla paura che per colpa sua il suo piccolo avesse sofferto.
< Sì, è sanissimo nonostante il parto abbia avuto delle complicazioni. Devo ammettere che è un bambino molto forte > rispose rabbonendosi un po’ portandosi al fianco della riccia. Con delicatezza e molta attenzione posizionò il piccolo tra le braccia tremanti della neo-mamma, la quale non stava più in sé dalla gioia.
Con tanto d’occhi lo guardò ammirata: era un maschietto, di uno splendente blu cobalto, gli aculei corti e numerosissimi erano appena induriti assumendo lo stesso colore della pelle.
Aveva gli occhi chiusi e piangeva disperato, il suo pianto era come una dolce nenia per la ragazza, la quale, con attenzione maniacale, sfiorava con un dito la guancia morbidissima color pesca, stando ben attenta a non creare alcun tipo di pressione.
< E' alto cinquanta centimetri e pesa tre chili e due grammi > continuò la donnola addolcita dalla commovente scenetta. Non si imbarazzò nello spogliare la madre in fretta, liberandola dal camicione azzurro che indossava e nell’insegnarle la giusta posizione per la poppata.
Amy era caduta in uno stato di trance, ascoltava l’infermiera riempirla di raccomandazioni, continuando ad osservare il piccolino che aveva tra le braccia. Le sembrava impossibile che lei fosse riuscita a creare una così perfetta creaturina, l’amore che provava per quel piccolo riccio blu non aveva eguali con nessun altro sentimento che avesse mai provato. Era suo, l’aveva fatto interamente lei più o meno, d’altronde aveva avuto un piccolissimo aiuto in confronto ai 9 mesi che si era sorbita lei.
Attaccandosi al seno, il piccino si tranquillizzò immediatamente iniziando a nutrirsi con voracità, i piccoli pugnetti si aprivano e si agitavano nell’aria con goffaggine adorabile. La ragazza con un sorrisino commosso accarezzò con estrema cautela i piccoli aculei del piccino che in quel momento, per la prima volta, aprì gli occhi.
Il cuore di Amy saltò un battito capendo bene che quel devastante e incredibile dettaglio non era affatto dovuto ad  una semplice coincidenza.
I puri e grandi occhi del piccolo erano di un accecante verde magnetico.
 
Aggiornato il:  7/11/2018
Capitoli aggiornati:
1-nuova luce
2-nuove giornate
3-Inviti
4-Di corsa

Spazio autrice: Non trovavo pace tenendo il vecchio capitolo. L’ho interamente riscritto seguendo bene o male il corpo di quello precedente. Tutti i capitoli scritti in prima persona verranno progressivamente cambiati. Inoltre colgo l'occasione per ringraziare di cuore RoryJackson per aver corretto l'intero capitolo. Perciò se ora la lettura risulta più scorrevole, il merito va a lei.
Baci.
Martina

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Capitolo 2
*** Nuove giornate ***


QUATTRO ANNI DOPO

< Justin! Sveglia tesoro! E' ora di alzarsi! > esclamò Amy spalancando tende e finestre della cameretta. La stanza venne invasa da luce e aria fresca, svegliando bruscamente il riccetto blu, che nascose la testa sotto il cuscino sperando di poter dormire qualche minuto in più.
< No … un altro po’ > biascicò assonnato notando che la madre davanti al suo letto non accennava ad andarsene. La rosa sorrise maliziosa e incrociò le braccia al petto,
< d’accordo, resta pure lì, ma sappi che papà mangerà tutti i tuoi cereali preferiti > ricattò sicurissima di sé, ostentando indifferenza. Come previsto, il bambino scattò in piedi e infilatosi le ciabatte volò in salotto a velocità decisamente anormale per un bimbo di 4 anni, rischiando di scivolare e ruzzolare giù dalle scale a velocità mostruosa.
Amy sospirò e lo seguì con calma in cucina. Di quel passo era sicura che prima o poi si sarebbe schiantato addosso al muro. Controllando l’orologio appeso alla parete, la riccia si accorse che erano già in ritardo rispetto alla tabella di marcia. Concluse in fretta e furia il suo caffè amaro e corse in camera a cambiarsi, lasciando il riccetto davanti alla tazza di latte. Non poteva assolutamente tardare anche quel giorno, era la quarta volta quella settimana e il suo maestro, giustamente, l’avrebbe nuovamente rimproverata di fronte a tutta la classe.
Meglio evitare penose figuracce di prima mattina, soprattutto alla sua età e con un figlioletto di 4 anni.
 A metà scalinata rallentò l’andatura e il più silenziosamente possibile raggiunse la sua camera, ben chiusa. Con un sospiro e facendosi forza,  la ragazza abbassò la maniglia e fece scivolare la porta sui cardini cercando di non farla stridere.
Il tanfo di alcool e l’aria viziata la stordirono per qualche secondo, bloccandola sulla porta indecisa. Se avesse svegliato Jason sicuramente si sarebbe arrabbiato e quando si arrabbiava, tutto quello che entrava nel suo raggio d’azione veniva massacrato.
E lei non ci teneva a fare quella fine.
Silenziosamente si appostò di fronte all’armadio e iniziò a vestirsi stando ben attenta a non far rumore. La debole luce che entrò dalla porta però, bastò a svegliare il riccio. Il quale, con un grugnito infastidito, si rigirò pesantemente su un fianco e aprì un occhio, scrutando la riccia che si vestiva cautamente.
< Mmmmh … amore vieni qui > sillabò con voce impastata di alcool e malizia, tendendo debolmente una mano verso la sua direzione. La rosa infilò i jeans con un gesto secco, capendo bene che il riccio la stava mangiando con gli occhi,
< no, sei ubriaco fradicio Jason > motivò seria a sangue freddo, sperando di mostrare più coraggio di quello che sentiva. Le mani le tremavano dalla paura, tanto che i bottoni del golfino continuavano a scapparle dalle dita. Con un ringhio indispettito, l’adulto sillabò una bestemmia piuttosto pesante, iniziando poi ad insultare la ragazza con commenti volgari e molto offensivi.
La rosa allarmata da quello sfogo, uscì fuori dalla stanza di tutta fretta prima che il blu potesse alzarsi e bloccarla la dentro. Chiuse la porta delicatamente e soprattutto velocemente, sperando che il buio lo calmasse e spegnesse la brace che aveva involontariamente aizzato. Si fiondò nella camera di Justin con il cuore che batteva all’impazzata. Il collo era umido di sudore freddo e gli aculei sottili le si erano incollati alla nuca. Appoggiandosi alla porta in allerta, portò una mano alla fronte tentando di calmare i battiti del cuore. “Calmati Amy, muoviti ed esci di casa” pensò angosciata, doveva come prima cosa portare al sicuro almeno Justin e l’asilo era l’unica ancora di salvezza al momento.
Nella stanza trovò il piccolo blu che tentava di vestirsi da solo. Di fronte alla scena comicissima le scappò un sorriso, riuscendo finalmente a rilassarsi un po’. I pantaloni, messi al contrario, non si degnavano ovviamente di salire e il piccolo aveva iniziato a saltellare per tutta la stanza cercando di infilarseli con scarsissimi risultati.
< Sono storti i pantaloni! > esclamò con una risata, bloccando i suoi saltelli prima che cadesse a terra. Justin sbuffò innervosito e si lasciò vestire da capo a piedi. Una volta conclusa l’opera di vestizione, la rosa preparò la borsetta del piccolo e il suo borsone. Fatto ciò, con un po’ d’ansia, salì nuovamente in camera e aprì la porta con molta cautela, quel tanto che bastava per far passare una piccola striscia di luce,
< J-Jason? Devi andare a prenderlo tu oggi, sono al lavoro fino a tardi. Mi raccomando, alle 4.30 davanti all’asilo, ok? > mormorò titubante cercando di mostrarsi gentile e cordiale, come risposta ottenne un breve e sfottente grugnito d’ assenso.
Chiuse la porta ancor più delicatamente di prima e assieme a Justin uscì finalmente da quella casa che odiava con tutta se stessa. Gout City era molto diversa da Mobius, distava all’incirca 4 ore di macchina, ma contrariamente alla città natale, era molto più piccola e ristretta. Nonostante il centro storico fosse molto curato e ben tenuto, il resto sembrava più un ammasso grigio di cemento e ferro. Le case erano ammucchiate in quartieri super affollati e gli spazi verdi erano ridotti a piccole aiuole attorno alla chiesetta.
Tutto sommato la gente era piuttosto tranquilla e normale, la piccola cittadina non offriva grandi attrattive ma per Amy era più un beneficio che un problema: anche se ci fossero state, Jason non l’avrebbe né portata, né tantomeno lasciata andare.
Grazie a Dio c’era l’accademia di danza e il suo bambino, le uniche due cose che riuscivano a tirarle su il  morale negli ultimi tempi.

Davanti alle porte a vetri dell’asilo, Amy si inginocchiò di fronte al suo piccolo e lo baciò sulle guancie calde, dopodiché con tono fermo e rassicurante lo avvertì
< oggi verrà a prenderti papà, mi raccomando Justin! Ascoltalo sempre e sii silenzioso, ok? > mormorò a bassa voce guardandolo dritto in quegli occhi verde evidenziatore, cercando di imprimergli bene il messaggio. Pregava e sperava che Jason non alzasse un dito su di lui.
Alla notizia infausta Justin si agitò e scalpitò,
< no, per favore! Non voglio Jason! > esclamò il piccino aggrappandosi alle braccia della madre, completamente terrorizzato dalla figura paterna. Amy respirò profondamente e accarezzò con delicatezza gli aculei blu elettrico del piccolo, tranquillizzandolo un po’
< non ti farà niente basta che non disubbidisci ok? Promettimelo > mormorò a bassa voce tendendogli un mignolo. Faticava così tanto a mostrarsi serena e sicura, dentro di se moriva dalla paura per quello che poteva accadere senza di lei. Justin esitò per un istante, ma poi con un sospiro abbattuto, agganciò il suo minuscolo mignolino a quello della madre, sperando che avesse ragione su tutto. Amy sorrise e lo strinse forte a se, coccolandolo un altro po’,
< se lui non dovesse venire, non allontanarti dall’asilo, hai il mio numero nella sacca, casomai fammi chiamare dalla maestra > bisbigliò all’orecchio del piccolo rialzandosi in piedi. Justin annuì un po’ più rasserenato, aveva visto un suo amichetto e non vedeva l’ora di raggiungerlo.
Una volta assicurata che il bambino fosse entrato in aula, la riccia fece velocemente dietrofront e si mise a correre lungo il marciapiede, scansando abilmente tutti gli ostacoli che le si paravano di fronte.
Era molto preoccupata per la crescita di Justin, la figura dei genitori era molto importante per la formazione psicologica del cucciolo, ma Jason non era il tipo di padre perfetto e Justin ne era sempre più spaventato.
La rosa cercava in tutti i modi di non creare contrasti tra i due, ma era letteralmente impossibile senza l’impegno di Jason. Con il piccolo risultava intrattabile, non c’era dialogo, nemmeno un briciolo di aiuto nei confronti del bambino. Meno lo vedeva meglio stava. Justin, diversamente, aveva sempre cercato affetto e un minimo di presenza da parte del riccio, ma le continue minacce e le brusche maniere avevano sviluppato nel piccolo un senso di terrore smisurato, che sbocciava in frequenti incubi e pianti disperati. E lei non riusciva a sopportare l’infelicità del suo piccolo, la faceva sentire una nullità. Possibile che lei, sua madre, non riuscisse a proteggerlo da quell’uomo?
Fortunatamente la scuola di danza era a 10 minuti dall’asilo perciò impiegò pochissimo tempo a raggiungerla. Sputando i polmoni entrò di volata nello spogliatoio vuoto e con dispiacere notò che non era riuscita ad arrivare in orario nemmeno quel giorno e per di più, tutti i ballerini erano già in sala!
Sbuffando si cambiò di tutta fretta, pettinandosi al volo e cercando di sbrigarsi. Infilò le scarpette da punta e cercando di non farsi notare troppo, entrò in sala, salutando con un sorriso tutti i ballerini che ricambiarono a loro volta. Si era appena messa al solito posto alla sbarra, quando percepì la presenza di qualcuno avvicinarsi a lei. Iniziò subito ad agitarsi, sapeva già di chi si trattava e non aveva la minima voglia di scambiare parola con lui.
Cercando di allontanarlo finse di essere super concentrata nei passi che stava eseguendo, mentre in realtà tendeva l’orecchio su quelli delicati sempre più vicini. E come aveva predetto, si materializzò di fronte a lei Pidge, una pantera dal manto ebano con occhi color verde acqua.
In quel momento, squadrandola da cima a fondo con le mani poggiate ai fianchi, esternava un sorriso malizioso. La rosa arrossì, era da quando era entrata lì dentro che lui ci provava in modo assillante e lei non ne poteva più. Aveva già provato a chiarire la questione infinite volte, ma lui negativo, aveva fatto finta di non capire continuando il suo sgradito corteggiamento.
La ragazza sorrise a sua volta, distogliendo velocemente gli occhi da lui e controllando i movimenti aggraziati ed eleganti. Sperando vivamente che quel gesto lo inducesse ad allontanarsi in fretta e a lasciarla in pace almeno fino all’ora di pranzo.
 


I raggi caldi e chiari del sole fecero capolino molto presto quella mattina e filtrando dalle tende, andarono a concentrarsi sulle palpebre del riccio blu, ancora profondamente addormentato. L’intera stanza era immersa in una piacevolissima e calda quiete quasi paradisiaca, pace che venne interrotta qualche secondo dopo da un’acuta voce femminile proveniente dalla cucina.
< Amore! Alzati! > esclamò la ragazza dal piano inferiore dando prova di notevoli corde vocali. Sonic aprì gli occhi, ma, ancor prima di mettere a fuoco qualcosa, venne accecato dalla luce che lo costrinse a seppellire la testa sotto il cuscino.
Quell’improvvisa e acuta richiesta di alzarsi lo aveva irritato e infastidito a dismisura, non aveva voglia di affrontare la nuova giornata, semmai avrebbe dormito altri dieci minuti. Si stava giusto riappisolando quando la ragazza ripartì all’attacco decisa a far scendere il blu a tutti costi:
< muoviti! Non ho molto tempo! >urlò di nuovo spazientita. Sapeva benissimo che il riccio faceva finta di non sentirla.
Maledicendola e arrendendosi, Sonic si stropicciò il viso, si alzò e si rivestì in fretta, trovando alcuni vestiti sparpagliati a terra e sul letto. Ma per quanto cercasse, non riusciva a trovare la sua t-shirt, “ma dove l’avrà messa?” pensò perplesso tentando di ricordare la serata precedente.
 Lanciò un’occhiata sotto al letto, trovandoci però, solamente gli slip in pizzo nero della ragazza. Roteando gli occhi lanciò un nuovo sbuffo e scese in cucina a passi lenti e pesanti. Subito un buon profumo di dolce e caffè lo accolse, aiutandolo a risvegliarsi meglio.
Entrando nell’ampia cucina, venne accolto dalla visione quasi angelica del corpo della coniglia,  di un pallidissimo azzurro, intenta a versare il caffè nelle tazzine spaiate. Il fondoschiena era coperto per un soffio dalla famigerata t-shirt tanto cercata.
I capelli che le arrivavano appena sotto le spalle erano spettinati regalandole un’aria sbarazzina e un po’ da maschiaccio. Sonic non potè fare a meno di osservare con tanto d’occhi quel meraviglioso spettacolo mattutino, riflettendo sul fatto che sarebbe sceso ben prima se solo avesse saputo ciò che lo aspettava in cucina.
< Guarda che la rivoglio la maglietta > sentenziò con fare ironico versandosi del succo di frutta. La ragazza, accorgendosi solo in quell’istante della sua presenza, voltò la testa sorridendogli maliziosa e fece per togliersela con leggerezza,
< NO! Non intendevo ora! >  la bloccò il blu prima che potesse svestirsi completamente. La coniglietta riabbassò l’indumento con una certa sorpresa e gli si avvicinò, salendogli sulle ginocchia in modo sensuale, < non sarai stanco, spero > borbottò con aria imbronciata puntando a pizzicarlo sul vivo. Cosa che le riuscì alla perfezione, dimostrando ancora una volta di conoscerlo meglio del previsto,
< figurati! Ma non posso arrivare di nuovo in ritardo al lavoro > rispose orgoglioso scostandole i capelli dagli occhi in modo sbrigativo, ecco, ci mancava solo che l’accusasse di impotenza.
L’azzurra sorrise soddisfatta della risposta e lo travolse in un appassionato bacio,
< d’accordo, ma torna presto > rispose con tono alludente, accarezzando il collo del riccio con le punta delle dita. Sonic le sorrise tirato e la fece sollevare dalle sue gambe,
< ok, vedo cosa posso fare >mormorò con poca convinzione, abbandonandola in cucina.

Uscì di casa mezz’ora dopo, dopo aver salutato sbrigativamente la ragazza color pastello. Sceso in strada si riavviò i lunghi aculei e si diresse a scuola a grandi falcate, pensando alla serata passata.
Erano usciti a mangiare assieme e dopo una delle cene più brevi della sua vita, si era trovato a letto con la focosa ragazza. Non che gli dispiacesse ovvio, ma dopo ben due settimane con lei, iniziava già a sentirsi imprigionato e di certo il comportamento rigido della ragazza non aiutava.
Era talmente intransigente su certi orari, che il ritardo di anche soli 5 minuti scatenava di quelle scenate che facevano inferocire il blu. Passavano perciò la serata a sbraitarsi addosso e poi riappacificavano in camera da letto. Ma nonostante i continui e numerosi litigi, nulla era cambiato: lui ritardava, lei si incazzava, lui si infuriava e avanti così.
Decise perciò, così su due piedi, di lasciarla la sera stessa o alla peggio il giorno dopo. Stava appunto riflettendo su cosa poterle dire quando un’acuta voce infantile trillò dietro di lui, riscuotendolo dagli elaborati pensieri,
< ziooo! >.
Si girò appena in tempo per vedere una piccola gattina pezzata correre verso di lui e saltare con grazia felina tra le sue braccia.
Con ottimi e fortuiti riflessi, l’acchiappò al volo e gli scoccò un grosso bacio sulla guancia, mentre la piccina si stringeva sempre più a lui.
< Buongiorno, principessa > mormorò Sonic alla piccola, andando incontro a Silver e a Blaze, di qualche passo più addietro.
< Oh mi dispiace, Sonic, si è letteralmente innamorata di te > sbuffò la gatta in forma smagliante, rubandogliela dalle braccia.
< Non preoccuparti, sai che non mi da fastidio. Buongiorno a tutti comunque. Ciao, Rihanna > salutò con affetto, accarezzando gli aculei argentati della primogenita. Le figlie del suo migliore amico e della relativa compagna erano due graziosissime bambine di 4 e 5 anni, Beyoncè e Rihanna.
La prima era una gattina lilla pezzata di argento, la seconda, una riccia argento con gli occhi color ambra ereditati sicuramente da Blaze.
Inutile dire quanto teneva a quelle due pesti, non avendo figli e desiderandoli ardentemente, Sonic viziava e coccolava le piccole in ogni modo possibile per vederle felici.
Salutate la madre e le bambine, i due ricci adulti si avviarono verso la scuola di ballo a grandi passi
< come è andata ieri sera infine? > esclamò con una certa curiosità Silver, legandosi i capelli per l’imminente lezione.
< Bene, ma nulla di speciale >  rispose il blu con un debole sorriso, lasciando intendere chiaramente che non era avvenuto nulla di diverso dal solito. L’argentato sorrise e scosse la testa,
< sospettavo. Mollerai anche questa, non è vero? > domandò trapelando una determinata sicurezza e soprattutto, indicando che conosceva bene il suo migliore amico.
Sonic sorrise malizioso e portando le mani sulla nuca gli lanciò un occhiolino affermativo,
< perspicace Silver >.


Aggiornamento: 15/01/2019

Come il primo capitolo, l'ho rifatto mantenendo la struttura originale e cambiando alcuni dialoghi che non mi piacevano più.
Spero vi piaccia.
Baci.
Martina

Si ringrazia ardentemente RoryJackson, la quale ha corretto interamente e perfettamente il capitolo. Ti ringrazio davvero di cuore Ro <3!

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Capitolo 3
*** Inviti ***


Le lezioni da danza quel giorno furono più pesanti del previsto per Amy. Gli esercizi volti a migliorare l’equilibrio e l’eleganza nei passi avevano completamente distrutto la riccia, la quale non vedeva l’ora di tornarsene a casa. Le gambe e i piedi gonfi non miglioravano il suo umore, anzi, la preoccupazione per le sorti del suo piccolo e la stanchezza la rendevano veramente intrattabile. Stava appunto entrando in spogliatoio per cambiarsi, quando, davanti a lei apparve d’improvviso Pidge. Bloccandosi stupita a metà corridoio, si maledisse per non aver posto la dovuta attenzione alla presenza o meno dell’insegnante. Gli occhi azzurrini della pantera brillarono nella penombra del corridoio, anche i canini appuntiti luccicarono quando sorrise affabile. Un sorriso talmente enigmatico e beffardo che fece rabbrividire la riccia di inquietudine, perché mai l’aveva fermata?
Le persone che rientravano nello spogliatoio osservarono il singolare evento con sorrisi furbi e un tantino maligni, facendola sentire ancor più a disagio. Tutti conoscevano la cotta di Pidge verso la riccia, ma la vera e succulenta curiosità che scuoteva gli animi era un’altra: come reagiva la ragazza a quelle avances? Era ben disposta verso la pantera o era realmente disinteressata? Occhiate curiose e piccoli mormorii serpeggiavano tra i ballerini e questo Amy non lo sopportava.  
<  Potresti venire un attimo? Volevo parlarti di una certa cosa, ti ruberò poco tempo, promesso > domandò con una certa autorità l’insegnante, sicuro della risposta affermativa di lei. La ragazza, sapendo bene che non poteva tirarsi indietro, annuì con un falsissimo sorriso, sperando che quell’impiccio si concludesse il prima possibile. Con un muto sospiro, seguì Pidge all’interno di una stanza utilizzata prevalentemente come ufficio e magazzino. La riccia si guardò attorno incuriosita: era entrata pochissime volte in quella camera. Il pavimento di legno chiaro e i pochi mobili appoggiati alle pareti erano coperti da un sottile strato di polvere. Al centro della sala vi erano tre piccole poltrone di pelle rossa accerchiate attorno ad un basso tavolino di vetro. Amy avanzò di qualche passo già impaziente di uscire da quella stanza. L’odore di chiuso e di carta stantia l’aggredì come un pugile fa col sacco provocandogli un po' di malinconia. Sentendosi ancor più a disagio, cercò di simulare un sorriso che si trasformò in un ghigno pochi secondi dopo.  
< Accomodati pure cara, sarò brevissimo! > esclamò lui  prendendo due bicchieri di vetro da uno dei mobili. La riccia si sedette stancamente su una delle poltrone e osservò la pantera versare un liquore verde mela all’interno dei contenitori. Stupita da tutte quelle attenzioni, si domandò, realmente interessata, su cosa avrebbero mai discusso in quel momento. E soprattutto, a cosa stava puntando Pidge per manifestare un tale comportamento? Attese in silenzio che lui iniziasse a parlare.
< Scusami se ti rubo del tempo, ma ho una notizia che potrebbe interessarti > iniziò con aria misteriosa, porgendole un bicchierino pieno fino all’orlo. Amy, stupita, ringraziò appena per la bevuta e tese le orecchie interessata da quella anticipazione.
< C’è un’audizione per la parte di “Odette” ne “Il lago dei cigni”. L’audizione è rivolta anche alla nostra scuola e perciò, a breve, inizierò a selezionare le migliori candidate da presentare > ricapitolò con un sorriso malizioso, scrutandola con attenzione. La ragazza rimase sbalordita dalla notizia: era una grossa, enorme, gigantesca possibilità per la sua carriera! Non si stava parlando di un ruolo qualsiasi, ma della crème de la crème di ogni balletto esistente. Insomma significava fama, gloria e soprattutto soldi.
Ancor prima di iniziare a costruire uno dei suoi castelli  in aria, rifletté su quanto tempo occorresse per un simile ruolo. Di sicuro, per presentarsi in  modo completo alla selezione, occorrevano dai 3 ai 4 mesi di duro lavoro. Iniziò a calcolare i vari impegni della settimana per capire se, tra rientri del piccolo, la casa da pulire, cibo e allenamenti, riuscisse a mandare avanti la propria vita. Non poteva ignorare quello che ruotava attorno a lei all’infuori della danza.
Vedendo l’espressione stupita e confusa della ragazza, Pidge continuò
< conosco bene l’esaminatore della giuria e sono quasi certo che mi basterebbero due paroline per far vincere … chi voglio io. E con questo intendo dire che credo fortemente che tu possa essere la possibile candidata vincente. Che ne pensi? > Svelò completamente con un sorriso soddisfatto tra le labbra. Fingendo quasi disinteresse, il nero sorseggiò con studiata lentezza il bicchierino, lanciandole di tanto in tanto qualche breve occhiata. Era sicuro che avrebbe accettato, forse con un po’ di reticenza, ma alla fine sarebbe crollata. Quell'occasione era più unica che rara! Amy raccolse le idee e accavallò le gambe pensierosa
< a che ora finirebbero gli allenamenti? Sai bene anche tu che ho il piccolo >  mormorò in preda ad una forte indecisione. Non poteva e soprattutto, non voleva, lasciare il suo bambino solo con Jason. Mai. E quel lavoro richiedeva una scelta decisa o una soluzione miracolosa che potesse unire il suo piccolo e la danza.
< Per quello non è un problema. Se per te fosse una limitazione andarlo a prendere, posso andarci benissimo io. Dopodiché potrebbe venire qui con noi > rispose con tono pacato quasi paterno. Amy, ancor più sbalordita, rimase completamente senza parole.
Non se ne parlava nemmeno.
Non era il padre del piccolo, né tantomeno il suo fidanzato. Si inseriva giusto nella lista delle “conoscenze”, di quelle sgradevoli oltretutto. La rosa scosse la testa lievemente e a malincuore capì subito che quella meravigliosa occasione sarebbe andata sprecata. E poi non capiva dove, o meglio, cosa voleva andare a parare con quella vantaggiosa opportunità. 
< E in cambio che vorresti? > Domandò con schiettezza, iniziando ad ondeggiare la gamba nervosa. Sicuramente, un ruolo così importante da ottenere doveva essere contraccambiato con un’azione dello stesso peso. E conoscendo Pidge, la cosa la preoccupava. La pantera sorrise divertita e concluse il suo bicchierino con un sorso. Con estrema delicatezza appoggiò il recipiente sul tavolo e si protese con fluidità sulla riccia, cogliendola totalmente di sorpresa. La ragazza indietreggiò sulla poltrona e si appoggiò allo schienale freddo, tentando di distanziarsi il più possibile. La breve distanza che intercorreva tra loro non le piaceva, erano eccessivamente vicini, tanto da poter sentire il forte profumo di dopobarba. Pidge, senza porsi tanti problemi, avvolse tra le dita una lunga ciocca di capelli, ammirandone il colore leggero e i riflessi confettati. Portandosela alle labbra, sogghignò malizioso puntando bene lo sguardo su di lei. Sguardo di chi era ben  consapevole di avere il coltello dalla parte del manico e di saperlo utilizzare alla perfezione. Amy rabbrividì.
< Potremmo deciderlo più avanti se dici, anche se ho già una mezza idea a dir la verità> esclamò a bassa voce socchiudendo le palpebre con malizia. La ragazza ebbe un fremito e balzò in piedi improvvisamente, allontanandolo di colpo. Non le era necessario altro tempo per riflettere. Era limpida come l’acqua la strada da percorrere. Buttò giù d’un colpo la grappetta, un tantino acidognola, e poggiò il bicchierino sul tavolo, asciugandosi le labbra con il dorso della mano. Pidge si alzò in piedi a sua volta, capendo che la sua proposta non aveva colpito  a fondo. La ragazza si lisciò gli aculei con cura meticolosa prima di parlare
< ti ringrazio per l’occasione e per aver pensato a me ma … mi manca il tempo materiale per prendere parte a ciò. Sarebbe meraviglioso e dico sul serio! Ma Justin necessita di me. È un bambino molto, molto vivace e … >, la pantera non la lasciò concludere. Il suo viso assunse un’espressione collerica e con sfrontatezza aumentò la distanza tra di loro, innervosito da quel rifiuto. Infilandosi le mani in tasca spostò gli occhi da lei e si concentrò su un punto impreciso della stanza tra le poltrone e la piccola credenza,
< bene. Fai ciò che vuoi. Ricordati però che lui necessita di un padre. E tu di un uomo. Qui in paese, sappiamo tutti che tipo è Jason > esclamò sicuro, facendole intendere di conoscere molto più di quello che pensava. Lanciandole un’occhiata stronza sorrise, soddisfatto di essere riuscito a pungerla sul vivo.  Amy, colpita da quell’affermazione per nulla delicata, trattenne il respiro raggelata.
Il fatto che “il paese” conoscesse la vera natura di Jason la turbava: non voleva che lei e suo figlio passassero come le vittime di turno o i “diversi”. Justin ne sarebbe stato influenzato negativamente. E poi era infastidita da quelle frecciata, Pidge non conosceva nulla di lei o del piccolo blu, perciò non si doveva nemmeno azzardare a dire certe cose.
La rosa, dopo un primo attimo di perdizione, si girò e uscì a passo spedito dalla stanza sbattendo con rabbia la porta. Rischiando di urtare un suo collega, aumentò la velocità della camminata e spalancò furiosa la porta d’entrata. L’aria caldissima dell’esterno vanificò la frescura emessa dal condizionatore. Come un film plastico, in pochi secondi l’afa l’avvolse completamente iniziando a farla soffrire dopo pochi metri. I capelli lunghi non aiutavano, nella fretta si era dimenticata di legarli e ora si trovava con un mantello rosa sulla schiena. Come Pidge osasse dirle certe cose, ancora non lo capiva. Ma di una cosa era certa: non sarebbe mai, mai stato né il suo uomo, né, tanto meno, il papà di Justin.
Non era ancora arrivata nel vialetto di casa che la maglia che indossava era zuppa di sudore. Fermandosi a raccogliere la posta di una settimana che occludeva la casetta postale, lanciò un’occhiata disgustata al piccolo giardinetto. L’erba incolta,secca e gialla rovinava l’atmosfera, i cespugli fuori forma, le rose stentate e le dalie k.o. regalavano alla casa un’aria ancor più deprimente. Con un sospiro passò oltre e spalancò la porta di casa, iniziando a cercare Justin con lo sguardo. Nel salotto disordinato, Jason era sdraiato sul divano con un piatto sporco appoggiato al petto e lo sguardo premuto sulla tv. Il bambino, invece, era appollaiato su tutt’altra seduta, con le mani sugli occhi per schermarsi dalla visione di un orrido film horror, per nulla adatto ad un bimbo di quattro anni.
< Ciao > mormorò fredda, appoggiando a terra il borsone stracarico. Jason, senza nemmeno rivolgergli un’occhiata, grugnì un saluto, concentrandosi nuovamente sullo schermo. Voltandosi di scatto invece, Justin sorrise sollevato alla vista della rosa e, con un guizzo blu, saltò tra le braccia della madre felicissimo.
< Mamma! > Le braccine la strinsero così forte da mozzarle il fiato per un attimo e strappandole una risata sincera.
< Ciao tesoro! Come stai? > borbottò la ragazza portandoselo in cucina al riparo dall’adulto. Con una mano abbassò gli aculei scompigliati del piccolo allargati come un pavone dalla gioia.
<  Bene! Ho fatto un disegno per te! > esclamò Justin porgendole un foglio pieno zeppo di fiori di ogni forma e colore.
< Wow! E’ meraviglioso! Grazie scricciolo > mormorò baciandolo più e più volte sulle guanciotte morbide.  Arrotolò il disegno e lo poggiò sulla tavola ingombra di bottiglie vuote, cenere, mozziconi di sigaretta, posacenere straripanti, carte, bollette, giornalini osé e molto altro ancora. Amy sbuffò infastidita e schifata, e dire che aveva pulito quel tavolo proprio quella mattina. Sospirando distrutta fece scendere il piccino dalle sue braccia e iniziò a sistemare nuovamente.
< Ti ha chiamato qualcuno > disse ad un tratto il riccio blu scuro con tono annoiato e scorbutico.
< Davvero?Chi? > esclamò sorpresa la rosa, bloccandosi per un attimo con la spazzatura in mano. Non era abituata a ricevere chiamate, solitamente le poche persone che la cercavano lo facevano principalmente sul suo cellulare.
< Non ne ho idea,ma non è un numero di Gout City, il prefisso sembrerebbe più di Mobius o giù di li > borbottò sospettoso lanciandole un’occhiata fredda. La riccia, fingendo il disinteresse più totale, riprese le faccende con una scrollata di spalle,
< proverò a richiamare più tardi > dileguò asciutta ammucchiando le bollette in un’unica busta. In verità dentro di lei si stava consumando un’autentica tempesta di emozioni, in cui la curiosità faceva da padrona.  Quale dei suoi vecchi amici l’aveva chiamata? Fremendo d’impazienza per richiamare quel maledetto numero non sollevò più il discorso della telefonata per non irritare Jason. Il ragazzo era molto, fin troppo geloso, il solo pensiero o dubbio di qualche possibile tresca lo avrebbe fatto esplodere come un palloncino.
Preferì aspettare che si dirigesse in bagno, per poi prendere figlio, vecchio telefono e portarli sul divano sformato. Raccolti i piedi sotto le cosce e sotto l’attenta vigilanza del piccino, la riccia compose il numero e aspettò con l’ansia di vedere Jason sbucare dalle scale. Justin appoggiò l’orecchio contro il suo per ascoltare meglio il discorso. Dopo tre interminabili squilli finalmente qualcuno alzò la cornetta,
< Blaze The Cat, con chi parlo? > rispose una voce di medio tono con incredibile serenità.
< Blaze sono Amy! Ho trovato la tua chiamata e ho rifatto il numero appena possibile! > esclamò su di giri la riccia, con il cuore che traboccava di gioia e piccoli brividi. La voce della cugina era puro miele per la rosa, Dio solo sapeva quanto desiderasse vederla ed abbracciarla. Per colpa di Jason, il poco tempo e molto altro ancora, si erano contattate pochissime volte in quegli anni: Natale, Pasqua e compleanni. E ogni volta che si sentivano ad entrambe veniva il magone per giorni, sapendo bene che ritrovarsi, al momento, era realmente impensabile.
< Amy! Finalmente sei tu! Non hai idea di quante persone abbia chiamato! Come stai tesoro? > esclamò ansiosa la gatta sapendo bene che il tempo per la riccia era relegato a pochi minuti.
< Tutto bene cara e tu? >
< anch’io, grazie. Farò in fretta: ti ho chiamato per una pazzia che ho escogitato ieri sera > mormorò la viola abbassando il volume della voce, come se si trattasse di un segreto di stato. Le labbra di Justin, al fianco della rosa, si piegheranno in un sorriso entusiasta per quella notizia segreta. Amy portò un dito alla bocca per ricordargli di tacere e controllò nuovamente il corridoio.
< Dimmi pure > mormorò bisbigliando.
< Tra poco inizieranno le vacanze. Ho posto a casa se dici. Vieni! Trova una scusa, una settimana almeno! Oh Amy! Per favore, è da secoli che non ci vediamo. Voglio vedere Justin, voglio abbracciarti e voglio che le piccole ti conoscano > esclamò struggente con tono implorante. Nella gola di Amy si formò un nodo talmente grosso da bloccarle completamente la deglutizione, tanto che, per un momento, temette di soffocare. Quanto avrebbe voluto poter fare una cosa del genere. Ma come? Jason non l’avrebbe mai lasciata e scappare non se la sentiva.
Come si sarebbe spostata fin là senza un becco di un quattrino? No, decisamente no. L’unica soluzione fattibile era rivelare a Jason il suo progetto spingendo soprattutto sul fatto che Blaze fosse sua parente, chissà, magari sarebbe riuscita a convincerlo in qualche modo.
Sconsolata, iniziò ad avvolgere più e più volte l'aculeo rosa sull'indice, cercando una risposta adeguata da dare alla cugina. < Anche io lo voglio tanto. Non hai idea di quanto mi manchi. Ma sai bene anche tu che non è facile. Tuttavia proverò a parlargli con calma. Forse acconsentirà se insisto >esclamò rivolgendosi più a se stessa che all’interlocutrice, sarebbe stata una vera e propria impresa. Blaze sospirò sapendo bene che i miracoli, ultimamente, erano presi poco in considerazione lassù, perciò era molto improbabile la riuscita della cugina. Stava appunto per ribattere su questo aspetto quando la rosa, con voce allarmata, la liquidò frettolosamente con una delle solite frasi inquietanti.
< Sta arrivando. Ti saluto. Ti farò sapere presto mie notizie! Baci > senza darle un secondo in più per rispondere, chiuse la linea di tutta fretta, come sempre d’altronde. La voce melodiosa di lei venne sostituita con lo squillo “tubante” del telefono.
Con un sospiro, la gatta mise giù e si bloccò a fissare un quadro appeso alla parete pensierosa.

Aggiornato: 18/03/2019
Spazio autrice: come al solito ho mantenuto la struttura originale e ho tolto qualche evento inutile. Spero che vi piaccia.
Baci.
Martina

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Capitolo 4
*** Di corsa ***


Parenti, pochi giorni, vacanze e costo zero: questi erano i punti chiave che Amy aveva deciso di giocare nella discussione con Jason tenuta per quella sera. Il discorso chiaro e coinciso, scritto e riscritto nella sua testa, puntava all’onestà più assoluta. Come prima cosa, Justin necessitava di conoscere la zia e relativi cuginetti, non avendo altri parenti era giusto che conoscesse gli unici che aveva. Come secondo punto c’era in ballo il tempo di pernottamento: dopo averci pensato e ripensato aveva deciso che una settimana era più che sufficiente per i suoi scopi.
Anche perché, se si fosse trattato di più tempo, Jason glielo avrebbe negato a prescindere. Il terzo e quarto punto erano i concetti più deboli ma che comunque avrebbero arricchito la sua breve tesi. Non le restava che illustrarlo al padrone di casa, sperando che fosse abbastanza di buon umore da ascoltarla senza innervosirsi. Doveva essere delicata come una farfalla, pregarlo e soprattutto essere paziente, ne valeva della sua salute e soprattutto di quella del piccolo.
Per quella sera aveva deciso inoltre di cucinare il suo piatto preferito per cercare di graziarselo, anche se, probabilmente, alla vista di quel fantastico arrosto ripieno, qualche sospetto sarebbe sorto ancor prima di parlare. Amy e Justin, in quel momento, si trovavano nella piccola cucina dell’abitazione, intenti a rigirare per la quarantacinquesima volta il pezzo di carne nel sugo per mantenerlo morbido. Il piccolo blu, arrampicato su una sedia accanto alla madre, quasi sbavava alla vista e, soprattutto, dal profumo che fuoriusciva dalla casseruola. Incollato alla riccia, non riusciva a staccare gli occhi verdissimi da quel piccolo involucro carnoso coperto di rosmarino e da alcune bacche di ginepro. Poteva quasi sentirne il sapore sulla lingua, immersa dalla saliva che aveva iniziato ad accumularsi nella bocca.
< Oh forza Justin, pazienta ancora un po’! Dovrebbe essere qui a momenti > esclamò la riccia esasperata spiando dalla finestra. Il nervosismo accumulato durante la giornata iniziava a farsi sentire, la rosa, spegnendo il fornello e allontanando il famelico riccetto, iniziò distrattamente ad avvolgere un lungo aculeo sull’indice in attesa del compagno.
Solitamente Jason arrivava a casa verso quell’ora. Dopo aver passato la sua giornata “fuori”, il che precludeva il consumo di un’ingente quantità di alcool, il riccio blu notte tornava nella sua tana per cenare, lavarsi e riprendere a bere. Perciò non sorprese i due coinquilini quando, come ogni giorno di ogni singolo anno, esattamente alle otto, Jason bussò con forza e irritazione la porta di casa, facendo rimbombare l’intera cucina con quel suono così macabro.
Justin e Amy sobbalzarono a quel rumore, ma non c’era tempo da perdere, corsero ad aprire la porta prima di far attendere il riccio. Simulando un sorriso striminzito, spalancarono l’entrata e si spostarono per lasciarlo passare nella piccola stanzina. < Ciao > esclamò Amy con un sorriso decisamente finto e un’allegria ancor più falsa, era comunque abbastanza brava da riuscire a nascondere il panico nella sua voce. Justin, incoerentemente, sorrise con impegno ma si incollò ugualmente alla mano della madre, già terrorizzato dal presunto padre.
Lo sguardo del ventisettenne era buio e freddo come poche volte, gli occhi leggermente arrossati e la sigaretta alle labbra indicavano che no, non era affatto di buon umore. Amy si ritrovò a deglutire impacciata con un ventricolo che pareva stesse per scoppiare, forse non era la sera giusta per quella richiesta. Il riccio entrò nel silenzio più totale squadrando i due con occhio critico. Quei sorrisi esagerati e quel piccolo moccioso così vicino a lui, gli facevano intuire che altre seccature gli sarebbero piombati tra capo e collo.
Non emettendo alcun suono si trascinò a tavola, seguito a ruota da madre e figlio sempre a debita distanza. Sedendosi pesantemente sulla sedia si massaggiò le tempie mentre un delizioso profumino arrivò alle narici del riccio affamato. Justin si sedette al suo solito posto con un atteggiamento di assoluto rispetto nei confronti dell’adulto di fronte a lui. Cercando di fare la sua parte nell’opera di convinzione per le vacanze, Justin, notando il bicchiere vuoto di fronte a Jason, decise di riempirglielo per risultare gentile e ben educato.
Con molta attenzione si inginocchiò sulla sedia e, allungandosi al massimo, riuscì ad afferrare la pesante bottiglia d’acqua posta in mezzo alla tavola. Con enorme sforzo riuscì ad avvicinarla a sé e tolto il tappo, inclinò il recipiente riuscendo a far fuoriuscire un tremolante filo d’acqua. Le braccine iniziarono a tremare dallo sforzo nonostante la bottiglia fosse ancora appoggiata al tavolo e quel piccolo filo d’acqua iniziò ad ingrossarsi pericolosamente, riempiendo il bicchiere troppo velocemente.
Lo sguardo di ghiaccio dell’adulto si sollevò dal piatto e lo fulminò con odio notando la portata del disastro che a breve avrebbe combinato ma, nonostante ciò, non accennò ad aiutarlo. Se ne stette immobile a lanciare sguardi infuocati al piccolo, un chiarissimo avvertimento di quello che sarebbe accaduto se avesse spanto anche solo una goccia. Il piccino lesse quello sguardo e fu preso dal panico, gli occhi verdissimi si riempirono di paura quando si accorse che le braccia, esauste, non sarebbero riuscite a tirar su quell’enorme bottiglia.
< Aiuto! > mugolò disperato, mentre il bicchiere accennava a tracimare da un momento all’altro.
< Justin! Attento! > Richiamata da quella richiesta, Amy si era girata giusto in tempo per vedere e fermare quel disastro. Abbandonando l’arrosto, bloccò e sollevò la bottiglia salvando per una goccia l’intera situazione.
Il suo cuore le stava smantellando la gabbia toracica dalla spavento. Dio solo sapeva cosa sarebbe successo se l’acqua fosse traboccata. Justin, con uno sguardo carico di ansia e rimorso spostò le mani tremanti dal contenitore ad occhi sgranati.
< Justin! Devi stare più attento! A momenti lavavi ovunque! > Sbottò la rosa preoccupata a morte, tornando alle padelle già calde. Velocemente, per non far raffreddare la carne, mise sul piatto di Jason le fette più grandi e poi passò al suo piccino, il quale non aveva ancora staccato gli occhi dall’adulto. Il ventisettenne iniziò a mangiare con appetito la sua parte, i gomiti ovviamente sul tavolo lasciavano poco posto alla madre e al figlioletto. Amy rimase interdetta per qualche secondo, indecisa se affrontare il discorso o rimandarlo ad un’altra sera. La parte più razionale di lei la esortava a lasciar perdere, conosceva già la sua risposta ancor prima di aprir bocca.
Ma il suo cuore implorava di andarsene, anche solo per una settimana, necessitava di rivedere Blaze. Così, dopo dieci minuti tormentati dall’indecisione, con un grosso sospiro si obbligò a parlare.
< Jason? Devo chiederti un favore > replicò asciutta appoggiando le posate al piatto. Il cuore iniziò a batterle più forte quando lo sguardo gelato si posò sui suoi occhi. Il riccio blu ripose un’accurata attenzione sulle parole della riccia, pronto a commentare qualsiasi punto di disaccordo. La rosa si fece coraggio e allontanato il piatto da sé, arrivò dritto al punto,
< la telefonata di oggi era di mia cugina Blaze, mi ha chiamato per propormi una … piccola cosa: tra due giorni finisce la scuola e perciò ci ha invitato a trascorrere qualche giorno da lei. E’ da tanto che non ci vediamo, ora ha due figlie, non le ho mai viste a dir la verità e nemmeno … >, la mascella del ragazzò scattò e si serrò, interrompendo il discorso della rosa. Distogliendo  gli occhi dalla ragazza, osservò un passante attraversare la strada con lentezza
< no. Non se ne parla nemmeno. Toglitelo dalla testa, non ti porto fin là > rispose secco, concludendo la sua cena con due morsi. Justin portò gli occhi sulla madre preoccupato, le sue prime vacanze stavano rischiando di venire cancellate. Amy lo tranquillizzò con un sorriso tirato per poi rivolgersi nuovamente all’adulto, decisa a metterlo alle strette.
< Ci sono i treni e gli autobus, ci possiamo arrangiare. Ti chiediamo qualche giorno, nulla di più. Il tempo necessario di far conoscere Justin a Blaze e … > Jason bloccò il discorso sbattendo violentemente il bicchiere sul tavolo e preoccupando a morte i due commensali.
< No. E ora piantala con queste cagate > ringhiò indispettito, lanciandole un’occhiata furiosa. Nervoso, estrasse dalla tasca le sigarette, se ne accese una con velocità e con una boccata bruciò il primo centimetro in un battibaleno.  Justin iniziava ad avere una certa paura, quel tono di voce e la sigaretta indicavano un rituale che sua madre stava pericolosamente sfidando. La riccia col cuore in gola abbandonò definitivamente la cena, si alzò e iniziò a sparecchiare.
Notò solo in quel momento che il suo piccolo non aveva toccato nemmeno una posata. In preda all’ansia era incollato alla sedia con gli occhi sgranati  e la bocca leggermente aperta. Il petto si abbassava e si alzava a velocità preoccupante e con un po’ di attenzione era sicura di sentire anche il suo piccolo cuore. Fu quell’espressione angosciata a farle scattare qualcosa dentro: era stanca, terribilmente stanca di quell’enorme ingiustizia, era stanca di non riuscire a proteggere suo figlio, era stanca di non aver la più basilare delle libertà. ll suo cuore, stranamente, rallentò i battiti e sentì subito l’adrenalina iniziare a scorrere a fiumi, regalandole un coraggio inaspettato. 
< Mi spiace Jason, non voglio litigare con te ma devo andare. Perciò io e Justin partiremo. Con o senza il tuo consenso > mormorò asciutta fingendo ottimamente il disinteresse. Il tono della sua voce risuonò freddo ma cortese nella cucina e per un attimo ne fu anche piacevolmente sorpresa.
Se ne pentì subito dopo quando sentì Justin cacciare un acutissimo grido e prima di venire colpita in pieno viso. Le sembrò di essere investita da un camion. Perse ovviamente l’equilibrio e cadde a peso morto sul pavimento duro. La testa sbatté sulle piastrelle emettendo un rumore sordo  mentre centinaia di pallini bianchi iniziarono a danzarle davanti agli occhi.
Un forte dolore esplose come un palloncino dentro alla testa, immobilizzandola a terra e silenziando ogni suono attorno a lei . La guancia le bruciava ma in misura minore rispetto al colpo appena ricevuto. Confusa, non aveva capito come Jason fosse riuscito ad essere così veloce, non l’aveva nemmeno sentito arrivare.
Mettendo malamente a fuoco gli oggetti attorno a lei, le orecchie ripreso lentamente  a funzionare e iniziò a distinguere, in sottofondo, il pianto disperato e le preghiere strazianti del suo piccolo sempre più forti. L’istinto la mise velocemente a carponi, Jason, furioso e fuori di sé, urlava come un pazzo avvicinandosi al piccino tremante come una foglia.
Justin era immobile, bloccato accanto al divano con grosse lacrime che rotolavano giù dalle guancie. Il suo volto, contratto dal terrore, era di un azzurro pallidissimo e gli occhi lucidissimi erano colmi di paura. Amy era presa dal panico, la forza che Jason possedeva in quel momento avrebbe potuto benissimo maciullare il cemento armato, se avesse colpito il suo piccino l’avrebbe sicuramente ammazzato.
Con il fiato corto e con il mondo che girava pericolosamente sotto di lei, la riccia si alzò in piedi a tentoni. Jason aveva afferrato il riccetto per un braccio e per gli aculei, bloccandolo a poco più di un metro da lui. Le urla e i lamenti che uscivano dalla gola del bambino erano pugnalate al cuore della rosa, soprattutto quando vide il pugno di Jason alzarsi minaccioso sopra la testa.
Con uno scatto e disposta a tutto pur di salvarlo, Amy si attaccò con tutta la forza che poté al collo dell’adulto. La velocità con cui lo spintonò bastò quel tanto a farlo sbilanciare .
Jason indietreggiò di qualche passo preso alla sprovvista dalla ragazza, la quale tentava in tutti i modi di atterrarlo o almeno di allontanarlo dal piccino. Il pugno a mezz’aria dell’adulto sfiorò appena la guancia di Justin, il quale, rinvigorito dal contrattacco della madre, si divincolò così tanto da riuscire a liberarsi dalla stretta del riccio.
Complice l’alcool che aveva in corpo, Jason ruzzolò per un secondo a terra, trascinando con se la riccia rosa ancora stordita dal colpo ricevuto precedentemente. Amy si ritrovò nuovamente a terra con la testa che girava, priva di equilibrio e con il gusto ferroso del sangue sulla lingua. Indolenzita e terrorizzata però, non aveva tempo da perdere: allontanandosi dall’adulto a carponi iniziò ad indicare la porta a Justin con l’indice teso e la voce carica di panico. Il dolore alla testa era come un ago bollente  che si faceva strada nel cervello, carbonizzando le cellule che incontrava al suo passaggio.
< Vai Justin! Corri! Esci da qui!Muoviti! > Ringhiò disperata, pentendosi amaramente di averlo sfidato con quelle frasi di indipendenza e libertà. Se si fosse zittita invece di aver dato sfogo ai suoi sentimenti! Jason riacquistò nuovamente il pieno controllo. Con un ringhio ancor più feroce, il blu, ancora seduto malamente a terra, afferrò la caviglia della ragazza con uno slancio, catturandola malamente.
< Vai! Vai, vai, vai! > Gridò in falsetto con disperazione , sperando di vedere il suo tesoro uscire di corsa e allontanarsi da quella maledettissima casa. La presa ferrea del ragazzo si serrò sempre più forte, bloccandola a terra completamente alla sua mercé. Un gemito di dolore le sfuggì dalle labbra quando il riccio blu notte gli storse l’articolazione in una posizione innaturale per impedirle di tirare calci e per obbligarla a rimanere ferma.
Il viso del riccio era segnato dalla rabbia e dall’alcool, una smorfia contornava le labbra dell’adulto, il quale non si era mai sentito così preso in giro in vita sua. 
< Se ti azzardi a muoverti ti faccio fuori moccioso! > sbraitò con la bava alla bocca.
Justin, tremante come una foglia, non voleva abbandonare la madre in quel modo e con lui. Ma una parte di sé non voleva nemmeno restare lì e ricevere i colpi di Jason. Indeciso come non era mai stato nella sua breve vita, si sentiva le gambe mollissime dalla paura.
< JUSTIN! Sii coraggioso! Vai! Vai dalla vicina o da Sophie o da Pidge ma non restare qua! > Continuò la rosa con il cuore che le ballonzolava in gola, Dio solo sapeva che gli avrebbe fatto Jason se gli fosse capitato tra le mani. Il viso del piccino, stravolto dal terrore, assunse un’aria più determinata che mai, indice che il piccino aveva già fatto la sua scelta.
Amy, sollevata, pensando che a breve il suo piccolo sarebbe stato al sicuro, rilassò per un attimo la gamba bloccata dalla stretta ferrea. Ma diversamente da ciò che pensava, con sua enorme sorpresa, Justin annullò la distanza tra loro in una scia blu e, sorprendendo entrambi gli adulti, colpì, con tutta la forza che poteva sprigionare, la mano dell’adulto facendogli mollare la presa.
Un ululato di dolore uscì dalle labbra del ragazzo che si premette il polso ferito quasi tentasse di bloccare il dolore. Il piccino, bloccato accanto a lui con gli occhi fuori dalle orbite per quello che era riuscito a fare, non riusciva a muoversi dal terrore.
Capendo di avere un’unica chance, Amy non perse un secondo di più, alzandosi il più in fretta possibile, afferrò le mani del riccetto e si lanciò fuori dalla porta imboccando il marciapiede deserto. Con il fiatone dovuto alla paura, le sembrava di correre pianissimo, rallentata oltretutto dal piccolo irrigidito dal panico.
Dopo aver colpito Jason in quel modo, un solo pensiero vorticava nella sua testolina blu: se l’adulto fosse riuscito a raggiungerlo sarebbe sicuramente morto.
Neanche farlo apposta, un ringhio furioso alle loro spalle li raggiunse facendo accapponare la pelle a madre e figlio, a rotta di collo giù per le stradicciole deserte. Justin voltò appena la testa per vedere il ragazzo avvicinarsi a velocità inusuale con il volto nero di rabbia. Le lunghe falcate erano più ampie e rapide di quelle dei due ricci di fronte a lui, permettendogli di recuparare parecchi metri.
Amy, non del tutto ripresa dal colpo alla testa e impedita dal piccolo che per il troppo terrore quasi era bloccato dalla fifa, aveva il fiatone e si sentiva sempre più debole. Non sarebbe riuscita a trascinarsi per molto, inoltre, l’adrenalina che aveva in corpo la fiaccava ancor di più, si trovava perciò a tirare il bambino con gli occhi carichi di terrore.
< Ju-Justin! Corri!VELOCE! > Gridò tirandogli un ultimo, stanchissimo strattone. Jason, dietro di loro, non distava  a più di un paio di metri e la riccia credeva sul serio che quell’inaspettata fuga sarebbe conclusa da lì a poco.
Ma non fu così, una piccola saetta blu elettrico e incredibilmente veloce, la superò in mezzo secondo procedendo dritto per il marciapiede. Sfruttando ogni energia possibile e alleggerita dal figlioletto, raggiunse il riccetto davanti a lei. Infondendosi coraggio a vicenda tramite un'occhiata complice, assieme distanziarono il loro aguzzino in un battito di ciglia. Nonostante il marciapiede fosse umido e scivoloso dalle irrigazioni dei vicini, i loro passi erano sicuri e decisi a mettere più spazio possibile tra loro e Jason. Il vento copriva le urla pazze del ragazzo dietro di loro, le loro orecchie sentivano solamente il suono del vento infrangersi nei timpani. Nessun ostacolo si intromise tra loro e la salvezza. Entrambi speravano, credevano di avere una speranza, una piccola possibilità di spezzare le catene. I loro cuori andavano di pari passo con i loro piedi e nonostante, oramai, l'energia fosse completamente esaurita, madre e figlio si arrovellavano per conquistare un metro in più.
Si fermarono solamente quando furono sicuri di essere lontanissimi da lui. Il ragazzo, dopo una decina di metri, aveva rallentato sempre più fino a trasformarsi in un piccolo puntino nero.
Fermandosi accanto ad una stazione del bus, il vento freddo faceva ondeggiare le chiome già spettinate dei ricci, facendoli rabbrividire. Justin, fresco come una rosa, aveva il respiro leggermente alterato, come se quella corsa a perdifiato fosse stata solamente un gioco. La madre, diversamente dal piccolo, era inginocchiata a terra con la lingua  a penzoloni e le gambe tremolanti. Dio, da quanto non correva in quel modo! Premendosi una mano sul cuore, sotto sforzo dalla pazza corsa, scrutò attentamente il fondo della strada.
Con il terrore di vederlo spuntare da un momento all’altro, prese per mano il piccino e riprese a camminare velocemente con i sensi in allerta, controllando continuamente dietro di se. Il buio era alle porte, la luminosità scarsissima lasciava appena intravedere il terreno dove poter mettere i piedi ed il freddo iniziava a farsi sentire.
< Mamma! Ma dove andremo ora? > Domandò preoccupato il piccino stringendosi a lei. In tutto quel caos, ovviamente, non avevano benché minimamente riflettuto su quel particolare. E ora si trovavano all’aperto, senza un quattrino, senza bancomat e privi di un qualsiasi riparo. La riccia fu invasa dalla preoccupazione, cosa fare ora? Ovviamente non sarebbe mai dopo mai tornata a casa, ma in quel momento, senza un riparo per suo figlio, senza un cellulare e senza nulla di nulla si sentiva persa e un pelino angosciata.
Guardandosi attorno in cerca di una qualsiasi forma d’aiuto, improvvisamente una lampadina si accese nel suo cervello. Non attese un minuto di più e stretta la mano del piccino, sorridendo pacatamente si incamminò verso l’altro lato della strada .
< Non ti preoccupare, troveremo di sicuro un riparo > mormorò con poca convinzione. Impiegarono una ventina di minuti per raggiungere la sua scuola di danza, nella fuga non si erano resi conto di quanto si fossero spostati dal centro.
Il freddo era infiltrato nei jeans della ragazza e ad ogni movimento, il tessuto congelato e rigido come un baccalà le sfiorava la pelle facendola rabbrividire. Aveva consegnato, inoltre, la sua felpa al piccolo infreddolito, sperando di riuscire a scaldarlo almeno un po’.
Justin, intirizzito quanto lei, iniziava ad essere stanco, il freddo e la lunga camminata l’avevano fiaccato molto più della corsetta e ora gli occhioni verdi volevano solamente chiudersi per dormire e riposare.
< Forza tesoro, ci siamo quasi. Tieni duro > mormorò la riccia accarezzandogli dolcemente le orecchie triangolari.
Di fronte alla porta a vetri della scuola di ballo, Amy e Justin riflettevano se era il caso o meno di suonare il campanello e rivolgersi proprio a lui. Alla ragazza non andava molto, sapeva bene che chiedere un favore a lui equivaleva cadere in un altro buco, ma al momento non aveva altra scelta.
Con determinazione e rabbrividendo un po’, bussò alla porta di casa sperando che la pantera ci fosse. L’aria umida che soffiava non era per nulla di buon auspicio, una forte tempesta soffiava da est, esattamente in linea con il suo umore.
Justin appoggiò stancamente la fronte sulla gamba della madre, in cerca di un minimo sollievo. Era parecchio tardi per lui e il sonno, più del resto, iniziava a farsi sentire.  Dopo qualche minuto, i ricci stavano quasi per abbandonare l’idea, quando dei rumori provenienti dalla serratura attirarono la loro attenzione. Con il fiato sospeso e con grande stupore, la porta a vetri si aprì lentamente e da essa si protrasse la figura di Pidge, avvolto da uno strano e informe pigiama color giallo senape.
Un po’ per la sorpresa e un po’ per l’imbarazzo, la pantera nera si bloccò sull’uscio ad occhi sgranati e la bocca leggermente aperta. Davanti a se, Amy Rose e il suo figlioletto blu se ne stavano lì impalati, con uno sguardo misto tra il disperato e la stanchezza. Ravviandosi i capelli spettinati, l’adulto si riprese con un veloce battito di ciglia.
< C-che ci fate qui? > balbettò imbarazzato cercando di assumere un’aria indifferente e rilassata. Amy, involontariamente, lasciò cadere lo sguardo lungo gli indumenti color ocra con sguardo perplesso. Eh sì, si vedeva che mancava una donna nella sua vita.
< Mi serve un favore Pidge. Un grosso favore > snocciolò con preoccupazione la riccia, scambiando uno sguardo indeciso col figlioletto appresso.   

Aggiornato: 02/06/2019

Spazio autrice:
Come sempre non ho cambiato molto, è molto più lungo ma volevo prendermi spazio per ben descrivere la vicenda. Anche qui, se trovate errori o consigli, non esitate! Grazie e baci!
Martina

 

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Capitolo 5
*** incontri ***


~Amy
 La macchina prendeva ogni possibile buca,alla sesta sbattei la fronte contro il finestrino,che mi aiutò a svegliarmi meglio,mi massaggiai il punto colpito e guardai l’orario,erano le una … sospirai assonnata e mi girai per vedere le condizioni di Justin,era sdraiato sul sedile posteriore e dormiva beatamente.Pidge stava fumando una Malboro rossa,aveva uno sguardo concentrato e impassibile,non era affatto contento della mia richiesta,anzi era proprio arrabbiato,lo guardai con un sorriso e appoggiai una mano sul suo braccio coperto da una camicia in jeans blu scuro,si girò stupito per qualche secondo guardandomi intensamente per poi riguardare la strada dritta come un fuso,
< grazie sai? Ci hai salvato >gli dissi sperando che capisse quanto era importante per me quel gesto,lui biascicò un “tranquilla” appena percettibile ma sufficiente per me,le nuvole nere si erano ammucchiate le una sulle altre minacciando di sfogarsi a momenti.
Sospirai e appoggiai la testa al sedile di filo lavorato,un mucchio di pensieri mi ostruirono i nervi ottici e in poco mi addormentai,era un sonno vigile continuamente in bilico tra rimanere attiva e cadere in un sonno profondo,lottai contro la stanchezza per tentare di rimanere sveglia ma inutilmente mi addormentai in un sonno ristoratore piacevole.
< Hey sveglia!Siamo arrivati! >Mi svegliò scrollandomi un po’,aprì gli occhi di scatto rimbecillita non capendo il senso della frase,un cartello sull’autostrada indicava a grosse lettere bianche “MOBIUS”,tutto mi fu più chiaro immediatamente,e mi rizzai a sedere meglio sul sedile stropiciandomi gli occhi,rimasi a bocca aperta,la piccola cittadina era diventata una città gigantesca,sfociavano grattacieli infiniti,e tantissime nuove strutture tirannosauriche,
< wow >esclamai cercando di orientarmi meglio,ad un tratto una strada fiancheggiata da alberi ad alto fusto mi richiamarono dolci ricordi,e tutto fu più chiaro immediatamente,
< gira a destra >ordinai emozionata abbandonando la corsia lunghissima illuminata,mi ubbidì prontamente,impiegammo 10 minuti ad arrivare al parco attraverso stradicciole che ricordavo appena,si fermò davanti ad un cartello stradale
< qui c’è strada a senso unico e non puoi andare … smonto qua >lo avvertii guardandolo negli occhi per capire quello che provava,lui annuì e mi guardò serio
< buona fortuna allora >mormorò irritato,cercando di darsi un contegno,
< grazie infinite sai?Non sai quanto ti sia riconoscente per quello che hai fatto >risposi sincera abbracciandolo,cercando di farmi perdonare,non ricambiò l’abbraccio,era offeso e ferito nell’orgoglio,mi staccai sentendomi un verme,il mio gesto era stato molto egoista,sospirai e scesi dalla macchina mentre le prime goccie cominciavano a cadere copiose,
< oh merda ci mancava solo questa! >Digrignai aprendo la portiera secondaria e prendendo in braccio Justin,ringraziai nuovamente il mio insegnante che sgommò sulla strada illuminata per tornare indietro,la pioggia mi incollò i capelli alla faccia,era meglio muoversi.
Camminai a passo spedito verso la strada che portava a casa di Silver e Blaze,nella mia ex via,mi soffermai a guardare i nuovi cambiamenti:le case erano più moderne e lussuose,le strade erano asfaltate di recente interamente provviste di lampioni.Allungai il passo cercando di resistere,non avevo più forze e l’acqua gelata mi faceva tremare  e battere i denti,i vestiti erano fradici,cercai di proteggere alla meglio Justin,anche lui inzuppato d’acqua,si sarebbe preso sicuramente una polmonite.
Cominciai a correre e dopo poco arrivai completa di fiatone davanti all’uscio di casa di Silver,era gigantesca imbiancata di fresco,notai nel piccolo giardinetto una serie di piccoli scivoli,non avevo mai visto i figli dei miei più cari amici ero curiosa di sapere come si chiamavano e com’erano. Suonai al campanello e aspettai dieci minuti ma nessuno uscì,riprovai a suonare e aspettai ma nessun suono anticipava l’apertura dell’uscio,sopirai guardandomi attorno,non c’era anima viva e la pioggia cominciava a scendere più violentemente,il bambino era congelato e bagnato,un’ultima speranza mi spronò a correre nella strada più stretta,diedi fondo alle mie ultime energie e sfruttando la mia iper velocità superai 2 isolati in pochi secondi … una massa alta e rossa,squadrata perfettamente mi colpì allo stomaco,assalendo il cervello di ricordi,emozioni,profumi,voci; il muro era li,perfetto come lo ricordavo,due occhi verde evidenziatore magnetici mi tornarono alla memoria e assieme a loro lo stesso identico batticuore … era passato così tanto tempo …  il cancello di ferro battuto era lucido di pioggia,e emanava un odore metallico,l’acqua scrosciava sopra la maniglia rendendola lucida e fredda.
 Nonostante i miei dubbi sull’apertura provai ad abbassarla ugualmente,per miracolo con uno schiocco il cancello si aprì scivolando senza rumore sui cardini oliati dall’acqua, entrai senza indugi e lo richiusi il più velocemente possibile,il giardino era oscurato dal buio non riuscì a visualizzarlo,inoltre non ebbi nemmeno il tempo per osservarlo con calma,coprì la distanza porta-cancello in meno di mezzo secondo,raggiunsi l’entrata con il fiatone e senza forze,c’era freddisimo,per un attimo vidi tutto nero e non sentii più il collegamento con braccia e gambe per una decina di secondi,eravamo entrambi bagnati e inzuppati,con i vestiti che scrosciavano acqua.
Tremante e insicura,penso se suonare o no,tremo dalla fifa,non immaginavo così il mio incontro,ero curiosa di sapere cos’era diventato,le uniche cose che conoscevo erano 3 : era un ballerino famosissimo, presente in miriadi di video su you tube e una volta era apparso in tv, era pieno di big money, aveva innumerevoli fans ovunque che cercavano di avvicinarsi a lui ogni giorno,per poterlo vedere più “umano e terreno” ,non come una star innavicinabile. Sospirai indecisa,mentre Justin lavato da cima a fondo cominciava a rabbrividire al contatto con l’aria gelata ma alla vista delle sue guanciotte pallide premetti l’indice sul campanello senza indugio,aspettai spaventata ma anche abbastanza serenamente,continuando a ripetermi che avevo fatto bene e che se ero li era solo per Justin;dopo poco sentii passi trascinati,la serratura schioccò due volte e poi la porta si spalancò lentamente,
un riccio blu alto 1,88 mi si presentò di fronte,lo sguardo identico a come lo ricordavo tranne per il fatto che aveva il viso più affilato e un piercing sul labbro inferiore,due grandi occhi verdi invariati nel tempo,gli aculei sparati in aria in ciocche scomposte,sguardo assonnato,una t-shirt larghissima grigia e un paio di pantaloni sottili e larghissimi,neri,calze basse nere e il suo profumo di cardomomo e cipresso,ci guardammo per un tempo infinito,non oso immaginare cosa vide e cosa provò,sgranò gli occhi,sbiancò,e barcollò all’indietro incredulo,decisi di prendere parola prima che svenisse davanti a me,
< c-ciao >dissi stupidatamente senza forze per pensare a cosa dire,quel ciao fu miracoloso,azzerrò il tempo,le emozioni,le conversazioni e i fatti,era come cominciare d’accapo,tutti i miei “e se .. ?” e i miei film mentali furono resettati,
< Amy? >Esclamò in sovracuto molto turbato dall’inusuale incontro,
< si … scusami infinitamente se sono qua a quest’ora ma Silver non apriva e pioveva e lui si bagnava e non vorrei che si ammalasse e … >cominciai a raccontare a raffica per giustificare la mia presenza,scosse la testa per nulla dispiaciuto dall’orario,alla parola “lui” abbassò gli occhi a Justin e rimase colpito amaramente,
< t-tuo figlio? >Chiese indicandolo non staccandogli gli occhi sgranati di dosso,
< si!Si chiama Justin >lo annunciai rabbrividendo,lo notò e come risvegliandosi confuso si mise da parte per farmi entrare,
< e-entra pure,accomodatevi!Siete fradici,vado a prendere degli asciugamani e dei vestiti asciutti! >Scomparì con lo sguardo perso a cavallo tra presente e passato nel buio delle scale;sentì i passi leggeri sopra la mia testa,entrai e chiusi la porta mentre la luce si accendeva,mi guardai attorno,l’arredamento era cambiato,era più ordinato, elegante e lussuoso,sul tavolo scuro in cucina era presente un costoso pc bianco,acceso,dallo schermo grandissimo,con una mela argentata come marchio,la figura del ragazzo comparve sui gradini,imbracciava asciugamani colorati a volontà e un pacco di vestiti,appoggiò tutto sullo schienale del divano di pelle nera,
< ecco qua asciugatevi pure e cambiatevi vado di la a prepararvi qualcosa di caldo … preferisci te o caffè?Oh che scemo!Tu ami il te … >disse azzeccando in pieno più rivolto a se stesso che a noi,scomparendo in cucina
< grazie,sei molto gentile >risposi affamata,infreddolita e disidratata,avvolsi Justin in un  grande asciugamano azzurro,
< i vestiti sono larghi per entrambi,scusate non ho vestiti della vostra taglia,ma domani sistemerò tutto >esclamò realmente dispiaciuto dall’altra stanza,rivolgendosi a noi come se questi 5 anni non ci fossero mai stati,il cuore mi scoppiava
< tranquillizzati! Va benissimo così,sul serio! Sei stato anche troppo premuroso >risposi tentando di scacciare l’imbarazzo che c’era fra me e lui,cambiai velocemente il riccetto blu con gli abiti più piccoli che aveva trovato in casa Sonic,tentando di non svegliarlo,fortunatamente era stanco era perciò impossibile distoglierlo dal suo sonno profondo,lo appoggia sul divano e poi passai a me,mi asciugai rapidamente,i capelli si sollevarono leggermente,ero una straccio:fradicia,con i capelli stile nuvola,due occhiaie fotoniche,un mal di testa assurdo,il sonno che mi avrebbe volentieri preso con se.
Sospirai,sentivo ogni tanto qualche rumore di ceramica e di cucchiaini,mi cambiai ancor più velocemente e piegai i vestiti fradici in una pila ordinata,comparì il riccio dalla stanza vicina con un vassoio,due tazze,zucchero,una teiera in ceramica con intarsi in argento e un piatto pieno zeppo di biscotti,si sedette sul divano appoggiando il tutto sul tavolino di legno di fronte al divano,
< che ci fai qua? >Chiese con un sorriso turbato versando il liquido ambrato dentro alla mia tazza,
< vacanze estive … Blaze mi aveva contattato tre giorni fa e mi aveva offerto un posto da lei,così accettai e sono venuta >riassumo in fretta,
< solo che vi siete dimenticate di aggiornarvi sull’orario dei voli >concluse lui con un sorriso divertito inzuppando un biscotto dentro alla sua tazza bianca con i bordi rossi,
< voli? >Esclamai non capendo il nesso logico che legava il discorso con la sua affermazione,lui mi guardò sorpreso
< ovvio!Per essere qua a quest’ora devi aver preso l’aereo!bus e treni a quest’ora non fanno scalo qua >mi spiegò con calma sgranocchiando un biscotto già più rilassato ma ancora sorpreso ed incredulo,mi accorsi che la sua voce era più bassa di quella che ricordavo,l’adolescenza aveva dato i suoi frutti.
< an ok!Comunque no,niente volo … sono venuta qua in macchina >spiegai tagliando il discorso che stava per cominciare a sorvolare discorsi poco graditi,se ne accorse subito,fu il primo a iniziare un nuovo argomento,annuì e osservò per un po’ Justin
< quanti anni ha?5?6? >Azzardò sorseggiando il suo te,avevo lo stomaco aggrovigliato,ero stanchissima,tremavo dal freddo e avevo una paura folle di fare figuracce,
< 4 compiuti a marzo >risposi trattenendo uno sbadiglio,appoggiando la mia tazza sul tavolino,
< è di Jason giusto? >Disse secco osservandolo da un’altra inquadratura,annuii stupita,si ricordava del suo nome,
< posso dirti una cosa?Non offenderti,ma non ci assomiglia per niente a lui … ha i tuoi lineamenti ma non quelli del tuo compagno >disse onesto lanciandomi un’occhiata sincera,
< me l’hanno detto in molti sai? Ma non ci posso fare nulla … > risposi con un sorriso ironico,aprì la bocca per parlare ma la richiuse in un sorriso,sicuramente una battuta che non poteva permettersi nella situazione in cui eravamo,lo osservai con curiosità,
< quando ti sei fatto il piercing? >Gli chiesi per tagliare l’aria realmente interessata sistemandomi lo chignon sformato che avevo fatto da quella mattina,lo rendeva incredibilmente affascinante,ci pensò un attimo
< tre anni fa,balli ancora? >Chiese a sua volta curioso degli aggiornamenti sulla mia vita,alzandosi dirigendosi verso un comodino di legno scuro,si inginocchiò e tirò fuori una bottiglia di anima nera e due bicchierini,”oh bene … un altro che beve alcool come se fosse the “ pensai ironica accavallando le gambe,appoggiai la testa sulla testiera del morbido divano e socchiusi gli occhi,
< si ma mi ammazzeranno appena sapranno della mia vacanza >risposi lanciandogli un’occhiata,si risedette accanto a me ghignando divertito,riempiendomi il micro bicchiere e passandomelo.
Sorrisi guardando i suoi modi di fare:non erano cambiati,erano aggraziati, leggermente femminili e eleganti,lo presi solo per gentilezza,l’unica cosa che volevo era un letto e le luci spente,sorrise
< oh!Domani vieni con me  a salutare Dylan! Da quando sei … andata via,non fa altro di chiederci se abbiamo tue notizie o se sappiamo qualcosa >disse nascondendo abilmente le sue emozioni  attraverso un sorriso,
< Come sta?è da secoli che non so nulla di lui >Chiesi risvegliandomi di colpo,cambiando posizione
< tutto bene,arzillo come sempre,ultimamente è un po’ su di giri per un concorso ma per il resto va a gonfie vele e ha intenzioni di sposare Giselle entro la fine dell’anno >disse con un sorriso compiaciuto leggermente malizioso,buttando giù il liquore in un sorso,lo sorseggiai anch’io per buona educazione,mi bruciò la trachea e rilasciò allo stomaco un piacevole calore,
< wow … è un grande passo!Sono sorpresa dalla sua scelta >esposi cercando di immaginare Dylan con smoking all’altare,scossi la testa al solo pensiero,
< oh non puoi neanche immaginare quando me l’ha detto, ho rischiato un triplice infarto >confessò con un sorriso,sistemandosi meglio sul divano,era più rilassato e sembrava felice di scambiare quattro chiacchiere,
< ci credo .. certe cose dette da lui sono memorabili >risposi guardando l’orario su un grande orologio anch’esso  di legno appeso alla parete,
< esattamente >concluse traccannando un altro bicchiere tutto d’un fiato,non aveva la fede notai,ma poteva averla benissimo tolta per paparazzi ecc.
< e tu?Sei sposato? >Chiesi con noncuranza cercando di non sembrare troppo curiosa,sollevò e puntò gli occhi sui miei,erano così vivi e abbaglianti,silenziosi ma penetranti,ci pensò un po’
< no, … >buttò li abbassando gli occhi,non sembrava importargli,mi colpì la sua indifferenza,sembrava averci rinunciato.

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Capitolo 6
*** Tante sorprese ***


< e il tuo matrimonio come va? >Chiese con malizia rendendomi il colpo lanciato prima,lo incassai con un sorriso freddo,
< potrebbe andare meglio >risposi vaga tentando di non cadere nei dettagli,ma con sfortuna mi scappò uno sbadiglio all’ultimo,lui se ne accorse e guardò l’orario incuriosito,
< cristo!Sono le 4.30!E tu sei stanca morta e uguale Justin … dai alzati che ti porto in camera >disse sollevandosi in piedi,
< Sonic  grazie mille,sono in debito con te >lo avvisai mentre il mio fisico lo ringraziava per il riposino che aveva accennato,pigramente raccolsi le forze per prendere in braccio Justin,
< ma figurati … tranquilla lo porto io >mi precedette il riccio studiando per qualche secondo un metodo per sollevarlo senza svegliarlo,con mia grande sorpresa lo raccolse in modo delicato e attento,senza fatica e con gesto sciolto,lo invidiai ,era pieno di forza,io non riuscivo nemmeno a trascinarmi ultimamente,lo seguii fino al primo piano,era tutto identico a come ricordavo,stesso colore,forma e profumo,una marea di sensazioni e ricordi mi invasero,riconobbi la porta della sua camera,accuratamente chiusa.
Mi portò nella camera per gli ospiti in fondo al corridoio,quella che si affacciava direttamente al prato,la più grande a quel che ricordavo,aprì la porta ed entrò,la luce illuminò l’arredamento,lo seguii,tutto era in ordine e pulito,rimasi sorpresa dalle ottime condizioni della camera,adagiò con attenzione Justin sul morbido materasso e poi gli rimboccò le lenzuola verdi con cura,ci rimasi veramente di merda a quel gesto,così premuroso ed esperto!
< ecco qua,se hai bisogno sono nella camera di fronte alle … be’ … presumo ti ricordi >disse imbarazzato sistemandosi i capelli lunghi e magnifici,annuì mal trattenendo un sorriso,
< buonanotte allora … > mi salutò con un gesto della mano e uscì dalla camera,
< ah ultima cosa:che volete a colazione domani? >Chiese con meticolosità tamburellando le dita sullo stipite della porta,scrupoloso
< è indifferente Sonic … quello che mangi tu >risposi sciogliendo le numerose forcine che reggevano la crocchia di capelli, pronta per abbandonarmi al sonno profondo,lo sentì ridacchiare,
< d’accordo > disse convinto chiudendo la porta.
Quando aprì gli occhi un raggio di sole picchiava insistentemente sulle mie palpebre,tutto era buio nella camera,tranne per la sottile striscia di sole che entrava dal balcone mal chiuso,notai che mancava Justin alla mia destra,sospirai e una decina di ricordi legati alla sera precedente mi invase,il sonno mi aveva resa più lucida e ripensai agli avvenimenti.
Mi risdraiai stiracchiandomi e guardando in giro,era tutto sistemato nei minimi particolari,sembrava come nuova,era stata utilizzata pochissime volte,decisi di sollevarmi,e una volta in piedi aprì lentamente la porta,la luce del mattino entrava ovunque illuminando naturalmente l’ambiente,adoravo la luce di quella casa:era bianca e acceccante,trasmetteva meglio il senso di “mattina”.
La porta della camera di Sonic era semiaperta,non mi azzardai nemmeno a sbirciare,attratta da voci sommesse giù in salotto,scesi le scale silenziosamente,in punta di piedi,mentre le voci che confabulavano si facevano più marcate,entrai in cucina,Justin era seduto a capotavola a gambe incrociate sulla sedia con un piatto davanti pieno di pan cake coperti di nutella e fragole accompagnati da una gigantesca tazza di latte ripiena di cereali,mentre Sonic era in piedi che si versava il caffè dalla moka,notai che sul tavolo era presente il finimondo: frutta, pane, marmellata,nutella,croissant,succhi di frutta … rimasi sconvolta dalla quantità,
< … di solito mangio solo il latte con i cereali,la mamma invece beve solo il caffe perché … >
< buongiorno Justin >lo interruppi baciandolo sulle guanciotte morbide,scostandomi due lunghe ciocche di capelli dietro alla testa,
< mamma! >urlò saltandomi in braccio,spettinandomi maggiormente,mi accorsi che la botta di ieri si era trasformata in un cerchio nero sull’occhio molto marcato ed erano apparse grosse macchie grigie-bluastre sulle guancie,lo osservai scioccata e preoccupata,accarezzandogli i segni.
Sonic si girò e mi lanciò un’occhiata indagatrice,se n’era ben accorto dei segni,era impossibile non accorgersene,e conoscendolo si stava producendo il filmino mentale più tragico e doloroso in grado di accumunare tutti i fatti della giornata precedente,
< buongiorno >disse scostando gli occhi da me tentando di far finta di nulla,
< giorno > lo salutai normalmente,
< però … ti sei superato >gli feci notare guardando l’intero tavolo,abbozzò un sorriso
< be … mangia almeno … devi recuperare numerose colazioni a quel che ha raccontato Justin >disse con un occhiolino osservando divertito il mio bambino che si ingozzava di pane  e marmellata,non risposi  e mi sedetti affianco a lui guardando tutto quel ben di dio,misi in bocca un bignè alle fragole,la panna rosa si sciolse come burro,la pastasfoglia era morbida ed alastica,un mix perfetto.
Il mio stomaco rese grazie al signore,sollevai gli occhi e mi ritrovai quelli di Sonic su di me,indagatori e scrutatori,in una mano teneva una tazza piena di caffè,l’altra era appoggiata al lavabo,con un sorriso indecifrabile,
< però … che capelli lunghi … >disse sorseggiando il suo caffè,scivolando con lo sguardo lungo l’ondeggiatura finale degli aculei,annuii con un sorriso
< mangia qualcosa >lo incitai spostando il piatto di brioche davanti a lui,mi ascoltò di malavoglia ne afferrò una e gli regalò un profondo morso,
< io fra un’ora vado in palestra … ho avvisato Blaze e Silver del tuo arrivo,perciò stamattina la gatta verrà a trovarti >mi spiegò con un sorriso furbetto,controllando l’orologio,
< non vedo l’ora >esclamai sincera,pulendo con un tovagliolo la bocca sporca del pozzo senza fondo alla mia sinistra,sentii il peso dello sguardo del proprietario di casa,feci finta di nulla finchè non mi colse alla sprovvista con un’imprecazione,si avvicinò a me e mi sfiorò con un dito il collo,
< che ti sei fatta?Hai una macchia viola sul collo anche tu! >Esclamò scioccato osservando meglio,mi sentì avvampare e fui presa dal panico,era difficile da nascondere una chiazza che mi copriva più della metà della gola,in due secondi inventai miliardi di possibili scuse,mi spostai dalla sua visuale
< non è niente tranquillo >gli risposi tentando di cambiare argomento e distoglierlo da quella visuale,
< non è vero,avete gli stessi identici segni! A meno che non abbiate fatto un incidente non trovo altri collegamenti >mi fece notare lanciandomi un tubetto di crema,
< mettila,l’ho spalmata anche a Justin prima,è semi miracolosa,dovrebbero andarsene in un paio di giorni massimo >esclamò mettendo la sua tazza nel lavabo,
< grazie >mormorai flebile,sgamata
< figurati >disse serio.
Cercava di mostrarsi indifferente ma non gli riusciva affatto bene,lo sfogo di prima era una prova,si era già creato le sue teorie e le risposte alle sue domande,i suoi modi erano bruschi e veloci,il silenzio cadde,imbarazzante e invalicabile,Justin mi lanciava silenziose occhiate.
Solamente quando,una manciata di secondi dopo,Sonic salì in camera,il riccio azzurro al mio fianco si smutò,
< cosa devo dirgli quando mi chiede perché abbiamo le macchie ? >Mi chiese a bassissima voce per non farsi sentire,sospirai lisciandogli un aculeo,
< digli che ti sei fatto male a scuola,va bene? > Mormorai chinandomi su di lui,baciandogli la guanciotta morbida,annuì mesto,riprendendo a mangiare con tranquillità,finì il mio cappuccino e pulii la tavola dalle varie briciole e macchie di marmellata quando il campanello trillò. Mi avvicinai incuriosita alla porta,una telecamera accanto alla porta d’entrata mostrava l’esterno:una gatta alta,lilla con lunghi capelli raccolti in una coda vaporosa,aspettava con un sorriso radioso,una fitta al cuore mi riempii di adrenalina, spalancai la porta,i suoi occhi ambrati sgranarono,
< AMYYYY > 
< BLAZEEE >urlammo all’unisono stringendoci in un abbraccio spezza fiato,il suo profumo dolce,il suo calore,la sua voce,quanto mi era mancata,tre lacrime scesero dai miei occhi,ero così felice!Mi sentivo accolta e finalmente a casa,come dopo un lungo viaggio ritorni a casa nella “normalità” e questa normalità mi era così mancata!
Ci staccammo e ci guardammo negli occhi,era commossa anche lei,e ridendo e piangendo contemporaneamente, ci riabbracciammo,
< uuuh ma che bello! Vi siete ritrovate >idealizzò ironico un certo riccio blu scendendo le scale,armato di borsone tattico e sorriso malizioso,Blaze lo ignorò
< ma guarda che donna che sei diventata … mi sei mancata così tanto! >mormorò tra i singhiozzi con la voce modificata dall’emozione,
< e parli te?Sei così … cambiata! >Esclamai ammirandola,era semplicemente magnifica : bella, radiosa e felice,i suoi occhi caddero per un secondo al mio fianco,le lacrime si fermarono,si compose un attimo,e restò come paralizzata,mi voltai nella sua direzione:
Justin era in piedi impalato davanti alla porta della cucina,gli occhi grandi,verde magnetico incuriositi , un sorriso divertito sul faccino e i capelli blu oltremare sparati all’aria; mentre lo soppesava con lo sguardo,incredula, si materializzò di fianco  a lui il padrone di casa,che si sistemava il borsone sulla spalla e guardava la scenetta commovente del tutto estraneo,ci guardò,gli occhi verde magnetico che soppesavano l’intera vicenda,il mezzo sorriso compiaciuto adornato dall’anellino metallico e quei capelli blu oltremare che si sollevavano con forza,
Blaze rimase pietrificata a guardarli,con gli occhi sgranati e senza respiro,distolsi l’attenzione della gatta facendo le presentazioni,
< Justin ti presento zia Blaze,Blaze ti presento mio figlio Justin >dissi con orgoglio,sperando che spostasse la sua attenzione lontana dal “trova le differenze”,
< wow >mormorò scandalizzata,inginocchiandosi davanti al piccolo.
Lo guardò con attenzione  e dopo aver lanciato un’occhiata a Sonic che ammirava le presentazioni con strana silenziosa indifferenza,un mezzo sorriso sorpreso le incorniciò il viso,
< piacere Justin,quanti anni hai? >Gli chiese prendendolo per mano,
< quattro >rispose veloce con un sorriso simpatico,
< ma che bello!Hai la stessa età delle mie due figlie!Le conoscerai e diventerete amici,sono sicura che ti staranno simpatiche,sono dei maschiacci >sospirò per nulla dispiaciuta dall’affermazione appena detta,come risposta gli regalò un sorriso,per poi andare a sedersi sul divano a guardare i suoi cartoni preferiti.
< bene ragazze,io vado,tornerò verso mezzogiorno e qualcosa,fate quello che volete,ci vediamo più tardi >avvisò Sonic afferrando il ricco mazzo di chiavi sopra il comodino,facendoci un occhiolino uscendo dalla porta
,< an … arriverà il postino non so quando,firmate a mio nome se deve consegnare qualcosa,ciaoo >aggiunse ravviandosi gli aculei,chiudendo la porta  alle sue spalle.
Io e Blaze ci guardammo,le sue labbra erano coronate da malizia,mi prese a braccetto e mi portò in cucina,ci sedemmo sulle sedie,
< Quando hai intenzione di dirglielo? >Mi chiese incrociando le braccia e guardandomi incuriosita,
< cosa a chi? >Dissi stupita dalla sua domanda non riuscendo a trovare un nesso,
< quando hai intenzione di dire a Sonic che Justin è suo figlio? >Disse senza giri di parole cogliendomi alla sprovvista,sfarfallando gli occhi, mi sentii  gelare il sangue,i brividi di freddo e di terrore mi fecero rabbrividire, aprii la bocca per ribattere ma continuò subito
< e non venirmi a dire che non è vero,si vede lontano dodici miglia! Sono i-den-ti-ci! Stessi capelli,stessi occhi,stessi lineamenti, stesse labbra,stesso sorriso … lo capiranno tutti!L’unico che è cieco come una talpa è Sonic! Come ha fatto a non accorgersi del suo copione? >Esclamò lanciando un’occhiata al riccio drogato di peppa pig,pigramente stravaccato sul divano,
< oh! Lui non lo saprà infatti > Tagliai il discorso raccogliendomi i capelli in uno chignon allentato,
< eh? E terrai Sonic all’oscuro di tutto? Gli neghi il diritto di essere padre? > Esclamò sorpresa della mia scelta,pronta a urlarmi dietro,
< Blaze! È da 4 anni che non mi vede, non sapeva che avevo un figlio! Non posso presentarmi così e dirgli “ oh ciao, sai che 4 anni fa ho partorito il tuo bambino? “ >la gattina scoppiò in una risata contagiosa,
< penso che lo renderesti l’uomo più felice di questa terra, lo sai che ama i bambini, e averne uno suo è sempre stato il suo più grande sogno >confessò con un sorriso complice,scossi la testa,
< è difficile Blaze … dopo mi chiederebbe il perché non gliel’ho detto subito ecc. ecc.  >gli risposi semplicemente, non avevo voglia di parlarne, era così complicato,
< d’accordo, d’accordo … ma devi dirglielo,è un diritto suo e di Justin … preferisci che cresca convinto che Jason sia suo padre? >ricattò furbamente,tamburellando le unghie smaltate di bianco sul tavolo di legno scuro,scossi nuovamente la testa,
< appunto perciò … >Lasciò cadere la frase,
< che ti sei fatta al collo? >Mi chiese interessata guardando schifata la macchia violacea,sbuffai,
< è stato lui > dissi a bassa voce nascondendo il peggio con la larga t-shirt,vergognandomi a morte,
< Jason?E perché l’ha fatto? >Esclamò meravigliata e dispiaciuta,
< non ha tollerato l’idea di venire qui in vacanza >risposi asciutta adagiandomi sul tavolo freddo e liscio,
< oddio Amy … mi dispiace!Ti sei messa qualcosa? >Chiese preoccupata osservandomi meglio,
< si si tranquilla … ora parlami di te,raccontami tutto da quando me ne sono andata! >Esclamai curiosa  e avida di capire fatti e avvenimenti,scoppiò a ridere innamorata,riprese fiato e cominciò a raccontare con tranquillità
< due mesi dopo che te ne sei andata ho scoperto di essere incinta,Silver era fuori di se per la gioia,nel frattempo quando io l’ ho scoperto , Rouge ha sfornato i suoi gemelli e con il passare di mesi quasi tutti si sono accomodati,Cosmo ha il suo bambino di tre anni e Wave una femmina di 5 … e poi ci sono le ex troiette che anno concluso i loro sogni da modelle quando hanno partorito:Sally ha tre bambini di 4,3 e 1 anno e le sue schiavette sono tutte prese dai loro figli > concluse con un sorriso vittorioso,sorrisi,quelle che dovevano fare il giro del mondo,sposarsi a 90 anni,erano state imbrigliate più o meno involontariamente da quelle gravidanze non programmate,certo,nemmeno la mia era stata programmata ma mi aveva regalato così tanta gioia fin’ora!
< e … Sonic? >Chiesi incuriosita tentando di mostrarmi disinteressata, investigando sul suo passato,
< uhh Sonic … ha avuto un attimo di perdizione da quando te ne sei andata … ha saltato per  qualche mese ballo,si è fatto il piercing,ha aggiunto qualche tatuaggio,si è dato per un breve periodo alle erbe … ma sei mesi dopo aver sonoramente discusso con Dylan,ha rimesso la testa apposto … più o meno … cambiava ragazza ogni settimana,una più bella dell’altra … l’ultima l’ha mollata due settimane fa e ora,a quel che ha raccontato Silver,è arreso e depresso … >riassumè con disinvoltura,nei suoi occhi si leggeva preoccupazione, annuì e lasciai morire il discorso,mi aveva dato parecchio materiale su cui riflettere,
< e le tue piccole?Non le ho mai viste e sono curiosa di conoscerle! >Dissi smielata,dovevano essere delle pesti se avevano preso dal suo compagno,i suoi occhi diventarono cuoriformi,
< hanno 5 e 4 anni,Beyoncè la prima e Rihanna la seconda >disse con un sorriso orgoglioso,
< nomi assai conosciuti!Silver era contrario? >Chiesi trattenendo risate,
< no anzi ha spinto più lui che io,stasera le conoscerai >ammise con un sorriso,mi sollevai stupita dal tavolo
< stasera? >Esclamai incredula
< ovvio!Devi rivedere tutti!Ora sei riposata e sei in grado di sostenere la situazione >disse semplicemente facendo un’occhiolino malizioso,
< non vedo l’ora >ammisi accavallando le gambe,un tantino preoccupata,ripetendomi di non far avvicinare troppo Justin a Sonic,
< vuoi trasferirti a casa mia? >Domandò all’improvviso,scossi la testa
< a essere sincera preferisco restare qui,in questo modo Justin può conoscere meglio Sonic >esposi sospirando per l’abnorme problema,annuì vaga
< capisco … se ti trovassi in difficoltà sappi che ho posto a casa comunque >continuò alzandosi in piedi puntando alla scatola dei biscotti dimenticata sulla credenza,la prese e cominciò a sfilare biscotti per divorarseli con ingordigia,
< grazie infinite, Blaze … stasera ci serviranno dei vestiti >le dissi ricordandomi delle enormi tute che avevamo addosso,mi guardò e scoppiò a ridere,
< hahahaha perché non vieni così invece? >E altre risate la fecero atterrare sulla sedia abbandonata,roteai gli occhi
< simpatia portala via >risposi sarcastica osservando i 50 risvoltini che avevo fatto ai pantaloni,troppo lunghi,suonarono al campanello,invitai Blaze al contegno e aprii la porta,un postino magro e ansimante mi porse un foglio dove firmare,
< ci sono un paio di scatoloni fuori,glieli porto dentro? >Mi chiese asciugandosi il sudore della fronte con la manica della giacca ,
< oh si, grazie >dissi scribacchiando “Sonic the hedgehog” sulla carta sgualcita,annuì e portò in salotto 3 grossi scatoloni,e altri tre più piccoli completamente avvolti da metri e metri di nastro adesivo,sorvegliato dalla gattona lilla.
Ringraziai e chiusi la porta,< uuuuuh … Sonic ha fatto shopping! >

spazio autrice:scusate l'enorme ritardo:è arrivato oggi il pc!ciao!baci!

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Capitolo 7
*** Ritrovi ***


Esclamò la mia migliore amica davanti al primo scatolone scoperchiato, aiutai Justin a guardare dentro visto che non arrivava al bordo,lo imitai incuriosita,c’era una grossa scatola rosa antico con la scritta “Pinko” in nero a caratteri eleganti,  non riuscii a trattenere un sorriso stupito ,
< e gli acquisti non sono per lui!Avanti apri!> Mi sorrise maliziosa,più curiosa di me,saltellando come una bambina di due anni davanti al regalo di natale
< oddio Blaze >esclamai entusiasta scoperchiando incuriosita la scatola gonfia di carta per alleviare i vari spintoni che poteva prendere durante i viaggi,un tessuto a sfondo nero con fantasie floreali di varie tonalità di viola e lilla mi affascinò,la stesi all’aria,era una gonna lunga a vita alta,liscia,e sotto alla gonna era presente un maglioncino di cotone leggerissimo,corto,che lasciava scoperta la pancia,
< io amo Sonic >mormorò Blaze affascinata dal completo che aveva scelto,
< wow … è magnifico >mormorai accarezzando il tessuto,la gatta con velocità felina mi rubò i vestiti dalle mani,li piegò con cura e li ripose nella loro scatola,
< avanti cara ne hai come minimo altri 10!Forza! >Incitò porgendomi le altre scatole.
Aprii la seconda non facendomelo ripetere altre due volte, uno sbrillucicchio mi stregò,svolsi il capo,era un vestito nero,a tubino,con due aperture sulla schiena,lo scollo a barchetta era semi circondata da una fantasia floreale fatta interamente di swarosky, restai senza parole,e chi metteva un vestito del genere?Guardai Blaze con le pupille piene di quel vestito,
< però … ha bei gusti il tuo ex >disse provandemelo addosso,
< ed è anche bello corto! >Continuò lei con un sorriso complice,sbuffai sia per l’apprezzamento che aveva dato a Sonic sia perché usava la combinazione “il tuo ex”. Justin guardò sorpreso,
< wow!Ma è bellissimo! >Esclamò attaccandosi alla mia gamba,
< posso aprire gli altri pacchi? >Mi chiese con gli occhi da cucciolo,come dirgli di no?
< certo!Apri pure quelli che vuoi >accordai baciandolo sulla guancia,goffamente si diresse verso il pacco più grande,e dopo vari tentativi di svolgere il nastro adesivo con cura,strappò tutto e scoperchiò lo scatolone,numerose scatole più piccole erano accatastate una sopra le altre,erano identiche alle altre tranne per la scritta e per il colore.
Si tuffò all’interno e cominciò ad estrarre tutte le confezioni ben impilate,aprii la prima con foga e curiosità:una fantasia a quadretti blu e azzurro lo accolse,erano dei pantaloncini che gli arrivavano al ginocchio,accompagnati dalla cannottierina bianca con dei disegni azzurri,guardai l’etichetta,erano della sua taglia,come aveva fatto ad azzecccare?
Scartammo scatole per tutta la mattina,trovai un armadio intero di pantaloncini di tutte le misure,intimo,t-shirt,costumi e cannottiere di ogni colore e fantasia,scarpe,infradito,sandali perfettamente della sua misura ,rimasi completamente basita e sconvolta,sia per la gentilezza,sia per questo enorme impegno che si era preso. Blaze intanto continuava a scartare i miei pacchi e lanciava gridolini meravigliati ad ogni confezione aperta,sembrava impossesata!
< Amy! Puoi concentrarti un’attimo a guardare queste meraviglie? >Mi supplicò accatastando tutti i capi sulla poltrona li affianco,mi sentivo una merda vagante,ero debitrice di quel riccio ora e la situazione non mi faceva saltare di gioia,mi voltai verso Blaze che continuava  a mostrarmi abiti stupendi,gonne a tubino,a palloncino,maglioncini,t-shirt,cannottiere molto azzardate,short in diversi tessuti,fantasie e tagli,maglie corte,sandali,tacchi,tute eleganti,sportive e …
intimo … quella parte mi fece arrosire al solo pensiero che l’aveva scelto Sonic, eppure non c’erano brutte sorprese,a parte per il fatto che c’erano una marea di reggiseni a balconcino coperti di pizzo o semi trasparenti.
Piegai tutto con cura aiutata da Blaze,che continuava a ripetere quanto fortunata ero per tutti quei bellissimi abiti. Io non mi sentivo benissimo,non volevo che Sonic si accollasse tutte le spese e soprattutto tutti questi abiti!i talloncini del prezzo erano assenti,ma più o meno sapevo i prezzi e se mi fossi impegnata e avessi guardato su internet sarei riuscita a calcolare il prezzo di tutto.
Ci cambiammo subito,indossai un paio di short di jeans a vita alta chiari,una t-shirt a righe nere orizzontali,le adidas superstar a righe nere e un paio di orecchini pendenti color oro,semplicissimi. Il mio piccolo indossò un paio di pantaloncini verde militare,con una t-shirt nera con un disegno sul davanti,
< Amy te sempre gnocca sai?E tu sei un fighetto stratosferico! >Esclamò baciandosi Justin con foga sulle guancie,schioccando le labbra,per risposta gli si incollò al collo,
< usciamo un po’? Potremmo andare a fare un giretto al parco,e poi vado a prendere il e le piccole > esclamò felice sistemandosi i capelli,annuii,
< volentieri!Un po’ d’estate non fa male a nessuno >risposi prendendo il cellulare e aprendo la porta,uscimmo al sole caldo,chiusi la porta e cominciammo a camminare verso il parchetto della città,era così nostalgico!Ricordavo perfettamente ogni singola via e casa,sembrava tutto uguale ma alcuni dettagli minuscoli  erano presenti,qualche pianta tagliata,qualche aggiunta al giardino,nuovi lampioni,qualche rotonda nuova,ma poi tutto era uguale, o almeno in quella zona;sciami di ricordi mi invasero i pensieri mentre passavamo sotto i frondosi alberi … era tutto così familiare e tranquillizante.
Arrivammo davanti all’asilo,un mucchio di mamme erano in attesa di prendere i loro figli l’ultimo giorno di scuola,Blaze ne salutò un paio e controllò il quadrante dell’orologio.
Erano tutte tirate e molto giovani,avevano all’incirca la mia età,conoscevo qualcuna,quando il mio sguardo cadde su dei corti capelli color castagna,due occhi azzurri stanchi si sollevarono dallo smartphone,tettone e vita sottile erano le caratteristiche principali di Sally Arcon.
La guardai,era munita di borsa a tracolla molto costosa,passegino con figlioletto brutto come il padre agganciato,short inguinali e cannottiera aderente. Alla sua destra cerano Julie-su e la coniglia ancora biondo platino di cui non ricordo il nome,arricchite di figli come tutte.
Mi voltai tenendo stretta la mano di Justin per evitare pericolose fughe,gli sistemai gli aculei con le dita visto che si erano sparpagliati con il vento. Due minuti dopo un drinn acuto fece sciamare decine di bambini fuori dalle aule,Justin guardò incuriosito le decine di ragazzini della sua età,quando di corsa una gattina pezzata di argento si incollò al collo della gatta seguita dalla sorella: una riccia argentata con la testa piena di treccine sottili,
< ciao amori miei!Come state? > Chiese baciandole e stringendole a se, sistemandogli la t-shirt viola di una e quella color rosa pesca dell’altra,
< abbiamo fatto un disegno per te! >Esclamarono porgendogli due fogli piegati velocemente in 4,Blaze li spiegò e ammirò le casette gialle con il tetto rosso con gli alberi di fianco  e il fumo che usciva dai comignoli,
< sono bellissimi grazie piccole … ma ora dovete conoscere qualcuno … >mormorò sospingendole verso di noi,le mie nipoti mi guardarono con occhi sgranati e un sorriso suile labbra,
< lei è zia Amy mentre lui è Justin,Amy,Justin loro sono Beyoncè e Rihanna >presentò velocemente,mi inginocchiai per vederle meglio … erano incantevoli:grandi occhi color nocciola e caramello,capelli ingestibili e tanta curiosità,
< ciao zia! >Esclamarono in coro scrutandomi interessate
< ciao piccole mie … finalmente posso fare la vostra conoscenza! >Dissi baciandole sulle guanciotte morbide,
< non ti abbiamo mai vista … vivi qua? >Mi chiese Beyoncè giocando con un aculeo davanti al mio viso,
< no vivo molto lontano da qua >risposi sollevandomi in piedi
,< ciao Justin >Dissero scrutandolo con attenzione,
< ciao >rispose stranamente imbarazzato
< quanti anni hai? >Chiese Rihanna con voce sottile,e da li iniziarono lunghe conversazioni e giochi,ero sollevata,almeno aveva già qualche amica con cui giocare!
< Bene … noi ora andiamo a prendere Silver … venite con noi? >Chiese la gatta mentre passeggiavamo sul nuovo marciapiede che costeggiava l’intera città,
< volentieri, è da secoli che non vedo Dylan > dissi sincera con il cuore che scoppiava per la troppa adrenalina,
< peccato che manchino i ragazzi oggi .. ci sarà Silver e Sonic … poi altri che si sono uniti dopo e che lavorano più seriamente >sospirò scocciata richiamando Rihanna che si stava avventurando sopra un muretto troppo alto per lei,
< oh non è un grosso problema … gli altri ballano solo quando hanno voglia o si dedicano ancora ai concorsi? >Chiesi per informarmi
< ballano ma non sono al centro della scena come i due ricci … loro hanno voluto fare il salto di qualità … ora dimmi se esiste un ballerino che non conosce Sonic e Silver … I due testimonial di Calvin Klein da tre mesi oltretutto >sbuffò imbronciata superando il supermercato che ricordavo benissimo,non mi stupii molto dell’affermazione,avevano un fisico da far invidia oltre all’innaturale fascino che possedevano
< sbaglio o non ti piace la cosa? >Chiesi richiamando Justin più avanti di noi di 20 metri,mancava solo perderlo a Mobius …
< per niente … odio doverlo condividere … se ti faccio vedere il calendario che hanno fatto … >borbottò aggrottando la fronte infastidita entrando nel cortile lastricato della solita ghiaia,le bambine seguite a a ruota da Justin entrarono di corsa all’interno dell’edificio facendo scampanellare la campanella,il cuore mi sobbalzava in petto mentre sciami di ricordi e sensazioni mi invasero,spinsi la porta facendo nuovamente tintinnare la vecchia campanella ed entrai.
L’odore della gomma e del profuma ambienti alla vaniglia mi entrò nelle narici,rimasi eletrizzata e una gioia incontenibile mi sorprese,i tre bambini erano appoggiati allo stipite della porta d’entrata e ammiravano la coreografia in atto,la musica,una canzone mai sentita,esplodeva attraverso le casse,infondendo energia anche ai muri da quanto alto era il volume,
< papààààà >urlarono le due piccole all’unisono correndo in sala in cerca del riccio argentato,la musica si spense mentre Silver cominciò a soffocarle di baci,entrammo anche noi,l’ambiente era uguale a come ricordavo,il pavimento di gomma,i vetri sempre pulitissimi,gli specchi senza aloni …
< buongiorno >salutai con un sorriso cercando Dylan con lo sguardo,sospingendo un Justin incuriosito all’interno della palestra,il riccio marroncino dai lunghi aculei e dai profondi occhi grigi sollevò la testa dalla sua agenda e mi osservò immobile per due secondi,forse non mi riconobbe subito,ma nel giro di 5 secondi i tratti del viso si rilassarono e spalancò gli occhi alzandosi in piedi,
< A-Amy! >Mormorò sconcertato avvicinandosi e stringendomi in un’affettuoso abbraccio che mi slogò una spalla,ricambiai,mentre la mia testa mi ripeteva “ sei a casa “  e il cuore rischiava di staccarsi dalle arterie,era come ricordavo,a parte per qualche ruga in più e il profumo di tabacco più forte di quello che ricordavo,
< quanto mi sei mancata!Ma guarda che donna che ne è saltata fuori! Dove sei stata?Balli ancora?Oh la mia piccola fragola > Cominciò a raffica riabbracciandomi beatamente felice,
< oh Dylan!Mi sei mancato tanto anche tu! >Formulai tra un abbraccio e un altro,mi staccai e gli sorrisi,
< devi conoscere una persona > lo informai allungando la mano verso Justin che si afferrò saldamente, glielo misi di fronte e iniziai le presentazioni
< Dylan … lui è mio figlio Justin … Justin lui è lo zio Dylan >dissi scandendo bene le parole trovando subito l’appoggio di Dylan a farsi chiamare zio,
< piacere Justin >mormorò l’insegnante osservandolo bene per trovare le somiglianze con me,l’unica cosa che fece fu lanciare una rapidissima e breve occhiata a Sonic,il quale guardava con un sorriso spento tutta la scena, per poi guardarmi  con sguardo interrogatorio,feci finta di nulla e ribattei subito,
< e tu come stai?E Ginevra? >Chiesi interessata per cambiare subito discorso,
< oh tutto bene ora non c’è, è uscita ma alle due dovresti trovarla >rispose accarezzando gli aculei di Justin e osservandolo attentamente rapito, il quale voleva andare a giocare con Rihanna e Beyoncè che si stavano arampicando su un gigantesco anello appeso al soffitto,
< oh  non voglio disturbarla … e la tua scuola come va? >Chiesi con un sorriso guardando attorno i nuovi ragazzi quasi tutti coetanei fra loro,
< bene,quest’anno abbiamo una ventina di bambine nuove che fanno classico,e un’altra decina che fanno moderno, sono molto soddisfatto … e la tua carriera? > Chiese molto interessato con gli occhi quasi lucidi,sorrisi
< Non ho mai smesso di danzare … vado in una accademia nel mio paese .. piccola ma di buon livello … mi avevano proposto un’audizione per “Odette” ma poi ho rifiutato per motivi organizzativi > conclusi velocemente per non annoiarlo,sgranò gli occhi sorpreso,invaso da una forte soddisfazione,
< oh Amy!Ne hai fatta di strada!Complimenti! >Concluse stringendomi in un altro abbraccio caloroso e parzialmente soffocante.
Non feci in tempo a ricambiare perché un altro paio di braccia mi strapparono da quelle di Dylan,affondai su lunghi aculei bianchi dai riflessi argentati mentre un pensiero invadente e ben familiare si fuse assieme alla mia persona scambiandomi un ‘energia felice e traboccante di vita,circondandomi mentalmente e amalgamandosi con le mie emozioni … era ben felice di ritrovarmi,la gioia era al limite,non usò tante parole,a parte un sincero “bentornata” incorniciata da un sorriso splendente.
Anche Silver non era molto cambiato,un po’ più alto,viso più affilato e meno bambino,voce più profonda,ma uguali occhi color caramello,maliziosi,svegli e sempre circondato da un aurea di fascino;
”mamma mia! I maschi invecchiando non fanno altro che diventare più fighi” pensai appena mi staccai dal suo caloroso abbraccio,
< finalmente sei tornata confettino  fragolino! Si sentiva la mancanza di una voce soprana petulante  e troppo parlante > prese in giro il riccio argento scrutandomi indagatore,
< se se, ammettilo che ti mancava la mia presenza > rimbeccai incrociando le braccia e lanciandogli occhiatacce,
< a me no,a qualcun altro la mancanza l’ha quasi ucciso > mormorò a bassa voce per non farsi sentire, con un sorriso amaro sulle labbra  lanciando un’occhiata al riccio blu appoggiato alla sbarra con sguardo perso.

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Capitolo 8
*** Ritorno al passato ***


AMY

Uscimmo dalla sala di ballo un’ora dopo, tutti i nuovi ballerini si erano educatamente presentati anche se io, con minor educazione, ricordavo a malapena due dei 6 ragazzi che si erano nominati.
Il sole batteva fortissimo, rendendo l ‘aria così rovente da non poterla quasi respirare.
I bambini fregandosene altamente dell’afa correvano attorno all‘ unico albero del cortile, sollevando nuvole polverose.
< Bene, il tuo ritorno merita di essere festeggiato Amy! Propongo di instaurare una bella serata alcolica in compagnia, così potrai vedere ogni membro della compagnia e conoscere i figli che ogni coppia ha scodellato > disse Silver raggiante con quella parlantina da camionista, avvolgendo la vita sottile di Blaze con un braccio. La gatta sorrise,
< l ‘unica bevanda ammessa sarà il succo di frutta tesoro > disse sicura di se controllando i bambini che stavano scavando alle radici dell’albero in cerca di vermi.
Silver sospirò, roteando gli occhi
< bene, ci troviamo allora al solito bar, alla solita ora … avverto io gli altri > si incaricò il riccio con un sorriso malizioso.
< Ottimo, a stasera allora! >Esclamò il riccio blu.

Dopo i saluti convenevoli e dopo il recupero delle pesti, procedemmo verso la nostra strada.
Interruppi il silenzio dopo poco
< è stato molto gentile da parte tua procurarci vestiti eccetera, ma come ti ho già detto non voglio assolutamente creare più disturbo di quello che sto già facendo > dissi senza mezzi termini osservandolo, mi lanciò un’occhiata meravigliata per poi voltarsi, sospirare e fare un sorrisino divertito
< saresti già fuori casa se creassi disturbo Amy > disse seriamente, osservandomi per cogliere la mia reazione, gli sorrisi grata per quanto aveva detto.
< Cosa vuoi per pranzo? Cucino qualcosa io, se ti fidi > mi chiede con un sorriso orgoglioso,
< so già per certo che cucineresti chili dog, perciò rifiuto l’offerta e … >
< No mamma, lascia che cucini i chili dog, sono buonissimi! > Mi interruppe Justin allungando le braccia per essere preso in braccio, sbuffai divertita e lo accontentai.
< No Justin, li hai mangiati l’altro ieri, non puoi ingozzarti di chili dog ogni giorno! >risposi tentando di mantenere un tono autoritario.
Intervenne Sonic, rovinando completamente la mia lezione di vita
< Eddai Amy, i chili dog fanno bene alla salute, uno o due ogni tanto non uccide nessuno > rispose incrociando le braccia prendendo le difese di Justin.
Rimasi allibita dal suo comportamento,
< dovresti dare il buon esempio Sonic, perché non vi riempite la pancia di insalata e carote? > Propongo con speranza conoscendo già le risposte.
< Bleah, l’insalata fa schifo > risponde Justin disgustato,
< e le carote sono anche peggio > continua Sonic sollevando un sopracciglio.
< Va bene, vada per i chili dog, ma ne mangerete al massimo due a testa e inoltre mangerete anche la verdura > ricatto spostando Justin da un braccio all’altro. Entrambi i ricci annuiscono vittoriosi già con l’acquolina in bocca.



Arrivati a casa, Sonic va a lavarsi mentre io e Justin ci spostiamo in cucina e cominciamo a preparare la tavola. E mentre il padrone di casa non c’è, controllo lo stato degli ematomi, nascosti sapientemente da numerosi strati di fondotinta.
Le macchie erano ancora presenti anche se la crema le aveva ridotte, sospirai preoccupata
< ti fanno male tesoro? > gli chiesi con apprensione, non sopportavo vedere quelle chiazze sul mio piccolo, mi facevano sentire estremamente debole e incapace di proteggerlo.
< No, stanno andando via > Mi rispose con un sorriso enorme adorabile
< Bene, l’importante è che non ti facciano male > conclusi schioccandogli un bacio sulle guanciotte morbide.
Cominciai a cucinare mentre il mio piccolo, in qualche modo, apparecchiò una parvenza di tavola.
Un delizioso profumo si sprigionò dai panini caldi e come per magia si materializzarono al mio fianco i due ricci, entrambi con la bava alla bocca.
< Oh mio dio, il paradiso esiste > esclamò Sonic letteralmente fuori di testa, Justin annuì prendendo posto a tavola. Devo ammetterlo, avevano un aspetto delizioso ed erano buonissimi.
I due ricci cominciarono ad ingozzarsi come se non ci fosse un domani, sporcandosi entrambi come maiali.
< Sono proprio come li ricordavo, anzi sono anche meglio! Sei una cuoca eccezionale > Si complimentò Sonic con un sorriso, gli sorrisi a mia volta
< grazie, a che ora ci troviamo stasera con gli altri? > chiesi pulendo la bocca alla peste seduto al mio fianco,
< alle 9 presumo > rispose osservando divertito Justin, che si dibatteva per non farsi pulire e poter così continuare a mangiare.
< Ci saranno anche Rihanna e Beyoncè? > chiese ad un tratto il mio piccolo arrendendosi al tovagliolo,
< certo che sì e poi stasera ci sarà un enorme parco giochi pieno di giostrine > risponde Sonic tranquillizzandolo con un sorriso.


Passai il pomeriggio a sistemare i regali ricevuti alla mattina; grazie a Dio la camera era dotata di cabina armadio, ma nonostante le dimensioni ciclopiche, con i vestiti miei e quelli di Justin la riempimmo per buona metà.
Verso le due Justin si addormentò sul divano, stanchissimo a causa delle giornate intense appena trascorse. Scendendo al piano terra per prendere le ultime scatole, sgamai Sonic appoggiato allo schienale del divano che osservava pensieroso Justin dormire, mi scappò un sorriso e ritornai su per lasciarli soli.
Dopotutto dovevano legare e poi a Sonic avrebbe fatto piacere occuparsi del piccolo.
< Quanto dorme di solito? >Mi chiese pensieroso il riccio blu raggiungendomi al secondo piano, gli lancio un’occhiata e noto un velo di preoccupazione,
< oh un’oretta solitamente > gli risposi appendendo un paio di canotte all’armadio.
< Mmmh … sono le 3 ora > mi fa notare serio grattandosi una tempia
< mmmh … e con ciò? > approfondisco interessata dalla sua domanda
< non si è ancora svegliato > risponde con tono ovvio e un tantino preoccupato.
< Probabilmente è stanco … è stata un giornata parecchio snervante ieri e deve riprendersi del tutto. Comunque se per le mezza non si svegliasse da solo allora c’è da svegliarlo, altrimenti stasera sarà iperattivo > gli rispondo con calma per tranquillizzarlo, lui annuisce e sparisce in una scia blu.
Concluso il mio lavoro scendo e trovo i due ricci seduti sul divano che stanno discutendo animatosamente su cosa mangiano di solito a merenda, o meglio, Justin spiega a Sonic che razza di merende gli preparo.
Il piccolo è spensierato e a suo agio nel raccontare quanto gli piaccia il frappè alle fragole, accompagnando i discorsi con gesti che dovrebbero, in teoria, dimostrare quanto sono alte le fette di torta che si mangia, in pratica, sembra che le mie torte siano grandi due metri e mezzo da terra e che la tazza che usa per bere il succo sia una piscina olimpionica.
Il riccio blu adulto ha un sorriso raggiante mentre ascolta affascinato le descrizioni fantasiose di suo figlio. Fu una visione celestiale per me, il mio piccolo sereno e Sonic felice di ciò, cosa volevo di più dalla vita?



SONIC

Finito di cenare, mamma e figlio salirono in camera per prepararsi.
Mi sembrava di galleggiare in una bolla di sapone, tanto bella quanto fragile. Era stato un autentico piacere trovarmi Amy davanti alla porta di casa ed era stata anche una mazzata nei denti vedere il figlio suo e di Jason tra le sue braccia. Non nel senso che mi dispiacesse il fatto che avesse un figlio, il dispiacere nasceva dal fatto che il figlio era di Jason.
Forse il dolore sarebbe stato più lieve se il padre fosse stato una qualsiasi altra persona, ma ripensandoci più tardi, non sarebbe cambiato niente. Tuttavia la cosa che mi sollevava parecchio era la totale mancanza di somiglianza con Jason, o almeno, per ora il bambino assomigliava alla madre, ma nemmeno così tanto. La sua pelle era di un blu elettrico luminoso, gli occhi erano due fanali verde evidenziatore ed era molto, molto sveglio e ben educato.
Ero entusiasta della sua presenza in casa mia, adoravo i bambini, ma avere in casa quello di Amy mi rendeva parecchio orgoglioso. Lei era completamente calata nel ruolo di madre, puro amore e orgoglio si riversava dai suoi occhi quando prendeva in braccio il piccolo. Attenta e premurosa, lui era diventato il suo unico scopo nella vita.
Non sapevo come approcciarmi con lei, da una parte desideravo con tutto me stesso recuperare il rapporto che c’era stato tra noi, dall’altra ero terrorizzato dal fatto che tra me e lei c’era un bambino di 4 anni che necessitava del suo vero papà.
Sapevo benissimo che Jason non gliene fregava un cavolo di suo figlio ma per Justin, che vedeva in lui la figura patriarcale, era molto importante e non volevo assolutamente intaccare (o peggio, rovinare) i rapporti tra loro. Nonostante il breve tempo passato con lui, un profondo ed inaspettato affetto mi legava a lui e già sapevo che se avesse avuto bisogno del mio aiuto, per lui avrei fatto di tutto.


Sistemai la tavola mentre un’ondata di pensieri mi frullavano nella testa, quando sentii un leggero scalpiccio sulle scale, mi voltai e mi trovai la riccia rosa in un elegante vestito color indaco di seta con in braccio il suo marmocchio in un completino nero.
< Hai buon gusto, riccio > commenta lei facendo un giro su stessa, ammirando il tessuto liscio e lucido del vestito,
< ti ringrazio Amy, sei favolosa > gli dico sincero osservandola per l’ultima volta, arrossì visibilmente imbarazzata.
< E tu sembri proprio un baronetto > mi rivolgo al piccolo blu rubandoglielo dalle braccia, mi fa un sorriso estasiato chiedendomi cosa sia un baronetto, accomodandosi sulle mia braccia.
< E’ molto distante da qui? >Chiede la riccia seguendoci in garage,
< 10 minuti, vedrai, ti piacerà parecchio > rispondo sicuro giocherellando con le chiavi della macchina.
Accendo le luci del garage e apro il portone; come sospettavo entrambi gli ospiti restano di sasso di fronte al mio bolide, una macchina da corsa blu notte, un tantino impolverata.
< Wow, è bellissima! > Esclama il piccolo saltando giù dalle mie braccia; aprii la portiera e lo feci accomodare nel vano posteriore.
< Scommetto che non può correre veloce quanto me > esclama Justin orgoglioso delle sue capacità,
< di questo passo la supererai in fretta di sicuro > Lo incoraggio io mentre gli allaccio con meticolosità la cintura di sicurezza.
E dicendo questo ne ero totalmente sicuro, la sua velocità era ben superiore alla media e con gli anni sarebbe di certo aumentata.
Sistemato il piccolo, passai alla signora che mi guardava con un sorriso compiaciuto, dio quanto era bella, lo stomaco fece una capriola mentre l’agitazione mi offuscava i pensieri.
< Monta “riccia” > gli ordino con un sorriso aspettando che si accomodi sul sedile per chiuderle la portiera,
< Grazie, non saprei nemmeno come chiuderla a dir la verità, sei sempre molto gentile > risponde lei con un sorriso .


Partiamo e ci incanaliamo nella tangenziale,
< Come stai? Agitata? > Le chiedo a bassa voce lanciandole una veloce occhiata, mi sembrava tesa, continuava a torturarsi un aculeo girandoselo più volte nell’indice.
< Un pochino, in positivo però, non avrei mai pensato che potesse arrivare questo momento, mi sembra di essere tornata la ragazzina di 5 anni fa … non hai idea di quanto sia felice di essere qui > rispose lisciandosi le pieghe del vestito, con un sorriso poco convinto
< posso assicurarti che siamo tutti molto, molto felici del tuo ritorno, non sai quanto ci sei mancata Amy, quando te ne sei andata hai lasciato un grosso buco > Gli dico sincero bloccandomi di colpo, non volevo iniziare lunghe e dolorose spiegazioni, c’era tempo per quello.
< E oltretutto sono tutti molto curiosi di conoscere la peste seduta dietro >Continuo cercando di alleggerire l’atmosfera.
< Sonic puoi accelerare un pochino? > chiede elettrizzato Justin spuntando da sopra la mia spalla, sorrisi con malizia e guardai Amy in attesa di un suo giudizio, la quale sgranò gli occhi e mi guardò accigliata,
< non se parla! E’ pericoloso e poi … >
< Justin siediti bene > gli ordinai controllando la strada di fronte a me, era più o meno vuota. Amy cominciò a sbraitare sul fatto che se avessi accelerato mi avrebbe ammazzato e cose varie, ma non gli badai, in fondo, in fondo, sapevo benissimo che le sarebbe piaciuto.
Schiaccio l’acceleratore a tavoletta e con un ringhio del motore la mia piccola aggredisce la strada con tutti i suoi cavalli, l’accelerazione è così potente che ci incolla ai sedili. Dietro un eccitato Justin lancia urletti di gioia e felicità, mentre al mio fianco Amy comincia a urlare di rallentare.
Superiamo una decina di auto quando finalmente la strada rimase sgombra da qualsiasi veicolo e finalmente la feci arrivare al massimo della sua potenza e velocità, entrambi i passeggeri stavano urlando come aquile, uno di gioia e l’altra dal terrore.
Rimasi concentratissimo sulla strada per individuare possibili pericoli, finché non vidi l’entrata del parcheggio avvicinarsi a velocità mostruosa, cominciai disperatamente a frenare e imboccai l’ingresso a grande velocità facendo stridere le gomme. Parcheggiai con calma e attenzione accanto alla macchina di Knuckles,
< ops … scusatemi >Dissi mortificato con un sorriso innocente, Amy era bianca come uno straccio.
< Torno a casa a piedi dopo > rispose ravviandosi i capelli completamente spettinati.
< E’ stato FANTASTICO! > Urlò il piccolo battendo le mani con un sorriso gigante,
< Lo rifacciamo quando torniamo a casa? Ti prego! > Mi implora liberandosi dalla cintura in pochi secondi,
< se la tua mamma ci lascia allora si > Condiziono a bassa voce con un occhiolino scendendo dalla macchina.
Apro la portiera ai passeggeri e gli aiuto a scendere. Spio di sottecchi la riccia, la quale sembra molto, molto impaziente. Prende per mano il piccolo appena scende dal sedile,
< sono così in ansia Sonic, mi sta scoppiando il cuore! > Confessa cercando il mio conforto ,
< respira profondamente e non preoccuparti, siamo sempre noi, non siamo cambiati di una virgola >le rispondo con ironia per rilassarla.
Mi sorride incoraggiata ed entriamo nel locale.


AMY

Il cuore mi stava saltando in gola dall’emozione quando varcammo l’entrata del locale. Notai con piacere che l'ambiente era pieno di giovani con i figlioletti appresso.
L’ansia mi stava frullando lo stomaco e quando finalmente li vidi tutti riuniti non riuscii a trattenere le lacrime.
C’erano tutti, tutti uguali come li avevo lasciati, mi sembrava di essere tornata indietro nel tempo, quando ancora adolescenti frequentavamo i locali più alla moda.
Mi sentii straordinariamente serena e felice.
Ero tornata a casa.
Le ragazze si alzarono di scatto dalle sedie e mi corsero letteralmente addosso, non ebbi nemmeno il tempo di ammirare le donne in cui si erano trasformate che scoppiammo in sonori singhiozzi tutte quante, quanti anni persi, quante parole non dette scorrevano tra noi.
< Finalmente sei tornata! >Urlò la solita Rouge incollandosi a me,
< oh Amy ci sei mancata così tanto! > Esclamò Cosmo saltandomi addosso,
< siete mancate moltissimo anche a me! > Risposi abbracciandole stampando baci a tutte.
< Amy! Cavolo quanto sei cambiata! > Si sorprese Knuckles stringendomi a se,
< Parliamo di te? Mio dio quanto alto sei diventato! >Esclamai sorpresa di vedere i ragazzi che avevo abbandonato trasformati in uomini fatti.
< E’ tornato il confetto! Buonasera piccola rosa! >Esclamò Jet abbracciandomi con un sorriso immenso, Shadow con straordinaria empatia (strano da lui), mi abbracciò anch’esso,
< Amy! E’ bello riaverti tra noi, ci sei mancata veramente moltissimo > mi rivelò con sincerità con la parvenza di un sorriso,
< oh Sha, anch’io sono felice di essere di nuovo con voi >risposi ancora singhiozzando tentando di asciugarmi le guance, immensamente felice di essere tornata alla normalità. Dopo un veloce giro di abbracci e baci con tutti, notai che c’erano bambini ovunque, o meglio, c’erano i cloni dei genitori ovunque!
Presi in braccio la mia peste per le presentazioni ufficiali e per chiarire fin da subito la situazione. Mi diedi un po’ di contegno asciugando le ultime tracce umide sulle guancie e respirai profondamente.
< Ragazzi, lui è mio figlio Justin, Justin, loro sono i tuoi nuovi zii > Dissi stando ben attenta a non avvicinare troppo Justin e Sonic per non creare strani e pericolosi commenti.
La precauzione non servì a un cazzo.
Tutti quanti rimasero a bocca aperta, tranne Blaze, Silver e Shadow, il quale però impallidì parecchio. Guardai Justin che era lievemente in imbarazzo e poi lanciai una veloce occhiata a Sonic, il quale, ignaro del fatto che Justin fosse suo figlio, si beava della scena senza preoccupazioni.
I due ricci erano identici, Justin era la versione in scala ridotta del riccio blu supersonico: stessi aculei, identici tratti somatici, due fotocopie.
Knuckles lo indicò
< figlio di, scusa? >Balbettò incredulo per la somiglianza,
< Jason > risposi pronta e determinata senza mostrare ombra di dubbio.
< Ah si? >Continuò con un sorriso malizioso Shadow incrociando le braccia, con tono da saputello, sollevai un sopracciglio
< Si > risposi secca facendogli un’occhiataccia per intimarlo a tacere,
< ok, se lo dici tu > concluse trattenendo le risate a stento.
Un sorriso felice e d’intesa si disegnò velocemente sullo sguardo di tutti, avevano capito e il segreto, per il momento, sarebbe rimasto celato.

Spazio Autrice: Devo ammettere che mi sento un po' in imbarazzo ad aggiornare dopo così tanto tempo. E non so nemmeno cosa dire oltretutto, spiegare perchè ho ricominciato a scrivere non interesserebbe a nessuno e occuperebbe solo spazio inutile. Segnalate qualsiasi errore. E i consigli sono sempre ben accetti.
Vi auguro una buona giornata. 

 

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Capitolo 9
*** Incubi ***


AMY

Quella sera conobbi i vari pargoli di ogni coppia, era incredibile vedere i copioni della madre o del padre in versione ridotta! Ed erano anche incredibilmente teneri, soprattutto i più piccoli, in questo caso il figlio di Cosmo e Tails di 3 anni appena: Lawrence, un piccolissimo volpino giallo limone, dotato di ben due code e con due meravigliosi occhi azzurri. Rouge e Knuckles avevano due gemelli: Richard, un pipistrello grigio piombo con due furbissimi occhi violetto e la piccola echidna Coco, con lunghi capelli e gli occhi azzurri della madre.
Jet e Wave avevano Victoria, una piccola rondine color cipria di 5 anni. I piccoli dopo essersi presentati spostarono l’attenzione su Justin, il quale senza imbarazzo si unì ai nuovi compagni senza molti problemi.
Tutti cominciarono a farmi un sacco di domande riguardo agli anni trascorsi: cosa avevo fatto, che lavoro avevo trovato, ecc. Risposi cercando di restare il più vaga possibile, non erano stati anni spensierati, anzi, ricordarli non era facile. Crescere un figlio da sola non è semplice, soprattutto con Jason che terrorizzava e creava più problemi che risolverne. Quando mi stufai di tutti quei quesiti rivolti al passato, decisi di cambiare argomento e cominciai a fare io le domande.
 < Allora ragazzi e ragazze ditemi, i vostri pargoli sono le vostre fotocopie e … in fatto di poteri? Avete trasmesso i geni “buoni” o avete fatto cilecca? > Domandai con sarcasmo sapendo bene di innescare un discorso complesso.
Aprì il dialogo un orgoglioso Silver, gonfiando il petto gongolante e con un sorriso soddisfattissimo sulle labbra.
< Certo che sì fragola vagante! Beyoncè ha iniziato a sollevare il biberon telepaticamente a 11 mesi! Se non sono buoni questi geni, non so quali lo siano allora! > Mi rispose orgoglioso e vanitoso il riccio bianco con una punta di ironia. Blaze lo guardò sollevando un sopracciglio e prese parola
< Rihanna ha cominciato ad andare letteralmente a fuoco ad un anno … non sai i danni! > Sospirò la gatta con un sorriso orgoglioso. Entrambi erano molto felici di aver passato i poteri ai figli, erano pochi i mobiani che vantavano capacità così sorprendenti come il controllo del fuoco e la telecinesi, ed erano poche le coppie che potevano vantare, non una, ma ben due figlie così promettenti.
< Lawrence ha cominciato a spiccare qualche voletto per la casa! E’ fantastico vedere come riesce a destreggiarsi tra invenzioni e mobilio! >Esclamò entusiasta Tails, immaginando già i voli assieme al volpino per i cieli di Mobius.
< Anche Victoria vola! Sa già planare molto bene a quel che racconta Jet > Esclamò Wave sistemandosi la fascia e lanciando un’occhiata al falco suo marito, per spronarlo a continuare il discorso
< Ali robuste e buone piume! E’ un asso nel volo! > Disse sollevando l’indice con espressione raggiante.
Rouge si intromise nel discorso, con un sorriso malizioso e sicura di se
< Il mio Richard ha un fiuto eccezionale per gioielli e pietruzze varie … devo dire che rubacchiare gli riesce parecchio bene! E la mia Coco … >  venne interrotta da un eccitatissimo Knuckles, che concluse la frase al suo posto
< … e Coco ha una forza paragonabile solo alla mia! L’altro giorno ha sollevato il divano senza sforzo > disse quasi commosso dal gesto di sua figlia, portandosi una mano al cuore con aria sognante. Una breve risata si scatenò nel gruppo originata dal comportamento dell’echidna.


Per tutta la serata ricordammo situazioni spassose accadute durante il periodo scolastico, le risate furono assicurate e mantenute dal continuo bisticciare dei tre ricci adulti: non erano cambiati di una virgola, il trio “S” (Shadow, Sonic e Silver) si era mantenuto tale e quale a come l’avevo lasciato. Io e le altre ragazze ci trovammo a parlare di figli e della nuova “fiamma” di Tikal, un certo Zenit, una tigre con cui si stava frequentando, a parer suo molto gentile e romantico.
< Bhe, diciamo che la sorpresa dell’anno non va  al tuo ritorno Amy > Introdusse di punto in bianco Silver, facendomi capire che qualcosa di grosso bolliva in pentola, un fremito di curiosità mi fece rabbrividire.
< Uuuuuh … tu e la mia cuginetta vi sposate? > Tentai di indovinare con un sorriso sornione. Si notò benissimo che Blaze si ricompose sulla sedia con gli occhi speranzosi, Silver preso un po’ alla sprovvista e dall’imbarazzo arrossì leggermente,
< b-bhe n-no, non ancora per il momento > si giustificò il riccio argento, per la prima volta in grande difficoltà, tentando di riguadagnare un pizzico di compostezza.
< Ma bensì, il nostro serioso e scorbutico Shadow … si è fidanzato! > Concluse gioiosamente Silver, più entusiasta del riccio nero in questione. Mi voltai verso il diretto interessato felicemente colpita
< oh-oh, e chi è la fortunata Sha’? > Gli chiesi con un sorriso malizioso. Le guancie del riccio si imporporarono e cercando di rimanere freddo e staccato cominciò a raccontare sognante
< si chiama Maria, è una riccia bionda, occhi nocciola, è … speciale > esclamò con un sospiro ammaliato.
< Wow, sono curiosa di conoscerla! Per farti perdere la testa in questo modo deve essere una vera fata! >Commentai stupita cercando di immaginare questa misteriosa Maria. Shadow annuì imbarazzato e poi ricambiò la domanda
< E invece, tu e Jason? > Chiese completamente ignaro della situazione spinosa tra Justin e suo padre. Presi qualche secondo prima di rispondere, pensando ad una risposta breve, rapida e indolore
< diciamo che potrebbe andare meglio, non è un periodo facile ultimamente, ha problemi al lavoro e perciò è molto nervoso > conclusi in modo evasivo per non entrare nel dettaglio.Mi salvarono dal discorso spinoso i bambini, che rientrarono a passo trascinato verso i genitori dopo aver passato tutta la serata tra le giostre del parchetto. Il mio piccolo stropicciandosi gli occhi si arrampicò sulle mie gambe e si appoggiò a me sbadigliando sonoramente, erano tutti molto stanchi, effettivamente per loro si stava facendo tardi.
< Forse è meglio andare > replicò Jet notando che la pargoletta si era profondamente addormentata su di lui, Tails annuì a sua volta soprattutto perché Lawrence dormiva tra le sue braccia da parecchio. Dopo i saluti e un giro di abbracci, baci e promesse di ritrovo, ci avvicinammo alle macchine. Sonic gentilissimo e con molta premura adagiò Justin nel sedile posteriore, osservai affascinata la scena, era così tenero quando se ne occupava lui! Poi con un cenno del capo mi ordinò di salire. Con una certa difficoltà riuscii a sedermi comodamente, la macchina era troppo bassa per i miei gusti. Uscii dal parcheggio e si immise nella statale cominciando ad accellerare velocemente.
< Ti avverto Sonic, se corri come prima ti riduco a sfilacci > lo minacciai con una punta di ironia e un sorriso, come risposta roteò gli occhi
< Va bene, facciamo a modo tuo allora >rispose con sarcasmo frenando bruscamente. La frenata mi portò in avanti il busto, facendomi quasi sbattere la testa sul cruscotto. Il segnalatore di velocità si bloccò sui 60 km/h.
< Cosa stai facendo? > Chiesi preoccupata mentre una fila di macchine cominciava ad accumularsi dietro di noi
< ti sto imitando > mi rispose con naturalezza non curandosi della lunga coda di auto alle nostre spalle,
< non mi blocco sui 60 io! Ma non faccio nemmeno i 300 come hai fatto tu prima! > Risposi a tono mentre i primi clacson cominciavano a farsi sentire. Rise divertito per poi accelerare fino a perdere di vista la lunga coda di automobili che si era formata dietro di noi.
L’adrenalina per la serata appena passata era ancora in circolo, rendendomi irrequieta come una ragazzina alla sua prima festa.  
< E’ stata una bellissima serata, voi, i bambini … era da secoli che non mi divertivo così! E poi sono così felice di stare di nuovo con voi, mi sento finalmente … completa.  > Esclamai con tono liberatorio desiderosa di condividere con lui quello che provavo.
< Il gruppo non era completo senza di te, d’altronde siamo cresciuti assieme, abbiamo affrontato tutti i problemi sempre uniti. Abbiamo pianto e abbiamo gioito assieme, non siamo più la "compagnia” di amici, siamo diventati una grande famiglia come hai notato. La nostra amicizia è la base su cui si fonda tutto e tu ne hai fatto parte e continuerai a farla. Ti abbiamo aspettato a lungo confetto, ma non fa niente, ora sei qua ed è questo l’importante. E se pensi che ti lasceremo andare di nuovo, ti sbagli di grosso! > Esclamò Sonic con un sorriso soddisfatto mentre controllava la strada, gli sorrisi a mia volta grata per il discorso che aveva appena formulato, le sue parole erano state come un ventata di aria fresca per i miei pensieri, regalandomi un’innata speranza e una gioia di vivere che avevo dimenticato da tempo.  
< Se penso a tutto il tempo che ho sprecato … > mormorai pensando ai 5 anni buttati al vento, alla bugia che si stava gonfiando e diventava più pericolosa di giorno in giorno, al pensiero di dover prima o poi confessare una notizia del genere, rabbrividì dal terrore. Il riccio restò in silenzio per qualche secondo, era leggermente incartato, non sapeva se affrontare il discorso legato alla nostra separazione o se lasciar morire il discorso. Optò per la seconda opzione.
< Meglio tardi che mai, no? E poi 5 anni non sono tantissimi > tentò di consolarmi imbarazzato,
< e invece sono tanti … ho perso anni importanti della mia vita per nulla > sospirai amareggiata ricordando quel terribile periodo.
< Ti ripeto di no, hai 20 anni Amy … hai una vita davanti! Non essere così negativa e così dura con te stessa! Hai fatto degli sbagli, tutti li facciamo, è normale! Ma hai appena rimediato a gran parte di essi ritornando a Mobius, perciò inizia a goderti la tua nuova vita e non pensare al passato! > Concluse con tono serio che non ammetteva repliche. Quelle parole furono la mia medicina, sentii di essere libera e felice, avevo tutto quello che mi rendeva felice e anche di più, non dovevo far altro che godermi le cose più importanti della mia vita.
 

Entrò nel garage con particolare attenzione, il terrore di strisciare la macchina era ben evidente sul suo viso. Soddisfatto del parcheggio scese e mi aprii la portiera, aiutandomi ad alzarmi. Dopodiché slacciò le cinture al piccolo e con prudenza e attenzione lo prese in braccio attentissimo a non svegliarlo.
< Lo porto io, tranquilla > mi sussurrò il riccio salendo le scale dietro di me, arrivati nella camera lo adagiò sul letto e gli rimboccò le coperte. Gli stampai un bacio sulle guanciotte
< buonanotte tesoro mio > mormorai accarezzandogli con leggerezza la massa di aculei blu elettrico adagiati sul cuscino. Poi uscimmo dalla stanza in punta di piedi per non svegliarlo, chiusa la porta lanciai un’occhiata indagatrice a Sonic che si trovava al mio fianco
< l’esperienza di rimboccare le coperte dove l’hai fatta? >Gli chiesi con una punta di ironia incrociando le braccia al petto. Un sorriso orgoglioso si stampò sulle sue labbra, il movimento della bocca fece brillare l’anellino appuntato alla pelle,
< è uno dei miei tanti talenti >si pavoneggiò con naturalezza scrollando gli aculei mentre si dirigeva in bagno. Lo seguii a ruota, ammaliata dal suo modo di fare,
< oh complimenti, è un grande talento! Dovresti metterlo a disposizione all’umanità! > Lo punzecchiai prendendo lo spazzolino da denti,
< tutta invidia la tua > rimbeccò lui posando sulle setole una micro punta di dentifricio.
< La mia esperienza batte il tuo talento! E’ dalla nascita di Justin che gliele rimbocco ogni singola sera > mi vantai a mia volta con un sorriso superiore infilandomi lo spazzolino in bocca.
< Jason non l’ha mai fatto? > Chiese spontaneo cercando di mantenere il tono scherzoso. Tolsi lo spazzolino con calma e decisi di essere il più sincera possibile.
< No, non l’ha mai fatto a dir la verità > dissi con tono normalissimo, come se stessimo parlando di torte e non del padre manesco di Justin. Sistemai lo spazzolino in fretta
< Buonanotte Sonic, ti ringrazio ancora sia per la serata sia per tutto quello che stai facendo per noi > dissi con sincerità addolcendomi un po’, desiderosa di concludere in fretta il discorso delicato. Fece un sorriso sarcastico e si appoggiò al lavandino con la gamba
< se parlarne ti da fastidio puoi dirlo semplicemente sai? Sono cose private e delicate, è normale che tu non voglia condividerle, anzi, scusami  se sono stato così impiccione > replicò con infinita gentilezza mettendo via il suo spazzolino blu. Sospirai e guardai in basso, molto imbarazzata dalle sue parole
< Non ti devi scusare, io … fa male parlarne, mi si apre una voragine sotto i piedi ogni volta che ci penso, è complicato spiegare la situazione alle persone, temi sempre il loro giudizio > risposi con una nota di imbarazzo torturandomi un aculeo.
< Le cose si sistemeranno, tutte quante. Sei lontana da lui, hai noi, prenditi tempo per decidere cosa fare. E ora è meglio che vai a dormire, hai bisogno di riprenderti > rispose paziente avvicinandosi alla sua camera. Annuii e aprii la porta della stanza,
< buonanotte confetto > sussurrò per non svegliare Justin, accompagnando la frase con un occhiolino,
< buonanotte So >risposi allo stesso modo sorridendogli grata per la comprensione. Mi infilai a letto e mi accomodai accanto a Justin, il quale stava dormendo profondamente, gli sfiorai le guancie con le labbra  e poi appoggiai la testa sul cuscino. Ripensai alle parole che mi aveva confessato il riccio, mi vergognai per il comportamento immaturo che avevo dimostrato, cercare di evitare il discorso non aiutava ne me ne lui. Inoltre, se consideravamo il fatto che Sonic era padre di Justin, era un suo diritto sapere tutto il possibile sul pargolo e sul patrigno. Dopo parecchi istanti un senso di tranquillità e pace mi accolse nel mondo dei sogni, chiusi gli occhi mentre la mente cominciò a viaggiare per i fatti suoi. 



Un urlo acutissimo gridato a pieni polmoni mi svegliò di soprassalto, Justin stava urlando nel sonno, coperto di sudore e tremante. Sebbene profondamente addormentato il suo viso mostrava un’espressione angosciata e terrorizzata. Accesi la luce e cominciai a scrollarlo per svegliarlo, le mani mi tremavano, non sopportavo vederlo in quello stato,
< Justin! Svegliati! E’ solo un brutto sogno! > esclamai cercando di farmi sentire sopra le sue urla sempre più dolorose, ma era così preso dal sogno da rimanerne intrappolato all’interno, sembrava che non riuscisse a sentirmi. La porta si spalancò ed entrò il riccio blu, con gli occhi sgranati e una faccia sconvolta, preoccupatissimo dalle urla del piccolo,
< cos’ha? >Esclamò avvicinandosi e tirandolo a sedere,liberandolo dalle coperte aggrovigliate. Justin dopo qualche attimo, con un grosso respiro, aprì gli occhi e intontito dal sonno e dal contatto con la realtà smise di urlare. Appena mi focalizzò e si accorse di essere sveglio si saldò al mio collo, sprofondando il viso sulla mia spalla
< mamma! >Esclamò scoppiando in sonori singhiozzi mentre le  lacrime scendevano a fiotti. Sonic sospirò di sollievo riprendendo un po’ di colore in faccia, per poi guardarmi interrogatorio. Avvolsi il mio piccolo con le braccia e lo strinsi a me,
< Justin, tranquillo! Era solo un brutto sogno, non preoccuparti! >Tentai di tranquillizzarlo con voce incerta e tremante. Non era la prima volta che succedevano crisi del genere, anzi, ultimamente questi tipi di sogni diventavano sempre più ricorrenti.
< Ti aveva ucciso! C’era sangue ovunque e io non sapevo cosa fare! Aveva un coltello gigante e tu avevi la gola tagliata! > Sputò fuori mentre i singhiozzi lo facevano sussultare, era terrorizzato e le lacrime cadevano copiose. Sonic era sconvolto, probabilmente non pensava che la situazione fosse così grave, cominciò a mangiucchiarsi una pellicina sul pollice nervoso.
< Non lo farà mai tesoro, non è cattivo Jason > tentai di tranquillizzarlo accarezzandogli i capelli,
< E INVECE SI CHE LO E’ > urlò con disperazione ricominciando a piangere più forte di prima, tremava come una foglia, scosso dai singhiozzi.
Rimasi senza parole, era la prima volta che non riuscivo a gestire la situazione, mi sentii così scoperta che per un attimo mi sentii persa nel vuoto, non sapevo cosa rispondere a quella rabbia e alla paura che provava Justin perché era la stessa paura che provavo io. Grazie a Dio, il riccio blu prese posizione, liberandomi dalla necessità di rispondere, me lo rubò dalle braccia e con un sorriso gli asciugò le lacrime,
< no che non lo è piccolino, molte volte le persone si comportano da cattivi perché hanno un problema che non riescono a gestire, ma questo non significa che sono cattive, semplicemente devono risolvere questo problema per essere buone > lo tranquillizzò lui parlando con dolcezza. Justin sembrò riprendersi, tirò su col naso e parve rifletterci sopra,
< e se fosse davvero cattivo? > Gli chiese con ansia minacciando di far sgorgare altre lacrime,
< allora verrai a vivere qui, ok? >Concluse So con un sorriso soddisfatto asciugandogli l’ultima lacrima. Justin sorrise e gli si tuffò al collo
< si va bene! >Esclamò incollandosi a lui. Respirai profondamente prima di soffocare, visto che avevo trattenuto il fiato fino a quel momento. Liberata da un peso colossale mi sentii fluttuare nella pace e nella serenità. Ero stupita e molto grata a Sonic, la semplicità con la quale aveva affrontato il discorso delicato era da invidiare. Probabilmente Justin non era convinto del discorso di suo padre, ma si era tranquillizzato ed aveva anche sorriso e questo, per il momento, bastava ed avanzava. Quando si staccarono dall’abbraccio, che ammirai con tanta,tanta felicità, il piccolo blu ritornò da me e si accoccolò tra le mie braccia,
< ho fame > esclamò sospirando, ben sapendo che doveva aspettare ancora un po’ per fare colazione. Un risolino si levò sia da me sia dal riccio adulto, risollevando il morale generale. I nostri sguardi si incrociarono per qualche istante per poi cadere di nuovo su Justin, il quale si era addormentato, stavolta in un sonno più tranquillo.
Due istanti dopo sentii i suoi occhi verdi trafiggermi di interesse
< è stato lui a picchiarvi, vero? > chiese con semplicità senza girarci attorno, respirai profondamente e sbattei le ciglia per trattenere le lacrime che minacciavano di scappare dal mio autocontrollo ferreo.
< Sì, è stato lui > risposi senza mezze misure accarezzando nervosa gli aculei del mio piccolo,
< anche Justin? >Continuò serio con stupore. Annuii e le lacrime cominciarono a scorrere come fiumi, le asciugai velocemente con il dorso della mano,
< ti giuro, ho cercato di proteggerlo in tutti i modi ma non ci sono riuscita, ultimamente va sempre peggio, i-io non c’è la faccio più, sono una pessima madre … sto crollando Sonic > mormorai odiandomi per aver ammesso la mia debolezza.
< Pessima madre? Non ti rendi conto di quello che hai fatto e stai facendo allora. Stai crescendo un figlio da sola, con un padre violento dietro da gestire e la tua vita da portare avanti. Hai cresciuto Justin in maniera fantastica, è educato, rispettoso, intelligente, ubbidiente … e dici di essere una pessima madre? Hai un figlio meraviglioso ed è tutto merito tuo. L’hai protetto e lo stai proteggendo alla grande Amy! Non crollerai ora! Sei la donna più forte che conosca! Hai aiuto qui, non sei più da sola, riprenditi e poi torna in carreggiata, Justin ha bisogno di te > Esclamò con grinta trasmettendomi una carica pazzesca. Mi asciugai le ultime lacrime e ripresi il controllo, confortata dalle sue parole che riempivano i buchi lasciati dall'incertezze e dalla paura.
< Hai ragione, ha bisogno di me e non posso e non voglio mollare > replicai lanciando un’occhiata al mio piccolo.
< Bene! Tirati su leonessa, hai ancora qualche ora per riposarti > esclamò alzandosi in piedi con un sorriso soddisfatto, ma prima che potesse fare un passo lo presi per mano e lo fermai.
Quel breve, insignificante contatto fece arrossire e imbarazzare entrambi, i battiti cardiaci aumentarono di colpo. Come in un film mi passarono davanti tutti i baci, le carezze, gli sguardi avvenuti tra noi. Vedere cosa era rimasto del nostro amore mi fece comprendere di quanto complicata e imprevedibile fosse la vita, di quanto e cosa avevo perso. Sonic era stato il centro della mia vita finché non scoprii di essere incinta.  Fuggita da Mobius, non mi ero mai più soffermata a riflettere sui miei sentimenti verso il riccio, troppo impegnata dalla gravidanza prima e dal piccolo dopo. Non avevo guardato altri uomini, non perché fossero mancate le opportunità, ma non ero mai riuscita a trovare qualcuno che mi desse quel senso di sicurezza e di appoggio che mi dava il riccio blu. Quando Justin dimostrò totalmente che non era figlio di Jason, (e questo avvenne a 10 mesi, quando cominciò a correre a velocità supersonica) i dubbi e le domande su suo padre erano nati spontanei.
Com’era diventato? Aveva figli? Si sarebbero mai conosciuti? Lo avrebbe accettato? 
In quel momento sentivo il bisogno di averlo al mio fianco, per aiutarmi a crescere Justin e per aiutare me stessa a non cadere nel baratro della disperazione. Ma prima della mia necessità mettevo le sue, non potevo costringerlo a fare il padre e tantomeno a restare al mio fianco. I miei sentimenti verso di lui erano composti da un misto di gratitudine, ammirazione, rispetto e imbarazzo, sia per quello che avevo fatto in passato sia per come mi ero ridotta.
Gli mollai la mano appena sentii calare un’insicurezza fotonica, cercai di apparire il più informale possibile
< grazie, sul serio, mi hai salvato da una posizione molto … delicata > gli dissi infinitamente grata del suo intervento, leggermente imbarazzata dal gesto impulsivo che avevo esercitato. Lui sorrise arrossendo impercettibilmente, non riuscii a non pensare a quanto cazzo fosse bello,
< qualsiasi cosa per voi > mormorò sincero uscendo dalla stanza con un sorriso soddisfatto.  



Spazio autrice: Buonasera a tutti, ecco un altro capitolo. Segnalatemi qualsiasi errore, accetto molto volentieri critiche e consigli.
                       Baci!

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Capitolo 10
*** Nuovi incarichi ***


Sonic


Quella mattina iniziò nel peggiore dei modi: una chiamata improvvisa interruppe il mio sonno ben mezz’ora prima della sveglia. Senza aprire gli occhi, cominciai a cercare il telefono sopra al comodino a tentoni. Staccandolo dalla presa riuscii a rispondere,
< pronto > biascicai assonnato, cambiai posizione sperando di poter dormire altri 5 minuti conclusa la chiamata.
< Sonic, tra quanto sei qui? > Domandò un nervosissimo Dylan, stava battendo il piede impaziente, si sentivano chiaramente i “tap-tap” sul pavimento gommato della sala.
< Mi hai appena svegliato > dissi sincero affondando la faccia sul cuscino esasperato,
< che cosa? Stai scherzando spero! Alza immediatamente quel culo e fiondati qui! Muoviti. > ordinò con tono che non ammetteva repliche, per poi chiudere la chiamata senza darmi il tempo di rispondere. Sospirai e restai sdraiato a guardare il soffitto, ricordando la notte movimentata appena trascorsa.
Gli incubi di Justin mi avevano seriamente colpito, non credevo che la situazione fosse così tragica. Era letteralmente terrorizzato da Jason, il suo peggior incubo era realtà. Non riuscivo a tollerare l’idea che un bambino si riducesse in quel modo a causa di un adulto, era una cosa così profondamente ingiusta e orribile! Oltretutto non avevo idea su cosa fare per migliorare la situazione, certo, distrarlo poteva essere una buona tattica ma serviva ben a poco.
Purtroppo i problemi se non si affrontano non scompaiono da soli e oltretutto la madre era in piena crisi genitoriale e, per il momento, non poteva affrontare la situazione con piena lucidità. Non mi restava altro che distrarre il piccolo e aiutare la riccia a tornare in se.



Scesi dal letto e mi infilai la t-shirt abbandonata sulla scrivania e scendendo le scale, mi stropicciai gli occhi con il dorso della mano. Cavolo, alzarsi alla mattina era così difficile a volte! Il profumo del caffè mi accolse quando arrivai in salotto, risvegliando i sensi ancora addormentati. Entrai in cucina, la tavola era apparecchiata in modo ordinato, tre piatti erano disposti sulla tavola assieme alle tazze e alle paste di vario genere. Notai che nella mia seduta abituale era già stata servita la colazione.
Lo stomaco gorgogliò affamato alla vista del cibo.  La cosa migliore però, era la riccia rosa, di schiena, con i lunghi aculei spettinati che le arrivavano alla vita e il leggero pigiama estivo che le sottolineava il sodo fondoschiena in modo impeccabile. Dio, quanto era bella! Stava canticchiando un motivetto e sembrava piuttosto di buon umore.
< Buongiorno confetto > la interruppi sedendomi a tavola, tentando di capire quello che stava facendo. Si voltò e mi sorrise allegra,
< buongiorno a te mirtillo. Come stai? Ti vedo parecchio assonnato > Si confidò con un sorriso malizioso appoggiando una tazza di caffè davanti a me,
< meglio che ti muovi, non penso che tu voglia far incazzare Dylan di prima mattina >mi consigliò con un sorriso soddisfatto. La  guardai stupito, aveva sentito tutto?
< Complimenti per l’udito > scherzai addentando una pasta ripiena di caramello, ricambiò il sorriso
< non ho origliato, ho solo dedotto che fosse Dylan, solitamente è l’unico in grado di farti scendere dal letto in pochi minuti > rivelò in tono canzonatorio sedendosi di fronte a me, cominciò ad avvolgere un aculeo attorno al suo indice in attesa che il the fosse pronto. Roteai gli occhi e controllai l’orario velocemente, accorgendomi che ero già in ritardo, sbuffai scocciato, sapendo bene di dover interrompere quel momento piacevolissimo.
< Uff! Dylan è nervosissimo ultimamente, non sarà una giornata leggera. Questo video clip sta diventando una tortura più che un balletto > mi lamentai con fervore sapendo bene che lei mi avrebbe capito.
< Se ti sei mantenuto come all’epoca sei un ballerino eccezionale. E poi sai meglio di me che più il sacrificio è grande, più grande sarà la soddisfazione alla fine. Perciò smettila di lamentarti e muoviti visto che, oltretutto, il tuo lavoro è la tua grande passione > rispose con un occhiolino soddisfatto e un sorriso sornione. Aveva perfettamente ragione, ero molto fortunato da quel punto di vista, la danza era il mio lavoro e lo amavo follemente.
< Vero! E sono già in ritardo > sbuffai prima di sparire in camera per prepararmi, indossai una tuta blu scuro e una t-shirt bianca, preparai il borsone e mi spazzolai i capelli con vigore tenendo sotto controllo l’orario sul cell. Una volta pronto uscii dal bagno, quando una piccola scia blu luminosa mi tagliò la strada dirigendosi in cucina. Restai basito dalla velocità che possedeva, era anormale per la sua età e questo lasciava presagire una sola cosa: il piccolo era dotato di capacità soniche proprio come il sottoscritto!
Amy gli aveva passato i geni buoni per fortuna, anzi, li aveva migliorati! Seppur velocissima la riccia, tra qualche anno, non sarebbe riuscita a restare al passo con Justin. Notevolmente sorpreso e incuriosito dalla sua potenzialità, scesi le scale ed entrai in cucina,
< buongiorno Justin, come stai? > Gli chiesi trattenendo le risate alla vista del riccio completamente impiastricciato di nutella.
< Bene! Ho così tanta fame che mangerei un elefante intero > biascicò a bocca piena, cercando di introdurre un altro morso di brioche in bocca.
< Addirittura un elefante? > Lo stuzzicai appoggiandomi all’entrata della cucina, annuì masticando con fatica l’enorme boccone che era riuscito a mangiare.
< Justin! Non si parla con la bocca piena e … o mio Dio! Non puoi mangiare con più calma? Sei coperto di nutella! > Sbuffò esasperata sua madre, cominciando a ripulirlo con pazienza infinita appena si accorse dello stato in cui si trovava. Lui non la badò più di tanto e deglutendo il tutto spostò l’attenzione su di me
< Sonic, posso venire con te? > Intavolò appena si accorse del borsone sulla mia spalla, già eccitato all’idea di “andare da qualche parte”.
Restai piacevolmente sorpreso dalla sua domanda infatti non riuscii a mascherare un sorriso; anche Amy restò stupita dalla richiesta e mi guardò accigliata aspettando una risposta.
< Purtroppo questa mattina non puoi, ma ti prometto che ti porterò un’altra volta. Casomai, se hai voglia e se tua madre ci lascia, oggi pomeriggio possiamo andare a fare una corsetta, che dici? > Gli proposi con un occhiolino, i suoi occhi brillarono e un sorriso gioioso gli si stampò sul viso,
< oh si, si, si! Ma corriamo veloci vero? > Puntualizzò battendo le manine entusiasta dell’idea.
< Certo che si! La gente non ci vedrà nemmeno passare > continuai sicuro, la mia testa creò in quell’attimo un filmino mentale in cui io e lui correvamo felici, spensierati e velocissimi su prati infiniti. La riccia era leggermente perplessa e sembrava anche un tantino preoccupata
< Ci lascerai andare Amy? > Le chiesi rendendola giustamente partecipe dei nostri piani,
< ti prego mamy! > Trillò Justin incollandosi alla sua gamba e guardandola in modo supplichevole.
< D’accordo andate, ma non sudate troppo che poi con quest’aria vi prendete una polmonite > contrattò lei dopo qualche attimo di riflessione.
Il piccolo le saltò al collo riconoscente e la rosa ne approfittò per baciarlo sulle guancie, un sorriso pieno di amore le si dipinse sulle labbra. Rimasi affascinato da quella visione mentre un forte senso di protezione calava su di me, avrei fatto qualsiasi cosa per loro. Desiderai ardentemente di abbracciarli e di poter condividere il loro legame così potente e inscindibile, avrei dato qualsiasi cosa per farne parte.
Ma purtroppo non sempre le cose sono come vorremo, in questo caso mi toccò restare al mio posto e lasciarli indisturbati nel loro momento di intimità e affetto.  Ritornai alla realtà quando squillò il mio cellulare in modo parecchio insistente, era Dylan, sicuramente incazzato nero per il mio ritardo colossale
< devo veramente andare ora! Voi fate quello che volete, se avete abbastanza coraggio la piscina è pronta, ma l’acqua è ancora fredda! Ci vediamo oggi! >Esclamai uscendo di casa correndo. Mi preparai a sorbirmi una delle ramanzine lunghe e impegnative del riccio marroncino, ultimamente era fuori di se e non aveva che il video clip in testa.



 Arrivai davanti alla palestra in pochi secondi, grazie a Dio possedevo la mia straordinaria velocità, il ritardo altrimenti sarebbe stato ben peggiore. Appena entrai nella palestra l’odore di gomma e profuma ambienti alla vaniglia mi avvolse completamente. Mi sentii subito a casa. Dalla sala prove proveniva un chiacchiericcio continuo, che fossero già arrivati gli altri? Capii che si trattava solamente di Silver quando sentii la sua risata provenire dalla sala. Entrai con un sorriso innocente per tentare di non far notare il mio enorme ritardo
< Ohoh! Buongiorno blu! Sei in ritardo > fece notare con un sorriso stronzissimo il riccio argento, era seduto a gambe incrociate sul pavimento e stava giocherellando con un globo luminoso, apparso dal nulla sul palmo della sua mano.
< Sei molto gentile a farlo notare ma temo che non c’è ne sarà bisogno, giusto Dylan? > Risposi a tono sedendomi accanto a lui e tirandogli un lungo aculeo, con fare scherzoso.
< Giusto Sonic, quando imparerai ad essere puntuale mi considererò realizzato e ne sarò estremamente orgoglioso. Ma bando alle ciance, vi ho convocati qui prima degli altri perché devo proporvi una cosa > Tagliò corto l’insegnante alzandosi in piedi. Io e Silver ci lanciammo un’occhiata stupita e preoccupata, la cosa doveva essere molto importante per averci convocato così presto. Probabilmente si trattava dell’ennesimo concorso, un brivido di competizione strisciò tra le scapole facendomi rabbrividire.
Adoravo i concorsi, mettermi in gioco contro altri ballerini mi portava a dare sempre il massimo e oltretutto erano buone occasioni per conoscere gente nuova e stili di ballo differenti. Dylan continuò il discorso con semplicità
< Come avrete visto, è un periodo molto impegnativo per me, Il video clip mi sta facendo impazzire, la classe di classico è più numerosa rispetto agli altri anni e sto andando avanti a rilento a causa del poco tempo. Ho deciso perciò di affidare a voi, che siete i miei due ballerini migliori, una classe a cui insegnare, ve la sentireste? > Domandò serissimo in attesa di una risposta.
Per qualche secondo mi sentii completamente spaesato. Insegnante? Io? Mi stava già mettendo da parte per allevare ballerini più giovani di me?  Non ci sarebbero più stati concorsi e gare? Guardai trafelato Silver, il quale sembrava esser stato colpito con una padella in faccia.
< C-che classe? > Balbettai per prendere tempo e cercare di fare chiarezza, Dylan ci lanciò un’occhiata meravigliata, stupito dal nostro comportamento, probabilmente si aspettava salti e urla di gioia
< la classe femminile avanzato di hip-hop.  Pensavo di rendervi felici con questa decisione e invece guardatevi! Sembrate due neonati con le coliche! Di cosa avete paura? > Sbottò irritato portando le mani sui fianchi. Restai ancor di più sorpreso dalla classe che voleva affibbiarci: la classe avanzata femminile, da come si può capire dal nome, era composta da ragazze della nostra età che si occupavano di hip – hop, reggaeton e break dance. 
Era una classe con un livello di insegnamento molto buono, d’altronde se n’era occupato personalmente Dylan. Saremo stati in grado di alzare e mantenere il livello qualitativo dell’insegnante? Silver che non aveva aperto bocca fino a quel momento, si schiarì la gola
< d-dunque smetteremo di fare concorsi, video e lezione con te? > Mormorò in preda al terrore di essere rimpiazzato. Lo capivo benissimo, era la stessa paura che provavo io in quel momento, cosa ne sarebbe stato di me senza la danza? Il riccio nocciola sgranò gli occhi e ci guardò allibito per qualche secondo, per poi scoppiare in una fragorosa risata
< Temete che la vostra carriera sia già finita? Avete appena iniziato a firmare i documenti da soli! No ragazzi, continuerete a fare gare, esibizioni ecc. ecc. finché non supererete il vostro insegnate. Quando questo avverrà, potrete fare ciò che volete: insegnare o continuare a danzare. La decisione sarà vostra soltanto, ma vedrete che il tempo riordinerà le vostre idee e i vostri desideri. Al momento però mi servono due insegnanti che mi sgravino 6 ore di lezione a settimana. Pensate di farcela? >  Spiegò brevemente guardandoci accigliato. Un grosso peso si levò dal cuore e mi sentii immediatamente più leggero.
< Io accetto! Sarà divertente inventare nuove coreografie! > Esclamai entusiasta attendendo la risposta di Silver, il riccio in questione era pensieroso, ma dal sorriso disegnato sulle sue labbra avrebbe sicuramente accettato.
< D’accordo! Accetto anch’io nonostante sappia già che Blaze diventerà una focosa furia. > Rispose con un sorriso, leggermente preoccupato. Scoppiai a ridere immaginandomi Blaze avvolta da fiamme di gelosia che lanciava palle di fuco al riccio argento.
< Cosa ridi tu? Chissà cosa ne penserà Amy quando glielo dirai > rimbeccò con malizia Silver facendomi arrossire. Mi alzai in piedi e mi diressi alla finestra, fingendo di guardare l’esterno per nascondere l’imbarazzo, ben visibile nelle mie guancie.
< Cosa vuoi che pensi? Ha Justin e un sacco di problemi a cui pensare > risposi serio tamburellando le dita sulla finestra.
< Bhe, se devo essere onesto, non penso sia venuta qui solo per una vacanza estiva > continuò Silver con un sorriso sornione, facendo intendere che la sapeva lunga. “ No infatti, è scappata dal marito violento” pensai roteando gli occhi per l’ingenuità di Silver.
< A proposito di Amy, quando vai a casa puoi chiederle se può venire qui verso le 16.00? Ieri ci siamo scambiati due saluti, ma vorrei trascorrere un po’ di tempo con lei > Chiese con gentilezza Dylan con un sorriso gioioso. Voleva molto bene ad Amy, sia per il fatto che la conosceva da quando era piccola, sia per il fatto che era mostruosamente brava in ogni tipo di ballo ed eccelleva nella danza classica.
< Non c’è problema, anzi, penso che sarà molto felice > ribadii riacquistando sicurezza, mentre la campanella della porta tintinnava allegramente, chiaro segno che i miei compagni di ballo stavano arrivando a frotte.



Trascorremmo l’intera mattinata a provare e riprovare la coreografia, con nuove modifiche, nuovi cambi di posizione e nuove minacce del maestro. Mi divertii un sacco, tutte le sfide di equilibrio, forza e concentrazione mi facevano impazzire di felicità. Lo spazio limitato era una grossa sfida da superare, cercavamo di sfruttare ogni singolo cm di pavimento e volume, ma non erano poi così rari spintoni involontari o le cadute accidentali.
L’aria era satura di competizione e voglia di migliorare, in gran segreto ognuno cercava di superare gli altri, per ottenere la postazione centrale tra le prime linee. Postazione ben mantenuta da me e Silver, che la difendevamo con i denti e le unghie dopo averla guadagnata con fatica.
Devo ammettere che c’erano ballerini molto, molto bravi, da tenere costantemente d’occhio, d’altronde Dylan non aveva scelto gente a caso. Dopo un’intera mattinata e parte del primo pomeriggio a provare e riprovare, finalmente, il riccio nocciola decise la coreografia finale.
Era una sfida per tutti, nessuno riusciva a concluderla, nemmeno io. La complessità era data da un sacco di passi break veloci e faticosi, che ci lasciavano distrutti,ansimanti e notevolmente in ritardo con i passi che seguivano. L’unico che riusciva a destreggiarsi con grazia, equilibrio, potenza ed energia imparagonabile, era appunto il creatore della coreografia.
Dylan era un mostro, letteralmente, quando ballava la sala era tutta sua, nessuno riusciva ad eguagliarlo. Ogni volta che lo vedevo ballare, la voglia di diventare come lui aumentava sempre di più, era il mio obiettivo principale, volevo raggiungere il suo stile.
< Va bene, per oggi basta, anche se voleste non riuscireste a fare progressi significativi oggi. Ci vediamo domani perciò > concluse I’insegnante alzandosi dalla sedia.



Quando uscimmo dalla sala, eravamo tutti molto provati e soprattutto affamati. Notai con piacere che era una giornata luminosissima e limpida, ottima per andare a correre. Non vedevo l’ora di uscire con il piccolo e godermelo un po’. Ero molto incuriosito dalla sua supersonica velocità, oltre a me stesso non avevo mai visto altri bambini dotati della mia stessa capacità. E avere un piccolo così promettente in casa mi riempiva di orgoglio. Usciti dalla palestra, io e Silver, ci fermammo per qualche minuto a chiacchierare del nuovo incarico affidatoci da Dylan.
Ero molto più rilassato rispetto a prima, l’insegnante aveva ben chiarito i nostri ruoli, ma sapevo bene di non essere all’altezza del maestro. Silver condivideva i miei stessi timori,  propose perciò di chiarire meglio l’intera situazione con il riccio nocciola il giorno seguente.
Tornai a casa camminando lentamente, ero divorato dall’ansia per il nuovo incarico, non sembrava per niente facile! Arrivai davanti al cancello senza rendermene conto, sbattei le palpebre ritornando alla realtà quando riconobbi i muri di mattoni rossi.
Decisi di non pensarci più, almeno fino a stasera, avevo altri impegni ben più interessanti ora. Con gioia e con un certo entusiasmo premetti il campanello e dopo qualche secondo il cancelletto si aprii con un piccolo scatto. La porta d’entrata si socchiuse e dallo spiraglio fece capolino una massa di aculei blu e due occhi verde prato che mi scrutarono con attenzione. Appena si accertò che ero proprio io, con uno scatto degno di Bolt, il piccolo sfrecciò fuori verso la mia direzione fermandosi a pochi centimetri da me.
< Ciao Justin > lo salutai con affetto scompigliandogli i capelli già in disordine, accettò di buon grado il mio gesto per poi prendermi la mano e cominciare a trascinarmi verso casa con entusiasmo ed impazienza
< ciao Sonic finalmente sei tornato, ti abbiamo fatto una cosa! > Rivelò con soddisfazione conducendomi in cucina, non mollando la presa,
< davvero? Cosa avete preparato? > Chiesi incuriosito lasciandomi condurre dal piccolo fuori di se dalla gioia. Amy era inginocchiata davanti al forno, presissima dalle varie manopole del forno che continuava a ruotare un po’ a casaccio,
< ciao Sonic! Come è andata stamane? > Esclamò lanciandomi un sorriso da sopra la spalla, Justin spostò la sedia del mio posto abituale e con autorità mi ordinò di sedermi, cosa che feci immediatamente per farlo contento.
< Tutto bene dai, abbiamo lavorato come pazzi ma ne è valsa la pena, la coreografia sta prendendo forma > risposi omettendo la parte del nuovo incarico assegnatomi,
< bene! E’ carina? > Chiese con interesse visibilmente occupata a spegnere il forno e far uscire un involucro senza scottarsi.
< Si, è molto bella. Ehm … Ti serve aiuto? > Proposi notando le sue difficoltà nell’armeggiare il forno, scosse la testa con un sorriso, iper concentrata sulla pietanza. Con un gesto teatrale tolse il foglio di alluminio dal piatto e rimase a fissare il suo operato per qualche secondo
< oh no! > Mormorò sconsolata un secondo dopo emettendo un sospiro, il sorriso di Justin si spense quando si affiancò alla madre per vedere la loro creazione. Sentendomi in obbligo, mi avvicinai a loro per capire il motivo di tanta disperazione,
< l’ho bruciato ca … volo > esclamò con delusione la riccia rosa, scostandosi per mostrare il problema: su una teglia vi era posto un bruciacchiato e malformato pasticcio. La pasta si era annerita ai lati e la besciamella si era sciolta e seccata formando una crosta croccante. Era parecchio brutto a dir la verità, ma l’odore che emanava era un qualcosa di speciale.
< Ma va, guardalo! E’ così … particolare! > Mentii non trovando aggettivi per descriverlo, Justin riprese il sorriso contento che apprezzassi la sorpresa. La riccia rosa non ne era affatto convinta e guardava la teglia indecisa sul da farsi. Per sfumare i dubbi presi una forchetta e ne tagliai una fettina, per poi infilarmelo in bocca, nonostante mi ustionò la lingua e il palato era delizioso.
I due ricci mi guardarono serissimi in attesa di un qualsiasi commento,
< buono, molto buono, è perfettamente commestibile > mi complimentai con la lingua in fiamme, tentando di non lacrimare per il dolore.
< Ottimo! Bene allora, portate i piatti > ordinò con sollievo Amy preparando il coltello.
< Voi dovete ancora mangiare? > Chiesi con stupore notando solo in quel momento che la tavola era apparecchiata per tre,
< si, volevamo mangiare assieme a te così ti abbiamo aspettato > mi rispose Justin con un sorriso mentre porgeva diligentemente il piatto alla madre.
< Oh, siete stati gentilissimi ma non dovevate aspettarmi, sono quasi le 3! La prossima volta iniziate pure senza di me > risposi con gentilezza anche se in verità avevo apprezzato moltissimo il gesto. La riccia scosse la testa per la mia risposta,
< non è stata gentilezza la nostra, volevamo stare con te, potevi arrivare anche alle 5 e noi avremmo aspettato > esplicitò decisa mentre si univa a noi a tavola, il rossore le invase le guancie appena concluse la frase e con coraggio mi guardò per osservare la mia reazione.  Un profondo senso di gratitudine  e felicità si espanse per tutto il mio essere, non avevano idea dell’importanza che davo a quel gesto, mi sentii accolto tra loro, ero importante per le due persone che amavo di più in assoluto!
Non riuscii a nascondere un sorriso che nacque dalla gioia più immensa e pura. Senza tante esitazioni e spinto da una raffica di emozioni indescrivibili e molto forti, le afferrai la mano e gliela strinsi,
< grazie > mormorai con sincerità guardandola senza esitazione negli occhi.
Arrossì maggiormente dal mio gesto e con un sorriso imbarazzato ricambiò la stretta. 


Spazio autrice: Buonasera! Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento. Fatemi sapere se ci sono errori e migliorie da fare, ve ne sarei molto grata.
Qui sotto c'è c'è un vecchio disegno che ho fatto (cavolo è uscito storto) per chi fosse interessato a comprendere meglio i personaggi. (E qui ringrazio Shinici Ran Amore per il consiglio, Grazie Shin! )
A presto, baci!


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Capitolo 11
*** Passato ***


Il pomeriggio limpido e assolato indicava un’ottima giornata per la corsa e Sonic era entusiasta come pochi per la promessa fatta quella mattina: andare a correre con il nuovo piccolo ospite.
Era molto incuriosito dal quel bambino color del mare, tanto scaltro quanto veloce, ed era ancor più interessato dalle sue capacità supersoniche. In fondo, non aveva mai conosciuto un altro essere che vantava dei suoi “poteri”e trovarsi il figlio di Amy con le stesse caratteristiche lo riempiva di gioia ed incredulità per la coincidenza.
Avvisata la madre dell’invito di Dylan, che dopo aver preparato Justin aveva cominciato ad elencare una lunga lista delle cose che non dovevano fare, furono pronti per partire.
< Vuoi iniziare a correre adesso o prima arriviamo al parco? >Domandò con premura, indeciso se partire di corsa in quel preciso momento o se camminare un po’ per riscaldare i muscoli. Per lui non era un problema partire senza tante preparazioni, ma non era molto sicuro quanto fosse salutare per il piccolo. Poteva rischiare uno stiramento o uno strappo o chissà che altro ancora.  
< Partiamo subito! 1,2,3, via! > E detto ciò Justin sparì in una scia luminosa, seguito a ruota da Sonic che lo raggiunse qualche secondo dopo, sorpreso dalla carica esplosiva di quella peste. Non era per nulla difficile stare al suo passo, doveva ammetterlo, era piuttosto veloce, ma l’età al momento frenava la sua capacità.
Il riccio adulto lo sorvegliava e lo guidava con attenzione maniacale, non era ben sicuro che il piccolo riuscisse a scansare tutti gli ostacoli che gli si paravano di fronte. Che fosse un albero o una persona, a quella velocità tutto era uguale, solo i colori restavano invariati ed era con quelli che riusciva a districarsi tra la folla.
La felicità di Justin era esternata attraverso un sorriso immenso, seguiva l’adulto con attenzione e quando non riusciva a sbrogliarsi dalla quantità di gente, si incollava alla mano di Sonic, sicuro che l’avrebbe “tratto in salvo”.
  E Sonic adorava quei momenti, si sentiva utile e poi gli piaceva insegnargli a destreggiarsi tra la gente, aiuole e traffico. Arrivarono al parco qualche minuto dopo, il posto era pieno di gente, chi giocava, chi suonava, chi disegnava, chi ascoltava musica. Sembrava che tutta la città si fosse radunata al parco nello stesso istante. Rallentò di poco per capire in che condizioni stesse il suo piccolo allievo, non voleva stancarlo troppo, magari poi rischiava di ammalarsi e in quel caso chi l’avrebbe sentita  Amy?  
< Tutto ok o vuoi fermarti un po’? >
< Non di già! Corriamo ancora ! > Lo pregò Justin, effervescente come una bottiglia di acqua frizzante. Non gli pesò affatto accontentarlo, perciò senza alcuno sforzo accelerò puntando ad un grande prato un po’ in pendenza, che costeggiava il fiume. A causa dell’erba non falciata, il prato era isolato dalla gente, lasciando libero spazio di manovra a lui e a Justin. Corsero come forsennati, anzi a pensarci bene non ricordava da quanto tempo non si dedicava così tanto alla corsa come quel giorno. Amava correre quanto la danza, la differenza stava che con la seconda ci lavorava e la prima era relegata a semplice hobby. E ultimamente non aveva avuto né tempo né voglia di esercitare questo hobby. Si ripromise però di dedicare più tempo alla sua capacità, sia per mantenersi allenato (anche se non ne aveva praticamente necessità) sia per trascorre tempo prezioso con il piccolo.
Il quale, a causa dell’erba alta, del caldo e della giovane età, cominciava a sentirsi piuttosto stanco. Infatti la velocità dei due fu rallentata fino alla camminata, la vegetazione secca li intralciava continuando a farli inciampare, fortunatamente però, non mancava che qualche metro all’ombra del grande salice piangente abbarbicato sulla sponda.
Sonic prese in braccio Justin negli ultimi metri, portandolo sotto i rami che sfioravano il terreno con le loro lunghe foglie. Sentiva il piccolo cuoricino battere all’impazzata per la fatica e il respiro affannoso. Era sorpreso dalla resistenza e dalla sua velocità, aveva solo 4 anni ma dava parecchio filo da torcere ai normodotati. Il cuore gli si gonfiò d’orgoglio, anche se non era suo figlio, Justin aveva un posto speciale nel suo cuore e il legame che stavano instaurando dimostrava che anche il piccolo voleva parecchio bene a lui.
Il fiume non era tranquillo, le ultime piogge lo avevano ingrossato e l’acqua turbinosa era marrone a causa della terra e dei sassi sollevati dal letto. Per evitare qualsiasi incidente si sedettero a qualche metro di distanza dalla sponda, tra le radici dell’albero e l’erba secca.
< Wow, sei velocissimo Justin! Tra qualche anno farò fatica a starti dietro > esultò il riccio blu porgendogli la mano per schioccare un batti cinque, il diretto interessato schiacciò la piccola manina sulla sua divertendosi moltissimo nel far ciò.
< Lo pensi davvero? Dici che un giorno potrò diventare veloce quanto te? > Domandò con ingenuità aggrappandosi al collo del riccio
< certo! Perché no? Magari diventerai ancor più bravo! > Rispose l’adulto stringendolo a se con affetto, il piccolo gongolò di gioia alla notizia e ricambiò l’abbraccio, dopodiché, cominciò a giocherellare con un lungo aculeo di Sonic, dividendolo in aculei più sottili ma ugualmente robusti.
< Ti sei accorto che abbiamo lo stesso colore della pelle? >Chiese con un sorriso il piccolo, cogliendo il riccio blu di sorpresa. Si, lo aveva chiaramente notato, non era cieco, ma questa bellissima coincidenza non sarebbe durata a lungo. Con l’età il riccetto sarebbe scurito assumendo la tonalità notte del padre, Jason. In cuor suo sperava che questo avvenimento accadesse il più tardi possibile, ma era inevitabile, i geni si sarebbero chiaramente mostrati.
< Si Justin, potresti essere la mia fotocopia in miniatura! > Ironizzò con un sorriso sincero, mettendo a confronto un suo aculeo con uno del bambino. Risultarono perfettamente uguali, anche la consistenza e il riflesso metallico era identico. La differenza stava nella lunghezza e nell’elasticità, quelli del piccolo erano molto meno rigidi rispetto ai suoi. Una minuscola, impensabile  e stupidissima scintilla di speranza si accese nel suo cuore, scintilla che si premurò di spegnere subito per non cadere in un’illusione tanto bella quanto dolorosa. 
< Jason non mi ha mai portato a correre > confessò con un doloroso imbarazzo Justin, inginocchiandosi accanto ad un formicaio e cominciando a distruggerlo con un bastoncino. Un nodo di agitazione e paura si formò in fondo alla gola di Sonic, si sentiva terribilmente impotente di fronte a queste confessioni. Cercava sempre di non condannare i comportamenti di Jason, mostrandolo come un padre impegnato e molto occupato ma si trovava a sbattere contro un muro di paura e dolore invalicabile. Ed era proprio quel muro a terrorizzarlo tanto.
La sua coscienza gli consigliava di prendere nota di ogni parola e gesto, per poi riportarlo alla madre e discuterne con lei, ma era terrorizzato dalla possibilità di tradire la fiducia che Justin aveva in lui. Insomma, non era un campo facile e considerato il ruolo che aveva nella vita del piccolo, non se la sentiva di affrontare discorsi così delicati in mancanza di Amy.
< Probabilmente ha poco tempo, sai, il lavoro porta via molte energie > tentò di giustificare senza convinzione per non creare danni,
< Jason non lavora, è stato licenziato ancora molto tempo fa > rispose con inusuale freddezza nella voce, non aveva mai sentito un bambino parlare con quel tono così deciso e glaciale. La risposta lo lasciò senza parole, si sentì terribilmente coglione per non trovare nemmeno una parola di conforto o una scusante da dire ad un bambino di 4 anni. Con terribile dispiacere per Sonic, il bambino andò avanti a ruota libera, imperterrito e con tono sempre più grave,
< beve sempre della strana coca cola amara, una volta me l’ha fatta assaggiare ma non mi è piaciuta, diventa molto cattivo e pericoloso però quando la beve > esclamò senza dare peso eccessivo alla frase, spingendo il bastoncino dentro alla terra con forza e determinazione. L’adulto ascoltava in silenzio, capendo con preoccupazione che la situazione non era migliorabile, avrebbe potuto dire qualsiasi cosa in difesa di Jason, ma niente e nessuno avrebbe potuto far cambiare idea al piccolo.
Le formiche impazzite dall’improvvisa distruzione del nido, brulicarono ovunque, tentando invano di mettere al riparo le uova e le pupe. Lo sguardo di Justin era perso e vacuo, aveva perso interesse per il formicaio e in quel momento stava guardando  gli insetti che scappavano. Anzi, non era sicuro che stesse guardando qualcosa, i suoi occhi verdissimi avevano perso la scintilla di gioia di qualche attimo prima e ora si mostravano terribilmente profondi e vuoti.
< La mamy piange a volte, la sento di notte, ma non posso entrare nella stanza perché in quei casi è chiusa a chiave e poi  Jason non vuole che entri > esplicitò dopo qualche minuto di silenzio. Un brivido freddo gli strisciò lungo la schiena, non si era mai sentito così impotente in vita sua, era sempre riuscito a trovare parole o gesti di conforto per tutti, ma in quel momento non trovò nulla da dire al bambino. Cosa poteva dirgli? Che tutto si sarebbe sistemato? Che Jason sarebbe cambiato? Che suo padre in fondo gli voleva un gran bene? Che i suoi genitori si amavano e col tempo tutto sarebbe passato? Avrebbe potuto benissimo mentire, l’inconveniente è che Justin l’avrebbe ascoltato ma non ci avrebbe creduto.
Dopo un attimo di pesante silenzio da parte di entrambi, Sonic con la coda dell’occhio notò che le formiche si stavano arrampicando sulle gambe del piccolo, il quale era così preso dai suoi pensieri da non rendersene nemmeno conto.
< Justin! Attento! >Esclamò balzando in piedi per scrollargli via gli insetti. Nello stesso istante il bambino tornò in se, accorgendosi solo in quell’attimo che le formiche lo stavano letteralmente invadendo. Preso dal panico scattò sul posto e iniziò ad urlare, scacciandole terrorizzato. Nel far ciò, indietreggiò di qualche passo, dimenticando che dietro di se la discesa portava al fiume mosso e gonfio.
La radice del vecchio e nodoso salice diventò così un pericoloso ostacolo in cui Justin inciampò, e rotolando più veloce di quel che le gambe gli permettevano solitamente, cadde nelle acque marroni e fangose del corso d’acqua.


Amy controllò per la settantesima volta il cellulare nel giro di un’ora, nella speranza di ricevere un messaggio da Sonic in cui le confermava che Justin stava bene. Ma nemmeno per la settantunesima volta apparve la notifica di una chiamata o di un messaggio.
Si impose di rilassarsi e di non pensarci, in fondo era nelle mani del riccio più veloce del creato e inoltre si stava dimostrando molto più responsabile di quel che sperava. Controllò l’orologio e notò che mancava un quarto d’ora all’atteso appuntamento con Dylan. Era entusiasta, non aveva avuto modo di parlargli con più calma e a quattr’occhi della situazione delicata e ora sentiva la necessità di “confessarsi” per ottenere un consiglio dalla persona che meglio conosceva Sonic.
Perciò dopo essersi preparata velocemente uscì di casa e si diresse in palestra, fortunatamente non troppo lontana dalla sua nuova dimora. Il tempo era veramente meraviglioso, la temperatura era ottima grazie alle ultime piogge che avevano rinfrescato l’aria. Decise che quella sera avrebbero cenato in giardino, il tavolo e le sedie c’erano, bastava soltanto una veloce pulita. Stava giusto pensando a cosa cucinare quando si trovò di fronte all’entrata dell’edifico.
Aprì la porta principale e la campanella appesa al soffitto tintinnò allegramente. La palestra era piena di donne di tutte le età che si muovevano a ritmo di musica in una strana ed impegnativa danza. La ragazza avanzò  nel corridoio e sbirciò incuriosita l’interno della sala, per capire che razza di ballo stavano facendo. Notò con piacere che l’insegnate era Ginevra, il giudice che avevano conosciuto al primo concorso di danza lei e Sonic. Non era cambiata molto, gli occhi viola erano ancora carichi di un’energia contagiosa, la pelle color grigio perla non mostrava nessun segno del tempo. Felice di vederla, Amy si appuntò di salutarla una volta concluso il colloquio con il riccio nocciola.  
Affidandosi alla memoria salì le scale che portavano al secondo piano. Il profumo di vaniglia della sala, venne sostituito lentamente dall’odore di tabacco e da un forte odore di resina, dovuto probabilmente da un profuma ambienti troppo intenso. Bussò alla porta e attese quietamente che qualcuno aprisse. Sentì dei passi decisi avvicinarsi e poi la porta si spalancò, facendo emergere il riccio nocciola con i capelli raccolti da una molletta.
< Ciao Dylan! Perdonami per l’anticipo > esclamò la ragazza con un sorriso,
< Ciao Amy! Tranquilla, sei in perfetto orario, accomodati! > Tranquillizzò l’insegnante facendo strada verso il salotto. La casa era ordinatissima e pulitissima, aveva un che di esotico con le lampade di sale sparse ovunque. Un bacchetto di incenso bruciava lentamente sopra il tavolino di vetro, il fumo, denso e legnoso, saliva in una spirale sottile. Un portacenere di cristallo era posato sullo stesso tavolino, pieno di filtri anneriti e cenere.
Si sedettero sul divano di pelle color caffelatte, uno di fronte all’altra,
< come ti trovi a Mobius? Hai fatto un giro al centro? Hai visto i cambiamenti che hanno fatto? > Iniziò Dylan appoggiandosi allo schienale che emise un piccolo scricchiolio.
< No, non ho ancora avuto modo, ma ho intenzione di andarci presto. Ho già notato alcuni piccoli cambiamenti a dir la verità, ma mi pare che non sia stato stravolto nulla > rispose dubbiosa la ragazza, riflettendo su quello che aveva visto da quando era arrivata. Il riccio nocciola annuì
< bhe vedrai molto presto, appena farai un giretto al centro, li hanno stravolto praticamente tutta la piazzetta. Ma andiamo al sodo, ti ho invitato qui oggi perché gradirei spiegazioni riguardo ad alcuni eventi che sono successi anni fa. Voglio chiarire la situazione una volta per tutte, sia per capire come devo comportarmi, sia perché vi voglio un gran bene e desidero personalmente conoscere i fatti che ci hanno portato ad oggi. E poi ho altre due cosette di minor importanza da dirti > spiegò brevemente il riccio, unendo i polpastrelli delle mani e socchiudendo gli occhi in cerca delle parole giuste da dire.
Amy, rimasta in silenzio per tutto quel tempo annuì
< si, ho anch’io alcune domande da farti > replicò determinata accavallando le gambe.
< Ok, bene, prima domanda che ti faccio: Justin è figlio di Sonic, non è vero? > domandò con interesse e un pizzico di nervosismo Dylan.
< Si, è figlio suo > confermò la ragazza, non riuscendo a nascondere un sorriso felicissimo.
< E il padre non sa nulla immagino > continuò l’insegnante perplesso,
< no, non sa nulla, per il momento > rispose con un certo imbarazzo la riccia, sapeva bene che più il tempo si dilungava più sarebbe stato difficile confessare una notizia così grossa. Ma al momento non riusciva nemmeno a fare una conversazione normale col riccio senza sentirsi affondare nell’imbarazzo e nell’ansia, figuriamoci metterlo al corrente di una notizia così importante. Bastò l’occhiata accigliata di Dylan per darle la conferma che la situazione era veramente critica.
< E quando glielo dirai se si può sapere? > Domandò l’insegnante con preoccupazione, sollevandosi dal poggia schiena a disagio
< presto, molto presto. Appena ci sarà l’occasione > rispose titubante, cercando di apparire più sicura di quello che era in realtà. Dylan non rispose e si limitò ad alzarsi, avvicinandosi ad una credenza,
< presumo che Sonic abbia perso la testa per Justin, giusto? D’altronde ha sempre adorato i bambini > ragionò a voce alta cominciando a trafficare con tazze da the, cucchiaini e zuccheriera.
< Già, mi hanno stupito entrambi. Solitamente Justin è introverso con gli adulti, invece con lui è così … aperto e spontaneo. Ricordavo che a Sonic piacciono i bambini, ma non pensavo fino a questo punto! Si comporta più da padre che da “zio” o “amico” e ammetto che mi sta aiutando in modo incredibile. Sarebbe un bravissimo papà > esclamò con aria sognante la riccia, immaginando scene di vita quotidiana tra lei e i due ricci blu. Dylan mise a scaldare l’acqua per il the e iniziò a tagliare un limone,
< si, hai ragione, sarebbe proprio bravo. E …  con te come si approccia? > Domandò con interresse mentre spremeva l’agrume con energia. Amy arrossì, non aveva risposte concrete e tangibili, la sua mente in quell’aspetto era annebbiata e confusa, sentimenti forti tornavano a galla dopo anni e lei, non sapendo bene come gestirli in quella situazione, li stava segregando in uno spazio ristretto del suo cuore.
< Oh bhe, normalmente, credo. Siamo, ehm, buoni amici, ammetto che l’imbarazzo è tangibile ma per il resto è tutto ok > concluse sbrigativa, desiderosa di passare alla prossima domanda. La risata roca e spontanea di Dylan, causata dalla risposta così evasiva, si diffuse per tutto il salotto, facendo arrossire ancor di più la ragazza diligentemente composta sul divano. 
< Per “normalmente” cosa intendi di preciso? Posso considerarvi una coppia o siete solo coinquilini? > ribatté il riccio puntando a fare chiarezza mentre infilava la bustina di the nell’acqua bollente,
< siamo solo coinquilini > precisò con cura la rosa, portando un po’ di ordine anche dentro di se. Dylan evitò di esprimere il suo giudizio, ci credeva poco in effetti, ed era convinto che quei due sarebbero presto tornati assieme. Per amore tra loro due o per il figlio, in qualche modo, la coppietta si sarebbe riunita.
Continuò le domande, deciso a placare i suoi dubbi e la sua curiosità.
< Come mai te ne sei andata 5 anni fa? >Fu la domanda spontanea dell’insegnante, seguita da un’occhiata intensa per capire lo stato d’animo della sua allieva. Amy sospirò, si pentiva amaramente delle scelte fatte in passato, certo si erano rivelate giuste all’epoca, ma non si dava pace per la poca sincerità con cui aveva affrontato eventi così grossi ed importanti.
< Me ne sono andata perché ero incinta, non di Sonic però, almeno credevo così all’epoca > mormorò la riccia mentre le gote le si coloravano di porpora. Parlarne non era facile, si vergognava moltissimo per l’enorme cazzata che aveva fatto e ammetterlo era sempre doloroso. Dylan rimase sbalordito, sgranò gli occhi e si volto verso la sua direzione, incredulo dalle parole della riccia,
< cioè pensavi di essere incinta di Jason e così sei scappata perché temevi che Sonic non l’avrebbe accettato? > descrisse in modo semplice e chiaro l’insegnante.
La riccia con il cuore in gola e gli occhi chiusi annuì,  rivisse in trenta secondi un lungo flashback, si rivide da ragazzina, quando chiusa nel bagno faceva  l’ennesimo  test di gravidanza, rivelandosi anch’esso positivo come i 5 precedenti. Si rivide anche quella sera che partì in gran segreto, armata di una misera valigia e vestita di disperazione.
Non ricordava per quanto aveva pianto, ricordava invece il lunghissimo viaggio notturno in compagnia di Jason, non molto felice della sua gravidanza e del meraviglioso cielo stellato che brillava sopra alla sua testa.
Ricordò con gioia il pancino che si gonfiava  giorno dopo giorno, assumendo la dolce forma di una piccola anguria e ricordava perfettamente i primi calci del piccolo, inaspettati come una rosa in inverno. Ricordò perfettamente, o quasi, il parto e la scoperta qualche ora dopo, della straordinaria somiglianza con Sonic: i suoi occhi erano già di un accecante verde magnetico.

Scosse la testa tornando al presente, felice che il passato fosse passato e il presente fosse ancora tutto da plasmare.
< Non solo per questo, all’epoca avevo già messo in vendita la mia casa, io e Sonic convivevamo già, poteva benissimo buttarmi fuori, avevo il figlio di un altro in pancia. Non l’avrebbe mai fatto è vero, ma comunque Justin non sarebbe stato suo figlio. Appena seppi che Jason si trasferiva per lavoro colsi la palla al balzo,  almeno il piccolo avrebbe avuto sia il legittimo padre, sia un tetto sopra la testa. > Spiegò brevemente la riccia cercando di far capire la situazione delicata in cui si era trovata.
Si sentiva più leggera, aver raccontato la sua storia era come essersi tolta un masso enorme dal cuore. Dylan scosso dalla storia, le servì il the, leggermente sorpreso e dispiaciuto per quello che la riccia aveva dovuto passare. Si ricordava benissimo la fatica di tirar su un cucciolo da solo, con Sonic non era stato facile, soprattutto per il caratterino particolare di cui era munito.
Sperava per Amy che, almeno per quel verso, Justin non avesse preso dal padre.
Si creò tra i due un momento di profondo silenzio, la ragazza approfittando dell’occasione  prese parola, decisa di farsi raccontare i fatti accaduti dopo la sua partenza,
< spiegami tu ora, cosa è successo quando me ne sono andata? > domandò fingendo una certa disinvoltura, in verità stava ardendo di curiosità, era affamata di ogni singola informazione che poteva apprendere, le sembrava di recuperare una minima parte del tempo perso.
Dylan sospirò, neanche quello era stato un periodo molto felice per certi versi,
< bhe, come hai visto i ragazzi si sono “riprodotti”, o meglio, si sono clonati. Ricordo ancora Blaze quando veniva in palestra a prendere Silver col pancione, sembrava stesse per esplodere da un momento all’altro. Knuckles e Rouge hanno preso la casa nuova, Ginevra è venuta a vivere da me e abbiamo iniziato nuovi corsi di ballo … è stato un anno movimentato e piuttosto malinconico. Mancavi a tutti rosellina, tua cugina era disperata, Silver e gli altri erano molto preoccupati. Effettivamente sei sparita dal nulla, preoccuparsi è anche normale dopotutto > Descrisse a grandi linee l’insegnante, bevendo un sorso della bevanda calda.
La riccia aggrottò la fronte alle parole del suo interlocutore,
< quando sono arrivata a Gout City, cioè il giorno seguente, ho chiamato Sonic e gli ho detto che me n’ero andata. Non v’è l’ha detto? > Chiese incredula mentre un imbarazzato Dylan si grattava il collo, colto da un improvviso e fastidioso prurito.
< Il giorno dopo, ci siamo accorti che c’era qualcosa che non andava quando tu e Blu non vi siete presentati a danza e men che meno rispondevate a messaggi o telefonate. Così, verso sera, ci siamo fiondati a casa vostra per capire che fine avevate fatto. Sinceramente pensavamo di trovarvi in piscina o comunque nelle vicinanze, peccato che le cose non andarono così > rispose mogio il riccio nocciola guardando il fondo della sua tazza con sguardo assente. La riccia si preoccupò terribilmente per quello o meglio per chi avevano trovato quel giorno all’interno. Diede il tempo a Dylan per ricordare e trovare le parole giuste, sapeva bene che Sonic era il suo diletto e lo considerava quasi suo figlio, non doveva esser stato facile per lui trovarlo in uno stato pietoso.
< Quando siamo entrati la casa era sottosopra, era tutto rotto, le vostre foto erano sparite, vasi per terra, cuscini strappati, tavola capovolta, sedie spaccate, bottiglie vuote a terra, … sembrava che fosse passato un tornado. Ci dividemmo e cominciammo a cercarvi. Lo  trovai io, in bagno, ubriaco marcio, appoggiato al wc che vomitava anche l’anima. Aveva le guancie decomposte a furia di piangere, due occhi rossi che non ti dico e ha continuato a biascicare “l’ho persa, se n’è andata” per ore. Poi il resto presumo tu lo sappia, ha smesso di ballare, era sempre ubriaco e fumato, si è fatto il piercing, rasato completamente i capelli, tatuaggi a gogò, donne a non finire. Sei mesi dopo ha fatto a botte con Silver. E’ stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Così l’ho cercato per parlarci, ero molto preoccupato dal suo atteggiamento, si stava rovinando la vita con le sue mani, non poteva continuare così. Quando l’ho trovato abbiamo iniziato una lunga discussione, finché il discorso non è degenerato e siamo arrivati alle mani. >  Concluse semplicemente il riccio nocciola, come se fosse stata una cosa di poco conto.
Amy era sbalordita dal racconto, soprattutto dalla parte finale, mai avrebbe immaginato che Dylan fosse uno da menar le mani, soprattutto sul suo figlioccio! E mai si sarebbe aspettata che Sonic alzasse i pugni contro il suo patrigno.
Si sentiva colpevole per il dolore che gli aveva procurato e per quello che si era fatto. Si chiese anche se risiedere in casa del riccio fosse indicato o meno suoi confronti. Non che lei non avesse sofferto da quando se n’era andata, ma il bambino aveva richiesto tutta la sua concentrazione e tutto il suo tempo, non aveva avuto modo di pensare al suo ex compagno.
 L’insegnante concluse il suo the ormai freddo e si rivolse di nuovo alla riccia, vedendola profondamente assorta nei suoi pensieri,
< stupita? > Le chiese notando l’espressione persa che aveva assunto la rosa.
< Si, non mi aspettavo un simile comportamento da parte sua, da come lo descrivi non sembra nemmeno lui > giustificò la riccia, avvolgendo una ciocca di aculei sull’indice con fare nervoso. Dylan annuì, rivivendo la dolorosa scazzottata avvenuta anni fa.  Dopo essersi pestati e dopo averlo minacciato di escluderlo fuori dalla sua vita, il riccio blu era tornato più o meno quello di sempre. Si era completamente spento, sia nella danza sia nella vita. Ricordava perfettamente gli occhi vuoti e vacui che aveva avuto in quel periodo, oltretutto senza l’orgogliosa massa di aculei che lo caratterizzavano, si mostrava come l’ombra di quello che realmente era.
Stanco di ricordare periodi infelici decise di intavolare un nuovo discorso,
< bene! Ora che conosci tutti i fantasmi del passato, passiamo ad un’altra questione più urgente > e detto ciò si sporse in avanti con fare molto serio. Amy si preoccupò di quell’atteggiamento, non stava ad indicare nulla di buono o di facile.
< Mi è arrivato l’avviso di un provino per la parte di Odette. Voglio che tu ci prova, come sei messa col classico? > Domandò con una certa ansia l’insegnante, sperava ardentemente che accettasse la sua proposta, la riccia, da quel che ricordava, aveva le carte per qualificarsi tra le finaliste. E se fosse passata, il prestigio della scuola sarebbe notevolmente aumentato.
Con un sorriso divertito la riccia chiarì dal principio la situazione
< te l’ho già detto, rifiuto l’offerta. Con Justin non posso permettermi certi orari. > spiegò con determinazione, decisa a mantenere salda la sua posizione. Purtroppo per lei il suo insegnante era molto, molto convincente. Dylan sbuffò scocciato, aveva già programmato tutto cavolo!
< Lo tiene Sonic, qual è il problema? > Continuò con ingenuità il riccio nocciola, cercando in tutti i modi di dissuadere la sua allieva. Amy sgranò gli occhi,
< così dopo tre ore passate assieme distruggono l’intera casa nell’intento di cucinarsi i chily dog >sbuffò incrociando le braccia, immaginandoseli in preda al panico di fronte al forno in fiamme.
< Ma figurati!Sii più fiduciosa in loro! > Tentò di nuovo l’insegnante, pregando l’entità divina che mandasse alla rosa un qualche segno per convincerla a partecipare. La quale, vedendo che le rimaneva gran poche possibilità di scampo, si rifugiò dietro ad un banalissimo “ti dirò tra qualche giorno”.
La discussione finì li, l’insegnante era sicurissimo che con un po’ di insistenza alla fine la riccia avrebbe accettato, mentre Amy si chiedeva quanto fosse rischioso lasciare nelle mani di Sonic il suo piccolo per così tanto tempo.
< E poi c’è un’altra cosa che volevo  “accennarti” > mormorò a bassa voce il porcospino nocciola, grattandosi una tempia con fare imbarazzato e impacciato. La ragazza si riaccomodò stupita dal comportamento assunto dal riccio, era la prima volta che lo vedeva così a disagio, decise perciò di restarsene in silenzio per dargli il tempo di organizzare un discorso. Dal canto suo l’insegnante deglutì e si impose di trattare l’argomento con semplicità,
< bhe, ecco vedi, come sai è da tanto che io e Ginevra stiamo assieme, oltretutto cominciamo ad avere una certa età e perciò abbiamo deciso d-di sposarci > concluse la frase trattenendo il respiro. Si sentiva estremamente vulnerabile, si era già sposato una volta e il fatto di doverlo fare una seconda, lo rendeva inquieto e ansioso come non mai. Aveva il profondo e insensato terrore che gli avvenimenti passati potessero ripetersi. Non avrebbe retto di nuovo un simile dolore.
Amy accolse la notizia con un sorriso enorme, Sonic glielo aveva già anticipato ma sentirlo dire dal diretto interessato era tutt’altra cosa
< Dylan!Ma è fantastico! E a quando il grande passo? > Chiese con trepidazione ed una certa impazienza,
< Il 15 settembre > rispose lui con le guancie in fiamme, accarezzandosi gli aculei imbarazzato,
< wow! Non manca molto! Avete già preparato tutto? > domandò incuriosita, pronta ad offrire il suo aiuto in caso di bisogno.
< Quasi, anzi probabilmente tra qualche giorno Ginevra vi convocherà per aiutarla a compilare gli inviti … ce ne sono a centinaia > sospirò con rassegnazione il futuro sposo, immaginando già le sfilze di parenti con cui avrebbe dovuto relazionarsi.
Amy rise per lo sguardo preoccupato che aveva inconsciamente assunto Dylan e tentò di tranquillizzarlo
< Oh vedrai, sarà il giorno più bello della vostra vita! Sono molto felice per te, meriti una gioia così grande dopo tutto quello che ti è successo > concluse lei stringendogli una mano fiduciosa. Si sentì subito un pochino più sollevato, per tutta risposta l’insegnante le sorrise grato per le parole di conforto, cercando in tutti i modi di convincersi definitivamente che tutto sarebbe andato nei migliori dei modi. Guardando l’orologio incuriosita, la rosa si accorse che era passata più di un’ora da quando era arrivata e che probabilmente i suoi coinquilini dovevano essere arrivati a casa da parecchio tempo.
Balzò in piedi, desiderosa di tornare nella sua nuova casa  per riunirsi alle due fotocopie,
< Dylan, devo scappare! Mi ha fatto molto, molto piacere discutere con te e se avrò altre domande verrò a chiedere a te. Per i provini ti saprò dire, devo pensarci bene prima > concluse la riccia con un sorriso sincero. Il porcospino, riprendendosi dal momento di panico appena affrontato, la accompagnò alla porta
  < Anche a me ha fatto piacere, hai chiarito molti miei dubbi. E poi, ripeto, sono felice che tu sia tornata, ci sei mancata un sacco Amy! >.
 

Spazio autrice: Buonasera a tutti! Come avrete notato da questo capitolo sono passata alla terza persona, ho faticato un sacco a buttarlo giù, ma devo ammettere che il punto di vista esterno da molti meno limiti rispetto alla prima persona. Ora, considerato il fatto che è il primo scritto in terza persona che faccio, spero di cuore che sia decente. Questo capitolo spero possa portare un po' di chiarezza nella trama.  Consigli e critiche sono ben accette! Soprattutto i primi. Detto ciò, buona serata. Baci!

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Capitolo 12
*** Acqua, fango e foglie ***


Justin “volò” letteralmente nel fiume. Non era riuscito ad aggrapparsi ad una delle tante radici sporgenti e l’erba alta non era riuscita ad impedirgli o rallentargli la caduta. Le onde alte ed impetuose del fiume lo avevano inghiottito in pochi secondi e come in vortice lo avevano spinto verso il basso.
La corrente fredda e torbida lo trascinò sul fondo, dove uno spesso strato di fango appiccicoso gli cementò le gambe impedendogli di tornare a galla. Il poco ossigeno presente nel suo corpo si stava velocemente consumando, i polmoni ben presto cominciarono a richiedere ossigeno sempre con maggior intensità. Il piccolo era in preda al panico più totale, cominciò ad agitare le braccia e le gambe, tentando disperatamente di sbloccarsi da li.
Il freddo e la forza dell’acqua lo stavano spolpando di ogni energia, inoltre necessitava urgentemente di respirare. Le sue disperate bracciate divennero sempre più lente e faticose. I polmoni gli bruciavano come se gli fosse esplose un incendio sottopelle. Il suo stato di salute peggiorò quando un pesante  ed improvviso dolore al petto rallentò ancor di più i suoi già scarsi movimenti e lo costrinse ad respirare un po’ di acqua.  Ma ad un tratto, un’ondata più forte delle altre trascinò via una parte del fango che lo tratteneva sul fondo, liberandogli parzialmente le gambe.
Gli bastò per staccarsi dal fondo, tornare velocemente a galla e trarre una grossa boccata d’aria. Provò ad avvicinarsi alla riva a forza di gambe ma fu come tentare di svuotare il mare con un cucchiaio, la corrente lo trascinò immediatamente con se.
Sonic gli aveva sfiorato il braccio durante la caduta, per un solo millisecondo era riuscito a toccarlo ma era stato incredibilmente troppo lento. In quel momento era a pochi centimetri dal fiume terrorizzato, con gli occhi fuori dalle orbite  e in preda all’ansia più profonda che avesse mai conosciuto. L’acqua era una delle sue paure più grandi, non avere il controllo del suo corpo e della materia attorno a lui lo faceva uscire di testa. Era troppo insidiosa ed imprevedibile per affrontarla: l’acqua inglobava, non lasciva spazio all’aria, sommergeva e soffocava nella sua presa liquida e ferrea. E la possibilità che il suo piccolo e lui potessero affogare in quel fluido sporco e violento lo faceva impazzire.
Ma doveva farlo, sapeva bene che non c’era tempo e modo di chiamare i soccorritori o qualsiasi altra cosa, doveva agire, altrimenti Justin sarebbe morto. Perciò, nonostante non sapesse nuotare e non sapesse dove il piccolo fosse, disperatamente si tuffò. Immediatamente il fango e l’acqua congelata lo investirono con la potenza di un camion, facendolo affondare a velocità spaventosa. La preoccupazione aumentò ancor di più, la forza della corrente era invalicabile per lui, figuriamoci per un bambino.
Uno spesso strato di fango lo accolse nel fondale, ma diversamente da Justin, con due bracciate riuscì a liberarsi ritornando in balia delle onde che lo trascinavano come un secco bastoncino di legno. Aprì gli occhi sott’acqua sperando di vederlo, ma la sabbia e la terra gli bruciarono terribilmente, costringendolo a richiuderli. Prima di serrarli completamente però, gli parve di vedere un punto blu elettrico in superficie, che veniva trasportato con furia dalla corrente.
Un lampo di speranza si accese nel suo cuore e agitando le gambe riuscì ad emergere per qualche secondo, giusto il tempo di prendere mezza boccata d’aria e avere la certezza che quello era realmente Justin. Non riuscì a chiamarlo o a toccarlo, il piccolo essendo molto più leggero di Sonic, veniva spostato a velocità maggiore, si trovava quindi a una decina di metri più avanti rispetto all’adulto. Il riccio affondò nuovamente, sprofondando nelle onde marroni mentre la bocca gli si riempì di fango, sabbia e foglie marce, rischiando di farlo soffocare.
Un grosso masso, fatto rotolare dalle onde, lo investì pienamente sulla spalla, facendolo sprofondare ancor più verso il fondale mentre le gambe cominciavano a bruciare dalla fatica e bloccarsi dai crampi. Ritornò in superficie con uno sforzo immane, prendendo aria affannosamente e sforzandosi di avvicinarsi il più possibile a Justin, il quale veniva sballottato su e giù dalla corrente.
La distanza sempre maggiore che si stava formando tra lui ed il bambino lo riempì di disperazione, si sbracciò e nuotò con tutta l’energia che disponeva per recuperare i metri che li separavano. Il terrore più profondo e terribile si impossessò di lui quando vide che Justin stava galleggiando a faccia in giù, inerme, circondato da un sottile velo di schiuma creato dall’acqua.
< JUSTIN! > Urlò in preda al panico cominciando ad agitare le gambe forsennatamente. Il pensiero che fosse morto lo privò di qualsiasi esitazione e precauzione.
Si slanciò in avanti recuperando la distanza che li separavano e gli afferrò con una presa ferrea la caviglia. Non l’avrebbe mollato neanche morto, piuttosto sarebbe arrivato al mare con lui.

Cominciò a tirarlo verso di se, ma la mancanza di energia e la corrente opposta alla direzione del suo gesto, gli impediva di fare quella banalissima operazione.
Un’onda più grossa delle altre li colse impreparati sollevandoli senza delicatezza. Sonic tentò più volte di puntellarsi ai massi sporgenti per fermare il loro durissimo viaggio e trascinarsi a riva, ma a causa della velocità sempre maggiore e del solo braccio utilizzabile, non riusciva ad aggrapparsi abbastanza saldamente. 
La forza dell’onda si ridusse dopo qualche metro, quando il letto del fiume si allargava leggermente.
Si stava giusto augurando che il fiume si calmasse, quando notò un grosso tronco bloccato in mezzo al torrente.
Sgranò gli occhi in preda all’ansia mentre il suo cuore accelerò cominciando a bombardargli il petto, se non fossero usciti o almeno fermati, sarebbero andati a sbatterci contro ad una velocità spaventosa e si sarebbero fatti molto, molto male. Imprecando a gogo e sforzandosi come poteva, il riccio tentò di avvicinarsi alla riva con un braccio, ma fu un tentativo completamente inutile. L’acqua li stava maneggiando a suo piacere, un colpo li faceva sprofondare tra le sue fredde spire, un’altra volta sembrava volesse gettarli fuori dal suo abbraccio soffocante.
La consapevolezza che sarebbero andati a sbattere lo rinvigorì di quel poco che bastò a tirare e a stringere a se il corpo ghiacciato di Justin per proteggerlo dall’urto.
  Tentò invano di rallentare la loro andatura con delle deboli mezze bracciate, ma fu completamente inutile.
Il peso di Justin squilibrava non poco i suoi movimenti, infatti ruotò su se stesso esponendo il fianco destro all’ostacolo insormontabile. Un sapore amarissimo e nauseabondo gli aveva invaso la bocca e la gola, ma nonostante ciò si costrinse a deglutire per concentrarsi meglio. Il fusto, coperto di monconi di rami si avvicinava sempre di più, forte e minaccioso. Arrendendosi all’evenienza chiuse gli occhi con rassegnazione e andò a schiantarsi sul tronco con un suono secco. 
L’impatto gli provocò una densa nube di puntini gialli che danzarono davanti ai suoi occhi quasi con grazia.
Gli sembrò di aver colpito un muro di calcestruzzo con la spider lanciata a tutta birra. Non ebbe la forza di urlare quando il fianco destro scoppiò in un dolore lacerante, la gamba venne colpita da un altro paralizzante crampo, immobilizzandola. Il corpo di Justin si liberò per un solo secondo dalla sua presa, indebolita a causa della botta, e venne trasportato in avanti per un metro prima che Sonic riuscisse ad acciuffarlo nuovamente. Ignorando il fianco in fiamme, fece leva sul tronco avvicinando il piccolo a lui, intrappolandolo tra le sue braccia, al sicuro.
Respirò profondamente per recuperare un po’ di energia e tentare di calmare il fianco pulsante. Nell’impatto si era morso accidentalmente la lingua, ed ora, oltre al sapore nauseabondo di foglie marce e fango, si aggiunse quello ferroso del sangue. Doveva trovare una soluzione per uscire da li al più presto.  
Si guardò attorno spaesato, gli occhi lucidi dal dolore e dalla sabbia non gli permettevano una visuale nitida e pulita.  Il tronco aveva bloccato la loro corsa e finalmente dopo quelle che erano parse ore, erano finalmente fermi. Sputando un grumo di fanghiglia, resti di vegetali molli e sangue, testò la solidità del legno. Con suo sommo piacere constatò che era molto robusto e ben incastrato, avrebbe potuto camminarci sopra se solo fosse riuscito a camminare. Infatti, la parte destra del corpo, dal fianco in poi, non rispondeva più ai suoi comandi.
Il freddo e la stanchezza avevano smorzato il dolore pulsante al fianco, ma non riusciva a muovere la gamba, sembrava si fosse addormentata. Non ci badò più tanto, al momento, la cosa che più preoccupava Sonic era Justin: freddo, inerme, pesante e di un azzurro cadaverico.

Aggrappandosi ai  monconi di rami, con fatica e dolore immenso riuscì ad avvicinarsi alla riva, scivolò più e più volte, rischiando ogni volta di perdere nuovamente Justin. Quando raggiunse la sponda, una volta assicurato che la corrente fosse troppo debole per intrappolarli di nuovo, si concesse un attimo di pausa obbligata. Si sdraiò tra i massi e la vegetazione senza badare a nulla.
I muscoli gli bruciavano dallo sforzo, non si sentiva più la parte destra del corpo e non aveva più energia per fare un altro passo. Respirò profondamente, non aveva ancora finito, doveva far uscire il piccolo dall’acqua prima. Lo issò sulla sponda con le ultime energie residue, si sentiva vuoto, straordinariamente calmo e pesante.
Era intorpidito, non sentiva più il dolore al fianco e men che meno il freddo, gli occhi diventati improvvisamente pesantissimi chiedevano solo la pace. E lui era più che desideroso di dargliela, non riusciva nemmeno più a respirare regolarmente, si accorse che i respiri diventavano sempre più faticosi, fino al punto che doveva imporsi per introdurre aria. I pensieri cominciarono a diventare sempre più incoerenti e insensati, mentre una sfilza di immagini gli sfilò davanti alle palpebre sigillate. Il frastuono dell’acqua si assottigliava sempre di più, scomparendo del tutto, sostituito dal battito del suo cuore.
“ Justin!” ricordò in quell’ istante. Si impose di aprire gli occhi e con uno sforzo immenso riuscì a mettere a fuoco il corpo del piccolo, abbandonato sulla riva.
Disperato iniziò a pregare qualsiasi essere superiore, rivolgendo una preghiera silenziosa a chiunque lo stesse ascoltando da lassù. Impuntandosi con la gamba sana e a forza di braccia, strisciò vicino al piccolo, cominciando a scrollarlo nervosamente.
< J-Justin … svegliati > Mormorò senza fiato con una voce che non riconosceva. Era freddo come il marmo, i muscoli erano rigidi e duri, mentre la pelle del volto tirata stava assumendo un grigio pallore mortale. Sembrava che il sangue avesse smesso di circolare sottopelle. In preda al panico cominciò a schiacciargli il petto per far uscire l’acqua, strinse i denti mentre le immagini cominciarono a deformarsi e a sfocare, era realmente morto?
< NON PUOI PORTARLO VIA, HA SOLO 4 ANNI! NON E’ GIUSTO! NON PUOI FARLO! NON PUOI DARLO E RIPRENDERLO A TUO PIACIMENTO! E’ MIO! PER FAVORE! ALMENO LUI LASCIAMELO! > Urlò pazzo di dolore, mentre una lacrima  faceva capolino tra i suoi occhi. Continuò a premere con ostinazione il piccolo corpicino che non dava segni di ripresa.
< Per favore …  ti scongiuro … ti prego! > Mormorò disperato non fermandosi un solo secondo. Si stava per rassegnare, stava per accettare la durissima realtà e le sue responsabilità. Un peso che sembrava quanto mai reale, crebbe dentro di lui, era immensamente pesante, impossibile da accogliere e portare.
Si sentì sprofondare nella disperazione, i suoi pensieri vennero completamente oscurati, il cervello sembrava essersi bloccato. Imperterrito continuò a premere con forza maggiore il bambino, che di minuto in minuto diventava sempre più simile ad un pezzo vuoto di legno. Il dolore gridò acuto e stridente dentro di se, afferrando quel che rimaneva di lui e scagliandolo nell’angoscia più buia e profonda. Rimasto senza forze e in preda alla disperazione più nera, si accasciò accanto al corpo di Justin, lasciandosi divorare dai morsi affilati e bramosi dei sensi di colpa.
Quando gli occhi del piccolo, tremarono e si spalancarono di colpo. Il piccolo corpicino sussultò e con uno spasmo svuotò i polmoni dall’acqua e dal fango respirati accidentalmente. Cominciò a tossire imperterrito, traendo grosse boccate d’aria e ansimando come un mantice.
Sonic si sollevò incredulo, la felicità nel sapere di avere anche solo mezza speranza per la vita del piccolo era ineguagliabile e potentissima. Lo sollevò di peso da terra per facilitargli la respirazione e cominciò a dargli leggeri battiti sulla schiena per aiutarlo a riprendersi. Il sollievo di vedere che Justin ritornava in vita lo riempì di gratitudine verso la vita stessa, ringraziandola per non avergli accollato quel peso indescrivibile dovuto alla presunta morte del suo bambino.
Ringraziò commosso dal più profondo del suo cuore l’entità divina che gli aveva portato indietro il suo tesoro, promettendo a se stesso che da quel giorno sarebbe andato in chiesa più volentieri e spesso. Non si sarebbe mai perdonato se il riccetto fosse morto quel giorno.
Mai.
 Appena il bambino diede segno di riprendersi un po’, Sonic non poté evitare di stringerlo tra le sue braccia. Era stato ad un soffio dal perderlo e in quel momento era così felice che dovette trattenersi per non rischiare di soffocarlo lui stesso.
< Justin! Oh mio Dio, sei vivo! > Esclamò baciandolo più e più volte sulla fronte coperta di fango scuro, accarezzandogli i capelli con le mani che tremavano dall’emozione. Justin si appoggiò all’adulto, sfinito e stanchissimo, sputacchiando sabbia e resti di foglie. Era coperto da uno strato di melma, i capelli erano bagnati e sporchi, incollati tra loro dall’umidità e tremava come una foglia. Al suo fianco il riccio adulto non era messo meglio anzi, oltre ad essere bagnato, sporco e svuotato di ogni energia, era anche dolorante.
< A-andiamo a casa? Ho fame > Biascicò distrutto il bambino incollandosi alla gamba sana del suo salvatore in cerca di appoggio. Non sembrava preoccupato o impaurito dall’accaduto, era solamente stanco morto, probabilmente non si era reso conto del grosso rischio a cui era andato incontro. Con uno sguardo carico di affetto e con uno sforzo non da poco, l’adulto lo prese in braccio stringendolo forte a se per riscaldarlo
< certo che andiamo a casa, riesci a camminare? Ti fa male qualcosa? > Gli domandò preoccupato. Sperava vivamente in una risposta positiva alla prima domanda visto le pessime condizioni della sua gamba.
< Si, riesco a camminare ma sono stanco. Ho male solo un po’ la spalla > si lamentò socchiudendo gli occhi assonnato. Il piccolo poi si appoggiò alla spalla del riccio in cerca di riposo, avvolgendogli il collo con le braccine. Sonic sospirò di sollievo, almeno oltre ad essere vivo era anche sano
< oh Justin, mi dispiace ma ti toccherà camminare almeno per uscire da qui, vedi, ho una botta sulla gamba e non riesco a portarti per ora > ammise Sonic con dispiacere visibile. Sminuì il problema per non spaventarlo o preoccuparlo. Sperava che il suo arto riprendesse vita a momenti, per correre via di li il più velocemente possibile. Appoggiò a terra il piccolo il più delicatamente possibile
< va bene, ma se non riesci più a camminare ti porto io > sentenziò con determinazione e serietà Justin incominciando a tirarsi via il fango dalla faccia.
Sonic trattenne le risate a stento, il piccolo gli arrivava a malapena sopra al ginocchio, ma la serietà con cui aveva affermato di portarlo a casa in braccio l’aveva spiazzato. Il bambino, non molto felice di dover camminare, accettò la situazione preoccupato per la bua del suo accompagnatore, il quale trascinava, con pietosi saltelli, la gamba contratta. Impiegarono un bel po’ di tempo a capire dove si trovavano, la corrente li aveva trascinati a parecchi chilometri di distanza dal punto di partenza.
Oltretutto non tutte le zone del parco erano curate, trovarono infatti vari ostacoli naturali da dover aggirare e con una gamba compromessa non era per niente facile e rapido. I rovi aggrovigliati avevano sbarrato la loro strada centinaia di volte, zone allagate dal fiume erano diventate vere e proprie micro – paludi, popolate da zanzare, mosche e altri fastidiosi insetti che pungevano con straordinaria regolarità. Uscirono dal parco quando il sole era in procinto a tramontare e le nubi aranciate e rosate si spostavano con lentezza.
Entrambi erano coperti di graffi, fango, punture e foglie, sembravano dei naufraghi tornati alla civiltà moderna. Justin era al limite delle forze, era stato molto, molto bravo a camminare per tutto quel tempo, aveva anche aiutato Sonic, per quanto poteva, durante il cammino. L’adulto era allo stremo, il fianco lo rallentava moltissimo e crampi micidiali lo avevano invaso durante tutto il tragitto. La nausea gli aveva invaso lo stomaco, sapeva bene che entro non molto avrebbe vomitato tutto il fango ingerito.
Era molto preoccupato per la sua gamba letteralmente addormentata, sperava che fosse solo una botta in grado di guarire in qualche giorno. Ma un grosso pensiero gli rodeva l’anima: e se non fosse guarita costringendolo ad una sedia a rotelle a vita? I suoi terrificanti pensieri vennero interrotti dal crollo del bambino sull’arto  sano, provocandogli un leggero sbilanciamento che rischiò di farlo cadere. Con gli occhioni lucidi dalla stanchezza, gli tese le braccine implorando di venire preso in braccio.
Non se lo fece ripetere due volte, non sopportava vederlo in quello stato pietoso e derelitto, perciò se lo caricò in braccio e riprese a zoppicare verso casa. Le strade erano vuote fortunatamente, non sarebbe stato per nulla elegante e normale camminare trascinando la gamba con un bambino conciato in quel modo in braccio.
Sarebbero sicuramente partite diverse  chiamate agli assistenti sociali. Alcuni ristoranti iniziarono ad aprire solo in quel momento e nelle strade si spanse un odore di cibo così intenso e pungente, che creò un senso di vomito al riccio adulto. Aumentò la velocità, per quanto possibile, per arrivare a casa prima. Quando Sonic avvistò le mura di mattoni rossi si sentì subito più leggero e gioioso, finalmente avrebbero potuto riposarsi e avrebbe controllato il suo fianco odiosamente dolorante.
A causa dello squilibrio, tenere in braccio Justin per tutto quel tempo lo aveva indebolito maggiormente, sperava di riuscire ad arrivare al cancello prima di schiantarsi al suolo. Il piccolo non aveva spiaccicato più parola da quando era stato preso in braccio, non era riuscito ad addormentarsi a causa del continuo sballottamento ed era veramente esausto.
Il cancello era aperto, sicuramente Amy era preoccupatissima e Sonic sapeva già che si sarebbe incazzata non poco una volta venuta a conoscenza dell’intero episodio. Superato il cancello oltrepassò sfinito il vialetto e bussò alla porta con le mani che tremavano dalla fatica.
Sentì il bambino scivolargli lentamente dalla presa, ma stavolta non sarebbe riuscito a riprenderlo e ricaricarselo tra le braccia.
Fortunatamente, un’angosciata Amy spalancò la porta di colpo, il sollievo nel vedere che erano tornati sani e salvi era chiaramente leggibile sul suo viso. Senza troppe cerimonie e in velocità, il riccio blu gli piazzò Justin tra le braccia, per poi appoggiarsi distrutto allo stipite della porta.
 

Spazio autrice: Buonasera a tutti, ecco un altro capitolo, spero vi piaccia! Critiche e consigli sono sempre ben accetti. Spero di aver scritto un buon capitolo visto che questa scena è una delle più importanti (secondo il mio punto di vista) della storia. Ringrazio chi dopo anni segue ancora la mia storia e soprattutto per i recensori che mi hanno dedicato parole meravigliose. Grazie mille e a presto! Baci!

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Capitolo 13
*** Sfuriate ***


La riccia rosa, sollevata dalla preoccupazione che l’aveva assalita per tutto il pomeriggio, strinse forte a se il bambino sommergendolo di baci.
< Mamy! >Esclamò il piccolo felicissimo, ricambiando con debolezza l’abbraccio della madre. A guardare la ragazza, non si capiva se fosse arrabbiata, sollevata o chissà cos’altro e per un solo secondo, Sonic pensò di riuscire a sfuggire ad una delle pesanti prediche della riccia. Ma non fu così. 
Passata la fase di “amore e gioia”, subentrò la fase “distruzione e odio” e con ciò la riccia cambiò espressione nel giro di due secondi, assumendo uno sguardo incollerito.
< Mio Dio! Ma dove siete stati fin ora? Guardate come siete conciati! Vi pare l’ora di tornare? Ti ho chiamato 50 volte ma non mi hai mai risposto! Ero preoccupatissima! Pensavo vi foste persi o chissà che altro! > Urlò livida di rabbia, infuriata nera come poche volte l’aveva vista il riccio adulto.
Sonic sapeva bene che la sfuriata della rosa era diretta a lui soltanto, infatti con grande rammarico ascoltava paziente, avvinghiato allo stipite della porta tenendosi lo stomaco in subbuglio. Justin impaurito dall’atteggiamento della madre era sceso dalle sue braccia, si era zittito e l’aveva lasciata sfogare sapendo bene che la sfuriata si sarebbe conclusa appena passato il momento di rabbia.
< Mi dite dove siete andati per conciarvi in quel modo o devo provare ad indovinare?! >Esclamò imperterrita portando le mani sui fianchi per sembrare minacciosa. Era sconvolta dallo stato di devastazione in cui si trovavano i suoi coinquilini, sembravano usciti da una foresta di rovi e fango tanto erano sporchi.
< Sono caduto nel fiume e Sonic mi ha salvato! > Rispose velocemente e sinceramente Justin, sperando così di risolvere la questione in pochi minuti e poter mangiare qualcosa.
 Sonic strinse gli occhi in attesa della lunga e curata sfuriata che giustamente si meritava, si sentiva particolarmente in colpa per non essere riuscito ad evitare l’incidente. Non avrebbe dovuto portarlo così vicino al fiume, era stato molto imprudente e a causa del suo errore, Justin ne era quasi morto. Era convinto di meritarsi la sgridata di Amy, anche se sperava di sentirne molto meno della metà.
La rosa sgranò gli occhi sconvolta lanciando un’occhiata incredula al riccio appoggiato alla porta, sperava di cuore che il blu si difendesse sminuendo la gravità del pericolo a cui aveva esposto Justin. Aveva ben presente il fiume del parco in piena, era molto violento e aveva mietuto più di un bambino all’epoca della sua adolescenza.
Sapere che suo figlio aveva rischiato di morire, la riempì così tanto di terrore da offuscargli qualsiasi senso della misura. Gli montò nel giro di pochi attimi una rabbia cieca, chiuse gli occhi e serrò la mascella cercando di calmarsi,
< Justin vai su in bagno, c’è la vasca pronta > ordinò senza dar margine d’azione al piccolo, con tono freddo e incollerito.
Esitando per un istante, il riccetto salì le scale con lentezza lanciando un’occhiata preoccupata al suo salvatore, sperava tanto che sua madre si contenesse almeno un po’ durante il discorsetto che avrebbe fatto a Sonic, altrimenti povero lui!
Una volta che Justin se ne fu andato, Amy respirò profondamente per darsi un contegno che non arrivò.
< Come? Come ti è saltato in mente di portarlo al fiume? Tu più di me sai quanti ne sono morti! Serviva proprio aggiungere lui alla lista? Oltretutto non sai nemmeno nuotare! Sei stato un’irresponsabile nel pieno senso della parola! Non puoi permetterti di non calcolare gli inconvenienti! Tu sei l’adulto e tu devi pensare a lui! 24 anni per niente! Porca troia Sonic hai idea di quanto siete andati vicino alla morte oggi? Ne hai una fottutissima idea? Io si! Scordatelo se pensi che te lo affiderò ancora anche solo una cazzo di ora e … > si bloccò a metà discorso quando vide il riccio blu ruotare il busto in fretta verso l’esterno e vomitare una specie di fanghiglia sul prato.
La rabbia scemò un po’ a quella vista, sostituita dalla preoccupazione quando una gamba del riccio cedette sotto il peso del suo corpo, facendolo accasciare al suolo in preda ai conati.
< Sonic! > Esclamò con una punta di panico correndo in suo soccorso, si inginocchiò al suo fianco e con fatica lo aiutò a sostenere il busto e gli aculei, mentre il povero riccio a momenti vomitava anche l’anima.
Amy avvertì i brividi di freddo correre sulla pelle del ragazzo e in un momento di pausa tra un rigetto e l’altro, gli passò attorno alle spalle la felpa nera che indossava. Non era gran cosa ma almeno lo riparava un pochino dall’aria fredda che soffiava in quel momento.
< Andiamo dentro! Ti porto in bagno almeno li c’è caldo! >Tentò di esortarlo con la voce carica d’ansia. Sonic in preda ad una nausea pazzesca tremava dal freddo, si sentiva uno straccio, non solo per lo stato pietoso in cui riversava, ma soprattutto per le parole che la riccia gli aveva rivolto.
Sapeva di essersele meritate ma l’ultima frase, quella in cui Amy affermava che non avrebbe più affidato il piccolo a lui, lo preoccupava. Ovvio, il figlio era della rosa e la ragazza poteva affidarlo a chi voleva, lui di certo non poteva contestare le decisioni in merito a ciò. Ma la minaccia di non poter più correre assieme al bambino lo preoccupava più di quel che pensava.
  All’invito di entrare in casa, Sonic scosse debolmente la testa, la gamba non rispondeva ancora e poi non sarebbe riuscito nemmeno ad alzarsi in quel momento.
< Non riesco a cammin … > mormorò, ma un ultimo conato gli mozzò la frase, mentre lo stomaco si contrasse per eliminare i restanti residui di terra e foglie. La riccia non prese alla lettera il suo “non riesco a camminare”, pensava infatti fosse solo una questione di stanchezza, così senza preavviso lo tirò faticosamente in piedi, decisa a tutti i costi di portarlo in casa. Non poteva di certo lasciarlo vomitare in giardino!
Il ragazzo, troppo stanco per protestare, si aiutò per quel che poté con l’arto sano, dovette però caricare più peso del previsto sulla riccia, la quale diede fondo a tutta la sua forza per sostenerlo e trascinarlo all’interno.
Quei 10 metri che separavano l’ingresso dal wc, furono i più lunghi della loro vita. Si accorse subito che il blu stava peggio di quello che sembrava, ma sia a causa della fatica sia a causa dell’orgoglio non approfondì il discorso. Con un ultimo sforzo  riuscì a portarlo in bagno, dove preventivamente aveva già preparato la vasca di acqua bollente. Lo aiutò a sedersi sul bordo con più delicatezza possibile, erano entrambi senza fiato e stanchi come se avessero ballato per tutto il giorno.
Sonic si lasciò scivolare sulla seduta improvvisata senza tante cerimonie, era veramente esausto. Amy si riavviò i capelli sciolti e respirò profondamente mentre il sudore le colava giù dal collo in piccole gocce,
< ora ti lavi, se hai problemi chiamami, qualsiasi problema ok? Io ti porto il cambio tra poco, sono su con Justin > lo avvisò sperando che si riprendesse almeno un po’. Il riccio, bianchissimo in volto, si limitò ad annuire e ringraziare, poi aspettò che la ragazza uscisse dal bagno prima di sollevarsi barcollante e controllare la ferita riportata. Il fianco era coperto da una grande chiazza nera-violacea con il centro di un malsano color giallo, che si estendeva per buona parte della coscia.
Restò stupito dalla sua grandezza, non aveva mai preso una botta simile in vita sua. Non si azzardò a toccarla, sapeva bene senza il bisogno di prova alcuna che sarebbe esplosa in una dolorosa fitta. Con molta difficoltà entrò nella vasca, stando ben attento a non sbattere il fianco su qualsiasi possibile oggetto. Appoggiandosi al bordo, a forza di braccia e utilizzando l’arto sano, riuscì a scivolare sul fondo con delicatezza. Non si sentiva affatto bene, una dolorosa emicrania gli stava spappolando il cervello, si sentiva come una centrifuga di mirtilli e sabbia.
Sospirando per lo stato in cui si trovava e rosicchiato dai sensi di colpa, adagiò la testa sul bordo della vasca. Cullato dolcemente dall’acqua calda, chiuse gli occhi rilassando la muscolatura e senza rendersene conto si addormentò dopo qualche attimo.


Intanto nel piano superiore, Amy stava lavando Justin. Gli aculei pieni di fango sembravano dei malfatti rasta e la riccia si stava slogando un polso a furia di strigliarglieli. Justin, in uno stato di dormiveglia, raccontò per filo e per segno l’intera vicenda, o almeno la parte che ricordava. Il piccolo infatti non aveva idea di cosa fosse successo da quando era emerso dall’acqua. Sapeva che era affondato e che il fango lo aveva bloccato e sapeva anche che era riuscito ad emergere, ma poi nulla, il cervello non aveva registrato nient’altro.
Ricordava solo che si era svegliato con un forte senso di soffocamento e che Sonic lo aveva aiutato ad alzarsi e a prendere fiato. Amy provava ansia e preoccupazione per i suoi due blu, erano entrambi stanchi morti ma Justin fortunatamente era sano come un pesce a parte per qualche piccolo ematoma, mentre Sonic sembrava più di la che di qua. Non ne era sicurissima, ma era quasi certa che il ragazzo  avesse una gamba ferita da come si spostava, non poteva di certo essere solo stanchezza. Sembrava che non riuscisse a “controllare” l’arto destro. Oltretutto era impaziente di conoscere la sua versione della storia, di come l’aveva salvato e come erano usciti dalla corrente.
Quel fiume l’aveva sempre terrorizzata, quando era in piena nulla poteva sopravvivere alla sua furia. Oltretutto i lavori di pulizia degli argini e del corso d’acqua non erano mai eseguiti per l’intera lunghezza del torrente, perciò straripamenti e ostruzioni erano sempre presenti, in qualsiasi momento dell’anno. Bastava un tronco o un masso e i due sarebbero diventati due grosse frittate. Unendo i suoi  ricordi con la spiegazione di Justin, si rese conto di quanta cavolo di fortuna avevano avuto per tornare a casa vivi e vegeti. Ringraziò intensamente l’essere superiore che aveva vegliato su di loro.
 
Una volta che Justin fu lindo e pulito, (operazione che costò non poca fatica a sua madre) fu rivestito e mandato giù in salotto, mentre la ragazza prendeva dei vestiti puliti per l’altro riccio. Appena mise piede nella camera di Sonic il profumo familiarissimo le invase il naso e la memoria, riportando a galla ricordi che nemmeno si immaginava di possedere ancora. A parte la sostituzione del letto rotondo con un letto matrimoniale normalissimo, l’arredamento non era cambiato di una virgola.
La stanza era in gran disordine, la scrivania era invasa da coppe e medaglie, pc, tablet, cuffie e vestiti. Non voleva ficcanasare e toccare troppo in giro, d’altronde era la sua camera da letto e lei non doveva neanche esserci entrata, così si limitò ad aprire gli armadi per cercare qualcosa di adatto. Con sua piacevole sorpresa notò che il guardaroba era stato completamente e profondamente rinnovato, al posto delle tute pacchiane e dei cappellini da truzzo, erano presenti felpe e indumenti normalissimi. Il colore regnante era il nero, seguito da grigio, bianco e blu e qualche raro accenno di verde militare. Preso il cambio, Amy si catapultò in salotto e notò che Justin si era beatamente addormentato sul divano in posizione fetale. Il piccolo aveva uno sguardo sereno e rilassato, anzi sembrava addirittura felice e questo bastava e avanzava a renderla euforica. Lo lasciò indisturbato anche se avrebbe voluto tanto stringerlo tra le sue braccia e sommergerlo di baci.
Passò invece all’altro riccio, quello che in quel momento si era appena svegliato a causa di una fitta lancinante al fianco. Quei 15 minuti di sano riposo l’avevano aiutato a riprendere un briciolo di fiato, si sentiva ancora stanchissimo ma ora riusciva almeno a lavarsi. Si stava appunto spazzolando con cura gli aculei incementati di fango quando la riccia bussò alla porta.
< Sonic? Come va? > Domandò con un filo di preoccupazione, restando in attesa per una risposta.
< Ehm … tutto bene, tra 5 minuti vengo fuori, lasciali pure li i vestiti > rispose con tono sbrigativo, sentendosi ancora in colpa per le parole che Amy gli aveva urlato contro. La rosa obbedì senza aggiungere null’altro e si diresse in cucina per preparare qualche chili dog. Non le piaceva affatto aver lasciato tutto sul pavimento ma non se l’era sentita di intavolare un discorso, non dopo quello che gli aveva detto. Riflettendoci non era stata gentile ne tanto meno educata.
Gli aveva urlato contro tutto e di più, dandogli dell’irresponsabile e anche dell’immaturo, non riflettendo su diversi punti che le venivano in mente solo in quell’istante. Come prima cosa Justin non era morto e il merito andava interamente al riccio, che oltretutto aveva rischiato la propria vita per quella di un bambino che credeva non fosse suo figlio. Come seconda cosa, era stato un incidente, se ci fosse stata lei al posto di Sonic, probabilmente sarebbero morti entrambi.
E non era vero nemmeno il fatto che il blu fosse un’irresponsabile, infatti, a quel che gli aveva raccontato Justin, Sonic si era premunito di restare a distanza di sicurezza dal margine.
“Stupide formiche” imprecò con un profondo sospiro, iniziando a cucinare il primo chili dog. Doveva chiedergli scusa, non poteva chiudere la discussione facendo finta di nulla, erano parole terribili quelle che gli aveva urlato in faccia e non se le era nemmeno meritate. Decise di scusarsi a tavola, così sarebbe stata anche un’ottima occasione per dimostrare a Justin che quando si sbaglia si deve anche chiedere scusa.
Preparò la tavola mentre mentalmente formulava delle scuse sincere da dire a Sonic. La cosa non era per niente facile, avrebbe dovuto ammettere che aveva torto e la cosa non la entusiasmava. Sbuffò e rigirò l’ultimo chili dog, armandosi di coraggio e abbandonando un po’ di orgoglio per quelle dannate scuse.
< Justin? Sonic? È pronto! > Urlò a gran voce per farsi sentire.
Aspettò per qualche minuto l’arrivo di padre e figlio, ma più il tempo passava più sospettava che nessuno l’avesse minimamente ascoltata. Si diresse spazientita in salotto, per vedere cosa stavano combinando
< ragazzi? È pronto di la! Ho anche fatto i chili dog, non avete … > iniziò decisa, per poi scemare al silenzio appena vide che i due stavano dormendo fisso sul divano.
Incredula dalla stanchezza che stavano dimostrando, con un mezzo sorriso e uno sbuffo, si rintanò in cucina dove sparecchiò e risistemò ogni cosa, ben attenta a non fare rumore.
Grazie a Dio erano tornati.


Spazio autrice:
Buonasera, spero che vi piaccia anche questo capitolo! Consigli, critiche o segnalazioni di errori sono ben accetti! Sto cercando disegni o immagini che raffigurino la storia, ma al momento non ne ho trovati di carini. Perciò inserirò altre foto non appena le troverò/disegnerò.
 Grazie e buona serata! Baci!
 

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Capitolo 14
*** Chiarimenti ***


Distesa a letto, Amy non riusciva a dormire. La sua attenzione era completamente presa da molteplici dubbi e questioni. Tra Sonic, Justin e Dylan, ultimamente trascorreva giornate intere nell’insicurezza e nell’ansia. Si sentiva bloccata in tutte le direzioni.
La parte del balletto che aveva rifiutato le bruciava più di quel che voleva ammettere, ma relegare il suo bimbo al riccio adulto non era un’idea promettente.
Oltretutto il tempo scorreva e ogni giorno che passava, si sentiva sempre meno pronta a confessare la notizia della paternità a Sonic.
E in conclusione, Justin necessitava di suo padre il prima possibile, per sostituirlo alla figura di Jason, se ci fosse mai riuscito. 
Questi pensieri non le davano pace, anzi più ci pensava più si trovava le mani legate. Sospirò e chiuse gli occhi, cercando un sonno che non arrivava.
Provò a contare le pecore, si rigirò migliaia di volte, sprimacciò il cuscino, ma nulla di nulla. E sapeva anche perché.
Aveva la coscienza sporca, i sensi di colpa ronzavano dentro di lei insistenti e non riusciva a schiacciarli o ad ignorarli.
Come prima cosa si sentiva una brutta persona per le terribili parole che aveva urlato contro a Sonic, non si era ancora scusata e questo la faceva sentire malissimo. Ad aggravare i suoi sensi di colpa era anche il fatto di aver abbandonato giù di sotto il riccio blu, solo e soletto, senza un minimo di avviso.
Se lo avesse svegliato si sarebbe ritrovata a dover parlare (e perciò a scusarsi) e in quel momento non se l’era proprio sentita. Così aveva provato ad auto-convincersi che stava facendo la cosa giusta, d’altronde svegliandolo l’avrebbe solamente disturbato e lui necessitava di riposo dopo l’enorme salvataggio affrontato.

In quel momento Sonic, svegliato dal dolore pulsante al fianco, si alzò di soprassalto e notando che accanto a lui mancava il piccolo non impiegò molto a capire quello che era successo. Non era deluso dal comportamento della riccia, da una parte la capiva, doveva essere ancora molto arrabbiata per quello che aveva fatto rischiare a Justin, dall’altra parte sperava che tutto tornasse come quella mattina il prima possibile. Non aveva idea per quanto tempo sarebbe rimasta così incazzata, anche perché i tempi di sbollitura dipendevano molto dal motivo per cui si arrabbiava.
E aver quasi ucciso suo figlio era una motivazione più che valida per mantenerla infuriata per parecchio.
Si alzò in piedi mentre la voce di Amy che gli ripeteva la ramanzina si moltiplicava chiara e forte nella sua testa. Estrasse le sigarette d’emergenza da un cassetto in cucina e il più silenziosamente possibile, aprì la vetrata del salotto e si appoggiò con fatica al bordo, se ne accese una e trasse una profonda boccata.
Il suo cervello rallentò il ritmo dandogli il tempo di riflettere sull’intera giornata trascorsa, o meglio, si trovò bloccato sulla visuale di Justin morto, accasciato sulla riva, bianco come un lenzuolo. Un brivido freddo lo fece raggelare, mamma mia, non era mai andato così vicino alla morte come oggi.
No aspetta, era quasi morto per sua madre 9 anni fa, quando l’aveva tratta in salvo da Gold.
“Certo che i “geni Rose” portano un sacco di disgrazie” pensò con un mezzo sorriso, ricordando quella lunghissima nottata in cui era quasi morto.
Osservò per qualche minuto il giardino immerso dall’oscurità ritenendo opportuno scusarsi con la ragazza per aver quasi ucciso il suo figlioletto. Aspirò un’altra boccata di fumo quando un familiare scalpiccio scese dalle scale con grazia.
La riccia arrivò nel salotto decisa ma si bloccò sui primi gradini vedendo che il ragazzo era in piedi. La stanza buia era rischiarata solo dalla vetrata che lasciava passare la luce della luna e in mezzo a quell’oscurità, due cose sembravano brillare di luce propria: la sigaretta accesa e gli occhi verde evidenziatore del riccio, che la stavano fissando sorpresi. Sonic sbuffò una nuvola bianca
< hai sentito l’odore? Se ti da fastidio la spengo subito > Iniziò con un certo imbarazzo, cercando di mettersi in piedi senza l’ausilio della porta a vetri.
< Nono, non mi da fastidio, finiscila pure > rispose sincera avvicinandosi al riccio con discrezione, si appoggiò anch’essa alla finestra e contemplò in silenzio il giardino in quel momento accarezzato da una deliziosa brezza estiva.
Sonic imbarazzato quanto lei, gli offrì la sigaretta cercando di mostrarsi il più spontaneo possibile,
< oh non posso, devo dare il buon esempio a Justin, insomma, sono una mamma ora, non va bene che faccia certe cose … > rispose con pochissima convinzione la ragazza, osservando bramosa il piccolo cilindretto che teneva tra le dita.
< Dai, forza che un tiro ti fa più bene che male > la incitò divertito posandogli il filtro sulle labbra. Senza farselo ripetere, ne aspirò una boccata, il fumo denso le brucio la trachea e parte dei polmoni irritandole per benino la gola, ma resisté all’impulso di tossire per non mostrarsi così sfigata di fronte a lui. Nonostante il bruciore, si sentii subito più rilassata, le fu più facile così intavolare il discorso di scuse che aveva formulato.
< Non riesci a dormire? > La precedette Sonic per rompere il ghiaccio e per capire se fosse ancora arrabbiata,
< già, e temo anche che non riuscirò a chiudere occhio se prima non mi scuserò con te > mormorò imbarazzata concentrando lo sguardo sul giardino un po’ troppo folto. Il riccio, stupito dalla frase appena pronunciata si voltò nella sua direzione e la guardò serio aspettato dettagli.
< Oggi quando sei tornato ti ho detto delle cose orribili, mi dispiace un sacco di averti offeso e aggredito in quel modo, perciò ti chiedo scusa per … > il riccio la bloccò con un gesto della mano, scuotendo leggermente la testa
< prima di scusarti, sappi che tuo figlio è letteralmente morto per qualche minuto. Non ho idea di come sia resuscitato, è avvenuto un vero miracolo oggi. Perciò prima di chiedermi scusa ti assicuro che capisco bene la tua rabbia e la tua sfiducia nei miei confronti, me li sono meritati, quindi non sentirti in obbligo di venire a chiedermi scusa per delle cose che giustamente hai detto. > La rosa restò scioccata dalle sue parole. Justin morto? Era serio? No sicuramente no, i morti non ritornano in vita, probabilmente aveva ricevuto anche una bella botta in testa oltre che alla gamba.
< Perciò ti chiedo scusa Amy, ho rischiato di perdere per sempre tuo figlio per un mio errore. Non ho idea e non voglio nemmeno pensare a cosa sarebbe successo se fosse morto completamente. Scusami > concluse breve con fare serissimo e molto dispiaciuto.
La riccia era rimasta in silenzio con gli occhi puntati sul blu per tutto il breve discorso. Era in palla, non sapeva più cosa dire, da una parte il riccio aveva ragione, meritava le sue scuse, per una piccola distrazione suo figlio era quasi morto. Dall’altra parte però, lo aveva anche salvato e dalle parole che aveva pronunciato doveva essersi preso anche un bello spavento.
< Accetto le tue scuse se accetterai le mie. Ti sei quasi ammazzato per salvarlo, ti sei buttato nell’acqua! So bene quanta paura ti fa, ma l’hai affrontata per lui! E di questo ti sono grata. Non so cosa avrei fatto se fosse morto > Esclamò incrociando le mani dietro la schiena. Provò ad immaginarsi un mondo senza Justin ma non ci riuscì, lo amava alla follia e se lo avesse perso probabilmente sarebbe morta di dolore. Si riscosse dall’orribile pensiero quando Sonic si rivolse a lei
< Oh andiamo Amy, non esagerare. Chi non sarebbe entrato nel fiume per salvarlo? È un bambino! Tutti l’avrebbero fatto > esclamò asciutto passandogli nuovamente la sigaretta. La ragazza trasse una profonda boccata prima di rispondere
< Jason. Non si sarebbe mai buttato per salvarlo > snocciolò guardandolo bene negli occhi per osservare la sua reazione. Il riccio si grattò il naso imbarazzato, staccando lo sguardo da lei
< a proposito di Jason > iniziò con un sospiro buttando a terra il filtrino. Amy interessata, si sollevò dalla finestra e incrociò le braccia in attesa del continuo, era proprio curiosa di sentire cosa aveva da dirle. Imitandola, il riccio blu si sollevò ma una fitta al fianco lo fece traballare facendogli perdere l’equilibrio.
La rosa lo notò e gli offrì l’aiuto necessario a mantenersi ritto,
< si può sapere cosa ti sei fatto a quella gamba? > Borbottò leggermente preoccupata, lo conosceva bene: Sonic odiava mostrarsi debole, affaticato, dolorante o malconcio, piuttosto di ammettere di essere vulnerabile preferiva fare il figo e peggiorare le sue condizioni fisiche. E se non riusciva a nascondere o sopportare qualche ferita allora si, c’era da preoccuparsi, e da come trascinava la gamba non si trattava di una semplice botta.
< Oh bhe … mi sono scontrato con un … ramoscello, nulla di grave però > precisò il riccio esausto, avvicinandosi zoppicante al divano.
< Un ramoscello dici? Ti ha colpito sulla gamba? > Lo interrogò per fare chiarezza e costringerlo a tradirsi, sedendosi accanto a lui sul divano.
< No, il ramo mi ha colpito al fianco, ma da qui in giù tutto è addormentato, più o meno > rispose indicando il punto colpito con una smorfia. 
La riccia annuì preoccupata,
< posso vedere? > Chiese con apprensione, sperando di poterlo aiutare in qualche modo.
< No! Meglio di no, non è affatto fotogenica e poi è una botta come tante! Nulla di preoccupante! > Rispose con ansia, ravviandosi i capelli per darsi un po’ di contegno.
< Oh andiamo Sonic! Non fare il bambino! C’è n’è già uno in casa e quello basta e avan…> esclamò la riccia sollevandogli in velocità la maglia. Si bloccò quando vide l’estensione e il colore dell’ematoma. La macchia era di un nero malsano con  il centro di un orrido giallo. Copriva interamente il fianco e probabilmente buona parte della coscia, cosa che non si premurò di controllare per ovvie ragioni di privacy.
< Nulla di cui preoccuparsi eh? > Sbottò la rosa dirigendosi in cucina a passo svelto,
< esatto, guarirà in poco tempo come sempre > rispose a tono il ragazzo, sistemandosi la maglietta stropicciata. Amy tornò dopo qualche secondo con uno straccio ripieno di ghiaccio e senza tante esitazioni, glielo poggiò sul fianco dolorante tra le varie lamentele del 24 enne.
< Stavi dicendo riguardo Jason? > Continuò la ragazza, desiderosa di conoscere il seguito della frase. Sonic respirò profondamente per prendere tempo, non sapeva se era una buona idea raccontargli le confidenze che Justin aveva detto a lui, ma dopotutto Amy era sua madre e necessitava sapere.
Così senza tanti giri di parole gli raccontò in breve le confessioni del suo piccolo, tralasciando la parte che riguardava lei.
La riccia rimase senza parole, come prima cosa non capiva perché certi discorsi li faceva con Sonic e non con lei. Non che fosse gelosa, anzi, era felice che tra i suoi blu si instaurasse un buon rapporto, ma era una condizione del tutto nuova per lei e temeva che Justin si staccasse da lei.
Come seconda cosa non le andava a genio che il bambino raccontasse la storia delle loro vite a Sonic, non voleva che il riccio provasse pietà o dispiacere per loro, perciò era meglio che restasse all’oscuro di certe cose.
Immersa nei suoi pensieri, Amy cominciò nervosamente ad avvolgere un aculeo attorno al suo indice,
< a che pensi? > La apostrofò il blu seduto accanto a lei, risistemandosi il ghiaccio sulla pelle.
< Non voglio che cresca con il terrore quotidiano verso Jason > rispose sincera mordendosi l’interno della guancia.
< Uhm … dal mio punto di vista sento più rabbia, che terrore. Oddio, certo, presumo muoia di fifa quando lo vede incazzato, ma ne parla con una certa irritazione > rispose il riccio trattenendo uno sbadiglio a stento. Amy si stiracchiò e si acciambellò meglio sul divano, mentre gli occhi cominciavano a farsi pesanti
< cosa devo fare So? >
< A me lo chiedi? Speravo mi dessi tu qualche consiglio, il figlio è tuo > rispose con una nota amara il riccio blu, scandendo involontariamente bene la parola “tuo”.
Il cuore della ragazza cominciò a martellare come un martello pneumatico, la verità si stava srotolando sulla sua lingua in migliaia di frasi, sarebbe bastato aprire la bocca e lasciarne scivolare fuori una qualsiasi.
Sonic aspettando una risposta che non arrivava, si girò e la guardò per capire cosa c’era che non andava.
La riccia aveva gli occhi puntati su di lui, seri, incredibilmente verdi, profondi e meravigliosi, sembrava quasi che tentasse di parlargli telepaticamente e in quel momento invidiò parecchio il potere di Silver. Il suo stomaco fece una capriola dall’agitazione, oltretutto il silenzio che era caduto stava durando decisamente troppo, trasformando velocemente la pausa in un momento imbarazzante.
Decise di spezzarlo prima che le cose peggiorassero ulteriormente,
< cioè, si sa che i figli quando si fanno si è in due, ma Jason non ha molta voglia di andarci dietro, perciò il figlio è prevalentemente tuo > si affrettò a spiegare per evitare pericolosi equivoci. La riccia si riprese dalla sua trance e sbatté le palpebre per inumidire gli occhi secchi,
< oh certo. È … proprio così > sospirò con un forzato sorriso. Sonic le sorrise incoraggiante, dio solo sapeva quanta voglia aveva di abbracciarla e stringerla a se,
< eddai Amy, sei una madre meravigliosa! Non farti troppi problemi, vedrai, tutto si aggiusterà, Justin smetterà di pensare a Jason, e tu con lui >concluse con un occhiolino.
< Speriamo > rispose la riccia avvicinandosi al blu, il cuore cominciò a battergli più forte, sperava che il mirtillo non lo sentisse.
Il profumo di cipresso e cardomomo le arrivò subito alle narici,
< come hai fatto a salvare entrambi oggi? Sai a malapena galleggiare! > Lo stuzzicò con un sorriso malizioso, desiderosa di conoscere la storia completa.
Sonic che come batticuore era messo a pari livello della riccia, cercò di darsi un po’ di contegno, nemmeno i ragazzini di quindici anni si comportavano in quel modo! Ricambiando il sorriso, le raccontò a grandi linee il suo salvataggio, evitò di raccontargli la parte del tronco e la pre-morte del suo piccolo, si concentrò invece sulla quantità di acqua, foglie e terra ingerita.

Nonostante la tematica del dialogo non fosse comica, Amy si ritrovò più volte a trattenere le risate per non rischiare di svegliare Justin, e per quell’ora che rimasero assieme accantonò ogni problema. Quel riccio aveva la capacità di rasserenarla, infondergli coraggio e speranza, farla sentire all’altezza di ogni situazione. E fu proprio in quel momento che capì quanto ancora fosse importante per lei, perché prima di essere il padre di Justin era stato l’amore della sua vita e riassaporare per un istante la ricchezza che aveva perduto per un suo errore, la faceva sentire viva.
Dal canto suo Sonic, aveva ignorato il fianco pulsante per tutta l’ora ed era stato incredibilmente bene. La sincera preoccupazione della riccia nei suoi confronti era un balsamo per il suo spirito, il suo modo di prendersi cura di lui, il continuo tentativo di aiutarlo, il reale interesse che nutriva per le sue opinioni e per i suoi sentimenti, era il suo rifugio personale. Era come una presa di corrente, lo caricava e fortificava, lo sosteneva e lo aiutava in qualsiasi cosa. E fu quella sera che capì che gli anni passati a cercare di sostituirla erano stati solo anni sprecati, nulla, nulla poteva prendere il suo posto. Niente e nessuno. Nel suo cuore regnava lei soltanto e adesso che gli si presentava l’occasione, giurò a se stesso che non l’avrebbe più, mai più lasciata.

Conclusero la serata a parlare del più e del meno, con tanta voglia di buttare giù muri che li separavano. Ma nessuno dei due era ancora pronto per affrontare il delicato discorso della loro separazione, sapevano più che bene che sarebbero nati rancori e dispiaceri, ma sapevano altrettanto bene che era anche l’unico modo per ricongiungersi.
< Vuoi che ti aiuti ad andare in camera? Non dormirai bene qui sul divano > mormorò Amy coprendo con la mano uno sbadiglio. Il riccio scosse debolmente la testa appoggiata allo schienale, gli aculei riversati ovunque tranne che per il verso giusto, lo facevano assomigliare vagamente ad una stella marina,
< no Amy, a meno che tu non riesca a portarmi in braccio fin su. In quel caso, e solo in quel caso, accetto > condizionò lui socchiudendo un occhio. Lei rise, sistemandogli un cuscino accanto al fianco dolorante,
< mi spiace So, possiamo provarci ma dubito altamente di riuscirci. Al momento mi limito ad augurarti una buona notte > esclamò con un occhiolino e un sorriso.
< Dovrai aspettare parecchio allora. Buonanotte a te Amy > augurò a tono ricambiando il sorriso.
La riccia risalì i gradini, portando con se l’immagine del ragazzo che le sorrideva con quegli occhi verde magnetico.
 
Spazio autrice:
Buonasera coraggiosi lettori, ecco un altro capitolo. Spero veramente che vi piaccia! Critiche e consigli sono ben accetti!
Ciao e baci.

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Capitolo 15
*** Problemi ***


Il mattino seguente, Sonic si svegliò presto e di malumore. Il fianco sembrava scoppiargli da un momento all’altro, aveva dormito pochissimo e di conseguenza si sentiva ancora stanco.
Sbuffò innervosito e si alzò con un movimento doloroso. La gamba aveva ripreso vita, fin troppa però. Ogni più piccolo movimento gli provocava una piccola fitta e perciò le più banali delle azioni, come sedersi, alzarsi, camminare, etc. erano autentiche torture.
Zoppicò in cucina ricordando solo in quell’istante di dover avvisare Dylan delle sue condizioni. Conoscendolo, il suo insegnante si sarebbe arrabbiato moltissimo e in quel momento non aveva voglia di sentirlo sbraitare. Cominciò così a preparare il caffè, appoggiandosi malamente al lavabo. Digitò il numero di Dylan sul secondo cellulare e aspettò pazientemente che rispondesse. Nonostante fossero solamente le sei e mezza del mattino, l’insegnante aprì la chiamata quasi subito,
< buongiorno Sonic, come mai così mattiniero? Problemi? > lo interrogò con una nota sconcertata il riccio nocciola. In sottofondo, il rumore dell’acqua corrente copriva un po’ la voce dell’ interlocutore,
< giorno a te Dylan, si, effettivamente si, c’è un piccolo problemino > iniziò con calma il ragazzo, cercando di prepararlo alla brutta notizia.
< Sentiamo > sentenziò asciutto l’insegnante, divenendo improvvisamente serio e preoccupato. Il blu sospirò profondamente e preso coraggio, il più velocemente possibile snocciolò il problema
< non posso ballare da oggi a tempo indeterminato. Ovviamente verrò lo stesso a lezione, ma al momento faccio fatica a restare in piedi > concluse rapido, allontanando il cellulare dal suo orecchio. In sottofondo l’acqua si chiuse e cadde un profondo silenzio.
< SONIC! IL CONCORSO E’ TRA MENO DI UN MESE! Come pensi di fare? C’è mezza coreografia da imparare e pulire e abbiamo pochissimo tempo! > Urlò livido di rabbia l’insegnante un attimo dopo.
< Non l’ho fatto apposta! Secondo te vado a farmi male per divertimento? > Esclamò spazientito il blu alzando il tono di voce,  possibile che per Dylan fosse sempre colpa sua?
< Conoscendoti avresti potuto benissimo farlo! Cosa cazzo ti sei fatto per non poter ballare? >  Ringhiò Dylan con la voglia di prenderlo per il collo.
< E’ una lunga storia, Justin ieri è caduto nel fiume e nel soccorrerlo ho sbattuto contro un tronco, tutto qua > concluse velocemente, ancora irritato dal comportamento dell’insegnante. Dall’altro capo del telefono si sollevò un sospiro spazientito, seguito da qualche attimo di silenzio.
< Va bene, d’accordo So, ma sappi che sei declassato in fondo alla fila. Al tuo posto andrà Jacob. E se entro il mese non saprai la coreografia come dico io, non farai il concorso > sentenziò Dylan con straordinaria sicurezza e determinazione, in tono di sfida.
< C-cosa? NO! Non esiste! Quella postazione me la sono guadagnata! Non puoi declassarmi! > Esclamò Sonic con una punta di panico nella voce. Quel maledetto posto se l’era aggiudicato sudando le proverbiali sette camicie, farselo fregare in quel modo era a dir poco oltraggioso.
< E invece posso e lo faccio. Ciao. E muoviti. > Concluse Dylan riagganciando freddamente e orgogliosamente.
Sonic rimase allibito mentre la rabbia cominciava a farsi strada nei suoi pensieri, invogliandolo a scaraventare il telefono addosso al muro.  Non poteva crederci, lui, lui era stato declassato. Mise giù il cellulare prima di far danni e rimase a fissare il pavimento finché la moka non iniziò a gorgogliare emanando un delizioso profumo di caffè. Sospirando si massaggiò le tempie con movimenti rotatori, ragionando su una soluzione. Doveva riguadagnare la postazione, a tutti i costi, non avrebbe permesso a quel Jacob, che oltretutto gli stava antipatico, di appropriarsi del suo più che meritato primo posto. Ma come fare se non poteva muoversi? Dubbioso provò a flettere il ginocchio per capire quanto fossero limitati i suoi movimenti, ma oltre ad uno schiocco secco proveniente dall’anca, sentì anche un bruciore intenso al fianco che lo obbligò a fermarsi con una smorfia.
< Cosa fai di bello? > Domandò d’improvviso una voce squillante proveniente dall’entrata della cucina. Sonic sobbalzò sorpreso trovandosi il piccolo riccio blu impalato accanto alla porta. Lo stava osservando con curiosità, mentre un sorriso gigantesco faceva capolino tra le labbra e buona parte degli aculei erano a dir poco euforici.
< Buongiorno Justin. Mi … mi stavo allenando. Cosa ci fai tu sveglio? Non è troppo presto per te? > Lo interrogò a sua volta, rasserenandosi un po’. Il piccolo scosse la testa con un sorriso e si catapultò tra le sue gambe, allungando le braccia in una muta richiesta di esser preso in braccio. Adorandolo, l’adulto lo accontentò in men che non si dica, mentre la pace e la felicità riempivano il suo cuore, facendogli dimenticare il problema della postazione.  
< In verità ho sentito che stavi litigando con qualcuno > rispose il piccolo con un mezzo sorriso tenerissimo, accomodandosi tra le sue braccia.
< Mi dispiace averti svegliato, vuoi che ti porta su così dormi un’altra mezz’oretta? >  Propose l’adulto accarezzandogli dolcemente i capelli di un bel blu elettrico.
Il bambino scosse la testa,
< no, ho troppa fame per dormire, mi prepari il latte con i cereali? > Lo supplicò incrociando le manine, con uno sguardo da cucciolo meraviglioso.
< Te lo preparo io, basta che smetti di importunare Sonic > esclamò Amy entrando in cucina con un sorriso leggiadro. Lo stomaco dell’adulto si contorse di fronte alla ragazza, possibile che ogni mattina fosse più bella del giorno precedente?
La riccia si avvicinò ai suoi due blu osservandoli con attenzione, un sorriso spontaneo le irradiò il viso, eh si, era proprio figlio suo quello. Erano identici e lei ne era felicissima, non perché fossero uguali, ma perché dimostrava che il suo piccolo non conteneva i geni di Jason.
< Forza tesoro, lascialo un po’ in pace > lo esortò incrociando le braccia in attesa di una qualche reazione scollante da parte del bambino,
< no! A Sonic non do fastidio, vero Sonic? > Domandò Justin speranzoso, incollandosi ancor di più al collo dell’adulto.
< Certo che no, probabilmente la mamma è gelosa perché io riesco a prenderti in braccio > esclamò serio, facendo ridere entrambi i suoi ospiti. Amy con un sorriso si legò i capelli in fretta ed iniziò a preparare la colazione per entrambi,
< ti ho sentito litigare prima, era ancora Dylan? > Chiese innocentemente con un sorriso furbetto, decisa a farsi svelare il motivo della litigata con l’insegnante.
Sonic si era aizzato parecchio durante la chiamata e questo accadeva molto, molto raramente. Il riccio blu, impegnato a coccolare il piccolo, annuì semplicemente, non aveva voglia di parlarne rovinando quel momento. Inoltre si era appena calmato, parlarne avrebbe solo portato a galla altra rabbia.
La rosa, intuendolo, non approfondì il discorso e servì la colazione ai suoi mirtilli. Justin era accoccolato al petto di Sonic, con uno sguardo serenissimo, tutto preso nella narrazione del sogno che aveva fatto quella notte.
La ragazza, con discrezione, teneva sott’occhio i ricci per controllare come interagivano tra loro. Pochissime volte aveva visto Justin così espansivo e rilassato come quella mattina, anzi, si stupiva della velocità e della facilità con cui aveva legato con suo padre. Gran parte del merito andava al ventiquattrenne, la pazienza infinita e l’attenzione con cui si dedicava al figlioletto non era cosa di poco conto. Era sicura inoltre, che l’affetto che provasse per Justin fosse sincero al 100% e di questo era molto, molto felice.
Sonic ascoltava interessato con un sorriso,  sorprendendosi della fervida fantasia del bambino. A vederlo sembrava rilassato e spensierato, come se la litigata con Dylan non fosse nemmeno avvenuta. Ed effettivamente si sentiva proprio così, Justin aveva il potere di distoglierlo da qualsiasi attività o pensiero, quando lui era nelle vicinanze, tutte le attenzioni e le priorità andavano a lui soltanto. E non ne capiva il motivo. Perché proprio e solo lui? Non gli era mai successo con i bambini degli altri, nemmeno con quelli di Silver per quanto gli volesse bene.
Forse perché sentiva che Justin necessitava di lui più di quello che ammettevano o forse per la profonda somiglianza che li legavano. Per un motivo o per l’altro comunque, Justin veniva prima di tutto e di tutti, lui stesso compreso. Oh, e non dimentichiamo la madre del bambino! Anche lei aveva un posto speciale nel suo cuore, ma era un pelino più difficile relazionarsi con la ragazza, a causa dell’imbarazzo palpabile che c’era tra loro. Perciò, al momento, si limitava ad osservarla e ad adorarla in segreto.  
< Ti porto io a ballo? Non penso tu riesca a camminare fin la > si propose d’un tratto la riccia, buttando giù un sorso di caffelatte bollente ustionandosi la lingua. Sonic con un sorrisino fece accomodare Justin al suo posto,
< e come? Mi porti in braccio anche stavolta? > Le domandò ironico sorseggiando il suo caffè ormai tiepido, incollandogli gli occhi addosso. Un aculeo rosa le ricadde sulla spalla dolcemente,
< certo che no! Prendo la spider > rispose con determinazione e leggerezza, mescolando la bevanda per farla raffreddare,
< così dopo andiamo a salutare Beyoncè e Rihanna? > Propose con un sorriso il bambino, pensando già ai giochi che avrebbero potuto fare assieme. 
Sonic rischiò l’infarto, il caffè gli andò di traverso e iniziò a tossire forsennatamente prima di soffocare. Aveva sentito bene? La sua preziosissima macchina in mano a … lei? La sua delicata vettura si sarebbe preservata meglio se l’avesse guidata Justin! La rosa aspettandosi una reazione del genere non si alterò, sollevò un sopracciglio e incrociò le braccia sul tavolo con aria di sfida, era l’unica soluzione fattibile d’altronde!

Infatti, un’ora dopo si trovarono tutti e tre seduti sulla scattante macchina blu, con Amy alla guida, un disperato Sonic al suo fianco e un emozionato Justin alle loro spalle. Il riccio blu per tutto il tragitto aveva continuamente avvertito la riccia di ogni curva, semaforo e macchina e l’aveva esortata (inutilmente)a fare attenzione e andare piano. Arrivarono alla palestra dopo qualche minuto, era una limpida giornata, il venticello estivo spazzava la corte ghiaiosa sollevando un mulinello di polvere e foglie. Aiutato dalla riccia rosa, Sonic uscì dallo stretto abitacolo, ma diversamente dalle altre volte, la vista dell’edificio peggiorò il suo umore.
Sbuffò innervosito con la voglia pari a 0 di entrare e dover discutere con il suo patrigno,
< grazie Amy, sta molto attenta nel tornare e parcheggiala nel vialetto > le ordinò preoccupato. La rosa sospirò facendo roteare gli occhi,
< tu comportati bene con Dylan e porta pazienza, è un po’ in ansia per il matrimonio > gli consigliò dolcemente, sistemandogli in velocità un aculeo fuori posto.
< Speriamo arrivi settembre in fretta allora, non se ne può più > rispose irritato il blu, accarezzando amorevolmente i capelli del bambino al suo fianco.
< Assicurati che la mamma guidi piano > mormorò a Justin con un occhiolino, provocandogli un leggero risolino. Dopo i saluti e dopo averli visti uscire dal cortile, respirò profondamente per prepararsi all’imminente guerra. Zoppicando vistosamente entrò nella palestra, ma prima di varcare la sala, si costrinse a camminare il più normalmente possibile, odiava sembrare debole, soprattutto davanti all’intera classe.
Entrò con circospezione nella saletta, i suoi compagni erano così concentrati nel riscaldamento che in un primo momento non si accorsero di lui, consentendogli di raggiungere Dylan senza essere notato. L’insegnante era seduto sull’angolo sinistro della sala ed aveva appena terminato di fare l’appello quando si accorse della sua presenza.
Alla vista di Sonic mise giù foglio e penna, aggrottò le sopracciglia e incrociò le braccia irritato. Il ragazzo invece, sforzandosi al massimo per mantenere la calma e la serenità, non pronunciò una sola parola aspettando che fosse Dylan a rompere il ghiaccio. Nella sala cadde il silenzio appena i ragazzi si accorsero dell’inusuale atteggiamento da parte del loro insegnante e del loro compagno.
L’unico che sembrava divertito e incurante della situazione era Silver, conosceva bene quel tipo di  silenziosa sfida e sapeva che non sarebbe durata tanto. Infatti, il primo a rompere quel lungo silenzio, fu Dylan qualche secondo dopo,
< sei in ritardo. Siediti qui e cerca di imparare > ordinò breve, portandosi al centro della sala. Sonic ubbidì in silenzio, ignorando le curiose occhiate che gli venivano lanciate di tanto in tanto dai compagni, si concentrò invece sul discorso minuzioso del riccio nocciola, sperando in un cambio di programma.
< Bene, ora che siamo tutti qui ho delle modifiche da annunciare e da attuare > iniziò l’insegnante incrociando le braccia e fissandoli uno per uno,
< come prima cosa, Sonic non può ballare e non sappiamo nemmeno se riuscirà a partecipare al concorso, perciò Jacob prenderà il suo posto al momento. Come seconda cosa, ho ordinato i costumi, spero arrivino per la settimana prossima > esclamò tranquillamente come se avesse esposto un’insignificante annuncio di servizio.
Jacob era un dingo dalla pelle color mandarino e gli occhi color corallo, aveva un lungo ciuffo cotonato che esibiva con un certo orgoglio a tutte le ore del giorno e in qualsiasi luogo. All’eclatante notizia, per poco non iniziò a saltare dalla contentezza ed in men che non si dica, occupò la nuova postazione, irritando non poco il blu che stava cercando di reprimere la rabbia che bruciava dentro di lui.
< Bene, detto ciò, possiamo iniziare a ripassare la coreografia > concluse Dylan facendo partire la musica.
Tutti i ragazzi, freschi e concentrati, iniziarono a ballare con coordinazione ed energia il particolare balletto. Sonic osservò a lungo il suo nuovo rivale, doveva ammetterlo, era bravo: le sue movenze erano precise e coordinate, l’energia era ben dosata in ogni passo. Gli dispiaceva moltissimo non poter unirsi ai suoi compagni, tutta quella musica e quella accattivante coreografia lo stavano invogliando un sacco. Aveva voglia di misurarsi con gli altri e soprattutto stracciare quell’arancia indegna che gli aveva fregato la postazione. Ma quando, nel tentativo di accavallare una gamba, il fianco esplose regalandogli in aggiunta un crampo alla gamba, capì che non si sarebbe unito a loro tanto presto.
E questo lo preoccupava, cominciò a temere realmente la possibilità di non partecipare al concorso. Di questo passo avrebbe impiegato secoli a guarire! Incominciò ad intrecciare un aculeo tra le dita cercando disperatamente una soluzione. Il problema era il dolore, l’articolazione stava da dio, o almeno credeva, sarebbe bastato solo un po’ di antidolorifico e sarebbe tornato in pista fin da subito. Riconfortato dalla proposta si annotò di fermarsi in farmacia prima di tornare a casa, dopodiché si concentrò interamente sulla coreografia memorizzandola pezzo per pezzo.

Fu una mattinata molto intensa, Dylan mise sotto torchio i ballerini per tutta la mattina, facendogli provare e riprovare il balletto migliaia di volte. Perfino Silver sembrava sofferente nell’ultima ora di lezione, il riccio argento possedeva una resistenza eccezionale e farlo stancare era una vera e propria impresa.
Ma tutta la fatica fu in parte ricompensata, la coreografia stava acquistando forma e carattere e Dylan cominciava finalmente a tranquillizzarsi.
Il riccio nocciola dal canto suo, era molto dispiaciuto che Sonic non potesse partecipare al concorso. Senza essere notato, lo aveva scorto dalla finestra e da come aveva zoppicato all’interno, aveva capito che a quel concorso, stavolta non avrebbe partecipato. Con la sua mancanza si abbassava anche la probabilità di vincere, effettivamente il suo figlioccio era una bomba nella danza quando esplodeva, più volte aveva assicurato la vittoria al suo gruppo. Certo, gli rimanevano ancora ottime carte, Silver, Jacob, Leon, erano mostruosi!
Ma Sonic, con il suo modo di fare un po’ sbruffone ed egocentrico, aveva ottenuto nel tempo un occhio di riguardo da parte di giudici e critici. Non gli restava perciò, che aspettare e sperare in una rapida guarigione.  
 
Spazio autrice:
Buona sera lettori, come state? Ecco un altro capitolo! Critiche e consigli sono ben accetti, se ci sono errori segnalateli per favore. Nel prossimo capitolo inserirò un’altra immagine. Ciao e baci!

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Capitolo 16
*** litigi 1 ***


Amy e Justin, dopo aver accompagnato Sonic in palestra, non tornarono a casa, bensì andarono a far visita a Blaze, Beyoncè e Rihanna.
Il riccetto non stava più in se dalla gioia, non avendo fratelli o sorelle qualsiasi bambino andava bene pur di giocare e divertirsi, infatti,  appena scesero dalla macchina, Amy si affrettò a prendere per mano il piccolo, prima che potesse scapparle ed essere investito da qualche auto di passaggio.
La casa di Blaze era una graziosa villetta color vinaccia, con un ampio e curato giardino che ospitava scivoli e giochi per le piccole. L’intera dimora era attorniata da un alto cancello su cui vi era stato fatto crescere passiflore e gelsomini, mentre, di fronte all’entrata, erano stati posizionati grossi vasi in terracotta ospitanti ciuffi di menta e lavanda.
Dopo aver citofonato, i due rimasero per qualche secondo di fronte all'entrata in attesa, quando con uno scatto improvviso, il cancelletto si aprì. Madre e figlio, mano nella mano, varcarono l’inferiata con tanto di occhi verso la meravigliosa abitazione. La porta di casa si spalancò di colpo facendo uscire le due esuberanti bambine, seguite a ruota dalla madre.
< Justin! Zia! > Esclamarono in coro le piccole, dirigendosi verso gli ospiti con passo affrettato. Justin si liberò dalla stretta per correre incontro alle due nuove amiche in una scia blu. 
< Buongiorno piccole, come state? > Intervenne Amy, accarezzando di sfuggita gli aculei di una e i capelli dell’altra,
< tutto bene zia, siamo felici che siate venuti a trovarci! > Esclamarono frettolosamente, trascinando Justin verso le giostre.
Amy sorrise di fronte alla scena raggiungendo la cugina sulla porta, in tuta, con i capelli sciolti sulle spalle. La rosa avvicinandosi mise a fuoco il viso della gatta e si accorse immediatamente che, mentre le sue labbra si piegavano in un sincero sorriso, i suoi occhi erano velati dalla preoccupazione. Ne fu sorpresa, era la donna più forte che conoscesse e vederla in ansia la sbigottiva. Si precipitò ad abbracciarla per infonderle in qualche modo il suo sostegno,
< buongiorno Blaze, dormito poco? > Le chiese con un sorriso, riferendosi alle occhiaie che le segnavano il viso. La gatta lilla ricambiò l’abbraccio e rise,
< non ti si può nascondere nulla eh? > Le sussurrò all’orecchio sentendosi già meglio, dopodiché la prese a braccetto invitandola ad entrare.
La casa aveva subito molti cambiamenti dall’ultima volta che Amy l’aveva visitata: il divano vecchio era stato sostituito con uno nuovo molto più grande, color grigio perla e i mobili erano pieni zeppi di foto delle bambine e dei loro genitori. Una caratteristica lasciò la riccia senza parole: la confusione regnava ovunque. Vestiti, colori, libri, giochi, scarpe e caramelle erano sparsi in ogni centimetro della casa, dalle scale al salotto, dalla porta d’entrata fino al corridoio. Fu proprio questo evidente particolare a far preoccupare maggiormente la riccia, Blaze odiava il disordine e lo combatteva in ogni possibile modo, a volte esagerando anche un po’. Per lasciare l’amata casa e le amate figlie in preda a qualcosa che la gatta riteneva antigienico e portatore del male, il problema doveva essere di vitale importanza!
Si accomodarono in cucina, che non era assolutamente messa meglio del salotto. La tavola era occupata dalle stoviglie usate per la colazione e un velo di briciole, zucchero e macchie di the o latte, coprivano la superficie.
< Scusami per il disordine, devo … devo sistemare > sospirò mesta la viola, iniziando a spostare le ciotole sporche nel lavandino già pieno. Amy restò inizialmente impietrita, ma vedendo che la cugina non dava peso alla situazione decise di arrivare subito al sodo.
< Blaze! Cosa è successo? > Esclamò sinceramente preoccupata, aiutandola a portare le tazze e i cucchiai nel lavabo. La ragazza lilla sospirò portando le mani sui fianchi, sollevò la testa e sbatté le palpebre velocemente per trattenere le lacrime che minacciavano di colarle giù.
< Ieri sera abbiamo litigato > rispose con voce tremolante, inutile specificare che per “abbiamo” intendeva lei e Silver. La rosa sospirò rassicurata, non era una notizia così preoccupante, i due si erano sempre amati alla follia e avevano sempre litigato piuttosto spesso.
< Bhe, è normale Blaze, tutte le coppie litigano e non è la prima volta oltretutto, per cosa avete litigato? > Continuò la rosa imperterrita, lavando accuratamente il tavolo. La gatta abbassò la testa e si asciugò una lacrima rotolata in giù,
< ieri è tornato a casa con questa nuova notizia del corso femminile di hip-hop, presumo Sonic te l’abbia detto … > iniziò la viola, incominciando a piegare qualche vestito sparso di qua e di la. Amy cascò realmente dalle nuvole,
< no, Sonic non mi ha detto niente. Di cosa si tratta? > Rispose interessata, stupendosi del fatto che il blu non le avesse detto niente. Blaze sospirò, la rabbia che le salì in quel momento, bastò a bloccare le lacrime,
< in breve: Dylan ha affidato il corso femminile avanzato di hip-hop nelle mani di Silver e Sonic. Saranno loro gli insegnanti finché Dylan non troverà il tempo da dedicare a quelle > sbuffò innervosita la ragazza, piegando una tutina rosa. Amy dal canto suo era rimasta a bocca aperta, cavolo! Quella era una notizia enorme! Le dispiaceva che Sonic avesse tenuto per se una cosa così importante. Ma d’altronde, lei non era nessuno per reclamare simili doveri da parte del riccio.
< Oh > balbettò senza trovare parole da aggiungere, lasciando che la cugina continuasse il discorso.
< Perciò userà sei ore a settimana per insegnare a queste ragazze, ricordiamo anche che hanno un’età compresa tra i 20 e i 25 e che hanno un culo che parla > sbottò Blaze sistemando le sedie accanto al tavolo. La rabbia scemò nel ricordare la sera precedente: le urla che si erano lanciati e le occhiatacce che si erano scambiati erano stati come spilli incandescenti infilzati nel suo cuore uno ad uno, un’altra lacrima le sfuggì rigandogli lo zigomo.
< Così ieri sera gli ho detto chiaramente che a me non andava bene: sei ore a settimana più tutte le mattine ed il primo pomeriggio per tutta la settimana, non è poco tempo. Le bambine sono due, la casa non si pulisce da sola, anzi, sai meglio di me che appena pulisci e riordini i piccoli buttano tutto all’aria di nuovo. Sono piccole, hanno solo 4 e 5 anni ed io ho bisogno di lui Amy. Tu più di tutti capisci. > Singhiozzò la viola sedendosi e asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. La riccia annuì porgendogli un fazzoletto,
< si, ti capisco perfettamente. Perciò non è una questione di gelosia come supponevo. Ma comunque Silver per le sue piccole figlie c’è sempre stato e sempre ci sarà, no? Troverà sicuramente il tempo per far tutto > Le chiese senza nemmeno il bisogno di ricevere una risposta.
< Oh si, certo che si, ma … > rispose con voce rotta  la gatta, tentando di ricacciare indietro le lacrime.
< Ma …? > La spronò Amy, stupendosi e preoccupandosi di quel dannato “ma”,
< ma lo sarà per me? > Sussurò la viola incrociando le braccia al petto, come se volesse trattenere a se il calore. La riccia restò in silenzio per un attimo, era una domanda retorica o seria? Certo che ci sarebbe stato! Silver viveva per Blaze e le sue piccole! O almeno così dimostravano, forse c’era qualcosa che lei non sapeva?
< Blaze! C’è e ci sarà per sempre! Ti ama! Da dove nasce questo dubbio? > Le rispose determinata appoggiandole una mano sulla spalla.
Sua cugina sfarfallò gli occhi trattenendo i singhiozzi,
< vedi … è così diverso negli ultimi tempi! Si è spento, è sempre stanco e scazzato, solo le bambine sembrano tirarlo su. Ultimamente litighiamo un sacco anche per le cose più stupide. Sembra che non veda l’ora di uscire di casa. E se avesse un’altra? > Mormorò a bassa voce, fissando un punto del tavolo come in uno stato di trance. All’idea di quella terribile opzione, il cuore di Blaze saltò un battito, sarebbe stato un colpo durissimo per lei. Perderlo avrebbe significato perdere una metà di se stessa. Amy scosse la testa decisa, avvolgendo le braccia attorno al collo della ragazza e affondando il mento sulla sua spalla,
< io non credo proprio. Non fasciarti la testa ancor prima di romperla. Ovvio Blaze, dovete chiarirvi il prima possibile, prova ad iniziare il discorso stasera, quando le piccole vanno a letto, così potrete dirvi quello che volete. > Sentenziò la riccia ragionando sulla cosa migliore da fare e da dire, non si sentiva affatto adatta a dare consigli in casi come quelli ed aveva il terrore di peggiorare involontariamente la situazione.
Sapeva che la gatta era molto, troppo orgogliosa per fare il primo passo, ma in quella situazione, almeno per quella volta, doveva mettere da parte l’orgoglio e farsi avanti per risolve la questione. Non potevano rimanere in quello stato di stallo ancora a lungo. La ragazza seduta al suo fianco annuì raccogliendo un po’ di coraggio e smise di singhiozzare. Asciugandosi le ultime lacrime, si alzò in piedi e sorrise debolmente,
< grazie Amy, sei arrivata giusta in tempo per sostenermi > le mormorò con un mezzo sorriso. La riccia ricambiò con gioia il sorriso, avrebbe fatto qualsiasi cosa per l’amata cugina e sapere di essere riuscita a tirarle su il morale la riempiva di pura soddisfazione.


Passarono l’intera mattinata a sistemare e a pulire la casa veramente immensa di Blaze. Oltre al salotto e alla cucina, il disordine si era propagato anche in tutte le camere e bagni, così le due ragazze si erano messe di buona lena per lavare  e riordinare tutto prima del ritorno di Silver. L’umore della gatta era molto migliorato rispetto a prima, dedicandosi alla cura della casa non aveva più riflettuto sulla recente litigata, riuscendo così a distrarsi un po’ dal problema. Amy si era impegnata al massimo per aiutare concretamente la cugina, aveva pulito con cura quasi maniacale ogni camera da letto e le aveva invase di profumo al ginepro. I bambini a loro volta si erano comportati in modo ammirevole, avevano riordinato tutti i colori e i quaderni da colorare e poi si erano dedicati alla formazione di torrette con le costruzioni colorate, non intralciando così il lavoro delle madri.
La riccia rosa aveva anche proposto a Blaze di andare con lei a raccogliere Sonic, così avrebbe avuto l’occasione sia di distrarsi un po’, sia di allentare la tensione con Silver.  In un primo momento, la gatta aveva rifiutato temendo che quel gesto potesse irritare il riccio argento, ma poi, Amy aveva insistito così tanto che non le era rimasta altra scelta se non accettare. Perciò, una volta conclusa l’opera di pulizia, mamme e bambini si avviarono verso la scuola di danza più famosa dell’intera città.
La rosa era rilassata, era convinta che quel piccolo gesto sarebbe stato ben gradito dal compagno della gatta, inoltre era curiosa di vedere come si sarebbero comportati di fronte a tanta gente, per capire il livello di gravità tra i due. Justin era felice come una pasqua, aveva giocato per tutta la mattina assieme alle sue nuove compagne e si era divertito moltissimo. E ora, l’idea di andare a “prendere” l’amico della mamma lo entusiasmava ancor di più, voleva molto, molto bene a Sonic e sperava, in fondo al suo cuore, che Sonic volesse bene anche a lui allo stesso modo.
Appena arrivarono di fronte alla palestra, entrambe le madri parcheggiarono i macchinoni all’ombra dell’unico albero, l’inizio dell’estate si stava facendo sentire alla grande, il caldo iniziava ad essere micidiale. All’interno dell’edificio, il ringhio particolare dei motori attirò subito l’attenzione di tutta la classe, soprattutto dei proprietari delle auto che ben riconoscevano il motore delle loro piccole. Sonic scattò in piedi nonostante il dolore alla gamba e saltellò alla finestra per controllare che la sua adorata non riportasse ammaccature o quant’altro. Venne raggiunto subito da Silver e dagli altri, alcuni incuriositi dalle macchine e i più dalle belle ragazze che le conducevano.
< Grazie a dio sta bene, pensavo di trovarla senza una portiera o peggio > scherzò il riccio blu rivolto all’amico argentato, ma stranamente, il suo commento non ottenne nessuna risposta. Il blu si voltò a guardarlo incuriosito e notò che il ragazzo era serissimo, con lo sguardo incollato sulla gatta lilla. Si stupì non poco di quello strano atteggiamento e capì immediatamente che c’era qualcosa che non andava quando, a differenza di tutte le altre volte, non comparve il solito sorriso sulle sue labbra.
Si concentrò perciò su Blaze, cercando di carpire qualche informazione che lo potesse aiutare a comprendere il comportamento del riccio. In effetti la viola non aveva una bella cera, era piuttosto pallida e sembrava molto nervosa.
< Silver? Che è successo? > Lo apostrofò il blu lanciandogli un’occhiata interrogativa. Un sospiro mesto si levò dal compagno affiancato confermando il presunto malessere,
< ieri sera abbiamo litigato > rispose asciutto, non distogliendo lo sguardo da Blaze. Sonic rimase in silenzio per dare all’amico il tempo necessario a formulare un discorso,
< ha fatto una di quelle scenate di gelosia che metà bastava. Sapevo che la notizia dell’insegnante non le sarebbe piaciuta, ma ieri ... ha veramente esagerato > sbottò a bassa voce Silver, serrando la mandibola nervoso.
Il blu rimase per qualche secondo in silenzio in cerca delle parole giuste da dire, sapeva bene che Blaze era parecchio gelosa, ma da una parte la capiva. Il fidanzato non era l’essere più ingenuo e innocente di questo mondo: battute e fintissimi flirt erano le caratteristiche principali di Silver, ma mentre lui li vedeva puramente come scopo ricreativo, Blaze li travisava come veri e propri tentativi di conquista e questo la faceva esplodere come una bomba.
< Beh, tutto sommato non ha nemmeno torto. Sai bene anche tu cosa c’è in quel corso > rispose con onestà lanciando una veloce occhiata alla bella riccia rosa, intenta a prendere Justin per mano. Distolse lo sguardo prima di rimanerne ingabbiato, concentrandosi invece sulla risposta dell’amico.
< Oh andiamo Sonic! Si trattano solo di 6 ore in più di ballo, non passerò il weekend in loro compagnia! >Sbottò irritato Silver, staccandosi dalla finestra e dirigendosi nervosamente verso gli spogliatoi . Il blu rimase adagiato al muro riflettendo sull’intera situazione: inutile dire che appoggiava l’amico e la pensava allo stesso modo.
Ma quando Blaze entrò nella sala stravolta, con in braccio Beyoncè e per mano Rihanna, entrambe energiche e giocose, involontariamente passò dalla parte della gatta. La piccola felina continuava ad agitarsi come un’anguilla perché voleva scendere dalle sua braccia, mentre la riccetta strattonava il braccio della madre per liberarsi e poter così arrampicarsi sulla spalliera.
Forse riusciva anche a capire perché Blaze fosse così “pesante” ultimamente: le due piccole stavano crescendo di giorno in giorno necessitando sempre più di tempo, spazio e regole, e la viola non riusciva più a reggere da sola i loro bisogni.
Dal canto suo, la gatta lilla non riusciva più a gestire le figlie, una le stava cadendo dalle braccia, l’altra stava per slogarle una spalla ed entrambe non la stavano minimamente a sentire. Oltretutto non si sentiva a suo agio, anzi, temeva che Silver potesse irritarsi maggiormente, credendo magari che fosse venuta a prenderlo solamente per controllarlo. Grazie a Dio, Amy era al suo fianco intenta a rispondere alle domande simultanee che le venivano poste dai vari ballerini, più o meno tutte riguardanti Justin. Anche lei era leggermente imbarazzata: odiava stare al centro dell'attenzione. Il piccolo blu a sua volta non sopportava le carezze continue sui capelli e tutte quelle domande che continuavano a porgere alla sua mamma. Si strinse perciò al collo della riccia, affondando la testa sull’incavo della spalla per tentare di mettersi al riparo dalle indesiderate attenzioni dei ballerini.
Blaze non ne poteva già più quando, di punto in bianco, entrò in sala Silver, con uno scarso sorriso rivolto solo alle figlie.
< Papà! > Urlarono in coro le bimbe, liberandosi estasiate e correndo verso il riccio argentato.
Senza un attimo di esitazione, il padre delle piccole le prese al volo, caricandole in braccio e le sommergendole di baci.  


 
Spazio autrice:
Buona sera! Ecco a voi un altro capitolo, spero davvero che vi piaccia. Ho inserito il disegno che ho fatto qualche mese fa. Cosa pensate dell’intera trama? Consigli e critiche sono ben accette, soprattutto i primi. A presto! Baci!

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Capitolo 17
*** litigi 2 ***


Silver prese in braccio, quasi senza sforzo, le sue amatissime figlie e le coprì di baci. Gli sembrava fosse passata un’eternità dall’ultima volta che le aveva viste. L’amore che nutriva per loro era incomparabile, erano la sua vita e la sua più grande soddisfazione. Non esisteva male che Rihanna e Beyoncè non potessero curare, infatti, appena le aveva viste correre verso la sua direzione con quello sguardo gioioso, si era sentito subito meglio e per un attimo era riuscito a reprimere la rabbia verso la viola.
 Le piccoline, alla vista del riccio argento, urlarono di gioia aggrappandosi saldamente al collo del padre, mozzandogli il respiro. Erano felici come due pasque, ultimamente lo avevano visto poco a causa del lavoro e dell’asilo, perciò approfittavano di ogni più piccola occasione per stare con lui. Blaze, lontana dai tre di qualche metro, osservava la scena divisa in due: da una parte era sinceramente felice del quadretto familiare, dall’altra, la sofferenza per il fatto che Silver fosse ancora arrabbiato con lei la tormentava. Non voleva dargliela vinta, le piccole e lei necessitavano della sua presenza e questo Silver doveva capirlo. E se fosse stato necessario litigare, bene, lei era pronta.

Intanto, Amy aveva dovuto mettere a terra Justin, perché, tra carezze, domande e strizzate di guancie, il piccolo si era notevolmente irritato, perciò aveva voluto scendere a tutti i costi per mettersi al riparo da tutte quelle indesiderate attenzioni. Trovò rifugio sulle spalliere, dove con agilità, si arrampicò saldamente, seguito a ruota da Rihanna e Beyoncè che nel frattempo erano scese dalle braccia del riccio argento.
Sonic e Dylan stavano osservando l’intera scena in silenzio, ma mentre l’insegnante era più concentrato sulla piccola fotocopia del riccio blu, il ragazzo occhieggiò la rosa, circondata da due individui che si esibivano in un deplorevole corteggiamento. Una leggera irritazione prese posto dentro di lui, insomma, tutto sommato lei era la sua ex e loro erano i suoi, presunti, amici. E gli amici non ci provano con le ex altrui.
Distolse lo sguardo dalla scenetta seppellendo ben bene l’irritazione, concentrandosi invece sulla coppia argento e lilla. Blaze e Silver erano uno di fronte all’altra, entrambi con le braccia incrociate che si lanciavano occhiate malevoli.
 Il riccio argento sentiva montare la rabbia ogni secondo di più, Blaze, davanti a lui, era impassibile, gli occhi ambrati erano vuoti, spenti e freddi. Le sue labbra erano piegate in una smorfia apatica, sembrava pronta per iniziare una nuova e lunga guerra, fatta di accuse strampalate, opinioni ancor più strambe e dubbi inconcepibili.
La gatta a sua volta tentava di controllarsi, desiderava ardentemente prenderlo a schiaffi per tutto quello che le stava facendo passare, ma per ovvi motivi scartò l’idea ancor prima di prenderla in considerazione.
< Che ci fai qui? > Le chiese brusco Silver incrociando le braccia al petto, gli sorse il dubbio che la gatta utilizzasse l’occasione della palestra solamente per controllarlo.
< Bhe, mi pare ovvio. Ti accompagno a casa, no? Amy doveva venire qui e ne ho approfittato, pensavo ti facesse piacere > rispose stupita Blaze, rimasta allibita dall’odio che il riccio provava per lei in quel momento.
< Certo, se fosse solo per quello > continuò indispettito l’argentato, tamburellando nervosamente il piede a terra.
Più ci pensava più credeva che la compagna fosse venuta fin li per controllarlo e quel dubbio gli rodeva l’anima in profondità facendolo soffrire a dismisura. Erano veramente caduti così in basso da non riuscire più a fidarsi l’un l’altro?
La viola aggrottò le sopracciglia e strinse i pugni incassando quella schifosa accusa che le aveva lanciato. Respirando lentamente serrò la mascella per trattenere un lungo e articolato flusso di parolacce che le fluivano dentro con naturalità sorprendente.
< Spero che tu  non voglia dar spettacolo > la stuzzicò lui vedendola innervosita, ma Blaze non raccolse la frecciata, scosse la testa, disgustata dal suo comportamento e passò al contrattacco,
< 23 anni per niente > sillabò fredda, sapendo bene che quelle parole lo avrebbero punto sul vivo.
Silver aprì la bocca per rispondere a tono, ma le sue parole furono coperte da un urlo terrorizzato alle loro spalle. Si girarono di colpo preoccupati ed entrambi sgranarono gli occhi davanti alla scena.

Dietro di loro, Rihanna era in piedi di fronte alla spalliera, avvolta da alte e voluminose fiamme che la circondavano completamente.
La piccola riccia argento urlava terrorizzata, ma più le sue urla aumentavano più le fiamme crescevano in spessore e dimensione, diventando in pochi attimi una terribile torcia umana. Il pavimento in parquet iniziò a scricchiolare sotto i piedi della bimba e in poco tempo prese fuoco anch’esso, iniziando a diffondere le fiamme in tutte le direzioni.
Blaze non aspettò di comprendere cosa e come fosse successo, con un’agilità superiore anche ad un allenatissimo mobiano,  raggiunse la piccola spaventatissima con due balzi e la prese per le mani.
A quel tocco, il fuoco perse la sua voracità calmandosi un po’ e riducendo di  molto il suo volume.
< RIHANNA! RESPIRA! > Urlò la viola sopra le grida disperate della bambina, ancora impaurita dall’ingestibilità di quell’incendio che aveva involontariamente appiccato.
Il fuoco, libero dal controllo della piccola riccia iniziò comunque ad aumentare, trovando una considerevole quantità di combustile nel pavimento di legno della sala.
Sonic, zoppicando il più velocemente possibile, armò di estintore sia lui sia Dylan, tentando invano di spegnere il fuoco che la riccia stava alimentando sempre più.
< SILVER! NON SI SPEGNE! > Esclamò  il blu sempre più preoccupato dalla situazione pericolosissima.
Il riccio argento aveva appena messo in salvo Beyoncè e Justin, ancora arrampicati sulla spalliera, quando si accorse che la situazione stava degenerando ogni minuto di più.
Sapeva che il fuoco alimentato dalla pirocinesi non poteva essere spento con l’ausilio di acqua o qualsiasi altra cosa, la combustione poteva essere fermata solamente spezzando il filo del pensiero che la alimentava.
Disperato tentò un ultimo approccio per tentare almeno di contenere il problema: circondò l’intera area bruciante con uno sottile strato di energia azzurra e da li iniziò a bloccare il potere della figlioletta, alimentato dallo spavento e dalla paura.
Il contatto bollente tra lui e la piccola fu un’esperienza particolarmente dolorosa, che più volte lo deconcentrò dal suo compito.
Si sentiva intrappolato in una morsa incandescente che carbonizzava ogni singolo centimetro di pelle e carne, la testa gli stava scoppiando dal dolore bruciante,
< BLAZE! MUOVITI! > Urlò disperato rivolgendosi alla viola. La gatta preoccupandosi ancor di più, cercò di spegnere completamente le fiamme create da Rihanna non riuscendoci mai: la bambina era in preda ai singhiozzi e si stava lasciando sopraffare dai sentimenti.
< RIHANNA! CONTROLLATI! Fai come facciamo a casa! Respira e tranquillizzati! >Gridò Blaze scrollandola un po’ per farsi ascoltare.
Le lacrime non riuscivano a scorrere sulle guancie della piccola, evaporavano appena si accumulavano sull’angolo dell’occhio a causa del gran calore.
La piccolina strinse le mani della madre e ubbidì, iniziò a fare lunghi e profondi respiri, indebolendo il fuoco che crepitava attorno a lei. Focalizzò la figura del suo pupazzo preferito, più si concentrava per visualizzarlo meglio nella sua testa, più le fiamme si ritiravano.
< Brava Rihanna, così! >Si complimentò Blaze, ben sapendo lo sforzo che richiedeva la manipolazione di così tanta energia.
Il fuoco si spense totalmente dopo alcuni attimi, la bambina era esausta al centro alla sala, preoccupatissima per quello che aveva fatto.

Il pavimento attorno a lei era completamente bruciato e annerito mentre, in ginocchio con una mano sulla fronte, Silver dissipava l’aurea azzurra che con una smorfia di dolore dipinta in viso. Non si sentiva così dolorante da quella volta che lui e il riccio blu si erano pestati.
Si alzò barcollante e si guardò attorno per capire l’entità dei danni, ma fortunatamente solo il pavimento era stato compromesso.
I ragazzi attorno erano allibiti e sconvolti dal fenomeno che avevano appena osservato, Beyoncè e Justin erano terrorizzati e incollati entrambi al collo della riccia rosa, la quale mai dopo mai, si sarebbe aspettata una simile devastazione da parte della bambina.
Rihanna aveva gli occhi lucidi e si era incollata alla gamba della madre, che tentava invano di sminuire la gravità della situazione. Blaze sapeva che prima di poter controllare il potere, la bambina necessitava di molta, moltissima pratica, lei stessa aveva preso interamente possesso delle sue capacità solamente attorno ai 15 anni. Le accarezzò lentamente i lunghi aculei argentati, cercando di confortarla,
< Forza tesoro, non è successo niente. Adesso sistemiamo tutto, non preoccuparti, è stato solo un attimo di distrazione e … >
< “Un attimo di distrazione”? > Esclamò Silver allibito e innervosito come non mai, scosse la testa e indicò il pavimento carbonizzato,
< ti rendi conto di quello che poteva accadere? Poteva saltare l’intera palestra per “un attimo di distrazione” come dici tu! >continuò deciso alzando il tono di voce. Blaze non si lasciò intimidire, anzi, di fronte a quel comportamento sentì montare la stessa rabbia repressa della sera precedente
< pensi sia facile mantenere il controllo del fuoco a 5 anni ? Hai idea di quanto esercizio e quanta pratica serve per poter controllare le fiamme? > Rispose a tono cercando di fargli comprendere la difficoltà nel maneggiare quel potere tanto utile quanto pericoloso.
La gente attorno a loro, muta e immobile, fissava la scena a bocca aperta, Amy, Sonic e Dylan, probabilmente erano gli unici a rendersi conto della gravità della situazione, non per il pavimento, ma per i toni accesi che stava assumendo la conversazione.
Silver era molto arrabbiato, stava stringendo la mascella per contenersi e stava guardando in modo malevolo la gatta, mentre un amalgama di energia azzurra circondava la sua mano destra, probabilmente sfuggita al suo controllo.
< E allora piuttosto di sprecare il tempo a fare la gelosa, insegna a nostra figlia a contenersi! > Ringhiò l’argentato ferocemente, mentre la rabbia gli disegnava un ghigno ferino sul volto. Blaze, umiliata e accusata di fronte a tutta quelle gente, si sentiva sprofondare in quel baratro viscido e nero in cui ultimamente Silver la faceva cadere spesso.
Ferita e arrabbiata dalle sue parole tentò di calmarlo e farlo tornare in se, almeno per Rihanna che, spaventata dalla litigata tra i genitori, si era rifugiata dietro di lei.
< Come osi? Credi che non stiamo lavorando su questo aspetto? Ci alleniamo ogni giorno perché impari a controllarlo! >  Gridò avvicinandosi minacciosa al ragazzo. Dentro di se il fuoco, alimentato dalla rabbia, ribolliva e si espandeva sempre di più nel suo corpo, ma diversamente dalla sua piccola, lei riusciva a contenerlo alla perfezione nonostante la difficoltà. Il riccio incrociò le braccia
< bhe, se questo è il risultato sarebbe stato  meglio che non avesse ereditato i tuoi poteri > rispose con fermezza, fissando la gatta dritto  negli occhi. Il piccolo pubblico, coinvolto dalla litigata in corso, trattenne il respiro in attesa della risposta della viola, sconvolto dalla terribile accusa che il riccio argento le aveva rivolto.

Il viso di Blaze rimase impassibile, ma i suoi occhi si tramutarono in due profondi laghi di tristezza, delusione e soprattutto di collera. Come risposta, la gatta sollevò una mano a mezz’aria e facendo lo stesso identico gesto di chi scaccia una mosca di fronte a se, scagliò una focosa e potente fiammata contro il riccio argento.
Silver, che non si aspettava un simile attacco, non ebbe il tempo di proteggersi e venne colpito in pieno petto dal bollente proiettile. L’impatto lo fece volare di qualche metro senza l’ausilio della telecinesi, concludendo il suo viaggio con un tonfo, rotolando pericolosamente sul pavimento.  
Immobile e bruciacchiato, il riccio giaceva a terra, mentre nella sala, l’odore di capelli e pelle bruciata prendeva il posto della vaniglia.
Blaze, portò una mano tremante alla bocca e sgranò gli occhi, rendendosi conto solo in quel momento di quello che aveva fatto. Il suo gesto era stato così istintivo e irrazionale! Non lo aveva attaccato con lucidità, non l’aveva premeditato, anzi.
Poche volte aveva utilizzato il fuoco contro una persona e mai, mai contro Silver. Con quella intensità poi! Aveva lasciato alla rabbia e all’umiliazione il pieno controllo del suo potere, peggiorando ancor di più i problemi già esistenti e portandone di nuovi.

 La gente attorno a lei era letteralmente sconvolta, molti erano precipitati al capezzale di Silver aiutandolo a rimettersi in piedi e a controllare la gravità della ferita. Alcuni di essi iniziarono a lanciare occhiatacce alla gatta, mute accuse che sembravano fredde pugnalate per il cuore della viola. Vergognandosi moltissimo per il disastro che aveva combinato, preoccupata e infelice, la gatta sfarfallò gli occhi lucidi, prese in braccio le due piccole, anch’esse molto sconvolte, e corse fuori dalla palestra diretta alla macchina.
Amy capendo al volo l’intenzione della cugina, lanciò le chiavi della spider al riccio blu, caricò Justin tra le braccia e la raggiunse trafelata, riuscendo ad entrare nella macchina per un filo prima che la gatta accelerasse di brutto.
Le lacrime cadevano copiose dalle guancie della viola, formando delle macchie umide sui jeans. I bambini, seduti dietro, erano muti e un po’ impauriti dal grave evento che si era svolto. Rihanna e Beyoncè trattenevano le lacrime a fatica, erano spaventate dal comportamento dei loro genitori e soprattutto erano sconvolte dall’attacco della mamma contro il papà.
 < Oh mio Dio Amy, guarda cosa ho fatto! Sono un mostro! Sono una madre orribile! Non merito niente! Guarda cosa ho combinato! > Esclamò sconvolta, iniziando a singhiozzare disperatamente,
< non mi perdonerà mai! Come potrà perdonarmi dopo tutto ciò? L’ho colpito! Senza dargli il tempo di creare una barriera o un qualcosa! Spero di non avergli fatto male! > Continuò lei, iniziando a prendere strade a caso che non portavano a nessun luogo preciso. Amy, seduta al suo fianco era talmente allibita da non aver ancora spiaccicato parola. Dubitava molto che il riccio non si fosse fatto male, era bastato l’odore di pelle bruciata a farle capire la gravità della ferita.
Oltretutto non sapeva che dirgli, avevano entrambi torto marcio: Silver si era comportato come un bambino e lei aveva reagito decisamente con troppa foga. Insomma avevano esagerato entrambi allo stesso livello, ma con quell’attacco “a sorpresa” Blaze aveva fatto veramente un grosso guaio.
< Oh Blaze! Smettila di dire cose del genere! Ti ha provocato e tu hai risposto! Nulla di più e nulla di meno, ma non potete continuare in questo modo! Dovete chiarire una volta per tutte! E’ convinto che tu reagisca così perché sei gelosa! > Esclamò Amy tentando di orientarsi invano, stavano percorrendo a grande velocità una strada dritta come un fuso, isolata e deserta, poche fabbriche abbandonate costeggiavano quel lungo filo di cemento e asfalto.
< Come farò a parlargli? Non mi vorrà più vedere dopo quello che è successo! >Esclamò con voce rotta, asciugandosi una lacrima con il dorso della mano.
< Come prima cosa torniamo indietro, ci stiamo allontanando troppo da casa Blaze! > Esclamò preoccupata la rosa, controllando la quantità di benzina rimasta nel serbatoio. E se fossero rimaste bloccate li? Non sapevano nemmeno dove cavolo si trovavano!
Blaze annuì e dopo pochi metri, in uno spiazzo erboso fece inversione, ritornando a Mobius.

Spazio autrice:
Buonasera a tutti! Che dite?  Spero vivamente che vi piaccia, critiche e consigli sono sempre ben accetti. Buona serata!

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Capitolo 18
*** litigi 3 ***


< Sei un idiota, sul serio Silver, sei stato veramente un cretino. Pensavo e speravo che dopo anni passati assieme, ti avessi trasmesso un po’ di intelligenza, ma vedo che non è così > blaterò Sonic intento a stringere la fascia attorno al petto dell’argentato. La ferita causata da Blaze era più grave e meno estesa di quello che si era immaginato.
La pelle entrata in pieno contatto con la fiammata si era completamente bruciata e la carne viva, in un punto, era stata esposta. Dylan e il blu avevano sciacquato la ferita con acqua ossigenata e poi l’avevano fasciato con cura minuziosa, per non causare altro dolore al ferito.
< Grazie a Dio non gliel’hai trasmessa allora. Sai che incubo avere due te? > Lo canzonò Dylan tentando di sollevare l’atmosfera pesante come il piombo, per tutta risposta Sonic sbuffò infastidito. Silver era chiuso in un persistente mutismo da ore, con le sopracciglia aggrottate e uno sguardo indecifrabile. Stava ancora pensando all’attacco di Blaze, al ricordo della lingua di fuoco che lo colpiva in pieno, un brivido gelato lo fece tremare. Aveva sentito con ogni fibra del suo essere la carne carbonizzare e staccarsi come la pelle del pollo arrosto.
Mai la gatta lo aveva colpito volontariamente e con quella rabbia, nei suoi occhi aveva scorto una furia indomabile prima di essere annientato in quel modo. La semplicità con cui aveva sprigionato quella fiammata l’aveva colto totalmente impreparato, non era stato in grado nemmeno di creare uno scudo di fortuna.
< Perché sarei un idiota di grazia? > Domandò Silver  fissando il pavimento ancora corrucciato e impassibile,
< bhe, te la sei cercata eh. Ti rendi conto di quello che gli hai detto o no? > Rispose Sonic sistemando garze e acqua ossigenata nell’armadietto dedicato ai farmaci.
< Effettivamente non sei stato mister galanteria, le hai detto cose … poco appropriate > continuò Dylan, cercando di nascondere il dispiacere per il suo pavimento bruciato. Silver guardò ad occhi sgranati insegnante e amico, non poteva credere alle sue orecchie! La stavano realmente difendendo? Lanciò uno sguardo torvo al blu e al nocciola,
< seri? Mi ha ustionato e le dato pure ragione? >
< Silver? Le hai detto che sarebbe stato meglio se vostra figlia non avesse ereditato il suo potere! La conosci cavolo! Sai che ha sempre avuto problemi con la gestione delle fiamme! Dovevi proprio fare lo stronzo? > Esclamò Sonic appoggiandosi al bordo del tavolo visto che la gamba iniziava a cedergli dolorosamente. Dylan annuì e tornò a guardare il riccio argentato, sconvolto dall’affermazione dell’amico blu,
< insomma Silver, che ti è successo? Sembra che tu abbia preso ad odiarla da un giorno all’altro! > Borbottò l’insegnante incrociando le braccia al petto in attesa di una risposta. Il ferito sbuffò e roteò gli occhi,
< no che non la odio! E’ la madre delle mie figlie! Come potrei? No, il problema è che … sono arrabbiato con lei, ecco! > Sbottò semplicemente, stando ben attento a non incrociare lo sguardo con i due ricci al suo fianco.  < Tante grazie, fin li ci arriva anche Sonic. Come mai sei così arrabbiato con lei? L’hai beccata con qualcun altro? > Domandò l’insegnante, ricevendo un’occhiataccia dal ragazzo blu. Silver a disagio, strusciò un piede a terra sospirando
< Grazie a Dio no! E' che … ultimamente è così gelosa e possessiva! Ieri si è infuriata come un toro appena le ho detto della notizia riguardo il corso femminile. Ha iniziato a supporre che avessi un’altra! Capite il problema? Non si fida di me! Come può avere ancora questi dubbi dopo anni e due figlie? Come può solo ipotizzare che ami un’altra? Sono molto, molto deluso dal suo atteggiamento! E’ vero, negli ultimi mesi sono stato assente intere giornate, ma questo non significa che per questo non la ami più! E’ così complicato da capire? > Esclamò alzando il tono di voce sempre più e stringendo intensamente il bordo del tavolo. Appena chiuse la bocca espirò profondamente, si sentiva parzialmente liberato  da un peso sullo stomaco. Raccontando come si erano svolti i fatti, aveva portato chiarezza dentro di se e ora si sentiva incredibilmente lucido.
< Ma è una donna Silver! Sono l’incarnazione del dubbio mistico e assurdo! Non puoi pretendere certe cose! Perciò, da bravo fidanzato, appena tornerà a casa, vi scannerete per bene e poi farete pace! > Esclamò il riccio blu portando le mani ai fianchi e accennando un sorriso malizioso. Dylan con un sorriso sornione, appoggiò una mano sulla spalla dell’allievo
< può sembrare difficile in questo momento, ma devi essere sincero con lei, devi fargli capire che non è la sua gelosia che ti da fastidio, ma il fatto che lei dubiti della tua fedeltà. State assieme da anni! Non deve essere difficile dirgli ciò che realmente provi > spiegò con calma il riccio nocciola, cercando di far ragionare il riccio.
Silver sospirò e osservò la porzione di cielo delimitata dalla finestra,
< inutile discutere su chi debba fare il primo passo allora > mormorò piegando la testa di lato, ammirando una pigra nuvola che solcava le onde del cielo azzurrino. Sonic e Dylan risero all’unisono, per poi uscire in cortile e assorbire un po’ dell’intensa luce estiva, seguiti a ruota da un bruciacchiato riccio argentato.


Le ragazze intanto erano arrivate a Mobius sane e assetate, nel tornare avevano sbagliato la strada 3 volte, allungando non poco il tragitto. I bambini erano stanchi e irritati a causa dell’immobilità forzata, soprattutto Justin che avendo preso dal padre, non riusciva a stare fermo più di mezz’ora filata.
Per paura di trovare Silver in casa, Blaze aveva deciso di fermarsi nell’abitazione di Sonic giusto il tempo di ristorarsi e prepararsi psicologicamente all’imminente guerra. Poche volte si era sentita così in ansia come in quel momento, mio dio, se solo l’argentato avesse potuto sentire quello che lei in quel momento provava, probabilmente non sarebbero arrivati a quel punto.
Mescolando la sua tazza di the ormai fredda, pensava alle cose più adatte da dire: come prima cosa doveva scusarsi per la bruciatura (e controllare anche la gravità della ferita) e come seconda cosa doveva spiegargli nei minimi particolari quello che realmente provava e voleva.
I bambini, finalmente liberi dalle grinfie di seggiolini e cinture di sicurezza, si stavano divertendo un sacco a fare casino, il divano era già a k.o. e stavano correndo come forsennati per tutta la casa, traboccanti di energia. Le madri avevano provato a tenerli buoni ma con scarsissimi risultati, perciò alla fine ci avevano rinunciato, sedendosi sul malconcio divano e schiarendosi le idee.
< Probabilmente ora sarà a casa, ti conviene raggiungerlo e mettervi a tavolino > ipotizzò la rosa attorcigliando un aculeo sull’indice pensierosa, sperava tanto che Dylan e Sonic, conoscendo bene i due litiganti, cercassero di calmare l’argentato e farlo ragionare. Blaze annuì roteando gli occhi,
< spero solo che abbia voglia di chiarire altrimenti … > tutto ad un tratto, la porta si aprì di colpo interrompendo il dialogo tra le cugine, le quali spostarono l’attenzione sull’entrata.
Zoppicando, il riccio blu si addentrò nel salotto, chiudendo la porta alle sue spalle con un sorriso furbetto. I piccoli abbandonarono i giochi e iniziando ad urlare come aquile gli corsero incontro,
< buonasera ragazze, buonasera piccini! > Esclamò lui, piegandosi per accogliere in modo caloroso i tre bambini tra le sue braccia.
Amy, involontariamente, si riavviò i capelli con una mano, dettata da un improvviso desiderio di essere presentabile di fronte al ragazzo blu.
< Ciao So' > mormorarono le cugine all’unisono, ammirando la tenera e divertente scenetta tra i bambini e l’adulto, il quale regalava baci e carezze a gogo.
< Se andate a cercare nel freezer, ci sono i gelati > sussurrò il blu ai piccoli ospiti, sapendo bene di staccarli nel giro di qualche secondo con quella dolce notizia. Infatti, con tre sorrisi galattici, i piccolini schizzarono in cucina, arrampicandosi sulle sedie e servendosi da soli i coni.
< Come va la gamba? >  Domandò preoccupata la riccia, notando che l’insolita rigidezza sembrava più marcata in quel momento,
< per certi versi meglio > la tranquillizzò lui con un occhiolino,
< ci sono altri feriti che meritano cure al momento > esclamò poi,  lanciando un’occhiata maliziosa alla gatta lilla. Blaze sospirò nuovamente  e si massaggiò un braccio abbattuta,
< è grave? > Domandò dispiaciuta, ricordando terribilmente bene l’odore di pelle e capelli bruciati. Sonic scosse la testa e si accomodò accanto alla rosa con un movimento rigido,
< no, è dolorosa però, l’hai bruciato per bene! Se vuoi parlargli è a casa ora > continuò lui, distraendosi per un solo secondo dai lunghi aculei ondulati della riccia che occupavano parte della sua visuale. La gatta si alzò in piedi posando delicatamente la tazza intoccata di the sul tavolino, già in ansia per l’imminente confronto
< bene, noi andiamo a casa allora, vi farò sapere com’è andata > esclamò richiamando le figliolette per nulla felici di dover concludere i giochi e il gelato.
Amy, intuendo i toni e le parole pesanti che sarebbero piovuti, si preoccupò per le piccole, meglio evitare che vedessero certe scenate.
< Stai tranquilla Blaze, le teniamo noi, vai a casa e chiarisci, domani mattina te le riporteremo > intervenne con un sorriso la rosa, lanciò poi un’occhiata ed un mezzo sorriso al proprietario di casa in cerca del suo assenso che arrivò senza un attimo di esitazione.
Blaze rimase senza parole dalla proposta, esibì un timido sorriso riconoscente e congiunse le mani al petto,
< vi ringrazio, mi fate un favore enorme, almeno non dobbiamo preoccuparci di scannarci > rispose con amara ironia, raccogliendo la borsa ed il coraggio. La gatta ricordò alle piccoline di fare le brave e soprattutto di ubbidire, dopodiché, ringraziando per la centesima volta, uscì e salì in macchina, dirigendosi verso la sua adorata dimora piuttosto velocemente.
Iniziò fin da subito a tamburellare nervosamente le dita sul volante cercando di rilassarsi un po’, cosa doveva fare ora? Quali parole utilizzare? E soprattutto come guardarlo in faccia dopo averlo ustionato? La gatta respirò profondamente mentre lo stomaco le si contorceva sempre più dal nervosismo. In pochi minuti arrivò di fronte alla bella abitazione e parcheggiò con attenzione, mancava solo che strisciasse la macchina.
Scese malvolentieri dall’auto e ancor più malvolentieri si avvicinò alla porta d’entrata, bloccandosi di fronte ad essa con le chiavi in mano e il cuore che galoppava. Era letteralmente terrorizzata ma si auto-obbligò a mantenere la calma e la concentrazione. Con un altro sospiro, raccolse la sua dignità e fece scattare la serratura il più silenziosamente possibile.
La porta si aprì emanando un sottilissimo cigolio, inudibile ad un orecchio non felino. Immediatamente il silenzio più totale l’avvolse come una cappa, riempiendogli i timpani del solo rumore prodotto dal frigo. Si addentrò con cautela in salotto, aspettandosi di trovarlo arrabbiato nero sul divano o in cucina, ma diversamente da quello che pensava, non lo trovò in nessuno dei due luoghi.
Aguzzò così l’udito per capire in quale stanza si trovasse e iniziò cautamente a controllare ogni stanza, controllò persino il garage ma non lo trovò da nessuna parte.
Perplessa si sedette sul divano e controllò l’orologio, era quasi ora di cena, dov’era finito? Sonic aveva detto che era a casa! Sospirando innervosita si appoggiò al poggia testa, cercando di non farsi troppi tragici filmini mentali. Probabilmente era andato a fare due passi o magari a bere un caffè o … da qualcun'altra?
Un brivido freddo la fece tremare al solo pensiero, stava quasi per chiamarlo quando sentì i suoi passi leggeri sul vialetto. Si alzò di scatto in piedi, pettinandosi con le dita le ciocche viole legate severamente e tentando di darsi un po’ di contegno. Farsi trovare in condizioni pietose era l’ultima cosa che desiderava.
 Silver entrò in casa con due buste della spesa tra le mani e uno sguardo pensieroso, totalmente assorto nei suoi pensieri. Si bloccò di colpo appena trovò la gatta di fronte a se che trapelava preoccupazione da tutti i pori. Si guardarono negli occhi senza dire una parola per un tempo che parve lunghissimo e pesantissimo.
Entrambi aspettavano che il compagno facesse il primo passo, ma per 2 buoni minuti nessuno spiaccicò parola. Tentando di smuovere in qualche modo le acque, Silver riportò alla memoria le parole di Dylan e Sonic, e con enorme fatica, deglutì l’orgoglio e si preparò a porgere le sue scuse, quando la viola, stupendolo non poco, lo anticipò con voce tremante.
< Mi dispiace, mi dispiace veramente tantissimo di tutto, mi dispiace di averti bruciato oggi, per la litigata di ieri e quella dell’altro giorno ancora. Mi dispiace di farti soffrire e di assillarti continuamente, so di darti fastidio con il mio comportamento > iniziò con una punta di disperazione nella voce.
Silver stupito da questo autentico miracolo, appoggiò le buste al tavolo e le si avvicinò incrociando le braccia, studiandola con attenzione. Nonostante le facesse una tenerezza formidabile in quella situazione, con quegli occhi disperati e quello sguardo da gattino infreddolito, si concentrò per dimostrarsi freddo e staccato nei suoi confronti,
< Blaze, l’unica cosa che mi da fastidio di te è quando non ti fidi di me. La gelosia è una cosa e mi va anche bene, dimostra che nonostante tutto tieni ancora a me. Mentre la sfiducia no, non la tollero Blaze. Ci conosciamo da anni, abbiamo due figlie meravigliose e nonostante la giovane età siamo una famiglia! Come puoi solo pensare che abbia un’altra? Siamo veramente caduti così in basso da aver perso le basi? Perché se è così è meglio trovarsi un buon avvocato > L’apostrofò lui lasciando scivolare fuori il rancore e la delusione.
La gatta ascoltò con attenzione e scosse la testa, ignorando volontariamente la provocazione,
< no Silver, mi fido di te, i dubbi mi salgono quando ti vedo che preferisci uscire di casa al posto di restare con le tue figlie, quando diventi freddo, staccato, spento. Questo mi fa uscire di testa! Sono sola con le bimbe che reclamano te e tu non ci sei! > Sbottò frustrata, affondando lo sguardo su di lui per osservarne una reazione.
< Sono stati mesi pesanti Blaze, hai visto anche tu, Dylan ci sta spremendo come limoni, ma questo non vuol dire che i miei sentimenti verso di voi siano cambiati. E’ vero e ti do ragione, ultimamente sono stato poco presente a causa del lavoro e ammetto anche che il mio comportamento non è stato questo granché e mi dispiace, ma è stato solo un periodo! > Continuò riconoscendo le sue colpe. Blaze sentendosi un po’ confortata dalla sua ammissione spontanea, tentò di approfondire il discorso,
< dunque rinuncerai al ruolo di insegnante? Le piccole necessitano di te Silver! > Chiese speranzosa, lasciando trapelare un po’ di gioia. L’argentato spostò il peso da una gamba all’altra a disagio, a dir la verità aveva già fatto la sua decisione tempo addietro, con enorme difficoltà e sacrificio. Con un grosso sospiro, continuò determinato
< no, intendo farlo, sia per il fatto che ormai l’ho promesso a Dylan e non voglio rimangiarmi la parola, sia per il fatto che per me rappresenta un’enorme sfida e voglio mettermi in gioco > rispose con onestà osservando con preoccupazione e curiosità la reazione della gatta.
Gli occhi di Blaze sprizzarono palese e profonda delusione, ma non lo diede a vedere in altri modi, abbassò la testa mordendosi l’interno della guancia e annuì leggermente, tanto, cosa poteva fare o dire lei per fargli cambiare idea? Se nemmeno le sue piccole avevano smosso la sua scelta, figuriamoci lei.
< Ma non farò 6 ore, ne farò tre, io e So’ ci divideremo le lezioni, così guadagneremo un po’ di tempo entrambi. Ok? > Continuò poi con un mezzo sorriso, sperando che quel dettaglio bastasse a tranquillizzarla. La viola sembrò stupita ma non del tutto soddisfatta, infatti sbuffò irritata e incrociò le braccia,
 < d’accordo Silver. Ma sappi, che se sarai in ritardo anche di un solo minuto, le cose cambieranno in modo radicale e non sto scherzando. > Rispose seria, minacciandolo con l’indice teso. Il riccio argento roteò gli occhi divertito dallo sfogo
< va bene, starò attentissimo > mormorò con pazienza, azzerando la distanza tra loro. Il riccio intrappolò con dolcezza la gatta tra le sue braccia, Blaze all’inizio fu un po’ restia a quella manifestazione di affetto, ma dopo poco, con enorme piacere, si abbandonò totalmente a lui, stringendolo in un profondo abbraccio.
Era vero, Silver si sarebbe assentato per altre tre ore a settimana, ma tutto sommato, per lei era un discreto compromesso. E poi avevano finalmente chiarito e questo valeva più di ogni altra cosa, non sarebbe riuscita a reggere un’altra singola ora in quella situazione. Si staccarono quei pochi centimetri necessari per guardarsi negli occhi e scambiarsi un delicato bacio.
 Silver accarezzò con dolcezza lo zigomo della gatta facendole finalmente schiudere un enorme sorriso,
< mi sei mancata > le sussurrò sospirando e appoggiando la fronte sulla sua,
< anche tu > mormorò di rimando la viola, sorridendo inebetita. Si staccarono dolcemente e Silver si diresse sulle scale, in cerca delle bambine,
< le piccole sono in camera? > chiese il riccio trattenendo uno sbadiglio a stento. Blaze ricordò solo in quel momento di non averlo avvisato del breve trasferimento delle bimbe e si premurò di metterlo subito al corrente
< no, sono da Sonic e Amy! Mi hanno fatto il favore di tenerle fino a domani mattina > lo informò entrando in cucina e iniziando a sistemare la spesa sparsa sul tavolo.
Il riccio ritornò in salotto serio e pensieroso,
< perciò … abbiamo casa libera fino a domani mattina > esclamò con una nota ironica e incredula. La gatta emise un risolino malizioso, capendo bene dove voleva andare a parare il riccio
< esattamente tesoro. Hai qualche proposta? > Domandò lei con un sorriso, sedendosi sopra al tavolo con innata grazia felina e accavallando le gambe in modo provocante,  
< ne ho più di una > mormorò lui, accarezzandole le lunghe cosce con le punta delle dita e un sorriso complice.
La gatta ricambiò  e stando felicemente al gioco, si lasciò caricare in braccio dal riccio che si diresse nella camera più vicina.


Spazio autrice: Buonasera a tutti! Ecco un altro capitolo. Come sempre consigli e critiche sono ben accette. Spero vi piaccia.
Baci.

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Capitolo 19
*** Sogni poco carini ***


Ad Amy stava scoppiando la testa, se era difficile badare ad un singolo bambino, controllarne tre era letteralmente impossibile. E Sonic non stava poi tanto meglio.
Appena Blaze era uscita dalla porta, i giochi e la confusione erano ripartiti alla grande e a poco erano serviti tv e cena. Era un continuo bisticcio insaporito da gridolini, risate, scherzi, corse, salti e chi più ne ha, più ne metta.
La rosa doveva dolorosamente ammetterlo, in vivacità ed energia Justin superava tutti e lei sapeva bene che geni incolpare per tutta quella foga. Grazie a Dio, Sonic l’aveva aiutata in tutto e per tutto, nonostante la zoppia si era fatto in 4 per tenerli buoni e aveva ottenuto un discreto successo solo quando, sotto implorante richiesta dei piccoli, aveva letto loro una favola. Il riccio blu, carico d’imbarazzo, aveva iniziato a raccontare con voce calda e rilassante la storia di Rosaspina, catturando l’attenzione del suo pubblico, il quale si era zittito e immobilizzato sul divano. Perfino Amy era stata cullata dal racconto e si era bevuta ogni singola parola di quel racconto chilometrico. Il blu necessitò di un’ora buona per narrare l’intera favola, continuamente interrotto dalle domande infinite e assurde dei piccini, i quali si chiedevano cosa mangiasse la principessa e di che colore fosse il cavallo del principe. Domande che il riccio blu risolveva in modo molto fantasioso e particolare, lasciando ogni volta i piccolini a bocca aperta e con nuove domande.
E dopo quelli che erano sembrati secoli, finalmente Sonic terminò con voce ormai ridotta ad un sussurro
< … e così, la principessa ed il principe vissero felici e contenti. > Mormorò a bassa voce, chiudendo con delicatezza il libro e appoggiandolo di fianco a se. Sospirò stancamente, la gola gli bruciava come un tizzone ardente e sentiva gli occhi secchi. Deglutì sperando di spegnere il fastidio e controllò le condizioni dei bambini: tutti e 3 erano profondamente addormentati, crollati letteralmente su di lui dopo poche pagine. Sorrise intenerito da quelle piccole pesti, erano tanto caotiche quanto adorabili, certo, ora si trovava con il cranio che scoppiava e un formicolio indesiderato alla gamba malata, ma ne era valsa la pena.
Il suo sguardo venne poi completamente attirato dalla figura di Amy, uscita dalla cucina con due tazze di the profumato in mano e gli aculei raccolti in uno sformato chignon.
Nonostante la settimana passata, il blu non si era ancora abituato alla presenza di lei e dubitava anche di potersi abituare tanto velocemente. Vederla spuntare dalla cucina dopo 5 anni, lo destabilizzava, si sentiva bloccato tra passato e presente e non aveva idea di come reagire.
Da una parte era fuori di se dalla gioia, dall’altra era terrorizzato di poter soffrire nuovamente per causa sua. Contemporaneamente però, voleva aiutare lei e il suo piccolo (mantenendo ovviamente le adeguate distanze) e aveva una voglia di abbracciarla e parlarle che metà sarebbe bastata.
Avvicinandosi silenziosa, la rosa gli porse una tazza con un sorriso cordiale, per poi appollaiarsi pigramente al suo fianco ed osservare divertita i piccoli dormienti. Il riccio, stando ben attento a non svegliare i piccini, la ringraziò e iniziò a mescolare la bevanda, puntando quasi involontariamente gli occhi sulla ragazza.
< Sei stato veramente bravo, sei riuscito a tenerli seduti per un’intera ora! >Bisbigliò sfiorando gli aculei di Justin con il dorso della mano.
< Si, ma a che prezzo! Ho perso l’uso di due corde vocali > esagerò lui con un mezzo sorriso, accarezzando dolcemente le piccole testoline immerse in un sonno profondo.
< Almeno ora si sono addormentati! > Sospirò lei sorseggiando il suo the finalmente in pace, il riccio la imitò e poi appoggiò la tazza sul tavolino.
< Come facciamo per stanotte? > Le chiese serio, indicando le pesti con un cenno della testa. La riccia portò le gambe sotto di se e sorrise leggermente, aveva già pensato anche quello e con la sua decisione avrebbe preso due piccioni con una fava.
< Se a te va bene, le piccole dormiranno con me e tu dormirai con Justin, ok? > Snocciolò velocemente, posando poi l’attenzione sull’espressione del riccio per capire il suo stato d’animo. Aveva valutato con attenzione se consegnare Justin al riccio per la notte, sapeva che il bambino non avrebbe fatto storie per la notizia, anzi, ne sarebbe stato molto felice. Ma temeva anche che il cambio di letto potesse portare nuovi incubi e in quel caso lei non ci sarebbe stata.
Aveva perciò quasi deciso di tenerlo lei, quando, notando il sorriso sereno dipinto nel faccino del figlioletto, le si era subito stretto il cuore dalla tenerezza e senza ombra di dubbio aveva scelto di rischiare, al massimo Sonic l’avrebbe chiamata.
Il mezzo sorriso stampato in faccia al riccio in questione scomparve e un’espressione preoccupata prese il suo posto,
< no. Negativo. Non se ne parla. > Le rispose asciutto scuotendo la testa velocemente, Amy, stupita da quella reazione, aggrottò le sopracciglia sorpresa e indagò,
< perché no? Non avrai mica paura? > Mormorò incredula con un pizzico di ironia.
< Certo che si! Ho paura di schiacciarlo! Magari lo soffoco o lo stordisco o gli faccio male! > Esclamò Sonic realmente preoccupato iniziando a sentirsi veramente a disagio. Insomma Justin era un mignon! Bastava un nulla e lo avrebbe ridotto ad una frittatina! Oltretutto, fresco dell’avventura al fiume, era terrorizzato dal fatto di potergli far male.
La rosa, divertita dalla confessione strampalata del blu e soprattutto dall’espressione carica d’ansia, rise, capiva perfettamente il suo terrore, lo aveva provato anche lei nei primi mesi di vita del suo bambino.
Per tranquillizzarlo si avvicinò ancor di più al riccio, appoggiandogli una mano sul braccio
< posso assicurarti che quello che verrà soffocato sarai tu. Domani mattina te lo troverai addosso senza un filo di contegno > esclamò con voce argentina la ragazza, tentando di rasserenarlo con un sorriso furbetto. A quel tocco e a quella vicinanza, il blu si agitò ancor di più e il suo cuore iniziò a battere più velocemente, mamma mia quanto si sentiva idiota.
< Ok, d’accordo, se dici che sa auto-salvarsi mi fido. Spero vivamente che tu abbia ragione però, non voglio averlo sulla coscienza > concluse mesto, accettando la decisione che gli veniva praticamente imposta.
Mezz’ora dopo infatti, si trovò steso a letto con il piccolo blu di fianco, impigiamato e già mezzo addormentato. Sonic lo aveva ben avvolto nelle coperte e l’aveva steso accanto a lui delicatamente, non troppo lontano ma nemmeno troppo vicino, le loro braccia si sfioravano appena. La madre aveva salutato il piccolino con un po’ d’ansia e Sonic non aveva capito se l’agitazione era dovuta a causa sua o per quello che doveva affrontare lei: Amy avrebbe dormito con le due agitate figlie di Blaze.
Sperava solo di non trovarle carbonizzate il giorno dopo a causa di una Rihanna incandescente.
Spenta la luce, il riccio blu si sdraiò con più delicatezza possibile, chiudendo gli occhi in cerca un sonno che non si degnava di presentarsi. Rimase a fissare una coppa luccicante per qualche minuto quando la sua concentrazione venne catturata dal respiro strano di Justin: era leggermente più veloce del suo ma la frequenza di respiri così diversa da quella di un adulto, non lo aiutava a rilassarsi, anzi lo metteva in una condizione di perenne allerta. Con un po’ di pazienza a causa della gamba malata, si girò di fianco e osservò il piccolo corpicino sollevarsi ed abbassarsi regolarmente, sospirò stanco, mentre i soliti vecchi, infiniti pensieri iniziarono a tormentarlo, portandolo tanto vicino a quel vuoto interiore che si era creato col passare del tempo e che non aveva mai accennato a richiudersi.
Il profondo senso di solitudine che aveva iniziato a soffocarlo da dentro, negli ultimi tempi aveva iniziato anche a soffocare le cose esterne a lui: relazioni, lavoro, amicizie, erano sempre coperte da una patina oleosa che non lo lasciava godersele appieno.
E nulla aveva fermato il degrado interiore iniziato anni fa, aveva imparato a coprirlo con un sorriso e qualche battutina, aspettando di rimanere solo per poi lasciarsi sommergere dall’apatia.
Ma no, non in quel momento, la visione di Justin addormentato sempre più vicino a lui, bloccava il malessere, anzi glielo prosciugava, restava solo una sentimento ricco di amore e gioia, come ai bei vecchi tempi. Era così felice di avere la rosa e quel piccolo tesoro nella sua vita, non vedeva l’ora che si facesse mattina per stare con loro.
Chiuse gli occhi, concentrandosi per distogliere l’attenzione dal respiro del piccolo, cosa che si rivelò veramente molto difficile. Dopo quelle che parvero ore, riuscì a prendere sonno solo dopo infinite rotazioni, pecore a non finire, film mentali illusionistici, pensieri strampalati e molta stanchezza. Il filo dei pensieri iniziò ad essere incoerente finché non cadde addormentato.



Justin era in casa di Sonic, fuori era buio pesto e lui aveva freddo nonostante fosse piena estate e indossasse il suo nuovo pigiamino a righe blu e azzurre. Una quiete assoluta avvolgeva il salotto e la cucina, ed il silenzio era così pesante da metterlo a disagio.
Il riccetto, nonostante nessuno glielo avesse detto, sapeva che in quel momento l’amico della mamma era al lavoro e perciò in casa c’era solo lui e la mamy. La quale indossava il bellissimo tutù bianco come un osso, pieno di tessuto vaporoso e piume, che la faceva assomigliare tanto ad una nuvoletta.
Stava canticchiando una dolce ninna nanna mentre con un coltello piuttosto lungo sgrassava un’enorme bistecca di un rosso quasi esagerato.
Incuriosito e voglioso di coccole si avvicinò alla riccia rosa, i lunghi capelli ondulati la faceva assomigliare ad una graziosa sirena. Si incollò alla sua gamba incuriosito e si alzò in punte di piedi per guardare il lavoro meticoloso della madre, riusciva quasi a scorgere il tagliere su cui vi era appoggiata l’enorme costata, che vista da vicina sembrava quasi che pulsasse.
Interessato dal singolare fenomeno, il bambino puntò la concentrazione e aguzzò l’occhio sul pezzo di carne che sembrava muoversi e plasmarsi, improvvisamente, da un lato, si aprì una piccola lacerazione da cui si riversarono tantissime grosse larve giallastre, viscide e brulicanti.
Un brivido di paura e timore lo costrinse ad indietreggiare di qualche passo, non gli piacevano gli insetti, soprattutto ragni e vermi.
< M-mamma? Guarda! >Balbettò carico d’ansia, nascondendosi dietro alla riccia incurante che aveva tra le mani una nuova bistecca,
< oh, è normale Justin, non preoccuparti > gli sussurrò con un sorriso, appoggiando il coltello sul tagliere.
Si asciugò velocemente le mani sul body bianco, lasciando tracce rosate ed umide su di esso e poi si chinò baciandogli leggermente la fronte. Il piccolino, avido delle attenzioni della madre, socchiuse gli occhi per godersi al meglio il gesto d’affetto, quando le labbra freddissime della ragazza si bloccarono in quel gesto e le mani congelate che lo avevano accarezzato sulle braccine, iniziarono a stringerlo sempre più, immobilizzandolo. Una goccia di liquido denso e viscoso, cadde sul suo naso colando poi lentamente verso la bocca, lasciando dietro di se una traccia umida che lo fece rabbrividire. Impaurito e dolorante da quella forzatura, aprì gli occhi e quello che vide lo fece urlare a pieni polmoni di puro e intenso dolore: sua madre inginocchiata di fronte a lui sbavava sangue dalle labbra, i suoi occhi privi di vita erano fissi su di lui, immobili, gelatinosi e tristi, il tutù era intriso di sangue scuro e gocciolava ai suoi piedi, tanto da bagnargli perfino i pantaloni.
Dietro alla sua amata mamma inerme, Jason con un sorriso sadico in volto e il lungo coltello da cucina in mano, masticava avidamente la carne cruda ripiena di larve grasse e viscide. L’adulto sembrò accorgersi di lui solamente in quel momento, smise di masticare e sorrise ancora più ampliamente, resti di cibo erano incastrati nella chiostra di denti e gli occhi iniettati di sangue lo facevano sembrare ancor più pazzo.
Justin si sentiva morire, il suo giovanissimo cuore batteva così forte da sembrare una trivella.
Le sue gambe sempre così scattanti e guizzanti, in quel momento avevano perso la loro energia, diventando rigide e tremolanti. Indietreggiò trascinando con se il corpo rigido e freddo della madre che lo stava inzaccherando di rosso sangue. Jason, continuando a fissarlo dritto negli occhi con quel ghigno sadico, piantò il coltello con un colpo forte e preciso nella schiena di Amy.
Justin non si era mai sentito così braccato in vita sua, con il cuore in gola e lacrime agli occhi, tentò di scappare nella camera di Sonic, ma con grande rammarico scoprì che la sua strepitosa velocità era totalmente scomparsa.
Le gambe, per quanto si muovessero erano sempre troppo lente. Il riccio blu notte lanciando un guaito animalesco, si lanciò alla carica per acciuffarlo, le mani insanguinate si chiusero a pochi centimetri dalla gamba del piccolo blu. Il quale gridando dalla paura si fiondò sulle scale per raggiungere la stanza di Sonic, più vicina rispetto alle altre. Ogni gradino sembrava un muro invalicabile per i suoi corti arti e ogni passo fatto, era un autentico traguardo.
Con il fiato rancido sul collo, Jason lo stava velocemente raggiungendo e il piccolo blu stava letteralmente crollando dalla fifa, se l’avesse preso sarebbe di certo morto e la disperata scintilla di vita che era in lui era decisa a rischiare il tutto e per tutto pur di non spegnersi.
Riuscì per miracolo a catapultarsi all’interno della stanza e con un calcio ben assestato, chiuse la porta in faccia a Jason prima che riuscisse ad entrare. La sua faccia stravolta dalla rabbia, dall’alcool e dal sangue si impresse a fuoco nell’immaginazione di Justin e l’ululato inferocito, accompagnato dal un pugno sulla porta, gli fece accapponare la pelle.
Vari grugniti sempre più deboli e passi pesanti, indicarono che il riccio blu notte si stava allontanando dalla stanza. Il piccino si sentì profondamente miracolato.
Il respiro ansimante ed irregolare, il dolore per la morte della mamy e la paura lo stavano mettendo a dura prova, sfinito, si lasciò cadere in un pianto disperato, le lacrime iniziarono a cadere in grosse gocce, inumidendogli gli occhioni già lucidi. Dov’era Sonic? Quando sarebbe tornato? Era morto anche lui? Se si, chi si sarebbe occupato di lui? A tutte queste domande non riusciva a trovare risposta, scosso da singhiozzi così profondi da bloccargli il respiro.
Qualche secondo dopo, un rumore simile ad un ticchettio lo destò dal suo dolore, spaesato, si guardò attorno preoccupato ma la stanza era immersa dal buio, solo dalla finestra filtrava un po’ di luce. Di nuovo sentì il ticchettio accompagnato stavolta da una risata sadica e stridula. Gli aculei di Justin si rizzarono dalla paura. Si alzò da terra tremolante in cerca della causa di quel rumore, quando la sua vista venne catturata dalla fonte del ticchettio.
Un lunghissimo dito ossuto intriso di sangue, ticchettava ritmicamente il vetro della finestra chiedendo insistentemente di poter entrare. Notando che il bambino non accennava ad aprire, la mano scheletrica coperta da un sottile strato di pelle blu scuro, fece da se. La figura di Jason, sproporzionata con quelle mani e con braccia troppo lunghe, entrò nel campo visivo di Justin, causandogli una scarica di puro e intenso terrore. Il piccolo iniziò a tremare come una foglia e le lacrime iniziarono a scendere ancora più copiosamente, ora sarebbe stato sicuramente ammazzato. Iniziò a recitare a memoria la preghiera che la mamma gli aveva insegnato, sperando, che come una formula magica, potesse aiutarlo in qualche modo. Il mostro strisciò sulle mani e sulle braccia con un movimento goffo, innaturale e straordinariamente veloce, avvicinandosi sempre più al piccolo raggomitolato a terra in attesa della sua fine.
L’alito rancido e pestilenziale era nauseabondo, Justin avrebbe voluto vomitare ma la paura era talmente tanta da bloccargli persino il respiro. Una risata malvagia schiarì la gola a Jason. < Sei mio. Il mio adorato figlio > sillabò con voce cavernosa e sibillina. Un dito affilato e deformato passò sotto il mento e gli alzò il visino irrigato di lacrime e terrore, Il bambino aprì coraggiosamente gli occhi, trovandosi la faccia sfigurata e ferina di Jason a pochi centimetri di distanza che lo fece rabbrividire.
L’adulto sorrise eccitato e con lentezza alzò un pugno posizionandolo di fronte al viso del piccolo riccio, il quale iniziò a singhiozzare disperatamente. Il braccio caricò e al limite massimo di estensione scattò rapidamente sul faccino di Justin. Un grido sovrumano carico di dolore si sprigionò dalla gola del bambino. Ma prima che il pugno potesse concludere il suo viaggio distruttivo, il riccetto si destò e aprì realmente gli occhi velati di lacrime, trovandosi davanti le splendenti, gentili iridi verde magnetico di Sonic, che si stavano lacerando dalla preoccupazione.


Spazio autrice: spero di non risultare troppo ripetitiva con questo capitolo, non era previsto lo spazio dedicato all’incubo. Detto ciò spero che vi sia piaciuto. Oltretutto ho deciso di rinnovare i capitoli più vecchi per adattarli meglio alla trama, il primo è già stato sostituito. Critiche e consigli sono sempre ben accetti.
Baci.

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Capitolo 20
*** Nottata intensa ***


Sonic quella notte si era svegliato principalmente per due motivi: i mugugni che il piccolo aveva emesso a notte fonda e le lenzuola improvvisamente bagnate. Ancora intontito dal sonno, il blu aveva semiaperto gli occhi per capire cosa fosse successo e per cambiare le lenzuola che risultavano completamente zuppe e parecchio fastidiose. La stanza era immersa nel buio e dovette sbattere le palpebre numerose volte per mettere a fuoco l’arredamento. E fu proprio in quel momento che un urlo di puro terrore lo investì, risvegliandolo completamente e rizzandogli gli aculei dalla paura.
Il suo sguardo volò al piccolo, con la temuta sicurezza che si trattasse nuovamente di un incubo. Justin era nascosto sotto le coperte tremante come una foglia, le piccole orecchie appiattite sulla testa e gli occhi serrati, mentre lamenti e parole senza senso venivano scandite dalle labbra a velocità sorprendente.
Senza un minimo di esitazione, Sonic, zoppicando, saltò giù dal letto e si precipitò al suo fianco in preda all’ansia, iniziando ad estrarlo dalle coperte umide a cui il piccolo stava saldamente attaccato. Con un brusco strattone riuscì a sollevarlo di peso e a districarlo da quell’ingarbuglio di lenzuola bagnate, ma nemmeno per un istante il suo lamento cessò.
< Svegliati! Forza! Apri gli occhi! >  Esclamò il ragazzo preoccupato a morte, scuotendo il piccino blu come una scatola di tik tak. Non ricevendo alcuna risposta positiva da quel trattamento, lo tirò in piedi sperando che la forza di gravità bastasse a svegliarlo,
< JUSTIN! > insistette ancora, continuando a scrollarlo violentemente. Ma il bambino sembrava irraggiungibile, completamente assorto nel suo mondo immaginario fatto di chissà quali mostri. Sonic temette di non riuscire più a svegliarlo, il corpo irrigidito ma penzolante del piccolo, gli sgusciava tra le braccia come sabbia.
Ma finalmente, dopo un’agghiacciante grido carico di panico, il piccino aprì gli occhi. I suoi grandi fanali verde magnetico erano ancora appannati dal sonno, lucidi e incredibilmente stanchi, più che dormito sembrava avesse corso per tutta la notte a velocità folle. L’adulto sospirò di sollievo e lo avvolse tra le braccia senza tante cerimonie, grazie a Dio si era svegliato! Non avrebbe sopportato un secondo in più tutta quella sofferenza. Si staccò e lo osservò con particolare attenzione, cercando qualche dettaglio che lo aiutasse a capire come stava,
< hey piccolino, ci sei? > gli domandò con apprensione inginocchiandosi di fronte a lui, a dire il vero non gli sembrava del tutto cosciente, sembrava più in uno stato di dormiveglia. Justin alla domanda sbatté le palpebre confuso toccandosi il pigiama bagnato. Si rese conto che quello che lui credeva fosse sangue, in realtà non era altro che pipì.
Il suo sguardo già disperato, peggiorò ancor di più alla scoperta e iniziò a singhiozzare a pieni polmoni, devastato dall’intera situazione
< eravate tutti morti stavolta! Anche tu! > Esclamò il piccolo, iniziando a bagnare anche la maglietta con le tantissime lacrime che gocciolavano dal piccolo mento.
Sonic respirò paziente accarezzandogli la testa con dolcezza,
< era solo un brutto sogno Justin. Siamo tutti straordinariamente vivi e soprattutto sani, vedi? >  rispose Sonic asciugandogli le lacrime con il pollice e un sorriso che sperava fosse incoraggiante. Il bambino smise di singhiozzare e tirò su con il naso, gli occhi arrossati si riempirono di nuovo di preoccupazione,
< ho fatto la pipì nel letto, mi dispiace tanto > mormorò a bassissima voce colorandosi di porpora dalla vergogna. Gli scappò un sorriso di tenerezza dall’improvvisa reazione del piccolo,
< non preoccuparti, non è nulla di grave! Adesso ti lavo, cambio le lenzuola e poi dormiamo un altro po’ ok? > mormorò il blu, ricordando in quel preciso istante le sgridate delle suore quando ancora si trovava all’orfanotrofio. Un brivido gli fece salire la pelle d’oca sulle braccia, mamma mia quante punizioni si era beccato le poche volte che aveva bagnato il letto, ricordava a memoria tutte le sfuriate di suor Maria-qualcosa.
Il piccino annuì alla proposta del riccio e a testa bassa lo seguì silenziosamente nel bagno, cercando di non svegliare l’altra camerata, che non si sa come, non aveva udito assolutamente nulla. L’adulto era completamente assorto dall’intera vicenda, non sopportava vederlo in quello stato di sofferenza, si sentiva talmente impotente davanti a quegli incubi! Era un’autentica impresa riuscire a svegliarlo figuriamoci tentare di non farlo sognare. Sistemato il piccolo, che ora indossava una maglia dell’adulto come pigiama, Sonic cambiò le lenzuola fradice accorgendosi però di avere il cambio nella camera degli ospiti, proprio in quella in cui dormivano le ragazze. Scrollò le spalle sbuffando e prese due semplici coperte, non voleva svegliare le piccole ospiti per un paio di lenzuola e poi c’era caldo, quelle bastavano ed avanzavano.
< Forza mirtillino, vieni > mormorò l’adulto vedendo il piccolo ancora sconvolto dal brutto sogno, il suo sguardo mortificato era perso nel vuoto e con le mani dietro alla schiena, si appoggiava mestamente alla scrivania straripante di vestiti. Con la testa tra le nuvole, il piccolo riccio si arrampicò sul letto asciutto e si sdraiò accanto alla sua fotocopia con sguardo completamente assente.
Sonic che aveva tentato invano di farlo sorridere o di svagarlo almeno un po’, si preoccupò maggiormente, bambini così seri non ne aveva mai visti e cosa ancor peggiore non aveva idea di cosa fare o dire per consolarlo o distrarlo. Decise così di discutere senza mezzi termini con lui. Non era un bambino “normale”, l’esperienza negativa con Jason l’aveva fatto crescere molto velocemente, fin troppo, ed ora le belle parole non avevano più effetto su di lui. Non che gli andasse a genio quel tipo di rapporto, ma il piccolino aveva le sue idee e le sue teorie riguardo a quell’argomento e tentare di cambiarle era praticamente inutile, non rimaneva che dirgli la pura verità.
< Justin. Ascoltami bene. > Iniziò deciso guardandolo dritto negli occhi, catturando subito la sua attenzione. Il piccolo alzò la testa e gli occhi pieni di panico di un verde meraviglioso lo guardarono fisso e incuriositi,
< Jason non ucciderà nessuno e soprattutto non ti farà mai più del male. Mai, mai più. Capito? Mai più. > Esclamò serio, il suo tono di voce era basso e fermo, completamente convinto delle sue parole. E Justin gli credette subito, senza riflettere se fosse possibile o meno, si fidava a prescindere di quel riccio così simile a lui, sapeva che diceva la verità. Quelle parole piene di speranza, che gli confermavano che il suo più grande desiderio poteva diventare realtà, scatenò una forte emozione al riccetto. Gli occhi gli diventarono lucidi e le labbra tremarono per un breve istante, quando lacrimoni lucidi e rotondi rotolarono giù dalle guancie. Sbattendo le palpebre velocemente, il piccino andò a rannicchiarsi sul petto dell’adulto con lo stesso sguardo di un cucciolo di capriolo. Inutile dire che all’adulto gli si strinse il cuore dalla compassione e dalla tenerezza,
< come fai a saperlo? E se lui venisse quando tu non ci sei? E se tu fossi a ballo e lui venisse in quel momento? Ci ucciderebbe tutti Sonic! > Mormorò in singhiozzi fissandolo dritto nelle pupille. Il riccio blu rimase un attimo in silenzio per raccogliere le parole giuste, asciugando le lacrime copiose del piccolo. Cavolo quanto era difficile affrontare questi temi così delicati,
< Justin, ti assicuro che Jason non ucciderà proprio nessuno. Nessuno. E nemmeno verrà qui, te lo assicuro. Se dovesse arrivare, tua madre mi chiamerà nel giro di trenta secondi ed io arriverò in due > spiegò con convinzione tranquillizzandolo un po’.
Il riccetto si calmò e iniziò ad arrotolare tra le piccole manine un aculeo del ragazzo, tic che aveva palesemente assorbito dalla madre,
< glielo dirai alla mamma? > Domandò titubante lanciandogli un’occhiata carica d’ansia. Sonic che iniziava a sentire chiaramente le ore di sonno mancanti, sbadigliò e strinse forte a se il piccino, sperando di farlo addormentare in tempi brevi.
< Di cosa? > Approfondì lui iniziando a deconcentrarsi sempre più, sentiva chiaramente le palpebre diventare pesantissime
< che ho fatto la pipì nel letto > mormorò a bassa voce il piccino, carico di imbarazzo e vergogna. Il blu soppresse una risata e accarezzò pigramente la testolina del suo tesoro, divertito dall’orgoglio che già ora dimostrava,
< no, non glielo dirò se non vuoi > borbottò con un mezzo sorriso, iniziando ad addormentarsi profondamente,
< allora per favore non dirglielo > concluse Justin con un sospiro, infagottandosi bene sotto le coperte e sopra l’addome del riccio. Sonic gongolò di gioia nell’abbracciare quel piccolino che profumava di fragole, come la madre, e vederlo totalmente a suo agio.
Ora mancava solo la riccia rosa al suo fianco e poi la vita sarebbe stata perfetta, se mai ci fosse ritornata.
< Sonic? > Lo richiamò un’ultima volta il piccolo,
< mmmh? >  
< io ho fame >.

Il giorno dopo, Amy si svegliò più presto del solito, disturbata dal vociare confuso e agitato delle piccole che saltellavano sopra il letto manco fosse un gonfiabile. Così, ancora assonnata si era trascinata giù per le scale per preparare la colazione alle piccole prima che i genitori venissero a riprenderle.
I suoi due blu erano ancora a letto ma li lasciò indisturbati, dopotutto era l’unico giorno libero di Sonic e ieri era stato spremuto come un limone dai cuccioli. La casa era immersa dalla luce e dalla pace grazie al muro di mattoni rossi che accerchiava tutta la casa, i rumori esterni erano filtrati da quella muraglia, permettendo una certa tranquillità e un certo silenzio. Silenzio rovinato mezz’ora dopo, quando il campanello trillò. Amy impegnata a pulire la bocca di Beyoncè dalla nutella, corse alla porta sperando che fossero i genitori delle piccole.
Certo, erano adorabili, le amava e non si pentiva affatto di aver fatto quel piacere, ma cavoli, erano due piccole furie! Non smettevano neanche per mezzo secondo di parlare, far domande, giocare e correre.  Justin perlomeno era meno caotico e più gestibile, inoltre l’ascoltava quasi sempre, più o meno.
La risata maliziosa della gatta lilla si levò dietro alla porta e la rosa capì subito di aver fatto centro, difatti di fronte a lei stavano Silver e Blaze, avvinghiati tra loro, con due facce che lasciavano intendere chiaramente quello che era avvenuto quella notte. Amy non riuscì a trattenere un sorriso malizioso
< buongiorno piccioncini, chiarito? > Esclamò ironica, lasciando passare le due bambine di corsa, felicissime di tornare a casa. Blaze raccolse Beyoncè da terra e la coprì baci stringendola forte a se, contraccambiò poi il sorriso alla rosa, indicando chiaramente che le avrebbe raccontato per bene l’intera faccenda.
< Oh si, tutto apposto … Sonic? > Si limitò Silver con un sorriso, prendendo in braccio Rihanna a dir poco euforica. La riccia incrociò le braccia e con un sorriso furbetto indicò le scale con un cenno della testa,
< sono ancora a letto, vuoi che te lo chiami? > Si propose sollevandosi dalla porta. L’argentato per qualche istante sembrò stupito, dopodiché la sua espressione mutò e sogghignò beffardo
< bhe, approfittane! Vai su e chiarisci anche tu, presumo abbiate molto da dirvi … e da fare > concluse con una smorfia ed un occhiolino. Amy sgranò gli occhi stupita dalla proposta indecente dell’argentato, Blaze sbuffando per la battuta di poco tatto lo colpì alle costole con una leggera gomitata per intimarlo a tacere.
< Dopo ci sarai? > Le chiese con un sorriso cambiando volutamente discorso.
< Dove? > Domandò la rosa di rimando, aggrottando le sopracciglia dubbiosa.
< Da Ginevra! Ci ha chiesto se possiamo darle una mano con gli inviti del matrimonio … non hai letto il messaggio? > Chiarì Blaze perplessa, prendendo per mano la piccola gattina che tentava invano di liberarsi.
< Uhm … no. Stamane non ho ancora preso in mano il cellulare a dir la verità. Comunque si, ci sarò! > Esclamò senza ombra di dubbio. Ginevra era una delle sue care amiche, nonostante fosse più grande di lei di parecchi anni aveva sempre trovato ascolto e buoni consigli. Aiutarla per il suo matrimonio sarebbe stato più che divertente! Il destino l’aveva riportata a Mobius proprio al momento giusto.
 < Ottimo! Allora ci vedremo più tardi. Ti ringrazio ancora per l’aiuto che ci avete dato con le piccole, spero si siano comportate bene > Esclamò la viola squadrando da cima a fondo le bambine con aria dubbiosa. Era la prima a notare che le sue figlie non erano gli stinchi di santo che sembravano ed era quasi certa che le piccole avevano fatto ciò che volevano. La rosa sorrise forzata
< oh certo che si! Sono molto vivaci è vero, ma nulla di così grave > esternò grattandosi la tempia imbarazzata, di certo non poteva dirle quanto era stato difficile tenerle a bada! D’altronde si era proposta lei di tenerle e controllarle.
Dieci minuti dopo, quando la coppia e relative figlie se ne furono andati, uno scalpiccio lento e zoppicante preannunciò l’arrivo di Sonic, il quale portava con se Justin, incollato al suo collo con un’espressione sofferente. Ad Amy bastò vedere la faccia dei due per capire che la nottata non era stata per nulla piacevole. E probabilmente sapeva anche il perché, nonostante una parte di lei sperava che tutta quella stanchezza e malinconia fosse causata da un banale cambio di letto e di stanza.
< Cosa vi è successo? > Esclamò allarmata avvicinandosi trapelata al suo riccetto e al blu. I loro visi non erano riposati e sotto gli occhi notava gli aloni scuri tipici della stanchezza. E Justin era troppo, esageratamente silenzioso, inoltre voltò la testa e la spinse nell’incavo del collo dell’adulto, dandogli praticamente le spalle.
Vedendo che il suo riccetto non accennava a parlare, spostò lo sguardo su Sonic allarmata, sperando che potesse fornigli la risposta tanto temuta. Il ragazzo si smosse gli aculei con una mano e respirò profondamente per prendere tempo, non voleva preoccuparla più di quello che già era.
< Ha avuto un altro incubo stanotte e ha impiegato molto tempo per svegliarsi. E stavolta siamo morti tutti, tutti quanti > descrisse velocemente lanciando un’occhiata al piccolo incollato a lui. Il bambino raggelò al ricordo di Jason trasformato in quel mostro e involontariamente si strinse ancor più forte al blu cercando di toglierselo dalla testa inutilmente: i suoi occhi famelici continuavano ad apparire perfino sotto le palpebre. Amy sospirò non sapendo cosa rispondere e incrociò le braccia al petto, cosa, cosa poteva fare per liberarlo da quel tormento?
< E … e come mai ci sono le lenzuola nel corridoio? > Domandò con voce piatta portandosi una mano sulla fronte. Quella mattina si era trovata la pila di lenzuola ammucchiata nel corridoio, tanto che per un momento aveva creduto che fosse stata opera delle bambine. A quella domanda Justin ebbe un fremito e si rizzò, guardando in panico Sonic. Ma con efficacissima non-chalance, ricordando la promessa fatta, il blu scrollò le spalle e prese posto al tavolo,
< ho spanto … della … aranciata > Esclamò cercando di mantenere un’aria indifferente come chi non ha nulla da nascondere. Justin, che nel frattempo si era accomodato al suo posto, gli sorrise grato della piccola bugia, sorriso che l’adulto ricambiò con un occhiolino d’intesa.
< E tu come stai? > Le chiese il riccio di rimando osservandola con quei bei occhi verdi, d’altronde aveva dormito con le due satana e sembrava straordinariamente viva anche lei, anche se un po’ spossata. La rosa presa un po’ alla provvista dalla domanda si lasciò cadere sulla sedia, sconsolata dall’incubo di suo figlio
< oh bhe, se vi può consolare sono caduta dal letto, Rihanna mi ha tirato un calcio talmente forte che son rotolata giù > esclamò appoggiando i gomiti sul tavolo cercando di rilassarsi un po’. Le due fotocopie davanti a lei risero nello stesso identico modo, stupendo di nuovo la madre che credeva finite le uguaglianze tra i suoi ricci.
Se solo avesse potuto annullare quei dannatissimi 5 anni. Se solo fosse rimasta! Tutto sarebbe stato perfetto: Justin avrebbe avuto il suo vero padre, non avrebbe mai fatto incubi, salvo durante le indigestioni notturne di chili dog, mentre lei avrebbe avuto Sonic al suo fianco. Sorrise al pensiero, immaginandosi come una normale famiglia felice, tipo quelle del  Mulino Bianco. Scosse la testa facendo crollare l’enorme castello in aria che aveva creato e si alzò in piedi,
< questa mattina vado da Ginevra per aiutarla con gli inviti del matrimonio … cosa vuoi fare Justin? > Lo interrogò portandosi dietro di lui,
< uhm … ci sono anche gli altri bambini? >
< non penso, sarà un’uscita tra adulte credo > rispose sincera, sistemandogli ordinatamente la matassa di aculei spinosi.
< Allora sto a casa con Sonic > decise sicuro, lanciando un’occhiata gioiosa all’adulto. Il diretto interessato sorrise compiaciuto, nascondendosi dietro la tazza di caffè per mascherare l’evidente e grandissima soddisfazione.


Spazio autrice: buonasera! So di essere in ritardo, ma ho modificato il capitolo centinaia di volte. Inoltre sono indecisa se accorciare i capitoli o meno, a volte mi sembrano troppo lunghi.  Errori, consigli, critiche e quant'altro sono molto graditi, grazie e baci.

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Capitolo 21
*** Novità ***


Arrivata alla scuola di danza, Amy, stando ben attenta a non disturbare, entrò nel corridoio vuoto della palestra facendo tintinnare allegramente il campanello appeso al soffitto. L’aria fresca del condizionatore la colpì in pieno, portandole un po’ di sollievo sulla pelle. La giornata era iniziata da poco e la temperatura era già al limite del sopportabile, poche persone avevano il coraggio di avventurarsi nelle strade d’asfalto bollente. Difatti, lungo il suo tragitto la rosa non aveva trovato assolutamente nessuno, la città sembrava morta, soffocata sotto lo strato di calore.
Dalla sala principale una musica rilassante si diffondeva nell’aria e la voce calma e calcolata di Dylan, cullava le persone al loro interno invitandole a concentrarsi e a sciogliere la muscolatura. La rosa nonostante la curiosità, non osò entrare nella sala per timore di disturbare la lezione. Bensì, salì in fretta le scale che portavano all’appartamento della coppia, eccitatissima all’idea di ritrovarsi tra sole donne come anni fa. L’adrenalina gli scorreva nelle vene a secchiate, tanto da farle tremare le mani, le erano mancate così tanto quei ritrovi tra amiche pieni di pettegolezzi, consigli, confessioni e quant’altro! 
A Gout City  aveva avuto qualche amica nei primi tempi, una vicina di casa e una mamma di un amichetto di Justin, entrambe erano un po’ più grandi di lei ma si erano sempre trovate alla perfezione. Amy era felicissima di aver incontrato le due nuove ragazze, la loro esperienza in fatto di bambini e la conoscenza della piccola cittadina l’avevano aiutata non poco! Ma quello svago settimanale era finito 4 mesi dopo, quando le ragazze avevano conosciuto Jason in uno dei suoi giorni peggiori.
Prima che le tornasse alla memoria quel pomeriggio drammatico, la rosa si concentrò sul presente, bussando delicatamente alla porta. Il familiare chiacchiericcio e le risatine le fecero capire che tutte le ragazze erano ormai arrivate, felice come una pasqua si sistemò velocemente i capelli, quando la porta si spalancò.
Al posto della riccia grigia, comparve la formosa pipistrella bianca con un sorriso malizioso.
< Ben arrivata Amy! Ginevra è andata a prendere altre bustine ma tornerà tra poco. Non c’è Justin? > Esclamò scambiandole i soliti bacini sulle guancie,
< ciao Rouge, no, non c’è Justin, ha preferito rimanere a casa, sei sola anche a tu? > Domandò incuriosita, seguendo la ragazza in salotto. La casa profumava di incenso e qualcos’altro di orientale, i bacchettini fumanti erano sparsi per tutta la casa così come le lampade di sale rosato.
La ragazza annuì con un sorriso prima di arrivare davanti alla tavolata di amiche, tutte impegnate chi a scrivere, chi a imbustare i cartoncini, chi a chiudere le buste e chi a stilare una lista dei restanti invitati. Appena la videro, con un gran trambusto tra urletti ed esclamazioni, si alzarono tutte quante andando ad abbracciarla calorosamente. La rosa con il cuore a mille si lasciò stritolare dalle amiche più volentieri del previsto. Quel legame così forte, nato quando era ancora una ragazzina, col passare degli anni era diventato indivisibile. Le sue amiche erano state la sua prima famiglia, ancor prima di Sonic e di tutto il resto, e quella che sicuramente ci sarebbe stata in qualsiasi eventuale evenienza. Le abbracciò e le baciò a sua volta una per una, felice di essere tornata in quel cerchio di donne, dove i problemi venivano condivisi e molto spesso risolti.
Quelle sorelle acquisite che tanto adorava,  erano uno dei doni più belli che la vita le aveva concesso. Concluso il giro di abbracci e baci, Ginevra spuntò dal corridoio con una scatola piena di bustine di carta bianca tra le mani e uno sguardo carico d’ansia, probabilmente i preparativi del matrimonio la stavano letteralmente uccidendo.
< Amy! Ben arrivata! Grazie di essere venuta! Non c’è Justin con te? > Esclamò la riccia dal pelo color grigio perla sorridendo cordiale.
< No, ha preferito rimanere a casa > rispose la rosa un po’ dispiaciuta prendendo posto accanto a Cosmo. Effettivamente la fidanzata di Dylan non aveva ancora conosciuto il suo piccolo nonostante fossero passate settimane dal suo arrivo e dentro di se si stava rimproverando severamente per la mancanza.
< Oh, non fa niente, non preoccuparti. Adesso ti spiegherò cosa devi fare confettino > rispose con un mezzo sorriso ed un profondo sospiro la grigia. Amy si accomodò sulla sedia e portò lo sguardo sulla ragazza in attesa di istruzioni per il confezionamento degli inviti.
Ginevra però, non sembrava in gran forma, si era appoggiata al tavolo e lentamente si stava massaggiando le tempie con movimenti circolari. La testa le stava per scoppiare e lo stomaco aveva nuovamente iniziato a ribellarsi al suo controllo, tutto questo e aveva ancora un sacco di lavori da fare. Obbligandosi a mantenere i nervi saldi, portò le mani ai fianchi e respirò profondamente per calmarsi un po’.
< Tutto bene Gin? > Esclamò la rosa alzandosi in piedi di scatto temendo che potesse svenire da un momento all’altro.
< In effetti non hai una bella cera, sei piuttosto pallida o meglio, verdogn… > Tikal non riuscì a concludere la frase. Ginevra impallidì di colpo e corse al bagno, riuscendo a vomitare dentro al water per puro miracolo. La nausea la privava di qualsiasi energia, abbracciò la fredda ceramica e con un altro conato rigettò completamente la colazione.
In cucina le ragazze avevano deposto le carte sul tavolo indecise su come comportarsi, forse era meglio chiamare Dylan?
< E’ la terza volta che vomita questa mattina, non si sarà presa l’influenza? > Mormorò preoccupata Cosmo, lanciando un’occhiata al corridoio sperando che emergesse la sua figura. Blaze sospirò
< potrebbe essere! Per mettere le pantofole deve stare assai male > esclamò perplessa concludendo un nuovo invito. Era vero, Amy non se n’era subito accorta, ma effettivamente la riccia aveva le ciabatte ai piedi e non le solite scarpe da ginnastica. E questo per lei era indice di malattia. Rouge spezzò il suo silenzio accavallando le gambe e sbuffando maliziosa, una piccola risata allegra fece capolino dalle sue labbra,
< credo che sia qualcosa più lunga di un’influenza > mormorò lanciando occhiate languide alle compagne. Le ragazze si guardarono per un attimo spaesate a bocca aperta, cercando di credere per un solo attimo alle parole della pipistrella.
< No Rouge. E’ una ballerina di altissimo livello e oltretutto si sposa tra tre mesi. Non può essere > esclamò la rosa alzandosi in piedi inquieta, capendo benissimo a cosa si stava riferendo.
< Anche tu sei una ballerina, eppure è successo anche a te > contraccambiò Rouge lanciandole un’occhiata furbetta.  Amy raggelò per l’involontaria frecciata da parte della bianca e si zittì. Tutte le ragazze, non stando più in se dall’ansia, si alzarono e si avvicinarono al bagno.
< Tutto bene? > Esclamò Wave bussando delicatamente alla porta attendendo una risposta dall’interno. La porta si spalancò e la riccia grigia, verde in volto, uscì barcollando e premendosi lo stomaco. No, non stava affatto  bene e contemporaneamente, tutte le mamme ricordarono malvolentieri quei primi mesi delle loro gravidanze dove vomitare ogni mattina era diventata un’abitudine.
La rosa e la rondine la presero sotto braccio e con un sospiro comprensivo la portarono in salotto, dove la fecero accomodare sul divano e le fecero togliere le pantofole.
< Vado a preparare limonata e zenzero > propose Blaze fiondandosi in cucina di corsa,
< limonata con zenzero? > Mormorò Ginevra portandosi una mano alla fronte schifata,
< diventerà la tua migliore amica > rise Cosmo accarezzando gli aculei della ragazza con dolcezza.
< Devi dirci qualcosa Gin? > La interrogò con malizia Rouge, incrociando le braccia e scrutandola con un sorriso malizioso. Forse poteva ingannare le altre, ma la pipistrella era troppo arguta per poterle nascondere qualcosa.
La grigia sorrise mestamente e appoggiò la testa al cuscino con fare stanco,
< volevo dirvelo tra qualche giorno a dir la verità >  rispose piatta portandosi una mano sul ventre e accarezzandolo con dolcezza.
Le ragazze iniziarono ad urlacchiare e a battere le mani felici, congratulandosi in continuazione con la futura mamma.
< Dylan lo sa? > Domandò Blaze sorridendo, di ritorno con un grosso bicchiere di limonata.
< Non ancora, a dir la verità volevo dirglielo stasera, ho invitato i suoi genitori a cena per annunciare il lieto evento. Cena a cui spererei partecipasse anche Sonic >  e pronunciando queste parole rivolse ad Amy tutta la sua attenzione. La rosa che dopo un asciutto “congratulazioni” era rimasta ad ascoltare le chiacchiere delle sue amiche pensierosa, alla richiesta sgranò gli occhi e rimase a bocca aperta.
Per chiarezza, Sonic e i genitori di Dylan provavano un odio profondo l’uno verso l’altro. Ricordava ancora l’unica volta che gli aveva visti, era stato più o meno 6 anni fa quando Sonic, fresco della maggiore età, aveva esageratamente litigato con loro. Decidere di fare una cena con tutti e 3 era un autentico suicidio, soprattutto nelle sue condizioni. E poi cosa centrava lei?
< Stai scherzando spero. Come … è impossibile Ginevra! > Esclamò sincera tentando di capire se fosse seria o meno. L’insegnante di danza bevve la limonata già più serena e appoggiò il bicchiere al tavolo
< ovviamente sei invitata anche tu e anche il tuo piccolo, è una notizia importante e ci tengo ci sia tutta la famiglia. Dylan è molto legato a Sonic e desidero che sia presente. E’ per questo che lo dico a te, tu saprai certamente convincerlo. > Amy rimase impalata e completamente stordita, constatò che, come temeva, loro non avevano capito.
< Ginevra, mi chiedi veramente l’impossibile. Diversamente da come pensate, non ho più presa su di lui, siamo estranei, amici a dirla lunga. Parliamo di cazzate e a fatica anche! Non riuscirò mai a convincerlo! > Esclamò sincera iniziando ad aver caldo e una gran voglia di tornare a casa. Ginevra si rabbuiò e sospirò realmente dispiaciuta per la situazione ingestibile, prendendo già in considerazione una cena aggiuntiva per annunciare la notizia a Sonic.
I sensi di colpa di Amy però, iniziarono a martellarle la coscienza di fronte alla figura affranta seduta sul divano, tentò invano di soffocarli ma dopo qualche secondo si ritrovò seduta al fianco della grigia a stringergli la mano.
< D’accordo Gin, ci proverò, ma non ti assicuro niente, anzi, inizia già a mettere nell’ottica che non verrà > sospirò con un aria abbattuta. Dopo un’intensa mattinata a incollare, scrivere, sostenere gli aculei di Ginevra durante le vomitate, imbustare e spedire buste, finalmente conclusero l’intenso lavoro.

Al ritorno verso casa, essendo mezzogiorno inoltrato, Amy si fermò a comprare il pranzo nella rosticceria di fronte alla palestra, tornò poi velocemente a casa dove i suoi blu la stavano aspettando. Non si era ancora avvicinata alle mura, quando sentì gli acutissimi gridolini divertiti del suo piccolo, accompagnato da un sonoro “splash” che proveniva sicuramente dalla piscina.
Stupita dallo strano orario utilizzato per il bagno, dopo essersi sistemata un minimo i vestiti e i capelli, entrò dal cancello cercando di mostrarsi calma e rilassata. Sonic e Justin erano in acqua, impegnati in una specie di lotta talmente ridicola da scatenare la risata di cuore della rosa.
< Mamma! > Gridò entusiasta il piccolo, accorgendosi solo in quel frangente del suo arrivo. L’adulto si girò di scatto e le sorrise, spingendo con delicatezza Justin al bordo della vasca, per poi aiutarlo ad uscire. Il riccetto appena fuori dall’acqua, corse a piena velocità tra le sue braccia bagnato fradicio, inzaccherandola da cima a fondo.
< Ciao tesoro mio! > Esclamò la rosa tentando inutilmente di non bagnarsi troppo, il piccolo la baciò forte sulla guancia e si strinse a lei con adorazione. La riccia a sua volta, ricambiò l’abbraccio e i baci, notando con entusiasmo il sorriso enorme e gli occhi sprizzanti di gioia. Ma non fu l’unica cosa che notò, il suo sguardo venne avidamente catturato dal riccio adulto, rigorosamente in costume che si avvicinava a loro, probabilmente attirato dal profumo delle crocchette di patate. Doveva ammetterlo, forse a causa della prolungata lontananza, ora lo trovava ancor più bello di come lo ricordava.  
< Finalmente sei arrivata, cos’è questo profumo assolutamente delizioso? > Esclamò Sonic spiando dentro al sacchetto di carta con famelica curiosità. Amy si riprese velocemente e fingendo più disinteresse possibile, gli rispose fissandolo bene negli occhi
< è il pranzo, non avevo molta voglia di cucinare a dir la verità > esclamò chiedendosi mentalmente se i capelli fossero a posto o no.
< Meglio così, a differenza del tuo cibo questi hanno un aspetto molto più invitante > mormorò con un sorrisino di sfida guardandola a sua volta. Justin scoppiò a ridere, prendendo per mano entrambi i ricci
< dai! Andiamo! > Mormorò affamato tirandoli verso la casa con esigua forza. I due adulti lanciandosi innocue frecciatine entrarono in casa. Fu verso la metà del pranzo che la rosa ricordò improvvisamente dell’invito serale e quasi si strozzò con il pollo arrosto al pensiero di dover riuscire  tutti costi a convincerlo.
Con estrema riluttanza iniziò a cercare dei validi motivi per obbligarlo ad andare, odiava, odiava con tutto il suo cuore quel compito. In primo luogo perché non sapeva come svolgerlo, in secondo perché sapeva di aver ben poche speranze. Era così presa dall’imminente confessione, che involontariamente iniziò a giocherellare con pezzo di crocchetta, facendola rotolare per tutto il piatto in un curioso cerchio.
< Mi dispiace Amy, ma l’invenzione della ruota è già stata fatta parecchio tempo fa. Perciò fai prima a dirci cosa ti angustia o dedicati ad altre invenzioni > Esclamò Sonic dopo qualche minuto di rotolii. Con uno scatto fulmineo imprigionò la crocchetta nella forchetta e la divorò dopo che Justin l’ebbe rifiutata. Amy di fronte alla scena si rilassò e incrociò le braccia sul tavolo, in attesa che le due fotocopie finissero di pranzare.
< Allora? > Insistette il blu, aspettando ancora una risposta dalla precedente richiesta. La rosa sorrise forzata e scostò le briciole dal tovagliolo prima di aprire la bocca, se voleva riuscire nel suo intento doveva motivarsi di ottime scuse e soprattutto doveva dimostrarsi determinata. Lo fissò negli occhi e il suo sguardo venne prontamente ricambiato.
< Siamo invitati a cena > esclamò la rosa con un sorriso furbetto, il blu nascose bene la sorpresa e aggrottò le sopracciglia
< siamo? Justin compreso? > Amy annuì 
< chi ci invita? > Continuò il ragazzo già sulle spine, i metodi misteriosi della ragazza lo stavano agitando, soprattutto perché quel “siamo” sembrava più intimo di quel che erano in realtà. La rosa notando l’espressione tesa del riccio si addolcì un po’ e sorrise di nuovo forzatamente,
< Dylan e Ginevra. Ci hanno invitato a casa loro per una … cena formale. Dobbiamo darle la conferma entro le tre … confermo no? > Gli chiese con ovvietà, sperando di risolvere il problema. Sonic era li per li per annuire, ma poi notò inconsciamente i movimenti della rosa nello sparecchiare: tesi e frettolosi. Un campanello d’allarme nel suo sub-inconscio lo esortò ad indagare.
< E … chi c’è oltre a noi? > Continuò fissando la rosa con estrema attenzione, pronto a cogliere qualsiasi debole segnale. Notò subito che la riccia si irrigidì e iniziò a torturarsi il solito aculeo, più e più volte,
< ecco … diciamo che non siamo soli > mormorò la ragazza sentendosi morire, doveva, doveva dirglielo e non sapeva come fare. Non voleva rovinargli l’umore e soprattutto non voleva rovinargli la giornata, lanciò una frettolosa occhiata verso la sua direzione, sentendo i due pugnali verdi trapassarle la schiena.
< Taglia. Chi c’è Amy? > La rimproverò brusco, iniziando già a sospettare chi ci fosse. Con un sospiro rassegnato e coraggioso, la riccia si sedette al suo posto con apparente tranquillità non riuscendo a staccare le dita sul povero aculeo
< ci sono i genitori di Dylan > mormorò a bassissima voce, spostando lo sguardo dall’adulto.
Sonic in un primo momento pensò di non aver capito bene, ma vedendo che lo sguardo mortificato della ragazza non accennava a scomparire, realizzò che non si trattava affatto di un errore e un fastidioso odio iniziò a salirgli al cervello.

Spazio autrice: so di essere in enorme ritardo ma il wifi a casa non prendeva! Come sempre vi chiedo la cortesia di segnalare qualsiasi tipo di errore. Consigli e critiche sono sempre ben accette. Colgo inoltre l'occasione per augurarvi buone feste e un felice anno nuovo! All'anno prossimo! Baci.

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Capitolo 22
*** A volte i piaceri diventano dispiaceri ***


Le ore trascorsero veloci, le tre arrivarono in un battibaleno e Amy non aveva ancora una risposta da comunicare a Ginevra. Sconsolata dal comportamento del blu, la rosa si accostò alla finestra della cucina e con discrezione femminile, lo spiò stando ben attenta a non farsi notare. Diversamente da come sperava, Sonic non si mosse nemmeno di un centimetro, standosene ben spaparanzato all'ombra dei due melograni a pensare chissà a cosa.
Dopo avergli comunicato l'invito, il ragazzo si era alzato da tavola deciso e le aveva detto chiaramente che non ci sarebbe andato manco morto a quella cena. Dopodiché, si era diretto nella scolorita amaca appesa al giardino e non si era più mosso. Justin, che fino a quel momento era rimasto con lei, aveva trascorso gran parte del tempo di fronte alla porta, indeciso se raggiungere l'adulto per giocare assieme o lasciarlo sbollire in pace. Amy sbuffò irritata davanti a quel comportamento, il tempo per pensare era concluso. Ora toccava a lei. Se lui avesse deciso di non andare, lei avrebbe dovuto convincerlo o almeno provarci.
Sonic dal canto suo, pensieroso come non mai, si sentiva diviso in tre pezzi. Da una parte odiava il fatto di incontrare nuovamente quei due tizi che lo avevano denigrato fin da quando era entrato in casa di Dylan. Pensare di trovarseli di nuovo di fronte e sentire nuovamente le loro sprezzanti opinioni su di lui … Dio! Quanto avrebbe pagato per starsene a casa con i suoi tesori.
Dall’altra parte, voleva con tutto se stesso compiacere sia la rosa, sia Ginevra, soprattutto la prima visto lo strano rapporto che condividevano. Tutto sommato loro non avevano nessuna colpa nella vicenda, si sarebbe sacrificato volentieri per le ragazze. E come ultima cosa, era arrabbiato nero con Dylan. Sapeva benissimo il putiferio che sarebbe scoppiato ancor prima di entrare in casa, ma, nonostante ciò, se n’era fregato e l’aveva invitato ugualmente.
Dimostrando la totale mancanza di buon senso. Stava appunto ricordando le lunghe litigate di un tempo, quando si materializzò al suo fianco il piccolo blu impaziente e la ragazza rosa con sguardo determinato. Il ragazzo si sollevò in fretta, cercando di acquisire maggior compostezza di fronte ai due. Capì bene che era ora di fare una dolorosa scelta.
< Allora? Che facciamo So’? > esclamò la riccia portando le mani ai fianchi decisa. Il riccio interpellato sospirò a fondo e si alzò in piedi non sopportando quella differenza di altezza, 
< io non vengo, so già come andrà a finire e intendo evitarlo > rispose sicuro di se, tentando di non incrociare gli occhi verdi della ragazza, fissi su di lui. Sapeva senza ombra di dubbio che se avesse iniziato a fissarla sarebbe crollato nel giro di trenta secondi, insomma, non poteva perdere la dignità senza aver tentato di lottare.
La rosa aspettandosi una risposta del genere era ben preparata e non tardò a rispondere
< andiamo, non fare così. E’ passato tanto di quel tempo! Le persone cambiano e … >
< no Amy, non verrò. Se volete, potete andarci voi due > sbuffò irritato contemplando finalmente le iridi della riccia di un verde pazzesco. Con una scrollata di spalle, la ragazza invitò dolcemente Justin a portarle il cellulare, il quale ubbidì ciecamente allontanandosi da loro e sparendo alla loro vista.
< Sonic, tu devi venire! Ginevra spera così tanto che tu ci sia! > insisté la riccia avvicinandosi ancor di più a lui supplicante. Il ragazzo scosse la testa nervoso iniziando a tamburellare il piede a terra
< se ci tenesse veramente, non mi avrebbe chiesto un simile sacrificio! > sbottò guardandola storto per un lungo istante, non gli piaceva essere così brusco ma in quel momento non riusciva a controllarsi, quell'invito lo stava letteralmente consumando dentro.
Amy non si ritrasse a quello sguardo e con voce tagliente, senza tentennare, continuò
< se non ci tenesse, non ti avrebbe invitato! Non hai pensato che forse vi ha convocati assieme per un motivo? > Esclamò scocciata dalla testardaggine del blu. Grazie al cielo, Justin si dimostrava ancora malleabile al momento. Il ragazzo, sorpreso dall’idea, rimase in silenzio per qualche secondo riflettendoci su. Che Ginevra volesse riappacificare la “family” in vista del matrimonio? Guardò la rosa con attenzione e in silenzio, aspettando approfondimenti che non arrivarono.
< Cosa ne sai tu? > la interrogò sbrigativo per capire quanto fosse urgente e importante quella faccenda.
Amy sospirò nervosa ma sforzandosi cambiò tono di voce,
< abbastanza da consigliarti vivamente di andarci. Ti prometto però, che se le cose si incrineranno, ce ne andremo subito a casa > esclamò con calma e dolcezza, cercando di convincerlo con le buone. Il blu riuscì a rilassarsi un po’ grazie ai modi garbati di lei. Non si sentiva affatto pronto per una tale rimpatriata, ma per non deludere Ginevra e soprattutto, per far bella figura sulla rosa, accettò lo sgradevole invito con un sospiro, capendo già di aver fatto la scelta sbagliata.


Intanto, nella cucina di noce di Ginevra e Dylan, la futura mamma stava giusto controllando il pasticcio di melanzane nella crisi più totale. Tra pentole, centrotavola e piatti, la grigia non si fermava un attimo, spostando prima una forchetta, poi un fiore, poi aggiungendo del sale alle patate. Era in preda al panico: come prima cosa era preoccupatissima per quello che sarebbe successo tra Sonic e i suoi suoceri. Era felice e relativamente soddisfatta della riuscita di Amy ma, in cuor suo, temeva di aver combinato una grossa cazzata e più il tempo passava, più si convinceva che fosse realmente così.
Dylan aveva concluso l’ultima lezione alle 6.30 e rientrando in casa si era trovato l'abitazione tirata a lucido e la sua futura moglie ai fornelli, intenta a preparare cibo per un esercito. Incuriosito dalla frenetica attività della ragazza aveva chiesto le dovute spieagazione per tutti quei preparativi e la risposta a ciò, l’aveva completamente ammutolito. Nel giro di trenta secondi, il panico più profondo si era impossessato di lui lasciandolo tremante e preoccupato di fronte alla riccia.
Come aveva potuto pensare di organizzare un simile disastro? E soprattutto perché? Sonic e suo padre! Le teste dure più dure di questo mondo, assieme! Le conseguenze sarebbero state catastrofiche! Ma non potendo annullare la serata all’ultimo, si preparò all’arrivo imminente degli ospiti, aiutando Ginevra più pallida del solito. Alle 7 e mezza in punto, il campanello trillò allegro e la coppia, sapendo già chi era arrivato, si lanciò un’occhiata speranzosa prima di scendere per accogliere gli ospiti.


< Toccati ancora quel colletto e ti taglio le dita > mormorò con ironia la rosa di fronte alla palestra di Dylan. Justin era in braccio suo, ben sveglio e vispo, mentre il blu, per la quarantesima volta, si contorceva il colletto della camicia in cerca di un qualsiasi antistress. Sonic, alla minaccia scansò le dita  e iniziò a smuovere gli aculei con la mano, preoccupato per l’imminente incontro. Per cosa avrebbero litigato stavolta? Uno scalpiccio veloce preannunciò l’arrivo di Dylan, che spalancò la porta di scatto. Nemmeno lui quella sera indossava la caratteristica tuta, rimpiazzata da una camicia nocciola e da un paio di pantaloni marroni. Salutò cordialmente Amy e il piccino con un bacio, per poi lanciare un’occhiata mortificata a Sonic, nervoso come non mai.
< Mi dispiace, non sapevo nulla!Ho concluso la lezione e quando sono salito tutto era pronto! > esclamò l’insegnante con sincerità fissando il figlioccio negli occhi. Sonic sbuffò irritato, sistemandosi nuovamente il colletto della camicia,
< bhe, sappi che è l’ultima volta che accetto un invito se sono presenti anche loro! > avvisò scocciato. Credeva al fatto che Dylan non sapesse nulla, ma ugualmente si sentiva ignorato. L’insegnante sospirò e indicò loro di entrare con un gesto della testa
< comunque, sono già arrivati, comportati bene e per favore, sta’ calmo! > mormorò a bassa voce il nocciola, spingendo il riccio e company all’interno dell’edificio. Sonic era tesissimo, lanciò un’occhiata alla rosa in cerca di conforto, chiedendosi ancora come avesse potuto accettare un simile invito.
Amy si strinse il piccolo al petto, anche lei aveva paura, non tanto per i genitori di Dylan, ma più per i discorsi che sarebbero potuti nascere su Justin e la sua profonda somiglianza con Sonic. Non le restò che sperare che tutto andasse bene almeno per quella sera.
I 4 ricci entrarono nell’abitazione uno dietro l’altro, cercando di mostrare una certa indifferenza e far credere di essere a loro agio. Dal salotto, si sentivano indisturbate le voci gracchianti di Simon e Dorothy, che discutevano animatosamente su quanto fosse cara la benzina e sul rialzo dei prezzi. Una povera Ginevra, sull'orlo dell'esaurimento nervoso, tentava inutilmente di partecipare al discorso. Sonic sentiva già la nausea salirgli alla gola, stava quasi valutando l’idea di scappare dalla finestra, quando la mano di Amy si chiuse sulla sua in un muto incoraggiamento. E tutti assieme, quasi come una vera famiglia, entrarono in cucina.
Le frasi si smezzarono ed il silenzio cadde di colpo, appena gli occhi di tutti i presenti si incrociarono stupiti. I genitori di Dylan, una riccia gialla e un montone color cioccolato sulla sessantina, rimasero a bocca aperta di fronte al riccio blu, sparito dalla loro vista da anni. Il ragazzo li scrutò a sua volta, con la terribile sensazione di aver fatto un madornale errore nell’accettare l’invito della ragazza. Sentiva già i loro occhi, carichi di intolleranza, gravare su di lui come un macigno, facendolo sentire incredibilmente a disagio di fronte a loro.
Dio solo sapeva quanto cazzo odiava questa sensazione. Aprì la bocca per parlare ma la richiuse subito, non sapendo come intavolare un discorso normale e sicuro.
 < Salve >  mormorò asciutto guardando prima uno poi l’altra, cercando di apparire naturale e spontaneo. Fu Ginevra a sbrigare la cosa: con tatto femminile e delicatezza innata, si intromise leggera
< Sonic, Amy, Justin! Sono felice che siate venuti! Come vedete non siamo soli! Dorothy, Simon, mi spiace di non avervi avvertito prima ma, purtroppo, non ho avuto il tempo materiale! Spero che, comunque, non sia un problema, insomma, ora siamo tutti grandi e vaccinati, è ora di mettere via vecchie storie no? > esclamò con un sorriso furbo portando in tavola degli stuzzichini caldi di forno.
< Forza ragazzi, accomodatevi > continuò Dylan visibilmente sollevato dall’intervento della grigia.
La piccola famigliola, silenziosa e impacciata, si sedette sui posti assegnati cercando in tutti i modi di sciogliere quella lastra di ghiaccio infrangibile. L’unico che sembrava non accorgersi dell’aria malevola che aleggiava, era Justin, ancora troppo piccolo per comprendere certi atteggiamenti. Infatti, senza porsi tanti problemi, iniziò a mangiucchiare una pizzetta affamato, sporcandosi il mento di pomodoro.
Simon, dopo aver lanciato un’occhiataccia furiosa a Dylan per quell’improvvisa rimpatriata, spostò gli occhi sui tre scrutandoli a fondo.
Immaginò subito che Justin fosse il figlio del blu, la perfetta ed esagerata somiglianza non creava dubbi sulla sua paternità. Stessi occhi, stesso colore, perfino gli stessi movimenti. Un altro piccolo disastro insomma. Dorothy, si riavviò silenziosamente gli aculei vaporosi e iniziò a masticare lentamente uno stuzzichino, non spostando le pupille dal blu.
< Come è andato il viaggio? Avete trovato traffico? > Iniziò Dylan con lo scopo di non sollevare argomenti delicati. Simon lo ignorò di proposito e con voce secca e dura ruppe finalmente il silenzio,
< vedo che sei ancora vivo, Sonic > iniziò tagliente, cercando evidentemente di stuzzicarlo. Il diretto interessato, che si era ripromesso di arrivare in pace fino al dessert, sospirò profondamente capendo che il suo obiettivo non sarebbe stato raggiunto,
< purtroppo, chi non muore si rivede > sbuffò irriverente già infastidito dal tono amaro con cui la conversazione era iniziata.
Amy nel vedere che le cose avevano già preso una brutta piega, gli tirò un calcio sullo stinco sano, intimandolo a contenersi con un’occhiataccia. L’ultima cosa che serviva in quel momento, era appunto “La Litigata”, Sonic non doveva lasciarsi coinvolgere da Simon.
Il montone era un autentico attaccabrighe, sapeva bene come infastidire il nipote adottivo e lui non doveva farsi travolgere dalla rabbia. Fatto ciò, si alzò in piedi sistemandosi il vestito   nero che indossava e si avvicinò a Ginevra per aiutarla con i piatti e le cibarie, già stanca ancor prima che la serata avesse inizio.
Un’occhiata indagatrice, da parte della riccia gialla, occhieggiò la rosa da cima a fondo. Non impiegò molto a giudicarla in base alla lunghezza delle gonne e soprattutto dalla mancanza della fede all’anulare sinistro.
< La ragazza è tua moglie no? > domandò con apprensione Dorothy sporgendosi sul tavolo con esagerazione. Il suo viso, a metà tra lo sconvolto e l’incredulità, sembrava una grossa mela avvizzita, con tanto di matita e rossetto fucsia sulle labbra sottili. Perfino Justin indietreggiò di fronte a quello spettacolo orripilante, abbandonando sul piatto l’ultimo pezzo di pizzetta e stringendosi un po’ di più al blu.
Sonic alla domanda sfrontata arrossì imbarazzato,
< n-no! Certo che no! > rispose scrollando la testa, completamente paonazzo. Di certo non si aspettava una simile domanda, ma a quel punto temeva che ne arrivassero molte altre di quel genere. I due anziani genitori si guardarono a bocca aperta, scioccati per qualche secondo. Per loro era impensabile una relazione prolifera senza un legame religioso e soprattutto legale. Stavano appunto per riprendere e approfondire il discorso  quando, fortunatamente, le ragazze comparvero con i piatti colmi di pasticcio.
Si zittirono di fronte al piatto pieno e iniziarono a mangiucchiare di mala voglia, ancora scossi da quell’insolita coppia. Il blu deglutì nervosamente e controllò le condizioni di Justin, felice come una pasqua di fronte alla fetta esagerata che Ginevra gli aveva portato.  Amy si sedette al suo posto tesissima, con un aculeo rigirato tra l’indice e il pollice e lo sguardo carico d’ansia.
< A … a dire il vero, vi ho riuniti qui stasera perché ho una notizia da darvi … > si intromise Ginevra iniziando a torturare il tovagliolo di fronte a se con attenzione maniacale. Tutti gli sguardi si voltarono verso di lei sollevati e incuriositi da quell’improvviso annuncio. Dylan la guardò sospettoso ma non perse la calma, era inusuale il comportamento di Ginevra, sperava almeno che la notizia fosse buona.
< E dovevi per forza invitare anche “lui”? Ti ricordo che non è della famiglia > ringhiò Simon indicando il blu con rabbia, sbattendo il tovagliolo accanto a se.
Le facce dei presenti si dipinsero di stupore, Ginevra non riuscì a ribattere, scioccata e addolorata dalla frase e dall’intera situazione che aveva involontariamente creato. Il cuore del diretto interessato iniziò a pompare sangue e rabbia direttamente al cervello, facendolo rabbrividire dall’indignazione. Il silenzio venne stravolto dal riccio nocciola che balzò in piedi sbattendo un pugno sul tavolo incazzato
< papà! Ancora?! Dopo tutti questi anni?! Stai ancora rimuginando … >  non riuscì a concludere la frase, coperto dalla voce di Sonic piena e sprezzante come non era mai stata,
< Taci. > L’ordine secco e rabbioso risuonò con una tale forza da far ammutolire Simon, stupito da quell’improvvisa fredda e tagliente stoccata. Comprese velocemente che di fronte a se non c’era più il ragazzino che se la tirava notte e giorno, attaccabrighe e ridicolmente aggressivo.
Era cambiato o meglio, era cresciuto, non gli interessava più fare il gradasso ora che con quei discorsi razionalmente adulti riusciva a ferire più dolorosamente. Il riccio puntò lo sguardo collerico sul montone, facendolo sentire per un momento a disagio,
< non hai ancora compreso quello che ha fatto tuo figlio 20 anni fa. No, non hai capito un emerito cazzo. Ce l’hai ancora con me solo perché non contengo i suoi geni. Bhe, mi dispiace tanto per te. Non comprendere il significato dell’amore significa vivere una vita totalmente priva di essenza e piaceri. Un’ esistenza noiosa ed inutile.
E sai, il tempo non si può recuperare, ed hai già sprecato 60 anni. Amy, Justin, andiamo. > Concluse apparentemente calmo, infilandosi al volo la giacca. Amy senza tanti giri di parole, si alzò seguita da Justin, il quale spaventato dall’atteggiamento bellicoso del montone, si incollò alla gamba della madre. La piccola famigliola ringraziò velocemente gli insegnanti, avviliti da tutta quell’inutile scenata.
Ginevra ed Amy si lanciarono una veloce occhiata dispiaciuta, carica di scuse e delusione. Entrambe avevano creduto per un momento, di riuscire a portare a compimento quella cena. Entrambe soffrivano per non essere riuscite a tenere a bada quei due, soprattutto perché quella cena non aveva portato a nulla oltre ad una litigata colossale.
La riccia gialla arrossì dall’indignazione, si sentiva presa in causa come mai prima di allora e preso fiato si lanciò all’attacco verbale
< almeno non abbiamo peccato di fronte a Dio e agli uomini! Essere accecati dalla lussuria e procreare senza nemmeno un sacro vincolo è un peccato mortale! Guarda come ti sei ridotto! Non sei degno di restare sotto questo tetto! Spero sia almeno battezzato! > Gridò Dorothy puntando il dito verso Justin, alzandosi in piedi furiosa.  Il calice di vino di fronte a lei si piegò per l’agitazione, rovesciando il contenuto sulla tovaglia immacolata. Sonic si voltò di scatto alle parole urlategli contro, involontariamente i suoi aculei si sollevarono rabbiosi. Erano delle parole così vuote e senza senso, l’irritazione lo fece stringere i pugni fino a graffiarsi.
< Razza di bigotti! Il vostro Dio ha consacrato l’amore! Non importa verso chi o cosa lo si prova, l’amore non crea peccato! E’ inutile che preghiate ogni domenica in chiesa se poi nutrite ancora un tale odio nei miei confronti! Non è religione questa! E non credete di essere giusti perché non lo siete affatto! > Ringhiò innervosito, cambiando di proposito  la direzione del discorso nel sentire l’esplicita affermazione sul fatto che Justin fosse suo figlio. Detto ciò seguì la riccia e il piccino accanto alla porta, frastornati dall’intero discorso e dai toni utilizzati.
< Gin, Dylan, grazie veramente di … >
< mi spiace dirlo ma con un padre come te, tuo figlio diventerà un totale fallito. Ti conviene cambiare partner finché sei ancora in tempo ragazza > mormorò superiore Simon, versandosi il vino di uno squisito rosso ciliegia con un sorriso arrogante. Con evidente soddisfazione la moglie gli passò il bicchiere da riempire con un sorriso vittorioso, brindando così alla discussione, per loro, chiusa.
< Che cos’è un fallito mamma? > bisbigliò il piccino tendendo stancamente le braccine verso la rosa, fortunatamente, non sapendo che si stava parlando di lui non badò nemmeno alle parole dette da quei vecchiacci. L’unica voglia che in quel momento lo tormentava erano le patatine fritte in bella mostra in cucina, che non attendevano altro di essere mangiate.
 Amy lo raccolse con lentezza, pietrificata dalle parole dette dal montone e dall’odio che stavano dimostrando perfino nei confronti del cucciolo. Che razza di insensibilità apparteneva a loro?  

Spazio autrice: Buonasera e buon anno nuovo a tutti! Ecco un nuovo capitolo, spero vi piaccia. Errori, consigli e critiche mi aiuterebbero molto a capire dove e come poter migliorare. Ho  modificato anche il secondo capitolo questa settimana, ma non cambia molto come struttura.
Ciao e baci.

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Capitolo 23
*** Piccoli dettagli ***


Amy, raccolto il bambino da terra, si diresse alla porta terribilmente arrabbiata e ancora scioccata da quella frecciata velenosa. Non riusciva a credere che non fossero cambiati di una virgola, erano passati anni e ancora non avevano accettato Sonic come il figlio adottivo di Dylan. Ogni singola parola, sguardo e atteggiamento, era stato studiato appositamente per infastidire il blu.
La riccia, stringendo quasi con esagerazione Justin tra le braccia, aveva le mani tremanti dalla rabbia e la lingua incellofanata da discorsi troppo lunghi da svolgere.
Sonic era rabbioso da quell’accusa, non tanto perché era rivolta a lui, bensì perché avevano incluso anche il piccolo in quell’inutile discussione.
Davanti a quel discorso pieno solamente di rancore e odio, la rabbia gli salì in gola portandogli alla lingua un sentore acido e ferroso. Si accorse solo in un secondo momento che quel gusto derivava da un taglio, per sbaglio, auto inflitto. Se avesse potuto, avrebbe volentieri staccato occhi e orecchie a quei grassi e ridicoli animali da cortile, impegnati a concludere il pasticcio come se nulla fosse stato detto.
Un silenzio appiccicoso  copriva l’intera stanza, nemmeno un polmone si attingeva a dilatarsi, tutti erano con il fiato sospeso in attesa di una risposta o di un gesto da parte di Sonic o Amy.
Perfino Justin comprese che qualcosa nell’aria non andava ma, non capendo esattamente cosa, fissava prima l’uno poi l’altro in attesa di una reazione.
  Sonic, scuro in volto, raggiunse con tre passi l’odiosa coppia, beatamente appollaiata sulle sedie. Con nonchalance e più ira di quel che stava mostrando, si piegò fino a distare pochi centimetri dal volto di Simon, puntando gli occhi sulle sue iridi grigie.
Il piccolo pubblico irrigidito, era preoccupato che il montone e il blu potessero iniziare a picchiarsi da un momento all'altro. In quel caso non sarebbero riusciti a staccare i litiganti tanto presto e, di sicuro, Simon ne sarebbe uscito ben provato.  Il padre di Dylan si ritrasse di scatto trovandosi il blu così vicino. Gli occhi verdi stavano letteralmente ardendo, si sentiva quasi consumato da quello sguardo così energico.
< Patentico, privo di cuore, sciocco, egoista e vuoto. Come puoi dire certe cose? Non ti vergogni razza di …. ? > Simon, tremando dalla collera, non gli permise di concludere la frase. Alzandosi di scatto afferrò il colletto della camicia del giovane e con uno strattone lo avvicinò ancor di più a se, facendo sfuggire una smorfia di rabbia.
< Come ti permetti ragazzino? > ringhiò nervoso scrollando la presa. Il livello di preoccupazione nella sala aumentò ancor di più di fronte a quel gesto. Ginevra si sentì prendere dal panico, se non li avesse fermati, anche il matrimonio ne sarebbe stato compromesso. Se si fosse verificato un attacco fisico, sicuramente i suoi suoceri non sarebbero venuti alla celebrazione.
< Mi permetto eccome! Se ti azzardi ancora una volta a dire una sola parola su di lui, giuro che ti stacco gli occhi con una forchetta. > Rispose il blu staccando con rabbia le mani di Simon dalla camicia. Il volto del montone divenne paonazzo, le labbra contrite e gonfie stavano per esplodere dall’indignazione.
< Come osi mentecatto senza madre e padre? Nemmeno i tuoi genitori ti hanno voluto! E ti azzardi anche a … >
< TACI! Non fare discorsi su argomenti che non conosci! > ringhiò in risposta furioso.
Gli animi dei due cominciarono ad infuocarsi, liberando a parole le opinioni più sgradevoli e crudeli accumulate nel giro di vent’anni. Il piccolo pubblico non riusciva a muoversi, tentare di fermali sarebbe stato impossibile in quello stato. La rabbia era un carburante inestinguibile per i due. Diversamente da come ci si aspettava, invece di placarsi, quella litigata sembrava crescere in argomenti e volume di voce. Sapevano bene tutti quanti che tra non molto sarebbero arrivati alle mani, dovevano intervenire immediatamente prima che accadesse l’irreparabile.

Justin tremante dalla fifa, si era incollato saldamente alla madre chiedendogli di allontanarsi dal li il prima possibile, terrorizzato dall’aspetto e dal comportamento di Simon. Ginevra, stanca e tesa da quel diverbio, decise di intervenire, chiudendo quella terribile litigata.
E sapeva benissimo come fare.
Serrando i pugni tremanti, decise di dare “La Notizia” che portava in grembo da settimane. Coraggiosamente, avanzò nella sala  e aprì la bocca, per svelare quel segreto che stava sempre più prendendo forma dentro di lei. Mio Dio quanto era difficile annunciare un evento così sconvolgente! Come avrebbero accolto la notizia?
Dalle sue labbra uscì solamente un flebile mugolio. La riccia stava tremando come una foglia dalla portata della notizia, perfino l’aria all’interno dei polmoni sembrava vibrare tanto era tesa.
Sorpresa da quell’abbassamento di voce improvviso, deglutì nervosa e con decisione si portò a capotavola, di fronte ai due litiganti.
Respirò profondamente due volte, lasciando che l’aria troppo odorata le scombussolasse lo stomaco per la sesta volta quel giorno. Gonfiò i polmoni per l’ultima volta e dopo aver atteso una manciata di secondi, lasciò fuoriuscire quelle difficili, granitiche parole :
< sono incinta >.


Silenzio. Le bocche si chiusero. I cuori si fermarono. Quelle parole, piene e vibranti come un colpo di fucile, risuonarono nelle orecchie dei presenti per un tempo che parve infinito. L’attenzione di tutti i presenti fu portata completamente sulla riccia grigia, pallida, ansiosa e preoccupata come mai era stata.
Sonic ebbe l’impressione che il mondo stesse girando, tutto d’un tratto, molto più velocemente rispetto ai  cinque anni passati.
Doveva ancora digerire il fatto che Amy fosse tornata e ora Dylan e Ginevra avrebbero avuto un figlio! Per un breve istante non provò assolutamente nulla.
Rimase semplicemente a bocca aperta, disorientato ed incredulo. Il suo sguardo balzò prima su Ginevra poi su Dylan cercando la conferma di quella prodigiosa notizia.
L’insegnante, il più sconvolto dalla notizia, fissava la compagna incredulo, con il cuore e il cervello in tilt. In un primo momento credette che fosse una semplice frase, buttata li con l’unico scopo di dividere i due litiganti. Ma la serietà della ragazza e gli ultimi … vomitevoli eventi, accesero una scintilla di speranza nel fondo del suo cuore.
Una felicità mai provata prima gli riempì il petto pian piano, rubandogli ogni piccola oncia di energia dal suo corpo.
< S-seria? > Mormorò sconvolto, non riuscendo a reprimere un sorriso che gli stava sfuggendo. Ginevra fece colare una lacrima e annuì radiosa, allargando le braccia per abbracciarlo. Il riccio nocciola sentì gli occhi divenire umidi. Sarebbe diventato padre un’altra volta e diversamente dalla volta precedente, l’amore della sua vita era al suo fianco.
 Si fiondarono l’uno tra le braccia dell’altro ridendo e piangendo assieme, dal loro amore sarebbe nato da li a poco il loro figlio.
Un bambino, il loro bambino, da crescere e da accudire. Cosa potevano desiderare di più? Tutti i loro sogni si sarebbero realizzati a breve.

Simon e Dorothy, dimenticando completamente la litigata appena interrotta, esplosero in grida di giubilo. Sarebbero diventati finalmente nonni, avrebbero avuto il loro autentico, piccolo nipotino da crescere e da viziare. La loro sarebbe stata una famiglia completa e di sicuro prosperosa.
D’altronde Ginevra avrebbe potuto farne sicuramente altri due dopo il primo! Anche la riccia gialla cacciò qualche lacrima, finalmente anche suo figlio aveva ricevuto quello che meritava. L’anziana coppia si abbracciò felice, iniziando a progettare anticipatamente gite domenicali e regali.

Sonic, ancora a bocca aperta, cercò involontariamente lo sguardo di Amy sentendosi un tantino fuori posto. I suoi occhi non dovettero fare molta strada visto che la rosa si era portata immediatamente al suo fianco. La riccia aveva un sorriso tirato in volto, uno di quei sorrisi talmente falsi da non riuscire ad ingannare nemmeno un bambino.
< Tu lo sapevi già, non è vero? È per questo che hai insistito tanto > esclamò il blu rivolgendosi alla ragazza al suo fianco. Amy alla domanda sorrise orgogliosa,
< si lo sapevo, questo dimostra che per Ginevra sei molto più importante di quel che pensi. È per questo che ti ho stressato > rispose decisa fissandolo dritta nelle pupille.
Sonic non accennò una risposta e si ritirò nel silenzio. Attese con calma che i due piccioncini finissero gli abbracci e i pianti per avvicinarsi a loro. Guardandoli da vicino, il riccio si rese conto di non averli mai visti così felici in tutta la sua vita.
La gioia condensata sgorgava dai loro occhi, l’amore che provavano l’un per l’altro era talmente palpabile da poterlo agguantare.
Sonic li invidiò, finalmente avrebbero avuto la famiglia che tanto avevano sognato. Fu felice per loro, era realmente felice per quell’evento, Dylan lo meritava. Dopo tutte le brutte vicende che aveva superato, questa era la giusta ricompensa per i suoi sforzi.
Ginevra appena lo inquadrò, gli rivolse il sorriso più luminoso e con le lacrime agli occhi, gli avvolse le braccia al collo stringendolo a se. Si unì a loro anche l’insegnante, strapazzato dalle lacrime e dall’adrenalina. Il blu a quel gesto si commosse. Aveva sempre pensato a Ginevra come una semplice amica e insegnante.
Le voleva bene e soprattutto, essendo la fidanzata del suo patrigno, cercava sempre di aiutarla in qualsiasi cosa, dalla discussione con Dylan al portabagagli.
Ma in quel momento la sentì per la prima volta come un vero e autentico parente, una specie di zia se così poteva definirla. 
Prese le mani della grigia e le strinse tra le sue con il cuore in gola,
< Gin, Dylan, sono veramente, molto, molto felice per voi. Lo meritate pienamente e non vedo l’ora che venga alla luce. E’ inutile dirlo, sappiate che per qualsiasi cosa abbiate bisogno ci sarò. Non preoccuparti a chiedere, sai Gin? >. La grigia annuì, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano commossa, sperava in cuor suo che anche lui, prima o poi, provasse quella sensazione di completezza e pura gioia.

Dopo che anche Amy si fu congratulata con la coppia e dopo i saluti convenevoli, i tre se ne andarono a casa molto provati dall’intera serata. Sia per l’incontro con i genitori di Dylan, sia per la notizia bomba che avevano ricevuto, i ricci erano realmente distrutti. Il piccolino si era zittito appena Sonic, sempre con la massima delicatezza possibile, l’aveva agganciato all’auto.
Per tutto il viaggio di ritorno, nessuno dei tre aveva aperto bocca. Mentre Sonic era immerso nel riassunto mentale della serata e Justin guardava assonnato fuori dal finestrino, la rosa era impegnata ad analizzare “Il Problema”.
Prima o poi, anche lei avrebbe dovuto confessare quel …  segretuccio. Come avrebbe reagito Sonic di fronte alla sua paternità? Sapeva quasi con certezza che il riccio blu l’avrebbe accettata con entusiasmo e questo la tranquillizzava. Ma come avrebbe reagito con lei? Appena sarebbe venuto a conoscenza dell’intera storia, probabilmente e giustamente,  l’avrebbe coperta di parole e rabbia.
Ovviamente sapeva benissimo di meritarsele, dopotutto gli aveva nascosto ben 4 anni di vita di suo figlio e non poteva nemmeno nascondersi dietro alla scusa di non sapere. Ma la sua paura più grande era di perderlo definitivamente, anzi peggio ancora, che il blu potesse iniziare ad odiarla.
Il rischio era più reale di quello che pensasse, quello che aveva fatto era veramente imperdonabile. Le domande senza risposta  iniziarono sempre più a moltiplicarsi tra loro e ad ingigantire l’ansia che la riccia stava provando. Sospirò amareggiata sentendosi sempre più con le spalle al muro di fronte alla sempre più evidente realtà. Quei pensieri continuarono a rivangarla finché non scorse il muro di mattoni rossi in fondo alla via. Nel buio, la casa tinteggiata di bianco, assomigliava ad una grande luna piena.
Appena scesero dalla macchina, il venticello estivo vibrò tra le rose, portando il loro delicato profumo alle narici dei ricci. L’acqua della piscina si screpolò in piccole onde, rilucendo bianchissima. Il calore accumulato durante il giorno iniziava solo ora a disperdersi, rendendo l’aria finalmente respirabile e piacevolissima. Tanto che, appena a Justin fu messo il pigiama, i ricci adulti si sedettero all’aperto, controllando a vista il piccolino, fiondato davanti alla tv a guardare i cartoni.
Per un po’ rimasero in silenzio, immersi ciascuno nei propri pensieri. Il silenzio attorno, arricchito da qualche cicala troppo petulante, era veramente qualcosa di prezioso dopo la serata appena trascorsa. Passato qualche attimo, la rosa prese parola raccogliendo le gambe sotto di se e arrotolando il solito aculeo tra le dita.
Rivolse lo sguardo al blu studiandolo a fondo dubbiosa, era troppo silenzioso secondo i suoi standard.
< Come ti senti? > domandò generica la riccia, interessandosi allo stato in cui riversava il ragazzo. Quella cena era stata piuttosto piena per lui, era volata ogni tipo di accusa, opinione e notizia. Il riccio scrollò le spalle e gli rivolse un sorriso
< a dirti la verità sono molto felice per loro. Dylan è da secoli che sogna un figlio, finalmente ne arriverà uno  anche a lui. C’è speranza per tutti per fortuna > esclamò con estrema lucidità, rivolgendosi con sottigliezza alla sua situazione.
 Amy afferrò appieno quel riferimento ma non riuscì a non arrossire al pensiero che il figlio che tanto voleva era beatamente sdraiato nel salotto di la! Quanto si odiava per tenergli nascosto il suo desiderio più grande! Non sapendo come rispondere a quella frase, la rosa provò a buttare una di quelle frase consolatrici pre-confezionate, sperando che potesse migliorare un po’ la situazione.
< Oh bhe, sai, i figli arrivano quando meno te lo aspetti > mormorò a bassa voce, cercando di rimanere nell’ambito più generico possibile.
Sonic rise captando l’imbarazzo della riccia, con un’occhiata attenta gli parve di scorgere perfino una spruzzata di rosso sul suo viso ma c’era troppo buio per potersene accertare. Incuriosito da quella risposta un po’ enigmatica, ma soprattutto, desideroso di apprendere di più sulla storia amorosa della riccia, il blu decise di indagare.
< Bhe, non penso proprio che Justin sia frutto del caso, no? Per essertene andata così, da un giorno all’altro, dovevi essere pazzamente innamorata. Credo che il piccino sia stato programmato > esclamò carico di coraggio. La voce gli era tremata in un solo punto, ma non avrebbe mai creduto che parlarne a tu per tu potesse essere così difficile.
Perfino il suo cuore aveva iniziato a galoppare furioso ed era stato costretto a cambiare posizione sulla sedia dal nervosismo. Amy si era aggrappata ai braccioli ed era sbiancata in volto di fronte a quella domanda. Si rese conto che il riccio, per tutti quegli anni, si era fatto un’idea completamente sbagliata rispetto alle vicende che erano realmente accadute.
Bloccata dall’imbarazzo, dal senso di colpa ma anche dalla speranza e dalla paura per quello che quella domanda comportava, rimase in silenzio per qualche secondo. Doveva essere cauta, con le dovute spiegazioni il rischio di ricevere altre tipo di domande si faceva molto, molto alto.
E lei non si sentiva affatto pronta a renderlo partecipe del loro bel figlioletto che sonnecchiava in salotto. Una goccia fredda di sudore le colò sulla tempia facendola rabbrividire, l’asciugò con le dita per poi dedicarsi a quella doverosa spiegazione. Rinvigorita dall’unica soluzione che disponeva per uscire quanto prima da quella domanda-interrogatorio (cioè raccontargli la pura e reale verità), si sforzò di guardarlo bene negli occhi.
< Non … non me ne sono andata perché ero innamorata Sonic. Me ne sono andata perché ero incinta. >

Spazio autrice:
Ciao a tutti, spero che anche questo capitolo vi piaccia. Nel caso abbiate suggerimenti o errori da correggere, per favore, segnalateli.
Grazie e baci.

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Capitolo 24
*** Il passato tace ***


Fu come essere investiti da un getto di acqua ghiacciata. O almeno, Sonic si sentiva esattamente in quella situazione. Il suo cervello completamente logout, l’aveva abbandonato, lasciandolo a bocca aperta di fronte alla ragazza pallidissima. Non lo sapeva, non l’aveva mai, mai sospettato. Amy se n’era andata nel giro di dodici ore, avvisandolo della loro rottura tramite una deprimente chiamata.
Per tutto quel tempo, l’idea di una possibile gravidanza non l’aveva sfiorato nemmeno per sbaglio. Le scuse, che la rosa aveva utilizzato, erano state così concrete da non chiedersi se corrispondessero o meno alla realtà. La sua fuga d’amore non aveva necessitato di ulteriori spiegazioni: si era innamorata di un altro, punto e stop. Aveva trovato qualcuno in grado di darle più di quello che lui le aveva dato, qualcuno migliore di lui. Ma ora, quella gravidanza spiegava tutto: il mistero delle vomitate mattutine, della voglia impellente e continua di fragole, dell’umore altalenante, la sua fuga. Come aveva potuto essere così cieco? I segnali erano stati così evidenti!
La ragazza, imbarazzatissima e vergognandosi a morte, aveva abbassato la testa, priva del coraggio necessario per guardarlo in faccia. Quanto si sentiva in colpa! Credeva o meglio, sperava, che col tempo il riccio si fosse fatto un’idea delle cose. Non aveva mai riflettuto sul fatto che Sonic potesse non sapere. Considerava che Blaze lo avesse mantenuto aggiornato sulla sua vita o che lui si fosse informato durante quegli anni di assenza. Un po’ come aveva fatto lei: aveva sempre tenuto d’occhio concorsi e video musicali in cerca di quei fanali verdi. Desiderava da anni poter confrontare il suo bimbo e il presunto padre.
Sperando in una rapida e chiara discussione, sollevò gli occhi giusto il necessario per spiarlo di sottecchi. Non voleva litigare di nuovo, non con lui e non in quel momento.  Ma con dolore doppio, vide il suo sguardo mutare. I suoi occhi e la sua espressione si indurirono e il suo corpo si irrigidì, teso e nervoso.
< Mi hai tradito. Per quanto? Per quanti mesi hai avuto la faccia tosta di interpretare la parte della fidanzata innamorata? Perché non mi hai detto niente? > l’aggredì furioso lanciandole un’occhiata gelida. Amy, che non si aspettava di certo una reazione così accesa, si sentì punta sul vivo e scattò in piedi irritata, pronta a difendersi da quell’accusa
< ma senti chi parla! Quello che durante una vacanza si è dato alla pazza gioia! Non criticare il mio atteggiamento visto che l’hai provocato tu! Ero arrabbiata, furiosa, non ero in me quando l’ho fatto! Pensi che stessi bene a tenermi quel peso dentro? Pensi che non me ne sia pentita il giorno dopo? Non ho avuto il coraggio di dirtelo. Ecco.  > sbottò indispettita sentendosi bruciare gli occhi.
Alzatasi, si girò dandogli le spalle, nascondendo una piccola lacrimuccia colata sulla guancia. Aveva il cuore a mille e i ricordi sgradevoli di quel periodo iniziarono a martellarle la testa. Sonic arrossì e si alzò in piedi anch’esso,
< almeno io ho avuto il coraggio di dirtelo in faccia appena è successo. Inoltre, è stato solo un bacio. La cosa non è neanche lontanamente paragonabile con quello che hai fatto tu! Dio, Amy! In quanto eri quando te ne sei andata?  > esclamò furibondo incrociando le braccia nervoso. Stava cercando in tutti i modi di trattenersi, non voleva farla piangere come già stava facendo, ma non riusciva nemmeno a calmarsi. La notizia era troppo grande da sminuire nonostante fosse passato un sacco di tempo.
La riccia rimase in silenzio per qualche attimo, consapevole della gravità della risposta e soprattutto, delle sue azioni. 
< Ero al primo mese > mormorò a fatica con le lacrime agli occhi. Tremando dalla portata di quella confessione, portò le nocche alle labbra e le morse per trattenere i singhiozzi. Si sentiva talmente in colpa! Stringendosi a sé, serrò le palpebre sapendo bene che, da lì a poco, sarebbe piovuta la frustrazione del riccio. E quella era veramente pesante da sopportare.
Per Sonic fu come riceve una seconda padellata in faccia nel giro di dieci minuti. Ammutolì e sgranò gli occhi allibito, sentendosi senza fiato per ribattere.  
< Che cosa!? Un mese!? Mi hai tenuto nascosto il fatto che aspettassi un bambino e oltretutto abbiamo continuato a … > le parole gli morirono in bocca sia per l’imbarazzo, sia per la breve riflessione che il suo cervello produsse. Il dubbio, o meglio, la speranza sbocciò come una rosa in primavera, facendogli accelerare il battito cardiaco e asciugandogli la gola di colpo. Si erano amati talmente tante volte prima e dopo quel tradimento! Possibile che quel piccolo fosse proprio di quello stronzo? D’altronde, si sarebbe spiegata quella straordinaria somiglianza tra lui e il piccino! Avvampò per quell’enorme possibilità e il tradimento passò immediatamente in secondo piano.
Un guizzo di adrenalina gli mandò in pappa il cervello, facendogli dimenticare tutto tranne una debole, piccola speranza. Non chiedeva altro se non che Justin fosse suo.
Amy non ricevendo nessuna risposta, voltò leggermente la testa per capire in quale situazione riversava il riccio. Se lo trovò dietro di lei, con sguardo carico di ansia e impazienza. Stupita e sorpresa, non riuscì nemmeno ad indietreggiare: il blu l’aveva già bloccata per le spalle, mantenendo ben saldo il loro contatto visivo. La stretta decisa e serrata del ragazzo non le avrebbe permesso di allontanarsi nemmeno se avesse iniziato a divincolarsi. Non che lo volesse fare comunque. 
La lingua le divenne appiccicosa e le si incollò al palato, priva di un filo di saliva. In fondo, non le dispiaceva per nulla trovarsi così vicino a lui, anzi. Ma avrebbe preferito sicuramente un’altra situazione e un altro luogo per simili atteggiamenti.  
< AMY > la richiamò lui con voce graffiante e determinata.  Si sentiva talmente agitato ma nel contempo speranzoso, da non sapere quale risposta volesse sentire in quella situazione. La riccia gli prestò massima attenzione con il cuore che galoppava, cercando di fingersi disinvolta e sicura di sé. Temeva di conoscere già la domanda che lo stava sconquassando così tanto. Gliela si poteva leggere chiaramente in faccia. E purtroppo o per fortuna, conosceva già benissimo anche la risposta.
< Sei sicura che Justin sia proprio di Jason? > sillabò chiaro e deciso senza tentennamenti o esitazione. La speranza che trapelava dal tono di voce del ragazzo, fece quasi commuovere la riccia. Le sembrava che i suoi occhi verdissimi la stessero  pregando per quel maledettissimo “no”.
Amy restò in silenzio per una manciata di secondi, indecisa se saltare nel baratro e affrontare le conseguenze  o se restare ancorata a quella stupida bugia e salvarsi temporaneamente. I loro occhi rimasero incollati a guardarsi per un tempo che parve infinito.  Bloccata dalla paura e dall’ansia, egoisticamente scelse la via più semplice, quella che avrebbe portato solamente altro dolore a tutti e tre.
Mentire gli fu più facile del previsto e le parole le scivolarono fuori dalle labbra con naturalezza.
< S-si. N-ne sono sicura >  bisbigliò a bassissima voce, faticando non poco a mantenere la testa alta e lo sguardo fisso su di lui. Una lacrima fredda le rigò la guancia. Dio solo sapeva quanto si sentiva in colpa per quella bugia. Vergognandosi per il suo comportamento, Amy spostò il volto alla sua sinistra, interrompendo così quello scambio di sguardi raggelante.
Aveva avuto una grossa, enorme possibilità per confessare la notizia senza creare instabilità tra di loro. Sarebbe bastato ammettere di non saperlo con certezza, il resto sarebbe saltato fuori da solo e con calma.
Lo spettacolo che dovette assistere quando ritornò a guardare il blu, bastò a farla pentire amaramente della decisione presa. I vivissimi occhi del riccio erano completamente spenti, vuoti, privi del loro solito magnetismo. E lui si sentiva letteralmente a k.o. come poche volte lo era stato in vita sua. Iniziò subito a darsi del cretino per essersi illuso così tanto e a quella velocità. Gli sarebbe bastato ragionare due minuti prima di fare quella figuraccia. Amy glielo avrebbe sicuramente detto molto tempo prima, nel caso il piccino fosse stato suo. Inoltre gli aveva già detto chiaramente chi era il padre del bambino. E non era lui. Questo doveva ficcarselo bene in testa e ricordarlo ogni mezz’ora. Semplice.
Senza perdere altro tempo, la sciolse subito dalla stretta e indietreggiò di qualche passo per darle modo di riprendersi. E dar modo anche a se stesso di riordinare le idee. Un senso di amarezza e delusione lo distolse da qualsiasi altro problema, rendendosi conto che non aveva la minima voglia o interesse di approfondire il discorso del tradimento. Non lo avrebbe reso né felice, né soddisfatto, tantomeno avrebbe cancellato quei 5 anni.  Sospirando leggermente, si spostò sulla sedia occupata precedentemente e si abbandonò al suo rigido sedile. Un soffio di vento fece roteare qualche foglia, che andarono  a posarsi sulla superficie della piscina in modo delicato.
La riccia si asciugò la guancia con il dorso della mano appena  il blu si allontanò. La ragazza era nel bel mezzo di una crisi di nervi: si odiava per non aver avuto il coraggio di essere sincera. Sonic necessitava sapere! Era un suo diritto e soprattutto un suo desiderio!  Desiderio che aveva ingiustamente raso al suolo senza tante complicazioni e senza pensarci tanto su. Scoppiò in singhiozzi silenziosamente, coprendosi gli occhi con le mani per nascondere le lacrime che scendevano a fiotti. Si sentiva terribilmente confusa, maledicendosi per non essere riuscita ad essere forte come avrebbe dovuto. Che pessimo esempio era per suo figlio, come poteva crescerlo nel modo migliore se nemmeno lei era cresciuta abbastanza?
Proprio in quel momento, Justin uscì assonnato dalla porta a vetri sbadigliando sonoramente. Era tardi per lui e non vedeva l’ora di andare a dormire. Grattandosi stancamente gli aculei scompigliati, il riccetto zampettò dalla madre con gli occhi semi chiusi. Il suo visino era stravolto dal sonno, i due episodi aggiuntivi di peppa pig si facevano visibilmente sentire.  Senza tanti avvisi, il piccino avvolse le braccine attorno alle gambe della ragazza in cerca di tranquillità.  L’abbraccio sicuro, seppur debole, del suo tesoro, la fece sobbalzare sorpresa.
Non si era resa conto dell’arrivo del figlioletto e lui non doveva assolutamente vederla così. Asciugandosi le lacrime in velocità, gli sorrise forzatamente e lo raccolse da terra, riempiendolo di baci e carezze. Era la sua medicina quella piccola polpettina blu, così tenera e bisognosa di attenzioni. I grandi e verdissimi occhi del piccino sorrisero gioiosi per quelle coccole, trasmettendole una serenità che solo il padre, altrimenti, era in grado di darle.
Con uno sbadiglio sonoro, Justin si rannicchiò sul suo petto assonnato, indicandole chiaramente che l’orario del coprifuoco era stato superato da un bel pezzo. Continuando a coccolarlo si diresse verso la casa con passi lenti, attentissima a non disturbarlo troppo. Gli ospiti furono adocchiati attentamente da Sonic, che osservò l’intera scena con una certa invidia. Non proferì parola però, quando la ragazza passò accanto a lui con distacco. Forse il suo ritorno non era stato un bene.

Amy, dopo aver infagottato per bene e con scrupolosità il suo riccetto, si coricò al suo fianco. Ma a differenza del piccolo, non riuscì ad addormentarsi così velocemente. Nelle orecchie, la discussione appena conclusa continuava  a ripetersi ininterrottamente come un disco rotto facendola sentire ancor più in colpa. Accarezzò distratta i capelli del piccolo, riflettendo sull’evento appena accaduto. Non era stata sincera per il semplice fatto che non se la sentiva ancora di fare quel passo. Necessitava di tempo e di … complicità.
Una volta scoperto quel legame, sicuramente Sonic avrebbe preteso del tempo da passare con Justin. Perciò, prima di fare il grande salto, la riccia voleva avere a tutti costi un legame di assoluta fiducia e rispetto con l’adulto. Ma in quel momento, la stima e la fiducia erano veramente a terra a causa di quel litigio. Cosa fare per poter recuperare?
La ragazza guardò fuori dalla finestra e sospirò malinconica. Il cielo nero era ammantato di brillanti stelle bianche. Ad offuscare quei puntini splendenti erano i lampioni arancioni che con la loro luce nascondevano la volta celeste. Sospirando preoccupata, si rannicchiò in modo protettivo sul suo piccolo, chiedendosi se Sonic sarebbe stato un buon papà per il piccino. Prima o poi avrebbe dovuto renderlo completamente partecipe delle loro vite. Come una vera e autentica famiglia. Avrebbe dovuto mettersi un po’ da parte e lasciare il suo prezioso tesoro anche nelle sue mani. Era un po' preoccupata per quell'opzione, ma era certa che Sonic ne sarebbe stato tanto, tanto felice. Stiracchiandosi ben bene sotto le lenzuola leggere e morbide, socchiuse gli occhi lasciando vagare la testa.

La mattina successiva, Sonic si svegliò prima del previsto a causa della nottata insonne che aveva passato. Con poca voglia e zoppicando lentamente, si portò in qualche modo in cucina. La stanza era praticamente affacciata al giardino e il sole, entrando dalle grandi vetrate, illuminava l’ambiente in modo eccezionale, facendola apparire ancor più grande di quello che già era. Nonostante quella luce e il bell’ambiente però, il blu non era proprio al top. Uno strato di malinconia aleggiava nel suo cuore rendendolo nervoso e soprattutto stanco. Stanco di non riuscire a chiudere completamente con il passato, di non riuscire a voltare completamente pagina. Aveva impiegato tempo ed energie per lasciarsi tutto alle spalle e ora, da una semplice discussione, si trovava nuovamente inchiodato agli eventi accaduti cinque anni fa. Maledì Jason e maledì, parzialmente, anche la rosa. Da quando era riapparsa, si sentiva ogni giorno più confuso e insicuro. Non sapeva se era colpa del comportamento della riccia o dell’apparizione del figlioletto. Sapeva solo che Amy, come sempre, ogni volta che appariva nella sua vita la scuoteva, la capovolgeva, la strapazzava come null’altro al mondo. Afflitto, si lasciò cadere su una sedia della cucina, riflettendo su tutto quello immerso nel silenzio. All’esterno, l’erba del prato ondeggiava con dolcezza, verde come non mai. Il rumore delle foglie, che strusciavano le une contro le altre, riempì le orecchie del ragazzo distraendolo per un attimo.  Doveva parlarne con Silver, lui avrebbe trovato di sicuro una soluzione ai suoi continui dubbi. Saltò direttamente la colazione e iniziò a prepararsi di malavoglia. Perfino il suo posto rubato finì in secondo piano. E poi era sicuro che quella mattina non si sarebbe fatta lezione, Dylan aveva ricevuto solo ieri la notizia della gravidanza di Ginevra, chi lo portava giù dalle nuvole ora? Conclusa la pettinata giornaliera, trotterellò giù dalle scale con attenzione, i due ospiti non si erano ancora svegliati e non se la sentiva proprio di farlo lui. Uscì di volata da casa, abbandonando le mura rosse dietro una scia blu.

< Svegliati mamma! Ho fame! > Esclamò una voce sottile a pochi centimetri dal volto della riccia. L’urgenza con cui era stato impartito quell’ordine era sembrata più una supplica che una richiesta. Servì a destare la ragazza in un battibaleno. Intontita dal sonno, socchiuse gli occhi per mettere a fuoco il piccino blu, che si sdoppiava e si delineava continuamente davanti a lei. Justin era affamato, gli occhi verdissimi chiedevano esplicitamente cibo. La ragazza era sicura che, se avesse guardato con attenzione, avrebbe trovato la tazza di latte e nesquik riflessa nelle sue iridi.
< Buongiorno Justin, dammi un minuto e scendiamo subito > mormorò con voce impastata, massaggiandosi le palpebre pesanti. Le lenzuola fresche e la luce leggera invitavano a fare tutt’altro, ma per la felicità del suo figlioletto, questo e altro.  Il piccolo sospirò impaziente, sdraiandosi su di lei in silenziosa attesa. Era raro che il blu si concedesse alle tenerezze a quelle ore. Solitamente scappava nel giro di trenta secondi in cucina dove, appunto, poteva sfamarsi. Senza tante cerimonie, Amy ne approfittò per stringerlo a se con adorazione e ricoprirlo di baci. Tra qualche anno sarebbe stato difficile riuscire ad incatenarlo e costringerlo a sorbirsi quelle coccole. Ancora in pigiama, il piccino si lasciò accarezzare gli aculei per un minuto scarso, accompagnando ogni carezza con sbuffi impazienti. Dopodiché, si alzò di scatto e corse in cucina affamato, sfuggendo dalle braccia della rosa.
< Maaaaaaamma! Dai vieni! > Esclamò dal piano inferiore, un tantino scocciato per il ritardo della madre. In attesa dell’arrivo della riccia, Justin si guardò attorno in cerca dell’adulto, non riuscendo a capire perché non si trovasse li. Solitamente, Sonic li aspettava sempre prima di mangiare. La riccia arrivò in cucina dopo qualche secondo, con i capelli raccolti e, tutto sommato, anche di buon umore. Anche lei si stupì di non trovarlo in cucina, ma, notando le stoviglie sporche nel lavandino, capì che il blu era già partito da un pezzo. Ed il motivo le era più che palese, la litigata della sera precedente aveva dato i suoi frutti marci.
< Come mai è andato via subito? Io volevo salutarlo! > esclamò Justin di ritorno dalla sua ispezione casalinga. Aveva controllato, invano, tutte le stanze del piano inferiore in cerca della figura dell’adulto. Il piccolo broncio stampato in faccia indicava chiaramente che si sentiva offeso per quel gesto. Si puntellò sulla sedia e appoggiò i gomiti sul tavolo con espressione contratta. Amy lo fissò sorpresa per qualche secondo. Oltre ad essere la perfetta copia del padrone di casa, sia nei tratti somatici, sia nei tratti comportamentali, si stupì anche per il bizzarro comportamento. Justin, come ogni bambino che si rispetti, trovava gli adulti molto noiosi e ripetitivi. Quell’attaccamento quasi morboso verso il ragazzo, indicava però, che sotto, sotto, c’era una nutrita base di affetto che lo legava a lui.  La rosa ne era felicissima, le cose sarebbero state molto più complicate se al piccolo non fosse andato a genio il blu.
< Probabilmente Dylan l’ha chiamato prima, sai com’è no? Ma sono sicura che ti ha pensato prima di andarsene. Ti vuole tanto bene > rispose con un sorriso sincero. O almeno così sperava. A quella rassicurazione, il riccio blu sorrise e si stiracchiò stancamente più rilassato . Non vedeva l’ora che tornasse a casa.
Non riuscirono nemmeno a buttare giù il primo boccone, che il campanello trillò inaspettatamente, sbalordendo madre e figlio. Guardandosi stupiti, formularono la stessa, identica domanda: chi era a quell’ora? A malincuore, abbandonarono i loro bignè sul tavolo per dedicarsi a quell’ inaspettata visita.  Con velocità supersonica, il riccetto fu davanti alla porta in qualche decimo di secondo, preparando il suo miglior sorriso. Era sicuro che fosse Sonic, tornato apposta per salutarlo prima di andarsene per tutta la mattinata.
Abbassò in fretta e con decisione la maniglia, impaziente come pochi. Il suo sorriso si spense quando, aprendo la porta, non si trovò davanti l’adulto blu ma tutt’altra persona.  

Spazio autrice: Perdonate il colossale ritardo ma ho avuto più di una crisi letterale durante la stesura del capitolo. Crisi che si sono impresse a fuoco, come ben si legge.Spero di potervi fornire un testo migliore la prossima volta, sto sperimentando un po' ultimamente, appunto per poter migliorare. Qualsiasi dubbio o errore, per favore, segnalatelo. Consigli o pareri sono molto apprezzati! Detto ciò, buona serata. A presto!
Baci.

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Capitolo 25
*** Conoscenze ***


Amy, stupefatta da quella visita così mattiniera, raggiunse l’entrata un po’ intimorita, domandandosi chi potesse mai far visita a quell’ora. Scartò Sonic a prescindere, lui avrebbe aperto la porta senza giro di campanello. E Blaze nemmeno: avrebbe bussato certamente con più delicatezza. Controllando velocemente l’aspetto suo e del piccolo, che risultò essere abbastanza soddisfacente, aprì la porta con cautela sperando non fossero altri guai. La figura che delineò in fretta, però, bastò a lasciarla completamente a bocca aperta. Una coniglia, di un tenue color azzurro pastello, se ne stava ritta in piedi con aria visibilmente imbronciata. Le ciglia lunghe e l’aspetto generale dell’azzurra indicavano chiaramente che il padrone di casa la conosceva di certo. I capelli lunghi fino alle spalle e quel viso leggermente arrotondato indicavano che era veramente giovanissima, addirittura più di lei.
Era molto svestita e la pelle delicata indicava già un primo, leggero strato di abbronzatura. Tuttavia, non era comunque il colore chiaro a far figurare la ragazza, semmai, era il decolté abbondante che sbocciava come un fiore dalla canottiera striminzita. I loro sguardi si incrociarono quasi per sbaglio dopo quelle che parvero ore, ed entrambe rimasero completamente sbalordite dalla sorpresa. Nessuna delle due si aspettava, infatti, di trovarsi di fronte una ragazza. La coniglia strabuzzò gli occhi di fronte alla riccia rosa, immaginando fin da subito che quella doveva essere la sua nuova sostituta. Irrigidendosi sul posto, in un primo momento, la squadrò da cima a fondo incredula. A Sonic era bastato appena un mese per dimenticarla? Al solo pensiero avvampò di rabbia stringendo i pugni lungo i fianchi,
< maledetto! Dov’è quell’infame traditore?! > esclamò furiosa, avvicinandosi rabbiosa all’entrata in cerca del riccio blu. Amy si scosse dallo stato di trance in cui era caduta, capendo bene che la situazione era molto più delicata di quello che già sospettava. Portando le mani davanti a lei, tentò di calmare la ragazza fuori di se dalla rabbia.
< Nonono! Calmati! Non sono affatto ciò che immagini! Posso spiegarti tutto! > mormorò la rosa bloccando la strada alla coniglia. Non voleva assolutamente rovinare il rapporto tra i due fidanzati e tantomeno intaccarlo. L’azzurra si fermò di netto e la guardò sospettosa, indecisa se crederle o meno. L’espressione dolce sul viso della riccia la persuadeva a darle fiducia, ma il continuo ed interrotto gesto di arrotolare un aculeo sull’indice indicava un’insicurezza sospetta. Rimase perciò in silenzio, tamburellando nervosamente il piede sull’uscio, indecisa su come comportarsi in quella situazione. Certo, la riccia lì per lì rappresentava un rivale in amore ma dalle sue parole non lo sembrava affatto, sembrava invece quasi intenzionata a riavvicinare lei e Sonic, e chissà, magari ci sarebbe riuscita. Amy, decisa ad appianare qualsiasi dubbio, si mise di lato e indicò con un gesto della mano il salotto ordinato
< forza! Entra e parliamo un po’ > introdusse la riccia con quanta più cordialità possibile ed un sorriso tirato. L’azzurra, stupita da quel gesto, scosse le palpebre confusa ma seguì ugualmente la ragazza all’interno della familiarissima casa. Notò subito che l’ambiente era cambiato da quando se ne era andata: l’ordine regnava, il pavimento brillava e i mobili erano spolverati. Perfino l’aria sembrava aromatizzata di un qualche cosa di aromatico. Arrivando in cucina si trovò addirittura la tavola preparata per la colazione. Brioche e quant’altro era disposto su piattini in modo ordinato, nessuna macchia o granello insozzava il tavolo. La coniglia, fissando quel decisivo cambiamento con meraviglia, si sedette su una sedia qualsiasi tentando di capire la posizione che ricopriva quella misteriosa riccia. Di sicuro per trovarsi nella casa del blu doveva trattarsi di un’amicizia speciale: Sonic non lasciava entrare gente a caso. Ma la ragazza, seduta di fronte a lei, non indossava anelli all’anulare e tutto sommato era vestita normalmente. Insomma sembrava proprio una qualunque e sperava che fosse realmente così.
L’azzurra era talmente immersa nell’analisi visiva della rosa, da non accorgersi dei due fanali verdi che la studiavano a loro volta. Con occhio critico, il piccino la stava osservando, incuriosito dallo strano atteggiamento della ragazza. Mescolando con cura maniacale il latte tiepido, incioccolatosi grazie al mezzo chilo di Nesquik, Justin fece strusciare il cucchiaio sulla tazza creando un melodioso accordo. Note che la coniglia percepì al volo, facendola voltare di soprassalto. Gli occhi cerulei le si allargarono di stupore notando, solo in quel momento, il bambino appollaiato sulla sedia intento a fissarla con occhi curiosi. Era un riccetto di un abbagliante blu cobalto con due vivissimi occhi verde magnetico, occhi straordinariamente familiari a prima vista. Capì subito che quella che aveva di fronte era la madre del marmocchio e forse riusciva anche a capire perché la riccia si trovasse lì.
Amy bloccò quel pericoloso scambio di sguardi sul nascere, non poteva permettersi che quel “piccolo” segretuccio divenisse di dominio pubblico. E la ragazza sembrava abbastanza sveglia da riconoscere quell’esagerata uguaglianza tra padre e figlio e la relativa conclusione. Protraendosi verso di lei allungò una mano in segno di conoscenza, attirando immediatamente la sua attenzione.
< Che maleducata! Non mi sono nemmeno presentata. Sono Amy Rose e lui è mio figlio Justin. Tu saresti… ? > Esclamò con un sorriso falsissimo modulando il tono di voce. La coniglia scostò l’attenzione dal piccolo ritornando sul suo piedistallo e con aria severa strinse decisa la mano della riccia,
< piacere. Sono Irina the Rabbit, un’intima amica di Sonic. Tu che ci fai qui? > l’apostrofò con disdegno sollevando un sopracciglio. La riccia, rimasta imbambolata da tanta arroganza, si riprese in fretta sbattendo le palpebre velocemente. Avrebbe tanto voluto spalmarle in faccia il fatto che Justin fosse il figlio del blu ma, per ovvie ragioni, si morse la lingua prima di combinare altri guai.
< Io … sono una sua vecchia amica di scuola, sono passata a salutare la vecchia classe e, gentilmente, si è offerto di ospitarci. Tutto qui. Tu, invece, da come parli sembri essere la sua … fidanzata o sbaglio? > Continuò con calma, studiando ogni singola espressione o movimento dell’ospite. Ne approfittò per offrirle una tazza di the al gelsomino, che venne accolto con un’alzata di sopracciglio sorpresa. Tuttavia, con un’espressione pensierosa, iniziò a mescolare il liquido ambrato creando un piccolo vortice in cui, al suo interno, si radunò un finissimo strato di schiuma. Irina, mordicchiandosi l’interno della guancia, si scostò una ciocca di capelli, indecisa sulla risposta da darle.
Non voleva ammettere di essere l’ex del riccio ma non poteva nemmeno dirle di essere l’attuale ragazza. Serviva una qualsiasi via di mezzo. Riacquistando sfrontatezza, la ragazza incrociò le braccia e scostò lo sguardo dall’ascoltatrice,
< abbiamo litigato. Lui mi ha mollata un mese e mezzo fa ma sono sicura che si tratta solo di una semplice pausa. A tutte le coppie capita no? E’ solo una prova del nostro amore > concluse ottimista, rivolta più a se stessa che a qualcuno in particolare. O almeno, Irina sperava proprio questo. Le mancava moltissimo Sonic, avrebbe promesso qualsiasi cosa pur di tornare al suo fianco. Sospirando sconsolata, iniziò a mescolare nuovamente il the ormai freddo, ignorando quasi involontariamente la riccia silenziosa di fronte a lei.
Amy, bloccata con la tazza a mezz’aria e uno sguardo smarrito, era parecchio confusa da quella notizia. Sonic le aveva detto chiaramente che non si considerava impegnato con nessuna ma di fronte a quella confessione non riuscì a reprimere il dubbio sulla sua sincerità. Oltretutto, questo possibile fidanzamento metteva in crisi anche la sua già disperata situazione. Se fosse stato vero, non avrebbe potuto  svelare così facilmente la sua paternità, avrebbe creato un forte imbarazzo tra i due innamorati.
Ma non era quello il vero problema che stava considerando in realtà.  Nel punto più profondo del suo cuore, infatti, le dispiaceva ancor di più il fatto di non poter avere una speranza di riavvicinamento con il ragazzo. Sapeva che una loro unione era qualcosa di veramente arduo da ottenere, ma sapeva anche che quel fottutissimo riccio era parte di lei tanto quanto Justin. Perderlo una seconda volta avrebbe significato non solo il suo ritorno a Gout City (non poteva e, soprattutto, non voleva restare nelle grazie del riccio per troppo tempo) ma avrebbe perso quella persona speciale che l’aiutava ad essere la migliore versione di sé e la madre perfetta, o quasi, di cui Justin necessitava. Insomma, Sonic per lei non sarebbe mai stato un “amico” e basta. Stava provando con tutta se stessa a mantenere le distanze adeguate ma bastava che il blu le parlasse e lei si sentiva scivolare in una deliziosa tazza di sicurezza e benessere. Amy provò una fitta di dispiacere per lei, conosceva bene i sentimenti che la coniglia dichiarava.
Quella malsana speranza, che ti incolla le palpebre rendendoti  completamente cieca, non era per nulla salutare. Con un coltello tagliò a metà il suo quotidiano bignè alla fragola e glielo passò facendolo scivolare sulla cartina. Il ripieno cremoso e la glassa luccicante rosa attirarono subito la curiosità e le mani della coniglia, che iniziò a mangiucchiarlo un pelino più motivata.
< Bhe, da me non avrai nessun problema. Come ti ho già detto non abbiamo alcun tipo di … legame. Perciò non preoccuparti. Vuoi che gli lasci qualche messaggio da parte tua? > mormorò con un sorriso flebile la riccia, pulendo la bocca di Justin unta di cioccolata. Irina, che sembrava essersi ripresa un po’ con il dolcetto, scosse la testa brevemente prima di inghiottire l’ultimo boccone. Le ciocche di capelli, fermate con delle forcine, ondeggiarono davanti al suo viso con delicatezza, incorniciando il viso rotondo.  
< No, se vorrà si farà vivo lui > esclamò ritrovando l’orgoglio perso e anche l’arroganza. La coniglia era quasi sicura che Sonic fosse ancora preso da lei, se quello che la riccia sosteneva era vero, di sicuro il blu la stava ancora pensando. Ad Amy non restò che annuire perplessa e offrirle una seconda tazza di the, che venne prontamente rifiutata.
A dir la verità, la rosa non sapeva minimamente cosa provasse il riccio verso quella ragazza così fiera. Non l’aveva mai nominata da quando era arrivata ma di sicuro, doveva ancora esserci qualcosa vista la determinazione e la sicurezza dell’ospite inatteso.
 La coniglia se ne andò circa un’ora più tardi, dopo aver descritto per tutto il tempo la breve relazione con Sonic, descrizione che dovette bloccare più di una volta a causa dell’intensità di certi racconti, per nulla adatti al piccolo che ascoltava confuso. La rosa rimase bloccata sull’uscio, perplessa e pensierosa, finché la figura azzurrina di Irina non sparì dietro al cancello con passo orgoglioso. Justin, al suo fianco, salutava allegramente la nuova amica della mamma con ampi gesti delle mani, tutto sommato le stava anche simpatica.
< Tornerà ancora a trovarci? > domandò con interesse il piccino spalancando gli occhioni carichi di curiosità,
< speriamo di no tesoro > replicò con un sospiro irritato la madre.

Verso l’ora di pranzo, il sole fu oscurato da alcune bianche nuvole di passaggio, che regalavano una certa frescura all’ambiente. Sonic contemplava le nuvole rincorrersi e disfarsi pensieroso, la loro candida sofficità infondevano una pace e una tranquillità rara al riccio. Dylan, diversamente da come credeva Sonic, era stato un miscuglio di rigidezza, concentrazione ed energia: per tutta la mattinata aveva spronato i ballerini a fare del proprio meglio e a correggere la spettacolare coreografia che si stava formando. E gli alunni, incoraggiati e invogliati dallo straripante entusiasmo dell’insegnante, si erano veramente impegnati soddisfando appieno il riccio nocciola. I sorrisi e la grinta stampata in ognuno di quei volti indicava chiaramente che le speranze di vincere il concorso aumentavano di secondo in secondo.
Sonic, a differenza di tutti gli altri, però, era a dir poco irritato. Seduto su una sedia al lato della stanza, aveva osservato con molta, molta attenzione Jacob, l’immeritevole testa calda che aveva usurpato il suo posto. Il piede del riccio tamburellava nervosamente il pavimento della sala, scaricando la rabbia in un regolarissimo “tap-tap” che andava a ritmo della canzone. Doveva dolorosamente ammetterlo: il termine “bravo” era riduttivo per lui, il ragazzo dagli occhi color corallo era mostruoso, soprattutto dopo aver ricevuto la postazione centrale. I passi leggeri erano addirittura graziosi e il blu iniziava a notare una pericolosa somiglianza con quelli di Dylan. Di questo passo, lui sarebbe stato declassato in fondo nell’ultima fila, dimenticato da tutti e tutto, oscurato dall’ombra della nuova, lucente fiamma. Bastò questo terribile pensiero per far sprofondare il riccio di un tumultuoso e insipido baratro di ansia: non voleva finire nel dimenticatoio e soprattutto non voleva essere superato da uno come lui. Doveva rimettersi in piedi e alla svelta anche se voleva riguadagnare la sua postazione.
Pigramente, iniziò a guardare fuori dalla finestra distraendosi con le enormi nuvole che solcavano il cielo come barche nell’oceano. Il sole allo zenit e il suo stomaco brontolante gli indicavano chiaramente che era ora di concludere gli allenamenti giornalieri e tornare a casa dalla riccia rosa e dal suo tenero figlioletto, altri due grossi problemi da risolvere. Dopo la litigata della sera precedete, quel mattino non gli aveva nemmeno avvertiti della sua partenza. A dir la verità avrebbe voluto salutare il piccolo blu ma, sospettando che la rosa fosse incazzata nera, aveva deciso di rinunciarci per non rischiare di peggiorare la situazione.
Dylan, leggero come una piuma per la notizia appresa il giorno precedente, liberò gli alunni, distrutti da tutte quelle ore di allenamento, una decina di minuti prima. Era veramente soddisfatto del lavoro fatto quel giorno, la coreografia prendeva corpo e i suoi ragazzi si erano impegnati abbastanza. Di quel passo avrebbero vinto sicuramente un bel premio. I ballerini, dopo un breve giro di congratulazioni e saluti per il futuro nascituro, si diressero a gran velocità negli spogliatoi, lasciando soli nella grande palestra Sonic e l’insegnante. Risate e battutine di vario genere risuonarono nel corridoio richiamando l’attenzione il riccio blu, ancora pigramente appollaiato su una panca accanto alla finestra.
La gamba sinistra, posizionata sotto l’ arto malato, aveva iniziato ad informicolarsi provocandogli un leggero fastidio. Per evitare che la gamba si addormentasse, si alzò con calma spazzolandosi i pantaloni spiegazzati, notando solo in quel momento che era l’unico rimasto oltre all’insegnante.
Vedendolo completamente assorto in una pila di carte dedicate al famoso concorso, con uno sbrigativo e asciutto saluto, accennò ad uscire dalla stanza per andarsene. Il riccio non voleva disturbarlo e, soprattutto, non aveva voglia di parlare della serata precedente: i suoi genitori erano stati dei perfetti stronzi. Punto. Con sguardo impassibile e camminata alquanto veloce, scivolò fuori dallo stipite credendosi salvo da eventuali ramanzine o discorsi filosofici ma non fu così.
< Sonic! Aspetta un attimo! > Esclamò Dylan balzando fuori dalla palestra di tutta fretta. Non si era reso conto che il blu stava tentando letteralmente di fuggire da lui, credeva che il ragazzo stesso avrebbe cercato un qualsivoglia confronto. Il diretto interessato si fermò a metà corridoio con un sospiro rassegnato, gli sembrava di essere tornato alle superiori quando i prof lo beccavano a bighellonare in giro per la scuola, o almeno, il brivido che gli corse giù per la schiena era praticamente lo stesso. Girandosi verso l’insegnante, lo squadrò con aria indecifrabile cercando di capire cosa avrebbe trattato il continuo di quel dialogo. L’insegnante di fronte a se riacquistò in un batter d’occhio il contegno e ricambiò lo sguardo del blu, un misto tra lo stupito e l’annoiato. Anzi, osservandolo meglio, il termine esatto non era “annoiato” era più “stanco”, la conferma arrivò quando notò, sotto gli occhi, leggerissimi aloni scuri. L’insonnia era stata causata dalla disastrosa cena che avevano organizzato?
< Tutto … tutto bene? > mormorò sorpreso Dylan portando una mano sul fianco. Il blu, sorpreso a sua volta, annuì e involontariamente copiò il suo gesto aggrottando leggermente le sopracciglia, non voleva assolutamente passare per quello che stava male.
< Bhe, non si direbbe. Comunque > - iniziò l’insegnate prendendo un grosso respiro - < mi scuso per ieri sera, il comportamento dei miei è stato inaccettabile e inappropriato. Spero che le loro parole non abbiano creato malumori tra noi, insomma, sai che le cose che hanno detto sono totalmente prive di senso. Inoltre vorrei scusarmi anche con Amy, sono stati veramente poco gentili, sai per caso quando posso vederla? > concluse sbrigativo studiando il blu per capire i suoi reali sentimenti. I freddi occhi grigi di Dylan non si staccarono per un solo secondo dal riccio, in cerca di una qualsiasi scrollata di spalle o uno sguardo vacuo che gli indicassero il problema che aveva causato quegli aloni scuri sotto gli occhi.
Sonic guardò il soffitto con fare annoiato, se avesse parlato di Amy sarebbe sicuramente uscito il discorso fatto la sera precedente e non ne aveva la minima intenzione, si prese perciò alcuni attimi per trovare una risposta esauriente.
Stava quasi per rispondere quando, con uno sfocio di risate e battutine, emersero dallo spogliatoio i suoi compagni, pronti per tornare a casa e riposare dopo l’intensa mattinata. Ottimi per prendere altro tempo e magari far morire il discorso. Con un sorriso tirato e un gesto della mano, salutò i suoi amici uno alla volta. Saluto che venne prontamente ricambiato con battutine e altrettanti “ciao” di intesa, rallegrando non poco il riccio. Tutto sommato era un gruppo molto affiatato il loro.
Uno solo fra essi non ricambiò il gesto di amicizia, un certo dingo color mandarino tenue con gli occhi corallo che, con fare strafottente e dando dimostrazione di saper camminare perfettamente o comunque molto meglio del riccio in questione, oltrepassò il blu lanciandogli un’occhiata profonda e gongolante. Gli occhi sanguigni brillarono di evidente malignità. La soddisfazione che provava in quel momento era nulla in confronto a quella che avrebbe provato quando avrebbe vinto il famigerato concorso senza quel borioso riccio blu. E vedere come Sonic si rodeva il fegato di fronte alle sue meravigliose prestazioni, aumentava ancor di più la sua gioia che manifestava con un ghigno competitivo. Notando quella frecciata silenziosa, con sorpresa e, soprattutto, rabbia, Sonic contraccambiò la penetrante occhiata con odio, abbassando le orecchie per sottolineare l’antipatia reciproca che si era instaurata. Non aveva mai detestato in quel modo un collega, ma il comportamento strafottente e orgoglioso del dingo lo facevano imbestialire. Furono divisi fisicamente quando il dingo uscì dall’edificio con passo sicuro e a testa alta, dimostrando di non aver il minimo timore del riccio azzoppato.
Stringendo i pugni innervosito, il blu si voltò in direzione di Dylan con sguardo di puro fuoco, facendo ondeggiare gli aculei
< spero che tu nota questi attacchi! E spero anche gli darai una lezione di umiltà! > ringhiò il riccio mentre il nervoso gli strizzava lo stomaco, se avesse potuto lo avrebbe strozzato con le sue mani fino a farlo diventare viola. L’insegnante, divertito dal comportamento immaturo dei due, scosse la testa e fece un rapido dietrofront, dirigendosi verso la sala vuota
< hai l’età e le capacità per farlo tu stesso, se ci tieni tanto. Fa guarire quella gamba > esclamò iniziando a spazzare il pavimento di legno. Il sorriso beffardo che gli incorniciava il volto indicava che la reputava una pessima idea e, involontariamente, gli consigliava anche di lasciar perdere quella questione. Sonic afferrando al volo quel parere, guardò ancora una volta l’insegnante in attesa di un giudizio che non arrivò,
< va bene, a domani. Ciao > bofonchiò stancamente.
< A domani > rispose di sfuggita il riccio nocciola, continuando a spazzare.
Con calma e zoppicando leggermente, il blu percorse il breve corridoio e aprì la porta facendo tintinnare la campanella appesa al soffitto. Il rumore familiarissimo gli riempì i timpani mentre la luce intensissima lo accecò per un breve attimo, costringendolo a portare una mano sulla fronte per schermarsi dagli intensi raggi. Delineò subito una figura sotto l’albero, ma quando mise a fuoco e capì di chi si trattava, il suo cuore prese a battergli molto più velocemente.

Spazio autrice: Salve! Spero che questo capitolo possa piacervi. Errori, consigli e opionioni sono graditissimi. Per chi fosse interessato avviso che il capitolo 3 è stato modificato.
Ringrazio inoltre la carissima Lily710 per le accuratissime correzioni che mi ha fornito. Se questa storia sta prendendo una buona piega grammaticale una gran fetta del merito va a lei. Detto ciò, ci rivedremo alla prossima.
Baci.

 

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Capitolo 26
*** piccole disattenzioni ***


Il cuore di Sonic stava martellando come un martello pneumatico, mentre gli angoli della bocca si increspavano in un ghigno di rabbia. Sotto l’albero, piazzato quasi al centro del cortile, non una, ma ben due figure scure si stagliavano all’ombra della magnolia ricca di fiori bianchi. Un delizioso soffio di vento portava il profumo di miele al suo naso, rendendo la scenetta ancor più patetica di quel che già era.
La rosa e  l’arancione erano fermi, faccia a faccia, impegnati in una discussione che non riusciva minimamente a captare. Lui, con un sorriso gentile, stava gesticolando qualcosa, mentre lei, bella come un fiore, lo stava ascoltando completamente presa dal discorso del dingo. Cosa voleva quel cane con quella faccia da schiaffi e quel sorriso odioso dalla sua ex? Che volesse ammetterlo o no, una morsa di gelosia stava lacerando il suo cuore ormai sfibrato. Già faticava a sopportare il fatto che quel bell’imbusto aveva occupato il suo posto a ballo, figuriamoci se avrebbe sopportato quel comportamento nei confronti della riccia.
Desiderando con tutto il cuore che l’albero crollasse sopra all’arancione, sospirò di rabbia stringendo i pugni distesi lungo i fianchi , quando d’improvviso, una voce acuta e fresca lo chiamò da lontano riscuotendolo dall’impeto omicida. Guardandosi attorno smarrito, Sonic si voltò in tutte le direzioni ma non riuscì a capire da dove arrivasse quel suono.  Il suo nome, pronunciato con sollievo e sorpresa, lo colpì in pieno petto, resettando ogni sentimento negativo. 
< Soooooonic! > un lampo blu, piuttosto piccolo anche, balzò giù dalle braccia della ragazza con foga e, a velocità anormale, lo raggiunse in meno di un attimo. Gli occhi dell’adulto afferrarono per un solo istante la figura che si avvicinava a velocità quasi supersonica e grazie ai riflessi perfettissimi, riuscì ad acchiappare al volo il bambino che si era letteralmente lanciato su di lui con una gioia e un’energia invidiabile.
Justin era felicissimo di rivederlo, il fatto che quella mattina non l’avesse salutato come ogni giorno, gli aveva fatto temere che il blu fosse arrabbiato con lui per qualche strano motivo. Le piccole braccine si strinsero attorno al collo dell’adulto in un abbraccio colossale facendo irrigidire per qualche secondo Sonic che non si aspettava di certo simili dimostrazioni d’affetto. Stretto dalla debole morsa dello scricciolo cobalto, l’adulto era impalato come una statua, nel primo dei tre gradini sconvolto da tanta tenerezza.
Senza sprecare un minuto di più, lo avvvolse a se baciandogli la testolina irta di aculei lucenti. Le cose che non avrebbe fatto per lui erano praticamente zero, lo adorava, il bene che provava era incomparabile a qualsiasi altro sentimento che avesse mai provato.
Justin premette la fronte sulla guancia del blu a mo’ di carezza, non si era mai sentito così al sicuro come con quel ragazzo.
Ma c’era una grave questione da chiarire prima di dedicarsi alle coccole, troppo importante da poter lasciar perdere. Sciogliendo l’abbraccio e allontanandosi un po’ per guardarlo ben in faccia, Justin storse leggermente la testa e lo squadrò serio con gli occhi semichiusi
< perché questa mattina non ci hai salutati? > rimbeccò con tono imbronciato il piccino. Quella posizione, acquisita sicuramente dalla madre, colpì il blu, piacevolmente sorpreso che il riccetto fosse infastidito da quella mancanza mattutina.
< Stavate entrambi dormendo come dei sassi. Non volevo svegliarvi > rispose pazientemente l’adulto a tono, giustificandosi divertito. Justin sollevò un sopracciglio e lo studiò con attenzione come se stesse soppesando la credibilità di quella scusa.
Impiegò poco tempo a decidere, con una scrollata di spalle cancellò il broncio, sostituendolo con un sorriso gioioso e paffuto, e si rituffò tra le braccia dell'ignaro padre.
Da lontano intanto, la riccia aveva osservato ogni minimo gesto dei suoi due tesori con occhio critico, ignorando completamente il compagno di ballo di Sonic, il quale continuava a blaterare cose senza fermarsi nemmeno per un attimo. Il cuore della ragazza aveva iniziato a battere più velocemente di fronte al riccio blu e il solo pensiero degli occhi verdissimi e della sua bella voce la rendeva nervosa come una ragazzina. Vedendo poi quella scena da film, la sua testa iniziò già a creare castelli in aria meravigliosi e inverosimili, distraendola ancor di più dalle parole del dingo.
< … E cosa ne pensi? > esclamò d’un tratto Jacob con il sorriso e le mani dentro alle tasche della tuta. Amy, persa con uno sguardo sognante, precipitò nella dura realtà con un veloce battito di ciglia.
Notando che il ragazzo di fronte a lei stava aspettando una risposta, in preda al panico ( e per evitare figuracce) iniziò ad annuire sperando di cavarsela egregiamente.
< Certo! Ok! Sì sì! > balbettò imbarazzata, muovendo un passo in direzione di suo figlio e del suo coinquilino per concludere in fretta quella chiacchierata. Jacob sorrise e notando solo in quel momento che il blu li stava guardando dall’entrata, si dileguò velocemente con un frettoloso cenno di saluto.
< Va bene, ciao Amy > borbottò velocemnte e detto ciò, lanciando un’ultima occhiata al di sopra della riccia, diretta al suo rivale, se ne andò con passo lungo e uno sguardo di sfida. Sguardo che Amy non comprese e che non si preoccupò di comprendere, con il cuore che le batteva e sciogliendosi i lunghi capelli, si avvicinò finalmente ai suoi due con un sorriso dolcissimo.
Non vedeva l’ora di tornare a casa e stare finalmente con loro.
Sorriso che spappolò lo stomaco del blu, facendogli compiere acrobazie da circo all’interno dell’addome. Nei suoi nervi ottici, solo la figura della riccia meritava di essere ben focalizzata e inquadrata, il contorno e l’intero sfondo venne fuso tutto assieme in una grande tavolozza di colori.
< Oh Justin! Quante volte ti dovrò dire di essere delicato? Lo sai che ha una gamba dolorante > sbuffò poco convinta la riccia, bloccandosi di fronte alle due fotocopie con un sorriso malizioso.
< Ma non gli ho fatto male mamma! Sono andato piano. Vero Sonic? > protestò con un sorriso il piccino, in cerca dell’ormai sacrosanta approvazione dell’adulto.
Orgoglioso come un gallo, il blu trattenne le risate a stento per la risposta data alla madre,
< vero tesoro. Buongiorno Amy > esclamò ricambiando il sorriso malizioso.
Erano felici entrambi notando che la controparte non era minimamente influenzata dalla litigata del giorno precedente. Si sorrisero rilassati quando Amy, ricordando d’un tratto l’increscioso incontro di quella mattina, non risparmiò le frecciate, cariche più di gelosia che di rabbia.
< Buongiorno caro il mio Don Giovanni dei poveri. Come stai? > Esclamò con un sorriso furbetto, incamminandosi verso casa e ravviandosi il ciuffo che le copriva gli occhi. Perfino Justin, capendo le intenzioni della madre, rise divertito e scendendo dall’adulto afferrò saldamente la mano del ragazzo.
Sonic sollevò un sopracciglio e la seguì, incuriosito dalla strana provocazione
< mmmh, qualcosa mi dice che c’è qualcosa di grosso che bolle in pentola > rispose con nonchalance e un sorrisino innocente.
< Molto grosse … ehm cioè grosso > si corresse la rosa, ripensando al torace della ragazza ampiamente sviluppato. Dicendo ciò, lanciò un’occhiata al suo coinquilino che sembrava perso in complicate considerazioni, che fosse ancora innamorato della coniglia?
< Spara > mormorò il blu confuso e soprattutto preoccupato. Temeva, infatti, che la riccia proclamasse il suo ritorno a casa, in quel caso avrebbe dovuto convincerla a rimanere ma, testarda com’era, non sarebbe stato affatto facile.
La rosa, emettendo una leggera e tintinnante risatina, che ad un orecchio esperto sarebbe risultata un tantino nervosa, snocciolò parzialmente la novità.
< Questa mattina abbiamo conosciuto una certa Irina > esclamò asciutta, inserendo la chiave nella toppa del grande cancello di casa. Il profumo delle rose la raggiunsero con una brezza leggera, scompigliandole gli aculei ordinati e anche il suo cuore, che temeva di ricevere le temutissime parole. Quel nome così freddo e brioso, per Sonic assomigliò molto ad una freccia conficcata tra le costole. O comunque il risultato fu quello. Con un sonoro colpo di tosse si liberò della sensazione di soffocamento, incredulo, e trasse una grossa boccata d’aria recuperando il fiato, mozzato a causa dell’assurdo incontro.
< C-come?Dove? > Iniziò a balbettare il blu arrossendo come un peperone. Certo che la Divina Provvidenza lo stava mettendo a dura prova ultimamente, era stato così necessario far incontrare le sue due più temibili ex?
Amy sorrise tentando di mostrarsi indifferente, non era la sua fidanzata, non poteva perciò scatenare il mostro ingordo che si stava agitando dentro di lei. Entrando in salotto appoggiò la borsa sul divano e si diresse verso la cucina, mostrando chiaramente di voler iniziare a cucinare il pranzo. Un buon pretesto per dargli la schiena e aumentare così la probabilità che il riccio non sgamasse i suoi reali sentimenti. Voleva dimostrarsi indifferente e rilassata, cosa che non le stava per nulla riuscendo bene.
< Oh stai calmo, non abbiamo sparlato di te. Questa mattina è comparsa davanti alla porta e così l’ho invitata ad entrare. Mi ha raccontato in breve la vostra relazione e la vostra … separazione. Se così si può dire. Ci spera così tanto che tu torni da lei > mormorò con tono piatto e fingendo una spensieratezza che non c’era. Le parole studiate, che in realtà volevano sembrare buttate lì al momento, tentavano di estrapolare più informazioni possibili dal riccio blu. Insomma: era innamorato o no?
Il ragazzo rimase in silenzio per qualche attimo indeciso su cosa rispondere, da una parte avrebbe voluto raccontarle come stavano le cose realmente, dall’altra desiderava stuzzicarla per ottenere una sua reazione.
< Bhe, sicuramente non mi sono comportato proprio benissimo con lei. D’altronde è una brava ragazza, dovrei risentirla per chiarire la questione > esclamò chiudendo la porta dietro di lui con tono fintamente preoccupato. Forse stava rischiando troppo, la rosa avrebbe potuto sospettare del suo atteggiamento. Ma era deciso a capire cosa pensasse realmente la riccia di quella situazione e soprattutto voleva capire se c’era anche una piccola speranza di riavvicinamento con lei.
Amy, a quelle parole, rimase un tantino interdetta, non si aspettava proprio che il riccio volesse riappacificare con Irina. Soffocando l’impeto di delusione che le stava scendendo addosso, rispose di getto frustrata da quella situazione.
< Devi vedere tu quello. Se vuoi che ritorni al tuo fianco dovrai riavvicinarti a lei, ovvio > rispose fredda, buttandosi gli aculei dietro alle spalle stizzita.
< Però è molto bella! È molto … come si dice? E’ molto femminile! > Esclamò il piccino, orgoglioso di essere riuscito ad esprimersi con un termine tanto maturo. Seduto su una sedia, era intento a bere un piccolo brick di succo di frutta alla pesca, osservando gli adulti con un sorriso.
Amy sobbalzò e lo guardò allibita, sorpresa da quella frase apparentemente ingenua,
< e tu che ne sai signorino? Pensa piuttosto a lavarti le mani! È presto per te pensare alle ragazze > borbottò mettendo l’acqua a bollire ancor più scocciata. Ci mancava solo suo figlio che gli ricordasse quanto fosse bella, come se  Sonic non sapesse che Irina fosse un gran bel pezzo di coniglia. Il riccio blu appoggiato allo stipite della cucina era piegato dalle risate, quel commento, fatto con una sincerità invidiabile da parte del piccino, non se l’aspettava nemmeno lui. Justin, con un sospiro e sparendo in una scia blu, lasciò da soli i due ricci entrambi silenziosi e attenti l’uno all’altro.
Amy, sentendosi in dovere di aggiungere qualcosa, espresse il suo pensiero corrente sperando che il blu cambiasse idea. E alla svelta anche.
< Se … se tu volessi tornare assieme a lei non preoccuparti per noi. Io e lui ce ne andremo da Blaze o troveremo una sistemazione temporanea. Non vogliamo …. > ad interrompere la riccia fu la squillante suoneria del suo cellulare. Sonic, del tutto preso dal discorso che la rosa stava argomentando, sbuffò scocciato da quell’interruzione ma, con un cenno della mano, indicò chiaramente alla ragazza di rispondere pure.
Amy sospirò per quella interruzione e  abbandonando il ragazzo e le pentole in cucina, si spostò nel salotto dove, stancamente, si lasciò cadere sul divano, innervosita dalla piega che il discorso stava assumendo. La risposta di Sonic l’aveva letteralmente delusa tanto da rovinarle l’umore.
< Pronto? > rispose impaziente, iniziando a giocherellare con la punta di un aculeo nervosa.
< Amy! Scusami se ti chiamo di già ma ero impaziente di risentirti. Sai, prima, appena me ne sono andato, ho subito ricercato il tuo numero di telefono. Spero non sia un problema e spero anche di non disturbarti > esclamò con spensieratezza il mittente della chiamata. La voce gentile di Jacob risuonò solo nelle orecchie della riccia, la quale avvampò imbarazzata a quelle parole. Iniziando a rollare la ciocca più velocemente tra le dita, cercò di sembrare il più spontanea possibile,
< n-no! Non è affatto un problema! C’era qualcosa che volevi chiedermi? > rispose la rosa spostandosi nella sua camera per aver maggior privacy. Dopo essersi assicurata che non ci fosse nessuno ad ascoltare, chiuse la porta delicatamente e si tolse le scarpe, lanciandole per la stanza. Una chiamata da parte sua non se l’aspettava proprio, si erano parlati sì e no due volte, chissà cosa voleva ora.
< A dir la verità dopo la chiacchierata di questa mattina non stavo più nella pelle. Perciò volevo organizzare in fretta prima che cambiassi idea > rispose con una risata imbarazzata. Amy, interdetta, iniziò ad analizzare ogni aspetto di quella frase per tentare di capirne il senso. Non aveva idea di cosa potesse organizzare il dingo arancione, qualche festa in linea di massima.
< Scusami Jacob ma non ti seguo: “organizzare” che cosa? >esclamò con tono dispiaciuto sforzandosi al massimo per ricordare un possibile evento. Nulla. Il suo cervello la stava anche sbeffeggiando per quel vuoto di memoria.
< L’appuntamento! Non ricordi oggi? Ne abbiamo parlato per un quarto d’ora! > rispose con tono sbalordito l’interlocutore dall’altro capo del telefono. Amy rimase a bocca aperta, sentì le gambe divenirle molle tutto d’un tratto e il fiato bloccarsi a livello del collo. Prima di trovarsi stesa a terra tra il letto e l’armadio, preferì abbandonarsi alle verdi coperte, capendo di aver fatto un madornale errore.
Ora capiva perché il dingo si era dileguato tanto in fretta e tanto felicemente quella mattina. Dandosi della stupida e pentendosi a morte di non averlo ascoltato quella mattina, si premette le tempie cercando una qualsiasi soluzione a quel malinteso. Amy sospirò mordendosi le nocche della mano, come evitare la figuraccia e l’appuntamento? Non aveva voglia e tanto meno tempo per uscire con un ragazzo che non fosse uno dei suoi blu. 
< Non avrai cambiato idea spero > la anticipò lui con voce più bassa, preoccupato per il lungo silenzio che si stava formando tra loro.
< Eh? Oh no! Scusami, Justin stava … > venne interrotta di nuovo da un sospiro di sollievo, amplificato dal microfono del telefono
< fiuu, bene! Allora se a te va bene potremmo uscire stasera! Sempre che tu abbia tempo ovvio. Altrimenti potremmo domani o dopodomani o … > Amy a quelle parole si alzò e iniziò a camminare per tutta la stanza in cerca di una qualsiasi scusa o miracolo per poter sfuggire a quell’errore mattutino.
< Devo controllare la mia agenda! Mi dispiace ma penso di essere impegnata per questo weekend! > Mentì nervosa iniziando a giocherellare con le bottigliette del profumo. Se fosse riuscita a prendere tempo avrebbe potuto trovare una scusa valida ed evitare così l’ignota promessa.
< Andiamo Amy! Non puoi spostare qualche appuntamento? Ho una voglia di conoscerti … > mormorò con voce suadente il ragazzo, deciso a tutti i costi a portarla fuori. La rosa arrossì imbarazzata capendo che, se non fosse stata quella sera, sarebbe stata la sera seguente o quella dopo ancora.
Il ballerino non l’avrebbe lasciata in pace tanto in fretta e a quel punto conveniva togliere dente e dolore il prima possibile. Se solo fosse stata attenta invece di perdersi nel riccio blu!
< E sia. Facciamo stasera allora > mormorò sconfitta portandosi una mano alla fronte. Con un sospiro si chiese come avrebbe avvisato Justin e Sonic a quella novità. Che avrebbe pensato il suo piccolo? E il grande?
< Grande! Passo a prenderti verso le 8! > Esclamò gioioso il ragazzo dall’altro capo del telefono. Era così felice che avrebbe potuto improvvisare una coreografia lì su due piedi.
< Va bene, a più tardi allora > concluse la rosa con tono piatto e priva dell’euforia che contraddistingueva il suo interlocutore. Chiuse la telefonata e stropicciandosi gli occhi debolmente, si prese due minuti per riorganizzare le idee.
Non aveva voglia di uscire con lui, sia per il fatto che Sonic le occupava i pensieri, sia perché Jacob era un grosso problema che affliggeva il suo coinquilino. Non sarebbe stato per nulla carino uscire con l’odiato collega del riccio ma che fare in quella situazione? Era stata più che stupida! Come aveva potuto accettare simili proposte a sua insaputa?
Accertandosi che nessuno l’avesse udita, raggiunse la cucina con passo lento, indossando uno dei suoi migliori, finti sorrisi. Sonic e Justin, di fronte al fornello, stavano attendendo che le uova buttate nell’acqua qualche minuto prima si cuocessero. Il vapore avvolgeva le due fotocopie instancabilmente affamate di fronte alla pentola.
< Allora miei cuochi! Cosa avete cucinato di buono? > Esclamò la ragazza fingendo una spensieratezza che non c’era. Il piccino la scrutò per un breve attimo ignorando la domanda,
< con chi eri al telefono? > le domandò serio aggrappandosi al collo dell’adulto. Una terribile ipotesi si stava facendo spazio tra i suoi pensieri: che fosse stato Jason a chiamarla?  
Poco interessato alla chiamata invece, Sonic non diede troppo peso a quella telefonata prima di voltarsi e notare il sorriso tirato che le faceva capolino. Le labbra serrate erano rigide e increspate, nemmeno un canino spuntava da quella smorfia. Sembrava che tutta la concentrazione della riccia fosse posta in quel gesto, totalmente innaturale agli occhi del blu.
< Oh nulla di importante tesoro, stai tranquillo. Piuttosto vediamo di mangiare, scommetto che state morendo di fame > replicò con dolcezza baciando la testina del suo figlioletto posta a livello delle sue labbra.
Ormai era perennemente in braccio all’ignaro padre, ogni volta che si assentava per cinque minuti, poteva star certa di trovare il piccino tra le braccia dell’adulto.
Sonic, nonostante stesse morendo dalla curiosità, non approfondì il discorso sicuro che, se la cosa fosse stata importante, la rosa avrebbe sputato il rospo entro sera.

Spazio autrice:
Ciao! Spero che questo capitolo di passaggio vi sia piaciuto. Come sempre, errori, consigli, critiche, pensieri ed opinioni sono sempre graditissimi.  Soprattutto le correzioni! Fatemele notare per favore. Nonostante l'abbia riletto più volte di sicuro qualcuno è sfuggito!
Ciao e baci!

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Capitolo 27
*** Serate divertenti ***


Fu verso le cinque che la riccia iniziò ad assumere un comportamento strano. Per tutto il pomeriggio i tre ricci erano stati assieme nell’ampio giardino, godendosi il solleone e la leggera brezza. Il prato, arredato con panche, tavolino e quant’altro, invitava a rilassarsi e riposare. Seduti sotto il fiorente melograno, i due adulti avevano chiacchierato del più e del meno controllando a vista Justin, il quale era saltato nella piscina e con l’aiuto dei braccioli sguazzava felicemente come una rana.
Amy gongolava di gioia nel vedere il suo tesoro sbracciarsi nell’acqua totalmente privo dell’idrofobia. Con goffe manate e qualche calcio, si spostava per tutta l’area della piscina alzando schizzi e gocce. Per fortuna, quel terrore acquatico non era stato tramandato. Gli argomenti affrontati dai due ragazzi, seduti a bordo piscina, erano stati particolarmente leggeri: qualche pettegolezzo, qualche commento, una lista dei lavori da fare al giardino, alcuni vecchi ricordi di scuola. Entrambi erano stati attentissimi a non introdurre discorsi delicati, soprattutto con Justin lì con loro impaziente di ascoltare i “segreti degli adulti”.
Ma più l’ora di cena si avvicinava, più la rosa diveniva tesa e nervosa. Sonic si era accorto fin da subito che qualcosa non andava. La riccia aveva assunto uno sguardo pre-apocalittico ed aveva iniziato ad attorcigliare come un polpo il lungo aculeo attorno all’indice. Ad un’occhiata più approfondita le sembrava perfino più chiara in quel  momento, come se il sangue le fosse sceso completamente dalla faccia radunandosi nella parte bassa del corpo. Inoltre, era diventata sempre più silenziosa, intenta a mangiucchiare una pellicina sopra il pollice. Lo sguardo carico d’ansia tradiva i suoi movimenti sempre aggraziati e delicati.
Qualcosa di grosso incupiva la rosa o almeno di questo Sonic ne era certo. Dentro di sé sentiva aumentare la preoccupazione di minuto in minuto. Era chiaro come il sole che la colpa di quel cambiamento fosse da ricercare nella misteriosa telefonata. Ma chiederle informazioni aggiuntive senza sembrare sfacciato o ficcanaso era tutt’altra questione. Cercando di incoraggiarla a parlare, il blu provò a zittirsi per qualche minuto sperando che, il silenzio formatosi, divenisse un momento di imbarazzo da riempire con una confessione. Il sole, ancora abbastanza alto, iniziava a scaldare un pelino meno rispetto prima, rendendo fin da subito l’aria più respirabile.
La riccia era tormentata dalla preoccupazione: al solo pensiero di dover uscire con Jacob si sarebbe volentieri seppellita sotto chili e chili di sabbia. In più, l’ansia di annunciare il suo appuntamento ai ricci la rendeva nervosissima e tesa  come una corda di violino. Ma non poteva più posticipare, doveva avvisare figlioletto e “IL” baby sitter. La gola secca non l’aiutava ad esprimersi e nemmeno l’espressione rilassata di Sonic, seduto pacificamente accanto a lei. Il riccio, intento ad assorbire  i raggi di sole con gli occhi semichiusi, fingeva di essere assorto nei suoi pensieri, gli aculei mossi dal vento sembravano onde di mare salate.
Non sapendo come affrontare il discorso, Amy provò a formulare varie dinamiche per aprire il dialogo. Avvertirlo genericamente che quella sera sarebbe uscita con qualcuno? Raccontargli in modo dettagliato l’insidiosa telefonata? Comunque, in qualsiasi modo lo avesse detto, il succo non sarebbe cambiato. Perciò, per introdurre l’argomento, dopo minuti che parvero ore, puntò sulla semplicità in una corsa contro il tempo.
Controllando che il piccolo fosse abbastanza lontano da non poterla sentire, la riccia si voltò nella direzione del blu e sospirò pesantemente per attirare la sua attenzione. Come previsto, Sonic si voltò quasi subito ed osservandola la soppesò con un’occhiata, spostando cautamente il peso da un braccio all’altro. Era il momento della famigerata confessione, non sarebbe durato un secondo di più nel fingere disinteresse.
Sforzandosi di rimanere buono e tranquillo invece di tartassarla di domande, il ragazzo puntò gli occhi su di lei raccogliendo perfino i dettagli inutili. Non gli sfuggì la goccia d’acqua atterrata tra gli aculei confetto, il filo sfuggito alla trama della t-shirt a livello delle costole e nemmeno il labbro inferiore torturato dai denti. La rosa intercettò il suo sguardo, accorgendosi che le iridi verdissime e luminose la stavano già analizzando a fondo in cerca di una risposta nascosta tra i suoi gesti.
Con un profondo sospiro e dilaniata dai sensi di colpa, immergendosi ancor di più in quella morsa color erba, si decise a parlare.
< Sonic, stasera vado fuori a cena >.  Il diretto interessato sollevò le sopracciglia sorpreso non staccando lo sguardo da lei. Le labbra bloccate tra i denti e gli occhi carichi di ansia lo stupivano moltissimo, non capiva perché provasse così tanta preoccupazione per una semplice uscita con le amiche. Sbattendo le palpebre, spostò lo sguardo sul piccino color cobalto, intento a salvare una coccinella caduta sfortunatamente nell’acqua.
< Va bene, Justin viene con te? > Rispose con tranquillità per nulla turbato da quell’evento. Anzi, era felice che la rosa riacquistasse un po’ della libertà persa incontrandosi con le sue amiche.
< No, se non è un problema preferisco che lui resti con te. Sempre che tu voglia chiaramente > esclamò la ragazza tentando di sfuggire al punto del discorso e passare direttamente alla fase successiva. Il blu scosse la testa e si grattò il collo appena punto da una zanzara. Senza tante osservazioni, arrivò subito alla conclusione che la riccia fosse impaurita all’idea di lasciare Justin nelle sue mani.
< Affatto! Anzi! Sono felice di passare del tempo con lui! Ci siete tutte o manca qualcuna? >  si informò premuroso con un sorriso sincero, già pregustava la serata a base di chili dog e giochi fatti con il piccolo. Quella domanda fece rabbrividire Amy che raccolse qualche secondo per formulare una frase.  Avvicinandosi ancor di più al riccio, si spostò gli aculei dagli occhi e, odiandosi fino al midollo, svelò l’ultima parte di quel discorso. 
< A dir la verità non esco con loro. Esco con Jacob > sillabò asciutta fissando un punto indefinito tra la coscia del blu e la sua. La riccia socchiuse gli occhi per  non vedere l’espressione del riccio, il quale, a sentire quelle parole, era sobbalzato sul posto come se avesse ricevuto una scarica elettrica.  Quelle parole aprirono una voragine all’interno del riccio, voragine in cui cadde senza tanti preamboli arrivando al centro del suo cuore. In quel momento, il ragazzo rappresentava al meglio il concetto di “colpito e affondato”.
I suoi sogni vennero bruciati come tanti pezzettini di carta mentre sudore freddo gli incollò la maglietta alla schiena e gli aculei iniziarono stranamente a pesargli. Lei e un lui, un lui e lei. Assieme. Amy sarebbe uscita con “un lui”. E quel “lui” era proprio Jacob. Semplicemente terribile. Perché Jacob? Perché tra tutti proprio quel ballerino da strapazzo? Un’idea terribile zigzagzò nel il suo cervello affollatissimo di ipotesi e sentimenti.
Trattenendo il respiro, Amy si morse il labbro inferiore, preoccupatissima per la reazione che il ragazzo avrebbe manifestato a breve. Una vena sul collo iniziò a pulsargli al ritmo del battito cardiaco, indicandole che a secondi sarebbe scoppiato come un palloncino. La mascella del riccio si serrò, dettaglio che la riccia captò al volo, notando chiaramente l’ovvio cambio d’umore. Perfino i suoi aculei sembravano gonfiarsi dal nervoso.
 < Sei impazzita? Lui? Amy! Spero che tu non abbia la malsana idea di affibbiargli il titolo di padre adottivo! > sbottò innervosito tentando di contenere il tono di voce per non farsi sentire dal bambino. La rabbia ma, soprattutto, l’invidia che provava in quel momento bastava a renderlo isterico. Non riusciva a tollerare che la rosa uscisse con un simile personaggio, soprattutto ora che si era accaparrato il primo posto nella lista delle persone odiate.
La ragazza, stupita da quella frase tanto sfrontata, si voltò e lo fisso freddamente negli occhi
< di certo non sono problemi tuoi. E poi, solo perché ti sta antipatico, non è detto che sia una brutta persona > rispose a tono rivolta più a se stessa che al riccio seduto accanto a lei. Orgogliosamente, Sonic incassò la frase e si zittì, controllando nuovamente Justin, impegnato in una missione di salvataggio di insetti e quant’altro.
< Bhe, non condivido la scelta del partner. Potevi scegliere meglio > rispose pungente mostrandosi scocciato. Quello che sentiva dentro di se era un fastidioso nodo a livello dello stomaco, nodo che gli impediva di deglutire normalmente e di rilassare le spalle, contratte da decine di minuti ormai. Più pensava a loro due assieme, più si sentiva sopraffare dall’angoscia. Sapeva che prima o poi la riccia avrebbe dovuto/voluto trovarsi un altro.
Ma non era esattamente questa la piega che aveva pensato per lei, o meglio, per loro. Amy impiegò qualche secondo a rispondere, impegnata a studiare il broncio e l’espressione dura del bel porcospino seduto al suo fianco.
< E’ una semplice uscita senza doppi fini > concluse ammorbidendosi un po’ di fronte a quel viso corrucciato e a quello sguardo doppiamente offeso. Sonic non rispose facendole capire che non era affatto d’accordo con lei.
Amy, lanciando un’ultima occhiata al coinquilino, si allontanò richiamando dolcemente Justin, il quale aveva le labbra viola dal freddo ed era bagnato come un pulcino. Avvolgendogli un buffo asciugamano giallo, la madre lo portò in casa e lo asciugò con cura per evitare qualsiasi insidioso colpo d’aria. Battendo i denti, il piccino abbracciò la madre in cerca di un po’ di calore. Dopo aver passato metà pomeriggio al salvataggio di una lucertola, tre chiocciole e un numero infinito di coccinelle e api, il riccetto si sentiva veramente a k.o. Iniziando a passargli un aculeo alla volta con l’asciugamano, decise di avvisare il figlioletto dell’imminente serata, così da avere tutto il tempo per tranquillizzarlo e rassicurarlo,
< Justin? Devo dirti una cosa > iniziò la rosa asciugando la chioma del piccino, grondante di acqua. Il piccolo, preoccupato dal tono di voce della ragazza, si voltò con espressione ansiosa. Qualsiasi cose volesse dirgli, sperava tanto che non centrasse Jason.
< Stasera vado a cena con un … amico. Perciò tu resterai a casa con Sonic e mangerai assieme a lui, d’accordo? > esclamò dolcemente, inginocchiandosi di fronte al piccolo per guardarlo dritto negli occhi. Le iridi color menta piperita per un attimo si oscurarono di preoccupazione.
< Chi è il tuo amico? E’ un amico di Sonic? Lui lo conosce? > balbettò a raffica il bambino, terrorizzato dal fatto che potesse essere tutt’altro che un amico. La voce acuta e cristallina, innocente come un pesce rosso, stringeva ancor di più il cuore della riccia, la quale si ritrovava a domare i sensi di colpa sempre più forti.  Allungando le braccine, Justin si incollò al collo della madre con un piccolo saltello, la quale, caricandoselo tra le braccia con affetto, se lo portò in cucina. Stringendolo al petto con dolcezza, lo riempì di baci sulla fronte
< oh sì, si conoscono bene, ti ricordi il dingo che ci ha parlato questa mattina? Color arancione? E’ lui. E comunque non devi preoccuparti per me tesoro. Semmai preoccupati di quello che mangerai stasera, vi faccio i chili dog perciò attento a non esagerare > lo rimbeccò con affetto lei, adagiandolo sulla tavola della cucina. Justin rifletté qualche attimo prima di rispondere. Dondolando le gambine nel vuoto, assunse un’espressione contrariata.
Perché lui non era ammesso a quella uscita? La mamma era sua  e per questo sentiva di avere il pieno diritto di partecipare a quelle uscite. Guardando la madre che preparava la cena con cura meticolosa, iniziò a mangiucchiare una pellicina sul pollice
< non mi va tanto. Per quanto starai via? > continuò nervoso saltando giù dalla tavola con un agile balzo.
< Starò via poco, te lo prometto. Tu fai il bravo e fa’ quello che ti dice Sonic, ok? > continuò un tantino agitata la riccia. Era raro che il piccino fosse così contrario, forse non voleva stare con l’adulto? Justin con un sospiro annuì leggermente e intristito, appoggiò la fronte sulla gamba della madre in cerca di conforto. Abbandonando la preparazione sul ripiano della cucina, con il cuore gonfio di dispiacere per le parole del piccolo, la rosa si inginocchiò e lo sommerse di baci. I capelli del riccetto le finirono in bocca mentre sulle piccole labbra si disegnava un piccolo e delizioso broncio.
Amy con parole dolci lo tranquillizzò assicurandogli che sarebbe stata di ritorno entro mezzanotte e che no, non sarebbe più uscita senza di lui. Faccia a faccia con la madre, Justin sorrise a quelle parole e con le piccole manine catturò un aculeo rosa confetto, arrotolandolo più e più volte tra le dita. Le promesse della mamma erano sempre mantenute, sapeva perciò con certezza che quella sarebbe stata la prima e ultima volta di un’uscita senza di lui.
Per Amy, la poca voglia di uscire, sommata alle parole del suo bambino e alla reazione di Sonic, facevano diminuire ancor di più la forza per affrontare il famigerato appuntamento. Sapeva bene che stava per sprecare una serata, ma sapeva anche che rimandare l’uscita non avrebbe risolto il problema. Anzi, a dirla tutta, rimandare equivaleva a peggiorare la situazione.
Jason avrebbe iniziato a tartassarla notte e giorno per quell’uscita, rovinandole l’intera giornata. Sostituita dal riccio adulto in cucina, ebbe tutto il tempo di prepararsi e sistemarsi al meglio.
I capelli ordinatamente pettinati, il vestito semplicissimo nero e il trucco leggero, davanti allo specchio la facevano sembrare quasi un’altra persona. Contemplando per qualche minuto la sua immagine riflessa, sovrappensiero si spruzzò qualche goccia di profumo prima di scendere cautamente dai ricci. Avrebbe voluto con tutta se stessa evitare quella parte,  era terribilmente imbarazzante per lei uscire mentre il suo piccolo e l’ignaro padre se ne stavano docilmente a casa. Con un sospiro e cercando di simulare al meglio la tranquillità, a passi piccoli e leggeri, si presentò sull’uscio della cucina con gli occhi bassi e le guancie bordò.
Se da una parte avrebbe voluto essere ammirata dai ricci, l’altra sua metà chiedeva con la stessa intensità di scivolare fuori di casa senza essere notata. Sonic e Justin, intenti a controllare la cottura dei loro panini preferiti, voltarono la testa quasi contemporaneamente al suono dei passi. Rimasero entrambi senza fiato dalla figura che si stagliava sulla porta.
< Wow > mormorò il piccino blu sgranando gli occhi verdissimi. Aveva sempre pensato che la sua mamma fosse la più bella tra tutte ed in quel momento la sua convinzione venne ancor di più confermata.
Sonic, inebetito, non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, le pupille ricadevano sempre su di lei qualsiasi movimento facesse: che fosse una scrollata di aculei imbarazzata o un passo malfermo su quei tacchi vertiginosi. Cosa avrebbe dato per essere al posto di Jason. La rosa si scostò il ciuffo dagli occhi nervosa e si avvicinò ai due, ignorando le profonde occhiate che stava ricevendo.
< Bhe, io sono pronta. Mi raccomando fate i bravi e … mangiate con moderazione! > esclamò nervosa piegandosi per baciare le guancie del piccino blu.
< E mi raccomando So, se ci fosse qualsiasi problema fammi uno squillo ed arriverò subito > mormorò con voce più bassa arrossendo dalle occhiate fameliche che le stava lanciando il ragazzo.
< Eh? Oh già > mormorò il blu con occhi persi, distraendosi per un attimo dalla visione celestiale che gli si parava davanti. Sentiva la pelle formicolargli per tutto il corpo, grattandosi il braccio nervoso non trovava nulla, nulla da replicare. O meglio, c’era qualcosa che voleva dirgli, ma non era ne il momento ne il luogo giusto.
< Bene. Mi raccomando, non fate disastri se riuscite. Torno presto. Ciao, ciao > concluse abbandonandoli con un sospiro nella grande cucina.
< Tu chiama! > Esclamò d’improvviso il blu correndo alla porta accorgendosi di aver dimenticato una cosa molto importante. La rosa si fermò a metà del vialetto e si voltò sbigottita, sulla sua faccia si poteva benissimo leggere lo stupore. Sonic cercò per un breve istante le parole adeguate,
< se … se facesse apprezzamenti ambigui o mettesse le mani dove non deve, se facesse battute strane, proposte indecenti o cose varie, ti prego di chiamarmi immediatamente. Ok? >  Buttò fuori tutto d’un fiato aggrappandosi allo stipite della porta con le gote arrossate.
Amy rimase interdetta e allibita, non tanto per le parole palesemente esagerate, ma dalla reale ansia che trapelava dai suoi luminosi occhi. Ansia che la lusingava come il migliore dei complimenti, dopotutto era preoccupato per lei! Quale onore! Le scappò un sorriso sincerissimo stavolta, che andò ad incorniciare la già meravigliosa presenza della ragazza.
< Va bene. Buona serata a voi > rispose emozionata, lanciandogli un bacio con le punta delle dita. L’appuntamento si dimostrò molto diverso da come se l’era immaginato: Jacob l’aveva portata in un delizioso localino in centro città dove venivano serviti svariati menù e il vino scorreva a fiumi.
Come aveva previsto, nemmeno lui gli aveva staccato gli occhi di dosso tanto in fretta, trascorrendo buona parte del viaggio in macchina ammirandola e tentando di dire una frase coincisa senza balbettare. La riccia si era comportata normalmente, non aveva provato particolare ansia per l’incontro. Il dingo arancione si dimostrò molto più gentile e simpatico di quello che le era sembrato a prima vista: l’intera serata era stata carica di risate.
Si erano raccontati le loro vite e avevano trovato perfino dei punti in comune, come la passione per la danza e quella per i fiori. Dopo svariati bicchieri, il dingo si era perfino sfogato raccontandole il perché di quella profonda rottura tra lui e il riccio blu, accusato di essere favorito e raccomandato da Dylan fin dai primi concorsi. La riccia, con una risata, aveva provato inutilmente a fargli cambiare idea e di convincerlo a riavvicinarsi, ma nulla da fare.
L’obiettivo principale di Jacob era uno e uno soltanto ormai: superare in bravura Sonic, a qualsiasi costo. Amy, di fronte a quell’energia e a quella determinazione, aveva capito benissimo che restava ben poco da fare per tentare una qualsiasi specie di pacificazione. Perciò, evitò accuratamente di raccontargli che tipo di rapporto c’era tra lei e Sonic. Temeva, infatti, che il dingo avrebbe iniziato a tartassarla di domande particolari, volte a strappare informazioni utili sul blu. E poi, con tutto il vino che si era scolata, avrebbe faticato non poco a tenere la bocca chiusa su argomenti delicati.
 Conclusa la cena, avevano deciso di fare quattro passi al vicino parchetto. La riccia, aggrappata al recinto che delimitava il laghetto coperto da ninfee scure, vedeva le piante stranamente movimentate e le stradicciole avevano iniziato ad essere terribilmente traballanti. Conosceva bene quella vecchissima sensazione, indice di aver alzato, decisamente troppo, il gomito.
E oltretutto cominciava a farsi tardi, il mattino seguente il piccino era completamente suo e Justin non era il tipo da starsene buono e tranquillo sul divano a disegnare.
< Tutto sommato ci siamo divertiti eh Amy? > ridacchiò il dingo avvolgendole le spalle con un braccio. Attirandola a se, le schioccò un bacio sulla guancia cogliendola completamente di sorpresa. < Oh, già. S- sicuramente abbiamo esagerato con il vino > declamò perdendo l’equilibrio per la quarta volta. Il ragazzo l’aiutò a riprendersi con una risata, aiutandola a salire sulla macchina.
< Bhe, se ti sei divertita potremo uscire ancora. Magari poi, potresti fermarti a casa mia > ridacchiò con malizia facendo scivolare, come se nulla fosse, la mano dal cambio alla sua coscia. La riccia, sorpresa da quel gesto inaspettato, cercò di concentrarsi per tentare di capire se fosse serio o meno. E osservata la mano che le accarezzava la gamba in modo decisamente poco amichevole, ricambiò lo sguardo cercando la serietà che l’alcool le toglieva.
< Tu lo sai che ho un figlio vero? > Gli domandò a bruciapelo osservandolo con un sorriso di scherno. Se pensava che bastasse portarla fuori a cena per meritare le sue grazie, bhe, si sbagliava in pieno. Il ragazzo annuì e ricambiò il sorriso,
< si, lo so. Ma qui non c’è ora > esclamò con un occhiolino giocoso. La rosa scosse la testa e guardò fuori dal finestrino iniziando a sentire la testa sempre più pesante.
< Justin necessita di un padre Jacob > mormorò con un sospiro, iniziando a riconoscere la familiarissima via in cui abitava. La presa sulla sua gamba si fece d’un tratto più forte e la riccia si voltò nella sua direzione per capire cosa volesse comunicargli.
La macchina si fermò di colpo di fronte al cancello di ferro battuto, le luci all’interno erano completamente spente, a parte per una piccola lucina accesa in cucina, sicuramente tenuta accesa per lei.
Si sentì subito confortata alla vista dell’adorata dimora, di un solo passo distavano i suoi due amori, tra poco avrebbe potuto finalmente salutarli. Jacob approfittò di quel momento per avvicinarsi ancor di più alla riccia, costringendola a spalmarsi sulla portiera per distanziarsi il più possibile da lui. < Nulla ti impedisce di divertirti mentre ne sei alla ricerca > le rispose con un sorriso malizioso sollevandole leggermente la gonna del vestito.
Con quella frase ebbe la totale conferma di quello che stava cercando il ragazzo. Non le dispiaceva poi così tanto, lo conosceva appena, di sicuro quella situazione non le avrebbe tolto il sonno, ma le aveva dato tanto materiale su cui riflettere. Stomacata da quella risposta, dal tempo perso e dal vino, aprì la portiera della macchina di scatto, scivolando all’esterno della vettura con passo malfermo.
< Ciao > esclamò fredda, allontanandosi una volta riacquistato il precario equilibrio.
< Aspetta! Dov..> Amy sbatté con energia la portiera della macchina mozzando di netto la frase del ragazzo. Facendo un rapido dietrofront, camminando il più velocemente possibile, entrò dal cancello senza voltarsi per nessun motivo. Il buio più tetro oscurava il vialetto e il giardino, oscurità che nascondeva qualsiasi ostacolo e la riccia, che in quelle condizioni anche un misero filo d’erba costituiva un pericolo per lei , inciampò più di una volta prima di raggiungere l’entrata sana e salva.
Oltrepassata la benedetta soglia con qualche difficoltà, chiuse la porta e si appoggiò ad essa recuperando un minimo di lucidità. Si sentiva la testa pesante e vuota, il pavimento e i muri erano piuttosto spessi rispetto alla realtà e il suo fiato era talmente regolare da stupirla. Guardandosi attorno intontita, cercò con lo sguardo i due blu credendo di vederli sul divano. Ma nella seduta stropicciata mancavano entrambi, la coperta mal arrotolata aveva ingannato la sua, già ingannata, visuale.
Abbandonando le scarpe e la borsa sul pavimento, a piedi nudi e agganciandosi al corrimano per contrastare le vertigini, salì le scale dirigendosi verso la camera dell’adulto. Necessitava di vederli, dopo le lunghe ore passate lontane dal suo piccolo si sentiva in colpissima. E dire che gli aveva promesso di tornare presto.
Aprendo la porta della camera con più delicatezza possibile, delicatezza paragonabile a quella di un elefante, trovò i suoi preziosi ricci sul grande letto. Sonic, tra le braccia, stringeva Justin più sereno che mai. I visi rilassati e gli occhi immobili sotto le palpebre le facevano capire che i due dormivano già da diverse ore. 
I respiri, con due ritmi diversi ma regolari, indicavano anche che si trovavano in un sonno profondo, torpore da cui non sarebbero usciti tanto presto. Poteva perciò fare anche un po’ di rumore, non avrebbe svegliato nessuno. Avvicinandosi traballando al materasso occupato, si fermò e li guardò a lungo: il viso dell’uno era così simile all’altro da stupirla ancora. La stessa luminosa sfumatura di blu, il musino color pesca di entrambi, il naso allungato: come non si fosse accorto che Justin fosse imparentato con lui era ancora un mistero per lei: era così ovvio!
Accarezzando con mano pesante gli aculei di entrambi, sentì il cuore riempirsi di gioia, sentimento che scacciò la rabbia provocata dalle parole di Jacob qualche minuto prima. Non ci pensò due volte prima di montare malamente sul letto con loro.

Spazio autrice:
Buonasera lettori, come avrete notato, questo capitolo è più lungo rispetto agli altri ma non volevo togliere spazio a questi eventi, ecco perchè ho deciso di tenerlo così com'è. Finalmente con questo capitolo inizio a vedere una fine. Probabilmente, da questo capitolo in poi, gli aggiornamenti saranno più frequenti. Vorrei postare almeno due volte al mese ma non so ancora se riuscirò. Come sempre se ci dovessero essere errori segnalateli per favore o se magari avete consigli da darmi per migliorare nello stile ve ne sarei davvero grata
Concludo: il capitolo 4 è stato inserito.
Baci.

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Capitolo 28
*** Piccoli passi ***


Sonic aprì gli occhi,ridestandosi dal sonno, principalmente per un motivo: il peso che sentiva sullo stomaco lo stava portando al vomito. Credendo di dover spostare il riccetto blu per poter respirare correttamente e, soprattutto, per poter digerire i 5 panini che si era ingollato, si costrinse a svegliarsi completamente.
In un primo momento, il sonno e il buio azzerarono la sua vista, rendendolo cieco come una talpa. Dovette perciò stropicciarsi un occhio e riprovare gradualmente ad afferrare un minimo di veduta. Ma i suoi occhi stavolta catturarono qualcos’altro. Sopra al letto, una figura chiara si stagliò contro il nero della notte rendendosi visibilissima.
Credendo ancora di dormire non ci fece molto caso, ma quando per la terza volta notò la massa sovrastante iniziò a a dubitare di essere ancora addormentato. Sbattendo le palpebre incredulo e in allerta, impiegò pochi secondi a  capire: fortunatamente non era altro che Amy. La riccia si trovava a gattoni sulle coperte, intenta a coccolare, in modo un pelino rude, la testa del figlioletto adagiata al cuscino. Ecco cosa bloccava la sua sacrosanta digestione: il suo ginocchio, posto a livello dello stomaco, lo stava spremendo come un limone.  Il sangue gli ribollì nelle vene salendogli direttamente al cervello: la riccia spettinata, senza scarpe e priva di freni inibitori era praticamente sopra di loro, con il vestito pericolosamente accartocciato appena sotto il fondoschiena. Imbarazzato da quella visuale da brivido impiegò pochi secondi a svegliarsi completamente. Tirandosi a sedere con il cuore in gola, si appoggiò alla testiera del letto per allontanarsi il più possibile da lei, così strana e misteriosa in quel momento.
< Sei tornata finalmente! Ma che ore sono? > borbottò con voce impastata di sonno guardando inutilmente il comodino in cerca di un orologio.  La riccia si bloccò appena sentì la voce melodiosa del riccio. Anche da assonnata risultava irresistibile alle sue orecchie. I lunghi aculei del ragazzo erano spettinati e sparsi per l’intero cuscino e gli occhi verdissimi nascondevano ogni traccia di stanchezza. Stava quasi per parlare quando un singhiozzo la scosse facendole perdere il poco equilibrio, mancò poco a rovesciarsi sul piccino profondamente addormentato sotto le coperte.
Il blu rimase di sasso nel vedere in che condizioni riversava la riccia, capì solo in quel momento che era in preda ad un’ubriacatura colossale. Le guancie arrossate, gli occhi lucidi e l’odore del vino lo colpirono come uno schiaffo. Tra tutti i possibili scenari mai, mai avrebbe pensato che la riccia tornasse a casa in quelle condizioni. Quel cretino di un dingo! Se solo avesse pensato alle conseguenze prima di versarle da bere a rotta di collo.
< Amy? Stai bene? > domandò preoccupato osservandola con tripla attenzione. Non se la sentiva di avvicinarsi troppo, gli occhi da strafatta e i modi rudi gli indicavano la totale mancanza di autocontrollo, lo stesso che lui stava esercitando alla perfezione.
Un sorriso inebetito le comparve tra le labbra sbavate di rossetto, ghigno che mantenne quando iniziò a gattonare pigramente verso di lui, completamente priva di grazia e leggerezza. Senza rendersene conto, la sua pelle si trasformò in un campo minato a causa della pelle d’oca che si sollevò nel giro di un secondo. Molte domande vorticavano nella sua testa, la principale però era una soltanto: com’era andato quell’appuntamento? Cosa avevano fatto? E soprattutto: si sarebbero visti ancora? Amy in quel momento non era in sé, si sentiva leggera come una piuma e soprattutto aveva la testa deliziosamente vuota. Il suo cervello non si impegnava a controllare la sua voce e i suoi gesti, dando ampio spazio ai suoi pensieri, liberi come l’aria ed ingarbugliati come un piatto di spaghetti. Un singhiozzo più forte del primo la obbligò a bloccarsi e trovandosi ad una distanza più che accettabile dal ragazzo, si decise a sedersi, seduta che coincideva esattamente allo stomaco del blu. Trovandosela così vicina, Sonic arrossì dall'imbarazzo come una fragola ben matura. I capelli rosa le scivolarono dalle spalle e si raccolsero sul suo petto, formando dei cerchi color confetto. Il profumo del vino gli penetrò le narici pungendogli i sensi ancora addormentati, intuì subito la quantità smoderata che si era tracannata. Tuttavia, sul suo viso si era dipinta un’espressione talmente, anzi forse eccessivamente, serena che quasi gli sembrò che stesse a meraviglia.
< Sì, tutto bene e voi? Justin ha fatto il bravo? > domandò con strana lucidità, trattenendo a stento un altro singhiozzo.
< S-sì. E tu sei ubriaca > balbettò allibito notando le guancie arrossate di lei. Una risata acuta sprigionò un’altra zaffata di alcool facendola barcolare, per non cadere appoggiò le mani sul petto del riccio utilizzandolo come sostegno,
< si! Era da così tanto che non lo facevo! Non ricordavo fosse così divertente! > esclamò onestissima sorridendo estasiata per quella sensazione di relax. Sonic, che non trovava affatto la cosa divertente, si limitò ad alzare le sopracciglia,
< spero almeno che tu non ci abbia fatto nulla assieme > sbuffò innervosito da tanta leggerezza.
La riccia, punta sul vivo, ritrasse velocemente le mani e si spostò disordinatamente gli aculei
< e a te cosa importa? E poi non dovresti parlare visto che tu te la fai con Irina > esclamò cambiando improvvisamente tono e umore.
Gli occhi lampeggiarono di rabbia lanciandogli quella frecciata inutile. Sonic, stupito da quell’accusa detta con tutto quell’animo e preoccupato che quello che temeva si fosse avverato, si sbrigò a difendersi.
< Io non me la faccio con Irina, e poi, dicendo questo, ammetti che c’è stato qualcosa con quel cotonato >  esclamò con attenzione, deciso a strappare più informazioni possibili alla ragazza. In quello stato, se fosse stato bravo, avrebbe potuto estrapolare qualsiasi avvenimento e qualsiasi possibile confessione.
La riccia, senza freni, fece una smorfia disgustata prima di singhiozzare nuovamente,
< no! Non c’è stato niente. Sei tu semmai quello che vuole riappacificare con lei perché “è  una brava ragazza”. Sei proprio cieco se vedi qualcosa di positivo in lei. Oh, bhe certo, tette a parte si intende > rispose con fervore, allargando le spalle e scimmiottando la frase di Sonic detta quel pomeriggio.
Si sentiva presa in giro da quelle iridi verdi e, soprattutto, una scarica di gelosia, mixata ad un bicchiere di troppo, le stava facendo espellere ogni pensiero ed emozione.
La debole risata che ottenne come risposta dal ragazzo la fece sorridere lievemente. Sonic si era portato una mano alle tempie in cerca della concentrazione necessaria per non scoppiare a ridere e svegliare così il piccino indifeso accanto a lui.
 < Non ho intenzione di tornare con lei. Era una battuta quella di oggi. E tu sei la solita ubriachella, credulona, diffidente > sbottò con un sorriso di scherno fissando la sbavatura di rossetto verso destra. La rosa sembrò acquistare lucidità a quella frase e avvicinatasi ancor di più al blu, lo fissò con un mezzo sorriso.
< Davvero? Perciò non tornerai con lei? > incalzò interessatissima a quell’aspetto con tono di sfida. Sonic arrossì ancor più di prima ed indietreggiò nuovamente cercando di prendere spazio a sufficienza. Erano decisamente troppo vicini, poteva sentire il fiato caldo di lei scavargli la pelle. Sensazione che adorava e che lo metteva in difficoltà contemporaneamente, come comportarsi con la riccia totalmente priva di regole sociali e di orgoglio? Gli occhi verde bosco iniziarono a fissarlo con attenzione, li vedeva quasi ardere, meravigliosi e brillanti come smeraldi. La vampata di calore che gli salì lungo la schiena servì ad agitarlo ancor di più,
< no! Certo che no! Ho altri progetti e poi … >  si zittì quando la rosa accarezzò con le punta delle dita le sue labbra e l’anellino su di esse, priva di imbarazzo e sciolta come non lo era mai. Il cuore di Sonic rallentò fino quasi a fermarsi, bloccato come una statua di sale non osava muoversi per paura di infastidirla o sembrare maleducato o peggiorare la situazione. Se ne restò immobile con il fiato bloccato a metà gola e il respiro lentissimo. Spostandosi ancor di più, la riccia fece scivolare una mano sul collo del riccio accarezzando con dolcezza il piccolo tatuaggio impresso.
< Finalmente una buona notizia > mormorò lei leziosa con un sorriso poco rassicurante.
La ciocca di capelli frontale sfiorò la fronte del riccio, impanicato dai movimenti sensuali di lei e dalle parole che aveva appena pronunciato. Stava praticamente ammettendo di interessargli e la novità, o meglio, la tangibile speranza che gli stava dando, lo lasciava completamente esterrefatto.
< C-cosa stai insinuando? > balbettò raccogliendo un’ ultima oncia di coraggio dal proprio cuore, intento a strapparle una conferma reale e palese. Gli occhi di lei sorrisero e si socchiusero soddisfatti, mentre dalle labbra macchiate di lampone si affacciarono i denti bianchissimi. Il riccio si sentì sopraffare dal panico a quella vista. Un’acuta e soffocata risata fu l’ultima cosa che raggiunse i suoi timpani prima che le mani della riccia avvolsero con estrema leggerezza il suo mento e le sue belle labbra si congiunsero con le sue.
Respirarono all’unisono al momento del contatto, respiro che ampliò ancor di più la sensibilità e aumentò la percezione di entrambi. Gli occhi serrati dei due lasciavano piena libertà di immaginazione alle loro menti, legate tra di loro attraverso i piccoli segnali che pelle e olfatto raccoglievano attraverso quel contatto. Seppur delicato e della durata di un paio di secondi, per Sonic fu intensissimo. Fuoco liquido, la bocca della rosa era talmente bollente da fargli temere di essersi ustionato. E le sue mani, decise e delicate, gli erano sembrate una leggera sciarpina di seta stretta sul suo collo. La ragazza si staccò da lui soddisfatta e sorridente, nonostante la totale mancanza di lucidità, nei suoi occhi il riccio vi lesse la gioia.
Con un’altra risata argentina, la rosa si sdraiò sul suo petto come se nulla fosse successo e dopo aver baciato un’ultima volta il figlioletto, chiuse gli occhi sprofondando nel sonno col sorriso sulle labbra.
Sonic, impietrito dall’intera dinamica che si era svolta, aveva il cuore a mille.
Le mani stavano tremando come foglie di pioppo accarezzate dal vento e il fiato se lo sentiva sempre più corto. Il buio che aleggiava attorno a lui nascondeva il suo volto paonazzo. Era veramente accaduto. Non era stato un sogno. Lei lo aveva baciato, semplice.
Il suo cervello, più confuso di un magazzino, era vuoto come una noce di cocco. E quella meravigliosa sensazione di leggerezza, che trasformava il mondo in un arcobaleno fiorito, era aumentata dal dolce peso di madre e figlio, avvinghiati a lui come polpi.
Con il cuore in tumulto e un sacco di interrogativi per la testa, riuscì ad addormentarsi solamente verso mattina, quando ormai il cielo iniziava ad albeggiare.
Il giorno dopo, il letto di Sonic forniva, a chi fosse entrato, una visuale da Mulino Bianco. Il riccio blu, beatamente addormentato, era sormontato in primo piano dal cucciolo, blu a sua volta, ronfante e spaparanzato su di lui. In secondo piano, la ragazza rosa confetto era stretta al braccio dell’adulto mentre, con la mano libera, stringeva a se il figlioletto. La luce splendente e caldissima che entrava dalla finestra faceva risplendere ancor di più le chiome colorate dei ricci.
Quella quiete paradisiaca venne rovinata dal suono della sveglia, che, come ogni mattina, dava il via alla giornata. Un sospiro di rassegnazione si sollevò dai ricci adulti, consapevoli entrambi che la giornata davanti a se era molto lunga prima di poter dormire di nuovo. Per Justin fu il contrario, odiava sprecare tempo per dormire o riposare, ed ora che il sole era sorto, finalmente poteva alzarsi, mangiare e giocare.
< Mamma! Andiamo, è mattina! > esclamò il piccino scuotendo il braccio della rosa come un milk-shake. La voce supplicante e la scrollata inflittale bastò appena per riportarla nel mondo reale.
Ed ancor prima di aprire gli occhi, una dolorosissima fitta alla testa le fece serrare gli occhi. La gola riarsa chiedeva litri e litri di acqua e la lingua asciuttissima era addirittura rangrinzita tanta era la sete. Sonic, svegliato dal gran baccano, era completamente intontito dalla notte passata in bianco. Le urla e le esclamazioni acutissime di Justin lo stavano portando all’esasperazione,
< Sonic! Forza svegliati! E’ mattina! Andiamo a mangiare! > gridò il piccino piazzandosi davanti alla sua faccia e iniziando a strusciare la fronte sulla sua guancia.
< Justin … due minuti e scendiamo. Tu vai intanto > borbottò il blu più stanco del giorno precedente. La sua mente, annebbiata e assonnata, chiedeva solamente di poter dormire qualche minuto in più, almeno per recuperare un pelo di energia.
Il piccolo riccio sorrise famelico, inciampando e ruzzolando sul blu, balzò giù dal letto e corse in cucina creando una forte ondata d'aria. Vento che scompigliò ancor di più gli aculei dei ragazzi. Sonic invece, imprecando mentalmente per i calci inflitti dal bambino, sospirò stanchissimo, percepiva chiaramente tutte quelle ore di sonno mancate. I suoi occhi stavano per chiudersi di nuovo quando la testa rosa confetto della riccia si sollevò con difficoltà dal suo petto. La ragazza, che poche volte si era sentita così rincoglionita come in quel momento, impiegò qualche minuto per capire dove fosse. Gli occhi annebbiati dal mal di testa e dalla stanchezza le davano una visione poco nitida della stanza. Ma quando mise a fuoco le coppe luccicanti, le varie medaglie sparse praticamente ovunque, il gran macello sopra la scrivania e le scarpe da ginnastica spuntare da ogni angolo, non ebbe più dubbi. Cosa ci faceva lei lì?  E soprattutto, dov’era il proprietario della stanza se c’era lei tra quelle coperte? Massaggiandosi gli occhi stancamente, il suo primo pensiero fu rivolto al suo piccolo. Attorno a lei non c’era, le sembrava di averlo sentito qualche minuto fa ma non era poi tanto sicura.
< Ju-Justin? > Mormorò con voce roca, sollevando la testa il più possibile in cerca del piccino. Ma sotto le coperte azzurre non c’era traccia del figlioletto.
< E’ giù, è appena sceso > rispose una voce familiare alle sue spalle con incredibile calma e una buona dose di stanchezza. Il suo cuore balzellò e voltandosi stupita, si trovò il blu che la fissava con dolcezza. Gli occhi verdissimi, però, erano cerchiati di sonno, le occhiaie scure erano molto evidenti e attorno all’iride alcune venuzze rosse erano ben visibili. Il cuore iniziò a batterle all’impazzata quando realizzò la vicinanza a cui si trovavano. Praticamente accollata a lui, la riccia arrossì violentemente mentre la testa, martellata dall’emicrania e dalla sete, non riusciva nemmeno a formulare una frase con capo e coda.
Il ragazzo di fronte a lei, che come lucidità non era poi messo tanto meglio: era molto, molto indeciso sul da farsi. Il bacio di quella notte continuava a ripetersi e ripetersi dentro di se, la stessa immagine di lei che si avvicinava e si chinava su di lui, occupava completamente i suoi pensieri. Cosa doveva dire ora? Avrebbe dovuto farglielo notare? Avrebbe iniziato lei il discorso? Doveva far finta di nulla? Insomma, a chi toccava prendersi quella responsabilità? Non riuscendo a staccare gli occhi da quel viso stravolto, che avrebbe iniziato a baciare lo stesso nuovamente, si premurò di scostargli le ciocche di capelli dal viso per scoprire del tutto i danni dovuti all’alcool e al sonno. Le occhiaie violacee sopra gli zigomi sembrano macchie di vino scuro.
< Buongiorno > esclamò lui timoroso, accarezzando con leggerezza le punte degli aculei rosa arrotolati sul suo petto. Gli occhi della rosa sembrarono rilassarsi a quel saluto e Sonic sperò di vedere un sorriso schiudersi dalle labbra ancora arrossate. Ma non fu il sorriso che uscì quando aprì la bocca. < C-che ci faccio qui? >.

Spazio autrice:
Buonasera! Sono riuscita nel mio intento, ecco infatti il secondo capitolo del mese. Spero che vi piaccia nonostante le carie ai denti che provocherà. Concludo in fretta, consigli, critiche, errori etc. segnalateli per favore.
A presto.
Baci.
 

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Capitolo 29
*** Carte e problemi ***


Davanti ad un caffè ormai freddo e alla gatta viola, la riccia si stava letteralmente mangiando le mani dalla disperazione. Blaze, con in braccio la figlia minore, sbuffò incredula dopo aver ascoltato le parole della rosa. Non poteva credere a quello che le aveva detto. Era una situazione talmente assurda da sembrarle quasi irreale.
Aprendo la bottiglietta di succo alla piccina, accoccolata tra le sue braccia, la ragazza sospirò lanciando una veloce occhiata alla figlia maggiore, intenta a giocare con Justin sulle giostrine. I capelli viola, legati con la solita coda, le frusciarono sul collo infastidendola.
< Complimenti, hai fatto le cose veramente in grande stavolta.  Bhe, mai come Justin ovvio > mormorò  sottovoce la gatta con un sorriso malizioso. Il tentativo di stuzzicare la cugina andò a buon segno, d’altronde bastava nominare o anche solo accennare la paternità del blu e Amy ammattiva.
La riccia le lanciò un’occhiataccia esasperata per intimarla a tacere, orecchie indiscrete potevano essere ovunque. Blaze roteò gli occhi e continuò come se nulla fosse accaduto,
< hai già deciso cosa farai ora? > domandò subito dopo con tono di rimprovero e un’occhiata accigliata. Possibile che non riuscisse a coltivare relazioni come una persona normale?
< No! Non so nemmeno se lo ricorda! E poi non capisco come possa essere accaduto! > scattò la riccia con una smorfia, riassumendo in poche parole i suoi pensieri più impellenti. Aveva passato una mattinata nel caos più totale, accompagnata dal mal di testa e con la terribile sensazione di aver fatto una pazzia. Ricordava poco o quasi nulla della serata trascorsa e da quando si era svegliata non aveva pensato ad altro fino a quel momento.
Le ore trascorse a spremersi le meningi non avevano schiarito i ricordi della ragazza: tutto era ancora avvolto da una fitta nebbia.
Tutto o quasi, una cosa si era lentamente ripulita da quella densità: un bacio dato con incredibile desiderio. Incredula ed allibita dal suo comportamento, la ragazza si era sforzata inutilmente di ricordare qualcos’altro,anche solo un dettaglio di quella notte, ma nulla da fare. Nemmeno un profumo o una frase particolare, anzi, sembrava che più tentasse di riacquisire informazioni più la sua mente si confondesse.
 Justin, carico di energia per la bella serata che aveva trascorso, aveva iniziato a distruggere casa conclusa la colazione: tra salti, corse e capriole aveva praticamente messo a k.o. ogni singola stanza in cui era passato. Il salotto sembrava  fosse uscito da una guerra e la cucina sembrava investita da un tornado. Cuscini a terra, matite, vestiti, scarpe, giochi, caramelle, fogli, libri ed un brick di frutta: tutto ciò era stato regolarmente sparso a terra o sullo schienale del divano.
Ed inutili furono i tentativi della ragazza di gestirlo: la stanchezza e il mal di testa, dovuti alla sera prima, non la lasciavano in pace. Priva persino della forza necessaria per calmarlo ma, soprattutto, sentendosi ancora in colpa per averlo lasciato a casa la sera precedente, aveva deciso di portarlo al parco per fargli bruciare energie e per farsi perdonare. Entrata nel parchetto ricco di aiuole, dopo nemmeno cento metri, aveva incontrato la cugina, a spasso anch’essa con le due piccine per mano.
Era bastato uno sguardo per capire che entrambe necessitavano di impellenti quantità di caffeina. Ed in quel momento si trovavano faccia a faccia in uno dei tanti bar dotati di parco giochi, intente a raccontarsi gli ultimi succosi avvenimenti.
I piccoli, intenti a scendere e salire dagli scivoli, erano sorvegliati a vista dalle madri, felici di potersi rilassare un po’. L’ombra dei teloni parasole regalarono subito un po’ di refrigerio alle due ragazze che si sventolavano con degli improvvisati ventagli di carta.
 < Bhe, dubito che non si ricordi. Anzi probabilmente oggi ti chiamerà e vorrà parlarti. Comunque lo trovo parecchio strano > continuò la viola spiando di sottecchi il figlioletto di Amy. Il riccetto, intento ad arrampicarsi su una delle giostrine colorate, esibiva un meraviglioso sorriso giocoso, lo stesso sorriso che trovava spesso sulle labbra dell’ignaro padre. La somiglianza era veramente esagerata a volte.
< Trovi strano cosa? > chiese con interesse la riccia, sorseggiando un sorso di caffè. Le occhiaie nere sotto gli occhi indicavano che era veramente stanchissima e le iridi lucide la facevano sembrare malaticcia. Blaze si appuntò mentalmente di accompagnarla casa per scongiurare possibili mancamenti.
< Che tu l’abbia baciato. A quel che dicevi non ti interessava un granché > mormorò la cugina viola appoggiandosi al tavolo con i gomiti.
< Infatti! Sono sconvolta dal mio comportamento! Perché Jacob? Capisco di aver bevuto qualche bicchiere in più ma arrivare così a tanto? L’ho praticamente obbligato! E ora chi gli spiega che non sono minimamente interessata a lui? > rispose pensierosa concludendo la bevanda.
Amy non nutriva nessun particolare sentimento verso il ballerino arancione e non riusciva minimamente a ricordare cosa l’avesse portata a far ciò. Beyoncè scese dalle gambe della madre annoiata da tutte quelle chiacchiere e con degli allegri saltelli raggiunse la sorella e il riccetto blu scuotendo i lunghi capelli argentati.
< Oh bhe, basterà incolpare alcool e qualche improvvisa malattia, d’altronde hai l’aria di chi si sta per ammalare, sarà un’ottima scusa. E dimmi, con … Sonic? > continuò la ragazza  puntando le orecchie verso la sua direzione ed esibendo un altro sorriso carico di malizia. Ovviamente la gatta faceva il tifo per loro due, non vedeva l’ora che i due si riunissero per poter finalmente consolidare la famiglia che avevano involontariamente creato. Non si stupì nel vedere il sorriso carico di sentimenti che la ragazza schiuse.
E l’occhiata carica di amore che lanciò al figlioletto le fece capire che la riccia era persa ancor più di allora.
Ad  Amy bastò sentire il nome dell’adorato per rabbrividire e con qualche breve descrizione raccontò alla gatta il resoconto del loro riavvicinamento, di quello che lui gli aveva detto la sera precedente e del comportamento ammirevole che manifestava col il piccino.


< “Che ci faccio qui”? Ti ha chiesto veramente questo? > esclamò Silver con gli occhi caramello sgranati dallo stupore. Il racconto dettagliato che Sonic gli aveva fornito aveva della memorabilità. Secoli di attesa per incontrarsi di nuovo e dopo un bacio del genere un semplice “che ci faccio qui?”. Il riccio argentato si coprì la bocca per soffocare la risata che gli stava salendo su per la gola. Il viso pensieroso dell’amico indicava che lui non trovava la cosa divertente e che una risata era l’ultima cosa che si aspettava da lui.
< Si. Non hai idea di come mi sia sentito. Possibile che non me ne va mai bene una? > sbuffò nervoso con le mani che reggevano il mento. Appollaiati sul pavimento della palestra, in attesa dell’insegnante, i ballerini  si stavano scaldando. Chi con rapidi saltelli, chi con flessioni, chi con allungamenti. La palestra era tutt’altro che silenziosa, infatti, i due approfittarono di quel momento per confrontarsi su quella vicenda delicata.
< Uhmm … probabilmente la memoria le tornerà in fretta. Magari era ancora appannata dalla bevuta > rispose con un’innata sicurezza il bianco. Sonic sbuffò nervoso e iniziò un leggero riscaldamento alla gamba malata, Dylan era stato più che chiaro: se voleva ottenere di nuovo il posto doveva stracciare quel cretino arancio. E per farlo doveva mettersi dolorosamente in piedi.
< Oh Silver, dimmi che cosa dovrò fare nel caso lei non ricordasse nulla … dovrei dirglielo secondo te? > Il loro discorso fu bruscamente interrotto, neanche farlo apposta, dall’entrata nervosa ed improvvisa di Jacob. Presenza che attirò l’attenzione di quasi tutti visto l’umore nero che dimostrava. La camminata sprizzava intolleranza, ogni passo era calato in modo pesante, come chi si assicura che il ragno appena ucciso sia morto sul serio pestandolo una seconda volta.
Il ciuffo scomposto era inusuale per lui, considerando l’amore che provava per quella ciocca di capelli all’insù, e il viso tirato era un chiaro segnale di una notte passata in bianco.
Un sorriso di soddisfazione incorniciò le labbra del blu, il quale tentava in tutti i modi di mantenersi serio e indifferente. Seduto a terra, intento ad allungare al massimo l’arto inferiore, non riuscì a nascondere il sorriso entusiasta stampato in faccia. Gesto che Jacob colse al volo come un vero e proprio gesto di sfida, irrigidendosi e contraendo i pugni accanto ai fianchi. Gli occhi corallo lampeggiarono di rabbia e a grandi passi, si piazzò sulla nuova, famosa postazione con espressione contrita. Le gambe ben allargate e la schiena dritta come un fuso, davano l’impressione che il ragazzo fosse pronto a lottare con denti e unghie per difendere quel paio di metri quadrati.
Il blu, di fronte a quella manifestazione, mise da parte qualsiasi altro pensiero e cercò aiuto dal riccio argento, scattante come una molla. Offrendogli la mano come appoggio, Silver emise una risatina. L’amico, in quella disperata situazione, era veramente buffo da vedere: con quella gamba malconcia al momento avrebbe potuto fare ben poco per recuperare il suo posto, ma la convinzione e la tenacia con cui puntava al suo obiettivo erano quasi ammirevoli. 
< Trema arancino. Mi sto rialzando > borbottò di malumore Sonic spingendosi malamente in piedi. Non si sarebbe minimamente arreso di fronte al suo collega, soprattutto non quel giorno, carico com’era dopo la notte speciale che aveva passato.    
Era stato difficile trovare una scusa convincente che spiegasse come mai la ragazza si trovasse nella sua stanza, ma fu ancor più complicato comportarsi come se nulla fosse accaduto. Il ricordo vivissimo martellava ad intervalli regolari la sua testa, ormai ridotta ad un contenitore di baci, posti rubati e figlio non suo. Fortunatamente, Justin aveva riempito l’ora della colazione con il suo cicaleccio e la luuunga narrazione della serata trascorsa assieme. Narrazione che aveva ascoltato con immenso piacere: ad ogni sua esclamazione o ad un qualsiasi altro apprezzamento, Sonic aveva sentito il cuore gonfiarsi di gioia e soprattutto di orgoglio. Dio, quanto lo facevano star bene quei due! Se solo fosse durato per sempre. 
La mattina passò più velocemente del previsto occupato com’era nell’allenamento giornaliero. E quando, finalmente, Dylan diede l’ordine di tornare a casa, quasi si stupì. Non ebbe niente da obiettare però, la gamba iniziava a dargli fastidio e non vedeva l’ora di ricongiungersi con i suoi adorabili coinquilini. Chissà, forse Amy si era ricordata quel piccolo bacetto e magari avrebbe voluto dargliene anche un altro! Quell’ipotesi tanto desiderabile quanto stupida gli rubò un sorrisino divertito.
La lezione si era svolta pacificamente, mancava pochissimo al concorso e ormai la coreografia aveva preso la forma definitiva. I ballerini erano in estasi, e l’entusiasmo per quel fatidico giorno diventava via, via sempre più palpabile. Sonic per la prima volta, invece, si sentiva estraniato da quell’evento. Il fatto di non poter partecipare lo isolava dagli altri. Proprio lui che ad ogni gara o sfida era il primo a spronare l’intera squadra. Sicuramente avrebbe fatto il tifo per loro dagli spalti e gli avrebbe incoraggiati come sempre aveva fatto. D’altronde erano un gruppo meravigliosamente qualificato e selezionato! Avevano buonissime speranze di vincere uno dei primi tre posti!
Una volta cambiato, il blu non spese molto tempo con gli altri ragazzi ma uscì desideroso di tornare a casa. Con il borsone nero agganciato ad una spalla, dopo aver salutato Dylan ed essersi informato delle condizioni di Ginevra,  il riccio blu se ne tornò a casa.  Camminando lentamente un po’ per la stanchezza un po’ per la rigidità, il tragitto di cinque minuti si allungò a dieci. Era una meravigliosa giornata di sole, calda ed immobile, le strade deserte rendevano il momento ancor più piacevole.
I lunghi aculei si mossero lievemente quando una brezza d’aria iniziò a soffiare, portandogli al naso un sentore di rose e cloro. Iniziò subito ad agitarsi, il pensiero di chi lo attendeva a casa lo rendeva nervosissimo. Amy avrebbe potuto ricordare quel che era accaduto quella notte e Sonic era veramente preoccupato per ciò. La situazione delicatissima in cui si trovavano non permetteva un riavvicinamento completo. Sistemandosi la t-shirt stropicciata, pregò che tutto andasse bene e che le cose si sistemassero da sole.  Altri due passi e la sua adorata dimora apparve timida all’angolo della strada assieme all’alto muro di mattoni rossi e alla cassetta della posta, carica di scartoffie e pubblicità. Puntando le orecchie verso lo spazio verde tentò di capire se gli ospiti si trovassero in giardino o meno. Arrivato davanti al cancello scrutò tra le sbarre in cerca di una piccola figura blu o di un qualche accenno di rosa.
Il prato e la piscina erano completamente vuoti, l’erba alta ondeggiava pigra e l’acqua era più immobile di uno specchio. Raccogliendo i chili di posta, oltrepassò il cancello in ferro e si addentrò nel giardino. Probabilmente il calore era veramente esagerato anche per un tuffo nell’ acqua ormai caldissima. Non ci fece caso e con una scrollata di spalle attraversò il vialetto ansioso e bussò alla porta. Non stava più nella pelle ormai, nutriva la speranza che tutto d’un tratto le cose si aggiustassero. Immaginava già: loro tre, come una normalissima famigliola felice, mettersi d’accorso su chi dovesse andare a prendere il piccolo a scuola.
Dopo qualche secondo però, quando nessuno aprì la porta, estrasse le chiavi perplesso e le girò nella toppa. Entrando nel salotto un pelino disordinato si guardò attorno incupito, erano quasi le due ma di loro nessuna traccia. Al loro posto vestiti, giochi, libri e un sacco di altre cose occupavano lo spazio. Non era da Amy lasciare tutto quel disordine. Dove erano andati a finire? Lanciando il borsone sul divano, entrò nella cucina, vuota anch’essa, e preoccupato, si sedette su una delle sedie. Controllando l’ora sull’orologio appeso alla parete, decise di aspettare qualche minuto prima di telefonare a Blaze. Non voleva mostrarsi troppo fissato, probabilmente sarebbero tornati a breve. Doveva essere così per forza.
Per sbollire lo stress ed ingannare il tempo iniziò distrattamente a leggicchiare la prima cosa che gli capitò a tiro: uno dei volantini del supermercato che aveva portato in casa con la posta. Tra zucchini in offerta e carta scottex a metà prezzo, la mente del riccio macinò le possibili reazioni che la riccia avrebbe potuto esternare. Girando velocemente le pagine, concluse il catalogo in fretta per iniziarne uno nuovo, meno corposo del primo, appartenente ad un supermercato fuori città. Con uno sbuffo innervosito appallottolò le tre paginette e le lanciò nel cesto portafrutta posizionato in mezzo alla tavola. La pallina dopo aver rimbalzato su una pesca, allegramente uscì dal contenitore andando a sommarsi a tutto il macello sparso per la casa. Stava quasi per raccogliere tutto il ciarpame sparso sul ripiano del tavolo, quando il suo occhio attentissimo venne catturato da una strana busta, situata sotto una bolletta da pagare e alcuni vecchi moduli di gara. A prima vista sembrava una busta normale, d’un bianco latte e senza una minima scritta. Sonic ipotizzò subito che contenesse qualche dedica da parte di uno dei tanti fan.
Era già capitato di trovare buste colorate e bigliettini di ogni tipo con frasi di ogni genere. Estraendola con attenzione dal pacchetto, notò che la busta conteneva molta carta e che un intero angolo era occupato da un sacco di francobolli sormontati tra loro. Roso dalla curiosità, raccolse un coltello dal cassetto adibito alle posate e con meticolosa attenzione aprì un lembo della posta che rovesciò il contenuto su tutto il tavolo. Erano tre fogli in tutto, classico degli inviti a gare o esibizioni di vario genere. Un sorrisino soddisfatto si dipinse sul muso color pesca, non era ancora guarito del tutto ma, di già, una nuova occasione per dimostrare la sua bravura bussava alla porta.
Con dita veloci spiegò il primo foglio e si buttò a capofitto in cerca dei regolamenti e, soprattutto, del primo premio che aspettava al vincitore. Già si immaginava i dolci complimenti e le sfavillanti congratulazioni da parte dei giudici e dagli altri insegnanti.  
Ma il sorriso giocoso sulle labbra del blu sparì dopo le prime tre righe, dense di parole quasi soffocanti. Si lasciò lentamente cadere sulla sedia man mano che avanzò con la lettura di quei fogli impegnativi. Il tonfo che provocò quando si sedette malamente, risuonò nelle stanze vuote provocandogli un leggero brivido. Con meno delicatezza spiegò i fogli rimasti e con preoccupazione sempre più crescente si mangiò la rimanenza di quel testo chilometrico. Lo stomaco si contorse al secondo foglio e i nervi, tesi come corde di violino, si irrigidirono così tanto da dolergli. Il fruscio delle carte copriva a colpi il battito accelerato del suo cuore, ben udibile per tutta la cucina.
Sonic lasciò cadere le carte davanti a se, che si sparpagliarono sul piano di legno a caso. Portandosi le mani agli occhi e coprendosi il viso li serrò più forte che potè sperando di potersi svegliare.

Spazio autrice: Come sospettavo, è quasi impossibile pubblicare più di una volta al mese. Spero che nonostante tutto vi piaccia.
Errori, consigli, critiche e company segnalateli per favore.
Baci.
 

 

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Capitolo 30
*** Un'ardua causa ***


La porta del salotto si aprì di colpo con violenza, sbattendo sulla parete intonacata di bianco. Dall’entrata un lampo blu fece la sua presenza seguito, qualche secondo dopo, dalla madre rosa con una borsa a tracolla agganciata alla spalla ed un piccolo sorrisino.
< Justin! Ti pare il modo di aprire le porte? > esclamò stizzita la riccia cercando di fare la voce dura di fronte a quel baccano. Portando le mani ai fianchi, con espressione burbera, costrinse il piccolo a fermare la furiosa corsa e a fornire una giustificazione adeguata. 
< Non l’ho fatto apposta! Non sono riuscito a frenare in tempo! > rispose con un sorriso innocente, dirigendosi in cucina trotterellando. Gli occhi luminosi sorrisero gioiosi, aveva intravisto infatti gli aculei lucenti del ragazzo accanto al tavolo.
Senza pensarci due volte, si diresse in quella stanza in cerca del riccio blu, diventato ormai un’inseparabile figura per il bambino.  La ragazza spiò di sottecchi il figlioletto dirigersi nell’altra sala e con un mezzo sorriso si affrettò a raggiungerli. Appoggiata la borsa sul divano e liberato i capelli con brio, entrò in cucina sicura di trovarli abbracciati o intenti a giocare in attesa del pranzo.
< Sonic, siamo tornati! Scusaci il ritardo ma abbiamo incontr… > le parole gli morirono in bocca quando si trovò davanti una visuale ben più diversa da quella che si aspettava. Il sopracitato, ritto in piedi di fronte al lavandino, era intento a fissare le due ante della dispensa con sguardo vuoto e perso. Le labbra erano serrate e la piega verso il basso indicava che l’umore non era dei migliori. L’espressione completamente apatica preoccupava sia il piccino sia la ragazza che non si capacitavano di quell’espressione tetra.
La riccia raccolse da terra Justin, intento a fissare l’adulto con occhi sgranati e le braccine abbassate.
< So'? Tutto bene? > esclamò Amy avvicinandosi col prezioso bagaglio tra le braccia.
Le mani del ragazzo, appoggiate sul ripiano della cucina, erano tese ed immobili ed intrappolavano sotto di esse dei fogli bianchi mal piegati. Credendo fossero semplici ed innocue pagine, la rosa non vi badò più di tanto, si concentrò invece sulla faccia di Sonic, stravolta e seria come non l’aveva mai vista.
L’adulto staccò lo sguardo dalla credenza, concentrandolo per un attimo sui due coinquilini. Le espressioni tese e preoccupate di madre e figlio lo spronavano a parlare per poter tranquillizzarli almeno un po’. Il blu non voleva iniziare quel lungo discorso in presenza di Justin e, soprattutto, non riusciva a mascherare la paura che provava. Rigirandosi più e più volte le tre pagine tra le dita, decise di escludere il piccolo dalla conversazione, d’altronde era un discorso risolvibile solo da loro adulti. Sapere non avrebbe giovato al bambino.
Guardando il pavimento della cucina, il blu misurò le parole con attenzione:
< penso che oggi sia meglio se tu vada da Blaze > mormorò con un filo di voce rivolgendosi più alla madre che al riccetto.
Il diretto interessato spalancò gli occhioni verdi e si strinse al collo della madre in cerca di supporto,
< no! Non voglio andare da loro! Voglio restare con voi! Andate a mangiare il gelato senza di me? > iniziò con foga gonfiando le guancie arrabbiato. Amy impallidì capendo che qualcosa di grave aleggiava nell’aria. Baciando la testolina irta di aculei, salvò la situazione fingendo disinteresse e richiamandolo con tono più dolce possibile
< ma no Justin! Non andremo mai senza di te, te l’ho promesso no? Ma … io e Sonic dobbiamo parlare di cose importanti e tu ti annoieresti. Se vuoi restare qui puoi farlo, ma non si potrà né uscire, né correre, né saltare, parlare e via dicendo. Necessitiamo di molta calma e pace. Sei ancora sicuro di voler rimanere? >  rispose con tranquillità sapendo bene che il piccolo avrebbe cambiato idea nel giro di un paio di secondi di fronte all’obbligo di immobilità. Justin, dubbioso e non del tutto convinto, sbuffò nervoso,
< va bene, ma allora stasera andremo a mangiare il gelato? > domandò con sguardo supplichevole e acquolina in bocca.
 < Sì se non sarà troppo tardi e, ovviamente, se tu avrai fatto il bravo da Blaze! > rispose con finta allegria l’adulto blu rubando il bambino dalle braccia della madre. Quanto desiderava che quella busta non fosse mai arrivata.
Justin si lanciò su di lui senza paura, felice che l’amico della mamma fosse tornato spensierato e sorridente. Stringendolo forte a se, Sonic lo baciò sulla fronte con il cuore stretto da una morsa e la gola intasata dalla preoccupazione. Sentiva perfino le mani intorpidite tanta era l'ansia che stava provando.
Dopo un breve pranzo e dopo aver portato il piccino a Blaze, la quale si era dichiarata felicissima di poter controllarlo per qualche ora, finalmente per Amy arrivò il momento delle spiegazioni. La riccia aveva i nervi a fior di pelle, tutta quella misteriosità e, soprattutto, la faccia da funerale del ragazzo la facevano tremare di terrore.
Cosa era successo di così grave? Perché tutto quel panico? Seduti uno di fronte all’altra, i due ragazzi si stavano preparando per cose diverse. Mentre Amy si logorava il cervello per capire il nocciolo del problema, Sonic formulava le frasi più adatte per raccontargli l’intera situazione senza farla impazzire. Le dita della ragazza tamburellavano nervosamente e velocemente il piano del tavolo, scandendo i secondi uno ad uno. Lo sguardo carico di apprensione non si staccava dalla bocca del blu, serrata in una smorfia di disgusto.
Con un sospiro di rassegnazione, il riccio si riaccomodò sulla sedia per la centesima volta, arrotolando più e più volte i tre fogli.
< Allora? Vuoi farmi morire? Che è successo Sonic? > sbottò la ragazza appoggiando le mani sulla tavola impaziente. Sarebbe morta dall’ansia se non si fosse deciso a parlare.
Il riccio sospirò e con un movimento rigido si alzò in piedi facendo stridere la sedia. Deglutendo deciso si appoggiò al lavabo della cucina e iniziò a tamburellare il piede nervoso, non sapendo che parole utilizzare per dargli quella notizia tormentata. Alzando leggermente la testa verso il soffitto evitò completamente di incrociare lo sguardo carico di timore della ragazza,  seduta a tavola con lo stomaco sottosopra e con il cuore che batteva sempre più veloce.
< Questa mattina è arrivata una diffida stragiudiziale da parte di un ammirato avvocato di Gout City > mormorò il riccio con voce piatta, tentando di nascondere il terrore che dentro di sé cresceva di minuto in minuto.
Il nome di quella città riconduceva subito ad una persona. Amy incredula e spaventata si immobilizzò sul posto, sentendo le gambe divenire sempre più molli da quell’infimo prologo.
Stringendo le mani attorno al bordo del tavolo iniziò a pregare che il riccio stesse scherzando e quello fosse solo un gioco di pessimo gusto. Gocce di sudore iniziarono a formarsi lungo il collo, scivolando sulla pelle e radunandosi sulle clavicole.
Nonostante la temperatura estiva e l’aria calda che entravano dalla porta socchiusa, sgradevoli brividi di freddo le salirono lungo la spina dorsale. Lo sguardo del blu, però, comunicava tutt’altro, gli occhi erano velati dalla paura ed i lineamenti contratti le suggerivano che, purtroppo, quella notizia era terribilmente vera.  
Voltando la testa verso il lavabo, Sonic perse lo sguardo all’interno del catino, sprofondando all’interno di una ciotola sbeccata piena di acqua sporca.  < Diffida in cui ci esorta a prenderci cura di Justin come si deve e … a prepararci alla causa che stiamo per andare incontro. Jason vuole Justin >.  
Il viso della ragazza sbiancò come una mozzarella mentre gli occhi verdissimi si spalancarono terrorizzati, comprendendo appieno il significato di quella frase.
< CHE COSA? NO! NO! Non glielo darò mai! MAI! >  ed alzatasi in piedi sbatté un pugno sul ripiano del tavolo con rabbia crescente. La mascella contratta in un ghigno di rabbia e gli occhi infuocati stupirono persino Sonic, che non aveva mai visto la riccia così combattiva come in quel momento. Atteggiamento che rincuorò un po’ il ragazzo ma che però lo preoccupava ugualmente: Jason con quella lettera si era dimostrato molto più furbo e vendicativo di quello che credeva. Nessuno si aspettava una dichiarazione di guerra di quel tipo.
Con un sospiro di preoccupazione, il ragazzo incrociò le braccia al petto per poi rivolgersi alla ragazza furente.
< Amy. Stai considerando che la cosa non è così scontata vero? >  Mormorò cercando di non incrinare la situazione delicatissima. La rosa voltò di scatto la testa e strinse i pugni lungo i fianchi, gli occhi carichi di terrore non necessitavano spiegazioni.
< Deve esserlo. Sonic, non darò mai mio figlio in mano a lui. Nemmeno morta. > esclamò con un singhiozzo improvviso, sbattendo le palpebre sugli occhi lucidi. Il riccio blu sospirò indeciso, cercando di tranquillizzare la ragazza scossa dalle lacrime che, copiose, scendevano rotolando sulle guancie color pesca.
< Questo pomeriggio abbiamo un appuntamento con il mio di avvocato. L’ho chiamato non appena ho saputo la … notizia. Siamo in buone mani, forse la situazione non è nemmeno così critica come l’avvertiamo. D’altronde sei sua madre e Justin necessita completamente da te > l’avvertì tentando di portare un raggio di luce all’interno di quella faccenda.
In verità dentro di se si sentiva come se un camion l’avesse investito. Aveva paura, temeva che Jason sabotasse in qualche modo giudici o quant’altro, costringendoli a consegnare il piccolo a lui.
Mordicchiandosi la pellicina staccatasi da un pollice, il ragazzo e la riccia si accinsero a prepararsi per poter raggiungere il prima possibile l’avvocato.


< Una brutta situazione Sonic! Vi siete infilati proprio in un brutto guaio! > Esclamò con sguardo corrucciato il signor Stanghelf. La volpe, color verde muschio, sbatté sulla scrivania di noce i famosi fogli ricevuti per posta e, con sguardo dubbioso, arrotolò un baffo attorno all’indice. Amy e Sonic, seduti di fronte a lui su delle comode poltroncine, si lanciarono un’occhiata preoccupata.
< Perché è una brutta situazione? >Domandò la riccia sporgendosi dalla sedia con panico nella voce. La volpe, che indossava dei simpatici occhialini tondi, se li sistemò meglio sulla punta del naso e congiunse le punta delle dita.
< Bhe, vi accusa di non riuscire a prendervi cura del bambino, di non riuscire a star dietro alla sua evidente iperattività e ti accusa anche di avergli strappato il figlioletto senza avviso. Inoltre, per il fatto che è suo padre e per molte altre cose, chiede che Justin venga affidato a lui. Non è cosa di poco conto direi > descrisse brevemente tamburellando la punta della penna su un foglio di carta. La riccia sbiancò e strinse i braccioli fino ad avere i crampi alle mani. Non aveva mai pensato che Jason potesse arrivare così a tanto. E la possibilità di perdere suo figlio la faceva impazzire.
D’un tratto, la mano di Sonic avvolse la sua e la strinse in un muto gesto di consolazione.
< Non succederà. Non pensarlo nemmeno. Semmai, cosa faremo noi?  > Continuò sbrigativo rivolgendosi all’avvocato con voce ferma e decisa.
< Bhe, per prima cosa sappiate che faranno un breve test al piccino per capire se sta bene o no. Nessun test fisico si intende, gli faranno alcune domande per capire il suo rapporto con voi e con il padre. Dopodiché, gli assistenti sociali stenderanno una breve relazione sui comportamenti e sugli atteggiamenti rilevati che verrà presentata al giudice, sarà lui o lei a decidere > esclamò concentrato continuando a tamburellare la stilografica sul foglio. Lo sguardo corrucciato e concentrato sulla bella penna lo facevano sembrare più deciso che mai a risolvere quel caso così spinoso.
I due ricci sospirarono pesantemente, stringendosi le mani a vicenda e scambiandosi coraggio. Amy col cuore carico di tristezza respirò profondamente per trattenere le lacrime che minacciavano di scendere da un momento all’altro. Il riccio al suo fianco guardò il soffitto scuotendo la testa esasperato,
< nel caso vincesse Jason che succederà? > continuò il blu spostando l’attenzione completamente sulla volpe. Amy sollevò la testa e trattenne involontariamente il respiro, in attesa delle parole che sospettava sarebbero state crudeli.
< Se vi andrà bene gli assegneranno qualche giorno a settimana da trascorrere con lui, se vi andrà male > - mormorò assicurandosi che i due spettatori fossero ben recettivi prima di continuare - < Justin passerà nella mani di Jason, andrà a vivere con lui e potrete vederlo un numero limitato di ore a settimana. L’istruzione, educazione e tutto ciò che gira attorno al piccino sarà completamente deciso da Jason, il quale non sarà obbligato a chiedere pareri o consigli a voi > concluse con sguardo severo e leggermente teso.
Amy si portò le mani sul viso con disperazione, le spalle curve e la schiena piegata la facevano sembrare una bambina. I lunghi aculei rosa scendevano lungo le spalle, creando una sorta di cappuccio attorno alla sua testa. Tra le dita leggermente separate, Sonic vide scintillare delle lacrime, gocce salate che scendevano lentamente sulla pelle rosata.
La ragazza stava trattenendo i singhiozzi a stento: mai prima di allora si era trovata in una situazione così disperata. Il blu sospirò nuovamente e si rivolse alla volpe che rileggeva per la terza volta i fogli, ormai consunti, arrovellandosi su una soluzione che salvasse i suoi clienti.
< Cosa dobbiamo fare per dimostrare che siamo perfettamente in grado di gestire Justin? Servono prove? Qualche documento particolare? > continuò il blu con voce secca e roca. La riccia accanto a se ritornò ad ascoltare con attenzione doppia la conversazione, asciugandosi le tracce umide con il dorso della mano. Incrociò le dita e dentro di se pregò che esistesse un modo, una piccola speranza che le assicurasse completamente il suo piccino. < Purtroppo no, non esistono certificazioni valide. Vorrei invece, se possibile, vedere e conoscere il bambino, forse potrebbe aiutarmi a trovare qualche particolare cavillo burocratico su cui aggrapparci > sospirò con una scrollata di spalle appoggiandosi allo schienale della poltrona in pelle.
Amy annuì e sbatté le palpebre per trattenere le lacrime che minacciavano di scapparle fuori,
< certo, ci dica quando e glielo porteremo >mormorò con voce tremante scambiando un'occhiata di muto accordo con il ragazzo al suo fianco. Non aveva mai pensato di dover affrontare una situazione del genere. Non credeva che Jason fosse capace di tanto.
Dopo i saluti convenevoli, gli adulti tornarono a casa mogi, mogi e pensierosi come non erano mai stati. Nella loro testa albergava l’ansia, l’avvocato aveva dato loro ben poche speranze di vittoria e la posta di quella partita era dannatissimamente alta.
Il ronzio dell’auto era l’unico rumore che risuonava nello stretto abitacolo, non avevano la benché minima voglia di parlare e ancor meno quella di ascoltare la radio o una canzone qualsiasi.
La ragazza, appoggiata al finestrino dell’auto, ripensava alle parole dell’avvocato in cerca di un qualsiasi dettaglio che avrebbe potuto aiutare ad emergere da quella situazione. I capelli mal pettinati e parzialmente raccolti, le cadevano malamente sulle spalle, regalandole un aspetto ancor più disperato.
Sonic, assorto dalla guida, diversamente dalla compagna stava pensando a che cosa fare nel caso avessero perso. Non avrebbe mai permesso che quel piccino colorato finisse nuovamente da quell’infame, piuttosto avrebbe portato la riccia e il piccolo lontani da lì, fino a far perdere completamente le tracce. Era talmente assorto nella costruzione di una svariata carrellata di piani di fuga, che quasi non sentì Amy quando si rivolse  a lui con voce bassa e innaturalmente roca.
< Pensi che dovremo dirlo a Justin? > Mormorò assorta continuando a fissare il paesaggio che si stagliava dal finestrino. Raggomitolata sullo stretto sedile, la rosa aveva iniziato ad arrotolare il solito aculeo tra le mani osservandolo con aria pensierosa.  Il blu sospirò pesantemente, avrebbe voluto così tanto poterla abbracciare e rassicurare! Invece, in quella situazione, non riusciva nemmeno a confortarla un po’: il rischio di perderlo era terribilmente alto e tangibile.
< No, secondo me non è il caso, ha appena smesso di fare incubi su di lui > esclamò cercando di dare alla voce un po’ di espressione. Amy annuì e si rialzò mestamente, il suo viso era una maschera di sofferenza.
Quella mezza giornata era bastata a distruggerla e a porle un peso angosciante nell’anima. La possibilità di perdere il figlioletto era così cruenta da assorbire completamente ogni energia fisica e mentale, lasciandola sfinita e demoralizzata
. E per il riccio blu, poco cambiava. Non riusciva ancora a credere che Jason avesse architettato tutto quel pasticcio per una vendetta. Spendere soldi e soprattutto tempo per una faccenda di cui non gli importava praticamente nulla gli risultava parecchio strano. Perché impuntarsi così tanto per ottenere la custodia del piccino se non lo considerava nemmeno?   

Spazio autrice:
Buonasera! Siamo arrivati al trentesimo capitolo! Spero che la piega che sta assumendo la storia vi piaccia almeno un po'. Come sempre: errori, consigli, opinioni, etc. sono ben accette! Grazie, a presto! Baci.

 
 

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Capitolo 31
*** Avventure serali ***


Justin guardava annoiato fuori dalla finestra: il cielo splendente e il sole aranciato all’orizzonte indicavano l’avvicinarsi dell’ora di cena. Beyoncé  e Rihanna, sedute sul divano, stavano giocando con dei piccoli animaletti di plastica, immerse in un finto zoo costruito con libri e riviste. Il riccetto blu si era allontanato silenziosamente dal loro svago, troppo stanco per giocare con loro e soprattutto annoiato da quel laborioso piano di baby sitting.
Arrampicatosi sul dorso del divano, aveva iniziato a fissare la finestra sperando che la mamma e Sonic arrivassero da un momento all’altro, magari con una pizza gigante. Controllando come i grandi l’orologio che non sapeva leggere, sbuffò, e si rimise quatto quatto a fissare la finestra. Nel piccolo prato si erano accesi gli impianti di irrigazione, i minuscoli fili d’erba scintillavano di luce arancione dovuta all’imminente tramonto.
Gli occhi iniziavano a diventargli pian piano sempre più pesanti, la tranquillità del paesaggio e il calore del sole avevano un effetto soporifero sul piccino. Le palpebre, abbassate per metà occhio, coprivano l’iride verdissima non aiutando a mantenere vigile il cucciolo che non sentì, infatti, la macchina degli effettivi genitori arrivare da lì a poco nel vialetto di fronte a casa.
Amy e Sonic, con l’umore sotto i tacchi e due facce spiritate, prepararono un sorriso fintissimo pur di non far preoccupare inutilmente Justin. Scendendo dalla macchina sportiva con quell’espressione tetra e quel peso nel cuore, la riccia si affiancò al blu, anch’esso pallido e nervoso dall’intera vicenda. Le parole dell’avvocato veleggiavano ancora nella mente dei due, infondendogli un forte timore e azzerando completamente le loro forze.
Le goccioline degli irrigatori gli solleticarono le caviglie, ma già infastiditi dall’ enorme problema si allontanarono con evidente fastidio: non avevano la minima voglia di bagnarsi. Si precipitarono sull’uscio di casa con due veloci saltelli, pulendosi le scarpe umide sul tappeto steso di fronte alla porta. I ciuffi di rosmarino e menta spandevano il loro delicato profumo rendendo l’abitazione ancor più accogliente e rilassando per un secondo gli adulti, stanchi morti dall’intensa giornata.
La riccia lisciò, con un’azione meccanica, le pieghe del vestito che indossava. In un certo senso, non vedeva l’ora di raccontare tutto a Blaze e Silver: condividere i loro problemi con qualcuno le avrebbe fatto bene ed, inoltre, quattro teste ragionavano meglio di due, chissà mai se fosse nata qualche idea brillante .
< Non facciamoci sentire dai bambini, d’accordo? > mormorò a bassa voce la ragazza incrociando lo sguardo con il blu al suo fianco. Come risposta ottenne solo un ovvio e rapido cenno di testa ed il principio di uno sbadiglio che si affrettò a bloccare sul nascere. L’enorme tensione intaccava persino l’inesauribile energia del riccio, il quale, un po’ per la nottata in bianco un po’ per la faccenda drammatica, non vedeva l’ora di poggiare la testa su un soffice cuscino e lasciarsi trasportare dalla stanchezza.
La porta di legno bianco si aprì con delicatezza e, dietro ad essa, apparve una sorridente Blaze con gli occhi luminosi e le mani  cariche di magliette spiegazzate pronte per essere stirate.
< Ben arrivati! Entrat.. >  Il sorriso impiegò un decimo di secondo a scemare. Di fronte a quelle facce stravolte e agli occhi lucidi della cugina, la gatta si preoccupò non poco. Accigliata, li guardò più volte per tentare di indovinare cosa fosse accaduto di così tragico,
< che vi è successo? E’ morto qualcuno? > esclamò incredula la padrona di casa facendogli segno di entrare. Sembrava che non dormissero da anni, in preda ad una fulminante influenza. Goffi e trascinanti sembravano due zombie affamati, persino Sonic sembrava star male. Amy si guardava le scarpe tentando di mantenere un sorriso che non voleva saperne di restare.
< Diciamo che non sono tutte rose e fiori > mormorò a bassa voce la riccia cercando di rimanere lucida e, soprattutto, di trattenere le lacrime. La gatta preoccupata zampettò in salotto per vedere dove i piccoli fossero, in particolar modo il riccetto blu, interessatissimo ad ogni chiacchierata svolta tra adulti. Trovandolo sul divano addormentato, lo lasciò indisturbato e controllò le figliolette intente ad espandere il loro mini zoo nella zona bagno con urletti e storie degne di soap opera. Con un sorriso divertito, la gatta si spostò in cucina, dove gli ospiti erano stati accolti da Silver, in tuta nera, fresco di doccia.
< Mio Dio, ragazzi siete stravolti! Che è successo di così terribile? > esclamò il riccio argento con occhi sgranati sugli ospiti ed evidente preoccupazione. I due ricci, sull’uscio della cucina, sospirarono pesantemente lasciando cascare le braccia attorno ai fianchi.  Silver non li perse di vista portando in tavola alcune bevande e i tintinnanti bicchieri. Lo sguardo preoccupato vagheggiò sui visi di entrambi in cerca di una qualsiasi espressione che potesse tranquillizzarlo.
Ma le loro facce erano talmente a pezzi che Silver non poté che dedurre che qualcosa di veramente grosso turbava i due compagni. Curioso come non mai, si sedette su una delle tante sedie appoggiando la testa sulle braccia incrociate. I due ragazzi poggiarono le loro cose sulle sedie e, dopo essersi assicurati che Justin fosse fuori tiro, si sedettero pesantemente. Bastò che Amy guardasse il blu, seduto al suo fianco, per fargli capire di iniziare per primo il resoconto di quella giornata: gli occhi verdissimi erano talmente lucidi da fargli temere che tra poco sarebbero scoppiati in lacrime.
Sonic, con il dolore nel cuore, prese un bel respiro e descrisse con attenzione tutti gli avvenimenti accaduti da quella mattina. La riccia, seduta al suo fianco, si asciugò più volte gli occhi inumiditi ed ascoltò lo spiacevole racconto aggiungendo qualche dettaglio di tanto in tanto. Blaze e Silver, stupiti da quella terribile notizia, ascoltavano muti e allibiti il resoconto del blu, sempre più frustrato ogni minuto che passava.
Gli occhi spenti e la schiena incurvata lo facevano sembrare ammalato, se si fosse sdraiato sul tavolo probabilmente non avrebbe stupito nessuno. Venti minuti dopo, a narrazione conclusa, si trovarono tutti e quattro immersi nel silenzio a pensare. L’unico sottofondo udibile erano le risate e i dialoghi provenienti dal mini zoo situato nel salotto. Quei rumori così pacifici e allegri tranquillizzarono gli adulti: segno che nessun bambino aveva ascoltato quel dialogo per nulla rassicurante.
Nessuno aveva parole sufficienti per commentare quel problema. Silver, appoggiato sulle braccia intrecciate, fissava il bicchiere ancora pieno di limonata, mentre la gatta, osservava il pavimento con occhi sgranati e un’espressione angosciata. Non riuscivano a credere che tutto ciò stesse accadendo realmente, il solo pensiero che Justin finisse nelle mani sbagliate li terrorizzava a morte. La gatta aprì la bocca per parlare quando, senza emettere alcun suono, il piccolo riccio comparve come un fantasma in cucina, con gli occhi assonnati ed un sorriso stanco sul musino. Stropicciandosi gli occhi, cercò con sguardo appannato il color rosa confetto di sua madre e il blu oceano del riccio.
< J-JUSTIN! Ben svegliato! > esclamò Blaze con un sobbalzo, avvertendo i presenti del nuovo ospite. Gli adulti si rizzarono a sedere nascondendo l’ansia che provavano e fecero apparire dei miti sorrisi, freddi come il ghiaccio. Il piccolo, che non notò le facce angosciate dei presenti, impiegò meno di un secondo ad individuare madre e relativo amico ed impiegò ancor meno tempo a saltare in braccio ai due  in cerca di coccole.
Afferrato al volo dal riccio blu, venne coperto di baci amari dalla madre che faticava non poco a trattenere le lacrime al solo pensiero di venire separata da lui. Con forza micidiale si impuntò a far apparire un sorriso sulle labbra tirate dalla paura. Gli angoli della bocca, leggermente asimmetrici, lo facevano apparire più come una smorfia.  Gli adulti, dopo averlo salutato e averlo interrogato con leggerezza sulla giornata trascorsa, decisero, lanciandosi un’occhiata tra di loro, di tornarsene a casa e godersi un po’ il piccino.
Ringraziando e salutando con finta allegria i presenti, se ne uscirono come una normale famigliola dopo una normalissima giornata di sole, il quale spandeva gli ultimi raggi prima di coricarsi, inondando il paesaggio di una fiochissima luce arancio che non bastava neppure a distinguere la maniglia della portiera. Guidando tranquillamente verso casa, il silenzio era stato colmato dalle chiacchiere continue del piccolo, il quale, caricatosi grazie al breve sonnellino, si sentiva forte come non mai. Ma nell’aria udiva, o meglio, percepiva una strana tensione.
Come quando la mamma, dopo una litigata con Jason, per non preoccuparlo si piazzava in cucina facendo finta di essere impegnata nei lavori domestici. Sonic e Amy non parlavano tra di loro se non per alcuni brevi commenti mormorati a bassa voce, talmente bassa da non riuscire a capire ciò che si erano detti. La riccia, che si sforzava di rimanere  bella dritta sul sedile per dar prova che tutto andasse a meraviglia, si sentiva uno straccio usato. Non era facile sorridere con quel peso nel cuore, ma non poteva di certo mostrarsi triste e amareggiata di fronte al piccolo! Con un sospiro, in cerca di un minimo conforto, avvolse il braccio del ragazzo e appoggiò per un breve attimo la testa rosa sulla sua spalla.
Le bastò quel minimo contatto per sentirsi un pochino alleggerita. Non era da sola ad affrontare quella guerra, i suoi amici e il riccio erano schierati al suo fianco, pronti a dare una mano.
< Andiamo a mangiare il gelato stasera? > mormorò con dolcezza la ragazza facendosi scappare un sorrisino stanchissimo. Il blu, a quel contatto, raggelerò e strinse il volante come valvola di sfogo. Bastò quella leggera carezza  a ricordargli quello che era avvenuto quella notte. Annuendo in modo quasi esagerato la testa, le guancie gli si colorarono come un pomodoro, stupendo la ragazza per quella reazione decisamente esagerata. Gli urletti felici di Justin alle loro spalle, felicissimo di nutrirsi di gelato, spostarono l’attenzione dei due ricci, aiutando il blu a scolorarsi e alla rosa di riprendere in mano la situazione.
La cena, a base di un’enorme coppa ripiena di gelato e guarnita di ogni biscotto e glassa esistenti, migliorò l’umore della famigliola, la quale, appollaiata su delle graziose poltroncine in vimini, tra una chiacchiera con vecchi amici e tra loro, riuscirono a riprendere in parte il buon umore. Sonic, attentissimo ad ogni parola pronunciata da Amy, si stava logorando il cervello in cerca di duplici significati che potessero fargli capire se la ragazza ricordasse o meno quel famoso bacio. Ma nulla: la riccia non aveva nemmeno accennato alla notte precedente e comunque, se avesse parlato volontariamente di quell’evento, era stata così sottile da non farlo capire.
Perfino quando giunsero alla macchina il riccio stava ancora analizzando frase per frase. Justin, aggrappato alle mani della madre, non era per nulla stanco, anzi, si sentiva talmente in forma da poter correre per tutto il parco per un almeno una ventina di minuti.
Saltellando come una capretta, si staccò dalla madre e percorse il breve tratto di strada che separava i genitori dall’auto. Il buio era fittissimo, un lampione danneggiato si bloccava ad intervalli regolari, rimanendo spento per alcuni minuti. Il punto di luce era accerchiato da una miriade di insetti volanti che, senza pietà, continuavano a sbattere addosso alla lampadina notturna impazziti. La luna calante illuminava debolmente le chiome degli alberi e qualche striscia del parcheggio, facendo sembrare le foglie pennellate di un pallido argento.
Sonic ed Amy, impegnati in una lunga e misteriosa discussione, qualche metro più addietro, controllavano a vista il piccolino stando ben attenti a non perderlo di vista. L’erba mai tagliata era cresciuta a dismisura con le ultime piogge e il piccino faticava a camminare, dovendo sollevare il più possibile le corte gambe ad ogni passo. Stava giusto superando un’alta graminacea fuori controllo, quando, con la coda dell’occhio, in fondo al parcheggio notò una figura nera, alta ed immobile accanto ad un’auto grigio piombo. Con stupore e un filo di preoccupazione, il riccetto si fermò in mezzo al viale e scrutò con attenzione doppia quell’ombra nera piazzata negli ultimi posteggi. Il cuore del bambino iniziò a battere in modo più frenetico, chiunque fosse era veramente strano: cosa faceva a quell’ora e perché se ne stava fermo?
Una brezza leggera scompigliò le chiome imponenti degli alberi e fece ondeggiare i capelli del soggetto, stranamente rivolto verso di lui. Brividi di pelle d’oca fecero tremare il piccino che si immobilizzò, ipnotizzato dalla figura misteriosa che richiamava il suo sguardo come un magnete. Dietro di lui, i genitori lo raggiunsero ma, troppo presi dal discorso che stavano affrontando, non si accorsero subito dello strano stato di immobilità.
< Che cosa stai guardando Justin? > domandò Amy sorpresa, accarezzando gli aculei gelidi del figlioletto rigido come un baccalà. Justin non rispose, dentro di sé la paura iniziava a prendere il soppravvento bloccandogli le gambe e perfino la lingua, incollata al palato. Non staccando gli occhi dal soggetto, tremante, sollevò lentamente l’indice verso un punto indefinito del parcheggio. I due adulti, sbigottiti, fecero scorrere lo sguardo lungo la direzione indicata dal riccetto ma, diversamente da lui, alla fine del parcheggio non trovarono assolutamente nulla se non alcune macchine e un posteggio vuoto. Sonic portò le mani in tasca e scrutò nuovamente lo spazio adibito alle macchine con più attenzione, cercando figure nella penombra. Ma nuovamente, non notò assolutamente nulla di diverso dal normale.
I genitori si lanciarono un’occhiata perplessa, era stata una giornata pesantissima per tutti e tre ed, inoltre, era buio pesto, probabilmente il piccino aveva avuto un abbaglio. Sonic accarezzò anch’esso la testolina del riccetto con un sorriso rassicurante.
< Cosa hai visto di preciso? Non sarà magari uno scoia… > uno stridio di gomme e  un rombo assordante coprì la frase finale mormorata dal riccio. Dalla curva indicata da Justin, una macchina grigio piombo sgommò sulla strada portandosi al centro della carreggiata con un balzo imperioso. I freni scricchiolarono acuti e l’autovettura si bloccò a qualche metro di distanza da loro. I fari alti abbagliarono per un secondo la famiglia, ancora incredula e stordita dal comportamento folle e pericoloso del pilota. Sonic con il cuore in gola fu il primo ad agire, intuendo cosa sarebbe successo di lì a poco.
< Proteggetevi! > Senza delicatezza, non perdendo nemmeno un secondo, spinse madre e figlio dietro la sua auto utilizzandola a mo’ di scudo. La macchina avversaria, nello stesso momento, spinse al massimo l’acceleratore facendo rollare le gomme prima che si aggrappassero all’asfalto spingendosi avanti.
Con un rombo profondo e puntando evidentemente al bambino e agli adulti, la macchina si lanciò su di loro come un toro in una corrida. Terrorizzati e rigidi come dei sassi, mamma e figlio furono spinti con violenza nel posteggio libero accanto alla loro macchina.
La struttura della vettura blu notte fungeva come una sorta di ostacolo per l’auto impazzita, proteggendo blandamente Amy e Justin dal pericoloso pilota. La rosa non riuscì a gridare ma afferrò il piccolo in una morsa involontaria, stringendolo a se con paura.  Sonic fece appena in tempo a nascondersi dietro l’auto sportiva prima di venir investito dal proiettile grigio. La macchina gli oltrepassò ad altissima velocità e con una derapata, alla fine del parcheggio, si infilò nel normale traffico cittadino come se nulla fosse successo sparendo alla loro vista nel giro di qualche secondo. Nell’aria, il rumore del rombante motore messo sotto sforzo si smorzò lentamente.
 La polvere, sollevata dalla macchina in piena corsa, odorava di gomma bruciata e lentamente iniziò a depositarsi a terra con leggerezza. Schiacciati a terra, nel posteggio libero accanto alla spider, i tre ricci ansimavano come mantici, impolverati, distrutti dall’adrenalina prodotta e dalla situazione critica in cui erano incappati. Justin stava tremando come una foglia dallo spavento e, aggrappato saldamente alla madre, respirava pesantemente coperto di sudore freddo e di polvere bianca.
La ragazza, con la schiena appoggiata all’asfalto, stringeva in modo compulsivo il piccino a sé, incredula e confusa, chiedendosi perché mai quella macchina avesse tentato di mandarli all’aldilà. Se non fosse stato per il riccio, in quel momento probabilmente si sarebbe trovata spiaccicata sul paraurti dell’auto. Sonic l’aveva praticamente lanciata assieme al piccolo dietro l’auto sportiva come sorta di riparo.
La caduta le aveva procurato una bella botta sulla schiena, nulla in confronto a quello che sarebbe accaduto se la macchina gli avesse centrati. Ringraziando i riflessi perfetti del compagno, si riprese quel tanto da capire che, al momento, lei e Justin stavano bene.  Liberando la mano dal corpicino tremante del cucciolo, il quale iniziava a riprendersi dallo spavento, tastò il terreno attorno a lei finché non trovò il braccio del blu, impolverato e coperto di sudore. Stringendolo forte, dopo qualche secondo riuscì a sollevarsi mantenendo ben salda la presa sul piccino. Temendo che la macchina potesse tornare e che Justin sgusciasse dalle sue mani finendo investito, la ragazza strinse al petto il figlioletto fino a mozzargli il respiro. Sollevando il busto, in un primo momento, vide ondeggiare il mondo attorno a sé in una veloce danza saltellante.
La nube di polvere che si era sollevata dal terreno precedentemente, oramai, era discesa del tutto, lasciando oggetti e persone coperte di uno strato di polvere finissima come farina. Con due colpi di tosse, il ragazzo al suo fianco si riprese dall’evento appena accaduto con gli occhi arrossati dalla sabbia che svolazzava nell’aria. Incredulo e ancora scosso dal pericolo scampato, non riuscì a non collegare Jason con quel tentato omicidio.
La macchina gli aveva palesemente presi di mira prima di partire a tutto gas ma, fortunatamente, i riflessi fantastici di cui disponeva aveva salvato tutti e tre all’ultimo secondo. Ma perché tentare di ammazzarli con la causa imminente? Perché rischiare di ferire o uccidere Justin visto che ci teneva così tanto ad averlo accanto a sé? Passandosi una mano sul volto sporco, il blu, più confuso che mai, si avvicinò a madre e bambino per assicurarsi che stessero bene. Gli occhioni lucidi di Justin lo preoccuparono ancor di più. Avvinghiato alla madre, controllava con sguardo preoccupato che non vi fossero altre macchine pronte ad investirli.
< Tutto bene? > tossì la ragazza controllando prima l’uno poi l’altro. I suoi due blu erano entrambi malconci a vedersi: mentre il piccino era ancora scosso da quell’assalto con tanto di occhi da bambi spaventato, l’adulto, con la t-shirt rovinata dalla caduta, aveva uno sguardo di fuoco.
Dentro di sé, una rabbia crescente si faceva strada tra lo spavento e la paura che aveva provato. Di sicuro non avrebbe digerito così velocemente quel tentato omicidio ed era certo che, prima o poi, gliela avrebbe fatto pagare.  


Spazio autrice: buonasera cari lettori, eccovi un nuovo capitolo. Ormai sarete stanchi di leggerlo ma, come sempre, segnalate errori o sviste per favore. Prendo l’occasione per ringraziare vivamente Lily710 che mi ha aiutato moltissimo nella stesura corretta dei capitoli. Oltretutto ringrazio anche tutti i lettori silenziosi che stanno seguendo questo lunghissimo sequel nonostante ritardi e problemi vari. Grazie!
                                                                                        Baci.
Indaco

 

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Capitolo 32
*** Visite ***


< Non è detto che fosse proprio lui, potrebbe essere stato anche un ubriaco o un drogato. Non lasciarti troppo influenzare ora > borbottò Amy preoccupata. La piccola famigliola era appena tornata a casa dalla gelateria, stremata e stanca dallo scampato incidente avvenuto poco fa. Nonostante non avessero riportato danni fisici, si sentivano persino doloranti a causa dell’enorme tensione provata.
Tutti i ricci durante il viaggio erano rimasti in silenzio, troppo occupati a pensare all’evento appena accaduto. La macchina rombante che sgusciava dalla curva come in una scena da Fast and Furious si ripeteva in un loop infinito nella testa dei tre. Il brusio del motore di sottofondo era stato l’unico rumore che avevano sentito per chilometri. Il piccolo aveva retto per qualche tempo, ponendo qualche domanda scomoda in merito all’incidente appena scampato, dopodiché, cullato dal ronzio dell’auto in movimento e dal paesaggio monotono, si era assopito contro lo schienale di pelle con il pollice in bocca e un aculeo stretto tra le dita. Amy lo aveva controllato dallo specchietto retrovisore, accennando un sorriso nel vederlo così rilassato nonostante avessero rischiato di morire una decina di minuti fa.  Arrivati finalmente nella loro dimore, Justin fu svegliato e, dopo un veloce bagno, fu messo a letto e confortato per quel singolare incidente. Non era stato facile fargli credere che tutto andasse bene, il piccolo aveva quasi smascherato la finta tranquillità di sua madre e il falsissimo sorriso del riccio. Ma dopo tentativi su tentativi, raccontandogli le storie più particolari e  fantasiose che conoscessero, finalmente riuscirono nel loro intento: il piccolo scivolò in un sonno profondo. Tra le mani, un lembo del lenzuolo stropicciato era stato arrotolato più e più volte dalle manine del piccolino, ed ora giaceva accanto al suo visino sfiorandogli la guancia. Amy, seduta sul bordo del letto, scostò i piccoli aculei blu con delicatezza rimanendo in silenzio, assieme all’adulto,  ad ammirare il piccino. Sonic, accanto alla ragazza, rimase imbambolato ad osservare la piccolina creaturina color cobalto. Il respiro, lento ma frequente, gli infuse una strana calma, tanto da fargli rilassare le spalle contratte ormai da ore. La pura innocenza e la fragilità del riccetto avevano fatto crescere in Sonic un’incrollabile senso di protezione verso di lui che portava il bambino in cima a tutti i suoi primi pensieri. Ed era strano per lui, abituato ad avere solo la danza e la corsa per la testa. Lo destò da quella piacevole visuale la riccia che appoggiò la testa rosa sulla sua spalla ed agganciò con misurata lentezza le mani sulla sua. Le dita affusolate intrecciarono quelle del ragazzo, stabilendo un contatto talmente palese e inaspettato da far arrossire il riccio. Con il cuore che scivolava fuori dal petto e sentendosi, d’un tratto, legato ad Amy in modo più profondo rispetto al solito, Sonic strinse la mano della ragazza e, imbarazzato e tremante, la tirò a sé. Avvolgendo le spalle della rosa con meticolosa attenzione, ne pose in particolare sulla reazione che la ragazza avrebbe manifestato. Desiderava con tutto se stesso approfondire quel stranissimo rapporto che condividevano ma temeva, con i suoi modi di fare ed il suo comportamento, di poterla offendere od allontanare da lui. Perciò ogni abbraccio era calibrato con la precisione di un geometra e le parole erano soppesate trenta volte prima di farle scappare dalle labbra. E non dava nemmeno più troppo peso a quel bacio notturno: dopo un’attenta riflessione aveva dedotto che la riccia aveva fatto ciò che aveva fatto a causa del numero impreciso di litri di alcool che le circolavano in corpo. Insomma, una di quelle pazzie che si fanno quando si è ubriachi.
< Non capisco perché lo stai salvando ora > rispose di rimando il ragazzo riprendendo il filo del discorso con una nota di cipiglio. Concentrandosi sull’argomento, Sonic riuscì a mantenere un tono apparentemente calmo nonostante il cuore battesse all’impazzata sotto le costole. Amy, leggermente imbarazzata dal suo gesto, sorrise appena, sbrigandosi a spiegare:
< non lo sto giustificando o altro, dico solo che non sappiamo chi sia stato veramente. Io non sono riuscita a vedere il conducente > rispose sicura liberando di malavoglia le mani del riccio. Con un movimento dettato più dalla voglia di farsi notare che da altro, la ragazza si raccolse i lunghi capelli vezzosa e uscì dalla stanza dirigendosi lentamente in salotto dopo essersi assicurata che il blu la stesse seguendo. Sonic, con tanto di occhi, la seguì senza quasi nemmeno rendersene conto. Il divano, illuminato da una fioca lucina accesa, risultava assai confortevole dopo quella giornata carica di stress ed entrambi si sentivano sfiancati.
< Nemmeno io l’ho visto ma conosco solo una persona che ci vorrebbe morti > rispose lui lanciandosi poco elegantemente sul divano. Apprezzando la comodità della tuta grigia che indossava, portò la caviglia sopra al ginocchio e allargò le braccia sullo schienale con un sospiro. Amy, di fronte a lui, imitò il sospiro lanciando un’occhiata al di fuori delle vetrate: il giardino inondato di buio la attraeva poco, i cespugli assetati sembravano vecchie mani ossute ingrossate dall’artrite.
< Spero davvero che non sia come dici tu. Non riusciremo mai a tenerlo al sicuro altrimenti > rispose senza riflettere troppo sulle parole pronunciate. A riflettere ci pensò l’interlocutore, che alle sue orecchie quel “riusciremo” aveva un significato molto più importante e delicato di quanto la rosa pensasse. Tamburellando nervosamente le dita sul divano riuscì a scaricare l’adrenalina prodotta e rimuginò in cerca di spiegazioni ulteriori. Cercando di rimanere impassibile, anche se il rossore iniziava già a manifestarsi, il blu decise di grattare la superficie del discorso che a breve, prima o poi, avrebbero dovuto affrontare.
< Hai usato il plurale > mormorò con un filo di voce e parecchio imbarazzo, abbassò la testa e si fissò le punte delle scarpe impolverate. Amy sobbalzò a quella frase, capendo benissimo a cosa stava puntando il ragazzo. Non era stupida, capiva perfettamente cosa voleva parare il compagno e lo trovava perfettamente in linea. Dopo tutto l’aiuto che le stava fornendo e dato anche il loro lento riavvicinamento, si aspettava una forte presa di posizione e anche, in allegato, un lungo discorsetto. Giustamente, prima di iniziare qualsiasi percorso, voleva che il riccio conoscesse bene i ruoli e che riflettesse adeguatamente sulla decisione che stava prendendo. Voltandosi verso il ragazzo, Amy sorrise dolcemente fermando gli occhi verdissimi sulle sue pupille nere. Sonic si irrigidì ma per non darlo a vedere rimase fermo nella sua posizione, in attesa che la riccia continuasse il discorso.
< Bhe, da come ti stai comportando non potrei usare il singolare. Non più almeno. Quello che stai facendo è molto più di quello che le persone comuni farebbero ed io non so come ringraziarti > esclamò la ragazza avvicinandosi a lui con le mani intrecciate ed un timido sorriso. I capelli, precedentemente liberati, formavano una leggera tenda di velluto su cui i due laghetti alpini si specchiavano chiari e luminosi. Sonic l’ammirò con stupore tendendole una mano come richiesta di avvicinamento. Mano che la ragazza si affrettò ad afferrare per trovarsi, pochi secondi dopo, tra le braccia del ragazzo con visibile agitazione ma con una piacevole sensazione che le correva sottopelle. Si sentiva ricongiunta ad un pezzo di passato che aveva amato alla follia. Cosa c’era di meglio del senso di protezione che le faceva nascere nel petto? Persino quella macchina sembrava un triciclo in quel momento. Seduta sul divano, a pochi centimetri dal blu, credette per un momento di essere ancora addormentata e trovarsi in uno dei suoi soliti sogni. Sonic sorrise lentamente accarezzando il dorso della mano della compagna, stretta intensamente a lui come se non si fossero mai separati.
< Non mi servono i tuoi ringraziamenti, non sto facendo nulla di particolare > mormorò lui, iniziando ad arrotolare gli aculei della ragazza attorno alle dita con un sorriso indeciso. La ragazza assaporò le attenzioni del ragazzo, portando le mani con titubanza sulle sue spalle. Non voleva infatti sembrare sfacciata, inoltre l’imbarazzo da parte di entrambi era talmente palpabile da poterci fare una stoffa.
< Per me sì. Sei ben consapevole di recitare, in modo ottimale, la parte del papà, non è vero? > Rispose lei cercando di mantenere un atteggiamento rilassato e per nulla sospettoso. Ma aveva balbettato per dire quella parole, ed era sicura di essere sembrata molto più impacciata di quello che avrebbe voluto. Accarezzando nervosamente il collo del riccio, lo sentì infatti irrigidirsi e farsi di marmo, mentre la mano che stringeva la ciocca di capelli divenne un’autentica morsa di ferro. Quella parola, dal grande significato, lo fece sentire piccolo come un granello di polvere. E la portata delle quattro lettere era così immensa per lui che si sentì schiacciare la gola al solo tentativo di pronunciarla a sua volta.
< I-io … non so quanto posso essere valido per quel ruolo. Insomma, non so nemmeno da dove cominciare e poi … bhe, sì, per quanto mi dispiaccia, Justin ha già un … un … un p-p- … > balbettò paonazzo vergognandosi a morte per le condizioni in cui riversava. Gli occhi verde evidenziatore si abbassarono dopo i numerosi tentativi a vuoto di pronunciare quel nome. Non avendo mai avuto l’opportunità di chiamare qualcuno “papà”, farlo ora in un contesto completamente opposto lo metteva in seria difficoltà. Quel ruolo poco chiaro fin da piccolissimo lo aveva sempre visto come una sorta di figura astratta che possedevano solo gli altri. Neppure Dylan era mai riuscito a ricoprire quel posto. Un po’ per le severe restrizioni che gli aveva sempre imposto e un po’ per il suo carattere ribelle, non era mai riuscito ad associarlo. Ed ora che aveva l’occasione di diventarlo a sua volta si sentiva nel caos più totale. Lui era abbastanza per il piccino? Sarebbe riuscito a crescerlo bene? Scrutando a fondo i begli occhi dell’interlocutrice, la quale si sforzava di non ridere a quelle parole, sperò di vedere una risposta o una qualsiasi indicazione alle sue domande.
< “Padre”? No Sonic. Non c’è l’ha ancora > mormorò la ragazza con un sorriso forzato, portando una mano sull’avambraccio del blu. Il diretto interessato deglutì nervoso ed osservò la mano rosa che gli premeva sulla pelle. Amy lo fissò per qualche secondo e notando il senso di disagio che era comparso sul viso del ragazzo si apprestò a spiegare meglio quello che intendeva.
< N-non sentirti obbligato! Sei libero come l’aria di fare ciò che ti senti! > esclamò togliendo la mano di scatto e portandosela in grembo.
< E soprattutto hai tutto il tempo per pensarci! Dormi sogni tranquilli! > balbettò con la paura che potesse offendersi o sentirsi obbligato a fare cose che non voleva. Nel dire ciò, si alzò nervosamente dal divano desiderosa di concludere in fretta quel discorso che stava diventando parecchio imbarazzante, apprestandosi a raggiungere Justin al piano di sopra.
Augurandogli una buona notte, Amy salì i primi tre gradini a passi veloci e affrettati per poi rallentare il ritmo e trascinarsi al primo piano con il fiatone. Ne era ancor più sicura dopo quelle parole: era lui che voleva come padre per Justin, non solo perché fosse il reale padre biologico ma bensì per l’innato comportamento protettivo che aveva ancor più ampliato. Insomma, Sonic si comportava come se sapesse realmente che il piccolo blu contenesse più della metà dei suoi geni. Sdraiandosi accanto a Justin, Amy si tirò il lenzuolo leggero fin sotto il mento, lisciando le pieghe che formava sulla superficie candida. Stringendo le palpebre per tentare di cancellare il ricordo dell’auto che sgommava addosso a loro, tentò di lasciarsi cadere nell’oblio.
Sonic, rimasto sul divano immerso nel buio ancora per qualche ora, rimuginò principalmente sulla possibilità che Amy gli aveva praticamente offerto. Per quanto lo desiderasse si sentiva così impotente di fronte a quel ruolo! Come poteva capire se era adatto a Justin? E soprattutto era giusto sostituire qualcuno che esisteva già, nonostante le brutture esercitate? E il piccolo ne sarebbe stato felice o lo avrebbe considerato solo una copia? E se magari lui non voleva? La confusione che albergava nella sua testa bastò a sfinirlo a furia di rimuginare sempre sulle solite cose. Pochi minuti dopo, con una leggera emicrania, si addormentò sui rigidi cuscini del divano non avendo voglia di salire al piano di sopra.  

Il giorno dopo, grazie ad una bella dormita rigenerante, i tre ricci si svegliarono più o meno con il buon umore. Ovviamente il pensiero degli adulti era concentrato sempre sullo stesso, identico problema della sera precedente. Le piccole incombenze mattutine, come la semplice colazione, il rifacimento del letto o la vestizione del piccino aiutarono a distrarli e a fingere un entusiasmo che non c’era, ma che era obbligatorio mantenere con Justin perennemente accanto a loro. 
< Stamattina vai a ballo? > chiese incuriosita Amy rivolgendosi all’adulto, seduto sul pavimento e impegnato a mettere i pantaloncini al piccolo. Justin manteneva un precario equilibrio attaccandosi agli aculei del blu, nonostante ciò però, il dondolio era così frequente che le tirate di capelli erano più di quelle sopportabili.  Intenta a portare nel lavabo le numerose stoviglie sporche, la riccia rise di fronte a quello spettacolino. Risata che fece sussultare l’adulto tanto era bella. Con sguardo enigmatico le rispose allacciando lo zip della felpina,
< sì, devo parlare con Dylan della .. “cosa” e oltretutto necessito di ricaricare le pile > mormorò indicando con un cenno della testa il cucciolo sorridente saldato ai suoi capelli.  Amy si appoggiò al lavabo e si coprì la bocca scoppiando a ridere,
< sì, credo che tu ne abbia un gran bisogno. Va bene, io andrò dall’avvocato per presentarglielo allora > mormorò di rimando  asciugandosi un occhio con il dorso della mano. Detto fatto, i due ricci si suddivisero con un sorriso ed un sfiorarsi di mani complice, l’uno raggiungendo la palestra e l’altra caricando Justin sulla macchina e dirigendosi con calma verso lo studio notarile, posto in un luccicoso e costoso grattacielo di vetro e acciaio. Trovando facilmente parcheggio, Amy e Justin scesero dalla macchina trovandosi praticamente di fronte all’entrata dell’abitazione. Avvolta con un candido e fresco vestito, la ragazza strinse forte la manina del riccetto cercando di rilassarlo con un bel sorriso ed un occhiolino. Se avesse manifestato quello che in verità sentiva dentro di sé, il sorriso sarebbe stato sicuramente sostituito con una dolorosa smorfia. Il gesto venne ricambiato quasi subito dal figlioletto che, stringendo al petto una piccola macchinina, a testa in sù guardava stupito l’infinito edificio con timore reverenziale. A passi affrettati  i due salirono le scale e si diressero il più silenziosamente possibile verso lo studio dell’avvocato Stanghelf. L’interno dell’edificio, ammodernato all’ultimo grido, sembrava più un laboratorio che uno studio: il pavimento di un unico colore, gli arredamenti essenziali ed in acciaio, pochi mobiani impegnati negli eleganti tailleur o in scomode camicie non regalavano certo un’aria così allegra e serena.
Atmosfera che costrinse il piccolo a restare educato e calmo per tutta la durata della loro permanenza. Nervosa, Amy si diresse con particolare attenzione nello studio situato al secondo piano. Salendo le rampe di scale, sperò tanto che Justin riuscisse a portare un raggio di luce nell’intricata e buia matassa di problemi causati da Jason. Quanto avrebbe voluto avere una vera speranza di vittoria! Il piccolo arrancava davanti a lei, aggrappandosi al corrimano e fingendo di essere stanchissimo, sperava tanto che quella visita mattutina durasse meno del previsto. Amy sorrise chiedendosi realmente chi volesse tentare di fregare con quella adorabile sceneggiata: ricordava perfettamente di chi era figlio e ricordava benissimo anche quanto ci voleva per fiaccare quelle due prese di corrente blu. Arrivati di fronte alla porta, la riccia sistemò i vestiti del piccino e gli portò ordine tra gli aculei scompigliati,
< sii educato Jus e ricordati soprattutto di dire la verità ok? Qualunque essa sia > mormorò con un filo di voce, baciandolo sulla testolina. Annuendo vigorosamente, Justin si attaccò alla mano della madre leggermente intimorito dall’entrata enorme dalla quale potevano passare largamente tre persone alla volta. La porta si aprì parzialmente e, subito, gli occhi curiosi dei ricci furono catapultati all’interno. Visione che venne disturbata da una giovane cerva dagli occhi grandi e cerulei con un sorriso cordiale, il corpo sottile e minuto era avvolto da un vestito nero e aderente e le scarpe eleganti la facevano sembrare un figurino. Porse loro la mano ricca di anelli in modo deciso, sorridendo dolcemente agli ospiti < salve! Mi chiamo Dafne the Deere, sono la segretaria dell’avvocato Stanghelf, il quale sarà qui a momenti. Sono a conoscenza del vostro caso. Sonic the Hedgehog è un nostro affezionato cliente e la vincita di questa sfida sarà una vittoria anche per noi. Avverto l'avvocato del vostro arrivo > esclamò orgogliosa  indicando le sedie dove potevano sedersi. Amy, gelosa, non riuscì a non pensare che anche Sonic doveva essere ben affezionato a lei con quel sorriso meraviglioso e quella vita sottilissima e non riuscì nemmeno a non ipotizzare quante volte fossero finiti a letto assieme, arrivando ad un numero che sfiorava le decine.
< La ringrazio > rispose cautamente la rosa ricambiando il sorriso e portando Justin su una delle sedie di finta pelle. Si sedettero con un sospiro e mentre la riccia si apprestava a quell’incontro tesa e ben diritta sulla poltroncina, il piccino iniziò a dondolare le gambine annoiato, quanta lentezza in quel posto!      
 

Spazio autrice: scusate del ritardo ma tra lavoro e l'esame sto facendo i salti mortali! Come sempre, errori, consigli, critiche, sviste, virgole e via dicendo, per favore segnalatele.
Detto ciò spero vi sia piaciuto.
Baci!
 

 

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Capitolo 33
*** 4 lettere ***


Gli occhi grigi del signor Stanghelf, seri e saggi dopo una vita passata a vedere gente di tutti i tipi, scrutavano con stupore e meraviglia il piccino blu, seduto di fronte a lui. Con le mani intrecciate sulla scrivania fissava con insistenza il riccetto, il quale sosteneva il suo sguardo con un sorriso timido e solare.
Gli aculei a sbuffo e gli occhioni verde menta avrebbero intenerito qualsiasi cosa. Le sopracciglia aggrottate dell’avvocato indicavano chiaramente che qualche idea di sicuro stava volteggiando tra i suoi pensieri.
Idea che veniva confermata e accentuata di minuto in minuto a seconda che il piccino scrollasse gli aculei o voltasse la testa incuriosito da tutti quei libri, accatastati ordinatamente su dei polverosi scaffali. Amy sedeva nervosamente accanto al piccino, cercando di capire a cosa stesse pensando la volpe verde muschio a proposito del figlioletto. Sembrava completamente assorto in un altro universo e la ragazza preferì non disturbarlo, credendo che la soluzione ai suoi problemi stesse scendendo direttamente su di lui dall’alto dei cieli.
E Justin, di quel noioso silenzio, si era già rotto da un po’, era da ben due minuti che se ne stava seduto a contemplare l’ufficio in attesa di qualche parola. Le gambine blu stavano diventando irrefrenabili a furia di dondolare sempre più veloci e sua madre era terrorizzata che potesse alzarsi e sfogare la sua energia in quel pregiato ufficio.
Stava quasi per afferrarlo e imprigionarlo tra le sue braccia quando, prima che accadesse il disastro, come risvegliandosi da un sogno, l’avvocato rizzò le spalle e tamburellò le dita sul ripiano del tavolo con sguardo inflessibile. Assorto, dopo un attimo riflessione, prese la campanella adagiata sulla scrivania e la agitò con un colpo deciso.
Gli ospiti, incuriositi e sorpresi dall’uso dello strumento, si lanciarono una piccolissima occhiata, attendendo che accadesse qualcosa dopo quell’allegro scampanellare. Il suono delicato e argentino effettivamente riportò il suono dei tacchi all’interno dello studio e dalla porta gigantesca, dopo alcuni passi affrettati, rientrò la cerva dal nasino all’insù, con un sorriso cordialissimo e una ciocca di capelli scuri liberati dal severo chignon.
< Prego? > mormorò in attesa di ricevere ordini dall’avvocato panciuto.
< Può portare il piccino di là per qualche istante? Vorrei parlare con la madre in privato, grazie > ordinò schietto sistemando le carte sparse sulla scrivania. La cerva sobbalzò, era la prima volta che le capitava una richiesta del genere, ma non aveva nulla da obiettare a riguardo. D’altronde, si trattava di una decina di minuti soltanto, quanto poteva essere impegnativo badare ad un bambino? Per giunta così tenero?
Sbattendo gli occhioni, tese una mano al piccolo esortandolo a seguirla con tono tutto zucchero. Amy irrigidì a sua volta, odiava affidare suo figlio ad altri che non fosse Blaze o Sonic, figuriamoci a quella sconosciuta! Innervosita accavallò le gambe e sospirò obbligandosi a fare la matura, d’altronde si trattava solamente di qualche minuto.
< Justin da bravo, vai con lei e comportati bene. Vengo a prenderti tra poco > esclamò educata posandogli una mano sulle piccole spalle. Il piccolo annuì alla madre e quasi comprendendo bene l’importanza della faccenda, saltò dalla sedia per raggiungere la ragazza un po’ timoroso. Le bastò squadrarla velocemente per rilassarsi: gli occhi azzurrissimi, il sorriso smagliante e i capelli di un dolce color cioccolato le conferivano un’aurea angelica. Impiegò meno di mezzo secondo a fidarsi di lei e ad agganciare la piccola manina nella sua.
Una volta che la porta fu richiusa attentamente per non far uscire nemmeno una virgola di quello che si sarebbero detti a breve, la volpe seduta sulla larghissima poltrona portò il peso sullo schienale facendola cigolare. Amy si avvicinò il più possibile alla scrivania e appoggiò i gomiti sul ripiano di legno, in attesa di parole e speranza.
< Quando intendeva dirmi la verità signorina Rose? > sillabò duro con uno sguardo severo sul volto. La riccia si sentì affondare nel pavimento, colpita e distrutta da quella frase che rivelava molto più di quello che aveva ipotizzato. La pelle rosa divenne ancor più pallida e il suo cuore iniziò la danza del panico, battendo sempre più veloce come un ballerino di tip tap batte le speciali scarpe.
< N-non capisco di cosa sta parlando a dir la verità > balbettò sperando che non avesse capito che il riccetto fosse l’effettivo pargolo di Sonic.
< Non dica cretinate. Justin è il figlio di Sonic. E questa è la salvezza che tanto stava cercando > sbottò serio, privo di qualsiasi gentilezza. Gli occhi saggi e profondi si posarono sulla ragazza scrutandola a fondo, come per cercare altre particolarità su quel bambino.
  Amy si morse il labbro iniziando a preoccuparsi di quello che sarebbe successo da quel momento. Già era fottuta, figuriamoci se quella notizia fosse uscita prima dalla bocca dell’avvocato che dalla sua.
Spostando gli occhi dalla volpe, la ragazza, imbarazzata e indecisa sul da farsi, tentò di prendere tempo per capire quanto fosse pericolosa la volpe che gli si parava davanti. Il rischio era alto, era Sonic il suo cliente non lei e se non avesse cercato di difendersi in modo convincente, di sicuro il blu avrebbe ricevuto una scottante telefonata.
Lo sguardo nervoso dell’avvocato ombreggiava qualsiasi via di fuga come una nube temporalesca, non le restava che l’unica soluzione: spiattellare il tutto. Se era per la salvezza di suo figlio avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di assicurarsi la vittoria. Scostando i capelli con un movimento della testa, ancora un po’ indecisa ma orgogliosa, tornò a puntare gli occhi verdissimi su di lui.
< Ha ragione. Ha perfettamente ragione. Sono padre e figlio. E prima che mi domandi, no, Sonic non lo sa e non lo saprà sicuramente da lei. So che devo dirglielo > mormorò scostando un aculeo dal viso e cercando le parole giuste,
< ma è difficile! Non capisco se potrebbe essere felice di una notizia del genere o se scappasse da ciò! Justin non lo sopporterebbe e poi … >. Venne bruscamente interrotta con un cenno della mano. Scuotendo la testa, la vecchia volpe gli puntò un indice contro in tono di accusa.
< A lei non deve importare quello che potrebbe pensare o volere, quel bambino è suo quanto di lei, lui deve saperlo. Quel che farà è di seconda importanza ma sapere di essere padre è una delle prime cose di cui doveva avvertirlo non appena l’ha saputo con certezza! Ha idea che potrebbe portarla in tribunale a sua volta per aver taciuto? Allora sarebbe la fine sicura tra lei e il bambino! E poi, vogliamo parlare del tempo che sta perdendo suo figlio a causa sua? Potrebbe già chiamarlo “papà” e ripartire da zero con una figura positiva al suo fianco! > esclamò a gran voce mentre il sangue fluiva sul suo viso, i baffi bianchi tremolavano ad ogni parola uscita dalla sua bocca, facendoli somigliare ad una piccola gelatina.
Amy scosse la testa irritata saltando direttamente sulla difensiva
< ma di cosa parla? Non farebbe mai una cosa del genere! Lui capirà benissimo perché ho agito in questo modo! > continuò imperterrita cercando di convincere più se stessa che l’avvocato che aveva di fronte.
Il signor Stanghelf, notando la testardaggine della ragazzina, si zittì con la rabbia che sgorgava a fiotti dai gesti e persino nei baffi, distogliendo completamente l’attenzione da lei. Prese invece un foglio bianco ed una penna distendendolo di fronte a sé. Controllando che la stilografica funzionasse, si sistemò gli occhiali sul naso e vi scrisse qualcosa, con la fronte aggrottata e gli occhi socchiusi, nervoso come non mai.
Non riuscendo a leggere quello che vi era scritto, la ragazza titubante si zittì e aspettò sforzando la vista in quei ghirigori incomprensibili che si allungavano come tentacoli sul mare bianco di cellulosa. Posata la penna, il foglio venne piegato in quattro  con cura e passato alla ragazza quasi con disdegno.
< Si rivolga a questo laboratorio per le analisi. E’ necessario un accurato test di paternità > sillabò freddo non rivolgendogli nemmeno un’occhiata. Offeso e adirato per il comportamento della ragazza e per l’arroganza che aveva esibito, la volpe finse di essere occupato a fare altro. Poche volte aveva trovato persone così insolenti e non vedeva l’ora che quella riccia si levasse di torno.
Amy, ancora seduta al suo posto prese il foglio con l’adrenalina che scorreva a mille facendogli tremare le mani dal panico, la preoccupazione che potesse avvisare il blu di quella delicatissima vicenda la faceva morire di paura.
Rendendosi conto di aver solamente peggiorato le cose,  Amy fece tamburellare nervosamente il piede sul pavimento, si stava scrivendo la condanna praticamente con le sue mani. Vergognandosi a morte per il comportamento che aveva dimostrato di fronte all’avvocato, nonché suo protettore durante la causa, la riccia spostò lo sguardo paonazzo sul tappeto steso a terra.
Sentiva le guancie ardere di puro fuoco. Doveva decidere: o tentare di riappacificare o rovinare il rapporto tra lei e il riccio. Inutile dire cosa decise di fare. Deglutendo un po’ di orgoglio, sospirò visibilmente pentita e si scostò i capelli con fare nervoso. Si stava comportando da sciocca, era l’unico che potesse realmente aiutarla e inoltre, offendendolo, avrebbe incrinato anche i rapporti tra Sonic e il suo fidato avvocato. E lei non voleva mettere zizzania da nessunissima parte.
< Mi scusi > sbottò all’improvviso non riuscendo nemmeno a sollevare la testa dalla vergogna,
< ha ragione. Mi sto comportando da sciocca, Sonic sarebbe entusiasta nel sapere questo. Lo so per certo. Ma ho paura, ho il terrore di perderlo un’altra volta per colpa mia > buttò fuori torcendosi le mani a disagio.
Il viso dell’avvocato si rilassò un po’, la giovane età della ragazza e la situazione da panico che aveva di fronte lo rabbonirono quel tanto che bastò a risponderle moderatamente.
< Lo sta già facendo. Di ora in ora peggiora le cose e non sembra interessarle. Ci pensi e intanto vada a fare questo test. Basta un solo aculeo completo. Gliene strappi un singolo al padre e al figlio >. Amy, sorpresa da quel cambio improvviso di umore, sollevò la testa e lo osservò basita. Credeva poco a quel tono tornato disponibile e cordiale. Sventolandole la penna stilografica davanti agli occhi con fare stizzito si rivolse a lei innervosito.
< Ha capito? > la richiamò lui, spostando il peso in avanti e catturando lo sguardo della ragazza. Gli occhialini dorati catturarono un raggio di sole, brillando severi sopra al suo naso. Amy annuì vigorosamente e si apprestò ad andarsene, un’idea aveva fatto irruzione nella sua testa.
< C-certo. Un aculeo completo. Andrò oggi stesso a portarglieli > rispose scattando in piedi e raccogliendo la borsa da terra. Era facile, Sonic era a danza, sarebbe stato facilissimo portare quei campioni di aculei in quel laboratorio, ma doveva sbrigarsi!
Stupito da tutta quella fretta improvvisa, la volpe dalle delicate sfumature verde salvia la lasciò andare sperando davvero che, prima di catapultarsi nel laboratorio, si decidesse a mostrare la verità al padre. Sarebbe stato tutto molto più semplice, dal prendere quel semplice campione per le analisi ad organizzare la vita del piccolo.
Dopo i convenevoli e le rinnovate scuse, la ragazza rosa si apprestò a trovare e prendere il figlioletto blu nell’enorme edificio pieno zeppo di uffici. Non le fu difficile scovarlo: lo trovò impegnato dalle varie segretarie e donne delle pulizie che se lo scambiavano tra loro riempiendolo di baci e di caramelle.
Ritmo che aveva ben memorizzato a vedere le labbra appiccicose di zucchero e la testa blu coperta di macchie di rossetto di vari colori. Fu più complicato del previsto convincere Justin ad andarsene da quel luogo, innamorato degli enormi contenitori zeppi di caramelle rosa, non aveva la minima voglia di staccarsi da lì. Ma con le buone e una buona dose di pazienza, madre e figlio uscirono dal lussuoso edificio dirigendosi verso casa. Amy, con le mani sul volante e uno sguardo assorto, pensava e ripensava al gran casino che aveva iniziato, temeva infatti che il giudice anticipasse qualcosa al riccio.
Quel nuovo inconveniente la costringeva a pensare a qualche brillante idea per comunicare all’effettivo padre del figlio che avrebbe preso posto nella sua vita. Passandosi una mano sulla fronte, sospirò nervosamente  concentrando l’attenzione sull’indirizzo del laboratorio. Non si trovava molto lontano, sarebbe riuscita a far tutto senza dare troppo nell’occhio o far insospettire il ragazzo blu. Le servivano solamente i due campioni.
Gli aculei di Justin, seppur con dispiacere, erano a portata di mano e perciò il problema non si poneva. Per Sonic non le restava che sperare di trovare qualche capello sulle spazzole o sul cuscino. Lanciò un’occhiata al bambino accanto a sé, accarezzando gli aculei lunghi fino alle spalle con tenerezza.
Arrivati a casa, mentre Justin corse in giardino sotto forma di saetta blu, la riccia, approfittando della distrazione del bambino, salì i gradini a due a due per iniziare la sua ricerca. Controllando il corridoio prima di dar il via alla sua caccia all’aculeo, si fiondò all’interno del bagno azzurro pastello. Le cinque spazzole, utilizzate solitamente dal ragazzo, si trovavano all’interno dell’apposito porta-pettini, posizionato sopra il mobiletto del bagno. Fu più fortunata del previsto: due sottili aculei blu scintillavano come zaffiri tra le setole della spazzola.
Con sollievo raccolse i campioni con attenzione maniacale, stendendoli bene in un fazzoletto come aveva visto nei film migliaia di volte. Con un sospiro si intascò il prezioso rotolino di stoffa in una tasca dei jeans, dirigendosi a raccogliere il secondo campione, molto più difficile da prelevare. Strappare l’aculeo a Justin fu un vero sacrilegio per lei, soprattutto quando il piccino pigolò di dolore. Ma non poteva fare altrimenti e quello era un prezzo veramente basso da pagare a differenza di perderlo per sempre nelle mani di Jason.
Consolando con un bacio e scusandosi per la sua disattenzione, lo caricò nuovamente sulla macchina temporeggiando contro il ritorno del riccio. Non aveva molto tempo a disposizione, doveva essere rapida e veloce più di Sonic.
Il centro non era molto lontano, distava appena dieci chilometri ma temeva più per la coda o per le pratiche burocratiche da compilare. Il viaggio fu liscio come l’olio e trovare l’ambulatorio fu più facile del previsto.
Lanciando uno sguardo veloce all’orario, Amy spinse con delicatezza il figlioletto all’interno della porta scorrevole che si aprì rilevando la loro presenza. Come aveva previsto le furono consegnati mezzo chilo di carte da compilare con i  dati dei due analizzati. Nonostante la ragazza si impegnasse a scrivere il più velocemente possibile e a completare perfino le domande più strampalate, fu quasi impossibile concludere in meno di mezz’ora, causando, giustamente, un malumore profondissimo al piccolo, costretto a starsene buono (di nuovo) su una sedia altrettanto scomoda. Consegnato papiri e aculei, la ragazza si precipitò all’uscita anticipata dal bambino innervosito.
Accarezzandogli la testina con delicatezza, la ragazza si apprestò a fargli tornare il sorriso. Tutte quelle commissioni da adulto l’avevano sfinito e incupito, sedeva infatti sul seggiolone con le braccine incrociate e uno sguardo irritato.
< oh andiamo Justin. Non fare così. Ti prometto che questo pomeriggio faremo qualcosa di divertente. Cosa ne pensi di una nuotata? Oppure possiamo giocare a ping pong, oppure … >
< io ho voglia di correre! Pensi che papà riesca oggi? > mormorò sovra pensiero il cucciolo guardando fuori dal finestrino.
Fu questione di un attimo, rendendosi conto dell’errore, Justin si affrettò a correggere saltando sul posto dall’enormità di quello che aveva detto
< volevo dire Sonic! Ho sbagliato! Pensi che Sonic riesca a correre con la gamba che ha? > esclamò facendo scomparire ogni traccia di malumore.
La doccia fredda che cadde addosso alla ragazza con quelle due piccole paroline bastarono ad irrigidirle braccia e le mani sul volante, talmente tanto che si ritrovo a faticare per mantenere un giusto assetto.
La spontaneità con cui aveva pronunciato quelle parole l’avevano lasciata completamente basita e soprattutto sospettosa nei suoi confronti. Temeva che il piccolo avesse intuito qualcosa di tutta quella faccenda o, peggio ancora, avesse sentito qualche parola di troppo dei vari discorsi che erano stati fatti in casa ripetuti all’infinito.
< I-i-i-io n-non lo so Justin. Devi chiedere a lui, magari per stavolta dovrai accontentarti di una leggera corsetta > rispose fingendo di non aver sentito. Justin, sollevato dal fatto che la madre non avesse udito quella clamorosa ed imbarazzante gaffe, annuì rosso in viso e tornò a guardare il finestrino. Amy lo spiò dallo specchietto con il cuore che batteva all’impazzata, notò subito il disagio che albergava in lui, le mani incrociate al petto e quell’espressione pensierosa parlavano da sé.
Distogliendo gli occhi dal retrovisore si concentrò sulla strada di fronte a lei. Chiedergli comportava dei rischi, in quel momento il piccino era in piena crisi, lo conosceva alla perfezione e sapeva che se si fosse sentito forzato avrebbe inalzato un muro tra lui e Sonic per dimostrare di non essere così affezionato all’adulto.
Dopo pochi minuti di indecisione, Amy decise di approfondire il discorso per capire cosa veramente provasse il piccino nei confronti del blu, era necessario capire per poter agire con maggior libertà. Non sapendo cosa dire per strappare l’informazione agognata, provò a buttare un piccolo sassolino, giusto appena per smuovere l’acqua.
< Jus, ti piacerebbe? > Esclamò con dolcezza cercando di non incrociare lo sguardo del piccolo preoccupato dietro di sé. Justin finse di non capire arrossendo e guardando con maggior attenzione fuori dal finestrino.
< Cosa? > balbettò insicuro stringendo la cintura di sicurezza. Gli occhi verdi balzellavano preoccupati dalla madre al finestrino, in allerta per il discorso che la madre avrebbe aperto.
< Bhe … che “lui” fosse il tuo ... papà. Ti … piacerebbe? > mormorò Amy cercando di rendere l’argomento il più leggero possibile e sforzandosi di non spiarlo dallo specchietto retrovisore.
Justin deglutì: temeva che Sonic, se fosse venuto a conoscenza di quelle parole, si potesse offendere causando il suo allontanamento. E lui non voleva che l’adulto si allontanasse, lo voleva lì con lui e la mamma. E quelle quattro lettere erano scivolate fuori talmente in fretta e in modo così naturale da non averci nemmeno fatto caso, rispecchiando il desiderio più grande che si faceva strada nel suo cuore.
< Io … credo che … lui non vuole > bisbigliò a bassa voce stringendo inavvertitamente le dita sulla cintura grigia che lo avvolgeva come una salamella. Il suo tono si fece subito più morbido indicando che qualche informazione sarebbe di sicuro uscita. Amy sentendo quel tono sorrise e si arrischiò di scavare più a fondo, oltretutto non mancava moltissimo alla loro adorata casa e voleva concludere il dialogo prima di arrivare.
< Perché non dovrebbe volerti? Sai anche tu che i bambini gli piacciono > continuò con dolcezza e fintissima calma: il suo cuore era in una burrasca di adrenalina. Il bambino sospirò e tornò a guardare la madre stavolta, gli occhi verdi assunsero le sfumature più chiare del mezzogiorno facendoli sembrare tenere e tristi foglie di primavera,
< bhe, è semplice mamma, lui non potrebbe essere il mio “vero” papà >.
Amy sbiancò e iniziò a tremare, comprendendo in quel momento quanto dolore stesse infliggendo a lui e a Sonic con la sua mancanza di coraggio. Non esisteva desiderio più grande nei due che aversi e appartenersi, desiderio che continuava a spegnere con le sue comode bugie ed il suo egoismo. Il senso di colpa prese soppravvento dentro di lei, spingendole, nonostante la repulsione, una lacrima lungo la guancia che brillò come un diamante nella luce intensissima d’estate.
< Oh, Jus > mormorò con la voce che le tremava dalla commozione,
< certo che potrebbe esserlo, lo vorrebbe davvero tanto! Ti vuole così tanto bene! A lui non importa di … questo. Per lui sei già … “suo”! > esclamò asciugandosi le lacrime con il polso e cercando di fare una voce normale. Il bambino sembrò scosso da un fremito, liberandosi parzialmente dalla cintura di sicurezza.
< Lo pensi davvero? > esclamò sporgendo il più possibile la testa dal sedile e scrutandola con attenzione. Le orecchie ben tese nella sua direzione non chiedevano altro di sentirsi dire di sì. La rosa annuì con un cenno del capo,
< certo tesoro > mormorò a denti stretti per trattenere le altre lacrime rotonde che minacciavano di scenderle. 

Spazio autrice: Buonasera! Eccovi un altro capitolo, spero vi piaccia. Ormai sarete stanchi di sentirlo dire ma lo ripeto per sicurezza: errori, sviste, consigli etc. segnalate please <3 Ciao e a presto!
Baci!

Indaco
 
 
 

 

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Capitolo 34
*** Sorprese ***


Justin ed Amy entrarono in casa stanchi morti, tutte quelle commissioni gli avevano fiaccati a non finire. Tra l’avvocato e quella lentissima corsa al laboratorio i due ricci erano veramente stanchissimi. La ragazza, sapendo bene che era questione di attimi prima che Sonic tornasse a casa, spronò il piccino nonostante vedesse chiaramente la stanchezza dipinta sul suo viso.  
< Forza Justin, ora vai a lavarti le mani, intanto preparo da mangiare! Sonic tra poco tornerà e … >
< … e vorrà sentire le spiegazioni per questo ritardo > concluse per lei il riccio stesso proveniente dalle camere.
Fresco di doccia, il ragazzo scese le scale guizzante, osservandola con un sorrisino che nascondeva parecchie cose. Gli aculei umidi erano coperti per metà da un piccolo telo utilizzato per asciugarli più velocemente. Fermandosi a contemplare mamma e figlio, stupiti dalla sua entrata in scena, il blu incrociò le braccia al petto con sguardo indagatore ed il sorriso ironico aspettando le dovute spiegazioni.
< Sonic! Uhmm … ehmm… cosa ci fai già qui? > cantilenò la ragazza con una smorfia tirata sul volto ed un’espressione sorpresa.
Il bambino sorrise di fronte al tono canzonatorio che il desiderato padre aveva utilizzato per riprendere la madre, ma, a differenza di Amy, non si fece troppi problemi quando si avvinghiò alla sua gamba per venir preso in braccio.
< Oh bhe, sai, questa è casa mia, tendo a frequentarla parecchio durante il giorno > rispose con ironia raccogliendo il piccino tra le sue braccia. La pelle dei due combaciò perfettamente come colore e sfumatura di blu, rivelando ancora una volta quel piccolo segreto. Amy sorrise lievemente aggrottando involontariamente le sopracciglia.
Lasciando un bacio sulla fronte del piccino, il ragazzo lo riportò a terra invitandolo con dolcezza a lavarsi le mani. Ordine che il piccino eseguì senza lamentarsi, come era solito fare con sua madre.
< Dove sei stata? > Gli chiese con estrema calma ed interesse una volta che Justin fu sparito dalla loro vista. Dentro di sé aveva già dato qualche risposta alla sua domanda, da lei chiedeva solo la conferma. Amy, persa nella miriade di scuse inventate su cui stava lavorando, sbatté le palpebre fingendo naturalezza.
< Scusami del ritardo, sono stata da Blaze e tra una chiacchiera e l’altra abbiamo fatto tardi > rispose con un sorriso costruito, soddisfatta della genialata che aveva tirato fuori. Sonic chiuse le palpebre e sorrise sornione, per poi riaprirle e tornare a fissare la ragazza con maggior attenzione.
< Bugiarda. Blaze è passata a salutare Ginevra e mi ha chiesto come stavi > ribatté facendosi serio. La ragazza restò di sasso, irrigidendosi sia per la figuraccia che aveva fatto, sia perché non sapeva più che raccontargli. Imbiancò e si morse il labbro inferiore, dandosi della cretina per non averci pensato. Il blu, in attesa di una risposta che non arrivò, sospirò profondamente facendo cadere le braccia lungo i fianchi,
< guarda che puoi fare quello che vuoi per me, se ti senti con Jacob non è un problema. Basta che tu e lui siate felici > mormorò indicando con un cenno della testa il “lui”, il quale, a quel che sentiva, stava letteralmente lavando il bagno.
La riccia scosse la testa infastidita facendo ondeggiare i capelli, quella frase la pungolò nel vivo,
< che centra adesso Jacob? > sospirò cercando di recuperare il tono confidenziale e rassicurante che avevano raggiunto la sera precedente.
Sonic si sentiva stranamente ferito e tradito da quella bugia, si allontanò verso la cucina cercando di reprimere quel senso di disagio che gli era cresciuto nel petto. Iniziando a preparare la tavola, il ragazzo tentò di fingersi tranquillo,
< oh bhe, oggi mancava, tu e lui l’altra volta vi eravate divertiti così tanto … il collegamento è tanto logico quanto probabile se ci pensi > si giustificò prendendo tre bicchieri dalla credenza.  I passi leggeri della ragazza lo raggiunsero da dietro,
< oh andiamo Sonic, tra me e lui c’è stato solo un bacio, cosa pensi sia accaduto? > obiettò innervosita appoggiata allo stipite della cucina. Sonic strinse al petto i bicchieri incastellati tra le sue mani, il cuore sembrava volesse schizzargli fuori dal petto tanto gli batteva forte.
Ricordava.
Certo ricordava sbagliato, ma quel bacio non era stato frutto della sua fantasia e dei suoi desideri, era realmente accaduto. 
Finse una risata che risultò nervosissima e appoggiò i bicchieri sul piano della cucina.
< E … dove vi sareste baciati se si può sapere? > rincalzò con ironia cercando di prendere tempo e approfondire il discorso. Amy a quella domanda arrossì e si imbarazzò ancor di più, aveva tirato fuori un discorso ancor più scomodo di quello precedente. Voltandosi verso la finestra per nascondere  il viso paonazzo, rispose tentando di sminuire quello che in realtà ricordava volentieri e spesso, appunto perché era stato un bacio dato con affetto e sentimento.
< I-io non lo so, non ricordo bene quello che è successo! Ero ubriaca e … e … > l’agitazione bloccò le parole che avrebbe voluto far uscire. Non sarebbe stato difficile dire che l’aveva baciato perché aveva trovato feeling o perché lo desiderava alla follia, ma questo non era affatto vero e perciò quelle parole faticavano ad uscire di spontanea volontà. Si chiedeva ancora come avesse potuto fare un gesto del genere, d’altronde Jacob era un semi-sconosciuto e lei era stata troppo, troppo avventata.
Le orecchie del ragazzo erano ben rivolte verso la direzione della riccia, bevendo ogni singola parola che la ragazza buttava fuori. Il silenzio calò d’improvviso con la riccia silenziosa ed impacciata nelle sue stesse parole. Un'intera enciclopedia non sarebbe bastata per descrivere le sensazioni ed i pensieri che la ragazza provava e pensava dentro di sè, ma c'erano, ed il suo viso le faceva trasparire tutte.
Il blu sospirò raccogliendo tutto il coraggio di cui disponeva, doveva districare il gomitolo che si era creato e ben visibile negli occhi dispiaciuti di lei. Facendo ruotare una goccia d’acqua all’interno di un bicchiere prese parola.
< Forse, non ricordi perché non sai cosa è successo esattamente > mormorò con voce appena percettibile ma chiarissima per Amy. Sollevando la testa, la diretta interessata si concentrò dubbiosa sulle parole del ragazzo, incrociando le braccia al petto si chiese cosa volesse andare a parare con quella frase che sembrava tratta da un film. Il blu, spronato da quel silenzio pastoso come la colla vinavil semi asciutta, continuò a parlare tentando di apparire il più naturale possibile.
< Forse, le cose non sono andate come tu credi che siano andate > mormorò cautamente,  chiedendosi se effettivamente fosse una buona cosa rivelarle quel piccolo segreto. Lanciò un’occhiata sopra la spalla, la riccia non si era spostata e gli occhi color bottiglia lo stavano consumando sempre più confusi. Deglutì imbarazzato, rivolgendosi nuovamente alla credenza e fingendosi impegnato a risciacquare i bicchieri già perfetti.
< Sonic. Non girarci troppo attorno, arriva al sodo > sbottò la rosa appoggiandosi alla tavola con fare autoritario e deciso. Il tono misterioso che il ragazzo stava utilizzando la faceva uscire di testa, cosa sapeva lui più di  quanto ne sapeva lei? Notò, ancor prima che si girasse verso la sua direzione, che il riccio era agitato, i movimenti secchi e decisi e le spalle contratte indicavano chiaramente un imbarazzo generale. Un altro sospirò accompagnò l’inizio della spiegazione.
< Dubito fortemente che tu l’abbia baciato a dir la verità. Probabilmente i ricordi che hai sono molto confusi e soprattutto incompleti >sputò fuori con il volto paonazzo. Fortunatamente ebbe il tempo di scrollarsi quei pomodori di guancie dalla faccia prima di riprendere il discorso. La riccia avvampò e si sollevò dalla tavola confusa, chiedendosi cosa diavolo sapesse per affermare quelle cose.
Dandogli modo di continuare, il riccio riprese il discorso pesando ogni mezza virgola con la precisione di un pusher. Non voleva turbarla e soprattutto non voleva allontanarla da sé nuovamente, d'altronde fino all'altra sera tutto era sembrato scorrere liscio come l'olio.
< Ti … ti ricordi dov’eri quella mattina? >  le domandò con il cuore in gola e i bicchieri ancora umidi tra le mani. Si girò lentamente verso la sua direzione,  per capire se la riccia lo stesse seguendo oppure non ricordasse nemmeno quel “dettaglio”. Amy ricordava perfettamente quella mattina e soprattutto ricordava la sensazione che aveva provato quando si era resa conto di essere incollata al ragazzo blu. Uno strato di pelle d’oca gli si sollevò sulle braccia: era stato eccezionalmente bello. Come risposta annuì leggermente con il capo, cercando di comporre le tessere del puzzle che il blu le lanciava a suo piacimento.
< Bene. Ci sei finita quando sei tornata a casa. Ed era tardi e tu eri piena >balbettò coraggiosamente il blu tamburellando nervosamente le dita sul lavabo e cercando di prevedere il suo stato d’animo.  
< E tu eri sveglio …? > domandò la ragazza maledicendosi per aver alzato entrambi i gomiti quella notte. Con lo sguardo sulle piastrelle del pavimento, qualche frammento, ricostruito dalle parole del blu, ritornava a galla dal buio del pozzo.
< Oh sì, è stata una lunga notte > ridacchiò imbarazzato e smuovendosi gli aculei con una mano. Amy aggrottò le sopracciglia, aveva la netta sensazione che qualcosa di piacevole le stesse fuggendo alla memoria e che lui si stesse riferendo proprio a quella. Dalle sue parole qualcosa di particolare era pur successo. Temendo di aver straparlato a causa di un bicchiere o tre di troppo, strinse le palpebre cercando di capire perché quella cosa le risultasse così piacevole. Avrebbe pagato per aver confessato involontariamente quel segreto quella notte, si sarebbe lasciata alle spalle un grosso peso. Ma dubitava che Sonic si comportasse in un modo così pacato conoscendo la verità. Sollevando le spalle, incrociò le braccia al petto scostandosi i capelli scivolati davanti al viso,
< come mai? Abbiamo … discusso? > azzardò la rosa ricordando ad un tratto gli occhi verdissimi di lui spalancati e stupiti ... sotto di lei? Sonic sospirò e si avvicinò a lei nervoso come poche altre volte lo era stato,
< anche, ma non per molto. Senti Amy, a dirti la verità non so quanto convenga dirti ciò, ma voglio che tra noi ci sia la massima trasparenza. Non voglio sapere i fatti tuoi, puoi fare quello che vuoi, che sia uscire con Jacob o con chiunque altro. Ma non riesco a capire il perché tu, quella notte, mi abbia … > impacciato, deglutì nervosissimo sentendosi veramente ridicolo. Gli occhi della ragazza si sollevarono dal pavimento, legandosi ai suoi con delle catene invisibili ma molto efficaci. Freschi come la menta, Amy con quell’ultima tessera verde ricostruì il puzzle sbattendo le palpebre. Brividi freddi le salirono lungo le braccia come serpenti di ghiaccio. Come aveva potuto oscurare un ricordo del genere? Ma soprattutto, dove aveva trovato così tanto coraggio per prendere l’iniziativa e baciarlo?  
Un forte batticuore iniziò a palesarsi su entrambi, i ventricoli scoordinati battevano all’impazzata carichi di imbarazzo mentre la distanza tra loro si assottigliava sempre più. Il riccio si obbligò a darsi un contegno, tremare come una foglia non era per nulla dignitoso per lui. E poi, in qualche modo, doveva pur sbloccare la situazione.
  Prese fiato e più veloce di quanto potesse fare, portandogli le mani sulle guancie arrossate, premette le labbra contro le sue in un gesto che lo portava direttamente a cinque anni fa, quando l’aveva baciata per l’ultima volta la sera prima della sua partenza.
Amy, irrigidendo per un solo secondo, non perse altri attimi e avvolgendogli il collo, ricambiò con più fervore quel bacio  tanto desiderato.
Si staccarono immediatamente sapendo che il piccino era praticamente nell’altra stanza sorridendo entrambi per la libertà che si erano presi.
Non furono necessarie parole per buttare giù qualsiasi muro o palizzata costruita negli anni, era bastato un soffice sfiorarsi di labbra per ritrovarsi come si erano lasciati.
< Sei sempre stata brava a distrarmi. Ma non stavolta Amy. Non ho perso il filo: dove sei stata stamattina? > continuò lui con scioltezza invidiabile, arrovellando le dita sull’aculeo caduto davanti al suo viso. In quel momento gli importava veramente poco di dove fosse stata, si sentiva sballato dall’adrenalina che gli circolava in sangue. Ma sapeva anche che non poteva sorvolare su una bugia del genere, se potevano iniziare qualcosa assieme stavano già partendo col piede sbagliato.
Amy, intontita a sua volta, si trovò senza parole e senza scuse da fornirgli. Con le mani ancora sul suo collo, accarezzò distratta la pelle del blu chiedendosi se fosse il momento giusto per dirgli la verità. Aprendo di nuovo quella relazione una notizia del genere non poteva certo tenerla nascosta. Soprattutto perché avrebbe dovuto saperlo già da  molto tempo prima.
Abbassando gli occhi sul pavimento soppesò per un attimo le alternative: dirglielo e affrontare le conseguenze oppure mentire di nuovo e peggiorare le cose. Sospirò indecisa deglutendo aria calda visto che la bocca era un autentico deserto.
< Oh bhe, questa mattina, dopo essere stata dall’avvocato, sono andata assieme a Jus al poliambulatorio, a qualche chilometro da qui > balbettò imbarazzata connettendo di striscio i neuroni. Sonic si staccò da lei stupito e preoccupato, e con le sopracciglia aggrottate studiò per un attimo il viso della ragazza verificando se stesse mentendo o meno. Lo sguardo vago ed incerto affermava quello che diceva, facendolo preoccupare ancor di più.
< Al poliambulatorio? Perché? > esclamò con tono ansioso credendo fosse avvenuto qualcosa di particolarmente grave.
Sentendo la voce carica di vera preoccupazione, la riccia si affrettò a spiegare per tranquillizzarlo, prese una grossa boccata d’aria e parlò con tono che doveva sembrare allegro.
< Nono, nulla di grave! Io … > con un altro sospiro e il cuore struggente, decise all’ultimo secondo di cambiare versione dei fatti.
< Non mi sono sentita bene, mi girava la testa e per sicurezza sono andata a fare una .. piccola visita > mentì chiudendo gli occhi per non incrociare i suoi. Sonic si irrigidì stringendo le mani della ragazza,
< che cosa? E sei andata la da sola col piccolo? Amy sei impazzita? Se fossi svenuta alla guida? E perché non mi hai avvertito? Ti avrei accompagnato! > Esclamò stizzito con tono riprovevole: già era difficile in quel periodo rimanere lucidi e sani di mente, ci mancava solo un incidente che ferisse uno dei due.
< Mi sentivo bene da quel punto di vista! Non pensare che non sappia cosa faccio. Ero in me quando guidavo > rispose di rimando in modo delicato e pacato. Bastò quella voce rilassante a rilassare il riccio e a farlo ritornare in modalità “love”.
Quella visita mattutina lo aveva preoccupato, Amy non era la tipa da fiondarsi in un poliambulatorio ad un cenno di mal di testa, perciò, se era andata lì, significava che era stata peggio di quello che ammetteva.
E se da una parte quella visita lo confortava visto che Jacob non centrava nulla, dall’altra era letteralmente roso dalla preoccupazione. Qualcosa di grosso bolliva sotto quel coperchio nominato come “leggero giramento di testa” e lui voleva approfondire la questione, a qualsiasi costo.
Ma non a tavola e non con Justin lì, anzi, pensandoci bene forse sarebbe riuscito ad estrapolare qualche parola in più dal piccolo, sempre molto attento a tutto ciò che gli girava attorno.
 
Spazio autrice: So che è corto ma stavolta andava bene così, non volevo aggiungere pezzi che tagliassero capitoli che meritano di restare assieme.
Spero vi sia piaciuto! Critiche e segnalazioni ben vengano! Baci.

Indaco
 
 

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Capitolo 35
*** Piccole corsette ma grandi domande ***


Usciti dal vialetto mano per mano, Sonic e Justin si diressero con una camminata sufficientemente veloce al parco cittadino lasciando dietro di loro il fragore delle auto e l’aria pesante del traffico. Justin, a pranzo, con mille tentennamenti gli aveva chiesto timidamente se quel pomeriggio potevano andare a correre assieme. Al blu gli si era stretto il cuore dalla gioia e, senza ombra di dubbio, aveva annuito cercando di contenere la felicità che lo aveva invaso. Amy gli aveva stretto la mano da sotto la tavola, sorridendo complice in quella specie di gioco meraviglioso. Ed ora, in quel scintillante sole pomeridiano, i due erano pronti a far guizzare i muscoli a velocità decisamente innaturale. Il vialetto di ghiaia bianca e polverosa sembrava non aspettare altro che le falcate ultra rapide dei due, chiamandoli verso un rettilineo che si dilungava per chilometri.
< Bene Justin, stammi vicino e mi raccomando: la riva del fiume non guardarla nemmeno. Come al solito se perdi l’orientamento dammi la mano ok? > raccomandò l’adulto mettendosi in posizione, Justin annuì eccitato e dopo qualche rapido saltello imitò l’adulto aspettando trepidante il suo “via”. Nemmeno mezzo secondo dopo, si trovarono a correre a perdifiato lungo la pista improvvisata, scartando le persone all’ultimo secondo. L’aria fresca sferzava le loro guancie come una carezza gentile ma stizzita. Il parco era gremito di persone e bambini: palloni volavano, frisbee tagliavano traiettorie e asciugamani colorati tappezzavano il prato erboso. Un lieve e persistente cicaleccio costituito da risate e grida allegre dava l’impressione che tutto fosse calmo e tranquillo, tranquillità che veniva sradicata quando i due blu passavano a velocità folle nella stradicciola principale causando una ventata che spostava palloni e innalzava asciugamani. Il piccino, ancora intrappolato per via dell’età ad una velocità molto inferiore a quella del padre, stava praticamente planando sulla stradina tanto era veloce. E ovviamente Sonic non ne poteva esserne che orgoglioso, spronandolo quando vedeva che cominciava a rallentare.
Il percorso leggermente in salita, però, iniziò a logorare più velocemente il piccino, che dopo qualche piccola ripresa diede segni di cedimento. Il blu, costretto a trattenere le energie per potergli fare da guida, lo raccolse tra le braccia al volo, sistemandolo al meglio e tenendolo ben saldo. Justin si aggrappò saldamente al suo collo, stupendosi di quella corsa che sembrava non volersi fermare. La sua perplessità venne colmata quando il blu liberò le gambe da quella, come la considerava lui, “corsetta”. L’accellerone bastò a riempire di aria le guancie del bambino che si trasformarono in due piccoli palloncini blu. I colori si fusero: uniti dalla luce del sole e dall’aria che ne modificava i contorni apparve un bistratto arcobaleno su cui il riccio sembrava scivolare con l’agilità di gatto. Stringendo più forte il collo dell’adulto, emise una piccola risata divertita sperando di diventare veloce come lui per poter vivere quel fantastico caleidoscopio quando voleva. Sonic, nel vedere il piccino affascinato da quella velocità e sentire la risata divertita che scaturì dal suo petto, non riuscì a non stringerlo a sé con ancor più affetto.
Si fermò un paio di chilometri più tardi, rallentando gradualmente per non provocare giramenti di testa al bambino. Justin saltò a terra con agilità e tenendo ben stretta la mano dell’adulto si guardò attorno con curiosità. Si trovavano in una piccola raduna, in cui vari tavolini di legno erano stati sparpagliati all’ombra delle giovani latifoglie in lotta tra loro per accapparrarsi una striscia di luce.
< Bene Jus, che dici di riposarci un attimo? > Propose il blu controllando scrupolosamente che il piccolo stesse bene. Justin, con un lieve fiatone, sorrise divertito ed annuì e, mollando l’ancora, guizzò ad ispezionare i tavolini. Scelse quello più vicino ad una quercia dotata di bassi rami su cui avrebbe potuto agilmente salire e improvvisare una scalata. Sonic lo seguì non staccando nemmeno per un secondo gli occhi dal piccolo, il quale lo precedeva mirando già all’albero. I due si sedettero vicino, fianco a fianco. Padre e figlio rimasero per qualche attimo ad osservare quel luogo pieno di pace. Gli accordi di una chitarra classica intenta a strimpellare una vecchia canzone arrivò lontanissima alle loro orecchie, facendogli apprezzare ancor di più quel luogo meraviglioso.
< Sei stato bravo Justin, in quella folla ti sei destreggiato alla perfezione > esclamò con sincera meraviglia il blu, appoggiando il mento sulle mani incrociate di fronte a sé. Il piccolo sorrise concentrando completamente l’attenzione sull’adulto,
< è stato facile! Ma la parte che mi è piaciuta di più è stato quando mi hai preso in braccio! Sembrava che fossimo su una navetta spaziale! > esclamò entusiasta alzandosi in piedi sulla panchina. Sonic sorrise e gli scompigliò con tenerezza gli aculei,
< ti porterò a correre più spesso allora. Sempre se a tua mamma vada bene > sottolineò accuratamente riallacciandogli una scarpina. Justin sorrise lievemente e sollevò il piede per facilitare l’adulto in quel compito che lui non riusciva ancora a svolgere.
< Sonic > mormorò in quel frangente richiamando l’attenzione dell’adulto, tutto preso dalla scarpina slacciata. I lacci bianchi avevano raccolto alcuni piccoli semi spinosi ingarbugliando tessuto e semi in un nodo spaventoso.
< Mmmh? >  rispose brevemente il blu mentre, con la pazienza di un santo, toglieva seme per seme dalle snikers del figlioletto. Il vento parve acquetarsi, lasciando solamente frusciare i fiori sparsi nelle aiuolette.
Il piccino tentennò, portando le mani sulle spalle del ragazzo per riacquistare il fragile equilibrio.
< Cosa succederà adesso? > continuò con voce sottile e con un tono molto discreto per un bambino di quattro anni. Quelle parole, sussurrate letteralmente all’orecchio, fecero salire la pelle d’oca al riccio. L’adulto sentì l’agitazione crescergli nel petto, mentre tentava di venire a capo di quella frase misteriosa.
Come poteva sapere della causa? Forse lui e Amy ne avevano parlato con lui nelle vicinanze? Con il terrore che potesse sapere qualcosa di quell’argomento, nervosamente, tolse altri semi, pungendosi le dita con i sottili uncini di cui erano dotati.
Un sorriso poco sincero gli si stampò sulle labbra per temporeggiare alcuni attimi.  Cercando di rimanere impassibile scavò nel discorso con abilità,
< riguardo a cosa? > continuò lui concludendo l’opera di pulizia e apprestandosi a fare un bel nodo. Justin sorrise lievemente, osservando con curiosità i capogiri che l’adulto faceva fare ai lacci per formare due nodi robusti e inscioglibili.
< Ho visto tu e la mamma che vi baciavate prima > sputò fuori con incredibile calma il bambino.
Il sorriso timido, il tono di voce fresco ed innocente del piccino e soprattutto la facilità e la scioltezza con cui aveva affermato ciò, lasciò il riccio senza fiato. Sonic si irrigidì stringendo tra le dita i lacci grigi con cui aveva giocherellato fin due minuti prima. Arrossendo come un peperone e con il cuore che batteva come un mitragliatore, si chiese subito come era potuta accadere una simile distrazione. Ovviamente, presi dal momento, avevano badato poco a quello che regnava attorno a loro, rassicurati anche dal rumore dell’acqua proveniente dal bagno. Ma Justin non era così invisibile, come avevano potuto non notarlo?
Non sapendo come reagire opportunamente a quell’affermazione, il blu respirò a fondo cercando di capire cosa provasse il piccino di fronte a quel gesto d’affetto avvenuto tra lui e la rosa.
< C-come … ci hai spiato? > lo interrogò imbarazzatissimo e nervoso come non mai. Sollevò il viso e lo guardò fisso negli occhi, con il timore di leggere delusione o rabbia o qualsiasi altro sentimento negativo nei suoi confronti. Cogliendolo di sorpresa, si accorse che il piccolo era più sereno di lui, anzi, quasi gioioso addirittura.
Stava trattenendo un sorriso enorme e lo sguardo così rilassato gli fece capire che era tutt’altro che arrabbiato od offeso.
< Sono entrato in cucina e vi ho visto, ma non volevo disturbarvi così sono tornato in bagno > spiegò tutto d’un fiato liberando il piede dalle mani del blu. Le scarpine allacciate significavano nuove corse senza impedimenti. Ammirando per un attimo il lavoro compiuto ai lacci, Justin sorrise e saltò giù dal tavolino con agilità. Sonic, imbambolato da quella confessione, non riusciva a trovare nulla di intelligente da dire.
Insomma era una grossa sorpresa e non sapeva, dal punto di vista psicologico, cosa potesse dire per calmarlo, visto che era già calmissimo, o per fargli chiarezza, visto che sembrava capire molto meglio di lui cosa stava accadendo. Rizzando la schiena e sistemandosi i capelli nervoso, balbettò più cose incoerenti che utili.
< B-bhe, non era nulla di che, cioè, sì, è stato bello, ma non comporterà nulla! Perciò non preoccuparti, anzi, scusami, posso capire che tu la senta in particolar modo “tua” ma non voglio … >
< vi sposerete? > lo interruppe con un sorriso ancor più grande il bambino, battendo le manine con gioia. L’adulto si infiammò diventando viola dall’imbarazzo, sentì letteralmente lo stomaco chiudersi e capovolgersi come una palla di gomma. Le mani strinsero il bordo del tavolo in modo così convulsivo da sfibrare alcuni pezzi, che caddero a terra inficcandosi nel terreno soffice di foglie.
< No, certo che no! Non bastano due baci e qualche parola per sposarsi Jus > rispose con tono acceso, sentendosi completamente a disagio.  Si alzò in piedi di scatto e si pulì i pantaloni alla meglio con il cuore che gli batteva praticamente in gola e le guancie cremisi.
Justin lo guardava preoccupato, temeva di averlo offeso con quella semplice domanda, ma d’altronde, in tutti i film che aveva visto, dopo qualche bacio scattava il matrimonio, un rituale che aveva riflesso anche in quella situazione.
< Ti sei arrabbiato?  > mormorò con un filo di voce agganciando la manina su quella del ragazzo,
< non l’ho fatto apposta. Vi ho visti per sbaglio > mugolò cercando di attirare la completa attenzione del blu. Sonic osservò il piccino e sospirò lievemente, scrollò le spalle lasciando cadere ansia e indecisione: ormai il piccolo aveva visto, punto e stop e non sembrava nemmeno arrabbiato di ciò! D’altronde non avevano fatto nulla di che.
La prossima volta avrebbero dovuto stare molto più attenti.  Sorridendo più rilassato lo raccolse tra le braccia e lo strinse a sé.
< no tesoro, non sono arrabbiato. D’altronde era solo un … segno d’affetto > rispose sicuro di sé, caricandoselo sopra le spalle con facilità. Justin urlacchiò di felicità, aggrappandosi al collo dell’adulto per mantenere un certo equilibrio. Appoggiando il mento sulla testa dell’adulto, il piccolo giocherellò con le orecchie del malcapitato, piegandole come un orsetto di gomma.
< Però sei stato coraggioso. Baciare una femmina è così … romantico > continuò disgustato stringendo i triangoli blu saldati sull’adulto. Sonic rise per quella affermazione, continuando a camminare lentamente per mantenere l’equilibrio del piccino.
< Anch’io alla tua età lo pensavo, mi chiedevo sempre cosa ci trovassero di divertente gli adulti nel baciare una ragazza > rispose ricordando perfettamente quanto odiasse i film romantici e le soap opera d’amore. Justin annuì con vigore per poi iniziare a giocherellare con gli aculei dell’adulto che intrecciava più e più volte attorno alle dita.
< Io non bacerò mai una femmina, sono fastidiose e fanno un sacco di capricci per niente > borbottò il piccino scuotendo vigorosamente la testa. Quella frase scatenò le risate dell’adulto data l’assurdità di quell’ innocentissima affermazione, 
< vedremo tra dieci anni > gli rispose di rimando asciugandosi una lacrimuccia con un dito.
Il bambino rimase in silenzio per qualche minuto, guardando le giostrine piene di coetanei che urlavano e giocavano, sorvegliati dalle madri intente a badare ai più piccoli non ancora in grado di camminare.
< Sonic? Toglimi una curiosità: come si fanno i bambini? > domandò con innocenza notando la valanga di passeggini e la valanga di neonati urlanti a ridosso di un gruppo di ragazze. L’interpellato, colto alla sprovvista, arrossì e fu preso dal panico. Che lui ricordasse, quella domanda gliela aveva posta a Dylan attorno ai dieci anni quasi per caso. Non era troppo piccolo per quelle domande pesantissime?
< A- a dirti la verità non lo so nemmeno io > esclamò troppo acuto per venir preso sul serio. Il piccolo non si scompose e sembrò non notare quella bugia di dimensioni colossali.
Anzi, con innocenza doppia, rivangò il discorso con un mezzo sorriso imbarazzato
< è per questo che non hai figli? Non sai come si fanno? > continuò con dolcezza privo di qualsiasi pelo sulla lingua. Dalla padella alla brace, Sonic sentì gambe e polmoni bloccarsi di colpo, il cervello a k.o. non ordinò di inspirare ai bronchi, troppo preso nel significato di quel collegamento semplice e ovvio. E poi, in quel momento, con un figlio non suo sulle spalle e una ragazza a casa con cui era un casino anche semplicemente chiarire, era particolarmente tosta. Anche perché Justin avrebbe potuto riportare quanto sentito. Sorrise obbligato e si scrollò quella domanda puntigliosa dalle spalle come un cane che si scrolla l’acqua di dosso.
< Esattamente > rispose semplicemente declinando qualsiasi possibile spiegazione. Justin emise un “oh” di meraviglia, dispiaciuto per quel ragazzo per cui provava un affetto particolare. Ripensò per qualche secondo alla questione, cercando una soluzione semplice per quelli che erano i suoi quattro anni. Un’idea gli passò tra i pensieri come una saetta. Sobbalzando per la magnifica intuizione, gliela propose al riccio senza tanti giri di parole stritolando le orecchie blu ancora tra le sue dita.
< Sonic! La mamma ha fatto me! Significa che lei sa come si fanno! Perché non gli chiedi? Lei potrebbe insegnarti! > esclamò gioioso sperando di essere realmente d’aiuto. Come risposta, dopo qualche attimo di silenzio, ottenne una risata allegra e contagiosa che fece sgorgare un paio di lacrime al riccio. Asciugandosi gli occhi con il polso, il blu non riuscì a fermare le risate che lo fiaccarono come una di quelle corse perdifiato. Smise solo dopo aver buttato fuori l’ultimo soffio di aria contenuto nei polmoni.
< H-hai ragione Jus, è una bella idea > borbottò sistemandosi gli aculei caduti sulle spalle. Il riccetto blu sorrise soddisfatto ma pian piano, come accorgendosi di qualcosa che non andava, spense quel sorriso gioioso  trasformandolo in una riga orizzontale.
Ripensando all’intera questione era giunto anche ad una eventualità che non aveva subito considerato: se Sonic avesse avuto un bebè, per lui non ci sarebbe stato più spazio, d'altronde, con un bambino suo, che se ne faceva di un altro? Per giunta estraneo?. Il magone più cupo scese nel piccolo ma grande cuore di Justin, facendolo imbronciare tristemente. Continuando la camminata e non sentendo più domande, per Sonic fu naturale come respirare accertarsi che il piccolo stesse bene. Temeva che il piccino ripensasse, a causa di quelle domande, a Jason, l’unico motivo che lo buttava giù di morale.
< Jus?  Tutto ok? > lo spronò allegro l’adulto. Il riccetto, interpellato a dovere, saltò al dunque con un battito di ciglia, necessitava di sapere o meglio, necessitava di avere quel ragazzo nella sua vita. Il suo volergli bene e quella sensazione di protezione che solo lui gli faceva sentire era qualcosa di nuovo per il bambino.
< Sonic? Tu vorresti un bambino? >domandò a bruciapelo al ragazzo che in quel momento stava facendo da portantina. Quella domanda era una trappola, Sonic era sicuro che se quella domanda significasse molto di più di quello che poteva sembrare. Aveva la netta sensazione che quel quesito contenesse riferimenti a lui e alla riccia. Tenendo ben saldo il bambino sopra di sé pensò ad una risposta sincera che potesse andare bene per le varie interpretazione che si poteva dare a quella generica domanda. Impiegò qualche attimo per formulare una frase semplice e chiara, ma dopo essersi arrovellato la verità sgusciò fuori dalla sue labbra come una biglia.
< Si Jus, mi piacerebbe molto un piccolo. Che sia mio o no, non mi interessa. > concluse brevemente rendendosi conto di aver superato molte linee con quelle semplici parole.  
Justin sorrise e chiuse il discorso. La risposta aveva calmato parzialmente i suoi dubbi, sperava di aver capito bene e soprattutto sperava che quelle parole avessero incluso anche lui.
Il blu, non sentendo obiezioni, decise di cambiare discorso prima che il piccolo potesse fare altre domande scomode. Tirandolo giù dalle spalle con delicatezza, lo portò a terra afferrandogli la mano per non rischiare di perderlo in mezzo alla calca.
Lungo quel tratto di strada, un musicista vestito in modo sportivo stava dando prova di sé con complicati accordi e gradevoli canzonette, facendo radunare un sacco di gente. Padre e figlio lanciarono una veloce occhiata per poi allontanarsi da tutto quel caos e quella confusione, entrambi non sopportavano troppo casino. Continuando il loro percorso, Sonic osservò il piccino pensando ad un modo per poter raccogliere un po’ di preziose informazioni. Dentro di sé sapeva benissimo che non era lecito sfruttare il piccolo per verificare quello che la rosa gli aveva confessato, ma la preoccupazione gli fece velocemente sparire i sensi di colpa.
< Cosa avete fatto di bello, tu e la mamma questa mattina? > chiese con assoluta innocenza il riccio, guardandosi attorno e fingendo una normalità che non c’era. Justin s’incupì un poco, dando l’impressione a Sonic che ricordare quella mattina non era una bella cosa.
< E’ stata noiosa, quando siamo andati in quel palazzo di vetro siamo stati in silenzio e fermi per cinque minuti. Per fortuna poi sono uscito e sono andato dalle donne che c’erano lì dentro, hanno continuato a darmi cioccolatini di ogni tipo! > esclamò soddisfatto gioendo un pelino al ricordo delle caramelle rosa e dei dolci  vari. Sonic non rispose subito, assimilò le sue parole iniziando a rimuginarle dentro di sé con attenzione: dopo averlo visto l’avvocato l’aveva spedito fuori senza la madre. Ovviamente era facile capire il perché, certe cose il piccino era meglio che non le sapesse. E non gli importava molto sapere cosa la volpe avesse detto alla madre, Amy avrebbe sviscerato tutto non appena tornati a casa.
Era l’altro aspetto che gli premeva di più, la ragazza era stata davvero così male da dover andare in quell’ambulatorio?
< Oh già, la mamma me l’ha raccontato e mi ha detto anche che quando sei sceso dalla sedia ha dovuto lavarti da tanto eri appiccicoso > gli rispose con dolcezza passandogli una mano tra gli aculei irti e fittissimi. Il bambino sorrise e annuì orgogliosissimo di quel personale record che aveva fatto ridere l’ignaro padre.
< E … poi? Spero che non ti abbia portato a mangiare il gelato! Dopo tutti quegli zuccheri rischi di prenderti il diabete come minimo > continuò lui porgendo particolare attenzione alle famigerate parole che stava per pronunciare.
< Purtroppo no, siamo tornati a casa … >
< A casa?! > lo interrupe dirimpetto voltandosi verso il riccetto quasi per testare l’autenticità di quella affermazione.
Quel tassello, mancante nella descrizione che Amy gli aveva fornito, lo stupì parecchio, tanto che Justin approfondì quell’aspetto per placare la curiosità del blu.
< Sì ma non per molto, siamo ripartiti subito dopo e siamo andati all’ombu …. embo … > tentennò sforzandosi al massimo per ricordare il nome esatto del luogo che la madre aveva ripetuto almeno una decina di volte.
< All’ambulatorio? > lo aiutò l’adulto che stava tracannando ogni singola lettera e virgola che il piccino emetteva. Il piccolo annuì ondeggiando gli aculei e riprese con più vigore,
< è stato lunghissimo, la mamma ha iniziato a compilare un sacco di cartacce ed inoltre non si poteva correre ne saltare … ero così stanco! > si lamentò con foga sapendo che Sonic capiva cosa significava rimanere fermi  per più di un’ora.  
L’adulto sorrise comprendendo appieno quell’angoscia da immobilismo forzato, ma non riusciva a chiedersi che razza di carte la rosa aveva compilato se era stata male. Per non destare sospetti concluse l’interrogatorio: aveva abbastanza informazioni su cui riflettere e poi, nel caso Justin avesse elencato per filo e per segno quella conversazione alla rosa, non avrebbe dimostrato una curiosità eccessiva. Tenendosi per sé il milione di domande che gli ronzavano nella testa, propose al piccolo un’altra corsetta. 

Spazio autrice:
Sono leggermente in ritardo ma spero che ne valga la pena e che questo capitolo, nonostate sia piuttosto lungo, sia anche abbastanza leggero. Come sempre, se doveste trovare errori o avete consigli per alleggerire il testo, vi chiedo di segnalarli, anche privatamente se volete.
Detto ciò vi auguro un buon anno nuovo!
Baci!
Indaco

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Capitolo 36
*** Svolte ***


< Ho deciso Blaze. E nulla mi farà indietreggiare. Lunedì gli dirò che è il padre del mio figlioletto. O meglio, il nostro figlioletto > spiegò decisa alla cugina viola. Sedute sul divanetto di casa sua, davanti ad un caffè, la riccia era impegnata a spiegare il suo piano ad una incredula gatta viola aggiornata agli ultimi eventi della giornata. Blaze, con la tazzina in mano e l’avambraccio appoggiato allo schienale del divano, guardava con occhio indagatore la rosa.
Abbassando leggermente il mento scrutava l’espressione semi- convinta dell’amica. Non era sicurissima che la riccia fosse così certa delle sue parole, un’ombra di dubbio le incupiva il volto facendola sembrare preoccupata o forse era paura?  Amy dal canto suo era sicura di farcela. Non aveva paura, bensì era terrorizzata dalle conseguenze che avrebbe provocato quella confessione. Sonic cosa avrebbe detto/fatto? Deglutì senza quasi rendersene conto in modo nervoso, tanto da far attivare la gatta acciambellata al suo fianco.
< Woow, finalmente ti sei decisa! Renderai Sonic il riccio più felice della terra > le mormorò sicurissima portando alle labbra la tazzina bianca. Dopo aver buttato giù un goccio del liquido marrone, appoggiò velocemente il contenitore al tavolo per riprendere il discorso.
< Ma toglimi una curiosità, perché proprio di lunedì? > indagò pensierosa tentando di svolgere il mistero.
La riccia sorrise in modo furbetto e si preparò a spiegare:
< l’udienza è mercoledì e lunedì il test sarà pronto. Lunedì sera, dopo averlo coccolato un po’, gli dirò che gli ho fatto fare un test perché si assomigliavano troppo e che il risultato è “sorprendentemente” positivo. Cercherò di sembrare turbata e insicura e taaa ta! Famiglia unita per mercoledì! Che ne pensi? > concluse la ragazza allargando le braccia euforica.
Gli occhi ambrati di Blaze la squadrarono dubbiosi, agitò la coda con un cenno nervoso.
< Sonic non è stupido > contestò la gatta incrociando le braccia perplessa, quel piano tanto scemo quanto infantile la deludeva. La riccia si alzò in piedi iniziando a camminare in tondo per la stanza,
< lo so Blaze, lo so. Ma non voglio rovinare tutto dicendogli la verità. Sono stanca di rimanere separata da lui > le rispose con voce sofferente avviandosi lentamente verso la finestra che dava sul giardino. Lanciando una lunga occhiata fuori da essa, si zittì e rimase a contemplare il giardino ricco di ogni sfumatura di verde. Cosa era meglio per Sonic e Justin?
Blaze si alzò e con passi leggeri come fiocchi di neve, senza nemmeno avvisarla, si affiancò a lei e le circondò le spalle con un braccio.
< Amy. Va tutto bene. Digli la sacrosanta verità: ammettilo che avevi paura, ammetti che avevi paura di perderlo. Sono queste le motivazioni che lo faranno restare al tuo fianco. Non aspettarti che sia tutto rose e fiori. Sai meglio di me che si incazzerà, giustamente. Ma poi la tempesta se ne andrà  e lo riavrai di sicuro. Sonic ama Jus, lo sai meglio di me. Sii sincera, ricomincia da capo, completatevi! > disse con il cuore in mano. Stringendola a sé in un abbraccio confortevole come una coperta, Blaze appoggiò la guancia sulla sua ringraziando nuovamente il destino per averla riportata da loro. Una lacrima scintillante rotolò lungo la pelle della riccia, la quale tratteneva a stento i singhiozzi. Quanto era stata stupida. Se avesse avuto il coraggio di dirglielo appena arrivata  non ci sarebbero state né udienze né qualsiasi altro problema.
Ma ormai era tardi, le rimaneva appena una manciata di giorni per organizzare la narrazione della verità e per formulare qualche scusa.
Il pomeriggio passò velocemente, le due ragazze dopo aver portato i loro saluti a Ginevra, che iniziava a gonfiarsi giorno dopo giorno, e aver passato del tempo con l’ormai annoiatissima riccia, si separarono anch’esse dirigendosi ognuna verso la propria dimora.
Amy si sentiva spossata dal caldo e dai lunghi e articolati discorsi riguardanti la paternità del blu. Una volta a casa, infatti, si lanciò sotto la fresca ombra del melograno che aveva davanti casa beandosi della brezza leggera. Sedendosi stancamente su una sedia di ferro nero, accavallò le gambe con un gesto pigro, come se quello sforzo le fosse costato ore di lavoro. Forse doveva iniziare a preparare il riccio per  la notiziona colossale? Magari iniziare a lanciargli qualche buona frecciata o dirgli che provava dei dubbi a causa della loro perfetta somiglianza. Insomma qualsiasi cosa che riaprisse il discorso pian piano. Doveva decidere e velocemente anche! Cosa era meglio fare? L’indecisione non fece che portargli una leggera emicrania ed il pensiero assillante non le dava pace nemmeno una trentina di secondi. Respirando profondamente per cercare di scacciare almeno i sensi di colpa, si massaggiò mollemente le tempie sperando di risolvere il problema.
Da lontano, una risata acuta e il parlottare continuo di qualcuno fecero lentamente tornare vigile la ragazza, la quale aveva appena formulato l’ipotesi di dormire un po’. Rendendosi conto che quelli che si stavano avvicinando altri non erano che i copioni blu, si rizzò a sedere ben dritta per dimostrare che tutto andava alla meraviglia. Si schiaffeggiò le guancie con leggerezza per scacciare quella trappola mortale, quell’abisso che aveva iniziato ad allargarsi sempre più sotto ai suoi piedi inghiottendola in un mare di buio. Il cancello in ferro si schiuse con un allegro clocchio, scivolando sulle giunture con leggerezza.
Amy vide entrare due teste blu, dotate di graziose orecchie a triangolo. Justin, tenendosi stretto alla mano del ragazzo, stava raccontando qualcosa e l’adulto ascoltava come rapito i lunghi, articolati e poco chiari discorsi del figlioletto, cercando di capire cosa stesse cercando di comunicargli. Quando il bambino iniziava a raccontare episodi di vita quotidiana, iniziava a saltellare da un discorso ad un altro portando un gran caos all’interno della narrazione. E mentre la madre riusciva a cogliere al volo quello che articolava, le persone esterne, come Sonic o Blaze, dovevano prestare la massima attenzione per comprendere il succo del discorso. Ed in quel momento, Sonic aveva le sopracciglia aggrottate, immerso nei dettagli che il piccolo elencava.
< Hey! Ben arrivati! > esclamò la ragazza con tono troppo allegro per risultare credibile. Persino Justin se ne accorse e la guardò per un attimo stranito prima di correre tra le sue braccia.
< Mamma! Non hai idea di quanto possa correre velocemente Sonic! > esclamò con occhi scintillanti guardando l’adulto come se fosse stato fatto d’oro. Il riccio in questione stava squadrando la riccia, quel saluto così strano l’aveva colpito a fondo. Troppo acuto per poter essere realistico, forse stava male nuovamente e tentava di nasconderlo?  < Oh sì tesoro, lo so molto bene. Come state? Siete stanchi? Avete sete? > chiese di rimando la ragazza lanciando occhiate preoccupate ad entrambi i ricci. Justin non perse tempo a rispondere,
< sì! Possiamo usare un po’ di sciroppo alla menta? > domandò il bambino per entrambi. La ragazza annuì e lo pose a terra lasciandolo libero di dissetarsi come meglio voleva, ne avrebbe approfittato per starsene col blu qualche minuto.
Sceso a terra il piccino lanciò un’occhiata furbetta al blu, tentando di fare un’indifferente occhiolino. Purtroppo per lui, il goffissimo e ammiccante gesto fu ben visibile ad entrambi i genitori, ma solo il ragazzo capì a cos’era realmente riferito.
< Io vi lascio soli! > sottolineò con un sorriso correndo in cucina come un pazzo. Sonic si irrigidì per un secondo, ma con un sorriso bonario si pulì dei sospetti aspettando pazientemente di non vederlo proprio più. Amy incrociò le braccia e, intuendo che qualcosa bolliva nella pentola, domandò spiegazioni al ragazzo con un’occhiata calcolata. < Chili dog. Semplici chili dog per cena > si affrettò a spiegare cercando di sembrare serio ma non troppo. La rosa gli credette e scosse la testa, possibile che non desiderasse del buon cibo sano come lattuga o carote?
Sonic dedicò tutta l’attenzione possibile alla nuova compagna, se  tale poteva definirla, scostandole i lunghi aculei dalle spalle con dolcezza
< stai bene? > borbottò avvicinandosi di qualche passo. Amy sorrise, era bastato quel gesto a spazzare i suoi incubi e a far emergere il sole che c’era in lei.
< Sì, tutto bene. Sono felice che siate tornati, iniziavate a mancarmi  > mormorò lieve avvicinandosi a sua volta al blu, desiderava così tanto strappargli un altro bacio.
Il blu sorrise stringendola a se come un pupazzo
< mi fa piacere sentirtelo dire, anche se a dir la verità un’altra corsetta non me l’avrebbe tolta assolutamente nessun.. > la frase scherzosa che stava per concludere venne mozzata di colpo dalla suoneria del telefono. Sorpreso dall’orario, il riccio sbuffò annoiato e rispose con leggera stizza all’inaspettata chiamata, allontanandosi a passi lenti dalla ragazza.
< Pronto? > esclamò iniziando una camminata che serviva solamente a tenergli occupati i piedi
< buongiorno Sonic, la disturbo? Sono l’avvocato Stanghelf, l’ho chiamata per delle comunicazioni della massima importanza > iniziò con tono di voce formale e professionale. Solo per il fatto che fosse proprio lui a chiamare, per Sonic fu un colpo  al cuore. Si ritrovò di fronte ad una pianta di rose, con il cuore a mille e la gola improvvisamente secca come cenere.
< Buongiorno a lei! Che comunicazioni? > sillabò cercando di mantenere la rigidità mentale per affrontare quello che gli stava per venir comunicato. Le mani prive di controllo si posarono su un ramo appuntito dell’alberello di fronte a sé iniziando a staccare con cura maniacale ogni spina che trovava lungo quel percorso a punteruolo.
< Bhe, di sicuro Amy gli avrà riferito … qualcosa no? > borbottò con tono vago e scrupolosamente indifferente l’interlocutore al di là della linea. Il blu annuì tra sé e sé
< oh sì, Amy mi ha avvisato di tutto … sono molto felice di ciò e la ringrazio di cuore. Era il mio più grande desiderio > si lasciò scappare mantenendo il sorriso.
Justin era salvo, quell’avvocato era un’autentica bomba ad orologeria, non sapeva come, ma Amy gli aveva assicurato che il piccino sarebbe rimasto tra le sue mani.
E questo l’aveva rilassato fino ad un certo punto.
< Sono molto felice di questo. Allora non si preoccuperà troppo se l’avverto che l’udienza è stata anticipata a lunedì no? >, Sonic si perse in un rapido calcolo mentale: tra due giorni. Tra due giorni era lunedì, e lunedì c’era anche il concorso di ballo. Due giorni. Solo due miseri, cortissimi, impotenti giorni a quel dannatissimo incontro. Respirò a fondo pungendosi con i rami appuntiti della pianta dinanzi a sé
< no, anzi, prima concludiamo meglio è. Siamo tutti molto stanchi > balbettò con un lieve batticuore. La goccia di sangue scuro che gli uscì dal polpastrello colò fino al palmo della mano, disegnando una scia viola sulla pelle blu.
< Capisco, deve essere una situazione molto stressante. Vi anticipo che alle otto precise dovrete essere in tribunale, ovviamente senza il piccolo. Altri dettagli vi saranno comunicati a breve tramite la mia segretaria. Tenetevi pronti. Buonagiornata > concluse sbrigativo con tono piuttosto soddisfatto. Sonic chiuse la chiamata e alzò la testa al cielo, contemplando gli sfilacci di nuvole che veleggiavano nel cielo azzurro. Non vedeva l’ora che tutti questi problemi finissero come erano iniziati. Gli dispiaceva che quella data coincidesse con il concorso di ballo, questo significava che Blaze e Silver non ci sarebbero stati a quell’udienza. Di certo non poteva biasimarli, quel concorso era molto vantaggioso per il conto bancario dei ballerini, in palio c’era una bella sommetta.
Mettendo il telefono nella tasca dei jeans, si voltò ed osservò con un sorriso la ragazza e il figlioletto, al sicuro tra le braccia della madre. Bene, non “restava” che avvisare lei.
< Chi era? > domandò con tranquillità la ragazza attentissima. Il ragazzo, lusingato da quella sa curiosità, mentì con disinvoltura chiudendo un occhio con simpatia,
< nessuno in particolare > chiuse così il discorso, non aggiungendo neppure una virgola riguardo alla telefonata. Il contenuto della chiamata lo riversò a fatica solamente quella sera, dopo che Justin fu messo a letto per la seconda volta. Avevano notato entrambi che, nonostante loro non ne parlassero in sua presenza, Justin percepiva che qualcosa stava accadendo. Risultava così ancor più ingestibile e agitato, si addormentava con fatica e sembrava in costante allerta, anzi, sembrava che li stesse quasi spiando. Perciò, dopo avergli somministrato una camomilla ed aver rimboccato nuovamente le coperte al piccino, Sonic, appollaiato sul divano di casa, avvisò la madre dell’anticipazione dell’udienza.
Erano entrambi accoccolati vicini, intenti ad osservare un pallosissimo programma di cucina. Nessuno dei due lo stava seguendo in realtà, erano entrambi persi più o meno negli stessi pensieri, la voce della conduttrice non arrivava nemmeno alle loro orecchie; sembrava più un fastidioso ronzio necessario solamente ad occupare il silenzio che altrimenti avrebbe regnato sovrano. 
< L’udienza è stata spostata a lunedì >esclamò il ragazzo d’un tratto, stando ben attento a non alzare la voce. In cuor suo quella notizia era un soffio di vento fresco in un braciere  di problemi. Era una splendida notizia, a breve sarebbero stati nuovamente liberi di costruire qualcosa assieme, finalmente avrebbero potuto dedicarsi al loro riallacciamento e al loro piccolo blu. Aspettandosi  la stessa gioia dalla ragazza, sorrise spontaneamente sperando, e credendo, di ricevere almeno un sorriso dalla riccia, la quale si incupiva di giorno in giorno all’avvicinarsi della tragedia.
Ma non fu così. Il braccio allacciato al suo si irrigidì come un ramo secco e la rosa diventò il ritratto della più tetra disperazione. Gli occhi verdi sembravano quasi spaccarsi come fondi di bottiglia, si alzò in piedi in preda al terrore.
< COSA? No! No! Non è possibile! > esclamò portando le mani sulle tempie ed indietreggiando dal divano da cui si era appena alzata. Il destino doveva odiarla appieno, come poteva essere altrimenti? I suoi piani erano andati in fumo e il tempo stringeva sempre più prendendola per il collo e stringendola al limite. Doveva rielaborare, doveva anticipare, doveva dirglielo! Sonic balzò giù e gli si avvicinò preoccupato temendo una crisi isterica o qualcosa del genere.
< Amy! Stai calma! Andrà tutto benissimo! Due giorni non sono niente, soprattutto ora che l’avvocato ha la soluzione ai nostri problemi! Cosa ti preoccupa? > esclamò raccogliendo le mani tra le sue e stringendole con delicatezza. Amy abbassò lo sguardo e chiuse gli occhi, mentre la sua testa esplodeva come una lampadina bollente immersa nell’acqua ghiacciata.
Non aveva nessunissima idea, il risultato del test era essenziale per discutere con lui di quell’incresciosa “dimenticanza”, ma non poteva nemmeno far sì che si presentasse a quell’udienza senza conoscere la verità! Doveva prendere coraggio e dirglielo punto e stop, con o senza carte, tanto quel risultato non avrebbe represso le emozioni. Afflitta e ancor più disperata trattenne le lacrime a stento
< h-ho paura Sonic! Se l’avvocato non dovesse farcela il mio piccolo sarà obbligato a … a… > balbettò nervosa stringendo le mani del ragazzo in cerca di un conforto che non poteva dargli. Sonic le accarezzava il dorso della mani con il pollice, silenzioso ed immerso di dubbi. Provava una sorta di strano distacco dalla ragazza, una specie di muro alto ed intaccabile  e più di tutto il resto aveva paura di quello. Non che non provasse agitazione per quel fatidico lunedì, ma era più che sicuro che se la sarebbero cavati più che egregiamente. Il sig. Stanghelf  l’aveva salvato tante di quelle volte in questioni anche più gravi da non fargli temere quel dannato giorno. Ma quel muro invisibile che non riusciva nemmeno a sbeccare lo mandava fuori di testa. Perché non gli diceva quello che realmente provava? Perché non gli diceva la cosa che la faceva penare sempre più?
Vedeva chiaramente il tormento nei suoi gesti, eseguiti in automatico appena per rassicurarlo. Prese la parola solamente quando lei si trovò in difficoltà ad esprimersi, accarezzandole la guancia in modo affettuoso.
< non succederà Amy, lo sai. E’ preparato e sa quello che fa. C’è … altro? > azzardò con tono più discreto possibile costringendola a guardarlo dritto in faccia. Gli occhi verdissimi si rispecchiarono per un solo attimo nelle sue pupille e Sonic vide chiaramente riflesso quel “altro”. Gli occhi lucidissimi minacciavano di buttare fuori Niagara, Nilo e Oceano Pacifico tutto d’un fiato. Avvicinandosi ancor di più, preoccupato per quello che teneva dentro, gli raccolse il viso tra le mani sperando che a breve avesse parlato.
< Amy! Dimmelo! Cosa c’è che ti blocca? Cosa ti sta divorando? Non facciamo gli stessi errori dell’altra volta per favore, voglio aiutarti! Avanti! > la spronò stringendola a se con il cuore che strabordava dal petto. Lei chiuse gli occhi facendo colare una lacrima dalle ciglia nerissime. Dirglielo sarebbe stata la cosa più facile e giusta da fare, metterlo a corrente della situazione le avrebbe tolto un enorme peso.
Quel pensiero fisso che la faceva affondare nella paura e nella disperazione giorno dopo giorno. Con le punte delle dita si asciugò la goccia d’acqua sulla guancia, spostandosi quel tanto che bastava per non dover fissare il blu nel volto.
< N-non c’è nient’altro che mi preoccupa. Solo questo. > mentì fredda trovando la forza di staccare le mani che adorava da sé. Sonic si ritrasse con dispiacere e malumore evidente, non capendo perché non confessasse quel tormento che la consumava come una candela. Sospirò pesantemente, facendo fuoriuscire irritazione e una delusione crescente. Mentire non le veniva bene e le bugie venivano a galla come bolle d’aria. Non riuscire a togliere il cosiddetto ragno dal buco, in quel caso l’enorme segreto che Amy taceva, per Sonic equivaleva tagliare qualsiasi filo di fiducia che avevano tessuto assieme.  
Alzandosi in piedi la squadrò freddo, con una smorfia dolorosa segnata sulle labbra.
< Non riesco a capire. Non riesco proprio a capire perché ti comporti così. Pensi che per me sia facile? Pensi che non abbia paura? Il tuo silenzio ci sta dividendo un’altra volta e non voglio che accada questo! Voglio una maledetta seconda possibilità! Anzi, pensavo che la volessimo entrambi, ma probabilmente non è così > il silenzio cadde pesante come una cappa irrigidendo la ragazza sul divano, la quale, distrutta dai sensi di colpa e dall’incapacità di buttare fuori quel tassello fondamentale, se ne stava raggomitolata sui cuscini del divano. Il blu gli volse le spalle e salì le scale con passo pesante e col il cuore sbriciolato.

Spazio autrice: Quando questa storia finirà ne sarò molto felice. Comincia ad essere più lunga di quel che avevo progettato! Spero vi sia piaciuto nonostante la monotonia del capitolo in sè. A breve ci sarà qualche risvolto. Come sempre, problemi di qualsiasi tipo elencateli pure o comunque fateli presenti. Grazie e baci.
Indaco
 

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Capitolo 37
*** Confessioni ***


Meno uno. Mancavano esattamente ventiquattro ore all’inizio della causa e quella fu una delle domeniche più particolare delle loro vite. Esattamente alle otto di mattina, nella cucina bianco panna, Amy e Justin stavano facendo colazione. La tavola era apparecchiata con tovagliette americane marroni, lucide posate appena tolte dalla lavastoviglie e tovaglioli blu. Come sfondo i dolci e la frutta erano ben disposti: inalberati sul portafrutta davano un aspetto quasi solenne alla tavola imbandita. Di tutti quegli zuccheri però solamente il piccino si stava spazzolando il terzo pasticcino di fila.
La tazza di latte era momentaneamente messa da parte in attesa che il riccetto concludesse la pre colazione. Se Amy fosse stata in sé, di sicuro il piccino non si sarebbe ingozzato di pasticcini e le sue mani sarebbero state prontamente pulite. Ma la ragazza mancava completamente: fissava un punto infinito dalla finestra con lo sguardo spento e umore tutt’altro che buono. Aveva passato l’intera nottata in bianco, pensando così tanto e così intensamente alla terribile situazione da farsi venire la nausea. La stanchezza mentale si ripercuoteva anche sul suo stato fisico: la sonnolenza e la tristezza che provava azzeravano qualsiasi energia e voglia. Le spalle curve e il collo abbassato fin quasi sulla tavola indicavano bene lo stato in cui era entrata la riccia. Il cibo sul suo piatto risultava intoccato, neppure la tazza di caffè era stata sfiorata e la bevanda scura risultava ormai praticamente imbevibile.
Dopo quella nottata orribile il sole era strisciato fuori a passi piccoli piccoli: come una gialla lumaca aveva tirato fuori i splendenti cornetti  ed aveva portato un po’ di pace nel cuore sconsolato della ragazza. Sonic non si era fatto vivo: era uscito prestissimo per una delle sue corse perdifiato e da come aveva sbattuto la porta Amy aveva capito che era particolarmente incazzato: non aveva nemmeno salutato il piccino. Ed in quel momento non riusciva a non chiedersi dove fosse andato. Il telefono adagiato sul ripiano del lavabo gli balzò all’occhio tutto d’un tratto: sarebbe stato facile schiacciare il tastino verde e chiamarlo ma, una volta arrivato a casa, avrebbe dovuto svuotare il sacco. E la rosa non ne aveva molta voglia. Stava giusto valutando se chiamarlo o meno quando Justin pose il cucchiaio sul tovagliolo, richiamando, puntualmente, l’attenzione della madre.
< Mamma! Dov’è Sonic? > esclamò completamente ignaro della situazione da brividi che si era creata tra di loro. Gli occhi verdissimi non si erano certo fatto scappare la mancanza del riccio blu. E la sua assenza, prolungata da quasi mezz’ora, iniziava a preoccupare seriamente il piccino. La ragazza, sollevando le sopracciglia per la domanda puntigliosa, si scostò una ciocca di capelli con aria vaga.
< Tornerà presto! Vedrai! > rispose con un sorriso tirato. La mano della riccia accarezzò con dolcezza la testolina del piccolo, un po’confuso dalla risposta sbrigativa della madre.
 
Le risatine e le urla che le bambine emettevano a raffica risuonavano per tutta la stanza . Rihanna e Beyoncè, sveglissime già di primo mattino, avevano iniziato ad arrampicarsi sull’ospite di casa e sul mobilio come due piccole scimmie. La gattina pezzata, appollaiata sulle ginocchia del mattiniero ospite, aveva iniziato a tartassarlo di domande e di racconti scolastici, frammentando i lunghi episodi con bisticci e dispetti nei confronti della sorella non meno petulante.  Il riccio blu in quel momento aveva i cerchioni neri sotto gli occhi e si sentiva molto spossato.
Seduto su una sedia accanto al migliore amico argentato si premeva una mano sulla fronte mentre l’altra dondolava nel vuoto sul poggia schiena. Le parole della bambina in quel momento rimbalzavano nelle orecchie del ragazzo non lasciando traccia di alcun significato. Blaze lo guardò preoccupata comprendendo appieno la causa di quel malessere così ben radicato: tutto girava attorno a Amy e allo sconosciuto figlioletto. Quell’oca, o meglio, quella riccia di sua cugina non aveva ancora parlato e mancava così poco all’udienza!
< Caffettino So’? > lo spronò con un sorrisino tentando di insufflare un po’ di voglia di vivere nel ragazzo. L’interpellato scese dalle nuvole solamente quando sentì l’appellativo utilizzato abitualmente, annuì ringraziando sottovoce.
< Non so più che fare. Non riesco a capire cosa la sta riducendo in quello stato. E’ fuori di testa, completamente > avanzò il blu più di la che di qua. Silver e Blaze si guardarono preoccupati: comprendevano benissimo l’intera situazione conoscendo persino i dettagli di quella realtà disastrosa. Occhiata che non sfuggì al riccio blu oramai esaurito da quella situazione di merda.
< Che avete da guardarvi in quel modo? > brontolò sospettoso, portando i gomiti sulla tavola. Dell’occhiata, i due scrollarono le spalle cercando di  dissimulare la loro reazione spontanea. Silver, voltandosi verso la credenza per nascondere la faccia che trapelava segreti, si versò il caffè utilizzando un filo azzurro pallido, sprigionato direttamente dal palmo della mano.  Blaze invece, scoperta, simulò il sorriso “va tutto bene” per tranquillizzare il blu. I lunghi canini scoperti le regalavano più un’aria diabolica che rassicurante, insospettendo ancor di più l’ospite.
< Oh nulla, stavamo solo riflettendo sul fatto che domani sarà un grande giorno per voi. È normale che si comporti così … no? > esclamò Blaze portando in tavola un piatto ricolmo di biscotti al cioccolato. Due mani veloci rapirono un paio di frolle con uno scatto degno dello stesso Sonic, sorbendosi l’occhiataccia della viola che mal sopportava la poca grazia delle figliolette.
< No, è proprio questo il punto, l’avvocato ci ha assicurato che è salvo. Completamente. Ma lei sembra non capirlo. Sembra che ci sia un problema di fondo! > spiegò nervoso alzandosi in piedi in pieno stato di agitazione.
< Blaze! > esclamò puntando l’indice verso la gatta viola
< tu sei sua cugina nonché la sua migliore amica > continuò impassibile brandendo l’indice come una spada. La povera ragazza sospirò e gli lanciò un’occhiataccia infastidita, perché non beveva il suo caffè e se ne tornava a casa?
< Io so che tu sai. E ora farai meglio a dirmelo. Per il bene di me, Justin ed Amy stessa! > avanzò imperterrito sperando di sbloccare la situazione in quel modo. Silver rollò gli occhi: figuriamoci se da loro sarebbe uscita anche solo mezza virgola di tutto quell’enorme gomitolo. Mescolando il suo caffè molto attentamente, si finse impegnato in un lentissimo sorso pur di non far parte a quel discorso impegnativo.
La gatta, costretta più che altro, sospirò pesantemente: non poteva dire nulla ma allo stesso tempo le dispiaceva che Amy si comportasse in quel modo. Sembrava non accorgersi della situazione in cui il blu era riverso. Sedendosi a capotavola lisciò il tovagliolo di carta per prendere qualche secondo in più. Gli occhi verdissimi del ragazzo la stavano trafiggendo come aghi di pino, in attesa di qualsiasi parola che potesse illuminare quella situazione di merda.
< Sonic, hai una lingua e un cervello. E’ inutile che vieni qui a cercare aiuto. Sai bene che non posso dartelo. Posso darti un consiglio però: bevi quel cazzo di caffè, vai a casa e apri gli occhi. Aprili e guarda > esclamò con un sorriso vago. Sonic, stoccato da quelle parole, rimase con l’indice puntato mentre Silver iniziò una risata soffocata a stento. Dopo un primo attimo di smarrimento, il blu sorriso forzato.
< sempre gentile eh Blaze? Ma ti ringrazio del consiglio, spero funzioni altrimenti entrerò in piscina senza braccioli. Al mio funerale i sensi di colpa saranno terribili > ringraziò con finta simpatia ed un sorriso tiratissimo. Nel prepararsi per andarsene, il blu lanciò un lungo sospiro, non avrebbe risolto nulla stando lì a chiedere elemosina di informazioni. La gatta gli lanciò un occhialino malizioso, spostando le gambe e balzando in piedi agilissima,
< quando risolverai il problema bacerai i miei passi. Quindi muoviti. Ti aspettano a casa > concluse con tono pacato andando ad agganciare il braccio libero del riccio argento.
< Vado! Vado! > rispose con stizza avvicinandosi alla porta a passi veloci: di certo non aveva voglia di vedere il fuoco e le fiamme della gatta! Prima di andarsene però, augurò al migliore amico buona fortuna per il concorso, tranquillizzandolo per la mancanza all’udienza. D’altronde Justin era salvo al cento per cento, non aveva bisogno di grande supporto morale.
Uscito dalla porta salutò le bambine con una mano ed un bacio, facendosi promettere di essere buone e tranquille almeno per tutta la mattinata. Promessa che non venne mantenuta. Il riccio scese le scale con un sorriso poco spontaneo, le risposte che aveva ottenuto non lo soddisfavano per niente. Comunque aveva fatto centro, qualcosa di grosso bolliva e Amy lo nascondeva a fatica.
Con le mani in tasca, il riccio seguì il consiglio di Blaze e se ne tornò a casa. D’altronde, con Dylan impegnatissimo per il concorso del giorno seguente, era difficile ricavare informazioni e poi sapeva benissimo che il padre adottivo parteggiava per la ragazza. Superare il cancello di ferro risultò fastidioso quanto camminare sulla ghiaia a piedi nudi. Non riusciva a buttar giù il fatto che tutti sapessero quel segreto.
Non voleva rinfacciare la relazione che avevano avuto tempo addietro ma, dopotutto, erano rimasti assieme parecchi anni! Perché non poteva saperlo? A passi lenti si portò sull’entrata dove bussò pacato. Nell’attesa si sistemò in fretta gli aculei e si stropicciò gli occhi sperando di essere più presentabile. La porta si spalancò di colpo e una massa di aculei blu capeggiò l’entrata con un sorriso entusiasta e le manine sui fianchi. Quel metro e una vigorsol faceva sciogliere persino i sassi. Sonic sorrise mentre l’amore che provava per quello scricciolo lo inondava di pace. 
Justin sgranò gli occhi verde menta e trattenne il respiro scoprendo che l’adulto era tornato a casa molto prima del previsto.
< Sonic! Sei tornato! Dove sei stato? > iniziò il piccino trattenendosi a stento dal saltargli in braccio. Il diretto interpellato non resistette e, afferrato il piccolo, se lo caricò tra le braccia sommergendolo di baci.
< Sono stato da Zia Blaze, dovevo parlargli di una cosa molto importante. Dov’è tua madre? > rispose con cautela sistemandogli i capelli mal spazzolati. Il piccolo scostò la testa per non dover sorbirsi quella spazzolata obbligata e rispose educatamente, indicando con un dito le scale che conducevano al primo piano.
< La mamma è su, stava rifacendo il letto. Ma non sembra molto … felice, sembra un po’ giù > rifletté con la voce ridotta ad un sussurro. Il figlioletto era visibilmente preoccupato, le mani attorcigliate attorno ai suoi aculei indicavano chiaramente che era più pensieroso del previsto. L’adulto aggrottò le sopracciglia e lanciò un’occhiata alle scale sapendo benissimo di dover intervenire.
< Rilassati, ci sono qua io ora, vado su e le parlo un po’. Hai voglia di fare un bel disegno nel frattempo? > esclamò il blu portandolo in cucina. Il piccino annuì paziente e si attrezzò con i nuovi colori ed un blocco di fogli infinito, freschi freschi di cartolibreria. Il blu sorrise a quella vista e, come promesso, salì a passi pesanti nel piano superiore. Slegandosi la felpa, un gradino dopo l’altro, il blu impostò un breve discorso mentale. Poche parole ma esaurienti, non voleva peggiorare la situazione e non ne aveva nemmeno voglia. Solo chiarezza e sincerità, quel tanto che bastava per poter convivere assieme senza musi o magoni.
Arrivato di fronte alla porta della camera degli ospiti, dopo un profondo sospiro, tamburellò le nocche sulla superficie liberando un suono legnoso che riempì il corridoio.
< Amy? Posso entrare? > sillabò nervoso cercando di mantenere un tono calmo e pacato. Dall’interno arrivò un fruscio di vestiti e la porta, pochi secondi dopo, si aprì. La ragazza si fermò sullo stipite, ed occhieggiandolo scrupolosamente da cima a fondo, incrociò le braccia al petto cercando dettagli che potessero suggerirgli dove fosse stato.
< Sei tornato > mormorò spostando il peso da una gamba all’altra nervosa. Mancava da due ore nette e quelle ore erano state terribili. Aveva pensato per tutto il tempo a come scusarsi e a come aggiustare le cose. Non era arrivata ad una conclusione ma i sensi di colpa nel vedere il piccolo intristito per la mancanza dell’ignaro padre erano bastati a ridurla in pezzi. Si era così rifugiata in camera pregando per un piccolo miracolo che potesse salvare la situazione all’ultimo secondo.
< Sì e rimarrò appiccicato a te finché non ti sarai confessata > le rispose il blu entrando nella stanza e chiudendo a chiave la porta con un sorriso tirato, non voleva certo che Justin entrasse nel bel mezzo di un litigio. Amy sollevò le sopracciglia dubbiosa ed indietreggiò per mantenere ben chiare le distanze. Si guardarono bene in faccia, occhi contro occhi, pronti a scannarsi o a riappacificare. Nelle loro menti entrambi si ripetevano di mantenere il tono di voce basso e di parlare con calma. Non potevano far altro.
< Bene inizio io > esclamò la rosa sedendosi sul letto accuratamente rifatto. Spostandosi con le mani gli aculei finiti davanti agli occhi, li posizionò dietro le spalle per non essere intralciata,
 < mi dispiace molto per ieri sera. So che ultimamente mi sto scusando senza darti spiegazioni dettagliate ma sono molto, molto confusa. La situazione che dobbiamo affrontare, Justin, tu, io, il resto … è stato un periodo orribile. Ieri sera mi sono comportata come una bambina e non sai quanto me ne vergogno, soprattutto per tutto l’aiuto incondizionato che mi stai dando > mormorò in fretta chiudendo gli occhi imbarazzata. Odiava ammettere di aver torto, soprattutto quando Sonic era di mezzo. Il diretto interessato era ancorato alla porta. Fissava la ragazza in perfetto silenzio rimanendo impassibile di fronte alle sue scuse.
Gli occhi verdissimi la stavano studiando come un falco pellegrino studia la sua preda. Dopo minuti che parvero interminabili, la riccia aprì gli occhi e sollevò le sopracciglia per accelerare una risposta che sembrava non voler arrivare. Nel cervello del blu, informazioni su informazioni venivano macinate a velocità colossale,  ottenendo un’infarinatura della situazione che faceva fatica a digerire. Lanciando un’occhiata fuori dalla finestra fissò lo sguardo oltre il muretto che delimitava la casa, trovandosi ad osservare il camino dell’abitazione accanto.
< Le tue scuse me le merito fino all’ultima lettera: non hai idea di quanto tu mi faccia star male con questo atteggiamento infantile e poco sincero. Oltretutto sto perdendo fiducia in te: dopo quello che è accaduto tra noi pretendo l’onestà più assoluta. Principio che tu non stai rispettando. So bene che c’è dell’altro che mi nascondi, ma non riesco a capire cosa e la cosa mi preoccupa >  si voltò con studiata lentezza e la fissò serio in volto. La luce abbagliante lo rendeva quasi azzurro e gli occhi divennero un prato di erba nuova.
La riccia deglutì a quelle parole, e nonostante il caldo afoso, uno strato di pelle d’oca le risalì il braccio coprendola di puntini rialzati. Non si aspettava quelle parole pungenti ma capiva bene di meritarsele, d’altronde non era altro che la descrizione della realtà e del suo atteggiamento. Dondolando la gamba nervosa la ragazza scosse leggermente la testa per raccogliere più tempo e una risposta sufficientemente furba per distogliere il discorso da quel dettaglio minato. A quel gesto Sonic sbuffò contrariato, non sarebbe riuscita ad ingannarlo, non una seconda volta. Avvicinandosi a lei con un sospiro irritato si acquattò di fronte, trovandosi praticamente sotto il suo sguardo teso.
< Centra con l’ambulatorio no? Ti conosco Amy, non saresti andata là per una stupidaggine > la imboccò lui catturando i suoi occhi e tutta la sua attenzione. Amy si ritrovò a masticare un labbro per non scoppiare in lacrime, non si era mai immaginata quella scena accadere in quel modo. Nella sua testa si svolgeva sempre in stile “Beatiful”: faccia sorpresa, gioia, felicità estrema, famiglia riunita … insomma, tutto tranne le lacrime che stavano zampillando dalle sue  guancie. Sonic sentiva quel muro di protezione sgretolarsi, le lacrime erano i mattoni che crollavano giù: c’era quasi.
Sospirò paziente e appoggiò il mento sulle sue ginocchia, dandole il tempo di asciugarsi il viso con il polso,
< non sarai incinta spero > mormorò a bassa voce con l’intento di strappargli una risata dopo tante lacrime.
< Dio mio no! > rispose in fretta guardandolo accigliata, aveva capito che stava scherzando ma non era stato molto appropriato in quel contesto.
< E allora per cosa? Hai qualche malattia? E’ per Justin?E’ lui che sta male? >, Amy strinse gli occhi con dolore facendo capire che con le ultime parole qualcosa aveva indovinato. Impaziente come pochi, il blu si trattenne di ricoprirla nuovamente di domande, aspettando che i singhiozzi si calmassero.
La rosa si passò la mano sul viso asportando quel che rimaneva delle lucide perle d’acqua
< io … gli sto facendo fare un test >. Il blu aggrottò le sopracciglia stupito, la questione gli sembrava strana e gli ricordava in particolar modo i test condotti sulle cavie facendogli apparire quella confessione come qualcosa di sgradevole.
< Test? Che test? Gli ha fatto male? > esclamò ancor più preoccupato. Amy tacque per un secondo e i rumori attorno a loro sembrarono acquietarsi, le macchine non passarono nella via sempre trafficata, nessuna brezza, nessun clacson, nemmeno la polvere sembrava voler scendere dall’aria .
< Il test di paternità > rispose la ragazza sollevando il viso con studiata lentezza. Sonic rimase in silenzio, completamente assorto dallo studio di quelle parole. Scrollò la testa con decisione, doveva aver capito male, malissimo, non voleva nemmeno pensare ad una cosa così assurda.
< Cosa? > domandò lui, sicurissimo di aver capito qualcosa di molto scomodo.  

Spazio autrice: Buongiorno, ho anticipato con questo capitolo perchè era da un bel po' che se ne stava lì in archivio! Spero vi piaccia!
Segnalate errori e sviste, grazie!
Baci.
Indaco

 

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Capitolo 38
*** Opzioni ***


< Cosa? > esclamò di rimando il ragazzo credendo di aver capito male. Lo sguardo turbato del blu era confuso ed incredulo. Alzandosi in piedi indietreggiò dalla ragazza per farle capire che era terribilmente serio.
Amy respirò a fondo, le mani gli tremavano così tanto che dovette afferrare le coperte per bloccare i tremori. Emanando un profondo sospiro, continuò con coraggio quello che aveva iniziato.
< Hai capito bene, gli ho fatto fare un test di paternità quel giorno > esclamò a voce più alta per non dover ripetere una seconda volta. Sonic aprì leggermente la bocca dallo stupore, impiegando qualche attimo per ragionare.
< t-tu hai dei sospetti …? Perché? E il risultato? Ma come … perché non me ne hai parlato? > balbettò fuori di sé il blu mettendo insieme tutti i pezzi del puzzle. Non riusciva minimamente a crederci che Amy avesse agito in quel modo a sua insaputa, fino a pochi minuti fa avrebbe messo mani e testa nel fuoco per lei, come aveva potuto? La riccia si alzò in piedi e mosse un passo verso di lui con gli occhi che minacciavano di ricacciare qualche altra lacrima. Respirando profondamente continuò decisa.
< vedi anche tu che sembrate fotocopie no? Stessa pelle, stessi occhi, stesse capacità, io … non sono più molto sicura >. Sonic impallidì e si appoggiò all’armadio dietro di sé venendo assorbito dal problema che sarebbe sorto se quel test fosse risultato positivo.
Gli occhi sgranati comunicavano tutto il suo terrore.
< perché non mi hai detto niente? Perché mi hai tenuto nascosta una cosa del genere? > sillabò incredulo iniziando a capire che forse sarebbe diventato padre da lì a qualche giorno. La confusione e la paura che provava in quel momento era qualcosa che non aveva mai provato. Non stavano parlando di un animale domestico o altro, stavano parlando di un bambino. Se fosse stato suo, il mondo si sarebbe capovolto nel giro di dieci minuti. Per quanto in quei giorni lo avesse desiderato immensamente, la prospettiva che il suo desiderio potesse avverarsi era spaventosa: sarebbe stato in grado di essere un buon padre? E Justin l’avrebbe voluto? Era una svolta di dimensioni ciclopiche ed il fatto che Amy non gliene avesse accennato nemmeno di una virgola lo faceva innervosire come non mai.
La rosa, che stava pesando ogni parola di quello che avrebbe detto, abbassò la testa dispiaciuta facendo cadere un aculeo di fronte al viso.
< Non volevo illuderti, so che ci tieni parecchio a lui e non volevo darti false speranze > rispose cautamente osservando il pavimento chiaro della camera. Era una mezza verità, più o meno, essenziale però per capire cosa il riccio pensasse di quella possibilità.
Il blu si portò le mani sulla testa.
< cazzo! Che meravigliosa idea! Così hai deciso di informarti senza nemmeno un parere o un consenso! Hai idea di cosa significhi per me? Potrei diventare padre da un giorno all’altro! Potevi anche avvisarmi! E poi, spiegami, cosa hai usato per comparare il dna di tuo figlio con il mio? > sbottò furioso il ragazzo portando le mani sui fianchi. I suoi pensieri, sempre più accartocciati tra loro, si stavano moltiplicando ad ogni battito di ciglia. Cosa avrebbe fatto nel caso fosse risultato positivo? Non poteva di certo dirglielo al piccino così! La notiziona l’avrebbe sconvolto completamente!
< Bhe, ho usato degli aculei tuoi: nelle spazzole ce n’erano a centinaia > si giustificò la ragazza con occhi bassi e con espressione mortificata. Il riccio rollò gli occhi, sembrava che per lei fosse tutto un enorme gioco, una specie di “indovina chi … è il padre”. Portandosi le mani sulle tempie si sforzò di ragionare lucidamente eseguendo dei movimenti rotatori con le punte delle dita.
< C-cosa farai se il risultato sarà positivo? > balbettò la riccia lanciandogli una veloce occhiata indagatrice. Diversamente da come si aspettava, il ragazzo era così scosso da farle pensare che quella possibilità non gli piaceva affatto. Che ne sarebbe stato del piccino in quel caso? Il ragazzo le lanciò un’occhiataccia.
< cosa faremo semmai! Di certo non mi tirerò indietro Amy, anzi, mi stupisco che tu possa pensare una cosa del genere > gli rispose di rimando sentendo la rabbia farsi strada in gola. Bastò il tono di voce a scansare qualsiasi dubbio, Amy si protrasse leggermente in avanti
< non dubito di questo, il problema è se tu saresti felice se Justin fosse tuo. Un conto è accettare la cosa e andare avanti come se nulla fosse, tutt’altra cosa è esercitare il ruolo >.  Il blu indietreggiò e lanciò un’occhiata preoccupata fuori dalla finestra.
< io … non lo so, sarebbe una notizia così immensa. Mentirei se dicessi che non ho paura o che ho le idee chiare > rispose innervosito attraversando la stanza a grandi passi.
< Di certo, però, se dovesse risultare positivo, glielo diremo il prima possibile, anche se non cambierà di certo il fatto che non ci sia stato per ben quattro anni > mormorò carico di preoccupazione e rabbia. La sua testa sembrava un libro di storia, contenente notizie, date, avvenimenti e pensieri di qualsiasi tipo. Accanto alla finestra, fissava il giardino non prestando neppure un briciolo di attenzione. Un figlio. Da un giorno all’altro. In quel momento gli sembrava più una tragedia che una sorpresa.
Justin avrebbe mai potuto sostituirlo a Jason? Chiamarlo papà e tutto il resto? Deglutì nervoso stringendo il davanzale di marmo freddo fino a far dolere i nervi.
< Quando sarà pronto il risultato? > domandò ansioso lanciando un’occhiata fredda alla ragazza. Dispiaciuta e realmente pentita, la riccia era immersa nelle sue riflessioni, perlopiù riguardanti il dramma che stava vivendo. Non era stata sincera come avrebbe voluto, sapeva al cento per cento che il figlioletto conteneva i geni di Sonic e lo sapeva da tempo immemore. Certo, per fortuna si era limitata ad annunciargli la possibilità di paternità: il ragazzo era già uscito di testa, giustamente. Ed era incazzato, molto incazzato con lei per avergli nascosto quel test, anche se la preoccupazione per la responsabilità che avrebbe dovuto assumersi nascondeva bene tutta quella rabbia. < Domani mattina >  replicò asciutta non staccando gli occhi dall’anta dell’armadio.
Gli occhi del blu si sgranarono.
< che cosa!? Ma domani mattina c’è l’udienza! Come faremo!? > esclamò sconvolto portando le mani sulla testa in un gesto di disperazione. Le pupille ingrandite sembravano voler inghiottire l’intera stanza tanto erano dilatate. Amy tentò inutilmente di calmarlo: balzando in piedi si avvicinò a lui spiegandogli che aveva già organizzato di andare a prenderlo non appena l’ospedale avrebbe aperto e promettendogli solennemente di verificare il risultato una volta assieme.
Sonic non riuscì a calmarsi davanti a quella promessa: non si fidava della ragazza, a malincuore, ma temeva che avrebbe letto il risultato ancor prima di entrare in macchina. Non glielo disse esplicitamente, ma probabilmente la ragazza lo intuì vedendo che i tratti del viso del compagno non accennavano a rilassarsi. Sentendosi ancor più in colpa per il comportamento scorrettissimo che aveva mantenuto fino a quel momento, Amy abbassò il viso concentrandosi sul pavimento e sospirando. Nulla era andato come aveva desiderato.
Non avendo più niente da comunicargli, deluso e arrabbiato dal comportamento della ragazza, dopo quelle specificazioni Sonic barcollò fuori dalla stanza in preda al panico. In meno di ventiquattro ore sarebbe potuto diventare papà. L’idea lo terrorizzava: la sua vita si sarebbe legata in maniera indissolubile al piccino. Come si comportava un genitore? Sarebbe stato bravo? Justin avrebbe accettato e, soprattutto, gli avrebbe fatto piacere? Scendendo le scale con le gambe tremanti come gelatina, sentì il bisogno irrefrenabile di una corsa che potesse schiarirgli le idee e lo aiutasse a programmare la sua vita. Mancavano un paio di gradini al pian terreno quando il piccino comparì di fronte al ragazzo con un sorriso curioso.
Nonostante fosse rimasto concentrato a captare qualsiasi informazione dal piano di sopra, non era riuscito a sentire nemmeno una parola del discorso fatto da Sonic e dalla mamma. Sperava ora che il blu sbrodolasse fuori ogni minimo dettaglio di tutto ciò che aveva discorso nelle camere superiori. Ad una semplice occhiata Sonic però sembrava non stare troppo bene: impalato sul penultimo gradino lo stava fissando con sguardo preoccupato e completamente assente. Lo stesso sguardo che aveva ricevuto la prima volta che si erano incontrati: incertezza e sorpresa. Justin non riuscì a non chiedersi cosa fosse accaduto di così grave. Gli occhi dell’adulto si allungarono sul bimbo come il loro primo incontro: non riuscì a non riscoprire, con preoccupante sgomento, il colore blu lucente della pelle, gli occhi color menta e la sua incredibile velocità. Deglutì capendo bene che se avesse continuato a guardarlo, la percentuale della sua possibile paternità sarebbe aumentata di secondo in secondo. Il piccolo, stranito da quell’atteggiamento, piegò appena la testa e spense il sorriso.
< Tutto bene Sonic? Cosa ti ha detto la mamma? > interrogò il riccetto avvicinandosi a lui di un altro passo. Capiva benissimo che era successo qualcosa tra loro. Preso dal panico, l’adulto si scostò e si allontanò dal suo copione in miniatura di qualche passo, causando il completo sbalordimento del bambino che non capiva il perché di quel gesto rude.
< I-io vado fuori. T-tu stai qui e fai il bravo, torno subito > mormorò angosciato il ragazzo allontanandosi dal bambino a grandi passi. Necessitava di aria, ossigeno fresco, elemento che in quella casa stava esaurendo ad ogni respiro.
< No! Non di nuovo! Resta con noi Sonic! > esclamò il piccino allungando un braccino per tentare di afferrare i pantaloni o la maglia del ragazzo già sull’uscio di casa deciso a volarsene lontano. Il richiamo lamentoso e supplichevole del cucciolo richiamò l’attenzione della madre, già sulla soglia delle scale pronta a proteggere il suo piccolo da qualsiasi, qualsiasi cosa.
< Justin! Lascialo. Tornerà, non preoccuparti, sono stata io a dirgli di prendere un po’ d’aria > mentì la ragazza scurendosi in volto. Avvicinandosi energica al figlioletto lo raccolse da terra e lo strinse forte a sé, accarezzandogli i capelli vaporosi in un vano tentativo di consolazione. Justin non staccava gli occhi, carichi di incertezza, da quelli angosciati dell’adulto. La ragazza fulminò il blu per la mancanza totale di tatto, chiedendosi se quello che gli aveva detto riguardo il piccino fosse vero o meno: ci teneva davvero al piccolo o lo stava usando al solo scopo di intrattenimento? Sonic fece un veloce dietrofront e, chiusa la porta di scatto, si allontanò in una scia blu.
Rimasero lì impalati per qualche minuto, stretti l’un l’altro.
Madre e figlio fissarono entrambi la porta come se il ragazzo avesse detto loro di tornare tra qualche minuto. Amy conosceva bene il riccio: quella corsa a perdifiato sarebbe durata diverse ore. Sarebbe tornato solamente una volta deciso come affrontare il problema. Il piccolo, con ancora gli occhi sgranati, avvolse il collo della madre con le braccine, affondando il viso sulla sua spalla. La riccia, sentendo il piccolo appoggiarsi a lei, lo strinse forte a sé lasciandogli un bacio sulla testolina.
< E’ per colpa mia? > borbottò con voce soffocata stringendosi ancor di più alla madre. Affranto da quel comportamento così inusuale, Justin temeva con tutto se stesso che il loro coinquilino fosse arrabbiato con lui. Eppure gli sembrava di essersi comportato bene, perché allora si era comportato in modo così freddo? Amy sospirò a fondo e si spostò in cucina cercando le parole adatte per tranquillizzarlo. Facendolo sedere sulla tavola, gli scostò i piccoli aculei dalle spalle armata di sorriso.
< No, non è affatto colpa tua, stai tranquillo. Ha solo bisogno di sfogarsi un po’, tra poco tornerà e sarà quello di prima. Te lo assicuro! Io e lui ci conosciamo da una vita e posso assicurarti che è il suo modo di sfogarsi > replicò cercando di convincerlo.
Justin non le rispose e guardando le piastrelle del pavimento rimuginò sul suo comportamento chiedendosi dove avesse sbagliato.

Le ore passarono e il riccio non ritornò neppure all’ora di cena. L’umore in casa era dei peggiori: con il calare del sole si appesantiva sempre più. Il piccino rimase un bel pezzo accanto alla finestra nella speranza di vedere la sagoma del ragazzo ritornare, con evidente delusione quando, troppo stanco per rimanere ancorato al vetro, si staccò e si lasciò cadere sul divano con evidente malumore. Amy era semplicemente furiosa per il comportamento immaturo che stava dimostrando in una situazione del genere. Ovviamente non si aspettava sciabolate di prosecco e caviale da parte sua, ma almeno una chiacchierata tra adulti a tu per tu non gliela toglieva nessuno.
I dubbi che avrebbe voluto estinguere si ampliarono, Sonic sarebbe stato seriamente felice di diventare padre del piccolo? Voleva davvero così bene al bambino come più volte aveva ribadito? Sarebbe stato un buon padre? Il suo cuore le dava la conferma senza nemmeno pensarci, la sua testa, analizzando situazione per situazione, era molto più restia a rispondere in modo positivo. Ed una volta messo a letto il figlioletto che si era giustamente arrabbiato, Amy non riuscì nemmeno a concentrarsi sull’udienza del giorno dopo.
Seduta sul divano stringeva il cuscino al petto appoggiando la fronte su di esso. Ogni muscolo del suo corpo sembrava chiederle pietà e un buon sonno ristoratore, sonno che comunque non sarebbe arrivato nemmeno se avesse preso un sonnifero. La voce del televisore abbassata al minimo la aiutava a rilassarsi e, soprattutto, a riempire il silenzio che le si era creato attorno. Perché quel cretino tardava tanto? Forse si era fatto male? Che scusa avrebbe rifilato a Justin quando avrebbe dovuto comunicargli che Sonic era il suo vero padre? Tentò di rispondersi, di inventare scuse e accaduti che potessero risultare quanto meno credibili al piccolo riccio.
Non sapeva che ore fossero quando sentì le gambe e le braccia intorpidirsi, ma era indubbiamente tardi visto che alla tv davano da venti minuti solamente pubblicità. I suoi occhi erano infastiditi e secchi, venature rosse tracciavano disegni sanguigni e il sonno dimostrava benissimo di non arrivare nemmeno quella notte. Stava per decidere se fumarsi una sigaretta o meno, quando un rumore metallico richiamò la sua attenzione.
Alzando la testa dal cuscino in un primo momento non capì bene cosa stesse accadendo, la situazione si fece più chiara quando una massa informe di aculei entrò nella stanza. Convinto di essere solo, Sonic sospirò e si tolse meccanicamente le scarpe coperte di fango, depositandole sul tappeto. Chissà cosa avevano passato quelle snikers. Il blu si riavviò gli aculei e si tolse la leggera felpa che aveva portato con sé.
L’aspetto trasandato e i capelli arruffati tradivano lo sguardo tranquillo e rilassato impresso sulla sua faccia. Si accorse della ragazza solamente quando si addentrò nel salotto per lanciare il capo sul divano. Amy, arroccata e avvolta da una leggera maglina, era furibonda, poteva leggergli gli occhi come la ricetta del tiramisù. Fermandosi nel centro del salotto emise un profondo sospiro, non aspettandosi di certo di trovarla in piedi carica come una molla.
< Ehm … ciao Amy > mormorò a bassa voce capendo che la strigliata non gliela avrebbe tolta assolutamente nessuno. La riccia non gli rispose, lo guardò da capo a piedi e una volta assicuratasi che il blu stesse meglio di lei si concentrò sulle parole che gli ronzavano in testa da ore. Da dove cominciare? Massaggiandosi le palpebre mosse anche le gambe che si ripreso dal formicolio dopo ore di immobilità.
< Ti rendi conto che ore sono? >, il riccio incrociò le braccia e si grattò la testa, consapevole della situazione in cui si trovava.
< tardi, lo so benissimo. Ma se fossi tornato prima probabilmente non ti direi ciò che voglio dirti ora > introdusse avvicinandosi a lei e sedendosi al suo fianco. Il divano scricchiolò sotto il suo peso e Amy lo guardò con le sopracciglia aggrottate.
< Pensi che basti così poco per risolvere la situazione e far finta che vada tutto bene? Lo sai che è rimasto li di fronte a quella cazzo di finestra ad aspettarti per tutto il giorno? Sai che ti sei comportato di merda oggi? E non ti giustificherò con la notizia che ti ho dato, siamo adulti e vaccinati e di fronte a lui pretendo la massima maturità! Oggi l’hai scansato come la peste. Hai idea di quanto ci sia rimasto male? Ovviamente no visto che non ti sei degnato di ritornare prima delle due di notte! > le parole della riccia sembrarono rimbalzare su uno scudo invisibile che il blu si era creato. Sonic rimase impassibile, si limitò ad aggrottare le sopracciglia e a giocherellare con un aculeo caduto di fronte al volto. Un breve silenzio si intercorse tra loro.
< Forse sarebbe stato diverso se tu ti fossi degnata di avvisarmi in anticipo. Oltretutto, cosa ancor più grave, hai fatto questo test senza chiedermi né un parere né qualsiasi altra cosa. Mi ha fatto piacere notare quanta importanza mi dai > esclamò con ironia < ma non posso che darti ragione su un punto: non mi sono comportato affatto bene con Justin. Mi dispiace per il mio atteggiamento immaturo, ero sconvolto dalla notizia: domani forse diventerò padre. Diventerò il papà di un bambino di quattro anni che non conosce altro che l’esperienza negativa con Jason. Non ho idea di cosa fare > gli occhi verdi menta, strafottenti, si posarono su quelli della ragazza in cerca di risposte che potessero aiutarlo nel caso il risultato fosse risultato positivo.
La riccia, colpita dalle sue parole, non replicò immediatamente, cercò delle risposte a quel problema che aveva messo momentaneamente in secondo piano.
< Anche tu hai ragione in parte ma come ti ho già detto questa mattina non volevo crearti false illusioni. Per quanto riguarda Justin posso solo assicurarti che lui ne sarebbe felice. Nemmeno io so come potremmo dirgli la verità, dobbiamo riflettere a fondo. E tu non devi preoccuparti troppo, saresti una benedizione ai suoi occhi, sostituirti con Jason sarebbe la migliore delle soluzioni per lui > replicò con tono leggermente staccato. Il cuscino che stringeva al petto era ormai striminzito e appiattito contro di lei quando le cadde di mano ricordandole del tardissimo orario.
Sonic stava fissando il pavimento e quando lo vide rotolare giù si accinse a raccoglierlo e a porgerglielo in modo sbrigativo.
< E tu? Saresti felice se il padre fossi io? > l’apostrofò cercando di apparire indifferente a quella domanda. Amy arrossì e iniziò a torturare la sua solita ciocca di capelli. Non avrebbe voluto dargli anche quella soddisfazione, ma trattando quell’argomento capì che era necessario essere sinceri al cento per cento.
< Certo che sì, se come hai detto, sempre che sia vero, vuoi davvero prendere parte al tuo ruolo ne sarei felice. Non è facile essere genitori come avrai notato ed essere in due aiuterebbe molto > replicò sintetica afferrando il cuscino e riportandolo al petto. Le dava una specie di protezione quell’ammasso di stoffa e ovatta.
< E te? Saresti felice? > il riccio appoggiò la schiena al divano e iniziò a girarsi i pollici.
< Oggi quando me l’hai detto mi sentivo sopraffare dalla notizia, ero terrorizzato. Il bambino è già presente, ha avuto un rapporto difficile con quell’altro ed ha già quattro anni. Poi ho pensato a quanto è stato bello e quanto mi sono sentito fortunato quando siete arrivati qui quella notte: non lo dimenticherò mai. E poi Amy io lo adoro, lo adoro veramente, per lui farei qualsiasi cosa pur di vederlo felice. Così ho capito: voglio essere suo padre Amy. Anche se quel test sarà negativo non cambierà la mia posizione. Voglio prendermi cura di lui, voglio crescerlo e voglio stare assieme a lui. E se tu vorrai lo faremo assieme, cercheremo di essere una famiglia normale. Mi impegnerò al massimo per fargli dimenticare Jason e come vi ha trattati e sì, se dovesse essere mio ne sarei felice Amy, sarei straordinariamente felice di avere un figlio da te > la riccia non gli diede modo di concludere o di aggiungere dettagli ulteriori a quella dichiarazione.
Con una lacrima ed una risata nervosa lo investì in pieno, avvolgendogli le braccia attorno al collo. Senza aspettare nessun segnale, la riccia incrociò le labbra con quelle del ragazzo, dando sfogo a tutta la gioia che tumultuava nel suo petto. Il blu non perse tempo e ricambiò quel gesto affettuoso con uguale impetuosità, trascinandola in una rovinosa caduta tra i vari cuscini sparsi per tutto il divano.


Spazio autrice:
Buonasera a tutti, spero che anche questo capitolo vi possa piacere. Ringraziando calorosamente chi ancora sta seguendo questa storia, ricordo di segnalare errori o sviste così da poterli correggere.
A presto.Baci.
Indaco

 

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Capitolo 39
*** Processo 1 ***


Amy sbuffò impaziente, imbottigliata in mezzo al traffico si stava squagliando come un gelato al sole. La lunga colonna che aveva di fronte a sé bastava ad esaurire la sua scarsa pazienza. Lanciando un’occhiata veloce al cellulare notò che era stramaledettamente in ritardo. Un brivido di panico le rotolò giù dalla schiena. La paura che provava era qualcosa di indescrivibile, non vedeva l’ora che fosse tutto finito per poter ricominciare la sua nuova vita.
Quasi per calmarsi riguardò con un fremito l’enorme busta bianca adagiata con la massima cura nel sedile accanto. Invece di tranquillizzarla, però, le scatenò una tempesta di lampi e saette: e se l’esito fosse risultato negativo? Il risultato non era garantito al cento per cento. La voglia di scartabellare quella dannatissima busta e rovistare il contenuto da cima  a fondo era tanta, tantissima. Le sarebbe bastato circa mezzo minuto per aprirla con cura e far scivolare i fogli fuori. Ma aveva promesso. Scartò a malincuore l’idea e lanciò un’imprecazione.
Justin quella mattina era stato consegnato alla baby sitter con tanto di panico e buone raccomandazioni. La ragazza di appena sedici anni aveva tentato di tranquillizzarla ma non era servito a molto. Oltretutto, a peggiorare la situazione, il bambino si era svegliato arrabbiatissimo con Sonic per essere mancato tutto il pomeriggio del giorno precedente. Non aveva voluto nemmeno salutarlo quando si era avviato all’ufficio del signor Stanghelf di prima mattina e ora la rosa non vedeva l’ora di andare a riprenderselo e risolvere quei problemi familiari.
Ma prima c’era qualcos’altro da sistemare.

Il tribunale era gremito di persone, la grande sala d’attesa era così affollata che Sonic temette di soffocare in mezzo a quel trambusto. Avvocati, casalinghe, poliziotti, semplici spettatori, segretari, vittime e quant’altro, il brulicare di quel formicaio di guai lo rendeva nervosissimo. Il brusio concitato e agitato gli stava perforando l’orecchio come una trivella. Gente che strillava e gesticolava, neonati in crisi di identità che sembravano voler farsi scoppiare i polmoni, risate e pianti animavano quel palazzo gigantesco.
Affiancato dal dott. Stanghelf, il riccio blu attendeva impaziente il suo turno in quel via vai di gente. L’udienza precedente era ancora in corso e il ritardo spaventoso non faceva che aumentare l’ansia che già provava. Brividi di sudore freddo gli colavano sulla schiena facendo aderire la camicia immacolata alla pelle. Deglutendo nervoso, lanciò un’altra occhiata alla grande porta d’entrata sperando di vedere la ragazza rosa entrare.
< Ormai dovrebbe essere qui … > mormorò a bassa voce controllando nuovamente l’orario dallo schermo del cellulare. Accanto a sé, l’avvocato era immerso in alcuni appunti: abituato a quello scempio e a tutto quel ritardo attendeva con pazienza, l’unica cosa concessa in quei momenti così delicati.
< Non vedo Jason, cosa succederà se non dovesse arrivare? > domandò nervoso sistemandosi gli aculei già perfettamente in ordine. L’avvocato sollevò gli occhi grigi dalle pagine scribacchiate a mano e fissò il cliente con un sorriso tranquillizzante,
< il signor Jason ed il suo avvocato sono già qui ma nell’altra sala, il collega mi ha avvisato tramite mail > spiegò con calma lisciando i fogli del block notes. Sonic rollò gli occhi iniziando a dubitare dell’esito positivo di quell’udienza.                                                                                                                                            
Dopo pochi secondi la porta centrale della sala venne aperta indicando che era arrivato il suo turno. L’entrata vomitò un fiume di animali antropomorfi, era facile vedere chi aveva vinto e chi aveva perso: le facce abbattute e quelle vittoriose erano impossibili da non notare. Lentamente, una dietro l’altra, sfilarono tutte fuori da quel contenitore così severo.
La sala vuota era di forma rettangolare, in fondo alla stanza, in posizione centrale, una tribuna alzata da terra capeggiava una cinquantina di banchi di semplice legno posti in due file separate. Sul lato sinistro della stanza un’altra porta di uguale dimensione era aperta e fu proprio da quella che Sonic vide e conobbe per la prima volta Jason: quello stronzo che aveva dato il via a quell’infinito giro di problemi e aveva inflitto tanta tristezza al suo piccino.
Il riccio avversario era alto, la pelle era di un profondo blu notte e gli aculei cortissimi mettevano ben in evidenza un piercing ad un orecchio. I jeans neri e la camicia mal stirata grigio fumo erano coperti di pieghe.  L’avvocato al suo fianco era un leone biondissimo con qualche spruzzo d'argento tra i capelli, il viso tradiva un’espressione soddisfatta e sicura di sé finché non incrociò lo sguardo con gli accusati. Sonic raggelò non appena vide che i due puntavano dritti a loro con passo svelto e deciso.
La volpe al suo fianco si alzò educatamente borbottandogli di mantenere il controllo e di restarsene in silenzio nel caso avessero domandato qualcosa. Il blu annuì veloce non staccando gli occhi dai due di fronte che parevano avere una gran fretta di presentarsi. Allargando le braccia orgoglioso, il leone si piazzò di fronte a loro porgendo la mano, le unghie affilate facevano bella mostra sulla punta di ogni dito.
< Buon giorno caro collega, tutto è pronto oggi! Concluderemo le nostre lunghe comunicazioni finalmente. Bando alle ciance, vi presento Jason, il mio cliente nonché suo accusatore > esclamò rilassato l’avvocato indicando con un cenno della testa il ragazzo al suo fianco. Il signor Stanghelf strinse professionalmente la mano al felino ignorando completamente il riccio alle sue spalle. Diversamente, Sonic non riusciva a staccare gli occhi dall’ex di Amy: i due si studiavano  a vicenda. Nessuna somiglianza intercorreva tra loro, ma il rancore e il desiderio di vincere era uguale in entrambi.
Una sfida silenziosa saettava tra loro e Sonic non si sarebbe stupito se da un momento all’altro avesse ricevuto un pugno da parte del riccio avversario. Le occhiaie profonde e il ghigno stampato in faccia lo rendevano terribilmente inquietante, capiva meglio ora perché Justin lo avesse sognato così tanto.
La volpe verde muschio si sistemò gli occhiali sulla punta del naso per mettere meglio a fuoco il viso dei due
< finalmente riesco a vederla di persona > esclamò rivolgendosi al collega di fronte a lui
< ma soprattutto sono felice di chiudere questo caso per la serenità del mio cliente > rinvangò con furbizia ed un sorriso enigmatico.
< Tutti noi lo vogliamo, assicurare giustizia a chi si rivolge a noi è il nostro lavoro no? > replicò il leone sorridendo. Le zanne, a quel gesto, sbucarono fuori dalle labbra brillando minacciose.
Il commento pungente venne accolto con un sorriso sarcastico e piuttosto enigmatico,
< appunto, vinca la verità allora > concluse sbrigativo concludendo in modo chiaro e tondo il discorso.
I due non aggiunsero altro e lasciato cadere il discorso, con un sorriso tirato girarono i tacchi e presero posto nel banco affianco al loro. Sonic sentiva il cuore balzare fuori dal petto.
Si girò nuovamente e guardò l’entrata sperando di veder entrare la ragazza rosa, pronta a dargli man forte in quella terribile situazione. Venne distratto dal tocco leggero dell’avvocato sul suo braccio,
< arriverà, dia tempo al tempo e si rilassi: andrà tutto bene glielo assicuro > esclamò sicuro di sé con quel sorriso furbetto. Rincuorato, il blu si sedette al suo fianco respirando profondamente, dove caspita era finita? Quanto desiderava la sua presenza in quel momento!
I suoi pensieri catastrofici furono interrotti quando le porte alle loro spalle vennero chiuse con un tonfo dichiarando l’apertura dell’udienza. Tutti i presenti si irrigidirono, oltre ai due ricci, più corrispettivi avvocati difensori, nella sala erano presenti altre figure che conosceva solo approsimatamente, ma la metà di essi sembravano annoiati da quella routine.
Un procione striato con una corta giacca nera si alzò in piedi con fare solenne dal suo seggio,
< signori e signore, vi prego di alzarvi in piedi per l’arrivo dell’onorevole giudice > esclamò con tono affettato e curato.  Con un movimento del braccio indicò esageratamente una piccola entrata dotata di tende bordeaux che si scostarono con impazienza quando emerse una civetta dotata di toga nera e di un espressione infastidita.
Sonic deglutì nervoso, si sentiva le gambe molli come marmellata.
Due colpi ben assestati con il martelletto di legno dichiararono l’inizio dell’udienza. Shierata in piedi, il giudice squadrò a fondo i due combattenti prima di procedere, soffermandosi in particolar modo sui due ricci.
< Bene iniziamo: signor Stanghelf, lei e il suo cliente siete qui oggi perché il signor Jason chiede la custodia del suo figlioletto poiché non vede da parte della madre e del suo nuovo compagno l’adeguata serietà e capacità di prendersi cura del bambino. Ci ha riportato infatti che la madre è scappata nel cuore della notte rapendo il figlio pur di raggiungere il compagno. La ragazza, che mi chiedo perché non si trovi qui, non lavora e si appoggia economicamente al signor Jason > elencò leggendo il foglio che teneva tra le mani, probabilmente alcune note scritte dal leone esaltato.
< Ed inoltre, ed è il fatto che più mi preoccupa, ci ha raccontato che suo figlio ha rischiato di morire per una disattenzione del vostro cliente, no? Il fiume in piena è un pericolo prevedibile signor Sonic, mi chiedo come abbia potuto portare un bambino di quattro anni in un posto del genere > continuò squadrando il sopracitato da sopra le lenti.
Il riccio blu rimase di sasso con la bocca semi aperta: erano perfettamente aggiornati su tutto! Persino l’incidente avvenuto al fiume! La volpe verde al suo fianco raddrizzò le spalle e si sistemò la cravatta nervoso: le vicende non si erano svolte proprio in quel modo, si appuntò di correggere tutti gli errori raccontati in quei fogli.
< Ma non ho concluso purtroppo, il signor Jason ha affermato che lei e la madre avete vietato a Justin di vedere il suo legittimo padre nonostante lo abbia richiesto molto spesso. Lascio la parola al signor Jason > la giudice si risedette rigida, sfogliando le pagine del piccolo ma ricchissimo fascicolo che aveva sottomano. Sonic stava per esplodere dalla rabbia, dentro al petto sentiva un fuoco che avrebbe bruciato persino l’anima corrotta del cretino che se ne stava dritto in piedi. Quelle accuse infondate erano state inventate di sana pianta e quella sciocca civetta sembrava interessata solo ad una versione dei fatti: quella dove lui era colpevole.
Stringendo i pugni fino a farsi male, si sedette a fatica visto che le gambe non avevano la minima intenzione di piegarsi.
Jason, ritto in piedi, non tentò di mostrarsi avvilito o arrabbiato: freddo come il ghiaccio iniziò a raccontare la sua versione dei fatti in modo distorto e soprattutto non attenibile a quello che era veramente accaduto.
L’avvocato Stanghelf ascoltò con la massima cura e attenzione tutta la narrazione, scribacchiando appunti su un lato del block notes: una veloce e semplificata scaletta delle cose che avrebbe voluto contestare. In più punti Sonic si sarebbe alzato con la voglia di spezzargli il collo, ma trattenuto dal timore di peggiorare la situazione rimase immobile ad assorbirsi tutte quelle accuse senza poter contestare.
< Concludo: per amore verso il mio unico e amato figlio chiedo che venga affidata a me la sua custodia. Come già detto reputo che la mia ex compagna e il suo attuale fidanzato non riescano a gestire il bambino > concluse brevemente guardando fisso davanti a sè.
Un tuffo al cuore bloccò il riccio che tremava di rabbia a sentire quelle parole: riuscì appena a lanciare un’altra occhiata alla porta d’entrata con la speranza di vedere la ragazza rosa entrare. Se solo ci fosse stata lei a darle manforte.

< Bene, grazie signore, ora passiamo al fidanzato della sua ex- compagna. Signor Sonic può integrare o ribadire quello che è stato precedentemente detto dalla parte lesa > esordì la giudice che pareva molto presa dalla narrazione della vicenda. Il riccio blu deglutì, lo stomaco gli sembrava un palloncino di carne sgonfio e tremolante. Alzatosi lentamente in piedi emise un profondo sospiro: voleva essere convincente e sincero, voleva farle capire tutto il bene che provava verso i suoi coinquilini ma soprattutto voleva che capisse che era perfettamente in grado di gestire il baby riccio blu.
Posando gli occhi verde evidenziatore su quelli giallo grano della civetta prese a raccontare tutta la sua versione dei fatti.


Amy parcheggiò l’auto lontanissima, i parcheggi in centro città erano qualcosa di introvabile ed in quel momento non aveva nemmeno il tempo di rifare il giro per la terza volta di fila. Scendendo dall’auto al volo si mise letteralmente a correre, l’elegantissimo tailleur e la borsa abbinata sbatacchiavano continuamente uno contro l'altra. La preziosa busta nell’altra mano era ben stretta al petto, lì si celava la sua salvezza.
Sorpassò un semaforo e una graziosa fioreria, rischiando di inciampare tra un vaso di gerbere e uno di margherite bianche. Il petto si abbassava e si sollevava a ritmo irregolare, il respiro mozzato e il gran caldo le provocarono un leggero capogiro ma decisa a non fermarsi imboccò le strisce pedonali di volata.  Scostandosi la massa di capelli dalle spalle prese altro ossigeno e iniziò nuovamente la sua corsa. La gente sulla strada la guardava stranita e più di una volta si prese un’occhiataccia malevole dai passanti, ma in quel momento non aveva tempo da perdere.
Un centinaio di metri dopo arrivò di fronte al tribunale. L’edificio colossale era un vecchio palazzo appena riassestato con gli ultimi interventi edilizi. La porta principale era raggiungibile attraverso una lunga scalinata. Scalinata che fece due a due per raggiungere il prima possibile l’entrata.
Pullulante di gente, l’atrio era un formicaio di vite, decine di cartellini indicavano la direzione delle varie sale mentre impiegati, segretari, avvocati, ospiti, osservatori, alunni e quant’altro si spostavano da un piano all’altro con assoluta disinvoltura.
Completamente stordita dalla corsa e dalla confusione ruotò su se stessa cercando con lo sguardo il cartellino in cui era segnata la sala dell’udienza. I suoi occhi caddero per miracolo nelle indicazioni per la sala assegnata e senza perdere tempo volò al secondo piano rischiando di spezzarsi una gamba e di far ruzzolare dalle scale una signora anziana, impegnata in una scalata con una costosa borsa al braccio.
La riccia raggiunse il suo obiettivo completamente senza forze: la milza le doleva da morire e le gambe le tremavano come budini. Attaccandosi al corrimano respirò affannosamente mentre due ciocche di capelli le scivolarono davanti agli occhi impedendole la visuale. La porta della stanza si trovava esattamente di fronte a lei: le porte saldamente chiuse indicavano che l’udienza era iniziata già da parecchio e che lei era penosamente in ritardo.
Il suo pensiero volò a Sonic, completamente solo assieme ad uno squalo come Jason. Si ricredette subito però, a volte si preoccupava per nulla: Sonic era capacissimo di difendersi e soprattutto non aveva certo paura di quell’individuo. Ne aveva lei, semmai, di paura. Sapere che dietro quella porta c’era Jason le metteva una terribile ansia. Lisciando la busta ormai lisa e stropicciata emise un sospiro, doveva consegnarla al più presto. Facendosi forza, si appoggiò allo stipite e mormorata una preghiera spalancò la porta.
Sonic, intento ad ascoltare il commento rovinoso dell’avvocato di Jason, continuava ad imprecare sottovoce: ma dove si era cacciata quella riccia? Forse era stata bloccata all’esterno? O forse, ipotesi ancor più peggiore, aveva deciso di non venire? Lanciando la settantacinquesima occhiata malevola verso la porta sospirò abbattuto, ritornando a prestare attenzione al leone inalberato di fronte al giudice.
L’elenco delle motivazioni per cui, secondo Jason, il piccolo non doveva essere affidato a lui erano incontabili come il numero delle stelle nel cielo. Persino i motivi più strani e le più illogiche delle riflessioni erano state lanciate contro di lui, facendo infuriare il riccio più di una volta.
L’avvocato suo difensore, invece, prestava la minima attenzione alle parole del suo collega, continuando ad appuntare sul suo curatissimo quadernino un’infinità di note. Il riccio provava ad imitarlo ma le offese rivolte a lui e alla sua compagna lo irritavano come null’altro al mondo.
Stava per lanciare un’altra imprecazione quando la porta alle sue spalle cigolò pesante e dei passettini affrettati coprirono per un attimo le parole del leone, che le lanciò un’occhiata sorpresa.
Bastarono quei passi a sollevarlo, li avrebbe riconosciuti tra mille, si girò per accertarsi, inutilmente, che fosse realmente la riccia rosa. Instabile su un paio di tacchi, Amy entrò con aria decisa ma con sguardo spaventato. Il cuore le martellava le tempie come dinamite, si sentiva talmente a disagio che non avrebbe esitato a girarsi ed uscire di corsa da quell’ambiente asfittico. Disagio che aumentò quando incrociò gli occhi dell’ex compagno, che si ridussero a due fessure quando avanzò nella sala per ricongiungersi con il suo riccio. Confusa, tentennò per un attimo, mentre l’occhiata gelida di Jason la trapassarono da parte a parte. Si sentiva predata come un topo in trappola nonostante sapesse benissimo di aver tagliato qualsiasi rapporto con il suo aguzzino.
Deglutendo nervosa camminò a passi veloci fino al banco in cui erano seduti Sonic e avvocato.
< Dove sei stata? Mi hai fatto preoccupare! > bisbigliò il blu cercando di non farsi sentire dai presenti. I suoi occhi zigzagarono dalla busta di carta che teneva in mano agli occhi spaventati della rosa. Il risultato del test era lì dentro: bastava sollevare il lembo della busta e dare una sbirciatina.
Con mani tremanti, Amy allungò il risultato del test. Sonic raccolse tutto il suo coraggio e sollevando il braccio, pesante tonnellate, si accinse a prenderlo quando fu preceduto dall’avvocato.
La mano del signor Stanghelf lo superò e con incredibile fermezza sgusciò la testata della busta. Capì solamente in quel momento che Amy non gliela aveva passato a lui. Bensì l’aveva passata all’avvocato. Cosa se ne faceva l’avvocato del risultato del test di paternità? Come faceva a sapere e soprattutto cosa diceva quel rettangolo di carta? Di chi era Justin?
 
Spazio autrice:
Spero davvero che vi piaccia questo capitolo, spero che non sia disordinato e che sia chiaro. Ovviamente l'organizzazione del processo non è attinente alla realtà per motivi di praticità. Come avrete capito sto cercado di concludere in fretta questi ultimi capitoli. Spero venga apprezzato ugualmente!
Baci.
Indaco

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Capitolo 40
*** Processo 2 ***


Sonic rimase a fissare a bocca aperta l’avvocato al suo fianco: il plico di fogli che erano sgusciati fuori erano attraversati da righine sottili che provò inutilmente a leggere. Confuso come non mai, lanciò un’occhiata ad Amy sperando che potesse fornirgli le spiegazioni adeguate. Non capiva perché il risultato del test era passato al signor Stanghelf, cosa centrava lui con quell’argomento?
La riccia rosa iniziò ad arrovellare gli aculei confetto sulle dita e prese a respirare più velocemente del normale. Sonic roteò gli occhi stancamente, quell’espressione angosciata non la sopportava, indicavano altri problemi in vista ed in quel momento poteva persino capire il nocciolo,
< Amy? Che centra lui in tutto ques … > domandò a bassa voce con tono acceso. Gli occhi lampeggiavano di irritazione, non avrebbe voluto, ma capì perfettamente che non tutto era salito a galla. E la conferma di quello che temeva la ebbe quando la riccia sgusciò dal suo sguardo con il viso contrito e sguardo dispiaciuto.
Sonic rabbrividì: cos’altro c’era di così terribile?
L’avvocato al suo fianco, lisciandosi le falde della giacca, si alzò in piedi solennemente inforcando gli occhiali appesi al collo. Il blu, turbato dal silenzio misterioso della ragazza, non si era accorto che il leone aveva concluso il suo logorroico discorso e che ora, giustamente, toccava alla volpe difenderlo dalle accuse spregevoli. Come un automa si girò lentamente iniziando a sentire le gambe più molli del previsto: non capiva cosa stesse succedendo.
Avido di informazioni e soprattutto di chiarezza si focalizzò sul suo difensore che iniziò a parlare senza alcun tipo di timore.
< In merito a quanto elencato dal mio collega, riguardo alle vicende che il mio cliente ha dovuto affrontare, ho una giustificazione a tutto: i spiacevoli eventi quotidiani che sono avvenuti sono completamente frutto di sfortunate coincidenze. Nulla è stato fatto per procurare un danno al piccolo, anzi. Ogni azione eseguita è stata fatta per puro amore verso il loro figlioletto > esclamò sicurissimo di sé, gonfiando persino il petto tanto era orgoglioso di quelle parole.
Fu interrotto subito dal martelletto che venne sbattuto con puntiglio
< le ricordo che Justin non è il figlio del suo cliente avvocato Stanghelf > lo interruppe la civetta tamburellando nervosa le dita sul ripiano. E fu in quel momento che la volpe sorrise sorniona, un sorriso talmente furbo che fece rabbrividire persino il leone, seduto dall’altra parte delle due corsie.
Guardando un attimo i fogli che teneva in mano, si ricompose e sospirò paziente, con l’espressione di chi la sapeva lunga, molto lunga.
< Ed è proprio qui che sbaglia onorevole. I miei clienti sono i genitori biologici di Justin e perciò gli unici e legittimi tutori del piccolo. E questo test può confermarlo, se vuole controllare di persona > continuò sicuro portando la busta dinanzi alla civetta sorpresa da quella notizia. Ritornando al suo posto con passo deciso e sicuro, iniziò a raccontare la lunga storia dei genitori e del loro piccolo. Di come e perché Amy e Justin fossero fuggiti da Gout City e di come erano arrivati fino a quel giorno.
Sonic, bianco come un lenzuolo, non riusciva neppure a reagire a quella narrazione. Non poteva far altro che ascoltare incredulo l’intero e dettagliato racconto, diventando più bianco ogni qualvolta che fuoriusciva una notizia o un evento che non conosceva.
Il riccio non ascoltò le parole del giudice e dell’avvocato di Jason, aveva ben altro per la testa: era padre. Era il padre del piccolo.
Ed Amy glielo aveva nascosto per quattro lunghissimi anni. Semplicemente, aveva deciso di non dirglielo fregandosene completamene di lui e del fatto che il cinquanta per cento del piccolo era stato creato per merito suo. Si sentiva completamente perso dopo quella novità e soprattutto si sentiva ferito in modo mai provato prima. La paura e il desiderio più grande che potesse sognare e desiderare si era avverato: Justin in quei pochi minuti si era legato indissolubilmente a lui, un legame così potente e contemporaneamente così fragile da fargli rotolare lo stomaco dall’ansia. E adesso chi glielo avrebbe detto? E soprattutto come avrebbe potuto esercitare “la professione” non sapendo praticamente nulla di cosa e come fare? E soprattutto, come avrebbe potuto perdonare quella ragazza che gli aveva nascosto il loro figlio per ben quattro anni?
L’incredulità si trasformò velocemente in delusione e la delusione, di minuto in minuto, si incendiò divenendo ben presto rabbia. Le sue mani si chiusero a pugno iniziando a stringere le dita contro i palmi.
Accanto a lui, la ragazza non riusciva a staccare gli occhi dal riccio, pensando realmente che stavolta il blu avrebbe chiuso completamente qualsivoglia rapporto con lei. E non poteva dargli torto: sebbene fosse rimasta incerta per i primi anni, negli ultimi due, giorno dopo giorno, aveva capito perfettamente chi era il padre del piccino.
La ragazza non parlò né si mosse, rimase in un compostissimo silenzio riflettendo su cosa avrebbe mai potuto dire o fare dopo quel giorno. Avrebbe tanto voluto fargli sapere perché si era comportata in quel modo ma la situazione non lo permetteva.
Nessuna parola avrebbe potuto colmare quello che aveva fatto e anche se ci fosse stata l’occasione, Sonic, giustamente, non avrebbe voluto nemmeno vederla.

Attorno a loro la situazione era leggermente degenerata: Jason si era alzato in piedi rabbioso e aveva urlato che il risultato del test era completamente falso, incredulo, inoltre, per aver ospitato nella sua casa un figlio non suo. Il leone, stupito da quel colpo basso, tentò inutilmente altre vie di uscita per il suo cliente ma non ci fu nulla da fare. Il test era autentico e reale, numerosi timbri accertavano l’ufficiosità di quelle carte.
La giudice, esasperata dalla situazione e soprattutto dalle urla che provenivano dal finto padre, non verificò nemmeno i fogli contenuti, ma sbatté il martello furibonda cercando di riportare la calma all’interno dell’aula.
La volpe verde, in piedi e ben diritto, osservava con evidente entusiasmo l’intera scena non aspettando altro che il verdetto. Attraverso le lenti degli occhiali rotondi, i suoi occhi sbeffeggiavano gli “avversari”. Soddisfattissimo del lavoro svolto, non riuscì a trattenere un sorriso vittorioso nei confronti del collega, talmente impreparato a quella notizia che la criniera ben curata si sciupò irrimediabilmente.
La civetta, riuscendo a ristabilire un minimo di ordine, raccolse tutte le carte sparpagliate e le impilò ben bene con piccoli colpetti sul bancone. Lo sguardo impenetrabile fisso sui documenti indicava che la faccenda stava venendo ben calcolata. Chiudendo gli occhi gialli sembrò sollevata di essere arrivata alla fine di quell’udienza. La toga nera, lunga fino ai piedi, oscillò quando si alzò in piedi.
Riprendendo la calma persa, con tono autoritario osservò entrambe le parti come per decidere a chi dar torto e chi far vincere. E dopo aver sbattuto il martello sulla piccola piattaforma di legno alzò le spalle e annunciò la decisione.
< Il bambino è affidato ai genitori legittimi: il signor Sonic the Hedgehog e la signora Amy Rose. Per quanto riguarda il rapporto con il signor Jason è assolutamente priorità dei genitori, fino al raggiungimento della maggiore età, occuparsi di questo aspetto. Dichiaro che l’udienza è conclusa. > e raccogliendo i pochi oggetti che aveva adagiato sulla scrivania, uscì a passi lenti dalla sala.
L’atmosfera era tesa come corda di violino. Il signor Stanghelf esibendo soddisfatto un sorriso per la vittoria, si accorse solo in quel momento che era l’unico che stava festeggiando. I suoi clienti erano seduti sulle panchine con delle facce stravolte e per nulla contente.
Amy, accanto a Sonic, era protesa verso la sua direzione ma totalmente staccata dal ragazzo. Gli occhi lucidi minacciavano di versare qualche lacrima e l’espressione dispiaciuta suggerivano all’avvocato una terribile ipotesi.  
Jason dalla rabbia sbatté un pauroso pugno sullo schienale del banco facendolo tremare e spaventando persino il leone suo avvocato. Gli occhi fiammeggianti fulminarono la ragazza rosa seduta a meno di dieci metri da lui accanto al nuovo compagno. Gli aveva mentito e si era approfittata dei suoi beni: casa, soldi, alimenti. Aveva architettato tutto pur di condividere le sue ricchezze. Con un ringhio di rabbia marciò fuori dall’aula maledicendola per come si era comportata.  
Sonic era in un mondo a sé, con il viso rivolto verso terra sembrava fissare il vuoto con espressione disgustata e rabbiosa.  Il blu non aveva mai provato una simile rabbia in vita sua. Il cuore gli batteva così forte nel petto che sembrava volesse saltar fuori lui stesso. Un sentimento così simile all’odio invadeva ogni sua singola parte: i pugni tremanti ben serrati sulle ginocchia schioccarono più e più volte.
La riccia non riusciva a parlare, la lingua e la bocca arida di parole le permettevano appena di deglutire e respirare. Che scuse fornirgli per quello che era successo? Non sapeva nemmeno da dove tirar fuori la faccia tosta per giustificarsi: si era comportata in modo terribile, sia nei confronti di Sonic, sia nei confronti di Justin.
La volpe verde, accanto a loro, era chiusa in perfetto silenzio, con le sopracciglia aggrottate e gli occhialini rotondi poggiati sulla punta del naso. Aveva capito benissimo la situazione: Amy non gliela aveva detto. E ora il ragazzo si trovava in un punto terribile: d’un tratto padre, tutti i punti saldi nella sua vita erano stati spazzati via dalla nuova, enorme, mastodontica presenza: suo figlio Justin. Decise di salutarli velocemente e di lasciarli soli, per il pagamento avrebbe contatto il suo fidato cliente per mail.

Nella testa del riccio tutto vorticava furiosamente, tutto il puzzle composto da bugie e mezze verità si completò nel giro di attimo facendogli salire i nervi a fior di pelle. Di una cosa era certo: Amy non sarebbe stata perdonata, neppure con tutto il buonsenso che aveva conservato. L’espressione insapore sul suo volto si trasformò in una smorfia rabbiosa con cui si rivolse alla riccia, furioso come mai era stato.
< BUGIARDA! FALSA! Come hai potuto farci una cosa del genere!? > gridò a pieni polmoni nella sala vuota. La voce gli divenne d’un tratto roca, rendendo i suoi insulti ancor più pesanti e crudeli. Alzandosi in piedi di scatto, rischiò persino di rovesciare il banco su cui erano seduti.
< Come hai potuto? L’ hai nascosto a me! A lui! L’hai obbligato a considerare suo padre quel pezzo di merda! Come hai potuto tenere quella maschera di gioia sapendo cosa ci stavi facendo? > gridò con disprezzo totalmente fuori di sé. La rabbia gli fece apparire una vena pulsante sul collo mentre le pupille si ridussero a due fessure non più grandi di due piccole biglie.
Amy sgusciò dal banco e a testa bassa raccolse quelle parole una a una. La rabbia e il disprezzo che il riccio riversava su di lei la laceravano di dolore, mai aveva creduto di arrivare ad un livello così basso con lui.
Il ragazzo digrignò i denti  e strinse le palpebre fino a serrarle, le parole che gli risalivano dalla gola a getto continuo non erano certo delicate o galanti e faticò parecchio a tenerle per sè. 
Raccogliendo di fretta la giacca la piegò su un braccio e si rivolse alla rosa senza nemmeno degnarla di uno sguardo
< ora tu farai le valigie e te ne andrai da casa mia. Vai dove vuoi, non mi interessa. Justin resterà con me e tu non ti avvicinerai a lui > ordinò con freddezza e calcolatissime parole. Detto ciò, gli girò le spalle e con una lunga falcata marciò verso l’uscita della sala.
Amy si riscosse solamente quando sentì quelle ultime parole. Scuotendo la testa incredula lo seguì fuori dalla sala a passo veloce cercando di rimanere al passo
< Sonic! Mi dispiace, mi dispiace veramente di tutto questo! Posso capire che al momento tu non voglia nemmeno parlargli ma no, non se ne parla nemmeno. Justin verrà con me, non resterà con te, ha bisogno di sua madre ed inoltre non lo conosci così bene! > esclamò a voce alta pur di richiamare l’attenzione del ragazzo. Riuscì nel suo intento: Sonic si girò furioso e l’aggredì con rabbia
< certo che non lo conosco! Me l’hai nascosto per quattro anni Amy! Quattro fottutissimi anni che non torneranno indietro! Ora è arrivato  il mio turno e se pensi che da oggi in poi ti lascerò anche per un solo giorno carta bianca, ti sbagli di grosso > ringhiò minaccioso sforzandosi di non gridare.
Amy non ebbe il tempo di replicare perché il riccio sparì un secondo dopo in una scia blu, lasciandola sola nella sala principale. La riccia rimase pietrificata sul posto, congelata dalla volontà del ragazzo e dall’ assurda idea di tenere il piccolo separato da lei.
Scuotendo la testa avanzò nella sala per imboccare l’uscita e poter capire dove si fosse diretto. Lanciando una profonda e accurata occhiata alla strada e ai principali svincoli sperò di vedere il guizzo blu, cosa che però non avvenne.
Vide invece la spider blu notte uscire dal parcheggio per addentrarsi in mezzo al traffico con meno scioltezza del solito.
Intuendo le intenzioni de ragazzo, di slancio si precipitò sulle scale stringendo la borsa al petto e cercando di correre il più velocemente possibile per quello che le era possibile con quei tacchi. Doveva raggiungere la baby sitter prima di lui, a qualsiasi costo. Forse il traffico poteva regalarle qualche buon minuto in più, ma lei doveva correre fino allo sfinimento.
La riccia, che ancora ricordava la pianta della città, prese la strada più corta e correndo in modo ridicolo a causa delle scarpe si diresse dritta verso la casa della ragazza a cui aveva affidato il suo piccino.
L’equilibrio precario e il dolore che quelle scarpe le procuravano la obbligavano a fermarsi ogni venti metri rallentando il suo percorso. Il cuore sembrava volesse schizzarle fuori dal petto e le caviglie le tremavano dallo sforzo di mantenersi in piedi. Non poteva lasciarsi fregare il figlioletto in questo modo, per quanto Sonic potesse essere il suo legittimo padre non poteva certo strapparglielo dalle mani così all’improvviso.

Dopo un tempo che parve non finire mai, quasi venti minuti più tardi, la riccia raggiunse a fatica la casa della sua baby sitter Mel: una sedicenne con un ampio sorriso, timidissima che, a quanto Blaze le aveva riferito, se la cavava benissimo con qualsiasi cucciolo. La casa rosata di fronte a lei presentava vasi di fiori praticamente ovunque. e sulla porta se ne stava appesa una ghirlanda dagli eccessivi, sgargianti colori, carica di coccarde e nastrini vari. La rosa trasse un lungo sospiro e si rimise in ordine i capelli prima di premere il citofono. Forse ce l’aveva fatta, forse era riuscita realmente ad anticiparlo. Nell’esatto momento in cui formulò quella domanda la porta venne spalancata e la ragazzina di qualche ora prima, mise fuori la testa con un sorriso carico di imbarazzo.
< Ciao Amy! > mormorò a bassa voce l’adolescente scostandosi i cappelli ricci dal volto. La dolcezza del suo sorriso tranquillizzò la ragazza che trasse un profondo sospiro prima di parlare,
< ciao Mel , sono venuta a prendere Justin > mormorò con un sorriso costruito sperando con tutta se stessa di aver superato, almeno in quello, il ragazzo blu. La ragazza assunse uno sguardo confuso e le gote le si arrossarono, e guardandosi attorno come per assicurarsi che non ci fosse nessuno, le rispose confusa
< Justin non è qui, è passato suo padre a prenderlo > le spiegò con calma cercando di mascherare il suo enorme stupore. Amy sospirò e portò una mano sul volto con aria grave, che avrebbe fatto ora? Doveva tornare a casa e sperare di trovarli già là.
< Tutto bene? > mormorò la ragazza osservandola con sincera preoccupazione: lo sguardo stanco, l’abbigliamento ricercato ma terribilmente in disordine era piuttosto strano.
Amy si riscosse e sorrise distratta,
< certo, certo, probabilmente si è dimenticato di avvisarmi. Ti devo qualcosa? > continuò sbattendo le palpebre e tornando a concentrarsi. La ragazza con un sorriso scosse la testa ricciuta. Amy si sistemò la mise e le fece un segno di saluto con la mano
< ok, grazie e buona giornata > concluse con gentilezza allontanandosi. Il saluto fu ricambiato e la porta venne chiusa con la stessa delicatezza.

La riccia a piccoli passi si incamminò verso casa, o meglio, verso la sua ex casa. La sua testa somigliava ad un enorme laghetto dove i problemi nuotavano disperatamente ingarbugliandosi e riproducendosi a gogò. Se Sonic non l’avesse davvero perdonata doveva organizzare la sua vita nel giro di qualche giorno: doveva trovare un lavoro, una casa, doveva accordarsi con il padre del piccolo. Il senso di nausea le ribaltò lo stomaco.
Prendendo il telefono con ansia digitò il numero del neo papà: doveva assolutamente sapere cosa aveva intenzione di dire al piccino o, peggio ancora, cosa gli avesse detto.Il riccio in quel momento non era in sé, giustamente, tutte quelle notizie apprese in meno di due ore l’avevano semplicemente mandato a k.o.  Avrebbe potuto benissimo, perciò, raccontare in modo soggettivo la verità sui fatti accaduti e dare così a Justin un’idea sbagliata dell’intera situazione. Il cellulare squillò regolare: uno, due, tre, quattro … la riccia contò fino a sette prima che la chiamata venne bruscamente interrotta dalla segreteria telefonica. Con un sospiro spazientito non le rimase che tornare nella casa da cui era stata esiliata e dove avrebbe trovato il suo piccolo.


Impiegò molto più tempo del previsto a raggiungere la casa: un po’ per le scarpe, un po’ per la stanchezza e un po’ per quel problema che le toglieva energia. Quando vide da lontano la casetta immacolata protetta dal muro di mattoni rossi, il suo cuore per certi versi esultò. Avvicinandosi al cancello con indecisione, spiò tra le sbarre in cerca di qualsiasi movimento all’interno della dimora che le confermasse che i due fossero in casa. Ma diversamente da quello che si aspettava il garage era ancora aperto e la casa era immersa nel silenzio. Il suo cuore iniziò a battere più forte, lanciando occhiate a destra e a sinistra sperava di vedere la macchina blu spuntare dal nulla. Nervosa ed in ansia provò a schiacciare inutilmente il citofono, temeva che Sonic avesse realmente intenzione di tenersi il piccolo. Quell’idea orribile trovò terreno fertile dentro di lei iniziando a crescere a velocità paurosa. Afferrato il cellulare con le mani tremanti compose nuovamente il suo numero e lo chiamò insistentemente per quattro volte di seguito. Non avrebbe mollato nemmeno morta, quel riccio avrebbe risposto nolente o volente.
< Che c’è? > gli ringhiò nervoso  dopo la quinta telefonata di seguito, scazzato e furioso come non mai. Il motore dell’auto su di giri era talmente forte che Amy quasi si spaventò immaginando la velocità con cui stava viaggiando il figlioletto . Quel tono di voce servì solamente a far infuriare la ragazza che preso coraggio alzò la voce anch’essa arrivando a gridare al telefono
< riportalo indietro Sonic! Non azzardarti nemmeno a portarmelo via! Dove sei? Ha bisogno di me! Come hai potuto ..? >, Sonic sospirò profondamente per non distogliere la concentrazione dalla sua corsa e rallentò appena solo per diminuire il rombo del veicolo.
< Di cosa stai parlando? > le domandò con evidente fastidio abbassando la voce per arginare la chiamata. Se avesse nuovamente urlato in quel modo le sue orecchie si sarebbero spappolate.
< Di c-cosa sto parlando? Mio figlio Sonic! Justin! Portalo qui entro tre secondi altrimenti … >
< Altrimenti cosa? NOSTRO figlio Amy, nostro, non dimenticartene come hai fatto in questi ultimi quattro anni! E poi, madre snaturata che sei, tuo figlio è ancora dalla baby sitter, se sforzassi quella testolina rosa te ne ricorderesti > la rimbeccò con astio e una nota maligna nella voce.
Amy si zittì per qualche secondo, stangata da quell’offesa cruda e sottile per ritornare all’attacco un attimo dopo.
< razza di bugiardo! Sono appena stata da lei e mi ha detto che sei passato a prenderlo tu! Torna indietro, immediatamente! > esclamò alzando ancor di più la voce.
Sonic allontanò il cellulare dall’orecchio infastidito, sì, sarebbe rimasto sordo a furia di urla. Ma un piccolo dettaglio gli fece mettere da parte il rancore: la baby sitter diceva di non avere Justin, lui nemmeno e Amy idem.
La preoccupazione gli salì a livello della gola soffocandogli la rabbia che aveva nutrito fino a quel momento
< Amy, io non ho Justin. Sei andata seriamente da Mel? >  la interrogò valutando l’affidabilità della ragazza. Dall’altra parte della linea Amy rimase impietrita da quella risposta captando immediatamente la nota sconcertata e seria di quelle parole
< certo che sì! Mi ha detto che è venuto a ritirarlo suo padre! > gli rispose confusa.
Il respiro si mozzò nella gola di entrambi e la terribile ipotesi che formularono all’unisono li riempì di puro terrore.
Amy non riuscì a trattenere un grido di disperazione.


Spazio autrice: Non ho molto da dire in queste righe, auguro tanta forza e coraggio a chi ha la sfortuna di essere ammalato o ha familiari malati. 
Baci.
Indaco

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Capitolo 41
*** Tra birra e vetro ***


Sonic portò una mano sulla fronte per asciugarsi le gocce di sudore freddo.
< stai calma Amy, giro la macchina e arrivo il prima possibile, non fare niente, entra in casa e riprenditi. Andrà tutto bene. La chiave è tra i gerani, aspettami > farneticò non riuscendo a mantenere il tono staccato e freddo di qualche attimo prima. Il telefono amplificava i singhiozzi della ragazza immersa nella crisi più nera e disperata. Il riccio chiuse la chiamata e, alla prima occasione che trovò, improvvisò un poco etico dietrofront e schiacciò l’acceleratore a tavoletta. Le mani appoggiate al volante tremavano come budini e non era per la velocità elevata raggiunta dal veicolo.
La paura che provava era poco controllabile, nemmeno dando sfogo a tutta la sua positività riuscì a tranquillizzarsi. Jason era in grado di fare qualsiasi cosa. Qualsiasi. E non era affatto stupido, se  voleva far perdere le sue tracce era in grado di farlo senza tanti problemi. Ricordò perfettamente con quanta fretta fosse uscito non appena si era conclusa l’udienza e ora tutto si spiegava :il verdetto non gli era piaciuto e di conseguenza aveva deciso di farsi giustizia modo suo. Merda. Doveva sbrigarsi, se solo quella macchina fosse stata veloce quanto lui.


Amy non era riuscita ad entrare in casa, non perché non avesse trovato le chiavi sotterrate nel vaso dei gerani, ma perché voleva e sperava di vedere l’auto del riccio arrivare il prima possibile. Non riusciva a smettere di piangere, le lacrime cadevano come petali di ciliegio uno dopo l’altro. Il panico più feroce le faceva immaginare i più terribili scenari. Immobilizzata sul cancello di casa, si sentiva la testa stranamente leggera ed il cuore pesantissimo. Non capiva perché Jason avesse rapito Justin ma sospettava fortemente che si stesse dirigendo verso casa. Gout City era a circa tre ore di macchina da lì e a quell’ora quasi certamente i due si trovavano ancora in strada.
Deglutì saliva e angoscia al pensiero che il piccolo si trovasse da solo con lui: era terrorizzata al pensiero di quello che poteva succedere.  Perché fare un gesto simile quando per quattro lunghi anni aveva detestato e allontanato il cucciolo in qualsiasi modo? Una lacrima le rotolò fino al mento, ebbe appena il tempo di asciugarsela con il palmo della mano quando la spider del blu ruggì entrando nella via solitamente tranquilla a velocità esagerata.
La ragazza balzò indietro per non venire investita dall’auto blu notte che con un acutissimo scricchiolio frenò di colpo sollevando un getto di sassolini. L’odore della gomma bruciata le intorpidì il naso per qualche attimo. La portiera della macchina si aprì e dal basso sedile emerse Sonic completamente fuori di sé. Scuro in viso e con un ghigno feroce, la sua rabbia era percepibile a pelle. 
< Monta. Andiamo a Gout City. Te la senti non è vero? > le ordinò facendole capire che avrebbe dovuto affrontare tutta quella strada da sola. Il tono di voce aveva una leggera sfumatura di freddo distacco, Amy lo percepì ma annuì e prese posto alla guida ascoltando le indicazioni, o meglio, le raccomandazioni del riccio. Avrebbe pensato al loro problema in un secondo momento.
< Corri Amy, più veloce del vento. E quando arriverai non entrare, potrebbe essere pericoloso: se Jason ti vedesse potrebbe incazzarsi di più e ferire te o me o, peggio ancora, il piccolo >
< d’accordo, d’accordo, ma se lui non fosse lì? Cosa faremo Sonic? Dove potremo cercarlo? > mormorò con voce tremante e con un’ansia terribile.
Il blu accantonò per un attimo il conto in sospeso notando le lacrime e lo stato in cui riversava la ragazza. La capiva perfettamente, era la stessa domanda che si era posto durante il viaggio di ritorno. E la verità era che non sapeva che fare se non l’avesse trovato in quella casa.
< Lo troveremo Amy, vedrai > mormorò cercando di mantenere un tono ottimista e determinato. Sperava tanto che accadesse veramente.
Sonic le chiuse la portiera e dopo aver mandato a memoria l’indirizzo della casa respirò profondamente. Doveva essere veloce, più veloce del solito. Con due passi di corsa si tramutò in una saetta blu e si lanciò nelle strade senza nessun tipo di precauzione, schivando gli ostacoli con agilità sorprendente.
Il vortice d’aria che creò davanti a sé si fece sempre più impenetrabile mentre i colori e le cose attorno a lui diventano un miscelato di sfumature e macchie ed un brusio incomprensibile gli riempiva le orecchie. Destreggiandosi nel traffico e nelle strade con piena agilità riuscì a raggiungere l’autostrada in pochi secondi.
Si fermò di getto lungo la recinzione che costeggiava l’intera interminabile strada per capire dove dovesse andare.
Il dubbio lo tormentò per poco, la sua macchina blu notte, capeggiata dalla riccia in modalità furia, lo precedette velocissima zigzagando nel traffico con scioltezza invidiabile indicandogli la direzione. Sorpreso ma rincuorato da quel cambio di umore così rapido, con un salto, oltrepassò la recinzione atterrando sulla strettissima carreggiata larga appena un piede. Una macchina in piena corsa lo sfiorò di sfuggita rischiando di farlo cadere a terra. Il cuore gli balzò autenticamente in gola per il pericolo scampato. Si gettò nella strada lastricata d’asfalto raggiungendo e superando la macchina guidata da Amy, la quale era così concentrata ed incazzata da non accorgersi della scia blu che la superò senza difficoltà e che, pochi secondi dopo, ruppe il muro del suono causando un fragoroso boato.


La casa doveva essere quella, Sonic lo appurò dal numero civico e dall’indecenza con cui era stata abbandonata a sé: sacchi dell’immondizia erano accatastati fuori come funghi cancerogeni, il giardino riversava in condizioni pietose, le finestre opache dalla polvere filtravano ben poca luce solare. E la desolazione che traspariva da quelle quattro mura servì solo ad agitarlo di più.
Dov’era Jus? Temporeggiando con il cellulare, cercò nelle vicinanze un luogo che potesse offrirgli riparo dalle occhiate dei passanti e, soprattutto, da quelle di Jason. Non voleva anticipare la sua comparsa, l’idea che si era fatto durante il brevissimo viaggio era stata quella di piombargli in casa di sorpresa. Peccato che di posticini tattici non ne trovò nemmeno uno e a furia di camminare attorno alla  stessa casa, un vecchio tasso  intento ad abbeverare le surfinie sul balcone lo guardò con diffidenza e  gli intimò un’occhiataccia.
Il blu sorrise con gentilezza cercando di fargli capire che era semplicemente un passante come chiunque altro ma lo sguardo di ostilità che si beccò lo costrinse a camminare più velocemente.
Innervosito per quegli inconvenienti e girando a casaccio, trovò una panchina dall’altro lato della strada dove si sedette cercando di meditare in pace. Da quella distanza la casa non era proprio così controllabile, non gli rimaneva che avvicinarsi nuovamente una volta che l’anziano diffidente se ne fosse andato. Nonostante la distanza notò con sospetto che la casa non aveva luci accese, né al piano inferiore, né al piano superiore. Tutto sembrava morto e vuoto.
Sonic controllò l’orario, dubitava che non fossero ancora arrivati, in quel caso era davvero da preoccuparsi. Dove sarebbe andato a cercarli? I suoi dubbi si dissolsero subito quando, fortunatamente, con la coda dell’occhio notò una microscopica ombra spostarsi attraverso la tenda. Qualcuno era in casa. E di certo, se non fosse stato Jason, di sicuro sarebbe riuscito ad ottenere qualche informazione da quel  qualcun’ altro. Il tasso, controllando nuovamente i dintorni, rientrò nella frescura del suo appartamento pochi secondi dopo dando a Sonic l’opportunità di avvicinarsi nuovamente alla casa e di scivolare al suo interno.
Silenzioso come un’ombra e più veloce del vento, scavalcò la piccola recinzione che circondava l’intera casa e si appiattì contro il muro del garage per non essere visibile dalle finestre. Doveva fare in fretta,purtroppo era ben visibile dalla strada e non voleva certo essere scambiato per un ladro. Il cuore gli martellava nelle tempie, non voleva farsi scoprire: Jason avrebbe potuto ferire il piccino ancor prima di metterlo in salvo.
Guardandosi attorno e non vedendo nessuno, deglutendo saliva e ansia, provò ad aprire con la massima delicatezza la porta del garage, che scivolò senza troppo rumore, mostrando la via d’accesso più facile.
Sospirando soddisfatto, studiò l’interno della sala prima di procedere. La macchina era parcheggiata e questo era un buonissimo segno: i due erano in casa. Per il resto era un autentico disastro: la confusione, lo sporco e le bottiglie di birre vuote o piene regnavano sovrane. Sonic scrutò l’interno chiudendo lentamente la porta, i suoi occhi non si erano ancora abituati al buio pesto e faticava perciò a distinguere gli oggetti presenti all’interno.
Chiusa la porta, che emise un leggero cigolio, il blu trattenne il fiato per captare i movimenti provenienti dalla stanza accanto. In un primo momento il silenzio fu così perfetto da credere di aver avuto una visione pochi attimi prima e che l’ombra avvistata fosse solamente il frutto della sua fantasia messa a dura prova in quel momento.
Ma poi, dei passi lenti e strascicati lo fecero sobbalzare di colpo, soprattutto, quando parvero avvicinarsi alla porta del garage che collegava l’interno dell’abitazione. Il cuore gli si impallò in gola e preventivamente si abbassò dietro alla macchina sperando di non essere visto nel caso fosse entrato di colpo.
Ma nessuno entrò, anzi, i passi salirono inequivocabilmente sopra la sua testa cioè il secondo piano della casa. Il rumore di quella camminata non poteva essere associata a Justin: era troppo pesante e troppo lenta.
Doveva essere per forza Jason. Ma se non si sentiva la camminata di Justin, lui dov’era? Irrequieto, decise di approfittare del momento e di infilarsi in casa senza dare troppo nell’occhio. Camminando rasente al muro con le orecchie in allerta, aprì con la massima delicatezza possibile la porta che dava sul salotto.
Davanti a lui, due vecchi divani sgualciti e carichi di ciarpame davano bella mostra di sé, un basso tavolino carico di bottiglie vuote di vino troneggiava il centro del salotto e il pavimento polveroso sembrava che non fosse stato pulito dal medioevo. Sonic deglutì disgustato deconcentrandosi per un attimo tanto era il sudiciume che insozzava qualsiasi cosa.
E fu un grave errore. D’un tratto un colpo forte alla testa lo fece barcollare e quasi accasciare a terra. Un rumore acuto di vetri rotti si diffuse per la stanza e il cervello del blu si riempì di dolore riuscendo di sfuggita a ripararsi dietro un divano.
< COSA CI FAI TU QUI?! > Jason dietro di lui brandiva il collo rotto di una bottiglia di birra, le punte aguzze appena spezzate erano rivolte verso l’intruso e minacciavano di conficcarsi da lì a poco contro lo stesso.
Sonic ignorò il dolore e si riprese in pochi secondi, prese del tempo per rispondere, sia per innervosirlo, sia per studiare la situazione in cui si trovava.
< Sono venuto a riprendere ciò che è mio Jason. E puoi stare certo che non tornerò indietro prima di averlo trovato. Dov’è Justin? > ringhiò innervosito. Il viso del riccio di fronte a lui si rilassò e assunse un’espressione divertita.
< il tuo nuovo figlioletto? Mi spiace per te ma non è qui > sorrise rilassato abbassando la mezza bottiglia. Sonic si sentì sprofondare, che cosa significava che non era con lui? Un brivido di paura gli rammollì le gambe ma riuscì a restarsene dritto in piedi grazie all’appoggio del divano.
< NON TIRARE CAZZATE. Dov’è mio figlio Jason? > gli gridò contro con voce strozzata dal panico. Le labbra del riccio si schiusero lentamente in un sorriso maligno e gli occhi lampeggiarono di crudeltà. Come un gatto gioca col topo, il riccio blu notte fece qualche passo fintamente rilassato senza mai distogliere l’attenzione al nemico.
< Sai, la stronza di quella riccia mi ha mentito per quattro anni, credevo sul serio che quel bambino fosse mio. Ho passato anni a mantenere lei e quel bastardo. Hai idea di cosa si provi? > iniziò con rabbia crescente iniziando a studiare con finto interesse il collo di vetro che teneva tra le mani. Sonic si mise in allerta pronto a difendersi nel caso Jason avesse deciso di lanciargli la mezza bottiglia. Ascoltava di striscio le parole superflue, sperava arrivasse al sodo il prima possibile.
< Non è bello, te lo assicuro, mi ha preso per il culo e mi ha sfruttato per un sacco di tempo … in qualche modo dovevo fargliela pagare no? > continuò allargando ancor di più il sorriso, realmente divertito dalle parole appena pronunciate. Il riccio di fronte a lui sbiancò di colpo percependo che la possibilità che il suo piccolo fosse realmente spacciato aumentava di secondo in secondo.
Il cuore iniziò a palpitare ancor più forte mentre sentiva il pavimento aprirsi a mo’ di voragine sotto di lui.
< spero davvero che tu non l’abbia nemmeno sfiorato, dov’è, Jason? > lo interrogò di getto con voce talmente alterata dalla preoccupazione da non riconoscerla. Il riccio sorrise enigmatico, gli occhi lucidissimi erano perfettamente sobri
< non è più qui > rispose vago stringendo meglio l’arma tagliente.
Invaso da una rabbia cieca, non riuscì a trattenere una scarica di adrenalina. Balzando sul divano con un salto, utilizzò lo schienale come trampolino per lanciarsi sul ragazzo di fronte a sé. Accadde tutto nel giro di tre secondi ma Jason riuscì appena in tempo a brandire il vetraccio per difendersi dall’attacco.
Il calcio che Sonic tentò di affibbiargli andò a vuoto ma riuscì ugualmente ad atterrare in perfetto equilibrio accanto a lui. Jason, con un grido di battaglia, gli fu subito addosso tentando di centrarlo con la bottiglia rotta.
Il blu balzò indietro avvicinandosi al tavolo pieno di bottiglie vuote e non, mettendo tra sé e il ragazzo una sedia che rallentò l’avanzata del riccio. Armandosi di una bottiglia Sonic si fermò e gli urlò addosso con tutta la voce che possedeva
< DOV’E’, JASON? > ringhiò sbavando dalla rabbia e alzando la il contenitore pieno. Jason rallentò l’attacco  più preoccupato per il prezioso contenuto della bottiglia che della minaccia e rispose con uno splendente sorriso di soddisfazione
< nello stesso luogo in cui ora ti manderò! >. Il braccio si sollevò di scatto e, con mira calcolata, lanciò il collo scheggiato, sicuro di centrarlo in pieno volto. Il riccio intuì prontamente il lancio e per quanto la sua velocità lo aiutasse, un tiro del genere ad un metro di distanza era tutt’altro che semplice da schivare.
Con un guizzo ancor più rapido, Sonic riuscì a parare il proiettile di vetro con la stessa bottiglia che teneva in mano utilizzandola a mo’ di mazza da golf. Riuscì appena a chiudere gli occhi: le due bottiglie esplosero l’una contro l’altra liberando con uno schianto migliaia di frammenti di vetro che volarono per tutta la stanza conficcandosi ovunque. Sonic sentì la pelle esposta delle mani e del volto punta da aghi sottilissimi e brucianti.
La birra bagnò tavolo e ricci compresi che si trovarono inzuppati di bevanda e frammenti di vetro. Jason raccolse il bordo della maglia e la portò in bocca, succhiando il lembo della tshirt dispiaciuto per quel litro sprecato. Il blu non perse tempo, approfittando del fatto che l’avversario risultava indifeso, attaccò di slancio.
Con uno sprint degno del suo nome eliminò la distanza tra loro strisciando sulla tavola fradicia e lo prese per il collo con entrambe le mani. Jason, troppo distratto da quel vano tentativo di recupero della birra, non riuscì a schivare l’attacco. Il fiato gli si mozzò di colpo sbattendo la testa sulla parete della cucina. Puntini rossi gli oscurarono la vista per un attimo, nascondendo i lineamenti rabbiosi del ragazzo.
< Dove si trova? Dimmelo Jason! Dimmelo, dimmelo, dimmelo! > esclamò continuando a fargli sbattere la nuca sul muro dietro di lui. La rabbia lo stava divorando e gli infondeva un’energia incrollabile ed inesauribile. Sapeva con certezza che, se quel cretino che aveva sottomano non avesse risposto a quella domanda, avrebbe continuato tutto il giorno o almeno fino a che il muro non si fosse consumato.
Jason strinse i denti quando per la dodicesima volta sbatté la testa, respirando a stento cercò di liberarsi dalla stretta del ragazzo prima di essere ridotto ad una mousse di carne blu. Raccogliendo le forze sul braccio destro lanciò mollemente un pugno allo stomaco di Sonic, colpo che andò a segno colpendo il diaframma.
Trovandosi per un attimo senza fiato, sbatté con più forza che poté il corpo di Jason per indebolirlo il più possibile e non trovarsi scoperto in quell’attimo di debolezza. Il corpo di Jason tremò al contatto con il muro e si afflosciò parzialmente sul banco della cucina come un palloncino sgonfio.
Temendo di avergli provocato un trauma cranico, Sonic mollò completamente la presa per prendere un respiro più profondo ed osservare il nemico davanti a lui. Gli aculei cortissimi erano macchiati di sangue lungo la zona colpita; inoltre, alcuni frammenti di vetro esplosi poco prima, si erano conficcati sulle braccia, creando una fitta serie di goccioline scure che, raggruppate tra loro, colavano in sottili filamenti sanguigni.
Non provava soddisfazione davanti a quello spettacolo e le mani gli bruciavano terribilmente. Guardandosele sobbalzò dallo spavento: il dorso ed i palmi erano umide e appiccicose di sangue. Le schegge più grosse avevano lacerato la pelle in diversi punti mentre quelle più piccole e acuminate si erano infilzate nella pelle provocandogli fastidiosissime punture. Togliendo i residui visibili , lanciò un’occhiata a Jason e notando che, al momento, non sarebbe stato in grado di accennare una risposta sensata, andò a perlustrare la casa pregando di trovare il suo piccolo.

Spazio autrice: grazie alla quarantena sono riuscita a portarmi avanti con i capitoli, per questo ho aggiornato con un po' d'anticipo. Spero che vi sia piaciuto. Consigli e critiche sono sempre graditi. Ciao e baci.
Indaco

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Capitolo 42
*** Caccia al tesoro ***



Lasciando cocci ed il ragazzo stordito in cucina, senza perdere altro tempo, Sonic si diresse a larghe falcate nelle scale studiando ogni centimetro della casa, sperando che qualche indizio potesse assicurargli che Justin fosse lì. Il primo piano non era messo meglio del salotto: vestiti e polvere tappezzavano anticipatamente il corridoio che collegava le varie stanze. La poca luce che filtrava da una piccola finestra illuminò alcune ragnatele e qualche ragno appresso facendo venire la pelle d’oca al blu.
La prima stanza che aprì si rivelò un piccolo bagno sporco e mal tenuto, non perse nemmeno tempo a dare un’occhiata più approfondita e andò avanti con l’ispezione. La seconda stanza, aperta di tutta fretta, si rivelò ciò che effettivamente cercava: la cameretta di Justin, vuota anch’essa. Con un groppo alla gola, il blu si lanciò al suo interno cercando con lo sguardo il suo bambino blu. Il letto sfatto da un’eternità era un sacco di polvere, le mensole su cui appoggiavano colori e matite erano coperte da una patina di sporcizia e l’odore di chiuso era asfissiante. Tossendo, entrò nella stanza desolata sentendo le gambe rammollirsi, se il piccolo non si trovava lì dove poteva essere?
Facendosi coraggio aprì le altre due stanze sperando di trovarlo. La camera da letto matrimoniale e lo sgabuzzino erano terribili come la casa in generale e soprattutto erano terribilmente desolate. La paura lo prese d’assalto, gli occhi arrossati dalla polvere e dal dispiacere minacciavano di buttar fuori lacrime. Agitandosi tra una camera e l’altra, cercando negli armadi e dentro alla cassapanca, il cuore sembrava volersi staccare dalle arterie e stracciarsi in cento parti.
Portandosi le mani agli aculei e tirandoseli in preda al panico lanciò un’ultima occhiata al primo piano. La paura che potesse essere morto o ferito o chissà cos’altro si faceva sempre più strada nella sua testa aprendogli un vortice di disperazione.
< JUSTIN! >  lo chiamò disperato con quanto più fiato aveva in gola, scaraventando a terra qualsiasi cosa gli arrivasse sottotiro. La vasca era vuota, la doccia idem e dietro alle tende che cadevano a terra solo ragnatele ed insetti. Un lampo improvviso gli balenò tra i pensieri: il garage e il piccolo capanno degli attrezzi non erano ancora stati  rivoltarli da cima a fondo.
Uscendo in fretta dal bagno con il cuore in subbuglio, prese le scale al volo.
< Papà? > mormorò la sua voce dal fondo del corridoio.
Sonic si bloccò di colpo al primo gradino fatto. Lo stomaco fece una doppia capriola e un leggero capogiro lo fece incollare al corrimano. Pregò con tutto il suo essere che quella voce non fosse solo il frutto delle sue speranze e dei suoi desideri. Si girò lentamente cercando di non aspettarsi nulla, non voleva rimanere illuso da quell’abbaglio uditivo. Probabilmente era stata la sua mente debole a fargli sentire la voce caramellosa del suo figlioletto. Infatti, quando si girò e se lo trovò in piedi accanto allo stipite della porta, non riuscì a crederci.
Il bambino aveva un occhio cerchiato di blu ed i capelli spettinati avevano catturato grumi di polvere di vecchia data. Gli sembrò di vedersi attraverso uno specchio. Gli occhi verde evidenziatore lucidissimi e carichi di sofferenza lo scrutarono incerti e sbigottiti, con la stessa intensità di chi non crede a quel che vede. Ma quel dubbio durò poco, iniziando a piangere come un disperato, il riccetto tese le braccia indifeso al ragazzo.
< PAPA’! Sei venuto a prendermi! > gridò con voce chiara e limpidissima mentre la felicità più vera si insinuava nel suo piccolo cuore.
A Sonic tremarono le gambe e si sentì così sollevato e felice nel vederlo quasi sano e salvo che rischiò di buttare qualche lacrima. Papà: l’aveva chiamato esattamente così. Con due falcate lo raggiunse e inginocchiatosi per raggiungere la sua altezza, lo avvolse e lo strinse tra le braccia con foga. Il neo papà affondò la testa negli aculei blu respirando polvere e  grumi di pulviscolo, ma in quel momento gli importava gran poco. Suo figlio era lì, vivo, vegeto e soprattutto vivo! Non poteva desiderare nulla di più.
< Justin! Ma dov’eri? Ti ho cercato ovunque! Ma certo che sono venuto a prenderti tesoro mio! Come stai? Stai bene? Ti fa male? Ti ha fatto qualcos’altro oltre all’occhio? > domandò a raffica controllando con un’occhiata le condizioni del piccino. Il riccetto si asciugò con il dorso della mano gli occhi umidi e scosse brevemente la testa,
< no, torniamo a casa però! Non voglio più stare qui! > mugolò circondando il collo del padre con le braccine. 
La voce acuta e terrorizzata risuonò nelle orecchie dell’adulto facendolo preoccupare. Alzandosi in piedi se lo caricò tra le braccia, l’occhio gonfio cerchiato da una macchia blu lo fece rabbrividire, sapeva benissimo quanto faceva male.
< Certo che torniamo, non appena la mamma arriva, intanto usciamo di qui, ok? >
< Va bene. Avete fatto la pace tu e la mamma ora che sei diventato il mio papà? > domandò con la solita innocenza il bambino incollato a lui. Sonic strinse a sé il piccino e lo guardò allibito,
< c-chi te l’ha detto? >, credeva infatti che, poco prima, l’avesse chiamato in quel modo perché il piccolo lo sentisse  o lo desiderasse, non certo perché conoscesse i fatti accaduti quella mattina. Gli occhi verde evidenziatore lo fissarono felici, cercando di capire se fosse contento o meno di quella notizia,
< Jason. Quando siamo arrivati qua ed io mi sono svegliato, ha spiegato quello che è successo al telefono. E’ per questo che continuavate a litigare tu e la mamma? > domandò con grandissimo acume. Trovandosi in difficoltà in una risposta tanto delicata, decise di rimandare con una scusa per poter parlarne con sua madre e decidere che strategia utilizzare.
< Più o meno. Quando torneremo a casa io e la mamma ti spiegheremo tutto per bene. Intanto andiamo prima che si riprenda > rispose scendendo al piano terra con un po’ di agitazione. Temendo di trovarselo davanti, Sonic lasciò il bambino sulle scale dietro di lui e controllò il salotto che risultò completamente vuoto.
Con i sensi in allerta e continuando a controllare il bambino, si portò con estrema attenzione in cucina e finalmente lo vide: Jason era seduto malamente su una sedia con le mani premute sulla testa.
Alla sua vista, il riccio digrignò i denti e si alzò in piedi tenendosi ben aggrappato al tavolo. Nonostante le braccia tremassero dallo sforzo di mantenersi in piedi, Jason appariva ancora un grosso pericolo: lo sguardo carico di rabbia lanciava fulmini e saette. Sonic non poté che essere felice di vederlo in quello stato: se avesse iniziato un nuovo attacco non sapeva se sarebbe riuscito a tenergli testa.
Senza aggiungere parole, che non servivano in quel momento, il blu decise di smammare il prima possibile da quella casa. Voltandogli le spalle, recuperò il piccolo e uscì a gran velocità dalla porta principale. Con il cuore finalmente alleggerito, a grandi falcate si allontanò dalla casa scavalcando il cancelletto con agilità.
Justin, stretto al petto, aveva circondato il collo del ragazzo con le braccia e aveva sepolto la testa sulla sua spalla, ancora spaventato da quello che era successo. Gli occhi, umidi dalle lacrime, sembravano due grandi smeraldi.
Padre e figlio, visti da fuori, erano molto caratteristici in quel piccolo paese, catturando molte occhiate dai passanti che incrociavano lungo il marciapiede. Attenzioni che innervosirono l’adulto più di quello che già era. Le mani arrossate dal sangue avevano completamente insudiciato la maglia del piccolo e la pelle esposta gli bruciava a causa dei frammenti di vetro parzialmente conficcati. Ma, fortunatamente,  nessuno sembrava aver ancora notato quel dettaglio insolito.
Dopo aver messo tra Jason e loro quanta più distanza possibile, i due si sedettero affianco su una delle panchine che costeggiavano il marciapiede. Sonic respirò profondamente e dopo aver calmato i battiti si rivolse a Justin.
< hai … hai sentito altro al telefono? > domandò cercando di apparire il più rilassato possibile. In verità lo stomaco minacciava di rigettare fuori qualcosa anche se non aveva più toccato cibo da quella mattina.
Il riccetto, con un occhio che sembrava una mongolfiera dipinta di viola, lo guardò dubbioso sforzandosi di ricordare.
< No, non ho sentito più niente mi pare. Quando arriva la mamma? > domandò a sua volta con tono ricco di desiderio. L’adulto sbatté le palpebre perplesso, Justin si comportava con straordinaria naturalezza nonostante la “ novità” del giorno. E questo lo preoccupava, forse non ne era felice e manifestava in quel modo i suoi sentimenti. < La mamma dici? A dire il vero non ho idea di dove sia  al momento. Di sicuro non è ancora arrivata in paese ma provo a chiamarla ugualmente > rispose con franchezza un tantino confuso. Il bambino annuì e si toccò con estrema attenzione l’occhio dolorante.
Il telefono squillò per poco: Amy rispose subito,
< Dio! Finalmente! L’hai trovato? >  il tono di voce era un mix tra la disperazione e la speranza.
< Si, l’ho trovato e sta bene > rispose asciutto Sonic, ora che Justin era salvo dentro di sé sentiva nuovamente crescere la rabbia di quella mattina.
< Oh mio Dio! Grazie al cielo! Dove siete? Passo subito a prendervi, sarò lì tra una mezzoretta di questo passo > esclamò emozionata con le lacrime agli occhi.
Sonic, sebbene condividesse la stessa felicità per aver trovato il piccino, non riusciva a sopportare l’idea di dover condividere il viaggio con lei. Non aveva voglia di fingere davanti al piccino che tutto andasse a meraviglia.
< Ok > replicò silenzioso, chiuse la chiamata e tornò a sorridere al piccolo.


Amy arrivò mezz’ora dopo, come promesso, parcheggiando malissimo a causa dell’impazienza che provava per riabbracciare il figlioletto. Uscì fuori dall’auto di volata, rischiando di venir investita a causa della sua disattenzione e corse forsennata fino alla panchina su cui i due ricci erano seduti.
Justin balzò a terra e corse a sua volta tra le braccia della madre, la quale lo raccolse tra le braccia e lo strinse a sé con adorazione.
< Jus! Oh tesoro, scusami, sarei dovuta arrivare in tempo! Mi dispiace così tanto! > balbettò emozionata la ragazza.
< Mamma! Oh non ti preoccupare! Papà mi ha salvato! > esclamò con gioia cercando lo sguardo del padre. La riccia si irrigidì e guardò Sonic completamente sorpresa da quella rivelazione.
Il diretto interessato si affrettò a spiegare.
< gliel’ha detto Jason. Sa tutto > rispose mantenendo sempre un tono di voce asciutto e leggermente infastidito.
La ragazza non rispose e sorrise forzata al piccino stretto tra le sue braccia.
< Va bene, ne parleremo più tardi. Ma intanto partiamo, non voglio restare qui nemmeno un secondo di più > esortò sollevandosi in piedi.
Justin, appeso alle sue dita, allungò l’altra mano verso Sonic con un sorriso smagliante, come se tutto quello che era accaduto fino a quel momento fosse stato solo un sogno.
Il blu, però, con enorme dispiacere e orgoglio, non prese la mano del figlioletto che assunse un’espressione perplessa. La ragazza, sentendo la resistenza che il figlioletto le dava, si girò incuriosita fissando prima l’uno poi l’altro.
< Sonic? Non vieni con noi? > lo richiamò Amy ritornando con i pensieri a quella mattina. Iniziava già a capire cosa stava accadendo. L’adulto indietreggiò di un passo fingendo una naturalezza completamente assente.
< No, devo smaltire un po’ di … cose > rispose vago non degnandola di un’occhiata. La rosa restò in silenzio per qualche secondo, dispiaciuta da quella situazione di merda.
< Va bene. Ci vediamo quando torni, spero di poterti parlare all’ora > replicò con tono glaciale. Justin si agitò come un pesce fuor d’acqua,
< ma … io voglio che torni con noi! > esclamò nervosamente non capendo perché i due genitori si comportassero in modo così drastico.
Amy sorrise forzata,
< lui va a piedi, arriverà prima di noi così ci avvertirà se ci sono pericoli lungo la strada > inventò di sana pianta raccogliendolo da terra. Justin si zittì e guardò speranzoso Sonic, pregando che si scrollasse quell’aura tanto cupa e tornasse in sé per andare con loro.
L’adulto sorrise brevemente al piccino mentre si allontanava in braccio alla ragazza.
Per quanto gli dispiacesse, tutta quella strada sarebbe stata un’autentica tortura in quel momento. Non la sopportava, non poteva sedersi accanto a quella che gli aveva nascosto il figlioletto per quattro anni. E la cosa peggiore era che non aveva voglia di chiarire nuovamente, la delusione era troppa questa volta, non sarebbe più riuscito a riallacciare i rapporti con lei. Non dopo questo.


Tornati a casa, Amy si occupò della melanzana viola del figlioletto. Da una parte era felice, sapeva con certezza assoluta che quella era l’ultima ferita che il suo ex infliggeva al piccolo. Dall’altra, temeva per quello che sarebbe successo da lì a breve: Sonic era giustamente incazzato nero e stavolta non era come tutte le altre volte. Sentiva il muro che si era instaurato tra loro e temeva che stavolta non sarebbe stata in grado di valicarlo. E di quello era terrorizzata.
Tutto quel gran daffare per riunire la piccola famigliola non sarebbe servito a niente.
Comunque non aveva più importanza ormai, Sonic non era ancora tornato e loro, o meglio, lei doveva andarsene. Dopo aver preparato una veloce cena la riccia iniziò subito a preparare le valigie.
Blaze si era resa disponibile per ospitarli nonostante fosse stata avvisata in tarda serata e di questo la riccia ne era felicissima e più che riconoscente. Voleva che quella forma di ospitalità durasse pochissimo: al massimo qualche settimana, non voleva approfittare della gentilezza della cugina.
Justin, che in quel momento era sdraiato sul divano a guardare cartoni, era confuso: ora che conosceva la verità sul padre non aveva la minima intenzione di andarsene: voleva vivere con lui e con la madre. Aveva passato l’intero viaggio in macchina a fare domande su Sonic e a fantasticare la vita che li attendeva e non aveva intenzione di rinunciarci.
Amy piegò un altro paio di pantaloni e li infilò con cura meticolosa in una borsa da viaggio riflettendo sul fatto che avrebbe dovuto iniziare a cercarsi un lavoro il prima possibile.
< Jus? Preferisci il completo rosso con il drago o quello blu a righe? > domandò indecisa su quale portare via, già adesso iniziavano ad accorciarsi, tanto valeva farlo scegliere al piccolo. Justin apparì come un fantasma al suo fianco facendola sobbalzare, a volte persino lei dimenticava della sua velocità anormale. Guardando attentamente i due outfit proposti dalla madre iniziò a grattarsi la spalla nervoso.
< dobbiamo proprio andare? > domandò con evidente dispiacere. Amy sospirò e lo prese in braccio pazientemente.
< sì Jus > rispose scostandogli i lunghi aculei dalle spalle.
< Sonic non vuole esserlo? > mormorò a bassa voce,
< certo che si! Te l’ho già detto tesoro, Sonic è felicissimo di essere tuo padre! >
< ma perché non è qui allora? E perché dobbiamo andare via se lui è felice? > attaccò nervoso mentre una piccola vena sul collo iniziava a pulsargli.
Amy non si sorprese di quella reazione e cercò di rispondere in modo esauriente e concreto. Un sospiro profondo le uscì dal petto prima di aprire bocca.
< Dobbiamo andare via perché io e lui abbiamo in un certo senso litigato. E per me sarebbe molto scortese rimanere qui e approfittare della sua gentilezza. Ma ti posso assicurare che tu e lui vi vedrete come sempre > rispose sbrigativamente preferendo non toccare quell’argomento. Justin  la guardò con gli occhioni spalancati,
< no mamma! Non possiamo andarcene! Papà vuole tanto bene anche a te! Dovete fare la pace! > esclamò con voce acutissima scivolandogli dalle braccia e atterrando perfettamente sul pavimento.
Amy si spazientì, non volendo approfondire quel tema tentò di arginare il problema.
< ma certo che faremo pace. Ma dobbiamo dargli un po’ di tempo! > sbottò alzando la voce nervosa.
Justin si acquietò un po’, ma guardando a terra si oscurò e una piccola lacrima gli rotolò dall’occhio colpito.
< però non è giusto > balbettò asciugandosi la gota con il dorso della mano.
La ragazza venne assalita dai sensi di colpa: il figlioletto intristito gli strinse il cuore, soprattutto perché aveva terribilmente ragione. Se lei avesse parlato prima, tutto questo non sarebbe mai successo, anzi, forse, in quell’esatto momento, loro tre sarebbero andati a festeggiare come una vera famiglia e Sonic sarebbe rimasto al suo fianco.
Il ragazzo le mancava terribilmente e la paura di averlo perso completamente l’angosciava più di qualsiasi altra cosa.
Con un peso nel cuore gli si inginocchiò di fronte e lo guardò dritto negli occhi, identici a quelli del padre.
< Justin? Se … se vuoi puoi rimanere qui con lui per un po’, non è necessario che tu venga con me > esclamò con enorme difficoltà pregando che la risposta fosse “no”. Si fidava ciecamente di Sonic ma l’idea di staccarsi da lui per giorni interi la faceva impazzire. Il riccetto alzò gli occhi sorpreso e ci pensò un po’. L’idea non gli piaceva moltissimo, odiava dover rinunciare all’uno o all’altro. Staccarsi da sua madre per stare con Sonic non gli sembrava giusto, come non gli sembrava il contrario.
< No, se vai via tu vengo anch’io > borbottò abbattuto come mai era stato.

Spazio autrice: Salve! Come state? Ecco un nuovo capitolo, qualsiasi correzzione o consiglio è ben accetto! A presto!
Baci.
Indaco

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Capitolo 43
*** Valigie e sgambetti ***


Sonic e Dylan erano seduti sulle scale della palestra con una birra in mano e lo sguardo stanco. Entrambi erano spossati anche se tentavano di nasconderlo l’uno agli occhi dell’altro. Il cielo sgombro di nubi rivelava una fitta costellazione di stelle che rubavano gli occhi. Una serata meravigliosamente calda che invitava a star fuori e a godersi quell’estate afosa.
Dylan portò la birra alla bocca e buttò giù una sorsata per poi lanciare un’occhiata al riccio blu, il quale, seduto al suo fianco coperto di graffi e cerotti vari, era troppo occupato a guardarsi le punte delle scarpe che le miriadi di lucciole nel cielo.
< Allora? Di cosa volevi parlarmi? > iniziò con estrema pazienza il riccio nocciola. Chiamato dal figlioccio a quell’orario insolito, Dylan era balzato giù dal letto un tantino preoccupato e aveva preparato la birra. Era al corrente della giornataccia che aveva dovuto sorbirsi: gli aveva accennato qualcosa al telefono ma non era arrivato al sodo, facendogli capire che aveva bisogno di un po’ di tempo per raccogliere le idee. Sapeva quasi per certo di cosa voleva parlargli e ne era più che felice. Certo, lo sguardo assente lo preoccupava ma sapeva che, sotto quello strato di indifferenza e agli occhi bassi, c’era tanta felicità. 
Sonic ritornò in sé e sbatté lentamente le palpebre come appena risvegliato. La bottiglia tra le sue mani era intoccata, il livello della bevanda era ancora al colmo e Dylan se ne dispiacque. Un profondo sospiro accompagnò le sue parole, come se quelle pesassero all’incirca una cinquantina di chili a testa.
< sono venuto a dirti, come già saprai d’altronde, che Justin è mio figlio > mormorò con tono deciso ma molto cupo.
Dylan lo conosceva talmente bene che sentì la nota di panico in fondo alla gola e riconobbe lo sguardo corrucciato tipico di quando era piccolo e non riusciva a capire un determinato passo di danza. Non riuscì a fingere di essere sorpreso e gli scappò un sorriso veramente soddisfatto: Dio, quanto era diventato grande il suo piccolo
< heylà, benvenuto nel mondo degli adulti! > lo sbeffeggiò con franchezza rubandogli un cin-cin dalla bottiglia. Sonic non riuscì a reprimere un sorrisetto da quella frecciata per nulla velenosa ma tornò serio in pochi secondi, non aveva certo dimenticato quell’alleanza ignobile tra lui e Amy!
< Spero che i tuoi sensi di colpa siano terribili. Come hai potuto, tu, nascondermi una cosa del genere? > continuò asciuttissimo lasciando trapelare una buona dose di delusione sapientemente nascosta da un sorriso amaro. Dylan sospirò e iniziò a giocherellare con la bottiglia che teneva in mano rimanendo in silenzio per qualche secondo
< l’ho fatto perché mi ha chiesto di mantenere il riserbo. E me l’ha chiesto il primo giorno che l’ho rivista. Quando ho visto Justin entrare in quella sala mi è sembrato di rivedere te quando entrasti per la prima volta nello stesso luogo. Mi chiedo come tu abbia potuto non insospettirti a dir la verità. Credevo che l’avresti scoperto da solo > rispose con estrema semplicità.
Sonic rollò gli occhi e si inasprì,
< che strano che tu abbia parteggiato per lei > rispose con ironia inumidendosi la gola con la bevanda ambrata. Dylan sospirò,
< c’era tuo figlio e i tuoi sentimenti in mezzo. Speravo che lei riuscisse ad aggiustare la situazione senza causare altri problemi. Tutto qui. Cosa farai ora? >
< non lo so. Non riesco a togliermi dalla testa il fatto che tu, Silver e company non mi abbiate detto assolutamente nulla sul fatto che io abbia un figlio. Quando avete visto che Amy non parlava cosa aspettavate? Che passassero altri quattro anni? > rispose di malumore alzandosi in piedi.
Dylan lo imitò, comprendeva bene la situazione e per alcuni versi non poteva dargli torto.
< Sonic, abbiamo parlato tra noi su come affrontare l’argomento! Amy continuava a promettere di dirtelo in tempi brevi e noi l’abbiamo seguita! Non potevamo fare altro d’altronde. E’ vostro figlio, non potevamo metterci in mezzo > rispose dispiaciuto affiancandosi a lui. Con un movimento impaziente, il riccio nocciola tirò fuori il pacchetto di sigarette e ne bruciò una, aspirando le due prime boccate con adorazione.
< Bhe, la vostra gentilezza mi ha fatto perdere due mesi del piccolo. Se vi può confortare > rispose il riccio blu sollevando per la prima volta lo sguardo al cielo. Possibile che nessuno di loro avesse avuto l’impulso di dirgli qualcosa? Si sentiva davvero tradito e la sensazione non era per nulla piacevole.
Dylan sospirò osservando il cuore del tabacco smorzarsi sempre di più,
< hai ragione purtroppo, abbiamo sbagliato. Era giusto dirti tutto lasciando da parte Amy. Ma il fatto che tu e lei vi stavate riavvicinando, dopo i fatti che sono accaduti tra voi, insomma, non volevamo per nulla al mondo “disturbarvi”. Speravamo che tutto si risolvesse per il meglio, nessuno aveva calcolato l’udienza di oggi > concluse mesto riflettendo sugli eventi accaduti.
Si sentiva in colpa per non essere intervenuto in quella questione, col senno di poi l’avrebbe avvertito o comunque avrebbe cercato di fargli notare l’enorme uguaglianza tra lui e il piccolo tanto da insospettirlo. Il ragazzo rispose con un sospiro infelice, era così stanco di ascoltare scuse. Sapeva che Dylan diceva la verità ma, il fatto che tutti fossero a conoscenza della sua paternità e che nessuno avesse accennato alla cosa, lo faceva realmente innervosire.
< Va bene, non fa niente, ora me ne torno a casa, ho voglia di vedere il piccino e poi ho cose da fare > esclamò con i nervi a fior di pelle cercando di fingersi tranquillo. Stropicciandosi i pantaloni con fare ingenuo appoggiò la bottiglia al muretto. Non aveva voglia di discutere, in certi casi era impossibile far ragionare l’insegnante, inoltre era troppo stanco per iniziare una delle loro battaglie verbali.
Dylan lo imitò, appoggiò la bottiglia a terra e anche la mezza sigaretta,  prese un respiro come per dirgli qualcosa, ma nessun suono uscì dalle sue labbra.  Sonic ignorò volutamente il gesto.
< ci vediamo. Ah, congratulazioni per il concorso > esclamò  con poco entusiasmo incamminandosi verso il vialetto deserto. Era stato avvertito del primo posto dallo stesso Silver che, più felice che mai, l’aveva tartassato di messaggi per tutto il pomeriggio ignaro della lotta che il compagno stava affrontando.
In quel momento sentiva che l’unica persona che potesse consolarlo almeno un po’ era il figlioletto blu, sperava che non fosse ancora andato a letto per coccolarlo un po’.  < Scusami! > gridò di getto il riccio nocciola alle sue spalle. Il blu si fermò e si voltò accigliato non sicuro di aver capito bene. I tre passi che li separavano sembravano cinquecento.
Il viso dell’insegnante era sofferente rendendo le sue parole ancor più credibili
< hai ragione. Avrei dovuto dirti qualcosa, ma me ne sono accorto tardi. Speravo che un giorno arrivassi in palestra e mi dicessi che eri diventato papà. Ma non è andato come speravo. Mi dispiace, finalmente ti vedevo felice, felice davvero, credevo venisse a galla da solo! Scusa! > gridò con voce arroccata da anni di sigarette. Sonic rimase in silenzio soppesando le sue parole una ad una, lo sguardo impenetrabile verde evidenziatore lo scrutò con attenzione per un momento per poi far affiorare un sorriso beffardo.
Erano rare le volte che Dylan ammetteva di aver torto e questa volta avrebbe letteralmente sguazzato nelle sue scuse prima di concedere il suo perdono. Alzando una mano come segno di saluto sorrise grato e poi si dileguò in un batter d’occhio in una scia blu. La prima persona a cui fare la morale era stata contattata: nei giorni successivi avrebbe passato uno a uno anche i suoi presunti amici. Soprattutto Silver.

La sua corsa a rotta di collo rallentò sempre più nell’avvicinarsi verso casa, gli sembrava che quel peso dentro al petto crescesse diventando sempre più pesante. E arrivato nella sua via rallentò fino a fermarsi di fronte al cancello di casa accuratamente chiuso. Nonostante fosse presto, le luci della casa erano spente e la casa sembrava fosse stata abbandonata, neppure il bagliore della tv brillò sulla finestra. Il suo pensiero volò a Justin, forse “quella” se l’era portato già via?
Comunque non poteva rimanere al cancello in attesa di un miracolo, inoltre il vento serale era freddino e lo stava congelando. Aprì il cancello e attraversò il viale illuminato dalle luci dei piccoli lampioncini. Il rumore dell’acqua lo fece rabbrividire, soprattutto quando delle piccole goccioline gli si posarono sul viso.
Quello che doveva affrontare era talmente enorme da creargli un forte senso di disagio: non aveva la forza, la pazienza e la voglia di affrontare la ragazza, anzi, non voleva nemmeno vederla.
Sulla porta le chiavi di casa erano in bella mostra attaccate alla serratura, indicando che mamma e figlio si erano recati a dormire. Il riccio lanciò un’occhiata scrupolosa al piano superiore cercando luci o movimenti che potessero accertargli che Amy fosse sveglia. Ma il buio più  impenetrabile riempiva le stanze: di sicuro entrambi, esausti dalla giornata movimentata, erano crollati inermi sui loro letti. Il riccio girò le chiavi stando ben attento a non creare rumori che potessero svegliare i due coinquilini e si addentrò in punta di piedi nell’atrio.
Felice di essersi intrufolato senza svegliare nessuno, pochi passi dopo, inciampò su qualcosa di solido, pesante e piuttosto alto. Il tonfo che risuonò per tutto il salotto sarebbe servito a risvegliare mezza città e il blu riuscì a non sfracellarsi al suolo solamente grazie alla sua straordinaria velocità. Aggrappandosi al mobile posto accanto al muro, incredulo per la caduta miracolata, tastò tutta la parete in cerca dell’interruttore della luce. Il piede, indolenzito dallo schianto, provocò una pioggia di imprecazioni rivolte all’oggetto su cui era inciampato.
Si stupì quando trovò due grosse e grandi valigie stipate di vestiti, pronte per essere trascinate via. Pensava infatti che Amy avrebbe tentato di convincerlo a farla rimanere per amore di Justin e via dicendo, invece, di fronte a quelle, non era affatto così.
Scrollò le spalle cercando di allontanare il senso di disagio che provava in quel momento e si sdraiò, dopo ore e ore di corsa e parolacce. Per quanto il suo corpo lo ringraziasse della pausa, i suoi pensieri erano un tal groviglio di nodi che non beneficiarono di alcun sollievo. Anzi, poter riposare il corpo significò dar più spazio ai sentimenti, troppi e così opposti tra loro da non riuscire a dare un ordine logico. Passandosi stancamente le mani sul volto si chiese cosa dovesse fare adesso: Amy se ne sarebbe andata il giorno dopo e con sé avrebbe portato il figlioletto. Aveva pensato se requisirglielo o meno e per quanto desiderasse tenerlo con sé capiva perfettamente che Justin, probabilmente, avrebbe preferito rimanere con la madre che con lui. Limitare il tempo con il bambino non se ne parlava proprio, aveva già perso quattro anni della sua vita, non aveva intenzione di perdere un altro singolo giorno e l’idea di lasciare che la ragazza abitasse con lui, men che meno.
Sospirando per la decisione che doveva prendere il prima possibile, dopo essersi stiracchiato mollemente, decise di andarsene a dormire: forse, con qualche ora di sonno, avrebbe deciso più facilmente. Con un sospiro guardò tristemente le lunghe scale che portavano al primo piano, maledicendo la volta che aveva comprato quell’enorme casa. Trascinandosi al piano superiore cercò di non inciampare su nient’altro, non voleva svegliare il piccolo o disturbare il suo sonno.
Con un’occhiata prudente, vide che la porta della camera dove dormivano i due era leggermente socchiusa.
Pensieroso, si fermò e si grattò leggermente la guancia graffiata: i tagli e le punture di quel pomeriggio si erano asciugate e le crosticine formatesi prudevano all’infinito.Se avesse utilizzato la massima attenzione, sarebbe riuscito a controllare il piccino. Era davvero adorabile quando dormiva beato. Infiltrandosi all’interno della stanza, vide chiaramente i due fagotti avvolti sotto le lenzuola.
Amy, coperta come in pieno inverno, aveva i capelli sparsi per tutto il cuscino, il respiro calmo e regolare indicava chiaramente che la ragazza stava dormendo più o meno tranquillamente. Accanto a lei, il piccino blu si era scoperchiato dal lenzuolo leggero e ora dormiva scompostissimo con una gamba ancora sotto le coperte. Ma non stava dormendo tranquillo e beato, un’espressione tra l’imbronciato e l’angosciato era dipinta sul suo volto.
Il blu si piegò sulle ginocchia fino a raggiungere l’altezza del bambino e si concentrò sulle mani tese intrecciate al cuscino. Si preoccupò subito di quel sonno poco sereno, l’espressione aggrottata indicava sicuramente qualcosa che non andava.
Accarezzandogli con estrema delicatezza il viso, si accorse che le guance erano fredde e che un leggero strato di pelle d’oca si era insinuato sulle braccine.
Il blu sospirò silenzioso e stando ben attento a non svegliare la ragazza, si caricò il piccino tra le braccia con estrema delicatezza. Justin era profondamente addormentato e non si accorse di venir portato nella camera del ragazzo, dove venne avvolto con una coperta e coccolato dal padre.
Sonic non riusciva ancora a credere che quel riccetto fosse suo figlio, il cuore gli traboccava di pura gioia e non avrebbe mai smesso di riempirlo di baci e di carezze. Non riuscì a non pensare a come doveva essere stato appena nato e negli anni seguenti, sicuramente meraviglioso, iperattivo e adorabile.
Schioccò un altro bacio sulla fronte pensando a quelle fantasticherie, cosa avrebbe dato per esserci. Ma il bacio fu un po’ troppo frettoloso, tanto da destarlo e da farlo agitare. La piccola mano del bambino, liberandosi dalla coperta avvolta attorno a lui, si alzò di slancio e andò a posarsi su quella del ragazzo, stringendogliela più forte del previsto. Sonic si irrigidì temendo di averlo svegliato con la sua foga esagerata, si diede automaticamente del cretino per aver rischiato così tanto. Tirò un sospiro di sollievo quando lo vide acquietarsi e rallentare il respiro.
< Papà? Sei tornato? > mormorò con voce impastata di sonno. La mano stretta a quella dell’adulto era molto più vigile di quello che credeva il ragazzo. Il blu, stupito da quelle parole, non sapeva se ignorarlo e farlo riaddormentare dolcemente, oppure se rassicuralo in qualche modo. In quel caso, il piccino si sarebbe completamente svegliato e non sapeva quanto gli convenisse quell’opzione.
Esitò un attimo prima di decidere e poi aprì la bocca
< sì. Sono qui tesoro > bisbigliò con dolcezza ricambiando la stretta della mano. Il riccetto aprì gli occhi assonnati e verdissimi, puntandoli dritti su di lui.
L’adulto gli sorrise, dubitando realmente che il cucciolo fosse sveglio e completamente in sé. Tanto valeva rassicurarlo e rimetterlo a dormire.
< Non te ne vai più ora, vero? > lo interrogò fissandolo con una serietà inquietante. Il blu sorrise forzato,
< no, non me ne andrò più > gli rispose ben conscio di tutto quello che c’era da affrontare dalla mattina seguente.
< Lo giuri? > continuò serrando la manina su quella dell’adulto con ancor più forza, dimostrando che, diversamente da quello che credeva il padre, era ben sveglio
< lo giuro >. Un sorriso felice si allungò sul viso del piccino, che chiuse gli occhi stancamente e sembrò ritornare nel mondo dei sogni con una facilità sconcertante. 
Sonic non riuscì a trattenere un sorriso soddisfatto, vederlo addormentarsi serenamente  gli procurava una sensazione di benessere colossale.
Stava quasi per riportarlo a letto quando dei singhiozzi dietro di lui lo fecero sobbalzare.
Appoggiata allo stipite della porta, la rosa si copriva gli occhi con una mano, inutilmente visto che le lacrime le scivolano dalle guancie andando a cadere a terra e su quella specie di pigiama. Il blu si sentì congelare alla sua vista ma non spiaccicò parola e tantomeno gesti o azioni.
< Mi dispiace, mi dispiace così tanto! Non hai idea di quanto mi penta di tutta questa situazione > bisbigliò con la voce rotta e silenziata dai singhiozzi. La ragazza, che aveva seguito il discorso tra i due, non riuscì a guardarlo negli occhi, poteva solo immaginare quello che il riccio provava e non doveva essere piacevole.
Asciugandosi le lacrime con il dorso della mano non vedeva l’ora di allontanarsi da lui tanto era dispiaciuta.
Non sarebbe mai riuscita a fargli recuperare quei quattro anni persi ma avrebbe cercato di fargli recuperare il loro rapporto il più velocemente possibile. Con la morte nel cuore, ma sicura che fosse la scelta più corretta da seguire, decise di pagare per quell’ingiustizia che gli aveva inflitto.
< Justin resterà con te > sillabò con calma mentre il labbro inferiore gli tremava dallo sforzo.

Spazio autrice: Buonasera! Fortunatamente sono riuscita a postare con un po' di anticipo. Questo è il penultimo capitolo, fa uno strano effetto pubblicarlo, nonostante questa fanfiction sia una schiocchezza mi sembra di concludere qualcosa di grande! Spero comunque che vi piaccia anche questo e che il finale sia di gradimento. Come sempre, correzzioni, sviste etc. segnalatele! Grazie davvero! Baci.
Indaco

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Capitolo 44
*** Aaaaah, l'amour! ***


Quattro settimane dopo.


Era una caldissima giornata di mezza, ormai fine, estate, il cielo limpido e privo di nubi lasciava passare tutta la luce e il calore del sole. Le strade piene di gente, ritornata dalla vacanze, erano immensamente fastidiose per il riccio blu. Lo smog e la confusione lo soffocavano tanto da innervosirlo. Stringendo forte la mano di Justin alla sua sinistra, tirò un sospiro di sollievo quando vide la casa di Blaze e Silver avvicinarsi sempre di più. Il giardino piuttosto vasto avrebbe meritato una tosata, mentre i gerani rosa alla finestra conferivano un aspetto ancor più grazioso alla dimora. Justin sbirciò tra le sbarre del cancello cercando con lo sguardo le figlie della gatta diventate le sue nuove compagne di gioco. 
Sonic fissò il campanello per qualche secondo prima di decidersi ma vedendo il piccino scalpitare impaziente lo premette senza pensarci troppo. Pochi secondi dopo il cancelletto si aprì con uno schiocco e la gatta lilla apparve statuaria sulla porta di casa con uno sguardo accigliato.
 Da dietro le sue spalle, la gattina e la riccia spuntarono di corsa e travolsero il nuovo arrivato in una specie di abbraccio soffocante, il quale gli corse incontro in una scia blu. Sonic, con molta più calma, seguì l’esempio del bambino e percorrendo il vialetto lastricato raggiunse l’adulta rigida di fronte alla porta. Infilata in una tuta viola scuro con delle scarpe da ginnastica ai piedi, la gatta sembrava stupita della sua presenza.
< Ciao Blaze > spezzò il riccio cercando di mantenere il tono di voce allegro e spensierato, in realtà si sentiva tutt’altro che sereno, ma era un dettaglio che sforzava di ignorare.
< Ciao Sonic, tutto bene? > esclamò di rimando la ragazza scrutandolo da cima in fondo in cerca di  qualcosa che potesse fornirgli una spiegazione a quella visita non programmata.  Sonic intercesse il suo sguardo e sorrise appena.
< sì, tutto bene, grazie, lei è in casa? > domandò arrivando subito al sodo. Blaze incrociò le braccia al petto e lanciò un’occhiata ai bambini che correvano per tutto il prato,
< sì, ma è in doccia e ti avviso che è di pessimo umore oggi. Vado su ad avvisarla. Tienili d’occhio > borbottò scomparendo all’interno. Il comportamento della gatta indicava chiaramente da che parte stava, ovviamente, la cugina era prima di lui.
Sonic si morse il labbro inferiore e guardò i piccoli rincorrersi tra di loro. Non era molto ansioso di parlare con lei, dopo l’intera vicenda accaduta, la rabbia che provava si era affievolita, ma non abbastanza da parlarci normalmente. Da quel fatidico giorno si erano contattati solo per scambiarsi informazioni sul piccolo e su nient’altro. Le domande di uno erano risolte con risposte secche e asciutte dell’altro. E le volte che si erano visti erano state tre al massimo. Inutile dire che colui che soffriva maggiormente di questo distacco era Justin: gli mancava la mamma ma contemporaneamente adorava stare assieme al padre che aveva sempre agognato.
Come da promessa, Amy aveva lasciato il figlioletto dal riccio e nel frattempo aveva trovato lavoro presso un bar molto frequentato. Il suo nuovo obiettivo da quel momento era stato di trovare una sistemazione per andare a vivere, al più presto, assieme al suo piccolo che le mancava terribilmente.

Sonic, pensieroso, aspettò con pazienza il ritorno della gatta che riapparve dopo pochi secondi.
< Sta scendendo, preferite il salotto o la cucina per parlare? > domandò paziente controllando le scale da dove sarebbe scesa la ragazza.
< Oh bhe, qui fuori va benissimo > si affrettò a rispondere il riccio con tono cordiale. A Blaze sembrava impossibile che i due, nella stessa città, riuscissero a restare distanti per ben quattro settimane. Conosceva alla perfezione la situazione dei due e, in realtà, non riusciva a decidere da che parte stare: se da una parte Amy aveva completamente sbagliato nel tener nascosto il figlioletto a Sonic, dall’altra, il blu, facendo praticamente la stessa cosa per ripicca, si stava comportando da perfetto immaturo.
Cercando di creare l’ambiente adatto ai due, richiamò i bambini per una pre-merenda, sperando che la tranquillità aiutasse i due a mantenere i toni di voci bassi. In quel preciso istante Amy spalancò la porta. La ragazza, vestita con le prime cose che aveva trovato, era stravolta: la maglietta piena di pieghe, i pantaloncini della tuta lisi e le scarpe da lavoro cariche di polvere era un’abbinata vincente per essere scambiata per una barbona. Catapultandosi in giardino non degnò di uno sguardo l’adulto e si precipitò sul bambino come un’aquila sulla preda, o almeno la velocità era quella.
< Justin! > esclamò gioiosa non vedendo l’ora di caricarselo tra le braccia. Il figlioletto non ebbe bisogno di confermare il volto di quella voce: si precipitò come un razzo blu dalla madre. Sollevandolo senza nemmeno troppo sforzo, Amy lo strinse al petto baciandogli ripetutamente la testa coperta di aculei blu.
Era da quattro giorni che non lo vedeva ma gli sembrava che fosse passata un’eternità. Sonic rimase a guardare lo spettacolino chiedendosi se stesse facendo bene o male a mantenere le distanze tra madre e figlio. Entrambi irradiavano felicità e i loro visi erano così sereni e rilassati! Blaze al suo fianco gli lanciò un’occhiata complice e soddisfatta,
< vi lascio soli > replicò con un sorrisetto. Amy regalò un altro bacio al figlioletto e lo lasciò scivolare a terra con estrema dolcezza
< su! Ora vai con la zia, io e te ci vediamo più tardi > replicò di malavoglia lisciandogli gli aculei con le dita. Il piccino lanciò un’occhiata dubbiosa al padre e poi guardò di nuovo la madre,
< d’accordo, ma non litigate mentre non ci sono > si affrettò a chiarire dirigendosi a passi lenti verso l’interno della casa. I due adulti non promisero ma sorrisero forzati per far sembrare che tutto andasse bene.
Chiusa la porta d’entrata e rimasti soli, il sorriso dei due scomparve e si scambiarono un’occhiata gelida come il ghiaccio. Entrambi si sedettero sulle sedie che circondavano il tavolino di legno e incrociarono le braccia al petto con stizza. Sonic capì al volo che Blaze aveva detto giusto quando l’aveva avvertito del malumore della ragazza: delle occhiaie di stanchezza le coprivano gli occhi lampeggianti di rabbia, i capelli umidi di doccia erano divisi in ciocche scomposte e persino le braccia erano appoggiate malamente tra loro.
< Che vuoi Sonic? Di sicuro non è una visita di cortesia questa > iniziò fredda non staccando le pupille da lui. Al contrario, Amy lo trovava in perfetta salute: a differenza di lei era lucido, riposato e sembrava persino rilassato. Il blu lasciò cadere le braccia sul tavolo e trasse un profondo sospiro, se si fosse concentrato a sufficienza era sicuro di poter vedere le scintille d’odio in quei due verdi fondi di bottiglia.
< Ciao Amy. A dir la verità non esiste un vero motivo per cui sono qua. Justin mi ha chiesto di vederti > semplificò in poche parole con sguardo assorto. La riccia sollevò un sopracciglio come per sottolineare il fatto che quella richiesta fosse inevitabile prima o poi, perciò non proferì parola e lo lasciò parlare. Ma non arrivò una continuazione del discorso, il blu rimase stranamente silenzioso a fissare il tavolo, perso nei suoi pensieri.
Un simile atteggiamento pacato non era certo da lui: fino a due giorni prima il ragazzo avrebbe approfittato dell’incontro per sfogare i propri sentimenti. Ora, invece, sembrava realmente un’altra persona: qualcosa bolliva in pentola. 
La rosa sospirò profondamente, irritata dal comportamento misterioso prese parola con tono alterato.
< tutto qua? Meglio così, capiti a fagiolo allora. Devo parlarti > rispose avvicinando la sedia al tavolo. Sonic emise un sospiro e sollevò gli occhi catturando il suo sguardo. Non era molto preoccupato su quello che doveva dirgli, era più in ansia per quello che doveva dire lui. La riccia allontanò la ciocca di capelli dal viso e incrociò le mani di fronte a lei assumendo un’espressione serissima
< ho trovato un appartamento nella zona periferica. Non è molto grande, tre stanze appena, ma non è male. Ho intenzione di andarci e porterò Justin con me > riferì seria e determinata come non mai. Sonic sbuffò e scosse immediatamente la testa  con le palpebre abbassate
< scordatelo. Justin non se ne va. Soprattutto non in un posto come quello > gli rispose irritato chiedendosi se avesse realmente realizzato cosa significasse acquistare un appartamento.
< Cosa c’è di male? Mi sono informata sai? La zona è stata completamente sanificata dal degrado e inoltre ci sono case a buonissimi prezzi. Justin lo rivoglio il prima possibile, non ho intenzione di passare un altro mese senza di lui > rispose a tono la riccia alzando di un’ottava la voce.
Sonic si alzò innervosito e rimase a contemplare il giardino per qualche attimo
< la mia casa è molto più adatta a lui che un appartamento. Justin necessita di spazio e la mia casa è grande a sufficienza > rispose ritrovando la calma che gli stava sgusciando tra le mani. La rosa si infiammò e balzò in piedi come una molla piazzandosi davanti al ragazzo blu
< sufficienza un corno, non è un cane! Non resterò senza di lui una sola settimana in più! > ringhiò la ragazza infuriata, afferrandolo per la t-shirt con tono minaccioso.
Sonic l’allontanò da sé con una leggera spinta e lisciò le pieghe creatosi da quel strattone. Era leggermente stupito dal comportamento così aggressivo ma non aveva voglia di approfondire quell’aspetto con qualche battuta o qualche frecciatina, equivaleva a lanciare benzina nel rogo.
< Se fosse per me ti assicuro che resteresti senza di lui ancora per qualche tempo. Ma per lui devo fare qualcosa > sentenziò innervosito lanciandole un’occhiataccia. La ragazza ritirò la mano e aggrottò le sopracciglia adirata in attesa di delucidazioni.
Il blu ritornò a guardare basso e sospirò di nuovo.
< Justin è giù di morale ultimamente, gli manchi un sacco ma contemporaneamente vorrebbe rimanere con me. Non posso vederlo così addolorato e confuso > spiegò asciutto con una serietà da fargli paura. La riccia, che iniziava a capire cosa volesse dire con quelle parole, rimase di sasso e si lasciò cadere sulla sedia di legno massaggiandosi le tempie
< comincio a capire. Perciò sei costretto a riconsegnarmelo, giusto? > domandò con una sfumatura di soddisfazione nella voce. Sonic si voltò e la fulminò
< come ti ho già detto, non ci penso proprio a separarmi da lui. Ma devo fare qualcosa, perciò ti chiedo di tornare. Preferisco averti nei dintorni che vederlo afflitto come questi ultimi giorni > sentenziò ritornando calmo e controllato.
Amy rimase allibita da quella richiesta: se da una parte le faceva piacere, dall’altra non era tanto ben sicura di poter accettare. Tornare non era così semplice come sembrava ed inoltre doveva ancora capire cosa si aspettava in cambio da lei. Iniziando ad arrotolare una ciocca sul dito indice, Amy lo fissò per qualche secondo per capire i sentimenti che il ragazzo provava in quel momento.
< In cambio devo pagarti un affitto? > approfondì studiando le sue reazioni. Sonic scosse la testa e tornò a sedersi di fronte a lei,
< no, ma divideremo le spese a partire dall’avvocato, la casa verrà gestita da entrambi, ci spartiremo i lavori da fare e cose così. E’ accettabile? > offrì il blu con lo stesso tono di chi conclude affari economici.
La riccia rimase in silenzio per qualche secondo: era un’offerta vantaggiosa: Justin e suo padre sotto lo stesso tetto, l’offerta non era nemmeno da valutare per più di una decina di secondi. Inoltre quella sistemazione era vicino all’asilo a cui Justin sarebbe stato iscritto, alla palestra di Dylan e ai suoi zii. Certo, non sarebbero stati una normale famiglia, ma al momento era la scelta migliore per il piccolo e questo bastava e avanzava.
La rosa si prese qualche altro minuto di silenzio per non sembrare troppo diretta e poi annuì lentamente.
< Va bene, mi sembra ragionevole > esclamò fingendo di pensarci ancora. Il riccio non aggiunse altro e si alzò in piedi lisciandosi le pieghe dei pantaloni
< bene, prepara le tue cose allora, ti aspettiamo questa settimana > concluse con tono ghiacciale. Amy annuì pensierosa ma restò seduta avvolgendosi  la stessa ciocca di capelli attorno all’indice. Da sopra la spalla il ragazzo le lanciò un’occhiata furtiva, l’aria stanca le conferiva un aspetto ancor più disordinato.
Avrebbe pagato un ring per conoscere i suoi pensieri.
 < Il motivo è solo Justin? > non riuscì a trattenere la riccia, chiedendosi se quell’offerta fosse un aggancio per poter riappacificare. Sonic rabbrividì a quella domanda , non si aspettava quella precisazione ma riuscì a rispondere sinceramente nonostante tutto,
 < sì, credo che sia meglio per entrambi > esclamò con una nota di incertezza.
< Capisco. Va bene, se è tutto sei libero di andare. Vado a coccolarmi il piccino > esclamò alzandosi e dirigendosi  verso l’entrata della casa.


Amy se ne andò dalla casa di Blaze due giorni dopo: le bambine e i rispettivi genitori erano dispiaciute per quella dipartita: l’aiuto con le due guastafeste, con le pulizie domestiche e cose di questo genere erano state più che benvolute. Inoltre, le due cugine si erano potute rivivere come ai vecchi tempi traendo una gran compagnia l’una dall’altra.
La riccia era molto felice, tornare a vivere con il piccino e con il legittimo padre era uno dei più bei regali che potesse ricevere.
A dire il vero era un po’ in ansia per Sonic,  non sapeva come prenderlo e non voleva creare discussioni in casa. Desiderava solamente riappacificare o almeno chiarire il minimo per poter condurre un’esistenza normale.
Il più felice per questo trasloco, ovviamente, fu Justin: riavere la madre con loro era fantastico. Inoltre il nuovo lavoro della mamma avrebbe permesso ad entrambi i genitori di godersi il piccino in santa pace.

Concluso definitivamente il trasloco, Amy si stabilì completamente nella casa. Era felice di essere tornata lì, quella casa era l’unica che potesse realmente definire quel significato e soprattutto le persone che vi abitavano al suo interno.
Era tardo pomeriggio e Amy aveva appena concluso di riporre i suoi effetti personali. Si era resa conto immediatamente che l’assetto della mobilia era leggermente cambiato: c’era più disordine in quasi tutte le stanze e sembrava che l’ambiente in generale fosse stato abbandonato a se stesso. Solo la cucina era perfettamente ordinata, il salotto e le stanze varie erano state conquistate dai nuovi giocattoli che il blu aveva preso.
La ragazza sollevò un sopracciglio di fronte a tutte quelle nuove macchinine e via dicendo. Non voleva che Sonic lo viziasse, chi l’avrebbe gestito poi?
< Uhmmm, come mai gli hai costruito un parco giochi So’? > stuzzicò la rosa cercando di numerare i nuovi regali. Il blu, intento a controllare il bambino nel prato che scavava un buco con un piccolo modellino, si innervosì a quella domanda
< inizi già a contestare? >.
Amy sbatté le palpebre e sospirò cercando la calma che aveva già perso,
< ha quattro anni So’. Non necessita di  una trentina di giochi, preferisco che … >
< so benissimo che ha quattro anni Amy! Non serve che tu me lo ripeta ogni due per tre! > sbottò nervoso lanciandole un’occhiata malevola.
Bruscamente, rigirò la testa e se ne tornò a fissare il piccino ignaro della discussione in corso. Amy, spiazzata, rimase in silenzio per qualche secondo: il blu non le aveva mai risposto in modo così scortese in tutta la sua vita.
Incrociando le braccia dietro la schiena sprofondò in pochi secondi nello sconforto, non poteva certo lamentarsi se il comportamento del blu era terribilmente sgarbato, d’altronde l’aveva provocato lei con le sue bugie.
< Non pensi ad altro eh? > borbottò a bassa voce iniziando a scalfire quel muro di rabbia che le si parava davanti.
Il riccio strinse le mani attorno alle braccia innervosito.
< come posso dimenticare quello che è successo?  Non te ne sei ancora resa conto? Non hai ancora capito cosa mi hai fatto perdere Amy? >  domandò con la voce che gli tremava dallo sforzo nel mantenere un tono normale e basso.
Amy incrociò le braccia al petto e cercò le frasi giuste da dire, ma purtroppo c’era ben poco con cui argomentare. Il silenzio della ragazza spronò l’adulto a continuare il discorso.
< quattro anni Amy! Quattro fottutissimi anni che non tornano indietro! Mi hai fatto perdere delle cose che non potrò più vivere. Non so come è nato, quando ha iniziato a camminare, le sue prime parole … e tutto per quale motivo? Per paura di non so cosa! Dio Amy, mi hai mentito come nessun altro aveva fatto  mai. Sono così deluso!  Ero felice di poter costruire nuovamente qualcosa con te > concluse amareggiato distogliendo gli occhi dall’interessata.
La speranza dentro di lei si spezzò a quelle parole e qualche lacrima le scivolò dal viso. Non aveva scuse da porgere e non riusciva a difendersi, poteva solo ammettere il suo errore e chiedergli di perdonarla. Forse dopo questo, forse e solo dopo, avrebbero potuto cercare di riavvicinarsi. Ma in quel momento sentiva sempre più tangibile la possibilità di perderlo. Come fargli recuperare quei quattro anni? Erano pochi, certo, ma erano stati così pieni di avvenimenti.
Asciugandosi le lacrime con il dorso della mano si avvicinò al divano con una disperatissima idea, dettata più dal rimorso che dalla sua utilità. Il blu, notando che la ragazza non rispondeva a quello sfogo, si girò appena per spronarla a parlare. Ma diversamente da quello che si aspettava, trovò una scena più che strana. La riccia stava sistemando un piccolo cuscino sotto la stretta t-shirt, schiacciandolo ai lati per dargli una forma più rotondeggiante.
< Cosa stai…? >
 < ecco! Questa ero io alla fine della gravidanza. Pesavo quanto una mucca ed ero terribilmente stanca. In quei mesi  ho ingurgitato quintali di cioccolatini alla banana e di fragole > esclamò con una piccola risata esibendo un finto pancione di dimensioni standard.
Sonic rimase a bocca aperta per quella trovata completamente folle, ma non riuscì a esplicitare una singola parola, incuriosito e interessato a tutti quei dettagli che aveva sempre agognato.
L’interpretazione di quel tempo venne approfonditamente analizzato e arricchito con aneddoti, foto e video che la ragazza aveva raccolto in quegli anni, narrandogli le vicissitudini che aveva dovuto passare prima di arrivare a Mobius. Sonic che, in un primo momento, l’aveva guardata incredulo era stato completamente assorbito dalla sua narrazione. E se all’inizio ascoltava in silenzio, irrigidito nella sua posizione, verso la conclusione di quella sorta di fiaba iniziò a cedere e a farle un sacco di domande. A cui, ovviamente, la ragazza rispose con estrema cura riportando alla memoria più dettagli possibili per fornirgli un quadro completo della situazione.
Quel racconto fu più utile del previsto: Sonic, troppo incuriosito, non riuscì a mantenere un comportamento asciutto e diffidente. Ardeva dalla voglia di conoscere date, sensazioni e fatti, era un modo per sentirsi in qualche modo partecipe alla vita del suo figlioletto. Per Amy quel racconto servì anche a renderlo partecipe dei problemi riscontrati durante la convivenza forzata con Jason, giustificando così il suo silenzio per tutti quei lunghi anni. Parlarono per ore e ore, interrotti solo dalle occupazioni quotidiane, come la cena, il bagno e la presenza di Justin attorno a loro che zittiva i due adulti ogni volta che compariva nel loro raggio d’azione.
Quel racconto concluse solamente verso le undici di sera, con una sigaretta, immersi nel giardino buio. Il bambino, messo a letto da qualche ora, dormiva tranquillamente e profondamente, di sicuro non li avrebbe disturbati in quel momento.

Seduti uno accanto all’altro, i due genitori si stavano rilassando dopo quella giornata impegnativa.
Sonic era immerso tra i suoi pensieri, ogni tanto il braccio si alzava per portare la sigaretta alla bocca o per passarla alla riccia, ma i suoi occhi rimanevano incollati al pavimento.
La rosa, appollaiata comodamente sopra lo sdraio, rilassava le corde vocali utilizzate fin troppo quel giorno. Lanciandogli un’occhiata furtiva cercò di comprendere i sentimenti che vorticavano nel cuore del riccio.
Di sicuro dentro di lui albergava ancora molta rabbia ed era capibile, ma qualcosa nel suo sguardo era mutato. I lineamenti non erano più induriti dalla collera, anzi, persino il semplice gesto di passargli la sigaretta aveva acquisito un moto dolce. Non voleva rovinare quel piccolo cambiamento, perciò si rintanò nel silenzio interpretabile come stanchezza.
Una spolverata di cenere venne sollevata dalla brezza tiepida e sparsa sullo sdraio su cui la riccia era seduta.
Era una serata deliziosa e se tra loro non ci fosse stato quel muro, probabilmente sarebbe stata indimenticabile.
< Mi sarebbe piaciuto essere al tuo fianco in quello che hai raccontato > esclamò d’un tratto il blu sorprendendo Amy. La diretta interessata fissò il riccio e poi il cielo e sospirò impercettibilmente,
< anche a me > gli rispose con estrema cautela. Ed era vero, tutto sarebbe stato diverso, ad iniziare dalla sua partenza.
Scostandosi una ciocca di capelli ricaduta sugli occhi, la rosa decise di concludere immediatamente quel discorso che le stava facendo salire il magone. Alzandosi in piedi decise di ignorare quella serata fresca e luminosa: andare a dormire e lasciare il riccio a riflettere era la soluzione migliore per tutti. Magari il giorno dopo, con tanta pazienza e qualche moina, sarebbe riuscita a strappargli una risata od un sorriso.
< Te na vai? > la interrogò il blu lanciandole un’occhiata da sopra la spalla. Gli occhi verdissimi la scrutavano con sincero interesse e per un attimo, Amy credette di sentire una velatura di preoccupazione.
< Sì, sono stanca e poi domani ho il turno che inizia presto > esagerò lei per aver campo libero e poter scappare a letto. Disse tutto questo con un sorriso gentile, in modo che il blu potesse crederci al cento per cento. Il ragazzo rimase in silenzio a fissarla per qualche attimo, poi girò la testa e continuò a fissare il pavimento.
< va bene. Buonanotte allora > replicò asciutto.
La rosa non vi badò più di tanto abituata com’era al comportamento acido nell’ultimo mese, ma, passandoci accanto, non riuscì a non accarezzargli gli aculei con vero affetto. A quella carezza delicata al ragazzo salì la pelle d’oca sul braccio e  rabbrividì nonostante il gran caldo. Quella moina, dolce come della cioccolata, influì sul suo stato d’animo più del previsto: si sentì immediatamente più armonia con la madre del suo figlioletto.
< Amy > la richiamò lui cercando istintivamente di mantenere un tono di voce sobrio e indifferente.
L’interessata si voltò con sguardo interrogativo, puntando i due smeraldi brillanti addosso al riccio e accennando un sorriso cordiale. Di sicuro quel viso grazioso non lasciò indifferente il riccio blu, il quale si sentì un po’ troppo vulnerabile.
< Si? > continuò la ragazza dimostrando che tutta l’attenzione possibile ed immaginabile era rivolta completamente a lui. Il riccio si sentì seccare la gola e per un attimo non ebbe più le parole a portata di lingua.
< se sei qua non è solamente per Justin > esclamò il blu spostando velocemente lo sguardo da lei.
La rosa aggrottò le sopracciglia e si avvicinò di un passo al ragazzo, lo sguardo interessato gli si fiondò addosso come un’aquila punta alla preda. Con un respiro profondo continuò il discorso continuando a fissare le piastrelle del pavimento.
< a dir la verità se ti ho invitato nuovamente qui è perché mi sentivo … in colpa diciamo > balbettò cercando di mantenere un’espressione neutra. In realtà, il cuore iniziò a velocizzare i battiti e iniziò anche a chiedersi se fosse stato giusto rivelargli quell’informazione o meno. D’altronde era stato spinto a parlare solo per quello che provava, sentimento che si stupiva ancora di avere visto come era stato trattato.
Amy, stupita da quelle parole, sollevò un sopracciglio e tornò a sedersi accanto a lui per comprendere meglio.  
< In colpa perché? Sono stata io a comportarmi malissimo, sono io che devo chiedere scusa a te, non di certo il contrario! > sbottò dispiaciuta cercando di farlo ragionare. La sua mano, più o meno involontariamente, andò a stringere quella del ragazzo.  Il blu non diede troppo peso a quell’azione nonostante provasse ancora del risentimento nei suoi confronti, anche perché non gli dava affatto fastidio, anzi.
< Bhe, ti ho ordinato di allontanarti da nostro figlio e da un giorno all’altro e, se non ci fosse stata Blaze, ti saresti trovata in strada praticamente. Mi dispiace per questo > replicò con una certa determinazione cercando di non crollare a quel tono dolce e a quella stretta calda e morbida. L’espressione sincera stampata sul viso dell’adulto bastò a far sentire Amy ancor più in colpa: gli atteggiamenti di Sonic erano sufficientemente giustificati, non provava rabbia per quell’allontanamento forzato, capiva perfettamente la situazione in cui Sonic si era trovato e il motivo per cui aveva agito in quel modo. Lo trovava coerente e persino necessario per poter superare quello shock e per poter riavvicinarsi.
Certo, quell’allontanamento era durato più del previsto ma non voleva lamentarsi, era servito se fosse riuscita a guadagnare un po’ di buonumore al riccio.
< Non dire così, so bene quello che ho fatto, non sono stupida! Capisco il tuo rancore e comprendo la tua rabbia, per questo mi dispiace così tanto! > buttò fuori quasi urlando non rendendosi conto del  volume di voce. Il cuore era un sacchetto vuoto visto che tutto il sangue le ribolliva nella faccia.
Sonic, di fronte a lei, sembrava assetato di ogni singola virgola che buttava fuori dalla bocca, guardandola come se fosse appena scesa da un’astronave.
La ragazza strinse con più forza la mano del ragazzo,
< so che sono stata egoista, so che ci vorrà tempo per farmi perdonare, so che è stato un trauma per te e so benissimo che i quattro anni non torneranno indietro. E mi dispiace infinitamente, davvero! Ora come ora voglio che tutto ritorna come prima: le nostre colazioni, i nostri giochi, il lavoro … ma sempre tutti assieme, altrimenti non avrebbe senso > esclamò con le lacrime che le rigavano le guance.
Il riccio di fronte a lei non aprì bocca. Le parole del salice piangente rosa che si trovava davanti, doveva ammetterlo, gli procurava una certa soddisfazione.
Era completamente d’accordo con le sue parole, anche lui voleva tornare a vivere con la ragazza in tranquillità, d’altronde Justin avrebbe iniziato a frequentare l’ultimo anno d’asilo da lì a breve e un aiuto in più non era da rifiutare. Ovviamente  la riccia non l’avrebbe passata liscia: avrebbe mantenuto le distanze ancora un altro po’ sia per saggiare quanto fosse onesto il suo pentimento, sia  per  lanciarle una piccola soddisfazione personale.
< Bhe, almeno te ne rendi conto, peccato che la situazione non cambi ugualmente. Quattro anni sono passati e non torneranno più e da come hai descritto ne sono avvenute di cose. Non è semplice far finta di niente e passare avanti > le rispose asciutto lanciandole un fazzoletto che aveva trovato in un pacchetto abbandonato su una delle finestre.
La riccia si asciugò le copiose lacrime che rotolavano giù a velocità diverse,
< se potessi fare qualcosa, qualsiasi cosa, per rimediare al mio errore lo farei ad occhi chiusi! > esclamò coprendosi  gli occhi, pentita fino all’osso delle sue decisioni.
Il blu drizzò le orecchie quasi involontariamente dedicandosi un minuto a ripetere mentalmente la frase appena pronunciata.
< Hai … hai detto “qualsiasi cosa”? >  ripeté voltando la testa verso la sua direzione.
Il viso di Amy, arrossato e con le palpebre gonfie di pioggia come le nuvole, incrociò quello del riccio che in quel momento esibiva un sorriso calcolatore che sforzava di mantenere neutro.
La rosa si pentì immediatamente di quelle parole e cercò di prendere tempo per trovare una scusa o una specificazione che l’aiutasse ad uscire da quel ricatto che si era auto creata.
< B-bhe, certo, ovviamente tenendo presente … >
< bene. Ho una richiesta da farti Amy > la zittì portandosi avanti col busto.
La diretta interessata sospirò profondamente mentre gli occhi verdi del riccio legavano con i suoi. Sonic prese tempo e, assumendo un sorriso beffardo, raccolse le parole in una decina di secondi.
< a dir la verità c’è qualcosa che puoi fare. Anzi, più di una > vagheggiò impudente iniziando a stilare una lista mentale delle cose che avrebbe preferito. 
La riccia aggrottò le sopracciglia, ogni traccia di dispiacere era lentamente scomparsa  e ora l’unico pensiero che la tormentava era il riccio blu di fronte a lei. Era capace di qualsiasi cosa in quello stato d’animo: dallo scavalcare grattacieli ad imparare a nuotare e la cosa non la faceva saltare di gioia.
Sonic si alzò con fare teatrale iniziando a camminare di qua e di là nel patio con un sorriso furbetto,
< facciamo una cosa: se tu farai qualcosa per me io ti assolverò per avermi mentito e avermi nascosto Justin per quattro anni. Non se ne parlerà mai più, ricominceremo da capo e non te lo rinfaccerò per il resto della vita > le spiegò con un sorriso da usuraio voltandosi di scatto.
Amy rabbrividì a sentire ciò e si allacciò ben bene la felpa leggera credendo che quella pelle d’oca fosse stata causata dalla brezza.
< Dovrai solo fare qualcosina per me > concluse con una strizzata d’occhio e gran poca affidabilità. Il ragazzo capì al volo che quell’idea invogliava la riccia più di ogni altra cosa, si capiva dalla guancia risucchiata e mangiucchiata e dalla ciocca di capelli arrotolata infinitamente tra le dita: il suo cervello era al lavoro.  
Era un’offerta indubbiamente vantaggiosa se non fosse stata ideata dal riccio e la rosa doveva ammettere che quella proposta l’allettava molto, moltissimo. Incrociando le gambe liberò anche la ciocca di capelli e continuò la sua indagine
< sentiamo Sonic, cosa vuoi che faccia per te? > domandò la ragazza con tono di voce visibilmente preoccupato. La tensione che traspariva dalla sua rigidità fu un dettaglio che fece sorridere il riccio, divertito dal fatto che era proprio lui a tenere il manico del coltello.
Il ragazzo cercò di reprimere il sorriso che tentava di allargarsi sul suo viso, era esattamente quella la domanda che voleva sentire.
Risedendosi sulla sua seduta abituale, sospirò profondamente per ritornare impeccabilmente serio un secondo dopo. Portando la mano chiusa a pugno davanti al viso della riccia, sollevò l’indice indicando la prima delle richieste,
< chilydog, domani, a pranzo, a merenda e a cena >  sentenziò con tono militare e incredibilmente serio.
La rosa sbuffò una risata, le era andata bene dopotutto! Sorridendo dolcemente scosse la testa e lo spronò ad avanzare.
Il dito medio scattò per secondo ed un sorriso malizioso gli comparve sulle labbra, anticipando chiaramente la sua richiesta
< stasera io e te ci dedicheremo a noi due, Justin dorme tranquillamente e perciò puoi decidere tu il posto se ci tieni  > mormorò malizioso, sicurissimo di sé con un sorriso complice.
Le guancie della ragazza presero fuoco a quella richiesta, imbarazzata e cercando di calmare il rossore, voltò la testa e fissò  il melograno che sfiorava il pelo d’acqua con le corte foglie verde chiaro.
< Sei veramente … >
< chi tace acconsente. E per ultima cosa … > replicò avvicinandosi ancor di più alla ragazza.
I loro visi erano distanti appena un palmo di mano l’uno dall’altro e la rosa poté sentire il cuore del blu iniziare a rimbalzare contro il suo petto.
I loro occhi si incollarono l’uno all’altro e rimasero così per qualche attimo. Le mani dei due si sfioravano appena ma ad entrambi sembrava che l’uno abbracciasse l’altro. Sonic interruppe quel lungo silenzio con un sorriso del tutto diverso ed un sussurro
< s-sposiamoci Amy. Lo voglio. Per noi, per Justin e per chi altro verrà >  mormorò a bassissima voce accarezzandogli  il ventre dolcemente.
Amy trattenne il respiro incredula, non credeva alle proprie orecchie, probabilmente aveva capito tutt’altra cosa ma il filo del discorso coincideva. Perciò? parlava seriamente?
  < C-cosa? > balbettò con la gola secca e la bocca asciutta come sabbia, gli occhi verdissimi luccicarono senza nemmeno rendersene conto.
< Davvero? E’ ciò che vuoi seriamente? > balbettò esterrefatta stringendogli, involontariamente, ancor di più la mano.
Il riccio sorrise a sua volta riempiendo tutta l’insicurezza della ragazza
< sì, è quello che voglio seriamente. Voglio una vita assieme a te Amy, anche quando sei arrabbiata, nervosa, rompiballe . Ti sopporterò così volentieri conoscendo il dolore della tua mancanza >.
La rosa, esterrefatta, impiegò qualche secondo a rendersi conto che il ragazzo non stava scherzando ed era serissimo. Portandosi le mani alla bocca per soffocare i singhiozzi, completamente stupefatta, si sciolse in un pianto di gioia. Per poi, subito dopo, con uno scatto degno dello stesso, abbracciare il ragazzo di fronte a lei, con così tanta foga che il riccio non riuscì a trattenerla, trovandosi trascinato sul pavimento del patio.
< Amy! Di questo passo andremo in ospedale, di certo non in chiesa! > la richiamò con una risata e un forte abbraccio ricambiato. Inutile dire che si trovava con la schiena ammaccata sulle piastrelle del pavimento.
Le lacrime della ragazza iniziarono a colargli sulla gola, infradiciandogli il girocollo della t-shirt.  La riccia si sollevò di poco e si asciugò i rigagnoli lucidi con il dorso della mano,
< certo che ti sposo! Come potrei non farlo? Adoro la tua gentilezza e le tue premure, adoro la tua franchezza e adoro anche quando disturbi e sei un demonio. Ti amo in tutto e per tutto. Non credo che potrei amare un’altra persona come faccio con te > esclamò gioiosa con un sorriso enorme stampato sul viso.
Il blu sorrise davvero felice ammirando gli occhi della compagna, splendenti come due smeraldi, in cui riusciva interamente a specchiarsi. Una scarica di adrenalina per le parole che si erano appena scambiati gli fece tremare le dita.
Accarezzandogli la guancia con delicatezza si avvicinò ancor di più alle sue labbra
< bene > mormorò soddisfatto.
E  detto ciò, la trascinò in un lungo bacio che avrebbero ricordato per molto, molto tempo.
 
THE END                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                           
 

Spazio autrice: Conclusa! Con mia immensa gioia sono riuscita a portare a termine questa storia infinita. Spero davvero che vi sia piaciuta almeno un po’ e spero anche di essere riuscita a strapparvi qualche sorriso. Ringrazio tanto chi ha seguito questo racconto, chi ha usato del tempo per recensire, chi ha segnalato errori e chi mi ha dato consigli e dritte. In particolar modo devo ringraziare Lily710 che ha corretto tanti, tanti capitoli in modo impeccabile. Gazie davvero a tutti!
Baci.
Indaco

 

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