EGO SUM DEUS, Io sono Dio

di obidoia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** capitolo 7 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Only looks unhappy to scream
our loneliness.




 

Fiamme, ovunque si guardasse non era altro che un ammasso di fiamme. Intere abitazioni e villaggi distrutti. Il fumo nero aveva preso il posto del cielo e prepotente stava avanzando verso continenti ancora sconosciuti. In quel putiferio nulla era più normale, nulla era più umano. Il silenzio tombale era l'unico suono prodotto dalla guerra predetta da secoli. Uomini e donne annientati nel loro spirito, urlavano la loro sofferenza. Non avevano più niente. Una guerra che non apparteneva a loro, che non era del loro mondo era stata capace di portare via tutto quello a cui erano più cari. L'odore di morte era l'unica cosa respirabile, un odore acre, pungente e spesso conosciuto.

Tra le rovine di un paese una bambina di circa cinque anni cercava di scappare, correva veloce quanto può correre un bambino. Voleva fuggire, doveva nascondersi lo sapeva o per lei sarebbe stata la fine. Loro la stavano seguendo, ormai quel mondo non era più sicuro per lei, doveva andarsene. All'improvviso inciampò su un residuo di maceria e cadde a terra. Sentiva che le loro anime, si stavano avvicinando minacciose. Qualcuno la aiutò a tirarsi in piedi. Un ragazzo dai capelli lunghi e luridi, neri, e un paio d'ali, oscure, simili a quelle dei pipistrelli o del diavolo. Non erano ali da angelo morbide o setose ricoperte di piume, no, le ali di quel ragazzo emanavano qualcosa di tremendamente oscuro.

La sua anima rivelava una sofferenza e un dolore mai visti prima. I suoi occhi erano quelli di una persona la quale ha conosciuto la tristezza, una persona che ormai ha abbandonato ogni speranza e che si lascia pervadere dalla rassegnazione. Il sangue caldo colava, dalle ferite, che pian piano lo stavano uccidendo. Un normale essere umano sarebbe già morto al suo posto, ma forse non si sarebbe trovato neanche in quel luogo fra i residui della città. Ma lei non era spaventata.

<< Sorella con questa forma sei troppo vulnerabile, ti prego prendi le tue vere sembianze. >>

Faceva fatica a parlare e sembrava che ogni respiro gli costasse una fatica immensa, tuttavia riusciva ancora ad essere preoccupato, a percepire emozioni umane. La bimba notò ora che la persona li davanti a lei era ferita molto più di quanto pensava, aveva bruciature su gran parte del corpo e una ferita da taglio profonda nell'addome. Uno squarcio, la cui sola vista rendeva difficile mantenere la calma. Si accorse inoltre che il fisico, come era solito suo fare, guariva da solo, ma con una lentezza simile a quella umana e questo non era un bene, non era normale.

Il ragazzo era troppo stanco e affaticato per rigenerarsi da solo e respirava a stento. I suoi vestiti ormai erano ridotti a uno straccio bruciato per lavare in terra. La bambina si avvicinò all'essere di fronte a lei, che poi era suo fratello minore. Gli pose una mano all'altezza del cuore e chiuse gli occhi. Il giovine sentì chiaramente il cuore della sorella rallentare il battito fino a smettere. Gli occhi di lei diventarono rossi quando un'energia sconosciuta attraversò la sua mano fino al corpo di lui, accelerando la sua guarigione. Lui era un essere gigantesco di fronte a lei, la sovrastava con la sua altezza. L'ampiezza delle sue ali era enorme e anche se stremate, circondavano i fratelli in un abbraccio protettivo come se stessero cercando di rallentare qualcosa di inevitabile.

L'adolescente sorrise ringraziando, aveva recuperato una piccola parte delle sue forze, nonostante non fosse comunque sufficiente a garantire una vittoria, nel caso di uno scontro improvviso. Dovevano solo pregare per uscirne illesi, ma era un'eresia, il male non può pregare.

<< Sorella devi scappare, stanno venendo, non ti possono sacrificare, per favore, ti supplico trasformati. >> implorò il demone.

<< Tranquillo, la mia aura è protetta. >> ma ormai non ne era più tanto sicura, cercava di rassicurarlo anche se serviva a ben poco data la situazione. Non volevano arrendersi, quello che era successo non era giusto. Morti, ormai erano tutti morti, loro erano gli unici rimasti e dovevano scappare per la sopravvivenza, ma non serviva poi molto vivere, dove sarebbero andati? Cosa potevano ormai fare loro? Erano determinati a vivere anche se non ne erano capaci.

Corsero mano nella mano il più lontano possibile, inciampando e trascinandosi fino a una vecchia fattoria abbandonata e semidistrutta, dove apparentemente trascorsero alcune ore tranquilli. Appena arrivati il ragazzo, esausto, non avendo più la forza di controllare i suoi poteri, tralasciò la sua forma divina e ritornò un normale “umano”, se sempre di umano si può parlare. I cappelli si accorciarono e persero la loro oscurità così come gli occhi, entrambi diventarono di un tenue color marrone. Le ferite si erano in parte rimarginate e il sangue si era seccato sulla pelle diventando di un colore tra il rosso scuro e il nero.

Il fratello emise un gemito, era il dolore a farlo fremere in quel modo. La bambina se ne stava in piedi poco più avanti, di fronte alla porta, la sua espressione era seria, troppo assorta per una bambina di quell'età. Le mani serrate a pugno dimostravano la sua preoccupazione. Il ragazzo svenne dalla stanchezza e cadde privo di sensi sul pavimento, illeso rispetto a prima.

Tutto questo era assurdo, loro erano molto più forti. Ma allora perché stavano fuggendo? Gli Dei non corrono via con la coda tra le gambe, eppure non avevano avuto scelta. La sorella tolse lo sguardo da lui e si rimise a guardare la porta in attesa di qualcosa. Le sentiva, i loro poteri, le loro voci, quei ghigni che erano già presenti sulle loro facce, come se sapessero quello che sarebbe successo da lì a un attimo, mancava poco ormai, loro erano qui. Non poteva lasciare che si prendessero anche suo fratello, non poteva permetterselo.

Fece un respiro profondo e un attimo dopo i suoi occhi luccicarono di rosso rubino, l'aria attorno a lei si fece più densa accompagnando la trasformazione. Una giovane donna stava al suo posto, con occhi socchiusi, pieni di determinazione. I capelli lunghi le incorniciavano il viso rendendola ancora più seria e il suo sguardo freddo non lasciava spazio all'esitazione. Non avrebbe mollato fino all'ultimo, la sua sicurezza era enorme.

Diede un ultimo sguardo al corpo inerme del fratello, sorridendo impercettibilmente. Questo non era un addio, solo un arrivederci, si sarebbero incontrati molto prima di quanto si aspettava. Infine, si avviò verso l'uscita, dove l'oscurità l'attendeva.

 

E ancora, nei secoli successivi alla grande lotta, le persone terrorizzate pregavano rintanate e nascoste nelle loro case affinché gli Dei potessero garantire loro la sopravvivenza. Ma si sbagliavano, perché non sempre il Dio che ci si aspetta di vedere davanti è quello giusto.

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Capitolo 2
*** capitolo 1 ***


<< Siamo arrivati! Vieni Kyra guarda che bello! >>

Sharon correva da una parte all'altra come una matta, era sempre così euforica e piena di vita.

<< Beh niente male. >> Mi guardai un po' intorno, ammirando la città in tutto il suo splendore. Eravamo appena arrivate dopo un viaggio devastante e la bellezza inglese ci colpì subito.

<< Come niente male?! È semplicemente stupendo! >> Sharon sembrava già essersi adattata perfettamente al nuovo clima, tuttavia io avevo un po' freddo.

<< Si, si. >> risposi distratta.

<< Ehi ragazzi! Venite tutti qui un momento! >> I professori ci chiamavano a gran voce cercando, anche se invano, di attirare la nostra attenzione. Mi avvicinai insieme alla mia amica per sentire. Parlò il professore di inglese << Bene ragazzi avvicinatevi. Staremo qua cinque giorni, ma cominceremo a visitare Londra e dintorni solo a partire da domani, visto che è già tardi e sarete stanchi per il viaggio. Quindi per ora vi consiglio di andare su nelle camere per sistemare le vostre cose e magari schiacciarvi un pisolino. Questo sarà l'ultimo viaggio di istruzione prima della Laurea, ormai siete adulti, o almeno si spera, e sapete cavarvela da soli. Cercate di passare questi ultimi giorni assieme al meglio che potete! Non perdete i ricordi che formerete qui perché vi accompagneranno sempre durante la vostra vita. Ok, detto questo vi lascio liberi. >>

Appena finì di parlare tutte le persone presenti urlarono di gioia e iniziarono a parlare a gran voce fra di loro. Tutti erano entusiasti al massimo per questo viaggio. Il professore invece sembrava già essersi rassegnato, poveretto.

<< Ragazzi per favore non facciamoci riconoscere già dal primo giorno come al solito... ma nessuno mi sta ascoltando. >>

Era sempre la stessa storia in fondo. Non eravamo poi cambiati molto dalla prima superiore, mi faceva un po' pena quell'insegnante che ci aveva dovuto sopportare per cinque anni.

<< Non si preoccupi prof! >> Si levò una voce tra la folla, seguita da una risata generale.

<< Il ritrovo è qui nell'atrio dell'Hotel alle 20,00 precise! Cercate di essere puntuali! >>

 

La nostra camera era abbastanza carina e semplice, ma questo poco importava visto che dovevamo rimanerci solo per poche notti. La prima giornata passò tranquillamente, una bella dormita e qualche chiacchiera prima di andare tutti a dormire. Il giorno dopo gli insegnanti avevano organizzato una visita a delle strutture antiche, non che io fossi particolarmente attratta da queste cose, per me erano solo vecchie costruzioni prive di significato. Oltretutto io non ero neanche credente; non mi interessava tutta quella storia. Perché mai dovrei credere in qualcosa di così privo di logica e non scientificamente provato? I freni dell'autobus stridettero in maniera angosciosa quando ci fermammo per visitare l'ennesima cattedrale. Appena misi piede a terra un brivido percorse la mia schiena, solo io percepivo il freddo inglese? I miei compagni di classe cominciavano a essere stufi e si lamentavano con i professori che cercavano di calmare le acque.

<< Non vi preoccupate, - disse la guida – questa sarà l'ultima. >>

Incominciò a camminare attraverso un sentiero a malapena visibile. Speravo con tutto il cuore che non fosse tanto lontana. inciampai più volte tra i sassi, non ero preparata a fare trekking, né fisicamente né psicologicamente, e poi odiavo camminare, era faticoso. Presi per la milionesima volta un ramo in faccia e dopo quella che sembrava un'eternità ci ritrovammo davanti una chiesa immensa che sembrava essersi conservata molto meglio rispetto alle altre. Come avevamo fatto a non accorgerci di una chiesa così grande? E poi perché l'avrebbero dovuta costruire qui? Era lontana sia dal centro città che dalla periferia. Ci avvicinammo un po' all'entrata. La parte centrale era enorme, alta almeno 100 m, e anche le due guglie solitarie erano insolitamente alte. La sua struttura era architettata in maniera arcaica e perfino gli ornamenti sembravano essere molto antichi. Niente o ben poco era stato ristrutturato di recente. In alto nella facciata c'era un rosone dalla forma circolare e attraverso i vetri colorati vi era raffigurato un angelo. Tutt'intorno era pieno di affreschi, i quali simboleggiavano passi della Bibbia e altri avvenimenti sacri.

La guida iniziò il suo solito discorso: << Questa chiesa, come potete notare, è ben diversa dalle altre non solo data la sua magnifica conservazione naturale, ma anche nell'aspetto artistico riguardante la disposizione all'interno e all'esterno. Guardate attentamente nel rosone. Cosa vedete? >> Indicò il rosone con la punta dell'indice.

Io l'avevo già notato prima, un angelo su uno sfondo rosso.

<< Sembra qualcosa con delle ali e del fuoco. >>

<< Un angelo? >> I miei compagni tiravano ad indovinare, ma era abbastanza difficile vedere a quell'altezza. La guida sembrò piuttosto compiaciuta. Aveva un aspetto strano, un uomo dai capelli folti di un marrone scuro ma una barbetta rasata brizzolata. Ogni volta che sorrideva le fossette lo rendevano ancora più anziano di quanto sembrava, come se fossero rughe. Nonostante avesse una certa età non era per niente affaticato dalla camminata e non accingeva a smettere di parlare.

<< Quello è un demone, un dio della notte. >> Sorrise ora divertito nel vedere le nostre facce un po' sbigottite, perfino il solito brusio tacque in un colpo.

La figura là sopra era un demone, ma come si faceva a dire? Le differenze tra angelo e demone non erano poi così nette.

<< E qual è la differenza tra i due? >> La domanda mi venne fuori spontanea.

Entrambe sono creature leggendarie e inesistenti, ma lui non sembrava pensarla così e infatti mi rivolse un'occhiata circospetta.

<< Nel disegno potete vederla nella diversità dell'aspetto, guardate attentamente le sue ali e la sua espressione. >>

Dando un ulteriore sguardo notai che le ali erano scure, squamose e con dei tagli, ma non avrei saputo dirlo con certezza, nonostante le sue dimensioni il rosone era posizionato troppo in alto per far si che un occhio umano potesse vederlo chiaramente. La sua faccia mi incuriosiva, mostrava un'espressione terrorizzante, un miscuglio di rabbia, paura e dolore, era come se quel disegno volesse gridare.

<< Perché lo sfondo è rosso? >> Anche Sharon sembrava particolarmente interessata a quella raffigurazione.

<< Non c'è una versione ufficiale... Nella Chiesa, il rosso era un simbolo di autorità, fuoco pentecostale, del sangue di Cristo, del martirio, della crocifissione, della carità cristiana. Inoltre, poteva simboleggiare anche il satanico e il colore delle fiamme dell'inferno, le fiamme dei sette peccati mortali, è come se l'arrivo del male portasse distruzione, ovunque passi dietro lascia nient'altro che dolore. >>

Si creò un silenzio imbarazzante, nessuno sapeva cosa dire o commentare, neanche io sapevo se era giusto fare altre domande, con quest'argomento eravamo caduti un po' nell'incredulità. Il nostro accompagnatore meditava tra sé e sé, come se stesse cercando di rammentare qualcosa, poi tutto a un tratto si ridestò e continuò con la sua parlantina.

<< Un'altra cosa interessante da sapere è la posizione in cui la cattedrale è stata costruita. In questo luogo il tramonto cade esattamente nello stesso punto tutto l'anno, nella posizione perfettamente opposta a quella del rosone, e la luce rossa del Sole si riflette sul vetro già rosso rendendo l'immagine al centro ancora più spettrale. Purtroppo noi non avremo l'opportunità di assistere a questo spettacolo. Su ora diamo un'occhiata all'interno. >>

<< Ma possiamo? Non è vietato entrare...? >> intervenne il professore.

<< L'importante è che non tocchiate nulla dato che questa chiesa è antica di millenni e potrebbe sgretolarsi con un soffio soltanto. >>

<< Ma... >>

<< Non faccia quell'espressione corrucciata professore o gli verranno le rughe. >>

Ridemmo piano mentre il prof. borbottava qualcosa sulla sua incredulità.

Ci stavamo già avviando verso l'interno della chiesa, quando il mio sguardo cadde involontariamente sul rosone per la terza volta. La luce stava provocando uno strano effetto su di esso e cercai di mettere a fuoco i dettagli il più possibile malgrado la grande altezza.

Non so se fosse a causa dell'umidità, a uno scherzo della luce o a un difetto nella mia vista, ma l'immagine che vidi fu più spettacolare delle precedenti, il demone piangeva. Rimasi a fissare quella figura estranea come in trance. Era bellissima. Indefinita e indistinta in mezzo a tutto quel cremisi.

Mi ripresi quasi subito, in fondo era solo l'umidità del posto che brillava di fronte alle ultime ore di luce del sole.

La cella della chiesa in sé non era niente di straordinario in confronto alla magnificenza del rosone. L'unica cosa che la differenziava era, come ci aveva informato precedentemente la guida, la disposizione ambigua dell'interno.

 

 

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Capitolo 3
*** capitolo 2 ***


 

Capitolo 2

 

 

La cella era poco illuminata a causa delle rare e piccole finestre sparse per la chiesa. L'unica fonte di luce sembrava infatti essere quella che attraversava il rosone. Dipingendo di rosso anche l'interno. Dentro faceva piuttosto freddo. I muri sembravano trasudare umidità. Non era una chiesa come tutte le altre si vedeva a vista d'occhio. Non poteva essere cattolica poiché era totalmente differente da tutte quelle finora conosciute. Sulle pareti che circondavano la cella erano dipinti degli affreschi e delle scritte in latino. Gli affreschi pensai raffigurassero l'esilio di Lucifero e le sue truppe dal paradiso beato, ma non ero un'esperta per cui non ne ero del tutto sicura. Sparsi per la chiesa erano poste delle sculture di marmo, per lo più angeli caduti e dalle ali recise. Sotto alcune di esse lampeggiavano scritte rosso fuoco, alcune incomprensibili a causa dell'usura altre invece appena leggibili. Tra queste riuscii a distinguere alcune frasi tra le quali “Mortem tua est vita mea” e “Melius est regnare in inferno quam servire in coelis.” Il latino mi affascinava tuttavia capivo ben poco di quel che leggevo non avendolo mai studiato didatticamente. Con il resto del gruppo ci avvicinammo al centro della chiesa dove ergeva l'altare di marmo bianco. Era soprattutto questo singolare dettaglio a rendere quella chiesa così diversa e caratteristica. Infatti l'altare solitamente posto verso il fondo della cella era invece posizionato al centro di essa con attorno della panche scolpite anch'esse nel marmo. Sull'altare sembravano esserci scolpite delle parole ma era ormai impossibile capire quale sorta di preghiera fosse a causa del logoramento provocato dal tempo e dalle condizioni atmosferiche. Avvicinandomi un altro po' notai su di esso dei segni simili a graffi lungo il fianco spigoloso. Sussultai per la sorpresa quando la guida interruppe la nostra visita avvisandoci che era ora di rientrare in albergo. Mentre ci allontanavamo a passo lento da quel luogo posai ancora una volta lo sguardo sull'altare, in controluce potevo vedere che quei graffi componevano in realtà una parola, e quella parola era “SALEM”.

 

Faceva caldo qua, anche se mi sarei aspettata la pioggia, perché se non pioveva in Inghilterra era un miracolo. Uscii dalla discoteca per respirare un po' d'aria fresca. Là dentro si soffocava tra il fumo e la puzza di sudore. Uscii da sola lasciando Sharon con gli altri compagni di classe. Si divertivano, ridevano e scherzavano, ma io non mi ci trovavo. Preferivo starmene per conto mio, a pensare, a fare osservazioni.

Perfino la mia amica si stava divertendo, stava ballando con un ragazzo inglese che aveva conosciuto la sera stessa quando sii accorse che la stavo osservando. Mi fece cenno di raggiungerla ma io feci un gesto di diniego con la testa, sorridendole e facendole capire che uscivo a prendere aria. Allora lei continuò a ballare.

Quel paesino mi piaceva davvero tanto, la scuola aveva fatto bene a scegliere quel posto. Mi girai e allontanai dalla parte opposta del locale, addentrandomi tra gli alberi lì vicino. Camminavo lentamente, a testa bassa, con la borsetta in mano e il vestito che mi sfiorava appena il ginocchio, persa nei miei pensieri e riflessioni. Cosa ci facevo lì?? Ero talmente rinchiusa nei miei sogni e pensieri che ormai erano diventati la mia realtà. Assorta da queste consapevolezze andai a sbattere contro un albero cadendo a terra e sbattendo il sedere, e di conseguenza l'albero cadde addosso a me. Come... un albero che cade? Alzai la testa e aprii gli occhi. Sopra di me c'era un ragazzo, capelli castani scuri, con ciuffi che gli coprivano gli occhi e questi del medesimo colore, profondi, con venature nere.

Tenne la bocca aperta e gli occhi spalancati, forse per la sorpresa. Mi accorsi solo dopo di avere trattenuto il respiro e... quel ragazzo era sopra di me, e io indossavo solo un vestitino che adesso mi copriva giusto metà coscia!! Diventai paonazza in un nanosecondo e chiusi gli occhi per la vergogna. Il ragazzo si allontanò da me a velocità supersonica e si sedette di fronte. Mi portai le mani al viso per coprirmi gli occhi e reprimere l'imbarazzo.

<< Ehi, ehi scusami se ti sono venuto addosso, è colpa mia, ero perso nei miei pensieri. >>

Tolsi le mani e lo guardai, rimanendo scioccata. Aveva un'aria completamente mortificata e teneva la testa e gli occhi bassi. Ero rimasta incantata dal suo fascino, quel ragazzo.... era così umile. Mi avvicinai e gli poggiai una mano sulla sua. Lui alzò la testa di scatto sgomento e io gli sorrisi come per rassicurarlo.

Meravigliato gli luccicarono gli occhi mentre mi sorrideva di rimando, un sorriso da mozzare il fiato, bellissimo, vero e... puro. Quel ragazzo aveva un animo così gentile e casto, potevo vederlo. Sentii la voce di Sharon in lontananza segno che mi stava cercando. Quanto tempo era passato da quando ero uscita?

<< Scusami, ma devo andare. >>

Tolsi malvolentieri la mano dalla sua, e mi alzai con l'intento di andarmene, quando sentii tirarmi il vestito e trattenermi. Mi voltai e la sua espressione mi spiazzò.

<< Aspetta non mi hai detto come ti chiami. >> Nella sua voce mi sembrava quasi di sentire una supplica.

<< Kalia. >> Lui sorrise, divertito da qualcosa che poteva capire solo lui.

<< E tu? Come ti chiami... >> All'improvviso volevo sapere tutto di lui, a proposito quanti anni aveva? Credetti più a meno la mia stessa età...

Mi fece un sorrisone, come quello di prima e il mio cuore rallentò poco a poco. Ignorai la sensazione che il suo sorriso mi provocava, nascondeva qualcosa... qualcosa di oscuro e che non ero ancora in grado di comprendere.

<< Micael >> e detto questo corse via, nella direzione opposta alla mia. Tornai indietro mentre nelle mia mente aleggiava una sola parola, il suo nome.

Una volta arrivata in piazza la prof. mi fece la solita ramanzina per essermi allontanata troppo dal resto della classe e poi tornammo tutti all'hotel. Appena varcata la soglia della stanza Sharon mi riempì di domande, alle quali io rispondevo volentieri, felice di rivivere anche solo per un momento l'avventura di quella sera. Quando finii di raccontare ci infilammo a letto, pronte per dormire.

<< Ma non mi hai detto una cosa... come si chiama? >>

Era vero!! Avevo dimenticato una cosa fondamentale!!

<< Micael. >> sorrisi come invasa da una dolce sensazione.

<< Kal! >> disse preoccupata.

<< Che ti prende? >>

<< Ha un nome un po' strano, in fondo chi è che usa più il nome Micael ai giorni d'oggi? È un po' antiquato non credi? >>

Ero totalmente spiazzata da quella rivelazione. Presa da un sonno tormentato mi addormentai e quella notte lo sognai.

 

Dopo quella sera purtroppo non vidi più Micael. La vacanza finì e insieme a Sharon tornammo nel nostro paesino nel nord dell'Italia a finire l'ultimo anno di scuola superiore. Dopo aver preso la maturità decisi di iscrivermi in un'università nei pressi di Londra, lontano però dal paesello pieno di ricordi. Sharon ad Agosto si trasferì dal padre, nel sud d'Italia dove diventò socia di una sua azienda, dato che lui era un famoso amministratore. Per cui passammo ogni momento della nostra ultima estate assieme. A Ottobre partii anch'io.

 

 

Adesso era già da una settimana che ero arrivata e dovevo dire che mi ero già innamorata di quell'università, era fantastica, anche se i professori un po' meno. L'appartamento in cui abitavo in confronto era misero, ma per una come me andava più che bene. Dovevo cercare di risparmiare il più possibile sull'affitto per poter pagare gli studi.

Quel giorno, essendo Domenica, era il primo giorno senza scuola, e io avevo intenzione di passarlo in un negozio che mi ero fatta consigliare da una mia compagna di corso con la quale avevo già stretto amicizia. Era un negozio di circa due piani, che vendeva tutti i libri del mondo o quasi. Praticamente era il mio regno. Sicuramente a fine giornata sarei stata al verde, ma in fondo, mi dovevo anche divertire. Dopo essermi guardata un po' in giro e aver preso qualcosa, notai in alto su uno scaffale un libro che catturò subito la mia attenzione. Un libro sui nomi, nomi di tutto il mondo, antichi e non, con significati e curiosità di ogni genere. Quelle cose mi aveva sempre incuriosita quindi avere un libro del genere non avrebbe fatto alcun male... se non al mio portafoglio.

In più avevo anche un'altra ragione per volere quel libro. Decisa a prenderlo mi misi sulle punte, ma con le dita riuscivo solamente a sfiorarlo appena. Mi allungai ancora un po' e riuscii a prenderlo. Sfortunatamente quando lo tirai giù trascinai dietro anche altri tre libri che per errore colpirono qualcuno che proprio in quel momento stava passando.

<< Oh, no! Scusa come sono maldestra, scusami! >> quando la persona che avevo colpito alzò lo sguardo massaggiandosi la testa con una mano io non potevo credere ai miei occhi.

<< Insomma, quando ti sono vicino devo sempre scontrarmi con qualcosa eh? >> Poi sorrise.

Lui era lì, davanti a me dopo tanto tempo... quanto? 4,5 mesi? E poi quel sorriso che avevo sognato così tanto, e i suoi occhi, con le venature nere....

<< Micael... >> quasi urlai e sentii improvvisamente i battiti del cuore accelerare. Vederlo lì in quel momento era come respirare l'aria che mi era mancata in tutti questi mesi. L'avevo visto solo per una sera e non eravamo neppure amici, eppure mi comportavo in quel modo.

Mormorai delle scuse biascicando le parole. Sentii la temperatura del mio corpo salire per la vergogna e l'imbarazzo, per caso ero matta?

Micael dapprima meravigliato diventa sorridente, un sorriso dolce, rassicurante.

<< Kalia, questo deve essere tuo... tieni. >> Con la mano mi porse il libro. Lo presi ringraziandolo, e pensare poi che io volevo prendere quel libro solo per indagare sul suo nome...

<< Va tutto bene? >>

<< Eh? Ah, si si, tranquillo! >>

Appena il suo sguardo incrociò il mio sentii un brivido sulla schiena, i suoi occhi erano profondi, e completamente neri, dov'era finito il marrone o cioccolato fuso? Che strano... ora che li guardavo meglio non erano più marroni a venature nere, ma nere a venature rosse. Portava delle lenti colorate?

<< Mi fa piacere – sorrise – scusami Kalia, ma ora devo andare, si è fatto tardi. >>

Rimasi colpita dal suo tono di voce, così serio e fermo, quasi gelido. Ne ero un po' spaventata, ma cercai di non darlo a vedere. Aveva fatto un cambio di umore e aspetto repentino, ma forse aveva qualche suo problema.

<< Ok, ma quando possiamo rivederci? >> quasi quasi mi ero pentita della domanda appena fatta, ma io volevo davvero rivederlo. Micael che si era già incamminato per la sua strada si fermò all'improvviso rivolgendomi un altro dei suoi sorrisi speciali, era di nuovo cambiato.

<< Presto, molto presto. >>

Sentii che la sua risposta era carica di significato, tuttavia non riuscii a proferire parola e me ne stetti in silenzio a osservarlo andare via. Dopo non so quanto tempo ero riuscita finalmente a vederlo e il mio corpo era scosso ancora dall'adrenalina, stessa sensazione che provai la prima volta in sua presenza. Dopo aver preso tutta la roba che mi serviva tornai a casa, cenai e mi fiondai nella lettura, intenta a scoprire qualcosa sul suo riguardo.

 

 

 

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Capitolo 4
*** capitolo 3 ***


 

Micael: Deriva dall'ebraico Mika'el, composto da Mi, “colui”, da Ke, “come”, e da 'El,

abbreviazione di Elohim, “Dio”, e significa “Colui che è come Dio”. Michele è l'arcangelo

custode dei guerrieri e del popolo eletto.

 

Alla fine il libro che avevo acquistato il giorno prima non mi era servito granché. Ne ricavai solo qualche futile informazione. Sbuffai lanciando il libro ai piedi del letto. Cercai di addormentarmi anche se parzialmente insoddisfatta dal risultato delle mie ricerche. Avrei fatto ulteriori ricerche appena ne avessi avuto la possibilità. Per adesso dovevo accontentarmi di ripensare all'incontro di quel pomeriggio e fantasticarci un po' su.

La mattina mi svegliai in preda agli incubi. Mi misi a sedere sul letto ormai totalmente sveglia e incapace di riprendere il sonno. Guardai il display del cellulare che segnava solo le 7. Mancava un'ora all'inizio del primo corso, Storia e Cultura dei popoli antichi tenuto da un professore che non sapeva neanche cosa stesse insegnando. Accesi il computer portatile. Cercando di continuare la ricerca dalla sera precedente. In particolare un sito attirò la mia attenzione. La pagina era stata presa da un vecchio libro, una specie di tomo che secondo le leggende fu scritto nel 1200 a. C. dalle streghe di Salem. Iniziai a leggere voracemente tutte le notizie possibili, senza rendermi conto del tempo che nel frattempo avanzava.

 

Dopo aver letto non è che mi sentii poi più sicura... guardai l'ora sul comodino. Oh, cavolo! Erano già le 8 meno 10!! Mi preparai velocemente non facendo caso ai calzini, che puntualmente erano uno a righe e l'altro coi pallini rosa, ed uscii di casa. L'unica fortuna era che il mio nuovo appartamento era abbastanza vicino all'università. Una volta arrivata mi fermai davanti alla porta della mia classe cercando di riprendere fiato e cercare il polmone che avevo perso durante la corsa.

Erano le 08.10, mi ero decisamente svegliata dalla parte sbagliata del letto quella mattina e non avrei sopportato di sentire anche una ramanzina sul mio inadeguato comportamento da un professore che pensava non si notasse il parrucchino che aveva al posto dei capelli. Decisamente no. Insegnava più che altro storia e letteratura legata a religione, in pratica tre materie in una. Le sue lezioni però dovevo ammettere che fossero magnetiche, interessanti e che catturavano l'attenzione di chi ascoltava. Io non ero tra quelli. Tuttavia sentivo provenire dall'interno troppo rumore rispetto a quello che ci sarebbe stato se il professore fosse stato presente... che fosse anche lui in ritardo? Pensai che magari potevo fargli una o due domande riguardanti ciò che avevo scoperto ultimamente, per vedere cosa ne pensasse e forse schiarirmi un po' le idee.

Feci un bel respiro ed entrai in classe. Come sostenevo il professore non era ancora in aula. Andai dritta al mio banco, terza fila attaccato alla finestra e chiacchierai un po' con la mia vicina aspettando l'arrivo del prof. Eveline, così si chiamava la mia compagna di banco, era una ragazza molto, forse troppo loquace, ma che in fondo sapeva essere anche sincera e giudiziosa. Aveva la pelle olivastra e i capelli neri corvini che scendevano con dolci boccoli sulle sue spalle. Vicino a lei io invece sembravo una racchia...

Dopo cinque minuti entrò qualcuno. Capii che era qualcuno di nuovo quando in classe scese il silenzio. Forse era un nostro nuovo compagno. Mi mossi sulla sedia per cercare di vederlo, ma visto che l'alunno davanti a me era un bulldozer, rinunciai subito all'idea facendomi gli affari miei. All'improvviso sentii un mormorio provenire dalla classe. Alzai la testa e riuscii a vedere che il nostro nuovo compagno, infatti notai che era un maschio, era dietro la cattedra rivolto verso la lavagna. Prese un gesso e iniziò a scrivere il suo nome.

<< Il mio nome è Michele Iuga , e sono il vostro nuovo insegnante. >>

Le voci nella classe aumentarono e la mia testa iniziò vorticare. Quella voce, non poteva essere la SUA voce. E il nome... non si chiamava Micael? Alzai lo sguardo e subito incrociai il suo. Aveva un sorrisetto divertito stampato in faccia, e gli occhi erano ridotti a due fessure. Mi stava sfidando? Perché dirmi un nome falso? A quale scopo? Oppure era il nome che aveva detto qui a non essere quello vero. La mia testa stava per scoppiare.

Inoltre non bastavano questi dilemmi da risolvere, no perché ora lui, un ragazzo affascinante, giovane e bello, ma comunque dal carattere ambiguo, sarebbe stato il mio nuovo insegnante e io indossavo degli orrendi calzettoni a righe e a pois rosa!

<< Purtroppo per voi – avevo solo io l'impressione che si stesse riferendo esclusivamente a me? - ci sono io, perché il vostro professore è gravemente malato e non si sa quanto potrà durare la sua situazione. Ora farò l'appello per iniziare a conoscerci, ma se prima avete domande chiedete pure. >>

Micael, o Michele o come cavolo si chiamava era molto strano. Era piuttosto professionale e serio, non credevo si potesse comportare a tal modo. Inoltre dall'inizio della lezione non sorrise neanche una volta o almeno, l'aveva fatto, ma in maniera ambigua e non con il suo solito sorriso, così bello da spaccare le rocce.

Una mia compagna alzò prontamente la mano e parlò senza che fosse interpellata.

<< Se non sono indiscreta... posso chiederle quanti anni ha? >>

La classe rise piano. Era la tipica domanda idiota da fare se un professore era così giovane. Per la prima volta però, “Michele” sorrise, divertito da essa, cosa avrà avuto mai da ridersi?

<< Bhè, anche se sono un professore sono abbastanza giovane, ho 24 anni. >>

Che cosa? E io che pensavo avesse la mia stessa età, ovvero 18!! Allora non era poi così giovane.

Eveline si avvicinò intenta a sussurrarmi qualcosa.

<< Certo che siamo state fortunate eh? E' davvero carino il nuovo professore! >>

Senza accorgermene diventai rossa al ricordo di tutti i nostri trascorsi, ma in fondo... che trascorsi?

<< Si si, carino... >>

Lo osservai di sottecchi, non volevo né che Eveline né che il sottoscritto se ne accorgessero. Indossava un paio di jeans neri che gli fasciavano i muscoli delle cosce e un cardigan grigio che ne metteva in risalto i fianchi e le clavicole appena sporgenti. Aveva la pelle quasi bianca. Sentii il suo sguardo su di me.

<< Ora ragazzi farò l'appello, mi raccomando alzate le mani in modo che possa riconoscervi con facilità. >>

Iniziò a chiamarci e gli altri man mano alzavano la mano. Ed ecco che arrivò il mio turno.

<< Anderson Kalia >>

Sbaglio o solo io avevo avvertito il tono mellifluo con cui aveva pronunciato il nome? Non feci neanche in tempo ad alzare la mano che i suoi occhi erano puntati nei miei.

<< E' un piacere conoscerti. >> il suo tono profondo mi fece quasi sobbalzare.

E quel gesto? Risposi con un grazie masticato e frettoloso, che vergogna! Tutti gli sguardi erano puntati su di me, chi era invidioso, chi curioso, mentre io ero qua a rimpicciolirmi e a voler sparire insieme alle mie calze. Micael mi sorrise velocemente, ma apparentemente dolce e continuò a fare l'appello. Fui sicura che avere lui come insegnante non avrebbe portato a nulla di buono. Inoltre a chi avrei potuto posare i miei dubbi?

Le due ore con il professor Iuga passarono veloci e non me ne accorsi fino a che non sentii il suono familiare della campanella destarmi dai miei pensieri e dal suono di quella voce così magnetica. Mi sarei aspettata un segno o anche un piccolo cenno da parte sua e invece Micael uscì dalla classe senza rivolgermi un sguardo, neanche fossi stata trasparente. Ne rimasi piuttosto delusa, ma cosa mi aspettavo? Eveline richiamò la mia attenzione, dovevamo cambiare aula per il prossimo corso. Latino era insegnato da una professoressa sui cinquant'anni che amava mantenere un rapporto distaccato e professionale coi suoi alunni. Il latino mi affascinava, così come un po' tutte le lingue antiche, ma studiarlo era tutt'altra cosa. Era come studiare matematica in arabo.

La prof iniziò a parlare e mi accorsi di non riuscire a mantenere la concentrazione. La mia testa era da tutt'altra parte. Sentire pronunciare delle frasi in latino mi ricordava le frasi scolpite sulle statue e sulle pareti di quella chiesa vista mesi prima. Se a quei tempi avessi saputo il latino forse avrei capito più cose. Il mio pensiero ritorno a Micael e a quello che avevo scoperto in mattinata. Erano per lo più riferimenti religiosi ma erano sempre meglio che niente. Presi un quadernino e ci appuntai sopra tutto quello che ricordavo.

Micael arcangelo custode dei guerrieri e del popolo eletto. Dapprima accanto a Lucifero (Satana) nel rappresentare la coppia angelica, si separa poi da Satana e dagli angeli che operano la scissione da Dio, rimanendo fedele a Lui e difendendo la sua fede andando contro le orde del Maligno, mentre Lucifero e le sue schiere precipitano negli inferi.”

Chiusi il quaderno e lo riposi con cura nello zaino. Chiesi a Eveline di tenere d'occhio la mia roba mentre facevo un salto bagno. Appena entrai nel corridoio tirai fuori il cellulare, dovevo chiamare Sharon. Sapevo che a quell'ora non aveva lezione. Rispose dopo neanche due squilli.

<< Ehi Kal come va? >> Il suo tono allegro aveva sempre un effetto calmante sui miei nervi.

<< Ti devo parlare. >>

<< Cos'è successo? >> Capii dal suo cambiamento di tono che era preoccupata.

<< Micael. È tornato. >>

La sentii trattenere il respiro.

<< Dimmi tutto. >>

<< L'ho rincontrato ieri dopo tutti questi mesi e adesso vengo a scoprire che il suo vero nome è Michele Iuga, che ha 24 anni e che sarà un mio nuovo professore! >>

Sharon sembrò soppesare le mie informazioni. << Non mi fido di lui, c'è qualcosa di sospetto. >>

<< Sharon non so che fare io s– >> << Usare il cellulare quando si ha lezione non è molto rispettoso signorina Anderson. >>>

<< Sharon devo andare ci sentiamo dopo. >> Chiusi la chiamata mettendo il cellulare in tasca.

<< E origliare le conversazioni non è una cosa molto educata, professor Iuga. >>

Micael sorrise. << Sono stato colto in flagrante? >>

Si avvicinò a me di qualche passo e io indietreggiai senza rendermene quasi conto, come fosse istintivo.

<< Ti avevo detto che ci saremmo rivisti molto presto no? >>

Micael sorrideva, ma quel sorriso non mi rassicurava, al contrario ne avevo paura. Non gli risposi, gli voltai le spalle e mi misi a correre per ritornare da Eveline.

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Capitolo 5
*** capitolo 4 ***


 

All'intervallo ero ancora scossa dalla sorpresa inaspettata e dall'ultimo incontro con lui, motivo per cui avevo deciso di starmene in un angolino a riflettere, ma mi era molto difficile a causa di alcune mie compagne di corso che non smettevano di parlare per un secondo del nuovo professore figo. Facendo finta di niente iniziai a origliare i loro discorsi.

<< Certo che abbiamo avuto fortuna, eh? Da quanto non ci capitava un professore così? >>

<< Hai proprio ragione Liz!! Mi domando se sia fidanzato... >>

Bene, le chiacchiere cominciavano a diventare interessanti.

<< Ma è ovvio che non sia fidanzato Maggie! Non hai visto durante la lezione come mi stava spogliando con lo sguardo? Ce l'ho ai miei piedi... Ok! Ho deciso. Lui sarà la mia prossima preda, te lo giuro. E quando Liz fa una promessa, la mantiene sempre. >>

Liz e Maggie iniziarono a ridere maliziosamente. Ma chi cavolo si credeva di essere quella li? Si doveva mettere in fila perché c'ero prima io! Ma poi... prima per cosa? Per provarci con Micael?! Ah-ah che ridere. Non avevo una sola speranza con lui.

 

Alla fine della scuola ritornai a casa, ma visto che non avevo voglia di passare l'intera serata a deprimermi sul divano, a mangiare gocciole e guardare film strappalacrime, decisi di uscire e farmi un giro da Starbuck's. Seduta a un tavolo con del cappuccino fra le mani e un libro davanti iniziai a guardarmi attorno, era pieno di ragazzini. Erano tutti in compagnia. Chissà cosa faceva Sharon in quel momento! Mi mancava da impazzire. Pensai che magari avrei potuto richiamarla domani, lei avrebbe saputo darmi spiegazioni su tutto quello che stava succedendo.

Il locale mi metteva un po' in soggezione, piccolo e angusto con poca luce. Le pareti verde scuro sembravano peggiorare ancor di più la situazione, per non parlare infine della cameriera che adocchiava ogni uomo che le passava davanti, i quali si fermavano ad ammirare il panorama, visto che indossava una camicetta non proprio abbottonata, e poi quando se ne andavano lasciavano una mancia. Che schifo di mondo che era questo. Alcune persone non meriterebbero neanche di vivere. Fuori iniziò a piovere e velocemente l'intensità delle pioggia aumentò. Bevvi frettolosamente il mio cappuccino ustionandomi la lingua ed uscii dal locale. Dato che il mio appartamento non era molto vicino avevo scelto di andarmene subito dal bar, visto che non avevo neanche un ombrello. Fuori era ormai buio, la strada era illuminata leggermente dall'unico lampione nell'arco di 100m. Essendo Settembre l'aria iniziava a farsi fresca di sera, inoltre a quell'ora in giro non c'era nessuno, solo un lieve odore di fumo mischiato all'umidità della sera. Ecco l'unica cosa che odiavo veramente di Londra e del resto dell'Inghilterra era il clima. Perché doveva sempre piovere? Attraversai di fretta il secondo incrocio, arrabbiata dal fatto che mi stavo bagnando come un pulcino. Lungo il percorso l'unico suono prodotto era quello dei miei passi, che rimbombavano ritmicamente nelle mie orecchie.

Un uomo con un cappellino di lana in testa e una bottiglia in mano si avvicinò barcollando ma minaccioso verso di me. Allibita ma anche spaventata arretrai di qualche metro cercando di cambiare strada, eppure dopo pochi passi mi ritrovai l'uomo di prima davanti a una distanza di circa un metro.

<< Ehi, ehi signorina, ma dove sta andando?! Lo sa che è pericoloso andare in giro di notte tutta sola? Eh-eh lasci che la accompagni fino a casa,venga con me. >>

Senza rendermene conto venni sbattuta con la schiena contro al muro, mentre l'uomo mi teneva bloccata. Non avevo via di scampo.

Cercai di liberarmi invano dalla sua presa, provai ad urlare ma non ce la facevo, il terrore mi stava paralizzando, non riuscivo neanche a respirare, mentre i miei occhi dilatati e spaventati al massimo guardavano freneticamente intorno in cerca di un possibile salvatore. Non c'era nessuno.

<< Eh-eh mi dispiace, ma non c'è nessuno in giro, questa sarà una stupenda notte per noi due, cosce d'oro. >> con una mano iniziò ad accarezzarmi le gambe, avido e io non riuscii a muovermi, nessun suono uscii dalla mia bocca, e sentii che il mio cuore stava impazzendo. I fianchi mi iniziarono a dolere e le ginocchia mi scricchiolarono. Stavo ormai per cedere, quasi svenendo quando mi accorsi di non essere più trattenuta al muro da quel tale. Infatti lui giaceva seduto a terra a circa due metri più a sinistra, con una mano si stava toccando delicatamente il naso, il quale sanguinava in maniera spaventosa, doveva essere rotto. Solo in quel momento mi resi conto che c'era una figura in piedi accanto al corpo accasciato del maniaco.

Micael stava guardando disprezzante l'uomo sotto di lui. Il suo sguardo era carico di odio, come se lo volesse uccidere. Il suo viso era pieno di rabbia, sembrava che stesse per esplodere da un momento all'altro, quasi fosse una bomba. Vederlo ora in queste condizioni mi provocava una strana sensazione, paura. Come se qualche mio sesto senso mi stesse avvertendo del pericolo che c'era in lui. Sapevo che questo era un'assurdità, ma quella sensazione non mi avrebbe abbandonata per un bel periodo di tempo. Era stato lui ad aggredire l'uomo? Lui mi aveva salvata....

Dopo aver lasciato per terra l'uomo sconosciuto mi prese per mano e senza proferire parola mi riportò a casa, tenendo lo sguardo basso e lasciandomi poi sola nel mio appartamento, sconcertata. Cosa era appena successo? Solo allora mi resi conto di tutto quello che effettivamente era accaduto e in silenzio iniziai a piangere, disperata, fiumi di lacrime uscirono. Il mio corpo era scosso da fremiti a causa dello shock appena subito.

Alla fine, esausta, un nuovo sentimento si propagò in me, rabbia cieca, così ancora tremando, pregai Dio di fargliela pagare a quell'uomo, cosi che non potesse scamparla vivo, e di fargli conoscere l'inferno. E Dio mi ascoltò.

 

L'indomani mattina lessi una notizia sul giornale. In un articolo era raffigurata la foto e descriveva la morte dell'uomo che mi aveva quasi molestata la sera prima, diceva:

 

<< Uomo cinquantenne ubriaco trovato morto in mezzo alla strada. L'autopsia non ha portato a nessuna conclusione effettiva, ma i medici hanno lasciato alcune informazioni, le quali riferiscono la stranezza e la perplessità delle condizioni del corpo nel ritrovamento. Pare infatti che i vasi sanguini all'interno del corpo siano stati trovati fusi, mentre l'esterno della persona è stato rinvenuto come in uno stato di avanzata ipotermia. Gli studi legali paragonano queste ferite a studi troppo avanzati per loro “come se fossero dell'altro mondo”. (...) >>

 

In qualche modo mi sentii rassicurata dalla notizia, anche se si parlava sempre di morte, e inoltre sembrava assurdo che Dio mi avesse ascoltata. L'unica cosa che mi preoccupava era una sensazione, strana, e questa sensazione mi provocava timore, come se qualcosa di terribile stesse per accadere. Scacciai dalla testa questi fastidiosi pensieri e mi concentrai sulla mia colazione, ormai fredda, latte e fette biscottate.

Dopo aver mangiato quel “cibo” a forza uscii di casa. Il cielo era sempre grigio e monotono come al solito, e come me del resto, l'unica notizia positiva era che non sembrava stesse per piovere.

Pur essendo domenica mattina le strade non erano affollate, alcuni bambini coi genitori, due vecchietti che camminavano fianco a fianco, e altre ancora che si dirigevano in chiesa per la messa. Io invece andai dritta per la mia strada, senza una meta ben precisa. Strinsi le mani nel mio golfino e continuai a camminare. La vita e le persone mi passavano lentamente davanti, come se io non appartenessi a questo mondo, e certe volte mi chiedevo se non fosse quello il problema. Non c'era nulla di anormale in questa città, eppure io ero qua, a pensare a molestatori, demoni e angeli caduti. Sospirai.

La mia vita era noiosa, niente di strano o vagamente divertente, anche se a dire la verità qualcosa, o meglio qualcuno, aveva movimentato la mia vita negli ultimi giorni. Micael. Già, lui era qualcosa di assurdamente perfetto e bellissimo, avrei detto divino, mentre il suo sorriso era stranamente ambiguo e malizioso, quasi avido. Anche se dovevo dire che quel suo aspetto misterioso lo rendeva ancora più accattivante. Dopo aver camminato per una mezz'ora buona con un sorriso da ebete stampato in faccia, mi sedetti su una panchina del parco più vicino al mio appartamento. C'erano molti cani che correvano avanti e indietro, si rincorrevano e giocavano tra loro. Un cane bianco come la neve mi si avvicinò leccandomi una mano, io di rimando gli accarezzai dolcemente la testolina. Poco dopo arrivò il suo padrone, o almeno pensai che lo fosse. Arrivò alla panchina dove ero seduta correndo. Mi sembrava carino. Un ragazzo di circa venticinque anni, biondo scuro e con un sorriso aperto. A guardarlo bene mi sembrava che avesse anche dei bei muscoli, però! Indossava un paio di jeans bermuda e una camicia a quadretti blu, ai piedi delle Vans. Era anche abbronzato, avrei detto che fosse il tipico ragazzo californiano.

<< Ehi ciao! Scusami per lei, ma è un cane molto socievole. >>

Mentre parlava non smise un attimo di sorridermi, che tenero.

<< Non ti preoccupare mi piacciono i cani. >> risposi sincera.

Si sedette accanto a me e iniziammo a parlare. Era un tipo molto loquace e simpatico. Come sospettavo era della California si chiamava Jason e aveva 26 anni, era arrivato da poco qua a Londra. Gli chiesi come mai era voluto venire in questo posto e lui mi rispose: << Sto cercando qualcuno, o qualcosa, appena lo avrò trovato e me ne sarò sbarazzato questo sarà un posto migliore per tutti >>.

Non volli fare altre domande su quell'argomento, mi sembrava già a disagio a parlarne quando gli avevo fatto la prima. Io d'altro canto gli raccontai di me e della mia famiglia. Mia madre che era mancata quando io ero ancora piccola, padre premuroso forse troppo, e figlia pasticciona. Questo era tutto quello che c'era da dire, non gli raccontai niente di proprio personale, lo conoscevo ancora da troppo poco. Comunque insisté per darmi il suo numero di telefono, e io non potei far altro che ricambiare. Disse inoltre che uno di questi giorni mi voleva rivedere, quindi probabilmente mi avrebbe chiamato più avanti. Tuttavia mi metteva un po' in soggezione, come se avesse una forza insospettabile e io ne fossi schiacciata.

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Capitolo 6
*** capitolo 5 ***


Capitolo 5


Suonò la sveglia, il sole che penetrava tra le persiane indicava l'inizio di un altro giorno. Un giorno uguale agli altri.

Era passata una settimana da quando l'uomo ubriaco che mi aveva assalito è morto. Niente era cambiato. Jason il ragazzo tutto muscoli che avevo incontrato al parco non si era più fatto sentire, non ne ero meravigliata, ma solo un po' delusa. A peggiorare la settimana inoltre ci aveva pensato Liz. La quale ci aveva provato spudoratamente con Micael per tutto il tempo, facendo la leccapiedi e gli occhi dolci, e lui non è che la ignorava o la ammoniva, no, lui ci stava!! Perfino durante un'interrogazione quando lei non aveva saputo dire niente, se non che il libro sacro dei mussulmani era la Bibbia, lui le aveva dato 8! Mentre a me ( che avevo saputo dire tutto alla perfezione ) un misero 6+, e il perché di questo voto era stato: << Hai un linguaggio che potrebbe essere usato nel medioevo >>.

Quella volta mi ero talmente arrabbiata che per poco non presi una nota di demerito, e in più nella rabbia totale lo chiamai perfino Micael. L'avevo chiamato per nome, e con il nome sbagliato! Appena lo avevo pronunciato lui mi aveva trafitto con lo sguardo, uno sguardo quasi con odio.

Infatti appena arrivata a scuola sarei dovuta andare in aula professori perché aveva detto che mi voleva parlare. Dovevo dire che ero leggermente preoccupata, ma anche eccitata di andargli a parlare. Che vorrà mai dirmi?

Entrai a scuola alle sette e mezza del mattino, mezz'ora prima dell'inizio delle lezioni, sperando che lui fosse già a scuola così da togliermi subito il pensiero. Per quanto passi il tempo e Micael sia diventato il mio professore mi risultava molto difficile dargli del lei o chiamarlo per cognome, anche se dovevo dire che alla fine non avevo molta confidenza con lui...

Camminai lentamente per i corridoi dell'edificio, incontrando ogni tanto qualche studente, per lo più secchioni che arrivavano a scuola tre ore prima che la lezione cominci, io proprio non li capivo.

Man mano che mi avvicinavo alla destinazione il mio corpo iniziò a tremare, come se avessi avuto dei brividi di freddo. Ma in fondo per cosa dovevo avere paura? Svoltai a destra.

Poco dopo arrivai davanti alla porta dell'aula degli insegnanti, ma mi fermai con la mano a mezz'aria. C'era qualcosa di strano la dentro, era come se percepissi qualcosa, di oscuro, come se fosse bloccato. Riuscii a sentire una forza, una forza terribile opprimermi, e incominciai a spaventarmi. Cos'erano tutte queste sensazioni? Il mio cervello ripeteva ininterrottamente la frase “non aprire quella porta”, come nei film horror, con la differenza che questo era il mondo reale.

Il mio respiro iniziò improvvisamente a farsi corto e il cuore a battermi all'impazzata. Terrorizzata, i muscoli della mano contrariamente alla volontà del cervello aprirono la porta, e se prima il mio cuore batteva freneticamente ora era morto stecchito e non faceva una battito.

Rimasi lì in piedi, impalata e incapace di muovermi di fronte alla scena che si stava consumando davanti ai miei occhi. L'aula dei professori era completamente vuota, non fosse per il fatto che a circa due metri di distanza da me si trovassero Micael e Liz, occupati in un bacio passionale che non sembrava essere neanche il primo. Sentii come in lontananza un rumore di vetri infrangersi,ma mi ci volle un po' per capire che quei rumori non provenivano dall'esterno ma da dentro di me.

Mi scappò un singhiozzo, non troppo numeroso, ma abbastanza da attirare l'attenzione degli altri due. Delle lacrime scapparono al mio controllo iniziando a bagnarmi le guance. Liz si girò verso di me, ma era come se non mi stesse guardando, il suo volto era completamente inespressivo, quasi come se non avesse un'anima. Avevo paura di cadere da un momento all'altro a causa delle ginocchia che mi iniziarono a tremare. Spostai lo sguardo da una persona all'altra ancora di incapace di credere a quello a cui avevo appena assistito. Mi sentivo mancare l'aria.

Micael era mutato. Si mutato, non sapevo dire come o perché ma avvertito che c'era qualcosa di diverso in lui. Non sembrava qualcosa di normale, lui non sembrava umano. E il cambiamento non sembrava dettato da delle semplici lenti a contatto o da una tinta per capelli. Infatti la morbida chioma color ebano e gli occhi nocciola non sembravano esistere più. Anche il suo meraviglioso sorriso che di solito incorniciava il suo viso era sparito. Al loro posto capelli corvini e occhi rossi come il sangue prevalevano.

Per quanto assurdamente spaventosa fosse la situazione non riuscivo a staccare lo sguardo da essi. Stavo avendo delle allucinazioni? Oppure mi trovavo in un sogno? La mia mente viaggiava mentre tutto quello che mi circondava sembrava ricordare più in incubo. Quei terribili occhi mi ipnotizzavano. Erano di un colore rosso che non avevo mai visto. Mi ricordava il sangue, il fuoco ma anche la lussuria. Ma c'era una cosa che più mi spaventava di essi, e quando riuscii a percepirla fu come se la mia stessa anima fosse stata bruciata, perché in quegli occhi, in profondità, io riuscivo a vedere l'inferno.

Più mantenevo lo sguardo e più riuscivo a percepire cose, non naturali, non umane. Micael mi osservò di rimando, quasi volesse sfidarmi, e infine mi sorrise. Ma era un sorriso spregevole, quasi fosse un ghigno. Sentivo la sua potenza, percepivo la morte nel suo essere.

Lasciò le mani di Liz avvicinandosi lentamente a me, con piccoli passi, fino a quando non mi fu davanti continuandomi a fissare con quegli occhi. Mentre tremavo con il respiro affannato volevo scappare e chiamare aiuto, ma non potevo distogliere lo sguardo da quella creatura. Lentamente, con movimenti quasi impercettibili, alzò le mani dai suoi fianchi posandole sulle mie guance. In completo contrasto con quello che avevo provato finora provo una sensazione quasi celestiale, e improvvisamente non ho più paura. Mi sentivo al sicuro, come se riuscissi a fidarmi completamente di lui anche dopo tutto quello a cui ero stata testimone.

Involontariamente sorrido, ma lievemente come se fossi in qualche modo ancora intimorita dalla sa presenza. Il suo sguardo mi fece capire chiaramente che era sorpreso, non si era aspettato che io... lo capissi. Ma in fondo cosa c'era da capire' lui non era umano. La sua espressione cambiò di nuovo diventando ostinata e più dura, come se non volesse accettare il fatto che io lo comprendevo, che non avevo paura di lui.

<< Tu sei strana. >> la sua voce era molto profonda, quasi divertita.

Ero io quella strana? Di certo non ero io a portare l'inferno negli occhi. D'improvviso diventò di nuovo serio.

<< Ora ti mostrerò una cosa e imparerai ad avere paura di me. >>

Ora stavo ricominciando a tremare, ma non sapevo se era per l'agitazione o la pura. Cosa voleva mostrarmi? Chiuse gli occhi avvicinando il suo viso al mio. Per un attimo ebbi l'impressione che mi volesse baciare, ma mi sbagliavo. Avvicinò i suo occhi ai miei, premendo le nostre fronti una all'altra mentre con una mano gentilmente mi teneva la nuca. Aveva ancora gli occhi chiusi. Fece un sospiro, come per prepararsi e allo stesso tempo non fosse sicuro di quello che stava per fare. Poi, all'improvviso aprì gli occhi, e io urlai.

Attraverso i suoi occhi riuscivo a percepire tutto. I dolori, le angosce, le paure, le urla di tutti gli esseri umani presenti sulla terra e di quelli già scomparsi. Continuavo ad urlare, le mie urla erano le loro urla, imploranti, soffocanti, che pregavano, piene di dolore e di odio. Questo era l'inferno. Il dolore, quella era la cosa che mi spaventava di più mentre continuavo ad urlare incapace di smettere. Quanto dolore e sofferenza potevano esistere al mondo?! E io li stavo percependo tutte quante in un colpo solo. Stavo per svenire, lo sentivo. Come poteva una persona normale percepire o anche solo tentare di comprendere tutte queste cose?

Poi Micael richiuse gli occhi e io smisi di urlare, accasciandomi a terra, esausta e priva di ogni forza, come prosciugata. Il mio corpo era scosso interamente da brividi, non riuscivo a respirare a causa dei singhiozzi e gli occhi cominciarono a gonfiarsi a causa delle lacrime.

<> pronunciò senza aggiungere altro.

Cosa voleva dire? Ero terrorizzata e impaurita da lui. Chi era? Cosa voleva da me?! Mi alzai a fatica, ancora tremolante, non riuscivo a reggermi in piedi. Lo guardai implorandolo di lasciarmi andare via. I suoi occhi ancora colore rosso fuoco mi fissarono circospetti.

<< Vattene. >> ordinò ringhiando e io corsi via, sperando che tutto quello fosse solo il più brutto degli incubi.

Arrivai a casa con la testa che mi girava convulsamente e prima ancora che io riuscissi a togliermi le scarpe svenni sul tappeto del corridoio.

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Capitolo 7
*** capitolo 6 ***


Capitolo 6



Mi svegliai, urlando, un incubo. Avevo sognato che Micael... Micael... più ci pensavo e più i ricordi affioravano e iniziavo incessantemente a tremare, in preda al panico, il respiro affannato. Non riuscivo a respirare.

<< No... no.. NOO!!! >> quegli occhi, gli occhi... rossi, mi perseguitavano, li vedevo ovunque.

<< LASCIAMI IN PACE!!! >> piangevo disperata, lamentandomi tra me e me.

Non poteva essere reale, non poteva essere vero. NO, no, no, perché?! Micael! L'inferno, il dolore, sentivo ancora la sensazione del mio sangue scorrere rapidamente attraverso le vene. Le emozioni che Micael mi aveva trasmesso con lo sguardo, gli inferi che potevo vederci dentro, ogni singolo dettaglio.

Ricordavo ancora il calore delle sue mani sul mio viso, quel tiepido tepore... lieve come una brezza marina, e poi quel ghigno, malefico. Mentre il suo sguardo crudele mi osservava e si prendeva gioco di me. La sua pelle a contatto con la mia, i nostri occhi ravvicinati e il suo respiro ardente su di me. Ma lui non era umano...

Ah-ah-ah, no che non lo era, e come poteva esserlo?!

Un demone, lui era uno demone, figlio dell'oscurità, demone, figlio dell'oscurità. Micael era uno Demone! O figlio dell'oscurità? Oppure era entrambi.... ? Siiii avevo capito! Continuavo a parlare, a ridere convulsamente e a piangere disperata. La pazzia si stava impossessando di me, ahaha, ma io non ero pazza, no no. I demoni esistono! Non c'era nulla di normale in tutto quello.

Ah-ah io non ero normale dopotutto, ero quasi innamorata di un diavolo. No-no. I figli dell'oscurità esistevano! Chiamai Sharon e le raccontai della mia nuova scoperta, pensando che potesse divertirsi anche lei, ma dal suo tono non sembrava si stesse divertendo tanto quanto me. Non mi credeva forse? Imperterrita continuavo a ripetere le stesse parole come fossi un CD:

<< Micael è un demone. I demoni esistono. I demoni sono i figli dell'oscurità. I figli dell'oscurità esistono. Micael è un figlio dell'oscurità!! Ih-ih-ih. >>

Ridevo istericamente senza riuscire a smettere di fermarmi, il sangue iniziava a darmi alla testa, la quale mi stava scoppiando. Mi mancava quasi il respiro. Sharon continuava a parlare, sembrava preoccupata, ma io non la ascoltavo nemmeno, parlavo tra me e me. Perché lei non rideva?Ah-ah la questione faceva molto ridere, molto, ih-ih-ih.

Potevo sembrare pazza ma non la ero... NON LA ERO! E come potevo mai essere pazza? Ah-ah chi lo pensava era solo uno sciocco! Continuai in questo modo per altre tre ore, fino a quando degli uomini non entrarono in casa mia abbattendo la porta. erano vestiti in modo strano, mi parlavano ma io non sentivo le loro parole, ridevo troppo forte. Cercarono di trascinarmi via dalla mia casa, e mi divincolai fortemente. Cosa volevano?

<< LASCIATEMI STARE! >> mi dimenai per togliermeli di dosso.

Corsi per tutta la casa per seminarli, ma loro erano in cinque. Tirai loro addosso della roba, eppure non si arresero. Dopo un po' qualcuno mi bloccò i polsi e sentì un dolore acuto nel collo. Il resto fu sonno profondo.

 

Nero. Quello che stavo facendo era un sogno continuo e nero, non cambiava mai. Nessuna immagine, nessun colore. Alle volte sentivo dei rumori, come voci provenienti da qualche posto molto lontano, suoni ovattati e indistinguibili. In poche occasioni riuscii ad aprire di pochi millimetri le palpebre e quello che vedi erano solo immagini sfocate e indistinte, per poi ritornare ad essere tutto nero.

Ero nell'oscurità. Ora percepivo il silenzio, una piccola quiete e un profumo... brezza marina, all'improvviso due occhi rossi comparirono davanti a me. Scappavo, correvo più veloce che potevo. Quegli occhi mi perseguitavano, avevo paura ero sola in questa oscurità “Aiuto! Aiutatemi!”. E poi mi svegliai.

Mi ero finalmente svegliata da non sapevo quanto tempo e stavo urlando. Ero in una stanza dalle pareti bianche e vedevo occhi rossi dappertutto, non c'era nessuno qui, ero da sola. Il demone mi voleva uccidere lo sapevo. Di scatto una porta che non avevo notato si aprì sbattendo e due persone, una donna e un uomo in camicia mi si avvicinarono. Cercai di liberarmi freneticamente, dovevo scappare o lui mi avrebbe trovato, gridai ancora. Sbattei gambe e braccia per cercare di fuggire, ma i polsi e le caviglie iniziarono a bruciarmi, ero legata al letto con delle cinghie. Avevo capito, mi voolevano torturare, lui li comandava! Mi voleva far torturare da questi qua!

<< Lasciatemi! Il demone mi vuole uccidere! É un figlio dell'oscurità e sta per venire qui credetemi! Dovete lasciarmi fuggire o mi ammazzerà. Voi siete sotto il suo controllo non lo capite?! Lasciatemi! >> tirai di nuovo braccia e gambe cercando di slegarmi. Mi tagliai un polso, ma riuscii a liberarlo. Una donna lo riafferrò cercando di legarmelo di nuovo. Lo morsi, doveva essere stato un morso abbastanza forte dal suo grido e per giunta gli esciva sangue.

<> ordinò la donna, e pochi secondi dopo era di nuovo tutto nero. Ero di nuovo sola nell'oscurità. Nessuna voce, nessuna immagine, nessun profumo, semplicemente sola.

Dopo un po' un suono dolce, candido e regolare mi venne a trovare e mi cullò dolcemente fra le sue braccia. Un battito, due battiti, un altro battito ancora. In un posto lontano da qua un cuore batteva, e io lo sentivo. Il suo suono mi trasportava come se fosse stato brezza in una giornata di primavera. Finalmente riuscii anche io a calmarmi, e sentii i battiti del mio cuore rallentare fino a raggiungere il ritmo dell'altro, perso chissà dove. Due cuori all'unisono battevano. Questo mi fece sorridere, anche se non ne sapevo esattamente il motivo, forse era perché mi ricordava una canzone.

E così quando incontrerò una persona importante e la terrò vicino a me per la prima volta, solo allora sarò finalmente in grado di sentire due cuori che battono, uno su ciascun lato. La sinistra è il mio e la destra è il tuo. ”

Probabilmente fu proprio questo pensiero, questa melodia a riportarmi alla realtà, a riportarmi sulla terra fredda, dove ogni cosa poteva essere reale, ma proprio ogni cosa? L'immaginazione andava oltre i nostri limiti, così tanto che molte volte anche noi facevamo fatica a comprendere quello che realmente ci stava di fronte. Due cuori che battevano potevano essere reali, ma cosa c'era di vivo in un cuore senza suono? Ragionando in questo modo ero riuscita ad allontanarmi dalle tenebre, a lasciare indietro quella oscurità che rinchiudeva la mia anima. E finalmente ero riuscita ad aprire gli occhi.

La mia vista era sfocata, vedevo sagome indistinte e i colori non avevano un margine preciso; sentii un liquido caldo scorrere sul mio viso, credetti di star piangendo. Man mano che sbattevo le palpebre riuscii a riconoscere l'ambiente circostante, pareti bianche e luce fioca, ero nella stessa stanza dell'altra volta. Che vergogna se ripensavo a quello che avevo fatto e stupidamente iniziai a piangere più forte quasi singhiozzando. La quiete che mi sembrava ci fosse nella stanza si ruppe all'improvviso. Non mi ero accorta di non essere sola. Due persone stavano parlando energicamente fino a che non ebbero sentito. Non appena mi vedono con sguardo sorpreso notai due sorrisi comparire e lacrime cadere. Erano Sharon e mio padre, cosa ci facevano loro qui? Non volevo che mi vedessero in questo stato, perché forse ero davvero pazza, e la pazzia poteva essere contagiosa? Sharon mi si avvicinò lentamente, piangendo. Vorrei morire in questo istante, quanta sofferenza provocata alle persone che più amavo! Il mio corpo era rigido, cercai di alzare una mano per avvicinarmi a lei e asciugarmi dalle lacrime, ma avevo un problema. Ero legata, non come l'altro giorno ( a proposito a che giorno era oggi? ) solo polsi e caviglie. Attorno al corpo avevo una una camicia di forza. Non me n'ero neanche accorta. Cercai di guardarmi il corpo con poco successo, tuttavia da quanto potevo capire tutto il mio corpo era imbavagliato. Se non sbagliavo avevo letto da qualche parte che la camicia di forza veniva considerata un indumento di costrizione soprattutto usato in passato in ambito psichiatrico per costringere una persona all'immobilità, se questa mostrava segni di sovraeccitazione incontrollabile. Quindi ero veramente una pazza, ero seriamente da ricoverare, ormai non ero più normale. Tutto questo non fece altro che peggiorare la situazione. Le lacrime che si erano fermate ricominciano a scendere senza che io potessi fermarle e anche il mio corpo iniziò a tremare. Mi facevo pena da sola. Essere davanti alle persone che avrei protetto anche a costo della mia vita in questo stato, era una ferita non riparabile all'orgoglio. Sharon si sedette lentamente sul letto tenendomi fissa con lo sguardo, come se stesse valutando la situazione, e prevedendo la mia prossima mossa. Ma io non ce la facevo, non riuscivo a mantenere quel minimo di contegno che perfino un animale avrebbe saputo avere. Continuai a guardare Sharon negli occhi, i quali mostrarono dolore e angoscia, mentre i miei erano pieni di tristezza e vergogna. Un attimo dopo mi ritrovai tra le sue braccia, stringendomi forte, e dato che io non potevo ricambiare strinse forte anche per me. Lei continuava a volermi bene nonostante tutto, non importava ciò che accadeva, lei sarebbe sempre stata dalla mia parte. In mezzo alle lacrime e ai suoi capelli l'unica cosa che riuscii a biascicare fu un << Mi dispiace >> ma questo bastò a farla piangere. Continuammo a restare abbracciate, mentre lei mi cullava cercando di farmi passare i fremiti.

<< Tranquilla è tutto a posto, ci siamo noi qui con te. >>

Mi chiesi se un giorno veramente sarebbe tornato tutto a posto.

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Capitolo 8
*** capitolo 7 ***


Capitolo 7



Erano ormai passati tre mesi dall'incidente. Le persone erano convinte che io fossi cambiata con il tempo, ma era solo apparenza. Dentro non ero cambiata di una virgola. Per me tutto era come prima, e tutto questo era solo una finta. “Quella” era solo una delle tante facce.

Mentre camminavo ricordavo ancora cos'era successo al mio risveglio. Medici e infermieri da tutte le parti, e io stavo lì, ferma perché incapace di muovermi, a guardare come dall'esterno, ciò che in realtà accadeva a me. Persone che mi urlavano contro, mi chiedevano cose e io che semplicemente lì, a piangere e a osservare un punto imprecisato della stanza. Sentivo le braccia tremolanti di Sharon che venivano allontanate da me con la forza.

Mi portarono in un'altra camera dove due dottori,o almeno pensai che lo fossero, tagliarono la camicia di forza e la gettarono via. Quando i due signori uscirono entrò una donna, una sola e pensai vagamente che potesse essere la stessa donna del mio primo risveglio. Mi disprezzai da sola al ricordo e nuove lacrime mi assalirono. Seguirono le visite mediche, controlli, analisi, trattamenti e sedute psichiatriche, il tutto non durò più di tre ore. Dopodiché ci fu la cena e poi il coprifuoco.

Ormai mio padre e Sharon se n'erano andati da un pezzo e io ero rimasta sola coi miei pensieri. Persino la mia camera era vuota, impersonale, solo un letto, un piccolo comodino e un bagno dalle scarse norme igieniche erano presenti. Erano solo le nove, ma l'ospedale aveva già spento le luci e per tutto l'edificio non si sentiva volare una mosca. Solo qualche passo ogni tanto.

Nonostante sapessi che il mio orgoglio ormai era ben finito, non mi andava di andare a dormire così presto come i vecchietti. Insomma ero giovane, pazza ma pur sempre giovane!

Sapevo che in qualche modo dovevo risolvere da sola tutti i problemi e tutte le ossessioni che mi aleggiavano continuamente in un angolino della testa, ma per qualche strano motivo non volevo. Sapevo che non ce l'avrei fatta. Sapevo che probabilmente se avessi permesso di nuovo a quell'oscurità di invadermi non sarei stata più al sicuro, nemmeno da me stessa. Per questo preferii così, tenere almeno per il momento i miei segreti sigillati, nascosti da qualche parte nel mio subconscio.

Presi un libro che trovai in giro per caso e incominciai a leggere. Entrare in un mondo finto è l'unico modo per scappare dalla realtà. Come disse un famoso scrittore “Molti dicono che la lettura è un mezzo che ci permette di scappare dalla realtà, una mera illusione, io dico che questa illusione è più reale e viva di qualsiasi realtà.”

Il giorno dopo fu una giornata abbastanza straziante. Una colazione da far pena e poi due ore di interrogatorio. Continuavano a pormi domande a cui neanche io sapevo dare risposta, ma non lo capivano.

 

Erano le due di pomeriggio quando sentii squillare il telefono, che ovviamente si trovava dall'altra parte della casa. Mi misi a correre lungo il corridoio rispondendo infine al cellulare rischiando nel frattempo di ruzzolare per terra. Era una mia compagna di lezioni. Disse di volermi vedere e parlare un po'. Ero felicissima di sentirla, non ci eravamo sentite per tanto tempo dopo quell' “incidente”. Fissammo l'appuntamento dopo una mezzora nel parco sotto il mio nuovo appartamento.

Iniziai a prepararmi e mi guardai allo specchio, ciò che vidi fu un'immagine triste di me stessa. Anche se quella figura stava sorridendo i suoi occhi erano tristi. Un dolore nascosto scorreva nelle sue pupille. Il passato non poteva essere cancellato dalla vita di una persona, ma solo far parte di essa. Il mio passato quindi era una parte di me, dovevo solo accettarlo e conviverci insieme.

Spesso le persone erano propense a scoprire i misteri che si che si celavano dietro a degli avvenimenti. La curiosità li spingeva a fare ricerche sul perché delle cose. Erano sono degli idioti. Perché dietro quella risposta si sarebbe sempre stata un'altra domanda e così via per sempre, senza mai trovare la risposta vera, la verità assoluta. Io ero più semplice. Indifferente a tutto quello che mi stava intorno. O almeno cercavo di esserlo. Farsi trasportare da un fiume di sentimenti e di emozioni per arrivare in un mare di disperazione era una perdita di tempo. Se ti lasciavi trasportare eri finito. Perso nell'incoscienza, non riconosceresti più il il volere dal non volere, lo sbagliato dal giusto. Fino ad arrivare a non saper più riconoscere nemmeno te stesso, cadendo così inesorabilmente nella pazzia. Alla fine affondi.

Mi sedetti su una panchina del parco aspettando il momento in cui sarebbe arrivata Eveline. Di sicuro voleva sapere tutto quello che era successo, soprattutto il perché della mia misteriosa sparizione a scuola. La versione ufficiale dei fatti era stata per gravi problemi di salute, che poi si avvicinava abbastanza alla realtà. Gliela avrei raccontata anche se solo in parte. Faceva abbastanza freddo a stare lì immobile, in fondo eravamo in pieno inverno. I fiocchi ancora cadevano inarrestabili dai giorni precedenti e la neve cominciava ad attecchire al suolo e agli alberi ormai spogli. Nonostante la neve non fosse abbondante c'erano già bambini intenti a giocare con essa. Alcuni giocavano a palle di neve, altri tentavano di fare una forma d'angelo per terra. Era piacevole stare lì ad osservarli. Si divertivano beati, a pochi metri da me eppure così lontani, come se non fossero di questo mondo, o forse l'estranea in quella scena ero io. Era come se ci fosse una barriera attorno a me, la quale mi proteggeva ma al contempo mi isolava dagli altri. Un qualcosa di irraggiungibile, intoccabile.

Sentii dei passi soffici alla mia sinistra e trattenni il respiro. Gli occhi mi si riempirono quasi di lacrime quando mi abbracciai con Eveline. Guardandoci ci mettemmo a ridere come delle sceme e senza un motivo ben preciso. Ero felice, in quel momento non ero sola all'interno della barriera. C'era qualcuno che mi stringeva la mano.

Con mia grande sorpresa non fece domande su quel che mi era accaduto. Parlava e parlava, mi raccontò tutto quello che era successo in città dalla mia assenza, perfino dettagli insignificanti, ma io ne ero affascinata. Non sembrava minimamente intenzionata a chiedermi qualcosa e di questo gliene fui grata. Ero sinceramente stupita dalla quantità di informazioni che stavo assorbendo in così pochi minuti, dai più strambi pettegolezzi ai più curiosi avvenimenti, dal fornaio matto vicino alla scuola agli ultimi gossip in circolazione in classe. Eveline mi guardava con occhi luccicanti come se volesse da tempo fare una confidenza del genere. Forse lei era stata l'unica vera amica che mi ero fatta in quella scuola.

A un certo punto del racconto si fermò e la sua espressione si fece lievemente cupa. Iniziai a preoccuparmi.

<< Ehi, ehi che succede? >>

<< Sai.. da quando te ne sei andata mi sono sentita un po' sola. >> ammise imbarazzata. Io sorrisi gentilmente.

<< Non hai idea di quanto TU mi sia mancata. >> posai delicatamente una mano su suo braccio.

<< Sono contentissima che tu sia venuta qui. >>

<< Anch'io lo sono. Sono cambiate molte cose dalla tua partenza. A proposito, mi sono dimenticata di dirti una cosa. Sai il nuovo professore? Quello giovane che era arrivato da poco, come si

chiama... >>

Con la mano si grattò la testa in cerca di una risposta, a volte appariva davvero buffa. Ma a parte quello lei stava certamente parlando di... un tremito mi passò veloce lungo la spina dorsale.

<< Ah si, il professor Iuga, sai no quello carino... comunque si è licenziato purtroppo. >>

<< Licenziato?? >>

Ero sinceramente stupita da quello che aveva appena detto, a parte il fatto che negli ultimi tre mesi avevo cercato in tutti i modi di non pensare a Micael e adesso arriva lei e mi ributta tutto in faccia, ma il fatto era che non capivo le sue azioni. Ero curiosa di scoprirle come se ne fossi ancora in qualche modo attratta. Tuttavia non volevo darlo a vedere e infatti me ne stetti buona ad aspettare che Eve andasse avanti, cercando di mantenere la calma, nonostante il mio cuore battesse decisamente troppo forte.

<< Si cioè suppongo si sia licenziato. A noi hanno detto soltanto che a causa di alcuni problemi personali aveva dovuto abbandonare il lavoro. Ma non si sa il vero motivo. Il fatto strano è che se ne sia andato pochi giorni dopo la tua scomparsa, ma alla fine tu non ne potevi sapere nulla no? >>

<< Si, infatti non lo sapevo. >>

Eveline sembrava normale, come se il fatto che Micael si fosse licenziato non l'avesse toccata. Senza rendermene conto iniziai a tremare, a intermittenza, brividi che andavano e venivano, ed ero sicurissima che non fossero per la neve. Lui si era licenziato poco dopo la mia caduta mentale. Se n'era andato, ma lo aveva fatto perché io avevo cambiato scuola? Mi sembrò assurdo, in fondo fu lui stesso a mandarmi via quel giorno. Mi ricordai la scena come se fosse successo ieri e non mesi fa. Lui che con sguardo altezzoso ma in tono quasi gentile mi disse “vattene”. Io lì per terra, seduta ma quasi agonizzante, pietrificata dalla paura e da ciò che era appena accaduto.

Qual era realmente il suo piano? E cosa centravo io in tutto questo? Il mio flashback improvviso mi fece ricordare di Liz. Che fine aveva fatto dopo che me n'ero andata? Cercai di interrogare Eve prendendola alla larga.

<< Gli altri compagni di corso come stanno? Liz è sempre la solita ochetta? >> Eveline alzò un sopracciglio.

<< Stai bene Kal? >>

<< Eh? Si, certo che sto bene, ma perché me lo chiedi? >>

<< Stai tremando, da capo a piedi. >>

Mi guardai e vidi che il mio corpo era quasi in delirio, tremavo tantissimo. Mi sentivo agitata. Perché reagivo così? Mi strinsi le braccia cercando di allontanare quel senso di dolore e paura che mi stava attanagliando. Eve posò una mano sulla mia, mi sforzai di sorridere e dopo un po' smisi di tremare.

<< Sto bene tranquilla. >> Cercai di rassicurarla, ma lei sembrò comunque triste, probabilmente sapeva qualcosa su ciò che mi era successo. Le voci girano in fretta.

<< Liz? Non saprei, i primi giorni in cui non c'eri sembrava sempre in ansia, agitata per qualsiasi cosa. Era molto strana. Tuttavia ora sembra essersi calmata. >>

Dopo aver chiacchierato un altro po' tornai a casa, ma non prima di passare da Starbuck's a prendermi qualcosa di caldo da bere, mi avrebbe aiutato a reggere il freddo e a conciliare il sonno.

 

 

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