Roots

di LysandraBlack
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Aenor Mahariel ***
Capitolo 2: *** Geralt Amell ***
Capitolo 3: *** Kallian Tabris ***
Capitolo 4: *** Elissa Cousland ***
Capitolo 5: *** Natia Brosca ***
Capitolo 6: *** Duran Aeducan ***



Capitolo 1
*** Aenor Mahariel ***


AENOR MAHARIEL



 

«Mamae?»

Ladahen Mahariel guarda la figlia, quattro anni appena, le ginocchia sbucciate dopo essersi arrampicata sugli alberi, la faccia sporca del succo dei frutti che ha raccolto dai rami. «Aenor, vieni, ti mostro una cosa.»

Le afferra la manina, camminano per il sottobosco senza far rumore. Fa cenno di stare in silenzio, mentre davanti a loro la foresta si apre attorno ad una pozza d'acqua cristallina.

La bambina spalanca i grandi occhi verdi colmi di meraviglia.

La lupa grigia alza la testa, troppo stanca per alzarsi, i cuccioli raggomitolati contro il grembo. Sa che non corre pericolo, non da loro.
 

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Ghestlin.
Il piccolo mostriciattolo non fa altro che piangere, mamae è sempre stanca, Ithelanas li osserva vegliando su di loro. Aenor si avvicina al padre, sbadigliando, vorrebbe dormire ma il continuo piangere del fratellino non glielo permette.

«Dovrai prenderti cura lui. È il tuo compito, sei la sorella più grande.»

La bambina aggrotta le sopracciglia, senza capire. «E chi si prende cura di me?»

Ithelanas Lavellan sorride, stringendo a sé la figlia. «Presto sarai una cacciatrice e spetterà a te proteggere il Clan. In cambio, il Clan si occuperà sempre di te, da'len.»

La bambina ricambia la stretta, confusa.

 

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«Chi prende più foglie, vince!»

I rami sono carichi di colori, giallo, rosso, marrone, infinite combinazioni di tonalità che accendono la Foresta di Brecilian in un incendio di foglie vorticanti. Aenor allunga le braccia più che può, ad afferrarne una manciata, le sente accartocciarsi e sbriciolarsi tra le dita.

Si volta verso i compagni. «Hei, Merrill sta imbrogliando!»

La piccola maga abbassa lo sguardo, colpevole, rossa in volto. Una leggera brezza spira ancora verso di lei.

Fenarel si blocca improvvisamente, guardandola serio. Tamlen annuisce solennemente.

«Carica!»

Si scagliano contro Merrill, buttandosi in un cumulo di foglie secche ridendo come matti.

 

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Il Silvano Selvaggio sferza l'aria con i suoi rami.

Merrill prova a lanciargli addosso qualche scintilla, che rimbalza inutile sulla corteccia. Tamlen e Fenarel fanno del loro meglio per rallentare la creatura, bersagliandola di frecce, ma quella sembra non accorgersene.

Con un urlo, Aenor si scaglia contro l'albero, roteando la spada e staccando rami e rametti in una pioggia di foglie e schegge.

«Ora basta!»

Un lampo di luce, rumore di roccia che si schianta contro il legno. Il Silvano sibila un'ultima volta, ferito, prima di voltarsi e ritornare nella foresta.

Il cipiglio furioso della Guardiana fa ancora più paura.

 

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Occhi gonfi di pianto, la spada troppo grande per lei stretta in pugno, la sete di vendetta che la scuote come una tempesta. Andare al villaggio, sterminarli tutti. La Guardiana non approverebbe, non le importa, li hanno massacrati come animali indifesi. I suoi genitori. Il piccolo mostriciattolo.

Tamlen la implora. «Non morire anche tu.»

Vorrebbe ignorarlo, lui e tutti quei codardi che non hanno intenzione di farla pagare a quegli shem bastardi.

La mano di lui si stringe attorno al suo polso.

Sente una lacrima scenderle sulla guancia.

«Non ho più nessuno.»

La abbraccia, forte, accarezzandole i capelli. «Hai noi.»

 

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«Si piega, ma non si spezza mai.»

Aenor osserva incuriosita Mastro Ilen ultimare il grande arco di legnoferro. Saggia con mani esperte l'elasticità del flettente, tirando la corda verso di sé e incoccando una freccia invisibile.

«Vuoi provare?»

La ragazzina annuisce. Afferra una freccia da un mucchio lì accanto, mirando ai bersagli per l'allenamento dei cacciatori. Strizza gli occhi per rendere più nitida la boscaglia, tirando indietro la corda fin quasi allo zigomo destro.

La freccia si incastra ad un paio di pollici dal centro del bersaglio.

«Un buon tiro.» Commenta benevolo Mastro Ilen.

“Non abbastanza”, vorrebbe rispondere lei.


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Un lupo adulto, il pelo grigio e folto dell'inverno, la chiazza di sangue scuro che imbratta la neve candida.

Aenor ignora la ferita al braccio, superficiale, mentre con mano incerta incide il torace ed estrae il cuore ancora caldo dell'animale.

China il capo, ringraziando la dea Andruil, che le ha permesso di portare a termine la sua prima Caccia.

Guarda il sangue sulle proprie mani e per un attimo non appartiene ad un lupo, bensì a un assassino, colpevole di aver massacrato una famiglia innocente avvicinatasi troppo al suo gregge.

Stritola il cuore con più forza.

«Fen'Harel ma halam.»

Silenzio.

 

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Stringe i denti, ricacciando indietro le lacrime di dolore mentre la Guardiana incide sulla fronte le ultime righe del Vallaslin, il sangue che le cola sul naso. Non ha emesso un suono, nonostante i suoi quattordici anni. Troppo presto, secondo alcuni. “Era ora, viste le sue abilità”, dicono altri.

June, dea delle arti e dei mestieri, come sua madre. Inchiostro verde, come suo padre.

Marethari conclude il rituale con il giuramento tramandato da secoli tra i Clan.

Lo sguardo di Aenor è determinato, la voce ferma mentre recita quelle parole.

«Siamo gli ultimi del Popolo e mai più ci sottometteremo.»

 

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Sono sfuggiti al caldo torrido dell'estate, le foglie degli alberi a dare un po' di riparo dal sole implacabile. Impugna con mano esperta il piccolo coltello ricurvo, la figurina di legno quasi ultimata. Un drago, o almeno così le piace pensare. Somiglia di più ad una grassa lucertola alata.

«Credi che ci riprenderemo mai le nostre terre?»

La voce di Tamlen è carica di accusa verso il loro grande nemico.

Aenor non risponde, la mente lontana verso le storie piene di eroi e grandi condottieri che l'hahren ama così tanto raccontare.

Il tempo degli eroi è finito da un pezzo.

 

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Tamlen è accanto a lei, steso sul letto di foglie secche, l'autunno ha dipinto il bosco di mille colori caldi. Masticano le castagne che Ashalle ha arrostito un paio d'ore prima, il fumo della pipa di legno che si innalza in lente volute, l'odore dolciastro della radice elfica che riempie l'aria.

«Vhenan, vuoi essere la mia compagna?»

Aenor sbatte le palpebre un paio di volte, colta di sorpresa, prima di voltarsi verso di lui. Il ragazzo sorride, quegli occhi così azzurri, i capelli biondi scompigliati sparsi sull'erba secca.

Arrossisce, mentre ricambia il sorriso.

«Non passerei la vita con nessun altro.»

 
 





 
 
 
Note dell'Autrice: avevo ancora qualcosina da raccontare su di loro e non ho resistito a provarci con una raccolta di drabble... Alla prossima! 


 

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Capitolo 2
*** Geralt Amell ***


GERALT AMELL

 

 

I suoi primi ricordi sono pieni di preghiere.

Le gesta di Andraste rimbombano nelle grandi sale della chiesa, in sottofondo il rumore del mare che si schianta sugli scogli, la voce gracchiante della Venerata Madre ripete sempre gli stessi versi, “la magia esiste per servire gli uomini, non per governarli”, il vecchio elfo col tatuaggio sulla fronte accende le candele alle pareti, in silenzio. Geralt gli chiede cosa abbia fatto per scatenare le ire del Creatore. L'elfo non risponde, lo sguardo fisso nel vuoto.

La Venerata Madre lo riprende. I bambini sono lì per pregare, non per perdersi in distrazioni.

 

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Fuoco.

Mervin urla, mentre le fiamme gli lambiscono il volto, puzza di bruciato, le grida concitate degli altri bambini in fuga, il soldatino di legno ormai ridotto in cenere.

Lo chiudono in una stanza buia, fredda, la finestra troppo in alto per riuscire a raggiungerla. I gabbiani stridono, e lui si sente chiuso in gabbia. L'hanno chiamato mostro, mago, c'era paura e disprezzo negli occhi dei suoi compagni di gioco. Dell'unica famiglia che abbia mai conosciuto.

Nasconde la testa tra le ginocchia, trattenendo i singhiozzi.

“Sono davvero maledetto?”

Prega il Creatore e la sua Sposa, ma trova solo silenzio.
 

 

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L'uomo in armatura sembra gentile. Il viaggio è lungo, il mare scosso dalle tempeste invernali cerca continuamente di inghiottire la barca. Il vento gelido gli sferza il volto, la salsedine a riempirgli le narici, ha paura. “Andrai in un posto con gente come te”, gli ha detto la Venerata Madre prima di partire.

Ti troverai bene”, sono state le uniche parole del Templare mentre scendevano a terra.

Quando arrivano alla torre, è così alta che deve strizzare gli occhi per vederne la punta, immersa nelle nuvole grige.

Le pesanti porte si chiudono dietro di lui con un clangore metallico.

 

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Gente come lui.

Maghi.

Deve imparare a non essere un pericolo per sé stesso e gli altri. Una serie di volti nuovi, grandi libri impolverati su file di scaffali alti fino al soffitto. È un lettore precoce, avido di conoscenza. I maghi anziani gli fanno paura, ma sono i sorrisi degli Adepti della Calma a riempirlo di terrore.

Se perderà il controllo, faranno lo stesso con lui?

Dopo due settimane, un elfo minuto gli si avvicina di soppiatto, un tortino al limone nascosto in un fazzoletto.

«Sono Alain Surana.» Si presenta, arrossendo fino alle orecchie. «Vuoi essere mio amico?»

 

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«Hei, guarda quello!» Surana scoppia a ridere, indicando il bambino che ha appena varcato la soglia.

La mensa è piena di gente, i tavoli quasi tutti occupati da maghi vocianti di ogni età. Il nuovo arrivato è scortato dal Comandante Gregoir, il terrore di tutti gli apprendisti.

I capelli neri spettinati gli cadono sugli occhi ed è un attimo che cade a terra, la ciotola della zuppa che si rovescia sul pavimento. L'intera sala si gira a guardarlo, ridacchiando.

E Geralt, prima che possa rendersene conto, si china a raccoglierla.

«Ti sei fatto male?»

L'altro accenna un sorriso incerto, riconoscente.

 

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«Geralt...»

Il bambino, dall'alto dei suoi undici anni, alza gli occhi al cielo, sbuffando platealmente. «No, Anders, non ho intenzione di aiutarti.»

L'amico solleva il gattino con occhi imploranti, mettendoglielo davanti al naso. «Ma guardalo, è così carino...»

Il micio sbadiglia, tirando indietro le orecchie e scoprendo i dentini aguzzi, leccandosi poi il naso umido.

Niall cerca ancora di resistere al batuffolo di pelo, ma Surana e Jowan sono già stati conquistati. «Se qualcuno ci scopre...»

«Lo terremo nascosto, sarà il nostro segreto!»

Geralt sospira, sa già come andrà a finire. Il gattino si mette a fare le fusa, soddisfatto.
 

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«Vuoi venire con me a ripassare elementale?»

La ragazzina, Raina, ha lunghi capelli biondi, gli occhi nocciola puntati a terra, le guance paonazze mentre si torce le mani in attesa di una sua risposta.

Niall e Jowan sono nascosti dietro la libreria, ridacchiano sommessamente. «Geralt, ci sei?»

Scuote la testa, dando le spalle alla ragazza. «Mi spiace, studio meglio con loro...» Non la degna di un secondo sguardo mentre raggiunge gli amici, piegati in due dalle risate.

Dovrebbe sentirsi in colpa? Surana qualche giorno prima raccontava di aver baciato una ragazza... Storce la bocca, quelle smancerie non fanno per lui.

 

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Anders passa tutto il suo tempo con Karl.

Surana è distante, sempre dietro ai ragazzi più grandi, ansioso di superare il suo Tormento.

Jowan e Geralt trascorrono le notti in biblioteca, chini sui tomi più disparati, le rune che si confondono tra loro alla luce tremolante delle candele, le tazze di tè ormai fredde, dimenticate ore prima. Finiscono per addormentarsi, come sempre, sulle pergamene, sporcandosi d'inchiostro le guance e stropicciando le pagine.

Niall sorride, guardandoli. Si toglie il mantello, coprendoli entrambi per evitare che prendano freddo e spegnendo le candele con un soffio. Sempre la stessa storia, con quei due.
 

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La tempesta si scaglia con violenza sulla Torre. Forse non sono gli unici a volerla distruggere. L'acqua batte sui vetri, i tuoni rimbombano per i corridoi deserti.

«È stata una sua scelta.» Ripete Niall, per l'ennesima volta.

Raina non ha affrontato il Tormento, ha preferito sottoporsi al Rituale della Calma. I suoi occhi vuoti li perseguitano da ore, terribile monito di quello che potrebbero diventare.

«Gregoir. Ho sentito dire che è stato lui a convincerla.» Mormora Jowan, scuotendo la testa.

Geralt appoggia la testa contro il muro di pietra fredda. “Quando toccherà a noi?”

«La pagheranno.» Sibila Surana. «Per tutto.»

 

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«Ti basta solo chiedere, mago, e tutto ciò che desideri sarà tuo.»

Geralt si concede un ghigno sprezzante in direzione del demone. Sferza l'aria con un incantesimo e intrappola la creatura con una serie di rune splendenti. Quello ruggisce, la piacevole maschera che cade all'istante rivelando la sua vera natura.

«Non stringo patti coi demoni, ma mi darai comunque ciò che cerco.» Sussurra minaccioso.

Supererà il Tormento, troverà il modo di riprendersi la propria vita.

All'essere non resta altro da fare che rivelargli come sfruttare l'energia del sangue, tecniche temute e proibite che suscitano terrore anche nei Templari più coraggiosi.











 


 

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Capitolo 3
*** Kallian Tabris ***


KALLIAN TABRIS

 

 

Adaia canta mentre pettina i capelli della figlia, districando i ricci corvini con pazienza, senza farle male.

Kallian si stringe nell'asciugamano, rabbrividendo. Il secchio di acqua appena tiepida per il bagno era quello che ci voleva, dopo una giornata passata a giocare nella neve.

La madre si china a prenderla in braccio, soffocando poi un gemito di dolore.

«Mamma?»

Scuote la testa, nascondendo i lividi sulla schiena e sulle braccia, dandole un buffetto sulle guance. «Sono solo stanca, tesoro. Il palazzo dell'Arle di Denerim non si pulisce da solo! Ora vai a vedere se papà ha finito con la cena...»
 

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«Perchè non posso dirlo anche a Soris e Shianni? Piacerebbe anche a loro...»

Il cipiglio severo di Adaia la fa zittire subito. Stringe il piccolo arco tra le mani, abbassando lo sguardo.

«Cosa ti ho già detto, Kallian?»

Esita un attimo, prima di ripetere le parole che sa a memoria. «Nessuno deve sapere. Gli elfi non possono portare armi in città.»

«Esatto. Vuoi mettere in pericolo i tuoi cugini?»

Si rigira una freccia tra le mani, guardandosi le scarpe. «No ma... Perchè allora mi stai insegnando?»

«Potrei non essere sempre qui a proteggerti, tesoro mio. Ma credimi, lo vorrei tanto.»

 

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Soris e Shianni divorano i loro biscotti come se fossero inseguiti dai mabari.

Kallian ne ha mangiato solo uno, riponendo gli altri quattro in un fazzoletto di stoffa e nascondendoli in un ripiano della credenza, lontano dagli insetti, dai topi e dai cugini.

«Non ne mangi più?» Chiede Cyrion, guardandola deluso. Ha risparmiato tutta la settimana per comprarne abbastanza per la figlia e i nipoti.

La bambina incrocia le braccia davanti al petto. «Se li finisco tutti adesso, domani non ne avrò più. Così, posso mangiarne uno tutti i giorni. Lo so che costano tanto.»

Cyrion sorride, fiero di lei.
 

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Il Vhenadahl è addobbato a festa, centinaia di nastri dai mille colori pendono dai grandi rami e le lanterne rosse e gialle illuminano tutta la piazza principale. La processione avanza chiassosamente, chi può indossa abiti sgargianti, alcuni solo un fazzoletto colorato tra i capelli o attorno al collo.

La primavera è alle porte, l'inverno è stato particolarmente rigido ma l'hanno superato anche stavolta, nonostante Soris li abbia fatti spaventare parecchio con quella febbre.

Kallian divide una mela caramellata con i cugini, appollaiata sulla tettoia di casa, al sicuro dal trambusto.

Shianni la tira per una manica. «Torniamo alla spiaggia, quest'estate?»
 

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I ragazzi umani li stanno inseguendo armati di bastoni. Sono più grandi di loro, tutti e quattro, ma Kallian è più veloce. Trascina Soris per un braccio, infilandosi in una via laterale, saltando alcune casse di legno marcio e schizzando fango nella loro folle corsa.

«Vi ammazziamo, topi di fogna!»

I due elfi si arrampicano agilmente sul muro che circonda l'enclave, saltando poi sulla tettoia della casa più vicina. Kallian afferra una trave di legno che giace abbandonata, i chiodi arugginiti che spuntano su tutta la superficie.

Li guarda dall'alto in basso, schernendoli con una linguaccia. «Provateci, se vi riesce!»
 

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Le note riempiono la casa.

Il vecchio liuto di Adaia è nelle mani della figlia, che pizzica le corde con dita esperte, la melodia che accompagna la canzone della madre. Cyrion ascolta ad occhi chiusi, dondolando leggermente la testa, appoggiato alla parete.

Shianni, una coroncina di fiori sulla testa, si lecca ancora le dita sporche di crema, la tortina al limone per il suo compleanno divorata in un attimo. Soris sta già dormendo, la pancia piena e un sorriso beato sul volto.

Una strofa viene ripetuta più volte, perché nessuno si ricorda più come proseguiva quella vecchia canzone in elfico.

 

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«Dov'è mia madre!?» Urla, sbatte i piedi per terra, ma l'unica cosa che riesce ad ottenere sono le risa di scherno delle guardie, due uomini alti e grassi che non si curano per niente della sparizione di un'elfa.

«Sarà a succhiare l'uccello di qualcuno, come tutti gli altri giorni!» Ribatte uno dei due, scatenando altre risate sguaiate. Mima il gesto, per poi cercare di afferrare la bambina per un braccio.

Kallian si ritrae con uno strattone, la mano che vola istintivamente al coltello che nasconde sotto le vesti.

«Kallian! Vieni qua!»

Si volta di scatto. Alarith scuote la testa, spaventato.
 

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Adaia non torna più a casa. Cyrion cerca di corrompere le guardie per sapere qualcosa sulla moglie, ma non hanno mai abbastanza denaro, gli umani intascano quel poco che offre loro e lo buttano nel fango a calci e pugni.

Kallian si fa sempre più taciturna. Sparisce per ore, è scostante, ogni sera il padre la aspetta con un nodo alla gola, temendo di perdere anche lei.

Passano i mesi, il primo inverno senza musica, la festa della primavera non è più la stessa, ancora riempiono tre tazze per il tè, lasciandolo raffreddare senza riuscire a guardarlo.

Torna l'estate, torrida.
 

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Il giorno dopo il suo quindicesimo compleanno, Shianni lo passa in lacrime a casa loro. Ha ancora i postumi della sbornia, l'intero stipendio del mese perso per sempre, rubato da qualche sconosciuto che ne ha approfittato.

Kallian sospira, lasciando da parte l'idea di comprarsi una camicia nuova. Dovranno di nuovo tirare la cinghia.

È primavera, magari riuscirà a fare qualche straordinario intrecciando corone e bouquet di fiori per le feste delle ricchie signore di Denerim.

Prepara un infuso per il mal di testa, il pensiero che torna a quella bella camicia dalle maniche larghe nella bancarella di fronte alla propria.

 

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Cyrion è di nuovo malato.

Kallian mette a bollire le erbe medicinali, si è persino avventurata fuori dalla città a cercarle, l'arco nascosto sotto il mantello pronto ad ogni evenienza.

Mette una pezzuola fresca sulla fronte del padre, sperando che la temperatura si abbassi.

Quello si muove nel sonno, sussurrando qualcosa.

La ragazza si morde il labbro, tornando a controllare la radice elfica nel pentolino, lo stomaco che le si stringe dalla nostalgia. Sono passati ormai sei anni e ancora lui sogna il ritorno della moglie.

La tazza di Adaia è ancora lì, sul ripiano più alto, sbeccata sul bordo.







 

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Capitolo 4
*** Elissa Cousland ***


 

 ELISSA COUSLAND



 

«Nella battaglia di River Dane!»

Elissa, dall'alto dei suoi cinque anni, siede sulle ginocchia del nonno, sfogliando le pagine con gli occhi spalancati, indicando le poche illustrazioni contenute nel libro.

«E qui, c'è la Regina Rowan, in armatura!»

William Cousland sorride, perso nei ricordi. «Era una grande guerriera e una mente brillante.»

La bimba dondola le gambe, agitata. «Potrò diventare come lei?»

L'uomo sospira, carezzandole i capelli. «Prego il Creatore che tu non debba mai vedere la guerra, bambina... Combattere è una faccenda molto meno eroica di quanto si creda.»

«Sono una Cousland!» Protesta lei. «Sarei come te e papà!»

 

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«Elissa!»

La bambina si guarda gli stivali, inzaccherata di fango fin sopra le cosce, colpevole.

«Che ti avevo detto? Oggi dovevi stare con Nan a ricamare, non a... Sguazzare nel fango come un selvaggio!»

Corruccia la fronte, sfidando lo sguardo irato della madre. «Stavo tirando di spada!» Ribatte, incrociando le braccia. «E Fergus è ancora più sporco di me!»

«Tuo fratello è un maschio!» Sbotta Eleanor Cousland, la voce che rimbomba per i corridoi di pietra. «E adesso fila a darti una lavata, altrimenti mangerai coi mabari nel canile! Non voglio più sentir paralre di spade, comportati come si conviene.»

 

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La madre le pettina i capelli, una cascata di boccoli biondi fino oltre metà schiena, tirandoglieli indietro in una serie di elaborate trecce che si arrampicano su tutta la testa.

Nan nel frattempo le stringe il corsetto, stritolandole il busto e facendola gemere di dolore.

«Mamma, devo proprio?» La voce è roca dalle ore passate a piangere, gli occhi gonfi e rossi.

Eleanor sospira, accarezzandole la guancia e asciugando una lacrima. «Non vuoi salutare il nonno un'ultima volta?»

Elissa annuisce, un nodo che le stringe la gola. Afferra il suo libro preferito, ormai sgualcito dalle numerose letture, stringendolo al petto.

 

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La spada di legno è ben nascosta sotto una pila di vestiti vecchi, in fondo all'armadio.

La afferra, il materiale liscio sotto le dita, infilandola nella cintura e coprendosi con una giacca larga. Scivola silenziosa fuori dalla stanza, superando i corridoi immersi nel buio e, col favore delle tenebre, raggiunge il cortile non vista.

Fergus la saluta alzando il braccio, la spada da allenamento già in mano. «Ce ne hai messo di tempo, sorellina!»

Le sfugge un sorriso, mentre estrae l'arma e si mette in posizione di guardia, stando attenta a bilanciare il peso come le ha insegnato il fratello.

 

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Quando Bryce Cousland li sorprende a combattere in cortile, nel bel mezzo della notte, non può credere ai suoi occhi. Elissa e Fergus si scambiano colpi su colpi, schivando e affondando senza tirarsi indietro, non accorgendosi nemmeno della presenza del padre.

L'uomo tossisce, incrociando le braccia al petto. «Bene bene, mi fa piacere che i miei figli si allenino con così tanto impegno e costanza...»

Entrambi si voltano di scatto, sorpresi. Elissa lascia cadere la spada di legno, sprofondando nella vergogna.

Bryce si concede un sorriso, indicando l'arma. «Tuttavia, credo tu abbia ormai bisogno di una spada più seria.»

 

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Per il suo quattordicesimo compleanno, tutti i nobili della zona sono stati invitati a partecipare ai festeggiamenti, e persino alcuni Bann da lontano hanno affrontato il viaggio per salutare vecchi amici e compagni d'arme.

Bryce Cousland osserva la figlia danzare leggiadra nel suo abito di seta e velluto, che mostra ormai le forme che iniziano a sbocciare. Sa di non essere l'unico ad essersene accorto, Elissa sembra catalizzare su di sé l'attenzione dell'intera sala.

«Proprio una bella fanciulla, eh Bryce?» Commenta Rendon Howe, dandogli una pacca amichevole sulla spalla. «Potremmo inziare a considerare un matrimonio tra i nostri primogeniti, sai...»

 

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Fergus tiene tra le mani una cassa di legno, a chiuderla un grande fiocco di stoffa rossa. L'appoggia davanti a lei, un ampio sorriso da un orecchio all'altro mentre la sprona ad aprirla.

Elissa scioglie il fiocco e solleva il coperchio.

All'interno, un cucciolo di mabari color miele alza la testolina, annusando l'aria e fissandola con due grandi occhi nocciola. Uggiola, appoggiando le zampe sul bordo della cassa, cercando di saltarne fuori.

La ragazza lo afferra dolcemente, sollevandolo davanti a sé, già conquistata da quel musino.

«Tanti auguri, sorellina.»

Stringe la bestiola al petto, le lacrime agli occhi. «Grazie, fratellone.»

 

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Biscotto rende onore al suo nome, tendendo un agguato ad uno dei servitori elfici che trasporta ignaro una teglia di dolcetti appena tiepidi, usciti dal forno solo qualche minuto prima. L'odore si è propagato per tutta l'ala del castello, attirando anche attenzioni poco gradite.

Il mabari afferra due biscotti al volo, che spariscono in un attimo tra le sue fauci, arraffandone un terzo piuttosto grosso proprio quando la vecchia Nan si affaccia dalla porta della cucina.

«Maledetto sacco di pulci, se ti prendo...!»

A nulla servono le scuse di Elissa e la mortificazione dell'elfo, il cane è già troppo lontano.

 

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Quando Re Maric Theirin viene ufficialmente dichiarato morto, tutta la nobiltà è chiamata a Denerim a porgere l'ultimo saluto al Re e ad acclamare il suo successore, il principe Cailan.

«Torneremo prima che tu te ne accorga!»

Elissa mette il broncio, scoccando ad entrambi uno sguardo risentito. «Non è giusto.»

Bryce Cousland sospira, per l'ennesima volta in quei giorni. «Avrai altre occasioni per venire alla capitale e incontrare Teyrn Loghain, ora mi serve che tu dia una mano a tua madre a gestire il castello.»

La figlia, controvoglia, ingoia l'invidia, ricambiando gli abbracci del padre e del fratello.

Dovrà aspettare.
 

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Fergus aspetta la moglie sotto l'altare, la cappella del castello ornata di fiori e nastri rossi, bianchi e oro in onore del matrimonio dell'erede dei Cousland.

Elissa, seduta in prima fila, non può che ammirare l'eleganza con cui Oriana percorre la navata, il lungo strascico dell'abito bianco che spicca sul rosso del tappeto, il bouquet di fiori tra le dita delicate.

Il fratello guarda la moglie con occhi pieni di amore, come se null'altro esistesse in quel momento.

Sente la madre reprimere un singhiozzo, mentre nasconde la commozione in un fazzoletto.

Elissa sorride, immaginando per un attimo il proprio futuro.










 

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Capitolo 5
*** Natia Brosca ***


NATIA BROSCA

 

«Sei inutile quanto quel buono a nulla di tuo padre!»

La bambina, appena quattro anni, abbassa la testa, gli occhi che pizzicano mentre cerca di trattenere le lacrime. Se scoppiasse a piangere, Kalah non si limiterebbe soltanto ad insultarla. Il ricordo dello schiaffone di qualche giorno prima le brucia ancora sullo zigomo, dove una crosta marrone spicca sulla pelle pallida e malaticcia cosparsa di lentiggini e fuliggine.

«Mi dispiace madre, domani andrò nella piazza del mercato...»

La madre volta lo sguardo. «Sarà meglio. Non azzardarti a tornare con meno di tre pezzi di rame, dovessi mendicare fino a notte fonda!»

 

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Il coltellino gratta sulla pietra del muro, incidendo segni incerti a formare un disegno. Impiega buona parte della giornata, lo stomaco che brontola per i morsi della fame. Due sorelle, per mano, vestite come le ricche nobili che a volte vedono al mercato.

È la sorella la prima a tornare. Natia le mostra fiera la sua opera, ma Rica scuote la testa. «Se mamma lo scopre...»

Non fa in tempo a nasconderlo, che Kalah spalanca la porta.

Quella sera, non riesce a mangiare nulla, il sapore del sangue ancora in bocca. Si passa la lingua sulla gengiva.

Solo tre denti.
 

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Rica ha riempito la vasca di acqua calda, il vapore si alza fino al soffitto pieno di muffa, riscaldando la stanzetta angusta. Natia si spoglia lentamente, ripiegando con cura la tunica rattoppata in più punti.

Si immerge il più possibile, cercando di sfregarsi di dosso muffa, polvere e sudore.

È fortunata, è ancora abbastanza piccola da infilarsi nei canali di areazione più stretti, sono quelli più difficili da pulire e vengono pagati meglio.

Dieci pezzi di rame alla settimana.

Infila la testa sott'acqua, chiudendo gli occhi. Il silenzio l'avvolge.

Attende, finchè le brucia il petto, poi riemerge di scatto.

Inspira.

 

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Il profumo della carne arrostita allo spiedo è irresistibile.

Fissa con insistenza la bancarella, i nug sul fuoco che grondano grasso. Lo stomaco brontola prepotentemente, fino al punto che non resiste più.

Approfitta dell'orario di punta del mercato per scivolare invisibile alle spalle del nano, aspettando che si distragga con un cliente. Appena quello si volta a cercare il resto in una sacchetta di pelle colma di monete, Natia allunga una mano, afferrando uno degli spiedi più piccoli.

«Hei, al ladro!» Urlano i due, chiamando allarmati le guardie, ma lei è già lontana, sparita tra i vicoli bui dei bassifondi.

 

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Il pugno le arriva dritto sul naso.

Sente l'osso spezzarsi, la vista che le si oscura per un attimo. Barcolla, un fiotto di sangue sul viso, ma si costringe a digrignare i denti.

Stringe il piccolo coltello che tiene nascosto nella manica, gettandosi sul nano a testa bassa.

Rica urla di nuovo, ancora a terra dove è stata spinta, i vestiti strappati.

Cadono in un groviglio di arti, ma dura solo pochi istanti.

Quando Natia si rialza, è coperta di sangue. Il manico del coltello spunta dalla gola dell'assalitore.

Ha solo otto anni, eppure è riuscita a proteggere sua sorella.

 

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«Ho sentito che hai fatto fuori il vecchio Sal.»

Natia alza lo sguardo, il cuore perde un battito. Il nano di fronte a lei lavora col Carta e tutti sanno che non è il caso di mettersi contro quella gente.

«Voleva abusare di mia sorella.»

L'altro sorride malevolo. «Sal stava con Beraht. Ora, tu e tua sorella avete un debito nei suoi confronti. Sangue o oro...»

«Il Carta ottiene sempre la sua parte.» Recita Natia alzandosi da terra, senza altra scelta. China il capo.

«Non fare quella faccia, straccio, pochi possono dire di aver attirato l'attenzione di Beraht così giovani.»

 

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Il suo nuovo compagno si accascia a terra, invitandola a fare lo stesso.

Hanno ripulito un intero magazzino, da cima a fondo, respirando polvere e muffa per ore ed ore.

«Vuoi?»

Si volta. L'altro le porge una bottiglia, così simile a quelle che sua madre beve fino a svenire sul pavimento. La guarda con diffidenza, senza muoversi.

«Fai come vuoi.» Lui ne assaggia un po', piegandosi poi in un attacco di tosse.

Natia scoppia a ridere, strappandogliela di mano. Storce la bocca, disgustata, ma beve di nuovo.

Il nano scoppia a ridere sguaiatamente. «Sono Leske, comunque.»

Le sta già simpatico.

 

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Ha le mani ancora sporche di sangue, mentre spalanca la porta di casa e scivola all'interno, le quattro monete d'argento ben nascoste in tasca avvolte da una pezza di stoffa.

La madre, accasciata sulla panca, la guarda storto. «Spero tu ti sia ricordata di portarmi qualcosa.»

Natia la squadra con disgusto, appoggiando una bottiglia sul tavolo. «Strozzatici.»

Kalah la stappa avidamente, annusandone il contenuto. Lo sguardo le cade sul sangue sopra di essa. «E i soldi?»

«Fattela bastare, è più di quello che meriti.»

La sente reprimere un singhiozzo. «No, aspetta, scusa...-»

Sbatte la porta dietro di sé con violenza.

 

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Leske le passa la bottiglia, il liquore che si mischia al muschio che stanno masticando.

Natia sorride, beata, mentre osserva l'espressione instupidita dell'altro. «Questa roba è ottima.»

«O siamo troppo andati per renderci conto che fa schifo...»

Beve altri due sorsi, osservando la Città della Polvere sotto di loro. Quando si volta di nuovo, il viso di Leske è pericolosamente vicino al proprio.

Non è un bacio delicato.

Le mani di lui le afferrano i fianchi magri mentre lei lotta con la fibbia della sua cintura.

Dopo restano a fissare il soffitto, mezzi nudi.

Natia lo guarda, ridacchiando. «Pensavo peggio.»

 

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Rica lascia una scia profumata dietro di sé, i capelli ancora raccolti in un'acconciatura elaborata, la voce suadente mentre intona una melodia ripiegando il vestito elegante.

A Natia non è sfuggito lo sguardo di Leske, puntato sulla sorella da quando sono entrati. Lo afferra per un braccio, spingendolo verso la porta. «Muoviti, siamo in ritardo.»

«Non vi fermate per cena?» Chiede Rica, speranzosa. «Ultimamente passiamo così poco tempo insieme, Natia...»

«Abbiamo da fare. Qualcuno deve portare i soldi a casa.» Risponde asciutta. L'espressione ferita della sorella la fa sentire subito in colpa. «Domani sera?»

L'altra sorride, annuendo. «Ci conto, sorellina!»
















 

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Capitolo 6
*** Duran Aeducan ***


 

DURAN AEDUCAN

 

 

«Posso vederlo?»

La madre, ancora affaticata dal parto, accenna un sorriso e annuisce, allungandogli il fagottino.

È leggero, ma Duran ha paura di farlo cadere. Le manine del neonato si tendono verso di lui mentre il fratellino punta gli occhi nei suoi. Gonfia le guance e apre la bocca, mostrando le gengive rosa senza denti. Ha ciuffetto di capelli biondi appiccicati alla fronte.

«Attento a non farlo cadere.» Lo ammonisce Trian in tono canzonatorio, come al solito. Ha lo sguardo puntato su loro padre. «Come lo chiameremo?»

I genitori si scambiano uno sguardo, poi è Re Endrin a rispondere.

«Bhelen.»
 

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«E nelle profondità della terra, tra i palazzi abbandonati degli antichi Thaig perduti, lì si aggirano gli spiriti dei nani rifiutati dalla Pietra. I Sacrileghi.»

Sente Bhelen trattenere il fiato, gli occhi spalancati dalla paura puntati sul padre. «Ne avete mai visto uno?»

Re Endrin scuote la testa, godendosi l'attenzione dei figli. «No, e in pochi credono che esistano davvero.»

«Un giorno allora li andremo a cercare!» Esclama Duran, il cuore che gli batte in petto alla sola idea di vedere uno di quei leggendari spettri di pietra. «Organizzeremo una spedizione nei Thaig dimenticati!»

«Sono solo baggianate.» Replica Trian sbuffando.

 

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La lastra di pietra si chiude sul corpo della madre, nascondendolo alla vista.

Mentre recitano le parole che la condurranno a riunirsi alla Pietra, cerca di non cedere all'angoscia che l'ha attanagliato per tutti quei mesi di agonia, all'impotenza di fronte all'inevitabilità della morte.

Bhelen, appena cinque anni, piange sommessamente, attaccato alla manica di Trian.

Il fratello maggiore ha lo sguardo duro, impassibile, ma i pugni stretti e gli occhi incavati rivelano che, seppur cerchi di non darlo a vedere, neppure lui è fatto di solida roccia.

Duran solleva il mento, inspirando. Gli Antenati li stanno guardando, devono esserne all'altezza.

 

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La prima volta che prende in mano una vera arma, fa fatica anche solo a sollevarla.

Trian, trovandolo con il suo maglio da guerra, scoppia a ridere. «Per quello mi sa che dovrai allenarti un po' di più, fratellino.» Si riprende il grande martello, poggiandoselo sulla spalla senza fatica. «Rischi di farti male.»

A Duran non sfugge come il fratello si arricci i baffi curati, un sorrisetto di scherno sotto di essi.

Assottiglia lo sguardo, gonfiando il petto. «Diventerò anche meglio di te, un giorno.»

Trian solleva un sopracciglio, divertito. «Puoi provarci, certo. Le imprese impossibili ti si addicono, fratellino.»
 

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La pesante armatura massiccia sembra volerlo arrostire come un nug alla brace. Il suo avversario, che è anche il suo migliore amico, appare ancora più stanco.

Sfrutta un errore dell'altro per colpirlo al fianco, facendolo crollare a terra con un grugnito.

Si volta verso il fratello maggiore e il cugino, entrambi impassibili. Il giudizio tarda ad arrivare.

Gorim si rimette in piedi a fatica, borbottando.

Prima che si scontrino di nuovo, Piotin finalmente apre bocca. «Ottimo lavoro, Duran.»

Si lascia scappare un'espressione di vittoria, presto raggelata dalle parole di Trian.

«Vedremo come te la caverai nelle Vie Profonde, caro fratellino.»

 

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L'enorme portone si chiude alle loro spalle con un clangore assordante che rimbomba per tutta la galleria di pietra. L'aria è diversa e man mano che scendono in profondità si fa sempre più pesante da respirare. Si attacca alle pareti della gola, come la patina viscida e puzzolente che trovano sulla roccia attorno a loro. La Corruzione è ovunque.

Quando un Hurlock alto quasi tre volte lui, parti di metallo che spuntano dalla pelle in decomposizione, rischia di decapitarlo di netto, Duran sente il sangue gelarsi nelle vene.

Quindi, è quella la paura.

Stringe i denti, caricando a sua volta.
 

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Ritornano ad Orzammar carichi di onori.

La spedizione guidata da Trian è andata bene, hanno recuperato un po' di terreno. I cunicoli, a detta dei veterani dell'esercito, erano più calmi del solito. La Legione dei Morti ha parlato di un'imminente Flagello, ma Trian ha sminuito l'avvertimento come “vaneggiamenti di un branco di pazzi”, asserendo che passano troppo tempo là sotto per essere realmente affidabili.

Re Endrin la pensa diversamente. «Guiderò la prossima spedizione di persona.»

Il cuore di Duran si riempie d'orgoglio quando il padre lo sceglie come suo secondo, incurante dello sguardo tagliente del fratello maggiore, carico di ostilità.

 

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Bhelen ha insistito per venire con loro.

«Non ho intenzione di farti da balia!» Sbraita Trian per l'ennesima volta. Porta una mano sul fianco ferito, dove il fendente destinato al fratello minore è riuscito a penetrare l'armatura possente.

L'altro abbassa lo sguardo, rosso in volto dalla vergogna.

Duran sospira, mettendo una mano sulla spalla del maggiore. «Dagli tregua, non è-»

Trian gli scosta la mano con un gesto irato, rivoltandoglisi contro. «Potremmo non esserci sempre a proteggerlo!»

È davvero preoccupazione ciò che gli si legge negli occhi? Dura un attimo, poi dà loro le spalle raggiungendo Piotin e il re.

 

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Nel buio delle Vie Profonde, sente il fratello minore rigirarsi nel proprio giaciglio.

«Credi che abbia sbagliato a scendere fin qui?» Gli chiede Bhelen dopo qualche momento. La voce è ridotta ad un sussurro, abbastanza bassa perché Duran sia l'unico a venire a conoscenza dei dubbi che lo attanagliano.

Il maggiore guarda il soffitto, dove una serie di stalattiti pendono dall'alta volta di pietra.

«La sera precedente alla mia prima spedizione, nostro padre mi disse una cosa: “Non si può essere coraggiosi, senza sapere cos'è la paura.”»

Bhelen non risponde subito. «Non sono un codardo.»

«Lo so, sei un Aeducan.»

 

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La grande ascia da guerra, forgiata per l'occasione dai migliori fabbri di Orzammar, aspetta solo di essere sporcata col sangue dei molti Prole Oscura che verranno abbattuti dal nuovo Comandante dell'Esercito.

Non può che lasciarsi sedurre dai sogni di gloria, immaginando di riprendersi antichi Thaig come nessun altro faceva da decine di anni. Freme, ansioso di scendere nelle Vie Profonde.

«Avrò bisogno di un ottimo Generale, quando sarò Re.» Gli dice Trian, tendendogli il braccio. Sorride, genuinamente. «Rendici fieri, fratello. Ci aspettiamo il meglio da un Aeducan.»

«Potrai sempre contare su di me, fratello.» Risponde Duran, ricambiando la stretta dell'altro.











 







Note dell'Autrice: ed è giunto il momento di salutare i sei protagonisti di Dragged into the Blight. Spero che queste piccole drabble di approfondimento siano state piacevoli da leggere almeno un po' di quanto lo sono state da scrivere.

Atrast tunsha! :)

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